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Il Tempo Ordinario ci inserisce nella quotidianità del tempo della fede e della testimonian- za. Spesso ne sminuiamo il valore perché crediamo che le piccole cose di ogni gior- no sono meno importanti delle altre, pensiamo che la logorante testimonian- za, ripetitiva e stancante, sia meno pre- ziosa dei momenti intensi e folgoranti. Questo tempo liturgico è invece un mo- mento insostituibile per interiorizzare e approfondire il Mistero cristiano ponen- dolo all’interno della nostra esistenza, di quel susseguirsi apparentemente mono- tono delle solite cose, dei soliti gesti. Il la- voro quotidiano porta in sé un valore grande, che spesso sfugge alla nostra at- tenzione proprio perché di solito è privo di quelle originalità attraenti o di quelle folgoranti esperienze che caratterizzano gli eventi eccezionali. Ma è proprio que- sto il valore dell’ordinario, quello di esse- re un cammino spirituale in cui la soffe- renza della routine si trasforma in per- corso ascetico verso un’autentica edifica- zione spirituale, fatta non da grandi eventi eclatanti, ma da semplici e profon- de esperienze di Dio nell’azione e nella preghiera di ogni giorno. Forse la ricchez- za di questo periodo dell’anno liturgico è proprio questa: segnare il nostro passo costringendoci a reputare ricchezza ciò che è umile e semplice, a scoprire i tesori della provvidenza nelle banalità quotidia- ne, facendoci comprendere come la bel- lezza stessa di Dio si nasconda in questa semplicità e come la profondità del Mi- stero si spalanca davanti a noi nel mo- mento in cui apriamo il nostro cuore a esso nel silenzio e nel nascondimento. I giorni che si succedono sono la cadenza musicale di questo cammino, il loro ripe- tersi ne rafforza il messaggio guidandoci sui binari dello Spirito. Potremmo definire il Tempo Ordinario come il periodo in cui il Signore Gesù predicava e compiva miracoli per le vie della Galilea e della Giudea, ma soprat- tutto come il tempo di Nazareth, quando per trent’anni visse la quotidianità e il na- scondimento alla scuola dell’umiltà e del lavoro, dell’obbedienza e dell’intimità fa- miliare, del silenzio e della semplicità, ma anche delle gioie e dei dolori che caratte- rizzano la vita degli uomini. Il Tempo Or- dinario ci insegna a radicare la nostra vita nell’oggi concreto della nostra esperienza con Dio con un forte realismo, senza im- maginare un cammino spirituale “a no- stra immagine”, ma secondo la volontà di Dio. L’esperienza di Nazareth ci fa comprendere che l’ordinario prepara Ge- 1 Formazione Liturgica Culmine e Fonte 5-2006 Tempo della vita, tempo della grazia mons. Marco Frisina I

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Il Tempo Ordinario ci inseriscenella quotidianità del tempodella fede e della testimonian-

za. Spesso ne sminuiamo il valore perchécrediamo che le piccole cose di ogni gior-no sono meno importanti delle altre,pensiamo che la logorante testimonian-za, ripetitiva e stancante, sia meno pre-ziosa dei momenti intensi e folgoranti.Questo tempo liturgico è invece un mo-mento insostituibile per interiorizzare eapprofondire il Mistero cristiano ponen-dolo all’interno della nostra esistenza, diquel susseguirsi apparentemente mono-tono delle solite cose, dei soliti gesti. Il la-voro quotidiano porta in sé un valoregrande, che spesso sfugge alla nostra at-tenzione proprio perché di solito è privodi quelle originalità attraenti o di quellefolgoranti esperienze che caratterizzanogli eventi eccezionali. Ma è proprio que-sto il valore dell’ordinario, quello di esse-re un cammino spirituale in cui la soffe-renza della routine si trasforma in per-corso ascetico verso un’autentica edifica-zione spirituale, fatta non da grandieventi eclatanti, ma da semplici e profon-de esperienze di Dio nell’azione e nellapreghiera di ogni giorno. Forse la ricchez-za di questo periodo dell’anno liturgico èproprio questa: segnare il nostro passo

costringendoci a reputare ricchezza ciòche è umile e semplice, a scoprire i tesoridella provvidenza nelle banalità quotidia-ne, facendoci comprendere come la bel-lezza stessa di Dio si nasconda in questasemplicità e come la profondità del Mi-stero si spalanca davanti a noi nel mo-mento in cui apriamo il nostro cuore aesso nel silenzio e nel nascondimento. Igiorni che si succedono sono la cadenzamusicale di questo cammino, il loro ripe-tersi ne rafforza il messaggio guidandocisui binari dello Spirito.

Potremmo definire il Tempo Ordinariocome il periodo in cui il Signore Gesùpredicava e compiva miracoli per le viedella Galilea e della Giudea, ma soprat-tutto come il tempo di Nazareth, quandoper trent’anni visse la quotidianità e il na-scondimento alla scuola dell’umiltà e dellavoro, dell’obbedienza e dell’intimità fa-miliare, del silenzio e della semplicità, maanche delle gioie e dei dolori che caratte-rizzano la vita degli uomini. Il Tempo Or-dinario ci insegna a radicare la nostra vitanell’oggi concreto della nostra esperienzacon Dio con un forte realismo, senza im-maginare un cammino spirituale “a no-stra immagine”, ma secondo la volontàdi Dio. L’esperienza di Nazareth ci facomprendere che l’ordinario prepara Ge-

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Tempo della vita, tempo della grazia

mons. Marco Frisina

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sù alla sua missione rendendolo forte diquell’esperienza umana e spirituale ne-cessaria al suo annuncio di salvezza. Cosìper noi, il Tempo Ordinario, nelle sue duesezioni, ci prepara agli intensi itinerari deiTempi Forti e nello stesso tempo li segue,dandoci il modo di decantare quelleesperienze nella vita.

Questo tempo può essere per noiun’occasione preziosa per mettere allaprova la nostra fedeltà e generosità nelfarci testimoni del Vangelo. La scopertadel quotidiano ci farà comprendere i nostrilimiti e le nostre mancanze, perché messea confronto con un giornaliero insidioso e,per la sua monotonia, spesso logorante,ma proprio per questo capace di costruirel’uomo interiore mattone sopra mattone,così da renderlo solido e capace di realiz-zare la volontà di Dio nella propria vita.

Gli eventi eccezionali, di cui la nostracultura contemporanea si nutre, possono

divenire spettacoli affascinanti che emo-zionano profondamente nell’istante incui li osserviamo, ma che poi non lascia-no nulla nel cuore. Dobbiamo abituarci asolennizzare ciò che è “normale” e sem-plice perché lì c’è l’eccezionalità del Mi-stero di Dio che “si è fatto carne venen-do ad abitare in mezzo a noi”.

Inoltre il Tempo Ordinario è costellatodi alcune solennità e feste che ne ravviva-no il cammino. Le solennità del Signore,come la domenica della Santissima Trinitàe del Corpo e Sangue di Cristo, la Trasfi-gurazione o la festa dell’esaltazione dellaCroce, le solennità della Vergine Maria edei Santi, come L’Assunzione o San Gio-vanni Battista ci rammentano in questotempo Ordinario che la presenza salvificadel Signore è efficace e forte sul nostrocammino e ci conduce alla sua scuola,con passo sicuro e fermo, verso la vitaeterna.

La Santa Famiglia, Murillo, Madrid Museo del Prado, sec. XVII

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anno, oltre che in dodici mesi,è diviso in 52 settimane, più

un giorno e 6 ore. Per queste sei ore,ogni quattro anni abbiamo un giornoin più, il 29 febbraio (uno bisestile).

Il giorno, per noi, va da mezzanottea mezzanotte. Per gli ebrei invece, ilgiorno va dal tramonto al tramonto, daun vespro (il momento in cui la seraspunta la prima stella (vespero), all’al-tro. Questa tradizione ebraica fa sì che,anche per noi, i giorni di solennità e ledomeniche, dal punto di vista liturgico,cominciano la sera precedente, appun-to con i primi Vespri, pur terminando amezzanotte del giorno festivo o dome-nicale. Ecco perché il sabato pomerig-gio è già domenica, e – conseguente-mente – non abbiamo i vespri del saba-to ma i primi vespri della domenica; ela messa vespertina del sabato è quelladella domenica (e non si deve chiamarepre-festiva ma propriamente “della so-lennità” o della domenica).

Il giorno poi è diviso in ore. La chie-sa ha santificato le ore del giorno, conla Liturgia delle Ore, appunto. Oltre lapreghiera del mattino (Lodi mattutine)e della sera (Vespro), ha pregato ognitre ore (terza = ore 9; sesta = ore 12;

nona = ore 15), collegandole con le orein cui è avvenuta la Passione, la mortee la risurrezione del Signore.

Mentre la divisione in anni e mesiha il suo fondamento oggettivo nell’a-stronomia (l’anno è il tempo del giro dirivoluzione della terra attorno al sole, ilmese il giro di rivoluzione della luna at-torno alla terra), incerta e piuttosto re-cente è la divisione del tempo in setti-mane. Questa divisione poi è comune atutte le culture, anche se molte la os-servano.

La Bibbia, nella sua redazione piùrecente (la tradizione sacerdotale) lafonda sulla narrazione della creazione.Secondo il capitolo primo della Genesi,Dio creò il mondo in sei giorni, e il set-timo si riposò. Questo settimo giorno èl’unico ad avere un nome, “sabato”,appunto, che significa riposo. Gli altrigiorni sono soltanto numerati: 1°, 2°,3°, 4°, 5°e 6° giorno dopo il sabato, odella settimana.

I Romani avevano pure raggruppatoi giorni in settimane (in greco: hebdo-mada), dando ai diversi giorni i nomidel sole e dei pianeti: il primo è il gior-no del sole, il secondo della luna, il ter-zo di Marte, poi di Mercurio, di Giove,di Venere, di Saturno.

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I giorni e le settimane tempo della grazia

p. Ildebrando Scicolone, osb

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I cristiani di Roma, pur adattandosiall’uso romano nelle relazioni con i pa-gani (vedi la prima Apologia di Giusti-no, cap. 67 utilizzeremo tra loro la set-timana ebraica, con una sola novità:daranno un nome al primo giorno do-po il sabato, quello di domenica (=giorno del Signore). Gli altri giorni lichiameranno feria 2ª, 3ª, 4ª, 5ª e 6ª. Ilprimo giorno è chiamato “domenica”(Apoc. 1,10), perché in quel giorno Dioha creato il mondo, perché nello stessogiorno Cristo, il nostro Salvatore è risu-scitato, e nello stesso giorno è apparsoagli Apostoli. Si vede così chiaramenteche mentre il sabato – settimo giorno –ha come essenza il riposo (non l’ozioma la contemplazione serena e gioiosadi quel che Dio ha fatto), la domenica– primo giorno – ha come essenza lapresenza del Cristo Risuscitato, cosache avviene nella celebrazione dell’Eu-caristia. Ne deriva che è l ‘eucaristia(dominicum) che fa il giorno del Signo-re (domenica).

La settimana cristiana è quindi con-trassegnata dall’eucaristia domenicale.Se ogni giorno è santificato dalla litur-gia delle Ore, la settimana lo è per ladomenica. Il Concilio Vaticano II (SC106) dice che “la domenica è nella set-timana, ciò che la Pasqua è nell’annoliturgico”. Tutto questo spiega perchéla Chiesa non può assolutamente ri-nunciare alla settimana con la domeni-ca.

Ci sono stati, in passato, tentativi didiversa divisione del tempo. Per es. la

Rivoluzione francese (1789) aveva divi-so il mese in tre decadi. Il tentativo èabortito. Ma anche più recentementesono state avanzate delle proposte peravere un calendario perpetuo che fosseuguale in tutti gli anni. A queste pro-poste aderirebbe anche la Chiesa chenel Concilio ha fatto una dichiarazionein tal senso. Ma la Chiesa dichiara:

“Però, tra i vari sistemi allo studioper fissare un calendario perpetuo e in-trodurlo nella società civile, la chiesanon si oppone a quelli soltanto checonservano e tutelano la settimana disette giorni con la domenica, senza ag-giunta di giorni fuori della settimana,in modo che la successione delle setti-mane resti intatta, a meno che inter-vengano ragioni gravissime, sulle qualidovrà pronunciarsi la Sede apostolica”(Appendice alla S.C.).

Ancora una volta si ribadisce la fededei martiri di Abitene, che abbiamosentito risuonare nel Congresso Eucari-stico di Bari: “Senza la domenica (l’eu-caristia domenicale) non possiamo vive-re. Nei primi secoli dell’era cristiana,l’eucaristia era celebrata solo la dome-nica. Nei giorni feriali, oltre alla pre-ghiera oraria, c’erano due giorni di di-giuno settimanali. La Didaché (cap. 8)ricorda che gli ebrei digiunavano il se-condo e il quinto giorno (lunedì e gio-vedì); noi invece, dice, digiuniamo ilquarto e il giorno della preparazione (oparasceve), cioè il mercoledì e il ve-nerdì. Ben presto questi due giorni sa-ranno conclusi con la celebrazione eu-

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caristica. E poi, via via, anche gli altrigiorni feriali avranno una celebrazioneeucaristica; ultimo di essi sarà il gio-vedì. I giorni feriali però non avranno,fuori della Quaresima, dei formularipropri. Si ripeterà la Messa della Dome-nica. Anche oggi, per i giorni feriali,abbiamo soltanto le letture proprie, manon i testi eucologici (le preghiere) o icanti.

Nel Medioevo, i sacerdoti itinerantiavranno bisogno di un Messale picco-lo. Si farà un “Missale par-vum” con sette messe, unaper ogni giorno della setti-mana, ma sempre uguali.La domenica si dirà la Mes-sa della SS. Trinità, il lunedìdegli Angeli, il martedì de-gli Apostoli, il mercoledì diS. Giuseppe, il giovedì del-l’Eucaristia, il Venerdì dellaCroce o della Passione (il S.Cuore verrà molto dopo), ilSabato della Madonna.

Oggi abbiamo, come di-cevo, solo letture proprieper ogni giorno. Le pre-ghiere invece si possonoscegliere da qualsiasi partedel messale: o da una do-menica ordinaria qualsiasio di un santo celebrato inquel giorno in qualche par-te (iscritto nel martirologioromano), o da una messavotiva, o da una messa pervar ie c i rcostanze, o da

quelle collette che si trovano in Appen-dice al messale italiano. La scelta vafatta dal celebrante, tenuto conto delsenso pastorale, cioè l’utilità dell’as-semblea, e prendendo lo spunto dalleletture previste. E’ chiaro che, per fareuna tale scelta, il celebrante deve co-noscere bene tutto il messale e devepreparare in anticipo l’ordinamentodella celebrazione.

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Missione degli Apostoli, Maestro dei cori, Cracovia, Museo Nazionale, sec. XV

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alla storia risulta che la setti-mana “ordinaria” è nata,nella Chiesa, prima ancora

della celebrazione annuale della Pa-squa, e quindi prima dei tempi “forti”»1

questa affermazione ci aiuta a ripensareil ruolo del tempo ordinario togliendolodal ruolo di puro raccordatore dei tempiforti e ripensarlo come «struttura por-tante dell’anno liturgico, sia dal puntodi v ista stor ico che da quel loteologico»2. La Domenica ritma tuttol’anno liturgico, anzi ne costituisce ilcardine e la struttura portante sullaquale si innestano tutti i tempi, com-presi quelli detti “forti”.

Il tempo ordinario non può quindi es-sere considerato un tempo debole rispet-to ai cosiddetti tempi forti. Esso «non hacome oggetto la celebrazione di un mi-stero preciso della vita di Cristo»3 ma ce-lebra il mistero di Cristo e della Chiesanella sua globalità ogni settimana, spe-cialmente nella Domenica.

Questo tempo è costituito da 33 o 34settimane ed è “condizionato” dalla ce-lebrazione della Pasqua, che è una festamobile, che determina la divisione in dueparti: una prima, costituita da 5 a 9 setti-mane, che si colloca dopo il Battesimo diGesù; una seconda, costituita dalle rima-nenti settimane, che si posiziona dopo laPentecoste.

Non si tratterà di avere sempre setti-mane complete, in quanto si hanno i se-guenti casi:

Alcune settimane sono, per così dire,prive della Domenica, in quanto essa èsostituita da una festa del Signore. La pri-ma domenica del Tempo Ordinario coin-cide con il Battesimo del Signore; le Do-meniche in cui si celebrano le solennitàdella SS. Trinità, del SS. Corpo e Sanguedi Cristo; l’ultima Domenica in cui si cele-bra Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’u-niverso.

La settimana prima della Quaresima è“ordinaria” solo nei primi tre giorni inquanto si sospende per il sopraggiungeredel Mercoledì delle Ceneri che segna l’i-nizio del Tempo di Quaresima.

Anche se non rientra nelle finalità diquesto contributo lo studio storico dellaformazione del Tempo Ordinario, ritengoopportuno sintetizzare la situazione cheha determinato l’intervento del ConcilioEcumenico Vaticano II per una riforma diquesto tempo.

Il numero delle settimane ordinarie siè andato riducendo, nei primi secoli, acausa dello strutturarsi e svilupparsi del-l’anno liturgico nei vari tempi forti. Manmano che si strutturavano i tempi diQuaresima, di Pasqua, di Avvento e diNatale, venivano sottratte settimane al

Il Tempo “per annum” o Ordinariodiacono Antonio Cappelli

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tempo ordinario. Queste domeniche deltempo ordinario molto spesso non aveva-no alcun titolo ma un titolo generale PerDominicis diebus. Per nominarle si èspesso ricorso al riferimento alla Solen-nità più vicina, per cui si sono avute ledomeniche prima di Natale e quelle dopoPasqua.

Il Messale di Pio V distinguerà le do-meniche ordinarie in Post Epiphaniam ePost Pentecostem.

Nessun libro liturgico, prima del Vati-cano II, presenta formulari per la celebra-zione nei giorni feriali. Ciò significa che,teoricamente, la Chiesa in questi giorninon ha avuto celebrazioni che interessa-vano la comunità.

In realtà non è così in quanto, ed è at-testato, celebrazioni in giorni feriali, o inalcuni di essi, ci sono state. Si pensi aidies natales dei martiri e poi dei santi; al-la celebrazione nei giorni di digiuno delMercoledì e Venerdì all’inizio delle stagio-ni (Quattro Tempora); alle celebrazioninei giorni che precedono e seguono legrandi feste (ed esempio la Pasqua). Vi èpoi nel Medioevo un moltiplicarsi di mes-se votive che determina una più frequen-te celebrazione di messe quotidiane.

La riforma del Vaticano II relativamen-te alle celebrazioni feriali del Tempo Ordi-nario sceglie una duplice linea: non pre-vede formulari specifici per questi giorniperò prevede un Lezionario feriale distri-buito su due cicli (I-II). Nei giorni feriali siha un ciclo costituito da 2 letture: unatratta dall’Antico Testamento, con il suo

salmo, e il Vangelo. In questo ciclo ferialein realtà il Vangelo è lo stesso nei due an-ni, mentre cambia la prima lettura trattadall’Antico Testamento.

Per le Domeniche del Tempo Ordina-rio il Calendarium Romanum le numerada I a XXXIV. In ossequio alle disposizionidi SC nr. 51 i nuovi Lezionari prevedonouna più abbondante lettura della SacraScrittura nella Liturgia tanto da articolareil ciclo delle letture domenicali su untriennio (A, B, C). La differenza che si hatra il ciclo delle letture dei tempi forti equello del tempo ordinario è che, mentrenei tempi forti le letture sono apposita-mente scelte per ogni celebrazione e ar-monizzate tra loro, per il tempo ordinariosi sono scelti altri criteri.

Sia nelle Domeniche, sia nelle Solen-nità si hanno tre letture: la prima trattadall’Antico Testamento, con il suo Salmo,la seconda tratta dalle lettere degli Apo-stoli, la terza è il Vangelo.

Per i Vangeli si leggono nei tre cicli se-condo questo schema:

Ciclo A si legge il Vangelo di Matteo;Ciclo B si legge il Vangelo di Marco,

nelle domeniche XVII-XXI si legge il Van-gelo di Giovanni;

Ciclo C si legge il Vangelo di Luca;In Quaresima e nel Tempo di Pasqua si

legge il Vangelo di Giovanni.La lettura dell’Antico Testamento è

scelta in modo da armonizzarsi con ilVangelo del giorno, mentre normalmenteil Vangelo e le letture degli Apostoli, se-guendo un criterio di lettura semiconti-nua, non si armonizzano tra loro.

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Dopo il Lezionario, altro elementoqualificante le Domeniche del Tempo Or-dinario sono le Orazioni. Seguendo l’anti-ca tradizione romana esse non hanno ingenere alcun legame con le letture pro-clamate e si riferiscono al mistero di Cri-sto e alla vita cristiana in modo globale.Altrettanto si può dire delle orazioni sulleofferte e per quelledopo la comunio-ne. Tutte risultanoalquanto generi-che. Infatti tuttequeste orazionipossono essereusate non solo ladomenica, ma an-che nella rispettivasettimana o in altrigiorni feriali.

La ConferenzaEpiscopale Italianaha mantenutoquesta tradizioneproponendo nelMessale in linguaitaliana le Collettedell’antica tradi-zione romana, maha anche aperto auna nuova possibilità inserendo in Ap-pendice4 delle Orazioni collette relativealle domeniche del Tempo Ordinario perogni ciclo di letture A, B e C. Queste sidistaccano dalla tradizione romana pro-prio per il loro legame stretto con le let-ture che vengono proclamate in quelladomenica. Questa peculiarità fa sì chequeste Collette non possano essere uti-

lizzate in giorni diversi da quelli ai qualisono assegnate.

Nei giorni feriali “per annum”, nonessendoci un formulario proprio, si pos-sono prendere le orazioni della domenicaprecedente, quelle di una qualsiasi delleXXXIV domeniche ordinarie, o una delle

orazioni per le va-rie necessità. Vi èpoi sempre la pos-sibilità di usare ilformulario o la so-la colletta di unamemoria facoltati-va, o di un santoiscritto in quelgiorno nel Martiro-logio, oppure unamessa per variecircostanze o an-che una messa vo-tiva.

Anche in que-sto caso la Confe-renza EpiscopaleItaliana ha inseritoin Appendice alMessale Romanouna serie di 34

Orazioni collette utilizzabili nelle ferie deltempo ordinario5.

Sono invece più legate al momentocelebrativo le orazioni sulle offerte e do-po la comunione.

Il Tempo Ordinario risente di alcuniproblemi di natura liturgico-pastorale che

Cristo Pantocrator, mosaico, S. Sofia, Istanbul, sec. XIII

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nascono da una cattiva percezione di que-sto tempo, inteso come tempo “vuoto”che si deve colmare alla rinfusa con varieattività di carattere liturgico-pastorale. Al-tro problema che investe il Tempo Ordina-rio è la prassi devozionale. La percezionedel “vuoto” era stata, per così dire, col-mata da pratiche devozionali e attività pa-storali disparate. Si pensi ai mesi devozio-nali dedicati alla Vergine Maria, a questo oquel santo, che finivano per sovrapporsinon solo al tempo ordinario ma anche aitempi forti.6 Per dare contenuto alle Do-meniche si sono collegate ad essa alcuneattività socio-ecclesiali (vocazioni, lebbrosi,migranti, missioni,…) come se la Domeni-ca non contenesse già la dimensione del-l’impegno ecclesiale. Ancora accenno alproblema pastorale suscitato dalle variedomeniche che vengono caratterizzate da“giornate” che rischiano di trasformare ilgiorno del Signore in giorno del giornalecattolico, dell’università, della vita, ecc.

Il Tempo Ordinario ha una sua di-mensione educativa, non è uno spazioin cui inserire le varie attività di una co-munità, ma un tempo fortemente for-mativo. Occorre allora una sistematicacatechesi che, partendo dal ciclo festi-vo triennale delle letture offerte dal Le-zionario, consenta di attuare l’annun-cio globale di tutto il messaggio cristia-no. Il lezionario quindi è lo strumentoper l’annuncio e la crescita del cristia-no, e non solo uno strumento di uso li-turgico.

Occorre convincerci che la Domenicaè il grande momento pastorale di una co-munità cristiana.

«A ben guardare il Tempo Ordinario,anche soltanto attraverso le cose ordina-rie che offre, ha già la possibilità di di-ventare un tempo straordinario, moltoricco di proposte e assai impegnativo,senza moltiplicare le attività e disperderele forze»7.

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——————1 I. SCICOLONE, Anàmnesis – L’anno liturgico: il

tempo “per annum”, Genova, 1988, p. 209. 2 S. SIRBONI, Tempo Ordinario e problemi liturgico-

pastorali, in “Rivista di Pastorale Liturgica”, n.

191, 1995/4 , p. 57.3 A. NOCENT, Celebrare Gesù Cristo: l’anno liturgi-

co, V Tempo Ordinario, Assisi, 1978, p. 16.4 Messale Romano, Collette per le Domeniche e le

Solennità per il Tempo Ordinario, pp. 981 ss.

5 Messale Romano, Collette per le ferie del Tempo

Ordinario, pp. 1017 ss.6 S. SIRBONI, Tempo Ordinario e problemi liturgico-

pastorali, In “Rivista di Pastorale Liturgica”,

1995/4 n. 191 p. 58.7 S. SIRBONI, Ibid., p. 61.

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l termine prefazio deriva dal pre-fisso latino prae (prima di, da-vanti a, in riferimento a) e dal-

l’arcaico fari (dire). Nelle fonti liturgicheantiche praefatio può significare un testoproclamato davanti a Dio o all’assembleao una formula recitata prima di un’altraoppure anche una preghiera di benedi-zione di un oggetto o di una persona oinfine un termine generico per indicareuna preghiera.

La parola prefazio non deve però es-sere tradotta e interpretata come discor-so o parole che precedono un altro ele-mento in quanto il succitato prefisso lati-no è da intendersi qui non in senso tem-porale ma spaziale. Infatti “il sacerdote, anome di tutto il popolo santo, glorificaDio Padre e gli rende grazie per tutta l’o-pera della salvezza o per qualche suoaspetto particolare, a seconda della di-versità del giorno, della festa o del Tem-po” (Ordinamento Generale del MessaleRomano 79).

Ogni prefazio ha una struttura tri-partita: l’introduzione, la presentazio-ne e la lode dell’opera di salvezza -dalla creazione al ritorno finale del Si-gnore Gesù - con particolare accentua-zione cristologica attraverso testi doverisuona con forza il tema della glorifi-cazione e del rendimento di grazie, il

passaggio al canto comunitario delSanctus.

“Il prefazio è la prima parte della pre-ghiera eucaristica, che per sua origine,natura e denominazione è rendimento digrazie, e segue immediatamente il dialo-go introduttorio.

La sua importanza risale all’esplicitocomando di Gesù Fate questo in me-moria di me nel contesto dell’UltimaCena. Se dunque l’eucaristia, in obbe-dienza alle parole del Signore, è imita-zione della sua azione, il prefazio imitail rendimento di grazie del Cristo; e al-lora, a causa del prefazio, tutta l’anafo-ra si configura come esecuzione del co-mando del Signore Gesù.

Da questo si desume l’importanzanon secondaria del prefazio nella pre-ghiera eucaristica; oggi invece esso non èconsiderato sua parte principale ma sem-plicemente inizio dell’anafora.

Il prefazio invece ha rappresentato,almeno fino agli inizi del quarto secolo,la parte principale della preghiera euca-ristica; in seguito nella tradizione latinail posto preminente è stato riservato alleparole del Signore Gesù sul pane e sulvino mentre in quella orientale è statadata grande importanza all’epiclesi.Queste differenti valutazioni dipendono

I Prefazi delle Domenichedel Tempo Ordinario

Stefano Bodi

I

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dai differenti criteri interpretativi che neltempo sono stati applicati alla preghieraeucaristica” (MAZZA E., Origine dell’Eu-caristia e sviluppo della teologia eucari-stica, in “Celebrare il Mistero di Cristo”- Volume II).

PREFAZIO DELLE DOMENICHE DELTEMPO ORDINARIO I

Il mistero pasquale e il popolo di Dio

Il Signore Gesù è la verità che ci ren-de liberi (Gv 8,36) e lo Spirito Santo,che è anch’esso verità (1 Gv 5,6), ciguida nel cammino verso di Lui (Gv16,13). Il Figlio, liberatore dalle poten-ze del maligno (Gal 5,1), vince le no-stre tenebre con lo splendore della sualuce (Preconio Pasquale). Il popolo diDio, redento dal glorioso mistero pa-squale del Figlio (Ap 5,9-10), continua-mente invoca e accoglie la potenza del-lo Spirito, forza di Dio (2 Tm 1,7) chesostiene nel duro cammino e rende sal-di di fronte alle quotidiane difficoltà,ma anche dono di carità umile e pa-ziente (1 Cor 13,4).

I cristiani, di fronte alla tangibile co-scienza delle proprie colpe (Sal 50,5), so-no invitati ad affidarsi totalmente a Coluiche, vincitore della schiavitù del peccatoe della finitezza, può liberarli dal loro cor-po di morte (Rm 7,24-25). Riconoscere,come Bartimeo, la propria incapacità divedere (Mc 10,51) accompagnata dalprofondo desiderio di essere liberati è ilprimo passo per poter essere illuminatidalla luce del Figlio (Ef 5,14).

Il popolo nuovo, continuamente vivifi-cato dalla presenza del Cristo Capo edello Spirito Santo (1 Pt 4,6), deve pren-dere coscienza della sua condizione pertestimoniare, in un’esistenza segnata dal-l’azione del Consolatore, una relazioneche ha lo spessore della comunione di-morante (Gv 14,20). Le parole di San Pie-tro (1 Pt 2,9-10) sono foriere di gloria marappresentano anche un dovere.

PREFAZIO DELLE DOMENICHE DELTEMPO ORDINARIO II

Il mistero della redenzione

Il discepolo sperimenta quotidiana-mente la propria incapacità di amare congiusta misura (Lc 6,38) e sino in fondo (Gv13,1), l’ostinazione nell’egoismo (Sal 35,2-5) e il dramma di non riuscire a incarnarela vocazione per la quale ha ricevuto la vi-ta (Tt 1,16): questa verità è magistralmen-te disegnata dalle parole di San Paolo (Rm7,18-19). Ma la condizione di peccatore ela visione del male che è nel mondo nondebbono scoraggiare il cristiano: nulla èimpossibile (Mc 10,26-27) per coloro chehanno piena coscienza dell’evento dell’in-carnazione del Signore Gesù (Gv 1,11-12).Così ci esorta San Leone Magno: “L’uma-nità malvagia ritorna alla sua innocenza,l’umanità vecchia riacquista una vita nuo-va; gli estranei ricevono l’adozione e i fo-restieri entrano in possesso dell’eredità.D’ora in poi i cattivi diventano giusti, gliavari generosi, i lussuriosi casti, e gli uomi-ni da terreni si fanno celesti” (SAN LEONEMAGNO, Omelie-Lettere).

