Bonsai & Suiseki magazine - Gennaio-Febbraio 2011

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Bonsai & Suiseki magazine - Gennaio-Febbraio 2011 - ----------- THE FIRST OPEN-MAGAZINE from the world of Bonsai and Suiseki. The magazine is an informative, scientific and technical instrument open to all. Free and online.

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Gennaio/Febbraio 2011www.bonsai-bci.com

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In collaborazione con:

Ideato da: Luca Bragazzi, Antonio Ricchiari, Carlo Scafuri

Direttore Responsabile: Antonio Acampora - [email protected]

Direttore: Antonio Ricchiari - [email protected]

Caporedattore: Carlo Scafuri - [email protected]

Art directors: Salvatore De Cicco - [email protected] Carlo Scafuri

Impaginazione: Carlo Scafuri

Comitato di redazione: Antonio Acampora Massimo Bandera - [email protected] Luca Bragazzi - [email protected] Luciana Queirolo - [email protected] Antonio Ricchiari Carlo Scafuri Sandro Segneri - [email protected]

Redazione: Daniele Abbattista - [email protected] Massimo Cotta - [email protected] Sandra Guerra Valeria Marras - [email protected] Giuseppe Monteleone - [email protected] Dario Rubertelli - [email protected] Pierpaolo Rubiu - [email protected] Pietro Strada - [email protected] Marco Tarozzo - [email protected]

Hanno collaborato: Aldo Altina Matteo Barnabucci Manuela Baruffaldi Rocco Ciacciarello - [email protected] Gian Luigi Enny - [email protected] Giovanni Genotti Chiara Padrini - [email protected] Gianni Picella - [email protected] Roberto Raspanti - [email protected] Anna Lisa Somma - [email protected] Alan Walker - [email protected] Foto di copertina: Francesco Santini Antonio Megali Luciana Queirolo

Sito web: www.bonsaiandsuisekimagazine.eu

Indirizzo e-mail: [email protected]

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Bonsatireggiando

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012 L'albero tra il cielo e la terra

014 IBS Gallery017 Albo degli istruttori018 Suiseki in Vietnam. "Da Canh Nguyen Ban"022 News

026 Gambatte. Tutti uniti per Isao Omachi030 Il giardino nipponico ha varcato le frontiere034 Il mio primo corso038 Franco Bottalo

SOMMARIO

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046 Yojoo. Il sovrappiù del sentimento

050 Ritorno alle Serre Reali052 III Trofeo per i soci Napoli Bonsai Club

058 Come creare un bonsai di pino. Storia di un Maestro del passato

060 Mantenimento delle specie da frutto

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068 ...leggendo il libro "L'arte del Bonsai" di Antonio Ricchiari

071 Lettera aperta

072 Realizziamo un Bonkei080 Cupressus sempervirens. Orgoglio toscano

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086 Flusso - I parte

095 Woody Woodpecker

108 Rocco Cicciarello

116 Ishizuki. Bonsai su roccia

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124 L'annaffiatura - II parte

133 La cerimonia del tè. Una interpretazione per occidentali134 Le maschere del Giappone

140 Taketori monogatari. La storia di un tagliabambù

143 The four faces of a Pemphis acidula148 Bonsai News

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di

Antonio Ricchiari

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PINUS SYLVESTRIS

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PICEA EXCELSA

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"Da Canh Nguyen Ban"

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Non si scandalizzino i pu-risti se dico suiseki ma è per semplificare. Suise-ki sappiamo sono le pie-

tre provenienti dal Giappone, ma da oramai tanti anni questo nome è stato adottato nei paesi occidentali quando si parla di pietre artistiche. Ho avuto la possibilità con un picco-lo gruppo di amici italiani, spagnoli, americani e canadesi, di fare un bre-ve viaggio prima del BCI Tour and Convention in Cina. Destinazione Vietnam.

Si è trattato di un caso fortui-to che mi ha spinta ad organizzare questo pre convention tour, ma mai si è trattato di caso più azzeccato. Pri-ma di parlare di pietre in Vietnam mi sento di spendere due parole su questo paese poco conosciuto anche dal grande turismo.

Abbiamo visitato la parte me-ridionale del Delta del Mekong e HoChi Min City per poi spostarci a Nord nella capitale Hanoi e in quel paradiso che è Halong Bay. La baia è punteggiata da migliaia di rocce sedimetarie e karst ed isolotti di di-verse dimensioni e forme coperte di lussureggiante vegetazione in un mare trasparente.

Da togliere il fiato e lasciarci muti di fronte a tanta bellezza da as-saporare piano durante una crociera di due giorni. In Vietnam si respira un paese che trasuda voglia di vive-re ed entusiasmo. Questa vivacità, così stupefacente nel traffico cittadi-no, che dire caotico è poco, si stempera nella gentilezza della gente , sempre pronta ad un sorriso e ad aiutarti. Anni lunghissimi ed atroci di guerre hanno reso questa

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gente consapevole della grazia della vita che vivono adesso quasi come in una danza esube-rante ma elegante. Siamo stati anche fortunati di arrivare qualche giorno prima dell’inizio delle grandi celebrazioni nazionali per i 1000 anni di fondazione della città di Hanoi.

Questo ci ha permesso di visitare sia a HCMC che nella capitale Hanoi importanti mo-stre di Bonsai e suiseki allestite per l’occasio-ne. In occidente è nota l’arte vietnamita dei panorami in miniatura chiamata Hòn Non Bô descritta nel libro “Mountains in the sea” ed. Timber Press Inc., ma si tratta di composizio-ni di rocce e piante che si può richiamare al pe-njing cinese ne non alle pietre d’ammirare. In genere qui le pietre vengono raccolte in corsi d’acqua o vicino al mare, ma si sono anche aree in zone di montagna specie sul confine con la Cina.

Si tratta in genere di una pietre dura, di forma tondeggiante che trova i suoi pregi nei

colori e nei disegni sulla superficie anche se non mancano pietre più descrittive di pae-saggi, animali ed esseri umani. Tutti noi abbiamo visitato una mostra a Ho Chi Min Ci-ty di Bonsai e pietre organizzata dalla Vietnam Bonsai Association, mentre nel po-meriggio sono stata inviata a una visita pri-vata a casa del regista vietnamita signor Bùi Dù’c Tam.

E’ grande appassionato e collezionista di pietre non solo provenienti dal suo paese. E’ stato così cortese di ricevermi insieme a due mie allieve che partecipavano al tour. Nella sua casa di tre piani erano esposte molte pietre, ma molte altre ci sono rimaste sconosciute perché non gli è stato possibile preparare una esposizione più ampia.

Parlando con lui mi dice che prima del 1975 solo poche persone conoscevano que-st’arte, poi ha iniziato a diffondersi anche son scambi con Giappone, Cine e Taiwan. Qui in

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Vietnam sono chiamate Da Canh Nguyen Ban, letteralmente pietre modellate naturalmente. Gli sia-mo state comunque grate per la cortesia e per averci aperto le porte della sua casa e collezione. Mi ha consegnato e dato permes-so di distribuire un DVD da lui realizzato sul Suiseki in Vietnam con moltissime immagini di pie-tre, collezioni e collezionisti, mo-stre ed attività di ricerca nei torrenti del Vietnam.

Chi fosse interessato può scrivermi [email protected]

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Puerto Rico Ponce - 7 febbraioU.S.A. Cleveland (Ohio) – Febbraio Bonsai Club di ClevelandMessico FEDERACION MEXICANA DEL BONSAI A.C. (FEMEXBO)5 marzo Puebla ASOCIACION SHIHAI BONSAI AC. Y CLUB BONSAI PUEBLA AC. (inseirsci la locandina che allego)10-12 marzo Tuxtla (Chapas) ASOCIACION CHIAPANECA DE BONSAI KOKO-RO NO MORI AC. En espera de ser encontrado, SUISEKI MEXICO 2011U.S.A. – Minneapolis (Minnesota) 2- 6 Aprile U.S.A. – Louisville ABS - BCI Convention http://www.bonsaiinthebluegrass.com/ 16-19 giugno

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CHIARA PADRINI UPCOMING EVENTS 2011

For suiseki fans living in America will be some opportunities to participate in events I’m involved with lectures, workshops and critiques. Here the main

Ponce Puerto Rico - February 7U.S.A. Cleveland (Ohio) - February Bonsai Club of ClevelandMexico FEDERACION MEXICANA OF BONSAI BC (FEMEXBO)March 5 Puebla ASOCIACIÓN Shihao BONSAI AC. BONSAI CLUB Y PUEBLA AC. March 10 to 12 Tuxtla (Chiapas) ASOCIACIÓN Chiapaneca MORI DE BONSAI Kokoro no AC. En espera de ser encontrado, SUISEKI MEXICO 2011U.S.A. - Minneapolis (Minnesota) April 2 to 6U.S.A. - Louisville ABS - BCI Convention http://www.bonsaiinthebluegrass.com/ June 16 to 19Info [email protected]

PROXIMOS EVENTOS 2011 DE CHIARA PADRINI

Los aficionados de suiseki en América habrán oportunidad de participar en eventos en los que estoy llamada a tener conferencias, seminarios y críticas.Estos los principales

Ponce, Puerto Rico - 7 de febreroU.S.A. Cleveland (Ohio) - El Club de Bonsái de febrero de ClevelandMéxico MEXICANA FEDERACION DE BONSAI aC (FEMEXBO)05 de marzo Puebla ASOCIACIÓN Shihao BONSAI CA. CLUB BONSAI Y PUE-BLAAC. (Inseirsci el cartel que adjunto)10 al 12 03 Tuxtla (Chiapas) ASOCIACIÓN Chiapaneca MORI DE BONSAI Kokoro no-de CA. En Espera de servicios Encontrado, SUISEKI MÉXICO 2011U.S.A. - Minneapolis (Minnesota) 2 hasta 6 abU.S.A. - Louisville ABS - BCI Convención http://www.bonsaiinthebluegrass.com/ junio 16 hasta 19

Info - [email protected]

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Isao Omachi è il futuro del bonsai in Giappone. Con la fa-miglia, composta dalla mo-glie, due figlie ed i genitori,

Isao viveva e lavorava a Yamada-cho che si trova nella prefettura di Iwate in Giappone (sono tentato di scrivere: che si trovava!). Lo tsuna-mi non ha risparmiato le loro vite ma li ha lasciati senza NULLA. La forza della natura si è portato via tutto, prime fra tutte una delle colle-zioni di bonsai più belle del Giappo-ne. Il Maestro Omachi e la sua famiglia hanno bisogno del tuo aiu-to e lo hanno bisogno subito.

Gambatte nella lingua giappo-nese significa "buona fortuna" ma anche "fai del tuo meglio". Il me-glio che possiamo fare per aiutare la famiglia Omachi è inviare denaro: tre conti sono stati aperti nel giro di poche ore, uno in Italia, uno negli USA, uno in Giappone ed un link PayPal.

La famiglia Omachi saprà condividere tutto quello che riuscire-mo a inviargli tra i membri della pro-

pria famiglia, dei loro amici e paesani. Potete trovare Isao Omachi su facebook e nelle facce di tutti i giapponesi coinvolti in questa trage-dia.Chi è su facebook, (chi non lo è si iscriva), si colleghi al gruppo aperto OMACHI GAMBATTE: [email protected]

Ho ricevuto il 17 marzo una mail da parte di Chiara Padrini (che adesso si trova negli USA), rivolto anche agli Istruttori IBS che possia-mo fare da collegamento e diffonde-re l’appello ad altri bonsaisti e ai vari Club con i quali abbiamo contatti. Trasmetto l’appello lanciato dall’amico Marco Invernizzi.

“Abbiamo già raggiunto oltre 500 membri e anche se ognu-no donasse 50 euro possiamo vera-mente fare la differenza nel futuro nella famiglia di Omachi.Non ho ricevuto nuove notizie su Omachi, sappiamo solo che stanno bene ma che hanno sicuramente

GIAPPONE: I BONSAISTI ED I SUISEKISTI ITALIANI FACCIANO LA LORO PARTE COME SOLTANTO NOI ITALIANI SAPPIAMO FARE!

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perso tutto. Il padre di Isao, anche esso bonsai-sta, aveva coltivato e tenuto da parte 4 ginepri incredibili che considerava come un bonsaisti-co fondo pensione. Adesso sono tutti in fondo al mare.

Oggi abbiamo aperto un conto bancario al quale inviare utti i vostri contributi, è un conto intestato a me e gestito da Diego Fortu-na che oltre ad essere un bonsaista è un mana-ger della banca stessa. Per ottenere un conto a nome di Isao ci sarebbero volute settimane, co-munque questo è un conto di accumulo dove i fondi possono solo entrare e usciranno solo

quando Omachi sarà pronto a riceverli.Essere parte di questo gruppo vuol dire

che avete l'intenzione di aiutare perchè solo con le belle intenzioni Omachi e famiglia non potranno rifarsi una vita in una situazione così tragica.

Voi tutti conoscete altri bonsaisti, ami-ci, parenti... aiutateci ad aiutare Isao, la sua fa-miglia e i suoi amici, chiedete a tutti, raccogliete e inviate quanto potete.

Vi terrò costantemente aggiornati sulla cifra raccolta, fino ad adesso siamo a quasi 6000 euro."

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Ecco i dati :Banca Popolare di AnconaSede n.287, Osimo sedeIndirizzo banca:Piazza del Comune 4 60027 Osimo Italyintestato a : Marco InvernizziIBAN:IT74B0530837490000000001382Swift Codice: BPAMIT31 Bank Codice: BLOPIT22

Questo appello, veramente accorato che mi sento di lanciare assieme a tutti i collaboratori al Magazine è un messaggio

che ricalca l’enorme tragicità del momento, di questa immane catastrofe che forse non viene percepita da molti nella sua dimensione apoca-littica. Il bonsai ed il suiseki, per noi che lo abbiamo assimilato anche come uno “stile di vi-ta” non significa soltanto tecniche e cultura, si-gnifica sentirci vicini ad un popolo che è un esempio costante di orgoglio, di orgoglio di Na-zione, di orgoglio per la propria storia. Fondendosi con il gruppo, i giapponesi sono in grado di dimostrare una forza eccezionale.

L’imperatore Akihito ha rivolto un mes-saggio alla sua gente. Lo ha fatto dopo cinque giorni dalla catastrofe. E’ stato criticato da qualche parte per l’intempestività della sua appa-rizione in televisione. La solita superficialità occidentale non ha considerato la cultura orienta-le, non ha compreso sfumature e dettagli. La sua apparizione, al di fuori del protocollo, sottolinea invece la gravità di queste giornate che il Giappone sta vivendo.

La civiltà, la dignità, la compostezza del popolo del Sol Levante è straordinariamente esemplare e dovrebbe farci riflettere non poco. Il senso del gruppo balza dalle parole dell’impe-ratore “…dal profondo del cuore spero che le persone riusciranno a prendersi per mano e spe-rare questi tempi difficili”. Da un lato, ha saputo trasmettere un senso di unità ancora maggiore.

Dopo la barbarie dell’eccidio di Hiroshi-ma e Nagasaki, compiuto nel secondo conflitto mondiale per le decisioni scellerate di un bombardamento atomico, sopportato dal Giappo-ne per lunghi anni che ha provocato nel tempo una scia di morti, oggi è un destino duro che si accanisce e mette a durissima prova questo popo-lo.

E’ arrivato il momento di fare vedere la solidarietà del nostro gruppo, di fare vedere che bonsai e suiseki sono molto di più di quello che potrebbero sembrare agli occhi di un occidenta-le, che anche noi siamo un gruppo che sa ri-spondere alle prove di solidarietà.

ONORE AL GIAPPONE!

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Fu solo alla fine dell’ultima guerra mondiale con l’occupazione del Giappone da parte degli americani che si cominciò a scoprire e

apprezzare il rapporto dei giapponesi con la natura e a diffondersi in occidente.

Ed è in questi ultimi cinquant’anni che lo stile dei giardini giapponesi si è impo-sto lentamente e con molta grazia a noi euro-pei, l’armonia, la serenità e la pace che

il giardino nipponicoha leVARCATO FRONTIERE

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emanano penetrano nell’os-servatore che si perde affasci-nato a osservare queste realizzazioni artistiche.

Da alcuni anni questi giardini sono realizzati anche in occidente, cercando di segui-re le impronte codificate dagli antichi maestri giardinieri pro-venienti dal Giappone. La ra-gione del successo dei giardini nipponici come dicevo poc'anzi è da ricercare sicura-mente nel fascino, nelle emo-zioni e nella pace evocata da tali scenari.

Altro motivo fonda-mentale per il quale io cerco di consigliare questi giardini anche da noi, deriva dal fatto che sempre più spesso le no-stre abitazioni possono godere di un angolo adibito a verde se pur ristretto: con i giardini giapponesi si possono adottare accorgimenti tali per cui anche

una piccola porzione di terre-no può essere sufficiente per contenere un giardino equili-brato, ricco di fascino e so-pratutto accogliente.

In base alle dimensioni dell'area disponibile, il giardi-no è studiato per essere os-servato e goduto in modo meditativo da un solo punto di vista, raramente da diverse po-sizioni. In ogni caso deve ri-sultare perfettamente integrato con l'architettura presente, sia per l'uso dei materiali da co-struzione, sia per la logica compositiva e progettuale d’insieme e soprattutto deve dare l’impressione di essere il proseguimento della casa e co-me tale dovrà regnare l’ordine e la pulizia.

In Giappone, da secoli il giardino rappresenta una parte rilevante della casa, da un lato assume un importante

FRONTIERE

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concetto di condizione sociale, infatti, lo troviamo nei templi e nelle case dei nobili, oltre a funzioni ornamentali, possiede anche incarichi evocativi e simbolici, l’uomo cerca di acco-starsi alla natura e al suo ordine attraverso l’approfondimento e la contemplazione del giardino.

