Cos'è il pellegrinaggio? di pellegrinaggio. Ruolo chiave, in riferimento all'analisi di...
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Cos'è il pellegrinaggio?
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Introduzione al significato del camminare lungo il Pellegrinaggio degli Ottantotto Templi
Premessa
Il presente studio va inteso come la prima parte della serie di lavori che pubblicherò a seguire, per
fornire le basi per una riflessione più ampia, completa e strutturata. Per fare ciò, ho scelto di
affrontare questo argomento distribuendolo in più aritcoli, data la grande quantità di aspetti ed
informazioni che copre uno studio adeguato sullo Shikoku Reijō; e nondimeno, la scelta di dividere
lo studio che seguirà in temi più specifici, è stata considerata nell'ottica di permettere al lettore
(specialista o profano che sia) una fruizione più agile dei temi trattati. Nello studio globale verranno
prese in analisi le caratteristiche peculiari dello Shikoku Henro, conosciuto anche sotto il nome di
“Pellegrinaggio degli Ottantotto Templi”. L'attenzione verrà focalizzata su quanto concerne la
figura del pellegrino, il tempio o area monastica, il rituale praticato dal pellegrino nei templi e lungo
il Cammino, e ancora, in ultima analisi verranno studiate la simbologia e il linguaggio visivo
attinente ai Buddha e Bodhisatva venerati lungo questo pellegrinaggio. Trattandosi inoltre di temi di
non immediata comprensione, o talvolta del tutto estranei alla cultura di un profano, verrà data
sufficente attenzione ad argomenti inevitabilmente connessi al tema trattato, che assumeranno di
volta in volta valore di tipo introduttivo ed edesplicativo, come la stesura di un vocabolario di
riferimento adeguato al tema, riflessioni riguardanti il concetto di pellegrinaggio, la sua
collocazione nell'immaginario collettivo delle altre culture etc.
Questo lavoro inizia da una ricerca, svolta tra il 2007 e il 2010, cominciata in occasione di un
pellegrinaggio fatto nell’isola dello Shikoku. Allora ero al mio secondo anno di università, parlavo
poco e male la lingua giapponese. Ancora meno sapevo della natura del viaggio che stavo
intraprendendo; di Kōbō Daishi poi, avevo letto che era stato un grande religioso del passato. Al di
fuori di queste lacunose informazioni non conoscevo altro di ciò che io consideravo essere lo
sfondo del mio “viaggio avventuroso”. E tuttavia lo scenario di quel mondo misterioso, mi
impressionò profondamente attraverso le sue tinte, a tal punto che finì col diventare ben presto il
punto focale della mia esperienza. Così, il viaggio divenne un pellegrinaggio, l’avventura una
ricerca.
Tornato in Italia, iniziai a lavorare sugli appunti che avevo preso (scritti, foto, interviste) e sul
materiale che avevo raccolto, costituito principalmente oltre che da diari, anche da “timbri” (hanko)
e “stampe” (shuin) proprie di ogni tempio. A questi dati aggiunsi un iniziale, esiguo numero di fonti
bibliografiche, che ampliai un anno dopo, quando ebbi modo di ritornare in Giappone dove feci
ricerca per un anno. Ho iniziato così ad approfondire la storia e le dinamiche legate alla nascita del
Buddhismo esoterico. In particolare ho avuto modo di fare degli approfondimenti sulla carismatica
figura di Kōbō Daishi e sulla sua grande opera religiosa.
L'argomento che viene trattato, è dunque ricavato da materiale raccolto nel tempo, aggiunte e
revisioni effettuate sulla base di ricerche che ho svolto precedentemente.
In questa prima parte analizzo a fondo le caratteristiche universali del fenomeno del
pellegrinaggio. Nel ragionare intorno all’essenza del pellegrinaggio, e nell’esaminarne le
caratteristiche distintive che lo rendono differente rispetto ad aree culturalmente e geograficamente
diverse nel mondo, oltre ad attingere alla mia personale esperienza – strutturatasi anche sulla pratica
di altri pellegrinaggi, come quello di Santiago de Compostela in Spagna – ho preferito attingere
dalle parole di studiosi giapponesi, facendo così un lavoro di traduzione. Ho scelto questo metodo
di indagine principalmente perché essendo lo Shikoku Henro un pellegrinaggio che si presenta
soprattutto come un fenomeno culturale giapponese, trovo che focalizzare l’attenzione anche su un
piano linguistico, oltre che antropologico-culturale, possa aggiungere delle preziose informazioni
allo studio dell’oggetto trattato. Penso che il significato delle parole relative allo Shikoku Henro e
ad altri pellegrinaggi in Giappone, e ancora, in quali occasioni potersene servire, aiuti ad introdurre
il lettore in modo più esatto all’argomento trattato. In tale modo si rende possibile inquadrare il
tema con più agevolezza e comprendere meglio le differenze tra la concezione di pellegrinaggio
nella propria cultura e fuori da essa.
Nel suo lavoro intitolato Junrei to ha nanika: Kairasu Junrei to Shikoku Henro (KUROKI, 2009),
di cui ho tradotto il seguente estratto, Kuroki Mikio, organizzando un discorso piuttosto complesso
accompagnato da una dialettica un po' spigolosa, ragiona in primo luogo su come il pellegrinaggio
sia qualcosa che muta rispetto alla religione e alle tradizioni legate ad una determinata cultura, e che
dunque non esiste un pellegrinaggio, ma esistono i pellegrinaggi.
Seguendo questo ragionamento, si procede dividendo i pellegrinaggi in due categorie principali,
ovvero quelli in linea retta e quelli in linea circolare. Accostandoli poi alla religione e alle tradizioni
di un popolo, si indaga approfonditamente su questa intima relazione. Sebbene il pellegrinaggio sia
un fenomeno che culturalmente è anteriore alla religione, indagando sulla misura in cui la religione
stessa influenza un pellegrinaggio nelle sue caratteristiche strutturali, vengono messe in evidenza
delle interessanti analogie che intercorrono tra questo fenomeno e la religione e il mito.
Indipendentemente dalle diverse aree geografiche, capiamo che nelle religioni politeiste i
pellegrinaggi assumono delle caratteristiche di base analoghe, così come per le religioni monoteiste.
L’ultima parte dell’estratto, verte infine su argomenti legati al pellegrinaggio degli ottantotto
templi. Nel paragrafo conclusivo del capitolo, analizzo brevemente una caratteristica dei
pellegrinaggi di tipo circolare – focalizzando l’attenzione principalmente sullo Shikoku Henro – che
riguarda il significato del senso orario e del senso antiorario, in cui è possibile percorrere questo
tipo di pellegrinaggio.
