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CAPITOLO © 2012 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati. Malattie dell’età evolutiva Giovanni Fancellu, Giorgio Gasparini, Ugo E. Pazzaglia, Francesco Sadile 5 Osteocondrosi Giovanni Fancellu L’osteocondrosi è un processo degenerativo-necrotico che interessa i nuclei di ossificazione epifisari, apofisa- ri e di alcune ossa brevi nel periodo della loro più viva- ce attività osteogenetica. In passato veniva anche chia- mata osteocondrite, termine improprio perché non si tratta di una patologia di natura infiammatoria. L’affezione interessa in modo prevalente il sesso maschi- le. Tutti i nuclei di ossificazione possono essere interes- sati anche se alcuni, a causa delle loro caratteristiche anatomo-funzionali, sono maggiormente colpiti. Le principali osteocondrosi sono riportate nella Tabella 5.1. EZIOPATOGENESI La vera natura di queste affezioni non è stata ancora chiarita, anche se la causa più probabile sembra esse- re una turba del circolo arterioso con conseguente ischemia e necrosi cellulare, che si manifesta nel pe- riodo di maggiore attività metabolica, cioè durante l’accrescimento, quando l’attività osteogenetica nei nuclei è più intensa ( Box 5.1). Non si può tuttavia escludere che vi siano squilibri endocrini predispo- nenti o che un dismetabolismo cartilagineo transitorio e/o una serie di microtraumatismi possano agire da fattori scatenanti. È certo però che si verifica un danno a carico delle ar- terie epifisarie, che sono di tipo terminale e penetrano nel nucleo di ossificazione in corrispondenza delle in- serzioni della capsula articolare. Questo danno è re- sponsabile di una necrosi di origine vascolare e, in con- seguenza di ciò, il nucleo interessato viene deformato dal carico che normalmente deve sopportare per com- pressione o per trazione. La malattia ha di solito un decorso benigno e autolimi- tante: l’ossificazione riprende poi normalmente, anche se in alcuni casi possono permanere deformità. ANATOMIA PATOLOGICA Le alterazioni anatomo-patologiche di questa patologia sono caratteristiche. All’inizio si osserva un processo necrotico a carico delle cellule del tessuto osseo e della cartilagine circostante che formano il nucleo di ossifi- cazione. L’osso diventa più denso per l’accumulo di sali di calcio e per lo schiacciamento delle trabecole ossee: il nucleo di ossificazione assume così un aspetto “metallico” ed è privo di resistenza. In seguito si assiste a un accumulo di cellule del sistema reticolo-endoteliale nel tessuto necrotico, mentre i vasi intraossei vanno TABELLA 5.1 Principali osteocondrosi. Epifisi prossimale del femore: Perthes, Legg, Calvé Tuberosità tibiale anteriore: Osgood, Schlatter Apofisi posteriore del calcagno: Haglund, Sever, Blenke Piatti epifisari vertebrali: Scheuermann Semilunare: Kienböck Scafoide tarsale: Köhler I Seconda testa metatarsale: Köhler II, Freiberg Epifisi distale del radio: Madelung Parte postero-mediale dell’epifisi prossimale della tibia: Blount Poli della rotula: Sinding-Larsen, Johansson Condilo omerale: Panner

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Malattie dell’età evolutivaGiovanni Fancellu, Giorgio Gasparini, Ugo E. Pazzaglia, Francesco Sadile

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OsteocondrosiGiovanni Fancellu

L’osteocondrosi è un processo degenerativo-necrotico che interessa i nuclei di ossificazione epifisari, apofisa-ri e di alcune ossa brevi nel periodo della loro più viva-ce attività osteogenetica. In passato veniva anche chia-mata osteocondrite, termine improprio perché non si tratta di una patologia di natura infiammatoria.L’affezione interessa in modo prevalente il sesso maschi-le. Tutti i nuclei di ossificazione possono essere interes-sati anche se alcuni, a causa delle loro caratteristiche anatomo-funzionali, sono maggiormente colpiti.Le principali osteocondrosi sono riportate nella Tabella 5.1.

EziOpatOgEnEsi

La vera natura di queste affezioni non è stata ancora chiarita, anche se la causa più probabile sembra esse-re una turba del circolo arterioso con conseguente ischemia e necrosi cellulare, che si manifesta nel pe-riodo di maggiore attività metabolica, cioè durante l’accrescimento, quando l’attività osteogenetica nei nuclei è più intensa (Box 5.1). Non si può tuttavia escludere che vi siano squilibri endocrini predispo-nenti o che un dismetabolismo cartilagineo transitorio e/o una serie di microtraumatismi possano agire da fattori scatenanti.È certo però che si verifica un danno a carico delle ar-terie epifisarie, che sono di tipo terminale e penetrano nel nucleo di ossificazione in corrispondenza delle in-serzioni della capsula articolare. Questo danno è re-

sponsabile di una necrosi di origine vascolare e, in con-seguenza di ciò, il nucleo interessato viene deformato dal carico che normalmente deve sopportare per com-pressione o per trazione.La malattia ha di solito un decorso benigno e autolimi-tante: l’ossificazione riprende poi normalmente, anche se in alcuni casi possono permanere deformità.

anatOmia patOlOgica

Le alterazioni anatomo-patologiche di questa patologia sono caratteristiche. All’inizio si osserva un processo necrotico a carico delle cellule del tessuto osseo e della cartilagine circostante che formano il nucleo di ossifi-cazione. L’osso diventa più denso per l’accumulo di sali di calcio e per lo schiacciamento delle trabecole ossee: il nucleo di ossificazione assume così un aspetto “metallico” ed è privo di resistenza. In seguito si assiste a un accumulo di cellule del sistema reticolo-endoteliale nel tessuto necrotico, mentre i vasi intraossei vanno

Tabella 5.1 principali osteocondrosi.

● Epifisi prossimale del femore: Perthes, Legg, Calvé● Tuberosità tibiale anteriore: Osgood, Schlatter● Apofisi posteriore del calcagno: Haglund, Sever, Blenke● Piatti epifisari vertebrali: Scheuermann● Semilunare: Kienböck● Scafoide tarsale: Köhler I● Seconda testa metatarsale: Köhler II, Freiberg● Epifisi distale del radio: Madelung● Parte postero-mediale dell’epifisi prossimale della

tibia: Blount● Poli della rotula: Sinding-Larsen, Johansson● Condilo omerale: Panner

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progressivamente riformandosi e compaiono gli oste-oblasti che ricostruiscono la matrice ossea. Si assiste pertanto a un riassorbimento osseo e a una contempo-ranea rigenerazione ossea da parte degli osteoblasti: in questa fase, il nucleo di ossificazione viene definito “tigrato” o “frammentato”, perché alterna zone radio-trasparenti a zone radiopache. Infine riprende la nor-male ossificazione.L’intero processo ha una durata variabile tra i 18 e i 24 mesi e l’osso neoformato è simile a quello normale, anche se la forma del nucleo epifisario può risultare modificata a causa degli schiacciamenti subiti.

QuadrO clinicO-radiOgraficO

La sintomatologia è variabile in base alla sede di insor-genza. L’osteocondrosi generalmente si manifesta con dolori saltuari dopo affaticamento e/o limitazione fun-zionale antalgica, senza chiari segni di obiettività. La palpazione locale evoca dolore e, in caso di localizza-

zione superficiale, può essere presente una tumefazio-ne locale. Le condizioni generali sono buone.A causa del quadro clinico piuttosto aspecifico, la dia-gnosi si basa sull’indagine radiografica, che mette in evidenza le tipiche alterazioni a carico del nucleo di ossificazione. Si possono distinguere tre differenti fasi nel decorso della malattia:● una iniziale di addensamento del nucleo (metallizza-

zione);● una intermedia in cui il nucleo assume un aspetto

“tigrato” (frammentazione);● una finale di ricostruzione del nucleo di ossificazione

con alterazioni morfologiche di grado variabile.

La terapia ha lo scopo di limitare il carico e le sollecita-zioni funzionali sul nucleo colpito, al fine di favorire la rivascolarizzazione locale e promuovere la guarigione. La terapia chirurgica può trovare indicazione nelle com-plicanze o negli esiti di alcune osteocondrosi.

malattia di pErthEs

Il morbo o malattia di Perthes è la forma più frequente di osteocondrosi e anche quella con la maggiore rile-vanza clinica, dato che interessa il nucleo epifisario prossimale del femore (Box 5.2).

Box 5.2 sviluppo dell’estremo prossimale del femore

i processi di accrescimento dell’epifisi prossimale del femore sono regolati da un equilibrio armonico fra l’os-sificazione periostale del collo femorale e l’ossificazione encondrale della cartilagine epifisaria, della cartilagine di accrescimento prossimale del femore e della cartilagine di accrescimento del grande trocantere.dopo la comparsa del nucleo osseo epifisario, una gran parte dell’epifisi è formata ancora da tessuto cartilagi-neo (cartilagine epifisaria) che ossifica gradualmente con un meccanismo encondrale. La cartilagine epifisaria ha una struttura differente rispetto alla cartilagine arti-colare vera e propria che costituisce la parte più esterna della calotta cartilaginea della testa femorale: le due entità anatomiche, che hanno funzione diversa, devono pertanto essere tenute distinte.Nel bambino, il complesso cartilagineo epifisario costitu-isce una spessa e robusta struttura che circonda il nucleo osseo e si appoggia sul collo femorale già ossificato per mezzo della cartilagine di accrescimento. tale complesso assicura una notevole resistenza meccanica all’epifisi prossimale del femore tanto che, per avere il collasso del nucleo osseo, si deve anche verificare il cedimento della cupola cartilaginea che lo riveste.

Box 5.1 meccanismi di ossificazione dei nuclei epifisari, apofisari e delle ossa brevi

Nelle epifisi delle ossa lunghe (versante articolare) e nelle ossa brevi del carpo e del tarso, il modello cartilagi-neo presenta tre zone distinte:● una zona superficiale articolare, che resterà cartilagi-

nea anche nell’adulto, formando la cartilagine artico-lare vera e propria;

● una porzione intermedia molto spessa soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo, che sarà completa-mente sostituita da osso a termine di accrescimento;

● uno strato più profondo che è quello della cartilagine di accrescimento vera e propria; questa è formata da pic-coli grappoli di cellule che non assumono mai la tipica disposizione colonnare delle cartilagini metafisarie delle ossa lunghe, pur andando incontro ai caratteristici pro-cessi di maturazione, ipertrofia e degenerazione.

Per irrorare il nucleo osseo in accrescimento, i vasi devono attraversare il rivestimento cartilagineo sopra descritto.del tutto particolare è l’ossificazione encondrale delle apofisi e di alcuni nuclei epifisari, come quelli delle verte-bre e della cresta iliaca. i nuclei di ossificazione si for-mano attorno a piccoli vasi che penetrano nella cartilagine, con un meccanismo che appare quello della trasformazione diretta della cartilagine calcificata in osso. Le trabecole neoformate hanno uno spessore notevole, assumendo spesso una struttura di tipo osteonico, e gli spazi midollari intertrabecolari sono alquanto ristretti. a volte essi si formano a livello dell’inserzione di un lega-mento o di un tendine, come per la tuberosità tibiale anteriore, e in questo caso l’ossificazione avviene nel contesto della fibrocartilagine giunzionale del tendine.