Il giardino è concepito cercando di ottenere alcuni origi-nali risultati, prima di tutto l’area è progettata facendo in mo-do di ampliare l’orizzonte dell’osservatore, in modo che, anche questa ristretta superficie, dia l’impressione di uno spazio più ampio, come essere in un bo-schetto o una radura di ampie di-mensioni. Di conseguenza ogni elemento deve ricreare l’armo-nia e l’equilibrio della natura, acqua, alberi e rocce sono siste-mati in maniera armonica, evi-tando di sovraffollare per non dare l’impressione di un luogo fasullo e artefatto.

Anche qui da noi in occi-dente, nel progettare un giardi-no nipponico si dovrà seguire delle metodologie fondamentali che serviranno a raggiungere quella forma e quell’equilibrio necessari al conseguimento dello scopo finale, qui di segui-to mi permetto di consigliare cinque regole basilari prima di iniziare questo tipo di progetto.

1°- Asimmetria: tutto ciò che è simmetrico, risulta artificiale, pertanto manipolato in modo evi-dente dall’uomo, quindi, le forme di un giardino giappone-se dovranno essere sinuose e pia-cevolmente asimmetriche, per dare l’impressione che l’intervento del maestro giardi-niere sia per quanto possibile il

meno dubitabile .

2°- Disuguaglianza: per evitare la regolarità e quindi la simme-tria, gli elementi inseriti nel giardino sono posti in numero dispari, in genere l’aspetto cui si tende è il triangolo tenuto molto in considerazione dalla dottrina e dalla filosofia giappo-nese.

3°- Contrapposizione: irri-nunciabile nel giardino nipponi-co è la ricerca tra elementi contrastanti, conifere vicino ad arbusti di latifoglie, rocce scure contornate da sabbia chiara, piccoli aceri dai colori rossi, vi-cino a una siepe di verde chia-ro, macchie di azalee in fiore accostate a rocce e muschio, il tutto incorniciate da ghiaietto.

4°- Trucchi prospettici: non mi stancherò mai di ripetere, che per far sembrare più ampio un piccolo giardino è buona cosa piantare gli alberi più alti con le foglie grandi e chiare in primo piano, si disporranno sul retro piante basse con foglie piccole e scure, mentre i camminamenti si restringeranno verso il fondo.

5°- Il risultato: nel progettare il giardino giapponese impariamo che la natura deve essere la sorgente e la fonte d’ispirazio-ne, fondamentale per chiunque si appresti a progettare questo ti-po di giardino, in questo picco-lo spazio si cercherà di riprodurre la percezione cattu-rata e di ricreare le emozioni avute nell’osservare anche le più modeste bellezze naturali.

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Mi batte ancora il cuore al pensiero di queste parole.. E' il modo in cui Francesco Santini ha aperto il Corso Base che si è tenuto al vivaio

Franchi a Pescia (PT), il 22 Gennaio 2011. Ancora non mi sembra vero, ma io ero presente a quel corso.

Rivedo Francesco con la sua simpatia e la sua bellissima parlata toscana, rivedo i suoi occhi che luccicano mentre ci spiega le cose. Un istruttore del suo calibro, che si emoziona ed emoziona quando parla dei bonsai e riesce a trasmettere in mo-do meraviglioso tutta la sua passione.

Ho ripercorso mille volte con la memoria ogni singolo istante, rivissuto tutte le emozioni di quella magica esperienza a Pescia.

Il corso iniziava alle nove. Nonostante

il mioPRIMO CORSO

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qualche dettaglio logistico da sistemare per il viaggio dalla Sardegna alla Toscana, alle 8.30 ero già lì. Sono stata la prima ad arrivare e ho avuto modo di constatare da subito la grande disponibilità e cortesia del personale del viva-io. Un ragazzo, che poi ho scoperto chiamarsi Johnny e che ci ha aiutato pazientemente ed in modo molto professionale nell'arco di tutta la giornata, mi ha subito accolto con tanta genti-lezza. Ad uno ad uno sono arrivati i miei compagni di corso. Purtroppo non c'è stata la possibilità di chiacchierare molto e chiara-mente la conoscenza è rimasta superficiale, ma eravamo un bel gruppo di 14 persone, uni-te dall'entusiasmo e dalla voglia di imparare.

Poi è arrivato Francesco. Si è pre-sentato a noi con un sorriso che ci ha messo subito di buonumore, sciogliendo la tensione dell’attesa. Il tempo dei saluti e di un caffè ve-loce e subito a lavoro. Francesco si dimostra subito chiarissimo nell'esposizione, sa che de-ve farci fare un ”tour de force”, perché in po-che ore deve spiegare le basi di un'arte completa e complessa.

Nella parte teorica tocca tutti i punti fondamentali, illustrando le caratteristiche del bonsai, facendo una panoramica delle origini di quest’arte, fornendo al gruppo i principali elementi di botanica. Poi si continua, gli stili, le tecniche e le principali patologie. In questo modo, fissiamo i concetti base: concimazione, innaffiatura, potatura, composizione del terriccio e rinvaso. Il tutto chiaramente inqua-drato nell'ambito dell'attività fisiologica delle piante.

Una piccola pausa per un panino velo-ce, e al ritorno una sorpresa, Francesco ci porta a visitare le sue “creature”, ovvero gli splendidi esemplari del Museo Franchi. Siamo tutti senza parole, gli esemplari sono vera-mente spettacolari. Nonostante il freddo che ci paralizza (parte del Museo è all'aperto), ascoltiamo ammutoliti le spiegazioni di France-sco e ammiriamo tutti i pezzi della collezione.

Con l'aria ancora sognante, dopo aver vi-sto tutti quei tesori al Museo, si riprende. Sono nella prima fila davanti a Francesco, con il mio taccuino e la mia penna, attenta a non perdere neanche una parola, nemmeno un ge-

sto. Quando si arriva al momento della parte pratica provo una fortissima emozione. Ci avviciniamo per scegliere la pianta che dovre-mo lavorare. Ci sono 14 ginepri (Juniperus Chinensis)... e adesso? Inizio a ricordare velo-cemente quali caratteristiche devo considera-re: tronco conico, nebari disposto a raggera, buona ramificazione primaria... e poi? Che confusione mentale, non mi ricordo altro. Troppe cose tutte insieme. Ma dopo un attimo lo vedo. Non so se ha tutte le caratteristiche ri-chieste, ma il mio cuore mi dice che è lui. La scelta dettata dalla mia parte emotiva è quella che alla fine prevale.

Torno al mio posto. Iniziamo con le la-vorazioni di base: una prima fase di pulizia della pianta, prima del terreno attorno ad essa e poi della chioma, fondamentale per indivi-duare la struttura dei rami e del tronco, si sele-zionano i germogli più vigorosi e si tagliano gli altri. Dopo la fase di pulizia, con l’aiuto di Francesco abbiamo realizzato su carta il pro-getto dell’impostazione.

Dopo aver “letto” la pianta da diversi fronti, naturalmente con il suo aiuto, la scelta

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è caduta su uno stile a semicascata... e qui vie-ne il bello, tradurre questo disegno in qualcosa di reale ...

LA FILATURA Con la paura tipica di chi fa una cosa

per la prima volta, ho legato ogni ramo con il fi-lo di rame, cercando di non sovrapporre i fili e di utilizzare i giusti diametri in funzione degli spessori dei rami. Fortunatamente avevamo gli “angeli custodi” del vivaio che ci aiutavano, altrimenti, sai che guai? Nonostante la preoccu-pazione e la paura di sbagliare, alla fine del la-voro mi sembrava di aver fatto una grande opera... ero soddisfatta!

L’IMPOSTAZIONE

Al termine della filatura ho portato la pianta a Francesco, che ha dato la giusta impo-

stazione ai rami e... dalle foto potete vedere il risultato. Non è bellissima? Lo so, sono di parte!!! Ora il mio “piccolo grande tesoro” sta nel mio giardino, e aspetta le mie successive cure. Beh, se è sopravvissuto ad un viaggio in aereo, dovrebbe essere abbastanza forte da so-pravvivere anche a me.

CONSIDERAZIONI FINALI

Davanti al mio esemplare di ginepro, che piano piano ha preso forma sotto le mie mani, mi sono sentita come una scolara il pri-mo giorno di scuola, ansiosa di imparare l’abc di un mondo favoloso che si è svelato lenta-mente ai miei occhi. Tutte le cose lette fino a quel momento hanno assunto finalmente un senso. Sembra passato così tanto tempo da quando ho iniziato a porre le mie prime timide domande sul forum del Napoli Bonsai Club.

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In realtà sono trascorsi solo sei mesi dalla mia registrazione. Ma sono stati sei mesi intensissimi, nei quali ho trovato tante persone disponibili che mi hanno aiutato con molta pazienza ad orientarmi fra i segreti del mondo dei bonsai.

So che il mio cammino è appena iniziato. Ma sono sicura di averlo iniziato nel modo e con le persone giuste.

Grazie Francesco.Grazie al forum del Napoli Bonsai Club.

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Intervistare Franco Bottalo: è con un po’ di apprensione che mi accingo a svolgere questo importante compito. Il fatto di conoscerlo, è il Direttore Di-

dattico della Scuola di Formazione per Ope-ratori Shiatsu (Shiatsu Xin N.d.R.) dove ho svolto la mia formazione, non mi tranquillizza per niente...

Eccomi arrivata… suono il campa-nello, entro nel portone e... davanti alle sca-

le faccio un bel respiro profondo: sono pronta!

Nella borsa ho il mio foglio con un bel numero di domande, il registratore e la voglia di potervi regalare una bella “intervi-sta” a uno dei più accreditati esponenti dello Shiatsu italiano.

E allora… si comincia!

MANUELA BARUFFALDI

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Quando e come sei entrato in contatto col mondo dello Shiatsu?

Era l’83, 82 – 83. In realtà ho avuto un interesse per il mondo dello shiatsu attraverso quello dello yoga. Dove praticavo yoga facevano anche qualcosa di shiatsu, così quando sono venuto a vivere a Milano mi sono informato ed ho scoperto che c’erano dei corsi introduttivi, con Mario Vatrini, e così ho cominciato.

Com’è nato il progetto Shiatsu Xin?Dopo alcuni anni che praticavo. Ho

cominciato a insegnare, nei corsi divulgativi più che altro, anche perché all’epoca lo shiatsu non era così conosciuto. Non c’erano veri e propri corsi professionali. Da li è nato il desiderio, il bisogno, di dare una formazione anche a persone che volessero usarlo professionalmente e quindi si è creato il progetto di una scuola che lavorasse sul

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formare delle persone e che allo stesso tempo curasse anche, appunto, l’aspetto Xin, l’aspetto Cuore, cioè che insieme a una formazione professionale ci fosse anche l’aspetto legato a una crescita personale.

Se ti chiedessero cos'é lo shiatsu, cosa risponderesti?

Domanda difficile! Dal punto di vista più stretto è una tecnica, sviluppatasi in Giappone formalmente all’inizio del ‘900, perché prima si praticava ma con altri nomi. Come tutte le tecniche però, è un contenitore in cui persone differenti possono mettere cose diverse, per cui shiatsu può diventare un modo per curare gli altri, così come può diventare anche un lavoro su di sé o ancora un modo per scoprire che cos’è la vita attraverso il rapporto con l’altra persona, attraverso il fisico, attraverso l’energetico. Può diventare tante cose a seconda di quello che la persona lo fa diventare.

E se la domanda fosse “cos’é lo shiatsu nello stile Xin”?

La risposta non è molto diversa, nel senso che quando abbiamo sviluppato, per così dire, lo stile Xin, non lo abbiamo mai chiamato esattamente così, perché non pensiamo che ci sia da trasmettere una forma canonica, piuttosto di trasmettere delle possibilità, di portare avanti un lavoro su di sé e quindi persone diverse che sono uscite dalla formazione Xin, fanno uno shiatsu molto diverso e per noi questo è motivo di orgoglio e non di dispiacere. Nel senso che se tutti facessero shiatsu allo stesso modo, vorrebbe dire che in un certo senso il progetto di formazione non ha funzionato molto bene, perché l’idea è di aiutare la persona a trovare le proprie possibilità, piuttosto che dare delle indicazioni uguali per tutti. Naturalmente c’è un’impostazione, che è quella di dare a ognuno gli strumenti che lo aiutino a scoprire le risorse che ha, piuttosto che dare indicazioni più rigorose di quali sarebbero le risorse che deve coltivarsi.

Perciò se vogliamo dare una definizione di cosa può essere lo stile Xin, penso che la più corretta sia di offrire, di nuovo, un contenitore, uno spazio in cui la persona può scoprire gli aspetti di sé su cui non aveva ancora lavorato, per sé e per gli altri.

Qual è il tuo concetto di “Maestro”?Il termine Maestro, in realtà, lo

conosciamo più nella tradizione orientale, perché è lì che ha un’accezione molto particolare, diversa dalla nostra occidentale. Ogni Maestro ha un allievo e un allievo un Maestro, quindi ognuno può essere Maestro per qualcuno e ognuno può essere allievo di qualcuno, quindi più che qualcuno che si auto-proclama Maestro, è qualcuno che è riconosciuto da qualcun altro come Maestro. Per me il concetto di Maestro è di una persona che, a differenza di un insegnante, non soltanto riesce a dare una formazione, un entusiasmo, una passione per quello che insegna, ma che attraverso questo riesce a trasmettere degli insegnamenti che sono per la vita dell’altra persona e non soltanto per l’ambito in cui sta insegnando. Questo è un modo per cui, ripeto, la stessa figura può essere un Maestro per qualcuno e semplicemente un insegnante per qualcun altro, a seconda del rapporto che si crea. Altra caratteristica del Maestro, è che quest’aspetto di trasmissione e di conoscenza che sono al di là dell’ambito d’insegnamento, sono trasmesse da quello che lui è come persona, quindi ha molto a che fare con la figura, con la statura della persona che insegna, statura dal punto di vista spirituale della persona.

Qual è, secondo te, l’origine della malattia?Nella tradizione cinese antica, si dice

che tutte le malattie sono portate dal vento e spesso questo concetto, che non è molto facile da capire, non vuol dire solo che ogni fattore patologico è mosso dal vento, quindi può arrivare attraverso l’aria, ma il significato profondo di vento è piuttosto “cambiamento”, quindi dal punto di vista fisiologico, ogni

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malattia è una resistenza al cambiamento. Allo stesso tempo ogni malattia è uno strumento per scoprire le resistenze che abbiamo al cambiamento e lasciarle andare.

Questa può essere una visione molto di base, di quello che può essere la malattia.

Il perché abbiamo delle resistenze al cambiamento, è una domanda che ognuno deve porsi e non sempre la risposta è razionale, naturalmente.

A volte dico che abbiamo resistenza al cambiamento perché tendiamo a identificare noi stessi con quello che siamo in quel momento, con quello che facciamo, con quello che vestiamo, con quello che mangiamo, con le relazioni d’affetto che abbiamo e quindi, se togliamo o modifichiamo qualcuno di questi elementi, ci sembra che togliamo un pezzo di noi stessi e quindi abbiamo paura di cambiare. Questa è però una considerazione personale.

A tuo parere, possono esserci punti di contatto tra la Medicina Cinese e la Medicina Occidentale?

Sicuramente. Intanto se vediamo la medicina occidentale in un senso vasto e non limitato storicamente agli ultimi decenni, la cosa che hanno in comune tutte le medicine è che devono aiutare la persona a stare bene. E questo è presente anche nella medicina occidentale, come in quella orientale e come in altre medicine anche se a volte, confrontandosi con la medicina occidentale, sembra che quest’aspetto si sia perso e che sia diventato tutto molto tecnico, molto regolato, molto spersonalizzato, a volte volutamente verso un’ipotesi di scientificità della medicina, ma questa non è la base comune che hanno.

In comune c’é il voler capire che cosa ha causato la malattia; se vogliamo essere corretti, più che di una medicina cinese, dovremmo parlare delle medicine cinesi, così come per la medicina occidentale, perché se la pensiamo non solo medicina occidentale moderna, ma andiamo indietro fino ai tempi di Galeno e oltre, veramente troviamo tante medicine, con approcci diversi. Se per medicina occidentale intendiamo soltanto la medicina

degli ultimi 200 anni, allora sicuramente ci sono alcune differenze piuttosto importanti, soprattutto in questa scelta della medicina occidentale, di separare per capire: voglio capire un problema, devo separare, non devo guardare la persona nel suo insieme ma devo guardare i suoi sintomi, devo andare a guardare le sue particelle, devo guardare le componenti del sangue, devo trovare un luogo fisico che ha causato la malattia o dove è insidiata la malattia.

In questo senso è piuttosto opposto all’approccio, a un certo approccio, della medicina cinese, perché non tutte hanno questo tipo di approccio, dove invece si cerca di ricondurre la parzialità a una visione globale.

Quest’aspetto è però presente anche in alcune delle medicine occidentali, come ad esempio l’omeopatia e, in tempi antichi, anche in altre categorie. Chiaramente, una medicina è sempre anche l’espressione della filosofia, o della spiritualità, o della religione del contesto o dell’epoca storica in cui si manifesta e per

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questo motivo si parla anche di medicine cinesi, perché a seconda dei secoli e delle epoche, si sono avute visioni diverse e lo stesso vale per quello che riguarda la medicina occidentale.

Siamo sicuramente in un secolo di grande frammentazione, di separazione, la gente vive molto separata e quindi anche la medicina lo è: ci sono tutte le specialità.

Anche nell’antico pensiero cinese c’erano le specialità, ma è abbastanza curioso notare che, mentre da noi una persona prima diventa medico generico e poi medico specialistico, nella medicina cinese antica era il contrario.

Una persona, finita la formazione, iniziava con una specialità, poi ne aggiungeva un’altra, poi un’altra ancora e così via ed era il coronamento di una carriera essere un medico generico, perché non era “generico”, era “generale”, vale a dire che aveva messo insieme tutte le parti, mentre da noi c’è da specializzarsi sempre più in un settore.