Ruolo chiave, in riferimento all'analisi di quest'ultimo punto, è Kōbō Daishi, una figura
onnipresente lungo il Pellegrinaggio degli Ottantotto Templi. Nel presente lavoro, tuttavia, ci si
limiterà a trattare Kōbō Daishi limitatamente a quanto concerce l'argomento trattato. Si parlerà più
nello specifico del suo personaggio e della sua grande “missione” ed opera religiosa, nei lavori che
pubblicherò a seguire. Buona lettura.
I
IL PELLEGRINAGGIO NEL TEMPO E NELLO SPAZIO
Kuroki Mikio1 sul pellegrinaggio (“linee” generali)
1 Kuroki Mikio 黒木幹夫, è Preside della facoltà di scienze umanistiche dell’Università di Ehime (愛媛大学) e vi
insegna in qualità di docente di storia della filosofia etica ( 倫 理 思 想 史 ). Specialista in storia del pensiero giapponese, religione e filosofia. Attualmente i sui studi di ricerca vertono sui seguenti argomenti: Buddhismo esoterico ed esoterismo, ascetismo, filosofia delle religioni e concezione della natura nel Buddhismo giapponese.
I.1. Mito e religione
Camminare allude di fatto all’azione del camminare sulla terra, e quando si pensa
a cosa sia il pellegrinaggio non si può evitare di pensare al legame che esiste con la
terra. Tuttavia, questo suolo, in che modo è stato inteso nel tempo? Come è indicato
dal concetto di sansai2, l’Universo è formato da tre componenti, che sono Cielo,
Terra e Uomo. Stando così le cose, il suolo (ovvero la Terra), in sintonia con Cielo
e Uomo costituisce l’Universo. Così la Terra si pone tra l’Uomo e il Cielo, e dunque
per un verso l’azione del camminare suggerisce un legame organico tra l’Uomo e la
Terra, per l'atro questa stessa azione pone anche in relazione la Terra e il Cielo.
La connessione tra Cielo e Terra è stata intesa come corrispondenza tra
macrocosmo e microcosmo3. Per corrispondenza si intende in parole povere che il
centro del microcosmo – ovvero della terra – è anche il centro del macrocosmo,
ovvero del cielo. Anticamente questo “centro” corrispondeva ad una montagna
sacra. Si può evincere pertanto che, finché sulla terra esisterà l’Uomo, anch’egli
costituirà un microcosmo. In questo modo, l’Uomo, che cammina sulla terra,
concepisce se stesso come un microcosmo che è connesso organicamente ad un
macrocosmo; questo perché il fatto stesso di camminare, ha implicito il valore della
consapevolezza di essere un microcosmo. Ciò che pone in relazione macrocosmo e
microcosmo è il mito, ovvero qualcosa che è nato come favola, frutto di quel senso
di ingenua sobrietà, proprio degli uomini del passato.
Dal mito si è sviluppata la religione, che preservando per un verso quella relazione
di corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo, ha tuttavia diviso questi ultimi
inserendo l’idea del sacro e del profano, laddove il sacro assume una posizione di
preponderanza rispetto al profano. La religione va dunque intesa come il rapporto
che intercorre tra l’Uomo e “ciò che è sacro”4. “Ciò che è sacro” è, in parole povere,
nelle varie religioni, tutto ciò che viene chiamato Buddha, Dio, o con altri nomi
ancora. Per sacro si intende fondamentalmente qualcosa che non appartiene al
quotidiano, e che è in opposizione a ciò che indica quotidianità, ovvero a ciò che è
2 sansai 三 才 , ovvero i tre componenti dell’universo: cielo, terra, uomo. Viene usato anche per indicare tutto il
“creato”, tutte le creature dell’universo. Sinonimi: sangi 三儀, sankyoku 三極, sangen 三元. Quest’ultimo, tra gli
altri significati, può anche indicare i tre periodi dell’universo, ovvero principio (上元), sviluppo (中元) e fine (下元).
Fonti di riferimento: Meikyō Kokugo Jiten 明鏡国語辞典; Kōjien 広辞苑.3 I termini tradotti con macrocosmo e microcosmo equivalgono in giapponese a 大宇宙 e 小宇宙.4 Il termine tradotto con ciò che è sacro equivale in giapponese a 聖なるもの.
“mondano”5. Per questo motivo, per avvicinarsi al sacro, è necessario allontanarsi
da ciò che è mondano; in altre parole, bisogna distaccarsi dalla quotidianità. La
condizione primaria per questo distacco si realizza nell’azione di “uscire”: spostarsi
nello spazio e nel tempo è infatti il mezzo più semplice. E “spostarsi” deriva
naturalmente dal “camminare”. E’ proprio per questo motivo che il viaggio,
anticamente, veniva considerato come il mezzo più semplice per sperimentare il
distacco dalla vita di tutti i giorni.
Camminare, dunque, sta alla base della religione; se è vero che il camminare è un
elemento imprescindibile del pellegrinaggio, alla domanda principale, relativa a che
cosa sia il pellegrinaggio, ne deriva che di certo non è qualcosa che deriva dalla
religione. Piuttosto è il contrario: è il pellegrinaggio che è all’origine della
religione. Per dirla in altre parole, è il pellegrinaggio che, storicamente, è anteriore
alla religione. La religione indica, dunque, il rapporto che intercorre tra l’Uomo e il
sacro, ma per far sì che questo rapporto si concretizzi, diventa necessario operare
una netta distinzione tra ciò che è sacro e ciò che è mondano. Tuttavia, in origine
sacro e profano non erano elementi distinti, ma erano fusi tra loro in un'unica
ragione d'essere. L’elemento che ha mantenuto vivo tale livello di fusione è il mito,
che sopravvive parzialmente all’interno della religione. Così, dato il pellegrinaggio
come qualcosa che esiste da prima della religione, ciò che è associato
organicamente ad esso non è altro che il mito. Il fatto che il pellegrinaggio sia
strettamente legato a leggende e tradizioni folcloristiche è dovuto dunque a questo
tipo di dinamiche.
I.2. Cos’è il pellegrinaggio?
Nel fare una classificazione delle religioni è possibile adottare svariati criteri di
analisi; la distinzione tra monoteismo e politeismo è uno di questi. Alle religioni del
mondo Occidentale, che – prendendo come modello il Cristianesimo –
classifichiamo come monoteiste, si contrappongono le religioni dell'Oriente, che
trovano nel Buddhismo il loro principale portavoce, e che sono generalmente di tipo
politeista. Il monoteismo, nel distinguere nettamente il mondano dal sacro,
5 Il termine tradotto con mondano equivale in giapponese a zoku 俗.
conferisce a quest’ultimo indivisibilità e immanenza6. A causa di ciò, il
monoteismo, che propone la fede in una singola divinità, è piuttosto esclusivista nei
confronti delle altre religioni. Invece, il politeismo, in cui il sacro e l’elemento
folcloristico sono fusi tra loro, conserva molte tracce di miti e leggende, nonché una
maggiore flessibilità nei confronti delle altre religioni, che lo porta talvolta ad
assimilare anche divinità “pagane”.
