Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

26
«Iride», a. XIV, n. 34, settembre-dicembre 2001 Hegel e la razionalità istituzionale Robert B. Pippin 1. «Il diritto si occupa della libertà», annota Hegel al paragrafo 215 della Filosofia del diritto, e la libertà è «ciò che di più importante e sacro l’uo- mo possegga». Prendendo in considerazione la natura di questa impor- tantissima libertà, Hegel fa due affermazioni ben note. Il problema che intendo esaminare è la conseguenza necessaria del tentativo di pensare insieme queste due affermazioni. In primo luogo, secondo Hegel la filosofia non si occupa del mero con- cetto di tale libertà, ma del concetto e della sua «realtà» (Wirklichkeit). Nel suo linguaggio sistematico, ciò significa che una filosofia della libertà non è né un’analisi razionale del puro concetto della libertà, né una qual- che formulazione a priori di un ideale, di ciò che semplicemente «dovreb- be essere». Com’è noto, è difficile capire che cosa significhi questa affer- mazione. Ma questa analisi della libertà reale e non meramente ideale si- gnifica perlomeno che la libertà consiste nell’esser partecipi di istituzioni differenziate, storicamente reali (e ciò significa, in definitiva, istituzioni segnatamente moderne, europee). Qualunque altra libertà è, rispetto a questa, una libertà incompleta, realizzata solo parzialmente. L’affermazione più tipicamente hegeliana sulla libertà reale o «oggettiva» si trova forse nell’Introduzione alle Lezioni sulla filosofia della storia: […] die Philosophie ist etwas Einsames Hegel, 1807 1 Legenda: § indica i numeri di paragrafo nei Lineamenti di filosofia del diritto (Grund- linien der Philosophie des Rechts, in G.W.F. Hegel, Werke, Frankfurt/M, Suhrkamp, 1970, vol. VII; trad. it. Lineamenti di filosofia del diritto, Roma-Bari, Laterza, 1991: i pa- ragrafi indicati nel testo si riferiscono sempre a questa traduzione, nella quale peraltro non sono tradotte le Zusätze e le Notizen, che sono quindi state tradotte direttamente. La Pre- fazione è indicata nel testo con la sigla Pref. Il confronto con il testo tedesco ha talvolta consigliato di modificare le trad. it. correnti [N.d.T.]); A indica le annotazioni di Hegel (Anmerkungen) all’argomento del paragrafo; Z indica le sue aggiunte al paragrafo (Zusät- ze), N indica le note manoscritte di Hegel al paragrafo (Notizen). 1 Hegel an Zellmann, in Briefe, a cura di J. Hoffmeister, Hamburg, Meiner, 1952, p. 157, trad. it. in G.W.F. Hegel, Epistolario I: 1785-1808, a cura di P. Manganaro, Napoli, Guida, 1983, p. 252: «La filosofia è qualcosa di solitario».

description

Hegel e la razionalità istituzionale - Robert Pippin

Transcript of Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

Page 1: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

«Iride», a. XIV, n. 34, settembre-dicembre 2001

Hegel e la razionalità istituzionaleRobert B. Pippin

1. «Il diritto si occupa della libertà», annota Hegel al paragrafo 215 dellaFilosofia del diritto, e la libertà è «ciò che di più importante e sacro l’uo-mo possegga». Prendendo in considerazione la natura di questa impor-tantissima libertà, Hegel fa due affermazioni ben note. Il problema cheintendo esaminare è la conseguenza necessaria del tentativo di pensareinsieme queste due affermazioni.

In primo luogo, secondo Hegel la filosofia non si occupa del mero con-cetto di tale libertà, ma del concetto e della sua «realtà» (Wirklichkeit).Nel suo linguaggio sistematico, ciò significa che una filosofia della libertànon è né un’analisi razionale del puro concetto della libertà, né una qual-che formulazione a priori di un ideale, di ciò che semplicemente «dovreb-be essere». Com’è noto, è difficile capire che cosa significhi questa affer-mazione. Ma questa analisi della libertà reale e non meramente ideale si-gnifica perlomeno che la libertà consiste nell’esser partecipi di istituzionidifferenziate, storicamente reali (e ciò significa, in definitiva, istituzionisegnatamente moderne, europee). Qualunque altra libertà è, rispetto aquesta, una libertà incompleta, realizzata solo parzialmente. L’affermazionepiù tipicamente hegeliana sulla libertà reale o «oggettiva» si trova forsenell’Introduzione alle Lezioni sulla filosofia della storia:

[…] die Philosophie ist etwas EinsamesHegel, 18071

Legenda: § indica i numeri di paragrafo nei Lineamenti di filosofia del diritto (Grund-linien der Philosophie des Rechts, in G.W.F. Hegel, Werke, Frankfurt/M, Suhrkamp,1970, vol. VII; trad. it. Lineamenti di filosofia del diritto, Roma-Bari, Laterza, 1991: i pa-ragrafi indicati nel testo si riferiscono sempre a questa traduzione, nella quale peraltro nonsono tradotte le Zusätze e le Notizen, che sono quindi state tradotte direttamente. La Pre-fazione è indicata nel testo con la sigla Pref. Il confronto con il testo tedesco ha talvoltaconsigliato di modificare le trad. it. correnti [N.d.T.]); A indica le annotazioni di Hegel(Anmerkungen) all’argomento del paragrafo; Z indica le sue aggiunte al paragrafo (Zusät-ze), N indica le note manoscritte di Hegel al paragrafo (Notizen).

1 Hegel an Zellmann, in Briefe, a cura di J. Hoffmeister, Hamburg, Meiner, 1952, p.157, trad. it. in G.W.F. Hegel, Epistolario I: 1785-1808, a cura di P. Manganaro, Napoli,Guida, 1983, p. 252: «La filosofia è qualcosa di solitario».

Page 2: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

550 Robert B. Pippin

Ogni individuo ha il suo ceto, il suo stato; egli sa qual è, in generale, il modolegittimo e giusto di agire. Nel caso degli ordinari rapporti privati, il comporta-mento di chi stima tanto difficile scegliere ciò ch’è giusto e buono, e considerasquisito senso morale il trovarvi molte difficoltà e scrupoli, è piuttosto da attri-buire alla mala e cattiva volontà, la quale cerca ripieghi per sfuggire ai suoidoveri pur non avendo difficoltà a riconoscerli2.

Questo è il fondamento delle successive e ancor più famigerate affer-mazioni dell’Introduzione alle Lezioni, per cui «solo nello Stato l’uomoha esistenza razionale»3 e delle lezioni inedite del 1818-19 di Filosofia deldiritto in cui Hegel afferma che «solo nello Stato il concetto della libertàgiunge alla sua esistenza autosufficiente»4. Detto in modo più speculati-vo: «L’elemento divino nello Stato è l’idea com’è presente sulla terra»5.

Ma perché l’esser membro di una famiglia, l’esser borghese o cittadi-no, dovrebbe significare esser libero? La presenza dell’aggettivo «raziona-le» nell’ultima affermazione sull’«esistenza razionale» e le formulazioniesattamente simmetriche sulla ragione da una parte e sulla libertà nellasua esistenza autosufficiente dall’altra, indicano già la seconda affermazio-ne da cui intendo partire. Non è possibile affermare che ogni istituzionemoderna rappresenti la realizzazione della libertà: pertanto solo di alcuniruoli sociali è possibile affermare che incorporino doveri etici «reali».Anche il motivo di questa limitazione è abbastanza chiaro: il contenutodi una vita libera può derivare dallo svolgere ruoli sociali moderni diffe-renziati, ma questo è possibile in quanto l’esecuzione di quei ruoli puòesser definita razionale. Già nell’annotazione al § 3 della Filosofia deldiritto, Hegel osserva:

una determinazione giuridica può lasciarsi mostrare come perfettamente fondatae conseguente sulla base delle circostanze e delle sussistenti istituzioni giuridichee tuttavia essere in sé e per sé ingiusta (unrechtlich) e irrazionale, come unamoltitudine delle determinazioni del diritto privato romano.

Perciò la condizione hegeliana di razionalità ha chiaramente una fun-zione tradizionale di richiamo alla ragione. Naturalmente egli intendedire che ci possono essere periodi storici durante i quali le principali isti-

2 G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, in Werke, cit., vol.XII, p. 44, trad. it. Lezioni sulla filosofia della storia, Firenze, La Nuova Italia, 1941-63,vol. I, p. 85.

3 Ibidem, p. 56 (trad. it. cit., vol. I, p. 104).4 Die Philosophie des Rechts: Die Mitschriften Wannenmann (Heidelberg 1817-1818)

und Homeyer (Berlin 1818-1819), a cura di K.-H. Ilting, Stuttgart, Klett-Cotta, 1983, p.222.

5 G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, cit., p. 57 (trad. it.cit., vol. I, p. 106).

Page 3: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

551Hegel e la razionalità istituzionale

tuzioni realmente esistenti hanno, come dice Hegel, un’«esistenza vuota,priva di spirito e instabile», quando sarebbe erroneo ricavare il propriodovere dalle richieste della società, anche se lo stesso ritirarsi nel «mon-do soggettivo interiore» dev’essere in tali casi considerato indeterminatoe insoddisfacente6. Perciò, quando nelle Lezioni sulla filosofia della storiaHegel considera nuovamente come libertà oggettiva la funzione del citta-dino nel ruolo di cittadino dello Stato, egli insiste ancora sul fatto checiò avviene a una chiara condizione: quando questa «libertà sostanziale»si può considerare come espressione della «ragione in sé del volere (diean sich seiende Vernunft des Willens), la quale poi si sviluppa nello Sta-to»7. All’epoca della versione berlinese dell’Enciclopedia, Hegel era benconsapevole dell’accusa che la sua insistenza sulla libertà autenticamenterealizzata glorificava soltanto lo storicamente positivo, e si stupì del fattoche tutti lo avessero così inteso. «Chi non sarebbe così perspicace da ve-dere nel proprio ambiente quello che in effetti non è come dovrebbe es-sere?»8.