Qualche medico ha fatto questa battuta: “ci specializziamo così tanto che diventiamo bravissimi a curare nulla, perché a forza di restringere, restringere………” e quindi questa, semmai, è la grossa dicotomia che si è venuta a creare. Penso però che questo sia un concetto recente ed è legato a un modo di vedere la vita, poter vivere meglio separando: separando i problemi, separando le condizioni, separando le persone piuttosto che cercare di mettere insieme, di aggregare, quindi spesso la medicina di un periodo esprime anche la cultura di quel periodo, anche se ci sono valori che sposiamo senza quasi rendercene conto e che diventano poi parte della nostra vita.

Anche l’idea di trovare una causa oggettiva alla malattia, che spesso non è soltanto dei medici. Spesso sono i pazienti che, scoperto cos’hanno, si rilassano molto. E cos’hanno deve dirglielo qualcuno da fuori, deve essere qualcosa di specifico, aggredibile, altrimenti si crea un senso di disagio nel pensare che siamo malati. Ecco un altro aspetto: la de-responsabilizzazione rispetto alla propria malattia - se sono malato c’è qualcuno

FRANCO BOTTALO

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che mi deve curare, qualcuno che si prende cura di me. Non sono tanto io che devo, insieme a lui, prendermi cura di me.

Questo è, secondo me, forse il rischio più grosso di un certo tipo di approccio, in cui non ci si sente responsabili, per cui da un lato ci si sente totalmente impotenti, come capita quando si va in qualche ospedale e ci si trova in balia di qualcuno, magari anche bravo, ma in assenza di un senso di partecipazione al processo di guarigione.

Penso che questo, psicologicamente, sia qualcosa di negativo per la persona perché si sente impotente rispetto alla malattia.

Cos’è cambiato nello Shiatsu da quando hai iniziato il tuo cammino a oggi?

In senso generale non lo so bene, perché il mondo dello Shiatsu è molto vasto, si fa Shiatsu in molte parti, al di là del Giappone, dove ha avuto origine, e in tutto l’occidente si è molto diffuso. Come considerazione generale, una trentina di anni fa lo Shiatsu era qualcosa di poco conosciuto in occidente, qualcosa che si associava molto anche a tutto quello che era un percorso di filosofia orientale, quindi le due cose andavano molto assieme.

Molte scuole di Shiatsu si chiamavano, all’epoca, “Dojo”, come a sottolineare che era un luogo di formazione individuale. A volte questo era, per dire la verità, una sorta di vernice messa sopra a realtà che del Dojo vero e proprio avevano davvero poco, però era molto presente questo spirito di unire la pratica a un percorso individuale.

Trent’anni dopo forse quest’aspetto, nel bene e nel male, si è un po’ ridotto, è stata fatta anche una certa pulizia di persone che, con la copertura del “non devi capire, devi ascoltare, entrare in contatto con te stesso”, coprivano il fatto che loro non avevano capito granché, quindi questo è stato un aspetto positivo: togliere tutto questo ciarpame.

Un altro aspetto è che, forse, negli ultimi anni, si è cercato di far diventare lo Shiatsu molto tecnico per dargli una giustificazione più “occidentale”. Questo processo, se non sbaglio, si era già avviato in

Giappone trent’anni fa o più. Processo nel quale, proprio a causa del contatto col mondo occidentale, si era cercato di dare spiegazione a quello che accadeva, in modo che avesse una sua realtà più solida, apparentemente, quindi forse il rischio dello Shiatsu, adesso, è quello di diventare una delle tante tecniche che si praticano, però questa è una considerazione generale.

Per quanto riguarda invece lo Shiatsu per me, il cambiamento nei trent’anni è di avere meno attenzione sulla tecnica e più sulla comprensione di cosa si può raggiungere, con cosa si può entrare in contatto attraverso la pratica dello Shiatsu.

E quanto sei cambiato tu?Ah, questo non si può sapere. Di solito

il cambiamento è qualcosa che misurano gli altri, non si misura personalmente.

Sappiamo che in questo momento, oltre al problema della crisi, che sentiamo tutti, c’è anche il problema legato al mancato riconoscimento della figura professionale dell’operatore Shiatsu, così come di molte altre figure professionali. A questo proposito c’è molto fermento nel mondo delle discipline definite bio-naturali, entro le quali appare anche lo Shiatsu. Secondo te, quale futuro pensi possa avere lo Shiatsu in Italia?

Io, da sempre, come forse sai anche tu e sanno anche altre persone del mondo dello Shiatsu, sono sempre stato un sostenitore, o meglio, mi sono sempre augurato che lo Shiatsu non venga riconosciuto. Non per motivi snobistici o altro, ma essenzialmente perché purtroppo, spesso, quantomeno nella realtà italiana, quando le cose sono riconosciute, vengono burocratizzate e codificate in parametri piuttosto stretti. Purtroppo spesso riconoscere vuol dire stabilire delle norme che hanno poco a che vedere con la realtà pratica. Naturalmente non è sempre così, sarebbe possibile e auspicabile che un riconoscimento invece vada nella direzione di aiutare a garantire che chiunque pratica Shiatsu abbia

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una formazione professionale e quindi competente nell’ambito tecnico, nell’ambito della crescita personale e nell’ambito della capacità della persona di mettersi in relazione con gli altri, perché secondo me questi sono i tre aspetti di qualunque tecnica, terapia, disciplina, non importa il termine che si usa, che sia in relazione con gli altri. Ci deve essere un lavoro personale di crescita, ci deve essere una conoscenza solida, teorica e pratica di quella tecnica e ci deve essere una capacità della persona di mettersi in relazione, chiamiamola empatica, chiamiamola di cuore, chiamiamola animica, come volete, con l’altra persona.

Ho una serie consistente di perplessità, di dubbi, che un riconoscimento formale venga a tener conto di tutte e tre queste cose. Dai pochi contatti che ho avuto col mondo dei riconoscimenti formali, ritengo ci siano addirittura delle carenze nell’aspetto della formazione tecnica delle persone.

Più che curare che si abbiano le necessarie conoscenze teoriche, quello che

conta è che ci siano, ad esempio 200 ore di una materia, 180 di un’altra, 500 di un’altra ancora. Cosa si fa in quelle ore…mah, chi lo sa.

Se questo è il tipo di riconoscimento, forse tutto sommato è meglio continuare a navigare a vista in un mare dove ognuno fa quello che fa. Se invece un riconoscimento fosse davvero in una direzione tale da garantire a chi riceve un trattamento, che l’operatore al quale si rivolge ha una formazione solida, ben venga. In altri paesi è successo.

Per restare in Italia, pensiamo che, insieme alla Francia se non sbaglio, è l’unico paese al mondo in cui l’agopuntura è riservata solo ai medici. Nel resto del mondo c’è una formazione per agopuntori, c’è un percorso di studi etc.

L’altro grosso rischio, per quanto riguarda lo shiatsu, è che non avendo un’identità definita, non di per sé, ma come disciplina in mezzo alle altre, a differenza per esempio di omeopatia e agopuntura, che sono più un nucleo a se stante, è che in un riconoscimento sia accorpata in un grande

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gruppo, che poi si chiami “discipline bio-naturali, medicina alternativa, tecniche alternative”, poco importa. La cosa importante è che in tal caso finirebbe in un grande calderone dove il difficile è poter definire cosa è professionale. Mettendo insieme pranoterapisti, chi fa shiatsu, chi usa le erbe, chi il mantra per curare, lo yoga... chi può garantire la professionalità?

L’altro aspetto importante in uno stato che voglia dare un riconoscimento serio a una professione, è che la verifica della professionalità sia fatta da persone che svolgono quella professione, cioè che, ad esempio, la verifica di un agopuntore sia fatta da degli agopuntori, la verifica della formazione di uno shiatsuka sia fatta da persone che fanno shiatsu…e non da medici o da un Ministro di chissà che.

Quanto e cosa ti ha dato lo shiatsu?E’ molto difficile... è come, percorrendo

una vita, dire: ma le donne, cosa hanno dato alla tua vita? ...gioie e dolori, sicuramente. Crisi, dubbi, confusione, folgoranti illuminazioni, tutto mescolato insieme. Come la vita.

Qual è l’episodio più bello della tua vita?Come shiatsuka?

Come quello che vuoi….Non esageriamo, perché è talmente

difficile! E’ come dire “se dovessi andare su di un’isola deserta quale sarebbe l’unico libro che porteresti con te?” E’ impossibile rispondere. Forse è difficile rispondere anche pensando allo shiatsu, anche perché ci sono degli episodi che al momento senti molto forti, poi magari, rivisti col tempo, hanno una qualità differente.

In realtà, per me, il lavoro dello shiatsu ha rappresentato e rappresenta due cose:una è la pratica sulle persone e l’altra è l’insegnamento. Direi che, più che un momento specifico, forse sono più momenti in entrambi questi aspetti, che periodicamente sono qualcosa d’importante e di sostegno.

Per esempio, nel lavoro col paziente, molto banalmente se vogliamo, è quando, al di

la del lavoro tecnico eseguito, al di la del fatto che la persona stia meglio, si ha la percezione che la persona stia cambiando qualcosa di se.

Non necessariamente grazie a qualcosa che noi abbiamo fatto, ma anche col supporto di quello che abbiamo fatto. Si scopre allora, e qualche volta capita, non sempre, che la persona si rende conto di possibilità che prima non aveva.

Un discorso analogo vale per l’insegnamento. Tutte le persone che seguono un corso di formazione alla fine sono diverse da quando hanno iniziato, però a volte, con alcune persone, quest’aspetto, questa realtà, diventa molto più evidente, molto più forte per la persona stessa.

Allora è proprio come assistere allo sbocciare di un fiore, che nessuno si sarebbe immaginato. Forse è questo.

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YOJOOil sovrappiù del sentimento

di Massimo BANDERA

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Lo YOJOO è un valore estetico dei poeti che praticano la forma Waka, cioè “suggeri-mento dai sentimenti”. Nasce in epoca Ka-makura e rappresenta il riflesso emozionale

che entra in contatto con il poema, portando ad un sentimento inspiegabile, metafisico. È il valore pro-prio del teatro n dove l’attore è avvolto da un’aurea dei sentimenti non spiegati: è un mondo di insinuazio-ni, relazioni e di evocazioni, dove “il meno è più”, cioè quanto meno l’attore esprime apertamente tanto più si suggerisce l’immaginazione emozionale dello spettatore. In epoca Muromachi entra a far parte dello Yuugen.

La capacità evocativa Jojoo è il potere suggesti-

vo: l’ideale poetico è dunque evocare senza esplicitamente esprimere.

Il Vuoto, per esercitare la sua funzione non va riempi-to, ma accettato come tale.

Principio Daoista: “il va-lore di un vaso non risiede tanto nella sua forma quanto nella sua capacità di contenere, ossia nel suo vuoto".

L’estetica giapponese prevede l’artista come un trami-te, in cui trascorrono il senti-mento e l’espressione, più che un creatore ex nihilo: i termini che definiscono la bellezza so-no sempre colorati di uno sfondo affettivo, perché hanno a che fare originariamente con una facoltà emozionale non lo-gica.

Dal MA (la sensibilità estetica giapponese) nasce la verità. Ma è il catalizzatore che fa si che il fatto (KOTO) si tra-sformi in verità (MAKOTO)

“L’identità della verità è la sincerità” Imamichi Tomono-bu.

Il MA di Tokonoma è una distanza spaziale, luogo a parte, spazio sacro.

BO-DO… fare della spa-da e dello zen una cosa sola.

GEI-DO... fare dell’arte e dello zen una cosa sola (GEI-ZEN ICHINYO di Zeami).

SA-DO… lo zen e il tè hanno lo stesso sapore.

Riusciremo a fare dello zen e del bonsai una cosa sola?

Nella teoria della bellezza dell’imperfetto, c’è insufficienza, imperfezione, incompletezza, che derivano proprio dall’enfasi dello Yojoo.

Mancano delle parti,

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delle cose. L’ordine non è apprezzabile.FUKINSEI l’asimmetria fa percepire a

chi guarda le parti incomplete, non cerca la perfezione, non è ostinata alla ricerca della perfezione, così si è liberi dalla forma (DATSUZOKU).

Tutto affonda le radici nell’imperma-nenza buddhista dove il concetto dell’incertezza della vanità di tutte le cose è la negazione del senso di BASTEVOLEZZA, del benessere del mondano.

Qui ottimo è legge-re lo Tsurezuregusa “Pensieri di un Ozioso (Kenko 1283-1350).

Un bonsai che è nella bellezza della teoria dell’imperfezione non ha quindi i rami più o meno disordinati, più o meno precisi, ma è da che cosa derivano, il percorso che porta al risultato che fa “apprezzare la forma”. La suggestione della bellezza

(FUZEI). FUUSHUI elegante e raffinato. KANSO altamente semplice e spontaneo.

“Non deve essere l’imperfezione per raggiungere la perfezione, ma è una imperfezione che supera la perfezione della forma” - Susumo Sudoo.

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Nel parco del castello di Racconigi, insignito del pre-stigioso riconoscimento di Parco più bello d’Italia , in

occasione dei festeggiamenti del 150° dell’Unità d’Italia, verrà proposto il 9 e 10 aprile l’ormai tradizionale evento Ri-torno alle Serre Reali, un appuntamento con la cultura florovivaistica del giardi-no, dell’orto e del frutteto: una grande mostra mercato di fiori, pianti e attrezzi per il giardino nella prestigiosa cornice della Margaria del Castello di Racconigi.

Saranno esposti fiori e piante, erbe aromatiche e medicinali, attrezzi e accessori per il giardino, strumenti per la conservazione e la coltivazione. I mi-gliori vivaisti piemontesi esporranno le più belle collezioni di orchidee, azalee, rododendri, camelie, piante e fiori di montagna, ortensie, rose, glicini in varie-tà, piante acquatiche, peonie, erbacee, pa-paveri perenni, anemoni giapponesi, gerani, violette, piante aromatiche e offi-cinali, arredi per il giardino in ghisa, ferro e ceramica. Attrezzi e tanto altro saranno, grazie anche all’ambiente in cui si svolge, l’impianto di un’esposizio-ne davvero incomparabile.

Dopo il successo dello scorso anno, la rassegna propone all’interno delle reali scuderie un'importante espo-sizione di bonsai a cura di BonsaInsie-me di Carignano. Si terranno lezioni teoriche e pratiche sulla cura dei bonsai e i migliori esperti del settore saranno sempre a disposizione per consulenze e consigli al pubblico. L’associazione è costituita da un gruppo di appassionati bonsaisti, nata nel 1994 con lo scopo di favorire la conoscenza, l’interesse e la pratica dell’arte Bonsai, attraverso la va-lorizzazione delle essenze locali ed eu-ropee. Alla guida del gruppo il prof. Giovanni Genotti, Istruttore IBS, che possiede una collezione tra le più complete ed ammirate a livello naziona-le, composta da circa 400 esemplari.

Saranno in vendita i prodotti della produzione del parco di Racconi-gi: due tipi di formaggio, il Casino del Cacio e il Margaria, uno a pasta rotta e una toma, ottenuti con latte di vacche di razza piemontese, al pascolo nel parco nei periodi primaverile e autunnale; le marmellate e le composte prodotte con il raccolto del frutteto del Giardino dei Principini; il gustoso miele degli alveari

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del parco. Con la manifestazione Ritorno

alle Serre Reali, proprio la serra del Ca-stello di Racconigi, torna ad essere prota-gonista come a metà dell'Ottocento, quando i reali giardini erano i più cele-bri d'Europa per la varietà di piante che vi si coltivavano. La scenografica struttu-ra neogotica voluta da Carlo Alberto fa-rà da sfondo al mosaico espositivo di piante, attrezzi e accessori per il giardi-no e il terrazzo, erbe aromatiche e medi-cinali, prodotti per la conservazione e la coltivazione delle piante.

In occasione del 150° dell’unità dell’Italia saranno aperti in via eccezio-nale la cappella reale e il Reposoir della Regina.

In occasione della Settimana della Cultura il castello e il parco di Racconigi saranno ad ingresso gratuito (solo la manifestazione è a pagamento) con la proposta di numerose attività per tutto il pubblico. In particolare, nel fine settimana del 9 e 10 aprile in castello sa-rà ancora visitabile la mostra Vittorio Emanuele II, il re galantuomo, allesti-mento tra il primo e il secondo piano no-bile della residenza che vuole rievocare, a 150 anni dall’Unità d’Italia, un mo-mento storico fondamentale per il no-stro paese, fornendo un particolare contributo scientifico e documentale attraverso l’esplorazione della vita e

delle vicende del principale protagoni-sta del Risorgimento: re Vittorio Ema-nuele II. L’esposizione, realizzata dal Castello di Racconigi insieme alla Dire-zione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte e alla Fonda-zione DNart, completa il suo percorso a Palazzo Reale di Torino, altra sede espo-sitiva dell’evento, dove si coglieranno i due ulteriori aspetti del sovrano: i capi-toli della storia che lo portarono al tro-no d’Italia e la sua vita privata. Nel parco, il 10 aprile il Gruppo Storico No-biltà Sabauda della Città di Rivoli, pre-senterà il nuovo spettacolo in costume Cera una volta l’Italia che non c’era, un messa in scena itinerante tra il piazzale nord del Castello e la Dacia Russa, per rievocare i 150 anni dell’Unità d’Italia.

Il Gruppo storico Nobiltà Sabau-da nasce a Rivoli nel 1997 in occasione dell’annuale manifestazione C’era una volta un Re. È composto da circa qua-ranta persone che indossano abiti storici molto curati nei particolari e che si pre-sentano con una professionalità che ha consentito loro di ottenere visibilità e notorietà tra i gruppi storici, anche al di fuori dei confini regionali.