A questo proposito, quando si pensa al camminare, ci si chiede da un lato, in
direzione di quale meta camminare; dall’altro, qualora il fatto stesso di camminare
fosse lo scopo, ci si chiede dove, ovvero in quale luogo, camminare. Fino a quando
il camminare rimarrà un punto essenziale del pellegrinaggio, questo duplice aspetto
legato al camminare rimarrà cruciale anch’esso per il pellegrinaggio. Il luogo sacro
indica dunque la meta verso cui dirigersi, mentre lo spazio sacro indica il suolo su
cui camminare. Stando a quanto detto finora, il pellegrinaggio, oltre a rappresentare
qualcosa che è fuori dall’ordinario, va inteso anche come una preparazione
esistenziale dell’Uomo, che si allontana dalla vita di tutti i giorni per cercare di
entrare in relazione con un luogo sacro in uno spazio/tempo sacro.
Così, è possibile concepire un pellegrinaggio in cui si cammina verso una meta
sacra, e un pellegrinaggio circolare in cui si cammina7 in uno spazio sacro. Il primo
caso, che indica una meta sacra distaccata da ciò che è mondano, generalmente è
tipico del monoteismo. Rispetto a quest’ultimo modello, il politeismo è legato al
secondo tipo di pellegrinaggio (quello di tipo circolare), che indica uno
spazio/tempo sacro, ma, a differenza del primo tipo di pellegrinaggio, tale
spazio/tempo sacro abbraccia un mondo in cui sopravvivono ancora i miti e le
tradizioni del passato, dove l’elemento sacro e quello folcloristico sono fusi tra di
loro […].
Dunque, il primo tipo di pellegrinaggio si compie attraverso uno spostamento in
linea retta8, mentre il secondo tipo è caratterizzato da uno spostamento di tipo
circolare9. Questa suddivisione, tuttavia, non è incompatibile con l’interpretazione
6 I termini tradotti con indivisibilità e immanenza equivalgono in giapponese a yuiitsusei 唯一性 e zettaisei 絶対性.7 Il termine tradotto con camminare equivale in questo caso a meguru 巡る , che significa generalmente “ruotare”,
“girare attorno”; viene qui usato con riferimento al pellegrinaggio circolare. 8 L’espressione tradotta con spostamento in linea retta equivale a chokusentekina kūkan idō 直線的な空間移動, che
tradotto in modo più letterale vuol dire “spostamento spazio-temporale rettilineo” o anche, con riferimento al tempo: “spostamento in uno spazio tempo di tipo lineare”.
9 Anche qui, l’espressione spostamento di tipo circolare (enkantekina kūkan idō 円環的な空間移動), letteralmente vuol dire “spostamento spazio-temporale circolare” o anche, con riferimento al tempo: “spostamento in uno spazio-
tempo di tipo circolare”. Altri studiosi, come Hoshino Eiki, si servono del termine kyokusenkei 曲線型 per indicare “il [pellegrinaggio di] tipo circolare”.
corrente di pellegrinaggio. A questo proposito, prendendo come fonte di riferimento
un’enciclopedia, è possibile notare che lo spostamento di tipo lineare viene indicato
come «movimento di andata e ritorno»10, mentre quello di tipo circolare viene
indicato come «movimento circolare»11. In altre parole:
Il pellegrinaggio sacro, nell’immaginario cristiano o islamico, ha il
significato di un movimento – di andata e ritorno – diretto al centro del
mondo; questo è un tipo di movimento quanto mai appropriato al
monoteismo; mentre contrariamente a quest’ultimo, il movimento circolare
risulta essere appropriato per un ambiente culturale di tipo politeista come
quello indiano12.
Ragionando in termini di sacro e mondano, risulta evidente che l’Uomo non può
vivere al di fuori del mondano. Dirigersi verso un luogo sacro, o percorrere un
pellegrinaggio circolare rappresentano delle esperienze che attengono a qualcosa
che appartiene ad una dimensione che è al di fuori dell’ordinario: infatti dopo il
pellegrinaggio è inevitabile tornare nuovamente alla vita di tutti i giorni.
Allontanarsi dalla vita mondana e dirigersi verso ciò che è sacro, viene considerato
come una morte al mondo ordinario. Invece, il ritorno da una dimensione sacra alla
vita di tutti i giorni, viene inteso come una rinascita […]. Quest’ultimo termine
indica appunto una rinascita dell’essenza sacra, propria del nostro Io, che si era
sporcato nella vita mondana. Stando a questa interpretazione, il pellegrinaggio, per
dirla in parole povere, rappresenta un viaggio alla ricerca del proprio vero Io […].
Anticamente, l’essere umano, veniva visto come un microcosmo. Per questo
motivo, l’Uomo in quanto microcosmo, possedeva spontaneamente l’essenza del
sacro dentro di sé. D’altro canto, a causa dell’incapacità di vivere al di fuori della
vita di tutti i giorni, l’Uomo non può evitare di contaminare il proprio spirito nella
vita mondana. In questo caso, per purificarsi, ovvero per ristabilire l’essenza sacra
presente nella propria natura, l’Uomo non può far altro che porsi al centro
10 L’espressione tradotta con movimento di andata e ritorno equivale a ōfuku undō 往復運動.11 L’espressione tradotta con movimento circolare equivale a en undō 円運動.12 «世界大百科事典』(平凡社)の「巡礼」の項目における山折哲雄による記述。詳しくは山折哲雄著『巡
礼の思想』(弘文堂、一九九五年)における「巡礼の往復運動と円運動」と題された参照。なお、巡礼
の構造については、同じく山折哲雄による「巡礼の構造」(真野俊和編「講座日本の巡礼」第三巻『巡
礼の構造と他方巡礼』、雄山閣、一九九六年、所収)をも参照。» (KUROKI, 2009, p. 4, nota 4).
dell’universo e, per fare ciò, è necessario camminare e dirigersi fin lì13 […].
I.3. Struttura del pellegrinaggio
I.3.1. Spostamento in linea retta14
Il fatto che lo spostamento in linea retta – tipico del pellegrinaggio relativo alle
religioni monoteiste – coincida con lo scorrere di un tempo lineare indirizzato
anch’esso verso una meta, ovvero il luogo sacro, è dovuto ad una logica molto
semplice: anche nella vita di tutti i giorni il tempo scorre in maniera rettilinea.
