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Buone pratiche: integrazione delle ICT, software didattici e registro elettronico Rev. 4.0 del 12/09/2016

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Buone pratiche: integrazione delle ICT, software didattici e registro elettronico

Rev. 4.0 del 12/09/2016

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Premessa

Obiettivo della scuola di oggi è integrare progressivamente le ICT nei percorsi didattici; affinchè questa integrazione sia costruttiva per tutte le parti coinvolte bisogna modulare tempi, spazi, ruoli e metodologie didattiche in relazione alla centralità del processo di apprendimento dello studente.

La classe 2.0 è basata sull’apprendimento interattivo e riesce a creare una dimensione che è sia reale che vir-tuale, tale da attivare la metacognizione.

Integrare efficacemente le ICT nella didattica significa riformulare il piano formativo sulla base di una dif-ferente gestione degli spazi e del tempo: lo spazio della classe 2.0 non è da intendersi semplicemente come lo spazio fisico dell’aula, ma come spazio virtuale (ambiente online), nonché come spazio mentale (ovvero il tempo/ritmo individuale necessario all’apprendimento e all’elaborazione).

Il ruolo del docente nella classe 2.0 è quello di un facilitatore/conduttore del processo di apprendimento dell’intero gruppo classe in relazione alla crescita autonoma e spontanea del singolo alunno.

L’idea del gruppo classe come comunità che apprende rispecchia una visione di scuola e di apprendimento che raccoglie le più recenti e innovative sperimentazioni in campo educativo, promuovendo la capacità cre-ativa del singolo studente.

Il modulo 3 analizza nel dettaglio le nuove pratiche d’aula funzionali alla didattica che integra le tecnologie digitali nel processo di apprendimento: la flipped classroom, l’aula virtuale, i software e le app per la didat-tica, il registro elettronico.

In queste pratiche d’aula l’insegnamento assume la forma metodologica che di volta in volta può essere fun-zionale all’apprendimento del tema trattato, divenendo buona pratica nel momento in cui va a soddisfare gli esiti attesi.

I software per la didattica sono programmi che il docente utilizza per facilitare il processo di apprendimento degli studenti o per realizzare un progetto interdisciplinare.

Spesso non è facile scegliere tra i numerosi software disponibili: il docente dovrebbe prima di tutto program-mare l’attività che intende svolgere, definendo obiettivi e contenuti; relativamente alle caratteristiche dei principali software della propria disciplina/campo di applicazione.

Gli obiettivi di integrazione delle ICT nella didattica posti qualche anno fa, oggi sono stati rilanciati con il Piano Nazionale Scuola Digitale con un investimento in prima tranche per l’anno scolastico 2015/2016 di circa novanta milioni di euro, seguiti da circa trenta milioni di euro ogni anno successivo a partire dal 2016: tra questi l’introduzione del Registro Elettronico, poste le sufficienti condizioni d’utilizzo (un’efficiente connes-sione wirless, computer/tablet a disposizione di docenti/studenti in ogni classe, un’adeguata formazione per i docenti circa l’utilizzo di tale strumento); come trattato al termine del presente modulo.

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INDICE

1. CLASSE 2.0 E SCUOLE 2.0, LE AZIONI DEI CENTRI SCOLASTICI DIGITALI (CSD) ... 51.1 La Classe 2.0: integrazione delle ICT nelle pratiche didattiche............................................................. 61.2 Il setting della Classe 2.0: gestire lo spazio e organizzare il tempo ...................................................... 81.3 Il ruolo dei docenti nelle Classi 2.0 .......................................................................................................... 111.4 I Centri Scolastici Digitali (CSD).............................................................................................................. 14

2. PRATICHE D’AULA ..................................................................................................................................... 192.1 Insegnare le buone pratiche ..................................................................................................................... 192.2 Pratiche d’aula: la funzione didattica ...................................................................................................... 212.3 La Flipped Classroom ............................................................................................................................... 232.4 I laboratori formativi ................................................................................................................................. 412.5 AULA VIRTUALE ..................................................................................................................................... 46

3. SOFTWARE PER LA DIDATTICA ......................................................................................................... 513.1 App/tool/software a uso didattico ........................................................................................................... 583.2 Wiki, RSS e WebQuest ............................................................................................................................... 613.3 Materiali didattici digitali online ............................................................................................................. 68

4. REGISTRO ELETTRONICO ..................................................................................................................... 744.1. Utilizzo del Registro Elettronico ............................................................................................................. 744.2 Griglie di valutazione ................................................................................................................................ 84

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BUONE PRATICHE: INTEGRAZIONE DELLE ICT, SOFTWARE DIDATTICI E REGISTRO

ELETTRONICO

1. CLASSE 2.0 E SCUOLE 2.0, LE AZIONI DEI CENTRI SCOLASTICI DIGI-

TALI (CSD)

Il Piano Nazionale Scuola Digitale del 2009 ha dato inizio al processo di innovazione del sistema scolastico con un progetto articolato che mira a:

• dotare tutte le scuole di strumenti tecnologici avanzati; • sostituire il “laboratorio informatico” con un ambiente di apprendimento in cui i ragazzi siano co-autori

dei processi di conoscenza insieme a insegnanti e facilitatori; • formare adeguatamente gli insegnanti con corsi di aggiornamento specifici.

Molti sono i progetti del PNSD già avviati, tra questi il progetto Cl@ssi 2.0 consiste in una sorta di monito-raggio per la formulazione di proposte innovative; infatti il focus non è sugli strumenti tecnologici ma sulla capacità progettuale e creativa dei docenti, i quali, attraverso la verifica quotidiana delle attività con le ICT in classe, possono strutturare un progetto di innovazione didattica. In tal modo si possono acquistare i dispositi-vi necessari per attuare il progetto stesso, in quanto la logica di Cl@ssi 2.0 valorizza l’attuazione di esperienze didattiche innovative che possano generare un contagio nella scuola.

Conseguentemente, il progetto Scuola 2.0 contenuto nello stesso PNSD si fonda sull’autonomia delle scuole con l’obiettivo di estendere l’innovazione a tutte le classi della scuola; in quanto si rivolge al Collegio docenti che, insieme al Dirigente, è chiamato ad adottare soluzioni organizzative e didattiche aperte e flessibili. In questo modo il POF può sostenere le scelte della scuola rivolgendosi anche alle famiglie e al territorio, mentre il Consiglio di Istituto ne è corresponsabile.

Il Web 2.0 e le tecnologie digitali nel loro complesso trasformano profondamente la comunicazione creando nuove possibilità di apprendimento informale che caratterizzano l’intera società della conoscenza: l’obiettivo della scuola di oggi è integrare progressivamente tali strumenti nei percorsi didattici.

Affinchè questa integrazione sia effettivamente costruttiva per tutte le parti coinvolte, bisogna considerare come stanno cambiando tempi, spazi, ruoli e metodologie didattiche; così da modulare questi fattori in rela-zione alla centralità del processo di apprendimento dello studente.

Infatti, attraverso l’utilizzo delle ICT nella didattica, gli studenti diventano protagonisti: da consumatori pas-sivi di contenuti digitali ad autori responsabili che, guidati dal docente, progressivamente sviluppano abilità di ricerca e flessibilità cognitiva.

Le tecnologie, all’interno di una progettazione intenzionale da parte dell’insegnante, possono promuovere la costruzione condivisa di conoscenza, l’interazione con il contenuto dell’informazione ma anche la personalizzazione dei percorsi e delle strategie di apprendimento e l’acquisizione attiva e anche creativa dei sistemi simbolici culturali ovvero le diverse discipline (Rossi, 2009; Ranieri, 2011).

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1.1 LA CLASSE 2.0: INTEGRAZIONE DELLE ICT NELLE PRATICHE DIDATTICHE

Tra il 1985 e il 1995 le ICT sono state inserite nell’ambito disciplinare della scuola, in forma di laboratorio di informatica: il computer era relegato in un luogo diverso dalla classe, in uno spazio dedicato dove gli studen-ti potevano accedervi solo per lezioni episodiche.

Negli anni a seguire, la scuola ha risposto all’introduzione delle ICT nel piano didattico con lentezza e scetti-cismo. La posizione dei docenti si è infatti mantenuta sulla difensiva per il timore che la tecnologia, portatrice d’innovazione, potesse modificare il ruolo autoritario degli stessi; quindi l’introduzione delle ICT è stata faticosa tanto per la scarsa disponibilità delle risorse economiche quanto per la resistenza culturale di coloro che compongono e organizzano l’intero sistema educativo.

Tra il 1997 e il 2000 il Programma di Sviluppo per le Tecnologie Didattiche (PSTD) ha posto attenzione sull’aggiornamento delle competenze tecnologiche per i docenti e sull’educazione alla multimedialità per gli studenti.

L’obiettivo del progetto era quello di fornire ai docenti gli strumenti per ricevere una prima formazione di base sulla multimedialità e studiarne le possibilità applicative nella didattica, cooperare con altri docenti della stessa scuola o di altre scuole per esaminare ed elaborare materiali didattici, coinvolgere classi o gruppi di studenti in attività non sistematiche utilizzando la multimedialità.

Alle scuole coinvolte nel progetto erano quindi destinate risorse finanziarie per le attrezzature e per la for-mazione.

In tal modo le ICT hanno iniziato a proporsi come strumento di comunicazione multimediale per la costru-zione e fruizione di contenuti interdisciplinari.

È a partire dal 2004 che le tecnologie digitali vengono introdotte in classe: con le prime Lavagne Interattive Multimediali (LIM) la classe si fa laboratorio e inizia un lento eppur costante processo di integrazione tra le ICT e la didattica tradizionale. La LIM infatti permette di sperimentare nuove modalità di lezione interattive in quanto è progettata secondo la logica del digitale e della Rete.

In questo processo di integrazione sono tuttavia emerse non poche criticità legate alla effettiva organizzazio-ne delle azioni da intraprendere in relazione alle caratteristiche proprie della tecnologia digitale.

Il Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Informazione e alla Tecnologia (CREMIT) ha monitorato nel tempo le fasi del processo, mettendone in luce i differenti ostacoli derivanti dalla scarsità di risorse im-mediatamente spendibili per l’aggiornamento formativo dei docenti; da qui le difficoltà tecniche legate alla gestione degli strumenti digitali, e di conseguenza la condizione di isolamento di quei docenti più sperimen-tatori – che non ricevevano sufficiente supporto dal sistema scolastico.

Nel 2008 il MIUR ha promosso l’azione Scuola Digitale – Lavagna, portando 35.000 LIM nelle scuole primarie e secondarie di I e di II grado in tre anni e affidando il piano di formazione all’INDIRE.

L’iniziativa ha gettato le basi per le iniziative che sarebbero seguite, in quanto le LIM sono state obbligatoria-mente installate in classe e non nel laboratorio di informatica, costituite da un unico sistema integrato affisso alla parete.

Le scuole aderenti hanno quindi coinvolto tutti i docenti del consiglio di classe nell’attività di formazione tecnica (affidata alle ditte) e in quella metodologico-didattica (affidata all’INDIRE).

Il Piano Nazionale Scuola Digitale del 2009 ha quindi mirato alla concreta integrazione delle tecnologie digi-tali nella didattica, trasformando gli ambienti di apprendimento, ovvero le classi.

Questi sono stati passi necessari per un cambiamento radicale del sistema scolastico, che è avvenuto e tutt’o-

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ra avviene in un tempo più diluito rispetto alla velocità che caratterizza lo stesso cambiamento nella vita quotidiana delle persone: le tecnologie digitali portano in sé una nuova concezione di presenza, di comu-nicazione e di apprendimento, e se questa concezione è stata subito assimilata più o meno coscientemente nella sfera personale di ognuno, ha bisogno di più tempo per essere assimilata da un sistema complesso come quello scolastico.

Questo cambiamento radicale mira infatti a scardinare l’idea tradizionale di classe: la classe 2.0 è un ambiente di apprendimento sia fisico, reale, che virtuale; nel quale le coordinate spazio temporali si dilatano sino a raggiungere qualsiasi altro ambiente (o persona) e i passaggi di conoscenza avvengono in una nuova dimen-sione tra il formale e l’informale.

Nella classe 2.0 il focus è sul processo di apprendimento interattivo: questo spiega come, nel corso degli anni, la pratica didattica quotidiana ha progressivamente sostituito una formazione per i docenti prettamente tec-nica (intesa come alfabetizzazione informatica per l’uso di specifici software) con una formazione più ampia, finalizzata ad acquisire la competenza digitale nel senso più ampio del termine.

L’adeguata formazione dei docenti è fondamentale per permettere agli studenti di comprendere, acquisire e utilizzare le tecnologie digitali in relazione alle effettive potenzialità delle stesse: per questo, la formazione prettamente strumentale dev’essere supportata da una formazione che agisca concretamente sulle rappre-sentazioni.

Per rappresentazione si intende l’idea mentale che si possiede di un certo oggetto o situazione.

Questa idea mentale va a determinare il tipo di reazione comportamentale che si attiverà nei confronti di quell’oggetto o situazione: ad esempio, se si considerano tablet e smartphone come strumenti ludici che por-tano alla distrazione, nel momento in cui si ci troverà a doverli utilizzare si attiverà una reazione di resistenza più o meno esplicita, espressa attraverso azioni più o meno consapevoli.

Al contrario, se si considerano tablet e smartphone come strumenti potenzialmente efficaci per attivare un rinnovato processo di apprendimento, nel momento in cui ci si troverà a doverli utilizzare si attiverà una re-azione di curiosità ed entusiasmo più o meno esplicita – la quale andrà a influenzarne positivamente gli esiti.

Una formazione per i docenti che tenga conto delle rappresentazioni (le quali si evincono dall’osservazione fenomenologica delle azioni presenti) è utile per strutturare concretamente le azioni da intraprendere per il raggiungimento degli obiettivi posti.

Un tipo di lavoro propedeutico interessante potrebbe riguardare anche le rappresentazioni dei genitori e degli studenti stessi circa la tecnologia digitale: prima di entrare nel vivo di un progetto sarebbe utile coin-volgere genitori e studenti in un dialogo comune, per far emergere i dubbi e le criticità, così da formulare una direzione comune di intervento, dato che l’apprendimento con le ICT è continuo e può avvenire in tempi e modi individuali e non prefigurati.

Le rappresentazioni degli studenti sono spesso più flessibili rispetto a quelle di docenti e genitori; infatti i giovani manifestano un generale entusiasmo per l’utilizzo delle tecnologie digitali, prevedendo positive rica-dute sull’apprendimento. Gli strumenti e le metodologie di studio innovative permettono di approfondire i contenuti in modo più divertente e leggero, inoltre aiutano a utilizzare responsabilmente la tecnologia anche nella quotidianità.

Dalle osservazioni risultano interessanti le modalità con cui gli studenti combinano i tradizionali strumenti didattici (quaderni, penne, libri) con gli strumenti tecnologici: con dimestichezza passano dal tablet al qua-derno degli appunti, comportandosi attivamente, prima ancora che creativamente. E questa rinnovata attivi-tà non è un elemento trascurabile.

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1.2 IL SETTING DELLA CLASSE 2.0: GESTIRE LO SPAZIO E ORGANIZZARE IL TEMPO

Nella classe 2.0 la tecnologia digitale non è solo un dispositivo da “aggiungere” al setting tradizionale, ma è uno strumento attivo che prevede una riprogettazione adeguata dello spazio e dei tempi della lezione.

Vediamo dunque come si modifica il setting didattico nella classe 2.0, in relazione alla dimensione prossemi-ca e relazionale dello spazio e alla dimensione temporale dei processi di insegnamento e assimilazione dei contenuti: lo spazio fisico è in stretto rapporto con la qualità del processo di apprendimento; pertanto incide sulla memoria, sulla motivazione e sull’efficacia dell’educazione.

Finalità della classe 2.0 è creare una dimensione tanto reale quanto finzionale, una sorta di cornice didattica che permetta di sperimentare concretamente e al contempo di prendere distanza dall’azione per attivare la metacognizione.

La metacognizione è la capacità di riconoscere e riflettere sul proprio mondo interno, rendendo consapevoli emozioni e pensieri; è questa una capacità fondamentale per riportare i contenuti appresi nella propria per-sonale esperienza, dunque per fruirli attivamente trasformandoli in competenze.

Stando in questa prospettiva, si evince come la dimensione spaziale è fortemente connessa alla dimensione temporale: dunque per setting non si intende semplicemente la disposizione degli strumenti nello spazio, ma anche le modalità del loro utilizzo.

La stessa configurazione della tecnologia digitale prevede una modalità di lavoro interattivo e collaborativo,

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che richiede di progettare in gruppo.

La tecnologia può essere intesa come amplificatore dello spazio in quanto l’azione si svolge in un ambiente virtuale che consente di lavorare e apprendere anche fuori dalle mura scolastiche: la dimensione temporale dell’insegnamento/apprendimento diviene sempre più individuale e modulabile.

Stando alle osservazioni riportate, la maggior parte delle scuole impegnate nella sperimentazione ha con-servato il setting tradizionale della classe, modificandolo di volta in volta in base alla tipologia di attività da svolgere, soprattutto per le attività di gruppo.

Pur nella diversità delle situazioni didattiche sperimentate, si mantengono tendenzialmente due configura-zioni di setting:

• Il setting tradizionale prevede una fila di banchi in cui ogni studente ha il suo dispositivo sul quale lavo-rare individualmente, ed è orientato alla cattedra con doppia lavagna (ardesia ed e-Board). Qui il docente dirige la prossemica avvicinandosi o allontanandosi dal singolo alunno, orientandone lo sguardo in base all’organizzazione e all’uso dei supporti.

• Il setting per il lavoro di gruppo prevede la disposizione dei banchi per isole di lavoro, dove la tecnologia supporta l’attività del gruppo integrandosi con gli strumenti didattici tradizionali. La posizione del docen-te è mobile: egli si sposta tra le diverse isole per controllare, visionare, sostenere il processo, sollecitando la comunicazione tra gli studenti.

In queste situazioni didattiche la dimensione prossemica del docente (che si muove tra i banchi seguendo le richieste che di volta in volta gli vengono poste) sostiene il processo di apprendimento degli studenti: rispet-to alla tradizionale lezione frontale il focus è sui percorsi di ricerca individuali, sul lavoro di gruppo, sulle modalità collaborative di elaborazione e produzione di contenuti.

Le stesse modalità collaborative emergono sin dal principio della situazione didattica, in quanto i ragazzi si attivano naturalmente per organizzare lo spazio; predisponendolo per l’attività, secondo i suggerimenti del docente.

Dalle osservazioni è infine emerso un aumento della socializzazione tra gli studenti e una migliore coopera-zione di fronte alle diversità.

Il lavoro di gruppo può rendere l’ambiente più confusionario, ma nel complesso l’attività risulta stimolante tanto da far emergere nei ragazzi coinvolti la volontà di superare gli ostacoli che si presentano, insieme a una buona motivazione ad apprendere, attraverso la ricerca e l’elaborazione attiva di contenuti.

Nell’ambito del setting didattico della classe 2.0 va citato il metodo degli EAS (Episodi di Apprendimento Si-tuati). Un EAS è un micromodulo didattico che si compone di tre momenti:

- L’introduzione, in cui il docente presenta il concetto/tema sul quale si dovrà strutturare il lavoro, dunque assegna un compito da svolgere.

- La parte centrale, in cui il compito viene realizzato mediante una produzione multimediale (analisi di un testo, realizzazione di un video, fotografie, ecc.).

- La parte conclusiva, durante la quale il docente accompagna la classe nel debriefing (ovvero la valutazione finale del processo).

In quest’ultima parte gli studenti si dispongono in semicerchio davanti a un cartellone, che riporta in sintesi grafiche le produzioni svolte: questa modalità dispositiva li predispone al confronto e alla partecipazione, favorendo l’espressione del pensiero individuale e del dialogo tra le parti.

Il metodo degli EAS ridefinisce la progettazione didattica sulla base della variabile tempo: per elaborare una produzione digitale c’è bisogno di più tempo, quindi si potrebbe dire che la didattica digitale favorisce le con-

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dizioni per l’attivazione di un’educazione lenta e migliora la sintesi e la combinazione dei diversi linguaggi espressivi.

La dimensione temporale, nell’ambito della ricerca sperimentale all’interno delle scuole, risulta difficilmente valutabile:

“La scuola funziona secondo un ritmo stabilito, con un tempo razionalizzato, pianificato e con attività attentamente pro-grammate. Si stabiliscono obiettivi da raggiungere entro tempi prefissati. Questa pratica, che dovrebbe salvare l’attività didattica dallo spontaneismo, conduce all’ossessione per il tempo che non basta mai.” (Francesch, 2011, p. 20).

Il rapporto OCSE del 2015 evidenzia i risultati della digitalizzazione della scuola relativamente all’appren-dimento.

I giovani italiani, nonostante possiedano buona dimestichezza con le tecnologie digitali (le loro competenze di lettura digitale risultano addirittura sopra la media OCSE - 504 rispetto a 497 - ma superiori di 11 punti a quelle di paesi che hanno una performance simile nella lettura ‘tradizionale’), nella loro navigazione sono lost in navigation, ovvero disorientati: il digital divide sociale non è quantitativo ma piuttosto qualitativo. Il 15% degli studenti, quando naviga sul web, rispetto al 12% della media OCSE è poco mirato: quasi tutti gli studenti in Italia commettono errori nella navigazione, e solo il 25% si corregge ritornando sulla rotta di navi-gazione più appropriata. In Italia l’accesso a Internet sembra riguardare il 92,9% degli studenti svantaggiati, 6,3 punti percentuali in meno di quelli più avvantaggiati, ma solo il 66% ottiene informazioni valide (13% in meno degli avvantaggiati), e il 44% degli svantaggiati naviga su Internet per un uso esclusivamente ludico.

Questo significa che le possibilità delle tecnologie digitali sono ancora poco sperimentate nella didattica, in termini di apprendimento, collaborazione, inclusione, produzione di contenuti e condivisione: tutti fattori che porterebbero i giovani italiani a utilizzare la Rete in modo produttivo per sé stessi e per gli altri.

Tutte le parti coinvolte nel sistema educativo scolastico lamentano una “mancanza di tempo”, ma per “tem-po” si possono intendere due differenti aspetti: • Il tempo della dimensione del sistema scuola, ovvero il tempo dell’organizzazione scolastica del curricolo,

che deve costantemente trovare un compromesso tra gli obiettivi prefissati (aspettative) e quelli effettiva-mente raggiungibili (la concretezza dei fatti). Questa dimensione temporale è quantitativa.

• Il tempo dei processi di insegnamento e apprendimento, ovvero il ritmo con il quale il docente trasmette la conoscenza agli studenti in relazione al ritmo con il quale gli studenti la assimilano ed elaborano, re-stituendola al gruppo classe (docente incluso) in una forma personale. Questa dimensione temporale è qualitativa.

Le tecnologie digitali portano in sé un paradosso temporale: da un lato minimizzano le distanze spaziali sino quasi a farle scomparire (in pochi minuti è possibile comunicare e condividere contenuti in tempo reale con una persona che si trova dall’altra parte del mondo), dall’altro aumentano il tempo necessario per la proget-tazione di un contenuto multimediale, in quanto prevedono un team, anche minimo, di lavoro (basti pensare alle fasi di produzione e pubblicazione di un video).

Spesso si pensa di ricorrere alla tecnologia proprio per recuperare tempo: certamente la velocità dei device tecnologici facilita l’accesso all’informazione e permette di sperimentare la policronia, propria del multi-tasking (ovvero la possibilità di gestire simultaneamente più tempi in relazione alle attività aperte).

Tuttavia le ICT portate nel sistema scolastico richiedono più tempo invece di “recuperarlo”, a causa dei tempi di risoluzione di problemi tecnici e dei tempi di preparazione dei materiali didattici, nonché di produzione di contenuti multimediali in modalità collaborativa.

Integrare efficacemente le ICT nella didattica quindi significa riformulare il piano formativo sulla base di una differente gestione degli spazi e del tempo: le possibilità di apprendimento, sintesi dei linguaggi espressivi e cooperazione degli studenti che le tecnologie digitali portano in sé, richiedono che la dimensione temporale

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qualitativa del sistema scolastico sia il “contenitore” della dimensione temporale quantitativa.

Su questa riformulazione lo spazio della classe 2.0 non è da intendersi semplicemente come lo spazio fisico dell’aula, ma come spazio virtuale (ambiente online), nonché come spazio mentale (ovvero il tempo/ritmo individuale necessario all’apprendimento e all’elaborazione).

1.3 IL RUOLO DEI DOCENTI NELLE CLASSI 2.0

Il docente è la figura di riferimento che guida il gruppo classe in quanto individua, legge e gestisce le dina-miche emotive e relazionali del gruppo studenti.

Il sistema scolastico è un’esperienza di gruppo nella quale convergono inscindibilmente le dinamiche della classe e del Consiglio di classe.

È vero che ogni docente gestisce individualmente la lezione, ma è altrettanto vero che l’unità e la coesione decisionale del Consiglio di classe si riflettono nel gruppo classe, garantendo ai ragazzi stabilità e buoni risultati; al contrario i conflitti non risolti del Consiglio si possono tradurre in disgregazione d’intenti e di-spersione dei ragazzi.

Per muoversi in unità i docenti coinvolti nel Consiglio di classe devono quindi comprendere la cultura affet-tiva della classe all’interno della cultura affettiva della scuola:

La cultura affettiva di un gruppo di lavoro o di un’istituzione dipende da molte variabili, come la collocazione territo-riale, il tipo di studenti e di genitori che si hanno, le tipologie di dirigenti succedutisi, gli eventi ‘mitici’ o drammatici presenti nella biografia istituzionale della scuola. Ogni scuola possiede una propria ‘cultura affettiva’ e ogni singola classe ne ha una, costituendo così un soggetto psicologico a sé stante (Lancini, 2015, p. 151).

Per quanto riguarda l’integrazione delle ICT nella didattica, anche in questo caso i docenti dovrebbero per-seguire unità d’intenti, coesione decisionale e operativa, per evitare che le tecnologie vengano intese e utiliz-zate dai ragazzi esclusivamente nella loro accezione ludica, come momento di distrazione dalla tradizionale lezione frontale.