Per tutti gli altri appuntamenti della Settimana della Cultura al Ca-stello di Racconigi, informazioni sul si-to internet www.ilcastellodiracconigi.it

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Orario dalle 10 alle 19, ingresso 2 euro. Ridotto: 1 euro (tra i 18 e i 25 anni). Gratuito minori anni 18 e over 65 e possessori della Tessera Musei Torino Piemonte. Il pubblico potrà accedere alla manifestazione, entrando dal cancello centrale della Margaria, al fondo del parco, dove sarà posizionata la biglietteria. E’ previ-sto un parcheggio a pagamento interno al parco con ingresso dal cancello nero. La manifestazione si svolge anche in caso di maltempo. L’edizione autunnale dell’evento, dedicata al Potager Royal è in programma il 25 e il 26 settembre.

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Il primo sabato di Dicembre 2010 si è svolto il terzo Trofeo NBC per gli iscritti al Club. La giornata è iniziata con il sorteggio dei ginepri e la loro assegnazione, il materiale da lavorare (junipe-

rus procumbens var. nana.) è rimasto di loro proprietà.La funzione di questo trofeo oltre a mettere in lu-

ce i progressi che i soci hanno realizzato in questo anno, è servita da stimolo per una comprensione, e partecipazione più attiva alla vita del Club. Ma anche allo scambio di conoscenze ed esperienze relative al bonsai. Il motto di questa giornata è stato “amicizia e armonia attraverso il bonsai”.

Fare bonsai è un'arte che si impara osservando la Natura; questa ci dà delle emozioni che noi riusciamo

TROFEO

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In questo piccolo inserto voglia-mo porre qualche domanda al nostro Gennaro vincitore del III trofeo Napoli Bonsai Club svoltosi lo scorso 4 dicembre. Probabilmente questa è la prima intervista a Gennaro, e noi gli augu-riamo che non sia l'ultima...

Ciao Gennaro, visto che questa è la tua prima intervista, vuoi pre-sentarti ai nostri lettori?

Mi chiamo Gennaro, vivo a Napoli ed ho 33 anni. Lavoro per una società di informatica. E’ curio-so il contrasto che c’è tra lo svolgere un lavoro dove l’oggi è già passato e il coltivare una passione dove la pa-zienza è fondamentale.

Noi che del forum NBC faccia-mo parte, qualche notizia sull'origine e l'evolversi della tua passione per l'arte del bonsai la conosciamo, ma per chi non do-vesse saperne niente, vorresti di-

Quattro chiacchiere conGENNARO EMOLO

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re da dove è partita questa bellis-sima “malattia”?

In passato mi era spesso capi-tato di “imbattermi” in qualche bonsai. Mi hanno sempre affascinato e dopo qualche esperienza negativa (soprattutto per le povere piante), ho pensato che non facessero per me e così iniziai a regalarli a parenti ed amici, così da poterli ammirare quando mi recavo da loro.

Poi nel 2009 ho avuto l’enne-simo “incontro ravvicinato”, ma que-sta volta in un luogo dove i bonsai si mostrano in tutto il loro splendore: il Centro Bonsai Iodice. Mio cognato e Fabrizio (socio del club) mi portaro-no al Centro Bonsai in un caldo po-meriggio di giugno. Quel giorno tornai a casa con una zelkova, un pa-io di forbici e le preziose informazio-ni che Pino e Maurizio, del centro Iodice, mi avevano dato per far cre-scere al meglio il mio alberello, ma soprattutto nelle loro parole avevo percepito l’amore e la pazienza che necessitano queste piante per vivere al meglio nonché l’umiltà che serve per apprendere quest’arte.

Da quel giorno, continuo ad andare ogni sabato al Club e… la mia zelkova è in ottima forma!

Socio del Napoli Bonsai Club, ti sei aggiudicato il III trofeo con una bella interpretazione di una cascata. E dire che il materiale di partenza non era per niente faci-le. Quanto ti ha emozionato vincere?

L’emozione è stata un cre-scendo sin dalla mattina, poiché per me era la prima volta che partecipa-vo, quindi non vedevo l’ora di vive-re questa esperienza che il Napoli Bonsai Club offre ai soci annualmente.

In effetti, non credevo che la mia pianta potesse risultare la vinci-trice, sia perchè, a mio parere, c’era qualche pianta più carina, sia perché non avevo un buon materiale di partenza e soprattutto perché non ero

poi ad esprimere attraverso la creazione delle nostre ope-re in una diversa dimensione. I soci assimilando questa teoria fondamentale, a poco a poco la loro personalità viene sviluppata ed è grazie a questo che si sono formati allievi in grado di creare piante singolari, di livello raffi-nato. Ed è anche in conseguenza di ciò che il nostro Club ha ottenuto riconoscimenti (come il Talento italia-no e la vittoria ad Arcobonsai per Club nel 2010).

I soci con molta serenità e concentrazione hanno iniziato il loro lavoro, con un lieve e rilassante sotto-fondo musicale. In pratica lo stile è stato scelto dal parte-cipante, analizzando e decidendo in base alla loro pianta.

Il premio in palio offerto dal Club, ed assegnato dal Consiglio direttivo è stato una targa ricordo, ed un attrezzo per bonsai, scelto dal socio.

Ed ecco dopo una giornata di lavoro, l’esito conseguito. Tiziana, un eretto casuale con una bellissima base, una zattera che la foto non rende merito, Emiliano con una cascata. Rino una cascata con un bellissimo movimento del tronco, Gennaro con una cascata, Antonio con un eretto informale, Antonio semicascata.

Il Trofeo è stato conferito a Gennaro per aver me-

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andato per vincere, ma per trascorre-re una giornata in allegria, condivi-sione ed amore per i bonsai con i miei amici e soci del Club. La giornata è stata infatti molto di-vertente e rilassante. Lavorare, scambiare opinioni sul tema bonsai e non, mi ha aiutato a conoscere me-glio i membri del Club.

Posso dire che nel mio picco-lo sono orgoglioso di questo premio, ancora oggi, dopo due mesi dalla vittoria, sfoggio con gioia, tra amici e parenti il trofeo conferitomi.

Da quello che vediamo le occa-sioni di incontro al Club sono sempre all'impronta della cordia-lità e amicizia, quanto conta, se-condo te, fare bonsai in un clima del genere per la corretta crescita di ognuno?

Ovviamente è fondamentale. Per la mia, fin qui, breve esperienza nel mondo bonsai, il confronto di-retto, lo scambio di pareri e so-prattutto il contatto umano sono steps fondamentali per la crescita personale, che si riflette nella cresci-ta del gruppo e, nel nostro fortunato contesto, del Club.

Spesso mi capita di leggere sul nostro forum, di persone distanti o che non hanno la fortuna di potersi incontrare in un club, che nutrono ammirazione per le attività svolte nel Napoli Bonsai Club. Questo perché attraverso il forum, con foto, discussioni e documentazione, riu-sciamo a mostrare quanto di buono viene svolto nel club, riuscendo a tra-smettere principalmente il senso di amicizia, umanità ed allegria che mettiamo in tutte le nostre attività.

Io mi ritengo fortunato, perché ho incontrato il Club nell’anno della Kokoro-no Bonsai Ten; questo mi ha permesso di cono-scere le vicissitudini verificatesi in passato nel club, ma soprattutto di vedere l’amore che i soci hanno per quest’arte, e con quanta umiltà e spi-rito di sacrificio hanno permesso la

glio interpretato lo stile scelto, in rapporto anche alla difficoltà del materiale di partenza, ecc. ecc.

Augurandogli che questo sia il primo riconosci-mento di un lungo percorso che lo porti a creare bonsai che comunicano fascino e vitalità.

Una delle cose che mi ha dato maggior soddisfa-zione è che tutti i soci del club sono riusciti a crescere bonsaisticamente. Infatti, quale maggior soddisfazione di quella di vedere, ogni anno la rapida crescita delle capa-cità degli allievi e la conseguente nascita di bonsai artisti-ci?

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realizzazione dell’evento. Il succes-so riscosso dalla mostra ha creato uno spirito di unione tangibile, così tutti insieme abbiamo deciso di intra-prendere un nuovo anno carico di entusiasmo e di iniziative per il Na-poli Bonsai Club.

Prima di chiudere questa, prima, brevissima intervista, ti senti di indicare e ringraziare qualche persona in particolare per il raggiungimento di questo obietti-vo?

La lista sarebbe lunga, perché credo di essere arrivato a que-sto obiettivo apprendendo sia dai va-ri maestri del Club, che pazientemente mi hanno consigliato, insegnato e seguito, ma anche dai so-ci appena arrivati, visto che, così co-me nella vita, tutti possono insegnarci qualcosa.

Non posso, però, non menzio-nare alcune persone, il Presidente ed i soci “anziani”, per il semplice moti-vo che senza di loro questo Club non esisterebbe.Infine un grazie di cuore a Pino Iodi-ce (titolare del Centro Bonsai Iodice, sede del Club) che con immensa ge-nerosità, umanità e disponibilità ci permette di inseguire il nostro picco-lo sogno di portare il Napoli Bonsai Club a livelli sempre più alti.

E' ora di chiudere, ti ringrazia-mo per questa intervista ed augu-randoti che questo sia solo il primo di una serie di successi ti chiediamo un saluto per i lettori.

Grazie a voi per l’intervista e per l’in bocca al lupo! Vi aspetto al Club per conoscerci di persona (sarà facile riconoscermi!!!) per scambia-re due chiacchiere sui bonsai, farci due risate e prendere insieme... na’ tazzulella e cafè!

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Guardando questi lavori che esprimono evidente-mente la personalità di ciascuno, è possibile apprezzare il risultato delle lezioni di teoria e di pratica recepite in questi anni di studio.

In qualità di presidente del NBC desidero rivolge-re i miei più sentiti ringraziamenti a Pino Iodice e a tutti i soci che hanno partecipato, impegnandosi, trascorrendo una giornata piacevole all'insegna dell'amicizia, avendo avuto tutti l'opportunità d'imparare qualche cosa di nuo-vo.

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Il maestro Abe Kurakichi era un uomo di un’altra epoca. E’ trascorso ormai più di un secolo dalla sua nascita, ma ancora oggi i suoi insegnamenti possono essere considerati una pietra miliare nel

panorama bonsaistico mondiale. Egli ha dedicato tutta la sua vita allo studio, alla creazione e alla divulgazio-ne della nobile Arte del Bonsai, tanto da meritare in Giappone diverse importanti onorificenze e da aver avuto il privilegio di curare i Bonsai della Corte Impe-riale per quattro anni.

Il volume “Come creare un bonsai di pino”, stampato in Italia da Edizioni Volonterio, non può e non deve riduttivamente essere considerato un sempli-ce libro di tecnica riguardante il pino pentaphylla, bensì un testo universale da cui apprendere e trarre preziose quanto fondamentali informazioni, che ri-guardano non solo gli aspetti pratici legati alla coltiva-zione, ma soprattutto valori morali e filosofici, di cui troppo spesso ci dimentichiamo o non ne conosciamo le profonde implicazioni. Noi che pratichiamo il

STORIA DI UN MAESTRO DEL PASSATO

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Bonsai siamo purtroppo soggetti all’influenza delle mode, spesso del volere tutto e subito, figli del dio de-naro e vittime della ripetizione, tanto da incorrere nel serio rischio di trascurare alcuni aspetti che dovrebbe-ro essere alla base di una buona formazione.

Il Maestro Abe ci insegna a rispettare il caratte-re di ogni singola pianta, al pari di un essere umano. L’albero diventa quindi un individuo e come tale libe-ro di esprimersi. Il ruolo del bonsaista è quello di metterne in evidenza gli elementi caratterizzanti e al contempo eliminarne i difetti. Seppur apparentemente semplice, un solo errore di valutazione potrebbe compromettere la qualità di un promettente Bonsai. Dobbiamo imparare ad osservare e ed ascoltare il Si-lenzio.

Così all’improvviso emerge l’importanza dello Spazio: nel Vuoto c’è la bellezza. Impariamo che una volta esistevano i rami ”volanti”, i rami “bocconci-no”e quelli spezzati dalla neve. Scopriamo che il jin prima era grigio e si scortecciava solo dopo che il ra-mo si era impregnato per un anno o due di resina e mai da vivo perché sarebbe marcito. Il Maestro impa-rò le forme degli alberi osservando per lunghi anni i pini del Monte Azuma, entrando in simbiosi con essi e la natura circostante.

Studiò con passione e costanza orientale le cortecce, gli aghi, le pigne individuandone e catalo-gando ogni possibile variazione cromatica e struttura-le. Raccolse, con instancabile pazienza, migliaia di semi selezionati da quei pini che avevano le caratteri-stiche migliori e facendone col tempo e la tecnica bonsai di eccelsa qualità.

Ci sarebbe ancora molto da scrivere sulla straordinaria vita di Abe Kurakichi, del suo Maestro Saita Kinsaku, uomo dalle poche parole e dalle molte virtù e del Pino del Tramonto che Incanta, ma non vorrei privare il lettore del piacere di scoprire pian pia-no i segreti di un mondo a noi così poco conosciuto, fatto del sapore delle cose antiche, di rispetto, di atte-se e di Amore, verso il prossimo e verso i nostri si-lenziosi Fratelli maggiori.

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Molti libri che trattano il bonsai sono una sequenza di fotografie che mostrano l’aspetto dell’albero in lavo-

razione scattate da diversi punti di vista, con parti o l’essenza stessa, completa-mente trasformate per giungere poi ad un bonsai estetico. Essi esprimono e dimostra-no la dominanza dell’uomo sulla natura, senza partecipazione. Il risultato delle dimo-strazioni non corrisponde alla albericità pro-pria delle essenze lavorate.

Lo scopo di tali trattati è insegnare l’estetica che non è quella dell’albericità dell’albero ma sicuramente più facile da affrontare non essendo in discussione la personale espressione dell’essenza nel suo equilibrio di vita.

Nel libro di Antonio Ricchiari inve-ce traspare in ogni pagina il rispetto dell’albero, rispetto basato anche sulle co-noscenze profonde delle origini e della spi-ritualità del bonsai che la cultura orientale gli ha dato e che quella occidentale ha interpretato.

Antonio Ricchiari è l’unico che, co-me me, sostiene la naturalezza del bonsai le-gato all’armonia a cui tende la natura. Armonia che il bonsaista cerca di interpreta-re nel bonsai. Per poterla realizzare e tra-smettere nell’educare il bonsai, Antonio indica come indispensabili le moderne co-noscenze di coltivazione ed interventi tecni-

ci basati su un buon approfondimento culturale. Tali argomenti nel libro si descri-vono con prosa scorrevole e si presentano capolavori.

Attraverso la lettura e l’osservazio-ne traspare l’animo dell’uomo che diventa un tutt’uno con la natura intesa come equi-librio dell’espressione della vita che si tra-sforma e si realizza via via con il trascorrere del tempo. La scelta di fotogra-fie delle più diverse piante educate a bonsai ci ricordano come ogni vegetale possiede le proprie bellezze e gli interventi tecnici descritti denunciano l’attenzione al naturale sviluppo dell’essenza. Gli argo-menti si susseguono con ordine piace-volmente presentati e mai superficiali.

Accanto agli indirizzi di centri commerciali, sempre rintracciabili nelle pubblicità, sarebbe stato utile conoscere quelli dei clubs di amatori. Inoltre il libro sarebbe stato maggiormente apprezzato se accanto alla presentazione dei bonsai dei centri commerciali fossero stati presenti collezioni di amatori (vi sono solo due vi-sioni parziali del giardino di Genotti), collezioni che si trovano presso i soci di numerosi clubs e riflettono il bonsai attua-le e reale dell’amatore; pertanto anche la collezione personale dell’autore sarebbe stata molto molto apprezzata non avendola mai riscontrata nei suoi numerosi scritti.

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Riflessioni di GIOVANNI GENOTTI

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Davvero, come dice il caro Antonio Ricchiari, il bonsai crea e rafforza legami d'amicizia. In un mondo in miniatura, ove ogni particolare ha il suo peso, emozioni e sensazioni condivise sfo-

ciano facilmente in un rapporto solido e duraturo.Ho tanti amici, tutti voi, tutti importanti, grazie al bonsai.Ma guai a tradire il bonsai, pretendendo più di quello che -può dare. Consentitemelo, il suo fascino poco si lega al de-naro e ad ogni mistificazione mercantile.Costituimmo l'UBI e, me ne venne l'incarico della presi-denza, o meglio il servizio in quel ruolo, per breve tempo, come sanciva lo statuto. Ottimi compagni i consiglieri e i soci tutti; sicchè il bonsai crebbe e si sviluppò. Senza meri-to alcuno, se non il servizio prestato, nel rispetto di tutti, d-elle regole democratiche, la deferenza e devozione per i

grandi amici italiani e stranieri, sollecitammo e svegliammo i grandi talenti, che ora il mondo intero ci invidia.Ora il bonsai italiano è su una curva pericolosa, in salita per la raccolta di quanto si è se-minato, ovvero in discesa vertiginosa se ci lasciamo attrarre da personalismi aberranti.Che tutti sappiano apprezzare una guida serena, proiettata al futuro, riconoscendo i giusti meriti di un lavoro svolto, e si ridimensionino le ambizioni fuorvianti. Questo per i candi-dati proposti e per i votanti. Buona guida e cartina tornasole è l'umiltà nel servizio.

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Con il termine bonkei (paesaggio in vassoio) s’indica l’arte di comporre un paesaggio in miniatura. Le origi-ni di queste particolari composizio-

ni sono da ricercare in Cina, dove questi paesaggi venivano, insieme al suiseki (le pie-tre paesaggio) associate a tradizioni storiche fi-

losofiche. Facendo un esempio, per i buddhisti il bonkei era associato al monte Shumi, un luo-go sacro considerato da questa religione, il centro dell’universo.

Invece per i credenti del sistema filoso-fico taoista, il bonkei simboleggiava Horai, considerato da questi seguaci il loro paradiso.

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In seguito grazie ad alcuni monaci buddisti, quest’arte fu trasportata dalla Cina al Giappone, dove col tempo si diffu-se e si perfezionò, la maggior diffusione si ebbe dal 13° fino al 15° secolo, periodo storico denominato Kamakura, dove, in questi anni grazie agli intensi scambi colturali che si avevano tra la Cina e il Giappone, si ebbe anche una certa diffusione della filosofia zen che influenzò parecchio questo tipo d’arte.

