Riv. Culmine e Fonte 2012-5

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http://www.ufficioliturgicoroma.it/default.asp?iId=LDJMKIl sussidio bimestrale "Culmine e fonte" edito dall'Ufficio Liturgico della Diocesi di Roma ha come obiettivo primario l'approfondimento delle tematiche liturgiche nel contesto pastorale. Non è una rivista rivolta solo agli "esperti", ma è pensata per tutti coloro che si accostano alle Celebrazioni della Chiesa con l'intento di pregare, comprendere, partecipare attivamente, secondo i propri doni, carismi e ministeri. E' uno strumento di formazione e spiritualità liturgica dedicato a Sacerdoti, diaconi, Lettori, Accoliti e Ministri straordinari della Comunione. Rivolgendosi anche a tutti i cultori di Liturgia ed a tutti coloro che riconoscono la necessità di approfondire le tematiche liturgiche si usa un linguaggio semplice ed un approccio prevalentemente pastorale. I contenuti rimangono altamente scientifici: i contributi sono affidati ad esperti del settore, che propongono riflessioni documentate sulle varie problematiche ed aprono la strada a successivi approfondimenti personali.

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«Andate e fate discepoli,battezzando e insegnando» (Mt 28,19-20)

Riscopriamo la bellezzadel Battesimo

p. Giuseppe Midili, O. Carm.

uesto numero della rivistaprende spunto dalla recentepubblicazione del nuovo Rito

delle Esequie, ma l’editoriale vuol sotto-lineare la tematica battesimale, che è ilcentro del percorso tracciato dalla Dio-cesi di Roma per il prossimo anno pasto-rale. L’accostamento in una rivista diliturgia tra la tematica battesimale equella della morte non stupisce. Infattinel momento in cui la Chiesa benedicel’acqua durante la veglia pasquale, il sa-cerdote conclude l’antichissima pre-ghiera, dicendo: «Tutti coloro chericeveranno il Battesimo in quest’acqua,sepolti insieme con Cristo nella mortecon lui risorgano a vita immortale». E ilRito delle Esequie ribadisce l’unità tema-tica Battesimo-morte. Basti citare solo ilformulario che si apre dicendo: «Si com-pie oggi per il nostro fratello il percorsoiniziato con il Battesimo...». Dunque inquesto numero si realizza quell’unitàteologica e tematica che è propria delladimensione liturgica.

Il convegno ecclesiale diocesano è l’ap-puntamento annuale della comunità ro-mana, che si raduna nella BasilicaLateranense per programmare l’azionepastorale. Papa Benedetto XVI ha semprevoluto presiedere personalmente laprima sessione e quest’anno ha propostouna Lectio divina sul sacramento del Bat-tesimo. L’intervento è già stato oggetto diriflessione nelle comunità parrocchiali onegli incontri dei vari gruppi. Ci sono peròalcuni aspetti che meritano di essere ri-proposti qui in forma sintetica, insiemecon alcune sottolineature che potrebberoessere la base per altri incontri nel corsodell’anno (penso alle riunioni del gruppoliturgico, dei lettori, dei ministri della Co-munione).

La riflessione del Pontefice parte dalle ul-time parole rivolte dal Signore su questaterra ai suoi discepoli: «Andate, fate disce-poli tutti i popoli e battezzateli nel nomedel Padre, del Figlio, dello Spirito Santo»(cfr Mt 28,19). La scelta della parola «nel

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nome del Padre» indica una immersionenel nome della Trinità, un essere immersinel Dio Trinità, Padre, Figlio e SpiritoSanto, così come nel matrimonio, peresempio, due persone diventano unacarne, diventano una nuova, unica realtà,con un nuovo, unico nome. Essere battez-zati, continua il Papa, vuol dire essereuniti a Dio; in un’unica, nuova esistenzaapparteniamo a Dio, siamo immersi inDio stesso.

Dopo aver illustrato la formula battesi-male di san Matteo, il Santo Padre illustrail rito sacramentale del Battesimo, che sicompone di due elementi: materia-acquae forma-parola. L’acqua è un elementofondamentale del cosmo, una materiafondamentale creata da Dio. L’altro ele-mento che il Santo Padre ci presenta è laparola, che si propone in tre dimensioni:rinunce, promesse, invocazioni. Il Sacra-mento del Battesimo non è l’atto di unmomento, ma è realtà di tutta la nostravita.

Ascoltando la relazione dalla viva vocedel Papa e poi rileggendola abbiamo ap-prezzato la sua riflessione sulle tre ri-nunce. Qui ci soffermeremo soprattuttosulla seconda: «Rinunciate alle seduzionidel male per non lasciarvi dominare dalpeccato?». Nella Chiesa antica a questopunto si pronunciava un’altra formula:«Rinunciate alla pompa del diavolo?». Lapompa del diavolo - spiega il Santo Padre- erano soprattutto i grandi spettacolicruenti, in cui la crudeltà diventa diverti-

mento, in cui uccidere diventa una cosaspettacolare. Oltre a questo significatoimmediato dell’espressione «pompa deldiavolo», si voleva parlare di un tipo dicultura e modo di vivere nel quale nonconta la verità ma l’apparenza, non sicerca la verità ma l’effetto, la sensazione.Sotto il pretesto della verità, in realtà, sidistruggono uomini, per stabilire se stessicome vincitori. Quindi questa rinuncia eramolto reale: era la rinuncia a un tipo dicultura che è un’anti-cultura, contro Cri-sto e contro Dio. Essere battezzati, insisteil Papa, significa cambiare modo di pen-sare, cambiare struttura culturale. Pur-troppo anche oggi esiste un tipo dicultura in cui non conta la verità, ma lasensazione e lo spirito di calunnia e di di-struzione. Quel tipo di cultura non cercail bene, ma si riduce a vuoto moralismo,cioè a una maschera per confondere e di-struggere. Rispondere «Rinuncio» signi-fica rinnegare quel prototipo culturale, incui la menzogna si presenta nella vestedella verità.

Quindi il Santo Padre illustra i due signifi-cati dell’acqua. Il Battesimo non è solouna cerimonia, un rituale antico o un la-vaggio, un’operazione cosmetica. È mortee vita: morte di una certa esistenza e rina-scita, risurrezione a nuova vita. In questoconsiste l’unicità dell’essere cristiano: al-l’uomo rinato nel Battesimo non si ag-giunge solo qualcosa, ma egli rinasce. Alla fine il Santo Padre affronta le proble-matiche legate al Battesimo dei bambinie domanda «È giusto farlo, o sarebbe più

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necessario fare prima il cammino catecu-menale per arrivare ad un Battesimoveramente realizzato? Possiamo noi im-porre ad un bambino quale religionevuole vivere o no? Non dobbiamo lasciarea quel bambino la scelta?» La risposta èchiara e ricca di significato. Queste do-mande, che spesso accompagnano iprimi mesi di vita del bambino sono laprova che non vediamo più nella fede cri-stiana la vita nuova, la vera vita, ma solouna scelta tra altre, anche un peso chenon si rischia di imporre. La realtà ovvia-mente è diversa. Per esempio, la vitastessa ci viene data senza che noi pos-siamo scegliere se vogliamo vivere o no;a nessuno può essere chiesto se vuol na-scere o no. Il Papa riformula la domanda

in maniera corretta: «È giusto donare vitain questo mondo senza avere avuto ilconsenso – vuoi vivere o no? Si può real-mente anticipare la vita, dare la vita senzache il soggetto abbia avuto la possibilitàdi decidere?». E risponde che è possibileed è giusto soltanto se, con la vita, pos-siamo dare anche la garanzia che la vita,con tutti i problemi del mondo, sia buona,che sia bene vivere, che ci sia una garan-zia che questa vita sia buona, sia protettada Dio e che sia un vero dono. Solo l’anti-cipazione del senso giustifica l’anticipa-zione della vita. E perciò il Battesimocome garanzia del bene di Dio, come an-ticipazione del senso, del «sì» di Dio cheprotegge questa vita, giustifica anchel’anticipazione della vita.

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Lo scenario socio-culturaleSi assiste oggi a un fenomenostrano. Da una parte la rimozione

o tabuizzazione della morte. La società nonè più mortale, anzi “la società post-mortale”ha messo a tacere la morte, grazie alla scom-parsa dalla coscienza degli individui di que-sta esperienza.1 La morte, in realtà, è rimossadall’orizzonte della vita quotidiana anche dalpunto di vista percettivo. I malati terminalistanno negli hospice, si muore per lo più inospedale, ai bambini non si fa vedere lasalma dei nonni perché potrebbe turbarli, ecosì si resta analfabeti e muti di fronte a unevento che è parte della vita. Una civiltà, la nostra, che assiste al declinodel culto dei morti, perché è differente ilmodo di pensare alla fine di una vita. È inatto in essa una sottile ma progressiva ane-stesia, intenta ad attutire se non a occultaree addirittura a rimuovere il fatto della morte.In questo processo di censurae di rimozionenei confronti della morte, ogni segno este-riore riconducibile al morire deve esserebandito. Bisogna uscire di scena in punta di

piedi, perché lo spettacolo della vita devecontinuare. Si pensi, a questo proposito, ailuoghi del morire. Questa anestesiadelle co-scienze agisce togliendo la visibilità al datodella fine corporale, ovattandone le circo-stanze e i riti, facendo calare su di essa un si-lenzio che non è il silenzio orante davantiall’enigma e al mistero (cfr. GSn. 18), il silen-zio compassionevole del raccoglimento,della condivisione della pietas, bensì quelloimbarazzato con cui si circonda ciò che scan-dalizza e sgomenta.A questo processo di rimozione della mortedalla vita reale si accompagna l’eccesso nellasua rappresentazione mediatica, che servea far perdere il senso della sua gravità. Segnoineludibile della creaturalità dell’uomo era,ed è, troppo frequente, doloroso, dramma-tico, perché lo si possa ignorare. Esso èl’unico evento prevedibile con sicurezza nelfuturo di ciascuno. Eppure, oggi, sembraproprio che l’umanità del morire si sia inevi-tabilmente perduta, cancellando perfino ilricordo della persona, essendosi fatto stradail crescente fenomeno della cremazione, che

Presentazione del nuovoRito delle Esequie

† Felice di MolfettaVescovo di Cerignola-Ascoli Satriano

Presidente del CAL

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1 Cfr. C. LAFONTAINE, Il sogno dell’eternità. La società postmortale. Morte, individuo e legami sociali nell’epoca delletecnoscenze, Medusa, Milano 2009.

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contribuisce decisamente alla cancellazionedel nostro essere stati. Alla radice di questa fenomenologia c’è unprocesso di privatizzazionedella morte in cuiogni segno esteriore non deve intralciare lanormale vita della famiglia o della città. Siconsiderino, in tal senso, le manifestazioni dilutto - i cortei funebri - oramai soppressenelle città per ragioni di viabilità e di traffico.Non si deve, infine, dimenticare il fenomenodella secolarizzazione, fenomeno che, a pocoa poco, ci ha separati dal mistero del trascen-dente, nella cui sfera la distinzione tra mortee morire è d’obbligo, perché prima dellamorte c’è per l’uomo il morire. E l’uomod’oggi muore in un clima di desacralizza-zione del mondo e di perdita di evidenze re-ligiose.Nello stesso tempo si assiste però a quellache viene chiamata “la risurrezione dellamorte”. Non si contano, infatti, le pubblica-zioni sulla morte dal punto di vista della fi-losofia, della fenomenologia della religione,dell’antropologia, della sociologia, della psi-cologia, della teologia; tant’è che gli stessinovissimivengono ad assumere il volto dellasperanza e non dell’angoscia. Per usareun’espressione di von Balthasar: il Marana-tha riprende il posto che gli era stato usur-pato dal Dies irae.

2. La risposta della lex orandialla grandedomandaCome si pone la lex orandi della Chiesa difronte a questi fenomeni e, soprattutto,

come si pone di fronte alla problematicitàdella morte, al defunto e a coloro che pian-gono per la separazione a volte terribil-mente tragica? Consapevole che il ritofunebre ha la funzione di accompagnare chiè direttamente colpito dal lutto, e di prepa-rare chi lo sarà in seguito, in un cammino col-lettivo e comune, nel Rito delle esequierinnovato ritroviamo una grammatica e unasintassi in grado di dar voce alla morte, anzidi farne una parola che interpella la vita ditutti. E se l’atteggiamento verso il morire e lamorte ha subìto decisivi e pesanti muta-menti generando un forte disagio culturale,nondimeno proclamare e celebrare ilmistero cristiano della morte e della risurre-zione rimane pur sempre compito fonda-mentale della Chiesa. Anzi, proprio perchéla morte e i morti sono considerati fattori didisturbo dall’attuale stile di vita, la Ecclesiaresurgentium è chiamata a proclamarel’evento pasquale del suo Sposo e Signore,crocifisso e risorto. È nato di qui il titolo dato al sussidio pasto-rale pubblicato il 15 agosto 2007 a cura dellaCommissione Episcopale per la liturgia inoccasione della celebrazione delle esequie:Proclamiamo la tua risurrezione.2 In esso ealla luce della Rivelazione e della vivente,orante tradizione della Chiesa, i Vescovihanno recepito l’urgenza di offrire una rispo-sta alla grande domanda insita nell’enigmadella morte, proiettandola alla luce dellafede pasquale che canta la risurrezione diGesù Cristo da morte.

2 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA - COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, Proclamiamo la tua risurrezione. Sussidio pa-storale in occasione della celebrazione delle esequie, Roma, 2007.

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La proposta del sussidio voleva semplice-mente offrire un aiuto per quelle situazioninon contemplate dal libro liturgico RE,3

nelle quali il ministro ordinato o il laicoerano di fatto invitati a esprimere la solleci-tudine della comunità cristiana verso la fa-miglia colpita dal lutto. Di qui l’urgenza didare vita alla Seconda Edizione italiana delRE4 procedendo a un processo di adatta-mento,5 tenendo conto di una duplicecoppia di verbi, conservare-valorizzare, incul-turare-creare. La seconda Edizione del Ritodelle Esequie, con gli adattamenti concor-dati con la Congregazione per il Culto Di-vino e la Disciplina dei Sacramenti è stataapprovata il 23 luglio 2010 ed entrerà in vi-gore il 2 novembre 2012. Di essa diamo al-cune chiavi di lettura.6

3. Conservare-valorizzareLa seconda edizione italiana del RE non po-teva non avvalersi di quanto la tradizione vi-vente della Chiesa ci ha consegnato,secondo la quale la morte ha sempre avutoun carattere pubblico, normale, domestico.

Alla luce di quanto la storia ci ha lasciato, leesequie infatti assumevano il valore di ungesto simbolico. Il funerale era occasioneper riunire, mettere insieme, i pezzi spezzatidella vita umana, troppo spesso separata, ecosì, inaspettatamente, si ritrovava unita inquella particolarissima circostanza. E così, ilpiccolo mondo familiare veniva ad aprirsi algrande mondo di una comunità più ampia;il presente al passato; la memoria alla spe-ranza di un’altra vita; e finalmente, il corpoindividuale del defunto al corpo socialedella comunità che lo accoglieva. È questala grande lezione che ci viene dal passato.Tra le caratteristiche del nuovo rituale è dasegnalare la rafforzata insistenza sulla cele-brazione comunitaria che raccoglie i fami-liari, i parenti, gli amici anche se tante voltenon credenti.7 Il rito vuole favorire e facili-tare in ogni modo l’accompagnamento deldefunto e dei suoi cari nelle varie fasi: visitaalla famiglia;8 veglia;9 chiusura della bara;10

processione in chiesa;11 celebrazione delleEsequie nella Messa12 o nella Liturgia dellaParola; processione al cimitero, sepoltura.13

3 RITUALE ROMANO riformato a norma dei Decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato da Papa Paolo VI, Ritodelle Esequie, Conferenza Episcopale Italiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1974 (d’ora in poi RE/1974).4 RITUALE ROMANO riformato a norma dei Decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato da Papa PaoloVI, Rito delle Esequie, Conferenza Episcopale Italiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011 (d’ora inpoi RE/CEI 2011).5 Cfr. SC, De aptationibus, nn. 37-39; Varietates legitimae, IV Istruzione sull’inculturazione della liturgia romana(25 gennaio 1994), n. 58.6 Cfr. F. DI MOLFETTA, Celebrare la speranza nel rito delle esequie. Relazione al 53° Convegno liturgico-pastorale del-l’Opera della Regalità, Roma, Casa Tra Noi, 15 febbraio 2012.7 RE/CEI 2011, Presentazione, n. 5, p. 13.8 Ivi, nn. 26-29, pp. 35-43.9 Ivi, nn. 30-41, pp. 44-58.10 Ivi, nn. 42-46, pp. 59-62.11 Ivi, nn. 60-63, pp. 83-87.12 Ivi, nn. 67-87, pp. 89-108.13 Ivi, nn. 88-98, pp. 109-126.

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Pur avvertendo che il contesto urbanooggi spesso non consente la realizza-zione delle tre stazioni: in casa, in chiesae al cimitero, il rituale le conserva comeforma tipica, ossia come modello di rife-rimento e criterio d’interpretazione. Ineffetti, la ritualità cristiana come sistemasignificativo coerente, possiede ancoraper una larga parte della popolazioneeuropea un posto importante. Il rito infatti evidenzia il ruolo della co-munità che accompagna un suo figlioall’estrema dimora e lo consegna all’ab-braccio dell’assemblea celeste. Spinge ecoinvolge la comunità, sviluppando unavariegata ministerialità (presbitero, dia-cono, lettori, cantori, ministranti) e indu-cendola ad esercitare il ministero dellaconsolazione, che va al di là della cele-brazione e mira a sostenere i familiarinell’elaborazione del lutto.14 Tant’è chese i cambiamenti sociologici e ideologiciverso la morte riflettono l’aumentatosenso di individualismo e spersonalizza-zione del soggetto, il vero problema è losvuotamento del senso dei riti e la frantu-mazione dell’universo simbolico. In talsenso, il corpo non è più sentito imme-diatamente come luogo simbolico,luogo di senso, di legami, di storia, macome “macchina” che ha i suoi guasti e

che, fino ad un certo punto, si può ripa-rare. Va da sé che un atteggiamento dieccessiva medicalizzazione della vita edella morte rischia di impoverire - comedi fatto avviene - il valore esistenzialedel soffrire e del morire, riducendolo auna prospettiva esteriore e insignifi-cante.

4. Inculturare-creareAlla luce di questo principio il nuovoRE/CEI 2011 offre una più ampia e arti-colata proposta celebrativa a partire dalprimo incontro con la famiglia appresala notizia della morte, fino alla tumula-zione del feretro. Perciò, vanno studiatie valorizzati i suoi contenuti e le sue mo-dalità, utilizzando tutte le sue compo-nenti15 e sottolineati la ricchezza e lavarietà dei testi.16 Esso nella sua artico-lata struttura celebrativa costituisce in-fatti un vero e proprio itinerarioeducativo attraverso la sua stessa cele-brazione perciò, pur conservando lostesso tradizionale programma rituale,“valorizza tre luoghi particolarmente si-gnificativi: - la casa, luogo della vita e degli affettifamiliari del defunto; - la chiesa parrocchiale, dove si è generatinella fede e nutriti dai sacramenti pasquali;

14 Cfr. P. SORCI, Presentare il nuovo rito delle Esequie nelle diocesi, in La Vita in Cristo e nella Chiesa, 2 (2012), p. 37.15 Letture brevi, lezionario, l’omelia, la professione di fede, che può essere proposta in casa, nella celebrazioneo presso il sepolcro, il canto, i ministeri, i simboli rituali (il velo posto sul volto del defunto al momento della de-posizione nella bara - n. 44, p. 60 -, croce, il cero pasquale presso il feretro, l’aspersione con l’acqua benedettamemoria del battesimo, l’incenso del corpo tempio dello Spirito, il sepolcro che richiama quello lasciato vuotodal Signore risorto).16 Monizioni, orazioni, preghiere dei fedeli per le diverse situazioni: giovane, adulto, persona anziana, impegnatanella vita cristiana, morte improvvisa, incidente tragico, sacerdote, religioso, religiosa (nn. 79-80, pp. 97-103; pp.157-166).

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- il cimitero, luogo del riposo nell’attesadella risurrezione”.17

Sarà, perciò, a partire dalla presenta-zione liturgico-teologica di queste “sta-zioni” e soprattutto dalla loro praticapastorale che sarà possibile fare dellibro rituale un autentico strumento dieducazione alla vita buona del Vangelo,suscitando e alimentando la speranzadei cieli nuovi e della nuova terra. A ri-cordarcelo è il Santo Padre che, nel mes-saggio inviato all’Assemblea Generaledella Conferenza Episcopale Italiana inAssisi (9-12 novembre 2009), ebbe ascrivere: “Il momento delle esequie costituisceun’importante occasione per annun-ciare il Vangelo della speranza e manife-stare la maternità della Chiesa. Il Dio che‘verrà nella gloria per giudicare i vivi e imorti’, è Colui che ‘asciugherà ogni la-crima dai loro occhi e non vi sarà più lamorte né lutto né lamento né affanno’(Ap 21,4). In una cultura che tende a ri-muovere il pensiero della morte,quando addirittura non cerca di esorciz-zarla riducendola a spettacolo o trasfor-mandola in un diritto, è compito deicredenti gettare su tale mistero la lucedella rivelazione cristiana, certi ‘chel’amore possa giungere fin nell’aldilà,che sia possibile un vicendevole dare ericevere, nel quale rimaniamo legati gliuni agli altri con vincoli di affetto’ (Spesalvi, 48)”.

5. Celebrare per i defunti e annunciareil Vivente in attesa della sua venutaLa seconda edizione del Rito delle Ese-quie in lingua italiana, pubblicata al-cuni decenni dopo la prima edizione(1974), risponde alla diffusa esigenzapastorale di annunciare il Vangelo dellarisurrezione di Cristo in un contestoculturale ed ecclesiale caratterizzato dasignificativi mutamenti. “La celebra-zione cristiana dei funerali è celebrazionedel mistero pasquale di Cristo Signore”.Questa affermazione posta nell’incipitdelle Premesse generali al Rito delleEsequie è la ragione di un aggiorna-mento che recepisce i profondi cambia-menti intercorsi nella società enell’atmosfera culturale. È sempre statodifficile rappresentare la morte e lasperanza della risurrezione sulle nostretombe e l’escaton nelle nostre chiese,nondimeno il sepolcro vuoto è l’annun-cio di fondo della prima predicazionecristiana, il fondamento della nostrafede, della novità cristiana e della no-stra speranza. E se è pur vero che il se-polcro vuoto non è una prova dellavittoria pasquale di Cristo sulla morte,esso è “un segno” molto forte; cometale dice, ora come allora, che la mortenon ha più l’ultima parola, e che la pa-squa di Gesù Cristo è il cuore e il fonda-mento, “il nucleo e il centro della nostrafede”. Pertanto, “i riti delle esequie cri-stiane, lo spirito di fede e di speranza chele anima sono da vivere e dal compren-

17 RE/CEI 2011, Presentazione, n. 4, p. 13.

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dere nell’ottica della Pasqua del Signore”.18

L’attestazione biblica dell’evento pa-squale di Cristo Signore dovrà essereperciò proclamata e ridetta nella celebra-zione rituale, quale celebrazione dellafede in atto. La fede infatti vuole che nonè possibile dire, per via di conoscenza in-tellettuale, “Gesù è risorto”. Per questo, “ipastori siano premurosi nell’aiutare i fedelia cogliere il senso profondo del funerale cri-stiano; scelgano tra i formulari proposti dalRituale quelli più adatti alla situazione; uti-lizzino con sapienza la varietà dei testi bi-blici proposti dal Lezionario; sappianoutilizzare con intelligenza e discrezione ilmomento dell’omelia per infondere conso-lazione e speranza cristiana e per condurrei fedeli a una più consapevole professionedi fede nella risurrezione e della vitaeterna”.19

Dal momento in cui la morte, alla lucedella Rivelazione, non è un estuario nelnulla ma l’incontro per eccellenza con Dionel suo Regno, il RE/CEI 2011, con modidiversi e continui, proclama che il Croci-fisso-Risorto ha rivoluzionato il sensodella morte, affrontandola Lui stesso. In-fatti esso si è fatto sensibilmente attentoalle nuove situazioni di morte, comequella della cremazione, offrendo aglioperatori pastorali una straordinaria ric-chezza di testi della Parola di Dio; testi chevanno ad incrementare l’attuale Leziona-rio e che hanno il compito di alimentarela speranza e aiutare ad alzare lo sguardo

verso un profilo lontano di cui nellaumana finitezza non si riesce a coglierecompiutamente tutti i contorni.La nuova edizione offre la grande oppor-tunità di riflettere teologicamente, a par-tire dai testi e dalle sequenze rituali, sulsignificato della celebrazione delle ese-quie e sulla maniera migliore e pastoral-mente più efficace di celebrarle, in modoche esse risultino annuncio della spe-ranza che scaturisce dalla pasqua di Cristoper gli uomini e le donne del nostrotempo, e vera consolazione in momentidi dolore e di fragilità come sono quellidel lutto. Il RE si mostra altresì attento allepersone in lutto e presenta belle orazioniper la veglia in casa del defunto e nel ritoper un bambino battezzato o non ancorabattezzato. Esemplari sono da questopunto di vista, e fonte di ispirazione i ri-tuali francese e tedesco. Nel rituale ita-liano l’espressione di questa attenzioneresta affidata alla preghiera dei fedeli allasensibilità di chi presiede la celebrazionee di chi la prepara.Strettamente legato a questo tema èquello della diversità delle situazioni. Il ri-tuale delle esequie riprende dal messalele orazioni per il presbitero, il diacono, ilreligioso, la religiosa, una persona consa-crata, il padre e la madre, un giovane, peruno che ha speso la vita per il vangelo,per una persona morta dopo lunga ma-lattia, per un giovane, per una personadeceduta improvvisamente o anche tra-

18 RE/CEI 2011, Presentazione, n. 1, p. 11.19 Ivi, Precisazioni, n. 3, p. 29.

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gicamente, per i coniugi, e aggiunge perquesti casi formulari per il commiato eper la preghiera dei fedeli.

6. Le esequie in caso di cremazioneLa seconda edizione del Rito delle esequiepresenta come novità più rilevante l’ap-pendice “Esequie in caso di cremazione”.20

Nonostante la scelta della cremazione siain crescita soprattutto nei contesti urbanidelle regioni settentrionali del nostroPaese, la cremazione è tuttavia comune-mente avvertita come un’operazione checontraddice la dignità del corpo, come unmodo “inumano” di distruggere il corpoumano, di provvedere al suo “smalti-mento”. Antropologi, psicologi e teologisi interrogano circa le implicazioni etichee le sue conseguenze psicologiche chequesto volontario atto di distruzione delcorpo comporta. Lo psicologo e psicana-lista Michel Hanus si domanda:

«Perché distruggerlo? Ci è voluto tempoper costruirlo e tante cure da parte deinostri cari, ci ha accompagnato e servitolungo tutta la vita anche se ha potutofarci soffrire e, verso la fine, si è mostratodebole: perché eliminarlo? È difficile nonintravedere in questo gesto, in questapratica, il desiderio di vederlo sparire, ildesiderio di sbarazzarsene unito a un’in-

differenza nei suoi confronti, se non per-fino di una certa aggressività».21

Nella cultura occidentale la cremazionenon ha praticamente alcuna tradizione ri-tuale, e di conseguenza uno dei problemiposti da questa prassi è la mancanza diparole e gesti ritualmente istituiti da com-piersi prima dell’operazione tecnica dellacremazione. Da ciò si evince che non èumanamente sostenibile non dire unaparola e non compiere un gesto prima diun atto di tale valore antropologico e ditale impatto psicologico.22 I tre formulariproposti in appendice della nuova edi-zione del Rito delle Esequie23 mostrano in-fatti di aver compreso che l’esigenza diuna celebrazione o di brevi preghiere emonizioni che precedono la cremazionedel corpo è quella di rispondere a una ne-cessitas anzitutto umana. Nelle preghiere e monizioni in caso di cre-mazione la Chiesa italiana propone deitesti nei quali si prega per il defunto e sirivolgono parole di umano conforto ai fa-miliari presenti nel luogo della crema-zione, senza tuttavia attribuire un sensospecifico e tanto meno un contenuto difede all’atto della cremazione, perché lacremazione non ha alcun contenuto difede. L’appendice “Esequie in caso di cre-mazione” presenta monizioni e preghiere

20 RE/CEI 2011, pp. 205- 246.21 M. HANUS, Enjeux éthiques de la crémation: l’importance de bonne pratique, in Les rites autour du murir, a cura diM.-J. THIEL, Presse Universitaire de Strasbourg, Strasbourg 2008, pp. 205-216, p. 213.22 Cfr. J.D. DAVIES, Cremation Today and Tomorrow, Alcuin/GROW Liturgical Study 16, Nottingam 1990.23 “Nel luogo della cremazione” (Cap. I), pp. 209-227; “Monizioni e preghiere per la celebrazione esequiale dopola cremazione in presenza dell’urna” (Cap. II); pp. 229-236; “Preghiere per la deposizione dell’urna” (Cap. III), pp.237-246.

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per la celebrazione esequiale dopo la cre-mazione alla presenza dell’urna, da farsisolo in casi eccezionali. Questa parte è in-trodotta da una serie di “disposizioni pa-storali”24 che hanno come scopo quello dicreare un ethos celebrativo comune eadeguato alla particolarità della celebra-zione. È oltremodo significativa la dispo-sizione di omettere l’aspersione el’incensazione delle ceneri contenutenell’urna cineraria al momento dell’ultimaraccomandazione e commiato.