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475 - Malattie dell’età evolutiva

Colpisce in prevalenza i bambini di sesso maschile (rap-porto maschi-femmine di 5:1) con un picco massimo di incidenza tra i 5 e gli 8 anni; in circa il 10% dei casi la malattia si presenta in forma bilaterale.L’esordio del Perthes è insidioso, con dolori saltuari in regione inguinale e sul versante antero-mediale della coscia dopo affaticamento; in seguito possono compa-rire zoppia antalgica e limitazione funzionale articolare. La mobilizzazione attiva e passiva dell’anca suscita dolore, in particolare ai movimenti di abduzione e in-trarotazione, che sono i primi a essere limitati.L’esame radiografico può mostrare in fase precoce un’ipoplasia del nucleo di ossificazione rispetto al con-trolaterale; in seguito si manifestano le classiche altera-zioni di metallizzazione e frammentazione del nucleo.Catterall e Herring hanno proposto due differenti clas-sificazioni radiografiche per descrivere l’estensione del processo a livello del nucleo epifisario e fornire elementi di giudizio per la prognosi a lungo termine (Tabella 5.2).Nelle forme più gravi la testa del femore si appiattisce, perde la sua congruenza con l’acetabolo e il collo femo-rale diviene corto e tozzo: questa deformità prende il

nome di coxa plana osteocondrosica ed è causa di una precoce degenerazione artrosica dell’anca (Figura 5.3).La terapia ha lo scopo di sottrarre la testa del femore dal carico per evitarne la deformazione, favorirne la rivascolarizzazione e accelerare i processi di guarigione senza esiti. Lo scarico viene ottenuto applicando un tutore che mantiene l’arto in abduzione: in tal modo viene anche conseguito il centramento della testa femo-rale nell’acetabolo, fattore critico per consentire un mo-dellamento reciproco dei due capi articolari.

Figura 5.1 Gruppi radiografici di Catterall (si veda la tabella 5.2).

Tabella 5.2 classificazioni radiografiche della malattia di perthes.

Gruppi di Catterall (Figura 5.1)I Interessamento di una piccola porzione

antero-laterale del nucleo epifisarioII Interessamento della metà antero-lateraleIII Interessamento dei due terzi antero-lateraliIV Interessamento di tutto il nucleo

Gruppi di Herring (Figura 5.2)A Altezza normale della colonna lateraleB Riduzione fino al 50% dell’altezza originariaC Riduzione di oltre il 50% dell’altezza originaria

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In alcuni pazienti il centramento deve invece essere perseguito per via chirurgica, eseguendo osteotomie di bacino o femore.

altrE OstEOcOndrOsi

malattia di Osgood-schlatter

È l’osteocondrosi della tuberosità tibiale anteriore; in-teressa soprattutto i maschi tra gli 11 e i 14 anni ed è spesso bilaterale.Si manifesta clinicamente con l’insorgenza di dolore lo-cale e tumefazione, raramente provoca zoppia mentre

più spesso dà una limitazione antalgica all’estensione del ginocchio contro resistenza (Figura 5.4). La malattia ha un decorso di circa due anni e solo in casi eccezio-nali si può complicare con un distacco della tuberosità: tale evento è provocato dalla diminuita resistenza del nucleo apofisario alla trazione esercitata dal tendine rotuleo.Il decorso autolimitante della malattia rende sufficien-te, nella maggior parte dei casi, la temporanea limita-zione dell’attività fisica. Talvolta l’intenso dolore può rendere necessario l’utilizzo di un tutore per l’immo-

Figura 5.3 Esiti di malattia di Perthes a destra. Nelle deformità moderate della testa del femore non c’è tenden-za all’instaurarsi dell’artrosi (a). Una grave artrosi può inve-ce insorgere precocemente nelle gravi deformità (b).

Figura 5.4 Malattia di Osgood-Schlatter del ginocchio sinistro: la tumefazione della tuberosità tibiale all’esame cli-nico, la frammentazione e l’ispessimento del nucleo apofi-sario sulla radiografia ( ) differiscono dai reperti di normalità del lato destro indenne ( ).

Figura 5.2 d i s egno che illustra i gruppi radio-grafici di Herring (si veda la tabella 5.2). (da Canale St (Ed). Campbell’s Opera-tive Orthopaedics. Mosby, Philadelphia, 2003.)

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495 - Malattie dell’età evolutiva

bilizzazione del ginocchio e/o l’impiego di ausili per lo scarico durante la deambulazione. La magnetotera-pia, in associazione a questi provvedimenti, ha dimo-strato una buona efficacia terapeutica in alcuni casi.In caso di distacco della tuberosità tibiale, si deve ricor-rere alla sua reinserzione chirurgica.

malattia di haglund o sever-Blenke

Interessa l’apofisi posteriore del calcagno a livello dell’inserzione del tendine d’Achille (Figura 5.5). Si manifesta tra gli 8 e i 13 anni con l’insorgenza di do-lore locale, esacerbato dalla digitopressione e dal ca-rico. La sua evoluzione è sempre benigna e guarisce senza lasciare deformità, ma la durata della malattia può essere molto lunga, anche più di due anni. La terapia è volta a limitare il carico (con l’uso di planta-ri morbidi con scarico calcaneare) e la tensione del tendine d’Achille (mediante scarpe con tacco rialzato), associando la riduzione dell’attività sportiva.

malattia di Köhler i

L’osteocondrosi dello scafoide tarsale insorge tra i 3 e gli 8 anni ed è anch’essa più frequente nel sesso maschile. Può essere asintomatica o manifestarsi con l’insorgenza di dolori locali al carico e con un progressivo appiatti-mento della volta longitudinale del piede; può essere presente una lieve zoppia antalgica. All’esame radio-grafico lo scafoide appare appiattito, sclerotico o fram-mentato (Figura 5.6).

Il decorso della malattia è solitamente benigno, ma può talvolta esitare in un piede piatto doloroso. La terapia consiste nel riposo e nell’uso di un plantare di sostegno della volta longitudinale del piede; se il dolore è molto intenso si deve procedere all’immobilizzazione in sti-valetto gessato.

malattia di Köhler ii

È l’osteocondrosi del II metatarso, l’unica forma che si manifesta in prevalenza nelle donne in età adulta, tra i 18 e i 35 anni. Clinicamente si manifesta con dolore all’appoggio del II metatarso, la cui testa appare defor-mata, ingrossata e accorciata. La terapia consiste nell’utilizzo di un plantare per lo scarico della II testa metatarsale. Nei casi più gravi si può ricorrere all’inter-vento chirurgico di resezione della testa necrotica.

malattia di scheuermann

Chiamata anche “dorso curvo giovanile”, è l’osteocon-drosi dei nuclei epifisari vertebrali, per la cui trattazio-ne si rimanda al paragrafo specifico nella parte Cifosi, a seguire nel presente capitolo.

Figura 5.5 Quadro radiografico della malattia di Sever-Blenke.

Figura 5.6 Malattia di Köhler i del piede sinistro: lo scafoide tarsale è appiattito e sclerotico ( ) rispetto a quello del piede destro (>). Proiezione dorso-plantare (a). Proie-zione laterale del piede destro (b). Proiezione laterale del piede sinistro (c).

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Osteocondrosi dissecanteGiorgio Gasparini

L’osteocondrosi dissecante (OCD) è un’affezione acqui-sita, su base ischemica, dell’osso subcondrale, che col-pisce in prevalenza il condilo femorale mediale negli adolescenti o nei giovani adulti. Il coinvolgimento del-la sovrastante cartilagine articolare è secondario al de-marcarsi dell’area di osteonecrosi e può nel tempo in-durre allo sviluppo di una artrosi secondaria. Nelle fasi evolutive il frammento osteocondrale può liberarsi nel cavo articolare sotto forma di corpo mobile, lascian-do un cratere vuoto. Nei soggetti in accrescimento la guarigione spontanea è frequente.La definizione osteocondrite (termine improprio, in quanto non si tratta di un’affezione infiammatoria) dissecante (che descrive la demarcazione del frammento osteocondrale) fu introdotta nel 1887 da König.

EpidEmiOlOgia

È una patologia rara (2-6 casi su 10.000), ma rappresen-ta la causa più frequente di corpo mobile endoarticola-re negli adolescenti. Si distinguono una forma giovani-le (seconda infanzia e adolescenza: fisi attiva) e una dell’adulto (dal periodo postpubere ai 35 anni: fisi chiu-sa); il picco di incidenza è tra i 10 e i 20 anni di età, con una predominanza del sesso maschile (3:1). Spesso si tratta di soggetti praticanti attività sportiva e nel 20-40% dei casi è presente un trauma pregresso.Nell’ambito del ginocchio, che è l’articolazione più col-pita dall’OCD (75% dei casi), il condilo femorale me-diale è prediletto (85%), soprattutto nella sua porzione postero-laterale; seguono il condilo laterale (10%), la troclea e la rotula. In un terzo dei casi la lesione è bila-terale.Altre localizzazioni relativamente frequenti sono il ca-pitulum humeri (6%) e l’astragalo (4%).

EziOpatOgEnEsi

L’eziologia è ancora dibattuta: sono stati proposti fat-tori traumatici, microtraumatici, metabolici, endocrini e genetici, a nessuno dei quali è stato possibile ricono-scere un ruolo determinante. Attualmente si propende per un’eziologia multifattoriale e per una patogenesi ischemica.

anatOmia patOlOgica

Nei casi a evoluzione favorevole la lesione ossea (in assenza di alterazioni della cartilagine) attraversa le fasi di necrosi → rivascolarizzazione → riassorbimento osteoclastico → neoformazione osteoide → rimodella-

mento. In caso di demarcazione, non avviene la riva-scolarizzazione e il frammento necrotico rimane in situ, trattenuto dalla sovrastante cartilagine che, pur mo-strandosi edematosa, mantiene la propria integrità (Figura 5.7a). Successivamente la cartilagine articolare appare malacica e si assiste alla demarcazione prima parziale (Figura 5.7b) e poi circonferenziale (Figura 5.7c) della stessa con permanenza in situ del frammen-to, che può liberarsi nel cavo articolare a distanza di tempo (Figura 5.7d). A ciò residua un cratere vuoto e il corpo mobile viene riassorbito in modo progressivo (prima la parte ossea e in seguito quella cartilaginea, che rimane vitale più a lungo in quanto nutrita dal li-quido sinoviale); parallelamente si possono manifesta-re alterazioni artrosiche.

clinica

Nella fase di necrosi, la diagnosi può essere ritardata in quanto la sintomatologia è sfumata e intermittente; questa è caratterizzata da dolore evocato o acuito dall’attività fisica, non localizzato e da modica tumefa-zione articolare. Nella fase di demarcazione si aggiun-gono idrartro, scrosci e cedimenti articolari; una volta costituitosi il corpo mobile, ulteriori sintomi sono rap-presentati dalla riduzione dell’articolarità e da fenome-ni di blocco articolare e di scatto.All’esame obiettivo si rilevano atteggiamento in extra-rotazione del ginocchio (per ridurre il contatto tra con-

Figura 5.7 L’area di osteonecrosi subcondrale è rico-perta da cartilagine articolare integra (a) che successiva-mente si demarca parzialmente mantenendo in parte la propria integrità (b). dopo la completa autonomizzazione, il frammento osteocondrale può rimanere in situ (c) o dive-nire un corpo mobile endoarticolare (d).

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515 - Malattie dell’età evolutiva

dilo femorale mediale e spina tibiale), tumefazione per versamento, ipotonotrofia del quadricipite e deficit di estensione; in alcuni casi è possibile apprezzare il corpo mobile alla palpazione.

diagnOstica pEr immagini

L’esame base è rappresentato dalle radiografie, che devono includere una proiezione per la gola intercon-diloidea. In fase iniziale si evidenzia un’area semicirco-lare di rarefazione ossea subcondrale; tale area si presen-terà poi addensata e lievemente depressa rispetto all’osso circostante e successivamente sarà demarcata da una li-nea di radiotrasparenza perilesionale (Figura 5.8). In caso di formazione di corpo mobile, si rendono eviden-ti la sede del distacco vuota e il corpo libero in sede ectopica.La RM mostra le stesse alterazioni (Figura 5.9) e in ag-giunta consente di valutare la vascolarizzazione dell’os-so e l’integrità della cartilagine articolare.

tErapia

Premesso che l’OCD ha una prognosi migliore nei sog-getti più giovani, le indicazioni al trattamento si diffe-renziano in relazione all’età del paziente e alla stabilità della lesione.Nei soggetti con fisi attiva (a meno che non si sia già formato il corpo mobile) si attua un trattamento conser-vativo per 3-6 mesi: astensione dall’attività fisica, ridu-zione del carico (con l’utilizzo di bastoni) e dell’artico-larità (mediante l’uso di un tutore). Dopo la scomparsa del dolore si consentirà una graduale ripresa; il ritorno alla normale attività è subordinato all’evidenza radio-grafica dell’avvenuta guarigione. Nei rari casi di man-cata guarigione o di persistenza della sintomatologia è indicato il trattamento chirurgico.