Il ruolo del docente nella classe 2.0 è più che mai quello di un facilitatore/conduttore del processo di appren-dimento dell’intero gruppo classe in relazione alla crescita autonoma e spontanea del singolo alunno.

Tale ruolo è legato anche alle metodologie didattiche proposte, come il Problem Solving (che facilita nei ragaz-zi l’attivazione di strategie decisionali), il Learning by doing (apprendimento attraverso il fare, dunque labora-toriale e promotore del carattere autoriale), il Reflective Learning (apprendimento riflessivo degli studenti che riguarda “non solo il cosa ma anche il come”, dunque basato sulla capacità metacognitiva).

Non bisogna dimenticare che la stessa esperienza dell’apprendimento di qualcosa di nuovo è un’esperienza ansiogena, in quanto l’incontro con ciò che non si conosce può generare insicurezza e timore.

Per questo il docente dovrebbe saper utilizzare le tecnologie digitali anche come pretesto per avviare percorsi collaborativi di co-ricerca insieme ad altri professionisti, nella logica di un’integrazione tra istituzioni, realtà territoriali e progresso culturale.

In ambito didattico, oggi si fa riferimento alla capacità negativa, ovvero la capacità del docente di so-stare nell’attesa per rispettare il tempo necessario al processo di apprendimento dello studente; capacità che lo stesso docente dovrebbe trasmettere ai ragazzi come una sorta di atteggiamento formativo, più che come qualità o nozione.

La capacità negativa si può tradurre come responsabilità emotiva che il docente deve sviluppare attraverso la pratica di osservazione fenomenologica e ascolto attivo: si tratta di essere cosciente – dunque responsabile – del funzionamento della propria mente e delle proprie motivazioni personali e professionali; così da per-

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mettere – attraverso il proprio processo elaborativo – il dispiegarsi del processo di apprendimento dell’altro – in questo caso dello studente.

Comprendendo il proprio modo di apprendere, il docente può accompagnare i giovani a comprendere il loro, incoraggiandoli emotivamente.

Questo concetto può apparire scontato ma di fatto – a causa di una moltitudine di fattori, personali e organiz-zativi – spesso non è messo in pratica; qui si può connettere il concetto legato alla qualità della dimensione temporale, in un contesto in cui il docente comprende l’efficacia di tale atteggiamento formativo ma non ha concretamente il tempo di esperirlo.

In questo il paradosso delle tecnologie digitali può essere letto in una chiave evoluzionistica: è vero che la ve-locità della Rete toglie tempo all’approfondimento, ma è altrettanto vero che sperimentare la produzione di contenuti in forma autoriale e collaborativa – dunque attraverso l’utilizzo del medium tecnologico – consente di rallentare il tempo dell’apprendimento (inteso come assimilazione ed elaborazione dei concetti); permet-tendo a ognuno di “sintonizzarsi” sul proprio personale ritmo di lavoro, in relazione ai compagni co-autori del progetto.

Molti ragazzi affermano di non sentirsi coinvolti rispetto a quanto viene loro insegnato a scuola, lamentando una de-contestualizzazione dei contenuti trattati: pragmaticamente non sanno cosa fare con le nozioni che ogni giorno imparano, che percepiscono come “staccate” dalle problematiche concrete, quotidiane.

È certo che il focus del problema non è sul cosa ma sul come: una lezione di storia interattiva che sappia “dia-logare” con l’attualità può appassionare gli studenti, stimolando la riflessione e il confronto.

I giovani nativi digitali non sono dis-interessati agli argomenti di studio, sono piuttosto dis-adattati a metodi di studio predigitali, in quanto sono nati e cresciuti in un universo iperconnesso, quindi hanno sviluppato sistemi di apprendimento differenti da quelli tradizionalmente proposti dal sistema scolastico.

È concreta la difficoltà degli studenti ad adattarsi a un sistema scolastico ancora poco responsivo al cambia-mento: è indicativo l’incremento dei ritiri scolastici (spesso accompagnato da una forte frustrazione causata dal confronto con l’ambiente esterno, considerato giudicante), insieme alla crescita esponenziale dei bisogni educativi speciali.

Molti studenti sperimentano grandi difficoltà nella memorizzazione delle conoscenze sui libri di testo, no-nostante un’adeguata funzionalità cognitiva: semplicemente hanno un diverso rapporto con lo studio, in particolare con il testo scritto, e faticano a so-stare nella dimensione di silenzio e raccoglimento che ha carat-terizzato la formazione scolastica dei predigitali.

Il loro studio è una sperimentazione di nuove forme di contatto, in quanto sono in grado di mantenere alta l’attenzione attraverso la vicinanza e la distanza dalla comunicazione che in quel momento hanno attivato con i loro compagni nell’ambiente virtuale dei Social Media.

Le nuove generazioni hanno quindi un sistema di valori differente rispetto a quello delle generazioni prece-denti: basti pensare a come la Rete ha modificato l’etica dell’immagine – smaterializzandola. Dunque a come ha modificato la percezione di sé in relazione all’ambiente, e di conseguenza i valori legati alle relazioni e alla socialità.

La Rete è un ambiente libero quindi le nuove generazioni vi si muovono senza avere saldi riferimenti: gli adulti spesso reagiscono con indifferenza alla loro sete di connessione, o formulano giudizi negativi e affret-tati sui loro comportamenti in apparenza “distaccati, privi d’interesse”.

Oggi per i ragazzi è prioritaria la spinta all’autorealizzazione del proprio Sé, che si basa su un bisogno conti-nuo di conoscenza non formale, con l’obiettivo di autodefinire la propria identità in relazione ai movimenti sociali e culturali: percepiscono il futuro come incerto (in un’accezione negativa), creativo (in un’accezione positiva). Per i ragazzi delle precedenti generazioni era prioritario studiare in funzione della professione che

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sapevano sarebbe diventata il lavoro del futuro, e che conferiva loro l’identità sociale.

La questione non è comprendere cos’è meglio e cos’è peggio, ma come creare un legame intergenerazionale che abbia un valore educativo – dunque evolutivo – sia per i ragazzi che per gli adulti.

“Quel che conta è riuscire a utilizzare il sapere per so-stenere il Sé e la propria crescita personale, solo così potranno forse trasformare la noia che sperimentano in interesse e, dunque, in attenzione, ascolto e apprendimento.” (Lancini, 2015, p. 40).

La didattica della classe 2.0 è una didattica del cre@pprendere, guidata da un docente che progetta l’azione educativa: egli recupera le risorse di significato disponibili e le rimette in circolo dopo averle rielaborate in-sieme agli studenti; dunque armonizza i contenuti in modo collaborativo.

Le tecnologie impongono di affrontare “il nuovo” ridisegnando un nuovo rapporto tra docenti e studenti, entrambi protagonisti sul Web in quanto co-autori di contenuti.

Infatti un’azione intenzionale che superi una “idea festiva di tecnologia” si basa sulla comprensione, da parte del docente, delle motivazioni che hanno guidato l’azione stessa, la quale sarà sempre sostenuta dalla rifles-sione consapevole derivante dalla ricerca.

Il docente che avvia percorsi collaborativi di co-ricerca insieme ad altri professionisti acquisisce la capacità – indispensabile nella didattica del cre@pprendere – di decontestualizzare l’azione per rileggerla ed esperirla attraverso molteplici punti di vista esterni all’azione stessa.

La ricerca-azione è una modalità che applicata nel settore educativo aiuta il docente a elaborare un’analisi soggettiva e collegiale intorno alle discipline da insegnare o reticolare con gli altri colleghi.

La ricerca-azione favorisce approfondimenti nelle diverse tematiche in vista della realizzazione di percorsi di azione e di riflessione in itinere, fornisce un supporto valido ed efficace alla didattica e alla progettazione: uno degli obiettivi principali risiede nel produrre un mutamento di prospettiva da innestare nel modo di educare per quanto concerne le modalità e i risultati.

Molto importante risulta quindi riuscire a mantenere una visione d’insieme, che ponga attenzione alle mol-teplici componenti (cognitive e non) implicate nel processo educativo, tenendo sotto controllo le variabili che entrano in gioco.

Un esempio incisivo può essere l’esperienza di molte realtà scolastiche che hanno avviato progetti che rin-novano il rapporto con il libro di testo, muovendosi tra il libro digitale co-costruito con la casa editrice e la costruzione dell’ebook in classe: il tempo lineare della narrazione, della lettura e della scrittura interagisce con i linguaggi sistemici della Rete, promuovendo la complementarietà tra le metodologie di apprendimento tradizionali e quelle innovative.

Il ruolo dei docenti nelle classi 2.0 è quello di promuovere l’alfabetizzazione digitale funzionale attraverso l’utilizzo della multimedialità per creare una reale connessione tra le nuove generazioni e le generazioni predigitali, dunque per minimizzare il divario tra il pensiero lineare logico delle metodologie tradizionali e il pensiero creativo delle metodologie innovative.

Il nuovo analfabetismo consiste nella fruizione passiva di contenuti in Rete, quindi l’alfabetizzazione digi-tale funzionale permette di sfruttare le possibilità delle tecnologie digitali per promuovere un processo di apprendimento – e di educazione – evolutivo prima ancora che innovativo: il progresso è prima di tutto nella comprensione della funzionalità che lo genera.

In tal senso la didattica del cre@pprendere prevede la teoria come sostegno all’azione e quindi punto d’arri-vo, più che come punto di partenza: l’apprendimento avviene per scoperta, attraverso la comunicazione e la

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ricerca, la cooperazione e la condivisione.

Le tecnologie digitali possono facilitare questo apprendimento per scoperta, creando occasioni per sviluppa-re le competenze e abilità cognitive e sociali mentre le si agisce.

Per un docente che svolge il suo operato nella classe 2.0 la finalità dell’insegnamento dovrebbe essere quella di formare le generazioni future promuovendo l’alfabetizzazione digitale funzionale – dalla quale si può generare un’alfabetizzazione culturale.

1.4 I CENTRI SCOLASTICI DIGITALI (CSD)

L’operazione Scuola 2.0 è nata con la finalità di realizzare una scuola innovativa capace di superare gli schemi tradizionali di istituto scolastico, non solo in termini di didattica ma anche a livello di organizzazione delle strutture e del personale: l’Agenda Digitale Italiana ha quindi previsto i Centri Scolastici Digitali - CSD (art. 11 legge 221 del 2012), per permettere agli studenti dislocati in zone disagiate di fare scuola in collegamento con una “scuola di riferimento”, con il sostegno di un tutor che opera in presenza.

I CSD sono quindi plessi scolastici “funzionalmente legati alle istituzioni scolastiche di riferimento, mediante l’utilizzo di nuove tecnologie”, per assicurare pari opportunità formative e di socializzazione agli studenti che vivono in situazioni di isolamento geografico. Ad oggi le regioni che hanno espresso l’interesse a con-nettere la scuola con il territorio - con il supporto del Miur - in forma di CSD sono: Abruzzo, Liguria, Molise, Umbria, Basilicata.

In Italia ci sono circa 8000 comuni, tra questi circa la metà sono considerati piccoli e piccolissimi comuni: qui la scuola è un importante punto di riferimento per la società, un collegamento funzionale tra le persone e il territorio, in quanto lo spopolamento e l’isolamento sono rischi concreti per realtà di questo tipo.

Infatti queste scuole devono fronteggiare molteplici problemi sia di ordine organizzativo che didattico: dal continuo dimensionamento delle scuole (con conseguente aumento del numero massimo di allievi nelle plu-riclassi) alla riduzione dell’assegnazione dell’organico; da un alto turnover degli insegnanti (causato dalle difficoltà logistiche e di trasporto), alla frequente interruzione della continuità didattica.

Queste criticità ostacolano il conseguimento di economie di scala, utili a mantenere attive le stesse sedi sco-lastiche con offerte formative innovative anche in siti geograficamente più isolati.

I CSD prevedono di avviare la sperimentazione a distanza di scuole organizzate in reti: questo significa apri-re la classe, concettualmente e praticamente, per trasformare l’isolamento da limite geografico a opportunità di apprendimento attraverso una didattica modulata al contesto. Questo tipo di sperimentazione può favo-rire il radicamento sul territorio delle famiglie, spesso costrette a spostarsi nei grandi centri che garantiscono un’offerta formativa ampia e costante.

Pertanto tutte le soluzioni proposte per i CSD, al fine di favorire nel migliore dei modi l’interazione tra docen-ti e insegnanti che si trovano in diverse sedi scolastiche, devono garantire la connessione continua a Internet per consentire l’interoperabilità.

Le scelte tecnologiche devono seguire un modello didattico collaborativo, teso al potenziamento delle co-noscenze e delle competenze degli studenti: disporre di un’ampia dotazione tecnologica non è condizione sufficiente per fare scuola a distanza, in quanto bisogna puntare sulla formazione metodologica dei docenti. In questo modo ogni singolo strumento tecnologico può assumere una precisa valenza nel contesto didattico in cui viene utilizzato.

Dall’osservazione effettuata in questi anni sono emerse due possibilità di applicazione:

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1. La didattica condivisa: prevede quotidianamente l’uso della videoconferenza tra due o più classi ap-partenenti a istituzioni scolastiche diverse, per garantire tutti gli insegnamenti disciplinari attraverso lo scambio di esperienze. La didattica condivisa prevede collegamenti in classe tra studenti di altre scuole (o con studenti impossibilitati a essere in aula) e incontri a distanza con esperti disciplinari e/o tutor. Le tecnologie sono quindi a fondamento di queste possibilità, in quanto permettono di ristrutturare la didat-tica con metodologie innovative (flipped classroom, l’uso di webquest in rete, ecc...).

2. L’ambiente di apprendimento allargato: qui una o più classi lavorano a un progetto disciplinare comune, organizzando periodicamente incontri tra docenti, studenti ed esperti che comunicano con l’ausilio di videoconferenze. In questo caso la didattica ottimizza le risorse, quindi è intesa come una metodologia complementare all’insegnamento tradizionale, consentendo una migliore interazione tra docenti, studen-ti e loro familiari.

In entrambi gli scenari la connettività prevede una cablatura diffusa in tutti i plessi della scuola (con una rete wireless ed una rete dedicata):

• Il collegamento tra le scuole avviene in uno spazio comune online, utilizzato per la collaborazione, la ge-stione, la condivisione e lo scambio di strumenti e contenuti didattici.

• Una linea dedicata (doppio canale) consente di lavorare stabilmente con gli strumenti di comunicazione sincrona e videoconferenze, dunque di avviare una lezione condivisa.

• Alla videoconferenza può essere affiancata una piattaforma per il lavoro online come follow up all’intera-zione in presenza (può essere una sorta di classe virtuale o anche solo un sistema di condivisione dei file).

• Un sistema “in parallelo” garantisce il passaggio in videoconferenza di tutto ciò che è audio e video, mentre l’interazione sugli applicativi passerà attraverso il computer della lavagna interattiva multimediale (LIM).

L’ambiente di apprendimento allargato prevede un setting tecnologico più vario e leggero, in quanto si pos-sono avviare le videoconferenze anche attraverso software gratuiti come Skype, Google Hangouts, ecc.; op-pure lavorare con interazioni asincrone (con piattaforme di formazione con classi virtuali o repository online per la condivisione), supportando ulteriormente l’interazione con strumenti di collaborazione come wiki o simili, e sistemi di messaggistica (Whatsapp e forum).

Dunque è fondamentale la buona combinazione tra comunicazione sincrona e asincrona, tra momenti di lavoro collaborativo e autonomo da parte degli studenti.

In sintesi, le due possibilità di applicazione (didattica condivisa e ambiente di apprendimento allargato) permettono di:

• Garantire un’istruzione di qualità indipendentemente dalla collocazione geografica della scuola, raggiun-gendo anche gli studenti che non hanno la possibilità di esser presenti in aula.

• Arricchire l’ambiente di apprendimento con la didattica condivisa. • Superare la condizione di isolamento degli insegnanti. • Promuovere le tecnologie per la collaborazione e lo sviluppo di abilità cognitive e sociali. • Mantenere in attività le piccole scuole grazie a un uso intelligente delle tecnologie. • Fare delle scuole che si trovano in luoghi geograficamente isolati un punto di riferimento per l’innovazione

locale.

L’Indire (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa), nell’ambito della didat-tica a distanza, ha accompagnato i progetti di sperimentazione che le scuole situate in località isolate hanno avviato - come ad esempio Marettimo e Lampedusa, o la rete di istituti dell’Appennino toscano (progetto Errequadro) e quella delle scuole della Liguria con capofila l’Istituto Comprensivo di Sassello (Savona) - os-servando le metodologie che gli insegnanti di queste particolari realtà utilizzano.

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http://www.uncemtoscana.it/attivita/progetti-e-attivita-per-lo-sviluppo/innovazione/progetto-errequ-dro/progetto-erre-qu-dro

Riferimenti utili

Il sito INDIRE presenta il progetto Cl@ssi 2.0 per la Scuola Digitale, affrontando temi quali: ambienti di ap-prendimento innovativi, individualizzazione e personalizzazione degli apprendimenti, formali-non formali, contenuti didattici digitali, metodologie didattiche.

http://www.scuola-digitale.it/classi-2-0/il-progetto/introduzione-2/

Il sito del MIUR presenta l’avviso pubblico per la realizzazione di ambienti multimediali (PON 2014/2020).

http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/pon/2014_2020

Il sito dell’Agenda Digitale Italiana, una delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020, che fissa gli obiettivi per la crescita nell’Unione europea da raggiungere entro il 2020.

http://www.agid.gov.it/agenda-digitale/agenda-digitale-italiana

Il sito del CREMIT (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Informazione e alla Tecnologia) offre pub-blicazioni, progetti ed esiti di monitoraggi.

http://lnx.cremit.it/

Education 2.0 è una community online sul mondo dell’education aperta a tutti gli attori del mondo scolasti-co, dell’educazione e della formazione (insegnanti, dirigenti, formatori, studenti, genitori ecc.). Gli autori di education 2.0 sono esperti del settore ICT, sotto la direzione scientifica dell’ex ministro dell’istruzione Luigi Berlinguer.

Qui gli utenti possono approfondire, discutere, condividere le esperienze.

http://www.educationduepuntozero.it

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ABSTRACT

Molti sono i progetti del PNSD già avviati, tra questi il progetto Cl@ssi 2.0 consiste in una sorta di mo-nitoraggio per la formulazione di proposte innovative; infatti il focus non è sugli strumenti tecnologici ma sulla capacità progettuale e creativa dei docenti, i quali, attraverso la verifica quotidiana delle attività con le ICT in classe, possono strutturare un progetto di innovazione didattica. In tal modo si possono acquistare i dispositivi necessari per attuare il progetto stesso, in quanto la logica di Cl@ssi 2.0 valorizza l’attuazione di esperienze didattiche innovative che possano generare un contagio nella scuola.

Conseguentemente, il progetto Scuola 2.0 contenuto nello stesso PNSD si fonda sull’autonomia delle scuole con l’obiettivo di estendere l’innovazione a tutte le classi. L’obiettivo della scuola di oggi è integra-re progressivamente le ICT nei percorsi didattici; affinchè questa integrazione sia costruttiva per tutte le parti coinvolte bisogna modulare tempi, spazi, ruoli e metodologie didattiche in relazione alla centralità del processo di apprendimento dello studente.

Nella classe 2.0 il focus è sul processo di apprendimento interattivo: questo spiega come, nel corso degli anni, la pratica didattica quotidiana ha progressivamente sostituito una formazione per i docenti pretta-mente tecnica (intesa come alfabetizzazione informatica per l’uso di specifici software) con una formazio-ne più ampia, finalizzata ad acquisire la competenza digitale nel senso più ampio del termine.

Finalità della classe 2.0 è creare una dimensione tanto reale quanto finzionale, una sorta di cornice didat-tica che permetta di sperimentare concretamente e al contempo di prendere distanza dall’azione per atti-vare la metacognizione. Integrare efficacemente le ICT nella didattica significa riformulare il piano forma-tivo sulla base di una differente gestione degli spazi e del tempo: le possibilità di apprendimento, sintesi dei linguaggi espressivi e cooperazione degli studenti che le tecnologie digitali portano in sé, richiedono che la dimensione temporale qualitativa del sistema scolastico sia il “contenitore” della dimensione tem-porale quantitativa. Su questa riformulazione lo spazio della classe 2.0 non è da intendersi semplicemente come lo spazio fisico dell’aula, ma come spazio virtuale (ambiente online), nonché come spazio mentale (ovvero il tempo/ritmo individuale necessario all’apprendimento e all’elaborazione).

Il ruolo del docente nella classe 2.0 è quello di un facilitatore/conduttore del processo di apprendimento dell’intero gruppo classe in relazione alla crescita autonoma e spontanea del singolo alunno. Tale ruolo è legato anche alle metodologie didattiche proposte, come il Problem Solving (che facilita nei ragazzi l’attivazione di strategie decisionali), il Learning by doing (apprendimento attraverso il fare, dunque la-boratoriale e promotore del carattere autoriale), il Reflective Learning (apprendimento riflessivo degli studenti che riguarda “non solo il cosa ma anche il come”, dunque basato sulla capacità metacognitiva). Le nuove generazioni hanno un sistema di valori differente rispetto a quello delle generazioni precedenti: basti pensare a come la Rete ha modificato l’etica dell’immagine – smaterializzandola. Dunque a come ha modificato la percezione di sé in relazione all’ambiente, e di conseguenza i valori legati alle relazioni e alla socialità.

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La Rete è un ambiente libero quindi le nuove generazioni vi si muovono senza avere saldi riferimenti: gli adulti spesso reagiscono con indifferenza alla loro sete di connessione, o formulano giudizi negativi e affrettati sui loro comportamenti in apparenza “distaccati, privi d’ interesse”. La didattica della classe 2.0 è una didattica del cre@pprendere, guidata da un docente che progetta l’azione educativa: egli recupera le risorse di significato disponibili e le rimette in circolo dopo averle rielaborate insieme agli studenti; dun-que armonizza i contenuti in modo collaborativo. L’Agenda Digitale Italiana ha previsto i Centri Scolasti-ci Digitali - CSD per permettere agli studenti dislocati in zone disagiate di fare scuola in collegamento con una “scuola di riferimento”, con il sostegno di un tutor che opera in presenza. I CSD prevedono di avviare la sperimentazione a distanza di scuole organizzate in reti: questo significa aprire la classe, concettual-mente e praticamente, per trasformare l’isolamento da limite geografico a opportunità di apprendimento attraverso una didattica modulata al contesto.

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2. PRATICHE D’AULA

2.1 INSEGNARE LE BUONE PRATICHE

Una buona pratica è una procedura significativa, risultato di un’esperienza che ha permesso di ottenere ri-sultati migliori (rispetto al contesto e agli obiettivi preposti), pertanto si è potuta formalizzare in prassi, in buona pratica.

Com’è intuibile, le buone pratiche affondano le proprie radici negli studi sulla diffusione dell’innovazione: nel campo dell’educazione e della formazione le conoscenze diventano obsolete con molta rapidità; motivo per cui lo sviluppo delle tecnologie dell’insegnamento e dell’apprendimento è divenuto fondamentale, tanto quanto la necessità di diffondere tale innovazione.

La riflessione su ciò che identifica una pratica come “buona” non può prescindere dalla considerazione delle finalità della pratica stessa: una buona pratica nasce da un’esperienza sperimentale e si struttura in un pro-cesso di modellizzazione, che identifica le soluzioni soddisfacenti sperimentate in un determinato contesto formativo. In tal senso l’esperienza sperimentale risponde alla possibile definizione di buona pratica come costruzione empirica delle modalità di sviluppo di esperienze che, per l’efficacia dei risultati e per il contri-buto offerto alle soluzioni di particolari problemi, soddisfa il sistema di aspettative della formazione.

È evidente che il concetto di buona pratica dev’essere applicato in tutte le attività di progettazione sociale, volte allo sviluppo locale, al rafforzamento dell’occupabilità e adattabilità, nel rispetto delle pari opportunità e dei principi dell’educazione permanente.

L’Unesco (http://www.unesco.it/cni/index.php/registro-delle-buone-pratiche) indica come buone pratiche gli inter-venti che:

• sono innovativi (in quanto hanno sviluppato soluzioni nuove e creative al problema che affrontano); • hanno un impatto tangibile e dimostrabile nel migliorare la qualità della vita dei beneficiari; • sono il risultato di partenariati effettivi tra pubblico, privato e settori della società civile; • sono sostenibili da punto di vista sociale, culturale, economico e ambientale; • sono potenzialmente riproducibili in altri contesti.

Pertanto le buone pratiche hanno la finalità di:

• orientare le scelte sull’adozione di modelli o strumenti sperimentati con successo; • promuovere la condivisione e il trasferimento di know-how attraverso strategie di apprendimento in Rete.

In sintesi le buone pratiche sono progetti innovativi, configurati come modelli di intervento praticati ed esportabili: nell’ambito di una didattica rifondata sulle possibilità delle tecnologie digitali, è utile favorirne la trasmissione; in quanto lo stesso processo di integrazione presuppone l’utilizzo di metodologie sperimen-tali che, opportunamente valutate e monitorate, possono configurarsi come buone pratiche, assumendone i contorni di modelli operativi.

Nello specifico, l’innovazione che le tecnologie digitali portano in sé, per essere “praticata” - sperimentata e riconfigurata in modelli operativi - necessita di essere compresa attraverso le modificazioni nella costruzione delle funzioni cerebrali in seguito alle sollecitazioni sensoriali, emozionali e culturali derivanti dall’utilizzo attivo di tali strumenti.

Nel gennaio 2013 l’Accademia delle Scienze di Parigi, una delle società scientifiche più famose al mondo, ha pubblicato un comunicato dal titolo “Il bambino e gli schermi (digitali)”. I ricercatori si sono posti queste do-mande, riferendosi ai dati forniti in varie discipline (neurobiologia, psicologia, scienze cognitive, medicina):

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• Quali sono i rischi di dipendenza o di regressione mentale ed emotiva in un bambino di fronte allo scher-mo digitale?

• Qual è il ruolo dei tablet interattivi nell’apprendimento e nella trasmissione dei saperi? • Quale impatto ha l’uso di schermi digitali sulle relazioni adulto-bambino? • Videogiochi e social network possono essere di beneficio per gli adolescenti? • Come regolare l’accesso alle schermate senza vietarlo?

