Capitalismo e riconoscimento: 90 (Studi e saggi)...

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LDB

STUDIESAGGI–90–

AxelHonneth

Capitalismoericonoscimento

acuradiMarcoSolinas

FirenzeUniversityPress2010

Capitalismoericonoscimento/AxelHonneth.–Firenze:FirenzeUniversityPress,2010.(Studiesaggi;90)http://digital.casalini.it/9788864530741ISBN978-88-6453-071-0(print)ISBN978-88-6453-074-1(online)

Reconnaissanceet

reproductionsocialeArbeitundAnerkennung.VersucheinerNeubestimmungOrganisierteSelbstverwirklichung.ParadoxienderIndividualisierungParadoxiendesKapitalismus.EinUntersuchungsprogrammAnerkennungalsIdeologie©AxelHonnethWithfriendlypermissionof

SuhrkampVerlagFrankfurtamMain2009AllrightsreservedTraduzionediMarcoSolinas

Immaginedicopertina:©Icefields|Dreamstime.comProgettograficodiAlbertoPizarroFernández

©2010FirenzeUniversityPressUniversitàdegliStudidiFirenzeFirenzeUniversityPressBorgoAlbizi,28,50122Firenze,Italyhttp://www.fupress.com/PrintedinItaly

Sommario

NotaintroduttivadiMarcoSolinas

Prefazione

Capitolo1Riconoscimentoeriproduzionesociale.Suifondamenti

normatividiunateoriadellasocietà

1.Sulsignificatopolitico-morale delconcetto diriconoscimento

2.Ilprogrammafilosofico-sociale diHegel

3. Le formefondamentali

delriconoscimento

4. Per unaricostruzionedei conflittidistributivicome lotteper ilriconoscimento

Capitolo2Lavoroericonoscimento.

Perunaridefinizione

Capitolo3Autorealizzazioneorganizzata.Paradossidell’individualizzazione

Capitolo4Paradossidelcapitalismo.Unprogrammadi

ricerca1. Potenziali

normatividelle societàcapitalistiche

2. Progressimoralinell’era«socialdemocratica»

3.Larivoluzioneneoliberale

4. Sul concettodiparadosso

5. Paradossidellamodernizzazionecapitalistica

Capitolo5Riconoscimentocomeideologia

Bibliografiadelleoperecitate

Indicedeinomi

Notaeditoriale

1. Riconoscimento e riproduzionesociale.Suifondamentinormatividiunateoria della società è apparso con iltitolo Reconnaissance et reproductionsociale, in Jean-Paul Payet, AlainBattegay (éds.), La reconnaissance àl’épreuve. Explorations socio-anthropologiques,PressesUniversitairesdu Septentrion (Le regardsociologique),Villeneuve d’Ascq, 2008,pp. 45–58; la traduzione però è stata

fatta sul testo in tedesco (inedito)originale.

2. Lavoro e riconoscimento. Peruna ridefinizione è la traduzione diArbeitundAnerkennung.VersucheinerNeubestimmung, in «DeutscheZeitschrift für Philosophie», 56/3(2008),pp.327–341.

3. Autorealizzazione organizzata.Paradossi dell’individualizzazione è latraduzione di OrganisierteSelbstverwirklichung. Paradoxien derIndividualisierung, in Axel Honneth(Hg.), Befreiung aus der Mündigkeit.Paradoxien des gegenwärtigen

Kapitalismus, Campus, Frankfurt/M.-New York 2002, pp. 141-158; unaprecedentetraduzioneinitalianoacuradi Vito Santoro è uscita in «post-filosofie»,1/1(2005),pp.27-44.

4. Paradossi del capitalismo. UnprogrammadiricercaèlatraduzionediAxel Honneth e Martin Hartmann,Paradoxien des Kapitalismus. EinUntersuchungsprogramm, in «BerlinerDebatteInitial»15/1(2004),pp.4-17.

5.Riconoscimentocomeideologiaèla traduzione di Anerkennung alsIdeologie,in«WestEnd.NeueZeitschriftfür Sozialforschung», 1 (2004), pp. 51-69.

Notaintroduttiva

diMarcoSolinas

Il filo che lega i cinquesaggi finora dispersi in

diverse riviste e volumicollettanei che ho pensato diraccogliere e presentare allettore italiano èrappresentato dall’analisidellemolteplici interrelazionitra la tematizzazione delconcetto di riconoscimento equella delle dinamiche socio-strutturali, morali enormative peculiari dellesocietàcapitalistichemodernee soprattutto contemporanee;

daqui il titolo:Capitalismo ericonoscimento. Dellemolteplici ragioni che mihanno indotto a proporrequesto volume ad AxelHonneth e all’editore, milimito a richiamarnebrevemente tre, tra lorointerrelate: la recezione dellasua filosofia sociale,soprattutto in Italia, rispettoal rapporto trariconoscimento e lotte per la

redistribuzione (1); il ruoloattribuito al lavoro nelcontesto di una teoria criticaprofondamenterinnovata(2);l’analisi critica di talunedinamiche sociali paradossalie forme ideologichecontemporanee(3).

1.Credocheiltentativodielaborare una teoria dellasocietà e dei suoi conflittifacentepernosulledinamiche

del reciproco riconoscimentoedeldisrispettosiastatopiùomenodistrattamente recepitoda molti studiosi italiani (enon solo) come una sorta difuga, di ripiego. Tramontatele speranze legate all’ereditàdella filosofia della storiaottocentesca, si assisterebbeall’ennesimo tentativo didepotenziare latematizzazione dei conflittisocialineilorotrattipiùaspri,

disconoscendone il latomateriale, attraversol’adozione di categorie, qualequella di riconoscimento,apparentemente tantoinnocuequanto impotenti. Siperderebbe così di vista ilcompito di affrontareefficacemente il dolore e lesofferenze che impregnano lesocietà occidentalicontemporanee preferendodedicarsi al mero dover

essere.Questa lettura,però,èfuorviante su entrambi ipiani;imotivipercuiètale,lirispiega limpidamente lostessoHonneth findasubito.Nel primo capitolo emergeinfatti come egli sicontrappongadiametralmente all’approcciodicotomico adottato da altriteoricidelriconoscimento,adiniziare da Charles Taylor eNancy Fraser, stante il quale

vi sarebbero da una parte iclassici conflitti redistributivie, dall’altra, quelli identitari.PoichéHonnethproponeunavia alternativa, incentratasull’idea per cui anche iconflitti redistributivi, qualiemergono anzitutto dallastoria del movimento deilavoratori, risultanofondamentalmentericonducibili, sul pianodell’ontologia sociale, a lotte

per il riconoscimento, l’ideache si tratti di una strategiaintellettuale voltacomplessivamente adismetternelatematizzazionerisulta infondata. Alcontrario, la filosofia socialedi Honneth – come attestaanche la sua recezioneavvenuta soprattutto inGermania e in Francia, e chein particolare in Italia credopotrebbeesserereinterpretata

collocandola perlomeno inparte nel solco dellatradizione gramsciana – puòessere intesa come una viachepermettediriconcentrarel’attenzione sui conflitti dinatura redistributivaadoperando strumenticoncettuali rinnovati,alternativi al meroeconomicismo. Si può certodissentire da tale approccio,che riprende invero

un’impostazionestoriograficaormai relativamenteconsolidata, ma non si puòavanzarneunacriticachenontenga conto del tentativo diricondurre entro unframework teoretico unitarioiduetipidiconflittisociali.

2. È alla luce di taleframework che si comprendeperché Honneth insistanell’analisi dei rapporti

costitutivi tra la sfera dellavoro e il riconoscimento, epiùingeneralesuglielementinormativi sottostanti alledinamiche del mercatocapitalistico, analizzati nelsecondo capitolo.Muovendosiinunadirezionechedivergesostanzialmenteedichiaratamentedall’impostazionehabermasiana, volta adistinguerecategorialmente il

sistema economico libero danorme dal mondo della vita,egli cerca di rinvenire ifondamenti normativi suiqualiriposalasferadellavoronel quadro del mercatocapitalistico,muovendosicosìsulla linea di Hegel eDurkheim. Certo il tentativocomplessivo di reimpostareradicalmente una teoriacritica della società sulle basinormativedelriconoscimento

si riallaccia direttamente,come Honneth ha avutomododiesplicitare,allateoriadell’agire comunicativo.Legamechepuòessereancheinterpretato come uno deglielementi che contribuisceforse a depotenziare laradicalità dell’idea originariadella«lottaperlavitaeperlamorte», nel momento stessoin cui incorpora, a monte,una certa qual propensione a

privilegiare la tematizzazionedella dimensione dell’intesaintersoggettiva e delconsenso,piuttostochequelladella signoria e del dominio,quindi del potere edell’egemonia. Tendenza checredobensicombiniconunaparticolare riattualizzazionedell’originario teleologismohegeliano, quale emergesoprattutto nellaridelineazione di una

successione di stadiprogressivi delriconoscimento tale da darvita a quella concezione del«progresso»morale, sociale enormativo che non può nongenerare delle difficoltàteoretiche, e sulla qualeHonneth continua infatti alavorare. Tuttavia, anche perchi è abituato a servirsi deglistrumenti e delle prospettivedei padri fondatori della

teoria critica, o dellatradizione foucaultiana,questomodelloprogressivodimatriceteleologicarisultapercosì dire compensato dallafecondità analitica dellecategoriediriconoscimentoedisrispetto: al di là di unacerta loro onnipervasività,esse possono offrire uncontributo determinante aripensare le lotte e i conflittipassati e presenti dei

lavoratoriedeigruppisocialistoricamente discriminati,esclusiedemarginati.

3. Ed è sul pianodell’analisi critica orientataempiricamente che laprospettiva di fondo adottatada Honneth rivelalimpidamente la suaincisività. Riprendendovisioniestrumentisociologiciclassici(daSimmelaWebera

Parsons), egli può infattiapprontare delle disamine,come emerge soprattutto neicapitoli terzo e quarto, einfineparzialmenteanchenelquinto, di taluni nevralgiciprocessi e fenomeni dellesocietà capitalistichecontemporaneesenzaperderedi vista le fondamentalicompenetrazioni tra sferamateriale e spirituale,economicaenormativacheli

caratterizzano. Le «affinitàelettive»dicuieglisisforzadiricostruire genealogia eportato,vengonointalmodoa far luce su dinamiche chealtrimenti sfuggirebbero adapprocci unilateralmentedicotomici.Emergecosìcomealcuni peculiari processi dimotivazione,giustificazioneelegittimazione ideologicapropri del capitalismocontemporaneo siano in

grado,assumendotalvoltaunandamento eminentementeparadossale, di rinforzare erinverdire attitudini, visionied atteggiamenti, odapprontare direttamentenuovistrumentiattianzituttoad incrementare laspoliazione e ad intensificarelo sfruttamento di masse dilavoratorisemprepiùinbaliadi un mercato del lavoro invia di radicale

deregolamentazione. Processidi cui vengono evidenziate lericaduterispettoalmalessere,anche psicopatologico, deisoggetti. Questi saggi mipaiono perciò offrireun’ulteriore testimonianzadella fecondità di unapproccio che non smette dicercare di tematizzarel’ingiustizia anche in terminidi sofferenza sociale,riconducendola, a monte, ad

esperienze interpretate neitermini di riconoscimentomancato e negato e didisrispetto, e che con nonmeno energie si sforza dirischiarare le forme dellenuove ideologie, ivi inclusequelledelriconoscimento.

L’ordinamento dei sagginon è cronologico ma segueuna linea fondamentalmentetematica,nonchéunpercorso

di complessità relativamentecrescente. Immaginando cheil lettore non sia un espertodel pensiero di Honneth, hoinseritoinaperturaunsaggiodi carattere introduttivo egenerale,sìchecisipossafaresubito un’idea del quadro diriferimento complessivo. Ilsecondo prosegue il discorsodal punto in cui si chiude ilprimo: affronta le questionicorrelate alla tematizzazione

del lavoro, esplicitando ilsenso della riattualizzazionedell’impostazionehegeliana(edurkheimiana) di fondo. Ilterzo e il quarto simuovonosulversantenegativo:offronodei contributi mirati allacritica delle dinamiche delcapitalismo contemporaneo,l’uno focalizzando ilrovesciamento dell’idealedell’autorealizzazione, l’altrosviluppando una critica di

portata ancor più ampia ditali processi paradossali.Nell’ultimo saggio, dedicatoall’ideologia delriconoscimento, si ritrovanoinfineadottatetuttaunaseriedi categorie analizzatepiuttostodettagliatamenteneidueprecedenti, edunadensadisamina del concetto diriconoscimento che nondisdegna l’adozione distrumentidimatriceanalitica

al fine di chiarificarne status,accezionievalenze.

Per quanto riguarda illessicohoapportatoun’unicaradicale modifica a quelloormai semi-consolidatosi initaliano: dopo lungheriflessioni e molteplicidiscussioni (con lo stessoHonneth, con LeonardoCeppa e con tanti altricolleghi e amici, cheringrazio) ho deciso di

tradurre Missachtung con«disrispetto» (anziché con ilfuorviante«misconoscimento», oppurecon «disprezzo», «spregio» o«dispregio», che sarebberoinvece, comunque, opzioni amio avviso certamentepercorribili). Seppur vi èl’inequivocabile svantaggiodato dall’inserzione di unneologismo (che ricalca ildisrespect), credo che esso

venga compensato dal fattoche viene preservato ilcruciale legame con il«rispetto» (Achtung),essenziale per cogliere ladimensione intrinsecamenteed eminentemente «morale»del fenomeno a cui sirichiamaHonneth.

Prefazione

Il presente volumeraccoglie dei saggi nati negliultimi anni con l’obiettivo disviluppare le assunzioni difondo di una teoria delriconoscimento ancorata adHegel fino al punto da poterschizzare una diagnosiepocale. Dopo che in Lottaper il riconoscimento, per la

prima volta, tracciai la miainterpretazionedell’approcciohegeliano, ebbi l’impressione,di fronte alle obiezionisollevatesi, di esser giàsufficientemente impegnatoacorreggere o a precisare laposizione ivi sviluppata;soprattutto il confronto conNancy Fraser e le TannerLectures all’Università diBerkeley mi offrirono dellebuoneoccasioniperdarealle

mie prime e ancora vagheriflessioni una forma piùprecisa[1]. Nel percorsosuddetto, che incluse anchetentativi volti a elaborarestimoli provenienti da teoriedell’intersoggettivitàalternative[2], restaronotuttavia molte questioniirrisolte; continuainondimeno nel tentativo diricostruire la dottrinahegeliana del riconoscimento

da una visuale tale dapermettere di trarne nonsoltanto una nuovaconcezione del concetto digiustizia, ma anche unamigliore determinazione delrapporto tra socializzazione eindividuazione, trariproduzione sociale eformazione dell’identitàindividuale. Il risultato a cuisonoapprodato lungoquestopercorsositrovariassuntonel

primo capitolo del presentevolume:quicercodischizzarequalesiailruolodaattribuireal reciproco riconoscimentonell’integrazione sociale dellesocietà.Muovendoda questorisultato, negli altri saggicercosiadidelineareilprofilodiunateoriadellagiustiziasiadi sviluppare una diagnosiepocale.

Quale quadro sistematicodi tutti questi tentativi può

esser posta la tesi per cui leidee oggi correnti dellagiustizia sociale debbonoesserecorrettenellamisuraincui dall’ancoramento aprincipi della distribuzionedei beni si deve passare amisure atte a creare rapportidiriconoscimentosimmetrici.Una tale inversione teoreticapuò di certo, come vorreimostrareneicapitolisecondoe quinto, far fronte sia alla

problematizzazione delleorganizzazioni date dellavoro, sia alla spinosaquestione di quali forme diriconoscimento sociale oggicontribuiscanoindirettamente a rafforzare ildominio sociale; né le sferedel lavoro sociale né l’effettodelle ideologie chestabilizzano il potere silasciano però definirefacilmente attraverso pre-

assunzioni concettuali trattedalcorpusdiuna teoriadellagiustizia.Nel saggioLavoro ericonoscimento verràsviluppata l’ideaper cuinellecondizioni normative di basedelmercatocapitalisticosonoinclusi principi diriconoscimento a partire daiquali è possibile svilupparedelle indicazioni per unacritica dell’organizzazionecontemporanea del lavoro;

con queste riflessioni, sperodi riuscire a romperel’opprimente silenzio delleattualiteoriedellagiustiziainmerito alladeregolamentazione eprecarizzazione del lavoro.Nel saggio Riconoscimentocome ideologia avanzo unaproposta per distinguere traforme di riconoscimentomeramente «ideologiche» eforme giustificate

normativamente, di modochevengaprestataattenzionealle possibilità della loroeffettiva realizzazionemateriale;lamiapropostaèdichiamare «ideologica» unaforma sociale diriconoscimento quando nelcontempo non vengonoapprontati imezzi opportuniper la realizzazione dellapromessa in essa contenuta.In tal modo spero di aver

trovato un nuovo approdoteoretico-riconoscitivo alfenomenodell’«ideologia».

Nei due saggi ulteriori,quindi nei capitoli terzo equarto di questo volume,cerco di render feconde leidee precedentementesviluppate al fine diapprontare una diagnosiepocale; al centro di questicontributi, dunque, non visonopiùquestioninormative,

ma problemi diinterpretazione sociologica.Essi si riallacciano a processidi analisi teoretica portatiavanti all’Institut fürSozialforschung, di cuiattualmente sono il direttore;qui cerco di illustrare piùprecisamente sul piano delladimostrazione empirica–nelcaso del saggio sui Paradossidel capitalismo insieme aMartin Hartmann, e

muovendo dai «paradossi»nellosviluppodelcapitalismocontemporaneo da noianalizzati in modointerdisciplinare – in chemodo le aspettative diriconoscimento cresciutestoricamente si siano oggirovesciate, attraversotrasformazioni economichestrutturali, in pretesedisciplinanti per i soggetti.Nell’ambitodelpresentelibro

questi due saggi, in sensostretto sociologici, possonoperciò fornire soltanto delleprime indicazioni su comedovrebbe esser costituita unadiagnosi dellacontemporaneità di taglioteoretico-riconoscitivo.

Epropriorispettoaquestiultimi saggi volti a tracciareuna diagnosi epocale sononaturalmente molto incertosu come possano essere

recepiti in Italia. Se è giàsempre difficile risponderealla questione di qualeorizzonteinterpretativopossaaccogliere i propri testi inun’altraarealinguistica,tantopiùloèrispettoaitentatividiuna diagnosi dellacontemporaneità che può dicerto contenere moltipresupposti indiretti propridel consueto ambitod’indagine. Rispetto alla

Germania contemporaneamipare ad ogni modo che glisviluppi normativi nellerelazionipersonali,neldirittoe nel mondo del lavoro, chetrent’annifapotevanoancoraessere inequivocabilmenteapprezzati quali progressimorali,sisianonelfrattemporovesciati, inmodopeculiare,indomanderivolteaisoggettidal carattere disciplinante euniformante; se anche in

Italia, negli ultimi trent’anni,si siano verificati similiprocessi inerenti unparadossale rovesciamento diinnovazioni emancipatorie intecnichedicontrollo,daquièeffettivamente molto difficileda dirsi. Le cause di questiparadossi sociali tuttavia,ovvero l’affermazione di unostile neoliberaledell’economia capitalistica, lesi ritrovano in entrambi i

paesi, sì che ne potrebbeemergere una convergenzaquanto alle conseguenzenormative. Se queste ipotesicorrispondano nei due paesi,nonostante tutte le lorodifferenze nella culturapolitica, è in definitiva unaquestione concernente ilgiudizio delle lettrici e deilettoridiquestomiolibro.

Per l’impegno nellaraccolta e nella traduzione

della presente selezione disaggi devo ringraziareMarcoSolinas. Senza il suo sforzodecisivo nella scelta dei saggie senza la sua accuratezza indifficili questioni ditraduzione questo volumenon sarebbe venuto alla luce.La selezione presenta unapartedelmiolavoroincorso,nelqualecercodi trarredallamia recente teoria delriconoscimento, finora

soltanto rudimentale, delleconseguenze per le attualiquestioni della teoria dellagiustiziaedelladiagnosidellacontemporaneità; quanto aiproblemi che qui restanoaperti, debbo rimandare ilettori ai miei precedenticontributi sistematici volti aelaborare una teoria delriconoscimento.

AxelHonneth

FrankfurtamMain,giugno2010

Note[1] N. Fraser, A. Honneth,

Umverteilung oder Anerkennung?Eine politisch-philosophischeKontroverse, Suhrkamp,Frankfurt/M. 2003, trad. it.Redistribuzione o riconoscimento?Una controversiapolitico-filosofica,Meltemi,Roma2007;A.Honneth,Verdinglichung. Eineanerkennungstheoretische Studie,Suhrkamp, Frankfurt/M. 2005,trad. it.Reificazione.Unostudio inchiavediteoriadelriconoscimento,

Meltemi,Roma2007.[2]A.Honneth,Unsichtbarkeit.

Stationen einer Theorie derIntersubjektivität, Suhrkamp,Frankfurt/M.2003.

Capitolo1.Riconoscimentoe

riproduzionesociale.Suifondamentinormatividiunateoriadellasocietà

Chi ha seguitoattentamentelosviluppodellafilosofia politica degli ultimianni ha potuto assistere alprocessoteoreticodigradualetrasformazione dei suoi

concetti cardinali e dei suoiorientamenti normativi. Finoalla finedeglianniOttanta, ilpredominio del marxismo inEuropa e la profondainfluenza di Rawls negli StatiUniti hanno impedito chevenisseromessiindiscussionei principi guida di una teorianormativa dell’ordinepolitico. Al di là delledifferenze specifiche,l’esigenza prioritaria

unanimemente condivisa eradifatti quella di volereliminare le disuguaglianzeeconomiche o sociali nongiustificabili razionalmente.Ed è al posto di questa ideapredominante della giustizia,interpretabile qualeespressionepoliticadell’epocasocialdemocratica, che daqualche tempo sembra essereormai subentrata una nuovaconcezione, politicamente

benmenounivoca:ilsuofinenormativo non è piùl’eliminazione delladisuguaglianza, ma piuttostoquello di contrastareumiliazione e disrispetto; lesue categorie cardinali,perciò,nonsonopiù«egualitàdistributiva» e «uguaglianzadi ricchezza»,ma «dignità» e«rispetto».

Attraversounadefinizionedivenuta ben presto

paradigmatica, Nancy Fraserha designato questo processodi trasformazionenei terminidiunpassaggiodall’ideadella«redistribuzione»aquelladel«riconoscimento»: mentre alprimo concetto è correlatauna visione della giustiziavolta a stabilire la giustiziasociale attraverso laredistribuzione di quei beniche garantiscono la libertà,con il secondo vengono

invece definite le condizionidi una società giustaattraverso il raggiungimentodel riconoscimento delladignità o dell’integritàpersonale dei singoli. AlbertO. Hirschmann aveva inmente qualcosa di simileallorché propose unadistinzione categorialeattraverso cuicontraddistinguere unatendenza cruciale della

politica culturalecontemporanea: oggi ledinamiche sociali assumonosempre di più il carattere diconflitti «indivisibili», adifferenza dei conflitti«divisibili» che concernonobeni materiali, sì che vieneesclusa la prospettiva di unadistribuzioneegualitaria.

Perrendercontodiquestasvolta normativa oggi sistagliano due interpretazioni

alternative, i cui punti dipartenza sono in certo qualmodo contrapposti. Su unfronte, si sostiene chel’interesse suscitato daconcetti quali «dignità» e«riconoscimento» dovrebbeessere interpretato comerisultato della disillusionepolitica maturata allorché,con il trionfo internazionaledei partiti conservatori e losmantellamento dello Stato

sociale, iniziò a tramontareanche la prospettiva di poterincrementare l’eguaglianzasociale. Appena lerivendicazionieconomichedinatura redistributivaapparirono irrealizzabili sullungotermine–cosìsuonalaprima tesi –, al loro postosarebbe subentrata l’idea,modesta e meramentenegativa, di limitarsi acontrastare umiliazione e

disrispetto. Sul frontecontrapposto, si sostieneinvece che il crescenteinteresse suscitato da questeideenonrappresentiaffattoilrisultato di una disillusionepolitica, ma rappresentipiuttosto il frutto di una piùprofondasensibilitàmorale:ilrichiamoaprestaremaggioreattenzione all’importanzapolitica delle esperienzesociali o culturali del

disrispetto lanciato da unamolteplicità di nuovimovimenti sociali – cosìsuona la seconda tesi – ci hapermesso infine di prendercoscienza del fatto che ilriconoscimento della dignitàdegli individui o dei gruppisociali è un elementoessenzialedelnostroconcettodigiustizia.

È quest’ultima la tesi chevorreiquisostenere.Perfarlo,

inizierò presentandosinteticamente il processoattraverso il quale, negliultimi anni, il concetto diriconoscimento è giunto adesercitare una certapreminenza politico-morale(1). Inunsecondopasso,perrender conto dei presuppostistorici sui quali riposa taleattualità, mi richiameròbrevemente al programma difilosofiasocialeattraversocui

Hegel, direi per la primavolta, sviluppò l’ideanormativa del reciprocoriconoscimento (2). Da quiprocederò poi in un terzopasso, nel quale cercherò didelineare il contenutonormativo delriconoscimento muovendodalla distinzione tra alcunitipi di riconoscimento cheemergono dall’analisi delleformedi feritemorali ad essi

corrispondenti (3). Grazie aquesta disamina concettualepotrò da ultimo avanzare latesisecondolaqualeiconflittidistributivi si lascianospiegare appropriatamente, ein modo perfettamentesensato, quali lotte per ilriconoscimento(4).

1. Sul significato politico-morale del concetto diriconoscimento

Inunmodoonell’altro ilconcettodi«riconoscimento»ha sempre giocato un ruoloessenziale nell’ambito dellafilosofia pratica. Nell’eticaantica,adesempio, imperò laconvinzione per cui una vitabuona fosse accessibilesoltanto a quelle persone le

cui azioni godevano,nell’ambito della polis, distima sociale. E ancora, lafilosofia morale scozzese èstata guidata dall’idea chericonoscimento e pubblicadisapprovazionerappresentassero ilmeccanismo socialeattraverso cui i singolivengono condotti aperseguire le virtù auspicate.InKant, infine, il concettodi

«rispetto», inteso come il piùaltoprincipiodiognimorale,viene a racchiudere il nucleostesso dell’imperativocategorico, tale per cui ognialtro essere umano deveesseretrattatocomefineinsé.E tuttavia, nessun autoreclassico (ovviamente con lasignificativa eccezione diHegel, che da questaprospettiva rappresenta unprecursore isolato) ha

considerato il principio delriconoscimento, in quantotale, quale fondamento diun’etica. Quali che siano isignificati indiretti ad essoattribuiti,ilconcettoèsemprerimasto nell’ombra di altredeterminazioni consideratepiùfondamentali.

Questa situazione ècambiata radicalmentesoltantoallorché,negliultimivent’anni, hanno avuto corso

unaseriedidibattitipoliticiedi movimenti sociali chehanno spinto a considerarecon sempre maggiorattenzione l’idea delriconoscimento: che ci siriferisca alle discussioni sulmulticulturalismo o inveceall’autointerpretazioneteoretica del femminismo, ilmodello-guida normativocondiviso che è sempreemerso è quello per cui gli

individui o i gruppi socialidebbano trovarericonoscimentoorispettoperle loro «differenze». Giunti aquesto punto, è stato poinecessario compiere un solobreve passo per giungere allavisione generale stando allaquale la qualità morale deirapporti sociali non puòessere commisurata soltantoalla giusta o correttadistribuzione dei beni

materiali: la nostrarappresentazione dellagiustiziadeveesserecorrelata,in modo essenziale, allemodalità con cui i soggetti siriconoscono reciprocamenteed alle forme attraverso cuiciò diviene possibile. Ledisaminepolitichehannocosìgradualmente offerto ilmaterialeperunadiscussionefilosofico-morale il cuipuntodi partenza è rappresentato

dalla tesipercui ilcontenutonormativo della morale devepoteresserspiegatosullabasedi determinate forme direciprocoriconoscimento:ciòche intendiamo quandoparliamo di un «moral pointof view», rimanda anzituttoalle qualità delle relazioni,desiderate o richieste, che isoggetti intrattengono l’unoconl’altro.

Talepropostatuttavianon

fornisce che i primi elementiiniziali per tentare didesumereiprincipinormatividi una teoria della societàdirettamente dalleimplicazioni morali delconcetto di riconoscimento;appena ci si incammina perquesta via, ci si rende infattiben presto conto di quantisianoiproblemicorrelatiauntale approccio. E sonoprecisamente gli sforzi volti

ad arginare sistematicamentequeste difficoltà a dar corpoalla discussionecontemporanea sulla moraledel riconoscimento. Unprimo problema inerente atale approccio concerne lacorrelazione della polisemiadelle principali categorie quipresupposte.A differenza delconcettodi«rispetto»,chefindaKantpresentadeicontornifilosofico-morali

relativamente chiari, ilconcettodi«riconoscimento»non è difatti affatto univoco,né nel linguaggio quotidianoné in quello filosofico. Oggiad esempio viene utilizzato,nell’ambito della fondazionedi un’etica femminista,soprattutto percontraddistinguere quellaformadidedizioneamorosaedi cura a cui il rapporto tramadre e figlio offre un

modello empirico.Nell’ambito dell’etica deldiscorso habermasiana,invece, il «riconoscimento»deve essere piuttosto intesocomequellaformadirispettoreciprocodellaparticolarità enel contempo dell’egualità diogni altra persona a cui ilcomportamento discorsivodei partecipanti a unadiscussione offre l’esempioparadigmatico. Infine,

nell’ambito dei tentativi voltia sviluppare il pensierocomunitarista, oggi lacategoria di riconoscimentoviene utilizzata percaratterizzare lavalorizzazione di forme divite estranee, come accade,emblematicamente, nelquadro della solidarietàsociale.

Da questa molteplicità dimodidifferentidiutilizzareil

termine emerge un secondoproblema: allorché muta ilsignificato, sembratrasformarsi anche ilcontenuto morale delconcetto di riconoscimento.Così, se rispetto alriconoscimentodell’autonomia morale diogni essere umano sembraessersensatoparlaredidirittie doveri universali, un talediscorso non sarebbe invece

affatto appropriato per leformediriconoscimentodellacuraodellastima.Sipotrebbeallora esser tentati diconcludere che i differentisignificati del contenuto del«riconoscimento» siano divolta in volta correlati aspecifiche prospettivemorali.Da questa pluralizzazioneemergeinfinelaquestioneseidifferentipuntidivistamoralirimandino a una radice

comune, e siano pertantogiustificabili normativamentein modo unitario; viene cosìtoccato anche il problema difondare le implicazionimorali che sottostanno alledifferenti forme diriconoscimento.

Naturalmente in questabreve presentazione non èpossibile offrire unaspiegazione anche soltantoparzialmentesoddisfacentedi

queste complesse questioni.Una via promettente peraddentrarsi in questeproblematicheèinvecequellaofferta dalle differenziazionitracciate dal giovane Hegelrispetto al concetto diriconoscimento: esse cipermettono di lanciare unprimo sguardo d’insieme aquei diversi significatiinerenti al fenomeno delriconoscimento che ancora

oggi permeano le discussionifilosofico-sociali.

2. Il programma filosofico-socialediHegel

Allorchéall’iniziodelXIXsecoloHegelmise in opera ilprogetto di ricostruire lastoria dello sviluppodell’eticità umana conl’ausilio del concetto di«riconoscimento», poté giàallora avvalersi di tutta unaserie di precedenti disegnifilosofici nei quali concetti e

categorie ad esso limitrofiavevano assunto un ruolopreminente. Hobbes, adesempio, sotto l’influenza diMachiavelli, aveva preso lemosse da un principioantropologico secondo ilquale gli uomini eranodominati soprattutto daldesiderio di ricevere sempremaggiore «rispetto» e«onore». Rousseau, nella suapresentazione critica del

processo di civilizzazione,avevaperfinoavanzato la tesisecondo cui la ricerca dellastima sociale avrebbecondottogliuominiaperderequella tranquilla sicurezza inse stessi che la vita pacificanello stato di natura avrebbedovuto assicurare. Fichte,infine, opponendosifermamente a un talenegativismo, nei suiFondamenti del diritto

naturale pervenne allaconvinzionepercuiisoggettipossono divenire coscientidellalorolibertàsoltantosesiesortanoreciprocamenteafaruso della loro autonomia e,dunque, si riconoscono qualiesseri liberi. Se questi schizziteorici possono certamenterisultare tanto eterogeneiquanto contraddittori, presinelloroinsiemepossonoperòaver fatto maturare nel

giovane Hegel l’idea chel’autocoscienza degli uominidipenda all’esperienza delriconoscimento sociale:nell’antropologia politica diHobbes, o di Rousseau,dominò di certo una certatendenzaalpessimismo,nellamisuraincuisipresupponevache la ricerca delriconoscimentorappresentasse un pericoloper l’ordine politico e per

l’autenticità personale;indirettamente, però, daquesta concezione si potevaanche trarre la conclusioneche la realizzazione deisoggetti venisse a dipenderedal rispetto o dalla stimaricevuta dai loro partnerall’interazione.

Pergli scopiperseguitidaHegelneisuoiprimiscritti,lasemplice affermazionediunacorrelazione necessaria tra

autocoscienza ericonoscimentointersoggettivo non eratuttavia sufficiente: perriuscire a chiarire comel’esperienza delriconoscimentofosseingradodi far progredire le relazionidell’eticità, si rendevanecessaria una spiegazioneulteriore della dinamica delrapporto reciproco che sisarebbe dovuto venire a

delineare tra l’acquisizioneintersoggettivadell’autocoscienza da unaparte e lo sviluppo moraledell’intera società dall’altra.Le risposte a questecomplicate questioni, a cuiHegel pervenne nel corsodell’elaborazione del suoprimo abbozzo del sistema,rappresentano il nucleo delsuomodellodiuna«lottaperil riconoscimento»; esso

racchiude l’idea, tantoazzardata quanto stimolante,stante la quale il progressoetico si compie lungo unasequenza di tre modelli diriconoscimento, di profilosempre più alto, ove ilpassaggio dall’uno all’altro èdi volta in volta segnato dauna lotta intersoggettiva checonduce i soggetti adaffermare le loro preteseidentitarie.

La particolarità di questoapproccio consiste anzituttonella tesi, che va molto oltreFichte, secondo laquale,nonappena vengono individuatele premesse intersoggettivedella formazionedell’autocoscienza, debbonoessere distinte tre forme direciproco riconoscimento. Seil meccanismo attraverso ilquale ci si concedereciprocamenteunospaziodi

libertà individuale che Fichteaveva in mente nei suoiFondamenti del dirittonaturale spiega difattieffettivamente la formazionedi una coscienza soggettivadel diritto, esso non riesceperò a render contoesaustivamentedell’autocomprensionepositiva cui giunge unapersona libera. Hegel perciòintroduce – oltre al

riconoscimentogiuridico,cheviene all’incirca a includereciòcheKantaveva intesoneitermini di rispetto morale –,due ulteriori forme direciprocoriconoscimentochedovrebbero semprecorrispondereaspecificigradidel rapporto individuale conse stessi. Primo, nell’amore,che Hegel nelle sue operegiovaniliintendeancorainunsenso molto affine a quello

della filosofiadell’unificazionediHölderlin,i soggetti si riconosconoreciprocamente nella loropeculiarenaturabisognosa,sìdagiungereaquellasicurezzaaffettiva che gli permette diarticolare le loro esigenzepulsionali. Secondo, nellasfera statale dell’eticità èinclusa una forma diriconoscimentochedovrebbepermettere ai soggetti di

stimarsi reciprocamente invirtù di quelle qualità checontribuiscono allariproduzione dell’ordinesociale. Ora, nei suoi scrittigiovanili Hegel sembra esserconvinto che il passaggio traqueste differenti sfere delriconoscimento si realizziattraverso una lotta checonduceisoggettiacercaredifar rispettare i gradi semprepiù alti

dell’autointerpretazioneraggiunti di volta in volta: lapretesa di veder riconosciutala propria persona in semprenuove dimensioni genera percosì dire un conflittointersoggettivo la cuisoluzionenonpuòcheveniresempre ed esclusivamente aconsistereinunampliamentodella sfera di riconoscimentodata di volta in volta. Nelcomplesso, le sempre più

estese sfere delriconoscimento vengono cosìa formare il reticolo dipremessenormativedi fondonecessario perché unamoderna società liberalepossa formare dei cittadiniimpegnati e coscienti dellaproprialibertà.

Naturalmente Hegel, inquanto teorico della società,non dispone ancora di unastrumentazione sufficiente

per poter rappresentarequesto processo come quelloche conduce effettivamentealla costituzione delle societàmoderne. Ancorainteramente imprigionatoentro l’orizzontedell’idealismo tedesco, egli viscorge piuttosto l’insiemedelleprestazionispiritualichei soggetti debbono apportarecollettivamente al fine dipoter costruire il mondo

comune dello «spiritooggettivo». E tuttavia, il suomodellogiovanilediunalottaper il riconoscimento ètalmente complesso epolivalente che continua arappresentare, ancora oggi,una ricca fonte di stimolifilosofico-morali e teoretico-sociali. Certo già nellaFenomenologia dello spiritoHegel sostituì il suoprogramma originario con

unaconcezionenellaquale lepremesse del futuro sistemavennero a giocare un ruolosempre più influente; daallora, la costituzione dellarealtà sociale non venne piùspiegata attraverso unprocesso intersoggettivo diformazione dei conflitti, maintesainvececomeilrisultatodell’autoelevazione dialetticadello spirito. Nella Filosofiadel diritto, tuttavia, egli

delinea una differenziazionetra famiglia, società civile eStato che riflettenuovamentela precedente distinzione tratre forme di riconoscimento;ed è questa tripartizione chepermette, oggi, di continuareasviluppareilsistemamaturodi Hegel nell’ambito dellafilosofiapratica.

3. Le forme fondamentali delriconoscimento

Quando oggi ci sirichiama al concetto diriconoscimento conl’obiettivo di delineare unaconcezione morale dellasocietà, viene per lo piùpresupposta una analisifenomenologica delle feritemorali. In questo modonegativo di procedere, un

ruolo cruciale è giocatodall’idea secondo la quale glistati di cose esperiti come«ingiusti» offronouna chiaveadatta ad illustrarepreliminarmente lecorrelazioni interne tramorale e riconoscimento.Sulla base dei criteriattraverso cui gli stessisoggetticoinvoltidistinguonotra violazionemorale emerainfelicitàocostrizione,èfacile

mostrare come nel primocaso debba sempre darsi unacomponente tale per cui ilriconoscimento risulta esseresottaciuto o negato, mentrenel secondo una talepresupposizione è del tuttoassente. Perché una feritapsichicadiventiun’ingiustiziamorale, dunque, il soggettocoinvolto deve poterviravvisare l’esito di un’azionenellaqualeeglièfattooggetto

di disrispetto,intenzionalmente e inrelazione ad un aspettoessenziale del propriobenessere; qui ciò checostituiscelacondizionedellaferita morale non è tanto ildolore fisico in quanto tale,ma anzitutto la coscienza delfatto di non venirriconosciuto nella propriaautocomprensione.

