Commons Contro e Oltre Il Capitalismo

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Commons contro e oltre il capitalismo on 31 Marzo 2014. di NC  Il tema dei commons, tradotti solitamente in italiano come beni comuni, evoca un immaginario potente, un’idea attraente di legame caldo contro l'isolamento ed individualismo sempre più parossistici dell’attualità. Tuttavia essi oggi hanno raggiunto una pericolosa trasversalità, e rappresentano un terreno estremamente scivoloso, all’interno del quale si sono affermate prospettive molto differenti (sino ad arrivare in Italia a far  parte delle campagne di Cgil e Pd che hanno parlato del Lavoro e dell'Italia come beni comuni...). Se è evidente come un uso di questo tema da parte dei movimenti anticapitalisti non possa che basarsi su una preliminare sottrazione dei beni comuni dal tema del bene comune (una affinità linguistica prodotta dalla lingua italiana), è interessante ricostruire una genealogia di come il discorso sui commons sia venuto affermandosi su scala planetaria negli ultimi due decenni. Per fare questo proponiamo il report di un incontro tenutosi al 16 Beaver, uno spazio di movimento situato a South Manhattan. Un luogo nato come sede di gruppi artistici nel 1998, e trasformatosi a seguito di Occupy. La vicinanza con Zuccotti Park lo rese infatti uno spazio molto attraversato dagli attivisti del movimento, e oggi ospita un fitto calendario di iniziative e dibattiti. Il 26 marzo si è ivi tenuto un incontro con Silvia Federici [storica militante del femminismo autonomo e autrice di “Calibano e la Strega. Donne, corpo e accumulazione primitiva” e del recente “Il punto zero della rivoluzione”, tradotto in italiano e di imminente pubblicazione per ombre corte] e George Caffentzis [filosofo del cosiddetto autonomist marxism  ] i cui testi vengono pubblicati negli States dalla casa editrice indipendente Autonomedia. I due autori, che fanno anche  parte del collettivo Midnight Notes [il cui ultimo lavoro “Promossory Notes   From Crisis to Commons”  del 2009 è indubbiamente uno dei migliori testi  per una lettura politica della crisi attuale], hanno intavolato una discussione su una loro recente pubblicazione, “Commons against and beyond capitalism” , uscita in autunno sulla rivista radicale canadese Upping the  Anti. “... senza la pratica della riappropriazione delle risorse, i commons finiscono unicamente per essere una forma di redistribuzione della povertà...” Caffentzis introduce la discussione con alcuni cenni storici. Nel 1989 a New  York si ritrovano una serie di compagni e compagne che dieci anni prima avevano dato vita al progetto collettivo Midnight Notes. Durante gli anni

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Commons contro e oltre il capitalismoon 31 Marzo 2014.di NCIl tema dei commons, tradotti solitamente in italiano come beni comuni, evoca un immaginario potente, unidea attraente di legame caldo contro l'isolamento ed individualismo sempre pi parossistici dellattualit. Tuttavia essi oggi hanno raggiunto una pericolosa trasversalit, e rappresentano un terreno estremamente scivoloso, allinterno del quale si sono affermate prospettive molto differenti (sino ad arrivare in Italia a far parte delle campagne di Cgil e Pd che hanno parlato del Lavoro e dell'Italia come beni comuni...). Se evidente come un uso di questo tema da parte dei movimenti anticapitalisti non possa che basarsi su una preliminare sottrazione dei beni comuni dal tema del bene comune (una affinit linguistica prodotta dalla lingua italiana), interessante ricostruire una genealogia di come il discorso sui commons sia venuto affermandosi su scala planetaria negli ultimi due decenni. Per fare questo proponiamo il report di un incontro tenutosi al 16 Beaver, uno spazio di movimento situato a South Manhattan. Un luogo nato come sede di gruppi artistici nel 1998, e trasformatosi a seguito di Occupy. La vicinanza con Zuccotti Park lo rese infatti uno spazio molto attraversato dagli attivisti del movimento, e oggi ospita un fitto calendario di iniziative e dibattiti. Il 26 marzo si ivi tenuto un incontro con Silvia Federici [storica