Negli adulti, se la lesione è stabile il trattamento conser-vativo va tentato, pur se con scarse probabilità di succes-so, mentre in caso di lesione instabile o di corpo mobile il trattamento chirurgico è indicato in prima istanza.Sempre in relazione all’età e alla stabilità della lesione possono essere proposti vari interventi: l’accesso sarà artrotomico o artroscopico in relazione alle dimensioni e alla sede della lesione, oltre che alla dimestichezza del chirurgo con le diverse tecniche.Nelle lesioni con cartilagine articolare integra e fisi chiu-sa, trovano indicazione curettage e borraggio con osso spongioso autologo per via retrograda.In caso di demarcazione parziale si potrà eseguire la stabilizzazione in situ del frammento mediante chiodini riassorbibili o viti senza testa. In alternativa si può aspor-tare temporaneamente il frammento e trattare la lesione, come nel caso di una demarcazione completa, mediante curettage e/o perforazioni del fondo del cratere, innesto osseo spongioso autologo, riposizionamento del fram-mento mediante chiodini riassorbibili o viti senza testa.Nel caso si sia costituito un corpo mobile, se questo ha conservato la morfologia originale potrà essere reim-piantato mediante la tecnica precedentemente descritta, altrimenti verrà asportato; in questo caso, dopo aver preparato il fondo del cratere mediante curettage e/o perforazioni, si esegue la ricostruzione mediante tra-pianti osteocartilaginei multipli autologhi, oppure me-diante trapianto osteocartilagineo unico da banca, op-pure mediante borraggio con osso autologo e impianto di condrociti autologhi.Nel postoperatorio la durata dell’astensione dal carico e il programma di riabilitazione saranno personalizza-ti in relazione alle dimensioni e alla sede della lesione e al tipo di trattamento.

Figura 5.8 Particolare di una radiografia standard del ginocchio che mostra OCd nella fase di demarcazione.

Figura 5.9 rM di OCd in fase di osteonecrosi con integrità della cartilagine.

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scoliosiUgo E. Pazzaglia

Nella tradizione ortopedica, la scoliosi è stata sempre definita come una deviazione laterale della colonna maggiore di 10°, misurata secondo il metodo di Cobb in una radiografia in proiezione antero-posteriore. Devia-zioni inferiori ai 10° sono definite semplicemente come asimmetrie spinali.Di fatto, la scoliosi è caratterizzata da una rotazione di un segmento di colonna vertebrale che si sviluppa pro-gressivamente nel corso della crescita, sulla base della deformità (anch’essa progressiva) delle singole verte-bre interessate. Nella radiografia in proiezione antero-posteriore, l’immagine biplanare della scoliosi si ma-nifesta con una deviazione laterale ma, se considera-ta nella prospettiva tridimensionale, la deformità si manifesta su tre piani:● sagittale: con lordosi del segmento scoliotico;● frontale: con inclinazione laterale;● coronale: con rotazione vertebrale.

classificaziOnE

Dal punto di vista eziologico si distinguono diversi tipi di curve scoliotiche (Tabella 5.3).La più rappresentata è certamente quella idiopatica che da sola costituisce circa il 70% di tutte le curve. A sua volta è suddivisa in diverse forme a seconda dell’età in cui viene diagnosticata:● infantile: nei bambini di età inferiore ai 3 anni; si

associa a plagiocefalia, ritardo mentale (13%), lussa-zione congenita dell’anca (3,5%), e cardiopatia con-genita (2,5%);

● giovanile: insorge fra i 3 e i 10 anni;● dell’adolescente: insorge fra i 10 anni e il raggiungi-

mento della maturità scheletrica e rappresenta la maggioranza delle curve che si presentano a una valutazione ortopedica;

● dell’adulto: si manifesta dopo il raggiungimento della maturità scheletrica.

Se nelle forme secondarie l’eziologia della scoliosi è di facile interpretazione, per quella idiopatica la causa rimane non definita anche se sono state formulate nu-merose ipotesi, tra le quali una disfunzione neurologica centrale, anormalità del tessuto connettivo e fattori ge-netici.

La scoliosi deve essere differenziata da quelle curve scoliotiche che vengono definite come non strutturate o atteggiamenti scoliotici. Con tali termini ci si riferisce a curve compensatorie causate da eterometria degli arti inferiori e asimmetrie della cerniera lombo-sacrale, antalgiche da contrattura della muscolatura paraverte-brale, posturali e infine isteriche.Sono caratterizzate da due elementi molto importanti:● scomparsa delle asimmetrie in posizione di bending

anteriore;● assenza del carattere dell’evolutività.

L’evolutività della scoliosi è legata a numerosi fattori che bisogna tenere in seria considerazione al momento della diagnosi. In pazienti che non hanno ancora rag-giunto la maturità scheletrica, il sesso, la crescita che devono ancora affrontare, l’entità della curva e il tipo di curva sono fattori prognostici di estrema importanza.Il sesso femminile per ragioni non chiare (forse di natura ormonale) rappresenta la maggioranza dei pazienti proni a un carattere di evolutività della curva.Lo sviluppo scheletrico che subirà il paziente è deter-minato da due indici:● la scala di Risser (marker scheletrico);● nelle femmine, il raggiungimento o meno del me -

narca.

Tabella 5.3 classificazione della scoliosi.

Idiopatica

Secondaria● Da deformità congenite:

– emispondili– fusioni vertebrali– spina bifida– mielodisplasia– deformità complesse

● Neuromuscolare:– neuropatica– miopatica

● Associata a neurofibromatosi

● Associata a patologie a carico del mesenchima:– congenite (displasia, artrogriposi, sindrome

di Marfan ecc.)– acquisite (artrite reumatoide ecc.)– altre

● Post-traumatica

● Secondaria a fenomeni irritativi:– irritazione delle radici nervose– tumori vertebrali– tumori del midollo spinale

● Altre:– metaboliche– nutrizionali– endocrine

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535 - Malattie dell’età evolutiva

Alcuni autori utilizzano anche il raggiungimento del picco dell’incremento staturale.La scala di Risser è basata sulla misurazione radiografi-ca dell’ossificazione dell’apofisi iliaca su una radiogra-fia antero-posteriore del bacino: inizia dalla porzione più laterale dell’osso iliaco e prosegue medialmente. Dividendo l’apofisi in quattro quadranti simmetrici, la scala di Risser va da un valore di 0 (assenza di ossifica-zione) a 5 (ossificazione di tutti i quadranti e fusione dell’apofisi all’osso iliaco), valore che indica il raggiun-gimento della maturità scheletrica (Figura 5.10). Il ri-schio di progressione è inversamente proporzionale all’indice di Risser.Il raggiungimento del menarca è un indice applicabile ov-viamente solo al sesso femminile e determina una dimi-nuzione del rischio di progressione della curva. Anche l’indice di maturità di Tanner può essere d’aiuto.Il picco di incremento staturale è quantificato in 8 cm annui per le femmine e in 9,5 cm annui per i maschi. È solitamente seguito dalla chiusura della cartilagine tri-radiata o ipsilonica del bacino e dal raggiungimento dello stadio 1 di Risser.Ovviamente l’entità e il tipo di curva sono molto impor-tanti. In linea generale valori che superano i 20°, doppie curve e curve toraciche sono a rischio sostanziale di progressione.Diverse sono, ovviamente, le considerazioni da fare per quanto concerne una deformità scoliotica presente do-po il raggiungimento della maturità scheletrica. In que-sto caso diviene molto più importante ai fini prognosti-ci l’entità della curva, con concrete possibilità di pro-

gressione che si manifestano solo per valori superiori ai 50-60°.

scrEEning

Lo screening per la diagnosi di scoliosi si basa sui nu-merosi segni clinici con cui essa si manifesta. Compren-dono un’asimmetria delle spalle, una diversa promi-nenza scapolare, un’anca prominente o elevata, un’asim-metria dei triangoli della taglia (delimitati dalla super-ficie interna degli arti superiori e quella laterale del tronco), il non allineamento della testa e della linea delle spinose e un test in flessione anteriore (Adams forward bending test) positivo.Il test di Adams si effettua osservando il paziente da dietro e facendolo flettere in avanti fino a fare raggiun-gere la posizione orizzontale alla colonna vertebrale, con le braccia lasciate cadere in avanti e il palmo delle mani uno contro l’altro, e osservando se un lato della schiena appare più alto rispetto al controlaterale. Que-sto permette di rilevare la rotazione vertebrale: l’entità di tale dislivello, definito gibbo scoliotico, è misurata con una livella in punti simmetrici rispetto alla linea delle spinose. Costituisce il più importante segno clini-co per la valutazione di una scoliosi (Figura 5.11).

anatOmia patOlOgica

La curva scoliotica è compresa tra due vertebre, defini-te vertebre limite, che presentano il maggior grado di inclinazione sul piano frontale. L’apice della curva è individuato dalla vertebra neutra, a carico della qua-le si evidenziano con maggior gravità alterazioni strut-turali, dipendenti dall’entità della scoliosi e coinvolgen-ti sia il soma (deformità a cuneo sul piano frontale con porzione più appiattita volta verso la concavità della curva) sia i peduncoli, le lamine, i processi traversi e spinosi (questi ultimi sempre rivolti verso la concavità della curva).Alterazioni strutturali si evidenziano anche a carico dei dischi intervertebrali, che appaiono assottigliati e dege-nerati soprattutto sul versante concavo della curva, e della gabbia toracica, che mostra un gibbo posteriore sul lato convesso della curva e uno anteriore sul lato conca-vo, deformità che compromette la funzionalità respira-toria in misura direttamente proporzionale al grado della deformità, quando la scoliosi supera i 60-70°.Il midollo spinale può essere “stirato” ma raramente si rilevano deficit neurologici.

QuadrO clinicO

Solitamente i pazienti si presentano a una valutazione ortopedica per una scoliosi preoccupati da deformità evidenti o supposte, di significato prettamente estetico.

Figura 5.10 Ossificazione dell’apofisi iliaca su una radio-grafia antero-posteriore di bacino (scala di risser). i numeri da 1 a 4 indicano i diversi stadi di assottigliamento della car-tilagine. il punto 5 è lo stadio finale nel quale la componente ossea ha completamente sostituito la cartilagine.

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OrtOPEdia54

Anche se non comune, il dolore a carico del rachide si verifica più frequentemente di quanto si pensi, attestan-dosi a una percentuale intorno al 30% e ponendosi in relazione con la maturità scheletrica e con un’età mag-giore di 15 anni. La causa precisa del dolore può essere individuata solo nel 10% dei casi ed è rappresentata solitamente da spondilolisi, spondilolistesi o da malattia di Scheuermann. In rari casi vengono individuate come cause una spina bifida, un’ernia del disco o un tumore.I sintomi respiratori sono poco frequenti e una compro-missione cardio-polmonare clinicamente evidente si registra per valori angolari di scoliosi uguali o maggio-ri a 100°. Anche i deficit neurologici sono rari.L’esame obiettivo viene condotto facendo spogliare il paziente così da poter esaminare tutta la colonna ver-tebrale, le spalle, il bacino e gli arti inferiori.