Per articolare la mia

disamina vorrei quimuoveredalleformedidis-rispetto delle umiliazionipsichiche quali tortura estupro; esse possono infattiessere intese come il tipofondamentale didegradazione cui è soggettol’uomo dal momento che loprivano di quel rapporto cheognuno stabilisceautonomamente con ilproprio corpo e, quindi,

distruggono un elementobasilare della fiducia neiconfronti del mondo. Ilrapporto di riconoscimentocorrispondente a questaforma di disrispetto – dalmomentocheaiuta il singoloa costruire il fondamentalerapporto di fiducia nelproprio corpo – è quelladedizione emotiva(emotionale Zuwendung) cheHegel, il romantico, tentò di

cogliere mediante il concettodi«amore».Poichébisogniedaffetti non possono essereconservati se non attraversoquella «conferma» per cuivengono direttamentesoddisfatti oppure ricambiati,il riconoscimento stesso, inquesti casi, deve assumere ilcarattere della dedizioneaffettiva edell’incoraggiamento; talerapportodi riconoscimento è

quindi necessariamentecorrelato all’esistenzaconcreta, in carne e ossa, diun’altrapersonachedimostrisentimenti di particolareapprensione o di amore.L’atteggiamento positivo cheil singolo può adottare neiconfrontidisestessoallorchéesperisce un talericonoscimento affettivo èquello della fiducia in sestesso: si tratta di quel livello

fondamentale di sicurezzaemotiva pisco-somaticanell’espressione dei propribisogni e sentimenti checostituisce la premessapsichica per lo sviluppo ditutte le ulterioricaratteristiche inerenti alrispettodisé.Questaformadireciproco riconoscimentonon può però essereuniversalizzata oltre la sogliadel quadro famigliare,

dell’amicizia e delle relazionid’amore: poiché le qualitàdell’approvazione emotivasono ancorate alle premesseindividuali indecidibili dellasimpatiaedell’attrazione,nonpossono essere traspostevolontariamente ad una piùampiamolteplicitàdipartnerall’interazione. In questorapporto di riconoscimento,dunque, è insito unparticolarismo morale che

nessun tipo diuniversalizzazione è in gradodisuperare.

Il maltrattamentopsicologico, a cui in positivocorrisponde la dedizioneemotivainerenteallesuddetterelazioni primarie, è a suavoltadistintodaunasecondaforma di disrispettoconcernente laprivazionedeidirittiel’esclusionesociale.Inquest’ultima forma un essere

umano viene degradatoallorché non gli vieneaccordata, all’interno dellasua comunità,quella capacitàmorale di intendere e divolere attribuita ad ognipersona che goda di pienidiritti. Ne consegue chequestotipodidisrispettodevecorrispondere a un rapportodi reciproco riconoscimentonelqualeilsingolo,adottandolaprospettivadeisuoipartner

all’interazione, impara avedersi comeundetentoredidiritti al pari degli altri. Ilmeccanismo che permettetale passaggio è statoidentificato da Mead qualeprocesso di assunzione dellaprospettiva di un «altrogeneralizzato»nelqualevienegarantita al Sé lasoddisfazione di determinatepretese inerenti alla relazionepratica con se stessi e nel

contempo alle imposizioninormative di particolaridoveri.

L’atteggiamento positivoche il soggetto può assumerenei confronti di se stessoallorché esperisce un talericonoscimento giuridico èquello di un rispetto di séelementare. Esso gli permettedi considerarsi come unapersona che condivide contuttiglialtrimembridellasua

collettività le qualità di unattorepienamenteingradodiintendere e di volere. Ilrapporto giuridico perciòpermette, a differenza delrapporto di riconoscimentodelle relazioni primarie, unageneralizzazione del mediumdel riconoscimento nelle duedirezioni di un ampliamentodei diritti materiali e sociali.Nel primo caso, il dirittoinerente contenuti materiali

include il fatto che trovinosempre maggioreassicurazione giuridica anchele differenze concernenti lepossibilità individuali direalizzare le libertà garantiteintersoggettivamente. Nelsecondo caso, il rapportogiuridico viene inveceuniversalizzato nel senso chead una sfera sempre piùampia di gruppi,precedentemente esclusi o

sfavoriti, vengono accordatiglistessidirittidicuigodonotutti gli altri membri dellacollettività. Entro il rapportodi riconoscimento giuridico,dunque, è incluso ununiversalismo di principioche viene a dispiegarsiattraversolottestoriche.

Il terzo tipo di disrispettoche vorrei infine delineareconsiste nella degradazionedel valore sociale di alcune

forme di autorealizzazione.Tali modelli disvalorizzazione dideterminate prestazioni oformedivitacomportanoperi soggetti in oggetto il fattoche essi nonpossano riferirsiallequalitàacquisitenelcorsodelle loro storie biografichenel senso positivo cheassumerebbero se fosserooggetto di stima sociale. Taleforma di disrispetto

corrisponde perciò allarelazione di riconoscimentochepuòperl’appuntoaiutarei singoliadavereun tale tipodiautostima,qualeemergeinun rapporto di approvazionesolidale e di stima dellecapacità e dei modi di vitasviluppati individualmente.Qui i soggetti, nelle loroparticolarità individuali,troverebbero difatti, inquanto persone dalle storie

biografiche individuali,riconoscimento e reciprocoincoraggiamento. Mead, inrelazioneauntalerapportodiriconoscimento, ha cosìargomentato: poiché il Sédelrapportopraticoconsestessideveaccertarsidisénonsoloin quanto autonomo maanche in quanto essereindividuale, esso deve potersiimmedesimare anche nellaprospettiva di quell’«altro

generalizzato» che glipermette di raggiungerel’approvazioneintersoggettivadelle sue pretese di unicità einsostituibilità. Allapossibilità di un taleautoaccertamento eticoprovvede un rapporto direciproco riconoscimento nelquale l’Ego e l’Altro siincontrano entro unorizzonte di valori e fini cheindicano ad entrambi,

reciprocamente, il significatoche le loroproprie capacità eattivitànonpuònonrivestireperglialtri.Dalmomentochequesta forma diriconoscimento devepresupporre l’esperienzavitale condivisa di oneri eresponsabilità contrastanti,oltre al momento cognitivoinerente una conoscenza dinaturaetica, inessaèsempreincluso anche l’elemento

affettivo di unapartecipazione solidale.L’atteggiamento positivo cheun soggetto può assumererispetto a se stesso quandoviene riconosciuto in uno diquesti modi è quellodell’autostima (Margalit):poichéviene stimatodai suoipartner all’interazione per lesue capacità particolari, ilsoggetto può identificarsisenza riserve con le sue

prestazioni e qualitàparticolari. Ora, laparticolarità di un talerapporto etico diriconoscimento è data dalfatto che, anche secondoMead, esso includeintrinsecamente la possibilitàdi un graduale ampliamentodelle tendenze allarealizzazionedelSé:lenormeetiche,alla lucedellequaligliindividui possono

riconoscersi reciprocamentenelle loro particolaritàindividuali, sono oggetto delprocesso didetradizionalizzazione lungoil quale, attraverso unasempre maggioregeneralizzazione, perdono illoro carattere gerarchico eprescrittivo.Entroilrapportodi riconoscimento dellasolidarietà, dunque, è inclusoun principio egualitario della

differenzachepuòdispiegarsisotto la pressione di soggettiindividualizzatisi.

Con questi tre modelli diriconoscimento dell’amore,del diritto e della solidarietàvengono delineatelimpidamente le condizioniformali dei rapporti diinterazione nei cui ambiti gliesseri umani possonoassicurarsi «dignità» ointegrità. Qui «integrità»

significa soltanto che unsoggetto sa di poter trovaresostegno nella società nelquadro delle sue relazionipratiche con se stesso.Quando partecipa al mondovitale sociale – nel quale, inuna o in un’altra formaconcreta, si debbono sempreritrovare i tre modellidifferenziati diriconoscimento – egli puòriferirsi a se stesso nei modi

positividellafiduciainsé,delrispettodiséedell’autostima.Ora, da questaargomentazione discendonodelle conseguenze normativeche inducono ad ampliare lanostra concezionetradizionaledellamoraledellasocietà: l’obiettivo normativodi un riconoscimento nondistorto non si lascia infattiricondurre interamente entroil concetto di giustizia, ma

deve essere invece ricostruitonelquadrodiunaconcezioneformaledellavitabuona.

Qui è nuovamente unamodalità argomentativanegativa a fornirci un primo,approssimativo tipo difondazione: senza una certamisura di fiducia in sé, diautonomia garantitagiuridicamente e di sicurezzadel valore delle propriecapacità non si può

presupporre la riuscitadell’autorealizzazione, postoche la si intenda nei terminidi un processo direalizzazione non forzato diobiettivi esistenziali scelti inmodo autonomo. Qui «nonforzato» o «libero» nondenotano tuttavia soltanto lasemplice assenza di influenzeo costrizioni esterne, madebbonoaltresìriferirsianchealla mancanza di blocchi

interni, di inibizioni e diangosce psichiche. Questaseconda forma di libertà,tuttavia,voltainpositivodeveesser intesa come un tipo difiducia interiore che offreall’individuo la sicurezza siaperarticolareipropribisognisia per usare le propriecapacità.Comeabbiamovistosopra, questo genere disicurezze, tali per cui ci sirapporta a se stessi senza

angosce, formano però delledimensioni di relazionipositiveconsestessiallequaliè possibile giungere soltantoattraverso l’esperienza delriconoscimento.Ne consegueche la libertàdell’autorealizzazionedipende da delle premesse dicui il soggetto umano nonpuò disporre da sé solo:possono essere ottenutesoltanto tramite l’ausilio dei

suoi partner all’interazione. Idifferenti modelli diriconoscimentorappresentano le condizioniintersoggettive chedobbiamonecessariamente contemplarese vogliamo descrivere lastruttura generaledi una vitariuscita.

Taleconcezionecomportatuttavia una difficoltànevralgica: idue, senon tuttie tre i modelli di

riconoscimento che abbiamopresentato,racchiudonoinséil potenziale di un progressonormativo;comesièvisto,siai rapporti giuridici sia lacomunità dei valori sonoapertiaprocessitrasformativivolti all’incremento diuniversalità o egualità. Talepotenziale intrinseco disviluppo introduce un indicestorico nelle condizioninormative

dell’autorealizzazione cheimpone di limitare le pretesedella nostra concezioneformale dell’eticità: ciò chepuò valere come premessaintersoggettiva di una vitariuscita diviene unagrandezza storicamentevariabile determinata dailivelli attuali di sviluppo delmodello di riconoscimento.La concezione formale perdecosì la sua atemporalità

venendo a dipendere,ermeneuticamente, da unpresente di volta in voltainsuperabile.

Una concezione formaledell’eticità racchiude lecondizioni qualitativedell’autorealizzazione chepossono esser tratte dallamolteplicità delle forme divitaparticolarinellamisuraincui esse formano le premessegenerali dell’integrità

personaledei soggetti;poichéperò questo genere dicondizioni sono a loro voltapassibili di più alti sviluppinormativi, una taleconcezione formale non puònon tener conto di ognitrasformazione storica: alcontrario, è legata allepeculiari situazioni storichenellequalinasce.Perifinichemi sono proposto, questarestrizione mi impone di

presentare storicamente i tremodelli di riconoscimento inunamodalità talepercuiessipossono risultare validisoltanto rispetto al più altrogrado di sviluppo di volta involta raggiunto in quantoelementi dell’eticità: lamodalità in cui debbonoessere fornite le premesseintersoggettive che rendonopossibile l’autorealizzazioneemerge sempre solo entro

condizioni storico-temporalitali per cui nel presente datorisulta di già percepibile lavisione di unperfezionamento normativodei rapporti diriconoscimento. L’idea diun’eticità post-tradizionale edemocratica che viene aprofilarsi quale conseguenzadiuna tale argomentazione èstata tracciata per la primavoltadal giovaneHegel epoi

ulteriormente sviluppata, conpremessepost-metafisiche,daMead. Al di là di ogni lorodifferenza, entrambi avevanoin mente lo stesso ideale diuna società nella quale leconquiste universalidell’uguaglianza edell’individualismo venivanoa condensarsi in un modellodi interazione per il qualetutti i soggetti, in quantoautonomi e individuati e nel

contempo quali personeparificate e tuttaviaparticolari, trovanoriconoscimento. I duepensatori hanno altresìconcepito questo specificomodello moderno diinterazione sociale nellaforma di un reticolo didifferenti rapporti diriconoscimento attraverso iquali gli individui possonoaccertarsi della fondatezza

dellaloroautorealizzazioneinognunadelle sue dimensioni.In tal modo sia Hegel siaMead sono giunti davveroassai prossimi all’ideanormativacheiocercheròquidi delineare, seppur conl’aiuto di un concetto dieticità che, nonostante il suocarattere storico, restaformale.

4. Per una ricostruzione deiconflittidistributivicomelotteperilriconoscimento

Ora, contro questaconcezione teoretica delriconoscimento della moralesociale,negliultimiannisonostate avanzate delle obiezioniper cui in essa le legittimeesigenze di unaredistribuzionematerialenonsarebbero né considerate né

tantomeno giustificate: difronte alle sempre maggioriineguaglianze nelladistribuzione delle risorseeconomiche sarebbe quantomai incautoerischiosoporreil mero riconoscimento delleidentità personali o collettivequaleobiettivodiunasocietàgiusta poiché, così facendo,nonsipresterebbeattenzionealcuna ai requisiti materialidella giustizia. È stata Nancy

Fraser che negli ultimi halanciato questa accusa difondo, riscuotendo fin dasubito lamassimaattenzione;Fraserritienecheunamoralesociale del riconoscimentopossarendercontosoltantodiciò che oggi viene definitocome «politica dell’identità»,mentre le forme tradizionalidi una politica dellaredistribuzione non possonoessere ricondotte al suo

interno.Iosonoconvintochequesta accusa riposi su ungrave fraintendimento le cuiragioni possono esserericondotte ad una particolaretendenza della letteraturapolitico-filosofica:nell’ambitodel dibattito contemporaneosulla «politica delriconoscimento», vi è unapropensione inequivocabile aridurre il riconoscimentosocialesoltantoadunaspetto

del riconoscimento culturaledei differenti modi di vitadelle persone; in talmodo, il«riconoscimento» èadoperatocomeunacategorianormativa che viene acorrispondere a tutte quellerivendicazioni politiche oggiderubricateallavoce«politicadell’identità». Qui mi pareemergereun fraintendimentofatale originato soprattuttodal libro di Charles Taylor

sulla Politica delriconoscimento[1]. Procederòsinteticamenteinduepassi,sìda schizzare il problema cheha condotto il paradigma delriconoscimento alla suddettadifficoltà.

a) Nel suo testo divenutorapidamente celebre, eattraverso ilquale la«politicadel riconoscimento» èdiventataperlaprimavoltainassoluto una scottante

questione di pubblicodominio,CharlesTaylorhaincerto qual modo presentatouna cronologia del tuttofuorviante: mentre la storiadelle società liberal-capitalistiche sarebbe statasegnata da lotte perl’equiparazione dei diritti –così suona la sua tesistoriografica centrale –, oggi,alloroposto,sarebberoinfinesubentrate in larga misura

lotte di gruppi sociali cherivendicanoilriconoscimentodelle loro particolaridifferenze culturali. Qui nonmiinteressatantodiscutereilfatto che Taylor,presupponendo un concettoeccessivamente limitato diriconoscimento giuridico, loriduca schematicamente aduna modalità diequiparazioneomogeneizzante. Piuttosto,

ciòchepiùmi interessadellasuatesisonolestilizzazioniel’unilateralità checontraddistinguono lalinearitàdella sua cronologia:come le attuali lotte per ilriconoscimentonondebbonoessereriferiteinprimaistanzaa elementi di matricegiuridica, così dai conflittigiuridici del passato,all’inverso, si deve sottrarreogni elemento culturale

inerente ad una «politicadell’identità», sì da giungerealla tesi della successionestoricadiduedifferentitipidimovimenti sociali. La tesisecondo cui oggi avremmo ache fare soprattutto con lotteper il riconoscimento didifferenze culturalipresuppone dunque,tacitamente, una bendeterminata immagine deimovimenti sociali

tradizionali: concentrandosiinteramente sull’eguaglianzagiuridica, essi risulterebberodel tutto alieni darivendicazioni inerenti gliorientamenti di valori e leforme di vita delriconoscimento sociale. Nonèperòdicertonecessariaunaapprofondita conoscenzastorica per mostrare quantoquesta caratterizzazione siafuorvianteo,meglio,falsa:

L’idea che lapolitica dell’identitàsia un fenomenonuovo è, in breve,evidentemente falsa. Ilmovimento delledonnehamessoradiciperlomeno due secolifa. La fondazioni dicomuni eraimportante agli inizidell’Ottocento quantoneglianniSessantadel

Novecento. Inazionalismi europeidel XIX secolo nonerano forse esempi dipoliticadell’identità?Ele lotte degli afro-americani contro laschiavitù? E laresistenzaanticoloniale? Né lapolitica dell’identità èlimitata a chi gode dibuone condizioni

economiche (i«postmaterialisti»,come li chiamaInglehart), come se cifosse una nettagerarchia di bisogninella quale interessimateriali chiaramentedefinitiprecedesserolacultura, e le lotteandasseroaldilàdellacostituzione dellanatura degli interessi

stessi–siamaterialisiaspirituali[2].

I movimenticontemporanei si lascianoridurre a finalitàesclusivamenteculturalitantopoco quanto i movimenti diprotestatradizionalideltardoXIX secolo e del primoNovecento risultanodeterminati da meri obiettivimateriali o giuridici. In

definitiva, lo stessomovimentodeilavoratori,percitare un altro esempioimportante non menzionatodaCraigCalhoun,inunasuaparteessenzialeerarivoltoadottenere riconoscimento, nelquadrodeivaloricapitalistici,per le proprie tradizioni eformedivita.L’interoschemacronologicopostodaTaylorafondamento della suadiagnosi storica è perciò

fuorviante:suggerisceduefasinella storia dei movimentisocialimoderni,oveinvecesitratta perlopiù di meredifferenze di sfumature, dipeso.Nellamisura incui,nelsuoquadrodifondo,si lasciainfluenzare da questasuggestiva periodizzazione,Nancy Fraser assumenecessariamente le falsepremesse di unacontrapposizione tra politica

deldirittoodegli interessidauna parte e «politicadell’identità» dall’altra. Inbreve, a causa di unaperiodizzazione fuorviantedegli obiettivi dei movimentisociali, il riconoscimentoviene inteso come unarivendicazione lacuiattualitàmorale viene a concernereanzitutto il presente; diconseguenza esso vieneridotto al solo aspetto del

riconoscimento culturale etutte le altre dimensioni diuna lotta per ilriconoscimento restanoinvisibili.

b) Nella concezioneteoretica del riconoscimentodi un’eticità democratica dame proposta, lerivendicazioni inerenti allaredistribuzione materialeemergono da due fontidifferenti. Da una parte,

derivano dalle implicazioninormative dell’uguaglianzadel diritto, che promette untrattamento giuridicamenteegualitariodeimembridiunacomunità democratica. Quidiviene chiaro che laconcessionedeidiritti sociali,e quindi la correlataredistribuzione, assolvono lafunzione normativa diaccordare ad ogni cittadina ecittadino la possibilità

effettiva di partecipare aiprocessi democratici dellacostruzione pubblica dellacomunità di diritto. Daun’altra parte, lerivendicazioni redistributiveemergono però anchedall’idea normativa per cuiogni membro di una societàdemocratica deve avere lapossibilità di essere stimatosocialmente per le sueprestazioniindividuali.

Credo siano questi imodelli della stima sociale inlargaparteresponsabilidiciòche Nancy Fraser chiama«giustizia distributiva» – leregole dell’organizzazionedella distribuzione dei benimateriali sono difatticommisurate alla scala dellastima sociale di cui i gruppisociali godono in rapportoalla gerarchia e all’ordine deivaloriistituzionalizzatiinuna

società. Come Marx ritenevache la distribuzione nondovesse essere consideratacome elemento ultimo, cosìanch’iopensoche ilpuntodivista della distribuzione nondebba essere preso comepunto di riferimentodefinitivo dell’analisi. Laquestione è quindi quella distabilire a che cosa debbonoessere ricondotte le suddetteregole distributive, se

dobbiamo considerarle comeunqualcosadi secondario,diderivato. La nota concezionedi Marx è quella per cui sideve imparare a intendere leregole distributive comeespressioni istituzionalizzatedei rapportidiproduzionediuna società: il livello dientrate economiche a cui undeterminato gruppo sociale,all’interno dell’ordineeconomico capitalistico, può

pretendere fondatamente diarrivare, è proporzionato allasuaposizionenel processodiproduzione; dunque, al fattoche, classicamente, svolga unlavoro salariato, esegua unafunzione dirigenziale o siadirettamenteinpossessodeglistessi mezzi di produzione.Ora, però, dal dibattitoteoretico-sociale degli ultimidue decenni abbiamoimparatocheMarx,operando

in talmodo, ha fatto l’erroredi non tener conto di unaulteriore premessa di valore:nella sua categoria di lavorosocialmentenecessarioeglihaevidentemente fattoastrazione dal fatto chel’educazione dei bambini, illavorodomesticooaltresferedi attività non organizzateformalmente rappresentanocomunque occupazioni ocontributi sociali ai quali la

riproduzionequotidianadellasocietà capitalistica non puòrinunciare. Questo fattorendeamioavvisochiarochele regole distributive nonpossono esseresemplicemente ricondotte airapporti di produzione, madebbono invece essere intesecome espressioneistituzionale del dispositivosocioculturale che, in undeterminato periodo storico,

stabilisce la misura canonicadistimasocialedicuigodonodeterminate occupazioni: iconflitti distributivi,fintantoché non ruotanointorno alla meraapplicazione di regoleistituzionalizzate, sonosempre delle lotte simbolichesulla legittimità deldispositivo socioculturale chefissa il valore di occupazioni,qualitàecontributisociali.Ne

consegue che la lottadistributivastessa–dicontroa quanto suppone NancyFraser–èsempreancorataaduna lotta per ilriconoscimento: essarappresenta infatti unconflitto sulle gerarchiesocialmente istituzionalizzatedei valori, e quindi sulleregole,stantelequaliigruppisociali, in base al propriostatus e alla stima goduta,

possono legittimamentereclamare una determinataquantitàdibenimateriali–inbreve,sitrattadiunalottaperladefinizioneculturaledi ciòche rende socialmentenecessaria e preziosaun’attivitàsociale.

Esplicitato questosignificato della lotta per ilriconoscimento, diventaaltrettanto chiara una dellesfide che debbono affrontare

le democrazie occidentaliavanzate: a causa di unadisoccupazione non piùcongiunturale ma inverostrutturale, sempre piùpersone sono private, inassoluto, della possibilità ditrovare,nell’ambitodellelorocapacità acquisitesocialmente, quella forma diriconoscimento che hodefinito nei termini di stimasociale. È soltanto con

difficoltà che esse possonoperciò interpretarsi comemembri cooperanti di unacomunità democratica,poiché tale prerogativapresuppone l’esperienza diuna cooperazione, è cioèsubordinata allapossibilitàdidare un contributosocialmente riconosciuto allariproduzionesociale.Ilfuturoperciòsaràsegnatoinmisurasemprecrescenteda lotteper

il riconoscimento di questotipo, concernenti cioè ledefinizioni e i criteriistituzionalizzati della stimasociale attraverso cui vienestabilito quali attività ecapacità sono passibili, inassoluto, di riconoscimentosimbolico e materiale – esenza un ampliamentoradicale di ciò che in futurosarà sensatamente efondatamente chiamato

«lavoro», non sarà possibiletrovare una soluzione aquesta preannunciata lottaperilriconoscimento.

Note[1]Cfr.Ch.Taylor,ThePolitics

of Recognition, PrincetonUniversity Press, Princeton 1992,trad. it. La politica delriconoscimento, in J. Habermas eCh. Taylor, Multiculturalismo.Lotte per il riconoscimento,Feltrinelli,Torino20013.

[2]Cfr.C.Calhoun,ThePoliticsof IdentityandRecognition, in Id.,Critical Social Theory: Culture,History and the Challenge ofDifference, Blackwell, Oxford and

Cambridge1995,p.215.

Capitolo2.Lavoroericonoscimento.

Perunaridefinizione

Nelcorsodegliultimiduesecoli non era mai avvenutochesiregistrasserocosìpochitentativi di difendere unaconcezione umana edemancipativadellavorocomeaccade oggi. Lo sviluppoeffettivo riscontrato

nell’organizzazionedellavoronel settore dei servizi edell’industria sembra aversottratto il terreno aqualsivogliatentativomirantea migliorare la qualità dellavoro: una parte sempre piùampiadellapopolazione lottaanzitutto ed esclusivamenteper conquistarsi la possibilitàdi accedere ad unaoccupazione che negarantisca la sussistenza;

un’altra parte svolge attivitàche, a causa delladeregolamentazione, nonsono quasi più garantite sulpiano giuridico; una terzaparte, infine, che primacontava su posti di lavoroassicurati dalla propriaprofessionalità,almomentoèsoggetta ad un processo dirapidadeprofessionalizzazione edespulsione aziendale.

Pressoché nessuno, quindi,puòcontraddireladiagnosidiRobertCastel:oggiassistiamoallafinedellafase,breve,dellostatus del lavoro salariatogarantito dallo Statosociale[1].

Questa trasformazione difatto dell’organizzazione dellavoro, questa tendenza aritornareadunlavorosocialenon protetto di tipointerinale, parziale e a

domicilio si riflette in modotrasversale anche nelloslittamento tra attenzioneintellettuale e interessisociologici:colorocheancoraquarant’anni fa riponevanoogni speranzanell’umanizzazione oemancipazione del lavoro,ormaidisillusi,hannovoltatole spalle almondodel lavoroper dedicarsi a temicompletamente differenti e

quantomai distanti da quellidella produzione. Date lemutate condizioni, la teoriacritica della società sembracosì occuparsi soprattutto diquestioni concernentil’integrazione politica e idiritti civili senza piùprendere minimamente inconsiderazione i pericolosisviluppi avvenuti nella sferadella produzione. Lasociologia stessa, cioè la

scienza partoritadall’industrializzazionecapitalistica, si è allontanatasempre più dal suo nucleotematicooriginarioeleggendoadoggettodianalisiiprocessiditrasformazioneculturale.

Nonv’èperòalcundubbiosul fatto che le tendenzeintellettuali volte adabbandonare il mondo dellavoro non corrispondanoaffatto all’atmosfera che si

respira tra la popolazione.Nonostante tutte quelleprognosi nelle quali si èparlato di una fine dellasocietàdellavoro,nelmondodella vita sociale non si èaffatto verificata una perditadi rilevanza del lavoro: comein passato, la maggioranzadellapopolazionecontinuaadancorare la propria identitàsociale in primo luogo alruolo svolto entro i processi

lavorativi organizzati, oveperaltro tale maggioranzarisulta invero essersi perfinoampliatadopoche ilmercatodel lavoro si è aperto, inmisura precedentementesconosciuta, alle donne. Nonsi può perciò parlare di unaperdita di significato dellavoro né in relazione almondo vitale né in sensonormativo: la disoccupazionecontinua ad essere esperita

come un marchio socialestigmatizzante e un deficitindividuale; i rapporti dilavoro precari sono percepiticome gravosi; laflessibilizzazione del mercatodel lavoroèpresaconriservae genera disagio in un’ampiacerchia della popolazione[2].L’aspirazione a un posto dilavoro che non assicurisoltanto la sussistenzama siaanche individualmente

soddisfacente non è affattoscomparsa; il fatto è che noninfluenza più le discussionipubbliche e le arene deiconfrontipolitici.Dedurredaquesto opprimente eassordante silenzio la tesipercui le richieste volte ad unariorganizzazione dei rapportidi lavoro apparterrebberoormai ad un passatodefinitivamente tramontatosarebbe però empiricamente

falso nonché quasi cinico. Ladistanza tra le esperienze delmondo della vita sociale e itemi della riflessione deglistudi sociali verosimilmentenon è mai stata tanto ampiaquantooggi:mentreinquestiultimi il concetto di lavorosociale non riveste più unsignificatoprioritario,attornoadessoruotanoinvece,ancorpiù che non in passato, lenecessità, le paure e le

speranze dei soggettiinteressati.

Le ragioni del distaccodella teoria sociale dal temadel lavoro non sono di certosoltanto opportunistiche.Sarebbe oltremodo riduttivoritenere che il silenzio degliintellettuali e dei teoricisociali sia soltantol’espressionediunacertaqualsvogliatezza a continuare adoccuparsidelle realinecessità

della popolazione. Piuttosto,nella mancataproblematizzazione dellasferadel lavoroprendecorpolavisionepercui,difronteairapportidiproduzionedatidifatto, ogni proposta volta adun incisivo miglioramentodellaformadellavoroassumeben presto il carattere di unmerodoveressere: la fratturatra realtà sociale e atteseutopistiche inerenti al lavoro

è divenuta nel frattempotalmente profonda, e ladistanzatrarapportidilavororeali e aspirazioniemancipatorie talmenteampia, che la teoria sociale ècostretta a ritenere comeprovvisoriamente vani tutti isuoisforziteoretici[3].Nonèné opportunisticamente nétrionfalmente, madigrignando i denti e conamarezzacheirappresentanti

intellettuali dei movimentisocialihannoabbandonato lasfera del lavoro sociale:poiché l’idea di unaliberazione del lavoro dallacostrizione esterna edall’alienazione è divenutaridicola al cospetto dellarealtà, la strutturazione deirapporti di lavoro dovrebbeormai esser lasciata alle forzeglobalizzatricidelmercatodellavoro capitalistico. Con

questa manovra di scambio,segnata nel modo più chiarodal discorso habermasianodell’autoregolazione «liberada norme» del sistemaeconomico[4], è statapreparatalaviaallasituazionecon la quale oggi, disillusi,dobbiamo misurarci: lenecessitàditutticolorochesipreoccupanononsoltantodelloro posto, ma anche dellaqualità del loro lavoro, non

trovanopiù alcuna risonanzanel vocabolario di una teoriacriticadellasocietà.

Nel seguito vorreiaccertarese losvilupposopradelineato possa esserenuovamente rovesciato sulpiano concettuale. Comedovrebbe essere inclusa lacategoria del lavoro socialenel quadro di una teoriasociale – così dovrebbesuonare la domanda –

affinché si possa dischiudereuna prospettiva, nonmeramente utopistica, di unsuo miglioramentoqualitativo? Per affrontarequesto complesso problemavorrei proporre, in un primopasso di taglioeminentementemetodologico,dioperareunadistinzione tra critica esternaeimmanenteanchedalpuntodi vista di una critica dei

rapportidilavoroesistenti:diuna critica immanente, nellaquale le richieste normativenonabbianopiùilcaratterediun mero dover essere,possiamo parlare soltanto sel’idea di un lavoro sensato egarantito è inserita qualepretesa razionale nellestrutture della riproduzionesociale stessa (I). In unsecondo passo si dovrà poimostrare che il lavoro sociale

puòassumerequestoruolodiuna norma immanentesoltanto se viene legato allecondizioni delriconoscimento entro ilmoderno scambio diprestazioni: per ogni lavoroche abbia ormai superato lasoglia dell’attivitàmeramenteprivata e autonoma, devevalere il fatto che esso deveessere strutturato eorganizzato in un modo

determinato perché possaessere considerato,socialmente, come degno diriconoscimento(II).Nelterzopasso vorrei da ultimochiarire quali richiestenormative sono correlate aquesto collegamentostrutturale tra lavoro ericonoscimento inriferimento allastrutturazione delmondodellavoromoderno;qui sidovrà

chiarire che l’idea di unagiusta organizzazione delladivisione del lavoro,riconducibile in definitiva aDurkheim,contieneunaforzanormativa maggiore diquanto non possa apparire aprimavista(III).

IDall’inizio della

Rivoluzione industriale nonsono mai mancati progettiutopistici volti ad una nuovastrutturazione del lavorosociale.Daallora,laformadellavoro retribuito organizzatoinformaaziendaletipicodellavalorizzazione capitalistica èstata talmente pregnante chelasua forzasièdispiegataed

è penetrata in ogni ambitoesistenziale, venendo così adancorare le aspettativenormative dello spirito deltempoanzituttoesoprattuttoalla sfera della produzione.Quale forza pulsionale diqueste rappresentazioniemancipative operaronooriginariamente in mododecisivo le modalità ancorachiaramente percepibilidell’attività dell’artigianato

(Handwerk): mentre inquesto caso l’esecuzione dellavoro era ancoracompletamente nelle manidella persona lavoratrice –che nella realizzazionecomplessiva plasmavacreativamente e con grandefamiliarità i materiali dati echenelprodottofinalepotevainfine vedere, come in unospecchio, l’oggettivazionedelle proprie abilità – ai

lavoratori nelle fabbriche taleesperienza complessiva eracompletamente preclusaperché la loro attività eradeterminata dall’esterno,frammentata e priva diiniziativa. A seconda dellavisionedelmondoadottata,ilmodello dell’attivitàdell’artigianato è statoconsiderato come via checonduceadunacooperazionelibera e autoregolata, oppure

come elemento di una auto-oggettivazione individuale;rispetto al primo caso, lenuove forme del lavororetribuito capitalistico sipresentano quindi comecondannabili perchéprecludono la cooperazionecreativa del lavoratore,rispetto al secondo casoinveceperchéframmentanoilprocesso organicodell’oggettivazione delle

proprie abilità operando unadivisioneinsegmentiseparatie di per sé insensati. Questacritica alla formadell’organizzazionecapitalistica del lavorodivenne altresì ancor piùincisivanonappenaimodelliestetici della produzionevennero considerati dallaprospettiva di un’attività nonalienata e incentrata sullapropria iniziativa: soprattutto

a partire dagli eredi ditendenze socialiste del primoromanticismo tedesco, siaffermòlaconcezionepercuiogni lavoro umano dovesserappresentare una via diaccessoaquellacreatività,cheracchiude in se stessa ilproprio fine, che emerge,esemplarmente, nellafabbricazione di un’operad’arte[5].

Setuttequesteideediuna

liberazione del lavoro furonoquanto mai vivide eavvincenti, esse però, indefinitiva, non ebbero alcunaconseguenza sulla storiaeffettiva della formadell’organizzazionedellavorosociale.Ilmodellodell’attivitàdell’artigianato di matriceromantica e l’ideale esteticodella produzione artisticaesercitarono di certo unapressione sufficiente a

trasformare durevolmente lanostra rappresentazione diunavitabuona, riuscita;esse,però,nonpoteronoesercitarealcunainfluenzasullelottedelmovimento dei lavoratori,sulle aspirazioni socialiste amigliorare le condizioni dellavoro e ad affidare lagestione degli interessi,quanto più possibile, aiproduttori stessi. L’effettoambivalente generato dalle

utopie del lavoro del XIXsecolosispiegacolfattocheilloro legame con le richiesteconcernenti l’organizzazioneeconomica del lavoro eratroppodebole:itipidiattivitàche esse valorizzarono edelessero a modelloparadigmatico erano per cosìdire troppo stravaganti perpoter fornire un modellostrutturale che potesse valereper tutti i meccanismi

necessari alla riproduzionedella società. Questo gravesvantaggiopropriodi tutte leclassiche utopie del lavoro fututtavia certamentecompensatodalfattocheesse,prendendo come esempiol’artigianato o l’arte, fecerorisaltare le strutture di unatipologia di attività che, inragione del suo evidentecarattere di oggettivazione,ben presto poterono essere

concepite come elementocostitutivo o necessario diuna vita buona: è in ragionedel fatto che noi, in quantoessere umani, abbiamobisognodimettereallaprovale nostre abilità acquisitemanipolando un datomateriale e in certo qualmodo di oggettivarle inquestaesperienzacheunataleattività, di per sé compiuta,continuaadessereintesa,fino

ai nostri giorni, qualeelemento della realizzazionediunavitariuscita[6].

Il fatto che i lavori cherientrano nelle tipologiedell’attivitàartigianaleodellaproduzione artisticaappartenganoallavitabuona,però,nonsignificaancorachesidispongadiunarispostainmeritoallaquestionediqualisiano gli standard normativiche il lavoro organizzato

socialmente debba rispettare.Qui, infatti, nell’ambito dellasfera economica, le attivitàeseguite individualmentesottostanno a particolaririchieste che emergono dalfatto che esse sononecessariamente vincolatedallo scambio sociale delleprestazioni. Vorrei perciòdesignare tutti i tentativi dicriticare i rapporti di lavorodati,capitalistici,alla lucedel

modello della produzioneesclusivamente auto-regolataeorganica,qualiformediunacritica esterna: essi sirichiamano, sul pianonormativo, ad una modalitàdi attività che restameramenteesternaall’oggettocriticatonellamisuraincuisirichiama ad una strutturadella realizzazione compiutache non può però esserecostituiva, nello stesso grado,

di tutti i lavori richiesti nellasferaeconomica.Ciòchedelleesperienze lavorativedovrebbe essere necessarioallavitabuonadeisingoli–sipotrebbe dire anche così –nonpuòesserenelcontempopresentato quale criterio digiudizio per la sfera dellaproduzione organizzatasocialmente. Qui, infatti, lecostrizioni e le condizionidominanti, che richiedono

altresì un’ampia spiegazione,conferiscono alle attività uncarattere completamentedifferente da quello propriodell’artigianatoodell’arte.