7. ConclusionePer essere un autentico annuncio del Van-gelo della morte e della risurrezione diCristo un funerale cristiano deve essereautenticamente umano. Deve cioè espri-mere e significare tutto lo spessoreumano della morte della persona e deldolore dei suoi cari. Lo spessore umanodella morte è, infatti, il solo luogo dove laparola della fede, quando è accolta, ri-suona e agisce efficacemente. È dunquenella sua verità umana che sta la veritàpasquale di un funerale cristiano.25 Perquesto, la liturgia cristiana dei funerali èun autentico atto di profezia compiuto, in

nome del Vangelo, dalla Chiesa nei con-fronti della società e della cultura con-temporanee.26 Il funerale cristiano èmemoria permanente che la questionedella morte e dei suoi riti sta al cuore del-l’idea stessa di umanità.Di fronte alla progressiva trasformazionedelle consuetudini secolari legate ai ritifunebri, la seconda edizione del Rito delleEsequie ha intenzionalmente confermatoe riproposto la struttura, le singole tappe,la loro successione, i tempi e i luoghi tra-dizionali della liturgia funebre. Per questaragione, i riti funebri cristiani sono un attodi diaconia nei confronti della società eun’istanza critica alla cultura, e sarannochiamati a esserlo in forma ancora più de-cisiva nei prossimi decenni. I funerali cri-stiani si rivelano così come un autenticoservizio di umanità alla comunità umanache, a volte, giunge a fare del morire edella morte qualcosa di inumano. Ciò hainteso assolvere la nuova edizione del RE,posta ora nelle nostre mani, perché siastrumento di annuncio della perenne vi-talità della Pasqua del Crocifisso-Risortoper la nostra giustificazione.

24 RE/CEI 2011, pp. 231-232.25 Cfr. G. BOSELLI, Umanità della liturgia e umanizzazione della morte, cit., p. 89.26 Cfr. Ivi, p. 91.

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I funerali ela sensibilità pastorale

della Chiesamons. Claudio Magnoli

a costituzione conciliare sullaSacra Liturgia, promulgata il 4 di-cembre 1963, ha riproposto con

forza il tema della partecipazione consa-pevole, attiva e fruttuosa dei fedeli al-l’azione liturgica1, perché per suo tramitepotessero meglio attingere alla grazia delmistero celebrato.L’azione del Padre, del Figlio e dello SpiritoSanto, che si compie in forza dei segnisensibili dei riti liturgici, realizza sempreefficacemente l’opera della nostra reden-zione, ma è solo grazie a una vera parteci-pazione, esteriore e interiore, che lasantificazione dell’uomo e la glorifica-zione di Dio, le finalità proprie di ogni li-turgia, pervadono il corpo, la mente e ilcuore dei fedeli e le celebrazioni liturgichematurano il loro frutto spirituale e pasto-rale: «il trenta, il sessanta, il cento per uno»(Mc 4, 20).Per questo ogni libro liturgico rinnovato se-condo i decreti del Concilio Vaticano II, e

ogni sua successiva revisione, non potrànon avere tra i suoi scopi primari quello difavorire e promuovere un’intensa e pro-fonda partecipazione dei fedeli al rito cele-brato. Non deroga a questo intento la secondaedizione del Rito delle Esequie in lingua ita-liana, entrata in vigore il 2 novembre 2011,trentasei anni dopo la prima, per rispon-dere «alla diffusa esigenza pastorale di an-nunciare il Vangelo della risurrezione diCristo in un contesto culturale ed ecclesialecaratterizzato da significativi mutamenti»2. Non potendo esplorare analiticamentetutte e singole le indicazioni del nuovolibro liturgico, appuntiamo la nostra atten-zione su tre significativi temi: la visita allafamiglia del defunto; la «forma tradizio-nale» delle esequie; le esequie in caso dicremazione.

1. La visita alla famiglia del defuntoIn Italia, nei primi anni settanta del sec.

L

1 Cf. Sacrosanctum Concilium, n. 11.2 Rito delle esequie = Rituale Romano riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e pro-mulgato da papa Paolo VI, a cura della CEI, Libreria Editrice Vaticana, Roma – Città del Vaticano 2011 [d’ora inpoi RE 2011], p. 12.

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XX, la pratica di chiamare il sacerdote (par-roco) al capezzale del morente per un’ul-tima preghiera di commiato o per benedirela salma subito dopo la morte risultava an-cora largamente diffusa. Anche in assenzadi una regolare partecipazione alla vitadella comunità parrocchiale, gran partedelle famiglie avevano conservato la con-suetudine di rivolgersi al sacerdote per se-gnalare la morte imminente di un propriocongiunto o il suo avvenuto decesso.In tal modo, con estrema naturalezza al mo-mento della morte si attivava un punto dicontatto tra la famiglia e il sacerdote, grazieal quale i congiunti più prossimi venivanointrodotti alla celebrazione cristiana delleesequie e il sacerdote attingeva dalla fami-glia alcune fondamentali notizie sulla per-sonalità umana e cristiana del defuntostesso. In poco meno di quarant’anni il costumeantropologico, culturale e socio-religiosodel nostro popolo ha subito profondi mu-tamenti. La presa di contatto con il sacer-dote è sempre più spesso demandata aglioperatori del settore (pompe funebri), che,tra le mansioni da sbrigare, in molti casiespletano anche quella di avvertire il «fun-zionario del culto» che la tal famiglia gradi-sce le esequie religiose. Di conseguenza, ilsacerdote rischia di non avere più un con-tatto diretto con i familiari, perdendo anchela possibilità di conoscere, almeno persommi capi, i tratti che hanno caratterizzatola vita e le opere della persona defunta.

È dunque da salutare con favore la sceltadi aprire il rinnovato Rito romano delleEsequie per le comunità italiane con unprimo capitoletto, del tutto nuovo, dedi-cato alla visita del parroco o di un altro sa-cerdote, di un diacono o di un laico benpreparato alla famiglia del defunto3.In questa scelta si scorge una precisa in-dicazione pastorale in ordine al coinvol-gimento dei familiari nella celebrazionecristiana delle esequie, che rimotiva a suavolta la comunità cristiana a prendersicura delle famiglie colpite da un lutto:«Prima di dedicare un congruo spazio allapreghiera, il sacerdote, il diacono, o il mi-nistro laico condividano il dolore attra-verso un cordiale colloquio e un sincero eaffettuoso ascolto dei familiari colpiti dallutto. È anche un’occasione per conoscerele gioie, le sofferenze e le speranze dellapersona defunta, in vista di un corretto epersonalizzato ricordo durante la celebra-zione della veglia e delle esequie. In que-sto contesto di fraterno colloquio èpossibile e opportuno preparare con i fa-miliari la celebrazione dei vari riti ese-quiali»4.Detto in altro modo, il rituale sembra ur-gere una rilettura della pastorale che ac-compagna il morire come vero e propriomomento di nuova evangelizzazione. An-dare a far visita alla famiglia che piange lascomparsa di una persona cara, anchequando non si è esplicitamente invitati esi può quindi rischiare un rifiuto, rientra

3 RE 2011, nn. 26-29.4 RE 2011, n. 26.

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nell’obbedienza al mandato di Gesù fare«discepoli tutti i popoli» (Cf. Mt 28, 19). Intal modo, l’umana vicinanza al dolore deifamiliari, l’affidamento del defunto al Si-gnore della vita mediante l’annunciodella parola e la preghiera comune e labreve catechesi che introduce alla parte-cipazione della liturgia esequiale diven-tano dimensioni di un ministero dellaconsolazione che dischiude le porte a unrinnovato annuncio di Cristo e della spe-ranza cristiana da lui portata.

2. La forma tradizionale delle esequieNelle grandi città, come nei paesi, laforma tradizionale delle esequie, che pre-vede le tre soste in casa del defunto, inchiesa e al cimitero e le due processionidi collegamento dalla casa alla chiesa edalla chiesa al cimitero, sta scomparendo.Le difficoltà pratiche alla sua sopravvi-venza sono sotto gli occhi di tutti: semprepiù spesso la salma non rimane in casa,ma viene deposta in luoghi appositi, alle-stiti o presso il cimitero o in ambienti co-struiti ad hoc; i comuni non concedonopiù il permesso ai cortei funebri per i pro-blemi che questi pongono alla viabilità; iltempo richiesto ai sacerdoti, sempremeno e sempre più anziani, sembra risul-tare eccessivo, perché sottratto ad altreattività pastorali ritenute, a torto o a ra-gione, più urgenti e importanti.Cosciente di queste difficoltà e di altre an-cora, il rinnovato Rito delle Esequie nonobbliga a questa forma celebrativa e pre-vede le varie forme alternative, ma ne ri-badisce comunque l’esemplarità e la

massima espressività, al contempo reli-giosa e civile. La casa, lo spazio dei legamie degli affetti primari, la chiesa, il luogodei nuovi legami e affetti scaturiti dallafede, e il cimitero, la dimora provvisoria inattesa della risurrezione della carne, men-tre ricompongono la storia umana del de-funto e l’affidano all’opera di salvezzacompiuta da Cristo, offrono ai parteci-panti al rito funebre l’opportunità di unameditazione sulle tappe del loro perso-nale cammino di vita. Il duplice percorsoprocessionale poi, nel creare raccordi trai diversi luoghi, ritualizza il congedo deldefunto dallo spazio sociale della città odel paese in cui ha vissuto e dà alla cittào al paese l’opportunità di rendergli l’ul-timo saluto. È bene riflettere sull’anima-zione pastorale delle liturgie esequiali apartire da questa forma tipo, pur nellaconsapevolezza di un suo uso sempre piùlimitato. La sua esemplarità è generatricedi un pensiero pastorale a tutto campo eapportatore di nuova linfa creativa.La sapienza secolare della Chiesa ha tes-suto di parole e gesti rituali le tre «sta-zioni» e le due processioni, inscrivendolein una celebrazione continuata ampia esolenne, che invoca una presenza ricono-scibile della comunità cristiana e una curaassidua dell’animazione, sia per ciò checoncerne le diverse ministerialità, sia perciò che riguarda i compiti base dell’interaassemblea. Focalizzando l’attenzionesulla stazione principale da tenersi nellaChiesa parrocchiale o, in alternativa, nellachiesa cimiteriale, ma tenendo lo sguardosu tutto il complesso celebrativo, ven-

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gono spontanee le seguenti osservazioni.Soprattutto nelle parrocchie cittadine, lapresenza della comunità cristiana apparein forte e costante regresso. Le celebra-zioni esequiali si vanno sempre più confi-gurando, salvo casi particolari, comecelebrazioni di una stretta cerchia paren-tale e amicale, nelle quali sono a rischio ledimensioni più elementari di una buonapartecipazione attiva alla liturgia: lamessa in atto dei gesti rituali appropriati;la formulazione delle parole rituali perti-nenti, il rispetto dei tempi del silenzio li-turgico; l’esecuzione dei canti adatti e, piùimportante di tutto, l’accostamento allacomunione sacramentale, culmine efonte di ogni autentica partecipazione. Diquesto stato di cose si deve prendere attocon realismo, ma non ci si deve rasse-gnare, perché molto può essere rivisitatoe rinnovato.Il primo atto pastorale da compiere po-trebbe essere di tipo comunicativo: fargiungere a tutti i parrocchiani, con stru-menti vecchi (il suono delle campane) enuovi (le moderne tecnologie), la notiziadella morte di un fratello nella fede, conl’invito alla preghiera di suffragio e, sepossibile, alla partecipazione al rito fune-bre. Si deve riattivare in qualche modol’esperienza di una grande famiglia reli-giosa e civile, che piange, insieme ai suoiparenti ed amici, uno dei suoi figli. La cosaavrebbe un suo valore anche nel caso incui il defunto non appartenesse allaChiesa cattolica e neppure alla religione

cristiana. In questi casi, la preghiera di suf-fragio si configurerebbe in senso ecume-nico o interreligioso.La comunità cristiana si fa presente, ed èun secondo orientamento pastorale, so-prattutto attivando in ogni celebrazionefunebre un servizio ministeriale vario eben curato. La presenza, accanto al sacer-dote celebrante, di un gruppo di laici cheaiutino il formarsi dell’assemblea (indica-zione dei posti, distribuzione dei sussidi,ecc...), che animino la proclamano dellaparola di Dio, che sostengano le rispostee le preghiere di tutta l’assemblea, che cu-rino la buona esecuzione di canti adatti,è una grande risorsa per promuovere lapartecipazione attiva, consapevole e frut-tuosa dei fedeli e dare l’immagine di unacomunità cristiana che ha a cuore la con-solazione di chi ha perso un familiare o unamico e l’annuncio della speranza cri-stiana di fronte al mistero della morte.Da questo stesso gruppo di laici potrebbevenire qualcuno che, in casi straordinari,supplisca all’assenza del sacerdote o deldiacono in alcuni momenti della liturgiaesequiale quali le stazioni nella casa deldefunto e al cimitero e le due processioni:«In mancanza del sacerdote o del dia-cono, è bene che... le stazioni nella casadel defunto e al cimitero siano guidate dalaici; la stessa cosa, in genere, è bene fareper la veglia nella casa del defunto»5. Si potrebbe infine aggiungere, a mo’ di sa-lutare provocazione, l’invito a prendere inconsiderazione l’ipotesi di aprire le chiese

5 RE 2011, n. 19.

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succursali non parrocchiali alle famiglieche non hanno la possibilità di tenere incasa la salma dei loro congiunti, offrendocosì un luogo appropriato per vegliare ildefunto fino alla chiusura della bara e allacelebrazione delle esequie. Al sicuro ri-sparmio economico si accompagnerebbel’offerta di uno spazio più facilmente ac-cessibile a tutta la comunità cristiana pervegliare il defunto in un clima di raccogli-mento e di preghiera. La celebrazioneesequiale potrebbe muovere dalla chiesasuccursale alla chiesa parrocchiale o at-tuarsi nella stessa chiesa succursale.

3. Esequie in caso di cremazioneTotalmente estranea alla cultura e alla

prassi cattolica fino agli anni ottanta delsecolo scorso, la cremazione irrompe oggisulla scena civile e religiosa italiana conuna forza d’urto che sembra inarrestabile,prima introducendo nella sequenza tradi-zionale di morte – esequie – sepoltura lanovità, radicale e violenta, della combu-stione / distruzione della salma e poi de-strutturando il concetto stesso disepoltura con un ventaglio inedito dinuove possibilità: dalla deposizione del-l’urna cineraria al cimitero o in casa alladispersione delle ceneri in spazi naturali-stici (mari, laghi, fiumi, boschi, giardini,ecc...).

Tutto questo, che rappresenta un im-mane sconvolgimento del sistema simbo-lico su cui era costruito da due millenni il

modello cattolico di accompagnamentonella morte e di elaborazione del lutto, in-terpella la prassi e la disciplina ecclesia-stica alla ricerca, se possibile, di un nuovopunto di equilibrio.

Il RE 2011 accoglie la sfida pastorale diquesta nuova svolta epocale e, pur la-sciando l’impressione di non dominareancora del tutto la questione, determinauna serie di orientamenti operativi, chequi riprendiamo con una specifica atten-zione al tema della partecipazione litur-gica.

- Ribadita la preferenza della Chiesa perla sepoltura della salma al termine delleesequie, il primo grado di compromessocon la nuova prassi della cremazione èformulato nel modo seguente: «La cele-brazione liturgica delle esequie precedala cremazione»6, ma «la cremazione si ri-tiene conclusa solo al momento della de-posizione dell’urna al cimitero»7.La composizione unitaria di questi dueorientamenti è d’obbligo, perché sancisceuna sorta di parallelo celebrativo con laforma consueta, sostituendo alla sepol-tura cimiteriale della salma la deposizioneal cimitero dell’urna cineraria. Viene cosìsalvaguardata la partecipazione dei fedeliai riti esequiali nella casa del defunto e inchiesa con la presenza della salma («I riti,nella Messa o nella Liturgia della Parola,sono i medesimi previsti per il caso dellasepoltura. Si ponga però attenzione a sce-

6 RE 2011, n. 167,3.7 RE 2011, n. 167,6.

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gliere i testi liturgici più adatti a questa par-ticolare situazione»8) ed è prevista comepossibile la preghiera di benedizione delsepolcro al momento della deposizionedell’urna con le ceneri («Se i familiari lo de-siderano e ciò è possibile»9).Resta però da gestire pastoralmente, ed ècosa della massima delicatezza, il tempoche intercorre tra la celebrazione delle ese-quie e la cremazione, quando la salma èdepositata, magari per più giorni, in pros-simità del forno crematorio. Il sorgere deicosiddetti «templi crematori», dove lasalma è custodita in attesa della crema-zione, è allo stesso tempo un rischio, per illoro orientamento fortemente aconfessio-nale e areligioso, e una risorsa da valoriz-zare, se assunto in modo responsabile dallacomunità cristiana con la messa in campodi operatori pastorali qualificati nell’anima-zione di specifici momenti di preghiera. IlRE 2011 apre in questo senso con un capi-toletto dedicato alla preghiera nel luogodella cremazione (nn. 178-179) e conside-rando anche il caso eccezionale del feretro«portato direttamente nel luogo della cre-mazione senza una celebrazione in chiesa»(nn. 168-177). A partire da uno studio at-tento di queste pagine è urgente che nelleDiocesi italiane si promuova la formazionedi uomini e donne che coadiuvino i sacer-doti e i diaconi in questi nuovi compiti li-turgici e si preparino sussidi appositi perquesto tipo di assemblee.

- Eccezionalmente, i riti esequiali, in-clusa la celebrazione dell’Eucaristia, pos-sono essere celebrati dopo la cremazione,alla presenza delle ceneri di una personadefunta, se la cremazione non è statamotivata «da intenzioni contrarie all’inse-gnamento cristiano» e se il Vescovo dio-cesano ha dato il suo parere favorevole,«tenendo conto delle circostanze con-crete di ciascun caso, nel rispetto dellospirito e del contenuto delle norme cano-niche e liturgiche»10.

Con queste disposizioni, date con lamassima prudenza e in forma eccezio-nale, si introduce nel rito liturgico una si-gnificativa variante semantica: il rinvioalla persona defunta non è più dato dalferetro contenente la salma, ma dall’urnacontenente le ceneri. Questo cambia lapercezione psicologica e spirituale delrapporto tra vivi e defunti, accentuandol’idea di una drastica separazione tra ilmondo dei vivi e il mondo dei morti e in-sinuando più facilmente il pensiero pan-teistico di un ritorno indistinto alla madreterra. Di questo dovrà farsi carico l’anima-zione liturgica, mettendo in maggioreevidenza le dimensioni del rito cristianoche raccordano la terra e al cielo e annun-ciano non una generica vita dopo lamorte, ma una ben più specifica risurre-zione della carne, nella partecipazionealla sorte di Cristo e di tutti i santi con lui.Per questo, mentre sono da apprezzare le

8 RE 2011, n. 167,3.9 RE 2011, n. 167,6.10 RE 2011, n. 180.

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prime specifiche indicazioni liturgiche of-ferte ai nn. 181-185, non è difficile preve-dere un loro ulteriore potenziamento,nella logica di un linguaggio che dovràrecuperare nel segno della celebrazioneun punto di partenza obiettivamente piùdistante dalla logica evangelica e dallatradizione della fede della Chiesa. In que-st’ottica nasce spontaneo domandarsi ilperché di un’indicazione come quella deln. 184. L’omissione dell’aspersione e del-l’incensazione dell’urna cineraria almomento dell’ultima raccomandazionerischia infatti di aggravare quella perce-zione psicologica di cui abbiamo parlatosopra.

- Nella volontà di recuperare unosguardo pienamente cristiano sullamorte, a fronte dei possibili fraintendi-menti indotti dalla pratica della cre-mazione, si comprende l’insistenzadisciplinare sulla deposizione dell’urna ci-neraria in un loculo cimiteriale (e il conse-guente non licet alla deposizionedell’urna in casa e alla dispersione delle

ceneri) e la presenza di un capitolo rela-tivo alle «preghiere per la deposizionedell’urna»11. Perché non sia vanificata laforza pastorale di questo momento è ne-cessario che la famiglia e la comunità cri-stiana invitino i parenti, gli amici e imembri della parrocchia a parteciparvi edè indispensabile che venga sempre ga-rantita la presenza di un ministro, sacer-dote, diacono o laico che guidi lacelebrazione, dandogli la massima impor-tanza. Sarebbe infine auspicabile che,dando sviluppo più organico e diffuso aprogetti già in essere, alla deposizionedelle urne cinerarie venissero deputatealcune chiese non parrocchiali e alcunecripte di chiese parrocchiali. Questo per-metterebbe la riqualificazione di alcuniluoghi sacri, destinandoli alla custodiadella memoria dei nostri cari trapassati,offrendo così un’alternativa ecclesiale aun’edilizia funeraria di dubbia sensibilitàreligiosa, che si sta diffondendo su tuttoil territorio italiano e specialmente neigrandi centri.

11 RE 2011, nn. 189-191.

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e la morte spezza i legami visibili,la comunione con i nostri mortinon si interrompe. E ciò grazie al-

l’appartenenza al medesimo corpo di Cri-sto, ravvivata in primo luogo nellacelebrazione dell’Eucaristia: «la Chiesaoffre il sacrificio eucaristico della Pasqua diCristo per i defunti, in modo che, per la co-munione esistente fra tutte le membra diCristo, gli uni ricevano un aiuto spirituale egli altri il conforto della speranza»1. In questa fede – racconta sant’Agostino –la madre Monica, ormai prossima allamorte, si rivolgeva così ai figli: «Seppelli-rete questo corpo dove meglio vi piacerà;non voglio che ve ne diate pena. Soltantodi questo vi prego, che dovunque vi tro-verete, vi ricordiate di me all’altare del Si-gnore»2.

Vincoli familiari e fraterniIl legame con i defunti è particolarmentevivo nell’ambito familiare. Ricordarli vuoldire sentire il dolore del distacco, ma in-sieme il conforto per le cose belle condi-

vise; talvolta affiorano rincrescimenti perle incomprensioni. La comunione con inostri defunti è fatta anche di attualità:qualcosa di loro vive in noi, adesso; nonsaremmo quello che siamo senza di loro. C’è chi vive un legame rasserenante con ifamiliari defunti. Chi invece è inquietatoe impedito di vivere, come le madri chedicono di essere morte con i loro figli. C’èpoi, oggi come ieri, chi pretende di pro-lungare l’improlungabile: non mancanodiscutibili tentativi di mettersi in contattocon gli spiriti dei morti, come sedute spi-ritiche, evocazioni, voci registrate.La fede ci insegna a vivere da cristianiogni evento della vita, compresa laseparazione per la morte dei nostri cari ela comunione con loro. Ricordarli cristia-namente vuol dire ringraziare il Signoreper averceli donati, trovare la forza di an-dare avanti, alimentare la virtù dellasperanza. Vuol dire affidarli alle manidell’Eterno e affidarci al loro aiuto: «la no-stra preghiera per loro può non solo aiu-tarli, ma anche rendere efficace la loro

La messain suffragio dei defunti

p. Corrado Maggioni

S

1 Ordinamento generale del Messale Romano, n. 379.2 S. Agostino, Confessioni IX,11 (ufficio letture del 27 agosto); sul ricordo della madre e del padre nel sacrificioeucaristico ritorna poi ai nn.12 e 13; cf. anche S. Cipriano, Epistula I, 2: CSEL 3/2, 466-467; Concilio di Lione II, Pro-fessio fidei Michaelis Paleologi (6 luglio 1274), in DS 856; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1689.

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intercessione in nostro favore»3. C’è dacredere che la vocazione alla maternità ealla paternità non cessi con la morte: mipiace pensare che i genitori defunti pro-lunghino, in altro modo, verso i figli, la vo-cazione ricevuta da Dio.L’aiuto che i defunti ci danno è “filtrato”dal volere divino: non possiamo aspet-tarci che ci soccorrano in richieste che ciallontanano da Dio anziché avvicinarci alui. Contemplando i beni eterni, i nostrimorti ci aiutano a ottenere da Dio ciò chegiova al nostro vero bene, non semprevisto e compreso da noi come tale.

I suffragiCome i nostri defunti ci guardano e se-

guono, così noi guardiamo e pensiamo aloro. Hanno bisogno di noi i nostri morti?Sì. Perciò la Chiesa ci esorta a elevare «unapressante supplica a Dio perché abbia mi-sericordia dei fedeli defunti, li purifichicon il fuoco della sua carità e li introducanel suo Regno di luce e di vita. I suffragisono una espressione cultuale della fedenella comunione dei Santi. Infatti «la Chiesadi quelli che sono in cammino, ricono-scendo la comunione di tutto il corpo mi-stico di Gesù Cristo, fino dai primi tempidella religione cristiana ha coltivato congrande pietà la memoria dei defunti e poi-ché “santo e salutare è il pensiero di pre-gare per i defunti perché siano assolti dai

peccati” (2 Mac 12,46), ha offerto per loro isuoi suffragi» (Lumen gentium50). Essi sonoin primo luogo la celebrazione del sacrificioeucaristico, poi altre espressioni di pietàcome preghiere, elemosine, opere di mise-ricordia, acquisto di indulgenze in favoredelle anime dei defunti»4.

Tra le conseguenze del peccato visono infatti le cosiddette “pene tempo-rali”, da scontare da parte del peccatoreormai riconciliato con Dio e con la Chiesa.Non si deve pensare che sia malevola vo-lontà di Dio il non ammetterci pronta-mente alla sua gioia; la causa di ciò èl’incapacità di noi terreni ad aprire gliocchi alla sua Luce senza prima l’espurga-zione completa delle scorie impietosa-mente lasciate in noi dal male.Secondo i disegni di Dio, le pene tempo-rali possono essere espiate in questa vitaoppure nell’altra. Quaggiù, attraverso l’ac-cettazione dei mali fisici e morali, le operedi penitenza e di carità; ad esempio, diuna persona che ha sopportato con fedee pazienza una lunga e sofferta malattiaè sentire comune riconoscerle di aver giàscontato la sua pena quaggiù e di essereormai pronta a presentarsi al cospettodell’Eterno. Nell’altra vita, le pene tempo-rali sono espiate nello stato chiamato Pur-gatorio5. A differenza della “pena eterna”che è incondonabile, la “pena temporale”– lo dice il nome stesso – avrà certo ter-

3 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 958.4 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia, Libreria EditriceVaticana 2002, n. 251.5 «La Chiesa chiama Purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è tutt’altra cosa dal castigo dei dan-nati»: Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1031.

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mine, essendo ordinata a rendere prontialla visione beatifica del tre volte Santo.Ora, i suffragi sono dei mezzi di condonoo riduzione della pena temporale.

In ragione del medesimo circolo san-guigno che, dal cuore santo e santificantedi Cristo, irrora tutte le membra del suoCorpo mistico, i beni spirituali della comu-nione dei Santi sono condivisi e condivi-sibili. Attingendo a questo infinito tesorodi pura grazia6, la Chiesa concede l’appli-cazione di indulgenze ai fedeli defunti7.

La Messa nel giorno terzo, settimo, tri-gesimo e anniversario«La Chiesa offre il sacrificio eucaristico peri defunti in occasione non solo della cele-brazione dei funerali, ma anche nei giorniterzo, settimo e trigesimo, nonché nell’an-niversario della morte; la celebrazione dellaMessa in suffragio delle anime dei propridefunti è il modo cristiano di ricordare eprolungare, nel Signore, la comunione conquanti hanno varcato la soglia dellamorte»8.La consuetudine di questi giorni partico-lari per ricordare i defunti è attestata dallamillenaria tradizione liturgica latina9,dall’antico Sacramentario Gelasiano, alSupplemento del Gregoriano, al MissaleRomanum del 1570. Nel Rituale Romanum

postridentino, in tali giorni era previstoanche l’Ufficio dei defunti (Mattutino eLodi), seguito dalla Messa e dal “rito del-l’assoluzione al tumulo” (absente defuncticorpore), riprodotto in edizioni del MissaleRomanum fino al 1962.Nell’odierno Messale Romano vi sono for-mulari solo per l’anniversario, specie ilprimo10, anche se l’assenza di indicazionirubricali per ricordare un defunto in datigiorni non la impedisce dove vi è la con-suetudine, nel rispetto della normativa vi-gente.Perché questi giorni? Già sant’Ambrogio,nell’elogio funebre pronunciato a Milanoil 40° giorno dalla morte di Teodosio, in-forma di varie usanze intorno ai giorniterzo, trentesimo, settimo e quarante-simo11.Sappiamo dalle Costituzioni Apostolicheche in Oriente vi era l’uso di ricordare undefunto il terzo, il nono e il quarantesimogiorno dalla morte. Derivate da conce-zioni astrali babilonesi legate alla luna, talideterminazioni temporali erano motivatedall’idea che l’anima vagasse attorno alcorpo del defunto per tre o nove giorni,fino ad approdare nel quarantesimo alsuo traguardo ultimo. Entrate nella reli-gione di greci e romani, influirono nellascelta di offrire sacrifici funerari special-

6 Circa il tesoro della Chiesa, cf. PAOLO VI, Cost. ap. Indulgentiarum doctrina, n. 5.7 Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1478; cfr. Indulgentiarum doctrina, n. 8.8 Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, n. 255.9 Sul tema vedi anche i miei contributi: I tempi del ricordo orante, in Rivista Liturgica 93 (2006) 912-918; Defunti epietà popolare, in Rivista Liturgica 99 (2012) 154-163.10 Cf. Ordinamento generale del Messale Romano, n. 381.11 «Alii tertium diem et tricesimum, alii septimum et quadragesimum observare consuerunt»: De obitu Theodosii,3: Sancti Ambrosii Episcopi Mediolanensis Opera 18, 212 (la traduzione italiana traduce male trentatreesimo equarantasettesimo giorno).

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mente il nono giorno (novendiale). A Roma e in Africa, oltre al terzo giorno,erano invece il settimo e il trentesimo adessere votati al ricordo dei morti. I riferi-menti sono ispirati a fatti biblici: Gesù è ri-sorto dal sepolcro il terzo giorno;Giuseppe, per le onoranze funebri delpadre Giacobbe, indice un lutto di settegiorni (cf. Gen 50,10; Sir 22,13: «il lutto perun morto, sette giorni»); al numero settenon è estraneo il richiamo al riposo sab-batico, adombrazione anche del riposodei defunti12; la morte di Aronne e diMosè fu pianta dal popolo per trentagiorni (cf. Nm 20,30; Dt 34,8). Attorno aquesti dati biblici, dunque, la tradizioneha organizzato la celebrazione eucaristicaper i defunti.Speciale rilievo commemorativo me-diante l’Eucaristia è costantemente riser-vato all’annuale anniversario della morteo sepoltura. Mentre la consuetudine pa-gana era di ricordare il compleanno deldefunto (dies natalis), per i cristiani fu con-siderato natalizio il giorno della morte inCristo, ossia della nascita al cielo, comme-morato perciò liturgicamente13.