Perciò «essere conforme al diritto», «essere razionale in sé e per sé» epartecipare a determinate istituzioni, significa nel suo insieme un’unicacosa, e cioè la condizione della libertà reale. Avere ragioni pratiche signi-fica, per il soggetto, seguire regole istituzionali e la qualità di queste ra-gioni è una funzione dello status oggettivo-razionale dell’istituzione. Lospostamento di Hegel verso condizioni sociali storicamente reali in quan-to soddisfacenti tale condizione di razionalità, la sua presa di distanza daun potere causale attribuito all’individuo, l’insistenza sul fatto che la liber-tà dev’essere compresa come una realizzazione collettiva dell’uomo, tuttociò costituisce un punto nevralgico (soprattutto per la tradizione dellasinistra hegeliana e per la storia moderna europea) ma in se stesso piut-tosto complicato9. Il punto da mettere qui a fuoco è che, come Rousse-au, Kant e Fichte, quando Hegel guarda alla condizione fondamentaleche dovrebbe permettere la mia identificazione con le mie azioni, il mio

6 La situazione, insomma, sarebbe tragica: se da un lato l’affidarsi solo a certezze sog-gettive produrrebbe daccapo risultati indeterminati e inaffidabili, d’altro lato tale affidarsiè tutto ciò che un mondo sociale come questo può rendere disponibile come linea guida.

7 G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, cit., p. 135 (trad. it.cit., vol. I, p. 274).

8 G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio. I: La Scienza dellaLogica, Torino, UTET, 1981, p. 130.

9 Non intendo certo negare che la libertà abbia qualcosa a che fare con le reali capa-cità. In primo luogo, ciascuno dev’essere capace (nei molti significati di questa parola) difare ciò che è richiesto dal proprio ruolo e dall’autocomprensione di esso, ecc. L’idea diun principio dell’azione individuale, causale, spontaneo, è ciò che viene contrastato datale teoria dello Stato. Cfr. il mio Naturalness and Mindedness: Hegel’s Compatibilism, in«The European Journal of Philosophy», vol. VII, 2 (1999), pp. 194-212.

Page 4: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

552 Robert B. Pippin

essere capace di comprenderle come prodotte da me e non dalla volontàdi un altro, ovvero come necessitate, egli guarda anche al ruolo dellaragion pratica. In altre parole, egli è degnamente membro di quellacerchia della filosofia post-kantiana che intende la libertà come agirerazionale. Ciò che devo essere in grado di fare per riconoscere un’azionecome mia, per sostenerla, per assumerne la responsabilità e poter così«vedere me stesso» in essa, equivale in qualche modo ad essere in gradodi giustificarla, di comprendere la mia scelta per essa come una sceltagovernata da regole e quindi come l’azione appropriata e non comequalcos’altro10. Il punto in cui Hegel cambia rotta (o in cui ritorna aRousseau, la cui posizione su questo argomento non era pienamente ap-prezzata da Hegel) è il collegamento stabilito fra il trovarsi in alcuni ruolisociali e la realizzazione della ragione, sia nel senso «soggettivo» che inquello «oggettivo» notati sopra11. Qualunque altra cosa voglia dire conciò, egli deve certo intendere che l’«avere ragioni giustificabili» appariràqualcosa di molto diverso da quel che noi potremmo aspettarci, poichénon si tratterà unicamente di avere delle massime o una determinata for-ma di credenze sul bene, e il ruolo dell’argomentazione pratica e moralenon consisterà nell’applicare una metodologia o un test di universalizza-bilità. Argomentare e giungere ad avere ragioni sembra aver a che faremolto di più con la partecipazione a pratiche sociali, sicché i generi diragione che contano nella conquista della libertà autentica, del pienoagire razionale, dipenderanno dal carattere di quelle pratiche ed istituzio-ni.

In questo modo sembra di aver a disposizione una teoria del ruolosociale della giusta condotta, una teoria della giusta condotta come legata

10 In un senso vago e generico si può dire di me che ho posto me stesso come fine(autonomia di un qualche tipo), che mi sono identificato psicologicamente con il fine inmodo incondizionato (autenticità), che ho avuto modo di raggiungerlo (potere), che nonho subito impedimenti umani (libertà negativa), che attraverso i miei sforzi ho fatto espe-rienza di uno sviluppo e di una crescita (autorealizzazione dinamica) e che ho fatto espe-rienza dell’esito come autentico riflesso di me e di ciò che mi riproponevo (autorealizza-zione come autoriconoscimento). Si potrebbe allora dire che tali concezioni della libertà,ampiamente variegate, sono neutrali in senso normativo, in un modo che va oltre la liber-tà stessa diventando astratto ideale. Ma il punto che Hegel intende dimostrare è che lacosa può apparire in questo modo perché il ruolo della ragione (e quindi la socialitàimplicita dell’argomentazione pratica) è stato soppresso in tale sintesi. Cfr. la discussionedi R. Geuss sulle limitazioni della locuzione «vedere me stesso in» nelle teorie dell’auto-realizzazione, nel suo importante Auffassungen der Freiheit, in «Zeitschrift für philosophi-sche Forschung», vol. XLIX (1995), pp. 1-14.

11 Altro tema più ampio, perché significherebbe rispondere a perplessità simili a quel-le sollevate da I. Berlin sulla grande «inflazione» moderna del concetto di libertà, per cuisi comprimono ingiustificatamente, all’interno di affermazioni sul significato dell’essereliberi, molte altre cose che si possono considerare elementi di una vita buona.

Page 5: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

553Hegel e la razionalità istituzionale

alla «mia posizione nella società e ai miei doveri»: una teoria che vedeperò l’adempimento di quei ruoli socialmente determinati come realiz-zazione effettiva della libertà umana individuale (il che è già una sorta diparadosso) e che considera come libertà il proprio essere in quei ruoliperché l’attuazione di tali doveri e funzioni può dirsi razionale. Natural-mente la questione è: in che senso razionale? Questa, almeno, è la que-stione che io qui vorrei sollevare.

Il problema si intravede già. La razionalità pratica hegeliana non sirisolve nella massimizzazione della preferenza o nell’adozione di una pro-spettiva morale universale; piuttosto, come possiamo dire oggi, dopo l’in-fluenza di Wittgenstein e Habermas, si risolve nel seguire la propria rego-la, dove le regole sono regole che governano pratiche sociali e istituzioni(Dovrei notare che, in tutti i casi in cui io invoco l’idea del seguire unaregola, non intendo affatto qualcosa che riguardi l’applicazione consape-vole di un criterio. C’è naturalmente un’ampia controversia – che iodovrò ignorare nel prosieguo – sul giusto modo di descrivere il fatto chesi abbia un atteggiamento normativo in questi casi. Ciò che è secondarioper la posizione hegeliana è quella sorta di distinzione fra l’aderire a unanorma e il semplice essere governati da norme procedendo in modo ap-propriato. Le considerazioni di Hegel sulla razionalità soggettiva signifi-cano che egli richiede una qualche versione della prima fattispecie). È inquesto senso che si può affermare che i preti cattolici abbiano ragioniper essere celibi (nel senso del «perché questo è ciò che essi sono») e imembri maschi delle famiglie di talune società abbiano ragione a chiede-re vendetta per gli insulti all’onore e così via. Se l’argomentazione di He-gel è valida, tali considerazioni relative al seguire una regola si possonoritenere delle giustificazioni, e questo è il caso paradigmatico della giusti-ficazione pratica. Ma contrariamente ad altre considerazioni analoghe sulseguire una regola (come quella di Wittgenstein), Hegel vuole chiara-mente difendere non solo asserzioni come:

(I) Si può dire di me che io sia un essere razionale in senso pratico se partecipoall’istituzione X e ne seguo le regole, oppure se possiedo giustificazioni per quelche faccio,

ma, in modo altrettanto ovvio, egli intende da un lato evitare le impli-cazioni relativistiche associate a tale posizione e dall’altro difendere l’as-serzione:

(II) L’istituzione X è di per sé razionale, ha una forma oggettivamente razionale.

Ora, noi tendiamo intuitivamente a pensare che quest’ultima afferma-zione significhi:

Page 6: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

554 Robert B. Pippin

(II’) È razionale per ogni individuo scegliere di partecipare a X e di sostenerla

ma, come abbiamo visto, sembra che Hegel pensi che solo in quantopartecipante io ho davvero ragioni pratiche e queste riescono in qualchemodo a far presa. Egli notoriamente negherà che ci sia un qualche mododi stabilire ciò che un individuo, assunto per ipotesi come individuo pre-istituzionale, potrebbe volere razionalmente. Come vedremo, Hegel pen-sa che la socialità abbia una «priorità» rispetto all’individualità, che èsolo all’interno e come risultato di tipi determinati di società regolate danorme che io posso davvero diventare un individuo determinato. Perciò(II’) non può essere la glossa corretta e noi continuiamo a chiederci: checosa significa (II)?

2. Per essere messo a punto il tema ha bisogno, hegelianamente, di unulteriore giro di vite. Al momento, Hegel sembra trattare l’asserzionesulla razionalità «sostanziale» delle istituzioni moderne essenzialmentecome la conclusione cui giunge l’argomento metafisico della realizzazioneautentica e oggettiva dello spirito finito, o come il punto d’arrivo dellamanifestazione storica del processo evolutivo giunto al suo culmine (indefinitiva il processo evolutivo che, in base a questa interpretazione, èciò che v’è, essere in quanto essere). Questo aspetto si intravede già nella«sostanzializzazione» della ragione, nel passaggio sopra citato dalle Lezio-ni sulla filosofia della storia: «la ragione» (die Vernunft) che «si sviluppa»nello Stato. E ci sono naturalmente decine di altri passaggi dove Hegelscrive della «ragione» che fa questo o quello, che si realizza in svariatimodi o che appare come questo o quello e così via (Si veda per esempiouna delle aggiunte di Griesheim, «Lo Stato consiste nella marcia di Dionel mondo e la sua base è il potere della ragione che si realizza come vo-lere»12). In tale visione teleologica (enunciata in modo molto generico) sipuò dire che un processo evolutivo manifesti «l’opera della ragione» dalmomento che il processo si risolve in modo graduale nell’essere viventeo nella forma sociale che diventa «ciò che è veramente». Il processo haun logos, non è arbitrario o formato interamente da eventi contingenti e,in questo senso, privi di significato.

Non c’è dubbio sul fatto che Hegel sembra far ricorso a una qualcheversione ontologica dell’idea di verità e che egli considera razionali leistituzioni moderne perché «esistono nella verità», come vorrebbe quellaconcezione della verità. E la sua filosofia pratica, ovvero l’affermazioneper cui la libertà consiste soltanto nel portare alla luce determinati ruolisociali moderni, perché di tali ruoli si può dire che incarnano «il raziona-

12 G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie des Rechts, cit., § 248.

Page 7: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

555Hegel e la razionalità istituzionale

le» nel senso metafisico suddetto, sembra richiamare questa idea «sostan-zialistica» della ragione. Consideriamo il § 145:

Il fatto che l’ethos è il sistema di queste determinazioni dell’idea, costituiscela razionalità del medesimo. Esso è in tal modo la libertà o la volontà essente insé e per sé, intesa come l’oggettivo, cerchia della necessità, i cui momenti sonole potenze etiche che reggono la vita degli individui e hanno in questi come inloro accidenti la loro rappresentazione, apparente figura e realtà (§ 145).