Tuttavia ciò che permea l'idea dello scorrere del tempo in linea retta, e che lo ha
inserito tale nella nostra quotidianità, è proprio il monoteismo.
Anche nell’antica Grecia esisteva il concetto di tempo lineare, e ciò veniva
rappresentato con il mito di Kronos. Tuttavia l'esistenza di Kronos era
intrinsecamente legata a quella di un'altra divinità, Kairos, che rappresentava una
opposta concezione del tempo. In altre parole Kairos rappresentava il tempo che
non scorre. Tuttavia il Cristianesimo (e in generale il monoteismo), sulla base
dell’ideologia della “Creazione dal nulla”, ha “favorito” , dandovi fondamento e
sostanza, Kronos, ovvero il concetto del tempo che scorre. Difatti la “vittoria” di
Kronos rappresenta lo scorrere del tempo che giorno per giorno è scandito dalle
lancette dell’orologio. […]
1.3.2. Spostamento circolare15
Si è già riflettuto sulle dinamiche che hanno portato il tempo mitico (Kronos) a
trovare sostanza in quanto “tempo che scorre”, inorganico e lineare. Quelle stesse
circostanze sono legate al processo che ha visto l’universo mitico – ovvero il
Kosmos – mutare in una sconfinata quanto inorganica dimensione
13 Uno spazio sacro, come il luogo o la meta di un pellegrinaggio, è geograficamente considerato ‘un’ centro dell’universo (KUROKI, 2009, p. 5ss.).
14 Cfrt. nota 8.15 Cfrt. nota 9.
spazio/temporale16 (lo Spazio17). Stando così le cose, attraverso la
sostanzializzazione di Kronos, anche le circostanze che hanno portato
all’indebolimento del suo opposto Kairos, sono senza dubbio collegate alla
scomparsa dell’universo mitico (ovvero il Kosmos). Ho usato l’espressione “senza
dubbio” perché nella nostra epoca, Kronos inteso come tempo che scorre, esiste;
mentre il tempo che rappresenta Kairos resta qualcosa che è solo immaginabile.
Anche riguardo il Kosmos, il discorso non cambia.
Finché il tempo rimarrà connesso così fortemente allo spazio, Kronos continuerà
ad essere collegato allo spazio, mentre la sua controparte Kairos, rimarrà legata a
ciò che esisteva prima dello spazio: il Kosmos. Dunque a seconda dei due tipi di
pellegrinaggio, Kronos rappresenta il pellegrinaggio in quanto direzione verso una
meta sacra, mentre Kairos rappresenta un pellegrinaggio dove è possibile
attraversare uno spazio sacro in cui sopravvive il mondo del mito. Così, in un
pellegrinaggio in cui “sopravvive” Kairos, cosa può essere possibile sperimentare?
Essenzialmente si fa esperienza del Kosmos, ovvero in parole povere si fa
esperienza della sostanza del proprio io profondo connesso con il cielo sulla terra.
Il filosofo Sakabe Megumi, nel capitolo “Il tempo nel pellegrinaggio” 巡礼の時間
del suo libro intitolato Watsuji Tetsurō18, propone delle riflessioni sul famoso testo
del Watsuji, Koji Junrei [ovvero Pellegrinaggio tra gli Antichi Templi] 19[…]. Nel
capitolo vengono sviluppate delle opinioni interessanti sulla relazione tra il
pellegrinaggio e il tempo.
Il Sakabe, per cominciare, classifica la forma del tempo del pellegrinaggio in due
categorie:
[per primo] la forma del tempo del pellegrinaggio a Ise, Gerusalemme, La
Mecca, che propone una qualità di tempo rettilineo-finalistico. Agli antipodi
con quest’ultimo tipo è il modello del tempo nel pellegrinaggio dello
Shikoku, in quanto propone un tipo di tempo circolare, che non possiede un
centro determinato20.
Inoltre, riguardo il modello del tempo circolare aggiunge:
16 L’espressione dimensione spazio/temporale equivale a uchū kūkan 宇宙空間.17 Il termine equivale in giapponese a スペース, che fa riferimento alla parola inglese space.18 SAKABE, 2000, p. 132.19 WATSUJI, 1979.20 SAKABE, 2000, p. 130.
Con solo quest’ultima osservazione rischierei di limitarmi a prendere in
analisi soltanto questo tipo di peculiarità del tempo circolare, mentre è il
caso di menzionare ancora altre, importanti peculiarità. Per cominciare, nel
pellegrinaggio circolare, dove è possibile riconoscere le caratteristiche
proprie di questo modello di tempo?21.
Il quesito viene nuovamente sollevato in quanto spiega perché, rispetto alla forma
di tempo al quale ci siamo adattati (ovvero il tempo lineare e finalistico), la sacralità
di quei pellegrinaggi che possiedono una forma circolare del tempo sia così
complessa e difficile da comprendere. Ancora a proposito del tempo circolare, il
Sakabe spiega
[…] Come dovrebbe essere il tempo in quanto forma che fa da tramite tra
ciò che è visibile e ciò che non lo è, tra la realtà [come noi la conosciamo] e
ciò che possiede una esistenza più forte della realtà22.
[…] Come dovrebbe essere il tempo in quanto forma che fa da tramite tra
questo mondo e “l’altro mondo” (anche se per “altro mondo” non si intende
qualcosa di distinto e definito come qualcosa che – in uno spazio esteso –
sia “al di là”, ovvero in contrapposizione a qualcosa che è “di qua”, ma
piuttosto un mondo altro, posto nello spazio, in una relazione di reciproca
contaminazione con questo mondo). […]
In ultima analisi, la forma di tempo che fa da tramite tra “ciò che è visibile”
(ovvero “la realtà [come noi la conosciamo]”, o anche “questo mondo”) e ciò
che non è visibile (ovvero “ciò che possiede una esistenza più forte della realtà”,
o ancora “l’altro mondo”) è in effetti l’idea di tempo circolare23.
Il fatto che questo tempo circolare non corrisponda a Kronos, è ormai
sufficientemente chiaro. Oggigiorno, l’espressione “tempo circolare” viene
percepita in modo ambiguo ed è difficile da comprendere, proprio a causa di
Kronos, ovvero dell’idea di tempo lineare che possediamo […]. L’espressione
“tempo circolare” rappresenta sostanzialmente Kairos, la controparte di Kronos
21 Ivi, p. 130-1.22 Ibidem.23 Ibidem.
[…].
