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CAPITOLO 2 - IL RUMORE E LA SUA ORIGINE FISICA 2.0 Introduzione Il termine rumore , originato in acustica, viene applicato per denominare una qualsiasi variabile fisica che fluttui nel tempo in maniera irregolare, imprevedibile. Questo in contrasto con comportamenti oscillatorii periodici (i 'suoni' in acustica), per i quali lo stato presente può essere utilizzato per prevedere deterministicamente lo stato futuro, e che sono detti genericamente segnali. Il rumore è generato nella maggior parte dei casi da fluttuazioni spontanee di quantità microscopiche, spesso legate all'agitazione termica del sistema. Ci interessa il rumore per due motivi: 1) il rumore limita la precisione delle misure fisiche più sensibili; 2) il rumore può darci informazioni su quantità globali del sistema. Il primo punto è abbastanza ovvio, e dedicheremo il prossimo capitolo allo studio di alcuni metodi di estrazione del segnale dal rumore. Per chiarire il secondo punto, che è invece legato alla fisica del sistema in esame, consideriamo il seguente esempio. Nei circuiti elettrici che trattano segnali di basso livello è usuale osservare tracce oscillografiche come quelle mostrate in fig.2.1 : sono prodotte dalle fluttuazioni spontanee della carica elettrica, che amplificate a sufficienza, producono differenze di potenziale variabili nel tempo in maniera casuale. Un tipico esempio è un ricevitore radio sintonizzato su una frequenza lontana da stazioni trasmittenti. Alzando il potenziometro del volume, si sente un fruscio (rumore) prodotto dalle fluttuazioni del numero di elettroni nel primo stadio di amplificazione del ricevitore, e amplificato dagli stadi successivi. L'intensità media di questo rumore è costante, e quindi questo processo può essere definito stazionario, e si può ad esempio misurare il valore quadratico medio della fluttuazione di tensione. Non è comunque prevedibile istante per istante il valore della tensione: al massimo si può ricavare la sua distribuzione di probabilità. Questo ci suggerisce che lo studio del rumore possa fornirci solo delle informazioni su proprietà globali del sistema, quali la sua temperatura. Ci si aspetta intuitivamente che all'aumentare della temperatura del sistema, e quindi dell'agitazione termica, cresca il livello delle fluttuazioni di quantità caratteristiche del sistema (questo fatto è alla base della termometria di rumore, come vedremo). 2.1 Il moto Browniano Il primo sistema fisico che esamineremo per studiare il rumore è un piccolo corpo in un fluido. Questo sistema ha importanza storica, perché fin dalla metà dell'800 si era notato che il movimento del piccolo corpo era estremamente irregolare ed imprevedibile. Inoltre in questo sistema è evidente la relazione profonda tra fluttuazioni di quantità fisiche e processi dissipativi: in questo caso il processo dissipativo è la viscosità. Quando un corpo si muove in un fluido, il suo moto è ritardato dalla viscosità del fluido. Questa deriva a livello microscopico dall'effetto medio degli urti tra il corpo in moto e le molecole componenti il fluido. Proprio perché l'effetto medio proviene da un grande numero di agenti microscopici pressoché indipendenti, l'effetto non può essere costante. Ci deve essere quindi una componente fluttuante della viscosità, e questa è particolarmente evidente se il corpo è molto piccolo (moto browniano). Fu Einstein (1905, 1906) che per primo dedusse questa relazione profonda tra l'effetto medio dissipativo (la viscosità) e le fluttuazioni (il moto browniano). Il concetto si è poi sviluppato e generalizzato nel teorema di fluttuazione-dissipazione (Kubo, 1956, Callen e Welton, 1951). Seguiamo qui il ragionamento originale di Langevin (1908). Nel caso del moto browniano, il piccolo corpo di massa M, velocità v e posizione x subisce l'effetto della forza (media) viscosa e della forza istantanea fluttuante F(t) dovuta agli urti con le singole molecole del fluido. L'equazione di moto si scrive (caso unidimensionale, per semplicità)

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CAPITOLO 2 - IL RUMORE E LA SUA ORIGINE FISICA

2.0 Introduzione Il termine rumore , originato in acustica, viene applicato per denominare una qualsiasi variabile fisica che fluttui nel tempo in maniera irregolare, imprevedibile. Questo in contrasto con comportamenti oscillatorii periodici (i 'suoni' in acustica), per i quali lo stato presente può essere utilizzato per prevedere deterministicamente lo stato futuro, e che sono detti genericamente segnali. Il rumore è generato nella maggior parte dei casi da fluttuazioni spontanee di quantità microscopiche, spesso legate all'agitazione termica del sistema. Ci interessa il rumore per due motivi:

1) il rumore limita la precisione delle misure fisiche più sensibili; 2) il rumore può darci informazioni su quantità globali del sistema.

Il primo punto è abbastanza ovvio, e dedicheremo il prossimo capitolo allo studio di alcuni metodi di estrazione del segnale dal rumore. Per chiarire il secondo punto, che è invece legato alla fisica del sistema in esame, consideriamo il seguente esempio. Nei circuiti elettrici che trattano segnali di basso livello è usuale osservare tracce oscillografiche come quelle mostrate in fig.2.1: sono prodotte dalle fluttuazioni spontanee della carica elettrica, che amplificate a sufficienza, producono differenze di potenziale variabili nel tempo in maniera casuale. Un tipico esempio è un ricevitore radio sintonizzato su una frequenza lontana da stazioni trasmittenti. Alzando il potenziometro del volume, si sente un fruscio (rumore) prodotto dalle fluttuazioni del numero di elettroni nel primo stadio di amplificazione del ricevitore, e amplificato dagli stadi successivi. L'intensità media di questo rumore è costante, e quindi questo processo può essere definito stazionario, e si può ad esempio misurare il valore quadratico medio della fluttuazione di tensione. Non è comunque prevedibile istante per istante il valore della tensione: al massimo si può ricavare la sua distribuzione di probabilità. Questo ci suggerisce che lo studio del rumore possa fornirci solo delle informazioni su proprietà globali del sistema, quali la sua temperatura. Ci si aspetta intuitivamente che all'aumentare della temperatura del sistema, e quindi dell'agitazione termica, cresca il livello delle fluttuazioni di quantità caratteristiche del sistema (questo fatto è alla base della termometria di rumore, come vedremo). 2.1 Il moto Browniano Il primo sistema fisico che esamineremo per studiare il rumore è un piccolo corpo in un fluido. Questo sistema ha importanza storica, perché fin dalla metà dell'800 si era notato che il movimento del piccolo corpo era estremamente irregolare ed imprevedibile. Inoltre in questo sistema è evidente la relazione profonda tra fluttuazioni di quantità fisiche e processi dissipativi: in questo caso il processo dissipativo è la viscosità. Quando un corpo si muove in un fluido, il suo moto è ritardato dalla viscosità del fluido. Questa deriva a livello microscopico dall'effetto medio degli urti tra il corpo in moto e le molecole componenti il fluido. Proprio perché l'effetto medio proviene da un grande numero di agenti microscopici pressoché indipendenti, l'effetto non può essere costante. Ci deve essere quindi una componente fluttuante della viscosità, e questa è particolarmente evidente se il corpo è molto piccolo (moto browniano). Fu Einstein (1905, 1906) che per primo dedusse questa relazione profonda tra l'effetto medio dissipativo (la viscosità) e le fluttuazioni (il moto browniano). Il concetto si è poi sviluppato e generalizzato nel teorema di fluttuazione-dissipazione (Kubo, 1956, Callen e Welton, 1951). Seguiamo qui il ragionamento originale di Langevin (1908). Nel caso del moto browniano, il piccolo corpo di massa M, velocità v e posizione x subisce l'effetto della forza (media) viscosa e della forza istantanea fluttuante F(t) dovuta agli urti con le singole molecole del fluido. L'equazione di moto si scrive (caso unidimensionale, per semplicità)

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Fig. 2.1:Fluttuazioni di tensione osservate all'oscilloscopio all'uscita di un amplificatore ad alto

guadagno. Sono dovute all'agitazione termica dei portatori di carica nel primo stadio dell'amplificatore, ed amplificate fino ad essere visualizzabili dagli stadi successivi. La loro presenza limita la rivelazione di segnali molto deboli, che rimangono immersi nel rumore.