Viene innanzitutto valutata la cute per evidenziare se-gni che possano tradire la presenza di anomalie verte-brali. L’esame prosegue determinando il livello delle creste iliache o delle spine iliache antero-superiori, che deve essere identico, salvo per la presenza di eterome-trie degli arti inferiori. Quindi si valutano il livello del-le spalle, la simmetria delle scapole e dei triangoli della taglia. Si palpano tutti i processi spinosi valutando così anche eventuali anomalie, rotazioni vertebrali e altera-zioni delle curve sagittali fisiologiche. Con un filo a piombo posto a livello della tuberosità occipitale si va-luta l’allineamento delle spinose, della testa con il baci-no e l’eventuale compenso di curve scoliotiche; il filo deve cadere a livello della piega glutea, e può avere una tolleranza di 1 cm.Si effettua quindi il test in flessione anteriore di Adams secondo le modalità già descritte.Tutti i pazienti devono essere sottoposti a una valuta-zione neurologica, saggiando i riflessi addominali e quelli degli arti inferiori e la presenza di eventuali de-ficit sensitivo-motori periferici.

diagnOstica pEr immagini

La scoliosi viene studiata e quantificata su una radio-grafia che utilizza una pellicola di 30 × 90 cm così da comprendere tutto il rachide in proiezione antero-po-steriore e latero-laterale con il paziente in posizione eretta (Figura 5.12). La prima proiezione permette di valutare il tipo di curva, il tipo di scoliosi (idiopatica o secondaria), il compenso della curva, la maturità sche-letrica e l’eventuale presenza di eterometria degli arti inferiori. La seconda consente di evidenziare il contor-no della colonna toracica e lombare, la diminuzione della cifosi toracica e la presenza di un’eventuale spon-dilolisi o spondilolistesi. Altre proiezioni, per esempio in bending laterale, possono essere richieste per fini particolari, per esempio per una valutazione preopera-toria della curva (Figura 5.13).La misurazione dell’entità della curva è effettuata con il metodo di Cobb che tuttavia, a causa della componen-te tridimensionale, sottostima l’entità della deformità soprattutto nelle scoliosi gravi; tale errore potenziale può essere evitato eseguendo radiografie in proiezione obliqua.Per prima cosa, sulla radiografia antero-posteriore, bi-sogna individuare le vertebre limite: il piatto vertebra-le superiore della vertebra prossimale e quello inferiore della vertebra distale presentano il maggiore grado di inclinazione. Vengono quindi tracciate due linee per-pendicolari alla superfici dei piatti vertebrali delle vertebre limite: l’angolo individuato dall’intersezione di tali linee costituisce l’angolo di Cobb (Figura 5.14).

Figura 5.11 Adams forward bending test per la valuta-zione della gibbosità.

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555 - Malattie dell’età evolutiva

Quando è presente una seconda curva, per esempio al di sotto della curva misurata, la vertebra limite inferio-re diviene quella superiore della seconda curva e viene utilizzata la stessa linea precedentemente tracciata.Il metodo di Cobb è utilizzato anche per valutare i valo-ri della cifosi toracica il cui range di normalità varia da un minimo di 20° a un massimo di 45°. La rotazione verte-brale viene invece quantificata con diversi metodi.● Perdriolle: utilizza un torsiometro trasparente sovrap-

posto sulla radiografia antero-posteriore; l’entità della torsione è misurata avendo come punto di repere il peduncolo ruotato della vertebra apice. È un metodo accurato per rotazioni inferiori ai 30°.

● Nash-Moe: la relazione tra i peduncoli e il centro del corpo vertebrale della vertebra apice in una radio-grafia antero-posteriore è divisa in cinque gradi: 0 quando entrambi i peduncoli sono simmetrici; 1, quando il peduncolo del lato convesso si allontana dal margine laterale vertebrale; 2, rappresenta un grado intermedio tra il grado 1 e il grado 3; 3, quando il peduncolo del lato convesso si proietta al centro del corpo vertebrale; 4, quando il peduncolo del lato convesso supera la linea mediana del corpo vertebrale (Figura 5.15).

● Cobb: il grado di rotazione viene determinato in base allo spostamento delle apofisi spinose rispetto alla linea mediana. È diviso in quattro gradi espressi

Figura 5.12 rachide in toto in proiezione antero- posteriore (a) e laterale (b).

Figura 5.13 radiografia in bending laterale sinistro (a) e destro (b).

Figura 5.14 Misurazione dell’angolo di Cobb in una curva scoliotica dorso-lombare (si veda la spiegazione nel testo).

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OrtOPEdia56

con un numero crescente di simboli positivi: +, quando la spinosa si proietta sul terzo mediale dell’emisoma concavo della vertebra neutra; ++ quando si proietta sul terzo medio; +++, quando si proietta sul terzo laterale; ++++, quando si pro-ietta oltre il terzo laterale.

Le altre metodiche di imaging sono raramente utilizza-te: la RM è solitamente richiesta quando la scoliosi pre-senta caratteri atipici che possono far pensare a una forma secondaria; la TC è invece più spesso utilizzata nel postoperatorio, per verificare la consolidazione del-le artrodesi.

tErapia

Si possono riconoscere quattro tipi di approccio:● osservazione;● terapia ortopedica;● terapia chirurgica;● kinesiterapia.

Per ciò che concerne l’osservazione ci si astiene da qual-siasi tipo di trattamento, effettuando controlli periodici della curva scoliotica. È un atteggiamento giustificato per tutte le curve inferiori ai 25°, a prescindere dal grado di maturità scheletrica, fattore che tuttavia condizionerà la frequenza dei controlli: saranno tanto più ravvicinati quanto più il paziente è scheletricamente immaturo.

L’astensione può essere adottata anche per quelle curve più gravi, tra i 25° e i 45° che presentano una discreta maturità scheletrica (scala di Risser ≥3).L’approccio ortopedico si basa sull’utilizzo di apparec-chi gessati o busti ortopedici (questi ultimi meno effica-ci dei primi ma più facilmente accettati) e viene adotta-to per le curve di entità compresa tra i 25° e i 45° e im-maturità scheletrica (scala di Risser <3). Pur non po-tendo correggere l’entità della curva, tale approccio ha il compito di controllarne o arrestarne la progressione fino al raggiungimento della maturità scheletrica, oltre la quale le curve non gravi si stabilizzano e perdono il carattere dell’evolutività. Ci sono tuttavia controindica-zioni a questo tipo di terapia, rappresentate da un estre-mo grado di ipocifosi (il busto può esacerbare le defor-mità costali), da una curva toracica alta o da una curva cervico-toracica (che non rispondono a una terapia or-topedica) e infine da fattori psicologici del paziente.La terapia chirurgica è adottata per tutte le curve su-periori ai 45° e con grado di maturità scheletrica <3, mentre viene presa in considerazione per curve di en-tità leggermente maggiore se ci si trova di fronte a un valore di Risser ≥3. L’entità della curva è sicuramente il fattore principale nel determinare l’indicazione chi-rurgica. Altri elementi sono rappresentati da seri pro-blemi psicologici, dettati dalla deformità e non suscet-tibili di supporto terapeutico, e dal dolore refrattario, che come già detto può insorgere fin nel 30% dei casi.Un accurato planning preoperatorio è di assoluta impor-tanza e deve prendere in considerazione il tipo di curva, l’eventuale presenza di compenso, la flessibilità della curva, le condizioni neurologiche, le deformità costali, la maturità fisica del paziente, il suo potenziale di cre-scita e gli aspetti concernenti le problematiche chirur-giche intra- e postoperatorie.La stabilizzazione vertebrale viene effettuata tramite artro-desi che possono essere anteriori, posteriori o combina-te, decisione che ovviamente influenza il tipo di accesso chirurgico, anch’esso di tipo anteriore o posteriore. Ne-gli ultimi anni, il progresso delle tecniche chirurgiche mininvasive ha stimolato lo sviluppo di approcci tora-coscopici all’artrodesi e alla strumentazione anteriore del rachide dorsale. Così come gli accessi, anche gli stru-mentari necessari per la stabilizzazione vertebrale pos-sono essere anteriori o posteriori, e all’interno di ciascun gruppo ve ne sono di diverso tipo (strumentari di Har-rington, Luque, Wisconsin, Cotrel-Dubousset e Dwyer solo per citarne alcuni).La kinesiterapia è solitamente complementare alle altre forme di terapia, siano esse ortopediche o chirurgiche, in quanto da sola non permette di controllare la scolio-si dell’età evolutiva.

Figura 5.15 Metodo Nash-Moe per la misurazione del-la rotazione vertebrale.

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575 - Malattie dell’età evolutiva

Si basa sull’adozione di svariati protocolli riabilitativi, come la mobilizzazione attiva e/o passiva, la kinesite-rapia respiratoria, esercizi di tonificazione muscolare e la rieducazione posturale.

cifosiUgo E. Pazzaglia

Con il termine cifosi o dorso curvo si definisce un insieme di deformità caratterizzate da una curvatura dorsale aumentata nel piano sagittale dell’allineamento spinale. Si esprimono con un aumento dei valori angolari della cifosi fisiologica dorsale (20-45°) o con una diminuzio-ne di quelli della lordosi fisiologica lombare (40-65°).La colonna vertebrale del neonato è mantenuta in un atteggiamento di flessione generalizzata, postura che non si modifica di molto finché il bambino non impara a camminare. Fino a quel momento infatti il rachide toraco-lombare assume una postura flessa poiché il bimbo, in posizione seduta, presenta un centro di gra-vità che cade anteriormente all’asse di rotazione della colonna vertebrale sul piano sagittale; la pelvi e le anche sono flesse. Quando il bimbo comincia a camminare, si instaura un nuovo assetto, svantaggioso dal punto di vista meccanico, cui i muscoli antigravitari pongono rimedio portando progressivamente alla formazione delle fisiologiche curve del rachide.

classificaziOnE

La classificazione della cifosi è squisitamente eziologica. Si distinguono le seguenti forme:● posturale;● malattia di Scheuermann;● congenita;● post-traumatica;● infettiva;● post-laminectomia;● da terapia radiante;● da malattia metabolica;● da displasia ossea;● neoplastica.

gEnEralità

Il dorso curvo viene valutato ponendosi lateralmente al soggetto posto in stazione eretta con anche e ginoc-chia estese, arti superiori rilassati lungo il tronco. In

termini quantitativi, si misura in centimetri la distanza tra una linea a piombo (verticale di riferimento) fatta passare per il punto più sporgente della colonna e l’api-ce di ogni curva sul piano sagittale.Dal punto di vista clinico è importante la valutazione della riducibilità della curva, che può essere evidenzia-ta sia in posizione seduta con anche e ginocchia flesse, sia in posizione di bending anteriore con arti superiori mantenuti aderenti al tronco. In questa posizione infat-ti, la contrazione degli erettori della colonna e degli addominali porta a una riduzione o correzione di un dorso curvo non strutturato.Alla valutazione clinica può aggiungersi, se necessario, quella strumentale, con un radiogramma di tutto il rachi-de in proiezione latero-laterale. È possibile evidenziare anomalie morfologiche vertebrali e calcolare i valori an-golari delle curve sagittali con il metodo di Cobb.La terapia varia a seconda dell’eziologia (si veda il trat-tamento della forme più importanti di cifosi), mirando alla riduzione delle forze compressive a carico della colonna anteriore del rachide. Questo può essere otte-nuto con l’associazione di apparecchi ortopedici (busti gessati o corsetti) e kinesiterapia, oppure mediante in-terventi chirurgici in base alla gravità del quadro.

cifosi posturale

Rappresenta la forma più frequente di cifosi che giunge all’osservazione ortopedica. È una condizione benigna con caratteristiche di correggibilità, sia volontaria in posizione eretta, sia in posizione di bending anteriore. I pazienti giungono all’osservazione per una mera pre-occupazione estetica da parte dei loro genitori, essendo del tutto asintomatici.Radiograficamente non si osservano alterazioni strut-turali vertebrali e la curva cifotica si presenta regolare in tutta la sua estensione.Il trattamento è molto semplice, basato sull’educazione posturale del soggetto e sull’adozione di un regime di rinforzo e allungamento della muscolatura del tronco, dell’addome, del cingolo scapolare e degli arti inferiori. Solo nei casi più gravi e refrattari a questo tipo di regime terapeutico si rende necessario ricorrere a un trattamen-to ortopedico con corsetti o addirittura busti gessati.

malattia di scheuermann

È una deformità, descritta inizialmente solo per il rachi-de toracico, che può in realtà colpire la porzione lomba-re o toraco-lombare della colonna vertebrale. Si manife-

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sta solitamente in adolescenti di età compresa tra i 10 e i 14 anni. La cuneizzazione della vertebra apice, conditio sine qua non della deformità, non è mai stata osservata in pazienti minori di 10 anni (Figura 5.16).