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La partecipazione alla vittoria pasqualedel Cristo consente il rifluire di una vitarinnovata (2 Cor 5,15), di guardare conocchi nuovi se stessi e i fratelli (Eb 3,1).Ma è necessario entrare liberamente nellalogica di donazione totale vissuta dal Si-gnore Gesù (Is 53,4-7); se il discepolo ac-cetta questo con amore (1 Pt 1,22) diverràsegno profetico di gratuità e di liberazionee la comunità dei credenti saprà comuni-care la potenza della risurrezione e il gustodella comunione fraterna (At 2,46-47).

PREFAZIO DELLE DOMENICHE DELTEMPO ORDINARIO III

La nostra salvezza nel Figlio di Dio fatto uomo

Nella sua immensa benignità il Padre hamanifestato il suo amore verso l’uomo pec-catore (Rm 5,8) attraverso l’incarnazionedel Figlio (Gal 4,4-5); Egli si è servito dellanostra fragile e mortale condizione umanaper vincere il peccato e la morte (Fil 2,7-8).Attraverso l’umiliazione della croce è appar-sa la gloria di Dio (At 2,36), un amore tal-mente grande e vero da lasciarsi fare vio-lenza per essere vittorioso (1 Gv 3,16). Nel-la debolezza e nell’abbassamento del Si-gnore Gesù (2 Cor 13,4) l’uomo può esseretratto dalla condizione servile e recuperarela sua dignità filiale (1 Gv 3,1-2).

Ma Cristo, venuto per liberare (Eb10,37), chiama ogni uomo a collaborare allasalvezza (Lc 13,23-24); nella Chiesa lo Spiri-to Santo opera per la nostra redenzione (Ef4,30) suscitando in noi il desiderio della vitaimmortale (Mt 19,16) e fornendoci i mezzi

necessari per il combattimento della fede (1Tm 6,11-12), in unione alla incessante azio-ne del Padre e del Figlio (Gv 5,17).

Nella luminosa epifania trinitarial’uomo, immerso nel circolo virtuosodell’amore divino, riscopre la gioia dellavita vera che non delude (Rm 10,11),già ricevuta in dono nella celebrazionedel Battesimo (Rm 6,4), e può speri-mentare ogni giorno quella salvezzache godrà senza fine nel momento delritorno al Padre.

PREFAZIO DELLE DOMENICHE DELTEMPO ORDINARIO IV

La storia della salvezza

Il Verbo incarnato ha condizionato inmaniera definitiva il significato profondodella vita degli uomini (Gv 1,11-12); la sof-ferenza redentrice della passione (Is 53,5),la sua resurrezione dai morti (Ap 1,17-18),il ritorno al Padre accompagnato dal donodello Spirito Santo (Gv 16,7) hanno sancitola nascita del nuovo popolo dei redenti (Tt2,14) e l’inizio di un rinnovamento che ha ilsapore di una nuova creazione (Col 3,10).

Di fronte alla domanda sul senso e sulfine della storia, l’uomo di fede pone tuttal’esistenza sotto il segno di un pellegrinag-gio verso la pienezza dei tempi (Ap 2,25-26), verso la manifestazione gloriosa del Si-gnore Gesù (2 Tm 4,8). L’apparire del Figlionella carne mortale nel seno di una vergine(Is 7,14) ha portato a compimento le atte-se di bene (Pr 11,23) degli uomini smarritinella schiavitù del peccato. Dalle cose chenon sono (1 Cor 1,28) l’amore del Padre,

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più forte di ogni male, ha trasformato lanegatività in ricchezza di bene, la vita se-gnata dal peccato in pienezza e novità (2Cor 5,17). Nelle angosce e tribolazioni delpresente (1 Ts 3,3-4) il cristiano scorge unaprospettiva piena di speranza (Rm 15,4):l’amore di Dio si è fatto prossimo nell’uma-nità risorta del Cristo (Rm 5,5-8) e sin daora i suoi giorni sono proiettati nel regnoeterno insieme al Primogenito di una mol-titudine di fratelli (Rm 8,29).

PREFAZIO DELLE DOMENICHE DELTEMPO ORDINARIO V

La creazione loda il Signore

Di fronte all’uomo che, seguendo lamentalità orgogliosa e autosufficiente deinostri giorni (2 Tm 3,1-4), crede di esserel’autore e padrone della vita (Is 29,16), ilsignore del tempo e della storia (Sal 2,1-3), il discepolo è chiamato ad affermarecome tutta la creazione, opera del Padre,non sia un oggetto nelle mani del dominioegoistico e manipolatore dell’uomo (Gen1,28). Tutta la realtà, disposta con creatri-ce sapienza nella sua mirabile varietà (Sap9,1-2), è un dono di Dio dalle immense ri-sorse che, affidato al lavoro di colui che èimmagine somigliantissima (Gen 1,26-27)del Creatore, l’uomo è chiamato a far pro-gredire e fruttificare come servo buono eobbediente (Lc 19,11-27).

L’affannarsi angoscioso per il progres-so (Mt 6,34) e la presunzione di potersempre e comunque indirizzare le vie del-la storia devono lasciare spazio alla co-scienza della signoria del Creatore sul

mondo (Bar 6,59-61) e al riconoscimentodel proprio posto nella creazione (Sal8,6-9), all’ammirazione (Sal 91,6) e alrendimento di grazie per quanto il Padreci ha dato (1 Cr 29,10-13).

Il cristiano, scelto da sempre e persempre (Ef 1,4), eletto dalla fondazionedel mondo (Mt 25,34), è chiamato a te-stimoniare e annunciare un rapportonuovo con il creato e con i fratelli. Tuttoquesto sarà possibile se, aperto all’azionedello Spirito Santo, il fedele vivrà in pie-nezza la disponibilità ad accogliere il do-no di Dio (Gv 4,10.15) e, libero dal desi-derio di diventare il signore della propriastoria, entrerà nella consapevolezza chela vera regalità è il servizio (Lc 22,24-27).

PREFAZIO DELLE DOMENICHE DELTEMPO ORDINARIO VI

Il pegno della Pasqua eterna

L’uomo non è stato creato per la mor-te (Sap 1,13-14) ma per godere della vi-sione beata di Dio nel suo regno eterno(Sap 2,23). L’uomo di fede non camminadunque verso il proprio annientamento,verso il nulla e il vuoto; il Dio della vita ciattende per ricrearci a immagine del Fi-glio risorto (Rm 8,29) e per donarci un’e-sistenza senza fine (Rm 6,22). La vita delfedele non è allora un susseguirsi casualee senza senso di eventi incomprensibili(Sap 2,2-5) o un tempo più o meno limi-tato da godere in maniera disordinata edegoista (Sap 2,6-11) ma un pellegrinag-gio verso il definitivo compimento dellasua elezione e vocazione (2 Pt 1,10-11),

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sostenuto dall’amore santificatore dellaTrinità (2 Ts 2,13), per condividere la pacee la gioia (Rm 14,17) del regno del Padre.

E’ però necessario preparare la strada(Lc 3,4); è un compito personale irrinun-ciabile e non delegabile, un cammino la-stricato di attesa ardente (Fil 1,20) e fidu-ciosa (Ef 3,12) e di vigilanza paziente ealacre (Lc 12,35-40). Lo Spirito di colui cheha fatto tornare dai morti il Signore Gesù(Rm 8,11) ci dona la sua forza per vincerela stanchezza e la pigrizia, le difficoltà delcammino e le distrazioni che ci fanno de-mordere, le seduzioni delle ricchezze e gliinganni del mondo (Mc 4,19). Le primiziefrutto dello Spirito Consolatore (Rm 8,23)ci sostengono nella beata speranza cheanche per noi si compirà il mistero pa-squale e potremo finalmente contemplareil volto di Dio (1 Gv 3,2).

PREFAZIO DELLE DOMENICHE DELTEMPO ORDINARIO VII

La salvezza nell’obbedienza di Cristo

Nel Signore Gesù l’amore eterno (Ger31,3) e creatore del Padre si manifesta co-me misericordia che perdona (1 Gv 1,9) elibera (Lc 4,18), arrivando fino all’offertadel Figlio prediletto. Questi, obbediente aldisegno di salvezza per gli uomini (Eb10,5-9), realizza nella libertà un atto di to-tale donazione; offrendo la sua vita (Ef5,2), Cristo rompe la logica del peccato eapre la via della riconciliazione e del ritor-no a Dio. E’ il trionfo della forza dell’amo-re; di fronte a questa manifestazione l’uo-mo coglie l’onnipotenza amante del Pa-

dre. Nel Figlio fatto uomo, che prende sudi se in realtà e pienezza tutta la nostraumanità (Eb 2,17) fuorché il peccato (2Cor 5,21), il fedele può contemplare l’au-tentico volto di Dio: un Padre disposto alasciar mettere a morte il Figlio perchél’uomo recuperi la sua dimensione filiale(Gal 3,26) scoprendosi, per opera delloSpirito Santo, un peccatore amato e per-donato (Eb 10,15-17). In Gesù innalzatorisplende la sapienza della croce (1 Cor1,23-25); nella logica di un amore che sispinge fino alla spogliazione di sé (Fil 2,7)viene sancita l’alleanza nuova (Eb 12,24)ed eterna (Eb 13,20).

Il cristiano è dunque chiamato a salva-re la propria vita perdendola (Mt 10,39),non nel senso di disprezzarla o di svuo-tarla di senso ma donandola liberamente(Rm 12,1) per riaverla con sovrabbondan-za (Mc 10,29-30). Nel bere fino in fondoil calice, a volte amaro, della volontà diDio l’uomo entra in comunione con laTrinità, e, nel cammino della propria re-denzione, sperimenta già da ora la po-tenza della resurrezione.

PREFAZIO DELLE DOMENICHE DELTEMPO ORDINARIO VIII

La Chiesa radunata nel vincolo dellaTrinità

Nel Cristo crocifisso Dio si rivela noncome un giudice da temere (2 Mac 12,41)ma come un Padre che perdona e salva(Sal 102,12-13); il sangue versato sullacroce dal Signore Gesù (Gv 19,34-35) è ilfiume dell’obbedienza redentrice che rista-

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bilisce il rapporto fra l’uomo e Dio, irrime-diabilmente compromesso dal peccato.Nell’accoglienza del sacrificio del Figlio, ilPadre ricostituisce in unità l’umanità di-spersa (Gv 10,16) e richiama a sé i figli chesi erano allontanati (Sir 17,20-21).

Essere una cosa sola è dono che vienedall’alto (Gv 17,20-21), possibile per l’i-nabitazione della Trinità nei fedeli che siaprono alla sua venuta (Gv 14,23); la po-tenza dello Spirito viene allora in aiuto al-la debolezza dell’uomo (Mi 3,8) per ren-dere i fratelli stabili nell’amore e testimo-ni della risurrezione (At 4,32-35), popolosanto perché corpo di Cristo (1 Pt 2,9-10)e tempio dello Spirito Santo (1 Cor 3,16).

In un mondo lacerato da separazionie sopraffazioni, il cristiano deve impe-gnarsi per spezzare intorno a sé i mecca-nismi che dividono, fedele alla sua voca-zione di operatore di pace (Mt 5,9), perportare a ogni uomo, con la forza delloSpirito, la ricchezza della redenzione. Difronte a un mondo che misura l’uomo inbase al successo e alla ricchezza, la Chie-sa è chiamata ad affermare la sapienzache viene dal Cristo povero e crocifisso (1Cor 1,23-25), datore dell’amore vero esincero, per essere primizia di un’umanitànuova (At 17,28-29) e portare frutti disantità e di giustizia (2 Cor 9,10-11).

PREFAZIO DELLE DOMENICHE DELTEMPO ORDINARIO IX

La missione dello Spirito nella Chiesa

La vita è un dono consegnato al-l’uomo affinché, unito alla vera vite

che è il Signore Gesù (Gv 15,1) e fede-le alla sua vocazione di crescita versola perfezione (Mt 5,48), porti frutti difecondità (Gv 15,8) e non di sterilità,di senso e non di vuoto esistenziale(Rm 12,1-2).

E Dio, che è creatore e conosce la no-stra fragilità (Sal 102,14-16), non ha ri-sparmiato il suo unico Figlio (Rm 8,32) in-dicandoci, attraverso la Sua debolezza (1Cor 1,27-29), in maniera chiara e defini-tiva la strada che porta a Lui. Come Pa-dre tenero e amorevole (Ger 31,20) eglirinnova continuamente il suo popolo at-traverso l’effusione dello Spirito Santo (Gl3,1-2), perché sia forza (2 Tm 1,7), guida(Rm 8,14) e protezione (2 Tm 1,14) nelcammino verso la pienezza della comu-nione trinitaria e ci spinga a testimoniareil suo amore ai fratelli con la fede e leopere (At 1,8).

Inoltre il Consolatore viene conti-nuamente in aiuto alla nostra povertàcon i suoi doni, i carismi (Eb 2,4), per-ché i prodigi operati nella creazione(Sal 91,5) e nella redenzione (Rm 5,8-10) continuino a sostenere il camminodei discepoli verso la Gerusalemme Ce-leste e nessuna parola d’uomo possaallontanare la comunità dei fedeli dal-l’unica fonte di verità (Sal 107,5) e divita (1 Tm 6,13). Ogni fedele, reso ric-co da questi doni, è chiamato ad an-nunciare con coraggio le meravigliedell’unico nome nel quale è possibileessere salvati (At 2,21) e ad innalzare alPadre, per mezzo dello Spirito, un can-to di lode e di gloria per i meriti di Cri-sto, nostro Signore.

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PREFAZIO DELLE DOMENICHE DELTEMPO ORDINARIO X

Il giorno del Signore

La comunità cristiana è convocataogni domenica per la celebrazione dellaPasqua settimanale, per incontrarsi, neisegni della Parola e del Pane, con il Dio diGesù Cristo, con il Padre fonte della ve-rità (Sal 107,5) e della vita (Nm 27,16),con il Figlio vero profeta (Lc 24,19) e pa-store (Gv 10,11), con lo Spirito Santo da-

tore di doni (Eb 2,4) e operatore di prodi-gi (1 Cor 12,4-11).

Le nostre assemblee, nutrite e reseforti dalla potenza della Parola e dallacondivisione del cibo di vita (At 2,46), ce-lebrando le meraviglie della salvezza,debbono annunciare il dono di essere resiuna cosa sola (1 Cor 10,17), trasformatida estranei in fratelli che vivono in un cli-ma di comunione (1 Gv 1,7) e con il sa-pore della risurrezione. Uomini deboli epeccatori, dubbiosi e incerti, sono chia-

mati a diventare segno visibile etrasparente del Regno di Dio.

Ma per poter incarnare que-sta realtà è necessario essere fe-deli alla vocazione di familiaritàcon la Scrittura (At 22,14), esper-ti nell’ascolto (Is 50,4-5), e assi-dui nell’accostarsi alla mensa divita (At 2,42), alla presenza ge-nerosa del Figlio sotto le specieeucaristiche. Solo restituendocentralità a una celebrazione do-menicale segnata dal primatodell’ascolto, dalla frazione e par-tecipazione dell’unico Pane e dal-la disponibilità a lasciarsi condur-re dallo Spirito (Gv 16,13), laChiesa può essere testimone inmaniera credibile della beata spe-ranza della resurrezione finale (Fil3,10-11), della certezza di parte-cipare al festoso banchetto cele-ste (Ap 19,9), quando contem-pleremo Dio faccia a faccia (1 Gv3,2) per cantare in eterno il suoamore paterno (Ger 31,3.20) ericco di misericordia (Ef 2,4-5).

Lavanda dei piedi e Ultima Cena, miniatura armena, sec. XV

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l biblista, anche quello che sipuò definire “amatoriale”, è ab-bastanza allergico ai lezionari. E

ha i suoi buoni motivi.

Si prenda, per esempio, una delle li-turgie più necessariamente “bibliche”della Chiesa: la grande Veglia Pasquale.Le otto letture proposte sono tutte moltobelle, selezionate con l’intento di riper-correre, in tempo ragionevole, la storiadella salvezza che culmina nel Mistero diCristo. Eppure, tanto per cominciare,molti versetti si possono perdere per stra-da. Nella lettura della prima pagina diGenesi, si può arrivare al sesto giornoche precede il sabato del riposo di Dioomettendo tutto il racconto della crea-zione dell’uomo. Il racconto del sacrificiodi Abramo, che segue poco dopo, conbuona pace del rispetto del testo, si puòleggere praticamente a singhiozzo. Cosache di fatto spesso accade, perché i par-roci hanno, giustamente, l’esigenza digestire l’attenzione della gente per tuttala durata di una celebrazione insolita-mente lunga. Ma in questo modo l’inte-grità del testo originale è compromessa.

Alcune letture sono trattate anchepeggio, in quanto ridotte – se non talvol-ta persino “mutilate” - direttamente dal

lezionario, senza offrire nemmeno l’alter-nativa di una versione integrale. È quelloche si verifica, sempre nel corso della ve-glia pasquale, con il passo di Baruc, delquale si tralascia una parte consistentei,e con Ezechiele, lasciato orbo di mezzoversetto, probabilmente per via di qual-che analogia di troppoii. Piccole o grandiche siano le omissioni, il risultato è sem-plice: il significato cambia.

Per non parlare dei Salmi, che i lezio-nari usano con tale disinvoltura da doverrinunciare, per onestà, a citarli per verset-ti. Si scrive nell’intestazione: “Dal sal-mo…”, e segue il numero secondo laNeovulgata. Come a dire: “liberamentetratto da…”. Certo, i salmi sono trattatidi gran lunga meglio nella Liturgia delleOre, ma… che dire delle famose censuredelle parti imprecatorie?

Il biblista, comunque, non storce il na-so solo perché i lezionari non considera-no l’integrità originaria del testo comeuna priorità, riempiendo il cacio di buchicome il gruviera, ma anche perché spes-so succede che i testi non sono adegua-tamente delimitati, con il risultato di mo-dificarne il senso. In altre parole: l’unitàletteraria non corrisponde all’unità dellalettura proposta. In pratica una determi-

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La Bibbia e i LezionariUna difficile storia d’amore

don Gianmario Pagano

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nata pericope può significare una cosanella Bibbia, e un’altra nella celebrazio-neiii. Mantenendo l’analogia casearia:cambia proprio il sapore del formaggio.

Infine, c’è il problema forse più rilevan-te: l’inevitabile sradicamento dal contesto.Il significato di ogni passo biblico dipende,come è ovvio, dalla sua collocazione all’in-terno del libro canonico e, in modo piùampio, dell’intero ambito della Sacra Scrit-tura. L’inserimento in un lezionario, ponen-do la pagina biblica in un contesto liturgi-co, priva inevitabilmente la pagina biblicadel suo ambiente naturale, e fatalmentene produce uno slittamento di significato.Non essendo nel suo ecosistema, la Scrit-tura non offre più la stessa ricchezza chepuò offrire rimanendo inserita nell’ambitoche le appartiene. La Bibbia diventa cosìquasi “prigioniera” della liturgia, come unpesce rosso in una boccia di cristallo.

Il biblista insomma protesta a ragionveduta. Tuttavia, sia per rispetto dell’ese-geta che del liturgista, bisogna affrettarsia dire una cosa subito, e a dirla moltochiaramente: la liturgia ha non solo il di-ritto, ma anche il dovere di utilizzare laScrittura secondo regole proprie.

Tale diritto-dovere affonda le sue radi-ci nella tradizione della Chiesa e nella na-tura stessa della celebrazione liturgica,non solo eucaristicaiv. Tutta la preghierapubblica della Chiesa, e spesso anchequella privata, è unita in matrimonio conla Sacra Scrittura proprio grazie al vincoloindissolubile dei Lezionari.

Dunque è necessario, per il biblista oaspirante tale, imparare a comprendere icriteri fondamentali in base ai quali la li-turgia cerca di offrire, in modo il più pos-sibile completo, il tesoro della Scrittura alpopolo di Dio per mezzo dei Lezionari.Solo conoscendo a fondo tali criteri saràpoi possibile, eventualmente, criticare permigliorare di volta in volta la loro applica-zione.

Nonostante la lettura continua del te-sto biblico sia la più ovvia e naturale, nonbisogna dimenticare infatti che la Bibbiapossiede, fin dalle sue origini, quella chepotremmo definire una seconda natura:l’esigenza di una sua proclamazione pub-blica, che non può essere che sottopostaa regole diverse dalla lettura ininterrottae continuativa.

Persino nella situazione ideale, descrit-ta dal famoso passo di Neemia al capito-lo 8, dove si narra della lettura della leg-ge di Dio alla presenza del popolo nellasolenne occasione del ritorno dall’esiliodi Babilonia, si dice che tale lettura avve-niva “in brani distinti e con spiegazionidel senso”. L’assimilazione della Parolatende alla completezza, ma procede perforza di cose in modo discontinuo. Ed èin questo procedere che la Scrittura na-sce e vive. Tutti gli esperti concordanooggi nel dare alla celebrazione un postoeminente persino nel processo di compo-sizione della Sacra Scrittura e della for-mazione del canone. Perciò l’uso liturgicodel testo, anche se in apparenza abba-stanza disinvolto, non si può in alcun

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modo definire per principio come unasemplice forzatura.

Il rito e l’evento

È su questo binomio che si fonda ilrapporto tra Bibbia e Liturgia. La Paroladi Dio è infatti una parola operante. Lacelebrazione e la Parola sono connesseall’origine dal legame vitale che esiste tragli avvenimenti salvifici operati da Dio ela loro comunicazione attraverso la narra-zione e il rito.

Nel fondamentale racconto della Pa-squa in Es 12,1-13,16, il testo sottolineacon forza la necessità di celebrare l’even-to salvifico per eccellenza della storia d’I-sraele come “rito perenne”. L’evento pa-squale si presenta come avente una du-plice natura: da una parte si tratta diqualcosa che Dio opera in prima persona,con il passaggio dell’angelo di Dio inmezzo alle case; dall’altra si tratta diqualcosa che Dio comanda al popolo difare sotto forma di azione rituale, con lacelebrazione della cena pasquale. Lostesso Dio che sta per liberare Israele conla Pasqua, comanda un preciso rituale alsuo popolo, nel quale si distinguono duemomenti: il primo sacrificale, incentratosull’offerta dell’agnello, il secondo convi-viale, dove ogni famiglia consuma lostesso agnello con un atto collettivo. L’e-secuzione di tale rituale non è seconda-ria, né facoltativa: ne va infatti della vitastessa. La salvezza si realizza di fatto soloper chi ne partecipa. L’esecuzione del ri-

to, visualizzato dal sangue sugli stipitidelle porte, sottrae a una morte certa.

Il comando divino però va oltre il mo-mento originario e si propone come “ritoperenne” da trasmettere di generazionein generazione. La Pasqua come eventosi è compiuta una volta, il rito invece per-mane. Ma la celebrazione ha senso soloin quanto riferita all’evento, in quantomemoriale. Perciò le celebrazioni succes-sive all’evento originario della pasquanon possono che basarsi anche sul rac-conto di essa.

In principio ci fu l’evento e il rito. Daallora in poi c’è il racconto e il rito. La pri-ma Pasqua fu accompagnata dal passag-gio dell’angelo di porta in porta. OgniPasqua che segue è accompagnata dallaParola divina che agisce in quanto rendepresente l’evento con efficacia per mezzodel racconto. La Parola di Dio infatti èsempre anche “fatto” e “azione”.

Come si vede, l’atto primario, vitale,non è il racconto ma la celebrazione. Lacelebrazione è infatti l’occasione di nar-rare, il luogo proprio della narrazionedelle opere di Dio. Il rito dunque richiedela Parola e rimanda a essa. In un certosenso la reclama. Si può dire che forse èproprio grazie al rito che nasce la Scrittu-ra. Il comando divino chiede di celebrare.La necessità di eseguire il comando divi-no in modo completo richiede il ricorsoalla narrazione, e dunque la proclamazio-ne di quella che la comunità riconoscecome la Parola di Dio.

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Il rapporto ermeneutico tra Parolae rito nella Nuova Alleanza

Nel Nuovo Testamento il rapporto trala Parola di Dio e il culto si ripropone concaratteristiche molto simili. Nella notte diPasqua di Esodo, il popolo si radunava amangiare l’agnello mentre passava l’an-gelo di Dio. Nella notte che precede lasua Passione, Gesù raduna i suoi permangiare la Cena.

La continuità tra i due atti è sottoli-neata in diverso modo dai sinottici e dal-l’evangelista Giovanni. Per i sinottici, Ge-sù sta celebrando la Pasqua con i suoi di-scepoli, mentre per Giovanni non è im-portante la contestualizzazione della ce-na, quanto l’identificazione di Gesù con ilvero agnello pasquale. L’effetto semanti-co è praticamente il medesimo: la pasquadell’Antico Testamento viene reinterpre-tata alla luce del sacrificio della croce. Inparticolare nei sinottici, la cena pasqualeebraica acquista un significato nuovo, inquanto anticipazione-spiegazione di ciòche Gesù sta per compiere. È il rito dellaPasqua della “nuova ed eterna alleanza”.

Anche qui si propongono un’azione di-vina e una prescrizione rituale. Poco primadi consegnarsi alla sua Passione, che locondurrà alla Morte e Risurrezione, Gesùcomanda: “fate questo in memoria dime”. Tuttavia, rispetto a quanto accadenella Pasqua ebraica, c’è una lieve diffe-renza che marca profondamente e in mo-do significativo il rapporto ermeneuticotra il rito e l’evento: Gesù prima celebra e

poi vive l’evento. Mentre nella Pasquaebraica di Esodo il rito e l’evento avvengo-no simultaneamente, in sincronia, il fattoche nei Vangeli sinottici il rito preceda l’a-zione, evidenzia che il rito ha lo scopo nonsolo di celebrare l’evento salvifico ma diindicarlo, di spiegarlo, di renderlo com-prensibile. Con il rito della nuova alleanza,Gesù comunica ai suoi il senso della suaimminente morte in croce e annuncia lasua risurrezionev. Ogni celebrazione euca-ristica cristiana eredita questa intrinsecaforza comunicativa. La liturgia dunque il-lumina l’evento e lo interpreta.

In pratica, nella celebrazione cristiana,il racconto, che, come si è visto, prende ilposto dell’azione divina, viene “interpre-tato” dal programma ritualevi. Il che si-gnifica, in sintesi, che il luogo più adattoper comprendere – e praticare – la Scrit-tura non è l’aula scolastica, o la bibliote-ca, ma la liturgia.

Oltre, dunque, a essere memoria e pe-renne attualizzazione dell’evento origina-rio, come già in parte avveniva nei riti anti-chi, la liturgia cristiana comunica e spiegaai credenti, di generazione in generazione,che cos’è il Mistero Pasquale di Cristo.

La Scrittura tutta in un frammento

Per mettere in guardia dal travisare leScritture o dal manipolarle, l’autore diApocalisse tuona con chiarezza: “… a chivi aggiungerà qualche cosa, Dio gli faràcadere addosso i flagelli descritti in questo

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libro; e chi toglierà qualche parola da que-sto libro profetico, Dio lo priverà dell’albe-ro della vita e della città santa…” (Ap 22,18b-19). Lo stesso Gesù, nel vangelo diMatteo, sottolinea l’assoluta integrità dellaScrittura, anche se in toni leggermente piùrassicuranti: “… finché non siano passati ilcielo e la terra, non passerà dalla leggeneppure un iota o un segno senza chetutto sia compiuto” (Mt 5, 18)vii.

Tuttavia la Tradizione liturgica dellaChiesa ha anche ragionato in modo com-plementare a tali affermazioni: infatti ogniiota o segno, proprio in quanto inscindibilidalla Scrittura, rappresentano e sono, inqualche modo, la Scrittura stessa.

Nelle più antiche celebrazioni cristianesembra ormai accertato che il raccontodella passione, morte e risurrezione costi-tuisse un nucleo imprescindibile e indivi-sibile. Sempre nel rispetto del binomio ri-to-evento, tramandato dalla tradizioneebraica, il racconto del Mistero di Cristo,tutto intero, sostituiva così l’azione divinanel corso della celebrazione. Questo èanche il motivo per il quale, a tutt’oggi,la lettura del vangelo costituisce il culmi-ne della Liturgia della Parolaviii.

Nel corso del tempo, di pari passo conla formazione dei quattro vangeli canoni-ci, la lettura di singoli testi si sostituì alracconto integrale della Passione-Risurre-zione. Rimase però ben saldo il legame ditali unità testuali con il Mistero pasquale.Ogni passaggio dei Vangeli cominciò cosìfin dall’inizio ad esprimere un qualche ri-

ferimento, una qualche relazione allapassione-morte-risurrezione di Gesù. Ilpasso evangelico è da considerare perciòcome un frammento dove è presente ilMistero di Cristo tutto intero.

Su questa rif lessione teologica,profondamente radicata nella tradizionee in parte nella Scrittura stessa, si inne-stano i criteri che la liturgia utilizza per laselezione e la proclamazione dei testi bi-blici nella celebrazione. Per dirla breve: laliturgia possiede una sua propria e giusti-ficata ermeneutica della Bibbia, dallaquale derivano alcune conseguenze, siateoriche che pratiche.

L’ermeneutica liturgica e la ri-con-testualizzazione

La liturgia interpreta dunque la Scrit-tura sempre in chiave cristologica. Fermorestando questo cardine ermeneuticofondamentale, ogni metodologia esegeti-ca, classica o moderna, attuale o obsole-ta, è ben accetta. La comprensione dellaScrittura offerta dalla liturgia è apertaperciò a qualunque contributo valido,passato, presente o futuro.

Nello stesso momento, però, la litur-gia afferma la propria libertà nei confron-ti di qualunque metodo di studio dellaBibbia, per quanto avanzato e scientifica-mente qualificato si possa considerare. Inquesto modo, la liturgia non si comportadiversamente da come, in generale, do-vrebbe fare la teologia nell’attingere alle

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Scritture. Del resto, senza riferimento alMistero di Cristo, non avrebbe più sensol’aggettivo “cristiano”, tanto per la teo-logia quanto per la liturgia.

“Tutto in un frammento”, dunque;dove il “tutto” è il Mistero di Cristo e il“frammento” il testo, o i testi biblici sele-zionati. Ma, in pratica, come avvienequesta selezione? Da una lettura dei mol-to citati, e poco consultati, Praenotandadell’Ordo Lectionum Missae (POLM), sicomprende che la liturgia fa in pratica trecose: 1) individua e ritocca i testi, 2) for-nisce ad essi un contesto nuovo e 3) pro-pone la lettura dei testi biblici secondodei legami gerarchici precisi.