Fig. 2.2: Allontanamento x di una particella dalla sua posizione iniziale in seguito a moto browniano. Il moto è campionato ad intervalli di tempo t\t_1 = BM. La curva tratteggiata

rappresenta il valore aspettato della deviazione standard sqrt x^2 = sqrt 2 kTB \t_1 \sqrt t/\t_1 al passare del tempo. La linea retta rappresenta invece il moto deterministico di una

particella con la stessa energia cinetica: v=sqrtkTB \t_1*t/\t_1

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M dv

dt

= - v

B

+ F(t) (2.1)

dove B è la mobilità del corpo nel fluido. Definendo il tempo di rilassamento τ1 = MB si può riscrivere

dv

dt

+ v

τ1

= A(t) (2.2)

dove A(t) è l'accelerazione istantanea applicata al corpo dalle molecole del fluido. L'integrale di questa equazione è dato da

v(t) = vo e-t/τ1 + e-t/τ

1 ⌠ t ⌡0

e

u/τ1 A(u)du (2.3)

Per sviluppare i calcoli, faremo delle ragionevoli ipotesi su A(t): Hp 1) ⟨A(t) ⟩ = 0. Hp 2) ⟨A(t1) A(t2) ⟩ = 0 a meno che non sia t1∼ t2. Hp 3) ⟨A(t)2 ⟩ ha un valore positivo ben definito.

Il simbolo ⟨⟩ indica una media su un gruppo di sistemi tut ti con le stesse condizioni iniziali (vo ad es.). Le condizioni 1) e 2) indicano intuitivamente che gli urti molecolari sono estremamente rapidi, con un tempo di correlazione molto breve rispetto a τ1. La 3) indica che in ogni istante c'è una certa forza molecolare non trascurabile, anche se a media nulla. La (2.3) ci permette di calcolare

⟨v(t)2⟩ = vo2 e-2t/τ

1 + 2 vo e-2t/τ1

⌠ t ⌡0

eu/τ

1 ⟨A(u) ⟩du

+ e-2t/τ1

⌠ t ⌡0

⌠ t ⌡0

e(u+w)/τ1 ⟨A(u) A(w) ⟩du dw (2.4)

Il termine doppio prodotto si media a zero per l'Hp 1. Il termine con integrale doppio non si media a zero, a causa del fatto che c'è un contributo finito all' integrale quando u ≈ w (vedi Hp 2). Inoltre ci si aspetta che ⟨v(t)2⟩ sia diverso da zero e che in condizioni stazionarie (cioè per t >> τ1) tenda ad un valore ben definito. Questo si può vedere quantitativamente riscrivendo il termine in questione tramite le nuove variabili r = u+w e t′ = u-w. Si ottiene quindi per l'integrale doppio

e-2t/τ1

⌠2t ⌡0

er/τ

1

⌠ t ⌡-t

⟨A(

r-t′

2 ) A(

r+t′

2 ) ⟩dt′

dr

2

I limiti dell'integrale tra quadre possono essere estesi all'infinito, essendo i contributi all'integrale significativi solo nell'intorno di t′ ≈ 0. L'integrale così ottenuto è la funzione di autocorrelazione di A. E' inoltre ragionevole pensare che l'integrale sia indipendente dal particolare istante centrale r scelto (essendo una quantità media caratteristica delle fluttuazioni in studio); potremo quindi definire una costante K

K = ⌠∞ ⌡-∞

⟨A(

r-t′

2 ) A(

r+t′

2 ) ⟩dt′

Si può allora calcolare il secondo integrale ∫02t er/τ1 dr, ottenendo alla fine

⟨v(t)2⟩ = vo2 e-2t/τ

1 + C ( 1 - e-2t/τ1)

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con C = 1/2 K τ1 costante da determinare. Questa equazione è piuttosto importante, perché mostra come per tempi piccoli rispetto al tempo di rilassamento il sistema si comporti in modo prevedibile e reversibile: se t << τ1 si ha infatti

⟨v(t)2⟩ ∼ vo2 ,

compatibilmente con quanto aspettato dalla meccanica classica del punto materiale. Al contrario, per t >> τ1 la velocità iniziale è stata completamente smorzata dalla viscosità, e rimane solo l'effetto degli urti delle singole molecole che producono fluttuazioni di velocità a valore quadratico medio costante:

⟨v(t)2⟩ = C (2.6)

il moto della particella è indipendente dalle condizioni iniziali e di pura agitazione termica. E' qui che entra in gioco la meccanica statistica, che ci assicura che in condizioni di equilibrio, nel caso unidimensionale,

⟨v(t)2⟩ = C = kT/M (2.5).

Si avrà quindi

⟨v(t)2⟩ = vo2 e-2t/τ

1 + kT

M

( 1 - e-2t/τ1) (2.6)

Questa equazione descrive quantitativamente la transizione dal moto deterministico al moto caotico. Cerchiamo di calcolare adesso lo spostamento x della particella. Per integrare ulteriormente la (2.2) si possono moltiplicare ambo i membri scalarmente per x, ed utilizzare le relazioni

x(t)v(t) = x dx

dt

= 1

2 dx2

dt ;

d2

dt2 x2 = 2 ( v2 + x

dv

dt ) → x

dv

dt =

1

2 d2 x2

dt2 - v2

ottenendo

1

2 d2 x2

dt2 - v2 = -

1

2 τ1 dx2

dt + A x

e mediando sui sistemi (media di ensemble)

d2

dt2 ⟨x2⟩+

1

τ1 d

dt

⟨x2⟩ = 2 ⟨A x ⟩+ 2 ⟨v2⟩ = 2 kT

M

La soluzione della precedente equazione differenziale è

⟨x(t)2⟩ = 2 kT

M

τ12

t

τ1 - (1 - e-t/τ

1) (2.7)

che di nuovo ci dà i due casi limite, deterministico all'inizio:

⟨x(t)2⟩ = ⟨v2⟩t2 (t << τ1) ed irreversibile a regime:

⟨x(t)2⟩ = 2 k T B t (t >> τ1) (2.8) La (2.8) è l'equazione fondamentale del moto browniano, (o "random walk") che ci mostra come la particella si allontani dalla posizione iniziale, ma con una deviazione lenta (vedi fig.2.2), proporzionale alla radice quadrata del tempo (invece che al tempo, come avviene per il moto classico, deterministico).

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Finora abbiamo considerato il valore quadratico medio delle fluttuazioni. Vogliamo ora studiarne lo spettro di potenza, cioè esaminare in dettaglio la ripartizione delle fluttuazioni in componenti più o meno veloci. Per fare questo svilupperemo la variabile y in serie di seni e coseni. Se y(t) fosse una variabile periodica, varrebbero le seguenti equazioni, che definiscono la serie di Fourier:

y(t) = ao + ∑ an cos2 πn fo t + ∑ bn sin2 πn fo t

T = 1/fo , ao = fo ⌠1/fo ⌡ o

y(t) dt

an = 2 fo ⌠1/fo ⌡ o

y(t) cos(2 πn fo t) dt , bn = 2 fo ⌠1/fo

⌡ o y(t) sin(2 πn fo t) dt (2.9)

Se consideriamo una variabile y(t) casuale, stazionaria e a media nulla, si potranno utilizzare ancora formalmente le (2.9), ma an e bn saranno anche esse variabili casuali stazionarie e si dovrà utilizzare il limite per fo → 0 (ovvero T → ∞, perché non c'è più periodicità). La varianza di y(t) sarà semplicemente

⟨y(t)2⟩ = ∑ ⟨an

2⟩

2 + ∑

⟨bn2⟩

2

con i fattori 1/2 provenienti dalle medie dei pesi seno e coseno. Siccome y(t) è una variabile statistica, anche la sua fase varierà casualmente, con equiprobabilità di avere termini in fase (seno) o in quadratura (coseno) nel suo sviluppo. Avremo quindi ⟨an

2⟩ = ⟨bn2⟩. Si definisce lo spettro di

potenza wy(f) della variabile casuale y(t) come

wy(nfo)·fo = ⟨an2 ⟩ = ⟨bn

2 ⟩→⟨y(t)2⟩ = ∑ wy(nfo)·fo

e facendo il limite per fo → 0:

⟨y(t)2⟩ = ⌠∞ ⌡0

wy(f) df (2.10).

Vediamo ora quale è il legame tra lo spettro di potenza e la funzione di autocorrelazione della y. Dalle (2.9) avremo

⟨an2⟩ = 4 fo2 ⌠1/fo

⌡ o

⌠1/fo ⌡ o

⟨y(t1) y(t2) ⟩cos(2 π n fo t1) cos(2 π n fo t2) dt1 dt2 (2.11)

se si definiscono τ = t2-t1, e s = t2+t1, e la funzione di autocorrelazione di y:

ψy(τ) = ⟨y(t)y(t+τ) ⟩ (2.12)

si può dimostrare, trasformando la (2.11) in un integrale su τ e s e facendo il limite per f → 0 che

wy(f) = 4 ⌠∞ ⌡0

ψ(τ) cos(2πf τ) dτ , ψy(τ) = ⌠∞

⌡0 wy(f) cos(2πf τ) df (2.13).