Certo le utopie del lavorodel XIX secolo hanno messole ali alla nostra fantasiasocialeehannodischiusoallamodernità una sfera diriflessione totalmente nuova;èa lorochedobbiamoquelleimmagini di soddisfazione

individualeedicooperazioneriuscita senza le qualil’archiviodeinostrisogni,ediuna vita migliore, sarebbeindubbiamente molto piùpovero. Da queste utopiedella compiutezza artigianaleo artistica l’etica ha ricevutol’impulso ad ampliare ilconcetto tradizionale del«buono» alle attivitàconcernenti il lavoro; daallora, non possiamo quasi

più rappresentarci la riuscitadelle nostre vite se non viincludiamo anche l’elementodi un’attività oggettivante.Tuttavia, nessuna di questeconquistehapotutocambiareil fatto che una criticadell’organizzazionedellavorocapitalisticaavanzatainnomedell’ideale dell’artigianatoresti sempre segnata daldifetto di adottare un puntodi vista meramente

esterno[7]: perché le lottesocialivoltealmiglioramentodelle condizioni del lavoropotessero realizzarsi entroquesta sfera economica, essesi dovettero richiamare anorme di tutt’altro tiporispetto all’immagineancorata utopisticamente adun’attivitàcompiuta.Lasogliaper una critica immanentedell’organizzazione esistentedel lavoro sociale viene

superata anzitutto nelmomentoincuicisirichiamaa normemorali che sono giàinsite,comepreteserazionali,nellostessoscambiosocialediprestazioni. All’ideaistituzionalizzata per cui ilproprio lavoro viene intesocome un contributo alladivisione sociale del lavorosono difatti correlate dellepretese normative chegiungono fino al piano

concernente la strutturazionedei posti di lavoro[8]. Primadi venire alle condizioni diuna tale critica immanente,vorrei però provare a testaresinteticamente un tentativovolto ad attribuire un sensoimmanente anche all’idealestesso della compiutezzadell’attivitàartigianale.

Èemersocheladebolezzadi una critica avanzata innome dell’ideale

dell’artigianato consiste nelfatto che essa valorizza unaformadiattivitàchenonpuòessere riscontrata, qualepretesa anche minimamentefondata, nelle strutture dellariproduzionesociale.Eanchequalora taluni segmenti dellavorosocialmentenecessariodovessero rivelare una certavicinanza a tale ideale, nondisporremmo comunque dialcun argomento in base al

qualepresupporrechetutteleattività richieste debbanoassumere necessariamentequesto stesso ideale. Certo,ora si potrebbe anchepresumere che taleargomentazione potrebbeparzialmente cambiare se sipotessemostrare che in ogniesecuzione di un lavorosociale vi sarebbe di per sé,intrinsecamente, unaparticolare tendenza ad un

isolamento organizzativo, adunautocontrolloautonomo,econciòadunastrutturazione«quasi-artigianale»; nonimporta di quale tipo diattività si tratta: già la suamera caratterizzazione diazioneindividualevoltaadunfine richiederebbe che essaresti, nella misura più ampiapossibile, sotto il controlloesercitato dal soggetto stesso.Tempo fa io stesso ho

sviluppato un argomento diquesto tipo allorché hocercato di mostrare che allaluce delle ricerche disociologia industriale risultache i lavoratori, attraverso leloro pratiche di resistenzaquotidiane, rivelano ildesiderio di strutturareautonomamente la propriaattività: il solo fatto che – diquestoeroconvintoal tempo– gli occupati intraprendano

costantementedelle iniziativesovversive volte ad assumereilcontrollodell’esecuzionedelloro lavoro, offrirebbemateriale probatoriosufficiente a giustificare larichiesta di autocontrollo nelposto di lavoro[9].Ritornandoalleriflessionicheho sviluppato fin qui,l’obiettivo della miaargomentazioneèdimostrareche l’ideale dell’artigianato

non deve essere presentatocome criterio esterno, macome criterio immanenteall’organizzazionecapitalistica del lavoro: se ilavoratori, in ragione dellastruttura dell’attività stessa,aspirano ad assumere ilcontrollo del loro lavoro,allora si tratta di una pretesamorale inseritaimmanentemente entro irapporti di lavoro dati

storicamente che non deveessere contrapposta ad essi,dall’esterno,neiterminidiunideale.

Poco più tardi, JürgenHabermas mi criticò perchécon una tale modalitàprobatoria sarei incorso inuna «conclusione erratageneticamente» dato che dapuri fatti inerenti desideri erichieste ne avrei dedotto laloro giustificabilità morale:

non le presunte pretese degliinteressati, ma soltanto idiscorsi pratici possonofondare le decisioni moraliconcernenti quali normedebbano valere in unaorganizzazione del lavorodata[10].Ci sonovolutideglianni prima che mi rendessiconto che questa obiezione,collocata nel giusto eadeguato contesto critico,offre la chiave per una

soluzione di gran lungamigliore al problema quiaffrontato. Senza dubbio ècorrettalatesipercuiilsensodiunacriticaimmanentenonpuò consistere nel darevalidità a mere pretese erichieste che in un datomomento storico vengonoavanzate da gruppideterminati alla luce dellaloro condizione sociale olavorativa; certo, rimostranze

di questo tipo hannoeffettivamente un carattereimmanente poiché vengonoavanzate contro le regoleesistenti dall’interno dellasocietà; ad esse, tuttavia,manca quell’elemento dicomprovata razionalità chepermetterebbediconsiderarlecomecriterigiustificatidiunacritica immanente.Al tempo,pensavo di poter offrire talisupplementi razionali

mostrando che le richiestesovversive dei lavoratorivenissero a corrispondere aquellastrutturaautonomacheè incorporata«antropologicamente»nell’esecuzionediogniazionelavorativa; e tuttavia, al di làdel fatto che siaeffettivamente possibiledimostrare empiricamenteche tali pratichedi resistenzaconcernano tutti i lavoratori,

nel frattempo mi sonoconvinto che siaun’operazione forzata quellavolta a subordinare ogniattività finalizzata, in quantotale, al modellodell’artigianato. Rispetto allamaggioranzadelleattivitàcheoggirientranoadesempionelsettore dei servizi, non èdifatti certamente chiaro checosa dovrebbe significare ilfatto che esse debbano

mirare,dipersestesse,aduncompimento autonomo,puramente oggettivo eoggettivante: qui infatti nonviene costruito un prodottonel quale si potrebberoriflettere le abilità acquisite;piuttosto, in esse si reagiscecon quanta piùintraprendenza è possibilealle richieste personali oanonime corrispondenti alleprestazioni richieste dal

servizio offerto. In altritermini, è quanto maifuorviantesostenerechetuttele attività socialmentenecessarie vengano di per sestesseadassumereunaformaorganica di compiutezza deltipodell’attivitàartigianale.

Viceversa, le cosecambiano se, con Habermas,distogliamo lo sguardo dallastruttura dell’attivitàlavorativa per volgerlo alle

norme inerentiall’organizzazione del lavoro.Non c’è naturalmente dasorprendersi se l’autore dellaTeoriadell’agirecomunicativoqui parli fin da subito di«norme» che dovrebberopervadere l’organizzazionedel lavorosociale,nonostanteil fatto cheper lui il discorsoinerenteall’ambitofunzionaledell’economia concernainvece un «sistema libero da

norme». Ciò che rendeparticolarmente significativala formulazionehabermasianaècheinquestoslittamento prospettico sorgela questione per cui lamoderna organizzazionecapitalisticadellavoropossaomenoesserebasata sunormemorali la cui capacità difunzionamento risultialtrettanto indispensabile diquantonon losia l’intesaper

il funzionamento di unmoderno mondo della vita.Non intendo dire che questadebba essere la prospettivadalla quale Habermastirerebbe in gioco tali normedell’organizzazione dellavoro; per lui sembra infattiessere del tutto fuoriquestione il fatto che questenorme sono relativamentearbitrarie e risultanosubordinateesclusivamenteal

risultato del conflitto tracapitale e lavoro. PerHabermas, la differenza tra«sistema» e «mondo dellavita» consiste tuttaviaprecisamentenelfattochenelprimo caso il coordinamentodelle azioni avvieneesclusivamente attraverso lamediazione di atteggiamentirazionali rispettoalloscopoestrategici,mentrenelsecondocaso presuppone

atteggiamenti morali. Neconsegue che Habermas puòesimersi dal subordinare lasfera economica capitalisticastessa da qualsivogliainfrastruttura morale,sebbene occasionalmenteammettachel’organizzazionemoderna del lavoro siasegnata da normeparticolari[11]. Certo talequestione si porrebbe inmodo assai diverso se si

potessemostrarecheanchelacapacitàdifunzionamentodelmercato del lavorocapitalisticopresuppone tuttaunaseriedinormemorali; inquesto caso, infatti, non soloverrebbe a cadere lacontrapposizione categorialetra «sistema» e «mondodellavita», ma diverrebbe anchesincronicamente possibileassumere una prospettiva dicriticaimmanentedifronteai

rapporti di lavoro dati difatto.

A differenza della criticaesterna, una formaimmanente di criticapresuppone – così hoargomentato – che si possarinvenire un criterio che siaintrinsecoai rapporticriticatistessi in quanto pretesarazionale giustificata. Lealternative finora testate perricavare un tale criterio in

relazione alla costituzioneesistente del mondo dellavoro si sono rivelate in unmodo o nell’altro inadatte: lemute proteste dei lavoratoririvolte contro ladeterminazione esterna dellaloroattivitàsonodifattiprive,in quanto tali, di quelsupplementodicomprovabileuniversabilizzazionenecessario perché venganoadottate quali criteri

giustificati di una criticaimmanente. Voler poisostenere che le attivitàlavorative stesse, in ragionedella loro struttura autoctonainterna, esigano unadeterminata formaorganizzativa, appareun’impresa improbabile efuorviante di fronte allamolteplicitàdeidoverisociali.Sequestipercorsiteoricisonoimpraticabiliperchénonsono

fondabili su una pretesa nelcontempo razionale enecessaria, amioavviso restaallora soltanto l’alternativa diricercare le radici di una talepretesa razionale all’internodella forma organizzativaesistente del lavoro stesso.Questa linea argomentativarichiede però che il mercatodel lavoro capitalistico nonvenga considerato soltantodalla prospettiva

funzionalisticadell’incrementodell’efficienzaeconomica; se ci limitiamo aquest’unica visuale, lestrutture della modernaorganizzazione del lavorovengonodifattieffettivamentea configurarsi esclusivamentequale piano sottile delleregolamentazioni strategichesulle quali Habermas harichiamato l’attenzione entroil suoedificio concettuale.Di

contro, se la prospettivaadottataincludeancheilfattoche il mercato del lavorocapitalistico deve svolgereanche la funzionedell’integrazione sociale, ilquadro cambia alloraradicalmente: ci imbattiamoinuna serie di normemoraliche stanno a fondamentodelmoderno mondo del lavorocosì come accade con lenorme dell’agire orientato

all’intesa del mondo vitalesociale. In quanto segue,richiamandomi ad unatradizione oggi in larga parteperduta, cercherò di portarealla luce queste basinormative della modernaorganizzazione del lavoro;percorrendo questa strada,spero così di riuscire adelaborare una criticaimmanente delle relazioni dilavoroesistenti.

IIGià Hegel, nella sua

Filosofiadeldiritto,intrapreseil tentativo di rinvenire glielementidiunanuova formadi integrazione sociale entroquell’organizzazioneeconomica capitalistica cheandava formandosi sotto isuoi occhi. PerHegel era deltutto fuori questione che leprestazioni del sistema di

appagamento dei bisogni,ormai mediato dal mercato,non dovessero esserecommisurate esclusivamentealle categorie dell’efficienzaeconomica. Certo, anche dalsuo punto di vista la nuovaistituzione del mercatorisultava incrementareconsiderevolmente laproduttività delle attivitàeconomiche, la sua funzione,tuttavia, non doveva essere

limitata a questa sola emeraprestazione esterna, poichéaltrimenti sarebbe rimastapriva di ogni ancoramentoetico alla società e quindipriva dell’indispensabilelegittimazione morale. Diconseguenza, Hegel cerca dimostrare che l’intero sistemadi scambio, mediato dalmercato,delpropriolavoroincambio dei mezzi perl’appagamento dei bisogni,

può incontrare approvazionesoltanto se soddisfadeterminate condizioninormative. Per lui, la primaprestazione integrativa dellanuova forma economicaconsiste nel fatto chel’«egoismo soggettivo» deisingoli si rovescia nelladisposizione individuale acontribuire «all’appagamentodei bisogni di tutti glialtri»[12];nelmomentoincui

il bisogno economico dellapopolazione doveva esseresoddisfatto per mezzo ditransazioni di un mercatoanonimo, ognimembrodellasocietà (maschio) dovevaesser pronto a deporre lapropria personaleinclinazione all’ozio percontribuire con il propriolavoro al bene comune. PerHegel questo obbligogeneralizzato a fornire delle

prestazioniincludeilfattochele proprie capacità e talentivengano sviluppati fino alpunto da poter contribuirealla crescita del «patrimoniogenerale,permanente»[13].

La disposizione acontribuire in tal modo albenessere sociale poggiatuttavia, all’inverso, sullapremessa per cui essa trovauna contro-prestazionecorrispondente: ogni

partecipante allo scambio diprestazioni mediato dalmercato ha «il diritto» di«guadagnarsi il propriopane»[14], quindi dimantenere sé e la propriafamiglia ad un certo livellodato culturalmente. Diconseguenza,Hegelindividuala seconda conquistanormativa della nuova formaeconomica nel fatto che essacrea un sistema di reciproca

dipendenza che deveassicurare la sussistenzaeconomica di ogni suomembro. Per usare deitermini contemporanei,l’aspettativa per cui venganofornite delle prestazionipresupponechesiaaccordatounminimosalarialecheoffrai mezzi finanziari atti adassicurare l’indipendenzaeconomica[15]. Al fine dirimarcare l’importanza

morale di queste premesseinterne, Hegel plasma la suaterminologia delriconoscimento: nel sistemadei rapporti di scambiomediatidalmercatoisoggettisi riconosconoreciprocamente quali esseriautonomi e privati cheagisconol’unoperl’altroe,intal modo, si mantengono invita attraverso i lorocontributi sociali

lavorativi[16].Ora, Hegel era di certo

sufficientemente lucido dapoter prevedere anche queglisviluppi dell’economia dimercato capitalistica cheminacciavano di porsi incontraddizione con lesuddette condizioninormative delriconoscimento. Fintanto chela produzione dei beniorientata al profitto «si trova

in attività non impedita»,presto o tardi emerge ilproblemapercuidaunapartela «ricchezza» comincia aconcentrarsi nelle mani dipochi,mentredall’altraparte,nella «grande massa»,aumenta«lasingolarizzazionee limitatezza del lavoroparticolare»econciòsorgono«dipendenza eristrettezza»[17]. Nella plebesitrovariunitaunapartenon

irrilevante della popolazioneche, priva di ogni chance diricevere il riconoscimentomediato dal mercato delleprestazioni del lavoro, soffredi conseguenza dellamancanza di «onore civile»(«bürgerliche Ehre»). Poichédallasuaprospettivalanuovaforma economica risultacorrelata a condizioninormative, per Hegel èerroneo ritenere che questa

fascia impoveritasi possaessere mantenuta «nellasituazione del suo ordinariomodo di vita» attraverso icontributi benefici dei ricchi:questo tipo di prestazionisociali assistenziali avrebberodifatti comeconseguenza che«la sussistenza dei bisognosiverrebbe assicurata senzaessermediatadallavoro–ciòche sarebbe contro ilprincipiodellasocietàcivilee

delsentimentodegliindividuifacenti parti di essa intornoalla loro autonomia e al loroonore»[18]. Al suo postoHegel, com’è noto, di fiancoall’economia di mercatocapitalistica colloca dueorganizzazioni il cui compitoè quello di proteggere lecondizioni normative cheassicurano il reciprocoriconoscimento e l’«onorecivile»: mentre la «polizia»

adempie la funzione diintervenire nei processieconomici al fine diassicurare agli interessati unrapporto bilanciato didomanda e offerta, le«corporazioni»invece–comele «associazioni professionalidi categoria» (Schmidt amBusch) – si adoperanocostantemente affinché leabilità e capacità dei proprimembrisiano«onorate»edil

loro sostentamentoeconomicoassicurato.

Non sono però questesingole soluzioni istituzionaliche possono rendereinteressante,ainostriocchi,larappresentazione hegelianadell’organizzazionedellavorocapitalistica; le formazioniorganizzative che Hegelchiama «polizia» e«corporazione» sono difattiancoratroppovicine,rispetto

al taglioeaicompitiattributiloro, alla prima fasedell’industrializzazionecapitalistica perché oggipossanoesserepresecomeunmodello funzionale. Perl’obiettivo che quiperseguiamo è molto piùsignificativoilfattocheHegelnon ricavi incarichi e profilodiquesteistituzionicorrettiveda un qualsivoglia punto divista esterno, ma desuma i

principinormatividalsistemaeconomico stesso che mira acorreggere. Secondol’opinione di Hegel, tra lecondizioni moralidell’organizzazionedellavorocapitalistica non rientrasoltanto il fatto che leprestazioni lavorative deisingolivenganoretribuitepermezzo di un reddito che neassicuri la sussistenza: anchela loro forma deve esser

preservata in una modalitàtale per cui esse possanoessere riconosciute qualicontributi al bene comunefondati sulle abilità. L’ideacomplessiva dello scambioreciproco di prestazionirichiedechelesingoleattivitàconservino un grado diperiziatalmentealtopercuilalorostrutturazionesia taledadimostrasi degna di unriconoscimento generale

ricollegabileall’«onorecivile».Di conseguenza, nelmomento in cui l’esecuzionedel lavoro, a causa deglisviluppi economici, scende aldi sotto di un certo livellominimale di abilità edautonomia, anche le«corporazioni», secondoHegel, devono adempiere aduna funzione che il mercatocapitalistico in veritàdovrebbe svolgere di per se

stesso: queste organizzazioniprofessionali di categoriadebbono assicurare, siainternamente siaesternamente, che le abilitàdei loro membri conservinosufficiente tutela e attenzionepubblica per poter godere,anche in futuro, di stimagenerale. Hegel lascia quindiche le corporazioni siassumano un compito cherisulta ancorato, in quanto

pretesa normativa, allecondizioni di esistenza dellanuova forma diorganizzazione del lavorosociale.

In tal modo Hegel,caricando normativamentel’organizzazione del lavorocapitalistica, si contrapponedi certo ad una concezioneper cui lo sviluppo dellanuova forma economica siconfigurerebbe invece,

precisamente, quale processoinverso: anziché qualetrasformazione dei rapportimorali, secondo questainterpretazione alternativa losviluppo dell’economiacapitalistica dovrebbecondurre ad un distacco(Loslösung) dall’intera eticitàdelmondovitale.Giàaitempidi Hegel molti studiosidifesero una tesi di questotipo,maèstatoanzituttoKarl

Polanyiche,adistanzadipiùdi un secolo, vi si èrichiamato: secondo la sualettura, lo sviluppodell’economia di mercatocapitalistica rappresenta unprocesso nel quale l’ambitodell’agire economico viene«sradicato» («entbettet»), nelsenso che viene separato datutti gli usi e da tutte leprescrizioni moralitradizionali e, in tal modo,

reso completamenteindipendente[19]. ControHegel,Polanyiritienecheconl’imposizione di un mercatogeneraledel lavoroedeibenivienecreatoun«meccanismoautoregolato» che, inassoluto,nonammettealcunaforma di limitazione morale;dal suo punto di vista, quidomina esclusivamente lalegge della domanda edell’offerta, sì che anche il

lavoro sociale viene sempreorganizzatoinunamodalitàeretribuito in una misura chevengonodeterminatesoltantoin base alle richieste di benidel momento. Non è certodifficile mostrare che se taletesi fosse corretta la strategiafin qui seguita sidimostrerebbe inconsistente:se infatti con la formazionedell’economia capitalistica,come sostienePolanyi, anche

l’organizzazione del lavorovenisse subordinatacompletamente alle leggi delmercato, allora non sipotrebbe parlare di nessuntipo di normatività di questonuovo modello disocializzazionedel lavoro– enon vi sarebbe perciò piùalcuna possibilità di ancorareuna critica dei rapporti dilavoro esistenti ai principimoralidell’organizzazionedel

lavorocapitalisticastessa.Ora,latesidiPolanyi,che

inizialmente venne accettatapacificamente, negli ultimianni è stata invece messasemprepiùindiscussione.Lacriticapartedall’osservazionedieconomiasocialepercui ilcoordinamento delle azionisociali attraverso il mercatodeve misurarsi con una seriedi problemi che in definitivapossonoessererisoltisoltanto

attraverso la predisposizionedi regolamentazioninormative e istituzionali: gliattori del mercato nonsaprebbero infatti a qualiparametri dovrebberoattenersise,aldi làdelle loropresunte considerazioni dinatura puramente razionalerispetto allo scopo, non vifosse, preliminarmente, unacerta intesa tra gli interessaticoncernente il valore di beni

determinati, le regole di unoscambio leale,e la fiducianelfatto che le aspettativeverranno soddisfatte[20].Questo «ordine sociale» deimercati, come viene definitonel lessico contemporaneo,non soltanto include in séquelle prescrizioni e queiprincipi giuridici postivi chefissano le condizioni dellalibertà contrattuale e delloscambio economico, ma,

soprattutto, racchiude ancheuna serie di norme e regolenon scritte né formulateesplicitamente che, prima diogni transazione mediata dalmercato, determinaimplicitamente come debbaessere valutato il valore dibeni determinati e comedebba essere legittimamenterispettato il loro scambio.Verosimilmente la cosa piùsensata è intendere queste

reciproche attribuzioni comecertezze normative di azioneche, prima d’ogni altra cosa,motivano gli attori adintraprendere determinateattività di scambio. Taliaspettative non debbonoessere sempre effettivamentesoddisfatte, né si rivelanosempre, nell’esecuzione dellatransazione, affidabili; ciònonostante, nel loro insiemevengono a costituire l’ambito

interpretativo culturale enormativo entro il quale ifenomeni del mercato sonoinevitabilmente radicati(eingebettet).

Alla luce di una tale tesi,quasi diametralmentecontrapposta a quella diKarlPolanyi[21], ladeterminazione hegelianadell’organizzazionedellavorosi lascia ora riformulare inuna formaeconomico-sociale

più precisa e raffinata: lestrutture di un mercato dellavoro capitalistico possonosvilupparsi anzitutto edesclusivamente se si dannodelle ambiziose premessemorali tali per cui possanoessere salvaguardate lelegittime aspettative dellefascesocialisuddettediavereun salario che ne assicuri lasussistenza ed un lavoro chesia degno di riconoscimento.

Il nuovo sistema di mercato,cosìpotrebbedireHegel,puòpretendere una approvazionenormativa soltanto sotto ledue condizioni per cui:primo, il lavoro richiestofornisca perlomeno unminimo salariale; secondo,l’esecuzione delle attivitàassuma una forma che possaessere riconosciuta come uncontributoalbenecomune.

La maggior difficoltà che

incontra una tale concezionedello status dellepresupposizioni normative èforse data dal fatto che esseper un verso esercitano unascarsainfluenzasuglisviluppieconomici dati di fatto, perun altro verso debbono peròavere una validità generale.Che cosa dovrebbe infattisignificare il fatto chel’organizzazione del lavorocapitalistica è inserita entro

unorizzontedinormemoraliche ne assicura la legittimità,se poi queste norme, anchedal punto di vista di Hegel,non sono invero in grado diostacolarel’autonomizzazione dellaproduzioneorientata almeroprofitto? Stando a quantodetto finora, una soluzione aquesta contraddizione puòconsistere soltanto nel fattoche le norma suddette

vengano intese come deifondamenti di validitàcontrofattualidell’organizzazionecapitalisticadellavoro:poichétutti gli interessati possonocomprendere il senso dellanuova forma economica econsiderarla in termini di«bene comune» soltanto sepresuppongono, sul pianomentale,leduenormeportatealla luce da Hegel,

l’organizzazione del lavoromediata dal mercato viene apoggiare su condizioninormative che se anchevengono abrogate di fatto,non perdono però la lorovalidità. Qui parlare di un«radicamento»(«Einbettung») significaperciò far dipendere ilfunzionamento del mercatodel lavoro capitalistico dacondizioni normative che il

mercato stesso non devenecessariamente potersoddisfare: l’evento delloscambio del lavoro in unmercato sempre più opaco sirealizza sotto la premessa dinorme morali che restanovalide anche quando losviluppo storico vi si rivolgecontro. Queste certezzenormative di fondocostituiscono nel contempoanche le risorse morali a cui

gli attori possono ricorrerequando vogliono mettere indiscussione leregolamentazioni esistentidell’organizzazionedellavorocapitalistica: non è perciònecessario richiamarsi ad unregno di valori esterni o diprincipi universali, èsufficiente mobilitare quellenorme implicite inseritenellacostituzione del mercato dellavoro moderno quali

condizioni della suacomprensione e accettazione.Tutti imovimenti sociali cheinpassatosonoinsorticontrocondizioni salarialiinaccettabili o contro ladequalificazionedellavoro,inlinea di principio hannodovuto utilizzareesclusivamente il vocabolariomorale che nell’analisihegeliana era già statoabbozzato in modo

rudimentale:inobiettiviqualila difesa di posti di lavorosufficientemente complessi enon completamentedeterminati dall’esterno, oquali la conquista di unreddito che assicuri lasussistenza, si è sempretrattato di quelle pretesenormative che Hegel hariassunto nel concetto di«onore civile». Ledeterminazioni che egli ha

sviluppato non sono peròcertamente sufficienti acogliere,sulpianonormativo,tutte le disfunzioni delmondo del lavorocapitalistico che storicamentesono state effettivamentecombattute. Se infatti il suosguardo è di certo rivoltoverso le nuove forme diriconoscimento che ilmercato capitalisticodovrebbe offrire ad ogni

persona adulta, il ricorso alrimedio compensatorio delle«corporazioni» gli fa tuttaviaimmediatamente perdere divista il fatto cheper lamassadegli occupati l’esperienzacentrale dovrebbe ben prestodivenire quella dellosvuotamento dell’attivitàlavorativa di tutti i suoicontenutiqualitativi.

Un tentativo volto acogliere anche le richieste di

un lavoro significativo sulpianoqualitativoqualipreteseimmanentidellanuovaformaeconomica è stato intrapresoper la prima volta, ottodecenni più tardi, da ÉmileDurkheim[22]. Come Hegel,anche Durkheim analizza lestrutture dell’organizzazionedel lavoro capitalisticaprimariamente da unaprospettiva volta aindividuare quale contributo

essa possa offrireall’integrazione sociale dellesocietà moderne e, nondiversamente dal suopredecessore, così facendo siimbatte in una serie dicondizioni normative chedovrebbero stare afondamentodellerelazionidiscambiomediatedalmercatonella forma peculiare diimputazioni e idealicontrofattuali[23]. Nel suo

studioLa divisone del lavorosociale, Durkheim si lasciaguidare dalla questione se lesocietà della modernità, conla loro divisione del lavorosempre crescente e semprepiù articolata secondo laforma del mercato, sianoancora in grado di generaretra i propri membri unsentimento di solidarietà, diappartenenza sociale. Comel’autore della Filosofia del

diritto, egli è difatti persuasoche la prospettiva dellacrescita economica edell’efficienzaeconomicanonsia sufficiente a fornire allanuova forma economicaquella modalità dilegittimazione moralenecessaria all’integrazionesociale. Nella sua lineaargomentativa Durkheimperciò non persegue lastrategia volta a ricercare le

fonti della solidarietà al difuoridiquellaorganizzazioneeconomica sociale checostituisce il punto diriferimento della sua analisi;niente è più distante dal suoapproccio del tentativo didelineareunaformamodernadi religione civile o di ethoscollettivo che compensi laminacciante mancanza delleforzechestrutturanoilegamisociali. Al contrario,

Durkheim si misura con iltentativo di identificare nellestrutture stesse della nuovaorganizzazione del lavorocapitalistica le condizioni chepotrebbero condurre a unamutata coscienzadell’appartenenza sociale: lasolidarietà che è necessariaper poter integraresocialmente anche le societàmodernenondevefluiredallefonti della tradizione morale

o religiosa, ma dalla realtàeconomica.

Ora, un tale tentativorichiede un’operazionemetodologicaanalogaaquellaa cui venne sospinto giàHegel allorché volleanalizzare le struttureeconomiche della «societàcivile»: l’organizzazionecapitalistica del lavoro nondeve essere presentata nellasua figura data

empiricamente, casualmente,ma deve invece fornire larappresentazione di queilineamenti normativi che nestabiliscono la giustificabilitàpubblica; se infatti essarestasse ferma alla primaaccezione, cioè alla merariproduzione empirica, nonavrebbe più alcun senso ilfatto che la nuova formaeconomica debba essere unafontedell’integrazioneeticao

della solidarietà. Per questaragione, Durkheim, nella suaanalisi della divisione dellavoro moderna, intraprendeun lungopercorso chenon èaltro che quello compiuto daHegel nella suarappresentazione dialetticadei rapporti economico-liberali del capitalismo cheandava affermandosi[24]:viene mostrato che sotto lenuovecondizionieconomiche

ogni membro adulto dellasocietàhalapretesadioffrireun proprio contributolavorativoalbenecomuneperil quale gli spetta in cambiounaretribuzioneadeguatachene garantisca perlomeno lasussistenza. Certo Durkheimnon utilizza il linguaggio delriconoscimento, il nucleo delsuo argomento però si lasciasenz’altro riformulare con ilsuo ausilio: con la divisione

del lavoro mediata dalmercato si formano deirapporti sociali nei quali imembridellasocietàpossonosviluppare una particolareformadisolidarietà,chiamata«organica»,perchéessisanno,nel reciproco riconoscimentodeilororispettivicontributialbene comune, di richiamarsil’uno all’altro. Mentre Hegelnella sua analisi avevacertamente richiamato

l’attenzione soprattuttosull’indipendenza economicadei partecipanti al mercato,che aveva voluto vedersalvaguardata per mezzo diun reddito che garantisse lasussistenza, Durkheimattribuisce particolareimportanza alla correttezza ealla trasparenza delladivisionedellavorosociale.Asuo avviso la nuova formaeconomica può infatti

assumere la funzione diintegrazione sociale soltantose soddisfa due condizionimorali che operanoattivamentequaliimputazionicontrofattuali in tutte lerelazioni di scambio delmercatodellavoro;perchéglioccupati possanoeffettivamente approvareliberamente i contratti dilavoro, si deve provvedereanzituttoachevisianouguali

condizioni di partenza perl’acquisizione delle qualifichenecessarie, e che tutti icontributi sociali venganoretribuiti inbaseal loro realevaloreperlacomunità[25].

Giustizia e correttezza,dunque, per Durkheim nonsonoidealinormativi impostiall’organizzazione del lavorocapitalistica dall’esterno, macostituiscono invece,all’interno del suo ambito, le

imputazioni funzionalmentenecessarie senza la cui forzanon potrebbe nascere unacoscienza dell’appartenenzasociale. Esattamente nellostesso modo viene scelta laseconda determinazionenormativa chiamata in giocodaDurkheimnel tentativodidischiudere una panoramicasull’esistenza delle premessemorali della nuova formaeconomica: per poter

soddisfare la funzione diintegrazione sociale, irapportidilavoromediatidalmercato debbono essereorganizzati non soltanto inmodo giusto e leale, madebbono anche soddisfareadeguatamente la richiestaper cui le singole attivitàvengano a relazionarsi l’unl’altranelmodopiùlimpidoetrasparentepossibile.

È a questo punto che

Durkheim compie un passodecisivo oltre Hegel, nelmomento stesso in cuiintroducenellasuaanalisiuncriterio atto allastrutturazionenecessariadelleattività individuali. Ilragionamento con cuiDurkheim fonda la sua tesimuove nuovamente dal fattocheinuovirapportidilavoropossonogeneraredelle forme«organiche» di solidarietà

soltanto se vengono esperitidatuttiglioccupaticomeunosforzocomune,cooperativoalbene comune: per potersoddisfare tale condizione,così prosegue Durkheim, sirichiede però che da ognisingolo posto di lavoro sipossa avere una visione diquale tipo di correlazionecooperativa sussista tra lapropria attività e quella ditutti gli altri occupati; ciò

però è nuovamente possibile,secondo Durkheim, soltantose le differenti realizzazionidei lavori sono talmentecomplesse e ambiziose che ilsingolo,dallasuaprospettiva,possa perlomenoparzialmente metterlesensatamenteinrelazioneconilrestodei lavorisocialmentenecessari. Durkheim perciònon esita a cogliere larichiestadiun lavorosensato

ericcoqualitativamentecomeuna pretesa ancorata allepremesse normative delsistema economicocapitalistico stesso: «Ladivisione del lavoro supponeche il lavoratore, lungi dalrestarechinosulsuocompito,non perda di vista i suoicollaboratori,agiscasudiessie riceva la loro azione. Eglinon è quindi una macchinache ripete movimenti dei

qualinonscorgeladirezione,ma sa che essi tendono daqualche parte verso un fineche comprende più o menodistintamente. Egli èconsapevole di servire aqualcosa»[26]. Forse ancheHegel aveva in mente unaconcezione di questo tipoquando parlò dell’«onorecivile» come forma diriconoscimento che spetta adognimembrodellasocietàdel

lavoro mediata dal mercato;Durkheim, però, è stato ilprimoadesserecosìcoerenteda portare avanti l’analisidettagliata delle implicazioninormative della nuova formadi socializzazione fino alpuntodafarvirientrareanchelepreteseadunlavorochesiaesperibilecomesensato[27].

IIII rapporti di lavoro

sempre più deregolati oggiesistenti sembrerebberorappresentare un oltraggio aimodelli dell’infrastrutturamorale della formaeconomica capitalisticarinvenibili in Hegel eDurkheim: la situazioneeffettivadellavorosociale,siache ci si richiami ai regimi

produttivi post-fordisti delledemocrazie occidentali, sia aipaesi del secondoo del terzomondo in cui i salari sono abasso costo, è caratterizzatada condizioni talmentegravose e inaccettabili chequalsiasi richiesta di un loroconsistente miglioramentosuona necessariamente comeun appello a un «dovereastratto».Oggi,comehodettofin da subito, siamo tanto

distanti dall’esercitare unacritica dei rapporti di lavoroche sia efficace edeffettivamente fecondaquantononsieraancoramairegistrato nella storia dellesocietà capitalistiche. NelcontempoleanalisidiHegeleDurkheimnonhannopersoilloro significato; se poiprendiamo come validi inuovi sviluppi avvenuti nellasociologia economica o

nell’istituzionalismoeconomico, sul pianoteoretico diviene alloraperfino ancor più evidenteche il mercato del lavorocapitalistico dipende dacondizioni normative chesono nascoste soltanto dairichiami esorcizzanti alle«forze autoregolantesi delmercato».Tuttavia,nontuttociò che emerge dalla mutataprospettiva di queste nuove

discipline in relazione allepremessepre-economichedelmercato è nel contempoanche di natura morale; lamaggior parte delleregolamentazioni chevengono analizzate in questoambito per dimostrare ladipendenza del mercato dacondizioni ad esso esternepossiede infatti, piuttosto, ilcarattere di convenzioniistituzionalieretisociali[28].

Ci imbattiamo in normemorali in senso strettoanzitutto se condividiamo laconvinzione, con Hegel eDurkheim,cheilmercatodellavorocapitalisticononabbiacostituito soltanto un mezzodella crescita dell’efficienzaeconomica, ma anche unmedium dell’integrazionesociale;èdifattisoltantosottoquestepremesse,nient’affattoovvie, che viene alla luce il

fatto che le funzioni di ognimercato dipendono dallasoddisfazione di promessemorali chedovrebbero esseredescritte per mezzo diconcetti quali «onore civile»,«giustiziadellaprestazione»e«lavoro sensato». Neconsegue che la risposta allaquestionesesipossadisporredi criteri immanenti per lacritica dei rapporti di lavoroesistenti dipende interamente

dalladecisionedianalizzareilmercato capitalistico dallavisuale dell’integrazionesistemica o invece da quelladell’integrazione sociale: se cilimitiamo alla primaprospettiva, nel mercatoemergono allora di certocondizioni eregolamentazioni pre-economiche, ma nessunprincipiomorale; se invececilasciamo guidare dalla

seconda prospettiva, nellostessomercatosimanifestanoallora tutte quelleimplicazioni morali chesecondo Hegel e Durkheimgarantiscono il suoradicamento normativo nelmondodellavitasociale.

Ora, giunti a questopunto, in cui si tratta disceglieretradueprospettive,èforse il caso di lasciarlegittimamentesentire levoci

degli interessati stessi. Certonel corso della miaargomentazioneèemersochenon possiamo appoggiarcisemplicementeaigiudizidegliinteressati al fine digiustificare una critica deirapporti di lavoro; una taleforma di fondazione, infatti,verrebbeaduncertopuntoamancare di quell’argomentoche spiega perché lerimostranze e le proteste

avanzate pubblicamentedebbano avere, in assoluto,una qualsivoglia specie divaliditàmorale. Forse però ildisagio degli interessati puòesser fatto rientrare in giocoadunlivellopiùalto,oveessocioè viene preso non comefonte normativa della critica,ma come ausilio decisionaleper la scelta tra le dueprospettive suddette. Ladecisioneconcernente il fatto

che di fronte al mercato dellavoro capitalistico si debbapreferire la visualedell’integrazione sistemica oinvece l’integrazione socialenon può infatti essersemplicemente lasciataall’arbitriodelsingoloteorico;eglipiuttostodevegiustificarela sua scelta considerandoqualedelledueprospettivesiapiù idonea a spiegare gliambiti analitici in questione.

Fintanto però che gliinteressati insorgono controcondizioni di lavoroinaccettabili, fintanto che lamaggioranza dellapopolazione soffre entro leesistenti relazioni dilavoro[29], sono minori glielementi che inducono adanalizzare il mercato dellavoro capitalistico soltantodal punto di vistadell’efficienza; perlomeno «i

figli [e le figlie] della societàcivile» sembrano essereconvinti – modificandoleggermente una frase diHegel – che il mercato «haaltrettante pretese verso di[loro], quanto essi hannodirittiversodi[lui]»[30].

Adognimodo,lereazionidi coloro che popolano ilmercato del lavoro delcapitalismo contemporaneopossono essere spiegate

adeguatamente soltanto se,anziché la prospettivadell’integrazione sistemica, siadottaquelladell’integrazionesociale; perché il fatto chenelle condizioni esistenti siami, e non domini piuttostolemera indifferenza, e che sireagisca combattendo eribellandosi, e non con unamera apatia strategica, puòesserecompresosoltantoseilmercato viene analizzato

come una parte del mondodella vita sociale. Se peròfacciamo nostra una taleprospettiva, allora nelmercatocapitalisticovengonoa prender vita tutte quellecondizionimorali chehoquiricostruito con Hegel eDurkheim; e oggi, sotto lapressionedellerelazionidate,visonobenpocheragioniperabbandonarequestariservadiprincipimorali.