Le Messe “gregoriane”Con questa denominazione, fatta risa-

lire a san Gregorio Magno, è conosciuta laserie di trenta Messe celebrate per trentagiorni consecutivi, in suffragio dell’animadi un defunto. Nei suoi Dialoghi, san Gre-gorio aveva dimostrato l’efficacia dell’of-ferta del sacrificio eucaristico per i vivi e idefunti, narrando a conferma episodi digrande impatto sui fedeli, gravati dal pen-siero della dannazione eterna: celebra-zioni di Messe avevano allentato le catenedi prigionieri, salvato da naufragi, liberatoi morti dalle pene dovute ai loro peccati14.

Per la serie del tricenarius il riferimentova al racconto dell’iniziativa presa da sanGregorio di fare celebrare trenta Messe insuffragio del monaco Giusto. Questo ilfatto15: morto in stato di colpevolezza peraver tenute nascoste tre monete d’oro,contravvenendo alla povertà, Giusto fuprivato di sepoltura in luogo sacro; tutta-via, dopo trenta giorni, Gregorio ordinò alpriore la celebrazione della Messa a suf-fragio della sua anima «per trenta giorniconsecutivi, senza omettere un sologiorno». Il trentesimo giorno, Giusto ap-parve al fratello Copioso, anch’egli mo-naco, annunziandogli: «finora ho sofferto,ora sto bene, perché oggi ho ricevuto lacomunione».

La pratica delle trenta Messe applicate

12 Cf. Commentando Gn 50,3, sant’Agostino rigetta la consuetudine del novendiale pagano per insistere, conl’autorità della Scrittura, sul settimo giorno: «Septenarius numerus, propter sabbati sacramentum praecipuequietis indicium est; unde merito mortuis tamquam requiescentibus exhibetur»: Quaestiones in Genesim, 172:NBA XI/1, 548; PL 34, 596.13 Ne parla già Tertulliano: «Oblationes pro defunctis, pro nataliciis, annua die facimus» (De corona, III, 3: CCL 2,1043) ed anche sant’Ambrogio: «Nos quoque ipsi natales dies defunctorum obliviscimur et eum, quo obierunt,diem celebri sollemnitate renovamus» (De excessu fratris, 2,5: Sancti Ambrosii Episcopi Mediolanensis Opera 18,78).14 Cf. Dialoghi, IV, LVII-LVIII: SCh 265.15 Cf. Dialoghi, IV, LVII, 8-16: SCh 265, 189-195 ( = IV, LV in PL 77, 420-421).

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per un defunto si diffuse dai monasterialle altre chiese, incontrando il desideriodei fedeli di implorare dal Signore la libe-razione dal Purgatorio dell’anima dei lorocari16. La pia consuetudine fu approvatadalla Chiesa, che non ha mancato di con-dannare deviazioni e false interpretazionied ha precisato le condizioni da rispettareda parte del sacerdote/sacerdoti, al finedi assolvere l’impegno assunto17. L’ultimopronunciamento al riguardo è la Declara-tio “de continuitate celebrationis Missa-rum Tricenarii Gregoriani” della SacraCongregatio Concilii, in data 24 febbraio196718.

Alcune attenzioniL’indiscussa bontà di ricordare i propri

defunti nel sacrificio eucaristico, neigiorni e nelle forme sopra citate, come inaltre ricorrenze affettivamente care qualiil loro compleanno e l’onomastico - senzatuttavia cadere in visioni di “questomondo” - non deve lasciarsi inquinare daconcezioni privatistiche e commerciali. La Chiesa, infatti, insegna che «tutte leMesse sono offerte per i vivi e per i de-funti, e dei defunti si fa memoria in ogniPreghiera eucaristica»19. Pertanto «è im-portante educare il sentire dei fedeli allaluce della celebrazione eucaristica, in cui

la Chiesa prega affinché siano associatialla gloria del Signore risorto tutti i fedelidefunti, di qualunque tempo e spazio,evitando il pericolo di una visione posses-siva o particolaristica della Messa per il“proprio” defunto»20. Dio, infatti, si com-porta da Dio e non secondo angusti pen-sieri e calcoli umani del tipo: più Messeofferte per un defunto e più gli è assicu-rato un posto in cielo; i defunti che hannoparenti che fanno celebrare Messe per leloro anime vanno presto in Paradiso, a dif-ferenza di chi non ha nessuno che preghiper lui. Come insegna la parabola evan-gelica del povero Lazzaro (cf. Lc 16,19-31),per godere eternamente dell’abbraccio diDio è decisiva, per ciascuno, la capacità diriconoscerlo e servirlo quaggiù. Ma ciònon toglie nulla alla preghiera per i de-funti.

È facile distinguere tra un ricordo for-male oppure sentito, tra una Messa di suf-fragio fatta solo segnare oppurepartecipata di persona. L’offerta in de-naro, stabilita in ogni diocesi, data al preteper l’applicazione della Messa è un segnodi coinvolgimento diretto (cf. CIC can.946). Il coinvolgimento sarà tuttavia piùsentito se si prenderà parte di personaalla celebrazione, e ancor più se sarà ac-colto l’invito «a partecipare anche con la

16 Nel Medievo si conoscono altre serie di tre, cinque, sei, sette, nove, trenta, quaranta e più messe per un de-funto: cf. J.A. JUNGMANN, Missarum sollemnia, I, Marietti, Casale 1953, 111; M. RIGHETTI, Manuale di storia liturgica,II, L’anno liturgico, Ancora, Milano 31969, 500-501.17 Cf. G. SIRNIA, M. Gregoriane, in Enciclopedia Cattolica, VIII, 790.18 Cf. AAS 59 (1967) 229-230: i frutti permangono se la serie viene interrotta per malattia o ragionevole causa(funerale o matrimonio), fermo restando l’obbligo del sacerdote di completare al più presto le trenta Messe.19 Ordinamento generale del Messale Romano, n. 355.20 Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, n. 255.

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santa Comunione al sacrificio eucaristicoofferto per il defunto stesso»21.

La menzione del nome del defuntonelle preghiere è certamente significa-tiva, anche se talvolta vi si attribuisceun’enfasi che è causa di malintesi e di-scussioni. Per sé, nella Preghiera eucari-stica è prevista la possibilità di unaformula propria nelle “Messe per i de-funti”, regolate conformemente alla disci-plina vigente22. Le prassi invalse, secondoi luoghi, circa come e dove dire il nome deldefunto sono differenti e discutibili; è im-

proprio ad es. far menzione del nome didefunti nella Preghiera eucaristica dellaMessa domenicale o del giorno di Nataleo di Pasqua, dando così involontaria-mente l’idea che quella Messa sia “per undefunto”. Molto conveniente – ed è sem-pre possibile – è ricordare il nome dei de-funti, per cui viene applicata la Messa, inuna specifica intenzione della preghierauniversale o dei fedeli, associandovi ma-gari anche il ricordo di tutti i fedeli de-funti.

21 Ordinamento generale del Messale Romano, n. 383.22 Cf. Ordinamento generale del Messale Romano, nn. 380-381.

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a celebrazione del rito delle ese-quie rappresenta oggi una pre-ziosa opportunità pastorale,

non solo per offrire alle famiglie, agliamici e ai conoscenti del defunto unaappropriata catechesi sulla Resurrezionedi Gesù, sul senso cristiano del vivere edel morire, ma anche per dimostrare aidiretti interessati la vicinanza e l’affettodella Comunità parrocchiale, per rinsal-dare quei vincoli di appartenenza eccle-siale che la vita di tutti i giorni porta adaffievolire. In fondo il funerale religiosoè ancora molto richiesto, anche da per-sone che in vita con la Chiesa hannoavuto poco a che fare.Davanti al mistero della morte, soprat-tutto quando questa ci tocca da vicino,ci poniamo tutti alcuni interrogativi checi rendono più sensibili all’incontro colSignore per trovare quella speranza equella fiducia che solo da Dio possiamoattingere. Anche quando il cuore del-l’uomo sembra indurirsi, e forse anchechiudersi a causa del dolore, anche inquesta circostanza, la vicinanza dellaChiesa e la sua partecipazione alla soffe-renza per la perdita di una persona carapossono aprire spiragli di luce e di fede.

Negli anni di ministero pastorale, hoavuto modo di vivere molte esperienzein tal senso, e ho potuto verificare comel’attenzione alla famiglia in lutto, la con-divisione del dolore e, soprattutto, lacura della celebrazione esequiale sianostate un buon veicolo per far riprenderequota a una vita cristiana spesso smortae occasionale.Questa attenzione parte però da unapremessa: la Comunità deve prendersicura delle famiglie in lutto al pari dicome si prende cura dei ragazzi, dei gio-vani, dei poveri… ciò può risultare im-pegnativo, soprattutto per quelleparrocchie dove i funerali si susseguonoquasi ai ritmi di una “catena di montag-gio” - uno, due, anche tre al giorno in al-cuni periodi dell’anno - ma in terminipastorali questo lavoro reca indubbia-mente i suoi benefici. È necessario tro-vare quindi all’interno della comunitàparrocchiale persone sensibili, attente eanche capaci, che sappiano interloquirecon chi vive il lutto dimostrando sensi-bilità e autentico spirito di carità. Con lastessa cura con cui scegliamo e for-miamo i nostri catechisti e operatori, sa-rebbe conveniente scegliere e formare

Celebrazione esequiale,annuncio di risurrezione

don Paolo Pizzuti

L

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chi si possa prendere cura di accompa-gnare e sostenere le famiglie nel mo-mento della morte di un congiunto. Con sensibilità pastorale poi, sarebbe al-trettanto opportuno individuare e con-testualizzare quelle soluzioni da metterein atto per realizzare la proposta.Propongo alcuni esempi, per essere piùconcreto. In una delle comunità dovesono stato parroco, la maggior partedelle persone, soprattutto gli anziani,veniva curata e moriva in casa. La pre-senza del sacerdote era richiesta perl’amministrazione dei sacramenti primadel decesso, ma altrettanto significativae ricercata era la presenza di alcuni ope-ratori pastorali, inviati dalla parrocchia,per la recita comunitaria del rosario coni familiari o per un momento di pre-ghiera in casa, ancora presente il de-funto. Autentici momenti di preghiera edi catechesi, con la partecipazione dipersone di ogni età, ordinariamente lon-tane dalla Chiesa, ma comunque parte-cipi e presenti in tale circostanza.Altrettanto preziosa, come già accen-nato, la cura della celebrazione ese-quiale. La scelta dei testi biblici tra i variproposti dal Lezionario, intonati alla vitadel defunto o alla sua situazione, la se-lezione dei canti, legata sempre alla cir-costanza, all’età, allo stato di vita o allatipologia di decesso. Il commento di-screto, puntale e non invasivo del rito daparte degli animatori, che ricorda gli at-teggiamenti, i canti e anche un minimodi comportamento da seguire durantela celebrazione a un’assemblea che in al-

cuni suoi membri non ha più una fami-liarità con lo “stare” in chiesa o il pregareinsieme a una comunità, fornisce un ul-teriore stimolo alla partecipazione. Nella parrocchia dove mi trovo oggi, lamaggior parte dei decessi avviene in-vece in ospedale, in un clima piuttostoanonimo e abituato a trattare frettolosa-mente con la morte. L’attenzione e l’in-teresse della Comunità cristiana e lacura della celebrazione esequiale contri-buiscono allora a ridare “dignità” al de-funto e ai suoi familiari e allo stessomistero della morte, facendo compren-dere che se in alcune situazioni, pur-troppo, diventiamo semplici “numeri”,nella Comunità Cristiana siamo invecesempre persone, meglio, fratelli.A queste semplici considerazioni di or-dine pastorale, aggiungerei poi una do-manda di fondo: “Come è possibileparlare di Resurrezione e di vita eterna,attraverso una celebrazione esequialefrettolosa, lugubre, triste e sciatta ?” Gliinsegnamenti passano spesso più con ifatti che con le parole, per questo unacelebrazione dignitosa e ben articolatadelle esequie, reca forse più frutto diuna serie di conferenze e di interventisul tema della morte e della vita eternache ci attende.

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XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO -B7 ottobre 2012

Gen 2,18-24dal Sal 127R./ Ci benedica il Signore tutti i giornidella nostra vita.Eb 2,9-11Mc 10,2-16

1. La tematica liturgica che emerge dal testodi Mc 10,2-16, riletto alla luce di Gen 2,18-24 (prima lettura) tocca il tema della coppiacon le sue caratteristiche fondamentali: la ric-chezza di reciprocità tra uomo e donna, la so-lidità della fedeltà e indissolubilità, l’aperturae la fecondità in rapporto alla vita e al pros-simo. Ciò non deve far dimenticare la fragilitàdi ciò che viene affidato a un uomo e a unadonna i quali, come protagonisti, potrebberoanche avvilire, sminuire e distruggere l’iden-tità della coppia producendo un qualche cosache risulta molto distante da come l’aveva so-gnata e voluta Dio stesso. L’amore tra uomoe donna è la realtà che ha mosso le migliorienergie in ambito poetico, religioso, giuridico,economico e scientifico dell’umanità. Il temaresta sempre ricco di fascino e di mistero, ap-parentemente scontato ma inesauribile. Vis-suto da tutte le persone, in forme diverse, èritenuto unico e irrepetibile da ogni protago-

nista. Quando questo amore diventa spon-sale, in ambito di fede raggiunge la sua mas-sima espressione. In Gen 1,27 la coppia vienedefinita come immagine e somiglianza diDio: vivere in pienezza l’esperienza umanapiù realizzante significa vivere un’esperienzadivina. In Gen 2,18-25 il testo ebraico alludea un rapporto di coppia, uomo-donna, in cuiil mondo femminile non è né superiore né in-feriore al mondo maschile, ma i due mondisono complementari: l’uomo e la donna di-ventano valori quando tra loro avviene loscambio paritario dei loro mondi. Nel Can-tico dei Cantici viene presentata la coppiaumana così come Dio l’ha sognata fin dall’ini-zio dell’umanità: un uomo e una donna cheprogrediscono senza limiti in tutti gli ambitidell’amore. In un tempo in cui vigevano lapoligamia e il ripudio, la donna dice con chia-rezza che dall’amore, come dalla morte, nonsi torna indietro: “Mettimi come sigillo sul tuocuore, come sigillo sul tuo braccio; perchéforte come la morte è l’amore...” (Ct 8,6). Seil pensiero teologico dell’Antico Testamentoha sempre camminato verso una visione mo-nogamica e fedele dell’amore sponsale, laprassi non è stata altrettanto chiara. La legge,che permetteva la poligamia e il ripudio, fu

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La Parola di Dio celebratamons. Renato De Zan

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oggetto di critica da parte dei profeti. Eze-chiele, infatti, fa dire a Dio: “Allora io diediloro perfino statuti non buoni e leggi per lequali non potevano vivere” (Ez 20,25). Gesùtradurrà queste affermazioni in modo più sin-tetico e comprensibile: “Per la durezza del vo-stro cuore egli [=Mosé] scrisse per voi questanorma”.

2. La Liturgia ha voluto costruire un’unicapericope evangelica con due brani che esege-ticamente sarebbero distinti. Il testo di Mc10,2-12 presenta il rifiuto del ripudio da partedi Gesù e il ritorno alle origini, che concepi-vano la dimensione matrimoniale come in-dissolubile. Il testo di Mc 10,13-16 presentail bambino, non apprezzato nella culturaebraica di allora, come modello per l’acco-glienza del Regno. L’unione delle due peri-copi (Mc 10,2-12 + Mc 10,13-16 = Mc10,2-16) obbliga il lettore a congiungere iltema del matrimonio con il tema dell’acco-glienza dei bambini. Questo dato si può arti-colare in modi diversi: matrimonio aperto allavita, matrimonio vissuto senza dietrologie,matrimonio vissuto nella logica del Regno,matrimonio vissuto con la semplicità e la fi-ducia del bambino, ecc. Non c’è differenzatra testo biblico originale di Mc 10,2-16 etesto biblico-liturgico, fatta salva l’aggiuntadel solito incipit, “In quel tempo”.Gesù legge il racconto delle origini (Gen 1,27;2,24; cfr Mc 10,6-7) come l’insegnamento (inebraico, Toràh) che veicola l’interpretazionedelle norme. Il racconto della Genesi spiegacome Dio aveva desiderato l’amore coniu-gale. All’origine di questo amore c’è lui. Laconiugalità si esprime in una sessualità com-

plementare (Gen 2,18-25), unitiva e feconda(Gen 1,26-28). Al tempo di Gesù molti rab-bini ritenevano che questa legge (= torah = in-segnamento) avesse più valore di qualunquealtra norma sorta dopo l’episodio del vitellod’oro. Altri, invece, pensavano che le normefossero tutte uguali e si avvalevano di quellesul ripudio, senza sentire l’incongruenza tral’azione creatrice di Dio e le norme successivedate da Mosé “per la durezza” del loro cuore.Gesù, pur messo alla prova, non vuole schie-rarsi. L’amore coniugale è una cosa tropposeria per essere sottoposta ai giochi dellalegge, anche se di leggi può avere bisogno.L’essenza dell’amore coniugale non si trovanell’uomo (che ha il cuore duro), ma si trovain Dio che “è amore” (1Gv 4,8). E poiché Dioè amore fedele e indefettibile, una scintilla diLui è stata posta nei coniugi. Questo è il pen-siero che anima il testo paolino di Ef 5,21-33.Nella società ebraica i bambini erano gli ul-timi (come le donne, gli schiavi, i forestieri).Gesù li pone come modello. La vera coppiaama i bambini: accogliere in modo corretto ibambini e tutto il loro mondo è già disponi-bilità ad accettare il Regno e tutto ciò che essocomporta.

3. Il testo della prima lettura, Gn 2,18-24, èuna delle testimonianze più antiche che la ri-flessione ispirata della fede biblica abbiamesso per iscritto sulla coppia umana. La tra-duzione italiana ha reso con “un aiuto che glicorrisponda” e con “costola”, un testoebraico molto delicato. Per capire la portatadel testo - non quindi come traduzione - sipotrebbe proporre un’equivalenza italianache suoni come un aiuto che gli stia di fronte come

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a specchio (perdendo il sapore più marcatodell’espressione ebraica) e complementarietà (per-dendo l’allusione alla donna come madre). Ilbrano è redatto in forma sapienziale e, perciò,è allusivo di molte tematiche: la donna èl’unica creatura che nasce da un vivente;l’amore che unisce uomo e donna è superiorea qualunque legame di sangue e di affetto(“carne della mia carne, osso dalle mie ossa”);la donna non dipende dall’uomo, ma da Dio(“la si chiamerà donna”: passivo teologico delverbo che indica autorità); la coppia uomo-donna è stata voluta da Dio fin dalle origini;il ripudio non è contemplato perché uomo-donna sono una cosa sola; ecc.Il Salmo responsoriale, Sal 127,1-2; 3; 4-5a;5b-6, esprime la gioia dell’assemblea per labenedizione divina sulla famiglia. L’assem-blea riconosce come caratteristiche di una fa-miglia benedetta da Dio il timore di Dio, lafedeltà, i bambini e la loro gioia, la feconditàdella sposa (non solo in senso biologico), il la-voro. La prosperità materiale e spirituale dellafamiglia è fondamento per il benessere mate-riale e spirituale dello Stato (“Possa tu vedereil bene di Gerusalemme tutti i giorni della tuavita!”).La Colletta generale esprime ottime temati-

che, ma non mirate. La Colletta particolare,invece, invoca l’azione misteriosa dello Spi-rito, capace di riportare i cristiani al progettooriginale di Dio sulla coppia umana, dovel’uomo e la donna sono “una vita sola, prin-cipio dell’armonia libera e necessaria che sirealizza nell’amore”. Il testo riprende, inter-pretandola, una formula del testo biblico e delrito liturgico del matrimonio: “Nessun potereumano osi dividere ciò che tu stesso haiunito”.

4. Con questa domenica la Liturgia inizia lalettura semicontinua della lettera agli Ebrei.Viene tralasciata la prima parte della lettera(Eb 1,1-2,8) e viene proposto come secondalettura il testo di Eb 2,9-11. La morte di Cri-sto è fondamentale. Egli è morto “a vantaggiodi tutti”: questo è l’aspetto espiativo dellamorte di Cristo e la sua dimensione fondantedella nuova alleanza. Egli è morto come“capo che guida alla salvezza”: questo èl’aspetto partecipativo e salvifico della suamorte. Egli è morto come uomo: questo èl’aspetto relazionale della morte di Gesù per-ché lo rende fratello nostro.

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO -B14 ottobre 2012

Sap 7,7-11dal Sal 89R./ Saziaci, Signore, con il tuo amore:gioiremo sempre.

Eb 4,12-13Mc 10,17-30

1. Normalmente si pensa che il nemico di

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Dio sia Satana. Sicuramente nessuno puònegare questo dato, ma il Vangelo fa notareche nella vita dell’uomo è più facile imbat-tersi in modo chiaro non tra la scelta distare dalla parte di Dio o stare dalla partedi Satana, bensì di scegliere di stare o dallaparte di Dio o dalla parte delle ricchezza:“Nessun servo può servire a due padroni:o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si af-fezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Nonpotete servire a Dio e a mammona” (Lc16,13). Senza dubbio le ricchezze eserci-tano un fascino particolare sull’uomo. Talefascino è potente e totalizzante. L’afferma-zione netta di Gesù dimostra che nelle ric-chezze è presente una logica che non è lalogica presente in Dio. In altre parole, unricco (che non sempre equivale ad averericchezze) non può ragionare secondo Dio.Il credente, che è discepolo di Cristo, vienecontinuamente chiamato a chiarire la suaopzione: o Cristo o le ricchezze. Se è verocredente, sceglie prima la sequela di Cristoe poi tutto ciò che si armonizza con questa,rinunciando a quello che è disarmonico o,addirittura, contrapposto a essa. La sceltadi Cristo comporta una scelta di certi valoriche daranno alla vita storica una certa di-rezione. La scelta delle ricchezza comportala scelta di altre cose, ritenute valori, chedaranno alla vita una direzione completa-mente diversa. Gesù in fondo chiede al-l’uomo la libertà interiore per poter averela pulizia mentale che permette un’imita-zione di Cristo senza restrizioni. Un cono-sciuto esegeta tedesco, Gnilka,sintetizzando il valore spirituale di questobrano, Mc 10,17-30, affermava che la ri-

chiesta di Gesù - ieri come oggi - è e restauna spina nella carne del credente.Per questo motivo la colletta propria chiedenel fine della petizione di poter “valutare lecose terrene ed eterne e diventare liberi epoveri per il tuo regno”. Staccare il cuoredalle ricchezze (= beni, potere, cultura, af-fetti), è un cammino progressivo dove ogniricchezza cessa di essere schiavizzante e di-venta realtà al servizio nobile del credente,figlio di Dio. Per compiere una scelta di taleportata è necessario avere il dono della sa-pienza che viene da Dio (1° lett., Sap 7,7-11).2. Il testo di Mc 10,17-30 è letterariamentesuddivisibile in tre pericopi: la vocazionedel giovane ricco (Mc 10,17-22); la ric-chezza e i suoi pericoli (Mc 10,23-27); l’in-tervento di Pietro e la ricompensa (Mc10,28-31). Si può notare come tutte e tre lepericopi ruotano attorno al tema della ric-chezza. Sembra che l’evangelista abbia vo-luto in qualche modo creare una pericopeunitaria attraverso un procedimento stili-stico molto conosciuto nella letteraturaorientale: lo schema concentrico. Questoprocedimento consiste nel collocare agliestremi due brani che toccano lo stesso ar-gomento e, come accade nel brano evan-gelico, che lo presentano in modo opposto.La vocazione del giovane ricco (Mc 10,17-22), infatti, ruota attorno al tema della in-capacità di lasciare le ricchezze per seguireGesù. Il brano dell’intervento di Pietro (Mc10,28-31) ruota attorno al tema della capa-cità avuta dai discepoli di abbandonaretutto e di venire ricompensati per questo.Al centro viene collocato il testo principale,

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che riporta la riflessione sulla difficile sal-vezza del ricco (Mc 10,23-27).Il dialogo iniziale tra Gesù e il giovane riccoevidenzia come solo Dio, l’unico “buono”,può dare una risposta esaustiva alla do-manda circa il che cosa fare per avere lavita eterna. Non esistono risposte umane dinessun tipo. Gesù richiama il giovane all’al-leanza con Dio, di cui i comandamentisono l’espressione obbedienziale umanapiù evidente. La risposa del giovane è so-vraccarica di formalità: “Le ho osservate”(il verbo greco indica l’adempimento di unordine). Il secondo passaggio è più impe-gnativo. Gesù passa dall’osservanza dell’al-leanza alla proposta del discepolato (“vienie seguimi”). Nel discepolato, però, si puòentrare quando il cuore dell’uomo è “li-bero”, perché il discepolo fa propria inmodo progressivo, ma senza riserve, la lo-gica del Maestro. L’attaccamento ai beni èun impedimento insormontabile perché lalogica insita nelle ricchezze non può esserela logica del Maestro. La risposta negativadel giovane evidenzia quanto sia più facileche un cammello entri per la cruna dell’ago(detto proverbiale del Maestro, piccolaporta delle mura di Gerusalemme o tra-smissione testuale da rivedere?). QuandoDio chiama una persona a un impegno su-periore non si impone alla persona con au-torità (potrebbe anche farlo). Sceglie unastrada diversa. Gli manifesta un amore par-ticolare (“Allora Gesù, fissò lo sguardo su dilui, lo amò”). Certamente la mancata espe-rienza di questo amore più profondo e piùpersonale può condizionare la risposta delchiamato. Sembra che il ricco non abbia

colto questo amore più grande che Gesù gliha delicatamente manifestato con losguardo. I discepoli, invece, hanno capito ehanno scelto. Dispiace che lo stesso verbogreco, emblépsas (guardando), venga unavolta tradotto con “fissò lo sguardo” (v. 21)e in una seconda, con “guardandoli in fac-cia” (v. 27). Lo sguardo amoroso di Gesùc’è stato per il ricco e per i discepoli. Ilprimo ha rifiutato. I secondi, hanno ac-colto. Le affermazioni di Gesù sconcertanoi discepoli di allora e di oggi. Ma chi entranella logica del distacco è sicuro del centu-plo, delle persecuzioni (a causa della nuova“logica” acquisita) e della vita eterna. Que-sto hanno scelto i discepoli di allora, questaè la scelta alla quale sono chiamati i disce-poli di oggi.

3. Secondo i biblisti, il testo che manifestala stima di Salomone per la Sapienza do-vrebbe essere Sap 7,7-14. La Liturgia, in-vece, ha scelto come prima lettura Sap7,7-11, tralasciando i versetti che avevanocome tema l’impegno del sapiente nel tra-smettere la Sapienza stessa. Il re di Geru-salemme, modello di tutti i sapienti (cfr 1Re 5), colloca da un lato tutto ciò che un repuò desiderare come scettri, troni, ric-chezza, gemma inestimabile, oro, argento,salute, bellezza. Colloca dall’altra lo “spi-rito della sapienza”. Salomone sceglie que-st’ultimo senza esitazione. La riflessionebiblica era giunta a vedere nella Sapienzalo stesso Spirito del Signore che agisce nellastoria. A Salomone con questa scelta arri-vano anche “tutti i beni” che aveva lasciatoper la Sapienza.

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Il Salmo responsoriale, Sal 89,12-13;14-15;16-17, manifesta il bisogno profondo chel’uomo ha della Sapienza di Dio. Dio laporge al credente attraverso ammaestra-menti disseminati lunga la storia: lun-ghezza-brevità della vita, bisogno di gioiadopo la sventura vista come correzione di-vina, approvazione del buon lavoro del-l’uomo.La Colletta generale traduce il tema dellaSapienza nel tema della Grazia (“Ci pre-ceda e ci accompagni sempre la tua grazia,Signore”). La Colletta particolare, co-gliendo l’espressione della seconda lettura(“penetra nei nostri cuori con la spada dellatua parola”), indica nella Parola la fontedella Sapienza che aiuta a valutare le coseterrene e quelle eterne. Tale valutazione di-

venta fondamentale perché i credenti di-ventino liberi e poveri per il Regno.

4. La lettura semicontinua della lettera agliEbrei salta Eb 2,12-4,11 e legge comebrano della seconda lettura il testo di Eb4,12-13. Si tratta di uno dei testi più bellisul tema della Parola di Dio. Con il para-gone della spada l’autore sacro intendeesprimere due concetti di fondo. Il primoconsiste nell’efficacia e nell’incisività dellaParola. Il secondo intende esprimere l’im-possibilità del credente nel sottrarsi a taleefficacia e incisività. Di fronte nella Parolanon ci si può nascondere, come Adamonon poté nascondersi a Dio nel paradisoterrestre.