Abbiamo quindi che funzione di autocorrelazione e spettro di potenza di una variabile casuale stazionaria sono una coppia di trasformate di Fourier. Questo è noto come Teorema di Wiener-Khintchine (1926). Tornando al caso del moto browniano, si può trovare la funzione di correlazione per la velocità. Analogamente a quanto fatto per passare dalla (2.3) alla (2.4) si ha

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⟨v(t) v(t+τ) ⟩ = vo2 e-(2t+τ)/τ

1 + e-(2t+τ)/τ1

⌠ t ⌡0

⌠ t+τ ⌡0

e(u+w)/τ

1 ⟨A(u) A(w) ⟩du dw =

= vo2 e-(2t+τ)/τ

1 + kT

M

e-τ/τ1 (1 - e-2t/τ

1)

da cui si vede che a regime, in condizioni stazionarie

ψv (τ) = kT

M

e-τ/τ1 (2.14)

Si ha allora l'espressione per lo spettro di potenza

wv(f) = 4 kT

M

⌠∞ ⌡0

e

-τ/τ1 cos(2 πf τ) dτ = 4

kT τ1

M 1

1 + (2 πf τ1)2

= 4 kTB

1 + (2 πf τ1)2

(2.15)

Dalla (2.15) è evidente che lo spettro di potenza delle fluttuazioni di velocità nel moto browniano è piatto (e si dice rumore bianco) fino a frequenze f ≅ 1/τ1, e vale

wv(f) df = ⟨v2f⟩df = 4 k T B df (2.16);

per frequenze superiori le velocità sono smorzate. E' anche possibile ritrovare il valore quadratico medio della velocità:

⟨v2⟩ = ⌠∞ ⌡0

wv(f)df =

k T

M = kT

B

τ1

Le (2.15) e (2.16) permettono di calcolare quantità osservabili con strumenti a risoluzione temporale limitata: ad esempio, nel caso di osservazioni al microscopio del moto browniano, il tempo di persistenza sulla retina è τobs≅ 0.1 s, il che equivale a dire che si è sensibili solo a frequenze delle fluttuazioni inferiori ad una frequenza massima fobs ≅ 1/τobs<< 1/τ1. Le fluttuazioni di velocità osservate saranno quindi date da

⟨v2⟩obs = ⌠ fobs ⌡0

wv(f)df = 4kTBfobs =

4 k T

M τ1

τobs

(2.17)

essendo τobs >> τ1, le fluttuazioni di velocità osservate sono molto inferiori a quelle intrinseche della particella. La mancata comprensione di questo fatto ha per lungo tempo nascosto agli osservatori la natura molecolare del moto browniano, che avrebbe dovuto generare velocità ⟨v2⟩ molto maggiori di quelle osservate (Von Nageli 1879). Einstein generalizzò il suo risultato sul moto browniano (2.8) ad un qualsiasi parametro θ osservabile, libero di variare nel tempo in un sistema all'equilibrio termico. Si deve avere cioè

⟨δθt

2⟩ = ⟨(θ(t) - θ(0) )2 ⟩ = 2 ~ B k T t (2.18)

~ dove B è la mobilità generalizzata del sistema rispetto al parametro θ. Se si considera la derivata di θ rispetto al tempo (θ) si può ricavarne subito lo spettro di potenza: basta rifare il ragionamento che dalla (2.8) ha permesso di ricavare la (2.16): si avrà cioè

⟨ . θ

2f ⟩df = w[(θ)\dot](f) df = 4 k T

~ B df (2.19)

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Fig. 2.3: Valore rms delle fluttuazioni di tensione per unità di banda passante prodotte dal rumore Johnson in una resistenza. Le differenti curve si riferiscono a temperature di uso comune:

temperatura ambiente (300 K); temperatura dell'azoto liquido (77 K); temperatura dell'elio liquido (4.2 K); temperatura ottenibile pompando sull' 3He liquido (0.3 K).

Fig. 2.4: Circuito RLC parallelo eccitato dalla corrente di rumore D i.

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2.2 Il rumore Johnson Lo stesso Einstein considerò le possibili fluttuazioni della carica elettrica in un materiale di conduttanza G, predicendo

⟨δqt2⟩ = 2 G k T t (2.20)

Carica e corrente sono l' analogo elettrico di posizione e velocità nel moto browniano (mentre la resistenza è l'ana logo della viscosità) e si possono usare le equazioni generalizzate (2.18) e (2.19). Dalla (2.19) si può scrivere subito lo spettro di potenza delle fluttuazioni di corrente:

wi(f)df = ⟨δif2⟩df = 4 k T G df (2.21)

e, in una banda finita ∆f,

⟨δi2⟩ = ⌠ ⌡∆f

⟨δif2⟩df = 4 k T G ∆f (2.22)

Ad alte frequenze le fluttuazioni spontanee di corrente saranno smorzate dalla capacità o dall'induttanza del conduttore, con costante di tempo τ pari a RC o R/L: si avrà cioè (vedi (2.15))

wi(f)df = ⟨δif2⟩df = 4 k T G df

1 + (2 πf τ)2

(2.23)

Le fluttuazioni di tensione ai capi dello stesso conduttore saranno semplicemente

⟨δVf2⟩df = R2 ⟨δif2⟩df = 4 k T R

df

1 + (2 πf τ)2 (2.24)

dove R = 1/G è la resistenza del conduttore. Questa relazione fu verificata sperimentalmente da Johnson (1927, 1928), e interpretata teoricamente da Nyquist (1927, 1928). Le fluttuazioni spontanee di tensione ai capi di una resistenza sono dette rumore Johnson. L'ordine di grandezza dell'effetto si può apprezzare pensando che ai capi di una resistenza da 1 MΩ a temperatura ambiente (300 K) si produce un rumore Johnson di circa 100 nV/[√Hz] (fig 2.3). E' evidente che il rumore Johnson cresce con la resistenza e la temperatura: data una certa resistenza, l'unico modo per ridurne il rumore Johnson consiste nel raffreddarla, anche a temperature prossime allo zero assoluto se necessario. Il capitolo 4 sarà dedicato alle tecniche di criogenia che consentono di raffreddare apparati sperimentali in modo da ridurne il rumore termico. Johnson fu anche il primo ad utilizzare il rumore per misurare la costante di Boltzmann. La misura fu raffinata da Ellis e Moullin (1932). Nyquist derivò la formula del rumore Johnson in modo indipendente, partendo da considerazioni termodinamiche ed utilizzando due resistenze collegate da una linea di trasmissione. Preferiamo qui riportare una dimostrazione analoga, ma utilizzante solo resistenze, condensatori e induttanze (Pierce 1956). La meccanica statistica classica ci assicura che in un sistema (nel nostro caso un circuito) all'equilibrio termodinamico è contenuta in media una energia 1/2 k T per ogni grado di libertà del sistema (secondo la meccanica quantistica questa energia decresce ad alte frequenze, ma bisogna arrivare a frequenze tali che hf >> kT per osservare tale effetto: migliaia di GHz se T ∼ 300 K). In un circuito con resistenze, capacità, induttanze, senza condensatori connessi direttamente in parallelo o induttanze connesse direttamente in serie, il numero di gradi di libertà è pari al numero di induttanze più il numero di condensatori. Infatti dalla conoscenza delle correnti iniziali nelle induttanze e delle tensioni iniziali ai capi dei condensatori è possibile determinare tutte le correnti successive nel circuito. Consideriamo ora due semplici circuiti RL e RC. Nel primo, una induttanza L è in serie ad una resistenza R a temperatura T. L'energia immagazzinata nell'induttanza è 1/2 L i2 e quindi in media si avrà

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1

2 L ⟨δi2⟩ =

1

2 k T (2.25)

analogamente per il circuito con un condensatore in parallelo alla resistenza:

1

2 C ⟨δV2⟩ =

1

2 k T (2.26)

Ora l'idea è di considerare un circuito passabanda, in modo da poter studiare lo spettro di potenza del rumore variando la frequenza di risonanza del circuito. Consideriamo quindi un circuito RLC parallelo (fig.2.4), eccitato dalla corrente di rumore δ i. Questo avrà una impedenza

|Z|2 =

(L/C)Q2

Q2

f

fo

- fo

f

2

+1

; fo =

1

2 π __ √LC

; Q = R

C

L

(2.27)

la corrente Johnson che scorre nel circuito sarà dipendente dalla frequenza f, e quindi si potrà scrivere ⟨δi2f⟩ = wi(f) df. La tensione di rumore ai capi del circuito sarà ⟨δV2⟩ = |Z|2⟨δi2⟩ , ma d'altra parte sappiamo che la tensione ai capi del condensatore deve essere quella data dalla (2.26). Avremo allora che

kT

C

= ⟨δV2⟩ = |Z|2⟨δi2⟩ = ⌠∞ ⌡0

|Z|2 wi(f) df

e quindi

kT

C

= L

C

⌠∞ ⌡0

Q2 wi(f) df

Q2

f

fo

- fo

f

2

+1

Se scegliamo un filtro molto stretto intorno ad fo, wi(f) non varierà molto all'interno dell'integrale, e si potrà riscrivere

kT = wi(fo) R

2 π

⌠ ⌡

∞ 0

Q d(f/fo)