Possiamo dunque identificare Kairos come un “corpo unico” di spazio e tempo, o
per meglio dire come “un corpo aggregato di spazio e tempo”. Così, il tempo
circolare corrisponde al mondo del mito; tale mondo del mito che è collegato anche
con quel mondo altro, che normalmente noi non vediamo. Tale mondo non si può
considerare, per usare le parole del Sakabe, “come estremo opposto del tempo
finalistico-lineare”24. Tuttavia [trovo che] il seguente commento è in grado di
descrivere in modo appropriato [ciò che intendo dire su] la natura del pellegrinaggio
degli ottantotto templi:
Qui, il tempo (anche se forse si dovrebbe parlare di corpo aggregato di
spazio e tempo) possiede una struttura dualistica in cui i due sensi orario e
antiorario del percorso [circolare del pellegrinaggio] si incrociano
vicendevolmente; e [in tale struttura dualistica] anche il pellegrinaggio, che
è percorribile in ognuno dei due sensi, a sua volta si sdoppia in questa
duplice struttura che comprende ciò che è visibile [ovvero il pellegrino] e
ciò che non è visibile [ovvero Kōbō Daishi]; in tale struttura il pellegrino è
accompagnato dal suo Alter Ego [ovvero Kōbō Daishi] (oppure si può dire
che sia il pellegrino stesso, a portare con sè questo Alter Ego che altri non è
che lo spirito del Daishi25). Inoltre, questa struttura dualistica – che
comprende ciò che è visibile e ciò che non lo è, o in altre parole ‘corpo
dualistico’ e ‘corpo unico’ – si focalizza ora sul concetto di corpo dualistico,
ora su quello di corpo unico, in base al senso - orario o antiorario – in cui si
percorre il pellegrinaggio26. In altre parole, nel percorso in senso orario il
Daishi (colui che possiede un’esistenza più forte di questa realtà), diviene
24 Chokusenteki-mokutekironteki-jikan no tankyoku to shite 直線的目的論的時間の対極として.25 Grande Maestro, riferito a Kōbō Daishi 弘法大師.26 Lett. Questa duplice struttura composta da ciò che è visibile e ciò che non lo è, o ancora corpo dualistico (alter
ego) e corpo unico, rispetto al senso orario o a quello antiorario [con cui si percorre il cammino], inverte la
relazione tra di essi [ovvero corpo univoco e corpo dualistico]. Nella lettura, “corpo unico” ( 本 身 ) e ‘corpo
dualistico’ (o alter ego)(分身), e ancora, ‘ciò che è visibile e ciò che non è visibile’, sono espressioni che in questo caso fanno riferimento a Kōbō Daishi: quando si percorre il cammino in senso orario, il Daishi è dentro il pellegrino, è una guida che è percepibile ma non empiricamente visibile (ciò che non è visibile, dunque parliamo di “corpo unico”, perchè va inteso che il Daishi è tutt'uno col pellegrino); quando invece si percorre il sentiero al contrario, la relazione si capovolge, ovvero Kōbō Daishi diventa visibile, esiste in carne e ossa (corpo dualistico) e c’è la possibilità di imbattersi in lui lungo il cammino (ciò che è visibile). Non a caso gli ideogrammi che in
giapponese vengono usati per indicare corpo dualistico (o alter ego) (分身) hanno anche il significato di “angelo custode”.
l’accompagnatore invisibile del proprio Io27; nel percorso in senso
antiorario, al contrario, il Daishi si rivela [al pellegrino] sotto spoglie visibili
[…]28.
In origine, ciò che era un corpo unico di spazio e tempo29, o anche “un corpo
aggregato di spazio e tempo”30, preservando le due parti in opposizione, si divise in
Kairos e Kronos; infine Kronos si distaccò definitivamente prendendo il
sopravvento. Analogamente, anche il pellegrinaggio ha seguito gli stessi sviluppi.
Lo spostamento in uno spazio-tempo circolare [a differenza di quello in uno spazio-
tempo rettilineo]conserva una forma primordiale, in cui lo spazio e il tempo
rimangono un corpo indivisibile e dove è possibile fare esperienza del cosmo.
Invece, lo spostamento in uno spazio-tempo rettilineo può essere considerato come
una fase in cui Kronos ha già preso il sopravvento. Stando così le cose, il tipo di
pellegrinaggio riscontrabile lungo il cammino degli ottantotto templi, fino a che
punto può essere considerato caratteristico del Giappone, fino a che punto può
essere considerato caratteristico dell’Asia? Inoltre, sincronicamente e
diacronicamente, come substrato culturale autoctono o come substrato archetipico
universale, possiamo dire che [ciononostante] esso [ovvero] il pellegrinaggio di tipo
circolare] possieda delle caratteristiche universali a tutto il genere umano? La
risposta a questi interrogativi dovrebbe sorgere spontanea: è evidente che si tratta di
quest'ultimo caso.
27 L’espressione Io equivale a genshin (o anche utsushimi, utsusemi, utsusomi) 現 身 , traducibile anche con “Io presente” o “Io materico”.
28 Ivi, 131.29 L’espressione corpo unico di spazio e tempo equivale in giapponese a jikū-ittai 時空一体.30 L’espressione corpo aggregato di spazio e tempo equivale a jikū-fukugō-tai 時空複合体.
I.4. Senso orario e senso antiorario nel pellegrinaggio circolare
Il senso in cui percorrere il sentiero lungo il pellegrinaggio è un altro importante elemento che
concerne lo stesso pellegrinaggio circolare in Asia. Come ci è stato accennato precedentemente dal
KUROKI riguardo lo Shikoku Henro, il senso orario o antiorario può assumere, a seconda dei casi,
una vasta connotazione di significati.
In questo paragrafo verrà analizzato brevemente questo tipo di rituale, e si cercherà di dare
maggiore chiarezza alle parole usate dal Kuroki a riguardo. Tracciate delle coordinate storiche per
risalire all’origine, si procederà a confrontare tale rito con il significato che il senso orario e
antiorario assumono nello Shikoku Henro, al fine di comprendere in che maniera si è evoluta questa
pratica.
La pratica di percorrere un sentiero circolare in senso orario è un tipo di venerazione ampiamente
usato nella ritualistica buddhista giapponese, ma tale pratica trova le sue origini in India. L’atto di
“girare intorno” in senso orario rappresenta una forma di venerazione di tipo induista, e veniva e
viene praticata in segno di venerazione in prossimità di luoghi sacri, quali templi, stūpa 31, pire
funerarie, altari. Come sostiene lo studioso Hoshino Eiki ( 星 野 英 紀 ), in un articolo intitolato
Pilgrimage and Peregrination: Contextualizing the Saikoku Junrei and the Shikoku Henro, nella
cultura indiana, girare in senso orario «corrisponde al passaggio del sole nel cielo ed è un
procedimento rituale che richiama alla santità, alla purezza, alla felicità»32; al contrario l’azione di
girare in senso antiorario richiama qualcosa di infausto e viene dunque associato a qualcosa di
contaminato, ad un tabù, o ancora al diavolo, alla morte, a disastri naturali33.