L’aggiunta a questo paragrafo si spinge ancor oltre nel sottolineare chetali «determinazioni dell’etico» o ruoli sociali «sono il sostanziale o l’essenzauniversale degli individui» e perciò questi individui sono «meri accidenti».

3. C’è però ormai – o almeno al punto in cui è giunta la riappropriazio-ne liberal-democratica di Hegel negli ultimi trent’anni circa – una tipicaobiezione al fatto che ci si concentri esclusivamente su passaggi comequesti. Ci si richiama, giustamente, alla palese insistenza di Hegel, nel-l’Introduzione alla Filosofia del diritto, sul fatto che l’agire razionalmentee quindi liberamente abbia sia un lato «soggettivo» sia un lato «oggetti-vo». Ciò significa che partecipare a una certa funzione sociale, dimostra-bile come «determinazione necessaria» dell’idea della libertà, soddisfasoltanto per metà il requisito di razionalità, indipendentemente da comedecidiamo poi di interpretare ciò che Hegel dice sulla razionalità ogget-tiva. La metà soggettiva è ciò che Hegel chiama «il diritto del soggetto ditrovare nell’azione il suo appagamento»13. Questo principio riveste lamassima importanza per la filosofia di Hegel, poiché equivale alla sua in-terpretazione del valore filosofico della Cristianità e costituisce con ciò lafondazione dell’intera teoria hegeliana della modernità. Così, per i Greci«costume e abitudine è la forma in cui è voluto e operato il giusto»14 e«noi possiamo dire che i Greci […] non avevano consapevolezza; pressodi loro vigeva il costume di vivere per la patria, senza ulteriore riflessio-ne»15 e perciò la vita etica dei Greci «non è ancora assolutamente liberae compiuta da sé, stimolo a se stessa»16. Al contrario,

sostanza dello spirito è la libertà. È con ciò indicato quale sia il fine dello spiritonel processo storico: è la libertà del soggetto, è che esso abbia la sua coscienzae la sua moralità, che abbia per sé fini universali da far valere, che il soggetto

13 Ibidem, § 121, p. 106.14 G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, cit., p. 308 (trad.

it. cit., vol. III, pp. 91-92).15 Ibidem, p. 293 (trad. it. cit., vol. III, p. 97). Si veda anche il Zusatz al § 147 della

Filosofia del diritto, in cui Hegel ribadisce che «[…] i Greci erano privi di consapevolezza».16 Ibidem (trad. it. cit. [mod.], vol. III, p. 54).

Page 8: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

556 Robert B. Pippin

abbia valore infinito e che anche acquisti coscienza di questo suo estremo valo-re. Questa realtà sostanziale del fine dello spirito del mondo viene raggiuntaattraverso la libertà di ognuno17.

Inoltre, non basta ancora che i soggetti abbiano attualmente una qual-che fede implicita, soggettiva, nella rettitudine delle loro forme di vitapolitiche e sociali, che essi di fatto approvano soggettivamente. Discuten-do se questo diritto alla particolarità soggettiva sia compatibile con unriconoscimento delle pretese universali della ragione, egli insiste sul fattoche nella vita etica moderna gli individui «dirigono i loro voleri verso unfine universale» e quindi che essi agiscono «con attività cosciente di que-sto fine» (§ 260); essi «con sapere e volontà (mit Wissen und Willen)riconoscono questo interesse universale e anzi come loro proprio spiritosostanziale e sono attivi per il medesimo come per loro fine ultimo» (ibi-dem). Nelle istituzioni giuste, secondo Hegel, l’uomo deve trovarsi difronte alla propria ragione18.

17 G.W.F. Hegel, Sämtliche Werke. Kritische Ausgabe, a cura di G. Lasson, Hamburg,Meiner, 1920, vol. VIII/2, p. 41 (trad. it. Lezioni sulla filosofia della Storia, cit., vol. I, pp.48-49). Non è del tutto chiaro come Hegel intenda contrastare questo cosiddetto princi-pio moderno di soggettività con «forme spirituali» premoderne e in particolare antiche.Presa superficialmente, la sua affermazione che gli individui greci fossero «privi di con-sapevolezza», non riflettessero, vivessero soltanto e immediatamente per la patria ecc., èassurda. Nei drammi di Sofocle tutto perde significato se Antigone e Creonte non posso-no comportarsi diversamente da come si comportano, e i personaggi di Ismene ed Emo-ne lo testimoniano drammaticamente. Lo spettatore, lo spettatore greco, non avrebbepotuto sentire la tragicità del dramma se fosse entrato nell’anfiteatro già succube dell’unoo dell’altro ruolo, se non fosse stato lui stesso tirato prima da una parte e poi dall’altra,e avesse invece partecipato al dramma come sostenitore dell’una o dell’altra parte. Anchenel mondo omerico, le tentazioni di Calipso non significherebbero un granché come ten-tazioni se, presa superficialmente, l’affermazione di Hegel fosse corretta. Credo che He-gel intenda dire non che gli individui svolgono i propri ruoli in modo completamente ir-riflesso, ma che quando le carenze oggettive nell’ordine sociale costringono ad un con-fronto, simile a una crisi, con altre funzioni parimenti richieste, certamente sono stimolatiil dubbio e la riflessione (vedi Oreste nelle Coefore), ma non portano da nessuna parte,non propongono alcuna soluzione e devono essere accettati così come sono. Questo è ineffetti ciò che Hegel dice nelle sue note manoscritte al § 147 della Filosofia del diritto. IGreci «non erano in grado di fornire una spiegazione» e perciò «erano privi di consape-volezza, di convinzione», ciò che credevano era «privo della mediazione della ragione» (§147 N). (Questa è ancora un’estremizzazione: una delle cose più impensate in merito aldramma di Sofocle riguarda la parte che in esso svolge l’argomentazione autentica e fon-data. Ma è un argomentare per il verso giusto).

18 Si veda anche l’Enciclopedia, § 503 A, e l’affermazione che i soggetti moderni devo-no trovare «la loro approvazione, il loro riconoscimento e persino la loro giustificazione(Begründung) nel cuore dell’uomo, nella sua predisposizione (Gesinnung), coscienzamorale, intellezione ecc.» (G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, trad. it.cit., p. 809). [In realtà Hegel afferma che sono le determinazioni etiche che devono tro-vare l’approvazione ecc., da parte dell’uomo «europeo» (N.d.T.)].

Page 9: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

557Hegel e la razionalità istituzionale

4. Questo fatto ci porta finalmente alla questione di che cosa significaaffermare che determinate istituzioni moderne sono razionali e, soprattut-to, che cosa significa che esse sono razionali soggettivamente e non solooggettivamente; e, in modo ancor più dettagliato, alla questione di checosa Hegel intenda quando dice che gli individui stessi affermano un talefine universale o razionale «con sapere» (mit Wissen)19.

Come si è osservato sopra, sarebbe naturale qui pensare le istituzionicome razionali se si potesse mostrare che esse sono prodotti del volererazionale degli individui, se si potesse mostrare cioè che, entro talunecondizioni ipoteticamente pre-istituzionali e ideali, sarebbe razionale fon-dare, formare e sostenere ogni istituzione di tal fatta. Questa forma diargomentazione è più famosa negli argomenti sull’exeundum e statu natu-rae nella difesa contrattualistica moderna dello Stato, ma tale individua-lismo metodologico è diventato un topos delle discussioni moderne sulleistituzioni e si può quasi dire che esso definisce la metodologia in nume-rose scienze sociali. Dal momento che in molti modelli simili è in giocoo l’interesse autentico o la somma ideale delle preferenze soggettive sod-disfatte dall’individuo, si presume che tali considerazioni di fatto sianospesso le ragioni soggettive sulla base delle quali i soggetti agiscono eche, alle condizioni di una sia pur minimale trasparenza e assenza di di-storsione, potrebbero ottenere facilmente una forza motivazionale benpiù grande.

Ci sono numerose critiche di Hegel a questo modello di razionalitàistituzionale. Ripercorrerle brevemente ci porterà in termini positivi allaquestione: che cosa costituisce la razionalità istituzionale per Hegel se siesclude questo individualismo metodologico o morale? Raggrupperò in-sieme le obiezioni in due categorie: l’attacco di Hegel all’astrattezza del-l’idea di individuo in molte teorie moderne e le sue asserzioni sulle que-stioni della motivazione e dell’alienazione.

5. Entrambe le critiche poggiano su un’asserzione riguardante la prio-rità delle relazioni sociali sulle relazioni individuali a sé o sui risultatidella scelta individuale. L’individualità stessa dipende da relazioni socialiperché tali relazioni sociali sono necessarie, in primo luogo, per lo svi-luppo e la maturazione di individui determinati. A Hegel importa qui ilfatto che le nozioni di un egoista razionale o di un massimizzatore dellapreferenza individuale o di una coscienza individuale sono tutte astrazio-

19 Sulla centralità per Hegel del lato «soggettivo» nel problema della «conciliazione»,si vedano M. Hardimon, Hegel’s Social Philosophy: The Project of Reconciliation, Cambri-dge, Cambridge University Press, 1994, cap. 4, e F. Neuhouser, Foundations of Hegel’sSocial Theory: Actualizing Freedom, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 2000,capp. 3 e 7.

Page 10: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

558 Robert B. Pippin

ni portate all’estremo, punti di partenza così idealizzati che affidarsi aqualsiasi cosa risulti da tali esperimenti mentali sarebbe del tutto fuor-viante.