Q2

f

fo

- fo

f

2

+1

L' integrale si può calcolare con la sostituzione f/fo = ex e vale π/2. Quindi

wi(fo) = 4kT

R

→⟨δif2⟩df = 4 k T G df (2.28)

Abbiamo quindi ridimostrato, partendo da considerazioni di termodinamica statistica, la formula di Johnson (2.21) per lo spettro di potenza del rumore di agitazione termica degli elettroni. E' interessante calcolare dalle (2.22) e (2.24) quale sia la potenza di rumore disponibile da una resistenza R a temperatura T. E' noto che dato un generatore di resistenza interna R (la nostra resistenza in esame), si ottiene il massimo trasferimento di potenza se gli si connette un carico di resistenza pari anche essa a R. In queste condizioni la potenza trasferita su R è P = Ri2 = R V2 / (2R)2 = V2/4R e quindi

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Fig. 2.5: Sistema costituito da una resistenza, una antenna ed una cavità di corpo nero, utilizzato per illustrare la relazione tra radiazione di corpo nero e rumore Johnson.

Fig. 2.6: Sistema costituito da un piccolo corpo di capacità termica C, connesso con conducibilità termica G ad un termostato a temperatura T_0. Lungo il collegamento c'è uno scambio continuo di

fononi, che provoca delle fluttuazioni spontanee di temperatura del piccolo corpo.

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⟨P ⟩∆f = 1

2 ⟨V2⟩

4 R

→⟨P ⟩∆f = kT ∆f (2.29).

La potenza Johnson disponibile è quindi indipendente dalla resistenza considerata, e dipende solo dalla temperatura e dalla banda. I numeri in gioco sono ovviamente molto piccoli: dell' ordine di 4×10-21 W/[√Hz] a 300 K e di 10-24 W/[√Hz] a 0.1 K, ma comunque osservabili. Consideriamo ora un sistema costituito da una antenna connessa ad una resistenza, con accoppiamento di impedenza ottimale (fig.2.5). Supponiamo inoltre che l'antenna sia all'interno di una cavità di corpo nero a temperatura T, e che la resistenza si trovi anche essa alla stessa temperatura. L'antenna raccoglierà dalla cavità una potenza radiativa data dalla legge di Planck (metà, perché l'antenna può ricevere solo una polarizzazione):

Wr df = 1

2 A ΩBB(f,T) = AΩ

f2

c2 kT df ; (hf << kT) (2.30)

D'altra parte l'antenna trasmetterà alla cavità la potenza di rumore Johnson generata dalla resistenza:

Wt df = kT df (2.31) Essendo i due sistemi (cavità di corpo nero e resistenza) alla stessa temperatura, si dovrà avere un bilancio dettagliato tra Wr e Wt, per cui sarà

kT df = AΩ

f2

c2 kT df (2.32)

Da questa uguaglianza si ricava il valore della rapidità ottica per ricevitori a singolo modo, o limitati dalla diffrazione (teorema d'antenna)

AΩ = λ2 (2.33).

D'altra parte, se si suppone nota la (2.33) (vedi ad esempio eq. (1.37)), il fatto che la potenza raccolta dall'antenna (2.30) debba essere uguale alla potenza Johnson permette di calcolare quest'ultima. Si ha così una dimostrazione indipendente della formula del rumore Johnson, che mette in luce la profonda relazione che esiste tra questo e la radiazione di corpo nero. Se si evita poi la restrizione a basse frequenze hf << kT, il ragionamento precedente permette di ottenere una ragionevole generalizzazione della formula del rumore Johnson nel limite quantistico: si avrà quindi

⟨wf⟩ df = hf

ehf/kT -1

df (2.34)

e per la tensione si avrà analogamente

⟨v2f⟩ df = 4 R

hf

ehf/kT -1 df (2.35).

Va sottolineato che a temperatura ambiente la (2.35) e' perfettamente equivalente alla (2.21) fino a frequenze altissime (f ≅ 1000 GHz), per cui è inusuale nell' elettronica pratica. Il rumore Johnson può essere usato per la determinazione delle basse temperature. Una resistenza (possibilmente di valore ben noto e stabile) viene posta in contatto con la temperatura da misurare, e connessa all'ingresso di un amplificatore a basso rumore a guadagno noto. La tensione di rumore all'uscita dell'amplificatore permette di ricavare la temperatura attraverso la (2.21). Ovviamente il rumore dell'amplificatore deve essere trascurabile o va misurato indipendentemente per correggere il risultato della misura (ad esempio misurando il rumore per resistenze di valore diverso ed estrapolando a resistenza 0). Il vantaggio maggiore di questo metodo è il fatto che il rumore Johnson è indipendente dalla composizione del resistore, e fornisce una misura della temperatura

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assoluta senza bisogno di calibrazioni. Le imprecisioni legate alla misura della resistenza possono venire eliminate se si misura la potenza di rumore (vedi 2.29). Un metodo che permette di misurare fluttuazioni di frequenza (misurabili con precisione enormemente maggiore rispetto alle fluttuazioni di tensione) e' stato elaborato da Kamper e Zimmerman (1971) usando una giunzione Josephson in parallelo al sensore resistivo. La giunzione oscilla ad una frequenza f = 2 e V / h dove V è la tensione istantanea ai capi della resistenza: fluttuazioni di V sono convertite in fluttuazioni di f che possono essere misurate con grande precisione per mezzo di contatori digitali. 2.3 Rumore di Temperatura Molti componenti elettronici e rivelatori di radiazione hanno parametri dipendenti dalla temperatura. Ad esempio tutte le giunzioni p-n dei semiconduttori al Ge o Si presentano una caratteristica del tipo

i = io (eeV / ηkT - 1) quindi fortemente dipendente dalla temperatura (è dovuta alla dipendenza da T dei tassi di diffusione e di creazione e ricombinazione dei portatori di carica). Se la giunzione è attraversata da una corrente costante, intorno a temperatura ambiente la differenza di potenziale varia di -2.5 mV per ogni grado di aumento di temperatura. Ma la temperatura non è mai perfettamente stabile e questo fatto induce instabilità dei circuiti elettronici e quindi rumore nelle misure effettuate. Particolarmente importanti sono le variazioni a lungo termine della temperatura, che di solito inducono rumore 1/f nelle misure (vedi paragrafo 2.5). I circuiti integrati moderni utilizzano combinazioni complesse di giunzioni, connesse in modo da compensare reciprocamente queste variazioni di caratteristiche, in un intervallo di temperature più o meno ampio: per componenti commerciali da 0 C a 70 C; per componenti industriali da -25 a +80 C ; per componenti militari da -55 C a +125 C. In ogni caso all' interno di questi intervalli di funzionamento ci sono variazioni di caratteristiche che possono essere incompatibili con la accuratezza richiesta dalle misure. Non meno importanti sono le fluttuazioni spontanee e relativamente veloci di temperatura di piccoli sistemi, dovute alla quantizzazione dell'energia termica in fononi. Queste fluttuazioni sono tanto maggiori quanto maggiore è la temperatura e quanto più piccola è la capacità termica. Vedremo che sono di grande importanza per i rivelatori di tipo termico, quali i bolometri e la cella di Golay. Consideriamo infatti un piccolo corpo di capacità C, in equilibrio termodinamico con un termostato a temperatura To, e collegato ad esso con conducibilità termica G. Sia ∆T la fluttuazione di temperatura del corpo (fig.2.6). Dalla termodinamica si può ricavare la varianza di ∆T(t). Per un sistema di piccoli corpi in equilibrio a temperatura T la probabilità dello stato ad energia Ei è

Pi = Ae-[(Ei)/ kT] =

e-[(Ei)/ kT]

∑ k

e-[(Ek)/ kT]

si può allora ricavare l' energia media

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⟨E ⟩ = ∑ Ei Pi =

∑ i

Ei e-[(Ei)/ kT]

∑ i

e-[(Ei)/ kT]

e quindi la capacità termica

C = d⟨E ⟩

dT

= ⟨∆E2⟩

kT2

= C2 ⟨∆T2⟩

kT2

da cui

⟨∆T2⟩ =

kT2

C (2.36).