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO -B21 ottobre 2012

Is 53,10-11dal Sal 32R./ Donaci, Signore, il tuo amore: in tesperiamo.Eb 4,14-16Mc 10,35-45

1. La tematica della Liturgia della Parolapotrebbe collocarsi su tre piani: quellodei sentimenti, quello dell’autorità equello del servizio.Sul tema dei sentimenti il vangeloodierno è liberante. Spesso si sente direche esistono sentimenti buoni e senti-

menti cattivi. È un po’ difficile dimo-strare la validità di quest’affermazione,dal momento che nessuno riesce a “cre-arsi” un sentimento. I sentimenti compa-iono nell’animo della persona senza chequesta li crei. I sentimenti non ci sononemici, ma sono un’energia che ci vienedata e come tale va gestita. L’importanteè indirizzarli. Vuoi essere accanto a Cri-sto? “È superbia!”. “È presunzione!”.No! È un sentimento, che ha solo biso-gno di essere indirizzato. Sii “come Lui”,condividendo tutto ciò che Lui ha vis-suto (bere il suo calice, essere “battez-

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zati” come Lui). Vuoi essere il primo e ilmigliore? Impara a donarti nel servizio.Questo in sintesi la risposta del vangelo. L’altro punto riguarda l’autorità. All’in-terno della comunità cristiana non puòvigere il criterio che presiede la societàsociale e politica (che non viene presen-tata in modo positivo!). Gesù lo dicechiaramente: “Tra voi però non è così”.Il criterio, anche in questo caso, è “comeLui”: il Figlio dell’uomo non è venutoper farsi servire! Sicuramente la personadi Gesù è scomoda per chi gestisce l’au-torità perché “il modello Gesù” non per-mette di confondere l’autorità con ilpotere, oppure l’autorità con i propri in-teressi.Sul tema cristiano del servizio si è dettoe si dirà ancora molto. Per non caderenel facile inganno di concepire il servizioin modo “ideologico” è opportuno ritor-nare al testo di Mc 10,35-45 (vangelo),dove Gesù offre un’interpretazione pre-cisa di che cosa significa “servire”. Egli,infatti, si propone come modello cheogni discepolo deve imitare: “Chi vuolediventare grande tra voi sarà vostro ser-vitore, e chi vuole essere il primo tra voisarà schiavo di tutti. Anche il Figliodell’uomo infatti non è venuto per farsiservire, ma per servire e dare la propriavita in riscatto per molti”. Il servizio,dunque, è imitazione e condivisione conCristo.Le caratteristiche fondamentali di taleservizio sono la universalità e il valorecultuale. Il servizio va offerto a chi è cri-stiano (“chi vuol essere grande tra voi si

farà vostro servitore”) e anche a chi nonlo è (“chi vuol essere il primo tra voi saràil servo di tutti”). Il servizio non ha con-fini. Nel primo caso il servizio viene de-finito dal nome greco diakonìa che indicaprimariamente, ma non esclusivamente,il servizio umile a qualunque necessitàmateriale o spirituale dell’altro. Nel se-condo caso il servizio viene definito dalnome greco dulèia che indica, primaria-mente, ma non esclusivamente, il servi-zio cultuale. Servire il non-cristiano,infatti, è anche testimonianza-annunciodella Parola.

2. Il testo biblico e il testo biblico-litur-gico del vangelo (Mc 10,35-45) sonoidentici, fatto salvo il solito incipit litur-gico (“In quel tempo”) e la soppressionedella congiunzione iniziale “e” (grecokai) del testo originale. In questo modo iltesto risulta isolato e senza legami con ilcontesto precedente. Nel contesto bi-blico, infatti, il nostro brano andrebbeletto su due livelli interpretativi: comeincomprensione dei discepoli nei con-fronti del mistero pasquale del Maestroe come ulteriore insegnamento del Mae-stro sull’identità del discepolo cristianoalla sequela del Messia, sofferente e glo-rioso. Il testo biblico-liturgico più sem-plicemente invita ad accogliere ognisentimento, anche quello che desiderastare accanto a Gesù (posti di potere e dionore) e a indirizzarlo verso il servizio,su imitazione del Maestro. Il testo di Mc10,35-45 può essere suddiviso in duemomenti: il desiderio dei due discepoli

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(Mc 10,35-40) e l’insegnamento di Gesùsull’autorità e sul servizio (Mc 10,41-45).All’epoca di Gesù, sedere a destra e a si-nistra della persona ritenuta importanteequivaleva a essere il secondo (destra) eil terzo (sinistra) nell’onore dentro algruppo che riteneva il Maestro comeprimo. L’atteggiamento dei figli di Zebe-deo arrischia di introdurre nel grupposentimenti di rivalsa. Lo sdegno dei dieciarrischiava di convalidare l’errore deglialtri due (se loro sì, perché noi no?).Gesù non rimprovera, ma mette i disce-poli sul giusto atteggiamento: forse nonsanno ciò che vogliono. Ciò che chie-dono, infatti, si può ottenere solo a unacondizione: bere lo stesso calice di Gesùe accogliere lo stesso battesimo suo.“Bere il calice” equivale a subire il mar-tirio. “Essere battezzati” significa esseretotalmente immersi nella stessa sorte delMaestro. Nell’ottica cristiana, condivi-dere fino in fondo la sorte del Maestro èl’onore più grande che possa capitare alcredente: ciò viene concesso solo da Dio,con massima sovranità, a chi Egli prefe-risce tra coloro che hanno scelto di “se-guire fino in fondo” il Maestro.Qualche studioso ipotizza che il brano inqualche modo nasconda la pretesa diprimato da parte dei vescovi di Gerusa-lemme, successori di Giacomo e di Gio-vanni, al tempo della stesura del vangelodi Marco.

3. La prima lettura, Is 53,10-11, è trattadal quarto carme del Servo di Yhwh (Is52,13-53-12). Il Servo offre se stesso in

espiazione (v. 10) perché si è addossato ilpeccato degli uomini (v. 11). Questa suaobbedienza verso Dio giustificherà gliuomini e otterrà da Dio la possibilità cheil Servo stesso riveda la luce (allude allarisurrezione?).Il Salmo responsoriale, Sal 32,4-5; 18-19; 20.22, sottolinea - sempre attraversol’allusione - quest’ultimo tema: Dio li-bera dalla morte perché è aiuto e scudoper il suoi fedeli.La Colletta generale aiuta a rileggere il“servizio” come “culto” a Dio (cfr Sir35,8-20). La Colletta particolare, invece,insiste sulla consapevolezza che l’assem-blea ha di essere salvata dal Servo, esulla partecipazione al servizio supremodi Gesù all’umanità, la sua morte reden-trice.

4. Il testo di Eb 4,14-16 costituisce la se-conda lettura. Gesù è il Sommo Sacer-dote che è passato attraverso i cieli. Difronte a questa sublimità il cristiano puòaccostarsi a Gesù? La risposta è afferma-tiva e i motivi sono due. Il primo motivoconsiste nel fatto che Cristo è “compas-sionevole” nei confronti delle infermitàdei suoi fratelli. Il secondo consiste nelfatto che Gesù non è seduto sul tronodella giustizia, ma sul “trono della gra-zia”. Da qui promanano misericordia egrazia.

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Ger 31,7-9dal Sal 125,R./ Grandi cose ha fatto il Signore pernoi.Eb 5,1-6Mc 10,46-52

1. La figura di Bartimeo potrebbe essereletta come un modello del discepolo cri-stiano. Bartimeo percepisce l’avvicinarsi diGesù a lui. Lo invoca. Altri, però, invece diaiutarlo ad avvicinarsi a Gesù - che Barti-meo percepisce, ma non vede - lo ostaco-lano e lo frenano. Alla percezione dellachiamata del Maestro, tutto cambia. Co-loro che erano stati ostacolo, diventanostrumenti di avvicinamento al Maestro.Alla rozzezza iniziale della folla risponde ladelicatezza di Gesù (“Cosa vuoi che io tifaccia?”). Poi Gesù interviene e offre alcieco il dono della vista. Alla solitudine eall’isolamento della cecità segue la gioia dipoter “vedere il Maestro” e di “seguirlo perla strada”. La lettura tipologica dei padriha sempre visto in questo dono della vistail gesto simbolico del dono della fede. Nonsi tratta di una sequela puramente mate-riale, ma della sequela del discepolato(=imitazione del Maestro). Dove va il Si-gnore, va anche il suo discepolo, perchésolo il Maestro può tracciare la via che con-duce al Padre.Per poter “vedere” il Maestro e seguirlo, il

credente ha bisogno di ricevere il dono del“poter vedere”, di essere chiamato a un in-contro personale con Cristo come il ciecomendicante di Gerico. Il credente, comeBartimeo, ha bisogno degli “altri” per av-vicinarsi a Cristo. Costoro, purtroppo, pos-sono essere sia di ostacolo sia di aiuto.Come Bartimeo, anche il credente, ricevutain dono da Dio la capacità di vedere, di-venta colui che segue il Signore, diventacioè discepolo di Gesù. Con molta sobrietàla Liturgia completa il discorso del testoevangelico, affermando che Il cammino difede che il credente compie, seguendo (=imitando) il Maestro (Mc 10,46-52), portaall’incontro con il Padre (petizione e scopodella Colletta particolare): “O Dio,… fa’che tutti gli uomini riconoscano in lui (= ilFiglio) la tenerezza del tuo amore di Padree si mettano in cammino verso di te”.

2. Nel brano di Mc 10,46-52 si trovanotracce di aramaismi (il nome Bartimeo,l’appellativo Rabbunì) che sono assenti neglialtri due sinottici. Questo potrebbe essere,forse, un indizio che Marco ha ripreso,senza troppi ritocchi, la fonte aramaica delracconto che era stato tramandato da unacomunità che conosceva il personaggio (neha conservato il nome; gli altri due sinotticinon lo riportano). L’aggiunta dell’inizio li-turgico (“In quel tempo”) non altera sostan-zialmente il testo, anche se lo isola

XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO -B28 ottobre 2012

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dall’episodio dal cammino che Gesù avevaintrapreso precedentemente (il testo origi-nale, infatti, inizia il brano con una sem-plice congiunzione “e” per collegare ilbrano del cieco ai brani precedenti che se-gnano il cammino di Gesù verso Gerusa-lemme, verso la sua fine). Il testo di Mc10,46-52 può essere letto seguendo le tappedella narrazione: la figura del cieco Barti-meo (Mc 10,46-47); l’intervento dei moltiche prima gli impediscono di avvicinarsi aCristo e poi lo aiutano (Mc 10,48-50); il mi-racolo della guarigione operata da Gesù(Mc 10,51-52).Il quadro storico in cui avviene la guari-gione è il pellegrinaggio (per gli Ebrei ce nesono tre in un anno: festa primaverile di Pa-squa-Azzimi, festa estiva di Pentecoste,festa autunnale delle Capanne). La genteche faceva il pellegrinaggio era tenuta afare l’elemosina ai poveri che si trovavanolungo la strada. Bartimeo è “seduto lungola strada” per approfittare della situazione.Sente che c’è Gesù di Nazaret e lo chiama. L’invocazione di Bartimeo è una citazionesalmica (“abbi pietà di me”). Il titolo, “Fi-glio di Davide”, contiene un riconosci-mento: Bartimeo ritiene che Gesù - comediscendente davidico - possa avere un po-tere esorcistico e taumaturgico. C’è in Bar-timeo una “fede” nell’origine davidica diGesù, non ancora nella sua messianicità odivinità.La folla che circonda Gesù è, probabil-mente, la folla dei pellegrini. Bartimeo è unimpiccione: scoccia e viene zittito! Si trattadi un gesto di allontanamento molto similea quello fatto dagli Apostoli nei confronti

dei bambini che volevano avvicinare Gesù(Mc 10,13-16): il “piccolo” non deve distur-bare e, perciò, non deve incontrare Gesù.Bartimeo ritenta. Gesù lo ascolta si ferma(il verbo è interessante) e lo chiama. Ilverbo “fermandosi” (in greco stas) vieneadoperato da Marco solo qui: per il “pic-colo”, Gesù rallenta il suo camminare versoil mistero pasquale della sua morte-resur-rezione. La reazione di Bartimeo è straor-dinaria: getta via il mantello e si lasciaguidare dalla folla verso Gesù. In oriente ilmantello simboleggia lo stato sociale e lavita stessa di chi lo porta: Bartimeo si liberadella sua vecchia umanità per incontrarsicon Cristo.L’incontro tra Gesù e Bartimeo è segnata dadue elementi importanti. Il rispetto di Gesùe l’appellativo profetico di Bartimeo.Gesù poteva guarirlo subito: egli è il Figliodi Dio, pieno di potenza e di Spirito Santo.Bartimeo è il cieco, che ha bisogno di ve-dere. Eppure il rispetto di Gesù per la per-sona è totale. Non agisce, ma prima chiede:“Cosa vuoi che io ti faccia?”.Bartimeo reagisce di fronte a questa do-manda di Gesù con l’appellativo “Rabbunì”(stesso vocabolo adoperato a Maria Madda-lena nei confronti di Gesù risorto: Gv 20,16).Il cieco, prima di essere guarito, già “vede”in Gesù molto di più di un discendente diDavide. La sua fede è improvvisamente cre-sciuta. Ciò ha permesso il miracolo. Barti-meo ha percepito in Gesù non solo ilterapeuta (Figlio di Davide), ma anche ilRabbunì (Maestro). Per questo si mette allasequela del Maestro: è la fede riconoscenteche spinge Bartimeo a questa scelta.

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3. Il testo della prima lettura, Ger 31,7-9,contiene un oracolo di speranza. Tolto dalsuo contesto, il brano si presenta come unagrande” profezia” adempiutasi nel mini-stero di Gesù (e della Chiesa, che proseguela missione del Signore). I canti di gioia delritorno degli esuli hanno il corrispondentenell’accoglienza festante dei rimasti comel’avvicinamento del cieco a Gesù ha il suocorrispondente nella collaborazione dispo-nibile della folla. L’intervento salvifico an-nunciato dal profeta proviene da Dio che èPadre. Egli attrae il figlio con vincoli diamore (cfr Os 11,4). Il Salmo responsoriale, Sal 125(126), 1-2ab;2cd; 3; 4-5; 6, riprende il tema della primalettura: il ritorno degli esuli. La memoriadell’opera divina è fondamento di fiducia.I credenti sanno che Dio “ristabilisce lesorti” dei suoi fedeli.La Colletta generale presenta due temi: lafede e l’obbedienza. La fede è accompa-gnata dalle virtù armoniche della speranzae della carità. L’obbedienza è in funzione

del raggiungimento delle promesse divine(“perché possiamo ottenere ciò che pro-metti, fa’ che amiamo ciò che comandi”).La Colletta particolare traduce in titolo di-vino la promessa profetica e il miracoloevangelico (“O Dio, luce dei ciechi e gioiadei tribolati”). Nella petizione ricompare iltema del cammino di Bartimeo dietro aGesù e di ogni credente verso il Padre.

4. La seconda lettura è costituita da Eb 5,1-6. Sarebbe stato più opportuno che il tagliodella pericope fosse Eb 5,1-10. Il testoscelto dalla Liturgia presenta Gesù come ilSommo Sacerdote, diventato tale per la vo-cazione donatagli dal Padre e perché riccodi compassione. La compassione deriva dalfatto che Gesù non si vergogna di condivi-dere la finitudine della natura umana(escluso il peccato). La vocazione gli derivadal fatto che il Padre lo ha “chiamato” Fi-glio (cfr Sal 2,7) e lo ha reso capace di staredi fronte a Lui.

TUTTI I SANTI1 novembre 2012

Ap 7,2-4.9-14Sal 23,R./ Ecco la generazione che cerca il tuovolto, Signore.1 Gv 3,1-3Mt 5,1-12a

1. È stato scritto che “un eroe dà l’illusione

di superare l’umanità, mentre il santo nonla supera, l’assume” (Bernanos). I santi,dunque, non sono superuomini, ma cer-cano di realizzare l’umanità che è in loro eche è divinizzata da Dio. Il modello dellaloro realizzazione è Gesù Cristo. Per questomotivo la Liturgia legge nella solennità ditutti i Santi il brano delle beatitudini (Mt

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5,1-12a). Sappiamo, infatti, che l’interpre-tazione teologica delle beatitudini si fondaessenzialmente sul “modello-Gesù”. Cosasignifica vivere sul “modello-Gesù” la di-mensione della “povertà nello spirito”,dell’”afflizione”, della “mitezza”, della“fame e sete di giustizia”, della “misericor-dia”, della “purezza di cuore”, dell’ “atteg-giamento concreto e operativo di pace”,della “persecuzione per causa della giusti-zia”...? Tutte le ricerche esegetiche per laconoscenza del testo sono importantissime.Le conclusioni però non hanno un valorevincolante quasi che la comprensione deltesto greco delle beatitudini con il relativoretroterra aramaico sia esaustiva. Se l’ese-gesi arriva alla conclusione che il vocaboloeirenopoieis non significa esattamente “paci-fici”, ma significa “operatori creativi di rea-lizzazione”, non si è ancora ottenuto ilsignificato più profondo della beatitudine“Beati gli operatori di pace”. È necessariochiedersi come Gesù Cristo abbia incar-nato, interpretato, vissuto la dimensionedell’ “operatore creativo di realizzazione”.Questo criterio interpretativo diventa piùcomprensibile se prendiamo in considera-zione la beatitudine riguardante i “miti”.Cosa può significare “mite” nel greco elle-nistico con substrato aramaico? L’esegesirisponde che “mitezza” può significare“calma mansuetudine” (praytes) e “indul-gente moderazione” (epieikeia). Il cristiano,però, non può gestire a modo suo tale“calma mansuetudine” o “indulgente mo-derazione”. Gesù, infatti, disse: “Imparateda me, che sono mite e umile di cuore” (Mt11,29). Il giusto atteggiamento, dunque, è

quello di chiedersi come Cristo abbia vis-suto la “calma mansuetudine” e l’”indul-gente moderazione”. Coloro che hannovissuto, vivono o vivranno l’atteggiamentointeriore di imitazione di Cristo, farannoparte della moltitudine immensa dei sal-vati, i quali saranno simili a Dio perché Lovedranno così come Egli è (cfr seconda let-tura: 1Gv 3,2). Si tratterà di una moltitu-dine immensa che nessuno ha potuto, puòo potrà contare (cfr prima lettura: Ap 7,9).

2. Il testo liturgico di Mt 5,1-12a è fonda-mentalmente uguale al testo biblico. C’èsolo l’aggiunta liturgica classica (“In queltempo”) e la soppressione di Mt 5,12b(“Così infatti hanno perseguitato i profetiprima di voi”) che paragona i discepoli diGesù ai profeti dell’Antico Testamento. Iltesto di Mt 5,1-12a si divide in quattro mo-menti: una introduzione che intende porrein parallelo Gesù e Mosè (Mt 5,1-2); unaprima strofa (Mt 5,3-6) in parallelo con unaseconda (Mt 5,7-10) in quanto ambedue siconcludono toccando il tema della giustizia(v. 6 = Beati quelli che hanno fame e setedella giustizia // v. 10 = Beati i perseguitatiper causa della giustizia); si ricordi che ledue strofe sono circoscritte da una inclu-sione evidente (la motivazione della primabeatitudine della prima strofa e dell’ultimadella seconda strofa, Mt 5,3.10: “Perché diessi è il regno dei cieli”); un’ultima beatitu-dine (Mt 5,11-12) con il cambio di persona(non più “essi”, ma “voi”). Il parallelismodelle due strofe suggerisce una lettura perassociazioni: il misericordioso non può es-sere tale se non è povero nello spirito; non

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ci può essere purezza di cuor se non c’èstato il battesimo dell’afflizione; l’operatoredi pace non può che essere un mite; coloroche sono perseguitati per la giustizia sonocoloro che per davvero hanno fame e setedella giustizia. Ma questa lettura, fondatasulla dimensione letteraria, è sufficiente? Èstato già detto che una buona lettura teo-logica spinge a comprendere le beatitudinialla luce di come Cristo le ha vissute nellasua vita. Detto questo, però, è corretto farealmeno due riflessioni su questa pagina im-mortale della fede.Il testo evangelico, attraverso le beatitudinidi Mt 5,1-12, offre il criterio di fondo: unoè santo quando accetta e persegue l’imita-zione di Cristo fino a diventare distaccatodai beni, ampio nel condividerli e sobrionel fruirli, capace di soffrire la solitudine el’incomprensione per la sua coerenza neiconfronti della fede, profondamente consa-pevole di essere in mano a Dio in qualun-que situazione, continuamente teso almeglio (nella sfera del possibile), ricco di at-teggiamento non sanzionatorio verso glialtri, ma comprensivo (non tolleranza amo-rale o buonismo, ma capacità di capire),pulito mentalmente e pervaso dalla Parolada cogliere Dio sapienzialmente in ogni cir-costanza, impegnato nella propria e altruirealizzazione all’interno della realizzazionedel gruppo secondo la volontà di Dio, fortenel subire maltrattamenti, anche violentis-simi, per la propria fede.Spesso si sente dire che le Beatitudini sosti-tuiscono in qualche modo le tavole del de-calogo. Questa affermazione vienemotivata dal fatto che, come Mosè, anche

Gesù sale sul monte e da là propone il pro-getto di vita divino per gli uomini. Sebbenequesta affermazione abbia qualche cosa divero e di suggestivo, non bisogna tuttaviadimenticare che nel discorso della monta-gna Gesù disse chiaramente: “Se la vostragiustizia non supererà quella degli scribi edei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”(Mt 5,20). Diventa, dunque, difficile pen-sare che le Beatitudini siano una “legge”(tra l’altro non avrebbero nemmeno laforma letteraria di una legge) e siano chia-mate a sostituire i comandamenti. Le Bea-titudini diventano “vangelo” quando il loromessaggio non viene fatto diventare una“ideologia” a cui l’uomo deve piegarsi, maogni singolo frammento di questo branoviene letto con gli occhi di colui che sa ra-gionare secondo Dio e non secondo gli uo-mini sulle cose di questo mondo.

3. Il testo di Ap 7,2-4.9-14 spinge all’otti-mismo. Una volta un saggio disse: “Chebuona novella è il Vangelo se è così difficileandare in Paradiso e così facile andare al-l’Inferno!”. I salvati sono innumerevoli(144.000 è il prodotto di 12 x 12.000, cioèdi un numero per un suo multiplo, come ilperdono che deve essere fatto 70x7, cioè“sempre”). I salvati sono, più precisamente,“una moltitudine immensa, che nessunopoteva contare, di ogni nazione, razza, po-polo e lingua”. I santi, dunque, non sonosolo quelli “con l’aureola” della canonizza-zione pontificia. Sono molti, molti di più.Hanno tutti una caratteristica: “sono pas-sati attraverso la grande tribolazione ehanno lavato le loro vesti rendendole can-

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dide col sangue dell’Agnello”. Sono i bat-tezzati che hanno mantenuto e vissuto laloro fede fino alla fine e molti fino al mar-tirio. Il Salmo responsoriale è costituitodalla “catechesi” che i sacerdoti ebrei im-partivano ai pellegrini, prima che costorosalissero al tempio. Il Salmo viene messo inbocca ai credenti di oggi incamminati versola ricerca del volto di Dio. La Colletta,mentre sottolinea la gioia della celebra-zione di tutti i Santi, li presenta come “no-stri fratelli”, capaci di operare la preziosaintercessione della misericordia di Dio per i

credenti ancora in cammino dentro la storia.

4. Essere figli di Dio non è una realtà chesi manifesta agli occhi del mondo come simanifesta una appartenenza di tipo sociale.Il “mondo”, infatti, non riconosce questaappartenenza come non ha riconosciutol’appartenenza di Cristo al mondo di Dio.L’identità definitiva e chiara dei figli di Dioviene manifestata quando il Signore Gesùritornerà nella sua parusia, saremo simili aLui e lo vedremo così come egli è.

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI2 novembre 2012

1. La Commemorazione di tutti i fedeli De-funti viene vissuta dalla Liturgia all’internodello stesso orizzonte teologico in cui si col-loca la solennità di tutti i Santi: la profondaed essenziale comunione in Cristo tra tuttii credenti (la comunione dei santi). La pre-ghiera per i defunti è già attestata nel sec.II d.C. nel Nord Africa. Nelle Confessioni,sant’Agostino riporta le parole di suamadre morente. Monica disse: “Seppellitepure questo mio corpo dove volete, senzadarvi pena. Di una sola cosa vi prego: ri-cordatevi di me, dovunque siate, dinanzi al-l’altare del Signore” (Conf. 9,11,27). Anchenelle Catechesi mistagogiche, Cirillo di Geru-salemme parla della celebrazione in favoredei defunti: “Presentando a Dio Padre lepreghiere per i defunti, anche se pecca-tori..., presentiamo a lui il Cristo immolato

per i nostri peccati, cercando di rendereclemente per loro e per noi Dio amico degliuomini” (Cat. Mist. 5,10). Nella terza edi-zione dei Principi e Norme dell’Ordina-mento generale del Messale romano, siafferma che “La Chiesa offre il sacrificioeucaristico della Pasqua di Cristo per i de-funti, in modo che, per la comunione esi-stente fra tutte le membra di Cristo, gli uniricevano un aiuto spirituale e gli altri il con-forto della speranza” (n. 379). Fa parte in-tegrante del culto cristiano pregare per idefunti. La Commemorazione di tutti i fedeli de-funti sembra sia nata in ambito monastico,probabilmente a Cluny, in Francia, verso lafine del sec. X, per merito dell’abate Odi-lone (994-1049). Successivamente i papi laapprovarono e la estesero a tutta la Chiesa.

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La Chiesa - dice il martirologio - si preoc-cupa di aiutare tutte le anime che gemonoancora nel Purgatorio, affinché possano alpiù presto pervenire al godimento riservatoai cittadini della città celeste”. Dal 1915,con la bolla Incruentum di Benedetto XV,venne concesso a ogni sacerdote di potercelebrare tre messe. La prima va celebratasecondo l’intenzione dell’offerente, la se-conda per tutti i fedeli defunti e, infine, laterza secondo l’intenzione del Santo Padre.

2. Il Lezionario propone tre schemi di let-ture. Se ragioni pastorali lo suggeriscono,si possono leggere letture diverse, purchéscelte sempre tra quelle indicate per la li-turgia dei defunti. Il celebrante deciderà seservirsi o meno della pericope evangelicadel terzo formulario (Mt 5,1-12a) in quantogià proclamato nella solennità di tutti iSanti (giorno precedente). Il Messale, inol-tre, riporta tre formulari eucologici. Se ra-gioni pastorali lo suggeriscono, si possonoscegliere dai tre formulari quelle formuleche si adattano meglio all’assemblea.

3. La prima Messa

Gb 19,1.23-27dal Sal 26,R./ Sono certo di contemplare la bontàdel Signore nella terra dei viventi.oppure

R./ Il Signore è mia luce e mia salvezza.Rm 5,5-11Gv 6,37-40

a. La prima messa ruota attorno al temafondamentale espresso dal Vangelo: “Que-

sta è la volontà di colui che mi ha mandato,che io non perda nulla di quanto mi hadato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno”. Iltema viene confermato dalla Colletta, chenella seconda petizione prega così: “Con-ferma in noi la beata speranza che insiemeai nostri fratelli defunti risorgeremo in Cri-sto a nuova vita”.

b. Il testo evangelico (Gv 6,37-40) è trattodal lungo dialogo di Gesù con la folla e coni Giudei nella sinagoga di Cafarnao, dopoil miracolo della moltiplicazione dei pani edei pesci. Il testo biblico-liturgico del van-gelo è stato arricchito da una aggiunta li-turgica che esplicita chi sia il mittente e chiil destinatario: “In quel tempo, Gesù dissealla folla”. La volontà salvifica del Padre èla fonte primigenia della salvezza. Da essasgorga la missione del Figlio, nasce l’incon-tro tra l’uomo e Gesù Cristo, scaturisce lacertezza che chiunque crede nel Figlio hala vita eterna. Il profondo rispetto che ilcredente deve avere per l’Eucaristia (Gv6,12: raccogliere gli avanzi del pane perché“nulla vada perduto” - gr.: ina me ti apóletai)è lo stesso profondo rispetto che Dio ha pernoi (Gv 6,39: il Padre ha stabilito che Gesù“non perda nulla” - gr.: ina me apoléso - diquanto il Padre gli ha dato). Sotto questoprofilo, parlando tra poesia e teologia, do-vremmo dire che noi siamo preziosi perDio quanto l’Eucaristia è preziosa per lacomunità di fede.

c. Il testo della seconda lettura presenta illamento e la speranza di Giobbe. In unalettura cristiana del testo l’espressione

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“Dopo che questa mia pelle sarà strappatavia, senza la mia carne vedrò Dio” assumeun significato nuovo, aperto alla sopravvi-venza dopo la morte. Il Salmo responso-riale riprende l’anelito di Giobbe e lotraduce in speranza: “Sono certo di con-templare la bontà del Signore nella terradei viventi. Spera nel Signore, sii forte”. LaColletta sceglie di avere il suo fondamentonella speranza: si chiede al Padre di confer-marla. È qualche cosa di straordinario ri-sorgere a nuova vita con i fratelli defuntiche vengono ricordati.

c. L’apostolo Paolo riprende il tema dellasperanza e la fa diventare certezza nell’at-tesa perché è stata riversata dallo Spiritonel cuore dei credenti. Questa certezzanasce dal comportamento divino. Quandogli uomini non meritavano niente perchépeccatori, Cristo muore e li giustifica “nelsuo sangue”. Ora, i cristiani giustificati nelsangue di Cristo possono serenamente aspi-rare alla vita insieme con Lui.

4. La seconda Messa

Is 25,6a.7-9dal Sal 24,R./ Chi spera in te, Signore, non restadeluso.oppure

R./ A te, Signore, innalzo l’anima mia.Rm 8,14-23Mt 25,31-46

a. Il tema fondamentale presentato dal van-gelo riguarda il giudizio divino sull’umanità(Mt 25,31-46) riletto, però, alla luce della

salvezza universale per tutti i popoli (1° let-tura: Is 25,6.7-9), quando Dio eliminerà lamorte per sempre (Is 25,8). In altre parole,senza nulla togliere alla giustizia e alla mi-sericordia di Dio nel giudizio ultimo, la li-turgia preferisce sottolineare l’aspettopositivo del giudizio stesso.Il vangelo (Mt 25,31-46) presenta in una vi-sione possente il giudizio della fine delmondo. “Tutte le genti” verranno giudicatesulla misericordia avuta nei confronti deibisognosi, più precisamente nei confrontidei “fratelli più piccoli” (v. 45). I talenti cheognuno è chiamato a far fruttificare devonorispondere a un servizio ai bisognosi. Ilvangelo di Matteo indica come bisognosipiù tipi persone: ci sono persone che sonobisognose di realtà immediate e materiali(mangiare, bere, vestirsi) e di realtà più spi-rituali. Queste ultime possono essere rivisi-tate in questo modo: accoglienza dellostraniero, dignità dell’uomo attraverso il ve-stito, speranza di chi manca di libertà.L’elenco, ovviamente è solo illustrativo enon definitorio. Il re, infatti, rispondendoai giusti, amplifica l’elenco precedente conun “tutto quello che avete fatto” e dice: “Inverità vi dico: tutto quello che avete fatto auno solo di questi miei fratelli più piccoli,l’avete fatto a me”. Una cosa, tuttavia, ècerta: ogni risposta a un vero bisogno del-l’uomo è dono fatto alla stessa persona diCristo. Ciò è garanzia di un’accoglienza in-condizionata da parte del re: “Venite bene-detti… ricevete in eredità il regnopreparato per voi”.

b. La visione escatologica presentata dalla

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prima lettura (Is 25,6a.7-9) evidenzia l’uni-versalità (“tutti i popoli”). Inoltre l’escato-logia è caratterizzata dall’assenza dellamorte e di tutto ciò che la anticipa (dalle la-crime della sofferenza all’ignominia). Que-sta opera di Dio è la salvezza sperata. Nonresta che esultare e rallegrarsi. Il Salmo re-sponsoriale manifesta l’angoscia del cre-dente a causa della fatica, dei peccati edegli affanni presenti in questa vita. Allaluce del contesto delle letture, tuttavia, gliaffanni e l’angoscia potrebbero indicare lapaura della morte, da cui la prima letturatestimonia come Dio liberi il suo popolo.La Colletta invoca Dio come gloria dei cre-denti e vita dei giusti: Dio, infatti, è coluiche dona la beatitudine ai credenti defuntiche in vita hanno professato la loro fedenella risurrezione.

c. Nel testo scelto come seconda lettura(Rm 8,14-23) l’Apostolo mostra ai credentidi Roma come nella storia tutto sia sotto-posto alla caducità. I credenti fanno partedi ciò che è caduco ma, inabitati dallo Spi-rito, fanno parte anche di ciò che eterno.Se da una parte anche il credente geme contutto l’universo, dall’altra sa che, essendofiglio di Dio in Gesù Cristo, è anche erededella redenzione del corpo (che da solo sa-rebbe erede della caducità).