Note[1]Cfr. R. Castel, Les

Métamorphoses de la questionsociale, Fayard, Paris 1995; vedi lamia recensione in «Literaturen», 2(2001), pp. 58-59; su questo temavedi anche E. Senghaas-Knobloch,WohindriftetdieArbeitswelt?,VS-Verlag,Wiesbaden2008,parteI.

[2]MilimitoquiarimandareaCh. Morgenroth, Arbeitsidentitätund Arbeitslosigkeit – eindepressiver Zirkel, in «DasParlament. Aus Politik und

Zeitgeschichte»6-7(2003),pp.17-24; W.J. Wilson, When WorkDisappears:TheWorld of theNewUrban Poor, Vintage, New York1996.

[3]Cfr. J. Habermas,Die Krisedes Wohlfahrtsstaates und dieErschöpfungutopischerEnergien,inId., Die Neue Unübersichtlichkeit,Suhrkamp, Frankfurt/M. 1985,trad. it. La nuova oscurità. Crisidello stato sociale ed esaurimentodelleutopie,EdizioniLavoro,Roma1984.

[4]Cfr. J. Habermas, Theoriedes kommunikativen Handelns,

Suhrkamp, Frankfurt/M. 1981,trad. it. Teoria dell’agirecomunicativo, il Mulino, Bologna1986, vol. 2, pp. 959 sgg. Ho giàsviluppato delle riflessioni controquesta denormativizzazione dellasfera economica in A. Honneth,Kritik der Macht. ReflexionsstufeneinerkritischenGesellschaftstheorie,Suhrkamp, Frankfurt/M. 1986,trad.it.Criticadelpotere.Lateoriadella società inAdorno,Foucault eHabermas,Dedalo,Bari2002,cap.6.

[5]Perunabellapanoramicadiquesteutopiedel lavoroartigianali

oartistichevediilcapitolo36diE.Bloch, Das Prinzip Hoffnung,Suhrkamp, Frankfurt/M. 1959,trad. it. Il principio speranza,Garzanti, Milano 1994; sullesottocorrenti romantiche delsocialismo vedi anche G.Lichtheim, Origins of Socialism,Littlehampton, Durrington 1969,trad. it.Leoriginidel socialismo, ilMulino,Bologna1970.

[6]Cfr. M. Seel, Versuch überdie Form des Glücks, Suhrkamp,Frankfurt/M.1995,pp.142-150.

[7]Ciò vale naturalmente, e inmodo ancor più forte, per quei

tentativi che oggi evocano ancorauna volta l’ideale dell’attivitàartigianale e compiuta; vedi p. es.R. Sennett, The Craftsman, YaleUniversityPress,NewHaven2008,trad. it. L’uomo artigiano,Feltrinelli,Milano2008.

[8]La prima spinta a riferirmialla dimensione normativa delloscambio sociale delle prestazionianziché a quella del lavoro l’hotratta dal saggio di F. Kambartel,Arbeit und Praxis, in «DeutscheZeitschrift für Philosophie», 41/2(1993), pp. 239-250: 239 sgg.; vedianche Id., Philosophie und

Politische Ökonomie, Wallstein,Göttingen1998.

[9]Cfr.A.Honneth,Arbeitundinstrumentales Handeln, in U.Jaeggi (Hg.), Arbeit, Handlung,Normativität, Suhrkamp,Frankfurt/M.1980.

[10]Cfr. J. Habermas, Replikauf Einwände (1980), in Id.,Vorstudien und Ergänzungen zurTheorie des kommunikativenHandelns,Suhrkamp,Frankfurt/M.1984,p.485,nota14.

[11]Su questo vedi R.Münch,Zahlung und Achtung. DieInterpretation von Ökonomie und

Moral, in «Zeitschrift fürSoziologie», 23/5 (1995), pp. 388-411.

[12]G.W. Hegel, Grundliniender Philosophie des Rechts (1821),Suhrkamp, Frankfurt/M. 1970,trad. it.Lineamenti di filosofia deldiritto,Laterza,Roma-Bari1987,§199,p.163.

[13]Ivi,p.164.[14]G.W. Hegel, Grundlinien

der Philosophie des Rechts, cit., §236,Zusatz, p. 385 [aggiunta nonriportata nell’edizione citataLaterza,N.d.T.].

[15]Cfr. H.-Ch. Schmidt am

Busch, Hegels Begriff der Arbeit,Akademie, Berlin 2002, p. 151;devo a questa eccellentemonografiaunaseriedistimoliperle argomentazioni che presento inquestasede.

[16]Ivi,pp.59-65.[17]Le citazioni sono tratte da

G.W.Hegel,Lineamentidifilosofiadeldiritto,cit.,§243e244,pp.187-188.

[18]Ivi, § 245, p. 188; sullaquestione vedi anche H.-Ch.Schmidt am Busch, Hegels BegriffderArbeit,cit.,p.146.

[19]Cfr. K. Polanyi,The Great

Transformation, Holt, New York1944, trad. it. La grandetrasformazione, Einaudi, Torino1974,soprattuttoparteII,cap.5.

[20]VediadesempioJ.Beckert,Die sozialeOrdnung vonMärkten,in J. Beckert, R. Diaz-Bone, H.Granßmann (Hg.), Märkte alssoziale Strukturen, Campus,Frankfurt/M.-NewYork2007.

[21]Per una bella panoramicasu questo dibattito vedi Ch.Deutschmann, Unsicherheit undsoziale Einbettung: konzeptuelleProblemederWirtschaftssoziologie,in J. Beckert, R. Diaz-Bone, H.

Granßmann (Hg.), Märkte alssoziale Strukturen, cit., pp. 79-83.In relazione a questo dibattito sideve naturalmente richiamareTalcott Parsons: anch’egli infattimuove da una serie di premessenormative inerenti i fenomeni delmercato: cfr. T. Parsons, TheMotivation of Economic Activities,in «Canadian Journal ofEconomicsandPoliticalScience»6(1940), pp. 187-203, trad. it. Lamotivazione delle attivitàeconomiche, in Id., Società edittatura,ilMulino,Bologna1956;qui Parsons inoltre colloca in una

posizione centrale il concetto di«riconoscimento» (p. 45) perchéquestecondizioninormative,asuaavviso, devono assicurare che leattività del lavoro, nel corso dellarealizzazione dei ruoli lavorativi,vengano reciprocamentericonosciute e, quindi, vengaraggiunto ilnecessario«rispettodisé».

[22]Cfr. É. Durkheim, De laDivisiondutravailsocial,étudesurl’organisation des sociétéssupérieures, Alcan, Paris 1893-19022, trad. it. La divisione dellavoro sociale, Edizioni di

Comunità,Torino1999.[23]Qui evito di addentrarmi

nelle molteplici difficoltà cheemergonodall’analisidiDurkheim;per un’utile panoramica vedi S.Lukes, Émile Durkheim: His Lifeand World. A Historical andCriticalStudy,Allen,London1973,cap. 7; H.-P. Müller, DieMoralökonomie modernerGesellschaften, in É. Durkheim,Physik der Sitten und des Rechts,Suhrkamp,Frankfurt/M.1999.

[24]Steven Lukes richiamaindirettamente l’attenzione sullavicinanza ad Hegel allorché

rimandaripetutamentealparallelotra l’analisi di Durkheim e quelladel neohegeliano britannico T.H.Green; cfr. S. Lukes, ÉmileDurkheim,cit.,pp.265,271,300.

[25]Cfr. É. Durkheim, Ladivisionedellavorosociale,cit.,pp.371-377.

[26]Ivi,p.364.[27]Che Durkheim fosse

consapevole di tutte questeimplicazioni normative della suaanalisi sociologica emergechiaramente in un breve testo del1898: É. Durkheim,L’individualisme et les intellectuels,

in«Revuebleue»4/X(1898),pp.7-13, trad. it. L’individualismo e gliintellettuali, in Id., La scienzasociale e l’azione, il Saggiatore,Milano1972.

[28]Cfr. M. Granovetter,Economic Action and SocialStructure: The Problem ofEmbeddedness, in «AmericanJournalofSociology»,91/3(1985),pp.481-510.

[29]Cfr. P. Bourdieu (dir.), LaMisèredumonde,Seuil,Paris1993.

[30]Cfr. G.W. Hegel,Lineamenti di filosofia del diritto,cit., § 238, p. 186 [integrazioni di

A.H.,N.d.T.].

Capitolo3.Autorealizzazione

organizzata.Paradossidell’individualizzazione

Nella misura in cui siconfigura come teoria dellasocietà,lasociologia,findallesue origini della fine delXIXsecolo,ha inteso se stessaneiterminidiunconfrontoconiprocessi sintomatici di

trasformazione delle societàmoderne. A tal fine essadispone soprattutto di dueconcetti ereditati dalpatrimonio della filosofiasociale classica.Uno è quellodella «razionalizzazione», chein Max Weber designal’estensione graduale deicriteri della razionalitàrispetto allo scopo a quellesferesocialichefinoadallorasi sarebbero dovute

subordinare all’integrazionetradizionalerealizzatatramitevalori e affettività. L’altroinvece è quello della«individualizzazione»,che,adesempio in Émile Durkheim,viene concepita come ilprocesso attraverso il quale imembri della società sisvincolano costantemente eirreversibilmente da legamitradizionali e costrizionistereotipizzanti, e che

contribuisce ad incrementarelibertà di scelta e autonomia.Adottando questi dueconcetti, lo sviluppo dellesocietà moderne è stato cosìsolitamente inteso comeintreccio istituzionale dirazionalizzazione eindividualismocrescente.

Se questa coppia diconcetti ha permesso unampliamento epistemico,sono però in egual misura

cresciutiiproblemicheleduecategorie implicano di per sestesse.Rispettoal concettodi«razionalizzazione», non èdifatti chiaro se esso possaeffettivamente rappresentareil criterio unitario inerentel’efficacia delle regoletecniche in virtù del qualepossiamo parlare di unarazionalizzazioneistituzionalerispetto ad ambiti talmentedifferenti quali

l’organizzazione economica,l’amministrazione politica, lacondottadivita individualeela vita familiare. Altrettantoproblematicaèlaquestionesein questi ambiti differentil’analisi specifica dei processidi trasformazioneistituzionale possa esseresempre ricondotta almedesimo criterio di unacrescita della razionalitàrispetto allo scopo. E non è

certo meno vivace ladiscussione concernentel’utilizzo che Durkheim fadella categoria di una«individualizzazione» indottasocialmente allorché egli,concordando parzialmentecon Hegel, riconducel’ampliamento degli spaziindividuali alladifferenziazione funzionale.Del resto già Weber in unpasso rimarcava che il

termine «individualismo»designa quanto «di piùeterogeneo si possaimmaginare»[1]. Qui ilproblema centrale è fin dasubito quello di sapere inquale misura la registrazionedescrittiva dellapluralizzazione dei ruoliindividuali, dei legami e deirapporti di appartenenzapossa effettivamenterappresentare anche un

indice dell’incrementodell’autonomia personale.Anche per questi due aspetti– l’incremento del potered’azione individuale e dellecapacità riflessive – sipossono di certo stabilire deicriteriindividuabiliattraversoil ricorso ad una formadeterminata di osservazioneesterna. E tuttavia, quale chesia il modo adottato perrisolvere la questione, resta

indubbio che mentrel’individualizzazione dellestorie di vita, nellamisura incui viene intesa come unprocesso oggettivo, siconfigura come un processofacilmente osservabile, la tesidi una autonomizzazione deisoggetti resta invece, indefinitiva, sempre ancorataalla prospettiva deipartecipantiall’interazione.

Il concetto di

«individualizzazione», cherappresenta il secondocardine di una diagnosisociologica della modernità,mostra quindi fin dalle sueorigini una precariaambivalenza: con esso vienesincronicamente inteso sia ildato di fatto di un aumentodelle peculiarità individualiosservabili dall’esterno, sia ildato di fatto «interno» di unincremento delle prestazioni

proprie del soggetto. Inquesto contributo vorreiconcentrarmi sullecaratteristiche strutturali cheoggi, transitando attraversoquesti due poli, ha assunto ilprocessodell’individualizzazione; alriguardo è anzituttocertamente necessariosviluppare delle ulteriorichiarificazioni concettuali dalmomentoche laquestione in

oggettopresentaunapluralitàdi aspetti ancor maggiore diquanto non possa apparire aprimavista.

ITra i classici della

sociologia è Georg Simmell’autore cheha sviluppato findasubito,nelproprioambitodisciplinare, una sensibilitàparticolare per quelledifferenziazioni concettualinecessarie a sciogliere leambiguità del concetto di«individualizzazione». A luifu infatti chiaro, come a

nessun altro autore dellagenerazione dei padri dellasociologia, che vi è unadifferenza di principio tra ilmero dato di fattodell’aumento delle qualitàindividuali, quindi dellapluralizzazione degli stili divita permessa dall’economiamonetaria, e la crescitadell’autonomia personale. Ilfatto che nelle metropoli lerelazioni sociali diventassero

sempre più anonime,esonerandocosìdaivincolidiappartenenza sociale econducendo ad unamoltiplicazione dellepossibilità di scelta, dal suopunto di vista non significapiùcheci si trovacomunquedifronteadunaumentodellalibertà individuale, dalmomento che essa necessitadel «sostegno che offresicurezza» dato dagli altri

soggetti[2].Al fine di tracciare una

diagnosi soddisfacente delcapitalismomoderno,Simmelperò non si limita soltanto asegnalare fin da subito lanecessità di operare unadistinzione traindividualizzazione sociale ecrescita della libertà; egliriservaaltresìallasociologiailcompito di problematizzareulteriormente il concetto di

«individualizzazione» nelmomento stesso in cui,nell’ambitodellesuediagnosiepocali sociologiche, portaalla luce due ulteriori sferesemantiche.Daunlato,comemostrano le analisi tracciatenellaFilosofiadeldenaro, perSimmel i processi dipluralizzazione dellepossibilità di sceltatematizzati descrittivamentecomportanosempreilrischio

di un impoverimento deicontattisociali,diunasempremaggior indifferenza; si deveperciò sempredistinguereunterzo significato del concettodi «individualizzazione» chesi riferisca alla tendenzaall’isolamento dei soggetti inun quadro segnatodall’incremento di contattisociali sempre più anonimi.Simmel ritiene che anchequesta tendenza di sviluppo

possaesseredescrittasoltantoallorchésiadottiunpuntodiosservazione esterno; diconseguenza, non lainterpreta come un processodi crescente isolamento cheinduce un senso diopprimente solitudine, mapiuttostocomeildatodifattoobiettivo concernente lasempre maggiorconcentrazione dei soggettisui propri meri interessi,

indipendentidaglialtri.Soprattutto però Simmel

intende l’idea stessa dellacrescita della libertà in duesensi diversi, sì che giunge adifferenziare ulteriormente ilconcetto di«individualizzazione»[3]. Quiil punto di partenza èrappresentato da unadistinzione concernente ladeterminazione dello scopodel secondo polo

dell’individualizzazione,ovvero l’autonomizzazione:secondo la sua concezione,nella cultura romana il telosdella formazione della libertàinteriore era inteso neitermini di una articolazioneautonoma di opinioni eintenzioni che in linea diprincipio ogni essere umanopuò raggiungere; si tratta diun individualismodell’uguaglianzadalmomento

che concerne la possibilità disviluppare una capacitàriflessiva individuale cherappresenta una qualità delgenereumanoinquantotale.A questa sorta di progettodell’autonomia, come oggiforse potremmo dire, sicontrapponeunsecondotipodi individualismo, le cuiradicispiritualiaffondanonelromanticismo tedesco: qui ilfinedellacrescitadellalibertà

individualevieneintesocomecompito volto a far emergeredalle lorostoriedivitaquellecaratteristiche uniche einconfondibili attraverso lequaliisoggettisidistinguonol’uno dall’altro; diconseguenza, si deve parlaredi un individualismo«qualitativo» che, erede diHerder, Schleiermacher,NietzscheeKierkegaard,mirafondamentalmente

all’espressione dellapersonalità autentica deisingoli. Per Simmel, lacrescita della libertàindividualeprocedequindiinentrambe le direzioni:aumento dell’autonomia ecrescita dell’autenticità;direzioni tra le quali, nellamodernità, si staglia unamolteplicità di tensioni nonfacilmente eliminabili.Riassumendo le sue ricerche

sociologiche, Simmeldistingue quindi quattrofenomeni singolari chepossono essere ricondotti divolta in volta al concetto di«individualizzazione»: difianco all’individualizzazionedei percorsi di vita,apparentemente osservabiliempiricamente come dati difatto, si debbono anchecomprendere il crescenteisolamentodegliattorisociali,

così come l’aumento dellafacoltà riflessive e, infine, lacrescita dell’autenticità degliindividui.Procedendo inunadiagnosi sociologica epocale,la difficoltà qui consiste neltener sempre separati iquattro processi di sviluppoinmodotaledapoterportareanzitutto alla luce i lorolegamireciproci.

Può esser stato a causa diquesta straordinaria

polisemiadelterminechenelcorso di quest’ultimo secolol’esitodell’«individualizzazione»delle societàmoderne è statointerpretato in modiradicalmente differenti. Nellasua istruttiva panoramicastorico-teorica del dibattitosotterraneo che haaccompagnato la questione,Markus Schroer[4] hadelineato tre correnti nelle

qualiilprocessodellacrescitadell’individualità è statovalutato di volta in volta inmodo assai diverso. Da unaparte, la crescenteattribuzione di«individualità» realizzataattraverso educazione,amministrazione e industriaculturale è stata descrittacome un processo didisciplinamento attraverso ilquale si sviluppa una forma

peculiare di individualismoconformistico cheintorpidisce sempre di più leforze riflessive di resistenzadel singolo. Dall’altra parte,nella linea di Durkheim eParsons, si è sviluppata unaprospettiva dalla qualedetradizionalizzazione epluralizzazione funzionalesono state interpretate comeuna chance per la crescitadell’individualità: svincolano

quelle capacità chepermettono di decidere dellapropria vita in modoautonomamente responsabileeriflessivo.Ametàstradatraqueste due correnti, si trovainfine un terzo indirizzoteorico entro il quale ilprocesso diindividualizzazione è statointeso come un’arma adoppio taglio: per un versopermette ai singoli di

emanciparsi dai legamitradizionali, per un altro liinduce sincronicamente esotterraneamente ad uncrescenteconformismo.

Se ora ci vogliamo alpresente, la questione, giàintricata, si complicaulteriormente. Rispetto ai tremodelli interpretativi distintida Schroer, si devono infattiora considerare anche nuovipuntidivistastandoaiquali,

nel quadro del processodell’individualizzazione,vieneamanifestarsiounacuirsideisingoli fenomeni suddetti ouna trasformazione radicaledel modello strutturale diriferimento. Vi sono diversiesempi che attestano questiindirizzi; un primo concernel’indirizzo comunitarista,entro il quale hanno riscossograndeattenzionesociologicaquegli aspetti

dell’individualizzazione chegià Simmel descrisse neitermini di un aumentodell’indifferenza: a causadell’aumentatamobilitàfisica,e del cambiamento semprepiù frequente dellaprofessione, i soggettiinterrompono sempre piùvelocemente le loro relazionisociali;intalmodovengonoaritrovarsi in una situazionecheostacola lapropensionea

instaurare dei legami sociali,rinforzando invece unatteggiamento meramenteegocentrico nei confronti deiloro partnerall’interazione[5]. In questastessa direzione si muovonoanche le ricerche volte adanalizzare le conseguenzeculturali indotte dallavirtualizzazione dellacomunicazionesociale[6].Unaltro tema caro a Simmel

riemerge poi nella diagnosiepocale proposta negli ultimianni da Charles Taylor:secondo la sua disamina, ainostri giorni l’idealeromanticodell’«autenticità»èstatotalmentetrivializzatodaaver tacitamente perduto isuoi riferimenti dialogici ecomunitari, conducendoall’adozione di unatteggiamento volto allascoperta di sé meramente

egocentrico[7]. Si devonoinfine considerare anche lericerche empiriche dedicateall’analisi di quei modelli diaspettative istituzionalizzatiattraverso i quali laformazionedipercorsidivitaoriginali si è trasformata inuna richiesta pressante per isoggetti stessi:ognigiornodipiù, e soprattutto nell’ambitodei lavori qualificati, lapresentazione di un «sé

autentico» è diventata unaprecondizione necessaria perl’assunzione, sì che per isoggetti stessicoinvoltinonèpiù così semplice distingueretraiprocessidiscopertadisé«autentici» e quelli soltantostilizzati[8].

Questo elenco dei nuovifenomeni inerenti aidifferenti ambiti della«individualizzazione» puòcertamente essere integrato

daulterioriosservazioni;edèsoprattutto dalle disciplinedellapsicologiasocialeedellasociologia dei media che direcente sono emerse analisiche potrebbero ampliareulteriormente le prospettiveconcernenti lo spettro deiprocessi di isolamento e diautonomia dischiuso daGeorg Simmel. La brevepanoramica finora tracciata ètuttavia di già sufficiente a

dare un’idea delle principalidifficoltà che una disaminadel processodell’«individualizzazione»oggi deve affrontare:attualmente vi sono troppifenomeni sociali, troppicambiamenti concernentiquesto o quell’aspetto della«individualizzazione» perpoter parlare avventatamentedi un modello di sviluppocomeseesso,dipersestesso,

fosse già stato delineatolimpidamente. E tuttavia,allorchénelseguitoparleròdiun tale schema di svilupposociale adottando il concettodi«paradosso», lofaròconlasola riservametodologicapercui se esso rappresentasoltanto una delleinterpretazioni tra le tantepossibili, non è menolegittima delle altre. La tesichevorreiquisostenereèche

le preteseall’autorealizzazioneindividuale cresciuterapidamente nel corso degliultimi tre o quattro decenninei paesi occidentaliattraverso la correlazionestorica di processi diindividualizzazionediversissimi, si sono nelfrattempo trasformate inmodelli di aspettativeistituzionalizzati della

riproduzione sociale fino alpunto in cui, perduta la lorofinalitàinterna,sonovenuteafornire i fondamenti dellalegittimazione del sistema. Ilrisultato di questorovesciamento paradossale,nel corso del quale queiprocessi che un tempopromettevano una crescitadella libertà qualitativa sonoormaidivenutiideologiadelladeistituzionalizzazione, è

rappresentato dallaformazione di unamolteplicità di sintomiindividualidivuotointeriore,senso di inutilità edisorientamento.

Per sviluppare questa tesiprocederò in tre passi. Nelprimocercheròdidelinearele«affinitàelettive»riscontrabilitra i differenti ereciprocamente indipendentiprocessi di

individualizzazionerealizzatisi nel corsodel anniSessanta e Settanta nei paesioccidentalipiùsviluppati,taliper cui nel complesso si puòparlarediunanuovaformadi«individualismo» (II). Nelsecondo passo vorreiricostruire i processi socialiattraverso cui quelle preteseindividualicresciutenelcorsodei decenni seguenti si sonotrasformate, attraverso

l’adattamento istituzionale eorganizzato delle prestazioni,in modelli di aspettativeistituzionalizzati tali per cuiesse vengono ora aconfigurarsi,dallaprospettivadei soggetti, quali richiesteesterne; anche qui, come nelpasso precedente, mi dovròlimitare a tracciare un unicoed essenziale trend disviluppo (III). Nel terzopasso,infine,stileròunelenco

di quegli indicatorisociopsicologici e clinici cheoggi sembrano confermare latesi per cui il paradossalecapovolgimento del processodi individualizzazioneminaccia di generare unamolteplicità di nuove formedi sofferenza sociale siamateriali sia psichiche;panoramica che, da ultimo,mi permetterà di concluderecon una citazione

sorprendentemente attualediGeorgSimmel(IV).

IIIn virtù della distanza

ormai pluridecennale che ciseparadaigrandirivolgimentisocioculturali delle societàoccidentali del dopoguerra,oggi li possiamo descriverenei terminidiunprocessodiindividualizzazione segnatodall’incrocio di tendenzespecifiche di volta in voltadifferenti. Al riguardo non

risulta quindi del tuttoerroneo parlare, con UlrichBeckeAntonyGiddens,diunnuovo stadio tardomodernodell’individualismoriflessivo[9]. Per sviluppareuna tale diagnosi è tuttaviacertamente necessario esserben consapevoli del fatto chela forma di individualità quiconsiderata non concerne ilrisultato di un processo diaccrescimento per così dire

unilineare: essa è piuttostol’esito del reciprocorafforzamento di dinamichedisviluppocheprocedono,divolta in volta, in modoradicalmente separato.Questo stato di cose si lasciadescriverenelmodomiglioreallorché, riprendendo MaxWeber, lo si intende neiterminidiunaconvergenzadiprocessi di trasformazionespirituali,socialiematerialile

cui«affinitàelettive»rivelanouna quantità tale di tratticomuni che nel complessosonoingradodigenerareunanuova forma di«individualismo»[10].

I fondamenti materiali diquesta spintaall’individualizzazionederivano da una serie diprocessi di sviluppo socio-strutturaliche,consideratinelloroinsieme,hannocondotto

ad una pluralizzazione deipercorsi di vita individualiche può essere descritta interminipuramentedescrittivi:la crescita smisurata deiredditiedel tempo liberodallavoro ha consentito unagraduale estensione deglispazidecisionali individualieha ridotto, inversamente, ifattori dinamici impressidall’appartenenza a classispecifiche. In virtù

dell’ampliamento del settoredei servizi registratosi neipaesi capitalistici occidentali,per una gran parte dellapopolazione le chance dicrescita sono aumentate alpunto da aver innescato unampio processo di ascesasociale attraverso il quale glistessi percorsi di vita si sonosempre più diversificati. Invirtù dell’espansione delsistema educativo realizzato

in tutti ipaesioccidentalinelcorso dei cinque decennisuccessivi al dopoguerra, sisono infine rapidamenteampliate anche le possibilitàdi sceltaprofessionale, sìche,anchedaquestaprospettiva,ipercorsi di vita individualihanno iniziato a divergerel’uno dall’altro in misurasignificativa. Fin dal tempodei movimenti studenteschiemerse come la popolazione,

dalpuntodivistadeipercorsidi sviluppo biografici e delleforme esistenziali, avesseormaidisegnatoun’immagineben più ricca e plurale diquanto non fosse quellarisalente anche solo a unadecinadianniaddietro.

Alle tendenze oggettiveinerenti un ampliamentodelle opzioni d’azione, siaggiungono inoltre degliindicatori che offrono,

perlomeno in modoapprossimativo, delleindicazionidelfattochenellostesso periodo è cresciutaanche quella capacità diautonomiadegliindividuichein definitiva può esser coltasoltanto in sensoperformativo. Sarebbe delresto sorprendente se conl’ampliamento dellepossibilità formative nonfossero cresciute in modo

consistente anche la chanceper i processi di riflessione edi scoperta di sé[11]. Ladissoluzione delle reti deilegami specifici di classeinnescata dalle riformeeducative, ma anche dalrisanamento delle grandicittà, risulta così a sua voltaaver contributo al radicaleampliamento degli orizzontiesistenziali immaginabili daisingoli individui e con ciò

all’estensione dei correlaticampi esperienziali; anche leindagini empiriche mostranoche la tendenza ad unacutizzarsi delle crisiadolescenziali registrataall’inizio degli anni Settantasegnala la crescita generaledei percorsi voltipotenzialmente a scoprireautonomamente la propriaidentità[12]. Quali che sianole singole cause sociali qui in

gioco, non v’è alcun dubbiosul fattochenel corsodiduesoli decenni le formeesistenziali si sianofortemente individualizzate:per potersi assicurare leproprie chance future, imembri delle societàoccidentali sono stati forzati,esortatioincoraggiatiaporresé medesimi al centro deipropri progetti e condotte divita.

Tutti questi processi ditrasformazione socio-strutturale tuttavia nonsarebbero stati sufficienti acondurre effettivamente aduna nuova forma diindividualismo se nonavessero interagito conun’ulteriore trasformazione ediversificazione di caratteresocioculturale. Se si puòdifatti certamente sostenereche senza l’ampliamento

obiettivo delle opzionid’azione individuali il nuovoideale culturale non avrebbeavuto alcuna chance diaffermarsi, è tuttaviaaltrettanto certo che le sueradici nel complessoaffondano,nondimeno,inunterreno completamenteindipendente. Se è infattianzitutto grazie all’aumentodei redditi generati dallacrescita economica nel

dopoguerra che è venuta adischiudersi la possibilità diadottare forme di consumorelativamente lussuose, ilsignificato peculiare che isingoli le hanno attribuito inmodo sempre più deciso hatuttavia un’originecompletamente differente,rimanda infatti ad una fonteculturale: il bisogno diricercare nella sfera delconsumo non più beni di

necessità ma prodotticulturali superflui,interpretandoli qualipossibilità per incrementarela propria gioia di vivere,deriva, stando all’analisi diColin Campbell, da quelleparticolari correnti di naturareligiosa, per lo piùprotestanti, che quale segnodella bontà e grazia divinahanno posto, in alternativaall’etica del lavoro calvinista,

stati straordinari dieccitazione emotiva.Allorchéattraverso sentimentalismo eromanticismo si spense lafonte religiosa di questopiacere sensorialeimmaginario, esso potédivenire lo spronenormativoattraversocuivenneassegnataai beni di consumol’impronta che permise lorodi assumere quella valenzaidentitaria tipica del

consumismo deldopoguerra[13].

Ciò che vale per ilconsumismo nella suaparticolarità sembra peròaccordarsiadunamolteplicitàdi altre trasformazioniconcernenti i comportamentidi questo periodo storico:quasiovunquelademolizionedi rigide modalitàcomportamentali noncondusse infatti soltanto alla

formazione di una nuovapersonalità ideale, ma venneanche a rappresentare lapossibilità per una fasciasociale sempre più ampia diappropriarsi di tradizioniculturali riservate fino adallora esclusivamente a delleminoranze, che acceleraronoquindi, insecondabattuta, losviluppodimodelli identitaridiversi. I processi ditrasformazione socioculturali

cheviaviahannocondottogliindividuiaporresémedesimial centro dei propri progettidi vita hanno così consentitolaripresadimassadischemainterpretativi, per lo più dimatrice romantica etramandatisi fino ad alloraper via di piccoli gruppisettari, attraverso i quali lavita è venuta a configurarsicome un processo diautorealizzazione

sperimentale.Un buon esempio di

questo intreccio di «affinitàelettive» concernente svoltesociali e trasformazioniculturali è rappresentato daquel processo dicambiamento deicomportamenti che poi èstato spesso definito come«rivoluzione sessuale»[14]. Ilpuntoècheadavercondottoad una rivalutazione della

sessualità quale campoprivilegiato per testare lapropria individualità non èstata la dissoluzione delmodello dei ruoliconvenzionali resa possibiledalla pluralizzazione delleforme esistenziali avvenutanel corsodegli anniSessanta;prima che potesse formarsiunostilecomportamentaleincui la continuasperimentazione sessuale

venisse ad essere esperitaquale espressionedell’autorealizzazionepersonale, era difattipreliminarmente necessarioche ci si appropriasse di unideale culturale, seppurminoritario già presente, nelquale l’uomo fosseinterpretato primariamentecome un «soggetto didesiderio» (Foucault); postoche la diffusione di questo

modello interpretativo vennecoadiuvata in manieradeterminante dalla recezionedi romanzi come quelli diHermann Hesse ed HenryMilleredallanascentemusicarock. Le lacune normativeaperte per così dire dallosviluppo delle nuove libertàsocioculturali,vennerochiusequasi ovunque grazie allaripresadipraticheesistenzialiderivate da quei fondamenti

della tradizionesimilromantica tali dapermettere di esperire lapropria biografia esistenzialenei termini di un processovolto a realizzare, pertentativi,ilnucleounicodellapropriapersonalità.

Dalla convergenzadell’individualizzazionesocioculturale e dell’idealeromantico di autenticitànacquecosìciòchepuòessere

descritto come strutturacompatta di un nuovoindividualismo: a causadell’ulteriore accelerazionedel processo dimoltiplicazionedellerelazionisociali, nel corso del tempo isoggetti hanno perso sempredi più l’attitudine adintendere il proprio percorsodi vita quale processo disviluppo identitario lineareallacuifinesistaglianoruolo

professionale e divisione pergeneredellavorofamiliare.Alposto di questo schemaidentitario relativamenterigido, che Parsons ponevaancora come ovviofondamento della sua teoria,attraversol’aperturadinuoveopzioni d’azione,l’appartenenza a contestisociali differenti, i contattiravvicinati con forme di vitaprecedentemente aliene e

infine l’assunzione delmodello interpretativoromantico, è subentrata latendenza a concepire ledifferenti possibilitàidentitarie quali basi per unaforma di scoperta di sé ditaglio sperimentale.Riprendendo la terminologiadi Simmel, si sviluppa inmodo massivo unindividualismo di tipo«qualitativo»: i soggetti

testano differenti formeesistenziali al fine direalizzare, alla luce delleesperienze vissute, quelnucleo del proprio sé che lidifferenzia nel modo piùnetto possibile da tutti glialtri. Questa trasformazionenon rappresenta tuttavia chel’innesco di un processoattraverso cui leorganizzazioni chiave dellasocietà si adattano

plasticamentealnuovo idealecomportamentale al fine ditrasformare il nuovo, semprepiùdiffusoedefficaceprofiloesistenziale in uno deifondamenti atti a legittimareristrutturazioni sociali diampiaportata.

IIIDal processo di

trasformazione socioculturaleche ho descritto qualerisultatodella convergenzadilinee di sviluppo di naturaintellettuale e materiale,venticinque anni fa DanielBell ha invece tratto delleconclusioni di ampia portatastando alle quali all’internodel capitalismo sarebbe

cresciuta unacontraddizione[15].Fondamentalmente egli sirichiama ai grandirivolgimenti seguiti almovimento studentescoallorché sostiene che sisarebbe affermata una nuovamorale edonistica quotidianache risulterebbe entrarenecessariamente sempre piùin conflitto con le esigenzefunzionali economiche del

capitalismo: i valori dellacreatività estetica e dellaspontaneità, che dallesubculture delle avanguardieartistiche si sarebbero poidiffuse,asuomododivedere,ad una grande parte dellapopolazione, verrebbero adostacolare sempre di più laformazione di quelle virtùdell’etica del lavoro ancoranecessarie al mantenimentodell’efficienza economica.

Ora, oggi è facile riscontrareche questa prognosisociologicanonsièverificata:il nuovo individualismo«qualitativo», facilmentericonoscibilenelladescrizioneche Bell traccia del nuovoedonismo, non ha difatticertamente condotto ad unariduzione della produttivitàdelle imprese economichecapitalistiche. È vero inveceche le sempre più diffuse

aspirazioni a realizzare e ascoprire se stessi attraversopratiche identitariesperimentali si sono fattesentire,cometestimoniano lestatistiche sociologiche,nell’incremento del tasso deidivorzi,nelcalodellanatalitàe nella nascita di nuovimodelli familiari[16].Secondo la disamina diAnthonyGiddenslerelazioniprimarie divengono sempre

più fragili ed effimereperchéassumono in modo semprepiù marcato il carattere direlazioni «pure», nelle qualicioè i legami reciprocinonsinutrono che del materialevolatile dei propri sentimentie simpatie[17]. Inoltre,sembra essersi rinforzataanche la tendenzaa spenderemolteenergiepsichicheperleattività del cosiddetto tempolibero, che non sono più

vissute come modi perriposarsiodistrarsidallavoroquotidiano, ma qualioccasionipertestareiconfinidel proprio sé[18]. Infine,insiemeallenotedifferenzediceto, negli ultimi decenni èaumentato anche il consumodi beni di lusso, ora vistocome una chance, limpidaseppur soltanto temporanea,di dar vita ad unarappresentazione estetica di

un’identità in costantemovimento[19]. E tuttavia,tutte queste tendenze disviluppo, che si muovonoinequivocabilmente nelladirezione di un«individualismodell’inconfondibilità»(Individualismus derUnverwechselbarkeit)(Simmel), non entrano inalcunmodoinconflittoconleesigenze funzionali

dell’economia capitalistica; alcontrario, è assai difficilesottrarsi all’impressione cheesse nel frattempo sianodiventate una forzaproduttiva, singolarmenteabusata, dellamodernizzazionecapitalistica.

Anche questi processi ditrasformazione ora presi inconsiderazione non possonoperò essere semplicementeconcepiti come il risultato di

ununicocorsodi sviluppo; eanche l’idea per cui sitratterebbedicatenediazionicorrelate intenzionalmente,quindi di reazioniconcatenate messe in attoconsapevolmente, non èinvero adatta a descrivere ifatti in oggetto. Per renderconto adeguatamente delleragioni per le qualil’aspirazioneall’autorealizzazionenelcorso

degli ultimi tre decenni delXX secolo si è rovesciata inuna richiestaistituzionalizzata, risultapiuttosto molto piùpromettente l’immaginedelle«affinità elettive» tra processitrasformativi che si adattanoreciprocamentel’unoall’altro.Per potersi assicurare unsuccesso professionale osociale, gli individui, primasoltanto sporadicamente poi

inmodosemprepiùmassivo,sisonoinfineritrovatiadoveraffrontare il compito dipresentare se stessi comesoggetti biograficamenteflessibili, sempre pronti aicambiamenti[20]. In questoprocessodirovesciamentounruolo certamentedeterminante è stato giocatodai media elettronici: essihannoprovvedutoafarsìcheanche nell’ambito della vita

quotidiana si imponesse unostileidealedivitaimprontato,molto più di quanto nonaccadesse in passato, allamaggior originalità ecreativitàpossibile.Eseanchegli individui, come sostennegià Adorno[21], hannocontinuato tenacemente acontrapporre un consistentescetticismo quotidiano aimodelli esistenziali veicolatidai media, non si può

nondimeno escludere il fattoche l’idealedell’autorealizzazione,attraverso questo canalesubliminale, non sia statopercepito come un elementonecessario per la formazionedella loro stessasoggettività[22].Intalunicasii confini tra realtà e finzionepossono scomparire, sì chepuò emergere la tendenzainconscia a ricercare il

proprioséprecisamenteentroquelle dimensioni in cui simuovonogli idoli televisiviocinematografici. Nelcomplesso qui si può forseparlare di una tendenza aseguire dei modelli identitaristandardizzati al fine discoprire, in modo tuttaviaeffettivamente sperimentale,il nucleo della propriapersonalità.