Lo zen che dava molta importanza alla meditazione, consentiva all’osservatore di tro-vare in questi paesaggi in mi-niatura una carica emotiva di sensazioni interne che lo esalta-va portandolo, a visioni paradi-siache e a immaginare di trovarsi all’interno di queste mi-niature vegetali.

Fu in questi anni che si sviluppò maggiormente insieme con altre forme d’arte, come la musica, la pittura, la calligrafia, il tiro con l’arco, e raggiunse il massimo della perfezione, in se-guito si ebbe un calo d’interesse verso il bonkei, perché i nobili s’interessarono maggiormente ad altre forme d’arte come il bonsai, la scrittura, la danza, o alle arti marziali e il bonkei venne un attimo abbandonato, fi-no ad arrivare alla meta del 19° secolo dove quest’arte rifiorì, diffondendosi assieme al bonsai anche nei paesi occidentali.

Con enorme dispiacere devo dire che da noi questo stile è utilizzato da pochi appassio-nati e, in alcune scuole dove s’insegna bonsai, non è neanche trattato: probabilmente perché il bonkei non fa tendenza. Chi di noi, durante una gita o un soggiorno in qualche località di villeggiatura, non si è imbattuto in uno scorcio particolarmente bello per le sue forme o colori e avendo magari la fotocamera non si è soffermato volentieri a scattare qualche foto?

Ed ecco che il bonsaista vorrebbe poter ricreare gli stessi elementi scenici, per poter gode-re in qualsiasi momento dell’anno i diversi aspetti di uno scorcio naturale da annoverare nella sua collezione.

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Un requisito di base per ottene-re bonkei di grande effetto, oltre a quelli noti necessari per fare bonsai, è avere l’occhio allenato e sensibilizzato a rilevare le bellezze della natura, a os-servarla in tutti i suoi aspetti nell’arco delle quattro stagioni, riuscire a indivi-duare anche in lontananza la forma ti-pica delle varie essenze, in particolare capire la prospettiva, il senso di pro-fondità e della proporzione, come se fossimo pittori che vogliono rappre-sentare il tutto in un quadro.

Il progetto in se stesso come po-tete capire è abbastanza avvincente e complesso, tuttavia con un po’ d’abili-tà appresa nel praticare l’arte del bonsai, una certa passione, e molta pa-

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zienza e perseveranza, si potrà realizzare la mi-niatura di un paesaggio in vaso.

MATERIALE NECESSARIO

La prima cosa da fare sarà di trovare una roccia o pietra avente una forma adatta, in genere si preferisce una forma “a montagna”, questa de-ve presentare delle fessure o delle nicchie per ospitare le pianticelle, se queste dovessero manca-re o essere troppo piccole, si dovrà intervenire meccanicamente, per primo con martello e scalpello e se necessario in un secondo tempo con un trapano avente montato sul mandrino una mola abrasiva.

Personalmente uso, mole di carburo di sili-cio (un minerale abrasivo molto aggressivo), in questo modo si potranno allargare le piccole fessu-re con discreta facilità, le quali potranno ospitare con più agio l’apparato radicale delle piccole piante. In queste fessure si fisserà del filo metalli-

co con dei piombini (ottimi quelli da pesca) ne-cessario in seguito ad ancorare gli alberelli. E' necessario che le essenze arboree posseggano un apparato radicale contenuto e quindi in prece-denza preparato prima di essere utilizzate.

L’IMPORTANZA DEL TERRENO E DELLE RADICI

Le radici non dovranno essere fittonanti e suddividersi notevolmente per riuscire a penetra-re in tutti gli interstizi della roccia e aderire in se-guito ad essa.

Tutte le conifere e le latifoglie oltre alle piante arbustive potranno essere utilizzate senza difficoltà, cercando di scartare quelle a foglia grande, un’attenzione particolare si avrà per le essenze acidofile (tipo azalee, eriche, piccoli ro-dodendri ecc.) che dovranno essere collocate su una roccia non basica né calcarea, avendo cura di usare un terriccio idoneo.

Nella realizzazione di bonkei una cosa

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importante e fonda-mentale sarà la prepara-zione del terreno, perché è questo che do-vrà aderire agli anfratti rocciosi e avere una consistenza tale da poter essere malleabile con buon potere adesivo, non friabile ma allo stes-so tempo drenante.

Sappiamo tutti che dal Giappone è importato un terriccio ottimo a questo scopo, ma non me ne vogliano i commercianti, perso-nalmente ho messo a puntino un’ottima mi-scela molto funzionale e che da anni sperimento con successo. Il tutto è

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costituito dal 30% d’argilla naturale, 30% di sfagno (muschio molto alto) sminuzzato gros-solanamente, 30% di terriccio universale (terreno acidofile per le piante che lo richie-dono) e 10% di sabbia di fiume o di cava. In un contenitore di plastica si miscela il tutto con acqua fino a ottenere un impasto omoge-neo e sufficientemente malleabile, che io chiamo “MUSCARGITE” dall’abbreviazione di: muschio, argilla, terra (musc-argi-te).

Una volta ottenuto quest’impasto, con una spatola a punta conica arrotondata si spingerà quanto basta di questo terreno all’interno dei fori e delle nicchie, lasciando lo spazio necessario a ospitare l’apparato ra-dicale dei futuri ospiti. Subito dopo si co-mincerà a disporre le pianticelle nei punti in precedenza stabiliti e si legheranno con il filo metallico per ancorarli alla roccia, si copri-ranno le radici con altra “muscargite” pre-mendo bene con le dita per riempire i vuoti e farla aderire alle radici e alla pietra.L’impasto di terriccio potrebbe indurire es-siccando, ma grazie ai filamenti del muschio (sfagno) disposti nel substrato che, come un intreccio, impediranno il fenomeno e permetteranno all’ossigeno e soprattutto all’acqua e ai fertilizzanti di penetrare senza difficoltà. In questo modo le radici non soffri-ranno d’asfissia e si svilupperanno lungo le fi-

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bre dello sfagno e riceveranno dal terriccio la giusta dose di sali nutritivi necessari per una buona crescita.

L’impasto della “muscargite” può debordare in alcuni punti della roccia, formando rigonfiamenti che renderanno molto naturale le troppo piccole cenge sulle quali s’impiantano gli albe-relli. Non sarà necessario imbrigliare il terreno che deborda, con nessun accorgimento. E' buona cosa ricoprire la “muscargite”con muschio basso e vellutato, che renderà il tutto esteticamente più verosimilmente naturale.

LE PRIME CURE NECESSARIE

Per i primi due tre mesi dalla strutturazione il bonkei sarà innaffiato con un leggerissimo getto di acqua assolutamente tutti i giorni, se necessario anche due volte e, per permettere un buon attecchimento si riparerà dal sole diretto nebulizzando sovente, in seguito si potrà esporre al sole per qualche ora.

Ricordatevi che alcuni tipi di bonkei sono generalmente

posti in vassoi senza fori pertanto l’acqua che si fermerà sul fondo considerata preziosa, sarà assorbita dalla roccia sa-lendo per osmosi mantenendo una salutare e discreta umidità.

All’inizio del terzo me-se si potrà cominciare blanda-mente con del concime liquido disciolto nell’acqua dell’an-naffiatura, per tutto il resto trattatelo alla pari degli altri bonsai.

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orgoglio toscano

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CONSIDERAZIONI SUL MATERIALE

Sono state svariate le considerazioni che mi hanno portato a scegliere questo araki. Le proporzioni del tronco: tozzo con una buona base apprezzabile nella sua totalità, interessanti mo-vimenti dei percorsi linfatici con un jin posto in una ottimale posi-zione.

La qualità della vegetazio-ne, frutto di due stagioni di colti-vazioni mirate all’ottenimento di una chioma ramificata e suffi-cientemente densa da poter pro-porre una realizzazione quanto più completa possibile.

La mole del lavoro da

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svolgere, in quanto in queste dimostrazioni si la-vora rigorosamente a tempo; occorre quindi pia-nificare successione e tempi delle operazioni che andremo a fare sull’albero ed avere il tempo sufficiente alla fine prima della mo-dellatura, da fare nel modo più accurato possibi-le.

Questo cipresso, a mio parere, se affrontato con la giusta concentrazione e produ-cendo una notevole mole di lavoro, poteva esse-re una stimolante sfida… secondo me le

potenzialità c’erano e quindi la scelta era fatta!Il cipresso terminava con un ten-jin inte-

ressante ma che produceva una controconicità poco più sotto dove il tronco si divideva, ma un’attenta analisi della proiezione del tronco osservato dal suo fronte avrebbe ovviato al pro-blema, e il disegno della chioma, nella sua suddivisione, avrebbe coperto proprio quel punto antiestetico.

Nel mese precedente alla lavorazione ho somministrato settimanalmente concimi fo-

gliari al fine di mantenere alto il vigore della pianta per poterle fare passare velocemente il naturale “rallentamento” post lavorazione.

La pianta è stata annaffiata fino a cinque giorni dalla manifestazione per farla arri-vare alla lavorazione con i tessuti elastici ma

abbastanza asciutti.

REALIZZAZIONE Per la realizzazione è stato interessante

seguire il naturale carattere che emergeva dall’essenza.

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L’inclinazione naturale del cipresso è stata ottimizzata, dando la priorità esclusivamente alla proiezione del tronco. La ve-getazione aveva diametri di cre-scita pressoché uguali su tutti i rami principali e quindi non avendo obblighi dati dai rami stessi ho osservato il tronco da tutte le angolazioni e inclinazio-ni possibili, scegliendo poi il fronte che a me piaceva di più.

La parte iniziale di tutti i rami primari è stata meticolosa-mente rafiata. Tutta la vegetazio-

ne è stata legata e posizionata per la modellatura.

Il risultato propone un buon impatto visivo, delle buo-ne proporzioni ed un buon dise-gno d’insieme.

Il cipresso, così lavorato si è aggiudicato il premio So-Sa-ku demo award, Roma 14-15 Ottobre 2006.

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come creatore di spazio ed equilibrio, nella rappresentazione paesaggistica... e non solo

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"Che strana creatura l'essere umano: brancola nel buio con espressione intelligente!" - Kodo Sawaki Roshi

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FLUSSO

...flusso, nello Shiatsu: "tra interno ed esterno, tra Yin e Yang, tra il vuo-to (Kyo) ed il pieno (Jitsu), tra il caldo ed il freddo".

...flusso luminoso come intensità, luminosa.

...flusso, ascensionale, discensionale, nella musica.

...flusso di energia come qi, ki, prana, che collega tutti gli oggetti pre-senti nell'universo.

...flusso e vuoto nella scrittura e nella pittura Sumi (Shu Fa, Shodo...)

...flusso di coscienza (stream of consciousness) è parlare o scrivere quello che ti viene in mente così: idee che fluiscono liberamente, collegate da un filo sottile; prima di ogni riorganizzazione compositiva. Collegamenti di idee generati da sensazioni e sentimenti, a loro volta risvegliati dal pensiero precedente, pescando nello sconfinato ed a volte sorprendente calderone dei ri-cordi.

IL FLUSSO DI COSCIENZA FUNZIONA...."anche quando ti pare di non aver niente da dire, qualcosa la scrivi lo

stesso".

Le linee di flusso... Il percorso del flusso visivo... Flusso direzionale dei punti di forza...

...Flusso direzionale discenzionale dell'acqua... Furyu: il flusso del vento...

IL FLUSSO DI COSCIENZA PORTA AD UN PIENO DISORGANIZZATO.Nel suiseki, il flusso ascensionale o discensionale porta ad un vuoto.

Non esattamente statico, ma regolato da una alternanza di pieni e vuoti: un ritmo.

Come scrive Antonio Ricchiari: il design nel bonsai (nel suiseki) è ritmo e flusso: non deve essere nè monotono nè caotico.

L'Estetica (da: sensazione & percezione mediata dal senso) come parte della filosofia occidentale, si occupa della "conoscenza del bello naturale e arti-stico" e noi siamo soliti applicare le sue "regole" al suiseki ed al bonsai, se-condo i criteri classici antichi e moderni (canoni di prospettiva, asimmetria controllata dalla Regola Aurea, dalla Sequenza Fibonacci etc.).

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Ma il prof. Giangiorgio Pasqualotto, insegnante di Storia della Filosofia all'Universi-tà di Padova, in " Estetica del vuoto. Arte e me-ditazione nelle culture d'Oriente", scrive:

"...non si può parlare, a rigor di termini, di "Estetica orientale" perché, almeno nell'ambi-to della civiltà cinese e di quella giapponese, non si è mai avuta, come in Occidente, una disciplina (spesso dotata anche di pretese scientifiche) chiamata «Estetica». Solo di re-cente, in seguito a massicci processi di occi-

dentalizzazione, si è avuto qualche tentativo di lavori definibili come contributi di «Estetica» nel senso usato dalla tradizione filosofica occi-dentale.Vi sono tuttavia ragioni più profonde per le quali l'estetica come specifica disciplina filoso-fica non è sorta all'interno della civiltà cinese e di quella giapponese. È da ricordare, prima di tutto e in generale, che entrambe queste ci-viltà non hanno mai posto né sviluppato quella differenza radicale tra teoria e pratica che ha

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invece segnato - in negativo e in positivo - pres-soché tutta la cultura occidentale: per il pensie-ro cinese e, poi, per quello giapponese, ogni idea è già un'azione, ed ogni azione possiede in sé energia e valore spirituali. "

..."Parlare dunque di Estetica nel senso di «teoria» o di «scienza del bello» non ha in questi orizzonti di pensiero alcun significato, perché in essi non è ritenuta reale una situazio-ne in cui vi sia, da una parte, una bellezza da contemplare o da creare e, dall'altra, un soggetto che la contempla o la crea. Anzi, per il pensiero cinese e per quello giapponese (pragmatici e talvolta addirittura empirici, mai comunque metafisici), «bellezza» in generale come idea non esiste.In realtà, per la cultura cinese e giapponese «bello» può essere per esempio anche qualcosa di oscuro, di malinconico e di indefinito - co-me nel caso dello yugen - senza che per questo si possa concludere che la bellezza coincide con l'oscurità, la malinconia e l'indefinito, e di conseguenza senza che si possa passare a formulare un'estetica della malinconia o dell'indefinito. Ciò significa in generale che, a differenza di quanto è avvenuto lungo quasi tutta la storia del pensiero occidentale, in Cina e in Giappone (almeno, per quanto riguarda le tradizioni qui considerate) non si è mai sentito il bisogno di «sistemare» le esperienze in qualche teoria e, di riflesso, non si è mai avvertita la necessità di sistemare in qualche teoria estetica la pluralità delle esperienze esteti-che."

<Questa assenza di teoria non è stata affatto considerata come una mancanza di teo-ria o come incapacità cronica di pensare in termini astratti e in forma sistematica e metodi-ca: al contrario, si è sempre ritenuto che pro-prio i tentativi di elaborare teorie finiscano per limitare le esperienze abbassandone la qualità e diminuendone l'intensità.

Questo tipo di rapporto, almeno per

quanto riguarda la civiltà giapponese, ci sembra sia stato efficacemente messo a fuoco da uno dei maggiori esperti italiani di cultura giapponese, (n.d.r. Gian Carlo Calza, docente di Ca' Foscari): "La civiltà giapponese è un ri-cettacolo di mezzi toni e sfumature, di spazi vuoti che non vanno subito colmati ma goduti come sono, di un'infinità di arti che hanno co-me scopo non il prodotto estetico ma l'atto che arricchisce il rapporto. Rapporto con le perso-ne, rapporto con la natura, rapporto con le co-se.">

Giangiorgio Pasqualotto cita inoltre, nel suo libro, un pensiero di Cheng Yao tian, calli-grafo della dinastia Ching, sulla padronanza del vuoto:"....È proprio grazie al Vuoto che sole e luna si muovono, che le stagioni si succedono; è da es-so che procedono i diecimila esseri. Tuttavia il vuoto non si manifesta e non opera se non me-diante il Pieno".

Sì, il "Flusso" del ciclo ripetitivo delle stagioni che determina i cambiamenti che avvengono in natura, assieme alle forze invisi-bili che creano la forma di un albero, la forma di una montagna o una pietra ed all'energia che crea la vita ad ogni sua forma, sono i tre ele-menti che la visione giapponese della natura, identifica come parte di un regno totale cosmi-co, dovuto all'esistenza di un potere spirituale e riferentesi all'antica parola: "Musubi" lette-ralmente " nascita spirito", basata sul concetto di una vita che si genera spontaneamente. (da Martin Pauli).

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"VUOTO & PIENO"Il concetto estetico di vuoto e pieno,

nel giardino cinese, appartiene all'era moderna a seguito di influssi occidentali (vedi: pieno= shi; vuoto=xu ne: " da: l'architettura dei giardini cinesi" di Ma Zhongping 1988). A partire dalla fine del periodo Ming (1600) infatti, il labirinto, fondato in particolare sulla moltiplicazione di strutture architettoniche, diventa elemento primario con l'arrangimento spaziale di una serie ininterrotta di zone piene e zone vuote ove regna la compenetrazione degli spazi...

In Giappone, secondo il prof. Pasqualotto, il "vuoto" assume il significato di "condizione di possibilità di tutti gli eventi"; e' un "non concetto". Non è " il nulla" e neppure il "non essere": è inscindibile dal pieno e sta alla base di tutte le cose: l'arte orientale ne fa il perno della propria espressività. Ma il Vuoto è in realtà un non-concetto che è possibile capire soltanto nella meditazione. Il buddhismo zen insiste molto sul fatto che la disquisizione teorica debba lasciare il posto all'esperienza pratica, focalizzata sulla pratica della meditazione: difficile se non impossibile teorizzarvi sù, se non si intraprende una impegnativa e profonda esperienza meditativa, assai poco professata, dalla maggior parte di noi.