EziOpatOgEnEsi

L’eziologia rimane sconosciuta, anche se numerosi au-tori tendono a includerla nel novero delle osteocondro-si, ipotizzandone una natura meccanica, vascolare, or-monale, nutrizionale, traumatica o metabolica.

QuadrO clinicO

Clinicamente, il paziente si presenta con un dorso curvo doloroso, soprattutto a livello della vertebra apice della deformità, solitamente individuabile tra la VII e la IX vertebra dorsale (D7-D9). La cifosi della malattia di Scheu-ermann toracica è rigida e poco correggibile sia volonta-riamente sia in posizione di bending anteriore, ed è soli-tamente compensata da un’aumentata lordosi cervicale e lombare. La progressione della cifosi ha un basso grado di relazione con la sintomatologia riferita dal paziente.La forma lombare della malattia solitamente non pre-senta deformità, anche se il dolore e le alterazioni ra-diografiche sono identiche alla forma toracica.La radiografia in proiezione laterale consente di apprez-zare l’aumento della normale cifosi toracica, che supera il normale range angolare compreso tra i 20 e i 45° in base al metodo di misurazione di Cobb. Si osservano anche irregolarità e frastagliamento dei piatti vertebrali.

diagnOsi strumEntalE

I criteri diagnostici della malattia sono essenzialmen-te tre:● cuneizzazione maggiore di 5° di almeno 3 vertebre

adiacenti all’apice della curva cifotica;● assottigliamento dei dischi intervertebrali;● presenza variabile di ernie di Schmorl.

I casi più gravi mostrano un bilancio sagittale negativo, ossia una linea a piombo passante per C7 che cade più di 2 cm posteriormente al promontorio sacrale.Anche dal punto di vista radiografico, la forma lom-bare della malattia presenta una minima cuneizzazio-ne vertebrale, con poche modificazioni sul piano sagit-tale. Sono apprezzabili tuttavia le modificazioni a ca-rico dei piatti vertebrali e, molto più frequenti, le ernie di Schmorl.

tErapia

Poiché la malattia ha una storia naturale relativamente benigna, il trattamento non è indicato negli adolescen-ti se non in specifiche situazioni.Il trattamento non chirurgico è indicato per pazienti scheletricamente immaturi (scala Risser ≤ 2) con una deformità maggiore di 60°. Solitamente tali curve han-no una propensione a evolvere e sono inaccettabili dal punto di vista sia funzionale sia estetico. Le opzioni di trattamento sono due:● corsetto ortopedico: viene utilizzato il tipo Milwaukee,

fino al raggiungimento della maturità scheletrica, monitorando l’evoluzione del quadro clinico-radio-grafico. Il razionale sta nel fatto che, diminuendo la lordosi lombare, il paziente è stimolato a iperesten-dere la colonna dorsale. Il corsetto può essere rimosso 1 o 2 ore al giorno per effettuare esercizi mirati a carico della muscolatura paravertebrale;

● busto gessato: quando la correzione passiva, valutata su una radiografia latero-laterale in iperestensione, è inferiore al 40%, il trattamento con un corsetto non è indicato ed è preferibile applicare due o tre busti gessati, rinnovati ogni due o tre mesi, con l’obiettivo di correggere gradualmente la deformità. Dopo un regime di gessi variabile tra i 6 e i 9 mesi il paziente è trattato con un busto Milwaukee per mantenere la correzione fino al raggiungimento della maturità scheletrica. Al contrario del precedente trattamento, al termine del ciclo terapeutico non c’è alcuna per-dita della correzione.

Il trattamento ortopedico e kinesiterapico permette di raggiungere gradi di correzione quasi fisiologici ma, quanto più tardi viene intrapreso tanto minori saranno

Figura 5.16 aspetto radiografico della malattia di Scheuermann di gravità lieve. Sono evidenti multiple ernie di Schmorl a sede anteriore e lieve deformazione a cuneo dei corpi vertebrali dorsali.

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595 - Malattie dell’età evolutiva

le possibilità di successo. Nei pazienti in età postpube-rale non può correggere la cuneizzazione vertebrale e non dovrebbe essere preso in considerazione.Il trattamento chirurgico è solitamente indicato in pa-zienti con dolore, curve rigide maggiori di 70-75° e un aspetto esteticamente inaccettabile. L’obiettivo è quello di ottenere un rachide bilanciato sul piano sagittale, stabile (mediante solide artrodesi) e senza complicanze neurologiche. Una cifosi non deve essere mai corretta oltre il 50% della deformità preoperatoria per evitare complicanze neurologiche e una cifosi funzionale alle estremità della fusione vertebrale. Così come nella sco-liosi, anche per la cifosi è necessario un attento studio preoperatorio clinico e radiografico, che permetta di decidere i livelli della fusione vertebrale e il tipo di ap-proccio alla stessa (anteriore, posteriore o combinato).

altre forme di cifosi

Le altre forme di cifosi sono meno frequenti, ma vanno tenute in considerazione quando ci si trova di fronte a casi che presentino elementi di sospetto dal punto di vista anamnestico (irradiazione, interventi precedenti ecc.), clinico (esordio alla nascita o precoce, associate deformità ecc.) o radiografico (progressiva fusione in-tervertebrale anteriore, dimorfismi ecc.).Le forme di trattamento sono essenzialmente le stesse elencate per la malattia di Scheuermann.

spondilolisi e spondilolistesiUgo E. Pazzaglia

La spondilolistesi è una condizione caratterizzata dallo scivolamento di una porzione o di tutto il segmento vertebrale rispetto al livello sottostante (Figura 5.17).

classificaziOnE

La classificazione della spondilolistesi è quella di Witse, in base alla quale si distinguono le seguenti forme:● displasica o congenita: dovuta ad anomalie della

giunzione lombo-sacrale, che comprendono l’arco neurale di L5 e la cupola superiore del sacro; in questo caso anche gli elementi posteriori vertebrali, restando solidali con il corpo vertebrale, migrano anterior-mente, portando a compressione della cauda equina;

● istmica: è dovuta a una lesione della pars interarticu-laris vertebrale (lesione denominata spondilolisi) ed è la forma più frequente di olistesi del bambino e dell’adulto; è più comune a livello di L5 (85% dei casi),

seguita da L4 (12%) e da L3(3%); la lesione istmica può essere dovuta a una frattura acuta (reale separazione), a fratture da stress recidivanti (in tal caso l’istmo ap-pare allungato senza una rottura completa) o a un difetto congenito dell’istmo;

● degenerativa: si verifica negli adulti secondaria-mente a instabilità segmentaria da usura del disco intervertebrale e delle faccette articolari; è più fre-quente a livello di L4-L5;

● traumatica: si sviluppa secondariamente a una frat-tura interessante una porzione diversa dall’istmo, con successivo scivolamento vertebrale;

● patologica: deriva da una patologia ossea locale o sistemica;

● post-chirurgica: si verifica per interventi di decom-pressione lombare con instabilità secondaria iatrogena per eccessiva rimozione di strutture di supporto.

EpidEmiOlOgia E patOgEnEsi

L’incidenza di spondilolistesi, con o senza spondilolisi, è del 4,5% nell’infanzia e del 6% in età adulta. Alcuni aspetti clinici e radiografici rappresentano fattori di rischio per la potenziale progressione della patologia. Dal punto di vista clinico bisogna ricordare soprattutto l’età (con un rischio aumentato durante il picco di cre-scita puberale), il sesso (con prognosi leggermente peg-giore per quello femminile), i sintomi (in particolar mo-do per soggetti con episodi ripetuti di lombalgia) e in-fine la presenza di deformità.

Figura 5.17 radiografia in proiezione laterale del rachi-de lombare che mostra spondilolistesi di L5-S1; è evidente l’interruzione dell’arco posteriore di L5.

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OrtOPEdia60

Fattori di rischio radiografici sono invece rappresenta-ti dal tipo di scivolamento (aumentato rischio per la forma displasica), il grado di scivolamento (soprattutto se superiore a 2), e l’angolo di scivolamento.In condizioni di normalità e in posizione eretta, la co-lonna anteriore del rachide lombare sostiene l’80% del carico assiale complessivo, mentre il restante 20% è a carico della colonna posteriore. Dal punto di vista bio-meccanico, sul disco intervertebrale gravano carichi generati dalla gravità e dalla contrazione muscolare, con un vettore di forza risultante diretto in senso ante-ro-inferiore. Tutto ciò conduce a una compressione sul disco perpendicolare ai piatti vertebrali e a una forza di taglio anteriore cui si oppongono l’anulus fibrosus e le strutture posteriori, tra cui l’istmo vertebrale, le capsu-le delle faccette articolari e i legamenti. È chiaro quindi come a una lesione a carico di queste strutture consegua un’impossibilità a contrastare tale forza di taglio: con l’andare del tempo questa condizione porta a uno sci-volamento anteriore della vertebra interessata.

QuadrO clinicO

È estremamente variabile, esteso da pazienti completa-mente asintomatici (riscontro radiografico occasionale), a soggetti con un’alterazione della postura, fino a casi con sintomi importanti e invalidanti.Nel paziente pediatrico i sintomi compaiono durante il picco di crescita dell’adolescenza e spesso viene riferito in anamnesi un evento traumatico correlato all’insor-genza degli stessi. Il dolore può essere alleviato dal ri-poso o dalla modificazione delle attività, esacerbato dagli sforzi. Una forma displasica di alto grado può esordire con una sindrome della cauda equina.L’esame obiettivo può rivelare tensione ai muscoli fles-sori, con anca e ginocchia flesse (segno di Phalen-Dickson), dovuta probabilmente a verticalità del sacro e irritazio-ne delle radici nervose. A volte può essere presente appiattimento del rachide lombo-sacrale, con flessione pelvica e uno scalino palpabile dei processi spinosi a livello dell’olistesi.Negli adulti, i sintomi più frequenti sono rappresenta-ti dalla lombalgia e dalla lombosciatalgia.

diagnOstica pEr immagini

L’indagine radiografica standard è indicata nel paziente pediatrico con lombalgia o dolore radicolare di nuova insorgenza e nel paziente adulto con prolungata lombal-gia-lombosciatalgia meccanica. Una proiezione obliqua può evidenziare meglio difetti a carico dell’istmo (segno della decapitazione del cagnolino) (Figura 5.18).Il grado di scivolamento è solitamente misurato con la tecnica di Meyerding (Figura 5.19): la lunghezza antero-

posteriore della limitante superiore della vertebra cau-dale è divisa in quarti e il margine posteriore della ver-tebra craniale (olistesica) va proiettato verticalmente in uno di questi quarti. Nel grado 1 il margine posteriore della vertebra olistesica cade nel primo quarto, nel gra-do 2 cade nel secondo quarto, nel grado 3 nel terzo quarto mentre nel grado 4 cade nell’ultimo quarto.Il termine di spondiloptosi si riferisce a una vertebra che raggiunge un grado di olistesi tale da “cadere” oltre il limite anteriore della vertebra sottostante.Il metodo di Taillard, simile al precedente, misura la di-stanza della corticale posteriore della vertebra olistesi-

Figura 5.18 radiografia del rachide lombare in proie-zione obliqua in un paziente con spondilolisi di L5: la tipica immagine del “cagnolino” decapitato (o che sembra indos-sare un collare) è legata alla presenza della lisi istmica.

Figura 5.19 tecnica di Meyerding per quantificare lo scivolamento vertebrale nella spondilolistesi (si veda la spie-gazione nel testo).