Un effetto comparabile a

questo è verosimilmentequelloprodottodallestrategiepubblicitarie sviluppate negliultimi due decennidall’industria del consumoper incrementare lo smerciodeiloroprodotti.Quiemergeinfatti la tendenza apubblicizzare l’acquisto dicerti beni facendo levasubliminalmente sullapromessa che essirappresentinodeglistrumenti

estetici atti a presentare e adincrementare l’originalità deiprogetti di vita degliacquirenti[23]. Lastrumentalizzazione dellepretese all’autorealizzazione,dicuiquiè ilcasodiparlare,hacosìcondottoadinnescareuna spirale vertiginosa trainnovazioni stilistiche ereazioni valorizzatrici, poichéogni nuova immagine di séviene utilizzata

immediatamente perridelineare i contenuti cifratidi nuove campagnepubblicitarie. È inoltrepressoché impossibilesfuggire all’impressione chenelfrattempoquestorapportodi subordinazione non si siarovesciato, nel senso chel’industria del consumo edella moda sembrano ormaiesserealorovoltaingradodidiffondere modelli

contraffatti della vitaautentica ai quali poi isoggetti si orientano nel loropercorso di scoperta. Iltentativodirealizzaresestessinel corso della propria vitaviene così sincronicamenteorganizzato subliminalmentedaofferteculturalilanciatedaun’industria pubblicitaria ingrado di cogliereperfettamente anche ledifferenze di età e di genere

deisingolidestinatari.Certamente ben più

importanti degli effettimediatici, la cui portatasociale resta comunquediscutibile,sonosenzadubbiole ristrutturazioni che nelcorso degli anni Ottantahanno interessato i settoridellaproduzioneedeiservizi.Sul piano economico taleperiodo viene descritto comeunafasenellaqualesonostati

demoliti i metodi diproduzione fordisti; per lanostra analisi l’elementodecisivo èperòdatodal fattoche queste trasformazionihanno determinato unmodocompletamente nuovo dirapportarsi al lavoro: sulpianoistituzionaleilavoratorinonsonostatipiùconsideraticome dei dipendenti, mapiuttosto come dei creativi«imprenditori» di se

stessi[24].Benprestosiècosìgiunti a parlare di una«soggettivazione normativadel lavoro»[25] e di unacrescente valorizzazione delleprestazioni lavorativeindividuali[26], intendendoconciòinprimoluogoilfattoche l’organizzazione deiprocessi di produzione edistribuzionesiaffidasempredi più all’iniziativaintellettuale personale dei

singoli lavoratori: l’adozionedi una nuova concezione delmanagement impostata sullivellamento delle gerarchie,l’autonomia dei team el’autogestione avrebbe cosìpermesso di venire incontroalla pretesa inerente ilbisogno di autorealizzazionedei lavoratori quale emergenelfattocheessi,svolgendoleloro attività, cercano diesprimere autonomamente le

abilitàacquisite.Ben presto tuttavia è

divenuto chiaro che lenuovestrategie post-tayloriste delleimprese generano tutt’altroeffetto: tematizzando semprepiù decisamente il lavoro neiterminidiuna«vocazione»,èdivenuto possibile avanzaredelle richieste ai lavoratoriradicalmente differenti: laloro motivazione deveconformarsi intrinsecamente

ed esclusivamente al profilodell’attivitàrichiesta;debbonoessere tacitamentedisponibilia presentare qualsivogliacambiamento del posto dilavorocomesefosseunfruttodellaloropropriainiziativa;illoro impegno deve esserefondamentalmente rivolto albene dell’intera impresa. Nelcorsodi soliduedecenni si ècosì formato un nuovosistema di richieste che ha

permesso di subordinarel’occupazione ad unapresentazione convincentedellavolontàdeilavoratoridimirare a realizzare se stessinellavoro.Asuavoltaquestorovesciamento ha creato lospazioperpoter legittimareegiustificare i provvedimentivolti a smantellare laregolamentazione del lavorosalariato: richiamandosi allamaggior responsabilità dei

singoli lavoratori, è statacontestatal’obsolescenzadellegaranzie di categoria. Lapressione esercitata in talmodo su impiegati e operaiassume così una formaestremamente paradossale: sevogliono preservare le lorochancedioccupazionefuture,debbono organizzarefittiziamente le propriebiografieprofessionaliinbaseal modello

dell’autorealizzazione, anchese in verità desideranopreservare soltanto la lorosicurezza economica esociale[27].

Non è di certo soltanto acausa di un abbaglio che nelsuddetto processo èriscontrabile la tendenza atrasformare la crescentepretesa all’autorealizzazionein una forza produttivadell’economiacapitalistica.La

propensione dei soggetti adinterpretareinmisurasempremaggiorelapropriavitacomeuna scoperta sperimentaledella propria identità nonserve soltanto qualefondamento per legittimareuna serie di processieconomici di ristrutturazioniaziendali che miranocomplessivamente aderegolare i settori dellaproduzione e dei servizi[28];

oggi, piuttosto, il nuovoindividualismovienesfruttatodirettamente comeun fattoreproduttivo, nel senso chefacendo appello ai bisogniapparentemente cambiati deilavoratori si richiede loropiùimpegno,piùflessibilitàepiùiniziativapersonalediquantonon si facesse al tempo delcapitalismo regolato dalloStatosociale.Miparetuttaviafuorviante intendere questa

tendenza allo sfruttamentodegli impulsi e delleinclinazioni individuali comeuna strategia intenzionaleattraverso la quale unmanagementfurboesensibilealla cooperazione avrebbereagito alla critica«edonistica» avanzata alcapitalismo negli anniSessanta.Il«nuovospiritodelcapitalismo» analizzato inmodo affascinante da Luc

BoltanskieÈveChiapellonelvolume omonimo[29],sembra piuttosto essere ilrisultato, non voluto, dellaconcatenazione di processidifferenti che mostrano dipossedere, di volta in volta,una storia e una dinamica disviluppo propri. Se oraintegriamo alletrasformazioni strutturali giàrichiamate in relazione aimediaelettronici,all’industria

culturale e alla sfera dellaproduzione anchel’incremento della aspettativediffuse e quotidianeconcernentil’autorealizzazioneindividuale,giungiamo infinealla stessa conclusione con laquale anche Boltanski eChiapello chiudono la lororicerca: l’individualismodell’autorealizzazioneaffermatosi gradualmente nel

corso dell’ultimo mezzosecolo è stato nel frattempotalmente strumentalizzato,standardizzato e reso fittizioda essersi rovesciato in unsistema di richieste,emotivamente sempre piùgelide,sottolacuipressioneisoggetti, ai nostri giorni,sembrano soffrire piuttostocheprosperare.

IVCon le trasformazioni

istituzionali che negli ultimidue decenni hannointeressato il capitalismooccidentale, l’agognato idealepratico-esistenzialedell’autorealizzazione si ètrasformato in ideologia eforzaproduttivadiunsistemaeconomico deregolato: lepretese che i soggetti

avanzarono allorchéiniziarono ad interpretare lapropria vita quale processosperimentalediscopertadisé,oggi si ripresentanoconfusamente a loro comerichieste esterne che lisollecitano apertamente osotterraneamente a lasciareperennemente in sospeso leloro decisioni e finalitàesistenziali. Da questoprocesso di rovesciamento di

idealiincostrizioni,dipreteseinrichieste,sisonosviluppateforme di disagio sociale e disofferenza che fino ad oggi,nella storia delle societàoccidentali, non si eranomaipresentate come fenomeni dimassa.

Ciònonconcernedicertoquei fenomeni di infelicitàquotidiana che PierreBourdieu, insieme ai suoicollaboratori, ha cercato di

raccoglierenellibroLaMisèredu monde[30]: dove laderegolamentazione e ladisoccupazione creano unaclasse sempre più numerosadi persone costantementesuperflue, dove lemultinazionali cercanocontinuamentenuovevieperconcludere transazionicontrattuali che sfuggano adognicontrollopolitico,doveilavoratori immigrati

provenienti dai paesi poveriaffollano le metropolioccidentali alla ricerca dilavoro occasionale, là siripresentano le stesse formedi lavoro non protetto,interinale, parziale o adomicilio presenti fin dalleoriginidell’industrializzazionecapitalistica[31]. Laflessibilizzazione del mercatodel lavoro, e invero la

strisciantecommercializzazionedell’intera società, chevengono debolmentegiustificatefacendoappelloalnuovo individualismo, silasciano così intendere comeuna sfida rinnovata di quella«questione sociale» che nellasecondametàdelXXsecolosiera creduto di aver ormaiconsegnatoallastoria.

Èperòaldisottodiqueste

soglie visibili che nel corsodegli ultimi decenni si sonodiffuse delle altre forme disofferenzasocialecheincertoqual modo non hannoprecursori nella storia dellesocietà capitalistiche e che,rientrando nell’ambito dellemalattie psichiche, sonomoltopiùdifficili da cogliereattraverso l’osservazioneempirica se non facendoricorsoadindicatoriclinici.Il

sociologo francese AlainEhrenberg, nel suoimpressionante studio Lafatica di essere se stessi[32],attraverso l’esame deimateriali clinici è giunto allaconclusionecheoggisiamodifronte ad una rapida crescitadei casi di depressione: nonsolo l’aumento deitrattamenti terapeutici, maanche il quanto mai ampioricorso ai farmaci

antidepressivisegnalanocheidisturbi depressivi sonosubentrati in misurainaspettata ai sintominevrotici. Ora, quale chiaveper interpretare questofenomeno di massa,Ehrenberg ha adottato la tesisecondo cui la richiestasempre più diffusa di doveressere se stessi abbia in certoqual modo sottoposto gliindividui ad una pressione

psichica eccessiva: l’obbligocostante a rifarsi alla propriavita interiore per trarne ilmateriale di unaautorealizzazione autenticaesige dai soggetti una formaininterrotta di introspezioneche ad un certo punto devecondurreinuncertosensoalvuoto.Edèun talepunto, incui anche di fronte allerisoluzionipiù forti il vissutopsichico non riesce più ad

indicare una direzioneesistenzialesoddisfacente,chesecondo Ehrenberg segnal’iniziodelladepressione[33].

Sembrerebbe allora checon il capovolgimentodell’idealedell’autorealizzazione in unrapportodi costrizionenoi sisia giunti a quella sogliastorica oltre la quale ilsuddetto vuoto interiore èdivenuto un’esperienza

vissuta da una parte semprepiù ampia della popolazione:incitati da ogni dove amostrarsi aperti agli impulsipsichici di una autenticascopertadisé,aisoggettirestasoltanto l’alternativa traun’autenticitàfittiziaolafuganella depressione, traun’originalità inscenata perragioni strategiche e unmutismo patologico[34].Considerando la lucidità con

cui Georg Simmel osservò letrasformazioni socioculturalidelsuotempo,nonsorprendetrovare nella suaFilosofiadeldenaro una anticipazione diquesta situazione; qui infattidell’idealedell’autorealizzazioneleggiamo:

Certo, egli [ilcontadino, A. H.]conquistava libertà;

ma soltanto la libertàda qualcosa, nonlibertà di farequalcosa.Apparentemente, egliconquistava la libertàdifarequalunquecosa– perché essa eraappunto puramentenegativa–,madifatto,proprio per questo, sitrattava di una libertàpriva di qualsiasi

direttiva,diqualunquecontenutodeterminante edeterminatoepertantoin grado di aprire lastrada a quella vacuitàe a quella incostanzachedàaogni impulsocasuale, stravagante oseducentelapossibilitàdi espandersi senzaincontrare resistenza.Analogo è il destino

dell’uomo privo dilegami, che haabbandonatoisuoidèie al quale la «libertà»così conquistataconcede soltanto difare un idolo diqualsiasi valoremomentaneo[35].

Note[1]Cfr. M. Weber, Die

protestantischeEthikundderGeistdes Kapitalismus (1904/5-1920),trad. it. L’etica protestante e lospirito del capitalismo, in Id.,Sociologia della religione, vol. I,Edizione di Comunità, Torino2002,p.91,nota23.

[2]Cfr. G. Simmel, Philosophiedes Geldes (1900-19072), trad. it.Filosofiadeldenaro,UTET,Torino1984,p.483.

[3]Cfr. G. Simmel,

Individualismus (1917), in Id.,Schriften zur Soziologie. EineAuswahl, Suhrkamp, Frankfurt/M.1983.

[4]Cfr. M. Schroer, DasIndividuum der Gesellschaft,Suhrkamp,Frankfurt/M.2001.

[5]Cfr. R.D. Putnam, Bowlingalone: TheCollapse andRevival ofAmericanCommunity(2000),trad.it.Capitalesocialeeindividualismo.Crisierinascitadellaculturacivicain America, il Mulino, Bologna2004.

[6]Cfr. A. Wittel, Towards aNetwork Sociability, in «Theory,

Culture & Society», 18/6 (2001),pp. 51-76; H.L. Dreyfus, On theInternet,Routledge,London2001.

[7]Cfr.Ch.Taylor,TheMalaiseof Modernity (1991), trad. it. Ildisagio della modernità, Laterza,Roma-Bari1994.

[8]Cfr. M. Baethge, Arbeit,Vergesellschaftung, Identität – Zurzunehmenden normativenSubjektivierung der Arbeit, in«SozialeWelt»,42/1 (1991),pp. 6-19; H. Kocyba, Der Preis derAnerkennung. Von dertayloristischen Missachtung zurstrategischen Instrumentalisierung

der Subjektivität der Arbeitenden,inU.Holtgrewe,A.Voswinkel,G.Wagner (Hg.), Anerkennung undArbeit,UVK,Konstanz2000.

[9]Cfr. U. Beck,Risikogesellschaft.Auf demWeg ineine andereModerne (1986), trad.it.Lasocietàdel rischio.Versounasecondamodernità,Carocci,Roma2000; A. Giddens, Modernity andSelf-Identity.SelfandSocietyintheLate Modern Age, Polity,Cambridge1991,trad.it.,Identitàesocietà moderna, Ipermedium,Napoli2001,cap.3.

[10]Cfr. M. Weber, L’etica

protestante e lo spirito delcapitalismo,cit.,p.80.

[11]Cfr. J. Habermas, Teoriadell’agire comunicativo, il Mulino,Bologna1986,cit.,vol.II,pp.1064sgg.

[12]Cfr.R.Döbert,G.Nunner-Winkler, Adoleszenzkrise undIdentitätsbildung, Suhrkamp,Frankfurt/M.1975.

[13]Cfr. C. Campbell, TheRomantic Ethic and the Spirit ofModern Consumerism, Blackwell,Oxford 1987, trad. it. L’eticaromantica e lo spirito delconsumismo moderno, Lavoro,

Roma1992.[14]Cfr. l’eccellente

panoramica di V. Sigusch,Kultureller Wandel der Sexualität,in Id.,Sexuelle Störungenund ihreBehandlung, Thieme, Stuttgart-NewYork20013.

[15]Cfr. D. Bell, The CulturalContradictionsofCapitalism,BasicBooks,NewYork1976.

[16]Cfr. K. Lüscher, F.Schultheis, M. Wehrspaun (Hg.),Die “postmoderne” Familie, UVK,Konstanz 1990, e in particolare ilcontributo di H. Tyrell, Ehe undFamilie– Institutionalisierungund

Deinstitutionalisierung, ivi, pp.145-156.

[17]Cfr.A.Giddens, Identità esocietàmoderna,cit.,cap.3.

[18]Cfr.D.MacCannell,StagedAuthenticity: Arrangements ofSocial Space in Tourist Settings, in«American Journal of Sociology»,79/3(1973),pp.589-603.

[19]Cfr. E. Illouz, Consumingthe Romantic Utopia. Love andCultural Contradictions ofCapitalism, University ofCalifornia, Berkeley-Los Angeles1997.

[20]Cfr. R. Sennett, The

Corrosion of Character. ThePersonal Consequences ofWork inthe New Capitalism, Norton, NewYork-London 1999, trad. it.L’uomo flessibile. Le conseguenzedel nuovo capitalismo sulla vitapersonale, Feltrinelli,Milano 1999;S. Neckel, Identität als Ware. DieMarktwirtschaftimSozialen,inId.,Die Macht der Unterscheidung.Essays zur Kultursoziologie dermodernen Gesellschaft, Campus,Frankfurt/M.-NewYork2000.

[21]Cfr. Th.W. Adorno,Freizeit (1969), trad. it. Tempolibero,inId.,Parolechiave.Modelli

critici,SugarCo,Milano1974.[22]Cfr. J.B. Thompson, The

Media and Modernity. A socialTheory of the Media, Polity,Cambridge1995, trad. it.Mezzidicomunicazione e modernità. Unateoriasocialedeimedia, ilMulino,Bologna1998,cap.7.

[23]Cfr. R. Shields (ed.),Lifestyle Shopping: The Subject ofConsumption, Routledge, London1992.

[24]Cfr. G.G. Voß, H.J.Pongratz, DerArbeitskraftunternehmer.EineneueGrundformderWareArbeitskraft?,

in «Kölner Zeitschrift fürSoziologie und Sozialpsychologie»50/1(1998),pp.131-158.

[25]Cfr. M. Baethge, Arbeit,Vergesellschaftung,Identität,cit.

[26]Cfr. H. Kocyba, Der PreisderAnerkennung,cit.

[27]Cfr. J. Behrens,“Selbstverwirklichung”–oder:VomVerblassen aller Alternativen zurBerufsarbeit. Umfragen undFallstudien zur Krise der Arbeit inFamilieundErwerbsarbeit, inH.-J.Hoffmann-Novotny, F.Gehrmann(Hg.), Ansprüche an die Arbeit.Umfragedaten und

Interpretationen, Campus,Frankfurt/M.-New York 1984; R.Sennett,L’uomoflessibile,cit.

[28]Cfr. R. Castel, LesMétamorphoses de la questionsociale,cit.

[29]Cfr. L. Boltanski, È.Chiapello, Le Nouvel Esprit ducapitalisme,Gallimard,Paris1999.

[30]Cfr. P. Bourdieu (dir.), LaMisèredumonde,cit.

[31]Cfr. R. Castel, LesMétamorphoses de la questionsociale,cit.

[32]Cfr. A. Ehrenberg, Lafatigue d’être soi. Dépression et

société, Odile Jacob, Paris 1998,trad.it.La faticadi essere se stessi.Depressione e società, Einaudi,Torino1999.

[33]Per la Germania vedi J.Frommer, M. Knüfermann, Ch.Krause, D. Wittig, Angst undDepressivität im Ost-West-Vergleich. Eine inhaltsanalytischeStudie an psychotherapeutischenErstinterviews, in A. Hessel, M.Geyer, E. Brähler (Hg.), Gewinneund Verluste soziale Wandels.Globalisierung und deutscheWiedervereinigung auspsychosozialerSicht,Westdeutscher

Verlag, Opladen-Wiesbaden 1999,pp.212-221.

[34]Andreas Kuhlmann mi hafatto notare che qui bisognerebbedistinguere più nettamente tradepressione in senso strettamenteclinico e «sofferenza per un vuotointeriore»inunsensopiùampioemetaforico: mentre una personadepressa sembra infatti aver persoogni interesse per la vita e per ilmondo, e pertanto essere «comeparalizzata»,unapersonachesoffredi «vuoto interiore» compensainveceattraversoattivitàfrenetichee spasmodiche. Distinzione che,

per sviluppare il temaqui soltantoabbozzato,sarebbedistraordinariaimportanza.

[35]Cfr. G. Simmel, Filosofiadeldenaro,cit.,p.572.

Capitolo4.Paradossidelcapitalismo.Unprogramma

diricerca[1]

AxelHonnetheMartinHartmann

Negli ultimicentocinquanta anni èdivenuto usuale analizzare ilcorsodisviluppodellesocietàcapitalistiche con l’ausilio diuno schema concettuale chepone in contraddizione ilprocesso di razionalizzazioneo di emancipazione,considerato positivo, con irapporti strutturali ritardanti,bloccanti o perfinocolonizzanti dell’economia.

Certo nel corso del tempo ilcontenuto di ciò che è statointeso come processo dirazionalizzazione o diemancipazione si è via viaarricchito normativamente,nelcontempo,però,l’ideapercui il sistema difunzionamento capitalisticocomportiunasua limitazionestrutturale non si è affattoindebolita. Anche ove si ètenuto conto della logica

caparbia dellarazionalizzazionecomunicativa del mondodellavita,loschemaevolutivodiriferimentohacontinuatoapresupporrelatendenzadiuncrescente contrasto con ilmondosemprepiùautonomodelle leggi funzionalidell’economia. E tuttavia, chioggi simisuri con il compitodi analizzare le nuovetrasformazioni delle società

occidentali viene ben prestoad imbattersinellecarenzediquesto modello consolidato:non solo perché i confini tracultura ed economia, mondodella vita e sistema non silascianodeterminareinmodounilaterale, ma soprattuttoperché oggi, molto più diquanto non accadesse inpassato, è oggetto di serratadiscussionecosadebbavalerecomeprogressonormativo.

Ciò che sconcerta e piùlascia perplessi della realesituazione contemporanea èanzitutto il fatto che le idee-guida normative dei decennitrascorsi conservano sì,ancora, una loro attualitàperformativa, e tuttaviasembrano aver persosotterraneamente il lorosignificato emancipativo, operlomeno averlotrasformato:inmolticasiesse

sono infatti diventate deiconcetti volti meramente alegittimare una nuova fasedell’espansione capitalistica.In quanto segue vorremmoanalizzare questa formanuova e opaca della«modernizzazione»capitalistica sostituendo ilvecchio schema dellacontraddizione con quellodello sviluppo paradossale,riferendoci in tal modo alla

circostanza peculiare per cuimolti progressi normatividegliannipassatioggisisonorovesciati nel loro contrario:in una cultura della de-solidarizzazione edell’inabilitazione che, sottolapressionediuncapitalismodedomesticato, li hatrasformati inmeccanismi diintegrazionesociale.

1. Potenziali normativi dellesocietàcapitalistiche

La nostra analisi muovedalmomento storico in cui ipaesi sviluppati occidentali,duedecennidopolafinedellaSeconda Guerra Mondiale,costruirono un capitalismoregolato dallo Stato che invirtù di una politicaeconomica e sociale in gradostabilizzare i cicli

congiunturali riuscì a siglareun compromesso sullo Statosociale. In questa fase, chepresenta i tratti di un regimesocialdemocratico anche làdove i partitisocialdemocratici nonrappresentarono lamaggioranza[2], a migliorarein modo essenziale nonfurono soltanto le condizioniatte a realizzare una effettivauguaglianza nelle chance

offerte negli ambiti dellaformazione, della politicasocialeedellavoro:intuttelearee cruciali dell’integrazionenormativa delle societàcapitalistiche si realizzaronodei progressi morali che sispingevanobenoltreiconfinidiquantofinoadallorasieraritenuto potesse esserecompatibileconlecondizionidibasedelcapitalismo.

Per avere una visione

d’insieme di questo processodi sviluppo si possonoanzitutto menzionare quellesferecentralichenell’insiemehanno dato originariamenteforma all’integrazionenormativa del capitalismo. Atal fine riprendiamo, seppurnon pedissequamente, lateoria dell’evoluzione dellesocietà moderne diParsons[3], dando al suostraordinario disegno un

taglio ermeneutico orientatoteoreticamente alriconoscimento, sì da renderconto del carattere diinterazione e digiustificazione delle sferenormative. SeguendoParsons,sipuòaffermarechela costituzione del sistemaeconomico capitalistico nellesocietàmodernesiastataresapossibile dal fatto che sonostati sincronicamente

istituzionalizzati i seguentielementi: a) l’individualismocome rappresentazione dibase della persona; b) l’ideadella giustizia egualitariacome forma del regolamentogiuridico; c) l’idea dellaprestazione come principiodell’attribuzione di status. Aintegrazione di questeassunzioni presupponiamoinoltre che: d) con l’idearomantica dell’amore è

emerso un punto di fugautopico che ha permesso aimembri della società, semprepiù pressati da costrizionieconomiche, di preservare lavisione di un superamentoemotivodellostrumentalismoquotidiano[4].

Ora, ciascuna di questequattro sfere – cheovviamente non debbonoessere intese nei terminispaziali di aree circoscritte,

ma nel senso «sociologico»delle forme socio-morali delreciproco riconoscimento[5]– possiede un potenzialenormativoperchéleloroideedi fondo contengono dellepretese e delle obbligazionilegittimabili sempremaggioridiquantononvengadi voltain volta effettivamenterealizzato nella realtà sociale.Questa tensione tra realtà eidee normative, tra fatticità e

validità (Faktizität undGeltung), elaborata daParsons soltanto in relazionealleduedimensionideldirittomodernoedelprincipiodellaprestazione,puòessereperòanostro avviso individuataanche in relazione alle idee-guida modernedell’individualismo edell’amore. Ne consegue chela società capitalisticaoccidentaledeveessere intesa

come un ordine socialealtamente dinamico la cuicapacità diautotrasformazione nonderiva soltanto dagliimperativi posti dellaininterrottavalorizzazionedelcapitale,maanchedalsurplusdivalidità(Geltungsüberhang)istituzionalizzato correlatoallenuove,emergentisferediriconoscimento;richiamandosi agli ideali

moralichenecostituisconodivoltainvoltailfondamento,imembri della societàavanzano e rivendicano dicontinuo pretese legittimabiliche oltrepassano i confinidell’ordinesocialestabilito.

Piùdavicino,ciòsignificacheisoggetti:

1. possono far valere lapromessa insitanell’individualismoistituzionalizzato

richiamandosisperimentalmente a quegliaspettidellaloroautonomiaoalle sfaccettature della loroautenticità che fino ad alloranon hanno trovato adeguatoriconoscimento nella culturasocialedata;

2. possono rivendicarel’idea di eguaglianza insitanell’ordinamento giuridicomoderno richiamandosi alloro status di cittadini o agli

aspetti strutturali delle lorocondizioni di vita al fine diessere trattati come pari trapari;

3. possono far valere leimplicazioni normative delprincipio moderno dellaprestazione rinviando alvalore effettivo apportatodalle loro attività lavorativealla riproduzione sociale alfine di ottenere una stimasociale e quindi una

compensazione materiale piùalte;

4. possono infinerivendicare la promessamorale dell’idea romanticadell’amore richiamandol’attenzione suqueibisogniodesideri per i quali fino adallora, nella prassiistituzionalizzata dellerelazioniintime,nonvièstataunasensibilitàadeguataeunaconseguenteresponsività.

Già Parsons ha fattonotare che il surplus divalidità di tali norme digiustizia istituzionalizzatenella società modernacontiene un potenzialetrasformativo soprattuttoperché alla sua luce la realtàdi fatto viene a configurarsinei termini morali didiscriminazioni nonlegittimabili[6]. Possiamodunque trarre la conclusione

che vi sono perlomenoquattro sfere delriconoscimento nelle quali isoggetti possono esperiremoralmente i rapporti socialidatiqualiformeingiustificatedi sfavoreggiamento o diesclusione. Ora, il margineper articolare il surplusnormativo di validità èsemprecommisuratoalgradoin cui gli imperativi delsistema capitalistico vengono

neutralizzati politicamente:tanto più lo Stato, conl’ausilio di una politicaregolatrice economica esociale,èingradodiarginareletendenzeall’accumulazionedel capitale, tanto più imembridellasocietàpossonogodere della possibilità dirivendicare e talvolta diimporre ancheistituzionalmenteilpotenzialemorale insito nelle quattro

sfere.Èperquestocheciparefondata l’idea di considerarel’era «socialdemocratica»come una fase in cui losviluppo delle societàcapitalistiche è stataattraversata da una quantitàstraordinaria di progressinormativi. In tutte e quattrole sfere suddette emergonosviluppi morali che vannonella direzione di unampliamento delle

corrispettive norme diriconoscimento.

2. Progressi morali nell’era«socialdemocratica»

Rispetto al periodosuddettononèdifficilecitaregliindicatoricheattestanounprogresso morale nellequattrosfere.Ilcompromessosocialdemocraticoconsolidatosi in quasi tutti ipaesi capitalistici occidentalidalla fine degli anni Sessantadel XX secolo permise una

crescita o unageneralizzazione di normeattraverso cui il corrispettivosurplus di validità venneistituzionalizzatonellaculturacapitalistica.

1. In virtù dell’effettoesercitato dalla convergenzadi processi di trasformazionesocioeconomica ecambiamenti culturali,nell’era socialdemocratical’individualismo

istituzionalizzato si èavvicinato sempre più allaconcezione diun’autorealizzazionesperimentale volta a testarelungoilcorsodellavitainterauna forma sempre nuova diautenticità esistenziale. Invirtù dell’aumentospropositato dei redditi e deltempoliberodallavorosuunfronte, e della rapidadiffusionedell’idealed’amore

romantico sull’altro, unaparte semprepiùampiadellapopolazione è giunta adinterpretare il propriopercorso biografico non piùcome un processo rigido elineare, determinatodall’assunzione di ruolisequenziali familiari eprofessionali, ma come unachance per realizzaresperimentalmente la propriapersonalità[7]. Se fino ad

allora l’«individualismo» erarimasto ancorato all’ideale diuna condotta di vitaautonoma, riservata ai cetielevati, ora veniva invece aconcernere,nellanuovaepiùampiaversionediunidealediautenticità, la maggioranzadellepopolazione.

2.Neiduedecennidell’erasocialdemocratica in nessunambito si sono realizzati deiprogressi morali tanto chiari

quanto nella sferadell’ordinamento giuridico:non soltanto sotto lapressione degli interessatisono state rimosse lediscriminazioni giuridichecheproibivano,sanzionavanoo trasformavano in tabù lepratiche culturali e sessualidelle minoranze; masoprattutto in molti ambitisono state ottenute nuovelibertà giuridiche e diritti

sociali (diritto del lavoro,penale e della famiglia),attraverso cui son statemigliorare le precondizionisociali ed economiche dellosviluppo dell’autonomiaindividuale. In paralleloall’ampliamento dei dirittisoggettivi, vi è stata inoltreuna generalizzazionedell’uguaglianzagiuridicataleper cui, per la prima volta,gruppi fino ad allora esclusi

(stranieri) hanno goduto deidiritti civili, oppureminoranze culturali hannoraggiunto diritti particolari(diritti culturali). Nelcomplesso si può affermarecheinquestafasel’autonomiagiuridica di ogni membrodella società è stata garantitapiù che non in ogni altroprecedente periodo delcapitalismo.

3. In questo periodo si

riscontraunprogressomoraleanche rispetto al modernoprincipio della prestazione: ilmovimentodelledonneriuscìinfatti a metterneradicalmente in discussionel’impostazione maschile-industrialistica. E anche ovequeste contestazioni erivendicazioni noncomportarono direttamenteconquiste istituzionalizzate,esse mostrano nondimeno

l’emersione di correnti chetematizzano sia l’educazionedei bambini sia il lavorodomestico nei termini dipreziosi contributi allariproduzione sociale, quindiquali«prestazioni»valorizzateche debbono trovare uncorrispondentericonoscimento materiale.Nello stesso periodo siriscontrano del restomolteplici riforme della

politica formativa voltecomplessivamente amigliorare le precondizionidellepariopportunità sociali.Ove il tentativo diincrementare la permeabilitàdei dispositivi educativi e diabolire le barrieredeterminate dellaprovenienzasocialehaoffertosincronicamente ai singoliindividui la possibilitàeffettiva di poter concorrere

nella competizione delleprestazioni.

4. In questo periodo,infine, le relazioni intime sisvincolanodalleultimeformedi imposizioni esterne dimatricesocialeedeconomica.Non da ultimo in ragionedell’aumento generale deiredditi, i soggetti poteronoricercare un partneresclusivamente sulla base deipropri sentimenti. Una volta

stabilite queste «relazionipure»[8], non soltantoaumentòildinamismosocialedei matrimoni, masoprattutto si accentuò nelcontempo il processo dideistituzionalizzazione dellafamiglianucleare.Lerelazioniintimeeranovenutearuotarenon più su un sicurezzaduraturaosullaprole,masullorovaloresentimentale.

3.LarivoluzioneneoliberaleOra che abbiamo visto le

conquistenormativedell’«erasocialdemocratica» possiamoprocedere nel passosuccessivo, dedicato a queglisviluppi economici che inparticolare dall’inizio deglianniOttantadelsecoloscorsohanno contribuito adelegittimare il capitalismoregolato dallo Stato nelle sue

differenti funzioni diintegrazione. Riassumiamoquesti sviluppi nella formula«rivoluzione neoliberale»,riferendoci con ciò per unverso ad una trasformazionedei processi stessi dellavalorizzazione economica –spesso constatata dagli studidisociologiaindustriale–,perun altro verso all’espansionecrescente degli standardvalutativi, correlati alle

«nuove» struttureeconomiche organizzative,entro quelle sfere di azioneche nell’«erasocialdemocratica» eranoancoraingradodiarginareoperlomeno di canalizzare lecostrizioni di naturastrettamente economica allaluce dei principi normativisopra descritti. Adottandoquesta doppia prospettiva, ilcapitalismo viene a

configurarsi da un lato qualesistema economico che seguelesueleggidinamichee,comeaveva sottolineato ancheParsons[9], presenta una suapropria modalità diintegrazione normativa;dall’altro lato, però, qualesistema sociale che forzacontinuamente le istituzionisociali ad adattarsi allatrasformazionedellestruttureeconomiche.

Ora, con il concetto di«rivoluzione neoliberale»verranno qui descritti tuttiquei processi attraverso iquali:1)l’indebolimentodelleattività di direzione delloStato(-sociale),talepercuilemisurediassicurazionestatalinon sono più in grado digarantire il livello raggiuntonegli anni del dopoguerra.Riallacciandoci anche aglistudi sulla globalizzazione,

analizzeremo quei fattori cheindeboliscono gli Stati socialinazionali(ancheseilconcettodi«globalizzazione»èoggettodiserratediscussioni)[10].Sulpiano lessicale, in questoambito talvolta si parla dicapitalismo «disorganizzato»,richiamandosi in particolareal sempre maggior poteredelle imprese globali, allainternazionalizzazione deiflussi finanziari, ma anche al

dissolversi dei legamiculturali di classe, ovvero aqueifattoriacuisiattribuiscela responsabilitàdell’indebolimento deimodelli socialdemocraticidell’organizzazionepolitica[11].

Adottando unaprospettivapiùvicinaaquellainternadelleimpresestesse,larivoluzione neoliberale (2)può essere descritta come

determinata da una semprepiù spiccata tendenza delmanagement a rivolgersiall’azionariato, sì chel’influenzadegliazionistisulleimprese aumenta nella stessamisura in cui diminuiscequella esercitata dagli altrigruppi coinvolti: «Il corsodelle azioni riflette il valoredelle imprese attraverso lospecchio degli azionisti ed ècieco rispetto al valore che

esse producono per tutti glialtri gruppi coinvolti:lavoratori, banche, regioni,Stato, fornitori, acquirenti,consumatori»[12]. Questocapitalismo è stato definito«capitalismo-azionario».

Ora,per inostripropositirisulta particolarmentesignificativa quellatrasformazione delcapitalismo contemporaneoconcernente (3) ciò che Luc

Boltanski e Ève Chiapello,richiamandosi aMaxWeber,hannodefinitocome«spirito»del capitalismo. Il punto dipartenza di tali disamine èrappresentato dall’assunzioneper cui le pratichecapitalistiche hanno bisognodi una giustificazione dalmomento che da sé sole nonriescono a mobilitaresufficienti risorsemotivazionali. Seguendo

BoltanskieChiapello,mentretra il 1930e il 1960 le grandiimprese adottarono unindirizzo voltofondamentalmente ad offrireai propri collaboratori dellepossibilità di carriera sullungoperiodo,coadiuvandolocon la creazione di unambiente sociale protettivo –talvolta anche grazieall’offertadiabitazioni,centriferiali e strutture di

formazione continua –, lospirito del capitalismocontemporaneo può inveceessere descritto come«orientato ai progetti»:nell’ambito di un «ordinedellagiustificazione»(citéparprojets) orientato ai progetti,le persone più apprezzatesono quelle in grado diinserirsiinnuoviprogetticonprofondo impegno personalee con grande flessibilità, che

dispongono di buonecompetenze relazionali, e cheagiscono inmodo autonomoenelcontempofiducioso[13].Sulpianolessicalesièparlatoal riguardodi un capitalismo«nuovo» o «flessibile». Perdescrivere questo nuovocapitalismo il criteriodeterminante non è piùrappresentato dalla capacitàdi assecondare i parametrigerarchicipresentinelquadro

di una grande impresa, madalladisponibilitàamettereleproprie competenze e risorseemotivealserviziodiprogettiindividualizzati,assumendosene laresponsabilità personale. Illavoratoresitrasformacosìinun imprenditore-forza-lavoro, o in un imprenditoredi se stesso, che non prendepiù parte alle pratichecapitalistiche sotto la

pressione di costrizioni ostimoli esterni, ma per cosìdire in virtù della forza dellasua stessa autonomamotivazione allaprestazione[14]. E sonosoprattutto questo«capitalismo reticolare» e imodelli di rappresentazionead esso inerenti ad esserresponsabili delle tendenzecheanalizzeremonellaquintasezione, allorchédiscuteremo

il tema delladesolidarizzazione.

La nostra tesi ora è chequesto capitalismo «nuovo»,«disorganizzato» e «orientatoai valori azionari», nel qualein un modo o nell’altrovengono influenzate ledifferenti sfere d’azionestrutturate normativamentesopra delineate, genera delledinamiche che conducono alparziale rovesciamento delle

conquiste normativeistituzionalizzate in questestesse sfere. A nostro avvisol’elemento essenzialedell’influsso del capitalismocontemporaneo su questesfere non deve essere intesonel senso di un interventocolonizzatoredegliimperatividella valorizzazionecapitalisticasuimodid’azionedel mondo vitale. Come ènoto la descrizione dell’agire

economico come attivitàorientatainsensomeramentestrumentale è stataripetutamente criticata peraver trascurato i momentinormativi ad essa inerenti.Maancheindipendentementeda tale questione sistematica,lo schizzo del capitalismocontemporaneo sopratracciato ha mostrato che èsempre valida la tesi per cui«le società capitalistiche sono

sempre dipese da condizioniculturali marginali che esseerano incapaci di riprodurreautonomamente»[15].Allorché Jürgen Habermas,all’inizio degli anni Settantadel secolo scorso, formulòquesta asserzione nel suostudio La crisi dellarazionalità nel capitalismomaturo, si riallacciò alla tesi,ditagliodiagnostico,secondocui le risorse motivazionali

tradizionali dell’agirecapitalistico («cittadinanza» e«privatismo familiare-professionale») sarebberostate erose dall’effetto svoltodalle garanzie offerte dalloStato sociale. In tal modo lacontraddizione tra capitale elavoro,cheattraversavacomeprima le societàtardocapitalistiche, sarebbestata privata delle sue formedi legittimazione alla luce di

uncriterioditagliomorale,edi orientamento critico,sempre più universale.Secondo questa lettura, lasocietà tardocapitalistica ècontraddittoria sia nel sensodi un antagonismo di classe«latente»[16], sianel sensodiuna logica di sviluppo che,sulla base dell’opera diaddomesticamento delcapitalismo esercitata dalloStato sociale, genera

necessariamente delletendenze alladetradizionalizzazionetalipercui le ineguaglianze e leingiustizie tipiche di questafase del capitalismo vengonoapresentarsi inunamodalitàautodistruttiva.