Ovviamente, per quanto riguarda ilpunto 1, “ritoccare” non significa “cor-reggere” o “riscrivere”. L’intervento ingenere è limitato, tuttavia spesso è sen-

sibile e significativo, come esemplificatoanche nell’apertura di questo breve arti-colo. È posto di solito all’inizio e alla fi-ne del testo: una volta identificata l’u-nità letteraria appropriata, vengono de-finiti un incipit e un explicit, cioè un’a-pertura e una chiusura. Nel caso dei te-sti evangelici, l’incipit diventa nella mag-gior parte dei casi una formula classicaben conosciutaix. Ma a volte si presentaanche più esteso, condizionando ancheil significato dell’explicit, e di conse-guenza tutta l ’ interpretazione delbranox. Abbastanza frequente è anchela scelta di saltare alcuni versetti, modi-ficando il corpo del testo, con conse-guenze ancora più evidenti.

La seconda operazione, al punto 2, èla più visibile e forse la più importante: iltesto, prelevato e opportunamente ritoc-cato, si trova in un contesto ben diversoda quello originale. Non siamo più nellaBibbia, ma nella celebrazione. Il testo vie-ne proposto insieme ad altri testi biblici,insieme a preghiere e testi rituali, ciascu-no dei quali può seguire un proprio codi-ce e una propria sintassi, fatta di segni,gesti e parole. Il brano biblico si trova co-sì estratto dal contesto di provenienza eimmerso in uno speciale contesto di pre-ghiera, detto anche contesto “eucologi-co”. In pratica bisogna ricordarsi che oraquella lettura non è solo dentro un Lezio-nario, ma anche dentro un Messale e/oun Rituale.

Tuttavia tale nuovo contesto non è l’uni-co. Esistono anche il contesto più ampio delTempo Liturgico e quello, da non trascurareassolutamente, della Liturgia delle Orexi. L’Archeròpita, Scuola di Novgorod, sec. XII

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Per quanto riguarda infine l’organiz-zazione e la gerarchia dei testi biblici – alpunto 3 – si applicano quattro principi-base: a) la priorità del Vangelo; b) l’inter-pretazione cristologica della prima lettura– specialmente se si tratta dell’Antico Te-stamentoxii – ; c) la relazione tematica trala prima lettura e il Vangelo; d) la relazio-ne tematica tra la seconda lettura e ilVangelo.

Si tratta di principi abbastanza familia-ri, ma sui quali, in ambito pastorale, si ri-flette ancora poco. La centralità del Van-gelo non è altro che la proposizione diun’angolatura particolare a partire dallaquale rileggere e comprendere il MisteroPasquale. Le altre letture sono da inter-pretare in quanto riferite al Van-gelo. In particolare quelle del-l’Antico Testamento, secondo ilprincipio ermeneutico dei disce-poli di Emmaus (Lc 24, 27.44),dove Gesù risorto lo presenta co-me essenziale per fare luce sullasua morte e risurrezione. Ciò af-finché mai e poi mai i cristianisiano portati a credere di poterfare a meno dell’Antico Testa-mento, esaltando solo il Nuovo.

Considerazioni e “rimedi”

Per concludere, la liturgia at-tinge sia alla tradizione dellaChiesa, sia a quella che è unafunzione importante della naturastessa dei testi biblici, che non

sono solo da considerare come testi let-terari autonomi e conclusi, ma come te-stimonianze vive di un evento salvificoche la Chiesa celebra perennemente.

È difficile spesso per il biblista com-prendere che, in questo modo, la litur-gia non solo si serve della Scrittura mafa anche un servizio ad essa, restituen-dole una funzione propria e originaria,non meno importante della sua inte-grità letteraria.

Certo, rimane il fatto che alcune scel-te sono discutibili, soprattutto alla luce dialcune nuove conoscenze valide acquisitedalle scienze bibliche. Ma ancora piùchiaro, rimane il fatto che, per quanti

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I dodici Apostoli, icona bizantina, sec. XIV

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sforzi faccia, la liturgia non è ancora ingrado, e forse non lo sarà mai, di ripre-sentare davvero integralmente il tesorodella Scrittura.

Ma se Gesù a Emmaus dice ai suoi di-scepoli che tutte le Scritture parlano di lui,il fatto che una parte, anche se minima,della Scrittura, venga omessa, non è unimpoverimento dello stesso Mistero di Cri-sto? Non è uno svantaggio, quindi, nonsolo per la Scrittura, ma per la stessa litur-gia e dunque per tutto il popolo di Dio?

Certo, i Lezionari attuali sono una dellepiù grandi conquiste della Chiesa e unodei frutti più fecondi del Concilio VaticanoII. Per quanto criticabili, permettono ai fe-deli di accostarsi alla Scrittura attraverso lecelebrazioni in un modo profondo ed este-so, come mai forse in precedenza nellastoria della Chiesa. Il biblista, e non sololui, per quanto li consideri imperfetti, do-vrebbe solo per questo motivo riservare adessi una immensa gratitudine.

Tuttavia come rimediare agli inevitabililimiti dei Lezionari? In realtà questo non èun problema solo moderno. La storia dellaformazione dei Lezionari è senz’altro unodegli studi più appassionanti per il liturgi-sta. E in questa storia si vede la fatica di of-frire una visione il più completa possibilepur nella inevitabile frammentarietà con-nessa all’esigenza della celebrazionexiii.

Il rimedio classico è la predicazione mi-stagogica. Il Mistero di Cristo viene presen-tato nella sua integralità attraverso l’ap-profondimento del significato dei sacra-

menti. In tal modo, avendo come centro eculmine l’eucaristia, tutto il Lezionario pos-siede una valenza mistagogica. Si tratta diuna strategia tuttora raccomandabile e va-lidissima. Tuttavia, accanto ad essa, oggi èforse il caso di ritornare o di rimanere fede-li anche a una predicazione biblica, an-ch’essa comune presso gli antichi padri, ecomplementare alla mistagogia.

La preparazione biblica del predicato-re, del catechista, e dell’evangelizzatorein generale, è oggi un requisito fonda-mentale. Avere una visione non solo li-turgica, ma anche più completa del testosacro costituisce, in aggiunta, un immen-so patrimonio spirituale, oltre che cultu-rale. Il predicatore che conosce davverola Bibbia può, in un certo senso, anche“giocare a carte scoperte” con il suo udi-torio, mostrando le differenze rispetto altesto biblico originale e invitando - per-ché no? - anche a una successiva letturaprivata. Mostrare e spiegare apertamentecome il testo acquista un significato par-ticolare nel contesto della liturgia non èuna perdita, ma un acquisto, tanto per laliturgia quanto per la Bibbia. Tutto infattiruota intorno al Cristo Risorto, vivo e pre-sente nella Chiesa proprio nel corso dellacelebrazione.

Se, nonostante tutto questo, il biblistacontinuerà a considerare insopportabilialcuni tagli, ricordi che i Lezionari non so-no opere chiuse e definitive come il ca-none biblico. La sua opinione può costi-tuire un apporto importante per il futuro,anche se non immediato. Nel frattempo,

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cerchi di approfondire e sfruttare il tesoropresente con lo studio della liturgia, im-parando a comprendere come il contestoeucologico non mortifichi il testo, ma ne

scateni una sua naturale potenzialità. Dalcanto suo, chi biblista non è, studi la Bib-bia altrettanto seriamente, e non si limitia preparare l’omelia sul Lezionario.

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——————i Il passo proposto è Bar 3,9-15.32-4,4. Viene

omessa un’interessante riflessione sulla sapienza esul mistero della predestinazione di Israele a rice-verla in dono per mezzo della rivelazione divina. Ilsenso del testo rimane intatto, ma se ne perdegran parte del respiro storico, cosmico e universa-le. Forse uno dei motivi è la menzione dell’esisten-za di esseri mitologici come i giganti, la cui men-zione esigerebbe delle spiegazioni che distrarreb-bero l’assemblea dal senso principale della cele-brazione.

ii Il testo omesso segue di poco l’incipit: “Mi fu ri-volta questa parola del Signore: «Figlio dell’uomo,la casa d’Israele, quando abitava il suo paese, lorese impuro con la sua condotta e le sue azioni».Poi il mezzo versetto omesso: «Come l’impurità diuna donna nel suo tempo è stata la loro condottadavanti a me». Il testo non è di difficile interpreta-zione, ma può lasciare seriamente perplesso chinon è familiare con il linguaggio biblico. L’impu-rità rituale (il sangue mestruale della donna) èusata come metafora della ben più grave impuritàmorale (il peccato di Israele): essa rende impossibi-le non solo il culto a Dio, ma una qualunque rela-zione con lui. Infatti un uomo non poteva avererapporti con una donna durante il suo periodo,secondo il comando di Lev 20,19. Allo stesso mo-do, Dio, sposo del suo popolo, non può accostarsia quello stesso popolo che si è allontanato da luicon le proprie azioni. Anche dopo essere stataspiegata e compresa, l’immagine risulta comun-que irrimediabilmente sgradevole ad un contem-poraneo.

iii Un testo come quello della XXVI domenica deltempo ordinario (Mc 9, 38-48) è un esempio tipi-co: non si tratta di una pericope, né di due perico-pi lette di seguito, ma di una pericope e mezza.L’analisi letteraria richiederebbe la chiusura al v.41 o tutt’al più al v. 50, se si volesse includere laseconda parte. Ma i vv. 49 e 50 vengono omessi,forse perché esegeticamente problematici. Il risul-tato è che vengono mescolati contenuti diversi: fi-no al v. 41 il tema è il rapporto con l’estraneo, dalv. 42 al v. 50 è lo scandalo. Il lezionario suggerisceperciò che sia un atto scandaloso anche il rifiutodell’estraneo che agisce bene in nome di Gesù.L’idea è bella ma non è affatto esplicita nel testo

originale. Cfr. R. De Zan, Leggere la Bibbia nellaLiturgia, in www.rivistaliturgica.it.

iv Spesso infatti si dimentica che non esiste il “Lezio-nario” - normalmente si pensa subito a quellodella Messa, festiva o feriale - ma i Lezionari: cisono quelli che scandiscono la celebrazione euca-ristica nel corso dell’anno liturgico, così comequello delle feste dei Santi, quello delle celebra-zioni dei sacramenti, quello dei sacramentali, e lastessa Liturgia delle Ore, che non va certo consi-derata un lezionario di serie B.

v “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamola tua risurrezione”.

vi Cfr. ancora R. De Zan, op. cit.vii Cfr. ovviamente anche Lc 16,17 e Mc 13,31. viii Cfr. Praenotanda dell’Ordo Lectionum Missae, del

1981 al n. 13.ix Quasi sempre: “in quel tempo…”. Ma ci sono casi

in cui l’incipit è più consistente con l’effetto di de-contestualizzare completamente l’episodio rispettoal testo originario. Si veda il caso della lettura litur-gica di Mt 10,46-52, dove viene praticamente ag-giunta una frase intera: il versetto di chiusura (ex-plicit) assume così un significato che non ha nel te-sto originario. Al tema della sequela sulla stradache Gesù ha intrapreso verso Gerusalemme e lasua Passione, si sostituisce quello della sequela inte-sa come atto di gratitudine (Cfr. De Zan, op. cit.).

x Si veda per esempio il caso di un testo come Mc9,38-48, dove la scelta di concludere il brano pri-ma della sua chiusura naturale con il v. 50 fa slit-tare il significato dello “scandalo” secondo Gesù.

xi «La liturgia delle Ore estende alle diverse ore delgiorno le prerogative del mistero eucaristico [...].La celebrazione dell’eucaristia viene anche prepa-rata ottimamente mediante la liturgia delleOre...», Ufficio Divino, Principi e norme per la Li-turgia delle Ore, n. 12.

xii Cfr. anche DV 15.xiii Ovviamente, qui è necessario rimandare a studi

più completi e più degni. Sintetico e nello stessotempo completo, per esempio, quello di T. Federi-ci, La Bibbia diventa Lezionario. Storia e criteri at-tuali, in R. Cecolin [ed.], Dall’esegesi all’ermeneu-tica attraverso la celebrazione. Bibbia e Liturgia I[= Caro salutis cardo. Contributi, 6], Edizioni Mes-saggero Padova, Padova 1991, pp. 192-222.

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Prefazio Comune IIl rinnovamento universale in Cristo

In lui (Cristo nostro Signore) hai volutorinnovare l’universo, perché noi tutti fos-simo partecipi della sua pienezza. Egliche era Dio annientò se stesso, e col san-gue versato sulla croce pacificò il cielo ela terra. Perciò fu innalzato sopra ognicreatura ed è causa di salvezza eternaper coloro che ascoltano la sua parola.

Il Dio eterno, che ha chiamato alla vi-ta l’universo per mezzo di Gesù Cristo(Col 1,15-17), ha voluto, attraverso il me-desimo Figlio, fare alla creazione, biso-gnosa di redenzione (Rm 8,19-21), il do-no di un’esistenza rinnovata, affinché, inun mondo rigenerato, l’uomo potesse re-cuperare la sua condizione di creaturadeificata (Gv 10,34-35). A causa del pec-cato di Adamo (Rm 5,12-14), che ha co-stituito gli uomini in schiavitù, era neces-sario che Colui nel quale abita la pienez-za dell’amore (Col 1,19) si lasciasse trat-tare da peccato (2 Cor 5,21) affinché, at-traverso la sua cruenta oblazione, venissenuovamente sancita la pace tra Dio e gliuomini (Col 1,20). Elevato da terra (Gv12,32) e innalzato sull’albero della croce(Gv 8,28), il Signore Gesù riversa sull’uo-mo peccatore il fiume di grazia (Gv 1,16)che ristabilisce la comunione perduta; ilFiglio obbediente è motivo di salvezza

(Eb 5,8-9) per tutti coloro che, generatialla fede dall’ascolto (Gv 1,12), entranonel mistero della fecondità della sequela(Lc 18,28-30).

Prefazio Comune IILa salvezza per mezzo di Cristo

Nella tua bontà hai creato l’uomo e,quando meritò la giusta condanna, tul’hai redento nella tua misericordia, perCristo nostro Signore.

Nella Scrittura diversi termini descrivo-no la multiforme attività di Dio ma traquesti uno ha una rilevanza particolarissi-ma: il creare, azione che nel suo sensopieno viene attribuita esclusivamente aDio (Sal 32,6-9). Fra tutte le realtà chia-mate alla vita, presentate dalla Genesicome un’opera sempre più nobile in uncrescendo di complessità e di ricchezza(Gen 1,1-31), l’uomo è posto al verticedella creazione; l’attività divina tende aculminare in lui (Gen 1,26-27). Collocatoradicalmente nella dimensione misteriosadel Padre, frutto esclusivamente della suaamorevole benevolenza (Sap 2,23), l’uo-mo deve dunque rammentare sempreche Dio è l’unica e vera sua misura. Sindalle origini invece l’umanità sperimentala cupidigia (1 Tm 6,10) e l’illusione chela propria realizzazione si concretizzi nel

I Prefazi ComuniStefano Bodi

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possesso; quest’ultimo genera la diffi-denza verso Dio, che sfocia nell’orgoglio-sa superbia che spinge a preferire se stes-si a Dio e nella disobbedienza (Gen 3,1-24). Ma il termine creare nella Scritturaha anche il significato di salvare: il Padrenon cessa dunque di rivelare il suo dise-gno di redenzione verso l’umanità; in unimpegno di costante fedeltà (Os 11,4)egli rinnova i prodigi della sua misericor-dia (Os 11,7-9) nel Figlio Gesù Cristo, ri-creando l’uomo (Col 3,9-10) e liberando-lo con la forza del suo amore (Os 12,10).

Prefazio Comune IIILode a Dio per la creazione e la re-

denzione dell’uomo

Per mezzo del Cristo, tuo dilettissimoFiglio, hai creato l’uomo a tua immaginee lo hai rigenerato a vita nuova.

Le pagine della Bibbia presentano,con grande varietà di vocabolario e dicontenuto, Dio come il Creatore di tuttele cose (Sap 9,1-2); in questa sua attivitàEgli dà origine, dal primo giorno sino al-l’ultimo, a qualcosa che è sempre total-mente e radicalmente nuovo (Ap 21,5),una sorta di continua creazione. A que-st’ultima è intimamente connessa la nuo-va creazione (Is 65,17), la redenzione del-la realtà che manifesta la gloria del Padre(Rm 8,19-25): infatti la rigenerazioneprosegue l’opera di Dio che plasma ren-dendo visibile la sua presenza comunica-tiva di salvezza e nella liberazione del suopopolo il Signore manifesta la sua glorio-

sa potenza (Is 40,5). In questo disegno ilprimato spetta al Signore Gesù, il preesi-stente (Col 1,17), il Figlio amatissimo (Mc9,7). Dalla sua divina immagine (Col1,15) è stato creato l’uomo (Gen 1,26-27) e per opera sua si è manifestato inmaniera definitiva l’amore del Padre cheperdona e salva (Col 1,13-14). In Lui, ca-po (Col 1,18) e pastore (Gv 10,11-15) delpopolo dei redenti, ogni uomo può sinda ora contemplare l’immagine di Dionell’attesa di giungere nei nuovi cieli enella nuova terra (2 Pt 3,13) preparati perlui sin dalla fondazione del mondo.

Prefazio Comune IVLa lode, dono di Dio

Tu non hai bisogno della nostra lode,ma per un dono del tuo amore ci chiamia renderti grazie; i nostri inni di benedi-zione non accrescono la tua grandezza,ma ci ottengono la grazia che ci salva,per Cristo nostro Signore.

La lode è parte dell’esistenza dell’uo-mo, è un modo e uno stile di vita (Sal118,175); nel momento in cui essa termi-na, viene meno anche la vera vita. Chi ècapace di magnificare Dio è proclamatobeato nella stessa maniera di colui chepossiede un’esistenza perfetta (Sal 83,5);lodare è la gioia di vivere che si rivolge aDio, che canta la sua misericordiosabontà. Dono dello sconfinato amore delCreatore, l’esaltazione di Dio da partedelle creature nulla accresce alla sua tra-scendenza e alterità (Is 6,3), né aumenta

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la sua divinità o il suo onore. Il Padre, no-stra lode (Ger 17,14), ha da sempre com-piuto meraviglie nella storia e le ha fattecontemplare alla creatura che sola ha vo-luto per sé (Gaudium et Spes 14), mo-strando nella pienezza dei tempi (Gal4,4) la straordinaria ricchezza della suagrazia nel Figlio Gesù Cristo (Ef 2,7). Ildono di amore di Dio, riversato nel cuoredell’umanità per mezzo dello Spirito San-to (Rm 5,5), ottiene a coloro che cercanoil Signore con animo sincero la liberazio-ne (Sal 33,5), a lode e gloria del Cristo ri-sorto (Sal 33,2-3), nel cui nome ognicreatura può essere salvata (At 2,21).

Prefazio Comune VProclamazione del mistero di Cristo

Uniti nell’amore celebriamo la mortedel tuo Figlio, con fede viva proclamiamola sua risurrezione, attendiamo con fer-ma speranza la sua venuta nella gloria.

La passione del Signore Gesù è pegnosicuro di gloria; prendendo su di sé lamorte degli uomini, assicurò loro quellavita che da essi non poteva venire (S.AGOSTINO - Discorsi). Per questo SanPaolo trova vanto nella croce di Cristo(Gal 6,14); per questo ogni uomo puòcelebrare, nell’amore e pieno di gioia, lamorte redentrice del Figlio di Dio. Con lasua sofferenza il Signore Gesù ha mostra-to quella pienezza di carità (Gv 15,13)con la quale i fratelli debbono amarsi re-ciprocamente (1 Gv. 3,16). Risuscitandodai morti, Egli fa salire l’umanità dal

profondo del sepolcro (MELITONE DISARDI - Omelia sulla Pasqua) divenendoprimizia delle creature nuove (1 Cor15,20) e aprendo la strada verso la Geru-salemme Celeste (Col 1,13). E lo SpiritoSanto è il pegno sicuro della speranzache spinge i fedeli, la cui vita è ormai na-scosta in Cristo, a cercare con insistenza ibeni celesti (Col 3,2-3). La grazia del Si-gnore risorto guida i figli redenti nell’at-tesa della sua piena manifestazione (Tt2,13); Egli, fatto carne nel tempo, attuaper l’uomo la promessa di eternità affin-ché possa per sempre vivere con Lui(ANONIMO - Omelia sulla Pasqua).

Prefazio Comune VICristo Salvatore e Redentore

Egli (Gesù Cristo) è la tua Parola viven-te, per mezzo di lui hai creato tutte le co-se, e lo hai mandato a noi salvatore e re-dentore, fatto uomo per opera dello Spi-rito Santo e nato dalla Vergine Maria. Percompiere la tua volontà e acquistarti unpopolo santo, egli stese le braccia sullacroce, morendo distrusse la morte e pro-clamò la risurrezione.

Nel racconto biblico delle origini laprima azione di Dio è pronunciare unaparola creatrice (Gen 1,3); mentre lo Spi-rito di Dio, segno della sua potenza, simuoveva sopra le acque (Gen 1,2), permezzo del Cristo (Col 1,16) la creazioneveniva con ordine all’esistenza. E anchequando gli uomini hanno deviato dallastrada assegnata seguendo i propri ca-

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pricci (Is 65,1-2), l’iniziativa divina non hacessato di manifestarsi sino al dono delFiglio prediletto, fonte di gioia e di sal-vezza (Lc 2,10). Nell’incarnazione l’inti-mità della Trinità raggiunge tutti coloroche credono nel nome che salva (Gl 3,5),che si lasciano giudicare da colui che,presa la carne mortale nel seno di unavergine per mezzo dello Spirito datore divita (Lc 1,34-35), è giustizia in quantoperfetto ascoltatore (Gv 5,30) ed esecu-tore (Gv 6,38) della volontà del Padre.Nell’obbedienza a un progetto che lo haprovato in ogni cosa, tranne il peccato(Eb 4,15), Gesù, attraverso l’offerta delsuo corpo, diviene causa di santificazione(Eb 10,10). Innalzato sulla croce per apri-re la strada del cielo (Gv 3,13-15), con lasua resurrezione Egli chiama i fedeli al-l’appartenenza fra i figli della luce (1 Pt2,9-10) che sperimentano la potenza del-l’amore di Dio (1 Gv 4,9-10).

Prefazio Comune VIICristo ospite e pellegrino in mezzo a noi

Tu hai chiamato e fatto uscire Abramodalla sua terra, per costituirlo padre ditutte le genti. Hai suscitato Mosè, per li-berare il tuo popolo e guidarlo alla terrapromessa. Nella pienezza dei tempi haimandato il tuo Figlio, ospite e pellegrinoin mezzo a noi, per redimerci dal peccatoe dalla morte; e hai donato il tuo Spirito,per fare di tutte le nazioni un solo popo-lo nuovo che ha come fine il tuo regno,come condizione la libertà dei tuoi figli,come statuto il precetto dell’amore.

Quando in Adamo, per la sua disobbe-dienza, l’uomo perde la familiarità con ilCreatore (Gen 3,23), Dio non lo abbando-na nella sua condizione di morte (Os 11,8-9) ma in Abramo lo invita ad accogliere,nella disponibilità per un cammino-pelle-grinaggio che è disegnato con caratteri pa-radossali ma profondamente umani (Gen12,1-6), una promessa capace di crearenuove connotazioni di significato per la vi-ta di ogni fedele. Allo stesso modo Mosè èassunto nell’opera di Dio per trasformareIsraele da non-popolo in stirpe eletta (1 Pt2,9-10) e condurlo nell’esperienza della co-munione dialogica. Dopo aver insegnato aun popolo infedele all’alleanza (Ger 11,8-10) a sperare, attraverso i profeti (Eb 1,1),nel dono di salvezza, la benevolenza delPadre si è fatta visibile nella incarnazionedell’amatissimo Figlio (Gv 1,14) che nel mi-stero pasquale è diventato causa di reden-zione eterna (Eb 5,8-9). Il ritorno del Si-gnore Gesù al cielo non ci lascia orfani:l’effusione dello Spirito Santo dal legnodella croce (Gv 19,30) e la sua manifesta-zione al mondo nel giorno di Pentecoste(At 12,1-13) ricreano l’unità del genereumano perduta a Babele (Gen 11,1-9), li-berando i figli dalla schiavitù della legge (Ef2,14-15) e introducendoli nel circolo vir-tuoso dell’amore trinitario.

Prefazio Comune VIIIGesù buon samaritano

Nella sua (di Cristo, tuo servo e nostroRedentore) vita mortale egli passò bene-ficando e sanando tutti coloro che erano

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prigionieri del male. Ancor oggi comebuon samaritano viene accanto a ogniuomo piagato nel corpo e nello spirito eversa sulle sue ferite l’olio della consola-zione e il vino della speranza. Per questodono della tua grazia, anche la notte deldolore si apre alla luce pasquale del tuoFiglio crocifisso e risorto.

Il Figlio di Dio ha voluto condividere intutto, fuorché nel peccato (Eb 4,15), l’e-sperienza umana (Fil 2,6-7); nel suo pelle-grinaggio terreno si è chinato sulle cadutee sulle sofferenze dei fratelli (At 10,38) co-me pegno tangibile della vittoria di Dio sulmale e sulla morte (1 Cor 15,25-26). Setutta la vita di Cristo è segnata dalla prote-sta contro l’angoscia e il dolore, anche i di-scepoli debbono impegnare tutte le loroforze, in uno spirito di servizio senza distin-zioni (Mc 10,41-45), per ingaggiare unalotta contro ogni forma di male. Come ilSignore Gesù, buon samaritano, il fedele èchiamato ad accostarsi agli ultimi, lontanied esclusi per risollevarli con la potenzadell’amore e rinvigorirli con l’olio dello Spi-rito consolatore e il vino gioioso della spe-ranza cristiana, che fa brillare gli occhi ba-gnati dalle lacrime dell’afflizione (Lc 10,29-37). Di fronte alla malattia e alla morte, ilcristiano non deve mai arrendersi ad essema a Dio (Lc 23,46), credendo fino in fon-do alla potenza di un Padre (Gb 42,2-6)che non si stanca di stupire i figli con l’ine-sauribile carica d’amore dell’evento pa-squale del Figlio (Ef 3,18-19), mistero asso-lutamente affidabile e buono e perciò uni-ca risposta significativa alle inquietudini delcuore dell’uomo (Gb 14,1-3).

Prefazio Comune IXLa gloria di Dio è l’uomo vivente

Tu sei l’unico Dio vivo e vero: l’universoè pieno della tua presenza, ma soprattuttonell’uomo, creato a tua immagine, hai im-presso il segno della tua gloria. Tu lo chia-mi a cooperare con il lavoro quotidiano alprogetto della creazione e gli doni il tuoSpirito, perché in Cristo, uomo nuovo, di-venti artefice di giustizia e di pace.

Colui che tutto ha chiamato all’esisten-za con la sua Parola creatrice (Sap 9,1), do-po aver formato con pazienza la terra, or-dinato il mondo con saggezza e distesocon intelligenza i cieli (Ger 10,12) mostran-do la grande potenza del suo nome (Ger10,6), ha plasmato l’uomo con sapienza(Sap 9,2) predestinandolo a essere confor-me al Figlio (Rm 8,29) e coronandolo dionore e di gloria (Sal 8,6). L’umanità, crea-ta a somigliantissima immagine del Padre(Gen 1,26-27), è chiamata a esercitare lasignoria sul mondo; il suo dominio non si-gnifica calpestare quanto piuttosto guidarecon giustizia (Sal 71,2) affinché i poveri chegridano siano liberati (Sal 71,12) e i miseririscattati dai torti e dalle violenze subite(Sal 71,14). Esercitando verso il creato lostesso sguardo di ammirata contemplazio-ne del Padre (Gen 1,31), i cristiani, poten-temente rafforzati dallo Spirito Santo (Ef3,16) e illuminati dal suo dono di sapienza(Ef 1,17), radicati e fondati nella carità diCristo che abita per la fede nei loro cuori(Ef 3,17), sono invitati a essere promotoridella nuova giustizia (Mt 5,20) e ad averesentimenti e progetti di pace per un futuropieno di speranza (Ger 29,11).

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Premessa

Quando, nel 1983, assistemmo allapresentazione della nuova edizione italia-na del Messale Romano, fummo colpitidalle dimensioni del volume, quasi rad-doppiate rispetto alla prima edizione. Sitrattava però non solo di una crescitaquantitativa ma anche qualitativa. Se-guendo i criteri dettati dalla riforma litur-gica conciliare, il nuovo Messale si pre-sentava con una attenta revisione dei te-sti, semplificati nella forma, corrispon-denti alla verità storica e aderenti allenuove necessità pastorali. Quest’ultimoaspetto diventerà motivo ricorrente an-che nella nuova edizione del MR in lin-gua italiana. Infatti, nella Presentazione,la Conferenza Episcopale ne precisa lapubblicazione in corrispondenza di una“diffusa richiesta pastorale”1. Per rispon-dere meglio alle necessità del tempo, iVescovi italiani mettono a disposizione“un libro liturgico sempre più idoneo apromuovere la partecipazione attiva econsapevole del popolo di Dio al misteroeucaristico” 2.

Lo stimolo di partenza è quello pro-mosso dal programma della Chiesa italia-na per gli anni ’80, con i temi dell’evan-gelizzazione, dell’Eucarestia e della co-munità cristiana.

La nuova collocazione e l’elabora-zione dei testi

In altre edizioni del MR sono pre-sentate diverse possibilità. Il Messalefiammingo, ad esempio, presenta perogni giorno feriale e domenica dell’an-no una colletta alternativa ispirata allatematica della lettura biblica del gior-no; il Messale tedesco presenta circaquaranta formulari per le ferie, in par-te accolti nel Messale olandese. Inol-tre, in occasione del Sinodo, nel 1980la Conferenza Episcopale Svizzera ave-va promosso la stesura di una nuovaPreghiera Eucaristica, con quattro partivariabili, secondo l’occasione ed il te-ma scelto.

Sulla base di queste esperienze, l’edi-zione italiana 1983 del MR, offre una re-visione dei testi, con qualche adattamen-to nella traduzione, aggiunge delle dida-scalie nelle memorie dei Santi ed inseri-sce un’abbondante Appendice, con nuo-vi testi. Questi ultimi sembrano più corri-spondenti al linguaggio e alla cultura deltempo; stabiliscono inoltre un collega-mento tra le collette e la Parola di Dio,distribuita nel ciclo triennale del Leziona-rio domenicale.

Al n. 4 della stessa Presentazione, siprecisa che, per rispetto alla tradizione

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Le nuove collette del Messale Romano

don Fabio Corona

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latina, le collette delle solennità maggiorirestano con l’unico formulario universal-mente valido, mentre le nuove collette“ad libitum” vengono collocate in Ap-pendice. Di fatto, esse non sostituisconoquelle dell’editio typica, ma sono propo-ste per una scelta pastoralmente valida alfine di arricchire i temi della preghiera co-munitaria.