5. La terza Messa

Sap 3,1-9dal Sal 41,R./ L’anima mia ha sete del Dio vivente.Ap 21,1-5.6b-7Mt 5,1-12

1. Il tema fondamentale presentato dalvangelo attorno al tema della gioia e dellaricompensa nel Regno dei cieli: “Rallegra-tevi ed esultate, perché grande è la vostraricompensa nei cieli”. Il vangelo delle bea-titudini (Mt 25,31-46) è già stato commen-tato per la solennità di Tutti i Santi. Dopoaver dichiarato chi sono gli amati da Dio (èil significato sintetico di “beati”), il testo an-nuncia per loro il premio escatologico (diessi è il regno dei cieli; saranno consolati;erediteranno la terra; saranno saziati; tro-veranno misericordia; ecc.). Sicuramentenella varietà delle beatitudini si possono be-nissimo ritrovare gli atteggiamenti dei cri-stiani nella loro quotidianità. Non sempre,non con la stessa intensità, non sempre fe-deli a tutte le beatitudini, ma i credentinella loro vita hanno vissuto frammenti piùo meno ampi e profondi di questo nuovomodo di pensare la vita secondo Dio e nonsecondo gli uomini.

b. Il testo della Sapienza (Sap 3,1-9) sceltocome seconda lettura è un brano che mo-stra l’apparente non-senso della vita (“Agliocchi degli uomini…”). Invece, secondol’occhio della fede, ciò che vive il credente(malattia, persecuzione, ecc.) è un “prova”(Dio “li ha saggiati come oro nel cro-giuolo”), anzi, molto di più: è una offertasacrificale (Dio “li ha graditi come l’offertadi un olocausto”). Il risultato è la vita oltrela vita: “i fedeli nell’amore rimarrannopresso di lui, perché grazia e misericordiasono per i suoi eletti”. Il Salmo responso-riale è un testo composito dove l’immaginedella cerva e del levita esule vengono in

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qualche modo fusi. Il desiderio di Dio e ilbisogno di luce e di verità sono i due ele-menti essenziali che guidano la comunitàall’incontro con Dio. La Colletta associa ifedeli defunti a Cristo: come il SignoreGesù è passato da questo mondo alla gloriadel Padre, così anche i defunti possano con-dividere il trionfo di Gesù sulla morte percontemplare in eterno il Padre, creatoredell’uomo e suo redentore.

c. Il testo dell’Apocalisse, Ap 21,1-5.6b-7,

presenta la realtà escatologica. Essa è vistacome cieli nuovi e terra nuova ed è vissutain profonda comunione: Dio sarà per sem-pre insieme agli uomini (adempimentoescatologico dell’Emmanuele: Dio con noi);Dio farà nuove tutte le cose, sottraendovi lamorte, il lutto, il lamento e l’affanno. Il giu-sto, chiamato vittorioso, erediterà tuttaquesta nuova realtà e avrà con Dio un le-game di alleanza personale: “io sarò il suoDio ed egli sarà mio figlio”.

XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO -B4 novembre 2012

Dt 6,2-6Sal 17,2-3a; 3bc-4; 47.51Rt/ Ti amo, Signore, mia forza.Eb 7,23-28Mc 12,28b-34

1. Al tempo di Gesù, nel mondo ebraicoc’era la ricerca teologica su quale fosse ilcomandamento più grande e il mondo rab-binico era orientato verso una risposta pre-cisa. Il comandamento più grande era ilcomandamento dell’amore di Dio, cosìcome veniva recitato nella preghiera quo-tidiana dello Shemà’ (prima lettura, Dt 6,2-6): “Ascolta, Israele: il Signore è il nostroDio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Si-gnore tuo Dio con tutto il cuore, con tuttal’anima e con tutte le forze. Questi precettiche oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore”.Meno interessante era il comando del-

l’amore dell’ebreo verso gli altri ebrei (Lv19,18) o verso coloro che, pur stranieri, vi-vevano insieme agli ebrei (Lv 19,34). Gesùha un concetto molto diverso. Egli non solocolloca al primo posto il comandamentodell’amore, come fondamento dell’agiremorale, ma lo fa diventare anche primofondamento del culto.Il fondamento dell’agire morale è l’amore(in greco, agàpe). Non si tratta del senti-mento. Se fosse solo sentimento, come sa-rebbe possibile “amare anche i proprinemici (cfr Mt 5,44)? Si tratta di un amorediverso che è legato essenzialmente allafede del discepolo di Gesù. Si tratta del-l’amore che Dio ha depositato nei cuori deicredenti per mezzo dello Spirito (cfr Rm5,5). Questo amore entra nella consapevo-lezza dei credenti quando costoro pren-dono coscienza dell’amore di Dio per

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ciascuno di essi. Per capire come Dio amiil credente, costui è chiamato a entrarenello spirito della fede che contempla elegge la storia della propria vita come storiadi salvezza. Tale amore, presente nelmondo interiore come dono dello Spiritoed elevato a consapevolezza dalla fede con-templante, va vissuto a imitazione del Mae-stro (amatevi come io vi ho amati: cfr Gv13,34; 15,9.12). Tale amore, gestito se-condo il pensiero di Dio (cfr Mc 8,33), hacome destinatari tre soggetti: se stessi, ilprossimo e Dio. Non si può amare Dio enon amare il prossimo e se stessi, come nonsi può amare in modo corretto (secondo ilpensiero di Dio) se stessi, senza amare Dioe il prossimo.

2. Il testo liturgico ha ritoccato in modo pe-sante il teso originale biblico. Il testo biblicodi Mc 12,28-34 dice infatti: “Allora si avvi-cinò a lui uno degli scribi che li aveva uditidiscutere e, visto come aveva ben rispostoa loro, gli domandò: «Qual è il primo...?»”.Il testo liturgico recita: “In quel tempo, siavvicinò a Gesù uno degli scribi e gli do-mandò: «Qual è il primo...?»”. Nel primocaso lo scriba si avvicina a Gesù ben con-sapevole di trovarsi di fronte a un interpreteautorevole delle Scritture, perché aveva zit-tito i sadducei. Nel secondo caso lo scribaappare come un semplice ebreo che desi-dera conoscere da un rabbino la soluzionedi un problema. La risposta di Gesù alloscriba appare di alto profilo, tanto da esau-rire la problematica. Sul tema non c’eraaltro da dire e per questo motivo “nessunoaveva più il coraggio di interrogarlo”. Il

testo biblico-liturgico si può suddividere indue momenti: il primo dialogo tra lo scribae Gesù (Mc 12,18-31), il secondo dialogotra lo scriba e Gesù (Mc 12,32-34).Nel primo dialogo Gesù offre la rispostaallo scriba attraverso la citazione della pre-ghiera quotidiana. Le risposte alle grandidomande della fede, prima di cercarlenell’elaborazione teologica, si cercano nellacontemplazione della preghiera. Il piùgrande comandamento è l’amore versoDio che implica una fedeltà senza limiti(tutto il cuore, tutta la mente, tutta la forza).Il secondo comandamento (“Amerai ilprossimo tuo come te stesso”) è legato alprimo, perché nel primo trova il suo fonda-mento, e riguarda il prossimo (senza esclu-sioni). In questo secondo è incluso un terzocomandamento: l’amore verso se stessi.L’amore vero e completo del credente hasempre tre destinatari: Dio, il prossimo e sestessi. Se l’amore del credente non si rivolgea tutti e tre i destinatari, ha qualche cosa diimmaturo e di non equilibrato.Samuele dice a Saul che l’obbedienza aDio vale più di ogni sacrificio e olocausto(1 Sam 15,22): Geremia rincara la dose af-fermando che il vero culto è “ascoltare” lasua parola (Ger 7,22-23). Non a caso Gesùinizia la sua risposta citando il testo biblicoche invita all’ascolto (“Ascolta, Israele”).Ciò che colpisce nel dialogo tra lo scriba eGesù è la seconda parte. Lo scriba affermache l’amore di Dio e del prossimo (e di sestessi) vale più dei sacrifici e degli olocausti.L’amore, dunque, insieme all’ascolto e al-l’obbedienza a Dio, diventano un vero attodi culto a Dio.

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Gesù risponde che lo scriba non è lontanodal Regno: la risposa di Gesù è chiara-mente comprensibile alla luce di quanto af-ferma Paolo in Rm 12,1: il vero cultosecondo lo Spirito (“culto spirituale”) è lapromozione in se stessi di tutto ciò che èvita vera (“sacrificio vivente”), assieme aldono di tutto ciò che è vita vera agli altri(“santo”, capace cioè di contaminare divita).

3. La prima lettura, Dt 6,2-6, presenta l’an-tica preghiera che è un atto di fede e chenoi cominciamo ad abituarci a chiamareShema’ Israel (Ascolta, Israele), come i nostrifratelli ebrei. La prima parte del testo (Dt6,2-3) contiene un’esortazione a osservarei comandamenti di Dio per ottenere la be-nedizione divina. La seconda parte (Dt 6,4-6) contiene l’atto di fede. Dopo laconfessione di fede sull’unicità di Dio(Yhwh è uno), si trova l’imperativo che co-manda di amarlo. Dio non comanda unsentimento, ma una scelta. È tutto l’uomo(cuore, anima, forze) che è chiamato a sce-gliere la fedeltà verso colui che, come buonPadre, lo tratta da figlio (cfr Os 11,1).

Il salmo responsoriale, Sal 17,3bc; 4; 47-51ab, manifesta l’amore di Dio verso il suopopolo attraverso i titoli divini (mia roccia,mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, miarupe, mio scudo e baluardo, mia potentesalvezza) e le sue azioni nella storia (mi li-berò perché mi vuol bene).La Colletta generale suggerisce che l’amoredell’uomo verso Dio prende la fisionomiadel “servizio”. La Colletta particolare, in-vece, si apre con la confessione di fede (am-plificazione dell’invocazione) e proseguecon il suggerimento di ascoltare la Parolacon tutto se stessi (cuore, sensi, mente).

4. La Lettura semicontinua salta Eb 5,7-7,22 e legge, come seconda lettura, il testodi Eb 7,23-28. Il testo affronta il tema delsacerdozio di Cristo in comparazione conil sacerdozio levitico. Il sacerdozio leviticoera presente in uomini che diventavanopreda del peccato e della morte. Il sacerdo-zio di Cristo, invece, è santo, innocente,senza macchia, separato dai peccatori edelevato sopra i cieli, perché Cristo è risorto.Cristo, il figlio di Dio, è stato così reso per-fetto dal Padre per sempre.

DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE9 novembre 2012

Ez 47,1-2.8-9.9-12dal Sal 45,R./ Un fiume rallegra la città di Dio.1Cor 3,9c-11.16-17Gv 2,13-22

1. Dopo l’editto di Milano, Costantinovolle offrire al Papa una chiesa che mani-festasse la grandezza della fede cristiana,ora libera di essere accolta da chiunque de-siderasse, senza l’incubo della persecu-

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zione. Verso il 324, l’imperatore fece edi-ficare una grande basilica nei terreni deiLaterani. Per secoli la comunità cristianadi Roma fece memoria di questo eventostraordinario. Quando nel 1565 ci fu la ri-forma del calendario liturgico, la festadella dedicazione della Basilica Latera-nense, fino ad allora vissuta dalla comu-nità romana, venne estesa come festa pertutte le comunità cattoliche di rito latino.La decisione fu presa per evidenziarecome questa basilica fosse la “madre ditutte le chiese” di Roma e del mondo. Ilmotivo era semplice e chiaro: lì il Papaaveva la sua cattedra. La basilica latera-nense era dunque considerata come la“madre di tutte le chiese” di Roma e delmondo. Fare memoria della dedicazionedella Basilica lateranense equivale a pro-fessare l’amore, l’unione e la fedeltà a“Pietro e ai suoi successori”. Accanto aquesta dimensione non va dimenticato iltema dell’onore da dare alla chiesa-edifi-cio. L’ordinamento precedente del Mes-sale (edizione tipica seconda) diceva: “Ifedeli, poi, tengano nel dovuto onore lachiesa cattedrale della loro diocesi e la pro-pria chiesa parrocchiale; e considerinol’una e l’altra segno di quella Chiesa spiri-tuale alla cui edificazione e sviluppo sonochiamati dalla loro professione cristiana”(n. 255). Il nuovo Ordinamento del Mes-sale non parla più così, ma i testi della ce-lebrazione dicono la stessa teologia: “Neltuo amore per l’umanità hai voluto abitarelà dove è raccolto il tuo popolo… QuestaChiesa misticamente adombrata nel segnodel tempio, tu la santifichi sempre…”.

2. Il testo biblico-liturgico del vangelo èstato privato della sua conclusione naturaledi Gv 2,22. La Liturgia sopprime questoversetto semplicemente perché il suo obiet-tivo non è quello di evidenziare il tema an-nuncio-adempimento circa il mistero dellarisurrezione, ma quello di presentare il mi-stero del tempio.L’episodio di Gv 2,13-22 si colloca durantela “Pasqua”, che viene definita non come“Pasqua del Signore” (dicitura corretta),ma “Pasqua dei Giudei”. Giovanni vuoleindicare che ormai tutto il sistema cultualeebraico non rispondeva più alla volontà diDio, ma a un suo proprio disegno ideolo-gico che progressivamente e fatalmente siallontanava dalla volontà divina. L’episodioha diversi significati. Il profeta Zaccariaaveva annunciato che ai tempi del Messianon ci sarebbero stati mercanti nel tempio.Il gesto di Gesù, perciò, ha un primo valoredi adempimento delle Scritture e, perciò, diautorivelazione. Gli elementi del culto, poi,sono fondamentalmente buoi, pecore, co-lombe e denaro. Gesù elimina dal tempiotutte queste realtà, togliendo praticamenteal culto gli elementi su cui il culto stessopoggiava. Gesù, dunque, manifesta chiara-mente l’intenzione di annullare la formadel culto sacrificale templare, così come an-nuncerà alla samaritana (Gv 4,21-24). I di-scepoli, infine, danno all’episodio unadoppia interpretazione. La prima è con-temporanea all’avvenimento stesso: po-trebbe alludere al messianismo e alla mortecruenta di Gesù (“Lo zelo per la tua casami divorerà”). Questo episodio, infatti, fula base di una delle accuse a Gesù durante

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il processo e degli insulti durante la croci-fissione. La seconda arriverà dopo gli avve-nimenti pasquali: il corpo di Cristo è il verotempio di Dio. I credenti incontrano Dioin Cristo, non più nel tempio. Il corpo ri-sorto di Cristo, nel quale tutti i battezzatisono innestati, è il vero luogo in cui si adoraDio in Spirito e Verità.

3. Durante l’esilio di Babilonia, il profetaEzechiele intravede la ricostruzione idealedi Gerusalemme e, al suo centro, il tempiodi Dio. La nuova situazione sarà paragona-bile a quella paradisiaca: Le acque deiquattro fiumi dell’Eden sono ora un fiume,le cui origini si trovano “sotto la soglia deltempio”. Queste acque sono acque di vita.Risanano il mare dove si versano. Tutto ciòche toccano rivive. Il pesce sarà abbondan-tissimo. Sulle rive cresceranno alberi le cuifoglie non appassiranno e i cui frutti noncesseranno. Si tratta della straripante vitadi Dio che nasce dal tempio. Il Salmo re-sponsoriale riprende il tema del “fiume” edella presenza di Dio in mezzo alla città diDio. La rilettura cristiana è evidente: la

città dove Dio risiede è la comunità dei cre-denti. La prima Colletta riprende il temapetrino delle “pietre vive” con le quali loSpirito formerà la Gerusalemme del cielo.La seconda Colletta esplicita il concetto diChiesa nell’amplificazione (“O Dio, che haivoluto chiamare tua Chiesa la moltitudinedei credente…”) e nella petizione chiedeche il popolo di Dio ami il Signore, lo seguae sotto la sua guida giunga ai beni pro-messi.

4. Il testo della seconda lettura (1Cor 3,9c-11.16-17) affronta sinteticamente due temi.Il primo riguarda il fondamento della fedee della comunità. Da buon architetto, Paoloha posto a fondamento Gesù Cristo. Altripoi potranno costruirvi sopra. Il secondotema riguarda l’identità della comunità cre-dente. Essa è il tempio di Dio, inabitatodallo Spirito. Chiunque faccia qualche cosaper distruggere questo tempio, Dio distrug-gerà costui. In un tempo come il nostro,sono parole di consolazione, di conferma edi fondata speranza.

XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - B11 novembre 2012

1Re 17,10-16dal Sal 145,R./ Loda il Signore, anima mia.Eb 9,24-28Mc 25,1-13

1. Gesù ha sottolineato diversi elementi chevanno posti a fondamento del comporta-mento cristiano. Tra questi elementi, nevanno evidenziati due: la logica del sembrare

e dell’essere e la giustizia proporzionale. Neltesto biblico si trova spesso l’intervento di

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Gesù che respinge la logica del sembrareper dare spazio alla logica dell’essere. Nelvangelo di Matteo c’è una pericope doveper ben sette volte Gesù ripete “Guai a voi,scribi e farisei ipocriti (= commedianti)”. Ilrimprovero contenuto in questo brano po-trebbe essere sintetizzato da alcune espres-sioni come: “Pagate la decima della menta,dell’anèto e del cumìno, e trasgredite leprescrizioni più gravi della legge”; “Guidecieche, che filtrate il moscerino e ingoiateil cammello!”; “Rassomigliate a sepolcriimbiancati: essi all’esterno sono belli a ve-dersi, ma dentro sono pieni di ossa di mortie di ogni putridume”; “Voi apparite giustiall’esterno davanti agli uomini, ma dentrosiete pieni d’ipocrisia e d’iniquità”. Anchein Mc 12,38-40 mostra la doppia moraledegli scribi: apparire (lunghe vesti, saluti,primi posti, lunghe preghiere) e l’essere (di-vorare le case delle vedove, simbolo di ognipovertà e di ogni povero indifeso). Gesùnon accetta la logica di sembrare discepolisuoi, ma rivendica quella di essere discepolisuoi. Coloro che accettano, invece, la logicadel sembrare, nascondono spesso un essere

molto discutibile.Anche accettando la logica dell’essere, biso-gna avere prudenza. Nella logica dell’essereGesù insegna che bisogna guardare in pro-fondità. Già nella parabola dei talenti, nellaversione di Matteo, chi riceve cinque talentie chi ne riceve due, dopo averne restituitidieci e quattro, viene premiato con la stessaidentica approvazione dal padrone. Anchedi fronte al buon ladrone possiamo notarecome Gesù proceda sempre per propor-zione: assicura il Paradiso a chi non può

che riconosce il vero e fidarsi. Nel testo diMc 12,38-40, i ricchi certamente dannomolto e la vedova offre poco. Tuttavia iprimi donano il superfluo. La vedova offreil proprio necessario per vivere. L’orizzonteofferto dalla prima lettura (1Re 17,10-16)in qualche modo completa il discorso diGesù: il premio di Dio va alla vedova.

2. Il testo evangelico può essere proclamatoin forma lunga (Mc 12,38-44) o in formabreve (Mv 12,41-44). Il testo evangelico ori-ginario dice: “Diceva loro nel suo insegna-mento: «Guardatevi…»”. La formaliturgica lunga ha un incipit piuttosto lungo:“In quel tempo, Gesù nel tempio dicevaalla folla nel suo insegnamento: «Guarda-tevi…»”. Il testo liturgico chiarisce il mit-tente (Gesù), apre la deissi (loro = alla folla),evidenziando il destinatario. Il testo è lette-rariamente composto da due brani distinti:il primo riguarda la distanza che i discepolidevono avere nei confronti degli scribi (Mc12,38-40), mentre il secondo riguardal’obolo della vedova (Mc 12,41-44).Quest’ultimo testo, a sua volta, comprendela descrizione del fatto (Mc 12,41-42) e l’in-segnamento di Gesù sul fatto stesso (Mc12,43-44). I brani che riguardano gli scribie la vedova contengono giudizi opposti. Dauna parte Gesù disapprova il comporta-mento dei primi e resta ammirato dal com-portamento della seconda. I due brani sonostati associati, probabilmente perché in tuttie due è presente la “vedova”, figura biblicaemblematica, insieme all’orfano e all’op-presso, per indicare i poveri della societàebraica.

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Il comportamento degli scribi viene lettoda Gesù su due piani, quello dell’atteggia-mento interiore e quello del comporta-mento. A livello di atteggiamento interiore,Gesù evidenzia l’insaziabilità di catturareattenzione, consenso, ossequio. Ciò li portaa vestirsi in un certo modo (non come glialtri), a porsi al centro dell’attenzione al-trui, sia in ambito religioso sia in ambito so-ciale, collocandosi in quella sottile linea chesepara il solenne dal ridicolo. A livello diprassi, Gesù evidenzia il comportamentoimmorale verso il prossimo (derubare le ve-dove) e verso Dio (Pregare per farsi vedere).Il sembrare credenti non potrà mai sostituirel’essere credenti.La vedova appare in tutt’altra luce. Sicura-mente, a un puro giudizio umano, lei è unaperdente. I ricchi, infatti, gettavano“molte” monete. La vedova offriva solo unsoldo, concretizzato in due monetine. I ric-chi donavano solo “parte” del loro “super-fluo”. Lei, invece, con il suo senso di libertàe di distacco si fida totalmente di Dio edona a Dio anche il necessario per vivere.L’animo dei ricchi è ben diverso dall’animodella vedova. La vedova ha in qualchemodo incarnato e anticipato lo stile di Gesùche la Colletta particolare definisce come“colui che ha donato tutto se stesso”. Le pa-role solenni di Gesù (“in verità io vi dico”)manifestano la profonda sintonia del Mae-stro con questa donna e con il suo gesto.

3. La prima lettura, 1Re 17,10-16, illustrala generosità della vedova di Sarèpta versoElia, una generosità lontana dal criterio dimerito-demerito nei confronti di quel Dio

che, comunque, non si lascia mai vincerein generosità. La vedova di Sarèpta si lasciaconvincere a donare al profeta la focaccia,fatta con la manciata di farina e con il pocoolio, a causa della parola del profeta stesso.Si tratta dell’apparente poco, che è molto.La risposta generosa della vedova salva lasua vita a lei e al figlio. Il salmo responsoriale, Sal 145,7; 8-9a; 9b-10, è già stato visto nella XXIII domenicadel Tempo Ordinario, anno B. A quantogià detto allora, va aggiunto quanto il con-testo liturgico evidenzia: Dio sta dalla partedi chi è “ultimo”, ma non accetta l’empio(anche se questi è povero). La Colletta generale è un testo teologica-mente ricco, ma in labile sintonia con la Li-turgia della Parola. La Colletta particolare,invece, si dimostra attenta al tema della fi-ducia nella Parola di Dio (“sostiene la spe-ranza del povero che confida nel tuoamore”). In questo tema è presente la ve-dova di Sarèpta che crede alla parola delprofeta. La vedova di Sarèpta è ancora pre-sente nel fine della petizione (“perché maivenga a mancare la libertà e il pane che tuprovvedi”). Nel tema della donazionescompaiono sia la vedova di Sarèpta sia lavedova del vangelo. L’esempio è Gesù (“etutti impariamo a donare sull’esempio dicolui che ha donato se stesso”).

4. La lettura semicontinua della lettera agliEbrei salta Eb 7,29-9,23 e riprende con Eb 9,24-28. Si tratta della conclusione dellalunga pericope Eb 7,20-9,28 (l’autenticosacerdozio di Cristo). Vengono puntualiz-zate alcune caratteristiche ben precise del

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sacerdozio di Gesù. Il Signore, con il suosacrificio, è entrato non in un “santuariofatto da mani d’uomo”, ma nel cielo stesso,dove “abita” Dio. Lì intercede presso ilPadre a favore degli uomini. Diversamentedai sacrifici veterotestamentari, fatti da sa-cerdoti peccatori e in santuari umani, il sa-

crificio di Cristo è degno del santuarioeterno e ha un valore permanente, eterno.Per questo motivo Cristo nella sua parusia

sarà salvezza per tutti coloro che avrannosaputo aspettarlo, secondo il suo insegna-mento.

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - B18 novembre 2012

Dn 12,1-3dal Sal 15,R./ Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.Eb 10,11-14.Mc 13,24-32

1. Questa domenica è la penultima dome-nica dell’anno liturgico. Una lunga tradi-zione del Lezionario della Chiesa legge inquesto periodo testi biblici che trattano iltema della fine del mondo. Tale temaverrà, poi, ripreso all’inizio del prossimoanno liturgico che incomincerà con laprima domenica di avvento). Si tratta diuna specie di passaggio tematico: la finedell’anno liturgico collima con l’avvio del-l’anno liturgico successivo. La fine delmondo, per i testi biblici, è lo scenario della“parusia” (il secondo e ultimo ritorno diCristo). Quando avverrà il secondo ritorno di Cri-sto? C’è un gruppo di persone che si ostinaa stabilire date per indicare la fine delmondo. Alcune hanno incominciato nellontano 1914. Visto che le cose non sono

andate per il verso giusto, la data fu spo-stata per il 1918. Andata male anche que-sta previsione, il tutto fu semplicementeposposto al 1925. Non è successo niente.Nonostante tutto, l’umanità peccatrice, leguerre, le carestie, i terremoti andavanoavanti imperterriti. La data venne fissataper il 1941. Poi fu la volta del 1975. Ancorauna volta non è successo niente. Il giornaledi un gruppo scriveva (edizione in linguainglese: 15.10.1980, p. 31): “È altamenteimprobabile che questo mondo duri fino al2000”. Si è passati dalla certezza alla pro-babilità. È già un bel passo avanti, ma lacaparbietà di voler calcolare i tempi di Diopermane. Ultimamente, altri gruppi di per-sone hanno stabilito che la fine del mondopotrebbe accadere nel 2012. Sembra unadi quelle “telenovelas” senza capo né coda.Quando, dunque, avverrà il secondo ri-torno di Cristo? Non è dato di conoscere.Chiarissima in merito è la risposta di Gesù:“Quanto a quel giorno e a quell’ora, nes-suno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio,ma solo il Padre” (Mt 24,32). Il cristiano,

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seguendo l’insegnamento del Maestro(“Anche voi tenetevi pronti, perché il Figliodell’uomo verrà nell’ora che non pensate”:Lc 12,40), deve solo essere pronto, sempre,in ogni momento, all’incontro finale conDio. Il tempo ultimo viene dopo il tempo dellatribolazione. Confondere questi due tempisignifica creare stupidi allarmismi dove habuon gioco più la paura che la convinzionedi fede. Il tempo ultimo è un tempo “im-provviso”, non prevedibile o umanamentecalcolabile. In quel tempo, descritto dal-l’evangelista con scenari apocalittici, com-parirà il Figlio dell’uomo. Il Figliodell’uomo, Dio (cfr il valore dell’espressionebiblica “sulle nubi” e l’espressione “grandepotenza e gloria”) e giudice (cfr Mc 14,62dove Gesù si identifica con il Figlio del-l’uomo, davanti al giudice umano che erail sommo sacerdote), tornerà per la “sal-vezza” dei credenti e il giudizio delle genti.Il testo di Marco è influenzato dal testoapocalittico di Enoch che dice: “In quelgiorno i giusti e gli eletti sono salvati”.