L’utilizzo delle tecnologie digitali può produrre effetti sia positivi che negativi, che bisogna comprendere per configurare come “buona” una pratica.

Tra gli effetti positivi c’è lo stimolo all’atteggiamento deduttivo: il bambino parte da una premessa e giunge a conclusioni razionali, attraverso le immagini ne deduce i concetti, stabilendo correlazioni e ipotizzando delle previsioni; dunque allenando la capacità logica.

Tra gli effetti negativi c’è un indebolimento del ragionamento induttivo, basato sulla capacità di ricerca ed esplorazione e sull’inventiva personale, quindi sorretto dalle funzioni cerebrali creative.

La ricerca ha messo in evidenza che l’uso delle tecnologie digitali può sviluppare le capacità razionali e logi-che a scapito di quelle creative; pertanto risulta fondamentale che i protagonisti dell’attuale sistema educati-vo prendano coscienza della rivoluzione in atto, affinchè possano promuovere – attraverso l’elaborazione di nuove strategie didattiche – l’uso attivo degli strumenti, così da integrare lo sviluppo della capacità razionale a quello della capacità creativa.

Queste sono alcune delle buone pratiche generali nell’uso degli strumenti digitali che possono fungere da base nel processo sperimentale di integrazione delle ICT nella didattica:

• Prima dei 2 anni: gli schermi non interattivi (tv, lettore dvd ecc..) non producono alcun effetto positivo, al contrario possono avere effetti negativi; mentre i tablet visivi e tattili possono aiutare a sviluppare il sen-so-motorio dei bambini, a patto di non sostituire le tradizionali attività motorie.

• Tra 2 e 6 anni: sarebbe opportuno evitare l’esposizione dei bambini alla televisione senza la presenza di adulti che interagiscono con loro; a partire dai 3 anni può essere utile far comprendere al bambino la diffe-renza tra reale e virtuale attraverso giochi che stimolano la metacognizione (“facciamo finta che”); a partire dai 4 anni gli adulti possono utilizzare insieme al bambino gli strumenti digitali con la funzione di gioco e acquisizione di conoscenza (apprendere facendo).

• Da 6 a 12 anni: bisogna insegnare al bambino ad autoregolarsi davanti allo schermo, attraverso un clima familiare di fiducia e comunicazione aperta tra genitori e figli; considerando la scuola primaria come luogo ideale per iniziare a educare sistematicamente all’uso degli schermi digitali.

• Dopo i 12 anni (adolescenza): - non è completa la maturazione cerebrale, per questo è importante che i ragazzi rispettino i tempi di

esposizione agli schermi digitali, distinguendo i videogiochi che impoveriscono il pensiero da quelli che possono aiutare a svilupparlo;

- gli schermi digitali influiscono molto sullo sviluppo della modalità ipotetico-deduttiva del cervello, dunque un uso passivo ed eccessivo di internet può condurre a un pensiero troppo fluido e superficiale, riducendo la memoria e la capacità di sintesi personale e di interiorizzazione;

- i social network vanno utilizzati nell’accezione positiva, ovvero come spazio per la definizione della propria identità (funzione metacognitiva);

- sarebbe utile incoraggiare l’utilizzo degli strumenti digitali secondo quelle che possono essere le possi-bilità creative, informando adeguatamente sui rischi dell’uso passivo ed eccessivo degli schermi.

Risulta chiaro come la differenziazione, tra una pratica che è buona e una che non lo è, sta nell’utilizzo che promuove le capacità creative del bambino. Lo sviluppo della creatività può, oltre che contrastare gli effetti negativi dell’uso degli schermi digitali, produrre effetti positivi, portando alla comprensione del senso stesso dell’innovazione: è su tale comprensione che una pratica si innesta come buona, e come buona si diffonde e sviluppa ulteriormente.

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Una buona pratica nasce dall’inventiva del docente e stimola la capacità creativa dei ragazzi, in quanto pro-muove un utilizzo attivo e cooperativo delle tecnologie digitali: in tale prospettiva, la dimensione del gruppo classe è essenziale per far sì che la relazione tra insegnamento e apprendimento sia efficace in termini di soddisfacimento del sistema di aspettative della formazione.

L’idea del gruppo classe come comunità che apprende rispecchia una visione di scuola e di apprendimento che raccoglie le più recenti e innovative sperimentazioni in campo educativo; rispecchiando le migliori prassi di insegnamento efficace, favorisce la conoscenza dell’intero gruppo classe e sostiene l’apprendimento – dun-que lo sviluppo della capacità creativa – del singolo studente.

Le caratteristiche del gruppo classe come comunità che apprende si possono riassumere in:

• Diversità di competenze tra i membri, ognuno dei quali è valorizzato per il contributo che dà agli altri; • Definizione di un obiettivo di sviluppo continuo delle conoscenze e abilità della comunità; • Sperimentazione di metodi per imparare ad apprendere; • Possibilità di condividere ciò che si è imparato.

Tali caratteristiche presuppongono uno stile educativo democratico e cooperativo da parte dei docenti, che si fonda sulla reciprocità di obiettivi, azioni e impegni in cui tutti sappiano innescare le motivazioni e le spinte necessarie per migliorare.

Il portale dell’INDIRE ha una sezione dedicata alle buone pratiche, suddivise per aree di intervento:

http://www.indire.it/memorysafe/buone-pratiche-archivio/

2.2 PRATICHE D’AULA: LA FUNZIONE DIDATTICA

L’aula tradizionale ha progressivamente integrato al suo interno le tecnologie digitali come strumento inno-vativo di interazione tra docenti e studenti, costituendo la Classe 2.0. Le aule più avanzate sono dotate anche di device mobili che permettono di superare la dimensione fisica dell’aula, grazie all’utilizzo di ambienti virtuali: l’aula si espande oltre il suo stesso spazio, per permettere di svolgere attività diversificate e comple-mentari, nell’ottica di una didattica innovativa, basata su approcci laboratoriali e collaborativi.

La configurazione delle aule nella Classe 2.0 si struttura per aule laboratorio disciplinari, per cui possono essere riprogettate e allestite con un setting funzionale alle specificità della disciplina stessa: il docente può personalizzare il proprio spazio di lavoro adeguandolo a una didattica attiva di tipo laboratoriale, predispo-nendo arredi, materiali, libri, strumentazioni, device, software, ecc. Dunque la specializzazione del setting d’aula prevede l’assegnazione dell’aula laboratorio al docente e non più alla classe: sono gli studenti che, a seconda della disciplina, ruotano tra un’aula e l’altra.

Nei capitoli che seguono saranno analizzate nel dettaglio le nuove pratiche d’aula funzionali alla didatti-ca che integra le tecnologie digitali nel processo di apprendimento: la flipped classroom, l’aula virtuale, i software e le app per la didattica, il registro elettronico.

In queste pratiche d’aula l’insegnamento assume la forma metodologica che di volta in volta può essere fun-zionale all’apprendimento del tema trattato, assumendo la configurazione di buona pratica nel momento in cui va a soddisfare gli esiti attesi.

Queste alcune forme metodologiche sperimentalmente applicabili nel contesto delle pratiche d’aula in segui-to trattate.

Il debate: molto utilizzata nel mondo anglosassone, consiste in un confronto nel quale due squadre (com-poste ciascuna di due o tre studenti) sostengono e controbattono circa un argomento scelto dal docente, po-nendosi in un campo (pro) o nell’altro (contro). L’argomento scelto dal quale prende il via un vero e proprio

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dibattito è tra quelli raramente affrontati nell’attività didattica tradizionale, pertanto permette agli studenti di imparare a cercare e selezionare le fonti, sviluppare competenze comunicative, autovalutarsi e migliorare la propria consapevolezza culturale. Il debate allena la mente a considerare posizioni diverse dalle proprie e a non fossilizzarsi su personali opinioni, sviluppa il pensiero critico, permettendo di acquisire competenze trasversali (life skills), e favorendo il cooperative learning e la peer education non solo tra studenti, ma anche tra docenti e tra docenti e studenti.

La didattica per scenari: si avvale delle potenzialità offerte dalle tecnologie digitali per introdurre nella pra-tica quotidiana attività didattiche centrate sullo studente, partendo dal concetto di “scenario”, inteso come “segmento” di curricolo trattato in forma narrativa, come se fosse un racconto. Il docente pertanto racconta questa unità didattica prevedono lo svolgimento di una serie di attività da fare con i ragazzi: per ogni sto-ria/piano di lavoro c’è un set di attività liberamente modulabili dal docente in base al contesto, in ogni caso secondo metodologie centrate sullo studente. La didattica per scenari è aperta e favorisce un’interazione creativa tra le parti: si riscrive continuamente in corso di azione e prende forma definitiva soltanto a percorso concluso.

Lo spaced learning: struttura il tempo della lezione in tre momenti di input e due intervalli. Nel primo input (che non ha una durata predeterminata) il docente fornisce le informazioni che gli studenti dovranno ap-prendere durante la lezione. A questo primo momento segue un intervallo di 10 minuti, durante il quale non deve esser fatto alcun tipo di riferimento al contenuto della lezione. Nel secondo input l’insegnante ridefini-sce il contenuto della prima sessione presentandolo in modo interattivo. Segue quindi un secondo intervallo, basato sugli stessi principi del primo, dunque è importante che l’attività non sia correlata al contenuto della lezione. Nel terzo input l’insegnante propone attività centrate sullo studente richiamando il contenuto della prima sessione, verificandone l’avvenuta comprensione.

Il metodo degli EAS (episodi di apprendimento situati): un EAS è un micromodulo didattico che si com-pone di tre momenti: l’introduzione (in cui il docente presenta il concetto/tema sul quale si dovrà strutturare il lavoro e assegna un compito da svolgere), la parte centrale (in cui il compito viene realizzato mediante una produzione multimediale), la parte conclusiva (durante la quale il docente accompagna la classe nel debriefing, ovvero la valutazione finale del processo). Questa modalità dispositiva predispone gli studenti al confronto e alla partecipazione, favorendo l’espressione del pensiero individuale e del dialogo tra le parti, ridefinendo la progettazione didattica sulla base della variabile tempo.

Gli ICT Lab: prevedono lo svolgimento di attività che ruotano attorno a tre temi tecnologici principali, ovve-ro l’artigianato digitale (creazione di un oggetto attraverso la tecnologia, quindi CAD, disegno 3D e stampa 3D), il coding (attività volte all’acquisizione del pensiero computazionale), il physical computing (creazione di oggetti programmabili che interagiscono con la realtà, ovvero che fanno parte del campo della robotica). Questi tre temi portano a sperimentare interessanti soluzioni didattiche: basti pensare alle “officine della creatività”, ovvero a community come CoderDojo, Rails Girls e i FabLab. Sono questi “spazi aperti”, nati con spirito hobbistico, dove creare, apprendere, educare, inventare. Queste community operano secondo una didattica laboratoriale e, seppure al di fuori del contesto scolastico, sono molto interessanti perché basati su una forma di apprendimento autonomo e cooperativo.

Il TEAL (Technology Enhanced Active Learning): è una metodologia didattica che integra lezione frontale, simulazioni e attività laboratoriali con l’uso delle tecnologie digitali. Questa metodologia è stata progettata nel 2003 dal MIT di Boston e prevede un’aula con postazione centrale per il docente, attorno alla postazio-ne sono disposti alcuni tavoli rotondi per i gruppi di studenti (formati da componenti con diversi livelli di competenze e conoscenze), i quali possono disporre di alcuni punti di proiezione sulle pareti. Il docente introduce l’argomento con domande, esercizi e rappresentazioni grafiche; poi ogni gruppo lavora collabora-tivamente utilizzando devices per effettuare ricerche ed esperimenti.

La compattazione del calendario scolastico: è una particolare suddivisione del calendario scolastico, per cui alcune discipline vengono insegnate solo nel 1° quadrimestre (al termine del quale si effettua una valutazione finale, riportata poi nello scrutinio di fine anno); mentre altre discipline vengono trattate solo nel 2° quadri-

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mestre. Alcune discipline non vengono compattate perché necessitano di un approccio costante e continua-tivo nel tempo. La valutazione finale globale dell’alunno tiene conto di tutti i risultati e di tutte le valutazioni registrate (ad. es. le lingue, l’educazione motoria, ecc.).

Integrazione CDD/libri di testo: l’articolo 6 della legge n. 128/2013 prevede che “a decorrere dall’anno scola-stico 2014-2015, gli istituti scolastici possano elaborare il materiale didattico digitale per specifiche discipline da utilizzare come libri di testo e strumenti didattici per la disciplina di riferimento”. Pertanto gli studenti partecipano attivamente alla produzione dei testi di studio, sotto la supervisione di un docente che ne garan-tisce la qualità. Per quanto riguarda la proprietà intellettuale, “L’opera didattica è registrata con licenza che consenta la condivisione e la distribuzione gratuite e successivamente inviata, entro la fine dell’anno scolasti-co, al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e resa disponibile a tutte le scuole statali, anche adoperando piattaforme digitali già preesistenti prodotte da reti nazionali di istituti scolastici e nell’ambito di progetti pilota del Piano Nazionale Scuola Digitale del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per l’azione Editoria Digitale Scolastica”.

2.3 LA FLIPPED CLASSROOM

2.3.1 La didattica delle competenze

La nuova metodologia didattica della Flipped Classroom – La classe capovolta – si basa sull’inversione dell’insegnamento tradizionale: il docente non è più il dispensatore di sapere ma diventa supporto, guida alla comprensione delle conoscenze acquisite dagli alunni.

Con l’ausilio delle nuove tecnologie, i processi di apprendimento avvengono anche al di fuori delle mura sco-lastiche, con tempi e ritmi propri di ogni alunno; mentre le esercitazioni, l’approfondimento e la riflessione si svolgono a scuola sotto la supervisione del docente.

Al docente vengono richieste nuove competenze e nuovi saperi per applicare la metodologia della Flipped Classroom, oltre a un aggiornamento continuo, dato che i ragazzi apprendono e sperimentano con estrema velocità quanto le tecnologie digitali offrono.

Lo sviluppo dei nuovi media ha imposto sul piano educativo un cambiamento di paradigma: in questi ultimi anni è diventata necessità frequente per molti docenti creare contenuti didattici attraverso l’ausilio di stru-menti digitali.

Il diffondersi della produzione di contenuti aperti ha moltiplicato la libera accessibilità alle informazioni, mentre il loro utilizzo nei contesti scolastici ha messo in discussione la tradizionale impostazione trasmissiva a favore di un insegnamento partecipato e condiviso tra docenti e alunni.

Il modello della Flipped Classroom accorcia le distanze tra alunno e docente creando una sinergia dialogica unica nel suo genere.

Le videolezioni, i diversi prodotti multimediali, nonché gli strumenti di interazione online, permettono di ac-cedere a contenuti in ogni momento della giornata. Tali contenuti rielaborati vanno a formare nuclei tematici; il nucleo di ogni alunno si unisce con quello degli altri alunni, andando a creare un unico prodotto redatto insieme.

In questo modo l’elaborazione del contenuto avviene collettivamente, consentendo di compiere una circola-rità del sapere sia in chiave individuale che di gruppo; dunque nel rispetto della soggettività e del pensiero sia del singolo che dell’insieme.

Il ruolo del docente in questo modello acquisisce una nuova dimensione, dato che come mentore ne dirige le fasi progettuali, spingendo ogni singolo alunno a fare ricerca e ad adoperarsi nell’eseguire il compito.

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La fase dell’esercitazione, dell’applicazione e dell’elaborazione si sposta a scuola, in un contesto collaborativo ideato e condotto dal docente, che ne assume in toto la regia.

“Le implicazioni pedagogiche di questa duplice inversione sono molteplici: dalla individualizzazione e personalizzazio-ne dell’apprendimento nella prima, all’apprendimento attivo e fra pari nella seconda, consentendo di trasformare una didattica fondamentalmente istruzionista in una costruttivista e sociale. Questo contributo intende fornire un’analisi dei presupposti psico-pedagogici, dei nodi problematici, delle pratiche didattiche e degli strumenti operativi che vengono coinvolti in questa strategia ”1.

La Flipped Classroom riflette la richiesta di sviluppare competenze sempre più ricche ma meno imbrigliate: la competenza è la capacità di usare conoscenze (knowledge), abilità (skills) e attitudini (attitudes) in contesti concreti, producendo risultati osservabili.

La didattica delle competenze ha la finalità di favorire lo sviluppo del potenziale individuale, inserendo lo studente in un contesto concreto nel quale tanto la conoscenza quanto l’abilità e l’attitudine possano trovare espressione e riconoscimento, all’interno di un progetto negoziato e condiviso.

La competenza può essere rappresentata da un insieme di cerchi concentrici e tra loro interdipendenti2:

• Un primo cerchio ci richiama le risorse cognitive, ovvero le conoscenze e le abilità necessarie per affrontare un dato compito.

• Un secondo cerchio riguarda il saper agire, ovvero la capacità di mobilitare le proprie risorse nell’affronta-re il compito proposto e mette in gioco l’attivazione dei processi logico-cognitivi di base e complessi.

• Un terzo cerchio concerne il poter agire, ovvero la sensibilità alle risorse e ai vincoli che il contesto opera-tivo pone.

• Un quarto cerchio si riferisce al voler agire, ovvero all’atteggiamento con cui il soggetto si pone di fronte al lavoro proposto, in riferimento al compito da affrontare, al contesto d’azione, a sé stesso, agli altri soggetti coinvolti.

L’insieme dei cerchi restituisce una visione di competenza come: “la capacità di affrontare un compito di realtà mobilitando le proprie risorse in modo pertinente alle condizioni del contesto in cui si opera”.

Alla luce di quanto detto, se volessimo sintetizzare il valore aggiunto riconoscibile nella rappresentazione del sapere attraverso il costrutto della competenza in rapporto ai concetti di conoscenza e abilità, potremmo identificare tre piani di analisi 3:

• Il passaggio da una visione statica (prevalente nei concetti di conoscenza e abilità che fanno riferimento al possesso di un certo bagaglio a disposizione del soggetto) a una visone dinamica delle conoscenze, vei-colato dal concetto di competenza che ci richiama una mobilitazione del sapere in vista di un certo scopo, quindi di un saper agire.

• Il passaggio da un approccio analitico, orientato verso una scomposizione progressiva del sapere nelle sue componenti più elementari, a un approccio olistico al sapere, riconoscibile nella visione della competenza intesa come integrazione delle risorse dell’individuo.

• Il passaggio da un sapere decontestualizzato, veicolato dai concetti di conoscenza e abilità che ci restitui-scono un sapere astratto, non rapportato a contesti specifici (come il saper fare una moltiplicazione o cono-scere le tabelline) e potenzialmente inerte, a un sapere situato, riferito a un determinato contesto operativo in cui agire.

La stessa Griseta afferma che se, dovessimo sintetizzare i principali tratti che qualificano la prospettiva di apprendimento veicolata dalle competenze, potremmo indicarli con queste parole:

1 Graziano Cecchinato, “Flipped Classroom : Innovare la scuola con le tecniche digitali del Web 2.0”, TD Tecnologie Didattiche, pp. 11-20.2 Graziano Cecchinato, Flipped Classroom, Innovare la scuola con le tecnologie del Web 2.0, TD.3 G. Griseta “Scuola in…form…azione”, Progetto di formazione e ricerca in rete ( Minervino M. 2014).

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• “Sapere per”

� In primo luogo, la competenza enfatizza la capacità di mettere in relazione i saperi posseduti da un indi-viduo con i contesti di realtà entro cui agisce; il sapere, in tutte le sue accezioni, cessa di essere un fine a sè stante, e recupera la sua ragion d’essere più autentica: uno strumento a nostra disposizione per compren-dere e intervenire sulla realtà. L’espressione “sapere per” richiama tale attributo, laddove la preposizione “per” non è da leggersi in termini riduttivamente funzionalistici e utilitaristici, bensì come opportunità di recupero del senso del sapere, in rapporto alla globalità dei bisogni esistenziali della persona.

• Centralità dei processi

� La prospettiva relazionale di un sapere agganciato ai contesti di realtà richiama la centralità dei proces-si nello sviluppo della competenza, ovvero quell’insieme di operazioni che consentono all’individuo di mobilitare i propri saperi per affrontare un determinato compito di realtà. Tale mobilitazione implica non solo l’attivazione di strategie e operazioni cognitive, ma anche di processi metacognitivi, affettivi, sociali. Si tratta di ampliare lo sguardo sull’apprendimento rispetto alla visione scolastica prevalentemente centrata sull’acquisizione di risorse cognitive, ossia di conoscenze e abilità afferenti i diversi campi disciplinari. Imparare non significa solo accumulare mattoncini di sapere, bensì saperli integrare tra loro e mobilitarli in rapporto a determinati contesti di realtà.

• Sensibilità al contesto

� Il richiamo ai contesti ci rinvia a una prospettiva di sapere situato, rapportato a un insieme di risorse e di vincoli che definiscono una determinata situazione: di ordine temporale, economico, strumentale, re-lazionale, ecc. La sensibilità di contesto è dunque la capacità di adattare la propria azione alle condizioni contestuali in cui ci si trova.

Una competenza esperta4 si acquisisce sulla base di quattro componenti:

• Risorse cognitive, ovvero le conoscenze e le abilità necessarie alla risoluzione di un problema. • Risorse euristiche, cioè la capacità di individuare il problema, di metterlo a fuoco, di rappresentarlo. • Capacità strategiche, vale a dire le modalità con cui progettare la risposta, monitorarne la soluzione, valu-

tarne la plausibilità. • Sistema di valori del soggetto, in particolare rispetto alla sua idea di un’area del sapere e di sé stesso in

rapporto a tale area.

La proposta di Schoenfeld permette di cogliere la principale difficoltà che la cultura scolastica manifesta nell’approcciarsi al tema delle competenze: la scuola tende ad attribuire molto valore alla prima delle com-ponenti richiamate dall’autore, il possesso di conoscenze e abilità; molta meno attenzione viene posta, sia nel momento didattico sia nel momento valutativo, alle altre componenti, spesso considerate alla stregua di doti innate nello studente, ma non tematizzate dalla cultura e dalla prassi scolastica tradizionale. Il passaggio verso le competenze, quindi, richiede di allargare lo sguardo all’insieme delle componenti che concorrono a formare la competenza: non solo ciò che lo studente sa, ma anche ciò che sa fare con ciò che sa.

Il punto fondamentale che l’irrompere delle competenze pone al mondo scolastico riguarda il ricondurre il sapere disciplinare al suo ruolo di strumento per la formazione del soggetto, piuttosto che di fine in sé. Occorre ribaltare la clamorosa inversione mezzi-fini che ha da sempre caratterizzato la scuola, e riportare le discipline al ruolo per cui si sono originate e sviluppate nella storia dell’umanità: fornire strumenti culturali per comprendere e affrontare la realtà naturale e sociale.

Queste sono alcune sfide professionali che il passaggio verso le competenze propone alle rappresentazioni culturali e alle prassi operative degli insegnanti:

4 Schoenfeld in Lichtner, 2004.

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• Considerare i saperi come risorse da mobilitare

� La conoscenza non deve essere materia inerte, bensì materia viva, da mettere in relazione con le esperienze di vita e i problemi che la realtà pone; le conoscenze formali non sono qualcosa di auto consistente, richie-dono di essere pensate come potenziali risorse per affrontare contesti di realtà, non possono permettersi di perdere questo collegamento vitale.

• Promuovere l’acquisizione di conoscenze

� La didattica per competenze non solo non svaluta i contenuti, ma li coltiva e li approfondisce. Non è suffi-ciente, infatti, accertarsi che l’alunno abbia memorizzato e sappia ripetere, ma è bene assicurarsi che abbia colto con chiarezza il senso di un concetto, di un processo, lo abbia interiorizzato nelle sue connotazioni essenziali, nella sua struttura, lo possieda e lo usi, svincolandolo dal “qui” e “ora” per utilizzarlo poi in altri contesti compatibili strutturalmente. Le domande che seguono sono esemplificative al riguardo: Che processo hai usato per affrontare questo problema? Prova a ripercorrerlo mentalmente. Cosa hai fatto in-nanzitutto…e poi? Cosa è cambiato rispetto a quando non riuscivi? Potresti usare queste strategie in altri compiti? In altre materie? In qualche gioco? In qualche altra situazione? Che significa questo concetto? Spiegalo con le tue parole. Possiamo ritrovarlo in altri ambiti? Se le competenze consistono nell’usare e trasferire conoscenze e abilità in contesti diversi da quelli in cui sono state apprese, stimolare intenzio-nalmente il transfer diventa una delle azioni cruciali della didattica quotidiana, un modo per abituare gli alunni a infrangere le barriere virtuali che imprigionano i contenuti, stimolandoli a cercare connessioni personali con la vita.

• Esercitare abilità

� Il primo passo consiste nell’identificare le abilità che stanno alla base delle competenze che si intendono suscitare, o almeno quelle peculiari ed essenziali, consapevoli che molte abilità si acquisiscono anche in modo informale in contesti diversi da quello scolastico. Se si vuole che gli alunni arrivino a padroneggiarle, che esse divengano “automatiche” come prevede la loro definizione, non basta che gli studenti ne facciano esperienza una tantum, nel corso di un compito o di un breve progetto; ma è necessario che siano chiamati spesso a usarle, prima singolarmente, poi all’interno di compiti progressivamente più complessi e meno familiari che richiedano di esercitare le abilità alternandole fra loro in sequenze non fisse, ma random; per stimolare gli alunni a processi di raccolta e analisi delle informazioni, così da produrre risposte adeguate a situazioni che cambiano. Compito del docente è selezionare e proporre attività e situazioni significative che, dosando adeguatamente il livello di novità e complessità, permettano ai ragazzi di esercitare in forme non rigide né addestrative le abilità da acquisire.