Per ricavare lo spettro di potenza delle fluttuazioni di temperatura si deve considerare l'equazione differenziale che descrive la temperatura del sistema. In assenza di perturbazioni si avrà

C d T(t)

dt

+ G ( T(t) - T0) = W(t) (2.37).

dove W(t) e' l'eventuale potenza fornita al sistema. Se dobbiamo includere nella trattazione fluttuazioni spontanee di temperatura, si dovrà ammettere che la potenza W(t) sia fluttuante, positiva e negativa (fornita e sottratta al sistema), e completamente casuale, e quindi a spettro bianco. Chiameremo H(t) questa potenza (Metodo di Langevin), ed indicheremo con ∆T le conseguenti fluttuazioni di temperatura. Si potrà scrivere:

C d ∆T(t)

dt

+ G ∆T(t) = H(t) (2.38)

D'altra parte, sviluppando in serie di Fourier ∆T(t) = ∑an exp(2 πi fn t) e H(t) = ∑bn exp(2 πi fn t) e sostituendo nella (2.38), e ricordando che le armoniche sono indipendenti tra loro, si trova la relazione tra i coefficienti an e bn:

an ( C 2 πi fn + G ) = bn

e quindi la relazione tra gli spettri di potenza:

wT(f) =

wH

(2 πf C)2 +G2

(2.39).

A questo punto si può utilizzare la varianza delle fluttuazioni di temperatura (2.36), ricavando

k T2

C = ⟨∆T 2⟩ =

⌠∞ ⌡0

wT(f) df = wH

⌠∞ ⌡0

df

(2 πf C)2 +G2 =

wH

2 πG C ⌠∞ ⌡0

dx

1 + x2 =

wH

4 CG

da cui, sostituendo wH nella (2.39) si ricava:

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wT(f) = 4 k T2 G

(2 πf C)2 +G2

(2.40).

Anche in questo caso si ottiene un rumore RMS crescente con la temperatura, stavolta addirittura linearmente. E' chiaro che, ancora una volta, l'unico metodo per ridurre queste fluttuazioni consis te nel raffreddare il sistema. 2.4 Shot noise e rumore di generazione - ricombinazione Finora abbiamo studiato lo spettro di potenza del rumore generato dall'agitazione termica. In certe condizioni, una importante sorgente di rumore elettrico è il fatto che la carica non è un fluido continuo, ma è costituita da grani elementari, gli elettroni. Mentre finora abbiamo studiato rumore di origine termica, adesso andiamo a studiare rumore generato dalla quantizzazione. Il flusso di elettroni sarà quindi accompagnato da fluttuazioni simili a quelle che si sentono quando la pioggia cade su un tetto (shot noise): la pressione esercitata dalla pioggia non è perfettamente costante perché il numero di gocce che cade per unità di tempo sul tetto varia intorno al valore medio. Si ha shot noise in un circuito tutte le volte che non ci sono correlazioni preordinate nel flusso di elettroni, nel qual caso invece il rumore shot viene annullato. Ad esempio si avrà shot noise nel passaggio di corrente in un tubo a vuoto, o, più in generale, nel passaggio di carica attraverso una barriera di qualche genere. Non si avrà invece shot noise nella corrente in un conduttore, proprio perché in quel caso il flusso di elettroni ha correlazioni a larga scala. Lo shot noise fu studiato per la prima volta da Schottky (1918). La formula delle fluttuazioni di corrente dovute a shot noise si ricava semplicemente dalla statistica di Poisson: se si assume che ogni elettrone che si stacca dal catodo per arrivare all'anodo sia completamente indipendente dagli altri, si può applicare tale statisitica al numero n di elettroni emesso in un intervallo di tempo fisso t: avremo ⟨δn2⟩ = ⟨n ⟩ e quindi per la carica q passata nello stesso intervallo di tempo avremo

⟨δq2⟩ = e2 ⟨δn2⟩ = e2 ⟨n ⟩ = e2 i t /e = e i t (2.41).

Abbiamo di nuovo una formula di random walk del tipo (2.18). Lo spettro di potenza delle fluttuazioni di corrente può essere trovato analogamente a quanto fatto per il rumore Johnson. Usando ancora una volta la (2.19) si potrà scrivere

⟨δi2f⟩df = wi(f) df = 2 e i df (2.42).

Ancora una volta abbiamo uno spettro di potenza piatto, ma con origine fisica completamente differente da quella del rumore Johnson (tra l'altro questo effetto è indipendente dalla temperatura). Anche in questo caso l'effetto (il rumore shot) può essere utilizzato per avere informazioni a livello microscopico: ad esempio per determinare il quanto di carica elettrica (Hull e Williams, 1925). E' evidente dalla derivazione che lo shot noise si ha molto spesso (tutte le volte che gli eventi sono descritti dalla statistica di Poisson). E' interessante quindi calcolare il rapporto segnale rumore (S/N) nel caso dello shot noise. Supponiamo si debba misurare la corrente i: avremo dalla (2.42) ∆i = √ ⟨∆i2⟩ = √ 2 e i ∆f per cui

S

N

=

i

√ 2 e i ∆f

=

i

2 e ∆f

(2.43):

si vede quindi che il rapporto segnale rumore cresce stringendo la banda di frequenze a cui si è sensibili: infatti in questo modo si riduce il rumore, il cui valore rms è proporzionale a √ ∆f. D'altra parte S/N può essere calcolato anche dalla (2.41): si ottiene ∆i = √ ⟨∆q2⟩ / t = [√( ei/t)] da cui

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S

N

=

i t

e

(2.44)

Di qui si vede che il rapporto segnale rumore cresce con la radice del tempo di osservazione (tempo di integrazione). E' questo un risultato molto generale, collegato al fatto che la stima dell'errore sulla media è inversamente proporzionale alla radice del numero di misure indipendenti. Se ne deduce anche che aumentare il tempo di integrazione equivale a restringere la banda di frequenze a cui si è sensibili, un risultato anche questo molto generale. Il caso dei tubi termoionici è oggi abbastanza desueto, ma lo shot noise è alla base dei modelli di rumore nei transistor. Infatti nei semiconduttori avvengono fluttuazioni di corrente a causa della generazione (probabilità finita di ionizzazione di un donore) e ricombinazione (probabilità finita di ricombinazione in un accettore ionizzato) dei portatori di carica. Ambedue i processi avvengono in prima approssimazione indipendentemente per ciascun portatore, per cui si trattano come shot noise. Supponiamo che i portatori abbiano una vita media τ caratteristica del processo di generazione e ricombianzione. Sia ⟨P ⟩ il numero medio di lacune. Suddividiamo le lacune in un grande numero di sottosistemi con fluttuazioni indipendenti. Supponiamo che uno di questi sottosistemi abbia una fluttuazione ∆P = ∆Po a t = 0. Ad un istante u successivo, per definizione di vita media, avremo ⟨∆P (u) ⟩s = ∆Po exp(- u/τ) dove il simbolo ⟨⟩s indica la media fatta sul sottosistema. Allora ∆Po⟨∆P (u) ⟩s = ∆Po

2 exp(- u/τ) e quindi mediando su tutti i sottoinsiemi si ricava la funzione di autocorrelazione del processo

⟨∆P(0) ∆P (u) ⟩ = ⟨∆Po⟨∆P (u) ⟩s⟩ = ⟨∆Po2⟩exp(- u/τ) (2.45)

e quindi lo spettro di potenza attraverso la (2.13):

wP(f) df = 4 ⟨∆P2⟩ τ

1 + (2 πf τ)2

df (2.46).

Se indichiamo con N il numero totale di portatori si ottiene per il rumore di generazione e ricombinazione

wN(f) df = 4 ⟨∆N2⟩ τ

1 + (2 πf τ)2

df (2.47).

Di solito si ha

⟨∆N2⟩ = βNo (2.48)

dove No è il valore di equilibrio del numero di portatori e β è una costante quasi indipendente da No, ma dipendente dalla statistica dei portatori di carica nel materiale. Le fluttuazioni in numero possono essere rivelate facendo scorrere una corrente Io nel campione. Si ha subito che i = (Io/No) N e quindi

wi(f) = io2

No2

wN(f) = 4 io2

No2

⟨∆N2⟩ τ

1 + (2 πf τ)2

(2.49)

oppure

wi(f) = 4 βio2

No τ

1 + (2 πf τ)2

(2.50).

