Capitale, razionalità tecnologica e sistema formativo 2011

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Viviamo in un'epoca in cui l'assolutismo del capitale, la logica totalitaria della razionalit tecnologica e le esigenze del sistema di produzione spingono con forza per colonizzare ogni ambito ancora non direttamente asservito ai principi operativi di quel mondo. L'epoca in cui viviamo segnata dal tentativo di integrare sotto l'operativit scientifica del capitalismo globale la sfera politica e quella economica, facendo diventare la prima pura amministrazione (policy), subordinata alle leggi del marketing ed elevando la seconda a sommo regolatore delle relazioni sociali, ridotte cos, nella loro essenza qualitativa, alla pura natura di rapporti sociali di produzione. E' nel mondo del lavoro che gli effetti di questo processo si fanno pi evidenti. Il lavoro torna violentemente ad essere merce generale ed astratta, fattore di produzione misurabile, controllabile, e per questo identico a tutti gli altri fattori di produzione. Una merce scambiabile in egual misura con le altre. Il lavoro come diritto e quindi come fatto qualitativo si contrappone alla funzionalit della produzione, negando l'aspetto indistinto ed astratto della merce forza lavoro. Per questo lo sforzo della politica, intesa ora come braccio normativo del capitale, stato ed tuttora quello di spogliare da ogni connotazione extra-economica il lavoro. Per fare ci occorre che la forza lavoro sia formalmente separata dalla persona del lavoratore, ma nello stesso tempo occorre che la coscienza di questa separazione non pervenga allo stesso, la qual cosa si ottiene separando il lavoratore dalla classe dei lavoratori, affinch questo non possa collegare la sua condizione individuale con una condizione sociale, quella di una classe. Il processo contraddittorio: se da una parte il lavoro come merce ha bisogno di tornare ad essere valore astratto e generale, identico alle altre merci e per questo misurabile, occorre dall'altro eliminare la consapevolezza della natura sociale del valore cos prodotto, natura tanto estesa da assumere oggi carattere compiutamente globale. La portata della coscienza di classe, la consapevolezza della natura sociale della produzione, raggiunge oggi un potenziale che travalica i confini nazionali. L'atomizzazione sociale, l'ideologica negazione del carattere di classe della societ, a maggior ragione strumento necessario per mascherare l'appropriazione privata di merci prodotte socialmente da lavoro generale astratto e per impedire il sorgere di nuove coscienze di classe rischiosamente collidenti con l'organizzazione capitalistica della societ. L'alienazione cos generata deve necessariamente trovare forme di compensazione in un sistema capace di legittimarsi tramite una sempre pi vincolante razionalit tecnologica capace di sviluppare forme di dominio auto-rafforzantesi. Il feedback positivo sarebbe generato da un processo che legherebbe la condizione stessa del soddisfacimento dei bisogni alla natura tecnologico-efficiente del sistema di produzione, sistema le cui logiche vengono espanse ad ogni ambito sociale. L'innovazione tecnologica assicurerebbe cos un maggiore soddisfacimento dei bisogni, a patto per che la catena della produzione non sia turbata da inefficienze, ma sia anzi razionale e scientifica. La divisione del lavoro assume un aspetto indiscutibile tanto pi sembra esser legato a fattori oggettivi, algebrici, esatti. Questa Ragione totale su base tecnologica limita fortemente l'autonomia dei bisogni, delle rivendicazioni, assumendo entro i suoi confini ogni sviluppo e realizzazione sociale. Mettere in discussione questo assetto sposta la critica su un piano illogico, irrazionale e privo di legittimit. L'aspetto della calcolabilit ha un potere fortemente reificante: il gesto lavorativo integrato in un complesso sistema di creazione del valore dove ogni aspetto pare essere soggetto ad un controllo totale. L'atto lavorativo perde dunque i suoi connotati umani per divenire parte ben definita del valore del prodotto finito. Questa integrazione aliena il gesto lavorativo rendendo la persona fisica un semplice supporto grazie al quale la forza lavoro si attualizza e opera. Il padrone sembra sapere tutto della forza lavoro del lavoratore: quanta ne bisogna utilizzare, come utilizzarla, a che fine, quanto valore contribuisce a generare... Il lavoratore, da parte sua, perde il controllo dei suoi gesti, alienandosi dalla razionalit presunta degli stessi all'interno di un sistema complessivo che gli sfugge e che lo domina. L'universit azienda L'universit non rimasta indenne da questo processo, subendo un attacco di chiara matrice