• Lavorare per situazioni problema

� La stretta connessione tra realtà e scuola, simboleggiata dalla metafora del ponte, si riflette nell’appoggiare il lavoro didattico su attività in grado di integrare i diversi saperi, e di renderlo significativo proponendo situazioni problematiche da affrontare, attivando processi euristici in contesti reali; l’espressione “situa-zioni-problema” ben sintetizza un approccio esplorativo, di ricerca aperta, verso la conoscenza, coniugato con un riferimento a situazioni reali, a contesti operativi concreti e definiti, fatti inevitabilmente di risorse e di vincoli.

• Condividere progetti formativi con i propri allievi

� Il ruolo di protagonista del proprio apprendimento affidato agli studenti si riflette nella pratica della con-trattualità formativa, funzionale a una condivisione di senso del lavoro didattico, non solo con gli studenti, ma anche con gli altri soggetti coinvolti (genitori, interlocutori esterni, personale ATA); il punto focale è la ricerca di significato per il lavoro scolastico da parte dei diversi attori coinvolti (anche per il docente), un’ attribuzione di senso che promuova la disponibilità ad apprendere e favorisca una finalizzazione ricono-scibile per il proprio impegno e i propri risultati.

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• Adottare una pianificazione flessibile

� L’aggancio con problemi di realtà richiede un approccio strategico alla progettazione, fondato sulla messa a fuoco di alcune linee di azione da adattare e calibrare durante lo sviluppo del percorso formativo; ciò implica un approccio flessibile, aperto alla progettazione didattica, non riconducibile a un algoritmo pre-ordinato, bensì a una ricerca da impostare e adattare in corso d’opera, avendo chiaro dove si vuole arrivare e i traguardi formativi che si intendono promuovere.

• Suscitare motivazione

� Per produrre un comportamento competente di fronte a un compito scolastico o extrascolastico non basta che lo studente possieda conoscenze e abilità adatte ad affrontarlo, ma occorre che si senta motivato a metterle in gioco.

� Come alimentare, allora, questa componente energetico-motivazionale nella didattica quotidiana?

� Facendo leva sulla percezione del rafforzamento di sé (autostima) degli studenti. Come?

� Mettendo in luce il significato, il valore che l’attività sulla quale si vuole catturare l’attenzione degli studen-ti ha per il docente; stimolandoli a trovare un senso personale alle cose, alle azioni, senza togliere loro la fatica di cercarlo, attraverso modalità didattiche che inducano alla ricerca, alla scoperta, al coinvolgimento attivo del gruppo classe.

� Il sostegno all’autostima degli studenti implica per il docente il dovere di essere esigente; insieme alla ca-pacità di proporre sfide che si collochino, come direbbe Vygotsky, nella loro zona di sviluppo prossimale, ossia poco al di sopra del livello delle loro prestazioni autonome; perché possano essere affrontate con successo rafforzando la percezione di fiducia e aumentando l’autostima. Il docente è anche il mediatore che con sapienza predispone le condizioni per il successo, per alimentare quel circuito virtuoso da cui l’apprendimento trae energia.

• Praticare una valutazione per l’apprendimento

� La pratica consapevole in cui si esprime l’apprendimento amplifica il potenziale formativo del momento valutativo, vero e proprio specchio attraverso cui conoscere e riconoscersi, risorsa metacognitiva per il ragazzo che apprende; la valutazione si connette strettamente alla formazione, non è pensata come un momento terminale e separato bensì come uno strumento attraverso cui promuovere e consolidare l’ap-prendimento.

• Tendere all’apertura disciplinare

� La realtà non può essere rinchiusa nei recinti concettuali e metodologici delle singole discipline, necessita di una pluralità di sguardi attraverso cui osservare e comprendere la propria esperienza; l’insegnamen-to-ponte implica necessariamente un superamento dei confini disciplinari, una capacità di connettere non solo la scuola con la vita, ma anche i diversi saperi disciplinari, pensati come strumenti di analisi di una realtà unica e scomponibile.

• Ridefinire l’idea di scuola avvicinandola al contesto reale

� Una diversa modalità con cui avvicinarsi all’insegnamento non impatta solo con le resistenze e le routine del corpo docente, ma anche con gli stereotipi, le aspettative, i modelli culturali degli studenti, delle loro famiglie, della comunità sociale. Un approccio per competenze richiede allo studente di porsi in modo diverso rispetto all’esperienza di apprendimento, non come ricettore passivo e riproduttore di un sapere predigerito, bensì come co-produttore di una conoscenza da costruire e condividere. Quest’ultima avver-tenza segnala con evidenza che la sfida non è solo tecnico-professionale bensì soprattutto culturale, poiché investe l’intera comunità sociale che ruota intorno all’universo scolastico e i significati che ciascuno degli

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attori attribuisce al fare scuola. La comunità scolastica è chiamata a confrontarsi nella sua totalità con la sfi-da delle competenze. Ciò significa un lavoro che non riguarda solo la comunità professionale dei docenti, ma si allarga alla relazione con gli allievi e con i genitori: in gioco c’è un’idea di scuola che va de-costruita, problematizzata pezzo a pezzo e ricostruita su premesse diverse; un’idea di scuola che permea di sé le pratiche didattiche, le procedure organizzative, i comportamenti valutativi, i setting organizzativi.

2.3.2 La relazione docente/studenti nella Flipped Classroom

Se impiegata come metodologia didattica per lo sviluppo dell’apprendimento individuale e per l’acquisizio-ne di un metodo di studio, la flipped classroom può aiutare gli studenti a leggere la scuola come un luogo di progettazione condivisa: lo studio è a casa per l’acquisizione delle conoscenze, mentre le esercitazioni d’aula sono per attività individuali e di gruppo in cui affrontare problemi concreti e produrre risultati osservabili.

Afferma Graziano Cecchinato in una definizione più che esaustiva in merito alla Flipped Classroom:

“Gli sviluppi tecnologici e sociali della rete internet, che favoriscono la partecipazione attiva alla produzione di contenuti multimediali interattivi, stanno moltiplicando la libera disponibilità di risorse digitali educative e le modalità di rielabo-razione e condivisione nei contesti scolastici. In questo scenario una pratica che si sta diffondendo prevede di capovolgere (to flip) i momenti classici dell’attività didattica: la lezione frontale e lo studio individuale. Grazie alla disponibilità di videolezioni, di prodotti multimediali, di risorse informative, di strumenti interattivi, la fruizione dei contenuti viene svolta al di fuori delle mura scolastiche, con i tempi e i ritmi che ogni studente può determinare, mentre la fase di appro-fondimento, di riflessione, di esercitazione, di applicazione, si sposta a scuola, sotto la guida e il sostegno del docente. Le implicazioni pedagogiche di questa inversione sono molteplici, dalla personalizzazione dell’apprendimento nella prima inversione all’attivismo (Dewey) e al peer learning nella seconda, aprendo le porte al discovery learning (Bruner), all’in-quiry learning (Rutherford), all’experiential learning (Kolb), al costruttivismo (Jonassen) al connettivismo (Siemens)”.

J. F. Herbart afferma che all’uomo serva, almeno quanto il nutrirsi, un’istruzione educativa come trasmissio-ne ed elaborazione della cultura, condizione che solo un docente può favorire nel suo ruolo.

Si possono individuare cinque criteri metodologici fondamentali per ogni tappa d’insegnamento:

• Preparazione (richiamare quanto già appreso e indicare l’aggancio con le nuove nozioni); • Presentazione (avviare un nuovo apprendimento mediante la concatenazione tra più nozioni); • Associazione (sistemare le nuove nozioni all’interno del tessuto cognitivo già acquisito); • Generalizzazione (formazione di regole generali per astrazione dal materiale appreso); • Applicazione (esercizi di verifica e di consolidamento del sapere).

Ma questi criteri non potrebbero funzionare se non ci fosse uno scopo educativo, ovvero il legame costituito dalla multilateralità dell’interesse, che consente di evitare la dispersione delle attività educative orientandole verso la formazione della persona nella sua interezza.

Diversa è la visione di Vygotskij, il quale guarda all’ambiente sociale come fattore di promozione dello svi-luppo, per cui tutte le relazioni intersoggettive con gli adulti (più che mai con i docenti) possiedono una forte valenza educativa in quanto sono comunque percorsi culturali senza i quali l’uomo non può acquisire le sue qualità e funzioni specifiche.

Dewey propone la centralità dell’attività dello studente che, guidato dall’insegnante, apprende attraverso il fare, secondo i propri interessi e bisogni, per il proprio sviluppo fisico e psicologico. Il sapere per Dewey non è fisso e definito, ma è piuttosto un sistema elastico che si arricchisce e modifica progressivamente grazie all’esperienza.

Quindi la scuola non può che essere attiva, il che implica che lo stesso studente debba avere di sé una nuova visione, dato che concorre non solo al processo, ma alla stessa bozza educativa, in quanto il suo operare è

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parte integrante del tutto.

I principi del metodo di Dewey possono essere considerati i principi cardine sui quali basare ogni metodo:

• Partire dagli interessi infantili e da una reale attività d’esperienza; • Porre l’alunno in un’oggettiva situazione problematica, perché venga stimolato il pensiero; • Fornirgli il materiale informativo per consentirgli le opportune ricerche e indagini; • Stimolare nell’alunno lo sviluppo organico delle ipotesi che è in grado di formulare spontaneamente; • Metterlo in grado di verificare le sue idee per mezzo dell’applicazione.

Pertanto l’organizzazione scolastica dovrebbe optare per soluzioni come:

• Le classi parallele (formate da alunni di capacità omogenee); • Mobili (dove gli alunni si spostano per ciascuna materia nella classe corrispondente al proprio livello); • Le sezioni parallele (che offrono possibilità formative diverse); • Il sistema delle opzioni (porre accanto a un programma minimo comune un’ampia offerta di possibilità di

studio tra cui l’alunno possa scegliere).

La didattica più che insegnare contenuti specifici, deve stimolare attività in modo da educare alla vita, tra-sformando gli scopi futuri in interessi presenti per il ragazzo, utili anche sul piano sociale per la crescita di un paese. Omologare gli apprendimenti, appiattirli, manda in stallo intelligenze che potenziate, potrebbero invece sorprendere.

La Scuola attiva, attesta Ferrière, deve essere educazione alla libertà e nella libertà: permettendo allo studente la piena realizzazione di tale libertà attraverso un ambiente in cui egli possa vivere ed essere operoso, procu-randosi il sapere con una ricerca personale, da solo o in collaborazione.

La Flipped Classroom, impiegando le nuove tecnologie, assolve completamente a questa visione a questo nuovo modo di fare scuola e di accostarsi al sapere, come a un terreno che cela al suo interno una serie di semi, che chiedono di germogliare.

La Flipped Classroom risponde a quanto già la scuola attiva suggeriva, in quanto era quella corrente che dava importanza al lavoro, inteso come attività di progettazione e realizzazione anche intellettuale.

La Flipped Classroom parte dal qui e ora e si proietta nel futuro, prevedendo che la lezione si strutturi in tre tempi:

• Raccolta dei documenti: sono gli studenti che compiono ricerche su svariati argomenti di loro interesse utilizzando non solo i libri ma anche visite nei luoghi di lavoro o in altre organizzazioni della società.

• Classificazione: le ricerche effettuate vengono raccolte in schede e raggruppate per argomenti consenten-done la facile consultazione.

• Elaborazione: tutto il materiale prodotto viene confrontato, analizzato e discusso in gruppo. L’insegnante organizza le ricerche in base ad argomenti che tengano conto degli interessi specifici delle singole età.

La scuola, ribadisce Bruner, deve fornire strumenti attuali per sviluppare capacità che rendano i ragazzi di-sponibili ad apprendere, ovvero per poter “imparare ad imparare”.

Posta questa premessa e tenendo conto delle tre forme di rappresentazione, Bruner evidenzia i vantaggi di una didattica strutturalistica che permette di salvaguardare l’unitarietà dell’apprendimento a tre livelli:

• Sul piano orizzontale, in quanto, mostrando le stesse strutture in materie o argomenti di discipline diverse, permette l’integrazione tra le discipline.

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• Sul piano verticale, in quanto consente un insegnamento continuo e a spirale in cui l’alunno ritrova, a di-versi stadi di crescita, altrettanti livelli di approfondimento dello stesso contenuto disciplinare, di cui resta invariata la struttura, mentre cambia la sua rappresentazione in rapporto all’età psicologica.

• Sul piano trasversale, in quanto presenta le strutture concettuali con l’utilizzazione di tutte le forme di rappresentazione.

Gli elementi fondamentali, di qualunque metodologia si proponga allo studente e in qualunque stadio della crescita si trovi, sono riassunti nel garantire:

• Un clima favorevole all’apprendimento • Un meccanismo mentale (di apertura) per la progettazione comune • Valutare e tenere conto dei bisogni di apprendimento di ognuno • Progettare un modello di esperienze di apprendimento • Mettere in atto il programma, o piano d’azione • Valutare il programma • Considerare il processo • Offrire un lascito al fare.

Il ruolo del docente nella Flipped Classroom sarà quello di guida e supporto che incoraggia gli studenti alla ricerca personale e alla collaborazione e condivisione dei saperi appresi.

Non esiste un unico modello di insegnamento capovolto, anche se nel modello standard la classe capovolta è vista come un ambiente di lavoro in cui gli studenti sono indirizzati verso l’uso di selezionati materiali didattici.

Sarebbe necessario creare un blog o una classe virtuale sul sito della stessa scuola, con una sezione archivio per ogni disciplina, da dove attingere i video e preparare le lezioni, nonché i quiz, che possono essere svolti per tastare l’avvenuto apprendimento e monitorare gli esiti della metodologia applicata.

Gli studenti possono inoltre collaborare e in classe si possono avviare diverse discussioni tra loro, che per-metteranno di chiarire meglio determinati concetti, appresi autonomamente. Il docente potrebbe anche sud-dividere gli studenti in piccoli gruppi e attribuire loro alcune specifiche situazioni problematiche da trattare.

Durante una tradizionale lezione, gli studenti provano spesso a carpire il maggior numero possibile delle informazioni date dal docente, annotando frettolosamente i concetti sui loro quaderni.

Ciò non gli permette di soffermarsi nella comprensione, proprio perché sono concentrati su una scrittura forsennata, che li distoglie dall’assimilazione di determinati nodi concettuali importanti. L’uso dei video, invece, permette agli studenti di ascoltare e riascoltare in qualsiasi momento le parole del docente.

Le attività di confronto che saranno proposte in classe permetteranno agli studenti di socializzare e collabo-rare nella risoluzione di un problema comune.

La Flipped Classroom ribalta il sistema di apprendimento tradizionale nella relazione docente/studenti, in quanto la rigidità del ruolo e la verticalità gerarchica lasciano poco spazio alla relazione interagente tra i due soggetti dell’educazione.

“In realtà, l’insegnamento capovolto nasce dall’esigenza di rendere il tempo-scuola più produttivo e funzionale alle esi-genze di un mondo della comunicazione radicalmente mutato in pochi anni. La rapida mutazione indotta dalla diffusione del web ha prodotto un distacco sempre più marcato di una grande parte del mondo scolastico dalle esigenze della società, dalle richieste del mondo delle imprese e dalle abilità e desideri degli studenti e delle loro famiglie. Si è osservato anche che gli interessi degli studenti nascono e si sviluppano, ormai, sempre più all’esterno dalle mura scolastiche. L’insegnan-te trova sempre più complesso sostenere l’antico ruolo di trasmettitore di cultura perché il web si presta per tale scopo in

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modo molto più completo, versatile, aggiornato, semplice ed economico”5.

2.3.3 La metodologia della Flipped Classroom

L’insegnamento rovesciato o Flipped Classroom impiega sostanzialmente due passaggi per essere applicato:

• Un lavoro a casa che sfrutta appieno tutte le potenzialità dei materiali culturali online, che lo studente può ricercare e approfondire, anche seguendo i propri interessi e le proprie attitudini.

• Un lavoro a scuola che consente di applicare, senza ristrettezze temporali, una didattica laboratoriale so-cializzante e personalizzata, condivisa e partecipata.

L’insegnamento capovolto punta a far lavorare lo studente prevalentemente a casa, in autonomia, appren-dendo attraverso video e podcast, o leggendo i testi proposti dagli insegnanti o condivisi da altri docenti. In classe l’allievo cerca, quindi, di applicare quanto appreso per risolvere problemi e svolgere esercizi pratici proposti dal docente.

Dato che la fruizione delle nozioni si sposta nel tempo passato a casa, il tempo trascorso in classe con il do-cente può essere impiegato per altre attività fondate sull’apprendimento, in un’ottica di pedagogia differen-ziata e apprendimento a progetto.

I primi esperimenti sono stati condotti negli anni novanta da Eric Mazur, professore di fisica presso l’Univer-sità di Harvard.

I fondatori della didattica capovolta sono Jonathan Bergmann e Aaron Sams, autori del libro “Flip Your Clas-sroom: Reach Every Student in Every Class Every Day”, edito negli Stati Uniti nel 2012.

A partire dal loro manuale e dai siti web della loro associazione, il flipped learning sta crescendo in modo esponenziale in tutto il mondo.

In Italia nel 2014 è nata FLIPNET6, l’associazione degli insegnanti che praticano la didattica capovolta:

http://flipnet.it/

5 Tullio De Mauro, La scuola capovolta, «Internazionale», n. 975, 16 novembre 2012.6 http://flipnet.it - Sito ufficiale della associazione italiana per la promozione della didattica capovolta.

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Le immagini che seguono rappresentano in forma grafica tali concetti:

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2.3.4 L’apprendimento significativo con le tecnologie

L’apprendimento può definirsi significativo quando viene vissuto come risorsa didattica e pedagogica: quan-do un’azione si fa cooperativa sia sul fronte collegiale che sul fronte che mette in campo gli studenti, permette di migliorare la qualità della comunicazione in classe, e quindi di tutto il processo educativo.

Pertanto parliamo di apprendimento significativo quando i risultati attesi gratificano entrambi gli attori: docenti e studenti.

Di rimando, il livello di soddisfazione e gratificazione mette anche le figure genitoriali in cooperazione con le scuole, affinché la sinergia del sistema educativo sia completa.

L’apprendimento significativo consente di dare un senso alle conoscenze, permettendo l’integrazione delle nuove informazioni con quelle già possedute; utilizzando le stesse in contesti e situazioni differenti, al fine di sviluppare la capacità di problem solving, di pensiero critico, di metariflessione, per trasformare le cono-scenze in vere e proprie competenze.

Secondo la pedagogia contemporanea l’apprendimento significativo, basato su teorie costruttiviste, ha come obiettivo principale quello di rendere autonomo il soggetto nei propri percorsi conoscitivi.

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Esso è diametralmente opposto all’apprendimento meccanico che utilizza la memorizzazione per produrre conoscenza “inerte”.

Nell’apprendimento meccanico, basato su teorie comportamentiste, la ricezione delle informazioni è veico-lata dal docente, le informazioni sono definitive, astratte e generiche e non possono essere modificate dallo studente per integrarle ad informazioni precedenti o per negoziarne socialmente il significato.

Per avere un apprendimento significativo è quindi necessario che la conoscenza:

• Sia il prodotto di una costruzione attiva da parte del soggetto; • Sia strettamente collegata alla situazione concreta in cui avviene l’apprendimento; • Nasca dalla collaborazione sociale e dalla comunicazione interpersonale.

Molti sono stati gli autori di impronta cognitivista e costruttivista a occuparsi dell’apprendimento significa-tivo:

• Carl Rogers pone al centro dell’apprendimento significativo la motivazione ad apprendere e l’esigenza che l’insegnante riconsideri il proprio ruolo preoccupandosi di coinvolgere e motivare l’alunno; è necessario infatti che lo studente venga posto di fronte a un problema da lui sentito come reale.

• D. Ausubel, negli anni ‘60, identifica l’apprendimento significativo e quello meccanico (di memorizzazio-ne) come gli estremi di un continuum. Dunque elabora il concetto di apprendimento significativo spostan-do l’attenzione dai metodi d’insegnamento alle condizioni che lo rendono possibile. Ciò che una persona riesce a costruire è infatti correlato alle modalità di insegnamento che gli sono state offerte o alle strategie che lui stesso adotta.

• J. Novak definisce la metodologia delle mappe concettuali come strumento per generare apprendimento significativo. Per apprendere si segue così il processo di formazione e creazione del sapere, con un metodo che si rifà alla struttura della conoscenza umana.

• D. Jonassen riconosce una pluralità di fattori importanti (contestuali, sociali, metodologici e strumentali) per generare apprendimento significativo: “sarà anche possibile far sì che le persone apprendano cosa noi vo-gliamo, ma in futuro ricorderanno ed useranno solo ciò che ha un senso per loro”. Sviluppa inoltre un approccio didattico basato sulle tecnologie e sul concetto di apprendimento significativo e intenzionale.

Le caratteristiche di un ambiente di apprendimento che facilita la costruzione significativa di conoscenza è quello in cui si ha la possibilità “di apprendere in modo attivo, costruttivo, intenzionale, autentico e collaborativo.” (Jonassen et al. 2007, p. ivi).

• Attivo: richiede uno sforzo concreto di colui che apprende nella costruzione della sua conoscenza in con-testi significativi mediante la manipolazione di oggetti, l’osservazione e l’interpretazione dei risultati dei suoi interventi. In questo modo si verifica il principio del learning by doing (imparare facendo).

• Costruttivo: richiede di articolare ciò che è stato fatto e di riflettere sulle proprie attività e osservazioni. Le nuove conoscenze creano discrepanze tra ciò che si osserva e ciò che si comprende. Questo è quello che consente ai discenti di andare avanti integrando le vecchie conoscenze con le nuove. Si può fare riferi-mento ai processi di assimilazione e accomodamento, teorizzati da Piaget, che implicano la costruzione di nuove conoscenze. Secondo il pedagogista svizzero il vero apprendimento avviene nel momento in cui vi è la modifica degli schemi cognitivi (processo di assimilazione e accomodamento).

• Cooperativo: prevede una dimensione conversazionale e collaborativa per favorire la comprensione, la qua-le avviene sempre attraverso il confronto, lo scambio, il dialogo e la negoziazione con gli altri.

• Autentico: perché è caratterizzato da complessità ed è fortemente contestualizzato. Si basa su complessi problemi della vita reale per favorire un coinvolgimento pratico degli studenti nei contesti concreti.

• Intenzionale: è lo studente che dà un’autogiustificazione all’impegno di perseguire e raggiungere uno sco-po. È compito del docente creare la motivazione all’impegno e al conseguente apprendimento.

Un modo per mettere in pratica questo tipo di insegnamento-apprendimento è quello di utilizzare le tecno-

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logie:

“Chi utilizza questi strumenti, è obbligato a pensare in modo più profondo ai contenuti che sta apprendendo e sviluppa-re, di conseguenza, una sua maggior comprensione, un apprendimento più stabile.” (Jonassen)

Per promuovere un apprendimento significativo, i docenti dovrebbero utilizzare le tecnologie come partner nel processo di apprendimento: gli studenti non apprendono dalle tecnologie ma le tecnologie possono sup-portare gli studenti per lo sviluppo del pensiero produttivo e la costruzione di significato, se utilizzate come attivatori e facilitatori del processo di apprendimento.

Pertanto, le dimensioni che rendono efficace l’uso degli strumenti tecnologici sono:

• Dimensione causale, è relativa all’uso delle tecnologie con il fine di sviluppare il pensiero deduttivo, la ca-pacità di previsione e di ricerca delle cause e dei meccanismi alla base dei fenomeni. Esempi di strumenti per favorire lo sviluppo di questa dimensione: software come SimQuest, WebQuest, strumenti di discus-sione in rete come i forum, strutturazione di mappe concettuali.

• Dimensione analogica, è relativa al trasferimento di conoscenze tra contesti diversi. È legata alla flessibilità cognitiva e alla costruzione di conoscenze a partire da ciò che già si conosce. Esempi di strumenti per fa-vorire lo sviluppo di questa dimensione: lavoro collaborativo per la costruzione di un glossario mediante un wiki, partendo dalle analogie per produrre nuove conoscenze.

• Dimensione espressiva, è relativa all’uso delle tecnologie come strumenti per esprimere ciò che gli studenti conoscono e stanno imparando. Esempi di strumenti per favorire lo sviluppo di questa dimensione: pro-duzione di un video, realizzazione di un ipertesto, costruzione di una simulazione.

• Dimensione esperienziale, richiama l’importanza del coinvolgimento diretto del soggetto per recuperare esperienze pregresse. Esempi di strumenti per favorire lo sviluppo di questa dimensione: ricerca di storie, costruzione di narrazioni, metodo autobiografico.

Le tecnologie risultano efficaci per:

• Costruzione di conoscenza non riproduzione • Conversazione non ricezione • Articolazione non ripetizione • Collaborazione non competizione • Riflessione non prescrizione.

Le operazioni chiave dell’apprendimento significativo con tecnologie sono:

• Investigare • Esplorare • Scrivere • Costruire modelli • Costruire comunità e comunicare con gli altri • Progettare • Visualizzare • Valutare.

In conclusione le tecnologie andrebbero usate come attivatori e facilitatori del pensiero; quindi diventare un supporto all’apprendimento significativo e non il principale mezzo.

2.3.5 Programmazione di attività nella Flipped Classroom

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I docenti utilizzano diverse modalità per la realizzazione dei contenuti e degli obiettivi, nonché per la realiz-zazione dei video. Pertanto, per le classi capovolte, ogni docente può e deve sentirsi libero di utilizzare nella maniera più congeniale tutti gli strumenti possibili per presentare i contenuti.

Obiettivi:

• Soddisfare Bisogni • Controllare la propria comprensione • Cogliere i punti di vista • Discutere i processi • Approfondire il sapere • Essere parte integrante di un apprendimento in costruzione • Cogliere il piacere di apprendimento in modo mirato • Rivedere i percorsi per argomento • Facilitare la metacognizione • Facilitare il pensiero critico • Ridurre il disinteresse • Rendere l’alunno protagonista e fautore del proprio sapere.