Nell’Appendice al MR1983 troviamotre parti:1. la preghiera eucaristica quinta

(a,b,c,d) e quella della Riconciliazione(I e II);

2. le orazioni facoltative;3. altri formulari.

Le orazioni che stiamo esaminando sidividono, a loro volta, in:1. Collette sulle offerte e dopo la comu-

nione, per le ferie dei tempi forti, ec-cetto la Quaresima;

2. Collette per le domeniche e le solen-nità, per il Tempo Ordinario e per itempi forti;

3. Collette per le ferie del Tempo Ordina-rio;

4. Collette per il Comune della BeataVergine Maria.

Nella rubrica introduttiva alle Orazionisulle offerte e dopo la comunione, si diceche i testi sono stati presi da “altre partidel Messale Romano” e vengono propo-sti “con i necessari adattamenti per le fe-rie dei Tempi di Avvento, Natale e Pasquacome arricchimento e variazione alle ora-zioni ciclicamente ripetute nel corso dellevarie settimane”3.

Nella rubrica di pag. 962 introduttivaalle Collette per le domeniche e le solen-nità, si ripete il concetto già espresso nel-la Presentazione a cura dei Vescovi. Lenuove collette, ispirate ai brani della Sa-cra Scrittura indicati per gli anni A, B e Cdel Lezionario festivo, non aboliscono iformulari dell’edizione tipica, ma inten-dono offrire una più ampia scelta. Al sa-cerdote celebrante è affidato il compitodi utilizzarle, ritenendole opportune per ilbene spirituale dell’assemblea e dopoun’adeguata preparazione con i ministrie le altre persone presenti 4.

Finalità delle nuove collette

Proprio nel n. 313, troviamo il sensopiù autentico della composizione di que-sti nuovi testi in appendice.

Si dice anzitutto che “l’efficacia pa-storale della celebrazione aumenta se iltesto delle letture, delle orazioni e deicanti corrisponde il meglio possibile allenecessità, alla preparazione spirituale ealle capacità dei partecipanti”5. Tutto ciòè possibile, usando in maniera conve-niente la molteplicità dei testi a disposi-zione.

Più avanti, si dice pure che nella pre-parazione della Messa e nella scelta deitesti, il sacerdote deve tenere conto piùdel “bene spirituale comune dell’assem-blea che il proprio gusto”6. Chi presiededovrà aver acquisito questa vera e pro-pria “arte”7, guidando e animando l’as-semblea del popolo di Dio. Attraversouno spirito di disciplina e di fedeltà alle

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normative vigenti, il sacerdote dovrà co-noscere a fondo lo strumento che gli èaffidato per trarne tutte le possibilità discelta e di adattamento previste. In que-sto senso, il Messale deve ispirare e ali-mentare la preghiera personale del sacer-dote e quella comunitaria dell’assemblea.Per favorire quest’ultimo aspetto, i Ve-scovi italiani ricordano l’opportunità della

diffusione di edizioni minori del Messale(i cosiddetti messalini).

Anche questi strumenti permetterannoai vari “attori” della celebrazione, come ildiacono, il lettore, il salmista, il cantore, ilcommentatore e la schola, di organizzarebene la parte assegnata, di evitare ogni im-provvisazione e favorire lo spirito dei fedelialla partecipazione fruttuosa all’Eucarestia.

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——————1 MR, Conferenza Episcopale Italiana, Presentazio-

ne, n. 1, pag. VII;2 Idem, n. 2, pag. VIII; cfr anche SC 14;3 MR1983, pag. 929;

4 MR 1983, pag. 962; cfr anche PNMR, n. 313;5 PNMR, n. 313;6 Ibidem7 MR, Presentazione, n. 9, pag. IX

Giulio Romano, Madonna della gatta, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte.

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l capitolo quarto dell’Ordina-mento Generale del MessaleRomano (OGMR), cui dedichia-

mo questa volta la nostra attenzione, èil cuore e anche il capitolo più lungodell’intero Ordinamento. Dedicato alle“Diverse forme di celebrazione dellaMessa”, è suddiviso in quattro parti:Messa con il popolo, Messa concelebra-ta, Messa a cui partecipa un solo mini-stro, Alcune norme di carattere generaleper tutte le forme di Messa.

Nella parte introduttiva (nn.112-114)si ribadisce che la Chiesa locale deve as-segnare il primo posto “alla Messa pre-sieduta dal Vescovo circondato dal suopresbiterio, dai diaconi e dai ministri lai-ci con la partecipazione piena e attivadel popolo santo di Dio” in quanto“speciale manifestazione della Chiesa”.Grande importanza si deve dare anchealla Messa celebrata con una comunità,specialmente parrocchiale che, “soprat-tutto nella celebrazione comunitaria del-la domenica, manifesta la Chiesa univer-sale in un momento e in un luogo de-terminato”. Vengono poi citate per im-portanza la Messa conventuale e laMessa detta della “comunità”, le qualisebbene “non comportino nessuna for-ma particolare di celebrazione, tuttaviaè quanto mai conveniente che siano ce-

lebrate con il canto e soprattutto con lapiena partecipazione di tutti i membridella comunità”.

La prima parte di questo capitolo èquindi dedicata alla “Messa con il po-polo”, intendendo con questo terminela Messa celebrata con la partecipazionedei fedeli. “Soprattutto nelle domenichee nelle feste di precetto, conviene, perquanto è possibile, che la celebrazionesi svolga con il canto e con un congruonumero di ministri”: se è presente il dia-cono, è invitato a compiere il suo uffi-cio, inoltre è auspicabile che un accolito,un lettore e un cantore assistano il sa-cerdote celebrante.

Vengono quindi indicate le cose dapreparare per la Messa, che riteniamoopportuno riportare di seguito integral-mente. “L’altare sia ricoperto da alme-no una tovaglia bianca. In ogni celebra-zione sull’altare, o accanto ad esso, sipongano almeno due candelabri con iceri accesi, o anche quattro o sei, spe-cialmente se si tratta della Messa do-menicale o festiva di precetto; se cele-bra il Vescovo della diocesi, si usino set-te candelabri. Inoltre, sull’altare, o vici-no ad esso, si collochi la croce con l’im-magine di Cristo crocifisso. I candelabrie la croce con l’immagine di Cristo cro-cifisso si possono portare nella proces-

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Ordinamento generale del Messale Romano – 5

Stefano Lodigiani

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sione di ingresso. Sopra l’altare si puòcollocare l’Evangeliario, distinto dal li-bro delle altre letture, a meno che nonvenga portato nella processione d’in-gresso. Si preparino pure: a) accanto al-la sede del sacerdote: il Messale e, senecessario, il libro dei canti; b) sull’am-bone: il Lezionario; c) sopra la creden-za: il calice, il corporale, il purificatoioe, secondo l’opportunità, la palla; la pa-tena e le pissidi, se sono necessarie; ilpane per la Comunione di chi presiede,dei diaconi, dei ministri e del popolo; leampolle con il vino e l’acqua, a menoche tutte queste cose non vengano pre-sentate dai fedeli all’offertorio; un vasocon l’acqua da benedire se si compie ilrito dell’aspersione; il piattello per laComunione dei fedeli; inoltre il neces-sario per lavarsi le mani. Il calice sia lo-devolmente ricoperto da un velo, chepuò essere o del colore del giorno obianco. In sagrestia, si preparino, se-condo le varie forme di celebrazione, levesti sacre dei ministri:

a) per il sacerdote: camice, stola, ca-sula o pianeta;

b) per il diacono: camice, stola e dal-matica; in caso però di necessità o diminor solennità, la dalmatica si puòomettere;

c) per gli altri ministri: camici o altrevesti legittimamente approvate. Quandosi fa la processione d’ingresso, venganopreparati anche l’Evangeliario; nelle do-meniche e nelle feste, il turibolo e la na-vicella con l’incenso, se si usa l’incenso;la croce da portare in processione, i can-delabri con le candele accese.”

L’OGMR prosegue poi indicando le“norme per la celebrazione della Messasenza il diacono”. Ci limiteremo qui acitare solo qualcuna delle rubriche traquelle che possono essere di maggioreutilità per chi presiede o anima la mes-sa, o è incaricato di qualche ministero,rimandando alla lettura integrale deltesto per quanto riguarda l’intera cele-brazione.

Quando il popolo è radunato, il sa-cerdote e i ministri si avviano all’altare,in quest’ordine: a) il turiferario con ilturibolo fumigante, se si usa l’incenso;b) i ministri che portano i ceri accesi e,in mezzo a loro, l’accolito o un altroministro con la croce; c) gli accoliti e glialtri ministri; d) il lettore, che può por-tare l’Evangeliario un po’ elevato, manon il Lezionario; e) il sacerdote che ce-lebra la Messa. Se si usa l’incenso, pri-ma di incamminarsi, il sacerdote ponel’incenso nel turibolo e lo benedice conun segno di croce senza dire nulla. Ar-rivati all’altare, tutti i ministri fanno uninchino profondo. La croce con l’imma-gine di Cristo crocifisso, se è stata por-tata in processione, viene collocatapresso l’altare perché sia la croce del-l’altare, che deve essere una soltanto,altrimenti si mette in disparte in unluogo degno. I candelabri invece simettano sull’altare o accanto ad esso;è bene che l’Evangeliario sia collocatosull’altare. Il sacerdote accede all’altaree lo venera con il bacio. Poi incensa lacroce e l’altare, girandogli intorno,quindi si reca alla sede. Terminato ilcanto d’ingresso, tutti, in piedi, fanno

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il segno della croce. Dopo il saluto delsacerdote e una eventuale breve intro-duzione alla Messa del giorno, che puòessere fatta anche da un altro ministro,segue l’atto penitenziale, quindi, dovestabilito, si canta o si recita il Gloria. Iriti di introduzione si concludono conl’orazione colletta.

Quando tutti sono seduti, “il sacer-dote in modo molto breve può intro-durre i fedeli alla Liturgia della Parola”.Il lettore va all’ambone dove è colloca-to il Lezionario e proclama la prima let-tura. Quindi il salmista, proclama i ver-setti del salmo, mentre il popolo ri-sponde con il ritornello. Se c’è una se-conda lettura prima del Vangelo, il let-tore la proclama dall’ambone. Secondol’opportunità, dopo ogni lettura si puòosservare un breve momento di silen-zio, “affinché tutti meditino brevemen-te ciò che hanno ascoltato”. Poi ci sialza per il canto al Vangelo, durante ilquale il sacerdote pone l’incenso nelturibolo e lo benedice. Se l’Evangeliarioè sull’altare, il sacerdote lo prende e,preceduto dai ministri che possonoportare il turibolo e i ceri, si reca al-l’ambone, tenendo un po’ elevato l’E-vangeliario. All’ambone apre il libro e,dopo aver salutato l’assemblea e indi-cato il Vangelo da cui è tratto il branoche verrà proclamato, traccia con ilpollice il segno di croce sul libro e sullapropria persona, in fronte, sulla boccae sul petto, gesto che compiono anchetutti i presenti, quindi incensa il libro eproclama il Vangelo.

Stando alla sede o allo stesso ambo-ne, o, secondo l’opportunità, in un al-tro luogo idoneo, il sacerdote pronun-cia l’omelia, al termine della quale sipuò osservare un momento di silenzio.Il Credo viene cantato o recitato da tut-ta l’assemblea, stando in piedi. Seguela preghiera universale, introdotta dalsacerdote che è ora alla sede, a manigiunte. Il lettore o un altro ministro,dall’ambone o da un altro luogo con-veniente, propongono le intenzioni acui il popolo risponde con una supplicalitanica. Alla fine il sacerdote, a bracciaaperte, conclude la preghiera con unaorazione.

La Liturgia eucaristica ha inizio con ilcanto di offertorio, mentre tutti sonoseduti. Le offerte dei fedeli sono ricevu-te dal sacerdote, aiutato dall’accolito oda un altro ministro. Il pane e il vino perl’Eucaristia sono consegnati al celebran-te, che li depone sull’altare, mentre glialtri doni sono deposti in un altro luogoadatto. Dopo aver presentato la patenacon il pane e il calice con il vino, il sacer-dote può infondere l’incenso nel turibo-lo e incensare le offerte, la croce e l’al-tare. Il ministro, stando a lato dell’altare,incensa il celebrante, poi il popolo. Do-po essersi lavato le mani, tornato al cen-tro dell’altare, il sacerdote invita l’as-semblea alla preghiera e, dopo la rispo-sta del popolo, pronuncia l’orazione so-pra le offerte.

Quindi inizia la Preghiera eucaristi-ca, scelta fra quelle che si trovano nel

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Messale Romano. “La Preghiera euca-ristica esige, per sua natura, di esserepronunciata dal solo sacerdote, in for-za dell’ordinazione. Il popolo invece siassoci al sacerdote con fede e in silen-zio, e anche con gli interventi stabilitinel corso della Preghiera eucaristica,quali sono le risposte nel dialogo delPrefazio, il Santo, l’acclamazione dopola consacrazione e l’Amen dopo ladossologia finale.Poco prima della con-sacrazione, il ministro, se opportuno,avverte i fedeli con un segno di cam-panello. Così pure suona il campanelloalla presentazione al popolo dell’ostiaconsacrata e del calice, secondo leconsuetudini locali. Se si usa l’incenso,quando, dopo la consacrazione, si mo-strano al popolo l’ostia e il calice, ilministro li incensa.

Conclusa la Preghiera eucaristica, ilsacerdote, a mani giunte, dice la moni-zione che precede l’orazione del Signo-re e recita poi il Padre nostro, con lebraccia allargate, insieme con il popo-lo. Secondo l’opportunità, il sacerdotepuò invitare a scambiarsi un segno dipace: egli può dare la pace ai ministri,rimanendo tuttavia sempre nel presbi-terio anche se, per qualche buon moti-vo, vuol dare la pace ad alcuni fedeli.

Mentre il sacerdote si comunica, siinizia il canto alla Comunione, quindi ilsacerdote si reca dai comunicandi, chenormalmente si avvicinano processio-nalmente. “Non è permesso ai fedeliprendere da se stessi il pane consacratoo il sacro calice, tanto meno passarselo

di mano in mano. I fedeli si comunica-no in ginocchio o in piedi, come stabili-to dalla Conferenza Episcopale. Quan-do però si comunicano stando in piedi,si raccomanda che, prima di ricevere ilSacramento, facciano la debita riveren-za, da stabilire dalle stesse norme”.

Altri presbiteri possono aiutare nelladistribuzione della Comunione e, se ilnumero dei comunicandi è molto gran-de, “il sacerdote può chiamare in aiutoministri straordinari, cioè l’accolito isti-tuito, o anche altri fedeli a ciò deputa-ti secondo il diritto. In caso di neces-sità, il sacerdote può incaricare voltaper volta fedeli idonei. Questi ministrinon salgano all’altare prima che il sa-cerdote abbia fatto la Comunione e ri-cevano sempre dalla mano del sacer-dote il vaso in cui si custodiscono lespecie della Ss.ma Eucaristia da distri-buire ai fedeli”.

Terminata la distribuzione della Co-munione, il sacerdote purifica la patenao la pisside sopra il calice, purifica poi ilcalice quindi ritorna alla sede. “Si puòosservare, per un tempo conveniente, ilsacro silenzio, oppure cantare un salmo,un altro canto di lode o un inno”. Stan-do alla sede o all’altare, il sacerdote dicel’orazione dopo la Comunione, quindi sipossono dare brevi comunicazioni al po-polo. Seguono la benedizione e il con-gedo. Infine il sacerdote venera l’altarecon il bacio e, fatto un profondo inchi-no all’altare insieme con i ministri laici,con loro si ritira.

(continua)

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utti gli autori spirituali della tra-dizione della Chiesa concordanonell’affermare che la “filautia” è

all’origine di tutti i peccati. Il primo fratutti è Evagrio Pontico, il quale affermache il primo pensiero malvagio è la “fi-lautia”, da cui si originano tutti gli altri.Possiamo considerarla come il nome anti-co dell’egoismo. Ascoltiamo dalla vocedei Padri la definizione di “filautia”.

Efrem il SiroNon siamo amanti di noi stessi perché

dall’amore di sé nascono i vizi come altret-tanti germogli. Rovina dell’amore di sé è lacarità che attira tutti alla concordia e ve limantiene. Grande e prezioso possesso è lacarità. Lotta dunque per non perderla.

San Giovanni DamascenoQuelli che fanno tutto per se stessi rea-

lizzano l’amore di sé, il più grande di tutti imali. Di qui viene l’inciviltà, la mancanza disocievolezza, l’incapacità di avere amicizie,l’ingiustizia, l’empietà. La natura ha pla-smato l’uomo non come un animale selva-tico, ma come un essere socievole, civile,perché non viva soltanto per se stesso, maanche per il padre, la madre, i fratelli, i figli,gli altri parenti ed amici, per il suo popolo ela sua tribù, per la sua patria e per i suoi si-mili, per tutti gli uomini. E ancora per le di-verse regioni dell’universo, per il mondo in-tero, e ben prima di tutto questo, per il Dioe Creatore. Perché, supposto che si sia do-

tati di logos, occorre amare gli uomini, ilmondo, Dio, per essere amanti di Dio.

Diadoco di FoticaChi ama se stesso non può amare Dio,

ma chi non ama se stesso a causa della so-vrabbondante ricchezza (cf. Ef 2,7) dell’a-more divino, costui ama Dio. Perciò un uo-mo simile non cerca mai la propria gloria,ma quella di Dio. Chi ama se stesso cerca lapropria gloria, ma chi ama Dio cerca la glo-ria di colui che lo ha creato. E’ infatti propriodi un’anima sensibile ed amica di Dio cerca-re sempre la gloria di Dio in tutti i comanda-menti che osserva e godere della propriaumiliazione, perché a Dio spetta la gloriaper la sua grandezza, all’uomo invece l’umi-liazione per divenire in questo modo fami-liare di Dio. Se ci comporteremo così anchenoi, come san Giovanni Battista, gioiremoper la gloria del Signore e incominceremo adire incessantemente: Bisogna che egli cre-sca e che io diminuisca (Gv 3,30).

Massimo il ConfessoreIl male non è altro che una mancanza di

dirigere al fine le facoltà naturali. O ancora:il male è un movimento irrazionale delle fa-coltà naturali, dovuto ad un discernimentoerrato, verso qualcos’altro rispetto al suo fi-ne. Chiamo fine la causa degli esseri, versola quale tendono naturalmente tutte le co-se, anche se il maligno, nascondendo lasua invidia dietro le sembianze della bene-volenza e convincendo l’uomo mediante

In dialogo

Filautiadi don Giovanni Biallo

T

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l’inganno a volgere lo sguardo verso un’al-tra realtà diversa da Dio, ha creato in lui l’i-gnoranza della Causa. Il primo uomo, dun-que, avendo trascurato il movimento dellesue facoltà naturali, si ammalò di ignoran-za per la propria Causa. Per suggerimentodel serpente pensò che fosse Dio colui chela parola del divino comandamento ordina-va di considerare suo nemico. Così divenu-to trasgressore e ignorante di Dio, mescolòsaldamente l’intera sua potenza spiritualeall’intera esperienza dei sensi e si procuròla scienza composita delle realtà sensibili,dannosa perché trascina alla passione. Edivenne simile alle bestie senza ragione efu assimilato ad esse (Sal 48,13), nelle azio-

ni, nelle aspirazione e nei desideri, sorpas-sandole in quanto a irragionevolezza aven-do trasformato il suo logos naturale in unostato contro natura. Così quanto più l’uo-mo si applicava secondo i suoi sensi soltan-to alla conoscenza delle cose visibili, tantopiù saldamente si radicava nell’ignoranza diDio. E quanto più si radicava in tale igno-ranza, tanto più si ostinava nell’esperienzasensibile delle realtà materiali di cui venivaa conoscenza. Quanto più si saziava di tale godimento tanto più accendeva l’erosdella “filautia”.Quanto più tratteneva l’eros della “filautia”, tanto più escogitavamolteplici forme di piacere, frutto e finedella “filautia”.

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Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 5-2006 In dialogo

Dormizione di S. Efraim nel deserto e scene della vita, Andrea Pavias, Gerusalemme, chiesa dei Santi Costantino e Elena, sec. XV

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PRIMA LETTURADal libro dei Numeri (11,25-29)

Mosè si dimostra profondamente liberoda ogni gelosia umana, ciò che lo interessaè il compimento della volontà divina. Perquesto sarebbe ben felice che “fossero tut-ti profeti nel popolo di Dio” cioè tutti ca-paci di udire la Sua voce e compiere cosìla sua volontà. Questo episodio ben cono-sciuto del libro dei Numeri esprime anchecon chiarezza tutta la libertà dello Spiritodi Dio, che se normalmente si serve dellestrutture e delle vie della tradizione, restaperò libero e ben capace di compiere segnie prodigi anche fuori del recinto chiusodegli “addetti ai lavori”.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Giacomo apostolo

(5,1-6)

Giacomo si indirizza ai suoi ascoltatoricon un linguaggio forte e colorito, tipicodella predicazione profetica. Come per igrandi profeti della tradizione veterotesta-mentaria la sua accusa si rivolge soprattuttocontro i ricchi, che nelle società anticheprive di una forte autorità statale e di legi-slazioni sociali, erano arbitri di vita e dimorte nei confronti dei poveri. Oggi le cosesono in parte cambiate, ma resta comunquela tentazione di usare la ricchezza, ancheonesta, con prepotente disprezzo del povero.

La ricchezza, secondo Giacomo, è un donodi Dio, che come ogni dono chiama ad unaseria responsabilità sul suo utilizzo.

VANGELODal vangelo secondo Marco (9,38-43.45.47-48)

La potenza di Gesù appare con estremachiarezza una potenza sanante e donatricedi vita, una potenza divina senza confini,tanto che può attuarsi anche al di fuoridella cerchia istituita dei suoi collaborato-ri. Gesù usa una terminologia bellica, cherimanda alla lotta : essere con Lui o con-tro di Lui. Si sta avvicinando la resa deiconti nella quale sarà a tutti chiaro comestare dalla parte di Gesù o come lasciarLosolo. La scelta di Gesù, lo schierarsi al suofianco non è una realtà marginale nella lot-ta della vita ma è invece la scelta decisiva,questione di vita o di morte. Gesù ricordaai suoi che la vita è scegliere e sceglierebene! Perciò aiutare qualcuno a sceglierebene o all’opposto spingerlo al male, cioèscandalizzarlo, non è una questione da po-co. Scandalizzare qualcuno, e in particola-re i semplici e gli umili, quelli che si fan-no più facilmente influenzare dagli altri, èuna responsabilità negativa enorme. Nondobbiamo dunque stupirci della durezzacon cui Gesù stigmatizza questo comporta-mento. C’è quindi una logica, anche se nonimmediatamente percepibile, che lega tra

XXVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO B1 ottobre 2006Chi non è contro di noi è per noi. Se la tua mano ti scandalizza, tagliala.

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 5-2006

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La parola di Dio celebratadon Nazzareno Marconi

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loro i vari passaggi di questo discorso.Molto probabilmente Marco assomma unaserie di detti di Gesù sul tema dello scan-dalo e della piccolezza. Si tratta di testi ac-costati tra loro perché presentano temati-che simili, ma che quasi certamente furonoinsegnati in contesti diversi. Il fatto chenel corso della tradizione vari manoscrittiabbiano ampliato questi detti, come dimo-stra l’esistenza di versetti non originali dicui però conserviamo per praticità la nu-merazione, conferma la sensazione che sia-mo di fronte a una raccolta libera di paroledi Gesù. Questa raccolta conferma, d’altraparte, l’amore di Marco per la parola diGesù e il suo desiderio di tramandarnel’insegnamento nella forma più ampia pos-sibile. La seconda parte delle frasi sulloscandalo non riguarda più i rapporti inter-personali, ma il rapporto che ciascuno dinoi ha con sé stesso. Non dovremmo maidimenticare che Gesù, da buon orientale,parlava in modo figurato, per questo par-lando di mani, di piedi e di occhi intende

riferirsi ai propri gusti, alle proprie sensa-zioni, alle proprie abitudini e modi di pen-sare. In definitiva a tutto quello che siamoper la nostra natura e la nostra esperienzadi vita. Tutto ciò può portarci lontano daCristo. Seguire il Signore comporta infattiuna conversione che è cambiamento delproprio modo di essere, di valutare, di sen-tire, di reagire ecc. Gesù non vuol dunqueche ci mutiliamo nel corpo, magari veden-do in questi discorsi sullo scandalo solouna serie di esortazioni contro il peccato inambito sessuale. Il suo discorso è ben piùampio e più esigente: seguirlo è tagliarecoraggiosamente i ponti con uno stile di vi-ta pagano per camminare secondo lo Spiri-to. Non certamente contando sulle nostreforze o sulla nostra capacità di cambiare,ma sulla potenza dello stesso Spirito che cisantifica e ci rinnova nell’intimo. Il profetaaveva annunciato così la salvezza: “To-glierò da voi un cuore di pietra e vi daròun cuore di carne”, cioè realmente capacedi amare.

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 5-2006

XXVII DOMENICA TEMPO ORDINARIO B8 ottobre 2006L’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto.

PRIMA LETTURADal libro della Gènesi (2,18-24)

Nel mondo biblico imporre un nome si-gnificava affermare la proprietà su una co-sa, un vivente o una persona. Dio creatoresubordina all’uomo tutti i viventi ed eglipuò dare loro il nome. Se infatti l’uomo de-ve rispettare ogni vita, la vita animale èperò subordinata, è in funzione di quellaumana. La vita della donna, questo esserediverso eppure così eguale all’uomo, nonpuò però essere subordinata. L’uomo infatti

non le impone un nome di sua scelta, ma lachiama “donna”, Issah in ebraico, che èsemplicemente il femminile del suo nome“uomo” ish. Cioè condivide con lei il suostesso nome, la sua stessa dignità, riconoscel’appartenenza alla stessa natura umana.

SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (2,9-11)

L’autore di questa omelia dal fortespessore teologico legge il significato prov-videnziale delle sofferenze di Cristo come

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un “perfezionamento” della sua naturaumana. Secondo l’autore di Ebrei, Gesù èchiamato dal Padre a svolgere un compitosacerdotale, essere cioè un ponte di inter-cessione e di dono di grazia tra il cielo e laterra, tra Dio e gli uomini. Perché questocompito venisse svolto in maniera perfettaera necessaria una totale immersione delFiglio di Dio in una natura umana piena-mente tale. L’esperienza della sofferenza,vissuta da Gesù, lo ha reso in tutto simileai fratelli, perfettamente capace di provaresincera compassione per le loro sofferenzee così intercedere perfettamente presso ilPadre. Davvero era giusto che Dio: “volen-do portare molti figli alla gloria, rendesseperfetto mediante la sofferenza il capo cheli ha guidati alla salvezza”.

VANGELODal vangelo secondo Marco (10,2-16)

Siamo all’inizio del capitolo 10 di Mar-co. Gesù sente avvicinarsi la sua passione,per questo passa ad insegnare con chiarez-za e “senza peli sulla lingua” la novità delmessaggio che sta portando al mondo. Mar-co mette chiaramente in evidenza la diffe-renza fra il modo di pensare del mondo,rappresentato dai farisei, e quello di Gesù.

Immediatamente prima del nostro bra-no aveva detto che i discepoli sono come ilsale della terra: coloro che annunciano, intutta la sua novità e il suo sapore, il Vange-lo. Guai se anche loro diventassero insipi-di. Se il sale perderà il suo sapore, con checosa lo si potrà rendere salato? Se anche laChiesa smette di annunciare la verità delvangelo, chi mai potrà farlo? Questo è ilcontesto dello scontro tra Gesù e i farisei.Uno scontro nella chiarezza, e senza fin-zioni, che affronta la novità del messaggiodi Gesù su un punto cruciale e quindi ri-chiede grande attenzione. I farisei partono

subito con una domanda chiara: “È lecitoa un uomo ripudiare la propria moglie?”. Ilripudio, cioè il divorzio quasi senza alcunalimitazione e attuato soltanto dal marito,non era una novità. Il divorzio, come la po-ligamia sono molto più antichi, anzi più“primitivi”, del matrimonio fedele e mono-gamico, il matrimonio cristiano. Divorzio,libera convivenza, coppie omosessuali,erano considerate normali nella societàgreca e romana, molto prima della venutadi Cristo. Nel popolo eletto c’era a questoriguardo maggiore severità. Tra gli Ebreichi ripudiava una donna doveva farlo perun serio motivo, doveva poi consegnarleun documento scritto con cui la rendeva li-bera di risposarsi. Si voleva evitare cosìche un uomo potesse lasciare e riprendereuna donna a suo piacimento, condizionan-dola e rovinandole per sempre la vita. Il ri-pudio era dunque considerato normale. Sei farisei fanno questa domanda a Gesù èperché sentono che seguendo la logica deisuoi insegnamenti sull’amore, il ripudionon appariva più tanto normale. L’amorecristiano generoso, preoccupato più di do-nare che di ricevere, capace di perdonare,appariva piuttosto distante dalla logica al-lora “normale” del divorzio.

Gesù non risponde subito alla doman-da, ma rinvia i suoi interlocutori all’inse-gnamento della Bibbia. Essi rispondonocon una logica che appare stringente: “SeMosé ha dato delle norme per regolamen-tare il ripudio, allora il ripudio è buono!”Gesù interviene innanzi tutto spiegando lascelta di Mosè: “Egli ha fatto questo per-ché aveva davanti un popolo dal cuore du-ro”. Si tratta di una immagine usata spessodai profeti: il cuore duro, il cuore di pietra.Vuol dire che l’uomo da solo è incapace diamare, di un amore forte e fedele che su-pera ogni avversità. Dice Ezechiele al cap.36 che l’uomo senza Dio ha un cuore di

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pietra, incapace di amare nella fedeltà, maquando il Signore lo salva cambia il suocuore in un cuore di carne.

L’immagine è chiara, senza l’aiuto diDio anche il miglior sforzo umano, il senti-mento più bello, si incrina e muore. Perquesto nasce il ripudio e il divorzio. Leleggi che cercano di regolarlo vogliono sol-tanto mettere un limite all’egoismo e al so-pruso. Perché il ripudio, il divorzio non è

un bene, una cosa positiva, non è una con-quista di libertà. La vera libertà è la li-bertà di chi ama con tutto il cuore e persempre. Gesù è venuto a portarci questa li-bertà e questa nuova capacità di amore.Ecco la vera novità, il cuore di carne inve-ce di un cuore di pietra, la novità è l’amorecristiano che riporta l’uomo all’originarioprogetto di Dio, prima del peccato, dell’e-goismo, del male.

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 5-2006

XXVIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO B15 ottobre 2006Vendi quello che hai, poi vieni e seguimi.