2. Il discorso apocalittico di Gesù copre inMarco quasi un capitolo (Mc 13,5-37). Ditutto questo materiale letterario la Liturgiaha scelto solo pochi versetti finali: Mc13,24-32. Sotto il profilo esegetico, la Li-turgia ha fatto una scelta interpretativa. Ilv. 32 (“Quanto poi a quel giorno o a quel-l’ora, nessuno li conosce, neanche gli angelinel cielo, e neppure il Figlio, ma solo ilPadre”), che è la risposta alla domanda ini-ziale di Pietro (Mc 13,4a “Dicci, quandoaccadrà questo”), viene diversamente inter-

pretato. Alcuni biblisti lo vedono comeconclusione del brano precedente (Mc13,28-31) che riguarda la certezza della pa-

rusia. Altri, invece, vedono il versetto comeintroduzione del brano successivo (Mc13,33-37) che riguarda il bisogno della ve-glia a causa dell’incertezza del momentoesatto. La Liturgia sceglie la prima inter-pretazione. Il testo biblico e il testo biblico-liturgico fondamentalmente coincidono,eccetto per l’incipit (“In quel tempo, Gesùdisse ai suoi discepoli”) che intende ripren-dere Mc 13,5, cioè il testo narrativo con cuiMarco introduce il discorso escatologico(“Gesù si mise a dire loro”). Il brano di Mc13,24-32 si può agevolmente dividere indue parti. Nella prima, Mc 13,24-27, vieneannunciato il tema della venuta del Figliodell’uomo. Nella seconda parte, Mc 13,28-32, è affermata l’imminenza dell’evento.Attraverso citazioni e allusioni bibliche ve-terotestamentarie (cfr Is 13,10; 34,4 ; Gl2,10-11; ecc.) l’evangelista descrive lo sce-nario apocalittico nel quale comparirà il Fi-glio dell’uomo. Come all’inizio dellaGenesi (Gen 1,1-3) le tenebre precedetterola prima opera della creazione, cioè la luce,così la fine del mondo viene vista come l’in-verso della creazione: i fenomeni cosmicipongono fine agli elementi che illuminanol’universo (sole, luna, astri).Gesù, che si autodefinisce “Figlio del-l’uomo”, ritorna per giudicare gli uomini.Marco sfuma il tema del giudizio ed evi-denzia il ritorno del Figlio come venuta disalvezza per i credenti (influenza della teo-logia di Enoch: “in quel giorno i giusti e glieletti sono salvati”). Il giudizio, dunque, ap-

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pare in Marco come l’ultimo atto del pro-getto salvifico di Dio.Il paragone del fico (vv. 28-29) coinvolge gliascoltatori. Come i segni di maturazionedel fico annunciano l’imminenza del-l’estate, così quando accadranno “questecose” (cfr tutto il discorso apocalittico e, inmodo particolare, la comparsa dell’anticri-sto).Con il detto del v. 30 Gesù non intende sta-bilire quando avverrà la fine. Si tratta, in-fatti, di un detto con “prospettivaapocalittica” (il tempo tra il presente e il fu-turo è “schiacciato”). Intende, infatti, affer-mare che gli avvenimenti profetizzatiiniziano già con la distruzione di Gerusa-lemme. Tale evento anticipa, contiene e ri-produce, pur nel limite temporale egeografico, gli avvenimenti che capite-ranno a livello cosmico alla fine del mondo.Da una parte c’è una preoccupazione diGesù perché la comunità cristiana si tengasempre pronta a questo incontro con il Fi-glio salvatore, dall’altra c’è la preoccupa-zione di non avvilire a meschina questionedi calendario l’incontro con colui che giu-dica e salva. La risposta di tipo apocalittico(v. 32) ha proprio questa funzione: non ri-spondere all’iniziale domanda dei discepoli(Mc 13,4: “Dicci, quando accadrà que-sto...”), ma affermare la signoria di Dionella storia dell’uomo e garantire la soliditàdella parola di Gesù.

3. Il brano della prima lettura, Dn 12,1-3,è un testo apocalittico tratto da un testo piùampio, Dn 12,1-13. La Liturgia ha prefe-rito ritagliare i vv. 1-3 perché il testo suc-

cessivo è troppo legato alla figura di Da-niele e alla situazione storica del redattore.I versetti proclamati nella Liturgia descri-vono brevemente il tempo della fine, in cuisorgerà Michele che vigila sul popolo diDio e chiunque si trovi scritto nel libro saràsalvato. Il punto centrale del testo consistenella novità assoluta per il pensiero ebraico:“molti di quelli che dormono nella regionedella polvere si risveglieranno”. Alla finedel tempo c’è la risurrezione.Il salmo responsoriale, Sal 15,58; 9-10; 11,traduce in preghiera alcuni temi presentinella prima lettura: la fede in Dio (v. 5), lafedeltà a Dio (v. 8), la risurrezione (v. 10).Alla splendida speranza che scaturisce dalleletture, il Salmo aggiunge il tema dellagioia: gioisce il mio cuore, esulta la miaanima (v.9), gioia piena nella tua presenza,dolcezza senza fine alla tua destra (v. 11). La Colletta generale riprende il tema dellagioia, anticipandola nel servizio compiutonella storia (“Il tuo aiuto, Signore, ci rendasempre lieti nel tuo servizio”). Ciò permettedi anticipare ciò che verrà vissuto nella di-mensione escatologica (“perché solo nelladedizione a te, fonte di ogni bene, possiamoavere felicità piena e duratura”).La Colletta particolare riprende alcune te-matiche della prima lettura: la cura divinaper il suo popolo (ampliamento dell’invo-cazione: “O Dio, che vegli sulle sorti deltuo popolo,”), la fede nella risurrezione(prima petizione: “accresci in noi la fedeche quanti dormono nella polvere si risve-glieranno”). La seconda parte della Col-letta ingloba nel fine della petizione sial’escatologia personale sia quella universale

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(“perché operosi nella carità attendiamoogni giorno la manifestazione gloriosa deltuo Figlio”).

4. La seconda lettura, Eb 10,11-14.18, siconcentra sul sacrificio di Cristo (vv. 11-18:da questi versetti la Liturgia ha tolto la ci-tazione veterotestamentaria di Ger 31). Lacentralità teologica della pericope si trova

in Eb 10,14.18. Con la sua offerta GesùCristo ha “reso perfetti per sempre quelliche vengono santificati” (v. 14). Di conse-guenza, “dove c’è il perdono”, “non c’è piùbisogno di offerta per il peccato” (v. 18). Ilperdono di Gesù è assoluto e viene donatoa coloro che lo vogliono accogliere. Per co-storo, dunque, non c’è più bisogno di “of-ferta per i peccati”.

NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO- B25 novembre 2012

Dn 7,13-14Sal 92, 1ab; 1c-2; 5R./ Il Signore regna, si riveste di splen-dore.Ap 1,5-8Gv 18,33b-37

1. Il mondo biblico, per esprimere espe-rienze e concetti che riguardano Dio, siè rifatto al linguaggio presente nella suaesperienza storica. Israele sa che il suore vero non è il re in carne e ossa che go-verna il popolo di Dio, ma è Yhwhstesso. Il re è solo “figlio di Dio” e rap-presenta Dio. La regalità vera è solo diDio. Nell’apocalittica biblica veterote-stamentaria il “regno di Dio” vennevisto come una realtà in contrapposi-zione ai regni di questo mondo (cfr Dan7,1-8). Al momento stabilito da Dio (chesi identifica con l’ultimo eone, cioè conla parte finale della storia precedente lafine del mondo e che i cristiani fanno

iniziare con la morte-resurrezione diGesù) il regno del Figlio dell’uomo (cheè il regno di Dio) trionferà nei confrontitotalitaristici dei regni degli uomini. Pervisione totalitaristica dei regni degli uo-mini si intende la pretesa che ogni“regno” (potere politico e/o culturale)ha di sottomettere tutti gli uomini a sé ealla proprie teorie o visioni del mondo. L’esperienza di fede biblica si è river-sata, in un momento particolare dellastoria, nella Liturgia. Davanti al mondomoderno, segnato dall’ateismo e dallasecolarizzazione, Pio XI voleva testimo-niare l’autorità di Gesù sugli uomini esulle istituzioni umane. Nel 1925 emanòl’enciclica Quas Primas (11 dicembre) concui istituiva la festa di Cristo Re. La ri-forma liturgica promossa dal ConcilioVaticano II ha ripreso tale festa per evi-denziare il carattere universale e finale(escatologico) della regalità di Gesù.Dall’ultima domenica di Ottobre (Cristo

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Re precedeva la festa di tutti i santi) èstata spostata all’ultima domenica del-l’anno liturgico (chiude l’anno liturgico). Sulla croce di Gesù c’era un cartiglio tri-lingue, insolente e sprezzante: Gesù Na-zareno, re dei Giudei. Durante ilprocesso di Pilato il Maestro aveva con-fessato con chiarezza di essere re, manon secondo la logica del mondo: “Ilmio regno non è di quaggiù”. Il suoRegno non risponde ai parametri concui gli uomini definiscono un regno.Gesù è nato per essere re ed è re perrendere testimonianza alla verità, chenel mondo biblico esprime la traspa-renza e la affidabilità di Dio. Chi, dun-que, accetta che Dio sia affidabile,accoglie la voce del re. Il Regno di Gesùappartiene a un mondo diverso dal no-stro e si identifica con la signoria di Dionel mondo interiore degli uomini.Quando Dio è “Signore” nel mondo in-teriore dell’uomo, in quell’uomo si è in-staurato il Regno di Dio. Tale Regno siè instaurato in tutta la sua pienezzanella persona di Cristo stesso. Egli ècontemporaneamente il Re e il Regno.Ogni discepolo che imita il suo Maestrorende presente, dentro di sé e nella sto-ria, il Regno di Cristo. Quando il disce-polo verrà, alla fine della storia,manifestato come risorto, allora ilRegno che i credenti invocano nella pre-ghiera (“venga il tuo regno”) sarà com-pleto.

2. Il racconto del processo nel vangelodi Giovanni è articolato in sette scene

che si corrispondono: la prima scena(18,28-32: i giudei chiedono la morte diGesù) è in parallelo con la settima(19,12-16a: i giudei ottengono la con-danna a morte); la seconda (18,33-38a:Pilato interroga Gesù sulla sua regalità)corrisponde alla sesta scena (19,9-11:Dialogo tra Pilato e Gesù circa il temadel potere): la terza scena (18,38b-40:Pilato trova Gesù innocente, ma per-mette la scelta di Barabba) è legata stret-tamente alla quinta (19,4-8: Pilatopresenta Gesù innocente con l’espres-sione “Ecco l’uomo”); infine al centro diquesto parallelismo concentrico si trovala scena della flagellazione (19,1-3). Iltesto di Gv 18,33-37 costituisce la se-conda parte del racconto della passionesecondo Giovanni ed è legato, a causaella struttura concentrica del raccontodella passione, al brano di Gv 19,9-11dove Gesù e Pilato discutono sul temadel potere. Gesù è Re perché “è” auto-rità, non perché “ha” il potere. La let-tura liturgica ha perso qualche cosadella finezza narrativa dell’evangelista.Giovanni faceva capire bene che Pilatoera influenzato dai Giudei (“Pilato al-lora rientrò di nuovo nel pretorio, fecechiamare Gesù e gli disse”). Il testo li-turgico dice semplicemente: “In queltempo disse Pilato a Gesù:”. La Litur-gia, inoltre preferisce chiudere anticipa-tamente la pericope, lì dove c’èl’autorivelazione di Gesù come re. Iltesto di Gv 18,33-37 si articola su duetematiche: la ricerca di colpevolezza daparte di Pilato nei confronti di Gesù (vv.

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33-35) e la discussione sul regno di Gesù(vv. 36-37).Pilato è un uomo di apparato. Egli è col-pito dall’accusa che Gesù sia re (“Tu seiil re dei Giudei?”; “Dunque tu sei re?”).Le due domande di Pilato forniscono aGesù la possibilità di chiarire che cosasia il suo Regno e che ruolo egli stessoabbia in rapporto al Regno.Il Regno di cui Cristo è Re non è para-gonabile a nessun regno di questomondo. Il regno di Gesù non è in con-correnza con ciò che è umano e non èretto secondo la logica umana. Gesù, in-fatti, chiarisce che il suo “regno non è diquaggiù” e che i suoi “servitori avreb-bero combattuto perché non” fosse con-segnato ai Giudei. La regalità di Gesù o,meglio, la sua signoria viene offerta agliuomini nella sua incarnazione (“Perquesto sono nato”). Nella logica di “Dioche si fa uomo” possiamo scoprire comela signoria divina non attenda gli uo-mini, ma vada incontro ad essi. Non im-pone ingiunzioni, ma “testimonia” laverità. Per Giovanni la verità è la trasparenzadivina nei confronti dell’uomo, la sua fe-deltà e la sua affidabilità. Tutte questenon sono qualità della persona di Dio,sono la persona stessa di Gesù perchéegli è la “verità” (Gv 14,6). La verità dicui Gesù discorre con Pilato non è altroche la propria persona, ciò che dice eciò che fa. Gesù, infatti, essendo dall’“alto” (Gv 8,23) e essendo l’unico di-sceso dal cielo (Gv 3,13), ha udito le pa-role del Padre (Gv 8,26) e ha visto le sue

azioni (Gv 5,19). Egli, dunque, è ingrado di manifestare il vero volto di Dioe l’amore di Dio verso l’uomo.Il discepolo, che ascolta e accoglie ilMaestro in tutto ciò che fa ed è, lo seguenel cammino dell’imitazione, diven-tando progressivamente una cosa solacon lui (Gal 2,20: “Non sono più io chevivo, ma Cristo vive in me”). La signoriadi Gesù in lui diventa sempre piùgrande fino a completarsi - come dono- nella risurrezione dai morti. Allora lasignoria di Gesù sul discepolo sarà totaleperché il discepolo sarà simile a Gesù(1Gv 3,2).

3. Il testo di Dan 7,13-14 contiene iltesto apocalittico dove i cristiani, spintidall’uso che ne ha fatto Gesù, vedononel Figlio dell’uomo la persona stessadel Maestro e nel regno del Figlio del-l’uomo, il regno di Gesù e di Dio. Innetta contrapposizione con i regniumani, rappresentati da bestie, il regnodi Dio è rappresentato dall’uomo.L’uomo è immagine di Dio, destinato adominare sulle bestie: il regno di Dio,che subirà pressioni e dominazione daparte del regno degli uomini, alla finetrionferà e sarà superiore al regno degliuomini.Il salmo responsoriale è formato dapochi versetti (Sal 92,1ab; 1c-2; 5) delpure già breve salmo regale originale.Inserito dopo la prima lettura, il salmoreposnosriale prende la fisionomia diuna confessione di fede attraverso laquale l’assemblea riconosce in Cristo il

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“Signore che regna”. È la regalità diCristo che “rende saldo il mondo” per-chè il mondo “è stato fatto per mezzo dilui e senza di lui niente è stato fatto ditutto ciò che esiste” (cfr Gv 1,3).La Colletta generale, dopo aver sinteti-camente descritto l’opera salvifica delPadre in Cristo, Re dell’universo (“ODio onnipotente ed eterno, che hai vo-luto rinnovare tutte le cose in Cristo tuoFiglio, Re dell’universo,”), domanda ilcompimento della fine del mondo, allu-dendo a un passaggio impercettibiledalla storia all’eternità, presentando unservizio e una lode del credente “senzafine”.La Colletta particolare, coniuga il temadel sacerdozio regale (2° lettura) con iltema del servizio. La Liturgia concepi-sce il servire come un regnare. Questaconcezione teologia ha il suo fonda-mento nella passione, morte e resurre-zione di Cristo per l’umanità. Gesù è il

servo che dona la vita per gli uomini.Ciò lo rende re ed è salvezza per l’uma-nità.

4. La seconda lettura (Ap 1,5-8) associain modo armonico i temi della primalettura con i temi evangelici. Sebbene ri-toccata, la pericope cerca di “concretiz-zare” la testimonianza-rivelazione diGesù (cfr il vangelo). Tale testimo-nianza-rivelazione viene identificata daltesto nella sua morte (“ci ha liberati dainostri peccati con il suo sangue”), nellasua risurrezione (“primogenito deimorti”) e nella formazione di un popolosacerdotale. La sua testimonianza “ve-race” continuerà fino alla fine della sto-ria, quando nella parusia compariràcome giudice (cfr. la prima lettura) e li-beratore per i peccatori (“si batterannoil petto per lui”) e come salvatore per icredenti che proclameranno la lorogioia: Sì. Amen.

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Animazione Liturgica

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Culmine e Fonte 5-2012Per comprendere la Scrittura

Negli articoli precedenti di questa ru-brica sono stati esaminati alcuni testiche hanno un’importanza particolaresia per la ricchezza del loro messaggiosia per la comprensione stessa dellaTorah nella profondità e bellezza dellesue prospettive teologiche. A partireda questo numero saranno studiate al-cune pagine dei libri profetici con unduplice intento: cogliere l’insegna-mento trasmesso dalla profezia e, nel

contempo, mettere in evi-denza la sua correlazionecon la Torah. In questo modo

si manifesterà sempre più chiaramentel’intima unità delle sante Scritture1 ecrescerà la nostra capacità di compren-dere i tesori della Parola dell’unico Diovivo e vero.

1. “I dodici Profeti”Con il termine “I dodici Profeti”, s’in-tende un’opera che è costituita da do-

dici libretti di diversa ampiezza, cia-scuno dei quali è attribuito a una per-sonalità “profetica”: Osea, Gioele, Amos,Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc,Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia.Quest’opera riunisce, secondo una par-ticolare ottica teologica, il messaggioespresso da vari profeti che hannooperato in epoche assai diverse. Così inessa incontriamo sia l’annuncio deiprimi profeti “scrittori”2 apparsi nellatradizione di Israele (Amos, Osea, Mi-chea), sia l’annuncio di profeti chehanno operato al tempo del re Giosia(Sofonia, Nahum, Abacuc), sia, infine, ilmessaggio di alcuni profeti e testi “pro-fetici” che risalgono al periodo postesi-lico (Aggeo, Zaccaria, Abdia, Gioele,Giona, Malachia). Considerata nella suaglobalità l’opera si pone accanto aigrandi libri che portano il nome deiprofeti a noi più familiari: Isaia, Gere-mia, Ezechiele.

I

“Tu conoscerai il Signore”(Es 12,1-14)

Orizzonti teologici nel libro di Osea

p. Giovanni Odasso, crs

1 La conoscenza dell’unità delle Scritture è indispensabile per comprendere adeguatamente il fatto chele prime comunità cristiane hanno visto nella Torah, nei Profeti e negli Scritti l’annuncio della salvezza diDio che ha il suo compimento nel Signore risorto.2 Il termine “scrittori” non afferma che i profeti in questione siano gli autori dei libri a loro attribuiti, maindica quei profeti nel cui nome si presentano i libri giunti fino a noi.

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Animazione Liturgica

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Culmine e Fonte 5-2012

Il nostro studio inizia da quest’operaperché, nella sua forma canonica, essaintende offrire una sintesi della parolaannunciata dai profeti in tutto l’arcodella loro esistenza nella storia diIsraele. Si tratta di una sintesi che sibasa non su criteri cronologici, ma suprospettive teologiche. Per questo lanostra attenzione si concentra, primadi tutto, sul libro che è stato posto al-l’inizio stesso dell’intera raccolta: il librodel profeta Osea3.

2. Il messaggio del profeta OseaIl libro che porta il nome di Osea con-serva alcuni detti di questo profeta.Osea esercitò il ministero profetico dal755 a. C. fino al 725 circa, quindi negliultimi decenni che precedettero la ca-duta di Samaria (722 a.C.) e, con essa,la fine del regno di Israele.Il profeta denunciò con forza le ingiu-stizie che imperversavano nella societàdel suo tempo. Una testimonianza si-gnificativa di questa denuncia è con-servata in Os 4,1-2: “Ascoltate la parola del Signore, o figlid’Israele. Il Signore ha una contesa congli abitanti del paese, poiché non c’è fe-deltà, né amore (hesed), né conoscenzadi Dio nel paese: Si spergiura, si dice ilfalso, si uccide, si ruba, si commetteadulterio; si rompe ogni limite e si ag-

giunge sangue a sangue”.Il profeta Osea individua la causadi questa situazione nel fatto che,nelle scelte concrete della vita, il po-polo è venuto meno al suo rapportocon il suo Dio. Anche se confessa diaderire solo al Signore, in realtà ha ab-bandonato la via della fedeltà: “Essi gri-dano verso di me: «Noi, Israele,conosciamo solo te!». Ma Israele ha ri-gettato il bene” (Os 8,2-3a). Questa in-fedeltà al disegno di Dio si esprimeaddirittura nella scelta delle personeche hanno un compito e una funzioneistituzionali: “Hanno costituito dei reche io non ho designato, hanno nomi-nato dei capi senza che io lo sapessi”(Os 8,4).

Paradossalmente, l’espressionemassima dell’infedeltà al Signore è rap-presentata dallo stesso culto, perchéesso non è più il luogo dell’incontrocon il Signore e la sua Parola, ma illuogo dove Israele o si comporta con ilSignore come se fosse Baal, o addirit-tura si rivolge allo stesso Baal. La posi-zione del profeta è qui netta evigorosa: “Molti altari si è costruitoEfraim, ma gli altari sono diventati perlui un’occasione di peccato” (cf. 8,11).

L’originalità del profeta Osea, però,non sta solo nella denuncia dei mali dicui il popolo si è reso e si rende colpe-

Per comprendere la Scrittura

3 Su questo argomento cf. J. Jeremias, Hosea und Amos. Studien zu den Anfängen des Dodekapropheton(FAT 13), Tübingen 1996; T. Nauman, Hoseas Erben. Strukturen der Nachinterpretation im Buch Hosea(BWANT 131) Stuttgart/Berlin/Köln 1991.

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Animazione Liturgica

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Culmine e Fonte 5-2012Per comprendere la Scrittura

vole, ma si manifesta anche, e so-prattutto, nella individuazionedella causa profonda che per-

mette di comprendere (e quindi anchedi superare) l’infedeltà del popolo.

3. La causa dell’infedeltàOsea vede la radice dell’infedeltà

nel fatto che il popolo “tradisce”l’amore del suo Dio. Il profeta ricorre adue immagini per caratterizzare que-sto tradimento: l’immagine filiale equella sponsale. Anzitutto Israele è il fi-glio che si allontana dal padre, è il figlioche non “conosce” l’azione amorevol-mente paterna con cui il Signore loguida nel cammino della sua storia. E’questo il messaggio contenuto nel ce-lebre brano di Os 11,1-3:

“Quando Israele era fanciullo, iol’ho amato e dall’Egitto ho chia-mato mio figlio. Però quanto più lochiamavo, tanto più si allontana-vano da me; hanno sacrificato aiBaal, hanno bruciato incenso a im-magini scolpite! Io ho camminatoinsieme ad Efraim, sorreggendoloper le braccia; ma essi non hannoconosciuto che io cercavo di gua-rirli”.Qui appare la tensione tra l’agire

sollecito del Signore e la risposta nega-tiva del popolo. L’azione salvifica del Si-

gnore scaturisce dal suo amore ed èmanifestazione di questo amore gra-tuito e fedele. E’ l’amore del Padre chechiama il figlio alla libertà e alla vita,che cammina insieme con il figlio so-stenendolo con la sua Parola4. Di frontea questa azione amorevole e paternaappare il carattere assurdo della colpadel popolo. Anziché accogliere la chia-mata e avvicinarsi al Signore, egli si al-lontana sempre più da lui, perché non“conosce” il Signore come unica sor-gente della Parola che guarisce e donala vita5.

Agli occhi di Osea l’infedeltà diIsraele non si configura solo come ri-bellione del figlio verso il padre, ma so-prattutto come infedeltà della sposaallo sposo. Si tratta di una infedeltà cheè qualificata esplicitamente come“adulterio” (cf. Os 3,1) e “prostituzione”(cf. Os 1,2; 3,3). L’immagine dell’adulte-rio è spiegata con l’espressione “il Si-gnore ama gli Israeliti, ma essi sirivolgono ad altri dèi” (Os 3,1). La me-tafora della prostituzione, che alludeevidentemente alla pratica della prosti-tuzione sacra nei santuari cananei, èesplicitata con la denuncia: “il paesenon fa che prostituirsi allontanandosidal Signore. “Allontanarsi dal Signore” èl’espressione con cui si caratterizza sial’infedeltà filiale che l’infedeltà spon-

4 È significativo che la Torah, nella sua redazione finale, presenterà il prodigio dell’esodo nella prospettivadi Osea: come azione del Signore che libera il suo figlio (cf. Es 4,22-23a; Dt 1,29-31; Dt 32,6.10-15).5 L’amara constatazione che il popolo non conosce il Signore e non comprende il suo agire amorevoleattraversa tutto il libro di Osea (cf. Os 2,10; 5,3-4 6,3 8,2; 11,2-3; 13,4).

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Animazione Liturgica

61

Culmine e Fonte 5-2012

sale di Israele. Essa lascia intravedereche l’ideale dell’esistenza di Israele, se-condo Osea, è quello di essere vicino alSignore, nella comunione del suoamore, nella “conoscenza” di lui e dellasua salvezza.

La redazione dell’opera “I dodiciProfeti” conferisce un particolare rilievoal fatto che Osea ha accompagnato ilsuo messaggio con un’azione simbo-lica che coinvolse direttamente la suavita. “Quando il Signore cominciò a par-lare a Osea, gli disse: «Va’, prenditi inmoglie una prostituta e abbi figli diprostituzione, perché il paese non fache prostituirsi allontanandosi dal Si-gnore»” (Os 1,2). Egli sposò una prosti-tuta ed ebbe dei figli ai quali diede deinomi simbolici. Con il primo nome,“Izreel”(cf. Os 1,4) il profeta condannòil massacro compiuto da Iehu quandos’impadronì del potere uccidendo lamoglie e la discendenza del re Acab (cf.2 Re,9,15-10,14). Nel nome simbolico di“Non-amata”, dato alla figlia (cf. Os 1,6),Osea espresse la consapevolezza che ilpopolo si era chiuso all’amore del Si-gnore e si trovava sotto il giudizio. In-fine con il nome “Non-mio-popolo”,

dato al terzo figlio, intese mo-strare che l’infedeltà è come unvirus che conduce il popolo allaperdita della propria identità6.

In definitiva, Osea, come i profeti alui coetanei del sec. VIII a.C., ha annun-ciato fondamentalmente il giudizio. Lasua parola ha esercitato un influsso nel-l’elaborazione della teologia dell’alle-anza, che occupa un posto centrale nelDeuteronomio e che con la categoriadelle “maledizioni” annuncia l’esiliocome conseguenza dell’infedeltà delpopolo del Signore7.

Occorre però precisare che l’annun-cio del giudizio costituisce un motivodominante della predicazione di Osea,ma non ne rappresenta l’unico edesclusivo contenuto. In realtà l’annun-cio del giudizio era finalizzato a orien-tare alla conversione8 e là dove,realisticamente, non era più possibileprospettare una liberazione dalla mi-naccia, ormai ineludibile, dell’Assiriaserviva a sottolineare che il destino diIsraele non è determinato dalla po-tenza militare dell’Assiria, ma è guidatodal Signore. Si tratta di una concezioneche contiene, almeno in germe, la spe-

Per comprendere la Scrittura

6 La perdita della identità di “popolo dell’alleanza” non ha solo una dimensione religiosa (abbandono delDio trascendente), ma implica anche un risvolto comunitario e sociologico (la perdita della fraternità edella solidarietà). La stessa prospettiva teologica è sottesa ai primi capitoli della Genesi (l’uomo che violail comandamento divino diventa schiavo dei suoi stessi istinti di violenza e di male).7 Alle stesse categorie teologiche ricorre l’opera deuteronomistica per presentare la fine del regno diIsraele e del regno di Giuda come conseguenza dell’infedeltà del popolo all’alleanza del Signore. 8 L’azione simbolica di Osea, del resto, non è stata quella di divorziare dalla donna prostituta, ma di “pren-dere in moglie una prostituta” (Os 1,2), di amare “una donna che è amata da un altro ed è adultera; comeil Signore ama gli Israeliti” (Os 3,1).

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Animazione Liturgica

62

Culmine e Fonte 5-2012Per comprendere la Scrittura

ranza in JHWH che può dischiu-dere un futuro nuovo, un futuro disalvezza

4. Le reinterpretazioni del messag-gio di Osea

Questa prospettiva salvifica è svi-luppata attraverso varie riletture delmessaggio di Osea, nelle quali è ancorapossibile sentire l’eco di alcune tappeimportanti della tradizione di Israele.

Alcuni testi riflettono la speranzanel perdono che il Signore concederàal suo popolo. Così proprio dopo le pa-role con cui Osea denuncia l’infedeltàdi Israele come ribellione filiale al-l’amore paterno del Signore e annun-cia il giudizio (cf. Os 11,1-7), è statoinserito un brano che contiene la pro-messa che Dio non distruggerà il suopopolo. Con un linguaggio che pre-senta delle strette correlazioni conquello di Ger 31,20, il testo dice:

“Come potrei abbandonarti, oEfraim? Come potrei darti in manoaltrui, o Israele? … Il mio cuore sicommuove dentro di me, il mio in-timo freme di compassione. Io nonagirò secondo l’ardore della mia ira,non distruggerò Efraim di nuovo,perché sono Dio, e non un uomo,sono il Santo in mezzo a te, perciònon verrò nel mio furore” (Os 11,8-9).

Lo stesso annuncio s’incontra in Os14,4-5: “Io guarirò la loro infedeltà, io liamerò di cuore, poiché la mia ira si è di-stolta da loro. Io sarò per Israele comela rugiada; egli fiorirà come il giglio espanderà le sue radici come il Libano”.

Altri testi riflettono la teologia del-l’epoca del Cronista nella quale avevaassunto un valore fondamentale il mo-tivo della conversione. Così in alcunipassi risuona l’invito a ritornare al Si-gnore perché solo in lui c’è la possibi-lità di un futuro di salvezza:“Diranno: «Venite, ritorniamo al SI-GNORE, perché se egli ci ha stra-ziato, egli ci guarirà; se ci hapercosso, ci fascerà. Dopo duegiorni ci farà vivere; il terzo giornoci farà sorgere, e noi vivremo allasua presenza»”9 (Os 6,1-2).

L’invito alla conversione risuona ancorain un altro testo:

“O Israele, ritorna al SIGNORE, al tuoDio, poiché tu sei caduto per la tuainiquità. Preparatevi le parole e ritor-nate al Signore! Ditegli: «Togli com-pletamente l’iniquità e accetta questobene: noi ti offriremo, invece di tori, lalode delle nostre labbra. L’Assiria nonci salverà, noi non saliremo più sui ca-valli e non chiameremo più: ‘Dio no-stro’ l’opera delle nostre mani; poichépresso di te l’orfano è avvolto di tene-rezza» (Os 14,1-3).

9 Quando si sviluppò la fede nella risurrezione, “il terzo giorno” divenne il simbolo dell’opera di Dio chelibera dalla morte e dona all’uomo di vivere eternamente davanti al suo volto. La formula di fede “è risu-scitato il terzo giorno secondo le Scritture” (cf. 1 Cor 15,4) fa riferimento a questo testo di Osea.

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Animazione Liturgica

63

Culmine e Fonte 5-2012

In questi versetti il motivo della conver-sione si presenta arricchito da alcunecaratteristiche proprie della spiritualitàdegli Anawîm: la lode e il sacrificio diringraziamento che sono più preziosidei sacrifici cruenti (cf. Sal 69,31-32); lafiducia, che non sarà più riposta nellepotenze terrene, e nemmeno nella pro-pria forza, ma solo in JHWH. Il motivosul quale si fonda l’invito a ritornare aJHWH ha una particolare profonditàteologica: “perché in te l’orfano è av-volto di tenerezza”. Non l’Assiria, sim-bolo delle potenze sotto le quali Israeleviene a trovarsi lungo la sua storiadopo l’esilio, ma solo il Signore è il reche assicura la vera difesa dell’orfano e,quindi dei poveri e degli oppressi.