Ciò che Hegel in definitiva intende dire qui contro tale astrattezzadipende fortemente da un’asserzione molto ambiziosa sull’ontologia del-l’individualità, e così pure la sua netta affermazione della libertà comeessere-presso-di-sé-nell’altro (bei sich Selbstsein im Anderen). In terminisociali egli intende mettere in risalto un aspetto della libertà, dell’indi-pendenza e perciò dell’individualità – aspetto che non è concepito comeassenza astratta e irreale di qualsiasi dipendenza, ma come un genere didipendenza in virtù della quale è possibile il compimento dell’indipen-denza autentica o reale (Gli esempi migliori di questo compimento sonoin Hegel l’amicizia e l’amore20; l’ascendente intellettuale è qui daccapoRousseau e la sua tesi per cui «un mutamento apprezzabile nell’uomo» ènecessario prima che sia possibile la vera cittadinanza21). Ma senza ele-varsi a tali altezze, è abbastanza chiaro l’obiettivo degli argomenti messiin campo. La partecipazione a determinate forme di vita sociale è tantotrasformativa quanto strumentalmente utile, sicché c’è un contrasto trop-po grande tra ciò che un individuo diviene con una tale partecipazione eciò che egli sarebbe stato senza di essa, perché l’individuo pre-istituzio-nale possa servire come standard22. Siffatte istituzioni sociali sono perciòoriginariamente costitutive delle identità individuali, e sarebbero dunquecondizioni finanche del possibile sviluppo di egoisti razionali e di una«cultura» egoistico-razionale e non possono pertanto esser viste – nem-meno idealmente – come il prodotto di tali individui. Le istituzioni stes-se, che necessariamente proteggono in modo strumentale e garantisconol’egoismo individuale o il seguire la propria coscienza individuale, nonpossono sostenersi effettivamente senza rapporti di fiducia e di solidarie-tà, i quali non tollerano considerazioni di interesse individuale o di co-scienza individuale23.

20 Si vedano G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., § 7 Z (le aggiuntemancano nelle trad. it. correnti della Filosofia del diritto [N.d.T.]), e il commento di A.Honneth in Suffering from Indeterminacy: An Attempt at a Reactualization of Hegel’sPhilosophy of Right, Amsterdam, Van Gorcum, 2000, p. 26, e cfr. la famosa affermazionedella Fenomenologia sul Geist come «Io che è Noi, e Noi che è Io». Si veda T. Pinkard,Hegel’s Phenomenology: The Sociality of Reason, Cambridge, Cambridge University Press,1994, per la migliore analisi dell’importanza dell’idea di «socialità» nel progetto comples-sivo di Hegel e nella Fenomenologia.

21 J.-J. Rousseau, Du Contrat Social, I, 8, trad. it. Del contratto sociale, in J.-J. Rousseau,in Opere, Firenze, Sansoni, 1993, p. 287.

22 Ibidem.23 Cfr. M. Hollis, Trust within Reason, Cambridge, Cambridge University Press, 1998,

in part. cap. 2, «I rischi della prudenza».

Page 11: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

559Hegel e la razionalità istituzionale

Hegel tratta anche le pretese autenticamente normative, nel senso diquello che lui stesso chiama il «diritto» della soggettività e dell’indivi-dualità, come esse stesse prodotti di un determinato tipo di culturaetica, come pretese nei confronti di altri che non possono esser com-prese o realizzate se non v’è una cultura nella quale gli «altri» vengonocompresi e rispettati in un certo modo (Perciò – con un andamentotipico di molte simili strategie argomentative hegeliane – il fatto chegiungere a considerare gli altri in quel certo modo sia «un prodottodella ragione», non significa che quel certo modo sia il prodotto di unragionamento morale – e particolarmente di un ragionamento dedutti-vo. È la pretesa in merito ad un certo tipo di sviluppo – e non la de-duzione – a sostenere il peso della pretesa di razionalità). La tesi gene-rale è esposta nell’aggiunta al § 141, dove Hegel afferma che «la sferadel diritto e della moralità non può esistere indipendentemente (fürsich); essi devono avere l’etico come loro base e fondamento (das Sittli-che zum Träger, zum Grundlage)» (§ 141, Z). Di tali considerazioni aproposito di diritti, titoli (entitlements) e doveri morali, si può dire che«facciano presa» e in tal modo giungano a valere come ragioni per unindividuo, ad avere ciò che Hegel chiama una «forza motivazionale[bewegende Kraft]», non come prodotti della mera ragion pura pratica,ma soltanto come componenti dell’«essere etico» reale (§ 142: an demsittlichen Sein).

6. La seconda obiezione principale di Hegel si basa su considerazionimotivazionali, o sul modo in cui una certa considerazione potrebbegiungere a valere per me come una ragione pratica, sul senso in cui sipotrebbe dire che essa «fa presa» su di un individuo e ha un sensocome ragione per esso. Questo approccio è lampante nella refutazionehegeliana dell’analisi kantiana del «lato soggettivo» della razionalitàpratica, cioè dell’affermazione kantiana che anche la pura ragione puòessere pratica solo in virtù di sé stessa. Questo a dispetto delle moltesomiglianze con la posizione kantiana che è già emersa nell’analisi fattada Hegel della libertà come autodeterminazione razionale o autonomia.Ma Kant credeva che la libertà e la soggezione alla legge morale fosse-ro concetti «reciproci», cioè che un’analisi del concetto di azione po-tesse rivelare come la conformità ai vincoli della razionalità costituissela libertà; e poiché la ragione era incapace di determinare beni sostan-ziali o fini sostanziali da seguire, la soggezione a una razionalità diquesto tipo poteva significare solo soggezione alla forma della raziona-lità stessa. Ma conformarsi ai vincoli formali della ragione può signifi-care soltanto conformarsi ai vincoli della legalità universale, e quandoKant interpretò questa cosa intendendola come conformità all’imperati-vo categorico, fu proprio questa mossa a provocare le successive diffi-

Page 12: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

560 Robert B. Pippin

coltà24. Vale a dire che la conformità a questo genere di vincoli di per sésignifica solo impegnarsi alla pretesa di universalità implicita nelle pretesedi razionalità – chiunque altro nella mia situazione avrebbe ragioni similiper agire; e ciò non significa impegnarsi al principio, molto più forte, percui la conformità al vincolo razionale significherebbe essere capaci divolere coerentemente che tutti gli altri, simultaneamente, possano averela mia massima25. Poiché Kant non aveva stabilito l’estensione di quelprincipio, esso rimase «vuoto».

Inoltre, Kant parve abbandonare (dopo la Fondazione della metafisicadei costumi) il tentativo di stabilire deduttivamente ciò che Hegel chiamòla «realtà» dei principi morali, ovverosia il fatto che noi siamo realmentesoggetti a tali principi e possiamo agire sulla loro base. Noi dobbiamoessere capaci di mostrare non solo che «questo è ciò che vuole una puravolontà razionale pratica», ma che noi siamo vincolati in modo incondi-zionato a tali risultati. La tesi definitiva di Kant circa quella soggezionederivava da una misteriosa affermazione sul Faktum der Vernunft, ovveroda qualcosa che aveva a che fare con l’innegabilità pratica della libertà(essendo la forma dell’innegabilità, nel modo in cui Kant la pensa, qual-che cosa come «cercare di dimostrare mediante la ragione che la ragionenon c’è»), dove tale libertà è daccapo analizzata come conformità ai vin-coli della razionalità nel senso esteso in modo dubbio da Kant (impera-tivo categorico). Si potrebbe vedere, affermava Hegel, quanto poco siad’aiuto una tale spiegazione nel cercare di comprendere il tipo di «pre-sa» che hanno su di noi i dettami della ragion pura pratica, osservando ilbisogno di Kant di chiamare «in soccorso» così tante e così diverse altre

24 La migliore analisi dell’interpretazione riguardante l’accusa hegeliana di «vuotezza»è quella di A. Wood nel suo Hegel’s Ethical Thought, Cambridge, Cambridge UniversityPress, 1990, cap. 9, in part. pp. 164-165.

25 H. Allison ha tentato di difendere Kant dall’accusa che un Egoista Razionale po-trebbe soddisfare altrettanto facilmente ai requisiti di razionalità (e quindi di universalità),osservando che Kant sta assumendo una determinata idea di libertà, la «libertà trascen-dentale», ovvero una capacità di agire in completa indipendenza da tutto ciò che è em-pirico. Cfr. H. Allison, Kant’s Theory of Freedom, Cambridge, Cambridge UniversityPress, 1990, p. 207. Ma questa risposta è potenzialmente una petizione di principio, checoncede in modo arbitrario solo quell’idea di libertà che si adatta all’asserzione di Kant,e appare in contrasto con il principio di «incorporazione» di Allison, per il quale desideriempirici e inclinazioni non sono mai condizioni sufficienti del semplice accadere diun’azione; essi devono esser «presi» come ragioni sufficienti per un soggetto, e quindinon è un desiderio sensibile ciò che motiva l’azione, ma il principio che si dovrebbeagire sulla base di tale desiderio. Questo è, principalmente, agire indipendentemente dadesideri empirici. Vale a dire che anche con l’assunzione della «libertà trascendentale»questo sembra essere tutta la libertà che dobbiamo addurre contro il tentativo kantianodi collegare la condizione di universalità al suo test di universalizzabilità ed esclusivamen-te ad esso.

Page 13: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

561Hegel e la razionalità istituzionale

motivazioni e adattamenti per giungere al nodo della possibilità dellamotivazione morale per creature finite e sensibili quali noi siamo. Aspettiquali il rispetto come movente, il ruolo del sommo bene e in particolarei Postulati, il posto della religione e della comunità etica ecc., rivelanoper Hegel l’incoerenza (quella che egli chiama il Verstellen, o la dissimu-lazione) della posizione kantiana sulla moralità. L’insufficienza di taleanalisi del carattere pratico della pura ragione dovrebbe allora condurcia guardare altrove – al mondo etico diventato «seconda natura» nellevite individuali – per poter avere una analisi di che cosa comportano leconsiderazioni sulla parità morale e del modo in cui esse «fanno presa»,motivando l’obbedienza individuale.

Dove ci porta allora tutto questo, nel tentativo di comprendere il latosoggettivo della razionalità pratica in Hegel? Forse potremmo tentaresemplicemente di richiamare positivamente ciò che è emerso come con-dizione indispensabile alla realizzazione della libertà, come considerazio-ne per il soggetto, e in tal modo come ciò a cui si deve presumere cheogni soggetto razionale (e dunque libero) si sia impegnato. Qui ci sonodue esempi di come si potrebbe fare questa cosa.