militante del femminismo autonomo e autrice di Calibano e la Strega. Donne, corpo e accumulazione primitiva e del recente Il punto zero della rivoluzione, tradotto in italiano e di imminente pubblicazione per ombre corte] e George Caffentzis [filosofo del cosiddetto autonomist marxism] i cui testi vengono pubblicati negli States dalla casa editrice indipendente Autonomedia. I due autori, che fanno anche parte del collettivo Midnight Notes [il cui ultimo lavoro Promossory Notes From Crisis to Commons del 2009 indubbiamente uno dei migliori testi per una lettura politica della crisi attuale], hanno intavolato una discussione su una loro recente pubblicazione, Commons against and beyond capitalism, uscita in autunno sulla rivista radicale canadese Upping the Anti.... senza la pratica della riappropriazione delle risorse, i commons finiscono unicamente per essere una forma di redistribuzione della povert...Caffentzis introduce la discussione con alcuni cenni storici. Nel 1989 a New York si ritrovano una serie di compagni e compagne che dieci anni prima avevano dato vita al progetto collettivo Midnight Notes. Durante gli anni Ottanta molti di loro avevano girato il mondo, potendo toccare con mano gli effetti dellinstaurarsi su scala globale del nascente neoliberalismo. Il confronto fra queste esperienze realizzatesi prevalentemente in Asia, Africa e Sud America, produsse una importante pubblicazione nel 1990, The new enclosures.In questo scritto il collettivo si interrogava su come dare una lettura dei Piani di aggiustamento strutturale e delle politiche di risanamento del debito (che oggi, rovesci della storia, conosciamo bene anche in Europa), attraverso i quali Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale stavano depredando ampie zone del pianeta. Una lettura che potesse fornire una descrizione alternativa a quelle vigenti, in grado di mostrare le lotte in corso. Ci venne sviluppato attraverso il ricorso alle pagine marxiane del Capitale nelle quali viene descritta la cosiddetta accumulazione primitiva. Un processo che gli autori trovarono calzante ed attuale per comprendere i processi in atto su scala globale, definiti sostanzialmente come ripetizione della dinamica descritta da Marx e come attacco ai commons. Questi, intesi come forme di produzione comunitaria, erano il reale target delle politiche delle istituzioni del rinnovato capitale globale.Nello stesso anno tuttavia esce un altro libro che tratta il tema dei commons, elaborato dalleconomista americana Elinor Ostrom: Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action. Questa produzione teorica di taglio accademico, che avr un discreto successo arrivando sino ad oggi (agevolando anche la formazione di The International Association for the Study of the Commons The leading professional association dedicated to the commons), presenta unanalisi estremamente differente ed in contrasto con quella elaborata da Midnight Notes. Mentre questi guardano ai commons non solo come oggetti sotto attacco ma anche come possibili elementi per la lotta anticapitalista, Ostrom sostanzialmente li inquadra entro un quadro di trasformazione legale, proponendoli come una sorta di terza via tra il pubblico ed il privato tutta interna al sistema capitalistico. Nei suoi studi sullAfrica, ad esempio, essa afferma che il common managment funziona economicamente meglio rispetto alla via privata indicata dalla World Bank.Federici si inserisce nella discussione mostrando come, pur allinterno di un linguaggio simile, si innestino tuttavia due prospettive radicalmente differenti. Alloggi inoltre, notano gli autori, il capitalismo necessita di una sorta di commonism come freno ai problemi interni alla sua riproduzione. Dunque i due vedono come necessario rilanciare un discorso sui commons che li veda invece quali base per la resistenza e trasformazione del presente. Viene inoltre discusso come, anche laddove il tema dei commons venga agito all'interno di contesti anticapitalisti, si spesso determinata una dimensione problematica quando questi vengono vissuti come embrioni gi costituiti di una societ a venire. Questo infatti conduce a