Osservazioni buddhiste sul vuoto e sulla vacuità, basate sull'esperienza Zen, tolgono sostanzialità e permanenza agli oggetti, all'io, ai pensieri fino al pensiero del vuoto. Ottuso è interpretare il vuoto semplicemente come un nulla,.invece di uno spazio che, fuori e dentro di noi, "si espande, in modo che l'osservatore possa meditare o fantasticare nella sua solitudine, permettendogli di assaporare la bellezza del nulla; penetrando il significato del vuoto." (vedi: Keido).

Il prof. Pasqualotto ricorda come questo,

tuttavia, non significhi che il buddhismo zen ha l'ingenuità di ignorare la discussione teorica: al contrario, antichi testi ne dimostrano una conoscenza profonda, tale da prospettarne il superamento e mostrando i limiti dell'esperienza teorica. " Il rapporto con la realtà", egli nota "è quindi preferito al rapporto con i concetti, o almeno con quei concetti che pretendono di sostituirsi alla realtà.”

Torrente asciutto.... una ruga profonda nella texture di una pietra paesaggio. Una ferita lentamente erosa nella montagna, da innumerevoli stagioni piovose o dal disgelo.

KATTE: IL FLUSSO.Flusso direzionale implicito di un

suiseki... anche flusso dell'acqua di un torrente che non c'è; ma che tornerà ad essere ed a sparire, con l'alternarsi eterno delle stagioni.

scrive Sato Teiseki, mercante e posatore di pietre: "Penso al ritmo del Katte hidari (pietra che verrà calpestato con il piede sinistro) e del migi Katte (pietra che verrà calpestata con il piede destro) quando sono alla posa di pietre"...

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www.tiberiogracco.it

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"Woody Woodpecker" Marco TarozzoBonsai Creativo School-Accademia

www.bonsaicreativo.it

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Spesso mi accade che quando vedo una pianta e non capisco nulla di quel che ho da-

vanti, la pianta stessa entra a far parte del mio giardino.

Ecco, questa è la storia di un ginepro che è arrivato nel mio giardino proprio per que-sto motivo.

Ricordo come fosse ora ciò che pensai quando andai a trovare un amico che mi disse di aver preso 5 piante di Junipe-rus Chinensis in un vivaio spe-cializzato, “ma che cavolo può uscire da dei prebonsai di que-sto tipo?”

Come si può vedere dalle foto 1 e 2 l’albero ha un portamento diritto e cilindrico per i ¾ della sua lunghezza, i ra-mi sono anch’essi diritti e ci-

lindrici e posizionati tutti nel terzo finale della lunghezza del tronco; l’unica cosa interes-sante è lo shari che parte dalle radici e sale quasi fino all’api-ce.

Dopo circa un anno di coltivazione ho deciso che, vi-sta la reazione alle concimazio-ni e alle cure per farla riprendere dallo stato pessimo in cui si trovava al momento dell’acquisto, sarei intervenuto per vedere che cosa si “na-scondeva” dentro quel ginepro.

Ho iniziato con la puli-zia del tronco e dei rami per ve-rificare se esistevano dei ritiri di linfa che potevano darmi la possibilità di movimentare il tronco lavorando la legna secca, e quindi assecondare il progetto che avevo in mente;

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con lo spazzolino in acciaio, "un'unghia" ricavata da uno stru-mento da dentista e della carta vetrata ho iniziato il paziente ma necessario lavoro di pulizia.

Il ginepro dopo le fasi di pulizia e di evidenziazione delle vene linfatiche si presenta-va come si può vedere nelle fo-to 9, 10.

A questo punto, con l’au-silio di frese manuali, con lo scalpello e un martello ho agito sulla parte di tronco dritta e tu-bolare andando a enfatizzare lo shari, ho provocato quindi uno svuotamento ed un foro che ho successivamente allargato per rendere meno monotono quella parte e per dare il senso di una

pianta vissuta, preda degli agenti atmosferici e trau-matizzata da agenti meccanici naturali.

Successivamente, ho operato una prima modellatura senza pulire molto la vegetazio-ne perché l’abero aveva subito una scortecciatura abbastanza importante per aumentare gli shari e il sabamiki e delle pie-ghe dei rami certamente non gentili; in questa fase, che era di primo step, m’interessava quindi solo l’abbozzo della forma del verde e non la defini-zione.

Nella foto 16 si può ve-dere la pianta in primavera inoltrata dopo il trapianto in un

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contenitore più piccolo di quello di coltivazio-ne. Durante tutta la stagione vegetativa il gine-pro ha goduto di concimazioni abbondanti e lunghe giornate in pieno sole, questo ha facili-tato la sua ripresa e lo scarto dei rami è stato pressoché nullo.

Ora era arrivato il momento di rimetterci le mani per avvicinarsi in maniera notevole al progetto che avevo in testa sin da quando ho ini-ziato a lavorare il legno e gli shari.

L’idea era quella di fare uscire il caratte-

re del ginepro andando a enfatizzare le caratteri-stiche della specie; è noto a tutti che il ginepro è una pianta che vive in luoghi molto impervi e non è affatto raro trovare degli esemplari che vi-vono a stento e sono ridotti all’osso; ecco quindi che dovevo per forza togliere tanta vege-tazione e drasticizzare molto l’albero per renderlo più naturale.

L’occasione mi fu posta davanti quando andai alla manifestazione “Sotto il cielo d’inverno…” tenutasi al museo Franchi di Pe-

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scia, lì c’era infatti un appuntamento accademi-co della Bonsai Creativo School-Academy con un seminario con il M° Suzuki.

Quando arrivò il mio turno di presentare il progetto al maestro non riuscii a farmi capire bene, non lo vidi molto convinto e infatti mi dis-se di procedere con il lavoro senza tagliare l’api-

ce perché per lui la pianta doveva rimanere alta. Beh, io ero convinto di quanto avevo in te-sta ma operai come lui mi aveva indicato.

Quando ripassò da me per vedere come procedeva il lavoro gli spiegai con più calma e con l’aiuto di un disegno il progetto, mi diede ragione e potei quindi procedere senza il timo-

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re di andare in contrasto con il Mae-stro.

Alla fine, vedi foto 21, anche il Maestro fu soddisfatto come me del lavoro eseguito.

Ora un’altra stagione di conci-mazioni e pinzature per migliorare il verde e poi il posizionamento in un bel vaso italiano by Tiberio Gracco.

Ah, dimenticavo, qualcuno si sarà chiesto perché Woody Woodpe-cher?

Beh facile, guardate il Jin api-cale…. buon bonsai

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X° SO-SAKU BONSAI AWARD - Arcobonsai 6-7-8 Maggio 2011

Bene, al di là di ogni aspettativa, sono pervenute numerose iscrizioni alla X° EDIZIONE

DELLA SO-SAKU BONSAI AWARD che si svolgerà in occasione della XXVI EDI-ZIONE di Arcobonsai. Purtroppo non tutte le richieste sono state accettate per mancanza di spazi espositivi e per questo ci scusiamo con quanti hanno dato il loro contributo inviando le richie-ste di partecipazione.

Inaspettatamente, sono pervenute e continuano a pervenire richieste di partecipazione e queste, secondo il regolamento pubblicato da tempo, risultano fuori termine per la selezione.

Il 31 Gennaio 2011, data di scadenza ha dato il via alla seconda fase, quella della realizzazio-ne del book fotografico che sarà inviato al M° Kimura Masaiko che assegnerà il I° riconoscimento in occidente per il bonsai contemporaneo.

Il book, oltre alle immagini degli esemplari in concorso, contiene un breve reportage che illu-stra la storia per il raggiungimento di questo riconoscimento, la sede che ospita la X° edizione del premio per autori d'arte bonsai e la realizzazione del trofeo.

...Quelli della BONSAI CREATIVO, spe-rando di fare cosa gradita ai lettori del magazine, intendo-no dare anticipazioni della copertina del book e del trofeo che sarà assegnato, auspicando sia un ulteriore contributo alla crescita del bonsai italiano.

Colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che hanno reso realizzabile questo progetto divulgativo: in pri-mis il M° Kimura Masaiko, Massimo Bandera per la collaborazione, la Sig.ra Sawa Nakamura per le tradu-zioni, Gabriele Sbaraini e lo staff di Arcobonsai per averci concesso l'opportunità di svolgere l'evento in una sede tanto prestigiosa quanto nota, Silverform per la rea-lizzazione dello splendido premio essenziale e rappre-sentativo, Printer S.r.l. per la realizzazione del book fotografico, Il Napoli Bonsai Club Forum, Bonsai & Suiseki magazine per la pubblicizzazione dell'evento.

A tutti gli aderenti un vero ringraziamento di cuore per il contributo che hanno dato con la presenza delle proprie opere.Grazie!Sandro Segneri

NEWS

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NEWSUNA GRANDE FAMIGLIA CHE CRESCE!

...Quelli della Bonsai Creativo School, a braccia aperte danno un affettuoso benvenuto a tutti i nuovi allievi e alle nuove sedi costituite. Quattro sono le sedi che si aggiungono a quelle esi-stenti e così diventano venti. CERRETO GUIDI, LIVORNO, CATANZARO, PI-STOIA ed il terzo corso base decolla nella sede di Napoli .

Ai coordinatori Francesco Santini, Davide Lenzi, Cosimo Fragomena, e Roberto Ra-spanti, auguriamo un proficuo lavoro, ai neo allievi un percorso di conoscenza e successi.

W BRUNO, IL TALENTO BCS 2011

In Aprile in occasione del Congresso Na-zionale UBI, come consuetudine si svolgeranno le selezioni del Talento Italiano, al caro Bruno Proietti Tocca diamo il nostro sostegno nella certezza che la sua semplicità e capacità saprà rappresentarci degnamente.

"In bocca al lupo Bruno! "

...nel prossimo numero:

"NIGHT AND DAY"ultima opera di Sandro Segneri

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Iniziamo per una volta dal cuore dell'intervi-sta, raccontaci subito come ti sei sentito appe-na proclamato nuovo istruttore IBS.

Sono sempre stato schietto e sincero ed anche questa volta lo sarò. A dire la verità non è che ho provato chissà quali emozioni, mi sono sentito semplicemente soddisfatto e contento in quanto avevo raggiunto una gratificazione persona-le al termine di un percorso didattico formativo.

Prima di ritornare sull'argomento principale, ci racconti qualcosa del Rocco nel suo pri-vato?

Rocco è un ragazzo tranquillo, spesso taci-turno, riflessivo e concreto che quando si mette in testa un obiettivo lo deve raggiungere quindi un de-terminato che sa quello che vuole e come raggiungerlo.

Una delle cose che mi hanno colpito di te è l'apparente contrasto tra la “rigidità” del tuo lavoro ed il senso di libertà che esprimono le tue piante, anche secondo te Rocco Ciccia-rello ha due anime?

Assolutamente si, quando sto insieme ai miei pargoli, sono un’altra persona sicuramente molto lontana, ed aggiungo fortunatamente, da quella che conoscono nell’ambiente lavorativo.

Tornando sempre al tuo lavoro, immagino che il tempo che ti rimane da dedicare alle tue piante non sia moltissimo, occupartene è un impegno o ancora un piacere?

E’ un piacere personale e difficilmente me ne priverei… se fosse stato un impegno e quindi un qualcosa di opprimente o stressante non lo avrei fatto. Più che piacere, però, direi meglio che è passione pura !!!

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Il panorama bonsaistico Siciliano è tra i più promettenti, talento italiano lo scorso anno, due nuovi istruttori IBS quest'anno, un gran numero di club attivissimi, secondo te, a che li-velli può arrivare il bonsai nella tua Regione?

Beh che la Sicilia sia terra ricca di talento in tutti i settori non è una novi-tà e non lo devo dire certo io e anche nel bonsai ha già sfornato personaggi che hanno detto la loro nel panorama Nazio-nale ed Europeo quindi il bonsaismo Si-ciliano direi che è già a buon livello in tutti settori, dai materiali raccolti al li-vello qualitativo e tecnico degli addetti ai lavori, i quali proprio negli ultimi anni, grazie alle presenza delle diverse scuole bonsai, stanno crescendo davvero velocemente. Io personalmente penso di esserne un esempio. Infatti da autodi-datta non credo, ad esempio, sarei riusci-

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to a crescere sino a sentirmi pronto a sostenere l’esame da IBS.

In Sicilia, e lo dico con schiettezza e con un piglio volutamente polemico nonché con la consapevolezza che in molti si irrigidiranno, da quello che ho potuto constatare, ci sono potenziali-tà incredibili che se solo fossero mentalmente predi-sposte e propense allo scambio ed alla crescita ovvero se solo riuscissero a mettere da parte la pre-sunzione, che contraddistingue il siciliano medio, quindi si dimostrassero un po’ più umili e scendes-sero dal piedistallo dove si sono autoposizionati fa-rebbero faville.

Infatti vedo spesso super materiali, lavorati più o meno bene, che vengono presi ad esempio co-me grandissimi capolavori dalla massa, quando invece mancano di rifinitura e manutenzione mi-rata all’invecchiamento ed alla stabilizzazione in vaso, vedo spesso bonsai maturi non correttamente cimati o concimati come prebonsai in formazione, insomma errori gravi che denotano lacune nella formazione di base….Infatti per me è proprio que-sto il settore in cui i bonsaisti siciliani della nuova generazione, a mio modesto avviso, devono concentrare gli sforzi e le attenzioni future. Quando mi chiedi dove può arrivare il bonsai in Si-cilia beh, come già detto, ritengo che ci siano po-tenzialità enormi che devono essere sapientemente indirizzate e solo quando si raggiungeranno de-terminati livelli di coltivazione e manutenzione si potrà tranquillamente aspirare a traguardi ambizio-si. Fino a quel momento saremo, come giusta-mente hai scritto, solo “Promettenti”. Mio personale pensiero ovviamente!!!

Torniamo ancora alla tua nomina ad Istrutto-re IBS, la vivi più come il raggiungimento di un obiettivo o un nuovo punto di partenza?

La vivo come il raggiungimento di un tra-guardo personale ed al contempo un nuovo punto di partenza in quanto ho già percepito, dalle do-mande che ricevo, che da me adesso ci si aspetta sempre qualcosa in più… io ci proverò, vediamo cosa riesco a fare per non deludere le aspettative.

So già comunque che sarà dura mantenere il passo!!!

Ancora sullo stesso tema, cambierà qualcosa ora nel tuo modo di approcciare i tuo allievi?

Non ho allievi quindi non so cosa risponde-re, magari tra qualche anno .

Cambiamo decisamente argomento racconta-ci com'è il Rocco bonsaista.

Metodico, pignolo, attento e scrupoloso. Cerco di curare i dettagli sempre e quando sba-glio… beh meglio che mi si stia lontani per qualche ora….

Considerando i materiali che la tua regione offre, sarebbe facile immaginare una tua pro-pensione per le latifoglie, è effettivamente co-sì o hai altre preferenze?

Si ho iniziato proprio con le latifoglie ed ho continuato con i materiali yamadori che la Sici-lia offre quindi prevalentemente latifoglie, ma non disdegno le conifere autoctone quali i ginepri co-muni, fenici e cipressi. Se proprio devo scegliere, comunque, preferisco le essenze mediterranee per eccellenza quindi prevalentemente latifoglie nono-stante ci voglia tanto tempo per costruire una buo-na struttura rameale.

Il bonsai è una delle arti più dinamiche per eccellenza, nella tua bonsai do, a che punto pensi di essere?

Al primo gradino di una lunga e ripida sca-linata.

Da più parti si sente parlare sempre con maggiore frequenza di “avanguardia”. Tu pensi che il bonsai debba rimanere fedele alle sue origini o è arrivato davvero il momento di dare una svolta anche estetica ed alle rego-le di base fin'ora universalmente accettate?

Penso che ogni tanto evadere dalle regole sia lecito specie se si è ormai arrivati a quella fase evolutiva della propria bonsai do in cui si sente la necessità di creare artisticamente qualcosa di di-verso ovvero si è giunti alla fase SO ma un occhio alle regole classiche bisogna sempre tenerlo.

Nel tuo percorso formativo una parte rile-vante l'ha occupata Michele Andolfo, oltre lui, hai avuto altri maestri che hanno lasciato il segno?

Altri Maestri no, diciamo che ci sono state altre persone, a me vicine, che mi hanno trasmes-so qualcosa sia in termini di esperienza che di tecnica e gliene sono grato.

Passando ora dalla parte dell'allievo a quella dell'istruttore, cosa vorresti lasciare in ognu-no dei tuoi allievi, e cosa vorresti che ognuno di essi pensasse di te?

Mi piacerebbe riuscire a trasmettere qualcosa di concreto, una metodologia di lavoro, lasciando poco all’improvvisazione ed all’appros-

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simazione senza però limitare l’estro creativo. Mi basterebbe che pensasse che sono in grado di spie-gare e trasmettere qualcosa.

Da buon frequentatore di internet e dei fo-rum, quanto pensi che questi strumenti possa-no essere d'aiuto a chi vuole fare bonsai e quanto fuorvianti?

Utili sono utili e si può apprendere tanto da

quello che viene pubblicato su questi mezzi, fuorvianti lo possono essere se non si pondera be-ne ciò che viene proposto, tutto dipende dalla perspicacia del singolo….

Nella formazione di un neofita, pensi che una fase da autodidatta possa essere utile o è meglio affidarsi sin da subito ad un istrutto-re?

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Personalmente non ho avuto una fase da autodidatta, ho subito ini-ziato un percorso didattico formativo quindi, per la mia esperienza perso-nale, non posso non consigliare a tutti i neofiti di affidarsi sin dai primi passi ad una persona esperta che sappia curare la loro crescita dal punto di vista tecnico ed estetico.

Sempre a proposito di istruttori, a tuo avviso quali dovrebbero es-sere le qualità fondamentali che deve possedere un buon istrutto-re?