7. Axel Honneth – nel suo recente tentativo di operare ciò che egli defi-nisce una «riattualizzazione» della Filosofia del diritto – concorda conHegel sul fatto che «le idee del «diritto astratto» e della «moralità» sonoentrambe descrizioni insufficienti delle condizioni della libertà individua-le nella modernità»26 e crea una bella locuzione per descrivere la nostracondizione quale risultato di questa insufficienza; egli la definisce comeun «soffrire d’indeterminatezza». Si può dire che gli agenti moderni sia-no generalmente vincolati (committed) alla norma moderna giusta e dav-vero autorevole, la libertà, e quindi vincolati al pari diritto (entitlement)ad una vita libera, ma soffrono dell’indeterminatezza con cui ci lascia lamera idea di libertà (Come ha dimostrato il ventesimo secolo, i progettilibertari, assistenziali, socialisti e totalitari pretendono tutti un impegno alprincipio supremo della libertà). Honneth si appella a Hegel perché egliha mostrato di gran lunga la condizione più importante per la libertàeffettiva: la libertà di un altro e con ciò, necessariamente, le condizionisociali oggettive nelle quali i soggetti possano propriamente fare espe-rienza della libertà di un altro come condizione della loro, e agire cosìcome agenti sociali veri e propri, come agenti soggettivamente razionali.Mentre Kant e Fichte hanno compreso la sfera del diritto come sferadelle relazioni esteriori fra soggetti atomistici, con il risultato di legittima-re la coercizione e ponendo restrizioni alla libertà, compresa quale meracondizione necessaria al fine di garantire la libertà per tutti, «[…] entro

26 A. Honneth, Suffering from Indeterminacy, cit., p. 20.

Page 14: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

562 Robert B. Pippin

lo stesso concetto Hegel comprende tutte le precondizioni sociali che sipossono mostrare come necessarie per la realizzazione della volontà libe-ra di ogni cittadino»27. Queste precondizioni sociali sono allora interpre-tate come «relazioni comunicative», introdotte da Hegel quali elementidella Sittlichkeit.

Ma Honneth si rende conto che questa forma di argomentazionecomporta l’«estensione» dell’idea moderna di diritto naturale, poichéimplica una pretesa giustificata di aver titolo (entitlement) alle condi-zioni della libera individualità28. Egli però si rende anche conto che lagiustificabilità (la legittimazione razionale) della Sittlichkeit non puòessere compresa come la questione dei diritti legali degli individui,come diritto alle condizioni per la realizzazione della libertà. Un mon-do sociale che venisse concepito come un mondo di individui che ri-vendicano nei confronti degli altri che venga assicurata protezione al-l’esistenza di determinate pratiche comunicative o di determinate formedi vita sociale, non renderebbe conto delle pretese di titolarità (entitle-ment claims). Invece, se gli individui affermassero «soggettivamente»,come un diritto individuale, una vita di questo genere, ciò sarebbe pro-prio il segno della corruzione e distorsione della vita etica moderna:come se la vita familiare fosse vissuta quale regno del diritto e del con-tratto (e ciò in Hegel è esplicito). Anche questo mette il carro davantiai buoi, come si è già visto dire da Hegel. Egli ha argomentato, e pro-babilmente Honneth è d’accordo, che non si può comprendere l’auto-rità delle stesse pretese di diritti come risultato di un qualche esperi-mento di pensiero deduttivo e puramente razionale, dipendente soltan-to dal concetto della libertà individuale. Per questo Hegel aveva insisti-to sul fatto che «diritto» e «moralità» non possono esistere indipenden-temente o per sé; tali affermazioni possono diventare ragioni praticheunicamente per individui all’interno (e come risultato) di una certa for-ma di vita sociale. Una vita etica comune non può essere compresacome l’oggetto di una pretesa di diritti se quella vita equivale a unaprecondizione necessaria del significato determinato e della forza vinco-lante di una tale rivendicazione di diritti (La situazione in qualchemodo paradossale è qui ripresa da una bella immagine usata da MartinHollis: come poteva sapere Eva se era giusto o sbagliato mangiare ilfrutto dall’albero della conoscenza del bene e del male, prima che lofacesse?)29.

27 Ibidem.28 Ibidem, p. 29.29 M. Hollis, Reason in Action: Essays in the Philosophy of Social Science, Cambridge,

Cambridge University Press, 1996, p. 11. Ovvero, come Hollis anche sostiene, non c’è unmomento in cui Eva possa aver detto: «Adamo, inventiamo il linguaggio».

Page 15: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

563Hegel e la razionalità istituzionale

Non credo sia di grande aiuto sostenere, come fa Honneth, che que-ste «forme sociali di esistenza» possano di per sé considerarsi titolari didiritti, nel senso dell’«avere diritto a un posto legittimo nell’ordine istitu-zionale delle società moderne»30. Tali forme non sono e non possonoessere in nessun senso la realizzazione di pretese di diritti (esse sono lacondizione della «realtà» di tali pretese). L’idea di diritto – non impor-ta chi ne sia il titolare – è legata necessariamente alla capacità di sotto-porre gli altri ad un obbligo, e se di tali forme sociali si può dire che ab-biano un diritto all’esistenza, allora per parità di argomentazione noi do-vremo chiedere nuovamente: all’interno di quali pre-precondizioni talepretesa di titolarità potrebbe avere una forza vincolante «reale»? Gli stes-si argomenti che ci hanno condotto al problema delle precondizioni dellepretese di diritto verranno sollevati nuovamente se noi consideriamoqueste precondizioni come questioni di diritto31.

8. Un altro approccio potrebbe concentrarsi in un modo più strettamen-te kantiano sulla questione generale se un contenuto dato possa esserderivato semplicemente dal prendere in considerazione ciò che vuole unavolontà che si autodetermina razionalmente. Kant potrebbe non averavuto ragione sul fatto che una tale volontà, in quanto razionale, potreb-be unicamente assoggettarsi a una legge morale, ma il quadro della que-stione potrebbe essere in sé corretto: tutto ciò che noi dobbiamo fare èestendere i risultati. Si può vedere almeno che una volontà simile potreb-be non voler nulla o non approvare nulla che renda impossibile unavolontà che si autodetermina razionalmente. Se si comprende la teoria diHegel come una teoria dell’autorealizzazione, dove ciò che si realizza è lapropria natura come capace di autodeterminarsi razionalmente, si po-trebbe essere in grado di suggerire almeno alcune condizioni sociali mi-nimali richieste da questa possibilità, e avere così un argomento per lalegittimazione razionale della Sittlichkeit, nonché per il nostro inevitabileimpegno per essa. Si potrebbe presumere che ciascun soggetto individua-

30 A. Honneth, Suffering from Indeterminacy, cit., p. 30.31 Avevo lo stesso genere di problema con il precedente libro di Honneth, parimenti

interessante ed apprezzabile, il suo Kampf um Anerkennung. Zum moralischen Grammatiksozialer Konflikte, Frankfurt/M., Suhrkamp, 1994. In questo libro la «grammatica moraledei conflitti sociali» era analizzata richiamandosi all’importanza della stima o del ricono-scimento come bene sociale e al disprezzo come male sociale. Sorgono le stesse questioni:che tipo di bene è la stima o la solidarietà senza la quale la soggettività individuale stessaè impossibile? Può essere richiesta per legge o in qualche altro modo quando essa è as-sente (come un diritto)? In che modo? Se non può esser richiesta, quale genere di rime-dio è quello giusto? Se la forma più ampia della stima sociale dipende da qualche formadi valori comuni, perché dovremmo credere che culture moderne, sviluppate, e anchepiù secolarizzate possano fornire méte comuni riuscite di tal genere?

Page 16: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

564 Robert B. Pippin

le sia impegnato (be committed) nei confronti delle istituzioni formativedella famiglia, dell’economia, della legge e dello stato – istituzioni graziealle quali sarebbe assicurata la protezione dello sviluppo di ogni possibileautodeterminazione razionale. E Hegel sembra evocare su questo puntoil linguaggio kantiano: «La volontà nella sua verità è tale che ciò che essavuole, i.e. il suo contenuto, è identico con il volere stesso, così che la li-bertà è voluta dalla libertà»32 e tutto il § 27 insiste poi sul fatto che lavolontà libera è la volontà «che vuole la volontà libera» (Di recente AlanPatten ha sostenuto questa tesi nel suo Hegel’s Idea of Freedom, e FredNeuhouser difende una versione di tale tesi nel suo Foundations of He-gel’s Social Theory).

È vero che, se noi per ipotesi prendiamo in considerazione un agentepuramente razionale allo scopo di stabilire a quali forme sociali si siaimpegnato necessariamente chi si autodetermina, possiamo concluderedicendo in generale che un simile agente sarebbe impegnato alle «condi-zioni sociali dell’agire» e che il loro essere necessariamente così costituiscetali istituzioni come razionali. Ma con ciò non abbiamo detto molto diconcreto o di specifico, certamente non abbastanza per intenderci sullafamiglia moderna, borghese, fondata sull’amore romantico, sull’economiadi mercato, sulla distinzione società civile/stato e così via. Come osserva-to, Hegel ha detto sin dall’inizio che il concetto della libertà «si dà» lapropria realtà, e nei termini della sua logica si parla molto di un univer-sale che determina infinitamente se stesso, la manifestazione concreta delquale non è una mera instanziazione, ma è una manifestazione determi-nata dal concetto. Se enunciato in questi termini kantiani, però, l’abissofra la promessa di tali pretese da una parte e la realtà di ciò a cui siamolasciati se seguiamo questa interpretazione «deduttiva» dall’altra, diven-ta un chiasmo. Ed è estremamente improbabile che il senso soggettivodella razionalità propria di chi partecipa a tali istituzioni sia una specie dicomprensione semplificata filosoficamente del fatto «che la volontà liberavuole la volontà libera stessa».

9. Ma che cos’è, allora, ciò che secondo Hegel rende adeguata una giusti-ficazione pratica per i soggetti coinvolti, adeguata soprattutto nel sensoche abbiamo indagato: come ricorso a una valutazione tale da renderepossibile sostenere e affermare un’azione come qualcosa di proprio? Èabbastanza chiaro come per Hegel vi sia un lato oggettivo inseparabileda tale questione. Si può dire che le azioni si conformino ai vincoli dellaragion pratica qualora l’agente non abbia valutato la propria posizionecome più dovuta di altre solo perché è la sua, o quando siano state se-

32 G.W.F. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, cit., p. 21 Z.

Page 17: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

565Hegel e la razionalità istituzionale

guite le regole che governano tutti i partecipanti. Noi comprendiamo checosa significa per gli individui essere «realmente» giunti ad adottare que-sto genere di vincolo, e che cosa significa per esso funzionare come vin-colo, quando lo comprendiamo come il risultato di uno sviluppo socialecoerente – una vicenda notoriamente celebre come lotta per il riconosci-mento. Ma questa enfasi sulla «priorità» della pretesa di una vita eticasuggerisce poi già qualcosa di estremamente importante per il lato sog-gettivo. L’essere motivato all’azione da una simile valutazione, l’accettarlanella pratica come un vincolo, non dev’esser compreso come qualcosache si sceglie di fare in un qualche momento nel corso del tempo, comese si facesse una pausa e ci si impegnasse nell’argomentazione morale cheavrebbe poi come esito deduttivo un vincolo di questo tipo. Essere unproprietario implica che ci sono pretese che mi è consentito fare su altriproprietari, una giustificazione che entra in circolazione e che funziona,che può essere accettata, rifiutata o modificata in base alle regole del-l’istituzione-proprietà; essere un genitore significa che ci sono pretese neiconfronti dei figli e richieste nei loro riguardi, e così via. La valutazionenon va propriamente compresa come una credenza (belief) sostenuta daun soggetto o come un ideale cui il soggetto crede, una sorta di oggettoproposizionale di un atteggiamento. Il punto che si richiede di compren-dere per dare ragione a Hegel è che questa partecipazione ad una prati-ca che presenta, accetta e rifiuta le ragioni dell’istituzione, è tutto quelche Hegel ritiene «debbano avere» i tipi di ragione che consentono dicontemplare l’azione come libera, autenticamente mia.