Un testo di natura escatologica uni-sce la ricerca del Signore10 alla ricercadi “Davide”, ossia all’attesa del Messia:“Dopo, i figli di Israele cercherannonuovamente il Signore, loro Dio, e Da-vide, loro re, e si volgeranno con vene-razione al Signore e ai suoi beni, negliultimi giorni” (Os 3,5).

In questo ricco processo di riletturesalvifiche, anche la denuncia dellacolpa di Israele come infedeltà spon-sale viene considerata come unaspetto che caratterizza la storia pre-sente del popolo del Signore, perchéproprio questo aspetto dell’infedeltà

del popolo del Signore sarà defi-nitivamente superato nel tempoescatologico della salvezza. Èquesto il gioioso annuncio contenutoin Os 2,21-22:ti farò mia sposa per sempre; ti farò mia sposa nella giustizia e neldiritto, nell’amore (hesed) e nella tene-rezza,ti farò mia sposa nella fedeltà, e tu conoscerai il SIGNORE.La triplice ripetizione “ti farò mia

sposa” significa che nel futuro escato-logico della salvezza si realizzerà la co-munione sponsale del Signore con ilsuo popolo e si realizzerà realmente ein grado sommo11. Il Signore darà allasua sposa come dono nuziale la “fe-deltà” e per questo l’unione sponsalesarà eterna, “per sempre”. Insieme allafedeltà il Signore concederà al suo po-polo, come doni sponsali, la giustizia, ildiritto, l’amore e la tenerezza. Il fattoche questi doni sono incorniciati dallapromessa della durata perenne del-l’amore sponsale del Signore mostrache essi appartengono all’essenzastessa dell’unione tra il Signore e il suopopolo. Questo dato sottolinea chel’immagine sponsale non è fruttodi considerazioni sentimentali, maespressione di un pensiero teologico

Per comprendere la Scrittura

10 “Cercare il Signore” appartiene alla formulazione del comandamento fondamentale dell’epoca del Cro-nista.11 Nei testi biblici la triplice ripetizione è un procedimento stilistico che denota, al tempo stesso, la realtàdel fatto che si annuncia e il grado massimo della sua realizzazione

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Animazione Liturgica

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Culmine e Fonte 5-2012Per comprendere la Scrittura

che pone la fede in JHWH instretta relazione con la vita del-l’uomo e la sua storia. La fede non

è evasione dalla storia, ma energia di li-bertà che sviluppa nel credente la co-scienza della dignità della persona e ivalori della fraternità e della solidarietà(nella giustizia e nell’amore).

In sintesi l’immagine sponsale ap-pare in questo testo, e in altre “riletture”presenti nei libri profetici12, con due ca-ratteristiche. Anzitutto la sua realizza-zione è intrinsecamente connessa conil perdono che il Signore dona al suopopolo, rinnovandolo con la potenzadel suo amore fedele e misericordioso.In secondo luogo l’amore sponsale delSignore è la fonte di una vita nella giu-stizia e nell’amore, una vita secondo ilSignore e la sua Parola.

Notiamo, infine, che con la realizza-zione escatologica dell’amore sponsaledel Signore sarà definitivamente can-cellata la mancata “conoscenza del Si-gnore” denunciata dal profeta Osea.Allora si realizzerà la promessa: “tu co-noscerai il Signore” (Os 2,22b); allora ilpopolo vivrà nell’esperienza dell’amoresponsale del Signore e, quindi, nellapiena comunione con il suo Dio.

5. Rilievi e prospettiveQuesto breve sguardo al libro di

Osea consente anzitutto alcuni rilieviimportanti per la conoscenza dei libri

profetici e, quindi, dei profeti stessi edella loro esperienza.

Anzitutto possiamo rilevare che ilmessaggio di Osea (e analogamentequello degli altri profeti) è rivolto diret-tamente alla generazione del suotempo. Osea, come Amos, Michea eIsaia, è un profeta del giudizio. Egli de-nuncia il male che porta il popolo delSignore alla sua rovina. L’annuncio delgiudizio è motivato dalla violazione deivalori di fedeltà al Signore e di giustiziae fraternità che costituivano il cuorestesso della tradizione religiosa nellaquale questi profeti hanno svolto laloro missione.

Il libro di Osea, inoltre, è un chiaroesempio di come la parola del profetaè stata trasmessa e attualizzata alla lucedegli eventi della storia, comprensinella prospettiva della fede nel Si-gnore. Le principali reinterpretazioni ri-scontrabili nel libro di Osea sono unsegno evidente che queste si muovononella consapevolezza che il giudizio èun momento all’interno della storia diIsraele, mentre nel tempo escatologicosi realizzerà in pienezza il disegno sal-vifico del Signore. Così gli annunci digiudizio del profeta sono riletti nonsolo per chiamare il popolo a una co-stante conversione, ma anche per an-nunciare il loro superamento nell’eraescatologica. Allora ai figli di Israele Dionon dirà “voi non siete mio popolo”, ma

12 Cf., per esempio, Is 54,4-13; 62,4-5.

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Animazione Liturgica

65

Culmine e Fonte 5-2012

si dirà “Voi siete figli del Dio vivente” (Os2,1); allora il popolo sarà la sposa fedeleche vive per sempre nella “conoscenza”del suo Dio, nella piena esperienza delsuo amore (cf. Os 2,21-22).

In questo contesto possiamo ancheintuire il motivo che ha orientato aporre il libretto di Osea all’inizio del-l’opera de “I dodici Profeti”. Questo libronella sua forma canonica da un lato de-scrive l’infedeltà di Israele e, dall’altro,

prospetta un luminoso futuro disalvezza. E’ questa la chiave percomprendere “I dodici Profeti” el’insieme dei libri profetici: l’annunciodel giudizio non chiude mai la portadella speranza e, a sua volta, l’orizzontedella speranza non giustifica mai l’eva-sione dalle esigenze fondamentalidella fede in JHWH: la giustizia el’amore (cf. Mt 23,23; Lc 11,42).

Per comprendere la Scrittura

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66

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XXVII Tempo Ordinario - B

G.Proietti

©

(dal Salmo 127)

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 5-2012 Pregar cantando

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67

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fino/ahai/afnostre

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XXVIII Tempo Ordinario - BG.Proietti

©

(dal Salmo 89)

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 5-2012Pregar cantando

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68

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del/Sichi/loil/Si

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Fa Sol- Fa

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suasuo/Anostro

opera,more,scudo,

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La- Fa Sib

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XXIX Tempo Ordinario - B

G.Proietti

©

(dal Salmo 32)

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 5-2012 Pregar cantando

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sorti/ditra/lenostrava/pian

Sion,genti,sorte,

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Sol- Re- Mib

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ti/delda/get

gnare,loro".

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Do- Sol- Re

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lacrime,gioia,

Sib Fa

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XXX Tempo Ordinario - B

G.Proietti

©

(dal Salmo 125)

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 5-2012Pregar cantando

Page 72: Riv. Culmine e Fonte 2012-5

70

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Tutti i SantiG.Proietti(dal Salmo 23)

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 5-2012 Pregar cantando

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vezza,cerco,voce,gnore,

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� � ��di/chi/a

abitare/nella/casa/del/Signore/tutti/i/giorni/dellaio/grido/abbi/pietà/di

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Mi- Re Sol

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6 �� ��il/Signore/è/difesa/della/miaper/contemplare/la/bellezza/del/Siil/tuo/volto/Signore/iospera/nel/Signore/sii

vita,gnore,cerco,forte,

Si- Mi-

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� � � �di/chi/a

e/ammirare/ilnon/nascondermi

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Commemorazione Defunti (I)G.Proietti(dal Salmo 26)

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 5-2012Pregar cantando

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72

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seriango

resti/de

cordia,sciato,luso,

Mi- Si-

5 �� � ��� �

��� �

� � �e/del/tuo/amore/che

liberamiperchè/in/te/mi/sono

è/dadagli/af

rifu

sempre,fanni,giato,

Do La- Si

� � ���� �

� � ���� �

- ---

--

��

����

��

Org.

7 �� �ricordati/di/me/nella/tua/miserivedi/la/mia/povertà/e/la/mia/fami/proteggano/integrità/e/retti

cordia,tica,

tudine,

Sol Re

7 �� ��� � �

�� ��� � �

�� � �per/la/tua/bon

e/perdona/tutti/iperchè/in/te

tàmieiho

Sipecspe

La-

�� � ��� ��� � �� �

� � � � � �gnocara

Mi- Do La-

� � � � � �� � � ��� �� � �

�� �re.ti.to.

A

Si4/Si

� �

--

-

- ---

- - - -- - - -- - - -

Commemorazione Defunti (2)G.Proietti(dal Salmo 24)

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 5-2012 Pregar cantando

Page 75: Riv. Culmine e Fonte 2012-5

73

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Oboe

Voce

Organo

� � � �� � � � ��

Re- Sol-

�� � � ��

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� � � � � �L'a ni ma mi a ha

Re- La-

�� �� ���� � �� �� ���

� � � � �� � �

� � � �� � �se te del Dio vi

Fa Sol-

� � � � �� ��� � � � �� �

� �ven te.

Re-4/Re-

� � � �

- - - - - - -

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Ob

Org.

5 �� � �5 � � � �

1.Come/la/cerva/anela/ai3.Avanzavo/tra/la/folla/la/precedevo/fino/alla/ca5.Verrò/all'altare/di/Dio,a/Dio/mia/gioiosa

corsae

sidisul

d'acqua,Dio,

tanza,

Re- La-

5

� � � � �� �

�� �

� � �� �

� � �� � così/l'anima/mia/anela/afra/canti/di/gioia/e/di/lode/di/una/moltitudia/te/canterò/sulla/cetra/Dio,

teneDi

oino

Dio.festa.mio.

Sol- La

�� � � � � � ��

�� � ��� �

--

- --

-

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Ob

Org.

7 �� � �Do

7 �� � 2.L'anima/mia/ha/sete/di/Dio/del/Dio/vi4.Manda/la/tua/luce/e/la/tua/verità/siano/esse/a/gui6.Perchè/ti/rattristi/anima/mia/perchè/ti/agiti/in

vente,darmi,

me,

Fa

7

�� � � � �

�� � �� �

� � �� � Sol-

�� � � � quando/verrò/e/vedrò/il/volmi/conducano/alla/tua/santa/montagna/allaspera/in/Dio/ancora/potrò/lodarlo/Lui/salvezza/del/mio/volto/e

totuami

didio

Dio.mora.Dio.

La4/La

�� � � � � � �

�� � �� �� �

--

- - - - -

--

Commemorazione Defunti (3)

G.Proietti(dal Salmo 41)

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 5-2012Pregar cantando

Page 76: Riv. Culmine e Fonte 2012-5

74

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��Solo

Organo

� � � Ti

Re-

���

���

������

a mo Si gno re mi a

Sib Fa

�� � � �

� �for za!

Sol- 6 Re-

� �� �� �

�� Ti/amo/ASignoreMio/Dio/mia/rupe/in/cuiViva/il/Signore/e/benedetta/la

miami/rimia

Re- La-

�� �� �� ��

- - - - --

��

sol

Org.

5 ���3

forfuroc

za,gio,cia,

Sol- Re-

5 ���3

� ��3 ��

�� mio/scudo/mia/potente/salvezza/miosia/esaltato/il/Dio/della

balumia/sal

Re-

����

���

arvez

do,za,

La-

� �� ��� ��

� �Signoreinvoco/il/Signore/deEgli/concede/al/suo/re/gran

mignodi

adivit

roccia,lode,torie,

Sol- Re-

��

� �

- -- - - -- - - - -

��

��

��

��sol

Org.

9

�� mia/fortezza/mio/lie/sarò/salvato/daisi/mostra/fedele/al/suo

bemieicon

ranesa

La-7

9

�� �� �� ��

tomicra

Sib Sol-

� �� � �

�� � re.ci.to.

Ti

La4/La

� � �� �

-- - - - -- - - -

- - - - -

XXXI Tempo Ordinario - B

G.Proietti

©

(dal Salmo 17)

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 5-2012 Pregar cantando

Page 77: Riv. Culmine e Fonte 2012-5

75

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Flauto

Voce

Organo

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� � �Un

Re

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� � �� � � � �fiu me ral le gra la cit

Sol Re Sol Mi-

� �� �� � � �� � �� � � � �� � � � �

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� � � � ��tà di Di

Do Sol/Re

� � � �� � �

�o.

Sol

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- - - - - -

��

fl

Org.

5 � � � ��Sol Re Mi-

5 � ��Dio/è/per/noi/rifugioUn/fiume/e/i/suoi/canali/rallegrano/la/citIl/Signore/degli/eserciti

e/fortà/diè/con

tezza,Dio,noi,

5 � ��� �

� �� �� �

� � � � �� �Do La- Re

� � ��aiuto/infallibile/si/è/mostrato

la/più/Santa/delle/dimorenostro/baluardo/è/il/Dio

neldeldi

le/anl'AlGia

gosce,tissimo,cobbe,

� ���� �� ��

� � �

-- -

--

--

��

��

��

��

��

fl

Org.

7 �� � � � �� �Mi-

7 � ��perciò/non/temiamo/seDio/è/in/mezzo/a/essa/non/poVenite/vedete/le/opere

trema/latrà/vacildel/Si

terra,lare,

gnore,

Si-

7 � ��� �� � ��

� � � � �� �� �

� � ��se/vacillano/i/monti/nel/fonDio/la/soccorre/allo/spuntaEgli/ha/fatto/cose/tremende

doresul

deldella

La4/La

�� � �� �� ���

� �mare.l'alba.terra.

Un

Re4/Re

� ���

- --

--

--

Dedicazione Basilica LateranenseG.Proietti(dal Salmo 45)

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 5-2012Pregar cantando

Page 78: Riv. Culmine e Fonte 2012-5

76

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��Solo

Organo

�Sol La-

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�Re Mi-

� � � � �� �� � � ��

�Do La-

� � � � �� � � � � �� � � �� �

�Re

� � � ���� � � �� � � ��� �

� � � �Lo da il Si

Sol

� �� ���� ���� � � �

�� ��gno re,

Do Mi-

� � � ��� �� � � ��� � � �� �� ��

- - -

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��

sol

Org.

7 � � � �a ni ma

La- Re4/Re

7

�� � � �� �� ��� � � ��� ��

�� ��mi a.

Sol

� � � �

� ��Il/Signore/rimane/feIl/Signore/ridona/laEgli/sostiene/l'orfano

dele/pervista/ai

e/la

sempre,ciechi,

vedova,

Sol Re Mi-

� ��� � � � �

� � ��rende/giustiziail/Signore/rialza/chima/sconvolge/le/vie

dei

gli/opca

mal

pressi,duto,vagi,

Si- La- Re

� � �� � � � � � �

- - - - - ---

��

��

��

��sol

Org.

11 � ��dà/il/pane/agliil/Signoreil/Signore

affaama/i

regna/per

mati,giusti,

sempre,

La- Si Mi-

11

� �� � � �

� � � �

� � �il/Signore/libera/iil/Signore/protegge/iil/tuo/Dio/o/Sion,/di/generazione/in/ge

prifone

giorera

Do7+

� � �� � ���

niestiezio

ri.ri.ne.

Mi- Re

� �

- - - -- - -

- - - -

XXXII Tempo Ordinario - B

G.Proietti

©

(dal Salmo 145)

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 5-2012 Pregar cantando

Page 79: Riv. Culmine e Fonte 2012-5

77

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��Solo

Organo

� � Pro

Re-

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� � teg gi mi o

� � � � � �

Di o in

La-

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te mi ri

Sol- Do4/Do

� �

fu gio.

Re-4/Re-

�� �

- - - - - -

��

sol

Org.

6 � �Il/Signore/è/mia/parte/di/eredità/e/mioPer/questo/gioisce/il/mio/cuore/ed/esulta/la/miaMi/indicherai/il/sentiero/della

calice,anima,vita,

Re- Sol-6

6

� �

� �

�nelle/tue/mani/è/laanche/il/mio/corpo/riposagioia/piena/alla

miaal/si

tua/pre

vita,curo,senza,

Re- Do Fa

--

��

��

��

��sol

Org.

8 � �io/pongo/sempre/davanti/a/me/il/Siperchè/non/abbandonerai/la/mia/vita/neglidolcezza/senza

gnore,inferi,fine,

La- Re-

8 � � � �

sta/lla/mia/destra/non/ponè/lascerai/che/il/tuo/fedelealla/tua

tròvede

vada

cilla

Sol Sib

� � �

� lare.fossa.stra.

Pro

La4/La

� � �

- - - --

-

XXXIII Tempo Ordinario - B

G.Proietti

©

(dal Salmo 15)

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 5-2012Pregar cantando

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78

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��Solo

Organo

�Mi

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Il Si gno re re gna si ri

� � �

� ve ste di splen do re!

Re Mi

� � �

- - - - - - -

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� � � �

� � � �� � � �

sol

Org.

4 �� � Il/Signore/regna/si/riveste/di/maeE'/stabile/il/mondo/non/potrà/vacilDavvero/degni/di/fede/i/tuoi/insegna

stà,lare,

menti,

Mi Re

4 �� �

� si/riveste/il/Signore/sistabile/è/il/tuola/santità/si/addice/alla

cinge/ditrono/da

tua

forza.sempre,casa,

La Mi

����

---

��

� � � �

� � � �

� � � �

����

��sol

Org.

6 � dall'eterniper/la/durata/dei/gior

tàni

tuSi

sei.gnore!

Re Mi

6 � � �� ��

- - - -- - - -

XXXIV Tempo Ordinario - B

G.Proietti

©

(dal Salmo 92)

(Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'universo)

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 5-2012 Pregar cantando

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I nostri amici

Culmine e Fonte 5-2012

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Animazione Liturgica

eggendo alcune biografie suAntonio Maria Claret mi èrimasto dentro quello che in

un suo libretto amava ripetere: Quin-dici minuti con Gesù! Potrebbe sem-brare una frase come tante e inveceracchiude profonde motivazioni spi-rituali. Proviamo a pensare se ognigiorno tutti i cristiani dal nord al suddel mondo si raccogliessero in quelsantuario originale che è il propriocuore. Ogni giorno nella magnificacattedrale che è la vita di ciascuno,fatta di chiaroscuri, di pregi e limiti.Tutti i giorni: mentre si aspetta l’au-tobus, fermi al semaforo, in codanegli uffici … Tutti giorni a casa omentre si cammina. Quindici minuticon Gesù … perché il tempo diventiun sacramento, una strada privile-giata attraverso cui Dio ci raggiunge.Il Signore ha creato il tempo santifi-candolo con l’Incarnazione e Gesùarriva a noi attraverso di esso. Perquesta ragione le ore della vita sonoparagonabili a un’infinità di istanti,attraverso i quali Cristo ci accogliecontinuamente, in cui ci chiama e cimanifesta il suo Amore. Il Padre interagisce con noi attra-

verso il Figlio, Parola Eterna, Panespezzato, Silenzio adorante; la suaVoce e la sua Presenza si manife-stano lentamente e in modo miste-rioso. Il tempo non è solo, quindi, la stradaattraverso cui Dio si fa prossimo al-l’uomo, ma è anche il sentiero attra-verso cui noi impariamo a dialogarecon Lui. C’è un versetto dell’Apoca-lisse che dice: Ecco sto alla porta e

Sant’Antonio Maria Claret, Vescovo Memoria 24 ottobre

suor Clara Caforio, ef

L

Page 82: Riv. Culmine e Fonte 2012-5

busso, se qualcuno mi apre io en-trerò e cenerò con lui (3,20). Il nostrosanto immagina, nel suo libretto, chesia Gesù a parlare con l’uomo: «Rac-contami nei dettagli. Cosa ti preoc-cupa? Cosa pensi di fare? Cosa vuoi?Come posso aiutarti? Magari ricordisempre la frase del salmista: “Quelche ci porta al successo non sono inostri affanni. Quel che ci porta alsuccesso è la benedizione di Dio.Raccomandati a Dio nelle tue preoc-cupazioni e vedrai realizzarsi i tuoibuoni desideri” Gli israeliti desidera-vano occupare a terra promessa. Misupplicarono e lo concessi; David vo-leva vincere Golia, Mi pregò e l’ot-tenne; i miei apostoli volevano cheaumentassi la loro fede, Mi chieseroquesto favore e lo concessi conenorme generosità. E tu cosa vuoiche ti conceda?... Se vuoi farmi pia-cere ancora di più, confida in me dipiù, se vuoi farmi piacere immensa-mente, confida in me immensa-mente. Allora parlami comeparleresti con il più intimo dei tuoiamici, come parleresti con tua madreo tuo fratello.»Questa introduzione mi sembra op-portuna per avvicinare con mag-giore simpatia Antonio Maria Claretche nacque a Sallent (Barcellona) il23 dicembre 1807 in una famigliaprofondamente cristiana di tessitoricatalani, quinto di dieci figli. Vennebattezzato il giorno di Natale! Leprime parole che i genitori insegna-

rono ai figli furono i nomi di Gesù edi Maria, per cui il giovane Antoniosentì presto una grande devozione,soprattutto verso la Santissima Ver-gine, di cui amava frequentare i san-tuari. Si sa che il tentatore non perdetempo, particolarmente verso leanime più sensibili e quindi pur es-sendo ragazzo modello, dovette lot-tare per essere fedele al Signore. Lalussuria e l’avarizia gli si presenta-rono sotto forma di tentazioni sedu-centi. Per vincerle, si sforzò diimpegnarsi maggiormente nella pre-ghiera implorando la Madre di Gesù.In seguito, nel suo Catechismo dellaDottrina Cristiana, darà questo consi-glio salutare: «Se sei assalito da qual-che tentazione, invoca Maria in quelmomento, venera la sua immagine, eti assicuro che se la invochi costante-mente..., ti aiuterà senza fallo e tunon peccherai». Antonio Maria fin da ragazzo avvertìla vocazione al sacerdozio, ma le so-lite difficoltà familiari lo costrinseroa rinviare l’ingresso in seminario. Ilpadre, bisognoso della sua collabo-razione lo inviò a Barcellona per per-fezionarsi nella tessitura ed esserglicosì di aiuto nella fabbrica di stoffe.Intanto però egli arricchì la sua cul-tura frequentando corsi serali in cuiimparò il francese, il latino e l’artedella stampa. Nel 1829, a 22 anni, fufinalmente ammesso nel seminariodi Vich, distinguendosi per la suapietà eucaristica e mariana. Ordinato

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Animazione Liturgica

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I nostri amici

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sacerdote il 13 giugno 1835, dopotre anni di ministero come VicarioEconomo nel suo paese natale, de-cise di offrire la propria opera allaCongregazione di Propaganda Fide,il dicastero vaticano che si occupadelle missioni. Per questo raggiunseRoma il 6 ottobre 1838 e, poiché ilcardinale Prefetto era assente, feceun corso di esercizi spirituali sotto ladirezione di un gesuita, che gli con-sigliò di entrare nella Compagniaperché così avrebbe potuto realiz-zare meglio l’apostolato missionario.Ammesso al noviziato il 29 ottobre,ricevette l’abito l’11 novembre, manel marzo dell’anno seguente do-vette ritornare in Spagna a causa diuna malattia. Qui si dedicò all’orga-nizzazione delle missioni popolari inCatalogna e nelle Canarie, guada-gnandosi la fama di grande predica-tore. Il 16 luglio 1849 fondò a Vic(Catalogna) la Congregazione deiMissionari Figli del Cuore Immacolatodi Maria (C.M.F.), oggi anche cono-sciuti come Missionari Clarettiani,dedita all’apostolato e soprattuttoall’attività missionaria.È tipico dei santi lo zelo, la coerenzae quell’inestinguibile passione perGesù e per i fratelli di ogni razza. In-stancabile si dedicò alla predica-zione e all’annuncio dell’ Evangelorivelando un talento oratorio ecce-zionale e conquistando le folle anchecome taumaturgo. Di quest’uomocolpiva soprattutto il rigore della vita

ascetica: viaggiò sempre apiedi, portando con sé gli strumentidella sua santificazione: il Breviario ela Bibbia. Del suo lavoro non accettòmai alcun compenso; anzi dormendopoco e lavorando senza sosta, stavafino a quindici ore in confessionale! Dio non risparmia i suoi doni, anzi re-gala sempre il centuplo a chi losegue con cuore sincero; a lui feceanche il dono del discernimentodelle coscienze e della conoscenzadel futuro, e questo gli diede una im-mensa popolarità. Dal 1840 al 1848egli percorse quasi tutta la Catalo-gna, ridestando dovunque il fervorecristiano. Nel 1847 diede vita alla Li-breria Religiosa e a una casa editrice,nonché alla prima Confraternita delCuore di Maria a Vich e, sempre sottola protezione della Vergine, a un’as-sociazione parrocchiale nella quale -con intuizione profetica - assegnavaalle donne il ruolo che a esse com-pete nella collaborazione con l’apo-stolato gerarchico. Nel 1849 Antonioricevette la nomina di arcivescovoa Santiago di Cuba, all’epoca appar-tenente alla corona di Spagna. Almomento della sua consacrazioneepiscopale, il 6 ottobre 1850, egli as-sunse come secondo nome quello diMaria. La devozione alla Madonna fuuna sua bella caratteristica che lo ac-compagnerà sempre. I santi antichi erecenti hanno sempre amato e vene-rato la Madre di Dio consapevoli cheella è la corsia preferenziale per giun-

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gere prima al Signore. «Cercateogni giorno la protezione di Maria,Madre del Signore e specchio di ognisantità. Ella, la Tutta Santa, vi aiuteràad essere fedeli discepoli del suo Fi-glio Gesù Cristo» (Benedetto XVI).E affidandosi alla Vergine AntonioMaria iniziò il suo viaggio in nave il28 dicembre dal porto di Barcellona;arrivato a Cuba il 16 febbraio si diedesubito da fare per affrontare i moltiproblemi esistenti. Con squisita in-tuizione, subito si adoperò per cele-brare il sinodo diocesano, reseinoltre obbligatori gli esercizi spiri-tuali ogni anno per il clero, cominciòa visitare le parrocchie e a predicarele missioni al popolo. Nel giro di seianni percorse per quasi quattro voltein visita pastorale l’intera diocesi,pronunciando 11.000 sermoni, rego-larizzando 30.000 matrimoni, cresi-mando 300.000 fedeli. Sembranosolo cifre, ma se si pensa che dietroogni numero è racchiusa la storia dipersone, di comunità, di credenti, al-lora tutto diventa storia sacra. Antonio Maria Claret, come moltialtri testimoni, fu un “camminatore diDio”… Solo chi ha interiorizzato Gesùcome Via, Verità e Vita può compren-dere che camminare con Dio signi-fica obbedirgli. Riconoscere i suoitempi e rispettare la sua tabella dimarcia (cf. Num. 9,15-23), seguireattentamente le sue direttive. L’ob-bedienza a Dio non consiste nell’as-soggettarsi passivamente a delle

regole, ma viene piuttosto dal desi-derio di piacergli e dalla consapevo-lezza che sottomettersi ai suoicomandamenti è fonte di benedi-zione! Il nostro santo comprese tuttoquesto alla luce della Parola ascol-tata e vissuta. I guai però non tarda-rono ad arrivare; nel 1852 terremotied epidemie fecero in pochi mesi mi-gliaia di vittime: Antonio Maria si re-cava due volte al giorno negliospedali per confessare, consolare,distribuire elemosine e creò signifi-cative iniziative sociali: Nel 1854 aprìuna cassa di risparmio in ogni par-rocchia; iniziò anche la costruzionedi una casa di carità, dandosi da fareper lenire la povertà morale e mate-riale. Dopo aver pubblicato una let-tera pastorale sull’ImmacolataConcezione di Maria promosse l’edu-cazione dei giovani con l’aiuto dicongregazioni religiose e, con MadreAntonia Paris, fondò l’Istituto apo-stolico di Maria Immacolata (Missio-narie Claretiane). Il suo straordinarioimpegno a favore dei poveri e dei di-ritti umani gli procurò ben presto nu-merosi nemici tra i politici e i corrotti,che più volte attentarono alla suavita. Nel febbraio 1856 ad Halguin,mentre stava uscendo dalla chiesa,un uomo lo assalì con un rasoio fe-rendolo seriamente. Nel 1857 dovette lasciare Cuba e,rientrato in Spagna, la regina lo vollecome suo confessore a corte; ripresecosì la predicazione nella capitale e

I nostri amici

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Animazione Liturgica

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I nostri amici

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Animazione Liturgica

in tutta la penisola. Inoltre, grazie alprestigio di cui godeva, si adoperòaffinché fossero designati buoni ve-scovi nelle sedi vacanti, e nel palazzodell’Escorial organizzò un seminariodi studi superiori. Ma l’influenza cheaveva sulla regina gli attirò l’ostilitàdei nemici del regime e quando la ri-voluzione nel novembre 1868 scac-ciò Isabella dal trono, egli la seguìnell’esilio a Parigi. Il 30 marzo del-l’anno seguente partì per Roma doveprese parte ai lavori preparatori delconcilio Vaticano I e all’apertura dellaassise difese con ardore l’infallibilitàdel Papa. Perseguitato ancora dallarivoluzione, si rifugiò nel monasterodi Fontfroide presso Narbona, dovemorì santamente il 24 ottobre 1870.Le sue spoglie riposano nella CasaMadre dei Claretiani a Vich. Beatifi-cato nel 1934 da Pio XI, fu canoniz-zato l’8 maggio 1950 da Pio XII, chedisse di lui: «Modesto nell’appa-renza, ma capacissimo di imporre ri-spetto anche ai grandi della terra;forte di carattere però con la soavedolcezza di chi conosce il freno del-l’austerità e della penitenza; semprealla presenza di Dio anche in mezzoad una prodigiosa attività esteriore;calunniato e ammirato, celebrato eperseguitato. E tra tante meraviglie,quale luce soave che tutto illumina,la sua devozione alla Madre di Dio».Un altro eccellente testimone si ag-giunge alla lunga lista di quelli che

abbiamo conosciuto attra-verso queste pagine. La loro vita cisia di esempio e d’incoraggiamentoa divenire anche noi camminatoriverso l’Eterno, cristiani credibili… af-fidiamoci all’intercessione di questonostro santo con le sue specificheparole! Credo, Signore,ma che io creda più fermamente.Spero, Signore,ma che io speri con più grande verità.Amo, Signore,ma che io ami con più ardore.Soffro, Signore,ma che il mio dolore sia più forte.Ti supplico, Signore:che vuoi che io faccia?Insegnami a compiere la tua volontà:sii Tu il mio Dio.Concedimi un cuore destoper guidare il tuo popolo,per distinguere tra il bene e il male.