privatistica ed aziendalista. La ragione molto pratica del mondo privato si insinua in quello del sapere universitario in maniera esplicita e dirompente. Innanzitutto diventa un luogo comune il fatto per cui o gli studi sono direttamente e strettamente collegati con lo sbocco sul mercato lavorativo oppure questi sono privi di significato. Ed ecco che la natura dell'istruzione si distacca da ogni intento non utilitaristico per abbracciare una logica funzionale ed operativa, asservita ad esigenze di breve o medio termine. Una logica del tutto estranea, s'intende. Andando pi nello specifico, ci che segna uno stravolgimento epocale nel funzionamento degli atenei italiani la riforma degli organi di governance degli stessi. Innanzitutto il rettore diviene un manager con ampi poteri, tra cui quello di disegnare a suo piacimento la composizione dell'organo decisionale per eccellenza, il Consiglio di amministrazione. Ed ancora, il fatto che un organo di natura tecnica venga innalzato al ruolo di strumento primo di governo degli atenei segna la ratio principale del disegno di Gelmini e Tremonti: l'universit non deve pi sottostare ad un funzionamento assembleare e rappresentativo delle varie categorie che operano nell'universit. Al contrario le decisioni devono essere di natura tecnica e operativa e per questo devono essere prese rapidamente senza abbandonarsi ad un fastidioso dilungamento democratico (seppur finora imperfetto). Una della massime istituzioni sociali viene dunque legata a logiche fondate sui costi e benefici, sul calcolo e il tornaconto economico, sul funzionamento sulla base di parametri di bilancio. Niente a che vedere con fattori qualitativi, con questioni legate al sapere come forma di emancipazione sociale, di istruzione alla cittadinanza, come luogo di crescita collettiva. Un ulteriore elemento che salta all'occhio l'apertura delle porte delle universit a soggetti esterni, in poche parole a chi si fa portatore di finanziamenti. Alle stesse logiche viene ancorato il fondo per il merito, vincolato ad erogazioni di natura privata e legate a specifici utilizzi privati. Tutto il resto non che un corollario, un adattamento dell'universit alla nuova conformazione sociale: l'aspetto altamente selettivo ed escludente degli studi superiori, da cui i tagli alle borse di studio, i gradini fortemente gerarchici tra i vari ruoli di docenza, la precarizzazione della categoria dei ricercatori (la logica del contenimento dei costi del lavoro fatta legge), i tagli ai fondi pubblici per una sempre pi forte dipendenza da quelli privati, il conseguente aumento delle tasse come ulteriore elemento di selezione classista. Per concludere, l'universit viene rimodellata secondo quelle che sono le esigenze e il funzionamento del mercato, privata di spazi di confronto democratico, spogliata da ogni elemento qualitativo che possa connettersi con la sua natura pubblica. L'accordo separato di Mirafiori Il mondo del lavoro riscopre lo stesso fenomeno di subordinazione al mercato e al capitale. L'accordo separato del 23 dicembre 2010 risponde ad una precisa volont di ristrutturazione in senso reazionario dei rapporti sindacali, industriali e sociali. Una cosa che spicca, leggendo il testo dell'accordo separato, la sua apparente neutralit. Non Marchionne che impone ai lavoratori tre pause da 10 minuti, non il volere umano, fallimentare e parziale, che opera. Sono invece le soluzioni tecniche adottate nell'impianto (Le soluzioni ergonomiche migliorative sulle linee a trazione meccanizzata con scocche in movimento continuo...) che consentono una tale regolazione dei tempi di lavoro. La tecnologia, indiscutibile e suprema madre dei bisogni (nel senso che permette di generarli e allo stesso tempo di soddisfarli), non tollera un minuto in pi di pausa. Ed ecco allora che i diritti diventano materia inconsistente di fronte alla solidit e alla razionalit scientifica delle esigenze della produzione, le quali pare che si auto-generino, non che dipendano dalla volont umana. Ritorniamo nello specifico. La pausa mensa spostata a fine turno. Il lavoratore non un uomo, questo il concetto sotteso, per cui non importa se otto ore di lavoro (quando non di pi) lo affaticano. C' il tempo per lavorare e quello per mangiare, il secondo non deve intralciare il primo. La stessa cosa vale per la malattia, come per gli straordinari. La disumanizzazione dei lavoratori procede di pari passo con l'accettazione indiscussa della supremazia degli interessi del capitale e delle sue esigenze operative. Il ricatto l'arma con la quale si pone l'individuo di fronte al dato di fatto: o sottostai alla ragione tecnologica oppure vai a casa senza un lavoro.

Anche in questo caso la spietatezza di tutto ci ha ricadute pesantissime sulla rappresentanza democratica degli interessi nel luogo di lavoro. La produzione non ammette critiche n rallentamenti: i sindacati che non sono in linea non potranno partecipare alle elezioni dei delegati. Insomma, si viene a negare una conquista importantissima e fondamentale come la democrazia e l'organizzazione operaia nei luoghi di lavoro. La mistificazione ipocrita della parit dei rapporti di forza tra padrone e lavoratore cerca con arroganza di rilegittimarsi (un esempio l'arbitrato e il ritorno alla contrattazione individuale) per lasciare libero il campo al libero dispiegarsi della forza del mercato. Ho cercato dunque di dimostrare come nei due pi significativi ambiti di vita sociale (fabbrica e universit) sia in atto una logica riconducibile alle esigenze e all'operativit del mercato, di un mercato che fa della ragione tecnologia il suo invincibile perno ideologico. La privazione di spazi di democrazia non funzionali alla produzione la conseguenza di questa egemonia del capitale. Si tratta di capire che la questione non ideale, ma dipende dai rapporti di forza. L'ideologia liberista ha vinto perch ha conquistato la forza per imporsi, frammentando il mercato del lavoro e il tessuto sociale, operando a livello globale e regionale. Occorre ricostituire i rapporti di forza, unendo i diversi settori sociali coinvolti negativamente nell'offensiva ventennale del capitale globalizzato. Occorre farlo, ad esempio, ricompattandosi su temi forti come quelli dei beni comuni, dall'universit, all'acqua fino al lavoro. Occorre infine riconquistare spazi di contropotere democratico dove questi sono stati sradicati per contrapporre la ragione democratica e collettiva a quella tecnologica di mercato.