Per presentare i contenuti, il docente può usare la fotocamera per registrare sé stesso, può montare il lavoro con un software di presentazione (Powerpoint, Keynote), utilizzando gli screenshot e includendo commenti vocali; prestando attenzione a questi aspetti:

• Assicurarsi che il suono sia catturato efficacemente (magari effettuare diverse prove prima di iniziare); • Utilizzare illustrazioni, schemi, disegni, così come si fa tradizionalmente in aula; • Non caricare eccessivamente il video di contenuti, è più efficace un video di pochi minuti che riguardi

singoli concetti chiave; • Non serve perdere eccessivo tempo nel raggiungimento della perfezione del video, bisogna considerare

che l’unica cosa fondamentale è la trasmissione del concetto; • Intercalare alcune espressioni ironiche durante la lezione può tenere viva l’attenzione.

Il modello di programmazione flipped è quindi composto dalle tre fasi:

• Identificazione dei risultati desiderati, • Determinazione delle prove accettabili, • Pianificazione delle esperienze e delle lezioni utili per l’apprendimento

Il primo punto è identificare ciò che alla fine gli studenti devono sapere e saper fare, ponendosi delle do-mande che funzionino da indicatori per gli esiti attesi e stabilendo quale possa essere il modo per verificare l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità coinvolte.

La maggior parte delle nozioni e dei contenuti possono essere forniti grazie al suggerimento di video repe-ribili in Rete o creati ad hoc dal docente, consolidati grazie alla somministrazione di attività di lettura o di comprensione del testo.

Il docente potrà comprendere se gli studenti hanno realmente appreso quando questi saranno in grado di sintetizzare i contenuti da varie fonti e produrre, per esempio, un nuovo documento. In questo modo gli stu-denti hanno la possibilità di discutere, confrontarsi, produrre congetture, argomentare e insegnare ai propri compagni quanto letto e compreso.

Diverse sono le operazioni che gli studenti possono fare in classe durante le lezioni e volte a fissare meglio quanto hanno avuto modo di vedere e comprendere a casa. Per esempio, dovrebbero essere in grado di riferi-

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re le conoscenze acquisite e quindi si può lavorare sul miglioramento del lessico specifico, oppure dovrebbe-ro essere in grado di produrre dei testi chiari e, quindi, saranno in grado di rispondere a eventuali domande poste dal docente.

La gestione di questi momenti, però, richiede un minuzioso intervento di pianificazione da parte del docente, che si troverà di fronte alla possibilità di utilizzare in maniera molto più proficua il tempo che ha a disposi-zione in classe con gli alunni.

R. J. Marzano individua 9 strategie didattiche che favoriscono la conservazione delle informazioni e la com-prensione da parte degli studenti:

• Prendere appunti e sintetizzare • Identificare analogie e differenze • Provare e riconoscere • Effettuare compiti a casa ed esercitazioni • Favorire l’apprendimento collaborativo • Effettuare rappresentazioni non verbali • Identificare gli obiettivi e fornire feedback • Formulare ipotesi • Porre domande con suggerimenti e organizzatori avanzati.

Ci sono tanti strumenti tecnologici a disposizione dei docenti e degli studenti che possono essere utilizzati per la produzione dei lavori finali. Sono tutti gratuiti e consentono spesso la collaborazione nel processo di creazione.

Essi sono stati raggruppati secondo le voci della tassonomia di Bloom e di seguito riportati in chiave analitica.

1. Creare � Gli studenti possono lavorare in modo cooperativo per creare prodotti atti a mostrare il loro apprendi-

mento. Si potrebbe chiedere agli studenti di creare un book trailer, creare un cartone animato per illustra-re un processo, creare un poster digitale su un argomento o un periodo storico, ecc.

� I book trailers sono ottimi modi per gli studenti per mostrare quello che hanno imparato. � Zooburst è uno strumento di narrazione digitale: http://www.zooburst.com � ToonDoo è uno strumento web 2.0 che permette a chiunque di creare i propri fumetti: http://www.toondoo.

com � Glogster è uno strumento web 2.0 che permette agli studenti di creare poster digitali (che incorporano

testo, immagini o video): http://edu.glogster.com �

2. Valutare � Quando gli studenti valutano, sono coinvolti nel completamento dei compiti cognitivi complessi. A se-

conda dell’attività, possono utilizzare organizzatori grafici per presentare ciò che vogliono esprimere. � L’autovalutazione è uno strumento utile per gli studenti, in quanto consente loro di ottenere risposte in

relazione a quanto stanno facendo. Nella fase di valutazione, l’insegnante ha bisogno di essere sicuro di poter fornire il riconoscimento giusto per un lavoro ben fatto. Quando gli studenti vedono che il loro li-vello di realizzazione è correlato all’impegno che stanno mettendo nell’attività, si prestano maggiormente per raggiungere un livello sempre più alto.

� I docenti possono fornire loro delle griglie utili per l’autovalutazione. � Prezi è uno strumento web 2.0 che permette di realizzare presentazioni non lineari: https://prezi.com

3. Analizzare � In questa fase gli studenti possono identificare similitudini e differenze, creare rappresentazioni non

verbali e creare sondaggi. L’identificazione di analogie e differenze li aiuta a comprendere meglio le in-formazioni acquisite. A tale scopo possono essere usate le attività che mettono a confronto, classificano e

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usano metafore/analogie per comprendere i contenuti a un livello più profondo.4. Applicare

� Nella fase di applicazione, gli studenti possono risolvere nuovi problemi applicando le loro conoscenze e i fatti precedentemente acquisiti in modo diverso. Attraverso l’uso di spunti, domande, organizzatori grafici e rappresentazioni, gli studenti hanno la possibilità di mostrare le loro conoscenze. I compiti a casa e le esercitazioni permettono agli studenti di rivedere e applicare le loro conoscenze.

5. Comprendere e ricordare � Gli studenti sono in grado di dimostrare la comprensione attraverso una varietà di strategie e attività.

Riassumere richiede la capacità di sintetizzare le informazioni. Gli studenti devono essere in grado di analizzare le informazioni e organizzarle, riassumendole in modi diversi, per migliorare la loro capacità di comprendere i contenuti specifici per l’apprendimento.

6. Ricordare e capire � I compiti a casa e le esercitazioni offrono l’opportunità di effettuare revisioni e applicare le conoscenze,

migliorando anche le capacità di raggiungere un livello di competenza atteso per una abilità. � Ecco alcuni modelli e siti web per aiutare con i compiti e la pratica: � Quizlet è un sito web che aiuterà gli studenti a trovare o creare flashcard: https://quizlet.com � Flashcard exchange è un sito web in cui è possibile trovare flashcard didattici già pronti per diversi sog-

getti: http://www.cram.com � StudyStack è un sito web che permette di creare flashcard, cruciverba, giochi di corrispondenza: http://

www.studystack.com

Uno dei principali vantaggi dell’insegnamento capovolto consiste nell’avere a disposizione molto più tempo in classe per assecondare le esigenze degli studenti, creando attività efficaci e coinvolgenti.

Quando i docenti decidono di capovolgere la propria didattica, è essenziale che effettuino a monte una atten-ta riflessione sulle modalità di impiego del tempo supplementare che hanno a disposizione. Inoltre, le attività da svolgere dopo che i ragazzi hanno visionato a casa i materiali di studio devono essere strettamente colle-gate a quanto appreso a casa, in modo tale da chiarire i dubbi e rafforzare quanto appreso autonomamente.

Di seguito vengono proposte alcune idee su come utilizzare il tempo a disposizione in classe in caso di spe-rimentazione dell’insegnamento capovolto.

Capovolgimento Tradizionale (Traditional Flipped), che si configura come quello più utilizzato in aula dai docenti. In questo caso gli studenti guardano un video della lezione, la imparano a casa e svolgono i classi-ci compiti in classe insieme agli altri compagni, sotto la guida del docente. Alcuni insegnanti mantengono questa tipologia di capovolgimento come una costante negli anni, mentre altri preferiscono effettuare altri esperimenti che si rivelano ancor più efficaci.

Il Flipped Mastery si può considerare come la naturale evoluzione del capovolgimento tradizionale. In que-sto caso gli studenti lavorano individualmente e non in gruppo, rivedono la lezione a casa e utilizzano le ore in classe per effettuare esercizi alla presenza dell’insegnante che attribuisce loro una valutazione. Quando almeno l’80% degli studenti ha raggiunto una valutazione positiva, è possibile passare all’obiettivo succes-sivo, altrimenti è necessario soffermarsi ulteriormente su quanto trattato, fornendo magari altri materiali di studio.

La Peer Instruction Flipped Classroom prevede invece lo studio dei materiali di base forniti dal docente al di fuori della classe, mentre in classe gli studenti avviano un dibattito circa i nodi concettuali appresi, cercando di convincere i propri compagni sull’esattezza di quanto sostenuto. In questo confronto continuo, il docente modera e valuta l’apprendimento dei concetti. Gli studenti in questo modo possono anche aiutarsi a vicenda, in quanto spesso i concetti più complessi hanno richiesto una maggiore concentrazione anche da parte di chi li ha successivamente compresi e quindi, alla luce delle difficoltà superate, possono rendersi più disponibili verso chi ha ancora il loro stesso problema.

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La Problem Based Learning Flipped Classroom prevede invece l’esplorazione di un problema e il confronto delle strategie risolutive tra gli studenti, i quali possono lavorare singolarmente o in team, consapevoli del fatto che le loro strategie dovranno essere discusse in una fase successiva in classe. Il docente si porrà quale moderatore del processo e valuterà quanto svolto dagli studenti, che in questo caso non guarderanno alcun video a casa.

Il metodo più usato per le discipline è quello dell’Inquiry Flipped Classroom. In questo caso gli studenti possono chiedere di guardare un video su un argomento che li incuriosisce, usare il tempo di classe per esplorare i concetti in esso contenuti e cercare di dare le più opportune spiegazioni dei fenomeni. Tuttavia, essi potranno avere ancora qualche idea confusa, quindi l’insegnante interverrà per eliminare ogni dubbio. Anche in questo caso, gli studenti non guarderanno alcun video a casa.

2.4 I LABORATORI FORMATIVI

I laboratori formativi si stanno sempre più affermando come nuovi strumenti didattici.

Dal 2009, con il PNSD, il MIUR ha destinato una serie di fondi per offrire agli studenti ambienti di apprendi-mento innovativi, le Classi 2.0, con il fine di realizzare dei laboratori didattici. Oltre al ricorso a strumenti tec-nologici come computer, LIM, proiettori interattivi, connessioni, device fissi e mobili in dotazione a studenti e docenti, il laboratorio si basa sull’impiego di nuove metodologie di apprendimento.

L’intento è mettere al centro la didattica laboratoriale, come punto d’incontro tra sapere e saper fare. I labo-ratori quindi non sono solo dei contenitori di tecnologia, ma piuttosto “luoghi di innovazione”: finora le pra-tiche laboratoriali sono state relegate alle ore extra-scolastiche, mentre la riforma le vuole mettere al centro dell’attività didattica curriculare.

La rilevanza pedagogica del laboratorio è di essere un modello didattico che crea delle dinamiche di socializ-zazione alternative a quelle esistenti nelle aule scolastiche, essendo basato sull’apprendimento attivo dei suoi partecipanti, sull’imparare facendo.

Esso mette in relazione tre diversi concetti: quelli di attività, spazio e oggetto.

Infatti un laboratorio, volendo dare una prima definizione, mette insieme più persone affinché, svolgendo un’attività nello stesso spazio fisico, possano acquisire una maggiore conoscenza dell’argomento oggetto del laboratorio stesso.

Il concetto alla sua base è che si possa programmare un’attività comune affinché sia promossa la creatività individuale. Un sistema educativo che integri i tradizionali metodi d’apprendimento con le nuove strategie laboratoriali può rivelarsi utile per la trasmissione della conoscenza: la teoria e la pratica vanno di pari passo, a dimostrazione di come sia possibile partire dallo svolgimento di un’attività per giungere a delle conoscenze che hanno a che fare con un sapere più “universale”.

Il laboratorio didattico prevede che l’apprendimento non sia il prodotto di un processo d’insegnamento, bensì un percorso in cui il partecipante si attiva facendo direttamente delle esperienze. Quello che qualifica un laboratorio, quindi, è il modo in cui una determinata attività è svolta. Insomma, il laboratorio definisce una spazialità di situazione più che di posizione. Esso è paragonabile più a una situazione didattica che a uno spazio fisico determinato.

Nella didattica di senso comune, si crede che l’alunno possa imparare ascoltando, si pensa quindi che la conoscenza sia trasmissibile attraverso le parole. Ovviamente, esiste un ascolto attivo, quello in cui l’alunno cerca di collegare le proprie esperienze e conoscenze con il contenuto della comunicazione. Il laboratorio didattico, invece, prevede un lavoro personale su un determinato tema o problema, attivando la fantasia, l’atteggiamento di esplorazione e la curiosità.

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L’apprendimento dall’esperienza è un processo di costruzione individuale e quindi un elemento necessario della formazione. Ogni membro di un laboratorio è coinvolto attivamente nel fare e questo si rivela un utile strumento per lo sviluppo del pensiero creativo. Uno dei compiti della scuola è avviare le generazioni future sia verso la conoscenza della cultura tradizionale sia di attivare processi di sviluppo e di adattamento ai cam-biamenti in atto nel mondo globale. Gli individui devono quindi imparare a produrre delle idee personali attraverso lo sviluppo del pensiero creativo per poi condividerle con altri.

Nell’insegnamento sotto forma di laboratorio, gli studenti possono apprendere in modo casuale, poiché non sono loro forniti degli obiettivi e dei contenuti rigidi. Inoltre, ognuno può soffermarsi per il tempo che ritiene opportuno su un determinato problema. Ciò è molto importante perché consente di rispettare l’eterogeneità degli stili cognitivi, proprio perché ogni studente può rapportarsi in modo personale a un determinato con-tenuto. L’impiego di metodi didattici centrati sul singolo studente non necessariamente crea un clima con-correnziale. Le idee, le sollecitazioni e gli aiuti possono manifestarsi in modo cooperativo nel rispetto delle soggettività.

L’insegnamento all’interno di un laboratorio presenta anche il vantaggio di trattare i contenuti in modo interdisciplinare. Secondo la didattica laboratoriale gli studenti lavorano insieme alla realizzazione di un prodotto che è un pretesto per imparare.

In questo modo, si rompe la struttura che vede ogni materia come a sé stante, perché le varie discipline sono analizzate come funzionali a degli scopi specifici come la realizzazione di un prodotto. Partendo dalla pro-spettiva isolata di una singola materia, è quindi possibile trattare i contenuti globalmente.

Il laboratorio, inoltre, è lo spazio in cui sperimentare personalmente l’apprendimento. Ciò impone la demo-crazia come suo principio cardine. Il dubbio è quindi legittimo in una situazione laboratoriale, anzi è uno stimolo all’approfondimento analitico. Non solo, porsi dei problemi e imparare ad ascoltare le idee altrui sono degli elementi essenziali per creare quel confronto che stimola la riflessione e quindi l’apprendimento.

2.4.1 L’uso partecipativo e inclusivo del video nei laboratori didattici

L’uso della videocamera e il processo di espressione attraverso il video nei contesti formativi, oltre a inco-raggiare l’interazione e la cooperazione (tra i ragazzi e tra i ragazzi e i docenti), può aiutare la persona a esplorare il proprio mondo interiore, favorendo l’acquisizione di una maggiore consapevolezza della sua condizione psicofisica.

Incoraggiando i partecipanti a esaminare e sviluppare le loro idee, il video diventa lo strumento privilegiato per comunicare il proprio punto di vista a un pubblico più vasto. Lavorando in gruppo per creare un video, la classe prende decisioni, elabora programmi e acquisisce un maggiore senso di responsabilità proprio at-traverso la comunicazione espressiva.

Infatti, durante il processo di realizzazione del video, i partecipanti hanno l’opportunità di scoprire le loro capacità espressive, così da sviluppare un atteggiamento più attivo e un senso di auto-efficacia anche in altre aree della loro vita.

1. L’interazione comunicativa � Lo sviluppo dell’identità personale all’interno di un gruppo si fonda sulla comunicazione tra i parte-

cipanti. La presenza stessa dell’attrezzatura video, infatti, è in grado di incoraggiarla in modo diretto e intenzionale contribuendo anche a sviluppare le loro abilità comunicative.

� Il lavoro di gruppo non può prescindere dalla discussione nonostante diventi conflittuale, non essendo, come spesso succede, in vista di un obiettivo comune. L’uso del video partecipativo sviluppa una discus-sione in senso critico, conferendo a questo processo significato e rilevanza.

� L’obiettivo comune (la produzione del video) garantisce a tutti i membri di un gruppo la possibilità di esprimere idee e opinioni, evitando che alcuni monopolizzino la discussione e altri rimangano in silenzio. Di conseguenza, l’intero gruppo è partecipe della comunicazione.

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2. La partecipazione come inclusione � La partecipazione implica un coinvolgimento attivo: fare piuttosto che osservare. � Partecipare, anche svolgendo un ruolo secondario, significa cooperare con altre persone per prendere

decisioni, definire obiettivi, fare un programma e agire. Stimolare la partecipazione è uno dei principali scopi del lavoro sullo sviluppo. I partecipanti, infatti, devono essere incoraggiati a valorizzare la sponta-neità e a conservare il loro punto di vista in modo che anche i più esitanti possano scoprire di riuscire a comunicare.

� Il ricorso allo strumento visivo aumenta la partecipazione individuale. Questo accade perché si possono approfondire temi strettamente connessi con la vita soggettiva di ognuno che è così posto al centro di un’azione “sentita” e non predefinita.

� L’obiettivo è dare il controllo del processo al gruppo, fornendo una strutturazione senza imporre conte-nuti. Con questi presupposti il video diventa uno strumento partecipativo: può essere usato per stimolare i processi di sviluppo, per dare coesione al gruppo e per motivarlo a un coinvolgimento maggiore.

3. Lo sviluppo individuale � Lo scopo del video partecipativo è stimolare la crescita individuale attraverso il lavoro di gruppo: la regi-

strazione delle proprie idee favorisce un processo di definizione del “sé” poiché il video serve da specchio e stimola la riflessione. Infatti, il fatto stesso di riprendere una persona è un processo di valorizzazione: l’obiettivo della telecamera la fa “emergere” dalla massa riconoscendola come individuo. Inoltre, tutti i membri del gruppo contribuiscono al materiale registrato, diventando consapevoli dell’importanza delle loro idee e sono così stimolati a esprimere efficacemente le loro opinioni.

� La produzione di video permette di acquisire varie abilità tecniche, creative e sociali, ma quello che più importa è che ai partecipanti sia data la possibilità di misurarsi in una nuova sfida spontanea ed espressi-va, non “preconfezionata”, grazie alla quale possono acquisire maggiore fiducia in se stessi, migliorando la propria autostima.

4. Senso di comunità � Il video partecipativo permette lo sviluppo di una solida identità di gruppo promuovendo la fiducia, la

comprensione, la cooperazione e la coesione. Attraverso gli interessi condivisi e i rapporti interpersonali che nascono durante questo processo creativo, i partecipanti acquisiscono un senso di appartenenza e fiducia. Da questa posizione di sicurezza, e grazie alla condivisione d’interessi e obiettivi comuni, essi possono esplorare anche le loro aree di differenza. Questo può migliorare la comprensione reciproca e l’accettazione delle differenze.

� Inoltre, creare un video è un’attività di squadra che favorisce la cooperazione e la coesione. I partecipanti, infatti, devono programmare il lavoro e prendere le decisioni di comune accordo.

5. Senso critico e consapevolezza � Utilizzato come forma di esplorazione strutturata, il video aiuta a sviluppare e organizzare le idee, au-

mentando così la consapevolezza. Non è necessario lavorare mesi per realizzare un video partecipativo: è con la pratica diretta che è possibile imparare a conoscere questo mezzo di espressione.

Man mano che il progetto progredisce la capacità dei partecipanti di rappresentare loro stessi in modo ef-ficace aumenta, perché sono portati ad adeguare lo stile e il linguaggio da adottare nel video al pubblico di riferimento.

Senza avere la pretesa di formare dei “videomaker” professionali, una minima dimestichezza operativa con i linguaggi audiovisivi rappresenta un valore aggiunto apprezzabile nel curriculum formativo di un giova-ne: come avviene per tutti i linguaggi dell’uomo (verbale, mimico-gestuale, scritto, pittorico, architettonico, e così via), anche i linguaggi audio-visivi possono essere compresi e apprezzati a un livello più profondo e consapevole nel momento in cui ne è sperimentata la produzione.

Infatti, quando gli studenti partecipano attivamente alla realizzazione di un video, acquisiscono la capacità di vedere film e Tv in chiave più critica. In questo modo, sono minimizzati i possibili effetti negativi della televisione.

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I membri di un gruppo sono coinvolti in azioni concrete e non sono più dei semplici spettatori: anziché osservare luoghi lontani, sullo schermo vedono se stessi, invece di sorbire passivamente un flusso infinito d’immagini e informazioni, fermano il nastro, lo riavvolgono, lo fanno ripartire, lo studiano. All’interno del gruppo non c’è isolamento ma interazione poiché l’esperienza diretta delle cose li incoraggia a sviluppare le proprie opinioni invece di pensare con la testa degli altri.

In sintesi, lo scopo dell’uso partecipativo del video è trasformare il senso d’impotenza in auto-efficacia e di stimolare i partecipanti a esercitare un controllo maggiore sulla propria vita. Il video, attraverso il gioco e la rappresentazione, offre la possibilità di mettersi in gioco “come se” fosse nella vita reale.

Siti di riferimento per un approfondimento del tema “laboratori formativi”, esempi e possibilità.

http://www.i-theatre.org/it/

http://pearson.it/didattica-laboratoriale-esempi-modelli

Bibliografia

• Maurizio Maglioni, Fabio Biscaro, La Classe Capovolta, Erickson editore, ISBN 978-88-590-0488-2 • Eric Mazur, Peer Instruction, A User’s Manual, Prentice Hall Series in Educational Innovation Upper Saddle

River, 1997. • Jonathan Bergmann, Aaron Sams, Flip Your Classroom. Reach Every Student in Every Class Every Day, 2012,

ISBN 9781564843159 • Cecchinato G (2014). Flipped classroom: innovare la scuola con le tecnologie digitali, Tecnologie Didattiche, Edi-

zioni Menabò, ISSN: 1970-061X. • Atti del convegno ADi: relazione di G. Cecchinato sul Flipped Learning • Maurizio Maglioni, Docenti indecenti, Amazon 2012, ISBN 9781291034561 • http://www.matematicapovolta.it/ • Sito di insegnamento capovolto della matematica a cura di Claudio Marchesano • Fabio Biscaro, Esperimenti di Insegnamento Capovolto, Flipped Teaching, Interrogazione Capovolta

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ABSTRACTLa nuova metodologia didattica della Flipped Classroom – La classe capovolta – si basa sull’inversione dell’insegnamento tradizionale: il docente non è più il dispensatore di sapere ma diventa supporto, gui-da, alla comprensione delle conoscenze acquisite dagli alunni. Con l’ausilio delle nuove tecnologie, i processi di apprendimento avvengono anche al di fuori delle mura scolastiche, con tempi e ritmi propri di ogni alunno; mentre le esercitazioni, l’approfondimento e la rifles-sione si svolgono a scuola sotto la supervisione del docente. Il modello della Flipped Classroom accorcia le distanze tra alunno e docente creando una sinergia dialo-gica unica nel suo genere.Le videolezioni, i diversi prodotti multimediali, nonché gli strumenti di interazione online, permettono di accedere a contenuti in ogni momento della giornata. Tali contenuti rielaborati vanno a formare nuclei tematici; il nucleo di ogni alunno si unisce con quello degli altri alunni, andando a creare un unico pro-dotto redatto insieme.In questo modo l’elaborazione del contenuto avviene collettivamente, consentendo di compiere una cir-colarità del sapere sia in chiave individuale che di gruppo.La didattica delle competenze ha la finalità di favorire lo sviluppo del potenziale individuale, inserendo lo studente in un contesto concreto nel quale tanto la conoscenza quanto l’abilità e l’attitudine possano trovare espressione e riconoscimento, all’interno di un progetto negoziato e condiviso.L’insegnamento capovolto punta a far lavorare lo studente prevalentemente a casa, in autonomia, ap-prendendo attraverso video e podcast, o leggendo i testi proposti dagli insegnanti o condivisi da altri docenti. In classe l’allievo cerca di applicare quanto appreso per risolvere problemi e svolgere esercizi pratici proposti dal docente. Dato che la fruizione delle nozioni si sposta nel tempo passato a casa, il tempo trascorso in classe con il docente può essere impiegato per altre attività fondate sull’apprendimento, in un’ottica di pedagogia differenziata e apprendimento a progetto.

La Flipped Classroom parte dal qui e ora e si proietta nel futuro, prevedendo che la lezione si strutturi in tre tempi:

• Raccolta dei documenti: sono gli studenti che compiono ricerche su svariati argomenti di loro interesse utilizzando non solo i libri ma anche visite nei luoghi di lavoro o in altre organizzazioni della società.

• Classificazione: le ricerche effettuate vengono raccolte in schede e raggruppate per argomenti consen-tendone la facile consultazione.

• Elaborazione: tutto il materiale prodotto viene confrontato, analizzato e discusso in gruppo. L’inse-gnante organizza le ricerche in base ad argomenti che tengano conto degli interessi specifici delle sin-gole età.

Il modello di programmazione flipped è quindi composto dalle tre fasi: • Identificazione dei risultati desiderati, • Determinazione delle prove accettabili, • Pianificazione delle esperienze e delle lezioni utili per l’apprendimento

L’apprendimento significativo consente di dare un senso alle conoscenze, trasformandole in vere e pro-prie competenze.Per promuovere un apprendimento significativo, i docenti dovrebbero utilizzare le tecnologie come par-tner nel processo di apprendimento: gli studenti non apprendono dalle tecnologie ma le tecnologie pos-sono supportare gli studenti per lo sviluppo del pensiero produttivo e la costruzione di significato, se utilizzate come attivatori e facilitatori del processo di apprendimento.

La rilevanza pedagogica del laboratorio è di essere un modello didattico che crea delle dinamiche di socializzazione alternative a quelle esistenti nelle aule scolastiche, essendo basato sull’apprendimento attivo dei suoi partecipanti, sull’imparare facendo.