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Queste formule sono utili per lo studio del rumore nei rivelatori infrarossi a fotoconduzione (vedi cap.5). 2.5 Flicker noise e rumore 1/f Si può dimostrare (Van der Ziel, 1976) che se c'è una distribuzione di costanti di tempo τ, il rumore di generazione e ricombinazione assume uno spettro del tipo

wi(f) =

αio2

f No (2.51)

Questo spettro è detto Flicker Noise, ed è caratteristico di mezzi in cui i processi di generazione e ricombinazione vengono modulati da altri effetti. Un esempio sono i semiconduttori con uno strato di ossido superficiale: la superficie contiene trappole per elettroni: per ogni elemento di superficie, la trappola più vicina sarà ad una certa distanza y nell'ossido. Gli elettroni possono arrivare alla trappola per tunnelling, ma la probabilità di tunnelling sarà proporzionale a exp(-αy). Conseguentemente la costante di tempo per il processo sarà dipendente dalla distanza dell'elemento di superficie dalla trappola:

τ = τo exp(αy) (2.52), e la distribuzione delle trappole determinerà la distribuzione delle costanti di tempo (Mc Worther 1957). Sia y la profondità nello strato di ossido. Consideriamo ad esempio una distribuzione di trappole tra y = 0 e y = y1, con distribuzione di probabilità g uniforme nell' intervallo, g(y)dy = dy/y1, e zero altrove. La corrispondente distribuzione di costanti di tempo si troverà semplicemente dalla relazione y = (1/α) ln( τ/τ1), cioè

g(τ) dτ = dP(τ)

dτ = dP(y(τ))

dy

dy

dτ = 1

y1

dy

dτ ⇒

g(τ) dτ = dτ/ τ

ln(τ1/τ0)

; τ0< τ < τ1 = τ0 e(αy1

) (2.53)

Si troverà quindi lo spettro di potenza delle fluttuazioni di corrente mediando gli spettri (2.50) sulle costanti di tempo τ possibili, pesando con la distribuzione di probabilità g(τ) data dalla (2.53). Avremo cioè

⟨wI(f) ⟩ = 4 βio2

No ⌠∞ ⌡τ0

g(τ)

τ

1 + (2 πf τ)2 dτ

e quindi

⟨wI(f) ⟩ = 4 βio2

No ln(τ1/τ0) 1

2 πf

[ arctan(2 πf τ1) - arctan( 2 πf τ0 ) ]

e nell' intervallo 1/τ1 << 2 πf << 1/τ0

⟨wI(f) ⟩ = βio2

No ln(τ1/τ0) 1

f

(2.54).

Abbiamo quindi trovato uno spettro 1/f causato da una distribuzione uniforme di trappole nello strato di ossido.

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Fig. 2.7: Spettri di rumore di un amplificatore a MOS-FET (e di uno a J-FET. Ad alte frequenze

domina il rumore bianco (rumore Johnson), mentre a basse frequenze domina il rumore 1/f. Questo è molto più marcato nell'operazionale a MOS-FET, a causa dello strato di ossido isolante

superficiale contenente trappole per elettroni di conduzione.

Fig. 2.8: Combinazione serie/parallelo di resistenze utilizzata per sostituire una singola resistenza e ridurre significativamente il rumore 1/f.

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Esempio tipico di componenti elettronici affetti da Flicker noise sono i transistor MOSFET, in cui viene utilizzato uno strato di ossido metallico (biossido di silicio di solito) per ottenere l'isolamento tra gate e canale. In fig.2.7 si confrontano gli spettri di rumore di un amplificatore operazionale con ingresso a MOS-FET e di un amplificatore operazionale con ingresso a J-FET. E' anche comunemente sperimentato che componenti elettronici con chip di dimensioni minori sono maggiormente affetti da rumore 1/f: infatti il rapporto tra superficie e vo lume attivo è superiore per componenti più piccoli. I componenti realizzati per segnali ad alte frequenze sono generalmente molto piccoli, in modo da ridurne la capacità. Non sarà quindi utile usarli a basse frequenze, perché mostreranno un rumore di origine 1/f molto maggiore che non i componenti ottimizzati per le basse frequenze. Tuttavia è stato dimostrato che il rumore 1/f è ben più generalmente diffuso, ed esiste anche nella conduzione di corrente all'interno del materiale (bulk conduction, Hooge 1972). La spiegazione precedente, che invoca effetti di superficie, è probabilmente corretta nel caso dei MOSFET, ma assolutamente inadeguata in generale. Una relazione empirica per il rumore 1/f in campioni di materiali perfettamente omogenei è

∆G

G

2

⟩ = α

N

∆f

f

(2.55)

dove G è la conducibilità del materiale, α è una costante empiricamente determinata, dell'ordine di 2 ×10-3, ed N è il numero totale di portatori di carica. La (2.55) è stata verificata per frequenze comprese tra 5 ×10-5 Hz e 10 KHz. Componenti affetti da rumore 1/f di questo genere sono le resistenze a carbone. Queste sono costruite con un impasto di un grande numero di grani conduttori, con cattivo contatto elettrico dall'uno all'altro. La resistenza di ciascuno di questi contatti fluttua nel tempo. E' chiaro che queste resistenze vanno evitate in tutti i circuiti a basso rumore, preferendo resistenze a filo (che però sono induttive) o a strato metallico. Un metodo per ridurre il rumore 1/f delle resistenze e' quello di utilizzare combinazioni serie/parallelo di resistenze. Con una singola resistenza, in cui scorre una corrente i, la fluttuazione di tensione ai capi di R sarà ∆V = i ∆R, e quindi lo spettro di potenza delle fluttuazioni di tensione sarà wV(f) = i2 wR(f). Supponiamo ora di costruire R utilizzando un parallelo tra N serie di N resistenze, ciascuna di valore R (fig.2.8). Se i è la corrente totale, la corrente in ciascuna delle serie sarà i/N e quindi lo spettro della tensione di rumore ai capi di ciascuna delle resistenze sarà w1

V(f) = i2 wR(f) / N2. Siccome le resistenze fluttuano indipendentemente, lo spettro della tensione di rumore ai capi di ciascuna della serie sarà N w1

V(f). Ci sono N di queste serie in parallelo, ciascuna fluttuante in modo indipendente: quindi lo spettro delle fluttuazioni di tensione ai capi del sistema è ridotta di un fattore N rispetto allo spettro delle fluttuazioni ai capi della singola serie. Otteniamo quindi per il sistema completo uno spettro di tensione w1

V(f) = i2 wR(f) / N2 = wV(f)/N2. Il valore rms delle fluttuazioni di tensione è quindi ridotto di un fattore N. E' evidente che questo metodo funziona perché il rumore 1/f è proporzionale alla corrente che scorre nella resistenza: riducendo la corrente si riduce il rumore. Il metodo infatti non riduce il rumore Johnson (che è indipendente dalla corrente) ed il sistema serie/parallelo avrà esattamente lo stesso rumore Johnson della singola resistenza. Un'altra sorgente di rumore 1/f sono i contatti elettrici. Quando due corpi conduttori relativamente grandi (ad esempio sferici) dello stesso materiale vengono pressati insieme, si può costruire un modello che prevede rumore 1/f nella resistenza di contatto (Hooge et al. 1969). E' pratica comune trovare rumore 1/f in contatti semiconduttore metallo (specialmente se mal eseguiti). Una tipica traccia di rumore 1/f è mostrata in fig.2.9, a confronto con una di solo rumore bianco. E' evidente che, a causa del maggior contenuto di basse frequenze, il rumore 1/f tende maggiormente ad allontanarsi dalla media.

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Fig. 2.9: Confronto tra rumore 1/f (sopra) e bianco (sotto). Ambedue i rumori hanno la stessa varianza e sono limitati alla banda 1 Hz \div 100 Hz. A causa della preponderanza delle basse

frequenze il rumore 1/f tende a deviare per lunghi periodi dalla media. Questo rende impossibile ridurlo aumentando il tempo di integrazione.

Fig. 2.10: Misura di un gradino di tensione eseguita in presenza di rumore bianco (a sinistra) e

rumore 1/f (a destra). E' evidente che nel secondo caso il rapporto segnale / rumore non migliora aumentando la durata della misura.