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615 - Malattie dell’età evolutiva

ca rispetto alla corticale posteriore della vertebra cau-dale, esprimendola come percentuale di spostamento.La radiografia laterale è utile per misurare anche l’an-golo di scivolamento: a livello L5-S1 questo è determi-nato dall’intersezione di una linea parallela al margine superiore di L5 (verterba craniale) con la linea perpen-dicolare alla corticale posteriore del sacro (vertebra caudale).Per valutare la stabilità della spondilolistesi possono essere infine richieste radiografie dinamiche: queste sono eseguite in proiezione laterale con il rachide atteg-giato in massima flessione e in massima estensione. Lo spostamento vertebrale nelle due diverse posizioni per-mette di identificare una condizione di instabilità, spes-so responsabile del dolore.Altre metodiche di imaging, come la TC e la RM, tro-vano indicazione in casi inusuali o per definire meglio le cause di sintomi neurologici periferici.

tErapia

I pazienti adolescenti con spondilolistesi di grado lieve o moderato, con o senza spondilolisi, sono inizialmente trattati con un programma conservativo di riposo e ri-duzione delle attività aggravanti la sintomatologia do-lorosa, con eventuale aggiunta di farmaci antidolorifici. Risolta la sintomatologia acuta, i pazienti sono invitati a eseguire esercizi di rinforzo della muscolatura para-vertebrale e addominale, di retroversione del bacino e controllo posturale, con graduale ritorno alle attività. Pazienti con sintomi refrattari a tale tipo di approccio possono trarre giovamento dall’adozione di un regime di immobilizzazione in corsetto.I pazienti con spondilolistesi di grado 1 possono ripren-dere la loro normale attività senza particolari restrizio-ni. Diverso è il caso per pazienti affetti da una forma di grado 2, che devono essere sottoposti a una restrizione di attività che comportino traumi ripetuti e movimenti in iperestensione fino al raggiungimento della maturi-tà scheletrica.I pazienti adulti con spondilolistesi, con o senza spon-dilolisi, devono essere trattati in base ai sintomi di pre-sentazione (solitamente lombalgia e lombosciatalgia) a base di terapia fisica e controllo del dolore.Il trattamento chirurgico è preso in considerazione negli adolescenti che presentino una lombalgia refrat-taria al trattamento conservativo, sintomi neurologici periferici, significative anomalie della deambulazione, la progressione radiografica o una spondilolistesi sin-tomatica superiore al 50%. Raramente si rende neces-sario un approccio chirurgico per una spondilolisi isolata. Le opzioni chirurgiche nell’adolescente sono varie e differiscono in base alla tecnica di artrodesi

utilizzata, alla necessità di una decompressione nervo-sa, all’uso di strumentazione e all’esecuzione di mano-vre di riduzione.Anche nel paziente adulto può essere posta l’indicazio-ne al trattamento chirurgico, rappresentata il più delle volte da una lombalgia refrattaria al trattamento con-servativo o da una radiculopatia associata a deficit pe-riferici. Come nei pazienti più giovani, le tecniche chi-rurgiche praticabili sono estremamente varie.

Epifisiolisi dell’ancaFrancesco Sadile

L’epifisiolisi dell’anca è una malattia caratterizzata dal-lo scivolamento (epifisiolistesi) del nucleo epifisario pros-simale del femore (testa femorale) sulla metafisi (collo femorale). La fisi è la sede dello scivolamento che av-viene, nella gran maggioranza dei casi, all’epoca della pubertà e nei tre piani dello spazio.Lo scivolamento può avvenire in maniera più o meno evidente (epifisiolisi acuta e subacuta), generalmente in seguito a un trauma, manifestandosi con una sintoma-tologia analoga a quella di un distacco epifisario. Più spesso lo scivolamento avviene in modo lento e pro-gressivo (epifisiolisi cronica). In quest’ultima eventualità si può verificare un ulteriore aggravamento improvviso del quadro anatomo-clinico: si parla allora di epifisiolisi acuta su cronica.L’obiettivo da raggiungere è la diagnosi tempestiva dell’epifisiolisi in modo da intervenire chirurgicamen-te per bloccare lo scivolamento ed evitare così compli-cazioni precoci (osteonecrosi, condrolisi) e tardive (co-xartrosi).

EpidEmiOlOgia Ed EziOpatOgEnEsi

L’epifisiolisi è una patologia relativamente rara: la fre-quenza è stimata intorno a 2 casi su 100.000, anche se questo dato potrebbe essere sottostimato per la scarsa espressività clinica delle forme lievi.Il sesso maschile è più colpito rispetto a quello femmi-nile (2,5:1); la malattia si manifesta in forma bilaterale nel 25-50% dei casi ed è stata inoltre documentata una modesta familiarità per l’affezione. L’età d’insorgenza è tra i 10 e i 14 anni nelle femmine (media: 11,5 anni), e tra i 10 e i 16 anni nei maschi (media 13,5 anni); si sono però osservati casi precoci a 7-8 anni.Non è stata trovata una causa certa dell’epifisiolisi, ma si ritiene che sia dovuta all’interazione di due fattori a livello dell’epifisi prossimale del femore, uno meccani-co e l’altro distrofico-metabolico.

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OrtOPEdia62

La maggiore frequenza della patologia in epoca pube-rale ha indotto molti ricercatori a trovare connessioni tra profilo ormonale e scivolamento. L’obesità e la pre-senza di una sindrome adiposo-genitale in molti pa-zienti hanno fatto pensare a un’abnorme relazione fra ormone della crescita e ormoni sessuali. Non vi sono però dati conclusivi in letteratura.

classificaziOnE

Le classificazioni riportate in letteratura sono due.La prima si basa sulle modalità di insorgenza della malattia e suddivide l’epifisiolisi in:● acuta e subacuta: in genere associata a un trauma

anche banale e con un intervallo diagnostico infe-riore a 3 mesi;

● cronica: forma a insorgenza subdola e a carattere progressivo, con un intervallo diagnostico superiore a 3 mesi;

● acuta su cronica: è una forma cronica di base, non diagnosticata tempestivamente e soggetta ad aggra-vamento in modo acuto.

La seconda classificazione suddivide l’epifisiolisi in forme:● stabili: quelle che permettono al paziente di camminare

con o senza l’ausilio di bastoni; queste forme rara-mente si complicano con condrolisi e osteonecrosi;

● instabili: caratterizzate dall’impossibilità a sostenere il carico e la deambulazione; corrispondono alle forme acute e acute su croniche.

anatOmia patOlOgica

Macroscopicamente, lo scivolamento della testa femo-rale avviene in direzione inferiore e posteriore, renden-do difficile l’identificazione della malattia con una semplice radiografia del bacino in proiezione antero-posteriore.Studi condotti in vivo su biopsie hanno dimostrato che lo slittamento avviene nella zona ipertrofica della car-tilagine di accrescimento del collo femorale.La fisi nelle forme iniziali è più larga del normale e la zona ipertrofica supera l’80% (normale = 15-30%), in-vertendo così il suo rapporto percentuale con lo strato germinativo basale.Studi istochimici hanno evidenziato zone abnormi di accumulo e alterata distribuzione di proteoglicani e glicoproteine, ma resta da chiarire se queste alterazioni siano primitive o secondarie allo scivolamento.

aspEtti clinici

La forma più frequente (85%) è la cronica. Tipicamente colpisce un soggetto in sovrappeso oppure obeso, con

una storia di dolore ricorrente in regione inguinale o trocanterica, talvolta riferito alla coscia fino alla regione mediale del ginocchio.La sintomatologia dolorosa si aggrava con l’attività moto-ria, specie se prolungata, e tende ad attenuarsi o anche a scomparire con il riposo. Nell’arco di qualche settimana il dolore diventa permanente e compare la zoppia.L’esame clinico mostra una leggera ipotrofia muscolare della coscia. L’arto è atteggiato in adduzione e rotazione esterna; eseguendo la manovra di Thomas l’anca apparirà flessa, addotta ed extraruotata (Figura 5.20). L’atteggia-mento viziato dell’arto è tanto più accentuato quanto maggiore è lo slittamento della testa femorale sul collo. I movimenti di abduzione e rotazione interna risultano dolorosi.Quando l’epifisiolisi si manifesta in maniera acuta, i sin-tomi sono paragonabili a quelli di una frattura femorale: per il vivo dolore, il paziente non è in grado di cammi-nare e l’arto si presenta addotto ed extraruotato. Queste forme hanno una maggiore probabilità di andare incon-tro a complicanze precoci (osteonecrosi, condrolisi).

diagnOstica pEr immagini

L’esame di elezione è l’esame radiografico standard del bacino, che va eseguito in proiezione antero-posteriore (A-P) e in proiezione di Lauenstein o a “rana”(ad anche flesse e abdotte).Nelle forme iniziali, quando lo scivolamento della testa del femore non è ancora avvenuto o è minimo, si osser-verà solo un aumento dell’altezza della fisi rispetto al lato opposto.Con la progressione della malattia, in proiezione A-P si misurerà lo spostamento infero-mediale dell’epifisi femorale, mentre in proiezione di Lauenstein lo scivo-lamento in direzione postero-inferiore (Box 5.3).L’ecografia, la TC, la RM e la scintigrafia ossea sono poco utilizzate. L’ecografia permette di osservare un

Figura 5.20 Manovra di thomas: con la flessione dell’an-ca destra la controlaterale malata si discosta dalla base di appoggio di oltre 30° per la scomparsa dell’iperlordosi lom-bare di compenso.

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635 - Malattie dell’età evolutiva

versamento intrarticolare nelle forme iniziali e la protu-beranza metafisaria se la testa ha iniziato lo scivolamen-to. La RM (Figura 5.21) e la scintigrafia possono trovare indicazione nelle forme acute allo scopo di ottenere informazioni sull’esistenza di un danno vascolare pre-coce dell’epifisi femorale. La TC, con ricostruzione tri-dimensionale, può essere utile prima e dopo il tratta-mento chirurgico per stabilire l’esatto spostamento dell’epifisi e la correzione ottenuta dopo l’intervento.

tErapia

In passato, per il trattamento delle forme lievi o mode-rate, sono stati utilizzati tutori di anca con appoggio

ischiatico per attendere la chiusura della fisi. Attual-mente la terapia è chirurgica.Nelle forme acute e croniche lievi si ricorre più spesso alla fissazione, con viti o chiodi filettati, della testa del femore nella posizione in cui essa si trova (Figura 5.23). A distanza di alcuni anni dall’intervento si può assiste-re a un rimodellamento della zona metafisaria ed epi-fisaria, con un notevole miglioramento della funzione articolare. Per l’alta incidenza della bilateralità della lesione, per profilassi qualche autore applica in modo sistematico la controversa metodica di trattare sempre anche l’anca sana, a prescindere dalla forma clinica (Figura 5.24).Nelle forme acute, moderate e gravi, il trattamento è dibattuto in quanto, per la vascolarizzazione cefalica di tipo terminale, è alto il rischio di necrosi secondaria della testa femorale; questo si può verificare nelle se-guenti condizioni, a prescindere dal tipo di riduzione scelto:● scivolamento eccessivo;● riduzione intempestiva e/o tardiva;● tentativi incongrui di riduzione,● mezzi di sintesi troppo invasivi.

Pertanto, a seconda dei casi, la riduzione incruenta con manovre esterne, prima di fissare chirurgicamente lo scivolamento, è la più indicata e praticata; in caso di difficoltà o di insuccesso sarà più utile e necessaria la riduzione cruenta della testa del femore sul collo e l’oste-osintesi con vite passante attraverso il collo stesso.

Figura 5.21 Studio rM di epifisiolisi acuta dell’anca sinistra: è ben evidente il completo scivolamento della testa sul collo femorale.

Box 5.3 metodo di misurazione dell’epifisiolistesi secondo southwick

il metodo di southwick si fonda sul calcolo dell’entità di scivolamento epifisario (epifisiolistesi) come differenza angolare calcolata tra il lato sano e quello malato in pro-iezione a-P (figura 5.22a) e tra quello malato e quello sano in proiezione di Lauenstein (figura 5.22b); in tal modo si ha la misura dello scivolamento epifisario sia mediale sul piano frontale sia posteriore su quello sagit-tale. a tal fine si traccia una linea basale, tangente i bordi della testa femorale (t), sia frontalmente sia sagit-talmente, e poi una retta a essa perpendicolare nel suo punto medio (P); infine si traccia l’asse diafisario femo-rale (d) fino all’incontro con quest’ultima retta; in tal modo si formerà un angolo aperto medialmente nella proiezione a-P (simile ma non uguale all’angolo cervico-diafisario) e lateralmente in quella di Lauenstein.Sul piano frontale la differenza tra il valore dell’angolo dell’anca sana e quello dell’anca malata dà la misura

dello scivolamento epifisario in varo; in proiezione di Lauenstein, la differenza tra l’angolo del lato malato e quello del lato sano dà invece la misura della retrover-sione della testa del femore. La deformità in extrarota-zione dell’arto inferiore, che risiede nella terza dimensio-ne dello spazio (piano orizzontale o trasversale), non si misura radiograficamente ma clinicamente.Facendo riferimento all’entità maggiore dello scivolamento epifisario, in uno qualsiasi dei due piani dello spazio studiati, si identificano 3 gradi di gravità dell’epifisiolistesi:● 1° o lieve: se l’entità dello scivolamento è inferiore a

30°;● 2° o moderato: se lo scivolamento è compreso tra

30° e 60°;● 3° o grave: scivolamento superiore a 60°.