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Esso mette in relazione tre diversi concetti: quelli di attività, spazio e oggetto. Nell’insegnamento sotto forma di laboratorio, gli studenti possono apprendere in modo casuale, poiché non sono loro forniti de-gli obiettivi e dei contenuti rigidi; inoltre possono soffermarsi per il tempo che ritengono opportuno su un determinato problema. Ciò è molto importante perché consente di rispettare l’eterogeneità degli stili cognitivi. Un tipo di attività laboratoriale prevede l’uso partecipativo del video, con l’obiettivo di trasformare il senso d’impotenza in auto-efficacia e di stimolare i partecipanti a esercitare un controllo maggiore sulla propria vita. Il video, attraverso il gioco e la rappresentazione, offre la possibilità di mettersi in gioco “come se” fosse nella vita reale.

2.5 AULA VIRTUALE

L’aula virtuale è un ambiente online che permette a due o più utenti di comunicare simultaneamente, in mo-dalità sincrona, attivando lo scambio di informazioni e materiali per l’apprendimento e la formazione, come se ci si trovasse in un’aula reale.

L’aula virtuale realizza a distanza i vantaggi della formazione in presenza, avvalendosi di tecnologie che consentono agli utenti di ricreare dinamiche simili a quelle di un’aula fisica, arricchite di ulteriori possibilità interattive, ovvero:

• Le attività di servizio, favoriscono l’efficacia dell’apprendimento collaborativo tra i partecipanti, e sono ad esempio i forum di discussione, le informazioni e riferimenti su coordinatori e iscritti, la biblioteca, le FAQ …

• Le attività di interazione e collaborazione, sono le specifiche attività di apprendimento collaborativo, come ad esempio i gruppi di discussione i gruppi di produzione (chat, tecnologia wiki).

Dunque nell’aula virtuale viene attivata una videoconferenza (o web conferencing) per una lezione a distan-za ricca di contenuti e interattiva, in quanto coinvolge diversi utenti che insieme concorrono al processo di apprendimento, in qualsiasi momento e con qualsiasi dispositivo: pc, tablet, smartphone…

In un’aula virtuale infatti partecipano i corsisti, i formatori (o tutor, deputati alla gestione delle attività o alla risoluzione dei problemi che insorgono), i componenti dello staff tecnico.

• I corsisti: possono partecipare per via telematica alla formazione sia come utenti singoli sia come gruppi locali, in base alla tipologia di corso erogato e agli esiti che si intendono raggiungere.

• I formatori/tutor: si occupano sia di strutturare l’intervento formativo che di condurlo; infatti progettano il corso e scelgono i materiali didattici, reclutano e organizzano in gruppi i corsisti, verificano l’accessibilità dei materiali e ne facilitano l’utilizzo, gestiscono e coordinano i gruppi di apprendimento. I formatori/tutor pertanto devono possedere competenze didattiche e insieme conoscere le tecnologie della comunicazione e le dinamiche interpersonali, in quanto operano trasversalmente nelle tre aree funzionali al processo di apprendimento in aula virtuale: organizzativa, sociale e didattica. Il tutor responsabile, chiamato anche tutor d’aula, coordina le attività previste dal modulo, in termini di tempistiche e interazioni.

• I componenti dello staff tecnico: in base al tipo di attività che il corso di formazione si propone, lo staff tecnico si compone di un gruppo di tutor (in rapporto di uno a dieci o uno a quindici con i relativi corsisti), che insieme si occupano dei contenuti dell’intervento, della metodologia di conduzione del corso, della gestione delle tecnologie telematiche utilizzate.

L’aula virtuale soddisfa la richiesta di una serie di utenti che per differenti motivi non hanno la possibilità di frequentare con regolarità i corsi in presenza; inoltre, didatticamente integrata all’aula reale, può concorrere a migliorare il processo di apprendimento, in quanto permette a studenti e formatori di partecipare a comunità

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di apprendimento a distanza, e di semplificare l’accesso ai contenuti, sviluppandoli in modo coinvolgente (simulazione, animazione e multimedialità).

Nella scelta dei materiali didattici, il formatore deve tenere in considerazione le esigenze formative e gli stili di apprendimento dei corsisti, prevedendo materiali facoltativi di approfondimento, in modo da promuove-re l’apprendimento collaborativo e permettere a tutti i corsisti di acquisire i contenuti proposti.

I diversi utenti coinvolti nell’aula virtuale quindi collaborano per la costruzione di un elaborato, di un pro-getto, o sono impegnati nella comune risoluzione professionale di un problema specifico.

L’aula virtuale si avvale di una piattaforma e-learning per gestire le differenti attività che l’apprendimento cooperativo comporta, le quali avvengono per mezzo della videoconferenza.

Infatti la videoconferenza permette l’interazione sincrona in audio, video e dati, fra due o più utenti; un caso specifico è la multiconferenza audio/video/web che permette la comunicazione interattiva tra diversi dispo-sitivi.

Per realizzare un’aula didattica si possono utilizzare piattaforme e-learning gratuite (come Moodle) che ga-rantiscono ottime prestazioni e assicurano l’accesso a molti servizi per la gestione di attività didattiche indi-vidualizzate e in gruppi (comunicazione in forum e chat, blog e e-mail, utilizzo di pagine wiki e gestione di verifiche ed esercitazioni a distanza).

La soluzione più semplice e più conveniente per dotarsi di un’aula virtuale realizzata con Moodle e integrata con la videoconferenza Joinvideo è utilizzare il servizio in cloud, così da abbattere i costi di acquisto, manu-tenzione e gestione delle piattaforme: una volta caricati sulla piattaforma, i corsi di formazione sono subito a disposizione degli utenti. Il servizio in cloud può essere acquistato in pay-per-use (per l’erogazione saltuaria di corsi di formazione), o in abbonamento annuale (per un uso continuativo della formazione a distanza).

Il servizio di videoconferenza in cloud Joinvideo è particolarmente adatto alle esigenze della formazione a distanza perchè:

• offre una qualità audio e video superiore ad altre soluzioni in Rete; • non necessita l’installazione di alcun tipo di hardware; • può essere utilizzato su pc, tablet, smartphone e sistemi di videoconferenza H.323; • permette di accedere alle videoconferenze in modo semplice e intuitivo; • consente la condivisione di schermate e applicazioni durante la videoconferenza; • supporta fino a 100 partecipanti videoconferenza HD; • offre tutte le funzioni di regia audio/video per gestire i partecipanti; • permette la registrazione e la trasmissione in streaming diretta o differita.

Il servizio di Joinvideo per la videoconferenza HD in cloud è disponibile all’indirizzo

http://www.joinconferencing.com/it/servizio-video-conferenza-cloud/

In sintesi, l’aula virtuale offre agli utenti le seguenti funzionalità:

• gestione della comunicazione audio/video, dal vivo o su base pre-registrata, uno a molti/ molti a molti; • gestione dei partecipanti attraverso la creazione di liste di persone connesse e aventi diritto di parola (con

meccanismo di “alzata di mano”) o proposte di sondaggi (su tematiche proposte dal formatore); • chat testuale che permette la messaggistica in tempo reale tra formatori e corsisti; • registrazione delle lezioni e gestione di quelle precedentemente registrate; • gestione della lavagna (visualizzazione da remoto di quello che viene disegnato sulla LIM).

Tra gli strumenti freeware o open source per gestire un’aula virtuale i più utilizzati sono: • Openmeetings http://openmeetings.apache.org

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• WiZiQ https://www.wiziq.com • Wimba http://www.wimba.com/products/wimba_create • Vyew http://vyew.com

Per realizzare una lezione a distanza si possono utilizzare anche sistemi di streaming video: per streaming si intende un flusso di dati audio/video, che utilizzano la Rete per raggiungere da una sorgente una o più destinazioni.

Lo streaming può o essere live (in modalità sincrona) oppure on demand (per caricamento di lezioni prece-dentemente registrate). Per realizzare questo tipo di attività si possono utilizzare soluzioni diverse (commer-ciali, freeware o opensource): i prodotti più noti sono della Microsoft (Media Player), della Apple (QuickTi-me), e della Real (RealPlayer); ma hanno il limite di non permettere l’interazione tra gli utenti, che restano fruitori passivi della lezione.

Per la didattica scolastica, non è da sottovalutare la possibilità di utilizzare la LIM come strumento di inse-gnamento e apprendimento a distanza, integrata a un sistema di videoconferenza. È questa una possibilità che estende i limiti della classe per attivare esperienze di collaborazione tra classi distanti tra loro, raggiun-gere scuole in località isolate, consentire a studenti che non hanno la possibilità di essere fisicamente presenti in aula di partecipare alla lezione.

Come trattato nel paragrafo dedicato ai Centri Scolastici Digitali (CSD) nella Classe 2.0, le aule dotate di di-spositivi tra loro connessi alla Rete attraverso un computer centrale (LIM, microfono ambientale, webcam e casse amplificate) possono trovare soluzioni efficaci e innovative per raggiungere le realtà italiane più isolate o gli studenti assenti per lunghi periodi, consentendo l’interazione e la partecipazione e riducendo il senso di esclusione.

Questo sistema integrato per l’apprendimento a distanza consente anche la formazione sperimentale in tutta Europa, attraverso momenti di “gemellaggio” elettronico e di collaborazione tra scuole.

È il caso di citare il progetto di scuola a distanza “MAR. IN. A. NDO”, acronimo di Marettimo in Ambiente di Apprendimento Online, che ha rappresentato l’opportunità per alunni e insegnanti dell’isola Marettimo (Isole Egadi) di superare le difficoltà dovute all’isolamento geografico, integrando le lezioni con classi di altre scuole.

Questo progetto nasce dall’esigenza di condividere realmente e in diretta l’esperienza scolastica con alunni e docenti che si trovano in luoghi tra loro distanti, attraverso l’utilizzo sperimentale dei moderni strumenti della tecnologia informatica e della comunicazione.

La scuola di Marettimo ha realizzato un collegamento con una delle classi prime della scuola secondaria di primo grado di Firenze e di una classe dell’Istituto di Scandicci, attraverso la videoconferenza e la lavagna multimediale interattiva condivisa.

Ogni classe è stata dotata di un sistema di videoconferenza, una LIM a parete, una videocamera e dei mi-crofoni, una connessione ADSL, un proiettore; inoltre sono stati utilizzato tools come Wiki e strumenti di comunicazione come Skype.

Si può pensare che un tale sistema di comunicazione a distanza possa risultare “poco reale”, eccessivamente complesso e strutturato; in verità da soli gli strumenti tecnologici non sono sufficienti a produrre appren-dimento significativo. È stato quindi fondamentale integrare didatticamente le tecnologie nel processo di apprendimento, il quale acquista maggiore importanza rispetto al prodotto finale.

Questo è stato un progetto significativo che ha superato i confini della classe, aprendo a funzionali possibi-lità di integrazione delle ICT nella didattica. A questo link è possibile scaricare il PDF del progetto, che può fungere da base per strutturarne di nuovi:

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http://for.indire.it/lavagnadigitale/templates/progetto_LIM.pdf

2.5.1 L’aula virtuale e i princìpi dell’apprendimento multimediale

La teoria cognitiva dell’apprendimento multimediale (Multimedia Learning) di R. E. Mayer può supportare la progettazione di risorse multimediali che siano rispettose dei meccanismi cognitivi alla base dell’appren-dimento.

Questa teoria è una rielaborazione della teoria del doppio codice di A. Paivio, secondo la quale gli stimoli percettivi provenienti dal mondo esterno vengono elaborati in modo differente a seconda che siano visivi o uditivi (a livello cognitivo vi sono sistemi di elaborazione diversi per suoni e immagini, oltre che a livello sensoriale).

Tale differenza si riflette nella codifica, in quanto le parole scritte sono acquisite dagli occhi a livello di me-moria sensoriale, e poi trasformate in suono nella memoria di lavoro: quando si ascolta una parola che sta a indicare un oggetto o una persona, questa può essere convertita in immagine; viceversa si può sostituire mentalmente un’immagine che si vede con il fonema corrispondente.

Questo processo di scambio tra i sistemi audiovisivi di percezione presenta svariate criticità che possono ostacolare la comprensione o il ricordo.

I princìpi dell’apprendimento multimediale enucleati da Mayer possono essere utili per predisporre i mate-riali didattici necessari all’apprendimento, nello specifico utilizzo dell’aula virtuale:

• Principio della multimedialità: gli studenti apprendono meglio dalle parole e dalle immagini insieme (in quanto si forniscono loro stimoli più ricchi per la memorizzazione e il recupero), a condizione che tali stimoli siano tra loro coerenti.

• Principio della contiguità spaziale: gli studenti apprendono meglio quando le parole e le corrispondenti im-magini vengono presentate (sulla pagina o sullo schermo) vicine tra loro piuttosto che distanti, in quanto è più immediato il riconoscimento del loro legame.

• Principio della contiguità temporale: l’apprendimento è più incisivo quando le parole e le immagini sono presentate contemporaneamente piuttosto che in tempi successivi, in modo che le informazioni vengono integrate con minore spreco di energie cognitive.

• Principio della coerenza: parole o immagini estranee o irrilevanti al tema presentato, seppure interessanti, possono infastidire e distrarre; le componenti verbali e visivo-spaziali della memoria di lavoro hanno una capacità limitata, dunque bisogna preparare i materiali solo inserendo contenuti indispensabili ed essen-ziali ai fini dell’apprendimento.

• Principio della modalità: gli studenti apprendono meglio da animazioni e narrazioni piuttosto che da ani-

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mazioni e testo scritto; dunque è efficace associare spiegazioni orali a illustrazioni piuttosto che testo a immagini.

• Principio della ridondanza: gli studenti apprendono meglio da animazioni e narrazioni, piuttosto che da animazioni, narrazioni e testo; dunque per un apprendimento efficace è utile strutturare illustrazioni e presentazione orale, piuttosto che un insieme sovraccarico di stimoli.

• Principio della personalizzazione: l’apprendimento è più approfondito quando le animazioni e la narrazione sono presentate in stile colloquiale (dare del “tu” all’interlocutore).

• Principio delle differenze individuali: vi possono essere differenze individuali di apprendimento tra uno stu-dente e l’altro, capaci di invalidare i principi stessi. Infatti secondo la teoria del carico cognitivo, persone diverse hanno capacità diverse; dunque i prodotti multimediali essenziali sono più efficaci per studenti

meno capaci piuttosto che per studenti più capaci.

Questi princìpi suggeriscono criteri concreti di implementazione, in quanto promuovono nei confronti della multimedialità un atteggiamento essenziale e conciso piuttosto che esortativo e ridondante; dunque se ap-plicati possono avere una ricaduta immediata in termini di apprendimento significativo, basato sui concetti piuttosto che sulle spiegazioni degli stessi.

La predisposizione di un ambiente di studio reale/virtuale che tenga in considerazione i princìpi dell’appren-dimento multimediale permette una più agevole acquisizione di una serie di abilità, che portano:

• al coinvolgimento degli studenti nella definizione degli obiettivi formativi in modo che siano condivisi da tutti;

• al rilancio delle attività collaborative attraverso la motivazione personale; • all’uso del dialogo e della discussione per ampliare il campo della conoscenza.

ABSTRACTL’aula virtuale è un ambiente online che permette a due o più utenti di comunicare simultaneamente (mo-dalità sincrona) avvalendosi di tecnologie che consentono agli utenti di ricreare dinamiche simili a quelle di un’aula fisica; dunque realizza a distanza i vantaggi della formazione in presenza.Nell’aula virtuale viene attivata una videoconferenza (o web conferencing) per una lezione a distanza ric-ca di contenuti e interattiva, nella quale partecipano: i corsisti, i formatori (o tutor, deputati alla gestione delle attività o alla risoluzione dei problemi che insorgono), i componenti dello staff tecnico.L’aula virtuale soddisfa la richiesta di una serie di utenti che per differenti motivi non hanno la possibi-lità di frequentare con regolarità i corsi in presenza; inoltre, didatticamente integrata all’aula reale, può concorrere a migliorare il processo di apprendimento, in quanto permette a studenti e formatori di parte-cipare a comunità di apprendimento a distanza, e di semplificare l’accesso ai contenuti, sviluppandoli in modo coinvolgente (simulazione, animazione e multimedialità).La soluzione più semplice e più conveniente per dotarsi di un’aula virtuale realizzata con Moodle e inte-grata con la videoconferenza Joinvideo è utilizzare il servizio in cloud, così da abbattere i costi di acqui-sto, manutenzione e gestione delle piattaforme: una volta caricati sulla piattaforma, i corsi di formazione sono subito a disposizione degli utenti.I princìpi dell’apprendimento multimediale enucleati da Mayer possono essere utili per predisporre i ma-teriali didattici necessari all’apprendimento, nello specifico utilizzo dell’aula virtuale; in quanto promuo-vono nei confronti della multimedialità un atteggiamento essenziale e conciso piuttosto che esortativo e ridondante; dunque se applicati possono avere una ricaduta immediata in termini di apprendimento significativo, basato sui concetti piuttosto che sulle spiegazioni degli stessi.

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3. SOFTWARE PER LA DIDATTICA

I software per la didattica sono programmi che il docente utilizza per facilitare il processo di apprendimento degli studenti o per realizzare un progetto interdisciplinare.

Il docente può scegliere il software tra quelli disponibili in Rete, gratuiti o a pagamento, oppure utilizzare programmi specifici come Toolbook, un ambiente per sviluppare ipertesti su PC IBM compatibile con MS-DOS e WINDOWS (tra i dispositivi più utilizzati nelle scuole); che permette di realizzarne uno in forma autoriale, rispondente a specifiche esigenze del gruppo studenti.

Alcuni software a pagamento propongono vantaggiose licenze per scuola che ne permettono l’installazione sui dispositivi dell’istituto, affinchè possano essere utilizzati da tutti gli utenti abilitati: dirigente e personale amministrativo e tecnico, docenti e studenti. Questi ultimi possono utilizzare il software anche a casa, per svolgere compiti didattici (purchè i docenti siano in servizio presso lo stesso istituto e gli studenti ne siano iscritti).

Indipendentemente dalle caratteristiche specifiche, questi i requisiti fondamentali che configurano come “didattico” un software:

• Permette di trattare/approfondire una determinata disciplina; • Interfaccia e contenuti sono progettati in base alle capacità cognitive di chi lo utilizza; • Richiede un utilizzo attivo (produzione di contenuti); • Consente di effettuare simulazioni/esercitazioni; • Permette di sviluppare capacità di problem solving.

L’elenco che segue indica con una sintetica descrizione i software didattici più conosciuti; inoltre vengono riportate le schermate principali di GeoGebra, SketchUp e Google Earth, tra i software didattici più utilizzati.

GeoGebra

https://www.geogebra.org

Fornisce gli strumenti per studiare geometria, algebra e analisi: attraverso un sistema di geometria dinami-ca, permette di costruire e modificare in tempo reale punti, segmenti, rette, vettori, funzioni; e di inserire equazioni e coordinate. In tal modo facilita l’apprendimento di tali discipline in quanto crea un collegamento visuale tra concetto e oggetto.

L’uso non commerciale di GeoGebra da parte di docenti e studenti è gratuito; diversamente la licenza d’uso prevede un pagamento.

Come mostra la home, l’interfaccia è intuitiva e di utilizzo immediato. È possibile scaricare il programma e creare il proprio account per disporre dei materiali didattici realizzati; nonché di un tutorial che passo per passo guida le azioni al primo utilizzo.

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Cliccando su Avvia GeoGebra, è possibile iniziare immediatamente le esercitazioni, scegliendo tra le app ma-tematiche proposte.

Cliccando su Blog, l’utente può consultare sia gli aggiornamenti in tempo reale, che gli Archivi. Inoltre clic-cando sul simbolo + si apre un menu che consente, previa registrazione, di creare un foglio di lavoro o un libro, caricare materiali, creare un gruppo utenti.

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Cabrì

http://www.cabri.com

Scaricabile gratuitamente, è un software utilizzato per la realizzazione di costruzioni geometriche nel piano muovendo gli elementi primari (punti, rette, circonferenze, ecc…) e individuando le relazioni (rette paral-lele, punto medio, rette perpendicolari, ecc.): tali costruzioni sono di tipo dinamico, in quanto si possono modificare trascinando con il mouse gli oggetti liberi, pur conservando le relazioni inizialmente impostate/individuate.

Mathematica

http://www.xnavigation.net/view/7631/mathematica/download.html

Questo software è shareware, in quanto la versione dimostrativa è utilizzabile per 15 giorni previa registra-zione. È un ambiente di calcolo che si basa sulla riscrittura di espressioni e su paradigmi come la program-mazione funzionale, logica e strutturale; quindi permette di risolvere equazioni, logaritmi e integrali. È un software professionale, indispensabile per chi intraprende lo studio di tali discipline, in quanto permette di applicare i paradigmi di programmazione.

Matlab

http://it.mathworks.com/academia/student_version/

Acquistabile con licenze specifiche per studenti, Matlab è un software che utilizza un linguaggio di program-mazione per ambiti tecnici (sviluppo di algoritmi, modellizzazione e simulazione, analisi e visualizzazione di dati, sviluppo di applicazioni ecc…); dunque per la risoluzione di problemi espressi in notazione matema-tica e applicabili in molti campi professionali.

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NetLogo

https://ccl.northwestern.edu/netlogo/

Scaricabile gratuitamente, l’ambiente NetLogo permette di costruire modelli virtuali e di definire oggetti indipendenti (agents), cui è possibile associare determinate proprietà, affinchè se ne possa simulare e visua-lizzare l’evoluzione temporale: in tal modo si possono effettuare esperimenti virtuali ed esplorare le connes-sioni tra caratteristiche microscopiche e comportamento macroscopico.

SketchUp

https://www.sketchup.com/it

Il modellatore 3D più diffuso al mondo, prevede licenze specifiche di acquisto per studenti e professionisti, oltre alla versione di prova gratuita.

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Buone pratiche: integrazione delle ICT, software didattici e registro elettronico 55

A questo link http://sketchupitalia.it si accede a SketchUp Italia: qui è possibile, previa registrazione, partecipa-re a forum ed essere aggiornati su news ed eventi, consultare la pagina dei video corsi per l’utilizzo, visiona-re la galleria dei progetti realizzati; nonché iniziare subito a lavorare grazie al breve tutorial PDF che sostiene passo per passo i nuovi utilizzatori del software.

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Buone pratiche: integrazione delle ICT, software didattici e registro elettronico 56

Google Earth

https://www.google.it/intl/it/earth/

Indispensabile per l’approfondimento della geografia, questo software distribuito da Google e scaricabile gratuitamente, permette di compiere un “viaggio virtuale” in qualsiasi località del mondo.

Cliccando su Impara è possibile accedere agli strumenti del programma che consentono di rendere attiva e personalizzabile l’esperienza di apprendimento: è possibile tracciare e misurare i luoghi, navigare e ricercare, registrare tour personalizzati di luoghi di tutto il mondo, e molto altro ancora.

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Buone pratiche: integrazione delle ICT, software didattici e registro elettronico 57

Celestia

http://www.shatters.net/celestia/

Scaricabile e utilizzabile gratuitamente, questo software è un simulatore spaziale 3D in tempo reale che per-mette di esplorare stelle e pianeti e verificarne la posizione rispetto al periodo temporale che si va a indicare.

Cmap http://cmap.ihmc.us

FreeMind http://freemind.it.softonic.com

MindMapper http://mindmapper.com

Questi software permettono di realizzare delle mappe concettuali, ovvero schematizzazioni grafiche di un certo argomento di studio, realizzate per nodi concettuali e relazioni associative.

Le mappe concettuali sono un valido strumento didattico, utile per memorizzare e assimilare velocemente i concetti chiave e creare collegamenti interdisciplinari.

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Buone pratiche: integrazione delle ICT, software didattici e registro elettronico 58

L’immagine che segue mostra una mappa concettuale realizzata con Cmap, ad oggi tra i software più utiliz-zati per questo scopo:

3.1 APP/TOOL/SOFTWARE A USO DIDATTICO

Oggi in Rete ci sono numerose proposte per la didattica di app, tool e software.

Prima di trattarle in una selezione per aree, è utile ridefinire cosa sono un’app, un tool e un software.

Con il termine software si indicano i programmi che permettono all’hardware di funzionare per poter svol-gere un determinato compito.

I software si possono classificare in: elaboratori di testi (come Microsoft Word), di fogli elettronici (Microsoft Excel), di presentazione (Microsoft Power Point), di gestione dati (Microsoft Access); browser (come Explo-rer, Google, Mozilla Firefox, ecc..); programmi per gestire la posta elettronica (detti Client Mail), per guardare film o video, ascoltare musica, elaborare immagini (detti Programmi Multimediali), programmi che proteg-gono il dispositivo dai virus informatici (antivirus); videogiochi (Programmi Interattivi).

I software vengono classificati in base alla loro funzione e al tipo di licenza per la distribuzione (gratuita o a pagamento), in base al sistema operativo sul quale necessitano di essere installati e al tipo di interfaccia che ne consente l’utilizzo; nonché in base al tipo di installazione ed esecuzione.

App è l’abbreviazione di applicazione, ovvero un software (programma) applicativo. Nella dimensione onli-ne dei dispositivi mobili, le applicazioni sono programmi più “leggeri” progettati per svolgere una specifica attività; in particolare le applicazioni web eseguono queste attività online, sul browser che si sta utilizzando,

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Buone pratiche: integrazione delle ICT, software didattici e registro elettronico 59

offrendo all’utente un servizio interattivo.

Per esempio Google Maps è un’applicazione web, essendo centrato sull’unica attività di mappatura geografi-ca all’interno del browser, permettendo all’utente di immettere informazioni sulla base delle quali muoversi in modo dinamico all’interno delle mappe interattive.

Si possono dunque identificare quattro proprietà di un’applicazione web:

1. Consente di accedere alle proprie informazioni indipendentemente dal luogo in cui ci si trova, online, attraverso il browser di qualsiasi dispositivo connesso a Internet.

2. Si aggiorna automaticamente: l’utente utilizza sempre la versione più recente di qualsiasi applicazione, senza il bisogno di eseguire manualmente l’aggiornamento, né attendere lunghe procedure di installa-zione.