Ora, non è certo difficileimmaginare che la tesi chevorremmo qui difenderemuove dal fatto che ilcapitalismo contemporaneo è

riuscito a mobilitare dellenuove risorse motivazionalinon solo sulla base dellecriticherivoltecontroloStatosociale stesso, marichiamandosi anche alleobiezioni critiche rivolte allestrutture tayloriste e fordistedel lavoro. In altri termini, il«nuovo» capitalismo puòriscuotere tanto successo eannullare la neutralizzazionepolitica degli imperativi

economici ad esso correlatiperché, dalla prospettiva digruppi di interessisocialmente influenti e inquanto modello diintegrazione del suo proprioordine contribuisce, operlomeno così sembra, aconservare nelle mutatecondizioni socio-economichealcune delle conquisteistituzionalizzate nel corsodell’erasocialdemocratica,oa

modernizzarle. Ed èprecisamentequestatendenzaad una economizzazione deicontesti sociali caricatanormativamenteagenerare–nel momento stesso in cui ilcapitalismo viene in certoqual modo accelerato olegittimato innomedi alcuniprincipi normativi essenzialiall’autocomprensioneoccidentale – taluni deglieffetti paradossali che

tratteremo nella quintasezione. Alla base di questadisaminavièl’assunzionepercui le contraddizioni e leinsicurezze del «nuovo»capitalismo si riproducononelle sfere d’azione dellasolidarietà o lontane daivalorieconomici;èdunqueinunamodalitàparticolarmentecomplessa – comepreferiremmo dire:paradossale – che esse

contribuiscono a erodere isignificati emancipativi dellenorme e dei valoriistituzionalizzati e articolatiall’interno di queste sfere.Dicertoqueste contraddizioni–ed è precisamente in ciò chesembra consistere uno deiparadossi nevralgici delnostro periodo storico –spesso non vengono piùpercepite comecontraddizioni del

capitalismoinquantotali,dalmomento che i soggetti, nelloro ruolo di imprenditori-forza-lavoro, hanno«imparato» ad assumersi laresponsabilità del propriodestino.

4. Sul concetto diparadosso[17]

A questo punto sarà utilecircoscrivere piùprecisamente il concetto diparadosso. Da quanto dettosarebbe già dovuto emergerechenonstiamointroducendoil concetto di paradosso inopposizione a quello di

contraddizione, ma piuttostoper spiegare una specificastruttura dellacontraddizione. Molte dellesituazionioggidescrittecomecontraddittoriehannooriginenella conversionedell’efficacia pratica delleintenzioni normative. Unacontraddizione è paradossalequando, proprio attraverso latentata realizzazione di unacertaintenzione,diminuiscela

probabilità di realizzarequesta stessa intenzione[18].In casi particolarmentemarcati il tentativo direalizzazione di unaintenzione produce dellecondizioni che operanocontro la stessa intenzioneoriginaria. Per poterconstatare tali effettiparadossalidobbiamoriferirci– questa è la tesi – ad unvocabolario normativo

attraverso cui questi effetti silasciano riferire anzitutto adeterminate intenzioni«originarie».Nelquadrodellenostre riflessioni questafunzione è assolta dallequattrosferenormativesopradelineate,chedebbonoesserecertamente intese qualirisultati sempre aperti dellelotte sociali attraverso cui isoggetti mirano alriconoscimento o alla

valorizzazione della lorosingola personalità, dei lorodiritti, prestazioni e bisogniemotivi. Queste lotte per ilriconoscimento e per lavalorizzazione non generanoperò da se stesse onecessariamente effettiparadossali: sono piuttostotutti quei processi ditrasformazione che abbiamoqui riassunto nella formula«rivoluzioneneoliberale»che,

fungendo da condizionistrutturali di tali lotte, nemodificano la forma e gliesiti. Sotto la pressionecrescente delle costrizionieconomiche capitalistiche –questa l’assunzione – imodelli interpretativiistituzionalizzati, i diritti, leprestazioni e l’amore sitrasformano in una modalitàche non può non esseredefinita che come

paradossale.Visonotrepunticorrelati

allasostituzionedel«classico»concetto di contraddizionecon quello dellacontraddizione«paradossale».

1.Primo, allorché si parladi contraddizioni paradossalisideveabbandonarelachiaracontrapposizione tra glielementi dello svilupposocialedinaturaprogressivaequelli ritardanti. Gli effetti

paradossali si mostranoinfatti precisamente nel fattocheinessiimomentinegativie positivi si compenetrano, eche i miglioramenti e ipeggioramenti di una datasituazione si accompagnanol’un l’altro in una modalitàparticolarmente complessa.Alcune delle contraddizioniche abbiamo tematizzatohanno precisamente questastruttura: sotto l’influenza di

uncapitalismoinespansione,gli elementi inerenti ad unvocabolario emancipativo oad una trasformazione delleistituzioni sociali intrapresacon intenzioni emancipatorieperdono il loro contenutooriginario, favorendo così, inun percorso particolarmentecomplesso, queldispiegamento della logicadell’azione orientata allavalorizzazione capitalistica

che esse avrebbero invecedovuto ostacolare. Qui perònon si tratta di negare lapossibilità di diagnosticarecondizionisocialipatologicheonegative;sitratta,piuttosto,del fatto che la descrizione ola decifrazione di talicondizioni non può essererealizzata senza richiamarsi aquei concetti cheoriginariamentemanifestavano un contenuto

emancipativo.2. Inoltre, parlare di

contraddizioni «paradossali»escludelapossibilitàdirifarsiaquelmodellodeiprocessidivalorizzazione capitalistica ditipo autodistruttivo chevenivano consideraticaratteristici delle formazionisociali «tardocapitalistiche».L’assunzione per cui leineguaglianze correlate almodello di valorizzazione

capitalistica – sottol’influenza di una moraleuniversalista e di uno Statosocialecheerodono imodellitradizionali di giustificazionedell’ineguaglianza –avrebbero perso legittimità,implica come dettol’assunzione per cui ilcapitalismo non sarebbe piùin grado di reclutare nuovegiustificazionidell’ineguaglianza. Viceversa,

allorché si parla dicontraddizioni «paradossali»delcapitalismo,cisirichiamaall’immagine di uncapitalismo «eticizzato» che,facendo ricorso a unpreesistente vocabolario delleautodescrizioni normative, èriuscito a formulare nuovegiustificazionidell’ineguaglianza sociale,dell’ingiustizia e delladiscriminazione.

3. Infine, il modello dellecontraddizioni «paradossali»rinunciaadunaricostruzionedei conflitti socialicontemporanei orientatateoreticamente sulle classi.Ciò non significaassolutamente che venganegata la possibilità diidentificare in termini distrati o contesti socialispecifici alcune delleconseguenze negative legate

al «nuovo» capitalismo. Taleidentificazione, però, per unversodivienepiùcomplessaacausa del fatto che molti deimodi di vivere il capitalismodescritti come paradossaliconcernono tipicamente ilpersonale di alto livello; perun altro verso, abbiamo giàmostrato il fatto di per séparadossale per cui oggi,nonostantel’incrementodelleinterdipendenze sociali, i

soggetti sono pronti ovengonoincitatiapercepireilproprio comportamentocome individualizzato.Entrambiifattoriprivanodeiloro punti di riferimentiempirici le teorie dellacontraddizione checontrappongono soggetticollettivi, rendendo così piùcomplessa la sempliceidentificazione tra soggettid’azioneprogressiviesoggetti

«reazionari».Perrisultarepiùplausibile,

il discorso generale dellecontraddizioniparadossalidelcapitalismo dovrebbe oraessereintegratoeampliatoinmoltipunti.Quellacheèstatadescritta come «pressione»capitalistica viene difatti asvolgereeffettidifferentinellediverse sfere d’azione.Tuttavia, ciò che quidovrebberisultarecentraleèil

fatto che il «nuovo»capitalismo è già strutturatoin modo di per sécontraddittorio, e che questecontraddizioni vengonotraslate nelle sfere d’azionenon economiche. Gli effettiparadossali emergono perciòprecisamente allorché isoggetti, entro queste sfered’azione, continuano avedersi alla luce delle normeche contraddistinguono tali

sfere (in un certo senso ciòavviene attraversol’accettazione di uncapitalismo flessibilizzatoanche sul piano normativo).Questo fatto non deve peròessere inteso come ciò checaratterizza la struttura ditutte le contraddizioniparadossali significative: lamodalità specifica in cui unacontraddizione paradossalepuò essere ricostruita deve

essere analizzata, per cosìdire,casopercaso.Latesiquiavanzatasostienesoltantochela struttura del capitalismocontemporaneo producecontraddizioni paradossali inampia misura, sì che ilconcetto stesso puòrappresentare un utilestrumento esplicativogenerale.

5. Paradossi dellamodernizzazionecapitalistica

La nostra tesi generale,come accennato, è che laristrutturazione neoliberaledel sistema economicocapitalistico eserciti unapressioneall’adattamentoche,se non annulla di certo iprocessi progressivi sopramenzionati, ne trasformaperòdurevolmentefunzionie

significati. Ciò che prima sisarebbe potutoinequivocabilmenteanalizzare quale incrementodella sfera dell’autonomiaindividuale, nel quadro nellanuova forma organizzativadelcapitalismoassumeinvecela forma di pretese eccessive,di disciplinamento o diinsicurezze che, nell’insieme,conducono ad unadesolidarizzazione sociale.

Cosa ciò significhi indettaglio lo vedremo oramuovendo dalle sfered’azionesopradifferenziate.

1. Il progresso normativorappresentato nell’erasocialdemocratica dallageneralizzazione socialedell’individualismodimatriceromanticachehacondottoadincrementare la libertà nellacondotta della propria

esistenza, sotto la pressionedella ristrutturazioneneoliberale del capitalismo siè ora rovesciato, in unamodalità del tutto peculiare,nel suo contrario. Laquestionequinonèquellapercui il nuovo modellointerpretativo avrebbesemplicementeperdutoilsuopoterenelmondodellavita,osarebbe stato direttamenteliquefatto dall’aumentata

richiesta di flessibilità.Piuttosto,essocontinuacomein passato ad avere unsignificato pregnante perl’autocomprensione di moltimembri della società; negliultimi due decenni, però, ilsuo senso è cambiatoimpercettibilmente perché èstato introdottosurrettiziamente entro ilquadro dei processieconomici quale richiesta di

qualificazione e pretesacomportamentale.

Èappellandosiall’ideachei soggetti intendano le lorooccupazioni temporanee noncome assolvimento di doverisociali, ma piuttosto comepassi reversibili della loroautorealizzazionesperimentale, che oggivengono giustificati losmantellamento dei privilegidei lavoratori dipendenti, la

dissoluzione delle garanziegiuridiche di status el’aspettativa di una ancoramaggiore disponibilità allaflessibilità. Inoltre, nellequalifiche richieste per leattività ben retribuite deisettoridellaproduzioneedeiservizi rientra in misurasempre maggiore la pretesaextrafunzionale di unaperformancecaratterizzatadacreatività e instabilità

biografica. A questa svoltadell’interpretazionenormativadell’individualismoromantico, che ha iniziato adiventare un’ideologia e unfattore produttivo del nuovocapitalismo,siaccompagnanoperciò tendenze alladesolidarizzazione nellamisura in cui gli occupatisono sempre meno in gradodi costruire dei legami di

lungoperiodonelleimpreseocon i colleghi di lavoro. Ilnuovo profilo professionalerichiesto esige inoltre che sirestiapertianchedalpuntodivista biografico della sceltadellaresidenza,dellagestionedel tempo e del tipo diattività, sì che le amicizie, lerelazioni d’amore e perfino ilegami familiari risultanoespostiadunafortepressione.In ogni caso il capitalismo

reticolare è caratterizzato datendenze orientate ad unarichiesta illimitata dicompetenze d’azionesoggettive tali da cancellare iconfini tra sfera privata esfera pubblico-professionale.Dagli imprenditori-forza-lavoro non ci si aspettasoltanto l’esecuzionedoverosa delle necessitàproduttivedateesternamente,ma anche la disponibilità ad

utilizzare competenze erisorse comunicative edemotive per ilraggiungimento di obiettiviprogettuali di cui essirisultano più o menopersonalmente responsabili.Tale ampliamento diprestazioni lavorativefondamentali determina unassottigliamento del confinetra l’ambito d’azioneprofessionale e quello

privato[19] ecorrelativamente unamobilitazione delle capacitàinformali del «mondo vitale»per obiettivi professionali (larazionalità economica, sipotrebbe dire, viene ora«colonizzata» dal mondovitale)[20]. Inoltre, ilcapitalismo reticolareeconomicizza delle sfered’azione che finora eranorimaste lontanedataleforma

di valorizzazione,trasportando in tal modo ilprincipio della prestazione edel contraccambionell’ambito della reciprocitàsolidale strutturataasimmetricamente.

Lemoltepliciconsequenzedi questa informalizzazionedell’economico edeconomizzazionedell’informale non possonoessertrattatedettagliatamente

in questa sede; vi sonotuttavia tre fenomeni chedebbono essere menzionatisinteticamente.

In primo luogo, là ove lecompetenze informali edemotive vengono incluse neiprocessi professionaliorientatiallavalorizzazione,egli imperativi economicipenetrano nei modellirelazionali informali, per isoggetti diviene sempre più

difficile distinguerechiaramente tra gli aspettistrumentali e quelli nonstrumentali delle relazioniintersoggettive. In altritermini, nel capitalismoreticolare vengono stabilitideimodellirelazionaliamicalianche in vista di interessistrumentali, mentre nelcontempo le relazionistrumentali si trasformanocontinuamente in relazioni

amicali. Si danno perciòusualmente forme miste epiuttosto opache di modellirelazionali amicali-strumentali che vengonopercepitedaisoggettistessiinmodo indistinto, dalmomento che risulta inveroassai difficile stabilire qualisianole«vere»intenzioniconcui le altre persone ci siavvicinano.

Inoltre, nel capitalismo

reticolare i soggetti in certoqualmodovengonoesortatiaperseguireipropri«autentici»interessi nell’ambitoprofessionaleenelcontempo,però, i posti di lavorostrutturati in forma diprogetti premiano lepersonalità «superficiali»,quelle cioè che possonoreagire in modo flessibile adogni nuova sfida. Anche quiemerge,quindi,unambitonel

quale il significatooriginariamenteemancipativo dell’idealedell’autenticitàsièconvertitoin uno strumento dilegittimazione delle formedella valorizzazionecapitalistica. Per illustrare ladifficoltà di ottenere unriconoscimentodapartedegliimprenditori interniall’azienda per i contributiparticolari apportati dai

lavoratori, si può richiamareadesempiolacircostanzapercui, nei contesti professionaliorganizzatiperprogetti, assaidifficilmente si tiene contodelleprestazioniprofessionaliindividuali realizzate inpassato (presupponiamo quila tesi, senza discuterlaulteriormente, per cui lerichieste di autenticità, diregola, possono esseremanifestate soltanto in una

forma riconosciuta). Neconsegue che i contributi deilavoratorivengonoapprezzatisempremenonei loroaspettiindividuali: «nelleorganizzazioni flessibili lamemoria dei servizi passati èmoltobreve, ilchedeterminauna intenzionale instabilitàdelle gerarchie: la personanon è più valutata in quantotale,masempreallalucedellecompetenze attivate nel qui

ed ora. In questeorganizzazioni, dunque, nonvi è più alcunposto per queidoverispecificicheemergonodall’apprezzamento delleprestazioni passate [di unlavoratore], e che sarebberomediati dall’età odall’anzianitàdiservizio»[21].

Infine, la commistione dicompetenzeerisorseprivateepubbliche, informali eformali,depotenzialavalidità

dei criteri più o menoobiettivi attraverso cui isoggetti possono misurare ilvalore delle loro qualifiche edei loro contributi attuali. Lacapacità di costruire emantenere relazioni, adesempio, molto difficilmentepuò venir certificata in unattestato o in un diploma.Inoltre, le reti tendono agenerare una reputazione diportata locale, il cui valore al

di fuori della rete è cioèdifficilmenteapprezzabile[22]. Potrebbeessere sempre a causa diquesta insicurezzaconcernente il valore socialedelle proprie qualificazioni ecapacità che i soggettivengono indotti sempre dipiù, nelle lotte volte ariscuotere una maggiorconsiderazione economica, aricercare il riconoscimento

delle loro apparentementeinconfondibili qualità eprestazioni al di fuori dellasfera professionale vera epropria (si pensi ad esempioalle infinite presenzeesibizionistiche nei talk-showtelevisivi)[23].

2. Le conquiste dell’erasocialdemocraticasopracitateconsistevano in un continuoconsolidamentoedestensione

delle libertà civili edeidirittialla partecipazione politica.Attraverso questiprovvedimenti, per un versoveniva rafforzata la sferadell’autonomia individuale(per esempio rispetto allalibertà contrattuale), mentredall’altra parte i divieticoncernenti lediscriminazioni avrebberodovuto impedire i casi ditrattamento diseguale che i

fondamenti dei diritti civililiberali rendono inveropossibili. I diritti allapartecipazione politica,infine,precludonoildominioillegittimoe,nellaprospettivadi Thomas H. Marshall,operano anzitutto qualipremesse per la realizzazionede facto dei diritti civililiberali. Per la nostradisamina risulta oraparticolarmente significativa

la categoria dei diritti socialidi status che nel rinomatosaggio di MarshallCittadinanza e classe socialeassicurano, in correlazione aidiritticivili liberalieaidirittiallapartecipazionepolitica,lostatus della cittadinanza.L’istituzionalizzazione deidiritti sociali di status nelloStato sociale rappresenta inun certo senso l’ammissionecheidirittipolitici,maanche

altri diritti sociali dipartecipazione, possonoessere messi in praticasoltanto a patto che sigarantiscano risorsematerialiminime. Nel saggio diMarshalleranodifattiproprioi diritti sociali di status adassicurare «un dirittouniversale a un reddito realenon misurato sul valore dimercato del soggetto»[24]. Èsoltantonelmomentoincuii

soggetti, al di là delle loroprestazioni, dispongono dimezzi materiali sufficienti,che si danno le condizioniperché essi possanopartecipare, in modo più omenoparitario,allepraticheeistituzioni sociali essenziali.Al riguardo vi sono dueaspetti che debbono essererimarcati.Primo,l’ideadiunacondizionalità del diritto inrelazione allo status della

cittadinanza[25]. I dirittiliberali e i diritti dipartecipazione politica –questa è la tesi – possonoessere realizzati soltanto se isoggetti dispongono di undeterminato standard di vitachenonpuòessereraggiuntoautonomamenteinognicaso.Secondo,ecorrelativamente,idiritti sociali di status in unacerta misura liberano isoggetti dalla necessità di

doversi assumeresingolarmente laresponsabilità per tutte lecondizioni della loro vita.L’istituzionalizzazione delsostegnorealizzatanelloStatosociale equivale allaconfessione che nelle societàcomplesse le diseguaglianzesociali sono correlate acondizioni di partenzadifferenti, le cuicaratteristiche specifiche

sfuggono senza dubbio alcontrollo dei soggetti. Inquesto senso lo status deidiritti sociali è volto apotenziareesgravare.

Se ora ci rivogliamo allesocietà contemporanee,possiamo osservare delletendenzeerosive inentrambele direzioni. Nel corso dellatrasformazione delle agenziedello Stato sociale, i dirittisociali in parte sono stati

tagliati massicciamente, inpartesonostatitrasformatiinservizisocialieconomizzati lacui fruizione dipende, dinuovo, dalle risorsematerialidella clientela che nenecessita.Nelcorsodiquestatrasformazione si possonoaltresì individuare deifenomenidipaternalizzazionedelle cure offerte dallo Statosociale e di rimoralizzazionedelle motivazioni per

accedervi.Chivuoleusufruiredei servizi dello Stato socialedevedarequalcosaincambio– per esempio, in caso didisoccupazione, deve esserpronto ad accettare qualsiasioffertadilavoro–,condizioneche lo legittima in quantorichiedente. La minaccia dipaternalismo emergesoprattutto là dove legiustificazioni di principioper poter fruire e invero

reclamare l’accesso stesso aiservizisocialivengonominatesistematicamente per mezzodiundiscorsoincentratosullaresponsabilità personale.Quanto più si riduce lapossibilità di percepire iservizi dello Stato socialequali dritti, tanto piùaumenta il rischio che taliservizi vengano affidatiall’arbitrarietà di unaburocrazia sgravata, oppure

alla capacità imprevedibiledelleassociazionidellasocietàcivile di ricevere attenzionepubblica e donazionisufficienti ad affrontare glistatidinecessitàdati[26].

Fondamentalmente ildiscorso sulla responsabilitàpersonale tende comunque adistogliere completamentel’attenzione dalle agenziedello Stato sociale. Come hamostrato Klaus Günther,

questo discorso trascura inquale misura l’attribuzionedella responsabilitàindividuale sia correlata aldarsidiprecondizioniinterneed esterne tali per cui isoggetti possano esserefondatamente trattati comeresponsabili dei loro atti odelleloromancanze[27].Selaresponsabilitàvieneattribuitasenza prendere inconsiderazione queste

premesse, si trasforma in un«imperativo» che assume deitratti paradossali, dalmomento che è fuor didubbio che i soggetti,muovendosi in un societàsempre più complessa,moltodifficilmente possonoassumersi la responsabilità,nel senso più pieno deltermine, per molti aspettidella loro esistenza[28]. Ilcarattere imperativo assunto

dall’imposizione dellaresponsabilità viene così adaggravarsinellamisuraincuigli individui debbonoassumersi la responsabilitàper stati di cose rispetto aiquali, de facto, non sonoresponsabili. Questoparadossovienerafforzatodalfatto che laconcettualizzazione dellaresponsabilità personaleoriginariamente possedeva

deicaratteriemancipatori.Fuinfatti la critica allaburocrazia impersonale delloStato sociale a condurre arichiedereuntrattamentochetenesse in considerazione isuoi fruitori più da vicino, eche approntasse perciò unsistema nel quale i soggettinonvenisseropiùconsideraticome meri e passividestinatari dei servizi disostegno sociale. E tuttavia,

ancor prima che si avviasseuna seria discussione sulbilanciamentoappropriatotrapremesse della responsabilitàpersonale dell’agire e portatadell’iniziativapersonale, nellasfera pubblica irruppe conveemenzaundiscorsostandoal quale si sarebbe dovutoattribuire, più di quanto nonfosse stato ancora fatto,maggior peso allaresponsabilità personale in

merito alle condizioni socialideipropriatti.

Quello che qui emerge èche con l’affermazione dellestrutturecapitalisticheditiporeticolare si assiste ad unadistruzione crescente delleimmagini sociopolitiche, diimmensa efficacia, di unacomunità della responsabilità–correlateperlopiùalloStatonazionale –, attraverso cui èpossibile far accettare grandi

sacrifici redistributivirichiamandosi, in generale,all’appartenenza ad unacomunitàpoliticaoculturale.Ora,nellamisuraincui,qualemezzo fondamentaledell’autodescrizionesociale,siimpone l’immagine di unasocietà percorsa da reti, lealtre immaginidelle relazionisociali perdono la propriainfluenza.Tuttiimodellidellasolidarietàsocialenecessitano

però di un quadro «entro ilqualepossaesserestabilitounrapportotralasfortunadichisoffre e la felicità di chi èfortunato»[29]. Nelcapitalismo reticolare –questaèlatesi–lecittadineei cittadini tendono sempredipiù a percepire le loroprestazioni, successi edinsuccessi in modoindividualizzato, sì che nonsembra più possibile riferirsi

ad un insieme più ampio. Leconseguenzeper i soggettidauna parte possono esseredesignate attraverso ilconcetto paradossale dellacostrizione alla responsabilitàpersonale, dall’altra possonoessereinteseancheinterminipsicologici: tanto maggiore èla responsabilità che gliindividui devono assumersiper le lorocondizionidivita,tantopiùègrande ilpericolo

di un sovraccarico. AlainEhrenberghacosìavanzatolatesi che il numerodei casi didepressione aumenta nellamisura in cui cresce il sensodi insufficienzaderivatodalleaumentate richieste diresponsabilità. «Il depresso»,così Ehrenberg, «è un uomoin panne» – è un uomo checrede di aver fallito, non unuomo che ha infranto leregole o che è stato

defraudato delle attenzionicheglispettanodidiritto[30].

3. Mentre nelle societàpremoderne e feudali lemodalità di attribuzione distatus erano basatesoprattutto su tratti ascrittivi(nascita, origine), le societàindustriali moderne sicaratterizzano per lademolizione di tali modalitàin favore di criteri

universalistici. Parsons inparticolare ha mostrato chenel momento in cui leposizioni sociali di status sisonolegatesempredipiùallaprofessione,sièaffermatounprincipio della prestazionestrutturato su un’ideauniversalistica tale per cuinessunopuòesserprivato, inragione della nascita odell’origine, della possibilitàdi impegnarsi ricorrendo a

questoprincipio[31].Nonèdifficilericonoscere

che anche il principio dellaprestazione ha un contenutoemancipativo: quanto piùinfattièmaggiorel’ambitonelquale i soggetti possonoottenere successo sulla basedei loro soli propri sforzi,tanto maggiore si amplial’ambito di eguali chance dipartecipazione alle posizionisociali di status.

Considerando ad esempiol’economia, processi tipicidellasocietà industrialecomequello della «differenziazionetra nuclei familiari eimprese», ma anche quellodella «progressivaattenuazionedelcontrollodeiproprietari sulleorganizzazioni economiche»rispetto al peso sempremaggiore assunto dal cetoimpiegatizio, possono essere

descritti come fasi di unaespansione sistematica diambiti di attività incentratisulla prestazione[32]. Anchela modalità di gestione delleimprese improntata sulmodello familiare, che perlungo tempo contraddistinsele piccole imprese, è statasorpassata dai modernimetodi del management (edalla classe di managerformatisi di conseguenza), sì

che i modelli di dipendenzapersonale predominanti nelleaziende improntate almodello familiare sono statisostituiti da schemirelazionali impersonali, equindimenoarbitrariemenopaternalistici[33].

Ora,nonvièalcundubbiosul fattocheilprincipiodellaprestazione, nella forma quischizzata, è sempre statooggetto di serrate critiche

nell’ambito delle scienzesociali. Lo stesso Parsons hasottolineato che l’assunzioneportante del primocapitalismo – tale per cuiciascuno può inserirsi allapari nel sistemaconcorrenziale del mercatoesclusivamente in base allesuecapacità innate–sièbenpresto rivelata illusoria.All’ampliamento delleistituzionieducativeavvenuta

nel secondo dopoguerra si èaccompagnatal’ideapercuilecapacità rilevanti perpartecipare con successo almercato sarebbero statenecessariamente «mediate dauna serie complessa di stadidel processo disocializzazione»[34].Di certoquesta interpretazione siriferisce esclusivamente allepremesse, riconosciutenell’era socialdemocratica, di

una partecipazionegiuridicamente paritaria aiprocessi concorrenziali di unmercato orientato sulleprestazioni.

Risultano invece piùsignificative tutte quellecritiche per le quali lo statusdel principio dellaprestazione, in quantorappresentazione generaledell’ordinamento socialecomplessivo, è sospettato di

essere ideologico fin dasempre, dal momento chetende sistematicamente, erichiamandosiadunarsenaleargomentativo normativo, agiustificare le diseguaglianze,e quindi a disconoscere un«modello alternativo dellaproduzione e distribuzionesociale»cherinunciaruotareintorno al principio dellaprestazione[35]. Vi sonoinoltre buoni argomenti

empirici che mostrano comefino ai nostri giorni, inparticolare nell’ambito delleposizioni dirigenziali di altolivello, l’origine o il cetosociale prevalgano suglielementi riconducibili alleprestazioni,sìchenonsipuòdi certo parlare di uncompleto superamentodell’attribuzione di status ditipo ascrittivo[36]. Questoschema critico tuttavianon è

giunto a minare la forzalegittimante del principiodella prestazione. Alcontrario, anche ricercherecentihannomostratocheilprincipiodellaprestazione,inquanto aspettativa normativaconsapevole,esercitacome inpassatounachiarainfluenzaecontinua perciò arappresentare lo standardvalutativo attraverso cuivengonogiudicatelestrutture

sociali della distribuzione edelle ricompense[37]. Certouna parte della critica alprincipio della prestazionepuòanche essere interpretatacome indicedell’insufficienzao della ristrettezza dellatraduzione dei criteriuniversalistici ad essocorrelati. In altri termini,spesso è proprio nell’ambitodella critica rivoltagli che ilprincipio della prestazione

viene ad ancorarsi ad uncontenutoemancipativo.

Difiancoalruolopositivoche il principio dellaprestazione ha continuato agiocare in quantorappresentazionedell’ordinamento sociale, vi èaltresìundiscorsopoliticoedeconomico all’interno delquale la semantica dellaprestazione è diventatasempre più prominente («la

prestazione deve rendereancora»).Ora,considerandoidue stati di coseunitariamente, essiverrebbero – questa la tesi –ad assumere dei trattiparadossali nel momentostesso in cui fosse possibilemostrare che proprionell’interoambitoeconomicoil principio della prestazioneperdeanchegliultimiresiduidella sua realisticità. Al

riguardo vi sono diversecircostanze chemostrano ciòchedovrebbeesseredesignatocome «incertezza dellaprestazione». Un primoelemento è fornito dallerilevazioniempirichededicateall’analisi della giustizia delleprestazioni: esse mostranochevisonodelletendenzetaliper cui l’unico criterioaccettato per onorare leprestazioni fornite è quello

del successo sul mercato. Inaltri termini, soltanto chipresta la sua forza-lavoroperla realizzazione di prodotti odi servizi che vendonovenduti con successo nelmercato si guadagna, nelsenso stretto della parola, ilsuo salario. Da questaprospettiva,ilmercatoapparecome una «istanzaassolutamente indispensabileper la valutazione delle

prestazioni»[38].Neconsegueche tutte quelle prestazionichenonsilascianoconvertireinprofittonelmodosuddettodivengono incerte. Che ilprincipio della prestazionestesso in tal modo vengamercificato, è del resto unatesi che, ancheindipendentemente daisingoli elementi dellevalutazioni empiriche, vienepostaquale fondamentodella

diagnosi socio-teoretica delnostrotempo.SighardNeckele Kai Dröge, ad esempio,presuppongono la tesi che imercati,dipersestessi,sianointeressati esclusivamente airisultati economici, e cherestino «nel contempo“ciechi”eneutrali»rispettoaimodi specifici in cui essivengono realizzati[39]. Nellamisura in cui le società si«mercificano», tra i criteri

legittimi della distribuzionedeibenimaterialio simbolicirientrano perciò ancheelementi quali la casualità,l’ereditàolafortuna.

È certamente troppopresto per dire se la«mercificazione» dei criteridistributivi rilevata in singoliambiti d’indagine verràeffettivamente a consolidarsiquale ampia griglia delleaspettative normative, anche

perché laquestione include ilfatto che elementi quali lacasualità,lafortunaol’ereditànon si lasciano ricondurresensatamente entro unmodello generalmenteaccettabile in grado digiustificare la diseguaglianzasociale. Sembra tuttaviaincontestabile che vi sia unprocesso generale per cui ivalorielostatusdelleproprieprestazioni è sempre più

incerta, e che vieneulteriormente rinforzatoproprio da quellecaratteristiche che abbiamovisto contraddistinguere ilcapitalismo orientato suiprogetti. Spesso restadunquepoco chiaro, per richiamareancora uno dei puntinevralgicidiquestadisamina,se l’avvio di un rapporto dilavoro avvenga sulla base dicriteri oggettivi o invece di

propensionipersonali;aciòèperaltro correlata anche lacomplessa questione dioggettivare competenzenevralgicheper il capitalismoreticolare (ad esempio lacapacitàdiintessererelazioni,digenerarefiducia,flessibilitàecc.). Infine, i beneficicurricolari correlatiall’esecuzione di un progettodifficilmente corrispondonoagli«equivalentinazionali»di

un attestato o un diploma erestano perciò in certo qualmodo confinati all’internodell’ambito del progettostesso[40]. Se si consideranoquesti fattori unitariamente,ci si rende subito contodelleragioni per cui attualmente isoggetti incontrano grandidifficoltà nello stabilire la«veridicità»delvaloredeilorocontributi e delle loroprestazioni. Dato che in tal

modo viene a modificarsi ilcontenuto pratico delprincipio della prestazione,anche le attuali discussionipolitiche ed economichedominate dal discorsoincentrato sulla prestazione,da strumento di potenzialeemancipazione sitrasformano in unostrumento che, in modosimile a quanto avvienenell’ambito del discorso

inerente alla responsabilitàpersonale, serve sia aminarequegli aspetti dello Statosociale svincolati dallaprestazione, sia a suggerire lapossibilità di unapartecipazione di status làdove invece, di fatto, nonesiste.

4.L’immagineapparsaallasoglia del XIX secolo per cuil’amore romantico è una

passione che si contrapponeal mondo strumentale dellerelazioni di scambio[41] èsempre stata, forse, un tipicoprodotto delle illusioniborghesi. Di certo, nelmomento storico in cui iprimi segni di unasecolarizzazione incipientesembrano moltiplicarsi, allarelazione affettiva di coppiavenneroattribuitetuttequellequalità esperienziali che in

precedenza erano stateriservate esclusivamenteall’esperienza trasgressiva del«sacro». In questo contro-mondo dell’unificazionesimbiotica trauomo edonnasi era tuttavia giàprecedentemente infiltratosurrettiziamente il senso diuna sobria utilità sociale cheavevaprovvedutoa far sì chelerelazionidilungadurataoimatrimonivenisserocontratti

esclusivamente tra membridello stesso ceto sociale. Ladelimitazione nei confrontidella sfera «fredda» dellerelazioni economiche cedetuttavia definitivamentesoltantonelmomento in cui,con l’ampliamento socialedell’ideale di vita romantico,si stabilisconoquellepratichesociali che ancorano sempredi più l’avvio e ilmantenimento delle relazioni

di coppia al consumo.Dall’inizio del XX secolo,come ha mostratoconvincentementeEvaIllouz,l’amore viene sempre più«reificato» ecommercializzato perché isoggetti utilizzano in misurasempre maggiore articoli diconsumo e beni di lusso perdare espressione simbolicaalle loro relazioni affettive eper contraddistinguerle

ritualmenterispettoalmondosocialecircostante[42].

E tuttavia, come hamostrato anche Illouz, inquesti processi di sempremaggiorcommercializzazione, adispetto di ognicoinvolgimento nelle attivitàeconomiche, i soggettipreservano la capacità ditenere i propri sentimenti adistanza da considerazioni

utilitaristiche di tipostrumentale. Rasentando lasfera della virtù, essisembrano utilizzare ilconsumo di beni soprattuttoper preservare da un rapidologorio le loro relazioni«pure», ancora basateesclusivamente suinclinazioni emotive, operlomeno per protrarne ladurata per un certo periodo.Anche gli obblighi di cura,

importati nelle relazioniintime dall’affermazionedell’ideale di vita romanticocome norma diriconoscimento, continuanoperciòarestarepeculiarmentevalidinelquadrodelprocessodi economizzazione dellepratiche esistenziali. Essi,infatti, tramite la pressioneesercitata dal movimentodelle donne nell’erasocialdemocratica,

permettono–anostroavviso– alle relazioni di coppia diassumere un caratteremaggiormentecollaborativoefanno sì che la distribuzioneinegualedellavorodomesticoedell’educazionedeibambinivenga percepita sempre più,anche sul fronte maschile,comesfidamorale.

Negli ultimi due decennisono emerse tuttavia delletendenze che favorendo una

nuovaformadirazionalitàdelconsumo nella sferadell’amore minacciano didissolvere il suddettointreccio, precario, diconsumo e culturasentimentale delle relazionedicoppia.Perunverso,sottola pressione di un impegnoprofessionale che nel nuovocapitalismo non conosceormai confini, le relazioniintime e d’amore di lunga

duratavenganocaricatediunpesosempremaggiore:oggilerichieste crescenti di risorsetemporali, di maggiormobilità, di responsabilitàpersonaliedicoinvolgimentoemotivo rendono sempre piùdifficile trovare quelle virtùcreativedadedicarealla sferaprivata che sono perònecessarie al mantenimentodi relazioni «pure», fondateesclusivamente sull’affetto.

Non sono però soltantoqueste costrizioni strutturaliad aver determinato latendenziale erosione dellepratiche consumistichedell’amore romantico; unruoloancormaggioresembraspettarealnuovo«spirito»delcapitalismo:essohatraspostolaconcezioneimprenditorialedell’agire calcolatorio nellasfera dell’autocomprensionesoggettiva, insinuandosi nel

profondo delle relazioni piùintime, e conducendo in talmodo al predominio delmodello del calcolo diimpronta utilitaristica. Oggiquesto stato di cose non sitraduce però tanto nel fattoche il sempre maggiorcarattere di calcoloutilitaristico assunto dallerelazioni intime venga arappresentare un incrementodellaloroutilitàneiterminidi

maggior piacere edivertimento: il nuovomodellochesembraemergerepare infatti esser connotatosoprattutto dalla tendenza acalcolare le chance di lungaduratadellesuddetterelazionid’amore in base alla lorocompatibilità con ladisponibilità alla mobilitàfutura di una carriera ormaipianificabile soltanto nelbreve termine. Se fosse così,

oggi nel nucleo internodell’amore verrebbe apredominare quell’aspetto,presente già da lungo temponella formadellepratichedelconsumo,chenonsieraperòmai autonomizzato dallaforza dei sentimenti: larazionalità economica, a cuifinoadoggiipartneravevanofatto ricorsounitariamente alfine di stabilizzareritualmente la durata della

loro precaria relazione, siverrebbe allora a trasformarein uno strumento che essi,scrutandosi, brandirebberol’unocontrol’altro.

Note[1]Questeriflessionisonovolte

a precisare un programma diricerca che dovrebbe fornire lagriglia teoretica delle ricercheempiricheportateavantiall’Istitutoper la Ricerca Sociale diFrancoforte. I primi elementifondamentaliditaleprogrammadiricerca sono stati delineati in A.Honneth (Hg.), Befreiung aus derMündigkeit. Paradoxien desgegenwärtigen Kapitalismus,Campus, Frankfurt/M.-New York

2002 [dal quale è stato tratto ilsaggio Autorealizzazioneorganizzata. Paradossidell’individualizzazione,N.d.T.].