La pazienza, la serietà di intenti e la correttezza oltre che un baga-glio tecnico di prim’ordine.

Chiedo anche a te quello che ho chiesto a molti altri amici, ultima-mente sembra che si possa fare bonsai di qualità solo ed esclusiva-mente se si hanno tra le mani piante dai prezzi esorbitanti. Pensi che questo corrisponda al vero, o la qualità si può estrapolare anche dai materiali più “poveri”?

Certo che si può fare bonsai di qualità anche con materiali co-siddetti “poveri”. Se proprio dobbiamo dirla tutta da questi materiali si ottengono le maggiori soddisfazioni bonsaistiche. Pensate al materiale da cui sono partito con la mia buganvillea.

I materiali importanti, magari provenienti dal sol levante, molte volte sono solo ripieghi più che giustificati visti i prezzi che hanno raggiunto i materiali autoctoni italiani oppure sono manovre commerciali o pubblicitarie per richiamare l’attenzione delle masse e pertanto non de-vono assolutamente influenzare o scoraggiare chi volesse apprendere que-st’arte senza per forza sostenere spese esorbitanti.

Ci racconti come e quando ti sei avvicinato al mondo bonsai?Mi avvicinai al bonsai quasi per sfida, Infatti mi ero ripromesso

che dovevo riuscire a far sopravvivere una zelcova che avevo regalato ad una persona. Iniziai quindi a leggere libri e riviste e domandare a tutti quelli che conoscevo che avevano una qualche dimestichezza con questi alberelli. Ricordo ancora il mio primo libro prestatomi da colui che oggi è il Presidente del Bonsai Club Messina Pippo Sfravara, era uno dei primi li-bri di Peter Chan, e lo lessi con una tale avidità che lo finii praticamente in una serata.

Prima di chiudere questa intervista ti vorrei chiedere da quante e quali piante è formata la tua collezione.

Non tantissime, diciamo una ventina di pezzi. Tutti yamadori au-toctoni quindi Olivastri, Mirti, Sughere, Ginepri Fenici ed Emisferici, Tas-si e Melograni. Penso sia composta dal giusto numero, ovvero con queste riesco, personalmente, per quelle che sono le mie abitudini, a gestirle e manutenerle correttamente mantenendo un buon livello qualitativo.

Con l'augurio che questo traguardo sia un trampolino per un futu-ro ricco di soddisfazioni, ti chiedo un saluto per i nostri lettori.

Grazie a voi per l’opportunità che mi avete voluto dare e per gli auguri che mi fate nonché per le bellissime parole che mi avete dedicato nella prefazione. Buon bonsai a tutti. Ad majora!!!

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Bonsai su roccia

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Bonsai su roccia

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Il significato di questa rappre-sentazione è scenografica-mente forte, come si usa dire in ambiente teatrale: “la

pianta che cresce su una roccia, che con le sue radici se ne impadroni-sce, è il dominio prepotente della natura, è la sopravvivenza che supe-ra ogni ostacolo ed ogni difficoltà.

L’albero, con al sua forza pro-rompente, si impianta sulla roccia - essa stessa materia inerte - che pure saprebbe reagire disgregandosi, formando crepe dalle quali l’albero non potrebbe reagire.

All’attento osservatore ri-sulta sconvolgente questa intima fu-sione alla quale pervengono questi due elementi della natura in cui sembra che l’albero svetti, sovra-stando la roccia, con un aspetto su-perbo, da dominatore. La base delle radici ed il nebari sono l’origine, il punto di emergenza dell’espressio-ne della pianta. Questa esprime la vi-talità, la stabilità, il mordente. E’ importante soffermarsi su questa ca-ratteristiche poiché questo tipo di impianto si focalizza proprio sull’estetica delle radici.

Questo stile non è partico-larmente seguito; probabilmente per la difficoltà nella realizzazione, legata non certo a fattori tecnici ma artistici; probabilmente perché la massa dei bonsaisti si ritrova tutta

presa dalla singola pianta e anche perché lo stile su roccia pretende molta percezione creativa e spiccato senso estetico per ricreare questo spaccato della natura.

Anche in questo caso la forma della pianta assume aspetti diversi in rapporto alla roccia e alle condizioni ambientali nelle quali si pensa sia vissuta. Il diametro e l’inclinazione del tronco sono due caratteristiche indipendenti che so-no influenzate dalla silhouette della roccia assieme all’organizzazione dei rami, alla loro distribuzione lungo il tronco e al loro orienta-mento.

Una cascata o semicascata, se l’albero è cresciuto sulla parete di un dirupo, a picco su una gola o altro. Un eretto casuale su una pie-tra bassa, quindi su una collina, un literati cresciuto in condizioni diffi-cili, nella fessura di un dirupo.

Queste le rappresentazioni classiche finora viste di un ishizu-ke. In queste composizioni il grado di difficoltà è dato dall’accosta-mento fra questi due elementi - accostamento che affinché riesca deve rispettare taluni canoni che, nel rispetto delle caratteristiche pro-prie di questi due elementi: albero roccia - dia una esatta rappresenta-zione e un esatto concetto della Natura.

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COME CREARE UN BONSAI AGGRAPPATO ALLA ROCCIA - Il primo obietti-vo è quello di fare sviluppare e la giovane piantina e le radici; la pianta è rinvasata in un comune vaso con una adeguata miscela di terriccio e, per permettere un ulteriore sviluppo in lunghezza delle radici è stato allestito un contenitore con assi di legno, molto profondo dove per oltre un anno il ficus è stato lasciato.

Al momento opportuno dell’impianto dell’albero sulla roccia sarà scelto il fronte che dovrà accordarsi con il fronte dell’albero e con il suo futu-ro andamento. Anche le dimensioni del Bonsai si devono naturalmente accordare con le dimensioni della roccia così come l’inclinazione di que-st’ultima deve armonizzarsi con l’andamento del tronco.

STILE NELLA ROCCIA - In questo caso la pianta radica dentro la roccia; la sensazione che questa composizione trasmette rievoca sempre la montagna, un burrone, una parete rocciosa o un isolotto. Quindi, a differenza dello Stile sulla roccia, l’albero viene impiantato nella cavità di una roccia. L’errore visi-vo più ricorrente è quello di scegliere alberi troppo grandi rispetto alla roccia: a causa di questa sproporzione il risultato è artificioso, innaturale. Al

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contrario, giovani piantine non si adattano all’impianto su roccia poiché non avranno mai l’aspetto di soggetti vetusti. L’ideale sarebbe l’utilizzo di mame o shoin che, per qualche motivo non sono idonei all’impianto singolo e che in questo modo trovano un altro impiego. Alcune caratteristiche della pianta sono:

• non deve possedere una fitta ramificazione;• la vegetazione non deve essere abbondante;• gli stili da impostare sono quello inclinato, semicascata e cascata;• il soggetto deve possedere un apparato radicale fibroso, compatto e vistoso;• scegliere una varietà tenendo conto delle condizioni particolari in cui vivrà, preferendo quelle particolarmente resistenti e che non hanno bisogno di eccessiva umidità;• scegliere con attenzione, per quel che riguarda la pietra, la forma, il colore e la granulosità: una pietra inadatta annullerà la bellezza della pianta.

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I disegni che completano l’argomento puntualizzano il principio su cui si basa la silhouette della pianta nella roccia: quello della forma triangolare. Questa forma ha, in questo caso, un forte valore simbolico. La forma triangolare permette di esprimere la stabilità: un triangolo equilatero o isoscele simbolizza un albero perfettamente equilibrato, i due lati sono uguali. L’addolcimento dell’angolo dell’apice suggerisce l’arresto dello sviluppo.

La disposizione di più triangoli permette di creare una silhouette complessa. La ramificazione di un ramo si iscrive più o meno dentro n triangolo. Due triangoli contigui possono confondersi allorchè i rami sono alla stessa altezza.

Potete rendere più interessante il vostro bonsai con l'introduzione di uno o più elementi rocciosi, un blocco singolo può rappresentare una rupe, una maestosa montagna o uno scoglio isolato. Un gruppo di piccole rocce posizionate sul terriccio del bonsai, come se affiorassero dal terreno, possono ricreare l'ambiente nel quale la pianta vive in natura. Si può utilizzare una roccia piatta o una lastra di pietra per conferire un aspetto più naturale alla composizione.

LA SCELTA DELLA ROCCIA - Il primo passo da compiere per la realizzazione del progetto è quello di reperire una roccia interessante; in un secondo momento si procederà alla selezione di piante adatte che ne mettano in risalto la bellezza e che si armonizzino al progetto d'insieme. Esistono una serie di rocce, ma ve ne sono di più o meno idonee per l'impiego nel bonsai.

L'ideale sarebbe selezionare una qualità che non si crepi. Deve inoltre presentare colorazione, forma e tessitura esteticamente gradevoli. Nel mondo bonsaistico è molto nota la roccia giapponese Ibigawa: è un

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conglomerato vulcanico, un composto di diverse qualità di roccia saldate insieme dal calore del vulcano.

Il marmo e i quarzi sono da evitare per lo splendore luccicante della loro tessitura che distrarrebbe l'occhio dell’osservatore dalla pianta. Rocce sedimentarie come l'arenaria non sono adatte per un inconveniente pratico: il gelo potrebbe causare delle crepe lungo le linee di stratificazione. Nemmeno le rocce tenere sono idonee a questi stili perché sono soggette a rapida erosione. Tuttavia rocce tenere non sedimentarie come pietra lavica e tufo possono essere scolpite per ricavarvi una cavità dove sistemare la pianta.

MATERIALE PER STILI NELLA ROCCIA - La roccia è la parte più importante del progetto, poiché in base ad essa verranno scelti tipi e dimensioni di piante che si intendono utilizzare. Una roccia liscia e arrotondata suggerisce la presenza di acqua e può essere abbinata a piante che crescono vicino a fiumi o a laghi, come i salici. Se si sceglie una roccia simile a una rupe, dovrete abbinarla a specie che vi aspettereste di trovare in una zona montuosa.

E’ indispensabile prestare particolare attenzione alla forma e al tipo di roccia. Dovrà avere un aspetto interessante: è impossibile riuscire a creare un bonsai accattivante con una roccia dall'aspetto anonimo o insignificante. In particolare, occorre scegliere una roccia con un aspetto naturale; d'altra parte la natura ci offre una gamma così ampia di rocce dalle forme più fantasiose e i suisekisti ne sanno qualcosa!

PROGETTAZIONE DI UN ALBERO NELLA ROCCIA - Esaminare ogni lato della roccia per scegliere quello migliore che costituirà il `fronte del progetto. Poi occorre stabilire la scala in cui il progetto dovrà essere realizzato, se la roccia dovrà rappresentare una montagna, una rupe o altro. Da questo dipende la scelta del materiale vegetale adatto: un gruppo di piccoli alberi farebbe apparire la roccia enorme, vista da grande distanza, mentre un singolo albero di due terzi

circa della roccia la farà apparire relativamente piccola.

Per gli impianti nella roccia è necessario impiegare dei fili di ancoraggio per fissare le piante alla roccia. Tagliare un pezzetto di filo metallico e appoggiare al centro un bastoncino oppure un qualunque oggetto appuntito del diametro di circa 6 mm. Rigirare il filo intorno al bastoncino una sola volta per formare un anello con due lunghi prolungamenti. Sfilare il bastoncino, tenere fermo l'anello con una pinza e ripiegare le due lunghe estremità verso l'alto. Incollare l'anello alla superficie della roccia lasciando libere le estremità. Realizzare diversi fili di ancoraggio in questo modo per creare una rete sufficiente ad assicurare le radici di tutte le piante. Le lunghe estremità ai lati dell'anello assicurano le radici.

SCELTA DEL MATERIALE

• Utilizzare un forte adesivo impermeabile, come l'epossido di resina per fissare gli anelli di filo metallico nei punti della roccia dove sistemare le piante. Incollare un numero sufficiente a creare un reticolo che ricopra tutte le radici.• Premere uno staro di poltiglia di torba (una parte di torba ed una parte di argilla impastate con acqua per formare un composto appiccicoso) nel punto dove si è deciso di alloggiare la pianta. • Posizionare la pianta e allargare le radici sulla poltiglia. Ricoprire le radici con altro composto di torba.• Incrociare i fili di ancoraggio sopra le radici. Per fissarli utilizzare le pinze per filo, attorcigliando i fili senza danneggiare naturalmente le radici, quindi sistemare la pianta nel sito prescelto.• Pressare altro composto di torba sulle radici della pianta in modo da coprirle completamente. Mantenere il composto umido, utilizzando uno spruzzatore, fino all'applicazione del muschio. Il muschio deve essere tenuto a bagno per diverse ore prima di essere applicato.• Tappezzare il composto di torba con il muschio imbevuto di acqua e sistemare la

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roccia in un vassoio aggiungendo ghiaietto fine.

COME ASSICURARE LE RADICI ALLA ROCCIA

• Utilizzare un uncino metallico per pettinare le radici. Accostare diversi pezzi di roccia all'apparato radicale per scegliere quello di forma più idonea.• Distribuire le radici sulla roccia. Mentre sono tenute in posizione, occorrerà assicurare le radici prima in cima, poi al centro e infine alla base. • Le radici dovranno essere strettamente bendate contro la roccia e ricoperte per evitare crescite orizzontali. Lasciare libere le radici oltre la base della roccia.• Con tronchesine per rami a taglio concavo, potare drasticamente l'albero, lasciando non più di una o due gemme per branca.• È indispensabile conservare l'umidità per la crescita delle nuove gemme. Sigillare i tagli con cicatrizzante o pasta appositi per prevenire la disidratazione.• Coprire interamente le radici e la roccia con

sabbia fine, fino alla base del tronco. Non sono necessari altri accorgimenti.• Innaffiate quotidianamente la pianta, ma riducete le innaffiature in inverno. Concimate ogni 2 settimane in estate. Potare i nuovi getti a 1-2 gemme dal tronco. Trascorso un anno dall'invaso seguire i seguenti passaggi.• A fine inverno oppure a inizio primavera, cimare approssimativamente i rami ed estrarre la pianta dalla sabbia. Lavare via tutta la sabbia con un getto d'acqua.• Tagliare il nastro di plastica con piccole forbici, facendo attenzione a non recidere le radici. Tagliare e svolgere il nastro fino a liberare completamente roccia e radici. La radice principale ora segue il profilo della roccia• Le radici dovrebbero presentarsi irrobustite saldamente aggrappate alla roccia.• Quando le radici si saranno sviluppate in modo soddisfacente, sarà il momento di scegliere il fronte del bonsai e trapiantate l'albero in un vaso bonsai.

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LA FREQUENZAPer quanto riguarda la frequenza delle

annaffiature essa dipende dalle singole specie quindi a seguito si daranno solo alcune norme:- le conifere, pini, cedri, abeti, ecc. preferisco-no rimanere leggermente secche prima di esse-re nuovamente bagnate, questo fatto facilita l'attecchimento dei funghi simbionti che instau-rano la micorizza tanto utile alla vita delle piante appartenenti a questo ordine di vegetali;- le azalee, gli aceri, i faggi, gradiscono che il terriccio risulti costantemente umido;- gli alberi da fiore così come i fruttiferi, neces-sitano di un maggior apporto d’acqua durante i periodi della maturazione dei frutti, meno du-rante la fioritura;- le caducifoglie gradiscono abbondanti annaffiature durante il periodo primaverile.

Tutti gli alberi da interno hanno necessi-tà di essere nebulizzati con frequenza e rego-larmente innaffiati nel periodo invernale quando l'atmosfera degli appartamenti in cui sono ricoverati è particolarmente secca a cau-sa del riscaldamento domestico.

In natura ogni albero si costruisce un apparato di ricezione che è in grado, in perio-

di di particolare siccità, di fornirgli un suffi-ciente apporto idrico, le necessità della pianta possono poi essere, entro certi limiti modifi-cate, dalla medesima, agendo sull'apparato di traspirazione. Le possibili azioni si dividono in due tipi, una tropica, che agisce sull'orienta-mento delle foglie rispetto all'incidenza dei raggi solari, l'altra fisiologica, che agisce sulla quantità di superficie traspirante attraverso l'essiccamento e la perdita delle foglie.

Per gli alberi la totale mancanza d'acqua anche per periodi limitati è dunque grave quanto un prolungato eccesso. L'acqua è indispensabile per assorbire le sostanze nu-tritive dal suolo e per portarle all'interno della struttura. Essa interviene in tutti i processi fi-siologici del vegetale. La quantità minima d’acqua contenuta nel terreno è di norma pros-sima al 25% del volume del medesimo.

Alla presenza di percentuali inferiori d’acqua, la maggior parte delle specie arresta i suoi processi fisiologici. Le cellule cessano di funzionare per mancanza idrica, il permane-re di questa condizione porta inevitabilmente alla morte la pianta. E' impossibile stabilire l'esatta frequenza d’irrigazione di un bonsai.

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II parte

Conoscendo le variabili che modificano od interferiscono sulle necessità idriche degli albe-ri si potrà però trarre dei buoni elementi di va-lutazione. Le prime variabili sono quelle climatiche, quindi quelle pedologiche, quelle specifiche delle singole piante riguardo alle aree di provenienza, quelle ambientali, quelle stagionali, quelle fisiologiche, quelle legate allo stato di salute ed alle situazioni patologi-che in cui incorrono le piante.

Analizziamole nel dettaglio:- VARIABILI CLIMATICHE -• Durata dei periodi d’irraggiamento solare;• Esposizione al sole, periodo d’esposizione, tempo d’esposizione;• Esposizione al vento, periodo d’esposizione, intensità del vento, durata dell'esposizione;• Periodicità e tipologia delle precipitazioni;• Esposizione alla pioggia, intensità dell'evento, durata dell'esposizione.•Temperatura;

- VARIABILI AMBIENTALI -• Umidità ambientale;• Barriere frangivento naturali od artificiali;

• Strutture ombreggianti naturali od artificiali;• Collocazione all'interno od all'esterno del bonsai;

- VARIABILI FISIOLOGICHE STAGIONALI, QUELLE LEGATE A PARTICOLARI INTERVENTI AGRONOMICI -• Il riposo invernale, il riposo estivo;• La ripresa vegetativa;• La fioritura;• La fruttificazione;• La potatura;• La defogliazione;

- VARIABILI PEDOLOGICHE -• Tipo del terriccio e caratteristiche delle me-scole;• Tipo del drenaggio;• Dimensioni e profondità del vaso;• Materiale del vaso;

- VARIABILI SPECIFICHE -• La specie di pianta;• La provenienza;• Le varietà e gli eventuali cultivar della spe-cie.