3. Funziona su qualsiasi dispositivo dotato di browser: diversamente da molti software che funzionano solo con sistemi operativi o dispositivi specifici; l’applicazione web sfrutta la piattaforma aperta della Rete per funzionare, quindi l’utente può utilizzarla in qualsiasi momento su qualsiasi dispositivo connesso a Internet.

4. È sicura: un’applicazione web viene eseguita nel browser, quindi non necessita di essere scaricata e instal-lata sul dispositivo, che in questo modo resta protetto da virus, malware e spyware.

I software e le applicazioni web sono spesso corredate di tool, termine che identifica un piccolo programma ausiliare – uno strumento “aggiuntivo” – utile per potenziare il programma stesso compiendo attività spe-cifiche.

I software per la didattica sono programmi che il docente utilizza per facilitare il processo di apprendi-mento degli studenti o per realizzare un progetto interdisciplinare.

Spesso non è facile scegliere tra i numerosi software disponibili: il docente dovrebbe prima di tutto pro-grammare l’attività che intende svolgere, definendo obiettivi e contenuti; relativamente alle caratteristi-che dei principali software della propria disciplina/campo di applicazione.

Per valutare soggettivamente un software didattico, il docente dovrebbe tenere conto:

• Dell’interfaccia grafica in relazione alla facilità d’uso (il software didattico dovrebbe essere chiaro nelle sue funzioni e possibilità d’utilizzo, così da permettere all’utente una fruizione immediata);

• Dei contenuti (la qualità e la chiarezza dei contenuti, oltre che la quantità, deve invitare l’utente all’appro-fondimento; inoltre l’interattività degli stessi è un importante fattore di scelta);

• Del modello didattico cui si riferisce (ovvero la modalità di utilizzo del software didattico, che dovrebbe permettere agli studenti di conseguire gli obiettivi precedentemente definiti, di sviluppare abilità metaco-gnitive, nonché agevolare la capacità di creare nuovi modelli interpretativi modificando il proprio schema cognitivo di riferimento);

• Delle possibilità collaborative e di socializzazione (il software didattico scelto dovrebbe agevolare e amplificare l’apprendimento collaborativo, affinchè gli studenti possano conseguire il risultato a seguito di un proces-so condiviso e negoziato di ricerca ed elaborazione di contenuti).

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Nel grafico che segue vi è una selezione delle principali app/software a uso didattico, in relazione alla corri-spondente funzionalità/campo di applicazione.

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Nel grafico che segue vi è una selezione delle principali app/software a uso didattico, in relazione alla corri-spondente funzionalità/campo di applicazione. 3.2 WIKI, RSS E WEBQUEST

La Rete offre numerosi strumenti per la diffusione e la condivisione di contenuti e la cooperazione tra utenti; i quali possono essere raggruppati in tre categorie, in base alla funzionalità:

• Strumenti per l’apprendimento cooperativo in Rete (wiki, blog, podcast, instant messaging), i quali permet-tono di realizzare ambienti di apprendimento in cui gli utenti possono interagire e co-costruire contenuti.

• Strumenti per reperire informazioni e gestire le fonti in Rete (RSS feed, social bookmarking), i quali agevo-lano le attività di ricerca automatizzando la gestione delle fonti.

• Strumenti di supporto all’apprendimento per utenti mobili (software, app, tool), i quali permettono all’u-tente di facilitare il processo di apprendimento e creare contenuti digitali.

3.2.1 Wiki

La tecnologia Wiki permette agli utenti di co-costruire collaborativamente e pubblicare contenuti ipertestua-li: un sito wiki si avvale di un collaborative software (o groupware) che integra in un progetto unitario il contri-buto offerto da utenti diversi in più sessioni di lavoro.

Tale tecnologia è improntata sulla filosofia dell’open source, per cui ogni utente può partecipare allo stesso modo sulla base dell’autoregolamentazione: lo stesso utente/redattore può verificare il contributo degli altri e ogni modifica può essere annullata, qualora sia necessario. Pertanto la partecipazione a un wiki sviluppa un forte senso di comunità e di condivisione, in quanto ogni utente che partecipa deve rispettare il lavoro degli altri ed essere corretto, consapevole che attraverso il contributo di tutti si può raggiungere un obiettivo di conoscenza condivisa e di qualità.

Un sito wiki è generalmente testuale, sebbene all’interno di una pagina si possono inserire contenuti multi-mediali; ed è ipertestuale, in quanto all’interno di una pagina vi sono molti link ad altre pagine che permet-tono all’utente di muoversi in Rete e spaziare in una struttura di navigazione non lineare.

La struttura del Wiki prevede due interfacce: di lettura – che compare di default e configura il wiki come un comune sito internet – e di scrittura – che permette di editare il testo.

Per accedere all’interfaccia di scrittura, l’utente registrato deve cliccare su edit o modifica e inserire il testo utilizzando la barra degli strumenti che servono per redigerlo e formattarlo.

Nel momento in cui un utente/redattore apporta una modifica, questa diventa la versione corrente del wiki ed è quella che gli utenti leggono quando aprono quel sito: ogni modifica è ulteriormente aperta e libera, tuttavia viene registrata in una cronologia che permette, se necessario, di riprendere la versione precedente. Vi è quindi un amministratore preposto al sito wiki che si occupa di verificare la regolarità delle modifiche apportate, eventualmente limitando l’accesso ad alcuni utenti.

L’interfaccia di scrittura prevede due diversi modi di utilizzo:

• Document mode, che permette all’utente di modificare il testo in forma anonima (nel tempo, grazie a ulte-riori modifiche, lo stesso testo è il risultato delle conoscenze condivise di molti utenti);

• Thread mode, che permette all’utente di avviare una discussione in forma autoriale, per cui ogni contributo che si aggiunge lascia invariato il precedente (dunque il testo è l’insieme di tutti gli apporti).

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Dunque la tecnologia Wiki può essere considerata come artefatto comunicativo che amplifica la media-zione tra utenti attraverso la co-costruzione di contenuti, in uno specifico ambiente di comunicazione e trasmissione della conoscenza in Rete: gli utenti si legano in una comunità di apprendimento con l’obiet-tivo di generare conoscenza condivisa.

In ambito didattico, un sito Wiki:

• Fornisce le linee guida per lo studio delle discipline; • Facilita il processo di apprendimento a distanza; • Consente di sperimentare la scrittura collaborativa.

Wikipedia è l’enciclopedia online che nasce nel 2001 sui presupposti della tecnologia Wiki: è dunque un’enci-clopedia a contenuto libero, collaborativa, multilingue e gratuita. A oggi Wikipedia contiene più di 35 milioni di voci in oltre 280 lingue, configurandosi come la più grande enciclopedia mai scritta, nonché come la più consultata “opera di riferimento generalista di Internet”.

L’interfaccia di lettura è comune alla maggior parte degli utilizzatori della Rete; mentre per accedere all’in-terfaccia di scrittura, l’utente deve cliccare su Registrati in alto a destra:

Quindi completare i campi per la procedura di registrazione:

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Discussioni. Esattamente come un elaboratore di testi, il menu a tendina Opzioni permette di impostare la pagina, scegliere le categorie, impostare la lingua:

L’interfaccia di scrittura di Wikipedia permette di contribuire all’arricchimento delle voci inserendo oggetti multimediali, citazioni, ecc…, come mostra la barra degli strumenti:

Con la sigla RSS (Feed RSS) si intende una particolare struttura Web – formato XML – che contiene e distribu-isce contenuti Web, permettendo all’utente di essere costantemente informato con i feed, grazie ai quali riceve in tempo reale gli aggiornamenti dei siti di interesse.

Molti blog, riviste online e siti di commercio elettronico utilizzano la tecnologia feed RSS, che genera auto-maticamente feed per aggiornare gli utenti ogni volta che nel sito viene inserito un nuovo articolo o un nuovo prodotto.

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Dunque i feed garantiscono libertà e comodità: l’utente non deve più ricordarsi di seguire determinati siti per scoprire le novità o leggere le ultime notizie, ma viene subito avvisato in presenza di nuovi contenuti; inoltre può mettere insieme feed da diversi siti Web creando una sorta di “giornale personale” con i propri contenuti d’interesse, che può consultare rapidamente in una sola volta sul proprio dispositivo.

Per questo si parla di Feed Reader – o aggregatori di feed – che consentono di monitorare tutti i blog e i siti preferiti: per fare ciò è necessario scegliere il Feed Reader e poi iscriversi ai blog/sito dal quale si vogliono costantemente ricevere aggiornamenti.

Vi sono diversi tipi di Feed Reader: gli aggregatori web e gli aggregatori software.

Gli aggregatori Web permettono di leggere in una sola pagina web tutti gli aggiornamenti dei vari siti cui ci si è iscritti; non richiedono l’installazione di alcun software, quindi per utilizzarli è necessaria la connessione a Internet. I principali sono:

• Google Reader • Bloglines • My Yahoo! • Netvibes.

Gli aggregatori software richiedono l’installazione del programma sul proprio dispositivo, ma permettono di leggere gli aggiornamenti anche senza una connessione internet attiva. I principali sono:

• Feedreader • Rssreader • Sharpreader • Rssowl.

La tecnologia feed RSS è stata progettata per reperire le informazioni e gestire le fonti in Rete, quindi agevola le attività di ricerca. In ambito didattico, può essere utilizzata da docenti e studenti per automa-tizzare la gestione delle fonti, in quanto:

• Consente di attingere direttamente dalla fonte della notizia senza alcuna mediazione; • Agevola l’aggiornamento continuo e la ricerca di informazioni in Rete; • Costituisce una tecnologia trasversale e può essere combinata con altre applicazioni (blog, wiki, po-

dcasting); • Può essere utilizzata con le piattaforme e-learning per gli aggiornamenti (news o nuovi messaggi nel

forum).

3.2.2 WebQuest

La Rete, se da un lato permette agli utenti di accedere a informazioni di qualsiasi natura, dall’altro può com-portare un certo sovraccarico cognitivo in quanto non vi è una organizzazione lineare dei contenuti.

Negli anni sono stati progettati modelli di navigazione/metodologie didattiche che “accompagnano” gli utenti che si muovono in Rete: tra questi modelli, il WebQuest può rendere particolarmente efficace il tempo che gli studenti spendono alla ricerca di informazioni in Rete.

Bernie Dodge ha ideato il WebQuest nel 1995 e ne fornisce questa definizione:

Un WebQuest è un’attività di ricerca guidata nella quale una parte o la totalità delle informazioni con cui interagiscono gli studenti provengono da risorse disponibili in Rete.

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Pertanto l’obiettivo di un WebQuest è permettere allo studente di trasformare l’informazione, elaborandola in una nuova forma testuale; che sarà la sintesi della sua comprensione, della rielaborazione critica e dell’ac-quisizione personale delle informazioni.

Un WebQuest è un ambiente di apprendimento guidato, una struttura che si sviluppa accompagnando lo studente oltre la ricerca e l’elaborazione di un contenuto specifico, in quanto promuove lo sviluppo della consapevolezza dei processi metacognitivi personali.

Un WebQuest presenta delle caratteristiche che permettono allo studente di:

• Affinare e applicare strategie di navigazione e ricerca nel Web; • Sviluppare un atteggiamento collaborativo; • Sviluppare autonomia e pensiero critico grazie a percorsi di costruzione della conoscenza; • Sviluppare capacità di sintesi e analisi, nonché di negoziazione sia sul piano relazionale che sul piano dei

meccanismi della comprensione; • Agevola la rielaborazione dell’informazione superando l’eventuale sovraccarico cognitivo; • Promuove capacità di problem solving grazie a compiti verosimili; • Facilita strategie/metodologie di apprendimento grazie a una chiara struttura cui attenersi (pianificazione,

esecuzione, monitoraggio e valutazione).

Un WebQuest si divide in sei fasi:

1. Introduzione – vengono fornite le informazioni di base che introducono lo studente nella situazione pro-posta, attraverso la simulazione di una situazione verosimile.

2. Compito – viene descritto quale sarà il compito da svolgere, cosa deve essere prodotto durante il lavoro.

3. Risorse – vengono indicate le risorse Web da consultare, che sono state precedentemente selezionate dal docente, il quale può inserirle su una piattaforma. Tali fonti possono essere totalmente preselezionate op-pure lo studente può parzialmente integrarle con una libera ricerca in Rete o ancora con materiali cartacei tradizionali; essendo la WebQuest una metodologia altamente personalizzabile. Questa fase è particolar-mente utile per sviluppare la capacità di organizzazione delle informazioni, nonché di sistematizzazione e di sintesi.

4. Processo – viene descritta nel dettaglio l’attività che lo studente andrà a svolgere. È fondamentale che que-sta fase sia ben progettata: fasi del lavoro, suddivisione in gruppi e distribuzione dei compiti, confronto e discussione in classe, esercitazioni ecc… Ogni studente deve avere chiaro il proprio ruolo all’interno dell’attività condivisa e deve avere accesso a tutte le informazioni necessarie per lo svolgimento della stessa.

5. Suggerimenti – questa fase prevede l’eventualità di inserire dei suggerimenti per aiutare lo studente a organizzare le informazioni raccolte (come mappe concettuali, scalette temporali ecc… ). Può essere utile esplicitare in questa sezione i criteri di valutazione dell’attività assegnata, suddivisi nei vari aspetti che la compongono (lavoro di gruppo, analisi, elaborazione contenuti ecc…). In questo modo lo studente può focalizzare l’attenzione sugli aspetti che verranno valutati, che quindi fungeranno da guida per il lavoro e faciliteranno la comprensione del valore pedagogico dell’attività.

6. Conclusione – è una fase riepilogativa, in cui lo studente può osservare cosa ha imparato e, guidato dal docente, comprendere come migliorare l’esperienza nelle occasioni successive per l’acquisizione di ulte-riore conoscenza.

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Un WebQuest va ben oltre una semplice ricerca perché si fonda sulla comparazione, classificazione, in-duzione, deduzione, analisi dell’errore, avvaloramento di una tesi, astrazione e valutazione delle prospet-tive.

In quest’ottica, le informazioni raccolte sono fulcri per la costruzione di ipotesi, che permettono allo studente di svolgere un’attività di gruppo basata su processi dinamici di progressiva scoperta e rielabo-razione.

Questo strumento valorizza le capacità autoformative degli studenti e facilita l’utilizzo delle tecnologie digitali: è il docente che predispone tale metodologia didattica, il cui compito è di guidare, orientare e valutare.

Grazie al WebQuest, gli studenti: • Integrano i materiali didattici tradizionali con quelli digitali; • Si misurano con simulazioni, eventualmente in una dimensione di gioco nel processo di apprendimento; • Possono applicare immediatamente a casi concreti le informazioni ottenute; • Hanno un ruolo attivo, grazie al lavoro di gruppo e al ricorso di situazioni che rispecchiano la vita reale; • Utilizzano le tecnologie digitali nella prospettiva del problem solving; • Possono relazionarsi con professionisti esterni alla scuola e interagire con i loro pari, sviluppando abilità

di comunicazione spendibili in diversi contesti.

Il sito Apprendere On-line raccoglie le esperienze didattiche basate sul WebQuest: i docenti registrati posso-no utilizzare il sito per generare nuovi WebQuest e somministrarli a gruppi di studenti; mentre gli studenti registrati possono usare le informazioni contenute nei WebQuest come riferimento per il lavoro da svolgere.

http://www.apprendereonline.it/public/home.php

Dallo stesso sito si riporta un esempio di WebQuest presente nell’archivio della scuola media inferiore, che tratta “le parti di una pianta”:

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3.3 MATERIALI DIDATTICI DIGITALI ONLINE

A seconda degli obiettivi formativi, del contenuto e della tipologia, la Rete offre a docenti e studenti nume-rose fonti cui attingere per consultare/scaricare materiali didattici digitali.

Rispetto ai materiali didattici tradizionali (cartacei), quelli digitali rispondono ad alcune caratteristiche fon-damentali, che si possono così riassumere:

• Sono inerenti a discipline e materie della scuola del primo ciclo (primaria e secondaria di primo grado), e del secondo ciclo (secondaria di secondo grado);

• Sono multimediali (oltre al testo, si compongono di diversi media contemporaneamente, come video, foto e immagini, audio ecc…);

• Offrono le possibilità dell’interattività e della condivisione; • Sono ipertestuali (non seguono la logica sequenziale, ma grazie ai link permettono all’utente di esplorarli

liberamente); • Sono protetti da una licenza copyleft, come la licenza Creative Commons.

Vi sono diverse tipologie di materiali didattici digitali: • Risorse informative e/o di approfondimento • Giochi educativi • Esercitazioni (questionari, simulazioni, ecc…) • Guide e glossari

• Esperimenti e casi studio.

Nei possibili formati: • Immagini (JPG, BITMAP, PNG, GIF) • Video (AVI, MPEG, 3GP, DIVX) • Applicazioni (FLASH, SCORM 1.2, APPLET JAVA) • Audio (MP3, WAVE, WMA) • Documenti di testo (HTML, XLS, PPT, DOC, PDF).

Il Piano Nazionale Scuola Digitale, attraverso il portale Schoolkit, offre modelli di istruzioni che, risponden-do a una domanda chiara, aiutano a risolvere un problema o sviluppare una pratica innovativa; affinchè i docenti possano essere sostenuti nell’attuazione del PNSD: http://schoolkit.istruzione.it

Nello specifico, si riportano le linee guida per creare un archivio condiviso di materiali didattici, visionabili al link: http://schoolkit.istruzione.it/schoolkit/creare-un-archivio-condiviso-materiali-didattici/

3.3.1 Come creare un archivio condiviso di materiali didattici

Schookit prodotto da: Comunità scolastica

Azione #31 – Una galleria per la raccolta di pratiche

Formazione

6 maggio, 2016

Autore: Annamaria Bove – Docente di Lettere e Animatrice Digitale Scuola Secondaria di I grado Solimena-De Lorenzo, Nocera inferiore (SA)

Destinatari: Docenti

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Tipologia di scuola a cui è diretto: tutte le scuole di ogni ordine e grado

Descrizione

Questo schoolkit è utile per imparare a costruire un luogo fisico/virtuale (sito/cloud) dove catalogare il mate-riale che può essere fruito da tutti i docenti della scuola. In questo modo si instaura anche un clima collabo-rativo che parte dall’esperienza del singolo per diventare momento di crescita dell’intera comunità scolastica.

Raramente in una scuola esiste un centro di raccolta, un repository (archivio), dei materiali utilizzati per le attività svolte in classe, delle buone pratiche e ancora più raramente viene applicato il concetto di “condivi-sione”. Lavorare con il digitale, preparare una lezione con il supporto dell’ICT (applicazioni, Tablet, Byod) necessita di tempo ed è quindi importante creare un clima di condivisione, affinchè i materiali efficaci creati possano essere riutilizzati e migliorati. Un repository si basa appunto su un modello di co-produzione quan-do promuove una produzione collaborativa delle risorse, offrendo uno spazio in cui condividere e scambiare materiali, dove gli utenti sono sia autori che consumatori dei materiali.

Network e partnership: Verranno coinvolti tutti i docenti delle scuole, il DS per spiegare i benefici di una pra-tica di condivisione che aiuta tutti nella gestione delle lezioni da svolgere nelle proprie classi. Tutti possono usufruire del materiale e personalizzarlo secondo le proprie esigenze e quelle della classe.

Come procedere

1. Scegli gli elementi da condividere

Pianificare la scelta è importante per realizzare una migliore catalogazione delle diverse risorse. Si posso-no individuare: materiali didattici, di tutte le discipline, utili alla lezione in classe (per esempio: materiale realizzato con il software dedicato della lim, mappe concettuali, schemi, lezioni svolte con applicativi che riguardano singole discipline), percorsi didattici, prove per la verifica delle conoscenze, delle abilità e prove esperte per individuare il livello di competenze, percorsi pluridisciplinari, sperimentazione di metodologie nuove (vedi per esempio Flipped Classroom), materiali per certificazioni in lingue, per partecipare a gare di matematica, di scienze, per le prove Invalsi

2. Scegli un sistema di catalogazione degli elementi

Scelta di un metodo di catalogazione che può essere per tipologia di materiale, per disciplina. Sicuramente sarebbe opportuno creare una netta separazione tra ciò che è fruibile dai docenti e ciò che può essere anche utilizzato dagli studenti (come schemi, mappe precostituite, link catalogati per destinazione d’uso). La ca-talogazione deve essere chiara, con il materiale ben distinto in categorie diverse e raggiungibile attraverso la funzione ”cerca”. Il repository deve avere un suo regolamento condiviso da tutti e accettato da chi entra nella sezione per fruire del materiale, bisogna individuare quindi, anche una policy di riutilizzo delle risorse individuate (eventuale licenze d’uso, utilizzo di immagini non coperte da copyright), il diritto d’autore su materiale prodotto (scelta di rendere libero il proprio materiale prodotto con il solo vincolo di citare la fonte, cioè l’autore originale dell’attività didattica, del progetto).

3. Descrivi i contenuti

Ogni elemento che viene inserito in una sezione specifica del repository deve essere accompagnato da una breve descrizione riguardante il contenuto, la destinazione e l’eventuale utilizzo o la possibilità di effettuare modifiche per essere calibrato per situazioni diverse (come tipologia di classe o anche differente disciplina).

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Buone pratiche: integrazione delle ICT, software didattici e registro elettronico 70

4. Strumento di condivisione

Il repository può essere condiviso:

• sito della scuola (creando un apposito spazio riservato ai docenti) • un servizio cloud (dropbox, google drive) • una piattaforma di e-learning (moodle, fidenia, edmodo per interagire con i docenti della scuola) • un eventuale sito/repository con accesso per i docenti (creazione di un sito esterno collegato al sito della

scuola attraverso un banner in home).

5. L’attività di organizzazione di un Repository necessita dei seguenti passi fondamentali.

In collegio docenti si sceglie di organizzare un repository per la condivisione del materiale e si individuano i criteri generali: (repository fruibile da docenti e studenti o solo da docenti/ materiale interno, collegamenti a repository esterni, i criteri da adottare (cioè che bisogna fare una scelta delle risorse, una catalogazione, una descrizione e quali sono gli strumenti che si vogliono adottare per la condivisione). Sicuramente è consiglia-bile avere un gruppo operativo che gestisce il repository il quale dovrà essere periodicamente aggiornato.

• Il lavoro di raccolta, scelta, divisione per categoria e descrizione di ogni singolo elemento da inserire nel repository spetta ad ogni gruppo (individuato per aree o per dipartimento). Il gruppo decide la periodicità dell’aggiornamento dell’archivio (per esempio all’inizio dell’anno scolastico, alla fine, due volte durante il corso dell’anno).

• Scelta dello strumento di condivisione ed eventuale formazione per docente/i che intendono gestire il re-pository.

Di seguito si indicano i principali portali – e le schermate dei più consultati – che offrono materiali didat-tici digitali online, fruibili da docenti e studenti:

1. Risorse per docenti dai progetti nazionali: http://www.scuolavalore.indire.it

Scuolavalore è un network di siti web il cui obiettivo è di diffondere e valorizzare il patrimonio di contenuti, attività e materiali didattici realizzati da INDIRE per la promozione degli interventi finalizzati allo sviluppo professionale dei docenti e promossi dal Programma Operativo Nazionale 2007/2013, a valere sul Fondo So-ciale Europeo PON-FSE “Competenze per lo Sviluppo”.

Pertanto questo sito offre risorse digitali di vario tipo (guide alla costruzione dei curricoli, riflessioni sugli sviluppi delle discipline e della loro didattica, strumenti per la verifica degli apprendimenti, esemplificazioni metodologiche e approfondimenti); che i docenti possono implementare sulla base delle Indicazioni Nazio-nali, riutilizzandole per fini didattici e scientifici.

Come si nota nello screenshot, la ricerca dei contenuti si può effettuare per Grado scolastico o Argomento; vi sono risorse suddivise per Percorsi tematici, oltre ai contenuti dei Progetti nazionali PON FSE “Competenze per lo sviluppo” 2007-2013.

Inoltre vi sono due importanti sezioni che raccolgono molte esperienze didattiche: Proposte da PQM (Piano qualità e merito) e Risorse per studenti.

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2. Risorse didattiche: http://www.risorsedidattiche.net

� È un ampio archivio di risorse didattiche divise per categorie; inoltre è specializzato in inglese, con oltre 10.900 esercizi in inglese da svolgere online. I materiali sono divisi per scuola primaria e per scuola secon-daria; quindi è possibile inserire nuovo materiale seguendo una semplice procedura guidata.

3. Rai Scuola è il portale dedicato a docenti e studenti, ricco di sezioni specifiche che contengono materiali multimediali e interattivi: http://www.raiscuola.rai.it

� Nello specifico vi è una sezione dedicata a Video didattici: http://www.raiscuola.rai.it/categorie/scuola-valo-re-proposte-per-la-formazione-continua-dei-docenti/1286/1/default.aspx

4. Il Gomitolo è un sito per bambini e ragazzi che raccoglie materiali didattici per la scuola primaria e link

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utili per reperirli attraverso i blog dei docenti che li mettono a disposizione: https://www.ilgomitolo.net

5. Materiali didattici: www.materialididattici.org raccoglie materiali didattici per la scuola secondaria scaricabili gratuitamente e adattabili/modificabili; inoltre vi è una sezione dedicata ai DSA-BES.

6. Didadada: http://www.didadada.it raccoglie materiali didattici per la scuola secondaria, con prove di in-gresso suddivise per materie per la verifica delle competenze e delle conoscenze iniziali.

7. Inoltre si possono reperire molti materiali didattici in ambito scientifico e matematico messi a disposizio-ne da: • Istituto e museo di storia della Scienza http://www.museogalileo.it/esplora/biblioteche/bibliotecadigitale.html • Open Source Physics http://www.opensourcephysics.org • Wolfram Demonstrations Project http://demonstrations.wolfram.com • History Channel http://www.historychannel.it • Library of Congress https://www.loc.gov • National Geographic http://www.nationalgeographic.it

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4. REGISTRO ELETTRONICO

La legge 135/2012 prevede il Piano di Dematerializzazione della Pubblica Amministrazione: secondo tale normativa, l’amministrazione burocratica avrebbe dovuto utilizzare gli strumenti digitali più innovativi, a scapito dei tradizionali supporti cartacei. Le scuole nell’anno scolastico 2012/2013 avrebbero dovuto adottare il Registro Elettronico, e i docenti avrebbero dovuto valutare i propri studenti attraverso le pagelle elettroni-che, poi inviate per e-mail alle rispettive famiglie.