PRIMA LETTURADal libro della Sapienza (7,7-11)

Il saggio dell’Antico Testamento sa, peresperienza di molte generazioni umane,che nessuna ricchezza è più importante diun cuore sapiente. Un cuore capace di ri-conoscere il valore di ogni cosa e di rinun-ciare a ciò che è secondario per ricercarequanto è veramente prezioso.

La sapienza è un valore umano ben piùimportante di ogni ricchezza, anche perchéfa parte della vera sapienza usare bene deimezzi di questo mondo. Oggi, possedendotante cose, dobbiamo imparare più che inpassato a essere sapienti, per non ritrovar-ci a essere posseduti dalle ricchezze e dal-la loro brama. È una schiavitù ben misera!

SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (4,12-13)

L’autore di Ebrei descrive la potenza vita-le della Parola di Dio. Come una forza profon-damente operativa questa parola attua un di-scernimento, divide e separa in ogni ambitodella vita ciò che ci allontana da Dio da ciò

che ci avvicina a Lui. Il bene dal male. Que-sto compito di discernimento operato dallaParola è il suo ambito di maggiore e piùprofonda efficacia. La chiesa contemporaneasta sempre più scoprendo il dono prezioso diuna meditazione assidua della Parola, unascolto profondo e disponibile che permettedi lasciarci guidare dal Vangelo nelle grandicome nelle piccole scelte di ogni giorno.

VANGELODal vangelo secondo Marco (10,17-30)

“Quanto difficilmente coloro che hannoricchezza entreranno nel regno di Dio!”.Questo rimprovero di Gesù apparentementeriguarda soltanto pochissime persone: quan-ti di noi si considerano tanto ricchi da cade-re nella condanna di cui parla il Signore?Ma dobbiamo stare attenti! Il vangelo cimette una pulce nell’orecchio, non si trattaqui della quantità delle ricchezze, ma delmodo in cui ci si appoggia a esse, come allavia per la conquista della vita e della feli-cità. Infatti i discepoli, che non erano certoricchi, quando sentono dire : “e’ più facileche un cammello...” non si mettono il cuore

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in pace dicendo: “noi siamo poveri!”. Mafanno un primo sincero esame di coscienza:anche se hanno poche ricchezze, vi sonomolto attaccati, si fidano più di quelle chedi Gesù, e vedono che molti altri attorno aloro fanno anche di peggio. Per questo dalloro cuore esce la sconsolata constatazione:“E chi mai si può salvare?”.

Non leggiamo quindi questo vangelocome se parlasse di altri, cerchiamo diavere la sincerità degli apostoli, che puravendo lasciato tutto per seguire il Signo-re, sentono di non aver vinto ancora il tarlodi un cuore più ricco che amante di Dio edel suo Regno. Il ricco del vangelo incon-tra Gesù e ne resta conquistato: “Maestrobuono...” gli dice. Infatti ha visto in Luiuna pienezza di vita che non ha mai cono-sciuto e che vorrebbe raggiungere. Perquesto gli domanda come possa ottenere lavita eterna? La gioia e la pienezza di vita,non sono alla portata degli uomini comeloro conquista, ma sono un dono di Dio.Solo Dio è buono, solo lui ha quella pie-nezza di Vita che il Giovane desidera rag-giungere, solo lui può donarla, come la do-

na continuamente, in assoluta pienezza, alsuo Figlio prediletto: Gesù. La sola, l’unicarisposta a questa ricerca è trovare Dio e vi-vere secondo la Sua volontà. “Tu conosci icomandamenti...” gli dice Gesù. Il ricco hagià incontrato Dio, ha già vissuto la suaparola trovandovi gioia e pienezza, infatti èdall’infanzia che la osserva, ma proprioquesta vita di fede gli fa sentire che perlui, ci potrebbe essere un progetto più bel-lo e più grande. Gesù non è contrario a chisogna il massimo, anzi nel suo insegna-mento è proprio la mediocrità che vienefustigata, per questo gli propone una viasemplice e affascinante: accogliere Dio co-me la sola ricchezza della sua vita. Ma ilgiovane se ne va triste. La via della realiz-zazione e della pienezza di vita ha una soladirezione e conduce a Dio. Chi si mette nelcammino della fede ha una sola possibilitàdi gioia e di pienezza: continuare il cam-mino, andare avanti in un incontro semprepiù intimo e più totalizzante con il Signore.È quello che hanno iniziato a fare con ge-nerosità i discepoli e Gesù li incoraggiaper questo a continuare con fiducia.

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XXIX DOMENICA TEMPO ORDINARIO B22 ottobre 2006Il Figlio dell’uomo è venuto per dare la propria vita in riscatto per molti.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaìa (53,2.3.10-11)

Isaia tratteggia le caratteristiche delMessia, del Servo del Signore, del capo delpopolo secondo il volere e i gusti di Dio.Per farlo lo pone a contrasto con le normaliaspettative degli uomini: apparenza, bel-lezza, potere. Secondo questi criteri il po-polo di Israele si era scelto il suo primo re:Saul. Ma Dio non sceglie ne progetta se-

condo categorie e gusti umani: il Signoreguarda il cuore. Nella vita del Servo soffe-rente di Isaia è tracciato il percorso di ognicredente che svolge un ruolo di autoritàcon vero spirito di servizio evangelico.

SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (4,14-16)

L’autore di questo scritto densamenteteologico dedicato al sacerdozio di Cristo

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traccia in questi tre versetti il cuore dellasua argomentazione. Gesù non appariva pernulla un sacerdote secondo le categorie sa-cerdotali antiche. Di queste però la basila-re era la funzione di intercessore, di pontetra Dio e l’uomo e tra l’uomo e Dio. In que-sta specifica funzione sacerdotale Gesù si èdistinto nella sua vita e soprattutto nellasua morte, che è diventata così un vero sa-crificio, una vera offerta a Dio. Offrendo laperfezione del suo amore e della sua obbe-dienza, Gesù ha trasformato la sua morte incroce nel sacrificio perfetto che apre all’u-manità l’accesso al regno dei cieli.

VANGELODal vangelo secondo Marco (10,35-45)

Anche tra i discepoli c’erano gli orgo-gliosi e gli intraprendenti: non è una no-vità ed è anzi la testimonianza che Gesùha scelto gente vera e normale per an-nunciare il Regno di Dio. La chiesa, findai suoi inizi non è la comunità dei per-fetti, ma quella di coloro che coscientidei loro limiti e difetti si fanno aiutare daGesù a superarli.

Giacomo e Giovanni fanno un sempli-ce ragionamento: Gesù ha promesso diinstaurare il regno di Dio, in un nuovoregno ci sarà comunque bisogno di un te-soriere del re, che stava seduto alla suadestra, e di un generale dell’esercito, chestava seduto alla sinistra. La loro richie-sta si potrebbe tradurre oggi in linguag-gio politico: “Signore, quando vincerai leelezioni e andrai al governo, vorremmoche tu ci nominassi ministro del tesoro eministro della difesa”.

Gesù con un attimo di ironia dice loro:“Voi non sapete quello che chiedete!”. Ilregno che Gesù è venuto a portare sullaterra è così radicalmente nuovo che i con-fronti con le logiche di potere umane di-

ventano ridicoli. Innanzi tutto è radical-mente diversa la conquista del potere inquesto nuovo regno. Nel mondo conquista-re un posto di potere, diventare re, vuol di-re imporsi con la forza sugli altri. I potentidi questo mondo costruiscono infatti spes-so le loro fortune e il loro potere “contro”gli altri. Ciò era verissimo ai tempi di Ge-sù. Basta scorrere le pagine della storiapolitica del tempo per trovare nell’impera-tore romano, nei vari figli di Erode e anchenei procuratori come Pilato, una lunghissi-ma serie di pessimi esempi. Purtroppo, purse sono passati due millenni, le cose nonvanno in maniera molto dissimile nel no-stro mondo contemporaneo. “Fra voi perònon è così” dice Gesù, “ma chi vuol esseregrande tra voi si farà vostro servitore”. Alconcetto di potere come oppressione e co-me prevaricazione, Gesù oppone il concet-to di autorità come servizio e di grandezzacome grandezza nella disponibilità. Chi èveramente grande, chi è veramente impor-tante dice Gesù? Colui che si pone a servi-zio, che fa il bene per quanti gli sono affi-dati e per il mondo intero. Questo è vera-mente grande, questo è veramente impor-tante perché senza di lui il mondo sarebbeimpoverito. In un bel libro sulla vita di SanFrancesco, l’autore concludeva con unafrase significativa: “quando Francescomorì, tutto il mondo percepì con chiarezzache era diventato più povero, che avevaperso qualcuno di veramente grande”.Questi dovrebbero essere, secondo l’inse-gnamento di Gesù i capi delle nazioni ecoloro che guidano l’umanità. Questa esi-gente proposta di Gesù non deve però spa-ventare o spingere a un disimpegno am-mantato di modestia. È lo stesso Gesù cheattraverso la bellissima parabola dei talen-ti invita, chi ha capacità e potenzialità, afarsi avanti. Il mondo infatti ha e avrà sem-pre bisogno dei piccoli e dei grandi, dei

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leader e dei loro collaboratori. La diversitàdi ruoli e funzioni non è sinonimo di ine-guaglianza e ingiustizia. È invece il cattivouso delle condizioni di potere, che le di-versità dei talenti vengono naturalmente a

costituire, a determinare le ingiustizie e lesofferenze. Il mondo ha bisogno di cristianicompetenti e generosi che svolgano funzio-ni di potere in un atteggiamento di profon-do servizio al bene comune.

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 5-2006

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XXX DOMENICA TEMPO ORDINARIO B29 ottobre 2006Rabbunì, che io riabbia la vista!

PRIMA LETTURADal libro del profeta Geremìa (31,7-9)

In piena situazione di crisi, con il po-polo sopravvissuto alla distruzione di Ge-rusalemme che si sta avviando all’esilio, ilprofeta Geremia annuncia il ritorno e lasalvezza. Nel suo oracolo tre categorie dideboli sono prese a esempio: il cieco, lozoppo e la donna incinta. Sono personeche non possono affrontare la vita da sole,per vari motivi hanno un indispensabilebisogno di aiuto. Dio si serve di loro perindicare che il suo amore provvidente siprende cura di noi, ci sostiene sempre, so-prattutto quando la prova si fa più dura espesso ci sentiamo soli e abbandonati.

SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (5,1-6)

Il sacerdozio dell’antico testamento nonera attribuito dagli uomini, non era fruttodi una decisione umana. Si diveniva sacer-doti perché nati entro una famiglia sacer-dotale. Questo veniva letto come una vo-lontà divina, che determinando la nascitadetermina il sacerdote. Con Gesù il sacer-dozio invece non si inserisce nella lineadella famiglia sacerdotale di Aronne, manel particolare sacerdozio di Melchisedek.Questo personaggio appare all’improvviso

nelle storie di Abramo e altrettanto all’im-provviso scompare. È guidato da Dio nonattraverso l’appartenenza ad una famiglia,ma in un atteggiamento di obbedienza al-l’ordine divino. Il sacerdozio del NT è de-terminato da Dio non attraverso la nascitae la discendenza, ma per una chiamatapersonale che rende partecipi e responsa-bili di un pezzo della storia della salvezza.

VANGELODal vangelo secondo Marco (10,46-52)

Ai bordi della strada dove passa Gesùc’è un disgraziato che grida: non vede, ècieco. Tuttavia dai rumori, dalle mezze frasiudite, ha percepito la presenza di Gesù. Al-lora si mette a gridare, si spolmona fino arasentare il ridicolo. Lo rimproverano, glidicono di tacere. Ma Gesù finalmente losente e lo chiama. Il cieco salta in piedi,getta via il mantello, è cieco... come farà aritrovarlo poi?.. ma non gli importa, l’unicacosa che conta per lui è che aveva intuitouna presenza importante, un incontro cen-trale per la sua vita, e ora questa presenzagli si fa vicina, questo incontro diventa piùconcreto: Gesù lo chiama. E gli chiede?“Che cosa vuoi che ti faccia?”. Il cieco haevidentemente una domanda impellente dafare: “Che io riabbia la vista”. Ma il suocuore non è chiuso soltanto a questo, come

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mostrerà poi con la sua azione. Gesù fa ilmiracolo ma il cieco non si limita a salutar-lo, ringraziare e andar via per la sua strada.Il cieco prende a seguirlo per la strada. Per-ché? Marco si serve di questo “cieco” chediventato “vedente” prende a seguire il Si-gnore, per introdurre la sezione evangelicaseguente: la Passione. Il cieco di Betsaidaera servito a Marco per indicare simbolica-mente la condizione dei discepoli che deb-bono gradualmente, ad opera di Gesù, im-parare a scrutare il Suo mistero. Ora questonuovo cieco ci indica l’atteggiamento concui il vero discepolo deve guardare alla pas-sione del Signore. Sarà necessario elevare aDio una preghiera perché ci renda veggentie così possiamo comprendere il mistero del-la Passione. Un lettore del vangelo che nonentrasse con questo atteggiamento di pre-ghiera nella lettura della Passione, rischie-rebbe di scandalizzarsi e di abbandonareGesù che sale il calvario, come di fatto fe-cero i discepoli.

La storia di questo cieco è la storia del-la fede. La fede vi è descritta come il per-cepire una presenza. Segnali, ma non pro-ve; per cui si richiede un atto di fiducia:buttare via il mantello, balzare in piedi.Appoggiarsi alla possibilità di un incontro:il primo passo della fede è credere che sipossa credere, credere che diventeremovedenti.

La domanda di Gesù: “cosa vuoi cheti faccia?” vuol aprirci gli occhi. Eglinon ha donato al cieco solo la vista fisicama anche e soprattutto la vista spiritua-le. Infatti quello, dopo la guarigione,“prese a seguirlo”. E’ il termine che nelvangelo indica: diventare un suo disce-polo. Nella fede spesso, come il cieco, cisi può accostare a Dio per cercareconforto, sicurezza di fronte alle paure,incoraggiamento. Ma la vera fede ci aprea seguire Gesù, come fa il cieco di Geri-co, anche quando ci sperimentiamo or-mai sanati.

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 5-2006

TUTTI I SANTI1 novembre 2006Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.

PRIMA LETTURADal libro dell’Apocalisse di san Giovanni Apostolo (7,2-4.9-14)

Con il suo tipico linguaggio simbolicol’autore di apocalisse descrive il giudiziofinale e soprattutto la gloria dei risorti. Tradi essi si distinguono i 144.000. È un nu-mero chiaramente simbolico dato da 12 x12 x 1000. Indica la totalità definitiva(1.000) di quanti appartengono al popolodi Israele credente (12) e quanti apparten-gono al nuovo Israele credente (12), cioè laChiesa. Se essi sono quanti attendono la

salvezza ed hanno vissuto nella fede e nel-la speranza di raggiungerla, l’Autore ispi-rato sa però che molti altri saranno comun-que salvati, è la moltitudine immensa deigiusti che pur non avendo conosciuto Gesùhanno meritato la salvezza con la condottadella loro vita.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Giovanni Apostolo (3,1-3)

Giovanni invita i credenti a non spe-culare eccessivamente per comprendere

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quale sarà la condizione dei santi e deibeati nel Regno. Ciò di cui siamo certifin d’ora e ne siamo profondamente mera-vigliati, è che Dio stesso ci considera fi-gli e ci tratta come tali, in tutto e per tut-to. Siamo figli, sicuri eredi delle promes-se fatte ai padri, amati di un amore dipredilezione. Tutto questo deve spingercialla fiducia guardando con cuore serenoal futuro nella vita eterna.

VANGELODal Vangelo secondo Matteo (5,1-12)

La prima parte del discorso di Gesùriportato da Matteo contiene la “carta co-stituzionale”, la legge fondamentale chedona l’identità di quanti sono chiamati afar parte del Regno di Dio. Le beatitudinipropongono in questo contesto un inizialecapovolgimento di tutte le prospettiveumane più dirette e spontanee. La verafelicità, la realizzazione piena della vita,appartiene a coloro che hanno compresoquale sia la vera e unica ricchezza. Essisono sensibili alla sofferenza del mondo;sono i miti; sono gli assetati di giustizia.Sanno perdonare e sono operatori di pa-ce. In un mondo che vive e progrediscesecondo logiche completamente oppostenon c’è da meravigliarsi che si ritrovino

molto spesso a sperimentare la persecu-zione. Ma essi, anche nella prova, cono-scono la vera gioia, che nasce da una re-lazione autentica con Dio. Santa Teresad’Avila, profonda esperta di umanità e difede, ha quasi commentato le beatitudini,fornendone una sintesi in forma di pre-ghiera: “nulla ti turbi, nulla ti spaventi,chi ha Dio non manca di nulla. Nulla titurbi, né ti spaventi, Dio solo basta”.

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Maria con tutti i Santi, Cor VIII cod. MLXIII c. 53 v.

COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI 2 novembre 2006 Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno.

Prima messaPRIMA LETTURADal libro di Giobbe (19,1.23-27)

Giobbe proclama con forza la propriasperanza in Dio, esasperato dall’atteggia-

mento degli amici che, veri consolatorimolesti si pongono come giudici delle suesofferenze e delle sue supposte colpe. Egliè certo che Dio interverrà a suo favore, an-che se non sa se prima o dopo la morte. Latradizione cristiana ha visto in questa af-

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fermazione dell’autore del libro di Giobbeun atto di fede nella risurrezione.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Romani (5,5-11)

L’amore di Dio rivelato in Gesù haprofondamente trasformato il cuore di Paolo,ha così tanto segnato la sua vita che questotema ritorna con grande frequenza nelle suelettere. L’amore divino non è rimasto per luiun concetto teologico ma si è concretamentemanifestato in Gesù, vincendo l’odio e gene-rando la pienezza della sua vita. È come unaforza interiore che è già presente in noi e cheopererà la nostra risurrezione.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (6,37-40)

Nel discorso che segue la moltiplicazionedei pani, il vangelo di Giovanni proclamache Gesù è la Parola e il Cibo che dona lavita eterna. La missione che ha ricevuto dalPadre è di consegnare al mondo questo donodi vita eterna. Chiunque accoglierà questaproposta, andrà da Lui e si lascerà trasfor-mare dalle sue parole, troverà la salvezza eGesù lo risusciterà nell’ultimo giorno. Lamorte rileva ad ogni persona ciò che ognunonella vita ha soltanto creduto e sperato.

Seconda messaPRIMA LETTURADal libro del profeta Isaia (25,6.7-9)

Sembra che per il popolo eletto non ci siapiù speranza, ormai gli Assiri stanno minac-ciando di invadere e distruggere Gerusalem-me. In questo contesto di dolore imminente ilprofeta Isaia annuncia la fine dei disastri. Ilgiorno del Signore eliminerà il male e la mor-te per sempre. Donerà la salvezza tanto a

lungo sperata. I cristiani hanno riconosciutoin questo oracolo di speranza, un annuncioche va ben oltre le limitate contingenze stori-che che lo hanno generato. Alla luce del NTla morte e la risurrezione di Cristo hanno se-gnato il destino ultimo dell’umanità.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Romani (8,14-23)

Il grande dono che la passione, morte erisurrezione di Gesù ci ha fatto e che lo Spi-rito di Cristo ci comunica è la figliolanza di-vina. In questa nuova straordinaria condizio-ne di uomini finalmente liberi dal male pos-siamo invocare Dio con il nome di Padre.Come figli saremo inoltre eredi delle suepromesse. Ma per vedere la realizzazione ditutto ciò dobbiamo partecipare al mistero disofferenza del Cristo. L’impegno per la libe-razione di tutti i credenti e di tutti gli uomi-ni, ci avvicinerà, fin da ora, alle promesseultime che il Signore ci ha fatto.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (25,31-46)

Gesù, servendosi di alcune immagini ca-ratteristiche della letteratura apocalittica giu-daica del suo tempo, descrive il destino finaledell’umanità. Indica poi soprattutto come po-tremo partecipare concretamente alle sue sof-ferenze, per poi essere ammessi a prendereparte alla sua gloria. Solo grazie ad un amoreconcreto, che si fa soprattutto servizio ai fra-telli più deboli e sofferenti, entreremo anchenoi a far parte di quel movimento di amore edi liberazione che inizia da Gesù e conduce ilmondo alla salvezza e alla gloria finale.

Di fronte all’immagine del Messia-re,modellata su quella del Re-pastore usata dalprofeta Ezechiele, Gesù sottopone al vagliodell’amore le azioni concrete compiute dagli

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uomini. Solo quanto sapranno vivere la con-cretezza dell’amore generoso verso i fratelli,potranno partecipare alla gloria futura.

Terza messaPRIMA LETTURADal libro della Sapienza (3,1-9)

L’autore del libro della “Sapienza” svi-luppa in un grande affresco sapienziale unariflessione su tutti gli aspetti del vivere uma-no nel mondo. Tra le sue dense pagine c’èposto anche per una riflessione sui problemipersonali dell’uomo. La constatazione che:molto spesso i cattivi trionfano e i buoni so-no disprezzati, lo spinge a chiarire il signifi-

cato della retribuzione divina. Anche se ilmale sembra prevalere sulla terra, i giustidebbono confidare nella giustizia di Dio chenon tarderà a manifestarsi. La loro speranzanasce dalla certezza dell’immortalità e di unmondo nuovo preparato dall’amore miseri-cordioso del Signore per il trionfo dei giusti.Affrontiamo dunque con coraggio l’esperien-za faticosa della vita presente.

SECONDA LETTURADal libro dell’Apocalisse (21,1-5.6-7)

Tra i tanti simboli negativi usati dall’A-pocalisse quello del mare è indubbiamenteil simbolo principale, usato per rappresen-tare il male nella sua forma più misteriosae totalizzante. In questa sezione finale delsuo libro, Giovanni ne descrive la sconfittae la definitiva scomparsa. Rinnova poi lapromessa di Dio: in un mondo nuovo, il Si-gnore ricreerà la santa Gerusalemme, doveil suo popolo troverà la pace e la gioia. Suquesta parola di Dio, principio e fine ditutte le cose, riposa la speranza di tutta in-tera la comunità cristiana.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (5,1-12)

Nelle beatitudini, che la liturgia ci pro-pone nuovamente dopo averle proclamatenel giorno dei Santi, Matteo offre le indica-zioni basilari per il percorso che conduce daquesta vita alla santa Gerusalemme del cie-lo. Esse rovesciano i desideri più immediatidell’uomo, che tendono ad un possesso ter-reno ed egoistico dei beni della vita. La soli-darietà verso tutti, proposta da Gesù, trovaspazio nei cuori sinceri, aperti agli altri. Ur-ta perciò contro tutte le pretese mondane.Per questo i poveri, gli operatori di pace e digiustizia subiscono violenza. Ma grande saràla loro ricompensa, dice il Signore.

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Giudizio Universale (particolare), Pietro Cavallini,Roma, Basilica di S. Cecilia in Trastevere, sec. XIV

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PRIMA LETTURADal libro del Deuteronomio (6,2-6)

Questo testo, ripetuto ogni giorno daiGiudei nella loro preghiera, è ripreso daGesù per esprimere ciò che è essenzialenella vita del cristiano. In esso è presenteil nucleo di tutta la spiritualità biblica. In-serito in un’alleanza che è sorgente di vita,il credente è chiamato a vivere nell’amoree cioè nell’osservanza della legge che ren-de l’uomo conforme a Dio salvatore. L’amo-re per Dio non esclude l’amore per i fratel-li: questa è la regola d’oro della santità.

SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (7,23-28)

L’autore della lettera agli Ebrei ripren-de metodicamente certi tratti caratteristicidel sacerdozio istituito da Mosè, per mo-strare come assumono significato completosolo in Gesù. Egli è l’uomo perfetto, chevive nella relazione di figlio con Dio Pa-dre. L’idea essenziale è che Gesù non offredelle cose inanimate, miseri sostituti del-l’uomo, ma offre se stesso. Il suo sacrificio,spinta all’incontro con Dio, è il riflesso diun mondo divino e crea l’autentica allean-za.

VANGELODal vangelo secondo Marco (12,18-34)

Lo scontro tra Gesù e i suoi nemici af-fronta il problema della risurrezione. ISadducei, un gruppo spirituale dell’ebrai-smo del primo secolo, a differenza delgruppo avversario dei Farisei, non crede-

vano alla risurrezione dei morti, attenendo-si soltanto all’insegnamento del Pentateu-co. Questi ultimi invece si appoggiavanosu testi biblici più recenti, come Dan 12,2e 2Mac 7. Per ridicolizzare l’insegnamentofarisaico sulla resurrezione finale, condivi-so anche da Gesù, i Sadducei montano il“caso limite” della donna con sette mariti,volendo dimostrare che la fede nella risur-rezione conduce a degli assurdi logici. Ge-sù ricaccia la loro argomentazione accu-sandoli di non conoscere due elementi ba-silari della fede: le Scritture e la potenzadi Dio. Gesù inizia ad argomentare dal te-ma della potenza di Dio, ricordando che larisurrezione è un atto così sconvolgente,che misurarne le conseguenze a partiredalla esperienza attuale, cioè di uomini edonne che prendono moglie e marito, è si-curamente sbagliato. Essi che non credononeppure nell’esistenza degli angeli e deidemoni, non sono assolutamente in gradodi comprendere cosa voglia dire risorgere.È importante notare che in questa argo-mentazione non c’è alcun riferimento di-retto al valore del matrimonio, al fatto cioèche sia “meno ultraterreno” della “condi-zione verginale”, come a volte è stato com-mentato su questo passo. La seconda argo-mentazione è basata sulla conoscenza del-la Scrittura, della Bibbia. Gesù dimostrache anche nel Pentateuco si parla di risur-rezione, perché si parla di Abramo, Isaccoe Giacobbe come di viventi che stanno at-tualmente in comunione di amicizia conDio.

Il testo continua con una disputa suicomandamenti tra uno Scriba, cioè unostudioso della legge religiosa ebraica e Ge-

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XXXI DOMENICA TEMPO ORDINARIO B5 novembre 2006Questo è il primo comandamento, il secondo poi gli è simile.

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sù. Per noi la parola comandamenti riman-da immediatamente ai 10 comandamenti,ma gli ebrei del tempo di Gesù avevanoesteso questo nome ad indicare ogni leggecontenuta nell’AT. Secondo i rabbini i co-mandamenti della Bibbia erano più di sei-cento! Questo indubbiamente rendeva lavita religiosa piuttosto complessa… Ma giàtra gli Ebrei c’era chi cercava un camminodi fede più legato alla sincera devozione aDio che al rispetto meccanico delle tradi-zioni. Lo scriba che interroga Gesù è unodi questi: “Qual è il primo dei comanda-menti? Da dove cominciare per fare la vo-lontà di Dio nella nostra vita?”. Gesù nonsi mette a fare disquisizioni astruse, mainizia a citare la preghiera del mattino,ben conosciuta da ogni ebreo, lo ShemahIsrael. È una preghiera tratta dal libro delDeuteronomio, recitata per primo da Mosèper indicare agli israeliti che tutti i coman-damenti si riducono ad uno solo: amareDio! C’è una certa ironia e un velato rim-provero nelle parole di Gesù, che cita unapreghiera conosciuta anche dai bambini: loscriba stava cercando lontano, una chia-

rezza che aveva a portata di mano. Gesù fadunque sintesi di tutta la fede ebraica, ri-cordando che al centro di tutto sta l’amore.Non si vive la fede per timore dell’inferno,non si vive la fede per superstizione chepossa accaderci qualcosa di male abban-donandola, non si vive la fede per un ra-gionamento su chi ha creato il mondo, osulle origini storiche del vangelo. Si puòvivere la fede soltanto per amore di Dio.Ma qui Gesù fa una aggiunta e un comple-tamento alla preghiera e alla fede dell’An-tico Testamento. Il primo comandamento ècollegato e verificato da un secondo co-mandamento: “Amerai il prossimo tuo co-me te stesso”. Un comandamento che è se-condo, ma che è altrettanto importante delprimo, “non c’è altro comandamento piùimportante di questo!”: dice Gesù. Amoredi Dio e amore del prossimo sono dunquelegati, si richiedono a vicenda, ma c’è dipiù, non si vivono fino in fondo se non as-sieme. E’ bene non illudersi, un impegnodi amore agli altri che non tragga forza daDio e dalla comunione con Lui non va lon-tano.

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XXXII DOMENICA TEMPO ORDINARIO B12 novembre 2006Questa vedova, nella sua povertà, ha dato tutto quello che aveva.

PRIMA LETTURADal primo libro dei Re (17,10-16)

La fame regna nella terra promessa, cheormai è diventata una terra usurpata da ric-chi e da potenti. Dio tuttavia è sempre dispo-sto a nutrire i suoi fedeli. Il paradosso vuoleche sia una povera vedova pagana a dar pro-va di senso di condivisione. Il Signore allorale concede tutto quello di cui ha bisogno persopravvivere nel tempo della carestia.

SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (9,24-28)

Riprendendo la sua descrizione delculto ebraico, l’autore della lettera, de-scrive l’entrata solenne del sommo sacer-dote nel santuario, il giorno della festadel perdono dei peccati. Questa cerimo-nia si deve ripetere tutti gli anni, perchéil peccato è sempre presente. Ma la lette-ra mostra come Gesù effettua una volta

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per sempre questo gesto. La perfezionedella sua vita, che si manifesta nel donototale di se stesso, vince definitivamenteil peccato e gli permette di incontrareDio, come è dimostrato dalla sua risurre-zione e ascensione. Con la fede possiamoessere coinvolti in questo dinamismo. Findal momento in cui ci mettiamo in cam-mino con gli occhi fissi sul Signore, sia-mo già salvi.

VANGELODal vangelo secondo Marco (12,38-44)

Come tutte le persone oneste e since-re Gesù dimostra una naturale antipatiaper gli ipocriti. La relazione di fede cheunisce l’uomo a Dio perde di valore ognivolta che si lascia contagiare dal formali-smo e dall’ostentazione. La fede ha biso-gno di forme, gesti e simboli in cui incar-narsi ma non può ridursi mai a questi. Ilrimprovero di Gesù contro gli scribi toc-ca dunque anche noi e richiede una revi-sione seria dei nostri gesti di fede, dellenostre liturgie e anche dei nostri segni dicarità. La chiusa delle diatribe con fari-sei e sadducei si apre però alla speranza.Gesù indica il modello della vedova: essaè l’ultima degli ultimi, infatti appartienea ben tre categorie emarginate. Al tempodi Gesù i poveri, le vedove e le donneerano, con i bambini, le ultime categoriedella scala sociale e anche della scala re-ligiosa, che troppo spesso seguiva più ledistinzioni economiche che quelle mora-li. Eppure è proprio lei che attua in con-creto l’insegnamento appena dato da Ge-sù, in riferimento ai comandamenti. Que-sto quadretto edificante, posto a contra-sto con il comportamento degli scribi,servirà a Marco per introdurre il grande

testo seguente del giudizio su Gerusa-lemme.