tematizzare la possibilit illusoria di isole felici, una sorta di rovescio speculare delle gated community, mentre purtroppo nel nostro presente il miglioramento individuale difficilmente avviene se non a discapito di altri...Aggiornando le analisi dei primi anni Novanta, riprende il filo Caffentzis, molte ipotesi di allora paiono confermate. Da un lato il fatto che per il capitale i luoghi stanno divenendo sempre pi indifferenti, dallaltro questo nuovo e continuo ripetersi di dinamiche di accumulazione primitiva. Viene precisato come questa non debba essere letta in maniera superficiale come lappropriazione delle terre comuni. Lobiettivo di questa forma di accumulazione sono infatti le persone, o per meglio dire la separazione di esse dalla terra (ma stesso discorso vale per gli oceani, le foreste, sino a giungere oggi all'informazione). Questa dinamica infatti produce unenorme massa di forza-lavoro, che non a caso ha determinato un enorme aumento del mercato del lavoro su scala globale negli ultimi anni. Dunque il fine la produzione di forza-lavoro, non lappropriazione privata della terra.Federici interviene sostenendo che la crisi attuale ha mostrato come sia rispetto al Mercato che allo Stato ci sia la crescente determinazione a non concedere pi risorse per nessuno, come manifesto nei continui tagli alleducazione, alla salute ecc... Ci conduce alla necessit di ricostruire forme di solidariet, un tessuto sociale, un potere di base che possa effettivamente funzionare come contropotere rispetto a questo violentissimo attacco alle condizioni di vita. Ci si riferisce a forme di organizzazione sociale, di solidariet diffusa, che dopo gli anni Sessanta (negli USA) sono state totalmente distrutte. Il riferimento ai quartieri proletari estirpati da sfratti e gentrification, dove le forme comunitarie di sostegno reciproco garantivano una base di potere, una precondizione necessaria e da ripensare oggi. In questottica il tema dei commons deve essere visto come una forma di ricollettivizzazione contro lindividualizzazione radicale della produzione. Ed entro la completa crisi dei servizi sociali si aprono spazi di possibilit per pensare i commons come potere trasformativo, come forma di connessione sociale e creazione di nuove modalit di produzione e riproduzione.Caffentzis sottolinea come la loro teoria dei commons implichi il vederli come molteplicit, ossia pensare assieme la necessit di risorse, le pratiche di resistenza, e la sperimentazione e prefigurazione di nuove forme sociali. Se non si fa ci il rischio che il discorso sui commons si trasformi in una retorica governativa che punta a tagliare ulteriormente le prestazioni del pubblico. Cosa che in qualche modo accaduta in Inghilterra, dove la Big Society proposta da Cameron sostanzialmente fa leva sullidea della possibilit delle comunit di soddisfare autonomamente i propri bisogni per poter sottrarre ulteriori risorse. Federici rimarca dunque come i commons debbano necessariamente essere una base per la rivendicazione di risorse. Il mutualismo pu certamente essere una base, ma senza la pratica della riappropriazione di queste i commons finiscono per essere unicamente una forma di redistribuzione della povert.Dopo una serie di domande ed interventi, riprende la parola Caffentzis, segnalando come il tema dei commons abbia avuto, ben prima degli scritti di Midnight Notes, un attacco radicale. Questo venne prodotto da Garret James Hardin, un ecologo statunitense famoso per un saggio del 1968 chiamato La tragedia dei commons. Basandosi sul famoso Dilemma del prigioniero, un paradosso elaborato da Albert Tucker nellambito della teoria dei giochi [per spiegazioni si pu cercare su Wikipedia], larticolo volle dimostrare come i commons fossero inevitabilmente destinati a fallire. Caffentzis elabora una critica sia empirica che teorica allo scritto di Hardin, attraverso una decostruzione che mostra come lerrore di fondo di questa impostazione stia nel sovrapporre lidea di commons a quella di open access. Questultimo concetto infatti immagina sostanzialmente uno spazio vuoto di accesso del quale tutti si possano liberamente servire. Invece