Possiamo vedere questa cosa in modo più chiaro osservando ciò cheHegel ritiene accada «soggettivamente» allorché quelle condizioni ogget-tive non sono completamente reali. Naturalmente la sola pretesa di giu-stificabilità stabilisce il vincolo «senza alcun peso specifico», ma la «rea-lizzazione» di tale impegno può essere estremamente varia, in quantodipende da queste condizioni oggettive, e per i soggetti, nella misura incui comprendono le cose, può anche concludersi in realizzazioni contra-stanti. Quando Antigone e Creonte, nella celebre trattazione hegelianadella tragedia sofoclea, lottano sul significato del tentativo di seppellire ilcorpo di Polinice, sul fatto se ciò sia un atto ineluttabile di dovere fami-liare o un’infedeltà proditoria verso la polis, essi stanno in realtà dispu-tando su chi dovrà decidere o determinare nella società il significatodell’azione; i concetti religiosi e politici oggettivi a loro disposizione al-l’epoca rendono impossibile una soluzione di quelle pretese e quindi, dalpunto di vista soggettivo, concedono a ciascuna parte una pretesa ogget-tiva alla rettitudine, rendendo l’apparenza dell’opposta pretesa completa-mente al di fuori di ciò che si può giustificare. E questo fallimento dellesuddette condizioni oggettive non fa che rivelare ciò che sarebbe riuscitoin senso soggettivo nel richiamarsi alle ragioni. Infatti, ciò che Hegel

Page 18: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

566 Robert B. Pippin

suggerisce circa il tipo di sviluppo sociale che migliorerebbe questa situa-zione, è innanzitutto che è proprio uno sviluppo sociale la condizionedel miglioramento, e non la scoperta di qualche «fattore di verità» nelmondo o, meglio, l’accesso a questo fattore di verità o a una qualche piùgrande chiarezza soggettiva. E questo suggerisce una storia insolita maben distinta sulle ragioni pratiche adeguate, vissute come adeguate da unsoggetto.

Ciò significa, prima di tutto, che la lezione che sin qui dobbiamotrarre da questi risultati è che la razionalità pratica – l’esercizio dellaquale costituisce la libertà e stabilisce la condizione alla quale posso vive-re le mie azioni come veramente mie – è sempre «legata alle istituzioni»;che di nessuno si può dire che abbia qualche tipo di ragion pratica effet-tiva per fare qualcosa se si concepisce costui solo come un agente che siautodetermina «in modo puramente razionale». Questo è vero, secondoHegel, anche degli obblighi morali verso tutte le persone, poiché eglicomprende la moralità stessa come un’istituzione storica specifica e, cosìpure, comprende la sua autorità normativa in modo evolutivo, non de-duttivo. In altri termini, secondo Hegel non c’è un «luogo» in cui stare,presuntivamente al di fuori delle istituzioni, dal quale si potrebbe direche c’è una ragione per assumere un ruolo più di quanto si potrebbedire che c’è una ragione per muovere un cavaliere o un pedone se non sista giocando a scacchi33. L’ovvia obiezione – che dev’essere possibile di-scutere se si hanno ragioni per giocare a scacchi, in primo luogo – è quiun’obiezione che Hegel accoglie, ma egli non la tratta introducendoqualche prospettiva preistituzionale. Di fatto, il modo in cui opera tuttala Filosofia del diritto serve, secondo Hegel, a mostrare che chiunquegiochi un certo gioco istituzionale (ovvero presentando, accettando, rifiu-tando, o modificando date giustificazioni) ha anche buone ragioni (ragio-ni derivate interamente dal suo tentativo di giocare a quel solo gioco) digiocarne un altro. Possiamo quindi distinguere tipi di ragioni che sonorilevanti nelle asserzioni di diritto astratto (come «quella è la mia pro-prietà, perciò tu non puoi prendertela» o «questo non è stato stipulatonel contratto, perciò ora tu non puoi esigerlo») da ragioni che sono rile-vanti nei giudizi morali («No, perché è una violazione della mia coscien-za»), da ragioni che sono rilevanti nella vita etica («perché io sono unpadre», «perché di un buon uomo d’affari ci si deve poter fidare», «per-

33 Cfr. M. Hollis, Trust Within Reason, cit., p. 115: «Io, come individuo, con la miaazione non posso dare un significato a nulla, a meno che non ci sia qualcosa che la miaazione significa e altri che riconoscano che questo è ciò che essa significa». Per ulterio-ri ragguagli sul necessario requisito del «riconoscimento» nella trattazione della normati-vità in Hegel, cfr. il mio What is the Question for Which Hegel’s «Theory of Recognition»is the Answer?, in «The European Journal of Philosophy», vol. VIII, n. 2 (2000).

Page 19: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

567Hegel e la razionalità istituzionale

ché il mio paese è in pericolo»34). Quella che può sembrare una riflessio-ne puramente razionale sulle limitazioni di qualche istituzione normativaè in realtà l’influenza di un altro inevitabile impegno istituzionale, di unimpegno già in opera35 (Storicamente, per esempio, la più importantedifferenziazione nella trattazione di Hegel è quella fra «perché egli è uncittadino», «perché questo è quel che fa un cittadino» e «perché questoè per noi il mezzo consueto per aumentare la produttività», «perchéabbiamo scoperto di avere in comune un bene nella ricerca dei nostribeni individuali»). Secondo Hegel i soggetti umani sono, totalmente edessenzialmente, già sempre determinati storicamente e socialmente, edanche i loro tentativi di argomentare su ciò che dovrebbe fare ognuno ein ogni tempo avvengono a partire da una posizione istituzionale (Anti-gone e Creonte non si affidavano al sentimento personale o agli oracoliper sapere che fare. Ciascuno cerca di presentare argomentazioni a favo-re di ciò che, rispettivamente, ogni sorella o ogni governante deve fare,sebbene essi non si richiamino a – né deducano da – «ciò che ognunodeve assolutamente fare»). Se noi astraiamo da quella posizione nel ten-tativo di un’idealizzazione, noi astraiamo dalle condizioni di possibilitàdella razionalità pratica36. Le convenzioni della vita etica, che governanoquale genere di ragioni possa venir presentato, in quale contesto, e aquant’altro ci si impegni presentando tali ragioni, non sono, in altre pa-

34 Hegel continua quindi a sviluppare una versione di «teoria critica» aperta da Kante portata avanti da Habermas e Honneth, dove la riflessione è capace di imporre deter-minate «condizioni limite» ai tentativi di rendere intelligibili o di giustificare le azioni, edè inoltre capace di spiegare che cosa non ha funzionato quando queste condizioni, o tipidi ragione, non vengono osservate o vengono confuse. Kant mette tutto in moto con ladistinzione Verstand-Vernunft; e mentre Hegel non accetta i termini di Kant, la sua filo-sofia è in qualche modo costretta a distinguere «la filosofia dell’intelletto» dalla «specu-lazione», ovvero la riflessione finita dalla riflessione assoluta e così via. Le pretese deldiritto astratto sono quindi valide, ma non in senso illimitato, cioè non senza essere limi-tate da pretese morali di persone, che vanno considerate come soggetti responsabili e finiin se stessi, ecc.

35 A. Honneth, Suffering from Indeterminacy, cit., mostra molto bene ciò che Hegelritiene non funzioni quando i soggetti agiscono in base a una concezione della libertàvalida ma limitata e ignorano tali limiti, ovvero come crescano le varie «patologie» delsociale, quali solitudine, senso di vuoto, alienazione e così via. Cfr. p. 36 e Lineamenti difilosofia del diritto, § 136, § 141 e § 149.

36 Questo introduce ovviamente la questione delle presupposizioni storiche e sistema-tiche di una possibile filosofia dello spirito oggettivo e questa considerazione dovrebbeestendersi in tutta la sua portata dalle asserzioni di Hegel sull’insolita «logica» necessariaa contemplare il concetto di libertà (essere-con-sé-nell’altro), fino alla sua tesi della con-cezione sociale dell’agire (che per Hegel essere un agente significa essere trattato cometale sotto un certo aspetto). Sul tema del riconoscimento (Anerkennung), si veda inoltreil mio What is the Question for Which Hegel’s «Theory of Recognition» is the Answer?,cit.

Page 20: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

568 Robert B. Pippin

role, regole alle quali ci si possa appellare o opporre tutto in una solavolta: esse sono criteri per ciò che dovrà significare ogni ulteriore solle-vare o opporsi a una qualche pretesa.

È importante osservare che questo non prelude alla rivendicazione diun positivismo culturale compiaciuto di sé, come accadrebbe se conside-rassimo giustificato solo ciò che funziona come giustificazione entro ilnostro gioco, perché questo è per noi il solo modo di fare le cose. Comevedremo sotto, questa è una posizione troppo riflessiva e astratta perchépossa valere come ragione pratica. Ma la posizione significa che nei casiin cui ci confrontiamo con una giustificazione che non accettiamo – ades. quando si giustifica trattare mogli e figli come proprietà del marito –noi non abbiamo altra scelta pratica che reagire alla pretesa nello spaziodelle ragioni, con un tentativo di giustificazione, e poi ribadire la conce-zione più ampia della personalità, del diritto naturale, ecc., operanti nellanostra affermazione che questo è ingiusto (Se non facessimo così, nontratteremmo questi altri soggetti come soggetti). Non c’è allora alcunapossibilità per noi, in tal caso, di considerare giustificato «il rispetto delledifferenze culturali» come norma per l’azione (o per l’inazione) a menoche anche quel rispetto non possa essere considerato giustificabile, e que-sto in un modo che può davvero richiedere l’azione quando noi inter-agiamo con culture che non danno alcun valore alla tolleranza.