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Questa proprietà rende impossibile ridurre l' errore di misura aumentando il tempo di integrazione o riducendo la banda come si fa per ridurre il rumore bianco (Johnson, Shot, ... vedi equazioni 2.43 e 2.44). Per dimostrare quanto appena detto, basta supporre di voler misurare una corrente i affetta da rumore 1/f. L' errore di misura sarà

∆i = ⟨∆i2⟩1/2 =

⌠ ⌡

fmax fmin

wI(f) df

=

A ln fmax

fmin

Ora la minima frequenza a cui si è sensibili è dell'ordine di 1/T dove T è il tempo totale di misura, mentre la massima frequenza a cui si è sensibili è dell'ordine di 1/τ, dove τ è la costante di tempo dello strumento di misura. Il rapporto T/τ = n è il numero di dati indipendenti che si vogliono ottenere, il suo inverso è la risoluzione temporale percentuale. Si ha quindi

∆i =

√ A ln n

(2.56),

dipendente solo dalla risoluzione temporale percentuale che si vuole ottenere, e non dal tempo totale di misura. Ben diverso è il caso del rumore bianco: in tal caso

∆i = ⟨∆i2⟩1/2 = √

A′∆f =

__________ √ A′(fU - fL)

= __________ √ A′(n-1)/ T

(2.57)

e quindi, a parità di risoluzione temporale percentuale, si può ridurre l'errore di misura aumentando il tempo di integrazione. In fig.2.10 si mostra un esempio in cui la stessa misura viene eseguita nel caso di rumore bianco e di rumore 1/f. Dal punto di vista pratico, è ovvio che la presenza di rumore 1/f implica che vanno evitate misure fatte in DC o a basse frequenze. Quando è possibile è sempre preferibile utilizzare segnali a frequenza relativamente alta, in modo da diminuire l'effetto del rumore 1/f ad un livello inferiore al rumore Johnson. Metodi per convertire segnali continui (e quindi pesantemente affetti da rumore 1/f) in segnali alternati a frequenza abbastanza alta sono detti a chopper, o a modulazione (vedi paragrafo 3.3). 2.6 Rumore di origine fondamentale negli amplificatori La meccanica quantistica ci assicura che è impossibile realizzare un amplificatore lineare (cioè preservante l'informazione di fase) totalmente senza rumore. Tutte le volte che si amplifica un segnale si deve quindi necessariamente introdurre una piccola quantità di rumore. La prova dell'affermazione precedente è del tutto indipendente dai dettagli della realizzazione dell'amplificatore, e deriva direttamente dal principio di indeterminazione di Heisenberg. Gli errori nella misura dell'energia E e dell'istante t in cui il sistema possiede questa energia sono infatti soggetti alla relazione di indeterminazione ∆E ∆t ≥ h/4 π . D'altra parte l'energia E è costituita da n quanti con energia h ν, e la fase del segnale è φ = 2 πνt per cui la precedente relazione può essere riscritta come segue (principio di complementarità):

∆n ∆φ≥ 1/2 (2.58):

l'incertezza nel numero di quanti non può essere ridotta se non al prezzo di un aumento dell'incertezza nella fase del segnale. Ora un amplificatore lineare senza rumore avrebbe l'unico effetto di amplificare l'ampiezza del segnale, e quindi aumentare n di un fattore pari al suo guadagno G. Conseguentemente si potrebbe stimare n con una incertezza ridotta di un fattore G. Per non violare il principio di indeterminazione, l'amplificatore deve introdurre un pari peggioramento

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nella stima dello sfasamento del segnale, oppure lasciare la fase imperturbata, ma introdurre un considerevole rumore sull'ampiezza del segnale (Heffner 1962). Il rumore minimo introdotto da un amplificatore lineare deve essere (G-1)hν/ ∆φ sull'uscita, in modo che per il segnale di ingresso valga la (2.58) come uguaglianza. E' quindi impossibile costruire un amplificatore lineare esente da rumore, o, se si preferisce, si può interpretare il principio di indeterminazione come una manifestazione di un rumore di carattere fondamentale. La relazione (2.58) può essere applicata al numero di fotoni rivelati da un sistema di misura. E' chiaro quindi che esistono due categorie di rivelatori: quelli che preservano la fase (e quindi soggetti alla 2.58) e quelli che misurano il singolo fotone (ma che non mantengono l'informazione della fase). Si dicono coerenti i rivelatori del primo tipo (ad es. i radioricevitori), incoerenti i rivelatori del secondo tipo. Quasi sempre in astrofisica è sufficiente conoscere il numero di fotoni, mentre non si ha interesse a conoscere la fase di questi: è chiaro quindi che in questo ambito i rivelatori incoerenti sono in principio migliori di quelli coerenti. In pratica però la presenza di rumori di altro tipo (Johnson, termico, shot etc.) complica notevolmente il confronto tra le due categorie di rivelatori. Notiamo infine che alcuni amplificatori, detti parametrici, riescono a trasformare ciascun fotone in un fotone di energia superiore, senza introdurre rumore di fase. In questo modo soddisfano ancora la (2.58), ma elevano l'energia del segnale, innalzandolo rispetto al rumore termico (Oliver 1965). 2.7 Rumore fotonico Qualsiasi sorgente di radiazione, anche la più stabile, ha fluttuazioni di intensità, dovute al fatto che la radiazione è costituita da singoli fotoni, ed i loro tempi di arrivo sono in prima approssimazione casuali. Si avranno quindi fluttuazioni del numero medio di fotoni incidenti sul rivelatore per unità di tempo, e quindi della potenza rivelata. In prima approssimazione possiamo applicare la statistica di Poisson (come fatto per lo shot noise) al numero m di fotoni in arrivo per unità di tempo. La fluttuazione quadratica media dell' energia radiante sarà quindi

⟨(∆E)2⟩ = (hν)2⟨(∆m)2⟩ = (hν)2⟨m ⟩ = (h ν)2 W

t = h νW t (2.59)

dove W = [dE/dt] è la potenza radiativa. Abbiamo ancora una volta una formula del tipo 'random walk' (2.18) e si può quindi scrivere l'analoga della (2.19) per le fluttuazioni di potenza:

⟨(∆W)2⟩df = 2 h νW df (2.60)

La formula precedente si applica ad esempio ai fotoni di un raggio laser, per i quali la statistica è perfettamente poissoniana. Ad esempio un laser a elio-neon (630 nm) con potenza di 1 mW ha fluttuazioni di potenza di 2.5 ×10-11 W/[√Hz]. E' quindi inutile utilizzare un rivelatore con rumore inferiore per osservarlo, perché la precisione delle osservazioni sarà limitata dalle fluttuazioni intrinseche della radiazione. Questo caso si presenta spesso in ambito astrofisico, specialmente per fotoni di alta energia o per sorgenti visibili deboli, in cui il numero di fotoni raccolti durante il tempo di integrazione è molto limitato. In realtà i fotoni sono bosoni, e nel caso di radiazione termica la statistica corretta è quella di Bose-Einstein, che prevede delle correlazioni negli istanti di arrivo dei fotoni. In altre parole, l'arrivo di un fotone sul rivelatore rende leggermente più probabile l'arrivo di un secondo fotone. Si prevede quindi un aumento delle fluttuazioni della potenza rispetto a quanto previsto dalla (2.60). Dal punto di vista classico ci si può aspettare un effetto del genere se si considera che i fotoni interferiscono tra loro, ed i campi elettromagnetici loro associati possono interferire distruttivamente, mandando a zero la potenza trasportata, o costruttivamente, aumentando di un fattore rilevante tale potenza. Oltre al rumore poissoniano, caratteristico delle particelle, i fotoni presentano quindi un rumore di

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interferenza, caratteristico delle onde. E' questa una ulteriore prova del dualismo ondulatorio - corpuscolare dei fotoni. Handbury-Brown e Twiss (1957) hanno dimostrato sperimentalmente l'esistenza di questo termine di eccesso di rumore fotonico. Nel caso di radiazione termica, si può ricavare la formula delle fluttuazioni di potenza nel modo seguente. Per un gas ideale in equilibrio termodinamico la funzione di distribuzione (particelle per unità di volume e di livello energetico) è data da

⟨N ⟩ = g

e(E-µ)/kT + ζ

dove g è la degenerazione del livello energetico, µ il potenziale chimico, e ζ = -1, 0, +1 rispettivamente per bosoni, fermioni e particelle distinguibili. Si calcola la varianza delle fluttuazioni di n usando la relazione (vedi ad es. Rumer Ryvkin, pagina 391)

⟨∆N2⟩ = T d ⟨N ⟩

d µ

|T,V

da cui, nel caso dei fotoni si ha

⟨∆N2⟩ = ⟨N ⟩+

⟨N ⟩2

g (2.61).

Si vede subito che c'è una fluttuazione in eccesso rispetto a quella poissoniana data dal primo termine e caratteristica delle particelle distinguibili. Il termine in eccesso è dovuto alla natura ondulatoria dei fotoni, e quindi all'interferenza che si produce quando tendono ad addensarsi (vedi anche Kittel, Statistical Physics). Nel caso di radiazione di corpo nero possiamo calcolare la degenerazione dei livelli usando la (1.32) per il numero di gradi di libertà per unità di volume, angolo solido e frequenza, calcolando

g = 2

ν2

c3 4π V dν

e la (1.47) per calcolare

⟨N ⟩= 8πν2

c3 1

e[(hν)/ kT] -1

V dν

sostituendo queste nella (2.61) si ha

⟨∆N2⟩ = ⟨N ⟩

1 + 1

e[(hν)/ kT] - 1

(2.62).