Questa idea che associa il senso orario a qualcosa di benefico, e il senso antiorario a qualcosa di
impuro, venne assorbita anche dal Buddhismo, e gradualmente l’azione di girare intorno agli stūpa
in senso orario arrivò ad essere menzionata nei sūtra buddhisti come un’azione che porta grandi
meriti34. Attraversando il Tibet e quindi la Cina, tale pratica approdò anche in Giappone. Tuttavia,
se presa in esame questa pratica nel contesto giapponese, si potrebbe supporre che il costume di
girare in senso orario, corrisponde ad un tipo di ritualistica che esisteva in Giappone da prima
dell’introduzione del Buddhismo. D’altra parte, volendo analizzare il mito, leggiamo nel Kojiki 古事
記 come le due divinità ancestrali Izanami e Izanagi, girando intorno al pilastro del cielo, danno vita
31 Tipo di edificio sacro, generalmente di forma cilindrica, sorto in India tra il 190 e il 75 a.C. Il più antico stupa conosciuto risale al 100 a.C. Secondo la tradizione, lo stūpa accoglierebbe al suo interno le ossa di un Buddha. In
giapponese busshari 仏舎利, o sharitō 舎利塔 , o semplicemente shari 舎利 (ovvero “torre che accoglie i resti del Buddha”).
32 HOSHINO, 1997, p. 281.33 Ibidem.34 Ibidem.
alle divinità del Giappone35.
Passando ora ad analizzare le differenze tra il fenomeno giapponese e quello indiano del
pellegrinaggio circolare e del senso in cui percorrerlo, è importante notare come prima cosa che i
pellegrinaggi circolari in Giappone sono molto più lunghi dei pellegrinaggi circolari in India. E
questo vale non soltanto per lo Shikoku henro, ma anche per il Saikoku junrei 西国巡礼. Questi due
tipi di pellegrinaggi hanno una lunghezza che supera i 1000 kilometri36; una estensione notevole, se
la si paragona a quella dei pellegrinaggi in India (come quello di Benares) o in Cina, che invece
possono richiedere anche solo un paio d’ore di cammino. Questa prima differenza in fatto di
ampiezza porta a riflettere su alcuni punti: in primo luogo l’approccio emotivo di una persona
(credente o “avventuriero” che sia) che si cimenta in un pellegrinaggio di più di 1000 kilometri, è
certamente diverso dall’approccio di chi decide di praticare un pellegrinaggio di qualche ora.
Questo non perché un viaggio di 1000 kilometri comporti necessariamente uno sforzo di fede (o di
volontà) maggiore. Questo tipo di dinamiche “interne” resta qualcosa di soggettivo, ma è comunque
indubbio che un viaggio di tale lunghezza possa comportare altri tipi di difficoltà oggettive.
Anzitutto un tragitto di un’estensione spaziale di circa 1400 kilometri (è il caso dello Shikoku
Henro) finisce col comportare per il viaggiatore anche un’estensione temporale notevole. Quindi
ciò causerebbe un’assenza prolungata dalla vita familiare e sociale (minimo un mese per chi
percorre a piedi il cammino degli ottantotto templi); con “vita sociale” si fa riferimento anche a vita
lavorativa, e in generale (ma in Giappone particolarmente) non se ne vedono molti di lavori in cui è
possibile concedersi una quarantina di giorni di vacanza. Pellegrinaggi del genere possono inoltre,
per alcuni, venire a rappresentare un certo impegno economico. Un pellegrinaggio di un mese non
sarà certo economicamente impegnativo come una vacanza (almeno per coloro che intendono
praticarlo in maniera tradizionale), tuttavia può comportare delle spese tutt’altro che insignificanti
anche se lo si pratica con una certa “austerità”. Si pensi solo alla spesa che comporta acquistare i
timbri e le stampe di almeno ottantanove templi37. In genere per molti pellegrini, entrarne in
35 GORAI, 1981 p. 2. (citato da HOSHINO, 1997, p. 282). Anche se in HOSHINO non viene chiarito in quale senso le due divinità girino intorno al pilastro.
36 «In the case of Saikoku, according to the guidebook Saikoku junrei saikenki 西国巡礼細見記 [Detailed records of the Saikoku pilgrimage] published in 1776, the whole route from the first temple to the thirty-third was given as 230
ri, or approximately 1,000 kilometers. In the case of Shikoku, the guidebook Shikoku henro michi shirube 四国遍路
道指南 [Guide to the roads of the Shikoku pilgrimage] published in 1687 estimated that the distance from the first temple to the eighty-eight was 304 ri, or approximatedly 1,200 kilometers. In fact, the present-day Shikoku route is, according to the calculation of the geographer TANAKA Hiroshi (who measured the route by walking the whole Shikoku pilgrimage while carrying a pedometer), 1,385.6 kilometers in length (1983, p. 82)» HOSHINO 1997, p. 284s.
37 Nel conto rientra anche il timbro che si riceve nello oku no in 奥の院 del monte Kōya. Per approfindire oku no in si veda III.2.
possesso può rappresentare molto più di un semplice souvenir da riportare a casa, quindi questa
spesa non è da considerarsi come un “lusso”. Questo vale ancor più per chi ne entra in possesso
“onestamente” (come talvolta si dice lungo il cammino), ovvero facendo tutto il percorso a piedi,
senza servirsi dei mezzi come autobus, taxi, treni, etc. Si aggiungano le offerte minime, l’incenso,
le candele, le spese essenziali per il gadget da portare in viaggio (di cui si parlerà esaurientemente
negli articoli successivi). Si aggiungano a questo anche i pasti e il pernottamento.