[2]Cfr.R.Dahrendorf,Das20.Jahrhundert – Bilanz undHoffnung,inD.Wild(Hg.),Spiegeldes 20. Jahrhunderts,Hoffmann&Campe,Hamburg1999,p.18.

[3]Cfr.T.Parsons,The SystemofModern Societies, PrenticeHall,Englewood Cliffs 1971, trad. it.Sistemidisocietà,vol.II:Lesocietàmoderne, ilMulino,Bologna1973,capitoliVeVI.

[4]Cfr.E.Illouz,Consumingthe

RomanticUtopia,cit.[5]Cfr. A. Honneth,

Umverteilung als Anerkennung.EineErwiderungaufNancyFraser,trad. it. Redistribuzione comericonoscimento: una replica aNancy Fraser, in N. Fraser e A.Honneth, Redistribuzione oriconoscimento?,cit.

[6]Cfr. T. Parsons, Le societàmoderne,cit.,pp.130-131.

[7]Cfr. A. Honneth,Autorealizzazione organizzata.Paradossi del’individualizzazione[qui al capitolo terzo,N.d.T.]; Ch.Taylor, Il disagio della modernità,

cit.[8]Cfr. A. Giddens, The

Transformation of Intimacy: Love,SexualityandEroticism inModernSocieties,StanfordUniversityPress,Stanford 1994, trad. it. Latrasformazione dell’intimità.Sessualità, amore ed erotismonellesocietà moderne, il Mulino,Bologna2008,cap.4.

[9]Cfr. in particolare T.Parsons, La motivazione delleattivitàeconomiche,cit.

[10]Cfr. M. Zürn, Regierenjenseits des Nationalstaates,Suhrkamp,Frankfurt/M.1998,pp.

64sgg.[11]Cfr. S. Lash and J. Urry,

The End of Organized Capitalism,Polity,Oxford1987,capitolo7.

[12]Cfr. M. Höppner, Werbeherrscht die Unternehmen?Shareholder Value,Managerherrschaft undMitbestimmung in Deutschland,Campus, Frankfurt/M.-New York2003,p.15.

[13]Cfr. L. Boltanski, È.Chiapello, Le Nouvel Esprit ducapitalisme,cit.

[14]Cfr. H.J. Pongratz, G.G.Voß, Arbeitskraftunternehmer.

Erwerbsorientierung in entgrenztenArbeitsformen,sigma,Berlin2003.

[15]J. Habermas,Legitimationsprobleme imSpätkapitalismus, Suhrkamp,Frankfurt/M.1973,trad.it.Lacrisidella razionalità nel capitalismomaturo, Laterza, Roma-Bari,19822,p.85.

[16]Ivi,p.105.[17]Cfr. anche Martin

Hartmann, Widersprüche,Ambivalenzen, Paradoxien.Begriffliche Wandlungen in derneueren Gesellschaftstheorie, in A.Honneth (Hg.), Befreiung aus der

Mündigkeit,cit.[18]Cfr. A. Giddens, The

Constitution of Society: Outline oftheTheoryofStructuration,Polity,Cambridge 1984, trad. it. Lacostituzione della società, Einaudi,Torino1990.

[19]Cfr. A.R. Hochschild, TheTime Bind: When Work BecomesHome and Home Becomes Work,HenryHolt,NewYork1997.

[20]Cfr. N. Kratzer,Arbeitskraft in Entgrenzung.Grenzenlose Anforderungen,erweiterte Spielräume, begrenzteRessourcen, sigma, Berlin 2003,

soprattuttopp. 236-239. In questocontesto Kratzer parla di unversante «morbido» dellarazionalizzazione post-taylorista(p.236).

[21]Cfr. N. Dodier, LesHommes et les Machines. Laconscience collective dans lessociétés technicisées,Métailié,Paris1995, p. 341 sg.; vedi anche K.Dröge,I.Somm,SpurloseLeistung.Zeit, Status und Reziprozität imflexiblen Kapitalismus,dattiloscritto 2003 (Institut fürSozialforschung,Frankfurt/M.).

[22]Cfr. L. Boltanski, È.

Chiapello, Le Nouvel Esprit ducapitalisme,cit.,p.517.

[23]Cfr. A. Ehrenberg,L’individu incertain, Calmann-Lévy,Paris1995,pp.175sgg.

[24]Th.H.Marshall,Citizenshipand Social Class, CambridgeUniversityPress,Cambridge1950,trad. it. Cittadinanza e classesociale, inId.Cittadinanza e classesociale,UTET,Torino1976,p.39.

[25]Cfr. G. Vobruba, Freiheit:Autonomiegewinne der Leute imWohlfahrtsstaat, in S. Lessenich(Hg.), WohlfahrtsstaatlicheGrundbegriffe. Historische und

aktuelle Diskurse, Campus,Frankfurt/M.-New York 2003, p.141(quisitrovaanchelacitazionediMarshall).

[26]Nikolas Rose utilizza ilconcetto di «rimoralizzazione»soprattutto in riferimento alleprestazioni offerte dalla societàcivile al di là dello Stato e delmercato, poiché essa offre il suoaiuto soltanto a determinatetipologie di persone; cfr. N. Rose,Powers of Freedom: ReframingPolitical Thought, CambridgeUniversityPress,Cambridge1999,p.265.

[27]Cfr. K. Günther,ZwischenErmächtigung undDisziplinierung.Verantwortung im gegenwärtigenKapitalismus,inA.Honneth(Hg.),BefreiungausderMündigkeit,cit.

[28]Ivi,p.128.[29]Cfr. L. Boltanski, È.

Chiapello, Le Nouvel Esprit ducapitalisme,cit.,p.470.

[30]Cfr.A.Ehrenberg,Lafaticadiesseresestessi,cit.,pp.12sgg.

[31]Cfr. T. Parsons, Le societàmoderne,cit.,pp.172-173.

[32]Ivi,p.170,166.[33]Cfr. L. Boltanski, È.

Chiapello, Le Nouvel Esprit du

capitalisme,cit.,p.54sg.[34]Cfr. T. Parsons, Le società

moderne,cit.,p.153.[35]Cfr. C. Offe,

Leistungsprinzip und industrielleArbeit. Mechanismen derStatusverteilung inArbeitsorganisationen derindustriellen ‚Leistungsgesellschaft‘,Europäische VerlaganstFrankfurt/M.-Köln1970,p.9.

[36]Cfr. Michael Hartmann,Der Mythos von denLeistungseliten. SpitzenkarrierenundsozialeHerkunftinWirtschaft,Politik, Justiz und Wissenschaft,

Campus, Frankfurt/M.-New York2002.

[37]Cfr.S.Neckel,K.Dröge, I.Somm, Welche Leistung, welcheLeistungsgerechtigkeit?Soziologische Konzepte, normativeFragen und einige empirischeBefunde, in P.A. Berger, V.H.Schmidt (Hg.), Welche Gleichheit,welche Ungleichheit? Grundlagender Ungleichheitsforschung, VS,Wiesbaden2004.

[38]Ibidem.[39]Cfr. S. Neckel, K. Dröge,

Die Verdienste und ihr Preis:LeistunginderMarktgesellschaft,in

A. Honneth (Hg.), Befreiung ausderMündigkeit,cit.,p.105.

[40]Cfr. L. Boltanski, È.Chiapello, Le Nouvel Esprit ducapitalisme,cit.,p.517.

[41]Cfr.N.Luhmann,LiebealsPassion. Zur Codierung vonIntimität,Suhrkamp,Frankfurt/M.1982,trad.it.Amorecomepassione,BrunoMondadori,Milano2008.

[42]Cfr. E. Illouz, ConsumingtheRomanticUtopia,cit.

Capitolo5.Riconoscimentocomeideologia[1]

Nella stessamisura in cuiil concetto di«riconoscimento», negliultimi decenni, è diventato ilfulcro di una molteplicità disforzi politici emancipativi,sono sincronicamentecresciuti i dubbi sul suopotenziale critico. A far

aumentare lo scetticismoteorico ha contribuito senzadubbio il fatto che oggiviviamo in una culturaaffermativa nella quale ilriconoscimento dichiaratopubblicamentespessoassumedei trattimeramente retorici,configurandosi come unmero surrogato. Essereufficialmente elogiati perdeterminate caratteristiche equalità sembra essere

divenutounostrumentodellapolitica simbolica, la cuifunzione sotterranea è quelladi inserire individuiogruppisociali, veicolandosuggestivamenteun’immagine di sé positiva,nell’ordinesocialedominante.Benlontanodalcontribuirealmiglioramentodurevoledellecondizionidell’autonomiadeimembridellanostrasocietà,ilriconoscimento sociale,

apparentemente, sembraservire soltanto allaproduzione di atteggiamenticonformi al sistema. I dubbiche nel frattempo sono statiformulati nel quadro diquesto nuovo approccioconducono così alla tesisecondo cui le pratiche delriconoscimentonongeneranoaffatto un rafforzamento deisoggetti ma, al contrario, unassoggettamento

(Unterwerfung). In sintesi,l’obiezione è che attraverso iprocessi di reciprocoriconoscimento gli individuiinstaurinounrapportoconsestessi tale da motivarli adassumersi volontariamentecompiti o doveri utili allasocietà[2].

In questa obiezione diprincipio si riflettono leconsiderazioni del teoricomarxista Louis Althusser,

avanzate ormai più di tredecenniorsono,talipercuilaprassi del riconoscimentopubblico viene a configurarsiqualemeccanismounitariodiogni forma di ideologia[3]. Isuoi argomenti, sviluppatisoltanto a grandi linee edesclusivamente in relazionealla politica degli organistatali,sonostaipoiripresidaJudith Butler al fine dicostruire un solido edificio

concettuale che includesseanche la psicoanalisi diJacques Lacan[4]. Althusser,com’ènoto,utilizzòildoppiosignificato del concettofrancese di «subjectivation»perchiarirelasuacategoriadi«ideologia»: gli individuidivengono «soggetti», nelsenso della coscienza delleproprie responsabilità ediritti, anzitutto nellamisuraincuivengonoassoggettatiad

un sistema di regole pratichee attribuzioni che conferisceloro una identità sociale.Poiché in questa definizionel’atto dell’assoggettamento èconcettualizzato secondo ilmodello di una confermapubblica, ciò che possiamochiamare «riconoscimento»perde immediatamentequalsivoglia connotazionepositiva e diviene ilmeccanismo centrale di ogni

ideologia: riconoscerequalcuno significa indurlo,per mezzo di richiesteritualizzate continuamenteripetute, ad adottareprecisamentequell’autocomprensione chesi accorda al sistema diaspettative comportamentalistabilito.

Tuttavia, lo stessoAlthusser non ha certamenteutilizzato questo concetto di

ideologia in un senso critico;egli,piuttosto,sièlimitatoadunusopuramentedescrittivodel concetto[5]: senzaricorrere ad alcunavalutazione normativa, hadescritto il processoistituzionale delriconoscimento comemeccanismo che producesoggetti conformi al sistema.Di contro, per una teoriacriticadellasocietàchecerchi

di individuare i suoifondamenti normativinell’atto del reciprocoriconoscimento, leconsiderazioni di Althusserrappresentano una sfidaimpegnativa: alla luce dellesue riflessioni, essa si deveinfatti confrontare con laquestione se ilriconoscimento sociale nonpossatalvoltaassumereanchela funzione di garantire il

dominio sociale. In questonuovo quadro, il concetto diideologia perde però il suosignificato meramentedescrittivo e diviene unacategoria riduttiva: quivengono considerate soltantoquelle forme diriconoscimento che debbonovalere come false oingiustificate, dal momentoche la loro funzione non èquella di aumentare

l’autonomia personale,ma diprodurre attitudini conformialdominio[6].

Sarebbe ovviamente unafalsa accusa quella per cui lateoriadelriconoscimentononavrebbe tentato, sin dal suoesordio, di portare alla luce ifenomeni negatividell’assoggettamento o deldominio. L’impulso criticodell’intero approccio muoveinfatti, anzitutto, dalle

manifestazioni sociali diriconoscimento assente oinsufficiente: ciò che deveessere portato al centrodell’attenzione sono lepratiche di umiliazione e didegradazione attraverso cui isoggetti vengono privati diuna formadi riconoscimentosociale fondata, e con ciò diunacondizionedecisivaperlaformazione della loroautonomia[7]. D’altra parte,

questo tipo di considerazionirende evidente che il«riconoscimento», sul pianoconcettuale, è stato sempreconsiderato incontrapposizioneallepratichedi dominio eassoggettamento: questeformedell’eserciziodelpoteredebbono essere consideratecome fenomeni diriconoscimento negato,disrispetto mirato e

umiliazione, sì che il«riconoscimento» stesso nonpuò mai essere sospettato disvolgere la funzione di unostrumentodeldominio.

Questa presunzioned’innocenza perde tuttaviatuttalasuaovvietàallorchésiprendano in considerazionele implicazioni delleriflessioni di Althusser sulconcetto di ideologia. Leforme di riconoscimento che

qui vengono prese inconsiderazione, difatti, sonoquelle operanti precisamenteinquantomezzideldominio:attraverso il modello delleconferme ritualizzate esseproduconoun’immaginediséconforme alla società econtribuiscono perciò allariproduzione dei rapporti didominio esistenti. Sipossonocitarefacilmentedegliesempisociali storici che rendano

cristallino quanto spesso ilriconoscimento dichiaratopubblicamente sia in veritàservito soltanto allaproduzione e almantenimentodiunrapportoindividuale con se stessiperfettamente inserito nelsistema dominante delladivisione del lavoro:l’orgoglio provato dallo «ZioTom» di fronte alle lodiricevute per le sue virtù di

sottomissione lo rese unsuddito compiacente di unasocietà schiavista[8]; ilrichiamo sedizioso ad essereuna «buona» madre e una«buona» casalinga, avanzatoper secoli dalle chiese, daiparlamenti edaimassmedia,ha rinchiuso ledonne inunaimmagine di sé che siaccordava perfettamente alleesigenze della divisione dellavoro per genere[9]; e

ancora, la pubblica stima dicui ha goduto il soldatoeroico e coraggioso hagenerato costantemente unaclassesufficientementeampiadi uomini che, con l’idea ditrovarvi fama e gloria, sonoandati in guerra comevolontari[10]. Tanto quantoquesti esempi possonorisultare triviali, tanto essirendono immediatamentechiaro come il

riconoscimentopossasempresvolgere anche una funzioneideologica di conformazione:la ripetizione ininterrottadelle stesse formule diriconoscimento puòraggiungere l’obiettivo, senzaricorrere alla repressione, digenerare una forma diautostima che offre le risorsemotivazionali per forme diassoggettamentovolontario.

Laforzasuggestivadeicasi

suddetti è dovuta tuttaviaesclusivamente al fatto che lisi affronta attraverso quellacertezza che nasce da unavalutazione di naturaretrospettiva. La scelta stessadegli esempi, e certamenteanche del modo in cui sonostati descritti, sono infatti ilrisultato di un giudiziomorale che può essereformulatosoltantomuovendodalla più progredita

prospettiva moralecontemporanea: in quantoesponenti di un’epoca che siritienemoralmente superioreaquellepassate,noisiamonelcontempo certi che la stimatributata allo schiavovirtuoso, alla brava casalingaealsoldatoeroicoavevanouncarattere puramenteideologico. Se però ciriposizioniamo all’indietro,nel passato d’allora, diviene

alloraincomparabilmentepiùdifficile distinguere tra unaformadiriconoscimentofalsae «ideologica» ed una retta edi alto profilo morale.Immediatamente,scompaiono infatti i criterimoralidicuiprimapotevamoinvece ancora disporre inmodo certo: perché loschiavo, esperendo la stimadei suoi padroni bianchi perlapropriasottomissione,non

sarebbe dovuto approdare aduna forma di autostima taledaconsentirglidiraggiungereun determinato grado diautonomiainteriore?Equelledonne che trovarono unpubblico riconoscimento inquantomadriamorevoli,nonvennero in parte compensatedel disrispetto arrecatoglidall’essereprivatedicaricheeruoliextradomestici?Einfine,perquegliuominichenelloro

contesto culturale localesoffrirono perché disoccupatio privi di competenze, ilmodello dell’eroismomaschile non può forse averofferto la possibilità didisporre di una subculturamaschile autonoma grazie acui ottenere, compensando ilmalessere, prestigio econsiderazione? Tali opzioniermeneutiche rendonoevidente che è possibile

individuare, di volta in volta,un particolare dispositivodella stima che noi,retrospettivamente,consideriamo nei termini dipura ideologia, ma che,qualora se ne considerino inmodo più ravvicinato ipresupposti storici, si rivelainvece come una condizioneper il raggiungimento di unamaggiore autostima da partedi gruppi specifici.

Determinare il contenutoideologico delle forme diriconoscimento diviene cosìun compito sempre piùdifficile tanto più ci si calanelle premesse storico-culturali dominanti deiperiodi presi inconsiderazione. È soltantoquandogliinteressatistessisirivoltano contro una prassidominantediriconoscimentoche disponiamo di un

riferimento tale dapermetterci di parlare,rispetto a quel dato periodo,di una mera ideologia. Ingenerale, questa difficoltà divalutazione divienecomunque menoproblematica allorchéaumenta il divario temporaleche ci separadai casi trattati:tantopiùaumentaladistanzastorica, tantopiùdisponiamodi criteri generalmente

accettatichecipermettonoditracciare, retrospettivamente,una distinzione tra le formedi riconoscimento pretesemoralmente e quelleideologiche.

Rispetto al presente,questo problema teoreticocontinua invece a mostrarsiparticolarmente intricato.Fintantochenondisponiamodi un punto di riferimentoempirico stante il quale gli

interessati stessi esperisconouna determinata pratica diriconoscimento comerepressiva, limitante ostereotipizzante, èestremamente difficileriuscire a individuare inmodo plausibile le differenzetra le forme diriconoscimento giustificate equelle ideologiche. Ladifficoltà, sul pianoconcettuale, è data dal fatto

che quando parliamo di unatto di riconoscimento ciriferiamo sempre allamanifestazionepubblicadiunvalore o di una prestazioneche dovrebbe essereascrivibileaunindividuooadun gruppo sociale. In un talecontesto, parlare di una«ideologia» significa perciòattribuireadunaprassidipersé positiva e affermativa itratti negativi di un

assoggettamento nonrepressivo, seppur a primavista esso appaia privo dielementi discriminatori.Rispetto allacontemporaneità, emergealloralaseguentedomanda:leforme della pubblicamanifestazione di un valoresociale, quindi delriconoscimento, comepossono avere nel contempouncaratteredidominio?

È di questo problema chevorrei qui occuparmi. Perintrodurlo, procederòriassumendonuovamente ciòche oggi, dopo una serie ditentativi ermeneutici rivolti atal fine, possiamo intenderenei termini di una prassi delriconoscimento. Emergeràcosì che il concetto ha uncontenuto normativo nellamisura in cui designa uncomportamento razionale

con cui possiamo reagire allequalità positive di unapersona(odiungruppo)(I).Queste considerazionipreliminari offrono peròsoltanto apparentemente unasoluzione al problema didistinguere le forme diriconoscimento socialemoralmente giustificate daquelle ideologiche; emergeràdifatti che anche le ideologiedel riconoscimento soltanto

di rado sono semplicementeirrazionali: in generale, essemobilitano ragioni valutativeintrinseche al nostroorizzonte assiologico (II). Neconseguechelasoluzionedelnostro problema puòconsistere esclusivamente neltentativo di vagliareanaliticamente le condizionidi applicazione delle formedel riconoscimento fino adarrivareamostrareil«nucleo

irrazionale» di ogni mera«ideologia» delriconoscimento; irrazionalitàche,amioavviso,nonriposasulla superficie semantica delvocabolario valutativo stesso,ma deve piuttosto essereindividuata nella discrepanzatra promesse valutative esoddisfacimento materiale(III).

IPerAlthusser, ilproblema

che vorrei riportare al centrodelle mie riflessioni in certoqual modo può anche nonesistereaffatto:ilsuoconcettodi «riconoscimento» èunidimensionale nel sensoche non permette unadistinzione tra «retto» e«falso», «giustificato» e«ideologico»; per lui, si tratta

piuttosto del fatto che ogniformadiriconoscimentodeveavere il carattere di unaideologia perché attraverso ilmero invito, o la «chiamata»,ai destinatari viene sempreimposta un’unitàimmaginaria che essi,considerati in quantoindividui di per sé, nondovrebbero affattopossedere.Viceversa, il tentativo didistinguere tra forme di

riconoscimentoappropriateeideologichedeveiniziaredalladeterminazione delsignificato positivo del«riconoscimento»[11].

Anche se nel corso degliultimi anni la letteraturacritica sul tema del«riconoscimento» è moltocresciuta, il contenuto delnucleo concettuale deifenomeni considerati resta dicerto oggetto di una serrata

discussione. Richiamandosiperlopiù indirettamente adHegel, il concetto vieneutilizzato, in modo piuttostovago, in relazione adatteggiamenti o praticheattraverso cui soggettiindividuali o gruppi socialitrovano una conferma ditalune delle loro qualità. Ciòchequirestapocochiarononconcerne soltanto il rapportocon il concetto kantiano di

«rispetto»; nel corso deltempo infatti è emerso inmodosemprepiùlimpidocheil concettodi riconoscimentoracchiude in sé elementisemanticidifferentiininglese,francese e tedesco, le cuireciproche relazioni sonoappunto poco chiare. Intedesco il concetto sembradesignareessenzialmenteunostato di cose esclusivamentenormativo al quale è

attribuitounostatuspositivo;mentre in inglese e infranceseincludeinveceancheil significato epistemico del«ri-conoscere» odell’«identificare». A questadifficoltà si aggiunge il fattocheintutteetrequestelingueil concetto può essereutilizzato anche per gli attilinguisticidella«ammissione»o della «concessione», ove il«riconoscere» assume

anzituttounsensopuramenteautoreferenziale[12]. Infine,in alternativa al modohegeliano di utilizzare ilconcetto, è emersa unaprospettiva interpretativawittgensteiniananellaqualeil«riconoscimento» funzionacome una reazioneperformativa alle espressionivitali di un’altra persona;soprattuttoattraversoitestidiStanleyCavell, cheha evitato

di fare qualsiasi riferimentoad Hegel, la categoria di«acknowledgement» è cosìpenetrata nel circolo dellafilosofiaanalitica[13].

Di fronte al grovigliodeterminato da tali caoticiintrecci concettuali equestioni irrisolte, oggi èpossibile procedere soltantoattraversounachiarificazionecategoriale che non tema nédi essere unilaterale né di

essere escludente. Si devequindi tener conto del fattoche il riconoscimentodovrebbe concernere un attomorale ancorato al mondosociale in quanto eventoquotidiano. Muovo daquattro premesse sulle qualemiparechenel frattemposiaemerso un ampio consenso.Primo,sipuòaffermarechelamodalità originaria del«riconoscimento» consista in

ciò che viene indicato dalsignificato del termine intedesco: esso deve sempreessere inteso anzitutto comeaffermazione di qualitàpositivedisoggettiumaniodigruppi; la qual cosa nonesclude che possa esseretracciata una correlazionesistematica anche con altrisignificati del termine.Secondo, oggi vi è ampioconsenso anche sul fatto che

debba esser preservato ilcarattere di azione delriconoscimento: un atto diriconoscimento non puòesaurirsi inmere parole o inuna espressione simbolicapoiché è anzitutto attraversoil comportamentocorrispondente che il suosignificato normativo divienecredibile per il soggettoriconosciuto.Nellamisura incui ci limitiamo a relazioni

intersoggettive, dobbiamoparlare di «riconoscimento»come di un «atteggiamento»(Haltung), come di unaposizione che è divenutaeffettivamente azione[14].Terzo, dobbiamo altresìmuoveredalfattochetaliattidi riconoscimentorappresentano un fenomenopeculiarenelmondosocialeeche non deve perciò essereintesocomeunsottoprodotto

di una azione rivolta ad unaltro fine: deve essereconcepito comemanifestazione di unaintenzione autonoma. Che sitrattidigesti,attilinguisticiomisure istituzionali, in talimanifestazioni oprovvedimenti abbiamosempreachefareconuncasodi «riconoscimento» soltantose il loro fine primario èvolto, quale che sia il modo

specifico, ad affermarel’esistenza di altre persone ogruppi. Questa assunzionepreliminare quindi esclude,ad esempio, la possibilità diintenderecomeuna formadi«riconoscimento» quegliatteggiamenti positiviconcatenati necessariamentealperseguimentodiunaseriedi differenti interessiall’interazione: se provo ilforte desiderio di giocare

regolarmente a scacchi conuna determinata persona,verosimilmente esprimoanche una particolare stimaper le sue facoltà intellettuali,e tuttavia lo scopo primariodell’attività che mi prefiggoresta quello di giocareinsiemeascacchi.Unaquartapremessa, sulla quale oggi siriscontra unanimità divedute,puòesseresintetizzatanella tesi per cui il

«riconoscimento»rappresenta un concettogenerico che raccoglie entrodi sé differenti specie. Così,negli «atteggiamenti» qualil’amore,ilrispettogiuridicoela stimaemergonoognivoltaaccentuazioni differenti diuna stessa posizionefondamentale, interpretabilein senso generico come«riconoscimento».

Queste quattro premesse

riassumono soltanto ciò dacui oggi, per via di unachiarificazione soltantoparziale delle modalità concui il concetto vieneutilizzato, si deve partire: ilriconoscimento deve essereconcepito come il genere diforme differenti di unaposizione pratica nella qualeogni volta si riflettel’intenzione primaria di unadeterminata affermazione

della persona cui esso èrivolto. A differenza diquanto Althusser aveva inmente, questi atteggiamentiaffermativi hanno uncarattere inequivocabilmentepositivoperchépermettonoaidestinataridiidentificarsiconle proprie qualità e perciò diraggiungere una maggioreautonomia. Ben lontano dalrappresentare una meraideologia, il riconoscimento

costituisce la premessaintersoggettiva della capacitàdi realizzare autonomamentei propri obiettiviesistenziali[15].

Ora, la vera sfida dellachiarificazione concettualecomincia però soltanto doveentra in gioco il carattereepistemico di un talecomportamento affermativo.Qui la questione nevralgica èse il riconoscimento debba

essere interpretato anzituttocome un atto attributivo oinvece recettivo. Perrispondere alla questione dicome si debba caratterizzarein modo adeguato il casogenerico del«riconoscimento» sembranooffrirsi, di fatto, duealternative concernenti ilrapporto cognitivo con ilpartner all’interazione: ointendiamo l’affermazione

cheavvieneattraversountaleatto secondo il modello diuna attribuzione, tale per cuiviene sincronicamenteattribuito all’altro soggettouna nuova qualità positiva;oppure interpretiamo questoatto secondo il modello diuna percezione, tale per cuiuna qualità già presente diuna persona viene in certoqualmodorafforzatainmodosoltanto secondario, oppure

dichiaratapubblicamente.Nelprimo caso ciò cheintendiamo come«riconoscimento» verrebbe arappresentareilconferimentoo l’attribuzioneal soggetto inoggettodiunostatuscheegliprimanonaveva;nelsecondocaso si tratterebbe invece diun determinato tipo dipercezione di uno statusesistente già da prima,indipendente. Un’altra

possibilità di determinare ladifferenzatraquestiduemodidi rapportarsi alla questionedella prestazione delriconoscimento potrebbeconsistere nel considerare ilprimo come produttivo, ilsecondoinvecesoltantocomeriproduttivo: lo status o lequalità positive possedute dauna persona o da un gruppovengono o direttamentegenerate attraverso l’atto del

riconoscimento, oppurericonfermate inunamodalitàparticolare ma comunquesignificativa.

Non è facile decidersi traquestiduemodelliconcettualialternativi perché entrambisembrano mostrare dei trattipositivi. Se non m’inganno,con il modello dellapercezione-recezioneveniamo incontro alla nostraintuizione per cui un

comportamento volto alriconoscimento deveconcernere un atto che èmotivato da ragioni pratiche:nel riconoscimento reagiamocorrettamente oappropriatamenteinbasealleragioni correlate a quellequalitàvalutative(evaluativenEigenschaften) chepresumiamo esserepreliminarmente possedute,sotto diversi aspetti, dagli

essere umani[16]. Viceversa,il modello che operaattraversolarappresentazionedella «attribuzione» è liberoda ogni tipo di commistionecon un tale realismomorale;qui l’intuizione tiene contodel fatto il riconoscimentodeve sempre avere a che farecon un atto costitutivo taleper cui vengono conferite aduna persona o ad un gruppodella qualità particolari. Lo

svantaggio di questaposizione mi pare tuttaviaemergere esattamente nelpunto rispetto al quale ilmodello della recezionesembra invece offrirci unvantaggio: se è soltantoattraverso un atteggiamentodi riconoscimento chedebbono essere meramenteattribuite qualità positive adun altro soggetto, allora nondisponiamo più di alcun

criterio interno per potergiudicare della correttezza odella adeguatezza di taleattribuzione.Qui lospaziodimanovra del riconoscimentonon trova più alcun limiteperché tutto ciò chedobbiamo considerare comefacoltà o status di unapersona viene a realizzarsiesclusivamente attraverso unattodiattribuzione.Aquestopunto una via di uscita

potrebbe essere offerta dallatesi per cui la legittimità delriconoscimento ècommisurataallaqualitàdellasua attuazione; in tal modoperò il concetto diriconoscimento verrebbe aperdere tutte quelleimplicazioni morali che lodevono renderedifferenziabiledaun«labelingapproach» («teoriadell’etichettamento»)

sociologico.Le cose non sembrano

però andare molto meglioneancherispettoall’approccioopposto, ovvero al modellodella recezione-risposta. Perpoter affermare che in uncomportamento volto alriconoscimento si reagisce inmodo «giusto» alle qualitàvalutativediunapersonaodiungruppodipersone,sidevepresupporre l’esistenza

oggettiva di valori in unamodalità che non è piùconciliabile con la nostravisione del loro caratterecostitutivo. Certo sembragiusto lasciar collocare ilriconoscimentonel«dominiodelle ragioni», sì che nonvengaprivatodel caratterediuna azione morale; è difattisoltanto allorché il nostroriconoscimento di un’altrapersona è motivato da delle

ragioni che all’occorrenzapossiamo anche tentare diarticolare che esso si lasciaintendere come un agiregiudicante, e perciòricondurre nell’ambito, insenso ampio, della morale.Anchelapropostasuccessiva,volta a designare questo tipodi ragioni come «valutative»(«evaluativ»), deve renderconto del fatto che nelcomportamento volto al

riconoscimento sembrasempre venire a manifestarsiilvalorediunapersona(odiungruppo); i limitimorali aiquali sappiamo di essercidovuti attenere nelriconoscere sono dati dallequalità di valore (wertvollenEigenschaften) che, attraversoil nostro comportamentovolto al riconoscimento,esprimiamo in certo qualmodo pubblicamente. La

difficoltà emerge anzituttoove si tratta di determinarepiù precisamente lo status ditali ragioni valutative. Quinon sembra offrirsi altra viadi uscita che quella diritornare a quel realismomorale che non sembra piùconciliabile con l’altra sferadelle nostre convinzioniontologiche di fondo.Questanon facile situazione tuttaviacambiaallorchésiammettala

possibilità che tali valorirappresentino delle certezzedelnostromondovitale,ilcuicarattere dipende datrasformazioni storiche. Lequalità assiologiche(Werteigenschaften) chedebbonopoteresserpercepitenelle persone (o nei gruppi),allora, non sarebberoimmutabili e oggettive, mapiuttosto mutabilistoricamente, diverrebbe così

possibile reagirvi con il«giusto» comportamentovolto al riconoscimento. Perpoter offrire una teoriaparzialmente plausibile,l’immagine qui tracciatadovrebbe tuttavia essereintegrata con un elementoulteriore: il mondo socialedella vita dovrebbe essereinteso sul tipo di una«seconda natura» attraversocui i soggetti, imparando ad

esperire gradualmente lequalità di valore dellepersone,vengonosocializzati.Questo processo diapprendimento dovrebbeperciò essere concepito comeprocesso complessoattraverso il quale, insiemealla percezione delle qualitàvalutative, verremmo adacquisire anche quellecorrelate modalitàcomportamentali la cui

peculiarità dovrebbeconsistere nell’ovvialimitazione del nostronaturale egocentrismo. Inconclusione potremmoquindi intendere ilcomportamento delriconoscimento come uninsieme di abitudini legate,nel processo disocializzazione, alle ragionirivedibilidelvaloredellealtrepersone[17].

Tali riflessioni tuttavianon risolvono ancora ilproblema che sembracontraddistinguere ledifficoltà inerenti a questomoderato realismo morale.Come abbiamo visto, lequalitàdivalorechepossiamoriconoscere in modoadeguato ad un’altra personahanno realtà soltanto entrol’orizzonteesperienzialediundeterminato mondo della

vita. Se i suoi membri sonostati socializzati con successoentro la sua cultura, essipercepiscono tali qualitàassiologiche personali nellostesso modo in cuipercepiscono i dati di fattooggettivi del contesto socialeed in cui esperiscono comeovvi dati di fatto,inizialmente, anche le altreparticolarità culturali. Anchein questo ambito concettuale

emergeperciòilrischiodiunrelativismo che èfondamentalmenteincompatibilecongliobiettivinormativi del concetto diriconoscimento: i valori a cuisi commisura l’adeguatezzadel comportamento diriconoscimentosembrainfattipossedere una validitànormativa limitata adun’unica cultura. Neconsegue che il relativismo

chesiaccompagnaalmodellodella recezione-risposta nonsi differenzia in alcun mododaquellocorrelatoalmodellodell’attribuzione: in entrambii casi la validità delcomportamento volto alriconoscimento, che vengadescrittocomeattribuzioneoinvece come reazioneadeguata, verrebbe adipendere esclusivamentedagli stati di cose normativi

delle forme di vita delmomento. A mio avviso,rispetto al modello dellarecezione tale difficoltà puòessere evitata soltanto se ilmoderato realismo moraleviene integrato da unarobusta concezione delprogresso.Essenzialmenteciòsignificherebbe presupporreuna direzione di svilupponelle trasformazioni culturalidelle qualità assiologiche

umane taledapermetteredeigiudizi fondati sulla validitàtrans-storica della cultura delriconoscimentodelmomentodato[18]. Qui non possoaddentrarmi nei dettagli diuna tale concezione delprogresso, che a mio avvisodovrebbe essere delineataquale forma riflessiva delsapere che ci orienta nelnostro mondo vitale[19]; milimiteròperciò a schizzarne i

nodi cruciali. Con ladifferenziazione delle qualitàassiologicheche,invirtùdellasocializzazione, impariamo apercepire e a prendererazionalmente inconsiderazione nelle altrepersone, aumentasincronicamente il livellonormativodeinostrirapportidi riconoscimento. Grazie aquel valore che possiamoconfermare attraverso il

riconoscimento, cresce infattila possibilità che un uomopossa identificarsi con unasua capacità, e possa perciòincrementare la suaautonomia.Taleabbozzohailsolo fine di giustificarel’ancoramentodelconcettodiriconoscimento ad unrealismomoralemoderato.

Primadipotertornareallaquestionedicomesipossanodistinguere le forme di

riconoscimentogiustificatedaquelle ideologiche, devo peròperlomeno accennare unulteriore problema. Essoemerge dal fatto che si parladi ideologie per lo più comeconfigurazioni coscienti, osistemi di asserzionivalutative, la cui fonte nondovrebbe essere individuatanel comportamentointersoggettivo, ma nelleregole o nei compromessi

istituzionali. Con Marx, checonsiderò la forma delcontrattoborghesecomeunodei dispositivi che generanouna tale forma diideologia[20], partiamo dalfatto che è la costituzionespecifica di una determinataistituzione a condurreoriginariamente alla nascitadi convinzioni illusorie oartificiali. Ora, per poterattribuire anche al modello

del riconoscimento la formadi una tale ideologia, sidovrebbe necessariamentechiarire che cosa dovrebbesignificare il fatto che nonsolo le persone, ma anche leistituzioni sociali possanoconcedere unriconoscimento. Dal pianodel riconoscimentointersoggettivo, sul qualefinora ci siamo orientati,dobbiamo passare al piano

del riconoscimento garantitoistituzionalmente[21].

Ilpuntodipartenzadiuntalepassaggioèrappresentatodall’osservazione per cuiancheleregolamentazionielepratiche istituzionali possonocontenere rappresentazionideterminate per le quali lequalità assiologiche degliuomini debbono riceverericonoscimento in modospecifico. Così,

nell’istituzione della famiglianuclearemoderna si esprimeper esempio il valore per cuil’uomo deve poter esserericonosciuto quale privatosoggetto di bisogni, mentrenel principio di uguaglianzaistituzionalizzato nel drittomoderno si ritrova il fattonormativo della suapartecipazione, tale per cui imembri delle societàmoderne debbono essere

rispettati in quanto soggettiliberi e uguali. In entrambi icasi, si può concepirel’istituzione corrispondenteperfino quale incarnazioneistituzionale della formaspecifica di riconoscimentoche i soggetti si concedonointersoggettivamente sullabase di determinate qualitàassiologiche.

Tuttavia, si devonodistinguere quei tipi di

istituzionineiqualiilmodellodel riconoscimento trovauna«espressione» sociale dallepratiche e dalleregolamentazioni istituzionaliche articolano determinateforme di riconoscimento inmodo soltanto indiretto osecondario. Di routine,infatti, quasi tutte leistituzioni veicolanodeterminate rappresentazionidei soggetti umani che,

seppurconcedonodicertounriconoscimento inmodononintenzionale, si lascianotuttavia intendere comecristallizzazioni del modellodel riconoscimento. Così,nelleregolamentazionicheadesempio stabiliscono ilsalario, le assicurazionisanitarie o il periodo di feriedei lavoratori in particolarisettori, si riflettono lealtrettantospecificheformedi

riconoscimentoderivatedallelotte sociali; così comeavviene nelle pratichedell’organizzazione e nelleusuali modalità con cui ipazientivengonotrattatinegliospedali: in questo tipo diorganizzazioni gli schemicomportamentali einterpretativi attraverso cuivengono poste le premesseper cui gli individui vengonotrattati di volta in volta e in

modospecificocomemembrioclienti si lasciano intenderequali sedimentazioni dipratiche di riconoscimentodel mondo vitale. Certo ladirezione di una talesedimentazione può ancheinvertirsi allorché leorganizzazioni assumano unruolo avanguardistico nellacreazione o nella scoperta dinuove qualità assiologicheumane.Incasidiquestotipo,

i mutati modelli diriconoscimentosiimpongonoanzitutto nelleregolamentazioni e nellepratiche di una istituzioneprima di venir espresse nellaprassinarrativadiunmondodella vita. Questo secondocaso è verosimilmenteparticolarmente significativoper la questione inerenti imodi in cui determinatimodellidiriconoscimento,in

quanto inducenti unadisposizioneall’assoggettamentovolontario, hanno uncarattereideologico.