Il gesto della vedova non ha nulla dieclatante. E’ un gesto semplice, di pietàpopolare, del quale Gesù mette in rilievol’intenzione profonda: attira l’attenzionedei discepoli, e la nostra, su un atteggia-mento che sarebbe potuto passare inosser-vato. Molto spesso i nostri occhi, così ca-paci di vedere il negativo e di subire loscandalo di quanti fanno il male, non san-no prestare altrettanta attenzione al positi-vo e ai buoni esempi. Gesù si dimostra an-che in questo caso esemplare. I suoi occhisanno scrutare i cuori e mettere in luce ilbene. Quanto sono diversi dall’occhio trop-po spesso superficiale e negativo delle te-lecamere, che sempre di più diventano ilmodello del nostro sguardo.

Il gesto della vedova costituisce infi-ne un modello trasparente di che cosavuol dire credere. Credere infatti non ètanto accogliere intellettualmente deicontenuti, quanto affidarsi a qualcuno,fondare su di Lui la propria certezza e lapropria speranza. Credere in Dio non èdunque solo credere in quanto Dio ci harivelato, ma soprattutto appoggiarci aLui per vivere. In ebraico, il verbo cheesprime la fede, e dal quale deriva l’e-spressione “Amen”, indica proprio que-sto fondare, basare la propria vita. E’quanto fa la vedova riprendendo l’esem-pio della vedova di Zarepta di Sidoneche aveva accolto il profeta Elia. Essadà al Signore tutto quello che le potreb-be offrire una certezza di vita, “tuttoquanto aveva per vivere”. Non si trattadi incoscienza ma di fede che si appog-gia su Dio dal quale certamente verràl’aiuto, perché da parte umana è statacompiuta con eroica pienezza la Sua vo-lontà.

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PRIMA LETTURADal libro del profeta Daniele (12,1-3)

Daniele evoca profeticamente il tempodel giudizio finale. Dopo la morte ci saràuna generale risurrezione, sia per il premioche per la condanna eterna. L’accento èperò posto soprattutto sulla risurrezionedei giusti e sul destino positivo che li at-tenderà. In questo testo, ambientato inepoca antica, ma scritto di fatto poco primadel NT, si trovano già i semi di quella fedenella vita eterna di cui Gesù si farà annun-ciatore.

SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (10,11-14.18)

L’autore dell’epistola riflette sul sensodel culto quotidiano nel tempio di Gerusa-lemme. Questo culto perde definitivamentela sua importanza da quando si entra nelvero movimento della salvezza. Proprio lanostra intera vita deve essere la realizza-zione della alleanza con Dio. La legge delSignore, divenuta interiore grazie al donodello Spirito, ci permette di scoprire ciòche deve essere la piena realizzazione dinoi stessi.

VANGELODal vangelo secondo Marco (13,24-32)

Il capitolo 13 del Vangelo di Marcopresenta, con un particolare linguaggioricco di immagini, la rivelazione di quan-to attende l’umanità, nel tempo che vadalla morte e risurrezione di Gesù, alla fi-ne dei tempi. Il testo non elenca i fatti in

ordine cronologico, ma sovrappone le im-magini, così la descrizione della distru-zione di Gerusalemme ad opera dei roma-ni, accaduta nel 70 d.C. si mescola con laprofezia sul giudizio finale e sulla venutadel Figlio dell’Uomo. Facendo riferimentoalla visione narrata nel libro di Daniele(7,13-14) il vangelo annuncia il giudiziofinale del mondo ad opera del Signore Ri-sorto, delegato a ciò dal Padre. Questa af-fermazione verrà ripetuta da Gesù duran-te il processo (14,62) a conferma che lasua morte e risurrezione sono in strettolegame con la fine dei tempi. Continuan-do con un linguaggio fortemente simboli-co incontriamo una serie di affermazionisul quando e sul come dei fatti profetizza-ti, che sembrano in contraddizione tra lo-ro. In realtà queste apparenti incon-gruenze sono solo la prova che si fa con-temporaneamente riferimento a più fatti,diversamente situati nel tempo: la mortedi Gesù, le persecuzioni della chiesa pri-mitiva, la distruzione di Gerusalemme, lafine del mondo.

Un contrasto significativo e di tipo unpo’ diverso è fra la conoscenza che Gesùafferma di avere sul fatto che le cose av-verranno entro una generazione e la suaignoranza, anche come Figlio di Dio, ri-guardo a “quel giorno e quell’ora”. Lespiegazioni possibili di questo testo, che faspesso difficoltà nelle discussioni con i Te-stimoni di Geova, sono varie e già soddi-sfacenti a livello di linguaggio, senza doverelaborare improbabili teorie sulla cono-scenza di Cristo. La prima si basa sul fattoche “il giorno del Signore” o “l’ora” sonoformule tecniche per designare la fine del

XXXIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO B19 novembre 2006Il Figlio dell’uomo riunirà i suoi eletti dai quattro venti.

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mondo nell’AT e in altri testi del NT. Gesùquindi indicherebbe in una generazione iltempo che separa dalla fine di Gerusalem-me, mentre rimanderebbe ad un tempo di-verso la fine del mondo. Resta però il pro-blema del fatto che il Figlio di Dio affermidi non conoscere questa data finale. Nellinguaggio ebraico “conoscere” non indicasoltanto avere una informazione teorica suun dato, ma “possederlo”, tanto da poterlodeterminare e gestire direttamente. L’obbe-dienza filiale di Gesù al Padre farebbe

dunque sì che egli lasci al Padre il con-trollo definitivo e la definitiva decisionesulla fine della storia. Questo atteggiamen-to di obbedienza libera, non toglie nullaalla divinità del Figlio e alla sua realeuguaglianza con il Padre e lo Spirito Santo.D’altra parte la risposta del Padre, secondola rivelazione del libro dell’Apocalisse,sarà di consegnare liberamente in quelgiorno al Figlio il giudizio totale sulla sto-ria, senza perdere da parte Sua nulla dellaSua divinità e sovranità sul creato.

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N. S. GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO (XXXIV TEMPO ORDINARIO B)26 novembre 2006Tu lo dici, io sono re.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Daniele (7,13-14)

Daniele ha una visione apocalittica.Gli viene rivelato il destino del mondoattraverso l’immagine di una lotta tra Dioe alcune mostruose fiere che tentano diimpadronirsi del mondo. Questi animalirappresentano gli stati persecutori: ilquarto rappresenta l’impero dei Seleuci-di. Ma la bestia è condannata. Il popolodi Israele, simboleggiato da un “Figlio diUomo”, trionfa. Il suo impero sarà eternoe si estenderà a tutta la terra. In questafigura misteriosa a cui Dio dà potere sulmondo, la fede della prima comunità cri-stiana ha riconosciuto una immagine diCristo.

SECONDA LETTURADal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (1,5-8)

Nell’indirizzo di apertura del libro del-l’Apocalisse il veggente si rivolge all’intera

chiesa a nome di Dio e di Gesù Cristo lacui gloria risplende, dopo la resurrezione,in tutto il suo fulgore.

Egli sarà il giudice definitivo davanti alquale tutte le nazioni della terra si batte-ranno il petto. Nella potenza di queste im-magini traspare la fede di una chiesa per-seguitata e umiliata dai poteri di questomondo che tuttavia non ha dubbi sultrionfo finale di Cristo.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (18,33-37)

Questa domenica acclama Gesù Redell’universo. Non è però venuto a eser-citare un potere politico ma a trasformarel’umanità con il suo amore. «Venga il tuoregno», dicono milioni di credenti nellapreghiera quotidiana. L’uomo non chiedesoltanto la venuta del Regno di Dio sullaterra ma contribuisce al suo sviluppo.Morire al peccato e vivere per Dio, usciredalla schiavitù del male e vivere nella li-

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degli uomini, “di chi è dalla verità” enon sul terrore. E’ un regno di amore e dilibera accoglienza della verità, non diterrore e di schiavitù. “Chi è dalla veritàascolta la mia voce”. I re della terra ve-nivano ascoltati per timore dell’esercito oper conquistarne i favori economici. Re-gni basati sulla forza militare ed econo-mica che schiacciano l’uomo rendendoloservo. Il regno di Gesù interpella la li-bertà dell’uomo e la sua dignità di liberodifensore della verità. “... ascolta la miavoce”. La verità non è però una dottrina ouna serie di dogmi da apprendere, essa èl’ascolto della voce di Gesù, è la sequeladel suo esempio, è la novità di vita chesorge dall’intimo di Dio e che Gesù ci faconoscere. Non esiste termine oggi tantosbandierato e al tempo stesso bistrattatocome la parola “verità”. Nessun articoloo servizio giornalistico riesce a vincere latentazione di presentarsi come “la rivela-zione della verità”. Le parole si assom-mano alle parole. Gli atti dei processiraggiungono le migliaia di pagine. Il no-stro mondo crede di raggiungere la veritàa forza di parole: parole forti, gridate,violente. Gesù, nel momento della Verità,sulla croce, ha detto solo sette parole.Parole di debolezza, di amore premuroso,di perdono e di affidamento al Padre.Poi il silenzio! A ricordare che la viadella verità passa più attraverso il si-lenzio che attraverso la chiacchiera el’urlo. Chi fa la verità seguendo Gesù eaccogliendo al sua parola “viene alla

luce”, rinasce a vita nuova, entra libe-ramente nella vita nuova del Regno. Laregalità di Cristo si attua aprendo a tuttiquesto cammino.

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 5-2006

bertà dei figli di Dio, vuol dire rafforzareil Regno di Gesù sulla terra. Quando Pi-lato gli domanda se lui è veramente “ilRe dei giudei” e quindi un rivale dell’im-peratore romano, anche se in scala moltoridotta, Gesù risponde interrogando a suavolta il rappresentante di Roma: “diciquesto da te stesso o altri ti hanno dettoquesto sul mio conto?”. Gesù sa bene chesono i suoi nemici a montare questa ac-cusa politica, per poterlo togliere di mez-zo. Pilato lo definisce “re dei Giudei”non senza disprezzo: questo popolo aisuoi occhi di funzionario imperiale appa-riva certo una massa di straccioni. Gesùsarebbe dunque l’ultimo nella scala deire della terra, il re degli straccioni. MaGesù si chiama fuori da questa accozza-glia di potenti che devono la loro autoritàal terrore che incute l’esercito. La sua re-galità invece non ha bisogno di soldati.Essa consiste nel rendere testimonianzaalla verità. Il suo potere si fonda sullaverità e sul suo riconoscimento da parte

Gesù incoronato di spine, minitura Scuola Bolognese, sec. XIV

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Preg

hiam

o

Animazione Liturgica

CANTO

RIT.Benedetto sei tu Signore, benedetto il tuo santo nome.Alleluia, alleluia.

- Tu che hai fatto il cielo e la terra,Dio grande, Dio eccelso.Tu re potente, benedetto sei tu. Rit.

- Tu che sei nostro Salvatore,Tu che doni gioia e vita.Tu Dio santo, benedetto sei tu. Rit.

- Tu che sei grande nell’amore,Tu Signore di misericordia.Tu Dio clemente, benedetto sei tu. Rit.

SALUTO

P. A voi che siete amati da Dio e santi per vocazione siano donate grazia e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.

A. Benedetto nei secoli il Signore.

P. Con la povertà, Signore, desti ai tuoi Santi la ricchezza e col tormento la felicità.Niente potrà privarli del bene che a loro affidasti, la fede, la speranza, la caritàch’è dono di vita immortale. La pazienza nelle contrarietà facesti loro scegliere e lapace con cui tu ci mostri il tuo Volto. Li elevasti con l’umiltà e tanta dignità, con larassegnazione a tanta perfezione. Fa che la memoria dei tuoi Santi ci renda capacidi imitazione, nutrendoci ogni giorno come loro del tuo pane e di orazione.

A. Amen.

LITURGIA DELLA PAROLA MEDITATA

Efesini 5, 1 – 20: La vita nuova nel Cristo.

Liturgia della ParolaSANTI PER VOCAZIONE

Rita Di Pasquale

Culmine e Fonte 5-2006

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Pausa di silenzio

Lumen gentium 39: La santità della Chiesa si manifesta nella santità dei suoi membri.

Preghiera silenziosa

È tempo, anima mia, è già tempo se vuoi conoscere te stessa, il tuo essere ed il tuodestino, donde vieni e dove è giusto che tu riposi, se vita è quella che vivi o se aspettidi meglio. Mettiti all’opera, anima mia, bisogna che tu purifichi la tua vita così: cercaDio ed i suoi misteri, quel che c’era prima di questo universo e che cosa è questo uni-verso per te, donde viene e quale è il suo destino. Mettiti all’opera, anima mia, tem-po è che tu purifichi la tua vita.

P. Noi ti seguiamo, Signore, Gesù, ma tu chiamaci, perché ti possiamo seguire. Nes-suno potrà salire senza di te. Tu sei la via, la verità, la vita, la possibilità, la fede, ilpremio. Accogli i tuoi: tu sei la via. Confermali: tu sei la verità. Ravvivali: tu sei lavita. Ammettici a quel bene che Davide desiderava vedere, abitando nella casa delSignore; quando si chiedeva: chi ci mostrerà il bene?, e diceva: io credo che vedròi beni del Signore nella terra dei viventi: i beni si trovano là dove c’è la vita eterna,la vita senza colpa. Aprici il cuore a quello che è veramente il bene, il bene divino,in cui noi siamo, viviamo e ci moviamo. Noi ci moviamo, se camminiamo sulla via,esistiamo, se rimaniamo nella verità, viviamo se siamo nella vita. Mostraci il beneinalterabile, unico, immutabile, nel quale possiamo essere eterni e conoscere ognibene: in quel bene si trova la pace serena, la luce immortale, la grazia perenne, lasanta eredità delle anime, la tranquillità senza turbamento, non destinata a perirema sottratta alla morte: là dove non vi sono lacrime, e non dimora il pianto – puòesservi pianto dove non c’è peccato? - , dove i tuoi santi sono liberati dagli errorie dalle inquietudini, dal timore e dall’ansia, dalle cupidigie, da tutte le sozzure eda ogni affanno corporale, dove si estende la terra dei viventi.

I Tessalonicesi 4, 1 – 12: Raccomandazioni: santità di vita e carità.

Pausa di silenzio

Lumen gentium 40 a: La santità, vocazione di tutti i membri della Chiesa nella loro qualità di figli di Dio.

Preghiera silenziosa

Ti prego, Signore, non tacere e non allontanarti da me; parla al mio cuore con verità:tu solo lo puoi. Io mi ritirerò nella mia camera per cantarti canti d’amore e piangerò

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lamentandomi indicibilmente mentre vado pellegrinando ricordando Gerusa-lemme, con animo elevato verso di lei, Gerusalemme, mia madre, e verso dite che regni su di lei, che la rendi illustre e le sei padre, tutore, sposo, il suo piacerepudico e intenso, la sua stabile gioia e la somma di ogni suo ineffabile bene, la som-ma perché sei l’unico, vero, supremo bene. E non mi distrarrò da esso, fino a che tunon mi raccolga nella pace di quella madre amabilissima nella quale risiedono le pri-mizie del mio spirito e della quale mi vengono queste certezze; non mi raccolga tuttoquale sono, disperso e deformato, ma mi renda uniforme e stabile per l’eternità, Diomio e misericordia mia.

P. Trascinaci tu. Noi tutti abbiamo desiderio di seguirti: lo ispira la dolcezza dei tuoiprofumi. Ma non possiamo correre come te: trascinaci, così che, sostenuti dal tuoaiuto, possiamo calcare le tue orme. Se tu ci trascinerai, anche noi allora correre-mo e gusteremo gli effluvi spirituali della tua corsa rapida. Ogni peso ingombran-te viene tolto a chi è sostenuto dalla tua mano, e su di lui è riversato l’olio che hacurato le ferite di chi era stato assalito dai briganti. Non ti sembri temeraria l’ani-ma che dice: trascinaci; ascolta colui che dice: Venite a me voi tutti, che siete af-faticati e aggravati, e io vi ristorerò: egli ci trascina volentieri, perché non rimania-mo indietro quando lo seguiamo.

Alleluia,…Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro Celeste.Alleluia…

Matteo 5, 43 – 48

BREVE RIFLESSIONE

PREGHIERA LITANICA

P. Il profumo degli aromi si innalzò davanti a Dio con la preghiera di tutti i santi.

Rit.I santi si rallegrano davanti al Signore, danzano e cantano di gioia.

- Tu sei il Padrone del banchetto nel regno dei cielie ci hai dato la veste nuziale della fede e della grazia:aiutaci a sperare nella vita eterna accanto a te. Rit.

- Da ogni razza, popolo, lingua raduni i tuoi santie circondi noi di una grande nuvola di tuoi testimoni:fa che teniamo fisso lo sguardo su Gesù. Rit.

- Tu accogli la lode di tutti i santi del cielo

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e ascolti le preghiere di tutti i santi della terra:unisci la nostra liturgia a quella del regno. Rit.

- Tu sei glorificato dai poveri e dagli umili e sei testimoniato dai miti e dagli operatori di pace:resta sempre Pastore del tuo piccolo gregge. Rit.

- Tu sei l’Agnello sgozzato diventato Pastoree sei la lampada della Gerusalemme celeste:raduna presto le tue pecore alla luce del tuo volto. Rit.

P. Padre della luce, che hai glorificato tutti i Santi come modelli di cristiana virtù eambasciatori presso la tua misericordia, accogli i voti e le preghiere che oggi, inunione con tutti i santi, fiduciosi ti presentiamo. Concedi a noi, Signore, la salutedel corpo e la consolazione dello spirito, la difesa nei pericoli, la sicurezza nel la-voro, il sollievo nel dolore, la serenità nelle famiglie, pace e concordia nel mondointero. Gloria a Te, mirabile nei tuoi santi.

A. Gloria a Te, mirabile nei tuoi santi.

P. Padre di misericordia, conferma i nostri cuori nella santità.

A. Fino alla venuta di Cristo in mezzo ai suoi santi.

P. Signore, che solo sei santo, santifica le nostre anime e i nostri corpi, le nostrementi e i nostri cuori, gli affetti e i sentimenti: rinnovaci completamente! Radica iltuo timore nelle nostre membra e rendi indelebile in noi la tua santità. Sii il nostroaiuto e il nostro protettore dirigendo le nostre vite nella pace e rendendoci degnidi essere ammessi alla tua destra con i tuoi santi: per le preghiere e l’intercessionedella tua santissima Madre, delle Potenze spirituali e immacolate che ti servono edi tutti i santi a te graditi dall’inizio dei secoli.

A. Amen.

P. Benediciamo il Signore.

A. Rendiamo grazie a Dio.

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ipercorrendo gli inni che ilbreviario latino ci offre, è do-veroso dedicare un’attenzione

speciale a Sant’Ambrogio di Milano(339 ca. – 397 d.C.), che a buon dirit-to può essere considerato il vero padredell’innodia cristiana. Oggi ben pochidei numerosi inni che un tempo gli ve-nivano attribuiti sono considerati ge-nuinamente ambrosiani: la testimo-nianza di Sant’Agostino garantiscel’autenticità di Aeterne rerumconditor, Deus creator omnium, Iamsurgit hora tertia e Veni redemptorgentium. Affinità di lingua e di critericompositivi consentono di riportare adAmbrogio con un discreto margine disicurezza solo pochi altri inni. Nondi-meno, è innegabile che la paternitàdel genere letterario dell’inno cristia-no, nella forma e nei modi che hannopoi assunto nella storia del cristianesi-mo latino, sia da ascrivere in misuradecisiva alla sua persona.1 La nascitadell’innodia cristiana può esser fatta ri-salire infatti alla fine del IV secolo, eper la precisione alla quaresima del386. Ambrogio era pastore della dio-cesi di Milano da ormai dodici anni,dopo esser stato eletto vescovo per ac-clamazione popolare quando era an-cora un semplice catecumeno (7 di-cembre del 374). Il suo impegno con-tro l’arianesimo, tenacemente presen-te a Milano grazie anche all’opera del-l’imperatrice Giustina, madre dell’im-

peratore Valentiniano II, aveva portatobuoni frutti ma il confronto tra le duefazioni era serratissimo. Nella quaresi-ma del 386 Giustina aveva tentato disottrarre ai cattolici la basilica Porcianaper destinarla al culto ariano. Ambro-gio aveva allora esortato i fedeli ad oc-cupare fisicamente, giorno e notte, labasilica, per impedire l’ingresso dei sol-dati dell’imperatrice. Affinché i fedelicristiani non si addormentassero nellelunghe veglie notturne in chiesa, Am-brogio stesso invitò i credenti a canta-re alcuni inni di sua composizione: cosìnacque l’innodia latina.2

Il clamoroso successo arrise ai testipoetici di Ambrogio per il loro stile im-mediato e popolare: il metro prescelto,l’ottonario giambico (composto da unasequenza di sillabe brevi e lunghe alter-nate) è certamente tra i più elementarie favorisce l’apprendimento mnemoni-co. Si trattava dunque di testi facili, di-vulgativi, perfettamente adatti a com-battere la diffusione della parallela pro-duzione poetica di matrice ariana. D’al-tro canto, la riproduzione della stessamelodia per ciascuna strofa – elementocaratteristico dell’inno strofico – costi-tuisce un’innovazione di straordinariaportata rispetto alla cantillazione, «inquanto segna la prevalenza della musi-ca, composta e predisposta in anticipo,sulla parola».3 Evidentemente un taleprocedimento non era pensabile per itesti della Sacra Scrittura, ma invitava

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L’innodia domenicaledon Filippo Morlacchi

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alla composizione di nuoveopere letterarie, di cui Ambro-

gio fu illustre iniziatore. Due tra i più famosi inni ambrosiani

sono adesso inseriti nella liturgia do-menicale: Aeterne rerum conditor eDeus creator omnium, previsti rispetti-vamente per le lodi e i vespri della I eIII settimana. Li presentiamo rapida-mente, ora che abbiamo raccontatoqualcosa sulla loro origine, e senzaomettere un invito all’ascolto delle bel-

lissime melodie – solenne e fiorita, inIV tono, quella del Deus creator; es-senziale e lineare quella dell’Aeternererum conditor – che accentuano il fa-scino dei testi. La nostra traduzione,come sempre, segue il testo in modopiuttosto letterale, anche se cerca diessere in qualche modo musicalmenteaccettabile: manca infatti nel breviarioitaliano una versione di questi inni chepossa farli conoscere e apprezzare allargo pubblico.

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Deus creator omniumpolique rector, vestiensdiem decoro lumine,noctem soporis gratia,

artus solutos ut quiesreddat laboris usuimentesque fessas allevetluctusque solvat anxios.

Grates peracto iam dieet noctis exortu, preces,voti reos ut adiuves,hymnum canentes solvimus.

Te cordis ima concinant,te vox canora concrepet,te diligat castus amor,te mens adoret sobria,

ut cum profunda clauseritdiem caligo noctium,fides tenebras nesciatet nox fide reluceat.

O Dio creatore del tuttoche reggi il cielo, e vestidi splendida luce il giorno,la notte della grazia del sonno

perché la quiete le membra spossaterestituisca al consueto lavoro,e le menti stanche riposi,e plachi gli ansiosi tormenti.

Trascorso ormai il giorno e iniziando la notte, grate preghiereinnalziamo, cantando un inno,affinché Tu aiuti coloro che han fatto voti.

Te cantino le profondità del cuore,Te acclami la voce sonora,Te ami un casto amore,Te sobria adori la mente,

affinché quando la profonda oscuritàdella notte avrà concluso la giornata,la fede non conosca le tenebree la notte di fede risplenda.

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Christum rogamus et Patrem,Christi Patrisque Spiritum,unum potens per omnia,fove precantes Trinitas. Amen.

Aeterne rerum conditornoctem diemque qui regiset temporum das temporaut alleves fastidium.

Praeco diei iam sonat,noctis profundae pervigil,nocturna lux viantibus,a nocte noctem segregans.

Hoc excitatus Lucifersolvit polum caligine,hoc omnis erronum cohorsviam nocendi deserit.

Hoc nauta vires colligit,pontique mitescunt freta,hoc, ipsa petra Ecclesiaecanente, culpam diluit.

Jesu, labantes respice,et nos videndo corrige:si respicis, lapsus caduntfletuque culpa solvitur.

Tu lux refulge sensibus,mentisque somnum discute,te nostra vox primum sonet,et ora solvamus tibi.

Sit, Christe, rex piissime,tibi Patrique gloriacum Spiritu Paraclito,in sempiterna saecula. Amen.

Preghiamo Cristo e il Padre,lo Spirito di Cristo e del Padre,unico e potente su tutto,e Tu sostieni gli oranti, o Trinità! Amen.

Artefice eterno delle coseche reggi la notte e il giorno e disponi i tempi dei tempiper mitigarne il tedio.

Già canta l’araldo del giorno,sentinella di notte profonda,luce notturna ai viandanti,che separa la notte dalla notte.

Così Lucifero risvegliatodissolve il cielo dalla caligine,così tutta la schiera dei vagabondiabbandona la via del male.

Così il navigante ritrova le forze,e si addolciscono i flutti del mare,così la roccia stessa della Chiesaal suo canto lavò la colpa.

O Gesù, rivolgiti ai vacillanti,e col tuo sguardo correggici:se ci guardi, i peccati cadono,e nel pianto si scioglie la colpa.

Tu come luce risplendi ai sensi,e scuoti il sonno della mente,di Te per primo la nostra voce risuoni,e a Te apriamo le nostre labbra.

O Cristo, re piissimo, a Te e al Padre sia gloriacon lo Spirito Paraclito,nei secoli dei secoli. Amen.

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Il primo verso dell’inno ve-spertino Deus creator omnium

è sicuramente il testo citato da Sant’A-gostino più volte nei suoi scritti (a par-te i testi della Sacra Scrittura). La forzaplastica dell’espressione, dovuta all’in-dirizzarsi direttamente a Dio nella suaqualità di Creator, attributo che espri-me insieme la massima trascendenza ela relazione più radicale e intima conogni creatura, è accentuata dall’ambi-guità del genitivo «omnium», che puòessere inteso sia in senso neutro(«creatore di ogni cosa») che persona-le («creatore di ogni persona, di cia-scuno di noi mortali»). Al termine dellagiornata, ed entrando nella solennitàdomenicale (l’inno è previsto ancheper i primi vespri), il poeta allarga losguardo per fermarsi a contemplare lamaestà di Dio che si manifesta nelloscorrere del tempo. Ambedue gli innisono fortemente segnati dal «senti-mento del tempo» (G. Ungaretti) chepassa, e il pensiero non può fare a me-no di innalzarsi all’Eterno che lo abitaeppure lo trascende. Egli è «colui chegoverna il cielo» (rector poli), presiedeall’alternarsi delle stagioni e alla rego-larità dei moti astrali, allo snodarsi del-le luminose giornate lavorative e delletenebre della notte, favorevoli alla«grazia del sonno». Il ciclo del temponon si ferma mai (seconda strofa): do-po il riposo notturno, le membra risto-rate dalla quiete notturna possono ri-prendere il consueto impegno del la-voro, la mente recupera freschezza, leinquietudini si stemperano nell’abban-

dono fiducioso dell’assopimento percimentarsi poi di nuovo nella faticaquotidiana.

La terza strofa colloca la preghieradella sera nel suo contesto temporale,e invita a riflettere sul giorno trascor-so, ma soprattutto ad assolvere l’«offi-cium laudis», il dovere cioè («…è cosabuona e giusta, nostro dovere e fontedi salvezza…») di lodare il Creatore. Icantori si dichiarano «rei voti», cioè –letteralmente – «responsabili (rei) delvoto» fatto a Dio: se la lode divina èdoverosa, tale impegno non può esse-re trascurato senza colpa. Non bastaperò che la lode venga adempiuta co-me un semplice obbligo “di ufficio”:né il timore dinanzi alla potenza divinané lo stupore per la sua maestà sonomoventi adeguati del canto della lode.Essa deve scaturire dal profondo delcuore, deve essere accompagnata dal-l’amore casto, deve infine condurre al-l’adorazione della mente, secondoquanto esprime la strofa seguente.

Verso la fine dell’inno torna il pen-siero della tenebra contrapposta allaluce nel suo valore simbolico. Dopo ilcorrusco tramonto, verrà anche l’oscu-rità notturna; ma la fede, ossia il lega-me con il Creatore del tutto (Creatoromnium), non deve tramontare. Lanotte deve brillare di luce, una luce in-teriore che riflette la «luce vera che il-lumina il mondo» (cfr Gv 1,9). La dos-sologia trinitaria che chiude l’inno èquella consueta.

Il secondo inno che presentiamopresenta dei temi strettamente affini al

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primo. Dio viene invocato come «arte-fice eterno delle cose»: il termine con-ditor è meno tecnico di creator, ma lasostanza rimane la stessa: colui che ha«fondato» ogni cosa è l’artefice eter-no, dunque trascendente, e dalla suaeternità contempla lo scorrere dellastoria e delle vicende del creato. Egligoverna il giorno e la notte (come pri-ma si diceva che era rector poli, «coluiche governa il cielo»). È Lui che dà iltempo ad ogni cosa, che «ha fattobella ogni cosa a suo tempo» (Qo3,11), e in questo alternarsi armoniosoalleggerisce il peso dell’esistenza (fasti-dium) di chi, diversamente da Lui, vivesoggetto alla temporalità.

Protagonista della strofa seconda èl’«araldo del giorno» (praeco diei),espressione volutamente polisemica,che si riferisce sia alla “stella del matti-no”, Lucifero, sia al gallo, animale cheevoca chiare assonanze evangeliche. Ilmomento celebrato dall’inno è quellodell’alba, il sorgere del nuovo giorno, ilprimo apparire della speranza di nuovaluce e vita. L’araldo del giorno «canta»(è quindi il gallo) e annuncia il terminedella notte, come sentinella che atten-de impaziente il termine del suo turnodi veglia ed è attenta al primo chiaroredell’aurora. Ma l’araldo del giorno èanche «luce notturna», e qui l’espres-sione sembra piuttosto indicare la stelladel mattino citata nella strofa seguen-te: Lucifero, cioè – etimologicamente -«colui che porta (dal verbo ferre) la lu-ce». La luce dell’alba è anche rivestitadi valenza simbolica: l’oscurità è il tem-

po propizio per compiere il ma-le, e il sopraggiungere dellanuova luce costringe ogni uomo ad ab-bandonare le opere delle tenebre.«Chiunque infatti fa il male, odia la lu-ce e non viene alla luce perché non sia-no svelate le sue opere» (Gv 3,20); in-vece, al sorgere della luce il potere del-le tenebre dimostra la sua intrinsecadebolezza. Era costume diffuso tra imonaci delle prime generazioni prati-care una preghiera silenziosa mastraordinariamente eloquente: l’orantesi alzava molto presto, a volte addirittu-ra vegliava per tutta la notte, e rimane-va fermo, spesso in piedi, immobile, ri-volto ad oriente e con la mani alzate.Tutto il corpo esprimeva allora l’attesae il desiderio di Dio e della sua Luce: lapreghiera raggiungeva il suo culmine esi concludeva – sempre in silenzio –quando i primi raggi di sole, valicandola linea dell’orizzonte, arrivavano alambire le palme delle mani, segno delcalore e della luce divina che consola ilcuore del credente dopo ogni notte,per quanto oscura e minacciosa.