In secondo luogo, è importante notare come l’approccio cognitivo cambi rispetto ad un pellegrino
che percorre un viaggio religioso in India e di chi ne percorre uno in Giappone. Nel caso del
pellegrinaggio circolare in India, datane la brevità, il pellegrino è in grado di percepire la circolarità
del percorso. Nel caso dello Shikoku Henro o del Saikoku Junrei, invece, il cerchio rimane un
elemento geografico e simbolico, ma non può essere percepito come tale da chi lo sta percorrendo,
poiché a causa di una tale estensione, durante il cammino si avverte la sensazione di andare diritto
lungo un sentiero senza fine, piuttosto che camminare in circolo. Sebbene si tratti di un percorso
circolare, l’idea che ad un tempio numero uno segua un tempio numero due e così via, contribuisce
a creare l’illusione della linearità. Quest’ultimo accenno al numero dei templi ci porta ad un’altra
osservazione. Pellegrinaggi in cui un viaggiatore visiti un certo numero di luoghi sacri, esistono in
molte altre culture, ma solo in Giappone l’ordine e l’esatto numero dei luoghi sacri viene rispettato
a tal punto38. Lungo il Cammino di Santiago, similmente al pellegrinaggio dello Shikoku, esiste
l’usanza di ricevere un timbro, anche se ciò avviene generalmente nei luoghi in cui ci si ferma a
passare la notte. Dunque esistono dei posti creati appositamente per i pellegrini; tuttavia tali luoghi
non hanno una numerazione, né tanto meno esiste un criterio che suggerisce di passare per un certo
posto prima di passare per un altro. Questo perché a differenza dello Shikoku Henro, i luoghi in cui
si riceve un timbro lungo il Cammino di Santiago, non sono monasteri o edifici in cui si praticano
funzioni religiose (salvo qualche caso, dove il luogo di accoglienza coincide con una chiesa). Nel
pellegrinaggio in Spagna il criterio che spinge un pellegrino a scegliere il luogo dove passare la
notte, può anche essere semplicemente la disponibilità di posti che un albergue39 ha a disposizione.
In un centro abitato, (meno comunemente luoghi montuosi o disabitati, frequenti invece nello
Shikoku Henro), solitamente vi sono raccolti in modo sparso più di un albergue, dove è possibile
chiedere di passare la notte. Come per lo Shikoku Henro, così per il Cammino di Santiago, i luoghi
che offrono riparo gratuitamente sono andati diminuendo negli anni, ma normalmente è possibile
fermarvisi donando una somma di denaro ragionevolmente piccola, o ancora facendo una donazione
simbolica, secondo le proprie possibilità. Un’altra analogia tra lo Shikoku Henro e il Cammino di
38 HOSHINO, 1997, p. 286.39 Si tratta generalmente, per chi pratica il pellegrinaggio alla maniera “classica”, di luoghi molto sobri ed essenziali,
che offrono un letto o un suo surrogato dove passare la notte; talvolta viene messo a disposizione semplicemente uno spazio al coperto, e il pellegrino provvede da sé a farne un giaciglio. Si consulti a questo proposito CURATOLO e GIOVANANZA, 2006.
Santiago concerne la durata del pernottamento; in entrambi i casi è richiesto ai pellegrini di sostare
una sola notte, principalmente per dare anche ai viaggiatori che verranno l’indomani la possibilità di
trovare un posto dove stare. Ma ovviamente tali regole non sono così rigide da non poter
considerare alcune dovute eccezioni. Nel caso in cui un pellegrino si ferisse ai piedi (vesciche e
impedimenti di questo tipo sono piuttosto comuni) o si ammalasse, e per questo genere di
motivazioni fosse impossibilitato a proseguire il cammino il giorno successivo, in luogo del
regolamento si fa affidamento al buon senso.
Il punto conclusivo verte sul gyaku uchi 逆打ち, ovvero la pratica del percorso in senso antiorario
nello Shikoku. Come si è evinto in precedenza, in India girare intorno ad un luogo sacro in senso
antiorario, oltre a rappresentare un tabù culturale, è un’azione che viene vista in maniera fortemente
negativa. Nel pellegrinaggio dello Shikoku, al contrario, a tale pratica vengono riconosciute virtù
diverse ma in ogni caso non inferiori a quelle che evoca il percorso in senso orario. Anzi, per certi
aspetti fare il percorso al contrario può portare meriti40 e benefici anche maggiori. Occorre spendere
ancora qualche parola per spiegare i motivi di questa interpretazione.
In primo luogo, esiste una spiegazione pratica sul perché fare il percorso in senso antiorario in
effetti possa arrecare benefici maggiori rispetto alla pratica comune in senso orario: procedere al
contrario richiede un maggiore impegno e rende il pellegrinaggio oggettivamente più arduo da
realizzare. Anzitutto perché le indicazioni lungo il sentiero sono fatte essenzialmente per coloro che
procedono in senso orario; dunque procedere in senso antiorario comporta una maggiore difficoltà a
trovare i segnali per seguire la strada giusta e di conseguenza comporta un rischio maggiore di
smarrirsi lungo il cammino41. Inoltre fare il percorso al contrario significa imbattersi in un numero
maggiore di salite o scalate. Così, praticare il pellegrinaggio in senso antiorario ha, nello Shikoku
Henro, un significato positivo. Ma esistono ancora altre ragioni.
Come ha scritto il Kuroki, facendo il percorso al contrario si ha l’occasione di incrociare lungo il
cammino Kōbō Daishi42 in carne ed ossa. Ma cosa vuol dire esattamente incontrare Kōbō Daishi, e
40 Con tale espressione si fa riferimento alla dottrina buddhista. Generalmente l’atto di “accumulare” meriti, ovvero compiere buone azioni, nel Buddhismo è visto come un mezzo per migliorare il proprio karma, se non addirittura per accorciare la “strada” che conduce al Risveglio.
41 Talvolta si può rischiare di perdersi persino percorrendo il sentiero in senso orario. Questo dipende soprattutto dalle strade da percorrere che vengono scelte. Lungo il cammino degli ottantotto templi in effetti è piuttosto raro avere un solo sentiero da percorrere; ci sono casi in cui persino uno tra i possibili sentieri si divide in più percorsi, che pur conducendo allo stesso luogo portano en passant a luoghi sacri diversi. Comunque può capitare, se si sceglie di prendere un percorso antico (ne sopravvivono ancora molti), che le unità di misura riportate non siano più in uso (e che quindi non ci si renda conto di quanto manchi al “prossimo” tempio), o anche che persino le indicazioni siano finite con l’essere, spesso del tutto, inghiottite dalla vegetazione (si tratta per lo più di sentieri montuosi). Io stesso ho più volte perduto il senso dell’orientamento lungo questi sentieri. Questo la dice lunga sulle difficoltà che si possono incontrare facendo il percorso al contrario.