10. Nulla di questa relativizzazione delle ragioni pratiche in presupposi-zioni istituzionali deve far pensare che le riflessioni di Hegel, nella Feno-menologia, nell’Enciclopedia e nelle sue lezioni sulla razionalità intrinsecao oggettiva delle istituzioni moderne, siano in qualche modo in tensionecon questa restrizione. Siamo così abituati a pensare in modo «platoni-co» a questo tema che ci aspettiamo di trovare questa tensione. Pensia-mo cioè che la vita quotidiana dipenda da «presupposizioni», la giustifi-cazione delle quali a un certo punto della vita quotidiana «viene meno»;e pensiamo che questo rappresenti un fallimento della giustificazione eche solo la filosofia possa completare ciò che noi facciamo in modo in-completo nelle nostre pratiche normali. Questa strada porta ai filosofi-ree alle avanguardie intellettuali. Noi tendiamo poi a pensare che tali pra-tiche di giustificazione non possano costituire da sole la razionalità pra-tica perché possono improvvisamente interrompersi, i partecipanti posso-no fare esperienza della loro insufficienza reale e determinata e ci puòessere poi un tipo di apprendimento o di autentico perfezionamentomorale; e tutto questo significa necessariamente che noi aspiriamo e po-tremmo essere molto vicini a una qualche condizione di razionalità pra-tica perfetta, ad uno scambio completamente confacente di giustificazioniimparziali. E se è davvero così, deve essere possibile, in linea di princi-pio, tracciare uno schema di queste condizioni senza preoccuparci del

Page 21: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

569Hegel e la razionalità istituzionale

fatto che – essendo noi creature imperfette – non possiamo trovare gran-di esemplificazioni di tale condizione nel mondo reale.

Queste sono considerazioni pertinenti e importanti, ma dal punto divista di Hegel dobbiamo stare molto attenti al modo in cui ne enuncia-mo i risultati. Dobbiamo in particolare badare alla differenza tra i tipi dirotture, di aporie e di tensioni irrisolvibili che accadono nelle pratichelinguistiche e giustificative di una certa comunità; e dopo di ciò dobbia-mo badare all’esperienza di soluzioni parziali, alle Aufhebungen, ecc.Questo fenomeno è reale, ma sarebbe solo il contesto locale quello incui, una volta che la razionalità pratica sia stata definita in questo sensopost-wittgensteiniano (come seguire una regola), i partecipanti potrebbe-ro essere intesi come persone che negoziano candidati in un certo tempomigliori per tali regole, per lo statuto normativo; in altri termini, personeche negoziano ragioni pratiche migliori, ragioni che motivano i parteci-panti all’azione, tenuto conto di quello che si era interrotto. Non c’è al-cuna ragione particolare per pensare che tali partecipanti si autocom-prendano o debbano autocomprendersi come «più prossimi alla veritàassoluta o all’accettabilità» allo scopo di fare quella cosa (Ciò di cui han-no bisogno Oreste e Clitennestra, e alla fine le Eumenidi stesse, è la cor-te d’assise, non il Regno di Dio sulla Terra). E d’altra parte si potrebbedare, in modo molto più efficace e a un «livello» non decisivo per lamotivazione delle ragioni pratiche, il tentativo di collocare queste formedi licenze normative e di vincoli all’interno di qualche forma di autocom-prensione più evidente, con riguardo alla normatività e alla giustificazio-ne in genere (intendo una «Scienza della logica»).

Per Hegel, in altre parole, la filosofia non fa in un modo migliorequello che la gente fa in modo insoddisfacente al livello dello «spiritooggettivo»: semplicemente, la filosofia fa qualcos’altro. La filosofia puòforse valere in Hegel come un’attività «più alta» e «più libera», ma ciònon conta per lo spirito oggettivo, e l’effettiva competenza morale non èun afferrare oscuro e confuso i principi della teoria. Non è una versioneinferiore di filosofia, ma una versione buona e forse anche migliore ditale competenza morale. Proprio in alcuni casi (come in quello di unareligione civile) tale teoria distorcerebbe la vita etica se introdotta comequel che Hegel chiama «potere etico». In effetti, in quella che è l’affer-mazione hegeliana più radicale, il contenuto di tale attività filosofica «lo-gica» non è altro che la ripresentazione esplicita dello sviluppo della lo-gica inter-soggettiva della rottura e della ricomposizione, una logica com-prensiva di tale spiegazione e giustificazione che in tali soggetti non svol-ge di per sé alcun ruolo.

Il primo critico di Platone su questo punto di «continuità» è statonaturalmente Aristotele, ed è interessante che l’importanza di questa di-stinzione sia spesso trascurata nel trattare sia Hegel che Aristotele. Anche

Page 22: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

570 Robert B. Pippin

la posizione di Aristotele è che nei suoi scritti sull’etica egli di fatto nondà a nessuno il motivo per fare qualcosa, ma dice che il mondo etico èdi per sé «a posto» e non richiede nessuna istruzione o giustificazionefilosofica. Ma i commentatori a volte pensano che il phronimos deve pursapere qualcosa sulla natura e sulla realizzazione dell’uomo che formanola base delle sue pratiche. Ma questo non è di certo il caso, sebbene se-condo Aristotele ci sia qualcosa da dire sulla base naturale dell’essereumano ideale e della polis37. Anche Hegel è abbastanza esplicito, a suomodo, sul fatto che le considerazioni addotte nella filosofia dello spiritooggettivo, che mostrano come le istituzioni moderne soddisfino le condi-zioni del diritto, non siano e non possano essere ragioni pratiche. Quan-do affermava, nel § 145, citato in precedenza, «il fatto che l’ethos è ilsistema di queste determinazioni dell’idea costituisce la razionalità delmedesimo», egli non proponeva un genere di analisi che poteva averevalore pratico nel generare obbedienza e nel prevenire le defezioni, nelmodo in cui un contrattualista o anche un kantiano potrebbero assumereil valore pratico nelle loro analisi. La stessa cosa si potrebbe dire per irichiami di Hegel alla sua analisi, storicizzata più che sistematica, dellarazionalità, del genere che incontriamo nella Fenomenologia e nelle lezio-ni sulla storia. Egli non sta compendiando con una scrittura normale(longhand) ciò che viene alla luce in forma stenografata (shorthand) nel-l’esperienza pratica degli individui moderni.

Questa differenza di compiti tra il ruolo limitato della ragion praticanello spirito oggettivo e la realizzazione «sommamente libera» della ra-gione nello spirito assoluto è poi la base dell’affermazione più nota efraintesa della Filosofia del diritto. Nella Prefazione Hegel afferma che,sebbene egli tenti «di comprendere ed esporre lo Stato come un qualco-sa entro di sé razionale», è anche vero che la sua filosofia è«lontanissim[a] dal dover costruire uno Stato come dev’essere» (Pref.,15). Poiché egli continua a sottolineare sia il fatto che la filosofia può co-gliere «la rosa nella croce del presente e in tal modo godere di questo»,procurando mediante questa «intellezione razionale» una conciliazionecon la realtà, sia il fatto che la filosofia non può assolutamente offrirealcuna istruzione su come debba essere il mondo, perché essa giungesulla scena troppo tardi per questo, come la nottola di Minerva che ini-zia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo; e poiché queste due affer-mazioni sono in forte tensione (perché un modo di dare insegnamenti sucome dev’essere il mondo non comporta anche affermare che esso ècome dovrebbe essere? perché le cose appaiono come una rosa che dan-

37 Di grande valore su questi temi in Aristotele il saggio Virtue and Reason di J.McDowell, in J. McDowell, Mind, Value, and Reality, Cambridge, Harvard UniversityPress, 1998, pp. 50-76. Si veda in particolare l’osservazione sulla «vertigine» a p. 63.

Page 23: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

571Hegel e la razionalità istituzionale

za nella croce del presente ma anche come un paesaggio grigio al tra-monto?), i commentatori hanno spesso risolto il problema ignorando il«non dare insegnamenti» e il «non dover essere» hegeliano, presumendoche egli intendesse dire che lo Stato contemporaneo, e quindi anche loStato prussiano contemporaneo, era proprio come doveva essere38.

Ma tutto il suo procedere consiste sempre nel tenere distinte questedue considerazioni. Così egli fa nelle sue lezioni di filosofia del dirittodel 1818-19, quando distingue a) le ragioni pratiche basate sulla cono-scenza della legge, b) un altro tipo di conoscenza «basato su ragioni», ec) «la comprensione filosofica […] basata sul concetto»39. Quando egliaffermava nella Prefazione che la sua analisi può fornire una «conciliazio-ne» con la realtà moderna, egli si rivolgeva in modo molto specifico

a coloro nei quali una volta è affiorata l’interna esigenza di comprendere, e altret-tanto di mantenere in ciò che è sostanziale la libertà soggettiva, così come distare con la libertà soggettiva non in un qualcosa di particolare e accidentale,bensì in ciò che è in sé e per sé (Prefazione, p. 16).

Questo genere di ampia prospettiva sulla piena razionalità oggettivadelle istituzioni moderne, intesa sia come analisi sistematica dei diversi«momenti» dell’analizzare e della giustificabilità, sia come il culmine sto-rico dell’autoeducazione dello spirito umano, dev’essere strettamente di-stinta da ogni analisi di ciò che in un certo momento effettivamente cir-cola come giustificazione all’interno di qualche assetto istituzionale.

Perciò, quando Hegel vuole dare un esempio concreto del lato sog-gettivo della affermazione razionale, egli si richiama alle condizioni dipubblicità e di razionalità dei procedimenti giuridici (§ 228). I cittadini,egli afferma, da sé, soggettivamente, non potrebbero avere ragioni pertener fede al sistema processuale se tutte le decisioni fossero fatte dacorti professionali, basate su standard di evidenza ristretti e da argomen-tazioni legali complesse, anche se tutti questi standard soddisfacessero«in se stessi» gli standard più elevati degli esperti di legge. Le loro ragio-ni (le ragioni dei cittadini) per sostenere una tale istituzione dipendonosia dagli standard impliciti dell’istituzione stessa (in questo caso dal-l’uguaglianza di fronte alla legge), sia da considerazioni che possono es-ser date e accettate dai partecipanti all’istituzione medesima. Ovvero, per

38 C’è molto da dire circa il rapporto di Hegel con Aristotele sulla tematica «teoria-prassi» e le cose migliori finora dette al riguardo si trovano nel cap. 4 della terza parte diM. Theunissen, Hegels Lehre vom absoluten Geist als theologisch-politischer Traktat, Ber-lin, de Gruyter, 1970, pp. 38-419, in part. p. 404. Prezioso anche (sebbene io sia in di-saccordo con la sua interpretazione) H.F. Fulda, Das Recht der Philosophie in HegelsPhilosophie de Rechts, Frankfurt/M., Klostermann, 1968.