La chiara luce della stella del matti-no che brilla nell’oscurità del cielo ri-chiama al poeta la situazione dei mal-vagi, costretti ad abbandonare le ope-re delle tenebre quando il chiarore del-l’alba manifesta le loro malefatte. Ilmale si compie sempre di nascosto,con il favore delle tenebre, e il lucoredell’alba disperde infallibilmente i mal-fattori, costringendoli ad una ritiratastrategica. Altre immagini vengonopresentate nella strofa seguente: come

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i naviganti sorpresi da unatempesta sentono venir meno

le forze, ma ritrovano improvvisamen-te nuove energie non appena la sal-vezza del porto sospirato appare rag-giungibile, sì che la violenza del maresembra loro meno minacciosa, così icristiani, alle luci dell’alba ritrovano laforza per seguire il Signore risorto conpiù generosità. E infine l’inno ricordaesplicitamente quel gallo che, secondola profezia, cantò dopo il triplice rinne-gamento della “roccia della Chiesa”(«ipsa petra Ecclesiae»), cioè san Pie-tro, suscitando il violento pianto purifi-catore che ottenne il perdono divino al

primo degli apostoli (cfr Lc 22,62). E iltesto prosegue, invitando l’orante aparagonarsi a Pietro: Gesù viene invita-to a sostenere i vacillanti (labantes),come ha già fatto con il focoso pesca-tore di Galilea («…tu, una volta ravve-duto, conferma i tuoi fratelli…»: Lc22,32); la preghiera gli chiede di cor-reggere il peccato dei credenti noncon parole severe ma con l’amorosorimprovero del suo sguardo (cfr Lc22,61: «il Signore, voltatosi, guardòPietro, e Pietro si ricordò delle paroleche il Signore gli aveva detto»). La lo-cuzione latina «nos videndo corrige»,«correggici guardando(ci)» è un capo-

lavoro di concisione e di espres-sività, all’altezza dei versi succes-sivi, altrettanto mirabili. In essi ilgioco di parole si fa infatti raffi-natissimo: come accadde già aSan Pietro, anche oggi se il Si-gnore guarda l’uomo, il suo pec-cato cade e le lacrime dissolvonole colpe. La traduzione non puòrestituire la ricchezza dell’origi-nale, dal momento che la parolalapsus significa di per sé «cadu-ta, sdrucciolamento verso il bas-so», e tali “cadute” paradossal-mente «cadunt» a loro volta:«cadono le cadute» sarebbe unatraduzione letterale, ma impro-ponibile, di questa efficacissimaespressione. Altrettanto sugge-stiva la metafora seguente: le la-crime «sciolgono» o «dissolvo-no» le colpe umane, come i cri-stalli di sale si disciolgono nel-

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Cristo Pantocrator, mosaico, Monreale, sec. XII

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l’acqua; il verbo solvere, usato tecnica-mente per indicare l’assoluzione, vieneusato qui nel suo significato etimologi-co, con un risultato altamente convin-cente.

La penultima strofa continua ad in-vocare Cristo: egli è luce ai sensi, donodello Spirito («accende lumensensibus» canta il Veni creator Spiri-tus); ma è anche la luce che scuote ilcredente dal sonno della morte (cfr Ef5,14: «…dèstati dai morti e Cristo ti il-luminerà!»). La voce del credente è in-

vitata a rivolgersi al Signoreper primo: Colui che sveglia lamente dal torpore del peccato meritala prima parola del mattino, meritacioè di esser cantato e lodato per pri-mo. E a Lui devono aprirsi le bocche(ora, plurale di os) dei credenti. La dos-sologia – aggiunta in un secondo mo-mento – conclude senza sorprese que-sto testo poetico, che, con il suostraordinario incanto, facilita certa-mente la lode dell’Artefice di ogni bel-lezza nel mattino dell’Ottavo giorno.

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o non molto più [dalla notte del suo battesi-

mo, di cui Agostino sta parlando, ndr] da

quando Giustina, madre del giovane impera-

tore Valentiniano, aveva cominciato a perse-

guitare il tuo campione [cioè Ambrogio, ndr],

istigata dall’eresia in cui l’avevano sedotta gli

ariani. La folla dei fedeli vegliava ogni notte

in chiesa, pronta a morire con il suo vescovo

[…]. Fu allora che s’incominciò a cantare inni

e salmi secondo l’uso delle regioni orientali,

per evitare che il popolo deperisse nella noia

e nella mestizia, innovazione che fu conser-

vata da allora a tutt’oggi e imitata da molti,

anzi ormai da quasi tutti i greggi dei tuoi fe-

deli nelle altre parti dell’orbe» (trad. di C.

Carena, Einaudi, Torino 2002, leggermente

ritoccata). Per apprezzare la rapidità con cui

gli inni ambrosiani si diffusero, si tenga pre-

sente che le Confessioni furono scritte fra il

397 e il 400 d.C., dunque in meno di 15 an-

ni gli inni di Ambrogio si erano diffusi in tut-

ta la Chiesa occidentale.

3 M. PORZIO, Introduzione a: Innario cistercense,

trad. di M. Santagostini, Mondadori, Milano

1994, p. 6.

——————1 Prima di Ambrogio, già sant’Ilario di Poitiers

aveva composto alcuni inni, con una motiva-

zione “pastorale” di natura antiariana: infatti

l’eresiarca Ario aveva diffuso composizioni

poetiche per assicurare maggior diffusione alle

sue dottrine, e Ilario volle contrapporre a quei

testi poetici i suoi versi. Girolamo ci informa di

un Liber hymnorum di Ilario, considerato del

tutto perduto, finché nell’Ottocento fu scoper-

to un manoscritto che ne ha restituiti tre. Si

tratta però di inni dallo stile piuttosto artificio-

so e involuto; non stupisce dunque il fatto che

non raccolsero un grande favore popolare e

che la loro diffusione sia rimasta assai circo-

scritta. Ben diversamente andarono le cose

con gli inni di Ambrogio.

2 Sant’Agostino, che sarà battezzato da Am-

brogio l’anno seguente (24-25 aprile 387,

veglia di Pasqua), riferisce l’episodio con ac-

corata partecipazione nelle sue Confessiones

(IX,7,15): «Non da molto tempo la Chiesa

milanese aveva introdotto questa pratica

consolante e incoraggiante, di cantare affra-

tellati, all’unisono delle voci e dei cuori, con

grande fervore. Era passato un anno esatto,

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bbiamo tracciato sinora unaserie di segmenti teorici emetodologici – l’ascolto, la

bellezza, la memoria, la conoscenza, igeneri, lo stile, il sacro e il profano, lamusica assoluta e la musica teatrale –e all’interno d’ognuno abbiamo indi-cato alcune possibili chiavi ermeneuti-che. I riferimenti più volte compiuti acompositori e opere d’ogni categoria,dal gregoriano al Wozzeck di Berg, cisembrano rendere ora indispensabileun’apertura completa del sipario sullagrande scena della storia della musica,che non pensiamo certo di narrarvi néin dettaglio, né nel suo complesso.Proporremo più avanti alcune ottimepubblicazioni specifiche che speriamonon solo sufficienti, ma tali da esserestimolo per approfondimenti personali.Ciò che qui vogliamo mostrare attra-verso quel sipario aperto, sono le date,le linee, gli eventi principali di una sto-ria della musica esibita con luce preva-lente sul suo versante sacro-religioso ea partire dalla nostra era cristiana. Saràquesta una semplice cronologia dellamusica sacra e religiosa, che non ci ri-sulta proposta altrove con tale fisiono-mia e che riteniamo costituisca l’ipote-si di lavoro necessaria per procedere inquel “cammino d’ascolto”, destinato aproseguire con la ricerca nel “cronos”

dei “kairoi”, delle tappe e dei momen-ti di tal storia più significativi per la no-stra fede e la nostra cultura.

PARTE PRIMA: DALLA NASCITA DELCRISTIANESIMO AL MEDIOEVO

I e II secoloDiffusione del Cristianesimo nel ba-

cino del Mediterraneo: già alla mortedi Tiberio, per Eusebio di Cesarea,“tutta la terra risuona della voce deglievangelisti e degli apostoli” (St. Eccl. II,3,1).

Antiochia, Gerusalemme, Damascosono le città da cui si espande il Cri-stianesimo verso Alessandria e poi Ro-ma. Il canto è già parte della liturgia edella preghiera ed è consueto l’accom-pagnamento con la cetra e la lira.

Matteo 26, 30 “E dopo aver canta-to l’inno, uscirono verso il monte degliUlivi”.

Atti 16, 25: “Verso mezzanottePaolo e Sila, in preghiera, cantavanoinni a Dio, mentre i carcerati stavanoad ascoltarli”.

Colossesi 3, 16: “Ammaestratevi edammonitevi con ogni sapienza, can-tando a Dio di cuore e con gratitudinesalmi, inni e cantici spirituali”.

Efesini 5, 19: “…intrattenendovi avicenda con salmi, inni, cantici spiri-

SIPARIO APERTOUna guida cronologica

della musica sacra e religiosadon Maurizio Modugno

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tuali, cantando e inneggiando al Si-gnore con tutto il vostro cuore”.

Plinio: “I cristiani sono un popoloche canta”.

Ignazio di Antiochia: “Dovete for-mare un solo coro, prendendo tutti lanota da Dio, concertando nella piùstretta armonia, per inneggiare ad unavoce al Padre per mezzo di Gesù Cri-sto” (Lettera ai Romani).

III secoloTertulliano (155-220 ca.) condanna

il teatro e gli spettacoli pagani, con-trapponendoli al canto dei Cristiani.

Nascono fra questo e il successivosecolo alcuni dei più famosi inni cri-stiani: Phos hylaron, Te decet laus,Laus magna angelorum, Te Deum.

Eusebio di Cesarea e Origene testi-moniano l’uso di canti nella liturgia cri-stiana, sia in greco che in latino. Euse-bio propone una simbologia misticaper gli strumenti; Origene consiglia ilsalterio perché si suona “verso l’alto”.

Bar-Daisan (Bardesane) è segretarioe musicista del re Abgar.

VIII: compone numerosi inni.

IV secolo313 - Costantino, con l’Editto di

Milano, decreta la libertà di culto erende possibile l’inizio della liturgiapubblica e libera della Chiesa, con am-pio spazio alla musica e al canto. Ro-ma assurge al rango di Sede Apostoli-ca e di centro della Cristianità.

321 - La domenica, il giorno del Si-gnore, diventa istituzione di stato: si

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definisce ormai compiutamentela struttura dell’anno liturgico.

350 ca. - Risale alla metà del secolol’inno gnostico alla Trinità, conservatocon gran parte della notazione musi-cale nel celebre papiro 1786 di Ossirin-co (Egitto).

354 - Nasce a Tagaste sant’Agosti-no: le Confessioni testimoniano unaspeciale sensibilità musicale (è affasci-nato dall’Ufficio udito a Milano ma te-me gli effetti sensuali del canto); le sueEnarrationes in Psalmos sono un pre-zioso documento sulla pratica dello“jubilus”; scrive De musica, un trattatosulla musica come scienza.

360 ca. - forse ad opera di Ilario diPoitiers, l’innodia latina si diffonde intutto l’Occidente.

363 - Il Concilio di Laodicea discipli-na il ruolo dei cantori nella liturgia.

373 - Sant’Ambrogio (340-397) èeletto vescovo di Milano: il suo ruolonello sviluppo del canto liturgico è ri-tenuto fondamentale; gli sono attri-buiti numerosi inni e la pratica an-tifonaria.

Sia sant’Ambrogio, sia san Giovan-ni Crisostomo riprovano la danza co-me espressione pagana; polemica fra iPadri sulla questione del canto delledonne in Chiesa.

390 - Introduzione del canto del-l’Alleluia nella liturgia latina.

V secoloNiceta di Remesia scrive De utilitate

hymnorum; a lui è attribuita la reda-zione finale del Te Deum.

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406 - Muore Prudenzio, au-tore di numerosi inni latini.

400-432 - Cassiano testimonia ilcanto dei salmi presso i monaci egizia-ni e Basilio l’uso dei due cori alternati.

450 ca. - Sedulio diffonde l’inno-dia: è l’autore del Carmen paschale edi A solis ortus cardine.

461 - È la data “post quam” dellafondazione della Schola Cantorum ro-mana, la cui istituzione è attribuita adiversi Papi, fino circa al 590, anno incui certamente è già attiva e celebre. IlLiber pontificalis ne pone la nascita altempo di papa Silvestro I (364-375).

480 - Nasce S. Benedetto da Norcia:fondatore del monachesimo occidenta-le, scrive la Regola, i cui capitoli dall’ot-tavo al diciannovesimo consegnano im-portanti informazioni sullo svolgimentomusicale della liturgia e dell’Officium.

480 - Nascita di Severino Boezio:scriverà quattro trattati sulle scienze nu-meriche e uno di essi è il De institutionemusica, opera fondamentale che saràalla base della speculazione medievale edella teoria delle arti liberali; anche nelDe consolatione philosophiae la musicaha un ruolo essenziale.

494 - Sacramentarium Gelasianum,documento insostituibile nella storiadella liturgia.

VI secolo528 - Il Codice di Giustinano pre-

scrive al clero il canto quotidiano deiNotturni.

540 - Cassiodoro si ritira dalla vitapolitica nel monastero del Vivarium in

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Calabria e qui scriverà l’Expositio inPsalterium, opera nella quale divide lamusica in “armonica, ritmica, metri-ca”, influenzando alla pari di Boezio leteorie medievali.

562 - Muore Romano il Melode, in-nografo illustre.

590 - Elezione al papato di Grego-rio, detto poi Magno: autore di inniquali Primo dierum omnium, Noctesurgentes, Ecce iam in noctis, promuo-ve la compilazione del SacramentarioGregoriano e, se non l’intero corpusvocale che da lui prende il nome, certouna riforma dell’uso del canto nell’ Uf-ficio e nella Messa.

VII secolo600 ca. - Muore Venanzio Fortunato:

originario del Trevigiano, si stabilisce inFrancia, divenendo vescovo di Poitiersnel 595. Si devono a lui poemi e inniquali Vexilla Regis, O gloriosa Domina,De signaculo sanctae crucis, Crux fidelis.

642-752 - A numerosi Papi di originegreca e siriaca (Teodoro I, Giovanni V, Ser-gio I, Giovanni VI e VII, Sisinnio, Costanti-no, Gregorio III, Zaccaria) va fatta risalirel’introduzione in Italia dell’ Octoechos, ilsistema degli otto modi ecclesiastici.

680-691 - Antifonario di Bangor.

VIII SecoloViene redatto a Verona l’Oratoriale,

codice liturgico che contiene i primineumi gregoriani.

Si diffonde in Italia l’uso della ribe-ca, strumento ad arco praticato preva-lentemente dai menestrelli.

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754-756 - Crodegango introduce aMetz il canto romano.

757 - L’imperatore di Bisanzio donaun organo al re dei Franchi.

760 - Remedio di Rouen giunge aRoma per studiare la liturgia romana eottiene da Papa Paolo I il permesso dicondurre a Rouen Simeone, “secun-dus” della Schola Romana.

767-770 - Pipino il Breve fa trascri-vere a Flavigny il Sacramentario Gela-siano.

774 - Durante la Pasqua Carlo Ma-gno è a Roma. Con la nomina di Alcui-no (735-804) alla direzione della Scho-la Palatina, inizia una vasta operazionedi unificazione liturgica che avrà perscenario tanto le cattedrali europee,quanto i grandi centri monastici: S.Gallo, Einsiedeln, Fulda, Reichenau, St.Martial, Montpellier, Montecassino e siestenderà per diversi secoli.

Salterio di Dagolfo; Tonario di St.Riquier.

785-791 - Il Papa Adriano I invia aCarlo Magno una copia del Sacramen-tario in uso presso la Cappella papale.

798 - Il canto romano è introdottoa Lione dal vescovo Leidrado.

IX secoloProbabile inizio della raccolta di

canti islandesi riuniti sotto il titolo diEdda.

815 - Benedetto di Aniane fa adot-tare a tutti i vescovi del Sacro RomanoImpero il Sacramentario gregoriano.

816 - Il Concilio di Aquisgrana po-ne regole precise per la vita e la pro-

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fessione dei cantori ecclesia-stici.

827 - Amalario di Metz scrive Deordine antiphonarii. Si diffonde l’usodella “Sequenza”, genere musicale eletterario nato come sviluppo dell’Alle-luja ed articolato come un canto re-sponsoriale diviso tra uno o più solistie la schola, all’inizio prevalentementemelismatico, poi basato su un testo;dal IX secolo sarà caratteristico l’usodella rima. Nei secoli successivi la Se-quenza avrà sviluppi estremamente va-ri, sia dal punto di vista poetico chemusicale.

840 - Nasce Notker Balbulus: mo-naco nell’Abbazia di S. Gallo, è il pri-mo grande autore di Sequenze; in unodei suoi testi, spiega il significato dellelettere usate insieme ai neumi nei ma-noscritti gregoriani; scrive un Liberhymnorum e suo è il celebre Media vi-ta in morte sumus. Muore nel 912.

850 ca. - Aureliano di Réômé scriveun Trattato sulla musica; appaiono aJumièges i primi esempi di “Tropo”,poi affermatisi con Tutilone, monacodi S. Gallo.

856 - Morte di Rabano Mauro: au-tore dell’inno Veni, Creator Spiritus,nel De clericorum institutione descrivemirabilmente i requisiti del cantore ec-clesiastico.

860 ca. - Giovanni Diacono compilal’ Antiphonarium cento, prima granderaccolta organica del canto gregoria-no.

863-871 - Otfried von Weissenburgscrive il poema Armonia dei Vangeli, in

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parte destinato alla rappresen-tazione musicale.

880 - De harmonica institutione, untrattato forse di Hucbard di Saint-Ar-mand (840-930), sul canto a più voci,considerato la prima riflessione sullamusica polifonica; tuttavia ne avevagià parlato Scoto Eriugena in De divi-sione naturae e in Musica Enchiriadis.Nelle prime esperienze polifoniche, gli“organa”, alla “vox principalis” vieneaccostata una melodia più grave, ingenere ad un intervallo di quarta.

X secolo910 - Fondazione dell’Abbazia di

Cluny ad opera di Guglielmo d’Aquita-nia.

Il canto ivi praticato si distingueràper virtuosismo e sontuosità.

Nel corso del secolo si diffonde inItalia l’uso della viella e dell’organo, ri-spettivamente in ambito profano e inambito sacro.

916 - All’incoronazione di Berenga-rio I a re d’Italia il senato canta in lati-no e il popolo in volgare.

930 - Risale a questi anni il Quemquaeritis, prima sacra rappresentazio-ne redatta a Saint-Benoît-sur-Loire sot-to l’influenza di Oddone di Cluny.

950 - Abul’ Faradji scrive il Librosulla musica. Entra in uso il PontificaleRomano-Germanico (monastero di Skt.Alban di Magonza).

Exsultet di Benevento (Vat.Lat.9820).

950-962 - Hroswita di Gander-sheim (935-975 ca.), badessa, scrive

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opere teatrali per le monache del suomonastero.

Sono attivi alcuni dei più celebri in-nografi: Oddone di Cluny, Fulberto diChartres, Ekkehart di S. Gallo, Adema-ro di Chabannes, Bernone di Reiche-nau.

XI secolo1005-1024 - Il vescovo di Autun fa

copiare il cosiddetto Tropario di Autun.1008 - Bernone di Reichenau com-

pone un Trattato sul monocordo.1023 - Guido d’Arezzo scrive il Pro-

logus in antiphonarium nel qualeespone un nuovo sistema di notazio-ne; nel 1025 scrive l’Epistula ad Mi-chaelem de ignoto cantu, ove proponeuna scala di sette suoni, cui attribuiscenomi derivati dalle sillabe iniziali delleprime parole dell’inno di S. GiovanniUt queant laxis. Nel 1030 termina ilMicrologus, uno dei più importantitrattati medievali di teoria musicale.

1046 ca. - Muore Wipo, cappellanodella corte imperiale di Germania, au-tore della sequenza Victimae paschalilaudes.

1050 - Tropario di Winchester,grande documento della musica po-lifonica.

Nei monasteri del Beneventano sisviluppa un nuovo tipo di notazionedetta beneventana.

1054 - Muore Hermann di Reiche-nau, autore di trattati e sequenze.

1058 - Nasce Hamid Muhammadal-Ghazali: strenuo ricercatore di puntid’incontro fra la musica e l’ortodossia

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coranica, che condannava il canto e ladanza come perturbatori dell’equilibrioumano: cercherà di collegare l’estasiprovocata dalla musica e l’Islam nelladimensione del misticismo.

1060 - Carmina cantabrigensia, col-lezione di canti e poemi di origine ger-manica.

1071 - Guglielmo di Hirsau scrive il“Dialogo sulla musica”. Graduale di S.Cecilia in Trastevere.

1078 - Muore Michele Psello, auto-re di un Trattato sulla musica.

1079 - Nasce Pietro Abelardo. Pen-satore fra i massimi del suo tempo, do-cente di immenso successo a Parigi,lungamente in aspra polemica con S.Bernardo, autore di una Teologia con-dannata dal Concilio di Soissons e poida quello di Sens, protagonista di unadrammatica storia d’amore con Eloisa,si ritirerà gli ultimi anni a Cluny, ospitedi Pietro il Venerabile. E’ autore primadi “melodie e ritmi amorosi, canzonila cui bellezza poetica e musicale co-nobbe un pubblico successo e reseuniversalmente celebre il tuo nome[…] grazie alla dolcezza delle tue me-lodie” (da una lettera di Eloisa). Nulladi tale sua produzione è documentato,ma si crede che una parte possa essereconfluita nei Carmina burana. Neglianni dal 1130 alla morte nel 1142 scri-verà almeno 133 inni in latino per ilmonastero del Paracleto: ne restanooggi soprattutto i Planctus, opere dipregio altissimo e di un virtuosismocompositivo eguagliato solo da Guil-laume de Machaut due secoli dopo.

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1089 - Nasce Hildegardevon Bingen. Mistica, veggente,monaca e poi badessa, personalità fra lepiù importanti del suo tempo, in costan-te corrispondenza con papi, re e impe-ratori, scrive trattati scientifici, compila-zioni enciclopediche, lavori teologici eapocalittici (in cui riferisce anche le suevisioni). La musica è parte essenziale del-la sua produzione: anzi essa è vista co-me elemento fondante dell’armonia lu-minosa del mondo e partecipante del-l’essenza divina. Scrive il testo e la musi-ca di diciassette brani liturgici dal titoloSymphonia armoniae celestium revela-tionum, un dramma liturgico, l’ Ordovirtutum, e numerose melodie sacre,raccolte in diversi codici. La sua produ-zione è stata riscoperta e studiata intempi recenti. Nel 1969 è stato pubbli-cato il corpus completo delle opere, chepermette di apprezzarne la tecnica com-plessa, lo slancio, la densità simbolica edrammatica, l’originalità senza tempo.

Fine secolo - Prendono piede i gran-di drammi liturgici: l’Ordo stellae o Lu-dus Herodis, l’Ordo Rachelis, loSponsus. Il Quem quaeritis evolve informe più drammatizzate e si estendead altre feste non pasquali (S. GiovanniBattista, Ascensione, Natale). Si affermal’Organum fiorito, forma polifonicasempre più ricca e virtuosistica. La musi-ca sacra diviene sempre più musica ese-guibile solo da professionisti, escluden-do l’assemblea, per la quale essa ha uncompito d’elevazione trascendentale.

(continua)

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“Il tuo aspetto è simile al fuoco,ammirabile è la tua bellezza,o primo tra gli angeli, Michele;con la tua natura incorporea raggiungii confini dell’universoper compiere gli ordini del Creatoree così riveli la tua potenza e il tuovigore” (Vesperi del miracolo diMichele a Chone).

In greco angelo significa messaggero ecome tutte le potenze celesti è dotatodi una grande forza e ha compiti benprecisi da svolgere. Alcuni sono prepo-

sti a lodare Dio, altri stanno incessan-temente “giorno e notte al servizio delpensiero Divino; il loro intercedere èpiù veloce del fulmine, come il pensie-ro umano” (Omelie di san GiovanniCrisostomo per la XXIX settimana, sul-le potenze celesti), altri vegliano e pro-teggono le anime degli uomini; la lorobellezza è indicibile. A loro volta essi “non vedono Dio cosìcom’è perché non lo si può conoscere,…ne vedono soltanto la gloria…”. Èper questo motivo che gli arcangelitengono in mano uno specchio a for-ma di disco trasparente (in cui si riflet-terebbe la gloria di Dio) con il mono-gramma di Cristo o con un suo attri-buto, per ricevere ordini dal Signore; isoffici nastri svolazzanti fra i capellipermettono loro di udire meglio la vo-lontà divina.Il bastone con cui spesso sono raffigu-rati è simbolo di autorità e sottolineala dignità del messaggero.L’arcangelo Michele, il cui nome inebraico significa “Chi è come Dio” ela cui festività ricorre insieme agli ar-cangeli Gabriele e Raffaele il 29 set-tembre, è citato diverse volte nella Bib-bia. Nel Libro di Daniele (Dn 10-13;10,21;12,1) dell’Antico Testamentosi parla di lui come primo dei principi ecustode del popolo d’Israele. Nel Nuo-vo Testamento, precisamente nella let-

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“Il tuo aspetto è simile al fuoco, ammirabile è la tua bellezza”

Roberta Boesso

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Boesso Roberta, Arcangelo Michele, Cappella privata (Roma), 2003

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tera di Giuda (1,9) , si parla di lui comearcangelo.Sia per il culto (che si sviluppò inOriente e in Occidente fin dai secoli IVe V da Costantinopoli alla Francia, all’I-talia e a tutta l’Europa che viene postasotto la sua protezione) che per l’ico-nografia, l’immagine di Michele comeangelo-guida delle milizie celesti nelcombattimento vittorioso contro sata-na (che con i suoi angeli ribelli verràprecipitato sulla terra e poi nel fuocoeterno), trae origine direttamente daipassi dell’Apocalisse (12,7-9). La vitto-ria dell’arcangelo Michele è prefigura-zione di quella di Cristo sull’Anticristo.Inoltre Michele compie la volontà divi-na offrendo aiuto e intercessione agliuomini: distrugge l’esercito assi-ro, appare a Giosuè, fa uscirel’apostolo Pietro dalla prigione,salva miracolosamente il tempiodall’inondazione a Chone.Generalmente Michele indossaabiti da dignitario di corte (dicolore rosso per sottolineare lapotenza e l’energia divina con-feritagli da Dio) secondo modelliiconografici cari all’ambiente bi-zantino e preferiti a quelli che loraffigurano come guerriero checombatte il demonio o che pesale anime, diffusissime in Occi-dente.

Nella tradizione religiosa russaMichele è considerato l’arcistra-tega, il condottiero delle schierecelesti nella lotta contro le forze

del male. Nell’icona “San Mi-chele arcangelo condottiero” èraffigurato come l’angelo del Giudizio(a cui allude nell’angolo in alto a de-stra l’Emmanuele davanti all’altare del-l’Etimasia, cioè della preparazione deltrono nell’attesa della seconda venutadel Signore) nell’attimo del trionfo fi-nale sul demonio.L’arcangelo, rivestito di una ricca ar-matura dorata e animato da una pa-cata forza interiore, cavalca un de-striero fiammeggiante che spicca unsalto sulla massa vorticosa delle ac-que oscure (simbolo del male) in cuista sprofondando il demonio e unacittà in rovina. Con la destra impu-gna una lancia con il manico a croce,

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Icona russa del XIX sec., collezione privata

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simbolo della vittoria di Cri-sto, e il turibolo segno della

lode incessante che rivolge al Signore.Con l’altra mano regge il libro e latromba del Giudizio che richiama imorti dai sepolcri. L’arcobaleno sim-boleggia l’eterna alleanza d’amore traDio e l’umanità.

Nell’icona di sanMichele nell’attodi pesare le ani-me, l’arcangelo èraffigurato in tut-ta la sua regale eaustera bellezza,messaggero e te-st imone del S i -gnore, in contem-plaz ione inces-sante della sua vi-sione. Con la sini-stra sorreggecontemporanea-mente un meda-glione con l’ im-magine di CristoEmmanuele e labilancia, allo sco-po di sottolineare che la vera giusti-zia è quella divina, perché animatadalla sua infinita misericordia per l’u-manità. Per essa ha offerto in sacrifi-cio la sua stessa vita al fine di riscat-tarla dal peccato, liberarla dai laccidella morte, per aprire le porte delparadiso e sigillare col suo sangueprezioso la santa madre Chiesa, ga-rante e tutrice della sua Parola, con-

tro la quale “le porte degli inferi nonprevarranno” ( Mt 16,18).Con la lancia allontana un demoneche si è accostato a un piatto della bi-lancia nel tentativo di impossessarsidell’anima di un uomo raffigurato sudi esso, spostando a suo sfavore il bi-lanciere.

Il cuscino rosso aipiedi dell’arcange-lo allude alla rega-le dignità di cui èstato investito dalSignore.

“È veramente co-sa buona e giusta,nostro dovere efonte di salvezza,rendere graziesempre e in ogniluogo a te, Signo-re, Padre santo,Dio onnipotenteed eterno.Noi proclamiamola tua gloria cher isplende negl iangeli e negli ar-

cangeli; onorando questi tuoi mes-saggeri, esaltiamo la tua bontà infini-ta; negli spiriti beati tu ci riveli quan-to sei grande e amabile al di sopra diogni creatura, per Cristo nostro Si-gnore.Per mezzo di lui tutti gli angeli procla-mano la tua gloria; al loro canto si uni-scono le nostre umili voci nell’inno dilode...” (Prefazio degli angeli).