42 La figura di Kōbō Daishi, la sua opera di propagazione e diffusione del Vajrayana, o Buddhismo esoterico in Giappone, viene approfondita negli articoli successivi.
quale relazione esiste con la pratica del percorso in senso antiorario? Le risposte a queste domande
toccano il secondo punto dell'analisi sul gyaku uchi, quello legato alla pratica esoterica. È
importante riflettere su questo punto, poiché distingue non solo quella che è una peculiarità dello
Shikoku Henro, ma ne pone in evidenza anche l’aspetto esoterico. Si può dire del Buddhismo
esoterico, che esso abbia rappresentato nella storia del Buddhismo una profonda intuizione, che ha
cambiato notevolmente quella visione del Buddhismo antico orientata in senso manicheista, dove si
soleva distinguere le pratiche virtuose – e culturalmente accettate – come l’astinenza sessuale da
parte dei religiosi, dalle pratiche non virtuose (che coincidevano con i tabù culturali), come ciò che
riguardava la sfera della sessualità. In questo caso, praticare un percorso in senso orario, al pari di
compiere azioni riconosciute culturalmente come virtuose, porta beneficio ed avvicina al Risveglio
spirituale. Al contrario, praticare un percorso in senso antiorario, al pari di compiere azioni
riconosciute come negative, porta ad allontanarsi dalla saggezza.
Tuttavia il Buddhismo esoterico ci ha insegnato che questo non è necessariamente vero. Pratiche
religiose come il cosiddetto “amore tantrico”, al pari di percorrere un sentiero sacro in senso
antiorario, se interpretati a fondo e praticati con la giusta attitudine, possono divenire anch’esse un
mezzo di virtù. È questa una delle grandi intuizioni del Buddhismo esoterico, che oltre ad aver
affrontato vecchi tabù, contrastando quindi l’ordine di idee stratificatosi nel tempo, ha fornito
filosoficamente e umanamente una prospettiva dei valori umani più ampia e positiva.
Dunque, praticare il percorso in senso orario porta in termini esoterici alla nascita di Kōbō Daishi
dentro di sé, che divenuto strettamente legato al pellegrino, permette di riconoscere il giusto
sentiero (fisico e spirituale) da seguire per purificare la propria anima. Praticare un percorso “al
contrario” invece, non vuol dire allontanarsi dalla retta via, perché di fatto si cammina ugualmente
sullo stesso sentiero: facendo il percorso in senso antiorario il Daishi non è presente dentro di sé,
ma è possibile incrociarlo lungo il pellegrinaggio e vederlo in carne ed ossa. Del resto non è stato
forse detto che i pellegrini che incrociano chi prende il sentiero in senso antiorario portino dentro di
sé lo spirito del Daishi? In effetti, praticare il cammino al contrario, significa incrociare i pellegrini
che praticano il percorso in senso orario, e che secondo quanto si tramanda portano il Daishi dentro
di sé. Sarebbe tuttavia sbagliato pensare all'incontro con Kōbō Daishi come alla metafora
dell'incontro con altri pellegrini, giacchè essendo tramandato che è possibile incontrare Kōbō
Daishi, pensare a priori che si tratti di una metafora corrisponderebbe ad una interpretazione
soggettiva, che magari non coincide con il pensiero di un credente. È tuttavia corretto dire che
giacchè tutti i pellegrini o gli abitanti dei luoghi dove si cammina, potrebbero portare in sé lo spirito
di Kōbō Daishi, o potrebbero essere una sua manifestazione, è giusto porsi nei riguardi di tutti gli
esseri viventi come se ci si ponesse di fronte a Kōbō Daishi. Questo tipo di intuizione, deriva
semplicemente dalla pratica, dalla convinzione, e dall'attitudine con cui si vive il pellegrinaggio.
L'esoterismo non fa dunque riferimento soltanto allo studio di nozioni, ma è soprattutto legato alla
corretta intuizione che deriva dallo spirito sincero con cui si pratica. È per questo motivo che il
Buddhismo esoterico, oltre ad essere per il suo stesso nome difficile da intendere, è anche difficile
da comprendere, poiché presuppone pure uno sforzo attivo da parte del pellegrino. Presuppone una
attitudine al risveglio. La tradizione non insegna che chi percorre il sentiero al contrario si imbatterà
in Kōbō Daishi, bensì ci dice che c’è la possibilità che il pellegrino si imbatta in Kōbō Daishi.
Questa possibilità, evidentemente, non può essere stabilità dal Daishi; il punto è se il pellegrino sia
in grado oppure no di riconoscere Kōbō Daishi lungo il cammino. Chi sceglie di fare il percorso al
contrario senza averlo mai fatto in senso orario, potrebbe facilmente smarrirsi lungo la strada o
persino arrivare a mancare della volontà necessaria a superare le avversità e completare il cammino;
per costui, in effetti, praticare tale via in senso antiorario, potrebbe risultare – come per tutte le
pratiche tantriche – infruttuoso se non in certa misura negativo, qualora prima non abbia lavorato
sufficientemente su se stesso. In tale senso, questo tipo di sforzo può essere chiamato “attitudine”.
Chi percorre il senso orario lo fa per purificare la propria anima. Per questo si usa dire che il Daishi
entra nell’anima del pellegrino; questo vuol dire che è l’anima del pellegrino che, per mezzo della
pratica inizia a purificarsi. Se una persona non sufficientemente pronta spiritualmente, scegliesse di
praticare il percorso al contrario, potrebbe non riuscire comunque a “vedere” Kōbō Daishi. Ecco
perché una pratica del genere, che chiamiamo “esoterica”, richiede uno sforzo maggiore. Se
osservata in tal modo, la pratica del percorso in senso antiorario potrebbe rappresentare persino una
tappa successiva – oltre che più impegnativa – al Risveglio. In questo senso, percorrere il sentiero al
contrario, non dunque è qualcosa di antitetico né qualcosa di negativo rispetto alla pratica in senso
orario.
Analizzata da una certa prospettiva, la pratica in senso orario coincide con un lavoro interiore
(finchè la fede perdura in chi cammina, Kōbō Daishi è dentro il pellegrino, non lo abbandona mai,
purifica il suo spirito e gli indica la giusta via da seguire); nella pratica in senso antiorario, invece, il
pellegrino aggiunge, oltre a un lavoro su di sé, un lavoro attivo su tutto ciò che esiste intorno a sé.
Con il cuore pulito, il pellegrino diventa capace non solo di seguire, ma di confrontarsi con il
mondo che lo circonda. Kōbō Daishi è fuori dall’Io del pellegrino, e diventa ora possibile
incontrarlo fisicamente. E il pellegrino che, anche camminando per una via apparentemente senza
segnali diventa in grado di seguirla senza smarrirvisi, è ora pronto per incontrare il Daishi.
Per chi pratica con fede il cammino in senso antiorario, è implicito il messaggio di trattare
qualsiasi esistenza in cui ci si imbatte come se fosse il Daishi; e tale pratica coincide in questo
senso con un lavoro sull’altro.
Elio Bova
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