IILe riflessioni finora

sviluppate hanno ruotatoessenzialmente attorno allaquestione concernentel’adeguata comprensione delconcetto di riconoscimento:difronteall’alternativatraunmodello attributivo ed unorecettivo,hoimboccatolaviadi un realismo moralemoderato; con

«riconoscimento» dovremmointendereuncomportamentoreattivo con cui rispondiamoinmodorazionaleallequalitàassiologiche che abbiamoimparato a percepire neisoggetti umani in base allivello di integrazione nellaseconda natura del nostromondo della vita. Questadefinizione concettualedovrebbe già renderesufficientemente chiara la

distanza dal suggerimento diAlthusser, tale per cui ogniforma di riconoscimento,senzaalcunadistinzione,deverappresentare una forma diideologia: del tuttoindipendentemente daquanto ogni volta vienerivolto ai soggetti, la meraattribuzione di uno statussociale rappresenterebbe digià una prassi ideologicaperché, insieme all’illusione

di unità e identità, essacreerebbe nel contempo ladisponibilità ad accettare leaspettative comportamentalicorrispondenti.

Viceversa, il tentativo quisviluppato muove dallapresupposizione che siapossibile avere una adeguataforma razionale diriconoscimento che rendapubblicamente valide, inmodoperformativo,lequalità

assiologiche umane giàesistenti. Tale formulazione,tuttavia,non rendeancora inmodosufficientementechiaroperché un concetto di«riconoscimento» inteso inquesto modo debbadeterminare, in assoluto,un’azione morale. Certo oraabbiamo a che fare con unagirecheèmediatodaragionivalutative, da sé solo peròquesto fatto non basta a

mostrare che qui si debbatrattare di un atto che siaanche morale. Talecaratteristica però emergeanzituttoallorchésiconsideripiù da vicino quell’aspettoche prima ho descritto come«limitazionedell’egocentrismo». In certoqual modo questo tratto siricollega a Kant, che,introducendo il suo concettodi rispetto, afferma che per

imporreallenostreazioniunalimitazione è necessaria «larappresentazione di unvalore» che «danneggial’amore di sé»[22]:riconoscere qualcuno, allora,significa – così si potrebbeproseguire – percepire in luiuna qualità assiologica che cimotiva interiormente acomportarci non in modoegocentrico, ma in base alleintenzioni, ai desideri o ai

bisogni dell’altro. Divienepertanto chiaro che ilcomportamento volto alriconoscimento deverappresentareunagiremoraleperché si lascia determinaredalvalorediun’altrapersona:nella posizione delriconoscimento, ilcomportamento non siorienta in base alle proprieintenzioni, ma in base allequalitàvalutativedell’altro.Se

ècosì,allorasidebbonopoterdistinguere tante formedell’agiremorale quanti sonoi valori da riconoscere deisoggetti umani. È per questaragione che in un recentesaggio sono giunto allaconclusione che si debbanodistinguere tre fonti dellamorale che dovrebberocorrispondere, nel nostromondo della vita, a formedifferenziate del

riconoscimento. L’orizzonteassiologico delle societàmoderne, infatti, cometenderei ad affermareconcordando con molti altriautori, è impregnato dallarappresentazione per cuiall’uomo – perlomeno inquanto essere bisognoso, chegodediunaautonomiaalparidegli altri ed è in grado direalizzare delle prestazioni –debba esser attribuito un

valore che corrisponde adiverse forme delcomportamento volto alriconoscimento (amore,rispetto giuridico, stimasociale)[23].

Prima di proseguire inquesta concatenazioneargomentativa vorrei peròritornareallanostraquestionecruciale. Fin dall’inizio, hosostenuto che non si deveescludere il fatto che queste

forme del riconoscimentosociale abbiano una funzioneesclusivamente ideologicaperché possono indurre adunarelazioneindividualeconse stessi compatibile conl’ordine esistente deldominio. Anziché esprimereeffettivamente un valore, taliforme delle ideologie delriconoscimento fornirebberoinvece quella disponibilitàmotivazionale a soddisfare

senza resistenze i compiti e idoveriattesi.Verosimilmentequi è bene circoscrivereulteriormente, in primoluogo,lasferadelleasserzioniassiologiche (Wertaussage)pubbliche e dellerappresentazioni dei soggettichevengonoagiocareuntaleruolo ideologico; lamolteplicità delleclassificazioni valutative cheoggipotremmoincontrarenel

nostro mondo della vita,infatti,nonsoddisfaaffatto lepremesse stando alle qualiesse potrebbero venire arappresentare delle ideologiedelriconoscimento.

Perché si possa trattarediforme di ideologie di questotipo, i sistemi di convinzioni(Überzeugungssysteme) ingioco devono ovviamentepossedere, inprimo luogo, lacaratteristica di esprimere

positivamente il valore di unsoggetto, o di un gruppo disoggetti: i sistemi possonoespletare la funzione loroattribuita soltanto se agliindividui viene offerta unapossibilitàdi relazionarsia sestessi inmodoaffermativo, sìche risultino incoraggiati adassumersi volontariamentedeterminati compiti. Neconseguechedallasferadelleasserzioni assiologiche qui in

giocosonoesclusetuttequelleclassificazioni che hanno uncarattere chiaramentediscriminatorio. Quei sistemidi convinzioni, come adesempio razzismo, misoginiao xenofobia, nei quali vieneappuntonegata l’attribuzionediunvaloreagruppispecificidi persone, non possono dicerto assumere il ruolo diideologie del riconoscimentodalmomentochesolitamente

conducono a un dannodell’immagine di sé deidestinatari.Leideologielacuivaliditàdovrebberiposaresulriconoscimento sociale nonpossono però coadiuvarel’esclusione dei gruppi socialiin oggetto: debbononecessariamente contribuireallalorointegrazione.

In secondo luogo, perpoter raggiungere l’effettosuddetto i sistemi di

convinzionirichiestidebbonoessere «credibili» per gliinteressati stessi: se gliinteressati non hanno di persestessialcunabuonaragioneper identificarsi con leasserzioni assiologiche che liconcernono, i sistemiperdono la loro funzioneperformativa. Oltre ad unsignificato piuttosto triviale,questa precondizione ne haunaltropiùcomplesso,lacui

spiegazione non è affattosemplice. Naturalmente tuttele asserzioni assiologichepositive atte a rinforzarel’immagine di sé di unapersona o di un gruppodebbono ovviamente essererealistiche, nel senso che illoro significato deve essereancorato a delle capacità ovirtù effettivamente esistenti:lodare una poliziotta per ilsuo talento matematico è

insensato quanto lodare unmatematico per la sua forzafisica; in entrambi i casi,infatti, vengono sottolineatedelle prestazioni del tuttoestranee al loro ambitoprofessionale. Per il criteriodella«credibilità»risultaperòancor più importante diquesta componente realisticaun secondo fattore, correlatoallaprogressionedeldominiodelleragionivalutative:lesole

asserzioni assiologicheaccettabili dai destinatarisono quelle che nonrimandano ad un livellovalutativo che, in virtù delprocesso di superamentodelle attribuzioni identitarieinadeguate o unilaterali, èstato ormai già abbandonato.Dettointerminipiùsemplici,evoltoinpositivo,quiemergeche le ideologie delriconoscimento possono

utilizzare sempre edesclusivamente asserzioniassiologichecherisultanopercosì dire all’altezza delvocabolario valutativo dellasituazione presente data;viceversa, le asserzioni chedesignano chiaramente dellequalità assiologiche che nelfrattempo sono cadute indiscredito non sono ritenutecredibili dai destinatari. Neconseguechenelcriteriodella

credibilità, di fianco allacomponente della realisticità,ècontenutaanchequelladellarazionalità, segnatainequivocabilmente da unindice storico o temporale:una donna che oggi vengaancora lodataper le suevirtùdi casalinga trova inveroscarseragioniperidentificarsicon tali asserzioniassiologiche fino al punto daveder rinforzata stabilmente

lapropriaautostima.Ne consegue che anche

quei modelli delriconoscimentochepossiamodescrivere come«normalizzanti»[24] nonpossono in verità esseredefiniti quali «ideologie» delriconoscimento. In uncontesto di questo tipo,infatti, con l’espressione«normalizzazione» si intendeil fatto cheunapersonaoun

gruppo vengano riconosciutiattraverso l’utilizzo dideterminazioni qualitative oattribuzioni identitarie che lapersonastessaoperl’appuntoi membri del gruppo sonoormai pronti a recepire qualilimitazioni dello spazio dellapropria autonomia[25]. Diconseguenza, unriconoscimentonormalizzatore non puòmotivare a sviluppare

un’immagine di sé checonduca ad assumersivolontariamentedeicompitiedelle privazioni fissatiesternamente. È invece piùspinoso il caso in cui ci silimiti a presupporre l’effettodiunanormalizzazionesenzadisporre al riguardo di unpuntodiriferimentoempiricoattestante il disagio o leobiezioni dei soggetti stessicoinvolti.Inquestesituazioni,

il carattere negativo loroassegnato è correlatoall’ipotesi che se i soggetticoinvolti conoscesseroperfettamente tutte lecircostanze in giocorifiuterebbero le qualitàdeterminate corrispondentiperché esse limitano la loroautonomia. Questapresupposizione ruota perciòessenzialmente sulla tesi percui un modello di

riconoscimento opera insenso «normalizzatore» seuna attribuzione identitariavalutativa limitante eanacronistica vienemantenuta in modoingiustificato, mentre le«ideologie» delriconoscimento possonoconservare la loro efficacia,talepercuinonsiricorreallarepressionediretta,sempreedesclusivamente attraverso

l’ausilio di asserzioniassiologiche valutativerazionali connotatetemporalmente.

Forse possiamorichiamare una terzacondizione che deve essersoddisfatta perché le formedel riconoscimento socialepossano assumere unafunzione ideologica: questeasserzioni assiologiche nondebbono essere soltanto

positive e credibili, madebbono anche esserecontrastive, nel senso chedevono esprimere un valoresempre nuovo oppure unaprestazione particolare.Questa limitazione èdatadalfatto che gli individuipossono identificarsi con ledeterminazioniloroattribuitesoltanto se, alla loro luce,possonopercepirsi in terminidi distinzione. L’asserzione

assiologica che gli individuipossono riferire a se stessideve perciò manifestare uncarattere che sia in contrastorispettoalpassatooall’ordinesociale circostante, sì dagarantirelapercezionediunaparticolare distinzione. Seinvece una forma diriconoscimento sociale giàesistente viene solamenteestesa ad una cerchia socialechefinoadalloraneerastata

esclusa,potrebbealloravenireamancarequelmomentoche,permettendo di mettersi inrisalto, risveglia ladisponibilità motivazionalead un assoggettamentovolontario.

Conquestetrelimitazioni,certamente di peso diverso,mi sono limitatoesclusivamente a delineare lecondizioni entro le quali leideologie del riconoscimento

possono trovare una efficaciapotenziale: esse possonosoddisfare la funzione dievocare una relazioneindividuale con se stessi chemotivi ad assumersivolontariamente compiti eservizi soltanto se leasserzioniassiologicheadessecorrelate sono nel contempopositive, credibili e in unacerta misura contrastive.Considerate unitariamente,

tali precondizioni rendonoperò evidente che taliideologie del riconoscimentonon rappresentanosemplicemente dei sistemi dicredenze irrazionali.Piuttosto, esse debbononecessariamente mobilitaredelle ragioni valutative chenelle condizione datepossiedano una forzapersuasiva sufficiente amotivarerazionalmenteiloro

destinatari ad adottarleautonomamente. Di controalle ideologie escludenti, chefannopercosìdireimploderel’orizzonte percettivovalutativo del presentenascondendo determinatequalità assiologichedi gruppidi persone, le ideologie delriconoscimento operanoentrolo«spaziodelleragioni»storicamente esistenti: incerto qual modo ampliano

esclusivamente le qualitàvalutative che abbiamoimparato a percepire negliuomini accentuando unnuovo significato che, ciònondimeno, se utilizzatoefficacemente è in grado digenerare un rapporto con sestessi adattato e di tipofunzionale.Comeogninuovaaccentuazione delriconoscimentosociale,anchetali ideologie razionali sono

collocate entro l’orizzonteassiologico dischiuso dallacultura normativa delriconoscimento delle societàmoderne; anch’esse nonpossonoperciòfareamenodiservirsi, sul piano semantico,dei principi dell’amore,dell’uguaglianza giuridica odella giustizia dellaprestazionecheorganizzanoirapporti dati di reciprocoriconoscimento fin dentro la

nostra percezione valutativa.Ma allora ci si devedomandare: poste talicondizioni, come possonoessere distinte le forme delriconoscimento socialegiustificate da quelleingiustificate? Da qualemomento, per porre laquestione in termini piùprecisi, una nuovaaccentuazione diviene unaideologia la cui unica

funzione è quella di evocareun rapporto con se stessi ditipofunzionale?

La misura della difficoltàcon cui ci dobbiamo quimisurare diviene evidentesoltanto nel momento in cuiesplicitiamo che lo sviluppostorico del riconoscimento sirealizza, in linea generale,dischiudendo nuovi punti divista entro l’orizzonte diprincipi generali: è sempre

richiamandosi ad unprincipio di riconoscimentopiù ampio che entra in giocounnuovoparticolare, finoadallora trascurato, la cuiconsiderazione costringe adampliare l’orizzontepercettivovalutativoe,perciò,ad intensificare ilriconoscimento. Così, a mioavviso si può sostenere che,negli ultimi due secoli,richiamandosi al significato

normativo dell’amore sonostati fatti valere bisognisemprenuovi–sipensi,tantoper avere degli esempi, albenessere dei bambini o albisogno di autonomia delledonne –, che hannolentamente e gradualmentecondotto ad approfondire lacurae ladedizionereciproca.La stessa dinamica puònaturalmente essereriscontrata anche rispetto ai

rapporti di riconoscimentodeldirittomoderno,nelqualele rivendicazioni concernentile condizioni di vita fino adallora trascurate hannocondotto ad unainequivocabile estensionedell’uguaglianza giuridica. Eanche in riferimento alprincipio della prestazionetenderei a parlare di unadialettica tra particolare euniversale di questo tipo, dal

momento che una lottasimbolica ininterrotta suisignificati da attribuire aiconcetti di «prestazione» e«merito» ci ha condotto aquella soglia temporale nellaqualehainiziatoperlomenoadelinearsi una comprensionepiùprofondadei contributi edelleprestazionisociali.

Ora, tanto piùprecisamente riconosciamoche i rapporti di

riconoscimento hannoassunto storicamente dellenuove accentuazioni,delineandosi quali principipiù generali e venendo cosìampliati e migliorati, tantopiù, allora, diviene difficileidentificare delle forme diriconoscimento ideologicheentro il flusso dei molteplicisignificati attribuiti alle mereideologie: chi infatti è ingrado di dirci che ciò che

appare come una nuovavalutazione ideologicadi tipofunzionale non rappresentiinvece uno slittamento diaccentuazione attraverso cuila lotta per il riconoscimentoprogredisce storicamente? Laquestione è facilmenterisolvibilesoltantonelcasoincui gli interessati stessi sioppongono autonomamentead una nuova forma didistinzione valutativa. Qui

abbiamoperlomenoleragionidi fondo per mettere indubbio la legittimità dellemutate forme diriconoscimento e periscriverle nel registro degliimputati di ideologia. Doveinvece non si riscontra unatale protesta, dove i soggetti,in virtùdellanuova formadiriconoscimento, sembranoraggiungere perfino un piùaltogradodirispettodisé, là

vengono anzitutto amancaretuttiicriteriattiadistingueregli slittamenti diaccentuazione giustificati daquelli ideologici. Nell’ultimasezione di questo contributovorrei offrire un esempio,tratto dalla storia recente,attraverso cui schizzare iprimi lineamenti utili arispondereatalequestione.

IIILe ideologie del

riconoscimento debbonorappresentare, così è emersofinora, classificazioni positiveilcuicontenutovalutativosiatalmente credibile da veniraccettato dai destinatari invirtù di buone ragioni: allaluce della nuova distinzione,la loro autocomprensionedeve poter cambiare fino al

punto da ricompensarlipsichicamente del rispetto diséricercato,essicioèdebbonoeffettivamente far propricapacità, bisogni o virtùassociatialladistinzione.

Oggi i primi candidati diuna tale ideologia sembranoperciò essere quei soggettipubblicitari che organizzanoiconograficamente lo schemadel riconoscimento in modotale che un determinato

gruppo di persone si vedaesortato positivamente adadattare le proprie modalitàcomportamentali aglistandard offerti. L’obiettivoperseguito viene raggiuntoquando la realizzazione dellaprassicorrispondentetransitanecessariamente attraverso ilbenedi consumoper ilqualelospotpubblicitario,inmodopiù omeno indiretto, è statolanciato. L’esempio della

pubblicità tuttavia è in gradodi far emergere soltantoparzialmentelecaratteristicheattraverso cui vengonocontraddistinte le ideologiedel riconoscimento: ingenerale tali soggettipubblicitari vengono infattisemprerecepiticonlariservamentale che si tratti soltantodi mere finzioni, sì che essenonsonoveramenteingradodi trasformare incisivamente

la prassi vitale. Se peròsuperano tale soglia, eriescono quindi ad operareeffettivamente unatrasformazione, allora alcuniprodottipubblicitarivengonoall’incirca ad esercitare lostesso potere che dovrebbeessere attribuito alle formeideologiche delriconoscimento: essepossiedono la stessa capacità«regolativa» di indurre

modalità comportamentali lacui realizzazione è correlataall’idea positiva di ottenereautostima e pubblicaapprovazione.

Il potere esercitato dalleideologiedel riconoscimento,dunque, precisamente nelsenso inteso da Foucault, èsincronicamenteproduttivoenon repressivo. La speranzache la manifestazionesoggettiva di determinate

capacità, bisogni o desideritrovi un riconoscimentosociale fa sì che nasca ladisponibilità ad adottare unaserie di pratiche e modalitàcomportamentali accordatealla funzione dellariproduzione del dominiosociale[26].Ancheconquestachiarificazione concettualedel tipo di potererappresentato dalle ideologiedel riconoscimento, non

abbiamo però naturalmenteancora fornito una rispostaalla questione di come essepossano essere identificaterispetto al flusso ininterrottodelle molteplici lotte per ilriconoscimento. Il confrontocon la pubblicitàcontemporanea rende certoevidente che la credibilitàvalutativa di tali ideologiepoggia sulla retorica; oggiperò anche le richieste

fondate sulla base di nuoveaccentuazioni delriconoscimento sociale nonpossono fare a meno diricorrere a elementi dellapolitica simbolica cherichiamino su di esse lapubblicaattenzione.

Anziché continuare atrattare la questione sul solopiano concettuale, da qui inavanti vorrei invecededicarmi ad un esempio

empiricodallacuidiscussionemi riprometto di trarre unamigliore spiegazione dellanostra questione. Dallamolteplicitàdeinuovimodellidel riconoscimento che oggisi stagliano entro la nostracultura sociale – larivalutazione del lavorodomestico femminile nelcontesto del principio dellaprestazione,laconsiderazionedelle condizioni di

appartenenza alle minoranzeculturali nel contestodell’uguaglianza giuridica,l’idea di un riconoscimentodel «lavoro civile volontario»(Bürgerarbeit) – vorreiscegliereuncasochepresentalimpidamente tutti i tratti diuna pura «ideologia» delriconoscimento. Ladiscussionedelcasodovrebbemostrare se si possonotrovare dei criteri che ci

offrano delle garanzie sulcontenuto ideologico delleformedelriconoscimento.

Negli ultimi tempi, nellasfera del lavoro delcapitalismoavanzatohaluogouna profonda trasformazionestrutturale tra le cuiconseguenze si annovera unanuova modalità di rivolgersiai lavoratori: nella letteraturacontemporanea delmanagementnonsiparlapiù

semplicementedi«dipendentisalariati» o di «forza lavoro»,madi creativi «imprenditori-forza-lavoro»(Arbeitskraftunternehmer)[27].Loslittamentod’accentocorrelato alla trasformazionedi queste definizioni siriallaccia al discorsodell’autorealizzazioneindividuale al fine ditrasporre tale discorso entrol’organizzazione del lavoro

dellaproduzioneedeiservizi.I maggiori bisogni diautorealizzazione dovrebberoesserericondottientrolasferadel lavoro in modo che,attraversoillivellamentodellegerarchie, il rinforzodell’autonomia dei team edun più alto grado diautogoverno, si offra unachance migliore per poterinterpretarelapropriaattivitàcome espressione autonoma

delle capacità acquisite. Aquesto nuovo modo dirivolgersi ai lavoratori parealtresì accompagnarsiun’immagine dellaprofessione completamentemutata,poiché i soggettinondovrebbero più concepire laloroattivitàsoprattuttocomeespletamento di unanecessità, ma piuttosto comerealizzazione di una«vocazione» (Berufung).

L’idea di definire i lavoratoricomeimprenditoridisestessiesortainoltrearappresentarsiogni cambiamento del postodi lavoro od ogni nuovorapporto di lavoro come sefosse il risultato di unadecisione autonoma,orientata esclusivamente dalvalore intrinseco del lavorodato. Ne consegue che conquesto nuovo modo di porsisembra imporsi anche una

nuova accentuazione delvecchio principio dellaprestazione poiché ora ailavoratori dipendentivengono attribuite tuttequelle prestazioni diautonomia, creatività eflessibilità che finora eranostate riservate soltantoall’imprenditore di tipoclassico.Tutta la forza lavoroqualificata, così affermaquesta nuova forma di

riconoscimento, è nellacondizione di pianificare ilproprio percorsoprofessionale nei termini diuna impresa altamenterischiosa nella quale metterein gioco, autonomamente,ognipropriacapacità.

Non è certo difficilericonoscere in questa mutatamodalità di rivolgersi ailavoratori l’esatto profilo diquella forma di

riconoscimentocheprimahodescritto quale «ideologia»dotatadiunpotereregolativo.Il sospetto che questoesempio suscita è che qui loslittamento d’accento delriconoscimento espletianzitutto la funzione dievocare un nuovo rapportocon se stessi che motivi adassumersi volontariamentedei carichi di lavoro piùpesanti: la flessibilizzazione e

la deregolamentazione dellavoro che si accompagnanoalla trasformazionestrutturale neoliberale delcapitalismo richiedonoun’attitudineall’automercificazione di tipoproduttivo che viene perl’appunto generata dalladefinizione attraverso cui ilavoratori vengonoriconosciuti nei termini di«imprenditori-forza-

lavoro»[28].Tra questo sospetto

iniziale e una dimostrazioneesaustiva si staglia però unafrattura teoretica il cuisuperamento richiede deicriteri assai difficili dasviluppare. Se le nuovemodalità di rivolgersi ailavoratori dovessero infattirappresentare effettivamenteun nuovo riconoscimento,allora dovrebbero essere

anzitutto soddisfatte quellecondizioni che prima hodefinito come qualità di unatale ideologia: i soggettidisporrannodibuoneragioneditipovalutativoperriferireasestessilemutatedistinzioni,sì da poter eventualmenteraggiungere anche un piùaltro grado di autostima o dirispetto di sé. È dunquepreclusa la via regia di ognicritica dell’ideologia,

consistente nel dimostrarel’irrazionalità dei sistemi diconvinzioni consideratiideologici: perlomeno dalpunto di vista valutativo, lanuova forma diriconoscimento deve esseredotata di un grado dirazionalità tale per cui ilavoratori la ritenganosufficientemente «credibile»da applicarla a se stessi. Perindividuare i possibili deficit

checaratterizzanoleideologiedel riconoscimento mi pareperciò consigliabilecontinuareadapprofondirelecondizioni di realizzazionedel riconoscimentosociale.Atal fine devo riprenderenuovamente il filo delle miaargomentazione dal punto incui l’ho lasciato: ove hopresentato il riconoscimentocome la reazione morale erazionalmente adeguata alle

qualitàassiologicheumane.Fin dall’inizio delle mie

riflessioni è emerso che ilriconoscimento non puòesaurirsi inmere parole o inespressioni simboliche: deveaccompagnarsi ad azioni chene attestino la sincerità: unatto di riconoscimento è incerto qual modo incompletofintanto che non approdi aduna modalitàcomportamentale che

esprima effettivamente ivalori in esso articolati.Tuttavia,èsensatoparlaredel«soddisfacimento» delriconoscimento indeterminate modalitàcomportamentali soltantonelcasoincuisiabbiaachefareconuna semplice interazionenellaqualeduepersonestianol’una di fronte all’altra. Nonappena invece cambia ilpiano, e si ha a che fare con

casi di riconoscimento piùgenerale, come quelliesercitati dalle istituzionisociali, non è più possibilepresupporre un compimentodel riconoscimento nellasemplice forma dicorrispondenti modalità dicondotta o comportamentali.Certo è vero che anche ilriconoscimento generalizzatoistituzionalmente sul lungoperiodosidepositeràinforme

e abiti mutati, la fonteprimaria della suarealizzazione resta tuttavianell’ambito stesso dellemisure e dei provvedimentiistituzionali. Allorché nuovemodalità del riconoscimentogeneralizzato sono stateimposte socialmente,debbono trasformarsi ledisposizioni giuridiche,debbono essere stabiliteforme diverse della

rappresentazione politica, edebbono essere attuateredistribuzionimateriali.

Di conseguenza, di fiancoalla componente «valutativa»della credibilità delriconoscimento sociale deveesser presa in considerazioneanche una componente«materiale»che,asecondadelgradodi integrazione sociale,consiste o in modalitàcomportamentali appropriate

o in provvedimentiistituzionali corrispondenti.La credibilità diviene perciòuna forma mutata diriconoscimento sociale nonsoltanto quando è razionaledal punto di vista valutativo,maancheesoltantoquandoèsoddisfatta la premessa percui al nuovo valoreassiologicoèresagiustiziadalpunto di vista materiale –perché i destinatari possano

essereeffettivamenteconvintidi esser stati riconosciuti inun nuovo modo deve essersitrasformato qualcosa delmondo psichico inerente allemodalità comportamentali oalle circostanzeistituzionali[29].

Ed è questa secondacomponente materiale cheora può offrirci una chiaveper sciogliere la difficoltà didistinguere tra forme del

riconoscimento ideologiche egiustificate. Le ideologie delriconoscimento,cosìabbiamovisto, possono dispiegare illoro potere regolativosoltantoseillorovocabolariovalutativo è sufficientementerazionale per dischiudere aidestinatari un nuovo epositivorapportoconsestessiin modo credibile. Ingenerale, tali ideologierisultano tanto più efficaci

quanto più strettamente sirivolgono ad aspettativevalutative che si muovononella direzione di unprogresso della cultura delreciproco riconoscimento. Ildeficit che rende possibilericonoscere tali ideologiepotrebbeperòconsisterenellaloro strutturale incapacità diprovvedere alle premessemateriali entro le quali lenuovequalitàassiologichedei

soggetti coinvolti vengonoeffettivamente realizzate: trala promessa valutativa e lasoddisfazione materiale sispalanca un abisso, la cuipeculiaritàèdatadalfattochela predisposizione dellepremesse istituzionali nonsarebbe più conciliabile conl’ordinesocialedominante.

Seoraapplichiamoquestocriterio all’esempio che hotracciato precedentemente,

esso allora, a mio avviso, sirivela ben solido: il nuovomododirivolgersiaimpiegatie lavoratori qualificati neitermini di «imprenditori-forza-lavoro» includecertamente, sul pianovalutativo, la promessa diriconoscereungradopiùaltodi individualità e dimotivazione intrinseca allavoro; esso però, di per sestesso,nonprovvededi certo

a fornire quei provvedimentiistituzionali chepermetterebbero unarealizzazione consistente deinuovi valori. Piuttosto, idestinatari, di fronte acondizioni del lavoroinvariate, vengono costretti asimulare motivazioniinteriori, flessibilità e talentilà dove non si riscontrainvero alcuna traccia di unpercorso storico-formativo

volto a tal fine. La nuovaformadiriconoscimentononè deficitaria o irrazionale daun punto di vista valutativo;essa, piuttosto, non soddisfasufficientemente le esigenzemateriali alle quali dovrebbeessereanzituttoepienamentecommisuratalacredibilitàdelriconoscimento giustificato: iprovvedimenti istituzionaliche sarebbero necessari perpoter realizzare

biograficamente il nuovovalore ora accentuato nontrovano difatti realizzazioneinunattodiriconoscimento.

Sequesta componentedelsoddisfacimento materialeviene però inclusa tra lecondizioni che, presenell’insieme, costituiscono larazionalità delriconoscimento, allorarispetto alle ideologie delriconoscimentosipuòparlare

di un deficit di razionalità disecondo livello. Se poi anchequeste fossero razionali nelsenso che il loro vocabolariosi riferisce al regnostoricamente mutevole dellaragioni valutative, ciònondimeno si rivelanoirrazionali nel momentostesso in cui non portano acompimento l’atto delriconoscimento transitandodal piano meramente

simbolico fino a quella delsoddisfacimento materiale.Unsecondocasodiunnuovotipo di riconoscimento che,da questo punto di vista,potrebbe rivelarsi comeideologico, è il discorso oggidivenutodimodadel«lavorocivile volontario»: anche quiad un gruppo sociale vieneconferita una distinzionesociale che può motivare anuove forme di

assoggettamento volontariosenza che, sul pianoistituzionale, vengano presi iprovvedimenticorrispondenti.

Certo, lo stesso criterioqui formulato non deveindurre ad una ermeneuticadel sospetto eccessivamentesicuradisé.Nonsipuòinfattimai escludere che tra lepremesse valutative e isoddisfacimenti materiali si

venga a spalancare un abissotale soltanto temporalmente,da intendersi cioè qualerallentamento nellarealizzazione delle premesseistituzionali richieste. Comenella semplice interazione,così anche sul piano delriconoscimento istituzionalesi deve tener conto del fattochespessosihaachefareconlunghissimi processi diapprendimento prima che il

contenuto valutativo di unanuova forma diriconoscimento possacondensarsi in mutatemodalità comportamentali oin compromessi istituzionali.Tutto considerato, il criteriodelsoddisfacimentomaterialeci fornisce uno strumentoadoperabile per testarepreliminarmente se latrasformazione di un aspettodel riconoscimento concerna

effettivamente edesclusivamente unincremento di potereregolativo – con buonacoscienza, possiamo perciòchiamare quei modelliistituzionali della distinzionevalutativamancantidalpuntodi vista del soddisfacimentomateriale «ideologie» delriconoscimento.

Note[1]Ringrazio per i preziosi

suggerimenti e le discussioni ipartecipanti alla conferenzaPowerand Recognition tenutasiall’Università diUtrecht (2003), alseminario Philosophy and SocialSciences di Praga (2004), e al mioseminario di ricerca di filosofiasociale; nel corso di questediscussioni sono stateparticolarmente significative leindicazioni diBert vandenBrink,RahelJaeggieDavidOwen.

[2]Cfr. P. Markell, Bound byRecognition, Princeton UniversityPress, Princeton-Oxford 2003; K.Olivier, Witnessing. BeyondRecognition, University ofMinnesota Press, Minneapolis2001; M. Verweyst, Das Begehrender Anerkennung.Subjekttheoretische Positionen beiHeidegger, Sartre, Freud undLacan,Campus,Frankfurt/M.-NewYork2000.

[3]Cfr.L.Althusser,Idéologieetappareils idéologique d’état, in «LaPensée»,151(1970),pp.3-38,trad.it.Ideologiaeapparatiideologicidi

Stato, in «Critica marxista», 5(1970),pp.23-65.

[4]Cfr. J. Butler, ConscienceDoth Make Subjects of Us All –Althusser’s Subjection, in Id., ThePsychic Life Of Power: Theories inSubjection, Stanford UniversityPress, Stanford 1997, trad. it. Lacoscienza ci rende soggetti. Lasoggettivazione e l’assoggettamentoper Althusser, in Id., La vitapsichica del potere. Teorie dellasoggettivazione edell’assoggettamento, Meltemi,Roma2005.

[5]Cfr.R.Geuss,The Ideaof a

CriticalTheory:Habermasand theFrankfurter School, CambridgeUniversityPress,Cambridge1981,cap.1.

[6]Ivi,pp.24sgg.[7]Cfr.A.Honneth,Diesoziale

Dynamik von Mißachtung. ZurOrtsbestimmung einer kritischenGesellschaftstheorie (1994), in Id.,Das Andere der Gerechtigkeit,Suhrkamp,Frankfurt/M.2000.

[8]Cfr. G. Raiethel, Geschichteder nordamerikanischen Kultur,vol. I,Vom Puritanismus bis zumBürgerkrieg 1600-1860,Zweitausendeins, Frankfurt/M.

1995,cap.31.[9]Cfr. p. es. K. Hausen, Die

Polarisierung der“Geschlechtscharaktere” – EineSpiegelung der Dissoziation vonErwerbsund Familienleben, in W.Conze (Hg.), Sozialgeschichte derFamilie in der Neuzeit Europas,Klett, Stuttgart 1976, pp. 363-393;B.Kühn,VonSchaltenundWaltender Hausfrau. Hausarbeit in Rat,TatundForschung im19.Und20.Jahrhundert, in B. Bolognese-Leuchtenmüller, M. Mittrauer(Hg.), Frauen-Arbeitswelten. ZurHistorischen Genese gegenwärtiger

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[10]Cfr. R. Schilling,Kriegshelden. Deutungsmusterheroischer Männlichkeit inDeutschland 1813-1945,Schöningh,Paderborn2002.

[11]Cfr. A. Honneth, DerGrund der Anerkennung. EineErwiderung auf kritischeRückfragen. Nachwort, in Id.,Kampf um Anerkennung. MiteinemneuenNachwort,Suhrkamp,Frankfurt/M.2003.

[12]Cfr. A. Margalit,

Recognition II: Recognizing theBrother and the Other, in«Aristotelian SocietySupplementary», SupplementaryVolume75(2001),pp.127-139.

[13]Cfr.S.Cavell,KnowingandAcknowledging, in Id., Must wemean what we say?, CambridgeUniversityPress,Cambridge2002.

[14]Cfr. H. Ikäheimo, On theGenus and Species of Recognition,in«Inquiry»,45/4(2002),pp.447-462; A. Laitinen, InterpersonalRecognition:AResponsetoValueora Precondition of Personhood?, in«Inquiry», 45/4 (2002), pp. 463-

478.[15]Al riguardo emerge una

differenza con Althusser talmenteprofonda sul piano socio-ontologico che qui è pressochéimpossibile trattarla in modoadeguato: per ragioni di principio,Althussernonaccordaaisoggettilapossibilità di pervenire a un altogradodiautonomianell’esecuzionedelle loro azioni e nelle lorodecisioni esistenziali; egli muove,piuttosto, dal presupposto che gliindividui possano divenire deisoggetti identificabili socialmentesoltanto in quanto vengono

assoggettati, attraverso pubblicachiamata, ad una rete di regolesociali che non può concederealcun margine di manovraall’autonomia individuale.Viceversa, io muovo (conDurkheim) dal presuppostocontrario per cui queste regolesocialidelriconoscimentodebbanoesseredistinteprecisamenteinbaseagli spazi dimanovra che offronoall’autonomiadeisoggetti.

[16]Cfr. A. Laitinen,InterpersonalRecognition,cit.

[17]Cfr. J. McDowell, TwoSorts of Naturalism, in Id. Mind,

Value and Reality, HarvardUniversityPress,Cambridge(MA)2001; E. Lovibond, EthicalFormation, Harvard UniversityPress,Cambridge(MA)2002,partII; A. Honneth, ZwischenHermeneutik und Hegelianismus.John McDowell und dieHerausforderung des moralischenRealismus (2001), in Id.,Unsichtbarkeit,cit.

[18]Cfr. A. Honneth,Redistribuzione comericonoscimento: una replica aNancyFraser,cit.

[19]Cfr. A. Honneth, Die

UnhintergehbarkeitdesFortschritts.Kants Bestimmung desVerhältnisses von Moral undGeschichte, in H. Nagl-Dockel, R.Langthalter (Hg.), Tagungsband«Recht–Geschichte–Religion.DieBedeutung Kants für diePhilosophie der Gegenwart,Akademie,Berlin2004.

[20]Cfr.K.Marx,Das Kapital.Kritik der politischen Ökonomie.ErsterBand (1867-18732), trad. it.Il capitale. Critica del’economiapolitica, volume primo, UTET,Torino1974.

[21]Cfr. E. Renault,

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[22]I. Kant, Grundlegung zurMetaphysikder Sitten (1785), trad.it. Fondazione della metafisica deicostumi,Bompiani,Milano2003,p.75,nota.

[23]Cfr. A. Honneth,Redistribuzione comericonoscimento; una replica aNancyFraser,cit.

[24]Cfr. C. Emcke, KollektiveIdentitäten. SozialphilosophischeGrundlagen, Campus,Frankfurt/M.-New York 2000;

H.U. Rösner, Jenseitsnormalisierenden Anerkennung.Reflexionen zum Verhältnis vonMachtundBehindertsein,Campus,Frankfurt/M.-NewYork2002.

[25]Cfr. C. Emcke, KollektiveIdentitäten,cit.,pp.237sgg.

[26]Cfr. W. Detel, Macht,Moral, Wissen. Foucault und dieklassische Antike, Suhrkamp,Frankfurt/M.1998,pp.55sgg.

[27]Cfr. S. Opitz,Gouvernementabilität imPostfordismus. Macht,Wissen undTechniken des Selbst im Feldunternehmerischer Rationalität,

Argument, Hamburg 2004; G.G.Voß, H.J. Pongratz, DerArbeitskraftunternehmer,cit.

[28]Cfr. S. Opitz,Gouvernementabilität imPostfordismus,cit.,cap.8.

[29]È in questo senso che vaJohnL.Austin (How to doThingswith Words, Harvard UniversityPress, Cambridge MA 1975, trad.it. Come fare cose con le parole,Marietti, Genova 1987) quandoaffermachedeterminateasserzioniperformative possono valere come«riuscite» o complete soltanto setraleloroconseguenzesiannovera

«questo o quest’altro» (vedi anchela distinzione con i casi «nonriusciti). Qui, nel concetto di«soddisfacimento materiale»traspongo la sua analisi delleasserzioni performative inrelazione al caso specifico del«riconoscimento».

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