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Icona dell’Arcangelo Michele, Museo civico di Pisa

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eggere e raccontare di unsanto romano è come gioca-re in casa, ci si muove me-

glio, si conosce la città, le strade, i po-sti più significativi. Si colloca e si avvici-na la persona quasi con affetto, è chia-ro allora che intendo avvicinare Gaspa-re Del Bufalo, giovane romano con lapassione della predicazione. Mi sem-bra importante conoscerlo da questopunto di vista, trala-sciando le altreespressioni che nonsono essenzial i inquesto contesto. Og-gi viviamo al limitedell’inflazione delleparole, le nostre co-municazioni sonospesso cariche di “co-se già dette”, per nonparlare di certe predi-cazioni improvvisate,moralistiche e prive disignificato. Conoscerealcune figure chehanno segnato unpezzetto di storia inquesto senso mi parebuono e interessante.Chiediamo un appun-tamento con questosanto romano e fac-ciamo la sua cono-scenza: Gaspare DelBufalo nacque a Ro-

ma il 6 gennaio 1786 da Antonio eAnnunziata Quartierini, in una poveracasa sull’Esquilino, nel territorio dellaparrocchia di Santa Prassede, presso labasilica di Santa Maria Maggiore. Isuoi genitori, erano buoni cristiani,caritatevoli e di «civil condizione». Ilbambino era di salute cagionevole, perquesto il giorno seguente venne bat-tezzato nella basilica dei Santi Silvestro

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S. GASPARE DEL BUFALOsuor Clara Caforio, ef

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e Martino ai Monti e gli furonoimposti i nomi dei Re Magi:

Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Dalla casetta dell’Esquilino la fami-

glia di Gaspare si trasferì nel 1787 alPalazzo Altieri, che sorge a fianco dellafamosa chiesa del Gesù, essendo papàAntonio assunto come cuoco e quiabitarono in un locale angusto per pa-recchi anni.

Riferendoci alla sua tenera età unepisodio molto significativo ci dicequanto egli fosse gradito a Dio. A unanno e mezzo fu colpito da un attaccodi vaiolo così violento, che il pus dellepustole, penetrandogli negli occhi, glifece correre il rischio d’una cecitàcompleta. La madre, dopo aver messoin atto tutte le prescrizioni mediche, ri-corse, come si usa nei casi disperati,all’aiuto di san Francesco Saverio, ilgrande Apostolo delle Indie, il cuibraccio si venera nella chiesa del Gesù.La guarigione avvenne prontissima etotale. San Francesco Saverio non saràmai dimenticato da Gaspare, che ungiorno lo sceglierà come Patrono dellasua Congregazione. Guarito, il ragazzocomincia subito la sua meravigliosaascesa. Se dal carattere irrequieto delpadre eredita lo spirito di iniziativa perla gloria di Dio, dalla madre prende lapietà, l’ardore della preghiera, il gustodelle cose belle e fini, l’attaccamentoallo studio, la carità verso i poveri finoa privarsi della colazione e di parte delpranzo e della cena, per sfamare colo-ro che con insistenza picchiavano alleinferriate della sua finestra. Da en-

trambi, poi, eredita fermezza nella fe-de e attaccamento alla Chiesa. Si sache molte persone intervengono nellanostra formazione, ovvero noi siamo ilrisultato di numerose coefficienti…Gaspare nei primi contatti col mondotrovò parecchi collaboratori che contri-buirono a edificare il suo carattere, mapiù di tutti Dio stesso operò nel suoanimo. Proviamo a pensare per unistante alla responsabilità che abbiamonoi adulti nell’educazione dei ragazzi,quali valori, quali riferimenti significati-vi siamo in grado realmente di tra-smettere? Le cronache che raccontanodei disagi giovanili non ci mettono indiscussione? I santi del passato nonhanno proprio niente in comune conle nostre generazioni? Direi che cam-biano i tempi, i modi ma il cuore hasempre le sue esigenze, i suoi ritmi,percorsi semplici e affetti significativi.Ma ritorniamo al “nostro ragazzino”dal carattere parecchio impulsivo, pun-tiglioso, un po’ come quelli che ci sie-dono di fronte che polemizzano, con-testano e si sentono forti se spalleg-giati da altri. Ragazzini con mille pro-blemi e famiglie inesistenti, affascinatida Gesù e dall’eroe di turno. Non mol-ti diversi da Gaspare che però aveva lafortuna di avere una famiglia unita,cristiana! Venne il giorno sospiratodella prima comunione che ricevettenel 1797 a undici anni; la spinta chene ebbe fu vigorosa ed evidente a tut-ti: volle essere tutto di Dio! A noi mo-derni una decisione simile fa pensare,come si può decidere così giovani?

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Eppure anche oggi Dio si rende pre-sente fin dalla più tenera età a tutti.Non dice forse il salmo 138: “Sei tuche hai creato le mie viscere, mi haitessuto nel seno di mia madre. Ti lodoperché mi hai fatto come un prodi-gio”. Cosa succede allora a queste no-stre generazioni così preda della bana-lità degli adulti? Cosa si verifica nelpercorso della loro crescita per esserespesso disorientati, confusi, allineaticon la superficialità? Non si trattereb-be a volte di porre dei limiti, di dire deino, di educare ai sacrifici, di indicareciò che è davvero bello e buono?Cambiano i tempi, i modi, gli stili ma iragazzi sono un patrimonio su cui im-pegnarsi in ogni epoca. Gaspare cre-scendo avverte il bisogno di approfon-dire il suo contatto con Dio facendopiccole penitenze e sacrifici. Come?Perché? Semplicemente perché il biso-gno della sofferenza, della penitenza èlegge della solidarietà dell’amore. Unatestimonianza del processo nota que-sto stato del piccolo Gaspare e dice:“Apparve più amante dell’orazionementale, più severo con se stesso, piùsobrio nel parlare, più ritirato e nasco-sto. Così giovane eppure così capacedi penitenze! trova bene digiunare ilvenerdì, nel mese di maggio, nei sabatiper onorare la Madonna, era ben con-vinto di dovere offrire dei sacrifici”.L’amore operoso per Dio rese prestoattivo il cuore di Gaspare che fin dapiccolo si prodigò per tutti i poveri cheincontrava. Ma com’era Roma a queitempi?

Intanto bisogna dire che glieffetti della Rivoluzione Fran-cese s’erano fatti sentire da un capoall’altro della penisola. Dalla Lom-bardia partirono i primi moti rivoluzio-nari dei patrioti, che aspiravano all’u-nità d’Italia e poi, via via, si estesero inaltri Stati e particolarmente nella Re-pubblica Partenopea. Le nuove ideeerano penetrate anche nello StatoPontificio, dando luogo al sorgere dinumerosissime logge massoniche e divarie sette, animate da profondo spiri-to anticlericale. L’alleanza tra la Masso-neria e la Carboneria e lo spirito anti-clericale andranno diventando semprepiù il substrato dei movimenti patriot-tici.

La Roma di quei tempi era moltodiversa dalla Roma d’oggi, ma ancheallora era una città meravigliosa, me-ta sognata da ogni persona. Ai gran-di resti del fastigio dell’antico ImperoRomano s’era unita l’opulenza diquanto vi avevano profuso col loroingegno i più grandi architetti, scul-tori, pittori di tutto il mondo, cheavevano arricchito con la loro artenon solo la città, ma anche le son-tuose ville dei patrizi romani, sparsenei Castelli Romani.

Il popolo romano, se eccelleva perla sua fede e pietà cristiana e il profon-do attaccamento al Papa, non lasciavaoccasione per esprimere la sua innataarguzia e il carattere godereccio, chesfociava nelle celebri «pasquinate» enel famoso carnevale. «I popolani diRoma non sudano soverchio nel lavo-

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ro, amano mangiar bene e sidivertono molto».

Ma non era questa la Roma di cuiGaspare andava orgoglioso e ci tenevaa dire che era fiero di essere un vero«romano de Roma». Roma era per luila luce delle genti, la città del pensierocristiano, un centro d’irradiazione dellaParola e della Grazia, la città che tuttiaccomuna e affratella.

Egli, negli imponenti monumentidell’antichità, più che la grandezza del-la Roma dei Cesari, guarda i luoghi ba-gnati dal sangue degli apostoli Pietro ePaolo e di tanti martiri cristiani. Certo,Gaspare non si ferma a contemplare laricchezza superba dei grandi palazzi edelle ville principesche. Se vive nel pa-lazzo di un principe, abita però in unmodesto appartamento della servitù equella ricchezza non lo sfiora: rimanepovero nello spirito e nella condotta divita. A Gaspare ferisce il cuore quellaturba di ragazzi, sporchi e cenciosi, equei barboni che passano la notte al-l’addiaccio. Alla vista di tanta miserias’affina la sua anima e, man mano checresce negli anni, si delinea in lui l’ani-ma dell’apostolo.

Guidato da uomini di indiscussastatura spirituale, quali D. Eugenio Pe-chi, suo zio e abate del monastero diSanta Croce in Gerusalemme, e Mons.Giovanni Marchetti, grande teologo,egli fa passi da gigante nella via del Si-gnore. Frequenta la chiesa del Gesù ecorre ad ascoltare con avidità i grandioratori e i maestri dell’ascetica e dellamorale.

Già prima del Suddiaconato, il vec-chio parroco di San Marco, ammiran-do le grandi doti e la capacità di Ga-spare, gli affidò il compito di istruire ifanciulli nella dottrina cristiana. A chicriticò tanta fiducia, l’ottimo parrocorispose: «Andate ad ascoltarlo e vi ren-derete conto che fa meglio di me». Ilbarnabita P. Antonio Maria Cadolini,poi cardinale, sentendolo predicare, nerestò talmente conquistato da dire:«Tenetelo da conto questo giovane,sarà un grande oratore». Una devotagli gridò le parole della donna del Van-gelo: «Beato quel grembo che ti hagenerato e quel seno che ti ha al-lattato!».

Al giovane Gaspare non basta il la-voro di studente, quello di catechistae di oratore; non basta la carità eser-citata per le strade e negli ospedali: lovediamo partecipare a tutte le istitu-zioni romane di preghiera, di istruzio-ne ed educazione dell’infanzia e dellagioventù abbandonata; diviene addi-rittura piccolo fondatore di nuove ini-ziative. Lo troviamo a Sant’Alessio,dove istituisce l’adorazione notturnadel SS. Sacramento; in Santa Puden-ziana, dove fonda un’associazionegiovanile, che ogni mese teneva in-contri di formazione spirituale e cul-turale e talvolta si cimentava anche inrappresentazioni teatrali. Il suo opera-to al servizio del Signore fu davverovasto. È ovvio che non abbiamo lospazio sufficiente per potere trattaretutto: devo limitarmi pertanto solo adalcuni accenni, fatti che, tra i tanti,

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dicono il suo amore esclusivo per laChiesa, per i poveri.

Gaspare il 21 febbraio 1807 erastato ordinato suddiacono e il 12 mar-zo 1808 fu ordinato diacono. Il passoverso l’ordinazione sacerdotale nonera così distante, lo tratteneva solo l’i-dea di non esserne degno, come erastato per san Francesco d’Assisi, la cuiumiltà non era molto dissimile di quel-la del nostro giovane. Per questo moti-vo volle chiedere consiglio a uominidotti e a sacerdoti supplicando pre-ghiere. Le parole d’incoraggiamentonon si fecero attendere e finalmente ilvescovo di Macerata e Tolentino lo rin-francò dicendogli di andare tranquilloall’altare perché ogni dubbio era operadiabolica. Gaspare il 31 luglio 1808venne ordinato sacerdote e il 1 agostofu chiamato a predicare nella basilicadi San Pietro per l’esposizione solennedella Coltre dei Martiri mentre il 2agosto celebrò la sua prima Messa nel-la basilica di San Marco.

Fu per suo merito che rinacque l’O-pera di Santa Galla, della quale fu elet-to direttore nel 1806; inoltre intensi-ficò l’apostolato fra le classi popolarifondando il primo oratorio in SantaMaria in Pincis e specializzandosi nellaevangelizzazione dei “barozzari”, car-rettieri e contadini della campagna ro-mana, che avevano i loro depositi difieno nel Foro Romano. Sulla Chiesaimperversavano, intanto, tempi duri:nella notte dal 5 al 6 luglio 1809 PioVII fu fatto prigioniero e deportato. Il13 giugno 1810 Gaspare rifiutò il giu-

ramento di fedeltà a Napoleo-ne e venne condannato all’esi-lio e poi al carcere, che visse con ani-mo sereno per quattro anni. Tornato aRoma nei primi mesi del 1814, dopo lacaduta di Napoleone, non esitò a sot-tomettersi al servizio del papa. Pio VIIgli diede l’ordine di dedicarsi alle mis-sioni popolari per la restaurazione reli-giosa e morale dell’Italia e Gaspare ab-bandonò la città, la famiglia ed ognialtro suo progetto per dedicarsi total-mente al ministero assegnatogli. Qualemezzo efficacissimo per promuovere laconversione dei peccatori, scelse la de-vozione al Preziosissimo Sangue di Ge-sù e ne divenne ardentissimo apostolo.Per raggiungere meglio il suo nobileintento, il 15 agosto 1815 fondò laCongregazione dei Missionari del Pre-ziosissimo Sangue, a cui si iscrisserouomini di grande santità, come il ven.servo di Dio don Giovanni Merlini,Giovanni Mastai Ferretti, il futuro PioIX, Biagio Valentini, Vincenzo Tani edaltri ancora, morti in concetto di san-tità. Nel 1834, inoltre diede inizio all’I-stituto delle Suore Adoratrici del Pre-ziosissimo Sangue, coadiuvato dallabeata Maria De Mattias, che egli stes-so aveva chiamato a tale missione. Ledue famiglie religiose trovarono il ter-reno fecondatore nella Pia Unione delPreziosissimo Sangue, oggi Unio San-guis Christi.

La missione di Gaspare sebbene se-gnata da difficoltà di vario genere fu dienorme efficacia perché come accadedavvero ai santi, grazie al suo annun-

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cio e alla testimonianza coe-rente si verificavano conversio-

ni, rifioriva la fede e la carità; riuscì aconvertire persino intere logge masso-niche; un “terremoto spirituale” comeebbero a definirlo e potremmo conti-nuare senza sosta nell’elencare i suoiapostolati, ma devo contenere la nar-razione quasi come a dire che abbia-mo gustato un po’ della santità diquesto grande uomo romano, uno cheha attraversato le strade che percorria-mo noi, che ha parlato, annunciato,testimoniato Gesù nelle Chiese che si-curamente conosciamo. Soprattuttoun innamorato della gente, uomini edonne incontrate ovunque; poveriemarginati come vediamo noi lungo lestrade, agli angoli, addossati ai muri,abbandonati sulle panchine. Oggi Ro-ma è cambiata, è una metropoli, èsempre più bella e visitata da milioni dituristi, pellegrini. Oggi come alloraperò, sebbene forse in misura più con-tenuta non mancano le miserie umanee spirituali. Cosa fare? Come agire? LoSpirito Santo non manca di suscitarepersone dal cuore buono, gente co-mune o compagnie organizzate capacidi chinarsi sulle miserie che ci sfilanodinanzi. Se ciascun credente nel suopiccolo si facesse davvero prossimo alpiù prossimo si realizzerebbe una bri-ciola di quel pane buono che è il van-gelo di Gesù. Lo chiediamo a san Ga-spare Del Bufalo, santo della gente chemorì a Roma il 28 dicembre 1837; lafama della sua santità si diffuse subitoanche fuori d’Italia specialmente in

Francia, sia per la guarigione di Fran-cesca De Maistre, figlia del governato-re di Nizza e nipote di Giuseppe DeMaistre, sia per opera di Gastone deSégur, che lo fece conoscere con la pa-rola e gli scritti e di Pietro Giuliano Ey-mard, fondatore dei Sacerdoti e delleAncelle del SS. Sacramento, che esor-tava pressantemente a invocare Ga-spare quale apostolo della devozioneal Sangue Preziosissimo di Gesù. Fubeatificato da san Pio X il 18 dicembre1904 e canonizzato da Pio XII il 12giugno 1954 in piazza San Pietro. Ilsuo corpo riposa a Roma nella chiesadi Santa Maria in Trivio. Giovanni XXIII,nel discorso tenuto in San Pietro il 31gennaio 1960 per la chiusura del sino-do romano, ha definito Gaspare: «Glo-ria tutta splendente del clero romano,che fu il vero e più grande apostolodella devozione al Preziosissimo San-gue di Gesù nel mondo».

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Bibliografiawww.preghiereagesuemaria.it/santiebea-ti/sangasparedelbufalo.htmwww.santiebeati.it www.sangasparedelbufalo.pcn.net G. De Libero, San Gaspare Del Bufalo e lasua missione nel sangue di Cristo, Roma1954

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A servizio del dono di CristoProgramma anno pastorale 2006 - 2007

Ufficio Liturgico - Diocesi di Roma

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CORSO DI LITURGIA PER LA PASTORALE

Il Corso offre una trattazione esauriente, organica e completa della liturgia sotto l’aspetto storico,biblico, teologico e pastorale. È una vera scuola di specializzazione per tutti coloro che assumonoun ministero o altri impegni nella Chiesa. È tenuto dagli insegnanti del Pontificio Istituto Liturgico.Il programma si articola in un ciclo triennale con esami annuali e alla fine del triennio un esa-me generale (de universa), che dà diritto all’attestazione di “Operatore di liturgia per la pasto-rale”. Sono ammessi anche studenti uditori senza obbligo di esami.

PRIMO ANNO - LITURGIA E TEMPO: Introduzione generale • L’anno liturgico • LaLiturgia delle Ore

SECONDO ANNO - SACRAMENTI E SACRAMENTALI: La Riconciliazione • L’Unzio-ne degli infermi • L’Ordine • I ministeri istituiti • Il Matrimonio • La verginità con-sacrata • Luogo e spazio sacro nella Bibbia • La dedicazione della chiesa e dell’alta-re • Spazio liturgico: architettura e iconografia • Il Benedizionale • Il rituale dell’e-sorcismo • I riti dei funerali • La religiosità popolare

TERZO ANNO - L’INIZIAZIONE CRISTIANA: (Battesimo – Cresima – Eucaristia) - Sto-ria; Liturgia della Parola; Liturgia dell’Eucarestia • Culto eucaristico fuori della Messa• Principi dell’inculturazione liturgica (analisi del progetto di inculturazione) • Pasto-rale liturgica: tradizione, formazione liturgica; liturgia, catechesi, nuova evangelizza-zione; ministero della presidenza; animazione; esercizio dei ministeri; comunicazione;segni e simboli; gesti • Liturgia e musica: teologia e storia; aspetti culturali e pasto-rali dopo il Concilio Vaticano II; canto e musica nelle celebrazioni sacramentali, nellaLiturgia delle Ore e nell’anno liturgico • Arte sacra e suppellettile • La teologia delleIcone • Aspetti liturgici dell’ecumenismo

Sede: Pontificio Istituto Liturgico, Piazza dei Cavalieri di Malta, 5 – RomaPeriodo: ottobre 2006 – giugno 2007 - Giovedì: ore 18,00 – 19,30

Nell’anno 2006 – 2007 viene svolto il programma del primo anno. LITURGIA E TEMPOCALENDARIO PROGRAMMA:

200619 ottobre Introduzione e consegna dei diplomi, Preside del PIL

26 ottobre L’esperienza liturgica dell’Antico e del Nuovo Testamento, Prof. Renato de Zan

09 novembre Storia della liturgia I: Dagli inizi al Concilio di Trento, Prof. Ephrem Carr

16 novembre Storia della liturgia II: Dal Movimento liturgico al Vaticano II, Prof. Ephrem Carr

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23 novembre Visione globale delle liturgie orientali, Prof. Ephrem Carr

30 novembre Culto e santificazione, Prof. Ildebrando Scicolone

07 dicembre Celebrazione, segni e simboli Prof. Ildebrando Scicolone

14 dicembre Assemblea e partecipazione, Prof. Ildebrando Scicolone

200711 gennaio L’anno liturgico: storia della sua formazione, Prof. Ephrem Carr

18 gennaio Il Calendario liturgico: principi e norme, Prof. Ildebrando Scicolone

25 gennaio La domenica: Pasqua settimanale, Prof. Juan Javier Flores

01 febbraio La Pasqua annuale: il triduo pasquale, Prof. Juan Javier Flores

08 febbraio Il tempo pasquale o Pentecoste, Prof. Juan Javier Flores

15 febbraio La Quaresima, Prof. Ephrem Carr

22 febbraio Il tempo della manifestazione, Prof. Juan Javier Flores

01 marzo Tempo “per annum” e feste del Signore, Prof. Juan Javier Flores

08 marzo La Madre di Dio nella celebrazione del mistero di Cristo, Prof. Ildebrando Scicolone

15 marzo I Santi nella celebrazione del mistero di Cristo, Prof. Juan Javier Flores

29 marzo La preghiera e i salmi nell’A.T. e N.T., Prof. Renato de Zan

19 aprile L’Ufficio Divino: origine e sviluppo storico, Prof. Pierangelo Muroni

26 aprile La Liturgia delle Ore del Vaticano II(Caratteristiche, natura ed elementi della Liturgia delle Ore), Prof. Pierangelo Muroni

03 maggio Natura e spirito delle singole Ore, Prof. Pierangelo Muroni

10 maggio Spiritualità e pastorale della Liturgia delle Ore, Prof. Pierangelo Muroni

17 maggio Celebrazione conclusiva e incontro di fraternità, Preside del PIL

31 maggio ESAME ANNUALE • 07 giu. ESAME ANNUALE • 14 giu. ESAME “DE UNIVERSA”

CORSO BASE DI LITURGIA PER ANIMATORI PARROCCHIALI

Il Corso offre un approfondimento delle tematiche specificamente liturgiche.È destinato principalmente a coloro che hanno un impegno di animazione liturgica e agli operatori pa-storali.

I ANNO - CALENDARIO E PROGRAMMA:12 ottobre 2006 Introduzione19 ottobre La celebrazione cristiana26 ottobre La celebrazione, realtà sacramentale19 novembre La ritualità celebrativa16 novembre Liturgia, l’oggi della storia della salvezza23 novembre Liturgia, memoriale della Pasqua30 novembre Liturgia, tradizione vivente della Chiesa14 dicembre Tempo e liturgia11 gennaio 2007 Il giorno del Signore18 gennaio Anno liturgico, I25 gennaio Anno liturgico, II11 febbraio Assemblea e partecipazione18 febbraio Spazi della celebrazione15 febbraio La Parola di Dio celebrata

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22 febbraio La Parola nell’anno liturgico11 marzo La Parola celebrata nei salmi18 marzo La Liturgia delle Ore, I (fondamenti teologici e storia) 15 marzo La Liturgia delle Ore, II (principi e norme)22 marzo Animazione della celebrazione: fondamenti e strumenti29 marzo Animazione della celebrazione: ministeri e servizi19 aprile Animazione musicale, I26 aprile Animazione musicale, II13 maggio Spiritualità della celebrazione10 maggio Conclusione e consegna degli attestati

Sede: Parrocchia Beata Teresa di Calcutta, Settore Est, Piazza Attilio Muggia – 00010 Ponte di No-na, RM - Tel. 339 2940647 - Segreteria: Don Fabio Corona. Le lezioni si tengono il giovedì dalle ore19,00 alle ore 20,30

II ANNO - CALENDARIO E PROGRAMMA:16 ottobre 2006 IntroduzioneI - LA LITURGIA NELLE DIVERSE EPOCHE STORICHE23 ottobre Dalle origini alla formazione dell’anno liturgico16 novembre Dall’epoca medioevale al Concilio di Trento13 novembre Dalla Riforma tridentina al Concilio Vaticano II20 novembre Documenti di attuazione del Concilio Vaticano IIII - LIBRI LITURGICI27 novembre Il Messale, I14 dicembre Il Messale, II11 dicembre Il Lezionario15 gennaio 2007 Il Benedizionale22 gennaio Gli altri libri liturgiciIII - LITURGIA DELLA PAROLA – PROCLAMAZIONE29 gennaio Fondamenti: DV, SC (I parte)15 febbraio Fondamenti: DV, SC (II parte)12 febbraio Lettore: servo della Parola (aspetti pratici - dizione)IV - LITURGIA DEI SACRAMENTI19 febbraio L’iniziazione cristiana26 febbraio Liturgia battesimale15 marzo Liturgia della Confermazione12 marzo Liturgia eucaristica19 marzo Liturgia penitenziale26 marzo Liturgia dell’Unzione degli infermi16 aprile Liturgia del Matrimonio23 aprile Liturgia dell’Ordine sacro17 maggio Conclusione e consegna degli attestati

Sede: Parrocchia Santa Gemma Galgani, Settore Nord, Via Monte Meta s.n.c. – 00136 Roma -Tel. 0687180282 - Segreteria: Don Giampaolo Perugini. Le lezioni si tengono il lunedì dalle ore 19,00alle ore 20,30

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III ANNO - CALENDARIO E PROGRAMMA:18 ottobre 2006 Introduzione25 ottobre La cena ebraica e l’Ultima Cena, I

18 novembre La cena ebraica e l’Ultima Cena, II15 novembre La celebrazione eucaristica22 novembre Fonti e struttura della preghiera eucaristica29 novembre Il Canone Romano e la Seconda Preghiera Eucaristica16 dicembre La Terza e la Quarta Preghiera Eucaristica13 dicembre Il Canone della Svizzera, le due PE della Riconciliazione,

le tre PE dei fanciulli10 gennaio 2007 La tradizione liturgica d’Oriente17 gennaio La Tradizione liturgica d’Occidente24 gennaio Il Tempio cristiano in Oriente e Occidente31 gennaio Il dialogo ecumenico17 febbraio Il dialogo interreligioso14 febbraio Le religioni monoteistiche28 febbraio Il culto ebraico sinagogale17 marzo La preghiera islamica14 marzo Le altre religioni21 marzo Sette e nuovi culti

Visita alla sinagoga • Visita alla moschea • Visita alla Basilica di San Lorenzo al Verano • Visi-ta alla Badia di San Nilo a Grottaferrata • Visita alle Catacombe2 maggio Conclusione e consegna dei diplomi

Sede: Parrocchia Gesù Divino Lavoratore, Settore Ovest, Via Oderisi da Gubbio, 16 – 00146 Ro-ma - Tel. 06 55 84 612 – fax 06 55 62 731- Segreteria: sig. Lamberto Di Giovancarlo. Informazioni eiscrizioni: lunedì e mercoledì, ore 16,30 – 18,00 presso la parrocchia; tel. 06 55 86 807. Le lezioni sitengono il mercoledì, dalle ore 19,00 alle ore 20,30.

MINISTERI ISTITUITI DEL LETTORATO O DELL’ACCOLITATO

La formazione ai ministeri istituiti prevede 3 anni di frequenza dei corsi mensili e, in modo non deroga-bile, la frequenza del Corso triennale al Pontificio Istituto Liturgico.Sede: Pontificio Seminario Romano Maggiore, Piazza San Giovanni in Laterano, 4 – Roma - dalle ore18,00 alle ore 19,30. Il mercoledì da ottobre a giugno.

CALENDARIO - PROGRAMMA

Venerdì 16 ottobre 2006 Celebrazione eucaristica nella Chiesa del Gesù, ore 18,45Mercoledì 18 novembre Credo nello Spirito SantoMercoledì 16 dicembre … che è Signore e dà la vitaMercoledì 10 gennaio ‘07 Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolicaMercoledì 17 febbraio … la comunione dei santiMercoledì 17 marzo … la remissione dei peccatiMercoledì 11 aprile … la risurrezione della carne

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Mercoledì 12 maggio … la vita eterna.Mercoledì 16 giugno Amen.Venerdì 15 giugno Celebrazione eucaristica nella Chiesa del Gesù, ore 18,45

ITINERARIO FORMATIVO DEI CANDIDATI AL MINISTERO STRAORDINARIO DELLA COMUNIONE

I corso: Iscrizioni entro il 20 ottobre 2006. Lezioni: Lunedì 6, 13, 20, 27 novembre, 4, 11 dicembre 2006 - ore 18,30 – 20,00Sede: Pontificio Seminario Romano Maggiore, Piazza San Giovanni in Laterano, 4

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oppure

II corso: Iscrizioni entro il 20 gennaio 2007. Lezioni: Lunedì 5, 12, 19, 26 febbraio, 5, 12 marzo 2007 - ore 17,00 – 18,30Sede: Vicariato di Roma, Piazza San Giovanni in Laterano, 6/a

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PROGRAMMA: L’Eucaristia nella Sacra ScritturaIl sacramento dell’EucaristiaLa Chiesa comunità ministerialeSpiritualità del ministro straordinario della comunioneLa pastorale degli ammalati e degli anzianiL’esercizio del ministero nella parrocchia e nella diocesi.

Per essere ammessi a frequentare il corso occorre presentare la domanda del parroco (su modulo di-sponibile all’Ufficio Liturgico) e due fotografie formato tessera, uguali e recenti. Il mandato viene con-ferito solo a chi ha frequentato integralmente il corso. In caso di assenze il mandato viene dato solodopo il ricupero della lezione perduta, durante il corso seguente.

GIORNATE DI FORMAZIONE E FRATERNITÀ

Sabato 2 dicembre 2006 - Tema: Il cristiano, profeta di salvezza

Sabato 5 maggio 2007 - Tema: Il cristiano, testimone della gioia della risurrezione

Orario: 8,30 – 18,00

Sede: Auditorium, Nuovo Santuario Santa Maria del Divino AmoreVia Ardeatina km 12 - 00134 Roma

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CORSO FORMATIVO PER ANIMATORI MUSICALI DELLA LITURGIA

200625 ottobre Dirigere il coro e l’assemblea; insegnare un nuovo canto, Gianni Proietti

18 novembre Educare la voce al canto, M° p. Alberto Bastoni

29 novembre La lettura del tetragramma, M° mons. Alberto Turco

13 dicembre La struttura di un canto liturgico, M° don Antonio Parisi

200710 gennaio Le forme musicali liturgiche: antifona, inno, salmo,

responsorio, litania,…, M° mons. Marco Frisina

24 gennaio Storia della musica sacra, 1: dalle origini al canto gregoriano, M° mons. Alberto Turco

17 febbraio Storia della musica sacra, 2: la prepolifonia e le laudi,don Maurizio Modugno

28 febbraio Storia della musica sacra, 3: la polifonia, (.....)

14 marzo Storia della musica sacra, 4: Pierluigi da Palestrina, M° mons. Marco Frisina

21 marzo Storia della musica sacra, 5: il Barocco, don Maurizio Modugno

Sede: Pontificio Seminario Romano Maggiore, ore 19,00 – 20,30

Ogni incontro consterà di due parti: la prima, tematica, della durata di 50 minuti circa, a ca-rattere teorico, come da calendario qui riportato; la seconda consterà di prove pratiche perl’apprendimento e la direzione di canti di diverse tipologie, adatti all’assemblea liturgica par-rocchiale.

“ALLE SORGENTI DELLA SALVEZZA”

Primo venerdì del mese, Chiesa del Gesù, (Santissimo Nome di Gesù all’Argentina, Piazza del Gesù)ore 19,00 – 21,00: Celebrazione eucaristica e catechesi ,

Adorazione eucaristica,Preghiera litanica e Benedizione eucaristica

Data: 16 ottobre 2006,13 novembre,11 dicembre15 gennaio 2007,12 febbraio,12 marzo,14 maggio,11 giugno

15 giugno (Solennità del Sacro Cuore di Gesù)

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