Queste misurazioni radiografiche servono anche per calcolare l’entità del cuneo osteotomico, maggiormente congruente (figura 5.22b), da asportare per la corre-zione dell’epifisiolistesi cronica stabilizzata, secondo la tecnica di Southwick.

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Nelle forme croniche, moderate e gravi, vi sono due principali metodiche terapeutiche, usate in relazione alle aspettative reali di riduzione anatomica.La prima consiste nell’intervento di Dunn, ovvero un’osteotomia del collo femorale praticata nella sede dello scivolamento. La tecnica prevede l’esecuzione di un’artrotomia coxo-femorale a cui fa seguito la riduzio-ne della testa sul collo, ottenuta dopo aver asportato un cuneo osseo cefalico a base anteriore e stabilizzata con un chiodo filettato che dal collo femorale raggiunge

l’epifisi. La ricostruzione è anatomica, perché è esegui-ta dove avviene lo scivolamento, ma il rischio di osteo-necrosi per danno vascolare è elevato.L’altra soluzione chirurgica è un’osteotomia triplanare (osteotomia bi-tridimensionale di Southwick) eseguita in sede intertrocanterica (Figura 5.24) mediante aspor-tazione di un cuneo osseo unico antero-laterale, così come calcolato sulla base delle misurazioni radiografi-che. Con tale procedura si abbatte il rischio dell’osteo-necrosi, ma si può incorrere in altre complicanze come la condrolisi.La condrolisi è caratterizzata dall’usura della cartila-gine articolare della testa femorale e dalla conseguen-te compromissione clinico-funzionale dell’anca, che può divenire dolente e rigida, anche se in modo rever-sibile. L’esame radiografico mostra un restringimento importante della rima articolare e una demineralizza-zione della testa, del collo e a volte dell’estremo pros-simale della diafisi femorale (Figura 5.25a). La terapia della condrolisi è lunga e non sempre il risultato è soddisfacente; talvolta la rimozione dei mezzi di sin-tesi e l’astensione dal carico, protratta per qualche mese, consentono di ottenere un parziale recupero dell’altezza della rima articolare (Figura 5.25b). Per la cura della condrolisi è stata anche proposta la tecnica dell’artrodiatasi, che consiste nella distrazione dell’an-ca praticata mediante applicazione di un fissatore esterno.

Figura 5.22 Studio radiografico dello scivolamento epifisario secondo il metodo di Southwick (si veda il Box 5.3 per ulteriori dettagli).

Figura 5.23 Stabilizzazione di epifisiolisi sinistra con chiodi di Knowles. Proiezione antero-posteriore (a); proie-zione di Lauenstein (b).

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655 - Malattie dell’età evolutiva

piede piatto e piede cavoFrancesco Sadile

piEdE piattO

Con il termine piede piatto si definisce una condizione nella quale l’arco longitudinale plantare è abnorme-mente abbassato o assente, con allargamento istmico dell’impronta plantare e frequente pronazione del cal-cagno. Questa definizione comprende una serie di con-dizioni diverse per eziopatogenesi, gravità, prognosi e trattamento.In età evolutiva, il piede piatto non genera disturbi motori nella grande maggioranza dei casi e in questi casi si parla di piede piatto valgo idiopatico (PPVI), che si accompagna a una lassità capsulo-legamentosa costituzionale del bambino (Box 5.4). Bisogna tuttavia distinguere questo tipo di piattismo, generalmente a evoluzione spontanea favorevole, da forme franca-mente patologiche che possono essere congenite (per il piede reflesso-valgo o piede a dondolo si veda il Ca-pitolo 4) o acquisite (Tabella 5.4; si veda anche, più avanti, il Box 5.5).

piede piatto valgo idiopatico (ppVi)

Il PPVI, noto anche come piede piatto infantile, flessi-bile o lasso, è una delle deformità più frequenti dell’età evolutiva: si calcola che circa il 20% delle visite ambu-

Figura 5.24 Controllo radiografico a 10 mesi di osteotomia correttiva triplanare di Southwick per epifisiolistesi sinistra: si rileva un ripristino assiale coxo-femorale sia in a-P (a) sia in Lauenstein (b) e, nel contempo, una epifisiolistesi controlaterale destra da trattare chirurgicamente.

Figura 5.25 Caso di condrolisi secondaria a osteotomia triplanare intertrocanterica del femore sinistro. La rima arti-colare presenta un marcato restringimento e il tenore calci-co dell’osso appare ridotto (a). Quasi due anni dopo la rimozione dei mezzi di sintesi si osserva un miglioramento del quadro radiografico, con l’allargamento dell’interlinea articolare e il recupero del trofismo osseo (b).

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latoriali in pazienti di età pediatrica siano eseguite per una valutazione clinica dei piedi e in generale dell’as-setto statico e dinamico degli arti inferiori.La genesi è multifattoriale, in alcune forme a carattere eredofamiliare.

classificaziOnE

La classificazione in tre gradi del PPVI si basa sullo studio dell’impronta plantare al podoscopio (Figura 5.27), un apparecchio che permette di valutare l’immagine plantare dei piedi sotto carico. Al momento della visita al podoscopio è anche possibile evidenziare, mediante l’osservazione da dietro, eventuali deviazioni in varismo o valgismo del calcagno (Figura 5.28).Questo semplice esame è un utile mezzo per informare genitori e pazienti sullo stato del piede. Si deve ricor-dare che tali impronte sono statiche e che uno studio più accurato sulla morfologia del piede può essere ese-guito analizzando le impronte prodotte durante la de-

Figura 5.26 illustrazione schematica degli archi del pie-de: arco longitudinale mediale (a), arco trasverso anteriore (B), arco longitudinale laterale (c).

Box 5.4 anatomia funzionale e sviluppo del piede

il peso del corpo, nella fase di appoggio statico e dinami-co, è trasferito al suolo dall’azione di 26 ossa corte e piatte disposte secondo due archi a 90° tra loro: quello longitudinale si disegna sul piano sagittale e l’altro, det-to trasverso o anteriore, poggia al suolo direttamente sul piano orizzontale. Questi due archi danno vita a una struttura anatomo-funzionale a elica detta a passo varia-bile in quanto è in grado, a seconda della presenza o meno del carico del corpo, di modificare istantaneamen-te i rapporti intrinseci ossei, tendinei e legamentosi di tutto il piede, in modo da irrigidire il sistema per sop-portare il pieno carico e rilasciarlo nella fase di riposo senza appoggio (figura 5.26).il mantenimento di questi archi di carico è assicurato da mezzi di unione.Fin dalla nascita e per quasi tutto il primo anno di vita il piede, pur presentando già un’architettura scheletrica ben definita con un arco plantare simile a quello del piede adulto, si presenta morfologicamente piatto sia per la lassità capsulo-legamentosa tipica di questo periodo della vita sia per la presenza di un abbondante cuscinetto adiposo nella regione mediale e centrale. Con l’assunzione della posizione eretta, le afferenze proprio-cettive profonde inducono in via riflessa lo sviluppo dei muscoli intrinseci ed estrinseci del piede, che porta prima alla stabilità in ortostatismo e secondariamente alla fun-zione dinamica deambulatoria.

Tabella 5.4 Varianti patologiche di piede piatto.

Forme congenite e rigide● Da astragalo verticale● Da brevità del tendine d’Achille● Da sinostosi astragalo-calcaneale● Da ipoplasia del sustentaculum tali

Forme secondarie (o acquisite)● A iperlassità legamentosa (sindrome di Ehlers-Danlos,

sindrome di Marfan, sindrome di Down, osteogenesi imperfetta)

● A miopatie (distrofia muscolare)● A malattie del sistema nervoso centrale (poliomielite,

paralisi spastiche)● Da scafoide accessorio con insufficienza del tibiale

posteriore● A malattie infiammatorie (artrite cronica giovanile)● A contratture dei peronieri Figura 5.27 Classificazione del piede piatto in base

all’impronta plantare al podoscopio. Piede destro normale sotto carico. tracciando idealmente una tangente al bordo mediale del piede, la perpendicolare a questa linea condot-ta nella parte più stretta dell’impronta o istmo si divide in due parti uguali. il settore di carico è pari al settore che non appoggia per un rapporto di 1:1 (a). Piede piatto di i grado: il settore di carico è superiore al 50% (b). Piede piatto di ii grado: il settore di carico si avvicina al 100% (c). Piede piatto di iii grado: il collasso della regione astragalo-scafoi-dea è tale da superare l’ideale tangente condotta dal tallo-ne al primo metatarso (d).

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675 - Malattie dell’età evolutiva

ambulazione (studio dinamico). In casi particolari può essere utilizzato lo studio del passo (gait analysis) a sco-po sia diagnostico sia terapeutico.IL PPVI viene anche distinto in statico e dinamico.Nella prima forma il piattismo morfologico è costante, indipendentemente dal fatto che il piede si trovi sotto o fuori carico: sono i quadri più conformi all’origine costituzionale della deformità osteo-articolare.Nel piede piatto dinamico il piattismo è visibile solo sotto carico, perché associato a lassità capsulo legamen-tosa e/o ad altre deformità assiali e rotatorie del piede e dell’arto inferiore.

fisiOpatOlOgia

Quando un piede ipermobile è sottoposto al peso del corpo, il calcagno si prona sotto l’astragalo e la testa dell’astragalo si muove in direzione mediale e plantare. Il legamento plantare calcaneo-navicolare è allungato e non mantiene in sede la testa dell’astragalo; anche il legamento interosseo è allungato e consente la prona-zione del calcagno. Lo scivolamento mediale della testa dell’astragalo determina uno spostamento dello scafoi-de in abduzione; la parte anteriore del piede segue lo spostamento dello scafoide e il centro di gravità del

corpo, che normalmente cade tra il II e III raggio meta-tarsale, si sposta medialmente al primo metatarso. Que-sta situazione si evidenzia con l’immagine che si ottiene sotto carico al podoscopio. Nel piede piatto flessibile la deformità non è fissa, perché in assenza di carico il pie-de mostra un normale arco longitudinale.

QuadrO clinicO

PriMa iNFaNzia (ENtrO i 3 aNNi di vita) È l’epoca del piede piatto fisiologico, che si presenta lasso, flessibile, mobile, con calcagno in pronazione. Questa forma è correggibile con le mani o con la stimolazione nocicet-tiva o propriocettiva.Non c’è nessuna indicazione a esami radiografici e a tera-pie, se non quella di rassicurare i genitori che questa è l’epoca in cui il piede deve imparare a interagire con l’am-biente esterno per sviluppare tutte le sue potenzialità di organo periferico di senso propriocettivo profondo.

SECONda iNFaNzia (tra 3 E 6 aNNi) In questo periodo il piede ha esaurito il suo apprendimento elementare e inizia a “specializzarsi” per arrivare alla maturità dell’adulto: deve cioè allenare la sua elica ad assetto variabile in relazione alle superfici di appoggio indos-sando scarpe che permettano di “sentire” il mondo esterno e non di isolarlo attraverso la rigidità della suo-la o la non trasmissibilità degli impulsi attraverso ma-teriali assorbenti come alcuni tipi di gomme. Se in que-sto periodo di sviluppo il piede si presenta eccessiva-mente piatto pronato, con una impronta valutabile di III grado, si può prendere in considerazione una tutela ortesica che riporti in asse il calcagno (Figura 5.29). È importante in questo caso valutare la forma delle ginoc-chia che possono essere valghe ed extraruotate aggra-vando così il piattismo dei piedi per effetto di una cat-tiva distribuzione del peso del corpo.