Questo passaggio sta avvenendo con lentezza, non secondo i tempi prefissati: è chiaro che la demateria-lizzazione dell’amministrazione scolastica è possibile solo se la scuola è dotata di un impianto informatico adeguato, non solo per quanto concerne i computer disponibili, la connessione Internet e le aule predisposte; ma anche per quel che riguarda il personale tecnico e l’aggiornamento dei docenti circa l’utilizzo di tali stru-menti.

Gli obiettivi posti qualche anno fa a oggi sono stati rilanciati con il Piano Nazionale Scuola Digitale con un investimento in prima tranche per l’anno scolastico 2015/2016 di circa novanta milioni di euro, seguiti da circa trenta milioni di euro ogni anno successivo a partire dal 2016.

Molti sono gli obiettivi del PNSD, tra questi l’introduzione del Registro Elettronico, poste le sufficienti condi-zioni d’utilizzo; ovvero un’efficiente connessione wireless, computer/tablet a disposizione di docenti/studen-ti in ogni classe, oltre a un’adeguata formazione per i docenti circa l’utilizzo di tale strumento.

La completezza e l’efficienza di un Registro Elettronico dipende dal software scelto. Le offerte sono molte, e vanno da software con funzioni essenziali a software con funzioni avanzate.

I registri elettronici più completi sono collegati a piattaforme per la gestione di classi virtuali, e permet-tono di:

• Gestire classi virtuali (il docente mette a disposizione materiali didattici digitali, somministra test e verifiche, effettua correzioni e le invia agli studenti in tempo reale);

• Comunicare con le famiglie (attraverso un’apposita sezione, le famiglie possono prenotare gli appun-tamenti per i colloqui con i docenti, segnalare ritardi, assenze, verificare l’andamento delle verifiche ecc…);

• Organizzare le attività scolastiche (la sezione dedicata agli studenti permette loro di accede al Registro Elettronico e utilizzarlo come un vero e proprio diario, dove trovano segnalati i compiti, le verifiche e in genere tutte le attività didattiche programmate dal docente).

Indipendentemente dalle funzioni più avanzate, il Registro Elettronico sostituisce i tradizionali registri car-tacei (registro di classe e registro dell’insegnante): grazie al passaggio di un badge personale su un apposito lettore, vengono rilevati elettronicamente gli ingressi, i ritardi e le uscite anticipate degli studenti; oltre che inseriti in tempo reale i voti loro attribuiti.

4.1 UTILIZZO DEL REGISTRO ELETTRONICO

Vi sono diverse piattaforme open source che supportano il Registro Elettronico, oppure software scaricabili gratuitamente o con una licenza a pagamento che ne garantiscono il servizio.

Ogni istituto può liberamente scegliere quale software utilizzare per la dematerializzazione dell’amministra-zione, come si legge nella Circolare Ministeriale prot. 3010 del 11.10.2007:

http://www.argosoft.it/xargo/circolari/circolare_sidi.pdf

Il Registro Elettronico, sotto responsabilità di un amministratore, prevede il rilascio di un Username e una

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Password per ogni docente; il quale, attraverso il dispositivo in dotazione e a prescindere dal sistema opera-tivo utilizzato, può accedervi e inserire: assenze, ritardi/uscite anticipate degli studenti, giustificazioni e voti delle interrogazioni/prove scritte.

Inoltre la segreteria didattica fornisce allo stesso docente delle credenziali di accesso ai dati riguardanti le sue classi e le sue materie.

Ogni dato inserito viene registrato in tempo reale nell’archivio dell’Istituto.

Axios ha sviluppato il software gestionale per le scuole secondo le indicazioni del MIUR: in base alle esigen-ze dell’istituto, è possibile scegliere tra diversi pacchetti di servizi per l’amministrazione digitale.

http://www.axiositalia.com/index.htm

Di seguito si riportano le principali piattaforme open source/software per l’utilizzo del Registro Elettronico; con un successivo approfondimento sul registro elettronico Argo.

1. Tiche Registro Elettronico http://www.tiche.info/wordpress/

Il Registro Elettronico Tiche è open source, gratuitamente scaricabile e utilizzabile. La piattaforma, oltre al forum con domande e risposte, fornisce videoguide per l’installazione, demo/tutorial per il corretto utilizzo.

2. LAMPSchool https://sourceforge.net/projects/lampschool/

Il Registro Elettronico LAMPSchool è open source, gratuito su piattaforma LAMP.

Supporta le funzionalità di base, ovvero la gestione registro del docente e di classe.

3. SchoolTool http://www.lffl.org/2014/09/schooltool-registro-elettronico-open-source.html

SchoolTool è un progetto open source che garantisce: gestione delle iscrizioni e i dati demografici degli stu-denti, valutazioni e gestione dei prospetti, il calendario e il tracciamento degli interventi disciplinari.

Inoltre SchoolTool supporta la traduzione, la localizzazione, la distribuzione e l’aggiornamento automatico attraverso il sistema di installazione e di gestione dei pacchetti di Ubuntu Linux.

4. Scuola247 http://www.scuola247.org

Distribuito con licenza open source (si può scaricare e installare il software sul proprio hosting o sul proprio server scolastico a titolo gratuito). Scuola247 è un registro elettronico sicuro, fruibile, funzionale e assistito; utilizzabile nelle scuole dell’infanzia, nelle primarie e secondarie di primo e secondo grado.

5. NETTuno http://www.nettunopa.it/registro_elettronico.php

I software e le soluzioni informatiche proposte da NETTuno per la scuola e la Pubblica Amministrazione sono conformi alla legge sulla Spending Review (D.L. 95/2012 art. 7 comma 31). Tale Registro Elettronico si può utilizzare gratuitamente per un periodo di prova e prevede 3 Aree di gestione, con le rispettive funziona-lità: Area Docenti, Area Preside e Coordinatori, Area Famiglia (genitori e studenti); inoltre il software Alunni e didattica gestisce l’anagrafica e i parametri generali del Registro Elettronico.

6. Scuola365 http://www.scuola365.it

La piattaforma di Scuola365 è in cloud, con un’interfaccia grafica vivace e intuitiva, supporta un servizio completo di registro elettronico con area Alunni, Docenti e Famiglie; inoltre l’area Social Culturale offre la possibilità di caricare/fruire di contenuti editoriali, social network, lezioni online e chat; e un servizio di ar-

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chiviazione (area Office).

4.1.1 Registro elettronico Argo

Il Registro Elettronico Argo soddisfa appieno le esigenze di tutta l’amministrazione scolastica, è di utilizzo immediato con un’interfaccia grafica semplice e intuitiva.

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Come mostra la home del sito http://www.argosoft.it, i servizi per la scuola offerti da Argo prevedono: gestione semplice e veloce del sito web della scuola, l’archiviazione e conservazione a norma dei documenti informa-tici, un servizio di interazione in tempo reale tra docenti, studenti e famiglie; oltre a un’App per Android e IOS che fornisce al docente l’accesso alle operazioni che dovrà compiere in classe.

Di seguito si riportano le funzioni principali del registro elettronico Argo per i docenti.

1. Lezioni di Oggi

In questa prima sezione Oggi vi è l’elenco delle lezioni e l’orario del docente: cliccando nel riquadro della lezione che sta per tenere, il docente può effettuare tutte le operazioni necessarie; come l’appello, inserendo eventuali assenze o giustificazioni degli studenti.

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2. Orario Scolastico Personale

Attraverso la sezione Orario Personale il docente può caricare autonomamente il proprio orario scolastico provvisorio e apportare le modifiche necessarie, sino a quello definitivo.

3. Classi e Studenti

La sezione Classi e Studenti contiene gli elenchi degli studenti per ogni classe, con una scheda per ogni stu-dente che riporta tutte le informazioni di base.

Questa Timeline è fondamentale perché consente al docente di avere una visione d’insieme della situazione scolastica dello studente, in particolar modo in vista di un ricevimento con i genitori.

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4. Giornale di Classe

La sezione Oggi contiene il campo Giornale di classe, attraverso il quale è possibile appuntare/modificare in modo immediato le attività svolte, nonché visualizzare quelle assegnate.

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5. Valutazioni Orali

Nella sezione Oggi, cliccando su Valutazioni Orali, il docente può utilizzare la funzione Ordina per al fine di individuare rapidamente gli studenti da interrogare, secondo diversi criteri: data ultima interrogazione, nu-mero di interrogazioni, media voti scritto/orale ecc …

6. Aggiungi Valutazione Orale

La stessa sezione offre la possibilità di inserire una nuova valutazione e decidere se questa influenza la media dei voti. Inoltre il docente può scegliere se la nuova valutazione inserita può apparire anche nella sezione ScuolaNext dedicata alle famiglie degli studenti.

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7. Aggiungi Valutazione Orale

In questa pagina il docente ha a disposizione le valutazioni di ogni studente, gli appunti, le eventuali note disciplinari: in tal modo, con un semplice click, può aggiungere una nuova valutazione numerica e altre va-lutazioni personalizzate.

8. Conoscenze acquisite

Nel momento in cui inserisce una nuova valutazione numerica, il docente può aggiungere una nota relativa alle conoscenze/abilità acquisite dallo studente.

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9. Firma Lezione

Cliccando nel riquadro della lezione appena tenuta, il docente può apporre la sua firma elettronica:

4.1.2 Tutela della privacy

L’adozione del Registro Elettronico e in generale la dematerializzazione delle procedure amministrative di qualsiasi Ente, comporta il rispetto delle misure per la sicurezza della privacy secondo le norme legislative vigenti.

In tal senso si riporta il Decreto Legislativo del 30 giugno 2003 n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali attualmente in vigore: http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/03196dl.htm

Nel presente Decreto si legge nell’Art. 34, Trattamenti con strumenti elettronici:

1. Il trattamento di dati personali effettuato con strumenti elettronici è consentito solo se sono adottate, nei modi previsti dal disciplinare tecnico contenuto nell’allegato B), le seguenti misure minime:a. autenticazione informatica;b. adozione di procedure di gestione delle credenziali di autenticazione;c. utilizzazione di un sistema di autorizzazione;d. aggiornamento periodico dell’individuazione dell’ambito del trattamento consentito ai singoli incaricati e addetti alla

gestione o alla manutenzione degli strumenti elettronici;e. protezione degli strumenti elettronici e dei dati rispetto a trattamenti illeciti di dati, ad accessi non consentiti e a de-

terminati programmi informatici;f. adozione di procedure per la custodia di copie di sicurezza, il ripristino della disponibilità dei dati e dei sistemi;g. tenuta di un aggiornato documento programmatico sulla sicurezza;h. adozione di tecniche di cifratura o di codici identificativi per determinati trattamenti di dati idonei a rivelare lo stato

di salute o la vita sessuale effettuati da organismi sanitari.

È utile riportare il link del portale del Garante per la protezione dei dati personali:

http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/

Qui, nello specifico, si trovano le Linee guida per il trattamento di dati personali effettuato da soggetti pub-blici per finalità di pubblicazione e diffusione sul web:

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http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/1793203

Le presenti linee guida, del 2 marzo 2011, sono chiare ed esaustive circa i criteri normativi che regolano il trattamento di dati personali sul Web effettuato da soggetti pubblici (dunque anche dagli istituti scolastici); in quanto, secondo quanto si legge nell’Ambito di applicazione:

L’attuale processo di innovazione e digitalizzazione della pubblica amministrazione è caratterizzato da numerose ini-ziative, anche legislative, volte a migliorare l’efficienza, l’efficacia e la qualità delle prestazioni e dei servizi erogati dai soggetti pubblici mediante l’incremento dell’utilizzo delle tecnologie informatiche e telematiche.

Le recenti disposizioni in materia di trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa e quelle sulla consultabilità degli atti prevedono in capo ai soggetti pubblici diversi obblighi di messa a disposizione delle relative informazioni da realizzare con modalità di divulgazione e ambiti di conoscenza di tipo differente, comportando, a seconda dei casi, ope-razioni di comunicazione oppure di diffusione di dati personali.

La disciplina sulla protezione dei dati personali regola la comunicazione e la diffusione delle informazioni personali in maniera tendenzialmente uniforme, indipendentemente dalle modalità tecniche utilizzate; ciò, sia nei casi in cui i dati personali siano resi noti mediante una pubblicazione cartacea, sia laddove tali informazioni siano messe a disposizione on line tramite una pagina web.

Le presenti “Linee guida” hanno, pertanto, lo scopo di definire un primo quadro unitario di misure e accorgimenti fi-nalizzati a individuare opportune cautele che i soggetti pubblici sono tenuti ad applicare in relazione alle ipotesi in cui effettuano, in attuazione alle disposizioni normative vigenti, attività di comunicazione o diffusione di dati personali sui propri siti istituzionali per finalità di trasparenza, pubblicità dell’azione amministrativa, nonché di consultazione di atti su iniziativa di singoli soggetti.

4.2 GRIGLIE DI VALUTAZIONE

Le griglie di valutazione raccolgono una serie di informazioni codificate circa le prestazioni/capacità acquisi-te da uno studente in relazione agli obiettivi/consegne prestabiliti.

Le griglie di valutazione sono state introdotte con il nuovo esame di Stato a conclusione del corso di studi; precedentemente erano tabelle per lo più descrittive.

Ad oggi queste vengono definite in sede di Dipartimento Disciplinare a inizio anno e devono sempre essere coerenti con gli obiettivi dichiarati nel P.O.F. dell’Istituzione Scolastica.

Pertanto le griglie di valutazione: • Riducono la soggettività della valutazione da parte dei docenti; • Forniscono agli studenti feedback dettagliati circa le prove/test svolti; • Facilitano l’insegnamento/apprendimento in quanto forniscono una descrizione delle competenze su cui

verterà la verifica.

Una griglia di valutazione si compone di parametri/elementi di valutazione, gli indicatori, a loro volta in descrittori delle prestazioni stesse; ogni descrittore identifica un livello, ovvero un giudizio sintetico, al quale corrisponde un punteggio espresso in termini numerici.

Un descrittore di prestazione è la misurazione della prestazione dello studente in relazione alla consegna indicata nella traccia della prova svolta, quindi a ogni descrittore è associato un punteggio numerico.

Nei passaggi che seguono, si indica come creare una griglia di valutazione: sarà la specificità del compito assegnato e dei parametri/elementi di valutazione a determinarne la tipologia.

1. Determinare l’obiettivo del compito assegnato.

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È necessario definire gli obiettivi del compito assegnato affinché siano sempre chiari gli elementi da analiz-zare durante la valutazione.

Per facilitare questo primo passaggio, il docente può tenere in considerazione le seguenti domande:

• Qual è lo scopo principale del compito che si sta valutando? • Cosa dovrebbero imparare gli studenti durante l’elaborazione di questo compito? • Cosa rende un compito migliore degli altri? • Cosa rende un compito sufficiente? • Da cosa si riconosce un buon compito?

2. Stilare una lista delle componenti del compito da valutare.

Si tratta di distinguere tra le parti che compongono il contenuto e le parti che riguardano i requisiti tecnici: una griglia completa tiene conto del contenuto e insieme della tecnica.

Il contenuto si riferisce alla sostanza di quanto elaborato, includendo fattori quali: • Conformità con tematiche e obiettivi del compito • Stile • Argomentazione circa la tesi • Opinioni personali e creatività • Organizzazione più o meno coerente dei concetti.

La tecnica riguarda i singoli passaggi che determinano la completezza strutturale del compito svolto, inclu-dendo fattori quali: • Copertina, nome e data • Formattazione • Requisiti temporali o spaziali (rispetto della data di consegna, del numero di parole minimo, ecc.).

3. Rispettare il principio di sintesi e semplicità.

È preferibile scegliere criteri semplici e sintetici da tenere in considerazione per l’assegnazione del voto. Troppi requisiti possono complicare e appesantire la valutazione, nonché renderla meno comprensibile agli studenti.

Per esempio, una griglia di valutazione per un saggio potrebbe includere cinque sezioni: tesi o argomentazio-ne, organizzazione o suddivisione in paragrafi, introduzione/conclusione, grammatica/sintassi/ortografia, fonti/riferimenti/citazioni.

Inoltre, il docente dovrebbe tenere sempre in considerazione il contenuto delle lezioni che ha tenuto per valu-tare correttamente un compito: non si dovrebbe assegnare un punteggio alto all’elaborazione di un compito il cui argomento è stato trattato superficialmente in classe.

4. Utilizzare numeri interi per facilitare la valutazione.

Sarebbe conveniente attenersi alla classica scala da 1 a 100, in quanto il voto può essere scomposto con facilità per analizzare le diverse sezioni valutate. Il docente dovrebbe quindi poter sommare i criteri per la valuta-zione e ottenere un totale di 100.

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5. Assegnare i punti in riferimento all’importanza dei singoli compiti.

In questo passaggio è necessario prendere in considerazione gli obiettivi principali del compito in relazione all’apprendimento degli studenti. Si potrebbe applicare la stessa valutazione numerica per tutti i campi, ma per una presentazione o un progetto creativo sarebbe appropriato differenziarla. Per esempio, una scheda basilare per valutare un saggio si potrebbe così suddividere:

Tesi e argomentazione: _/40.

Enunciato di tesi: _/10.

Frasi chiave: _/10.

Dichiarazioni e prove: _/20.

Organizzazione e paragrafi: _/30.

Ordine dei paragrafi: _/10.

Scorrevolezza: _/20.6. Definire e descrivere i voti espressi in lettere.

Sarebbe opportuno scrivere dettagliatamente a cosa corrisponde ciascun livello sin dall’inizio del quadrime-stre o del semestre: in questo modo si specifica cosa vuol dire un particolare voto relativamente al compito assegnato e di conseguenza come lo studente andrebbe a interpretarlo.

Potrebbe essere più semplice individuare le caratteristiche del voto più alto, e successivamente capire quali compiti valutare di bassa qualità. Per esempio nella valutazione di un saggio, si potrebbero così assegnare i voti:

• A (100-90): il lavoro dello studente soddisfa tutti i criteri previsti dal compito, ed è stato completato in modo eccellente. Lo studente ha dimostrato padronanza dei concetti e ha elaborato i contenuti in modo personale e originale; in un’ottima organizzazione e in uno stile impeccabile.

• B (89-80): il lavoro dello studente soddisfa i criteri di base del compito; il quale risulta ben svolto, nonostan-te l’organizzazione e lo stile si sarebbero potuti migliorare.

• C (79-70): il lavoro dello studente soddisfa la maggior parte dei criteri del compito. Tuttavia i contenuti, l’organizzazione e lo stile non sono di alta qualità e richiedono eventuali revisioni; in quanto nel complesso il lavoro svolto non è stato sufficientemente elaborato in modo personale e creativo.

• D (69-70): il lavoro non soddisfa i requisiti del compito, pertanto richiede di essere revisionato. Il contenu-to, l’organizzazione e lo stile sono approssimativi.

• F (sotto 60): il lavoro non soddisfa i requisiti del compito. Lo studente non si è sufficientemente impegnato.

7. Organizzare in una tabella i criteri di valutazione e i relativi punteggi assegnati.

In questo ultimo passaggio il docente dovrebbe realizzare una tabella da utilizzare per correggere e valutare in modo coerente tutti i compiti assegnati in seguito. Ciò faciliterà il processo sia per il docente stesso che per gli studenti, i quali potranno avere un quadro completo da analizzare ogni volta che riceveranno i compiti corretti.

Sarebbe opportuno suddividere in file ciascun obiettivo o compito, e assegnare in colonne corrispondenti il relativo punteggio.

Le griglie di valutazione possono essere di diversa tipologia, in base ai parametri/elementi di valutazione di cui si compongono; dunque per:1. Grado di indagine: • Analitiche: analizzano gli obiettivi/consegne;

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• Sintetiche: analizzano l’insieme unitario delle consegne.

2. Elementi che analizzano: • Bidimensionate: a indicatori e descrittori; • Tridimensionate: a obiettivi/consegne, indicatori e descrittori.

3. Struttura: • Descrittive o a sviluppo verticale; • Sinottiche o a matrice; • Sinottiche a matrice stratificata.

4. Scala di valutazione adottata: • Decimi; • Quindicesimi; • Trentacinquesimi.

5. Assegnazione del punteggio della prova: • Media di risultato; • Somma di risultati.

6. Assegnazione del punteggio in base a un indicatore/descrittore: • Punteggio frazionato; • Punteggio a intervallo.

Si indicano esempi di griglie di valutazione relativamente a tali tipologie:1. Griglia sintetica bidimensionata descrittiva verticale

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2. Griglia sintetica bidimensionata sinottica a matrice

3. Griglia analitica tridimensionata descrittiva verticale

(Gli indicatori possono essere gli stessi per obiettivi diversi).

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4. Griglia analitica, tridimensionata, sinottica, a matrice stratificata

(Gli indicatori possono essere gli stessi per obiettivi diversi).

5. Griglia a media di risultato

(Il punteggio della prova si ottiene con la media dei singoli punteggi degli indicatori, applicando la media aritmetica o la media ponderata, a seconda se si tratta di indicatori con lo stessa rilevanza o con rilevanza differente).

6. Griglia a somma di risultati

(Il punteggio della prova si ottiene sommando i singoli punteggi degli indicatori).

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7. Griglia a punteggio frazionato

(A ogni descrittore è associato un singolo punteggio, quindi il punteggio massimo della prova è ripartito tra tutti i possibili descrittori; per media o per somma).

8. Griglia a punteggio a intervallo

(Il punteggio di un indicatore è ripartito tra tutti i descrittori, ma con un intervallo di variazione assegnato: il punteggio per ogni descrittore è la media oppure la somma degli indicatori).

4.2.1 Java Stencil Report

Java Stencil Report è un programma gratuito tra i più utilizzati per comporre schede/griglie di valutazione in modo semplice e rapido: consente di creare delle classi all’interno delle quali si inserisce la lista degli studenti presenti; per ognuno dei quali si vanno a editare/registrare le valutazioni suddivise per periodi (trimestri, quadrimestri, semestri).

Inoltre è possibile inserire campi testuali per comporre le valutazioni in modo esaustivo.

Java Stencil Report è scaricabile al seguente link:

http://jstencilreport.sourceforge.net/it/download.php

Si riportano in sintesi le principali funzioni del programma con le relative schermate.

1. Menu principale

La schermata di avvio del programma presenta quattro semplici icone:

La prima icona a sinistra permette di accedere al Java Stencil Report Editor, dove è possibile: • inserire nuove classi; • inserire studenti; • scrivere la valutazione degli studenti; • stampare le valutazioni;

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• esportare in formato PDF o PostScript.

La seconda icona permette di accedere all’Evaluation Wizard Editor, dove è possibile inserire gli indicatori per la compilazione dei giudizi.

La terza icona avvia il Print Model Editor: qui si possono scegliere le impostazioni dell’area di stampa in modo che il testo sia stampato nella posizione corretta all’interno della scheda di valutazione.

Infine la quarta icona ha la funzione di impostare i periodi di valutazione.

2. Inserire una nuova classe

Dopo aver cliccato sulla prima icona, appare la schermata che segue: qui il docente deve cliccare su File ―> Nuovo e poi inserire nell’apposita finestra il nome della classe e premere OK. Quindi appare una seconda fi-nestra in cui bisogna selezionare il periodo desiderato.

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A questo punto si avvia la procedura per l’inserimento dei dati del singolo studente: man mano che si inse-riscono i dati di ognuno e si clicca su Aggiungi, a sinistra si viene a formare un elenco con puntatore rosa o azzurro a seconda del selezionato; come illustrato in figura.

Quindi per salvare la classe bisogna cliccare sull’icona dischetto o selezionare Salva dal menù File: il salvatag-gio del file della classe viene fatto automaticamente nella sotto-cartella.

3. Comporre giudizi

Questa fase richiede l’inserimento di un compositore di giudizi, seguendo questa procedura:

a. Cliccare sul nome dell’alunno. Nella schermata che appare, in basso a destra vi è la dicitura

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Nessun compositore di giudizi impostato.

b. Quindi cliccare sull’icona del triangolino arancione, accanto alla dicitura. Poi, selezionare il proprio com-positore di riferimento, confermando con un clic su Apri.

c. A questo punto il docente seleziona la riga del giudizio da inserire, confermando con un clic su Inserisci, come riportato in figura.

d. È necessario continuare sino alla composizione completa del giudizio, spostandosi tra gli indicatori con le frecce arancioni presenti a sinistra e destra del pulsante. È possibile completare/modificare il giudizio scrivendo nell’apposita casella di testo.

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Buone pratiche: integrazione delle ICT, software didattici e registro elettronico 94

4. Inserire griglia di valutazione

Per accedere a questa funzione bisogna cliccare sulla seconda icona dal menu principale, che apre l’Evalua-tion Wizard Editor: si apre una finestra divisa in due colonne. Dunque bisogna cliccare su Aggiungi e inserire nella colonna a sinistra il nome dell’indicatore, confermando con Ok.

Quindi:

• selezionare l’indicatore sulla colonna a sinistra; • compare a destra il modulo per l’inserimento delle diverse declinazioni del giudizio; selezionare Aggiungi.

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A questo punto si apre la finestra per l’inserimento delle valutazioni:

Una volta inserite le valutazioni occorre confermare cliccando su Aggiungi: la nuova voce sarà inserita nella maschera sottostante (si possono inserire altre voci sovrascrivendo quelle appena inserite e confermando con Aggiungi).

L’opzione Prefisso Suffisso permette di inserire prefissi e suffissi diversificati per le versioni maschile e fem-minile, al fine di facilitare l’inserimento di indicatori in cui si ripetono le medesime parti iniziali (prefissi) o finali (suffissi).

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5. Impostare periodi

La quarta icona del menu principale apre la seguente schermata, che consente di impostare i periodi di valu-tazione.

Per default vi sono i trimestri ed i semestri: si possono rimuovere dopo averli selezionati e aver cliccato su Rimuovi.

Mentre cliccando su Aggiungi nella colonna di sinistra è possibile inserire una nuova scansione temporale, come i quadrimestri; quindi confermare su Ok.

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