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ono la II e la III domanda checi sollecitano a volgere losguardo a Dio, il nostro

Padre. “Venga il tuo Regno” è quella“centrale”, verso la quale convergonole altre due; anzi la III, che segue, neè in certo senso una esplicitazione, ocomunque è strettamente legata conessa. La venuta del regno è infatti ilmodo concreto con cui viene glorifi-cato il nome di Dio, mentre là dove sifa la volontà di Dio il Regno si mani-festa.

Venga il tuo Regno!• Il “Regno di Dio”, ovvero “deicieli”, come preferisce chiamarlol’evangelista Matteo, in quanto più inlinea con la cultura ebraica (in rela-zione ai suoi obiettivi e destinatari) èlocuzione ricorrente in tutta la rive-lazione biblica a partire dal I testa-mento, nel quale spesso assume laforma di acclamazione: «Dio regna!Regna il Signore!» (cf. Es 15,18; Is 52,7come pure in diversi salmi: 93,1;96,10; 97,1; 99,1; 146,10). Nel II testa-mento la si incontra ben 122 volte. Sipuò affermare che è la sintesi dei de-

sideri di Gesù: è il fuoco che avevadentro. Ricorre 90 volte sulla suabocca.Si tratta di un’espressione ricca dicontenuto, che acquista dimensionie sfumature diverse, non è facile darecensire. Basterà qualche sottoli-neatura tra quelle più significative, inordine soprattutto alla nostra espe-rienza di fede.

• Va detto subito che il “Regno diDio”, del quale invochiamo l’avvento,si identifica nel linguaggio biblicocon la “regalità” di Dio, con la sua “si-gnoria”; non però nel senso di un do-minio che s’impone con la forza o diun potere che umilia, ma con unapresenza da accogliere che è eventodi amore, fonte di speranza e si iden-tifica con la salvezza che Egli dona achi con la fede risponde al suo invito.Quindi si chiede che si allarghino iconfini entro i quali trionfano i valoridella verità, della giustizia, del-l’amore e della pace.E’ un aspetto rilevante su cui portarel’attenzione nel clima culturale in cuiviviamo oggi, nel quale molti vivono

Padre nostro

Culmine e Fonte 5-2012

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Animazione Liturgica

Venga il tuo regnosia fatta la tua volontà

come in cielo così in terra

S. E. Mons. Luca Brandolini

S

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Padre nostro

Culmine e Fonte 5-2012

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come se Dio non esistesse. Bene-detto XVI vi ritorna frequentemente.Ai Vescovi italiani ha infatti detto direcente: «Nel nostro tempo, in cui invaste zone della terra la fede corre ilpericolo come una fiamma che nontrova più nutrimento, la priorità chesta al di sopra di tutto è rendere Diopresente in questo mondo ed apriregli uomini all’accesso a Dio». Infatti“con Dio o senza di Lui, cambiatutto”, come recitava lo slogan di unrecente Convegno. E’ sempre Bene-detto XVI ad affermare: «Quando Diosparisce dall’orizzonte dell’uomo,l’umanità perde l’orientamento e ri-schia di compiere passi verso la di-struzione di se stessa». L’accoglienzadi Dio «apre (invece) all’uomo l’oriz-zonte di una speranza certa, che nondelude; indica un solido fondamentosu cui poggiare senza timore la vita;chiede di abbandonarsi con fiducianelle mani dell’Amore che sostiene ilmondo».

• Il Regno di Dio, come offertaed esperienza di salvezza, si è rive-lato già nella vicenda storicad’Israele, particolarmente nell’alle-anza offertagli da Dio. La prima delle“10 parole” con cui essa è stata san-cita, dopo la liberazione dall’Egitto,nel segno del sangue (cf. Es 24,3 ss.)chiedeva ad Israele, divenuto spe-ciale proprietà divina, di riconoscerloe servirlo come Salvatore e Signore edunque di non avere altri dei di

fronte a lui (cf. Es 20,3). Perquesto il grande peccato d’Israele èl’ “idolatria”, considerata dai profeticome rottura dell’alleanza, tradi-mento e adulterio.Tuttavia – ed è lo stesso Figlio di Dio,divenuto uomo nel tempo della sal-vezza che in lui si è “compiuto”, a di-chiararlo – è proprio nel suo farsipresente nella storia che il Regno diDio si è “fatto vicino” (cf. Mc 1,15) adogni uomo. A chi gli domandava:«Quando verrà il regno di Dio?», ri-spondeva: «Il regno di Dio non vienein modo da attirare l’attenzione […].Perché, ecco, il regno di Dio è inmezzo a voi!» (Lc 17,21). Egli infatti èl’unico uomo su cui Dio, e Dio solo,ha regnato totalmente e radical-mente e nel quale si rivela in pie-nezza. Non solo: ma attraverso le sueparole (si pensi, solo per esemplifi-care, alle parabole del Regno conte-nute nel cap. 13 di Matteo) e i suoigesti di integrale liberazione – di cuiè particolarmente ricco il vangelo diMarco – e soprattutto con il totaledono di sé, nel sacrificio pasquale, ilRegno è divenuto realtà, si è fatto“vedere”, toccare e cioè sperimen-tare. È “venuto” dunque e attende diessere accolto con “cuore docile”,cioè in un atteggiamento di conver-sione e di fede, che è quanto dire diumile apertura e di totale abban-dono proprio di chi è e si fa “bam-bino” (cf. Mt 18,4).Il grande padre della Chiesa Origene

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nel suo trattato sulla preghieracosì scrive: «Chi chiede nella pre-ghiera l’avvento del Regno di Dio,prega senza dubbio per quel regnodi Dio che porta in se stesso; ed egliprega perché questo regno portifrutto […]. Perché in ciascuno degliuomini santi esiste la signoria di Dio[…]. Se dunque vogliamo che il suoregno esista in noi, non deve in nes-sun modo regnare in noi il peccatonel nostro corpo mortale (cf. Rm6,12). Allora Dio passeggerà in noicome in un paradiso spirituale e, in-sieme con il suo Cristo, regnerà in noiin maniera esclusiva».In altre parole, aprirsi al Regno com-porta mettere Dio al primo posto esubordinare tutto e tutti a lui. È que-sto il senso dell’invito fatto da Gesùnel discorso della montagna: «Cer-cate, anzitutto, il regno di Dio e lasua giustizia, e tutto il resto vi saràdato in aggiunta» (Mt 6,33).

• Con la venuta di Cristo il Regnodunque si è fatto presente ma comeun inizio che garantisce e prefigurauna pienezza; è un “già” e un “non an-cora”; come un seme (cf. le note pa-rabole su questo tema) destinato acrescere e portare frutto. Il Regnodunque è simultaneamente presentee futuro. E’ da accogliere, ma è anchea venire. Chiede perciò di impegnarsiperché venga in tutto e in tutti. E’questo il senso dell’ “invocazione”.Mentre esprime infatti un desiderio,

e dunque una richiesta a Colui che,solo, può farne dono, diviene ancheimpegno e assunzione di responsa-bilità da parte di chi gli ha fatto, ecerca quotidianamente, di fargli spa-zio nella propria vita. In questa pro-spettiva la preghiera assume ancheuna “valenza escatologica” perché ciproietta con la fede e le opere versoil compimento ultimo e definitivoquando – come ricorda san Paolo –Cristo Signore «consegnerà il regnoa Dio Padre, dopo avere ridotto alnulla ogni Principato e ogni Potenzae Forza». E così «Dio sarà tutto intutti» (1 Cor 15,24.28).In conclusione: pregare per il Regnodi Dio significa dire a Gesù: facci es-sere tuoi, Signore, vivi in noi; raccoglinel tuo Corpo che è la Chiesa, iniziodel Regno, l’umanità dispersa, affin-ché in Te tutto venga sottomesso aDio, cosicché Dio sia tutto in tutti.

Sia fatta la tua volontàCome già accennato, questa do-manda è strettamente legata allaprecedente. Lo si ricava – tra l’altro –da quanto Gesù afferma quasi al ter-mine del discorso della montagna:«Non chiunque mi dice: “Signore, Si-gnore”, entrerà nel Regno dei cieli,ma colui che fa la volontà del Padremio che è nei cieli» (Mt 7,21). Unaconferma: nel vangelo di Luca non sitrova.

• Il “compimento” della volontà

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di Dio è chiesto, nella preghiera, an-zitutto in prospettiva storico-salvi-fica e dunque “universale”. Lo si traefacilmente dalla nota affermazionedell’apostolo Paolo contenuta nella Ilettera a Timoteo: «Dio nostro Salva-tore (…) vuole che tutti gli uominisiano salvati e giungano alla cono-scenza della verità» (2,4). La salvezzadi tutto l’uomo e di tutti gli uomini èil contenuto fondamentale del pianodivino che si realizza nella storia edell’intera missione di Gesù. Di-chiara, infatti, che la volontà delPadre è che nessuno si perda (cf. Mt18,14). Egli, che è l’Eterno e Total-mente Altro dall’uomo, è entrato neltempo, si è fatto conoscere, ha par-lato e compiuto meraviglie, si è fattodefinitivamente e pienamente pre-sente visibilmente nel suo Figlio in-carnato «per invitare e ammettere gliuomini alla comunione con Sé» (DeiVerbum 2).

• È un “progetto” da Dio già ini-ziato nel I testamento con le mirabiligesta compiute per il popolo dell’an-tica alleanza, e che si è compiutonella pienezza del tempo (cf. Gal 4,4)nella persona e nel ministero di Cri-sto, soprattutto nel suo mistero pa-squale (cf. Sacrosanctum Concilium5). Fare la volontà del Padre è statoinfatti il “cibo” quotidiano dell’esi-stenza di Gesù (cf. Gv 4,34). Tutta lacristologia giovannea è costruita, percosì dire, sull’obbedienza a questa

volontà, fino all’ultimo “sì”sulla Croce. Il progetto è tuttora inatto, particolarmente nell’ “oggi”della Chiesa che è, in Cristo, sacra-mento, cioè segno e strumento del-l’intima unione di Dio con gli uomini(comunione-salvezza) e dell’unità ditutto il genere umano (cf. LumenGentium 1).Pregare perché si compia la volontàdi Dio comporta dunque invocareper tutti la salvezza che egli offrecome invito e dono e come espe-rienza di vita; nello stesso tempovuol dire chiedere al Padre il donodello Spirito perché ciascuno possaoffrire la propria disponibilità e lapropria opera in modo che tuttoquesto si realizzi. Si aprono, a ri-guardo, i numerosi sentieri della“missione”, cioè di quella nuovaevangelizzazione che si rivela sem-pre più impegno prioritario peraprire la porta della fede agli uominie alle donne che vivono in situazionedi smarrimento, di confusione, dilontananza da Dio, ma che sono puredestinatari privilegiati dell’invito di-vino a entrare nel “mistero della suavolontà” (cf. Ef 1,9) e a trovare nell’in-contro con lui, nella comunità deifratelli, la verità, la gioia e la pace.È una “chiamata”, quella alla mis-sione, che ci interpella come disce-poli di Cristo. Infatti non si puòessere tali se non si diventa “apo-stoli”.

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• Dio, tuttavia, ha un progetto divita per ogni uomo. Una volontà diamore, nella quale si può trovare lapiena realizzazione di se stessi.Quando preghiamo “sia fatta la tuavolontà” è anche a questo che ci rife-riamo. E ciò comporta, anzitutto, chesiamo chiamati a scoprirla: “Signoreche vuoi che io faccia?”; è l’invoca-zione che dovrebbe ispirare il cam-mino della sequela di ogni discepolo.Ricordiamo l’episodio: «Chi è miamadre e chi sono i miei fratelli?». Gi-rando lo sguardo sui discepoli disse:«Ecco mia madre e i miei fratelli! Per-ché chi fa la volontà di Dio, costui perme è fratello, sorella e madre» (Mc3,33-35; Mt 12.48-50). Questo è pos-sibile però soltanto per il dono delloSpirito a cui occorre farsi docili.Non è facile, occorre qualcuno che ciprenda per mano, ci introduca nellavolontà di Dio; soprattutto nei mo-menti o nelle situazioni di buio, diconfusione e di incertezza, ovveroquando si sperimenta il “silenzio diDio”. E’ avvenuto anche a Gesù nell’“ora” suprema della sua passione, al-lorché ha avvertito con chiarezza edrammaticamente la volontà delPadre: quella della sofferenza che gliera chiesta nell’offerta totale di sésulla croce. «Però non ciò che voglioio, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36).Sono le parole della “resa” di Gesùalla volontà del Padre a cui si abban-dona totalmente. Il suo “sì” si opponee sconfigge il “no” di Adamo e di-

venta causa di salvezza per tutti co-loro che in lui e con lui si fidano diDio, che è Padre sempre e comun-que, e si affidano a lui, sapendo dinon restare delusi. Anzi, sanno di piùperché sperimentano la verità divinadella promessa: «Se uno fa la volontàdi Dio Egli lo ascolta» (Gv 9,31; 1 Gv5,14).

• Mi piace terminare con le pa-role conclusive di una recente cate-chesi del mercoledì (1 febbraio 2012)di Benedetto XVI sulla preghiera diGesù al Getsemani: «Cari fratelli e so-relle, ogni giorno nella preghiera delPadre nostro noi chiediamo al Si-gnore: «sia fatta la tua volontà, comein cielo così in terra» (Mt 6,10). Rico-nosciamo, cioè, che c’è una volontàdi Dio con noi e per noi, una volontàdi Dio sulla nostra vita, che deve di-ventare ogni giorno di più il riferi-mento del nostro volere e del nostroessere; riconosciamo poi che è nel“cielo” dove si fa la volontà di Dio eche la “terra” diventa “cielo”, luogodella presenza dell’amore, dellabontà, della verità, della bellezza di-vina, solo se in essa viene fatta la vo-lontà di Dio. Nella preghiera di Gesùal Padre, in quella notte terribile estupenda del Getsemani, la “terra” èdiventata “cielo”; la “terra” della suavolontà umana, scossa dalla paura edall’angoscia, è stata assunta dallasua volontà divina, così che la vo-lontà di Dio si è compiuta sulla terra.

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E questo è importante anche nellanostra preghiera: dobbiamo impa-rare ad affidarci di più alla Provvi-denza divina, chiedere a Dio la forzadi uscire da noi stessi per rinnovargliil nostro “sì”, per ripetergli “sia fatta latua volontà”, per conformare la no-stra volontà alla sua. Cari amici, do-mandiamo al Signore di esserecapaci di vegliare con Lui in pre-ghiera, di seguire la volontà di Dioogni giorno anche se parla di Croce,di vivere un’intimità sempre piùgrande con il Signore, per portare inquesta “terra” un po’ del “cielo” diDio».Da queste ultime espressioni delPapa possiamo scoprire così il sensoe la portata della conclusione dell’in-vocazione: «come in cielo, così interra», che si riferisce a tutte e tre ledomande.

• Cielo e terra è espressioneequivalente a “dappertutto”. Si pregadunque perché Dio sia dovunque ri-conosciuto e accolto nella fede, ilsuo Regno si estenda dovunque, lasua volontà sia fatta in ogni angolodella terra.

• Un secondo significatopiù pregnante: come in cielo il nomedi Dio è glorificato (dagli angeli esanti), come il suo Regno (signoria) èperfettamente compiuto e la sua vo-lontà realizzata, così avvenga interra, dagli uomini. Cioè la terra di-venti un risvolto del cielo.

In conclusioneSebbene diversamente formulate(come già detto) le prime tre do-mande del Padre nostro esprimonoun unico desiderio, che Dio e il suoRegno-progetto siano al primo postonella nostra vita e in quella di coloroche gli sono “figli” e che tutto e tuttisiano considerati a partire da lui. Intutte e tre le domande si chiedequalcosa che solo lui può fare, mache interessa noi, il mondo, il pre-sente e il futuro dell’umanità; di unaumanità salvata, felice, che sia piena-mente realizzata in lui e per lui.

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intervento di Mons. Crispino Va-lenziano al Convegno Ecclesialedi Roma sarà pubblicato inte-

gralmente. Qui però è parso utile offrireuna prima sintesi e alcune sottolinea-ture di quanto egli ha detto sul Batti-stero Lateranense, citando alcuni testichiave e alcune riflessioni sulla strutturaarchitettonica. Mons. Valenziano ha aperto il suo inter-vento salutando la Diocesi di Roma coni versi di Paolino, vescovo di Aquileia tral’VIII e il IX secolo.Salve Roma, te beata che nel sangue diPietro e di Paolo, apostoli principi, haicambiato la luce del tuo abito regale e orasei bella sopra ogni bellezza; non lodartida sola, ora che ti esaltano i santi che tustessa, una volta, hai ucciso ed ora ti ren-dono invulnerabile dagli inganni di ognitenebra. Già papa Leone Magno, nel secolo V,scriveva: Per l’apostolato dei principi Pietro e Paolol’Evangelo è giunto sino a te, Roma. Perloro tu sei divenuta discepola della verità,tu che eri maestra dell’errore. Sono loroche ti hanno fondata nel regno dei cieli inmodo ben migliore e per te più felice chenon fu la fondazione delle tue mura, che

ti diede il nome, ma, che in tanto ti mac-chiava uccidendo suo fratello.

Alla luce di queste chiavi di lettura,mons. Valenziano ha preso in esame ilBattistero Lateranense. Leone Magnoestende la riflessione sul mistero pa-squale ricollegandola al mistero dell’in-carnazione, quando il Figlio di Dioassume un corpo che è nato come il no-stro. Il corpo che patisce sulla croce,muore, risorge e ascende alla destra diDio Padre, è lo stesso corpo nato daMaria. Così papa Leone propone un pa-rallelismo: come Maria concepisce ilcorpo del Signore Gesù, che patisce,muore, risorge e ascende al cielo, così laChiesa, Vergine e Madre, genera ognicredente come un membro di quel

Il Battistero Lateranensenella relazione

di mons. Crispino Valenzianoal Convegno Ecclesiale Diocesano

L’

Fig. 1

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corpo il cui capo è Cristo: in ogni battez-zato c’è quindi il corpo stesso del Croci-fisso glorificato.

Nel Battistero si conserva un antico mo-saico, raffigurante l’Agnello pasquale(fig. 1) fatto realizzare da papa Ilario,successore immediato di papa LeoneMagno.L’acqua del battesimo è l’acqua del dilu-vio, l’acqua del Mar Rosso, l’acqua delGiordano, l’acqua che sgorga dal co-stato dell’Agnello: l’acqua del diluvio èmorte e vita; l’acqua del Mar Rosso èpassaggio e liberazione; l’acqua delGiordano sarà santificata da Cristo con ilsuo battesimo; l’acqua del fianco del-l’Agnello, come dice Pietro stesso, scatu-risce dal fianco squarciato del “pastore ecustode delle vostre anime” (1Pt 2,25), ilSignore Gesù: è l’acqua che sgorga dalcostato trafitto sulla croce insieme alsuo sangue, e che è il mistero stessodella Chiesa.

Mons. Valenziano ha poi offerto unbreve excursus storico sul Battistero.Esso fa parte degli edifici sorti sull’antico

possedimento dei Laterani, concesso daCostantino a papa Silvestro. Su quelprimo possedimento sorsero la catte-drale e un complesso di edifici che for-mano il primo nucleo del futuropatriarchio. Nelle terme della villa deiLaterani Sisto III, papa dal 432 al 440,scopre il calidarium, a forma ottagonale(fig. 2). Lavorando sulla pianta preesi-stente, sull’ottagono fu elevato un dop-pio colonnato, che costituisce una sortadi ciborio posto sulla vasca; questo dop-pio piano (fig.3) è interessantissimo, per-ché pone sulla vasca una serie di pieni evuoti che veramente spingono a con-templare, in maniera plastica, il misterodel Battesimo, quale successione di evi-denze e di misteri, di cose comunque sucui aleggia lo Spirito. Intorno a questo ottagono si snodaun’iscrizione in versi latini (per la metricasono distici elegiaci), che percorre tuttal’architrave (fig. 4). L’iscrizione è deltempo di Sisto III, ma il testo è comune-mente attribuito a Leone (futuro papa,al tempo arcidiacono di Sisto). Questi 16versi sono uno dei programmi fonda-mentali, uno dei punti più chiari a fon-

Fig. 2 Fig. 3

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damento della tradizione cristiana (for-temente legata e dipendente dalla tra-dizione romana) del Battesimo. Ecconetesto e traduzione:

Gens sacranda polis hic semine na-scitur almo.Quam fecundatis Spiritus editaquis.

Virgineo fetu genitrix Ecclesia natosQuas spirante Deo concipit amneparit.

Caelorum regnum sperate hocfonte renati:Non recipit felix vita semel genitos.

Fons hic est vitae qui totum diluitorbem,Sumens de Christi vulnere princi-pium.

Mergere peccator sacro purgandefluento,Quem veterem accipiet, proferetunda novum.

Insons esse volens isto mundarelavacro,Seu patrio premeris crimine seuproprio.

Nulla renascentum est distantiaquos facit unumUnus fons, unus spiritus, una fides.

Nec numerus quemquam scele-rum nec forma suorumTerreat hoc natus flumine sanctuserit.

Traduzione:Nasce qui un popolo di nobile stirpe,destinato al Paradiso, che lo Spiritoesalta nelle acque che ha reso fe-conde.

La Vergine Madre Chiesa concepiscei suoi germogli dallo Spirito di Dio,e li porta in quest’acqua.

Sperate nel Regno dei Cieli, voi chesiete rinati in questa fonte. La VitaEterna non è donata a coloro chenascono una sola volta.

Questa è la sorgente della vita chebagna il mondo intero, traendo origine dalla ferita di Cri-sto.

O peccatore, immergiti nella santaacqua, per esserne purificato. Ciòche essa riceve vecchio, rigenera anovità di vita.

Fig. 4

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Che tu sia gravato dal peccato origi-nale o da peccati tuoi personali, se de-sideri essere rigenerato, fatti purificarein questo lavacro.

Non vi è diversità fra coloro che sonorigenerati e resi uno attraverso l’unicafonte, l’unico Spirito, l’unica fede.

Nessuno sia mai atterrito dal numeroo dalla gravità dei suoi peccati; unavolta rinato in quest’acqua, saràsanto.

La vasca è interessantissima, perché è ilcalidarium delle terme dei Laterani. Maè una vasca tutta particolare. Ci sononell’ottagono otto affacci; due eranopraticabili, attraverso una scala di di-scesa e una di risalita. In un altro affacciopoi c’era un agnello d’oro, dal cui fiancousciva l’acqua che andava a finire nelfonte. Sugli altri cinque lati che rimane-vano c’erano cinque cervi d’argento chesi abbeveravano all’acqua (e che costi-tuivano il sistema di deflusso dell’acquadalla vasca). Papa Paolo VI, in ricordo diquei cervi e per ribadire il legame con isalmi, ne fece collocare due ai lati dellavasca battesimale, a conclusione dei la-vori di restauro (fig. 5).Così Leone Magno commentava con unbrano famosissimo che la liturgia leggenella notte di Natale: “Rendiamo grazie,dilettissimi, a Dio Padre per il Figlio suonello Spirito Santo, a Dio che nella suagrande misericordia ci ha amato, ed es-sendo morti ci ha rifatto vivi in Cristo,

per essere nuova creatura in Lui, pla-smata nuovamente. Deponiamo dun-que l’uomo vecchio con le sue opere ed,essendo ora compartecipi della genera-zione stessa del Cristo, rinunziamo alleopere della carne. Cristiano, prendi co-scienza della tua dignità e fatto consorte[cioè: della stessa sorte; la frase è trattadalla lettera di Pietro), non regredireverso la pochezza della vecchia natura:ricordati di che capo e di quale corpo tusei membro. Fa’ memoria del fatto che,strappato dal potere delle tenebre, seistato fatto tempio dello Spirito Santo. Èlo stesso Spirito per cui dal grembo dellasua genitrice nasce il Cristo; dal grembodella santa Chiesa nasce il cristiano”.

Fig. 5

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Corso di Liturgia per la Pastorale 2012-2013La presenza a Roma delle università pontificie e di vari istituti di ricerca offre unapossibilità unica di studio e di aggiornamento. In particolare, il Pontificio IstitutoLiturgico, d’intesa con l’Ufficio Liturgico del Vicariato, apre le sue porte a quantidesiderano una solida formazione liturgica di base, offrendo un corso di liturgia perla pastorale, tenuto dai docenti della Facoltà.Il corso è triennale e ciclico (quattro incontri introduttivi alla teologia, alla sacraScrittura, all’ecclesiologia e alla liturgia, riproposti ogni anno per i nuovi iscritti per-mettono di iscriversi partendo da qualsiasi anno) ed è specificamente rivolto a for-mare gli studenti alla liturgia della Chiesa, mettendone in luce soprattutto ladimensione teologica e pastorale, ma offrendo anche i fondamenti storici e biblici.Non si richiedono titoli e competenze pregresse per accedervi.La proposta è offerta in modo particolare ai candidati al diaconato e ai ministeriistituiti, alle religiose, ai membri dei gruppi liturgici parrocchiali, ai ministri straor-dinari della Comunione, a quanti esercitano un ministero di fatto e ai fedeli che vo-gliono approfondire la liturgia.Il corso si sviluppa in tre anni: ogni annualità si conclude con un esame-verifica deicontenuti appresi. A conclusione del triennio, gli studenti sono chiamati a una veri-fica complessiva che attesti la capacità di fare sintesi tra i vari insegnamenti ricevuti.Il superamento degli esami e della verifica finale dà diritto a un attestato (che noncostituisce grado accademico) rilasciato dal Pontificio Ateneo S. Anselmo e dall’Uf-ficio Liturgico del Vicariato. Sono ammessi anche studenti che non volessero soste-nere gli esami, a cui si rilascia un attestato di frequenza. A tutti vengono offerte dellesintesi scritte delle lezioni, su cui approfondire i temi trattati dai docenti e prepararel’esame.Viene offerta anche la possibilità di partecipazione al corso via web, scaricando ivideo delle lezioni e le dispense. L’esame annuale verterà su un programma legger-mente più ampio. Chi si iscrive alla modalità via web può partecipare liberamentealle lezioni presso l’Ateneo S. Anselmo. Questa soluzione non è adottabile da coloroche si preparano al lettorato ed all’accolitato.

Appuntamenti, Notizie e Informazioni

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Notizie

Informazioni:Le lezioni si tengono ogni giovedì, dalle ore 18,00 alle ore 19,30, secondo il calen-dario prestabilito (vedi www.ufficioliturgicoroma.it > Formazione > Liturgia per laPastorale).Superate le tre assenze si viene esclusi dall’esame.

Sede:Aula I del Pontificio Ateneo S. Anselmo, Piazza dei Cavalieri di Malta, 4 - Roma.Iscrizione:Presso l’Ufficio Liturgico del Vicariato di Roma, piazza S. Giovanni in Laterano,6A, dal Lunedì al Venerdì dalle ore 9.30 alle 12.30.Nuovi iscritti - corso in aula:Due foto formato tessera, uguali e recenti, modulo di iscrizione, contributo spese dieuro 115,00.Nuovi iscritti - corso e-learning (via web)*:Due foto formato tessera, uguali e recenti, modulo di iscrizione, contributo spese dieuro 140,00.Iscrizioni al 2° e 3° anno: Versamento di euro 115,00 (se vogliono proseguire con la soluzione e-learning viaweb*, euro 140,00).

Il modulo e le informazioni si scaricano da:www.ufficioliturgicoroma.itL’iscrizione si può effettuare anche versando il contributo spese tramite bollettinopostale (Conto Corrente n. 31232002 intestato a Diocesi di Roma) o bonifico (IBAN:IT 16 M 03359 01600 100000010151 intestato a Diocesi di Roma, Piazza S. Gio-vanni in Laterano, 6A, Roma), specificando sempre nella causale “Corso liturgiapastorale S. Anselmo”. Copia del versamento, insieme con il modulo di iscrizione edue fototessere uguali e recenti vanno spediti per posta ordinaria o consegnati al-l’ufficio.

* Le lezioni in aula saranno riprese con videocamera e rese disponibili per la visionesul sito internet dell’ufficio liturgico, al quale gli iscritti al corso e-learning potrannoaccedere con password personale. Contestualmente sarà possibile scaricare in pdfle dispense del corso.

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L’EUCARISTIA FA LA CHIESA

La celebrazione dell’Eucaristia è il centro

della vita liturgica della Chiesa e dell’espe-

rienza spirituale di ogni cristiano. Sono tra-

scorsi ormai cinquant’anni da quando il

Concilio Vaticano II promosse una profonda

riforma del rito, in modo da mettere in più

forte risalto la mensa della Parola di Dio e le

dimensioni di sacrificio e convito dell’Euca-

ristia. E pure bisogna riconoscere che molti

cristiani che frequentano abitualmente la ce-

lebrazione domenicale, o che vi partecipano

anche nei giorni feriali, conoscono poco il

senso e il valore di testi e gesti, dei momenti

celebrativi e dei luoghi liturgici.

La Diocesi di Roma ha perciò dedicato un in-

tero anno pastorale alla verifica sulla celebra-

zione dell’Eucaristia nelle nostre comunità e

ha preparato un sussidio, di facile lettura e di

immediata accessibilità, per diffonderne una

migliore conoscenza. Il volumetto, intitolato

L’Eucaristia fa la Chiesa e curato dal

prof. p. Ildebrando Scicolone osb, è destinato

a quanti svolgono un servizio liturgico, ai ca-

techisti, ai ministri straordinari della comu-

nione, ma, più in generale, può essere messo tra le mani di ogni fedele, il quale, attraverso un testo

semplice e di taglio divulgativo ma scientificamente fondato, comprenderà meglio quale tesoro si celi

dietro riti e parole a tutti familiari, ma non sempre da tutti ben compresi.

A seguito della grande richiesta, il sussidio è stato ora ristampato ed è disponibile presso l’Ufficio

Liturgico del Vicariato.

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