Si può osservare che nella regione di Wien (alte energie, hν >> kT) si ha ⟨∆N2 ⟩ = ⟨N ⟩ (cioè i fotoni di alta energia si comportano come particelle classiche, e le fluttuazioni sono poissoniane); nella regione di Raileigh-Jeans invece (basse energie, hν << kT) si ha

⟨∆N2⟩ = ⟨N ⟩

kT

per cui l'eccesso di rumore diventa sempre maggiore all'aumentare della lunghezza d'onda. Le fluttuazioni dell'energia di corpo nero saranno date in generale da

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⟨∆E2⟩ = (hν)2⟨N ⟩

1 + 1

e[(hν)/ kT] - 1

= hν W t

1 + 1

e[(hν)/ kT] - 1

e quindi le fluttuazioni della potenza misurata da un rivelatore nella cavità saranno (usando ancora le 2.18 e 2.19)

⟨∆W2⟩df = 2 h ν⟨W ⟩

1 + 1

e[(hν)/ kT] - 1

df

ed usando la (1.36) per la potenza di corpo nero ⟨W ⟩ si ha subito

⟨(∆W)2⟩df =

4k5

c2 h3

A Ω

T5 ⌠ x2 ⌡ x1

x4 ex

(ex-1)2 dx df

1/2

(2.63)

Quest'ultimo passaggio è valido solo se AΩ >> λ2 (vedi Lamarre, 1986). Numericamente

4k5

c2 h3

= 2.77·10-18

W

____________ √cm2 sr Hz K5

(2.64).

E' evidente che le fluttuazioni della radiazione termica sono estremamente sensibili alla temperatura della sorgente. Nel caso di un corpo grigio di emissività ε si ha un numero di fotoni ⟨N′⟩ = ε⟨N ⟩: dalla (2.61) si ottiene quindi

⟨∆N′2⟩ = ε⟨N ⟩

1 + ε

e[(hν)/ kT] - 1

.

Quindi, oltre ad una diminuzione del numero medio di fotoni, si ha una degenerazione del fattore di Bose con conseguenze particolarmente importanti nella regione di Raileigh-Jeans. La formula delle fluttuazioni di potenza è quindi

⟨(∆W)2⟩df =

4k5

c2 h3

A Ω

T5 ⌠ x2 ⌡ x1

ε

x4 (ex-1+ε)

(ex-1)2 dx df

1/2

(2.65).

Un qualsiasi rivelatore opera in un ambiente (il telescopio, i filtri etc.) che emette radiazione termica, detta di background: questa è sovrapposta alla radiazione da misurare e può essere anche molto maggiore. Un esempio tipico è quello dell'emissione termica degli specchi di un telescopio. Questi emettono come corpi grigi con emissività dell'ordine di qualche per cento (ma dipendente dalla lunghezza d'onda). A temperatura ambiente (300 K) la loro emissione è perfettamente trascurabile nel visibile, ma è enorme a lunghezze d'onda del medio infrarosso, alcuni ordini di grandezza superiore all'emissione tipica di sorgenti astrofisiche. Per evitarla si usa un metodo differenziale, che consiste nell'osservare alternativamente la sorgente (misurando Ssorg. + Sspecchio ) e una zona di riferimento fuori dalla sorgente (dove si misura solo Sspecchio ). Se l'emissione dello specchio fosse perfettamente stabile si potrebbe semplicemente fare la differenza nei due casi, e ricavare così l'emissione della sorgente. Purtroppo non è così. Anche se il rumore del rivelatore è trascurabile, resta sempre il rumore fotonico associato all'emissione termica dello specchio, che fa fluttuare Sspecchio da un istante

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al successivo. L'effetto può essere calcolato utilizzando la 2.65. Misure limitate dalle fluttuazioni della radiazione di background (in questo caso l'emissione dello specchio, ma più in generale l'emissione dell'ambiente, dell'atmosfera, ...) si dicono realizzate in BLIP (Background limited photodetection). E' chiaro che l'unico modo per ridurre il rumore della misura in questo caso consiste nel ridurre la temperatura dello specchio, visto che la 2.65 dà un andamento approssimativamente del tipo T5/2. Il rumore fotonico del rivelatore comprende quindi due contributi: il rumore intrinseco della radiazione da misurare ed il rumore del background. Normalmente la radiazione di background è di tipo termico (ad esempio il laboratorio emette radiazione di corpo nero a 300 K), e si vogliono ora calcolare le sue fluttuazioni, che seguiranno la legge (2.65). Se la radiazione incide sul rivelatore attraverso un filtro con trasmissione E(ν), efficienza di assorbimento A(ν) e proviene da un corpo grigio con emissività η(ν) si ha in ε(ν) = E(ν) A(ν) η(ν). Va rimarcato il fatto che nel visibile e ultravioletto il carattere ondulatorio della radiazione è trascurabile, e le fluttuazioni sono quasi perfettamente poissoniane. I calcoli del rumore fotonico saranno sempre fatti usando la (2.60). Inoltre in queste bande l'emissione di background dell'ambiente è di solito resa trascurabile (l'emissione termica lo è sicuramente, perché siamo nella regione x >> 1, e di solito il background è costituito da radiazione diffusa dall'atmosfera verso il rivelatore, come ad esempio le luci di città). Nell'infrarosso lontano e millimetrico sono importanti sia il contributo corpuscolare che quello ondulatorio, ed è anche particolarmente importante l'effetto della radiazione di background: tutti i corpi a temperatura ambiente emettono cospicuamente radiazione nell' infrarosso lontano. Un esempio tipico è quello di un rivelatore bolometrico sensibile alla banda 1 ÷1.4 mm, che osserva la radiazione ambiente (corpo nero a T = 300 K) con una efficienza totale ε = 0.1: si ottiene dalla (2.65)

√ ⟨(∆W)2⟩ = 2.4 ·10-15

W

_________ √cm2 sr Hz

.

La radiazione di background e le sue fluttuazioni possono essere ridotte sostanzialmente raffreddando l'ambiente che viene osservato dal rivelatore. Un esempio limite inferiore è quello di un telescopio spaziale, col telescopio raffreddato criogenicamente e con specchi a bassa emissività: in tal caso il rivelatore è sensib ile (con efficienza dell' ordine del 50%) alle sole fluttuazioni della radiazione di fondo cosmico (T = 2.7 K) e si ottiene (nella banda tra 500 µm e 3000 µm)

√ ⟨(∆W)2⟩ = 1.1 ·10-16

W

_________ √cm2 sr Hz

.

In fig.4.9B si confrontano spettri di fluttuazioni di rumore termico con spettri di segnali di tipo astrofisico. Va sottolineato il fatto che alle frequenze elettriche di operazione dei rivelatori il rumore indotto da fluttuazioni fotoniche è di tipo bianco, e quindi si riduce aumentando il tempo di integrazione (come si è visto in eq.2.57).

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Riferimenti Capitolo 2 Callen H.C., Welton T.A., 1951, Phys. Rev., 82, 296. Ellis H.D., Moullin E.B., 1932, Proc. Cambridge Phys. Soc., 28, 386. Einstein A., 1905, Ann. Phys., 17, 549. Einstein A., 1906, Ann. Phys., 19, 289, 371. Johnson J.B., 1928, Phys. Rev., 32, 97. Handbury-Brown R., Twiss R.Q., 1957, Proc. R. Soc., A243, 291 e 300. Heffner H., 1962, Proc.. IRE, 50, 1604. Hooge F.N., Hoppenbrowers A.M.H., 1969, Physic Letters, 29A, 642. Hull A.W., Williams N.H., 1925, Phys. Rev., 25, 147. Kamper R.A., Zimmermann E., 1971, J. Appl. Phys., 42, 132. Kubo R., 1956, Can. J. Phys., 34, 1274. Lamarre J.M., 1986, Appl.Opt., 25, 870. Langevin M.P., 1908, Comptes Rend. Acad. Sci., Paris, 146, 530. Nyquist H., 1928, Phys. Rev., 32, 110. Oliver B.M., 1965, Proc. IEEE, 53, 436. Rumer B., Ryvkin M.S., Thermodynamics, Statistical Physics and Kinetics, MIR, Mosca. Schottky, W., 1918, Ann. Phys., 57, 541. Schottky, W., 1926, Phys. Rev., 28, 74. Van der Ziel A., 1976, Noise in measurements, capitolo 7, Wiley, New York. Wiener N., 1926, Jour. Math. and Phys., 5, 99.