39 G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie des Rechts, cit., vol. II, p. 106.

Page 24: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

572 Robert B. Pippin

rovesciare il caso standard, mentre è vero che tutto quel che un cittadinodeve perseguire nel determinare cosa fare sono la sua posizione e i suoidoveri, e mentre egli può soltanto giungere ad affermare tale ruolo ri-chiamandosi al genere di riflessione critica attualmente disponibile, èperfettamente possibile affermare che la posizione che egli occupa non èin sé conforme alle esigenze della ragione.

Richiedere, fornire, accettare o rifiutare ragioni pratiche, in altre paro-le, sono tutte cose che si comprendono meglio come elementi di unapratica sociale governata da regole. Tali giustificazioni sono spesso pre-sentate agli altri come affermazioni sul fatto che le regole che governanole loro pratiche normali sono state seguite, e alla questione pratica del-l’adeguatezza deve essere data risposta solo all’interno di tale pratica,dando per scontato il modo in cui una pratica o un’istituzione è giunta aincarnare le crisi, le rotture e i cambiamenti che l’hanno resa ciò che è40.La nostra assunzione che un’azione dovrebbe essere compresa in unmodo piuttosto che in un altro, implica che ci si aspetta sempre cheanche un altro la costruisca allo stesso modo; e noi possiamo fare similiassunzioni soltanto se siamo già arrivati a comprenderci l’un l’altro comepartecipanti solidali, ovvero solo se si danno assunzioni e attese recipro-che relativamente «forti». L’argomentazione pratica presume sempre talicontesti e così, mentre non c’è soluzione hegeliana alla questione se l’ar-gomentazione prudente possa anche giustificare una qualche restrizioneo sospensione del mio bene parziale, non c’è neanche alcun problema«reale» da risolvere. La fiducia e la solidarietà senza la quale l’azionecooperativa è impossibile e che non si può giustificare sulla base di pre-messe egoistiche o sulla base del «proprio interesse correttamente inteso»è, se esiste e se Hegel ha ragione, meglio compresa come il prodotto diun’esperienza storica collettiva della sua assenza, o presenza solo parziale.

Così per noi ora «il fatto che le famiglie devono tentare di incoraggia-re l’indipendenza nei loro figli», dovrebbe valere in tale pratica comeuna ragione perfettamente soddisfacente e conclusiva per l’agente, senzapiù alcun bisogno di essere ribadita. Hegel insiste ripetutamente sul fattoche l’agente deve naturalmente conoscere e affermare la ragione e com-prendere a cosa ci si impegni nel rispondere in questo modo, ma ciò èqualcosa di molto differente da un richiamo anche solo implicito alletrasformazioni dialettiche nella storia o da un conformarsi all’Idea svilup-pata del diritto.

40 L’analisi di T. Pinkard del «prendere e assumere una posizione nello spazio socia-le» è una versione importante di ciò che sembra richiedere una simile visione socialedell’argomentazione pratica nei contesti che Hegel prende in considerazione. Cfr. il suoHegel’s Phenomenology, cit., e la sua analisi della Rechtsphilosophie hegeliana nel cap. 7,in «The essential structure of modern life», pp. 269-343.

Page 25: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

573Hegel e la razionalità istituzionale

Ora, cominciano qui a insinuarsi daccapo ovvie preoccupazioni e pro-blemi: e cioè che noi siamo destinati a qualcosa di simile alla posizioneevocata da Durkheim ne Le regole del metodo sociologico, ovvero che lenature umane individuali sono solo il materiale indeterminato che i fatto-ri sociali plasmano e trasformano41. E dobbiamo rispondere a domandedel tipo: in quale altro modo iniziano a rompersi tali legami istituzionali,se non per appello alla critica puramente razionale? Può sembrare tuttorelativistico: niente di tutto questo ci aiuta a capire la base hegelianadelle pretese dell’individuo contro le istituzioni, e così via. Ci sarebbemolto altro che si sarebbe dovuto dire sulla categoria hegeliana dell’agire,sulle connessioni (se ce ne sono) fra «comprensibilità» filosofica e suffi-cienza pratica, sullo statuto della responsabilità individuale in Hegel,sulla sua analisi della punizione, e così via, per difendere il suo approc-cio42.

41 Cfr. E. Durkheim, Le regole del metodo sociologico, Milano, Edizioni di Comunità,1969, cap. 5.

42 Ci sono in particolare due tematiche che si sarebbe dovuto avviare in un’analisipiù completa ed entrambe riguardano quelle che in superficie sembrano essere incon-gruenze nel testo hegeliano. (I) Hegel sembra non vedere alcun problema nel descrive-re il carattere soggettivo dei cittadini moderni al tempo stesso come «fiducia» da unaparte e come attitudine o predisposizione non-riflessiva dall’altra (E §§ 514-515), pro-prio in quanto insiste, come abbiamo visto molte volte, sul fatto che essi vogliono l’uni-versale «con sapere e volontà». Cfr. F. Neuhouser, Foundations of Hegel’s Social The-ory, cit., cap. 7: «The Place of Moral Subjectivity in Ethical Life», pp. 225-280, unadelle migliori discussioni su questo problema. C’è poi (II) la questione dell’influenza diqueste tematiche sull’analisi della psicologia morale che attraversa la Filosofia del dirit-to, soprattutto come formulata nell’Introduzione a quest’opera. Hegel sembra rifiutaresia ogni considerazione del ruolo della ragion pratica – che la possiede come una facol-tà indipendente che stabilisce il valore dei vari stimoli, desideri e avversioni, come sequesti poi fossero dati psicologici allo stato bruto (una negazione che si manifesta so-prattutto nelle sue diatribe contro Kant, le religioni positive, le morali ascetiche ecc.) –sia invocando un linguaggio più tradizionalmente razionalistico, come se ci si potesseastrarre e «mettersi sopra» (§11 e §14) i propri stati congeniti e valutare se servanocome motivi validi. Per una disamina molto breve e introduttiva a questo secondo pro-blema, cfr. il mio Hegel, Freedom, The Will: The Philosophy of Right, §§ 1-33, in He-gel: Grundlinien der Philosophie des Rechts, a cura di L. Siep, Berlin, Akademie Verlag,1997, pp. 31-53. Il problema è complicato dal sospetto intuitivo legittimo che si possadire di aver riflettuto razionalmente su che cosa fare, di esser cresciuto con una ragionesocialmente effettiva, di aver fissato uno scopo, di aver avuto l’autocontrollo sufficiente,intelligenza e mezzi per realizzare lo scopo e di averlo in effetti realizzato solo per ri-trovarsi insoddisfatto, senza potersi ancora «riconoscere nell’azione». Questa dimensio-ne di libertà interessa a Hegel ed egli ha avuto in qualche modo a che fare con essa.Cfr. R. Geuss, Auffasungen der Freiheit, cit., p. 6: «Io non posso stabilire sempre me-diante semplice introspezione che cosa siano i miei veri desideri, e nemmeno mediantesemplice riflessione teoretica». Cfr. anche le sue proposte su Hegel, sia sulla «riflessio-ne» che sull’«identificazione» in Freedom as an Ideal, in «The Aristotelian Society –Supplementary», vol. LXIX (1995), pp. 87-100.

Page 26: Hegel e la razionalità istituzionale (R. Pippin)

574 Robert B. Pippin

Alla fine, molte di queste formulazioni possono suonare deflazionisti-che e anti-razionali nello spirito, e infatti molti neo-humeani come Ber-nard Williams sono avvocati convincenti della condizione internalistica equindi delle limitazioni della «teoria etica»43. Ma è importante notare inchiusura che Hegel non nega il fatto che la ragione umana possa stabilirefini, o determinare da sola l’azione, né cerca di precisare la controversaaffermazione che gli individui moderni sono sensibili alle ragioni pratichein modi differenti e superiori a quelli delle precedenti civiltà. Egli negala concezione kantiana come pure quella egoistico-razionale della ragionpratica stessa, cercando di mostrare che ciò che qualcuno fa secondo unaragione giustificata può essere ottenuto solo attenendosi a quelle formedi vita istituzionale che determinano concretamente il significato dell’au-tocomprensione adeguata e della giustificazione riuscita44. Egli affermache «avere una ragione» (non solo nel senso esplicativo, ma in quellogiustificativo, adeguato, nel senso dell’avere buone ragioni) non è un ver-detto sancito in modo assoluto davanti al Tribunale della Ragione. Comegià notato, Hegel è pronto a riconoscere che alcune istituzioni incarnanol’autoeducazione storica dello spirito umano. L’analisi e la giustificazionedi quell’affermazione dell’autentica educazione e quindi del progressomorale possono darsi, ma solo «al tramonto», mai in un modo che san-cisca «ciò che dev’esser fatto»; inoltre, esse possono darsi solo per quelloche nelle Lezioni sulla filosofia della religione Hegel chiama «il sacro sa-cerdozio» dei filosofi45. In altre parole, il giudizio di Marx su Hegel eralegittimo. Compito della filosofia per Hegel è di comprendere il mondo,non di cambiarlo; e questo per una semplice ragione non compresa daMarx: la filosofia non può cambiare il mondo.

(Traduzione di Alessandro Bellan)

43 Uno dei temi centrali nel progetto di Williams – de-enfatizzare ogni presunta dif-ferenza categoriale tra ragioni morali e ragioni non-morali – è estremamente importanteper Hegel e comporta daccapo una connessione con temi greci meritevoli di esser prose-guiti. L’argomentazione pratica che Hegel collega con l’azione «giusta» non è una formamorale ben distinta di argomentazione e quindi egli in effetti non ha una teoria della«moralità» ben delineata. Le casistiche, i dilemmi morali, i problemi legati al conflitto fradoveri, la questione di ciò che è veramente morale e così via, non hanno una parte deci-siva nelle sue discussioni della vita etica moderna.

44 Queste considerazioni sollevano la questione di come Hegel tratti il tema della re-sponsabilità personale. Si tratta di un’altra tematica ampia e separata, di cui discuto alcu-ni aspetti in Taking Responsibility: Hegel on Agency, di prossima pubblicazione in Subjek-tivität und Anerkennung, a cura di B. Merker, G. Mohr e M. Quante.

45 G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Religion, in Werke, cit., vol.XVI, p. 356: la filosofia è un «santuario separato e i suoi servitori formano un ceto sacer-dotale isolato che non può accordarsi con il mondo».