i commons sono il prodotto di mondi storici e culturali, implicano sempre anche una pratica del commoning, ossia una trama di relazioni, delle forme di intercomunicazione [mentre il paradosso di Ticker basato proprio sullincomunicabilit], delle regole di gestione ecc... che non li definisco appunto che ambiti di libero accesso in quanto vuoti, bens come terreni densi di relazioni nei quali sono implicite forme di reciprocit. Non sono cio oggetti di cui appropriarsi. Anche su questo aspetto diviene evidente dunque la scivolosit del tema dei commons, od il loro possibile utilizzo ideologico in direzioni differenti. Non a caso anche Ostrom critica Hardin, tuttavia entro una prospettiva che tende a condurre ad una difesa in forma di chiusura dei commons, inquadrarli come dimensioni che spesso conducono alle gated communites o anche allidea applicata in Europa della restrizione delle migrazioni.Federici si collega a questa riflessione articolando una ragionamento sullo spazio (pubblico). Se da un lato la sua costante e progressiva sottrazione/erosione (esemplare a New York, ma rinvenibile anche ad esempio nelle spiagge in Italia) evidente, bisogna fare attenzione a non sovrapporre semplicisticamente il tema dello spazio pubblico (e del pubblico pi in generale) ai commons. Questi, in quanto multidimensionali, comprendono anche lo spazio, ma in modo inestricabile rispetto alle relazioni sociali che su di esso si sviluppano, che sono pi importanti. Infatti alla domanda che viene posta se il Pianeta Terra possa essere considerato un commons, la risposta un categorico no. Senza forme di lotta, vera sorgente di creazione dei commons e di connessione fra persone e determinante di nuove relazioni, unimpostazione che inquadri il pianeta come commons finisce inevitabilmente per fare da sponda a retoriche del tipo Nazioni Unite. Caffentzis sottolinea come al limite, laddove si definissero processi di world wide struggle che conducessero ad una comunit dellumanit, si potrebbe pensare in questi termini. Ma allattuale tutto questo indubbiamente non c. I due relatori chiariscono come sia evidente che nellagone politico il tema delicato da trattare. Portano l'esempio di alcuni economisti californiani che di recente hanno fatto una stima del valore complessivo della Terra (47 trilioni di dollari), e di come evidentemente di fronte a questi approcci, o alla generale volont capitalistica di voler privatizzare il pianeta, verrebbe da rispondere sostenendo che la Terra appartiene a tutti. E per in questa contro-argomentazione presente un forte rischio. Se infatti il tema dei commons non viene situato in contesti e luoghi specifici, in relazioni determinate, esso finisce involontariamente per legittimare le retoriche attraverso le quali le istituzioni globali espropriano le popolazioni in giro per il mondo. Viene portato lesempio dellAmazzonia. Se tutti siamo proprietari del Mondo e le foreste amazzoniche sono un bene comune dellumanit, una propriet sulla quale tutti possono decidere, diviene dunque legittimo che le popolazioni che in questo momento abitano quei luoghi vengano da essi cacciati per evitare che ne consumino le risorse. In questo apparente paradosso si mostra come una logica del possesso collettivo della terra da parte di una supposta umanit conduca allespropriazione diretta delle comunit concrete che abitano il pianeta. Lidea stessa di umanit infatti oggi uno strumento nelle mani del nemico.Lincontro si conclude con una discussione sull'importanza ed i limiti di Occupy nel vivere la piazza occupata come sperimentazione di una pratica del commoning, sulla necessit di pensare una capacit di riproduzione dei movimenti che dunque, oltre alle forme molari (come ad esempio i cortei) possano avere dimensioni molecolari di riproduzione di vita. Viene infine suggerita la lettura di un romanzo: http://zinelibrary.info/files/p.m.__bolo'bolo.pdf, nel quale lautore prefigura una societ dei commons in cui, in maniera chiaramente da romanzo, viene per discusso come questa debba essere pensata non come insieme di comunit chiuse (un po come le Nazioni Unite), ma come continua circolazione e scambio.