Figura 5.28 impronta podoscopica di piede piatto bila-terale di i grado con evidente calcagno valgo visto da dietro.

Figura 5.29 Esempio di conche talloniere per il tratta-mento incruento del piede piatto secondario a valgismo correggibile del calcagno. La conca sinistra è vista da dietro e quella destra dal lato interno: notare il rialzo mediale che forza e mantiene in supinazione il calcagno.

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dai 6 aNNi FiNO aLLa PUBErtà In questo periodo, nelle forme accentuate di III grado, si dovrà attuare una sor-veglianza più accurata e stabilire la possibilità di even-tuali misure terapeutiche più appropriate, non escluse quelle chirurgiche.

daLL’adOLESCENza FiNO aLLa MatUrità SCHELEtriCa In questo periodo, anche per l’aumento importante del peso e dell’altezza, compare spesso una sintomatologia dolorosa con tendenza all’affaticamento dopo lunghe passeggiate o a seguito di attività sportiva. Il soggetto può accusare dolore saltuario riferito al piede o alla regione interna del ginocchio, che scompare con il ripo-so; raramente si può osservare una contrattura antalgi-ca con zoppia. Questa è l’epoca nella quale un attento studio radiografico è necessario per completare la dia-gnosi e programmare un’eventuale terapia chirurgica.

diagnOstica pEr immagini

L’esame radiografico del piede prevede due proiezioni (dorso-plantare e latero-laterale) sotto carico (Figura 5.30) e proiezioni speciali come l’assiale di calcagno.

Si possono tracciare gli angoli di divergenza orizzonta-le astragalo-calcaneale, la divergenza calcaneare in caso di pronazione, i rapporti tra l’astragalo e lo scafoide e i rapporti globali tra retropiede e avampiede.La TC e la RM sono esami speciali che trovano indica-zione nel sospetto di anomalie interossee profonde, come le sinostosi, e di patologie scheletriche ed extra-scheletriche, come quella tumorale e simil-tumorale, che possono essere inquadrate in fase iniziale come piede piatto doloroso.

tErapia

trattaMENtO CONSErvativO All’epoca dell’inizio dell’ortostasi e poi della marcia, è controverso l’uso delle scarpe primi passi. Secondo alcuni autori favorire posture a piedi nudi su terreni irregolari (come la sab-bia) in fase precoce stimolerebbe “l’apprendimento” estero-propriocettivo dei recettori plantari con ripercus-sioni positive sull’assetto dell’elica podalica. Secondo altri autori, invece, l’uso di scarpe normali e flessibili, come tutela dei piedi simile alla tenuta per mano di ogni bimbo a questa età, eviterebbe posture podaliche incon-grue e precoci valgismi patologici del calcagno tali da favorire lo sviluppo successivo di piede piatto valgo secondario. Pertanto fino a circa 3 anni di età è controin-dicato l’uso di scarpe correttive.Nella fascia di età da 3 fino a 6-8 anni, l’uso della scarpe correttive dovrebbe essere evitato o riservato solo a casi particolari, da selezionare e documentare in modo appropriato. Nel PPVI di I e II grado non è necessario l’impiego di un’ortesi o di una scarpa particolare, per-ché l’evoluzione è di regola benigna e si conclude a termine di crescita con la normalizzazione completa dell’impronta plantare (si veda la Figura 5.30) oppure con un piede leggermente piatto asintomatico. Talvolta possono essere utili plantari con cunei che producano avvolgimento e irrigidimento dell’elica piuttosto che un innalzamento dell’arco longitudinale, mal tollerato. Scarpe ortopediche rigide nella tomaia e nella suola, che non permettano al piede di “sentire” l’ambiente esterno e quindi di trovare una risposta di accomodamento propriocettivo, sono controindicate. Al contrario, nei casi di PPVI di III grado sono spesso necessarie scarpe con forte calcaneare rigido, che incorporano plantari a elica o conche talloniere su misura (si veda la Figu-ra 5.29) che sostengano costantemente il calcagno in supinazione. È utile in questi soggetti associare un’ade-guata fisiokinesiterapia che rinforzi i muscoli inversori (tricipite surale, tibiale posteriore e flessori delle dita lungo e breve). La persistenza, oltre questa età, della deformità in piatto valgismo fa propendere verso un trattamento cruento.

Figura 5.30 Esame radiografico del piede sotto carico in proiezione latero-laterale: osservare l’orientamento verti-cale dell’asse dell’astragalo (a) che si normalizza a distanza di circa 8 anni (b). È il tipico caso di piattismo che si correg-ge con il tempo senza uso di plantari.

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695 - Malattie dell’età evolutiva

trattaMENtO CHirUrGiCO Gli orientamenti correttivi variano da scuola a scuola. Tra gli 8 e i 10 anni, per correggere l’eccessiva pronazione del calcagno, si pos-sono utilizzare tecniche di limitazione articolare (artro-risi eso-seno-tarsiche) che, impedendo la pronazione del calcagno, stimolano la propriocettività e permettono attraverso questo meccanismo la ripresa di un appoggio normale nel tempo (Figura 5.31).

Dai 10 anni in poi l’impianto di endo-ortesi nel seno del tarso (artrorisi endo-seno-tarsiche), in eventuale associazio-ne all’allungamento del tendine di Achille (Box 5.5), ri-portano nella maggior parte dei casi il piede a una mor-fologia normale o quasi, risolvendo il quadro sintomato-logico. Queste ortesi sono costruite in polietilene con meccanismo a espansione mediante introduzione di vite metallica, ben visibile all’esame radiografico (Figura 5.32),

Figura 5.31 disegno che illustra l’artrorisi eso-seno-tarsica (calcaneo-stop) secondo Pisani.

Figura 5.32 aspetto radiografico (a) e clinico (b) dopo impianto di endortesi seno-tarsica secondo Giannini per piede piatto idiopatico: l’arco longitudinale mediale sotto carico appare ripristinato.

Box 5.5 altre forme di piede piatto

Questo box illustra in maniera sintetica l’iter clinico- diagnostico e la terapia di alcune altre forme di piede piatto primitivo e secondario, così come classificate nella tabella 5.4.

● Piede piatto da brevità del tendine d’Achille L’esame clinico mette in evidenza sia il piattismo sia

l’eccessiva pronazione del calcagno, con il rilievo dell’inserzione calcaneare del tendine in posizione ortostatica. in posizione supina, con ginocchio flesso a 90°, il piede va in correzione perché il tendine di achille viene deteso (figura 5.33).

● Piede piatto da sinostosi astragalo-calcaneare Si osserva di regola in età preadolescenziale, quando,

con la crescita del piede e l’ossificazione delle strut-ture cartilaginee, si creano unioni parziali o totali fra il calcagno e l’astragalo.

La sinostosi provoca una limitazione, fino alla per-dita, della prono-supinazione; sopraggiunge una sin-tomatologia caratterizzata da dolore e zoppia.

L’esame radiografico non sempre riesce a chiarire la diagnosi, che viene in ogni caso accertata dalla tC (figura 5.34).

La terapia è prevalentemente chirurgica e consiste nella semplice asportazione della sinostosi o nel blocco articolare mediante artrodesi, fissando l’articolazione astragalo-calcaneare in posizione corretta. il piede perde così la fun-zione della prono-supinazione, ma scompare il dolore.

● Piede piatto da altre cause tutte le altre forme di piede piatto pronato, a eccezione

della deformità provocata da un processo infiammato-rio (artrite cronica giovanile), sono l’effetto di squilibri muscolari fra muscoli inversori ed eversori (esiti di polio-mielite, miopatie, esiti di paralisi cerebrali infantili).

il piede piatto pronato si rende manifesto nel tempo; la diagnosi non è difficile, dal momento che la defor-mità non è isolata e la sua identificazione è agevolata da un’accurata raccolta anamnestica.

La terapia è di solito effettuata sull’articolazione astra-galo-calcaneare, che viene bloccata chirurgicamente in buona posizione, eliminando il rivestimento cartilagineo dalle superfici articolari onde ottenere una fusione ossea (artrodesi). Se necessario, la procedura chirurgica può essere estesa alle articolazioni astragalo-scafoidea e cal-caneo-cuboidea (duplice artrodesi), in modo da correg-gere ulteriori deformità del mesopiede (figura 5.35).

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OrtOPEdia70

oppure in materiale totalmente riassorbibile e radiotra-sparente. Queste ultime sono state ideate per evitare il ricorso a un secondo intervento di rimozione nei casi di intolleranza dolorosa.

piEdE caVO

Questa deformità è caratterizzata da un’accentuazio-ne dell’arco longitudinale, che al podoscopio mostra un restringimento o una riduzione dell’appoggio istmico plantare, inferiore al 50%, valore assunto come normale.La classificazione si basa sulla distinzione in tre gradi (Figura 5.36):

I. l’appoggio istmico varia tra meno del 50% e il 75%;II. l’appoggio istmico è compreso tra meno del 75%

e il 90%;III. il piede non presenta appoggio visibile al suo istmo.

Figura 5.33 Piede piatto di iii grado da brevità del ten-dine di achille (a). La manovra di correzione in flessione dorsale a ginocchio flesso (b) permette la parziale discesa del calcagno.

Figura 5.35 Caso di piede piatto spastico (a) trattato con duplice artrodesi del retropiede e del mesopiede (b).

Figura 5.34 Scansione coronale tC che mostra sinosto-si bilaterale astragalo-calcaneare.

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715 - Malattie dell’età evolutiva

La traccia di linee tangenti ai bordi mediale e laterale del piede in appoggio potrà fare apprezzare associate deviazioni in varismo o valgismo del retropiede.Le cause del piede cavo presente alla nascita non sono ancora conosciute e pertanto si parla di cavismo idio-patico.Le forme acquisite sono invece secondarie a diversi fat-tori tra cui:● spina bifida occulta;● paralisi flaccide e spastiche;● esiti di piede torto congenito;● malattie infiammatorie croniche;● esiti di trauma.

Al piede cavo si associa un sovraccarico funzionale del calcagno e dell’avampiede; questo si manifesta con la com-parsa di metatarsalgia e ipercheratosi cutanea plantare, fino a vere e proprie callosità, in corrispondenza delle teste metatarsali. Con il tempo si instaura un piattismo dell’arco trasverso anteriore, accompagnato da dolore e zoppia. Per l’iperpressione, il retropiede può essere sede di borsite reattiva all’inserzione dei muscoli brevi sul calcagno.A partire dal secondo decennio di vita, il piede cavo idiopatico comincia a dare segni della sua presenza sotto forma di dolore nella stazione ortostatica prolun-gata, difficoltà all’uso di scarpe non flessibili, necessità

di plantari su misura in caso di attività sportiva o di lavori particolari.Dal punto di vista preventivo, nell’età dell’accrescimento, bisogna correggere deviazioni assiali del calcagno, stimo-lare l’allungamento passivo della fascia plantare, che so-stiene la deformità ed evitare, per quanto possibile, l’uso di scarpe con tacco alto per non sovraccaricare in manie-ra abnorme e precocemente l’avampiede.Per riequilibrare il carico, si utilizzano plantari model-lati su misura. Molto utili possono essere gli scarichi retrometatarsali: quando ben posizionati dietro i punti di maggior pressione delle teste metatarsali, risolvono eventuali metatarsalgie e proteggono l’arco trasverso da un precoce appiattimento.Il trattamento chirurgico è riservato a quelle forme di cavismo di III grado che provocano dolore persistente e disturbi della deambulazione (Figura 5.37).

Figura 5.36 Classificazione del piede cavo in tre gradi (si veda la spiegazione nel testo). L’impronta plantare a sinistra è normale.

Figura 5.37 Piede cavo neurogeno con atteggiamento in griffe delle dita (a). Controllo radiografico postoperatorio dopo duplice artrodesi: da notare il riassetto anatomico glo-bale del piede dopo fusione ossea e l’estensione delle dita sotto carico (b).