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La mancanza o l'eccesso d'acqua, entrambi deleteri per le piante, hanno come ri-sultati effetti simili. Questi due eventi danneggiando la cuticola delle radici pongono queste in condizione di non poter più assolve-re il loro compito e quindi gli effetti sulla pianta alla fine lo è stesso.

L'eccesso d’acqua è di norma più grave della mancanza perché questo è di solito accompagnato da ristagno di liquido nel conte-nitore dovuto a scarso drenaggio. Siccome le radici hanno bisogno d’ossigeno per svolgere le loro funzioni fisiologiche, se il terreno è inzuppato per molto tempo, queste possono asfissiare, con il conseguente imputridimento delle loro parti terminali. L'eccesso d'acqua co-stituisce poi un ottimo ambiente per la prolife-razione di funghi patogeni che possono aggravare ulteriormente la situazione di marciume dell'apparato di suzione.

L'albero all'inizio utilizzerà il liquido contenuto nei tessuti per evaporarlo attraverso le foglie e termoregolare la chioma. Mancando l'apporto di nuovo liquido da parte dell'apparato radicale, l'albero finirà per mori-re disidratato, anche se il terreno sarà in ogni modo impregnato d’acqua. Allo stesso ri-sultato si giunge se nel terreno manca umidità, le punte radicali seccano causando la morte per disidratazione.

Se ci si rende conto per tempo degli stati di ristagno d'acqua o di siccità, questa si-tuazione è di norma reversibile, il tempo d'intervento dipende dalla specie del vegetale e dalle condizioni del substrato. La maggior parte dei bonsai tuttavia, soprattutto le conife-re, deve rimanere in pieno sole tutto l'anno pertanto nel periodo più caldo o ventoso do-vranno essere irrigati due volte al giorno sce-gliendo gli orari serali e quelli intorno a mezzogiorno. Durante l'irrigazione serale la pianta ha tempo di reidratarsi completamente con l'umidità della notte, grazie anche all'effetto importantissimo per la lucentezza dei colori fogliari, della rugiada, e nel caso di una bagnatura quotidiana questa è la soluzio-ne migliore. Nei periodi invernali la bagnatura non va dimenticata, soprattutto se fa molto

freddo. Questo problema è legato ai bonsai di

qualità coltivati in terricci molto drenanti che si asciugano anche in inverno, soprattutto nel caso delle conifere, Anche con temperature al di sotto dello 0° i bonsai devono essere ba-gnati una volta a settimana almeno, durante le ore più calde della giornata, non curandosi dell'eventuale formazione di ghiaccio. Molte volte i bonsai muoiono nei periodi invernali non solo per le temperature, ma per i colpi di secco.

PIANTA ENTRATA IN SOFFE-RENZA PER ECCESSO D’ACQUA.

In pratica si realizza questa situazione quando la quantità d'acqua presente nel substrato è maggiore di quella che la pianta può assorbire e disperdere nell'ambiente circo-stante. Spesso questa situazione s’ingenera in conseguenza di un periodo protratto di siccità che comprometta l'apparato radicale.

Cause dell'eccesso d'acqua nel terreno sono: mancanza di drenaggio, terreno troppo compatto fori di drenaggio ostruiti, eccessive annaffiature alla presenza di limitata attività vegetativa della pianta, temperatura superiore ai 35°C., temperatura al di sotto dei 5°C., annaffiature quotidiane e cospicue alla pre-senza di defogliazione totale della pianta, continue annaffiature in situazioni dove l’apparato radicale è compromesso.

Il modo d’intervento consiste in primo luogo nella rimozione della causa principale del ristagno di liquido nel terreno. Una ragio-nata riduzione della quantità d'acqua da forni-re alla pianta.

MANCANZA DI DRENAGGIONon è quasi mai l'unico motivo della

sofferenza delle piante in vaso, infatti, questa si manifesta sempre per la presenza d’altre concause tutte raggruppabili nell’eccessiva fornitura di liquido all'albero. E' chiaro che un terreno con buon drenaggio eliminando natu-ralmente l'eccesso d'acqua renderà inefficaci la stragrande maggioranza degli altri possibili motivi del ristagno idrico. E' quindi imperati-

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vo quando ci si trova alla presenza di piante invasate in terreni privi di drenaggio operare subito il rinvaso delle stesse. Durante un perio-do incompatibile con tale pratica, occorrerà di-radare le annaffiature dando tempo alla pianta di assorbire l'acqua. Prima di fornire nuove annaffiature, porre il bonsai possibilmente in zona soleggiata e ventilata, evitare che la zolla venga, durante le annaffiature, inzuppata in mo-do eccessivo.

Innaffiare poco per volta ed ad intervalli ravvicinati è in ogni caso il modo mi-gliore perché il liquido sia fornito in maniera compatibile alle reali necessità dell'albero. Appena il periodo sarà favorevole attuare il rinvaso. In questo caso il terreno dovrà essere sufficientemente permeabile. Quando il volu-me del vaso è notevole e la sua profondità è re-lativamente alta, si consiglia di attuare la pratica descritta al capitolo " Trapianto, inva-satura e rinvaso ", si ricordi che la granulome-tria del substrato dei rinvasi si riduce gradualmente dal fondo del vaso verso la su-perficie.

TERRENO TROPPO COMPATTOQuesta situazione è una tra le più ambi-

gue che un bonsaista possa incontrare nelle sue pratiche culturali, infatti, questo tipo di terriccio, essendo di difficile annaffiatura, può ingenerare indifferentemente situazioni di seccume o di ristagno. Il terreno è troppo compatto deriva da materiali limosi che addensandosi lo rendono pesante ed asfittico, di norma questi terreni hanno una granulome-tria compresa tra 0,2 e 0,02 mm., sono d’origi-

ne fluviale o lacustre contengono grandi quantità percentuali di materiali calcarei e parecchi silicati.

A volte i terreni pesanti sono anche di tipo argilloso questi hanno granulometria infe-riore agli 0,02 mm., entrambi questi terreni a contatto con l'acqua, a causa dell'imbibizione dei colloidi costituenti i granuli, creano tratti superficiali impermeabili che impediscono al liquido di penetrare in profondità, l'unico mo-do di raggiungere con L’annaffiatura l'interno della zolla consiste nel lasciare per qualche tempo il vaso immerso in acqua in modo che questa possa penetrare tutto il materiale. E' ovvio che come sia difficile all'acqua penetra-re la compattezza del terreno altrettanto diffi-cile sarà l'eliminazione dell'eccesso di liquido accumulato. Anche in questo caso l'unica solu-zione consigliabile è quella riportata al para-grafo precedente.

Nella preparazione del terriccio per i rinvasi occorre avere l'accortezza di passare i materiali base sempre al vaglio, questo non dovrà mai avere le maglie di diametro inferio-re a 2 mm., infatti, come abbiamo visto i mate-riali polverosi tendono a compattarsi creando terreni pesanti.

FORI DI DRENAGGIO OSTRUITICol tempo, a causa del degrado e della

conseguente perdita di granulometria, i mate-riali torbosi di rinvaso tendono, sotto la pres-sione dei liquidi in uscita, ad ostruire i fori di drenaggio dei vasi, facilitano il formarsi di questa situazione le stesse reticelle poste sul fondo dei vasi e le eventuali radichette che

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fuoriescono dai fori stessi. Questa condizione, facilitando il ristagno dei liquidi sul fondo del vaso quando il consumo idrico della pianta è li-mitato, tende ad ingenerare sofferenza nella stessa. Anche in questo caso la pianta richiede di ricambio del terreno.

In prima approssimazione si può estrarre dal vaso la zolla ed asportare tutto il materiale sottostante, la reticella di protezione del foro di drenaggio, operazione facilmente eseguibile con una semplice forbice da radice.

ECCESSIVE ANNAFFIATURE IN PRESENZA DI SCARSA ATTIVITÀ VEGETATIVA DELLA PIANTA

La scarsa attività vegetativa della

pianta può nascere da condizioni climatiche, colturali o patologiche. Sono condizioni quelle climatiche legate a periodi d’intense e continuate precipitazioni alla presenza di temperature al di fuori dei limiti di vegetabili-tà (indicativamente per le piante che si usano nella costruzione dei bonsai, meno di 5°C. e più di 35°C, latenza invernale od estiva). So-no condizioni quelle colturali legate ad interventi agronomici particolari, drastiche po-tature defogliazioni totali, oppure errori di concimazione.

Sono condizioni patologiche quelle di compromissione dell'apparato di suzione della pianta. In ognuno di questi casi occorrerà ri-durre la fornitura d’acqua, nel caso la soffe-

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renza del nostro bonsai abbia già agito sull'apparato radicale, quindi intervenire al più presto con il rinvaso. In quest’eventualità accorrerà eseguire la pulizia della radice danneggiata e conseguente disinfezione dell'intero apparato con benomil, tiofanato Me-tile o Captano sarà bene aggiungere, nelle do-si consone, il disinfettante anche al terreno di rinvaso.

APPARATO RADICALE COMPRO-MESSO A CAUSA DEL PROTRARSI DI UNO STATO DI SICCITÀ.

Nella maggior parte delle specie, que-sta situazione di sofferenza è reversibile, anche se ciò dipende, in linea di massima, dal tempo della carenza idrica. In questo caso il primo intervento è di controllare se esiste anco-ra una sufficiente idratazione dei tessuti verdi dell'albero:

FOGLIE

a) se queste pur essendo verdi sono secche (si sbriciolano sotto la pressione delle dita) occorre asportarle completamente con le forbi-ci in modo che il picciolo rimanga sul ramo (cadrà da solo appena la gemma ascellare entre-rà in vegetazione);b) se le foglie sono ancora idratate dovremo intervenire con un’immediata vaporizzazione delle medesime in modo da ridurre la perdita di liquido a causa della traspirazione.

FUSTO

Questo controllo occorrerà farlo solo per il pre-cedente caso a). Incidere con l'unghia, la corteccia del fusto e dei rami del bonsai, se l'incisione si presenterà umida e di un bel verde brillante i tessuti saranno sufficiente-mente idratati e si potrà passare alla fase successiva. Innaffieremo l'albero con una quantità d’acqua non eccessiva, dopo alcuni minuti torneremo ad innaffiare ripetendo l'ope-razione ad intervalli sempre più distanziati fintanto che la zolla, nel caso si fosse separata dalle pareti del vaso, torni nella sua posizione originaria.

Attenzione è inutile in questa fase inzuppare la pianta, infatti, le radici fini non sa-

ranno in grado di assorbire acqua ed il rista-gno conseguente all'eccessiva annaffiatura aggraverà la situazione.

Quando la zolla avrà ripreso la posizio-ne originale, porteremo il vaso in un luogo ombreggiato vaporizzando il fusto con una certa regolarità, solo nei casi più gravi ed in particolare nei confronti d’alberi che patisco-no in modo particolare la siccità si potrà si-gillare il bonsai in un sacco di polietilene in modo che esso viva, per il tempo necessario a rientrare in vegetazione, in un ambiente parti-colarmente umido. Gli alberi per cui il pro-lungarsi della siccità crea danni irreversibili, quindi la perdita della pianta, sono le conifere.

Come abbiamo già visto esistono intervalli di temperatura al di fuori dei quali la pianta rallenta la sua attività vegetativa entrando in una fase di latenza, in particolare al di sopra dei 35°C. l'attività di suzione della radice rallenta in modo quasi completo.

Può succedere che la concomitanza di temperature superiori al limite citato in pre-senza di vento secco portino alla disidratazio-ne della pianta, innaffiare in queste condizioni sarebbe poco opportuno, occorrerà invece portare l'albero in una posizione ombreggiata raffreddando la chioma con frequenti vapo-rizzazioni ed attendere l'abbassarsi della temperatura per riprendere l'annaffiatura del bonsai, inserire il vaso in sabbia umidificata, può riattivare la funzionalità radicale.

Si tenga conto che una temperatura ambientale anche superiore ai 35 °C non ne-cessariamente significa che gli alberi entrino in latenza, infatti, in condizioni normali la lo-ro chioma a causa della traspirazione si trova sempre ad una temperatura di parecchi gradi al di sotto di quell’ambiente.

Per quanto è consigliabile in estate po-sizionare sempre i nostri bonsai in luogo fre-sco ed ombreggiato, questo vale tanto più se le piante hanno un'abbondante ramificazione e sono ben vegetati.

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Da secoli, in piccoli padiglioni circondati da giardini cu-rati in ogni dettaglio o in semplici stanze adorne di po-chi eleganti oggetti, si tiene ogni giorno il chanoyu (letteralmente: acqua calda per il tè), più noto come ceri-

monia del tè. Questo rito laico, che richiede infinita dedizione, trova nella sua complessità la fonte del suo fascino e - al tempo stesso - la ragione di interpretazioni lacunose, soprattutto al di fuori del Sol Le-vante.

Se il celebre Lo zen e la cerimonia del tè di Kazuko Oka-kura, divenuto oramai un classico, mostra una prospettiva piuttosto tradizionalista e, per certi versi, chiusa, La cerimonia del tè. Una interpretazione per occidentali di Julia V. Nakamura (Stampa Alternativa, pp. 96, 8 €) punta più decisamente (come suggerisce il titolo) a illustrare in modo piano e scorrevole molteplici aspetti della tematica, ripercorrendo in parallelo le principali tappe storiche dell’uso dell’ambrata bevanda in Giappone.

L'autrice svela la triplice articolazione del rituale, che si compone di kaiseki (pasto raffinato), koicha (consumo di un tè denso e pregiato) e usacha (consumo di un tè leggero), descrivendo inoltre con dovizia di particolari la sobria ricercatezza dell'ambiente, ispirata ai valori estetici nipponici del wabi-sabi (l'imperfetto fasci-no degli oggetti conferito dalla patina del tempo), del fura (spirito della beltà nella natura) e dello shibui (bellezza quasi severa nella sua essenzialità). E così sfilano dinanzi agli occhi dei lettori antiche tazze, composizioni di ikebana, personaggi reali o di fantasia, cera-miche di fattura squisita e leggende senza tempo, come quella del monaco buddhista Daruma, che - preso dalla rabbia per essersi addormentato dopo sette anni di meditazione - si strappò le palpe-bre e le gettò in terra: da esse nacquero i germogli di tè.

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Maschere

Giappone

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Maschere

Giapponele

del

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Il Giappone vanta una ricca tradizione teatrale di maschere. Es-se appartengono a tre gruppi: i Gigaku, i Bugaku e i Noh, che si sono sviluppati cronologicamente nell'ordine espresso. So-no fatte di lacca e legno e appaino sempre dipinte; il tempo de-

dicato alla loro decorazione non è inferiore a quello impiegato per il modellamento. I men-uchi (incisori) avevano precise direttive per intagliare un particolare tipo di maschera, l'honmen (il tradizionale prototipo), ed ogni deviazione del tracciato predisposto era conside-rata un fallimento artistico. Anche l'uso del colore seguiva delle re-gole molto precise ed era fondamentale per identificare il personaggio. Una maggiore libertà era concessa quando si realizza-vano maschere che rappresentano demoni o creature mitiche.Il primo tipo di maschera conosciuto in Giappone è il gigaku: si di-ce che sia stato introdotto dalla Cina da un immigrante coreano di nome Mimasci.

Numerosi artisti venuti dall'Iran, dal Tibet, dalla Manciuria, dall'Indocina, dalla Corea, dall'Indonesia si esibirono alla corte della dinastia Tang (618-906 d.C.). Queste diverse razze furono rappresentate da maschere gigaku, intagliate a grandezza naturale e in stile realistico, che di solito erano ciascuna l'espressione di una specifica emozione o di uno stato psicofisico, ad esempio l'arrabbiato, l'ubriaco ecc. Le rappresentazioni gigaku erano testi co-

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mici o burle volgari che si interpretavano in mezzo alla folla vicino ai templi buddisti o nelle piazze all'aperto ed erano accompagnate da un'orchestra composta da tre strumenti principali: il flauto, il tamburo e il gong. Solo quindici personaggi erano inseriti nelle rappre-sentazioni gigaku e comprendevano:Baramon, il bramino indiano.Komgo Rigishi, il protettore del Buddismo (ri-gishi vuol dire “che qualcuno possa” e kongo “fulmine” o “diamante”).Suiko-o e suiko-fu, il gozzovigliatore ubriaco (sia dall'Asia centrale che iraniano).Taikofu, un vecchio debole e vacillante.Shishi, il leone, questa maschera apriva la sfi-lata.

Le maschere gigaku hanno suscitato molto interesse tra gli antropologi e alcuni di es-si non hanno esitato a vedere in alcune figure un ultimo retaggio delle baccanti greche.

Nel IX secolo la rappresentazione giga-ku ebbe un calo e venne poi sostituita dal gruppo bugaku. Anche quest'ultimo rappre-sentava una grande varietà di razze, ma le ma-schere avevano espressioni più stilizzate e spesso feroci, anche se le danze erano più ritmate e delicate di quelle delle prime gigaku e l'orchestra usata era più elaborata e con accompagnamento di cantanti. Queste rappre-sentazioni erano riservate alle grandi feste, alle commemorazioni, alle cerimonie religiose ed erano patrocinate dalla corte imperiale. Le ma-schere più vecchie coprivano tutta la faccia la nuca, mentre quelle più recenti coprono solo il volto. Una particolare caratteristica della ma-schera bugaku è l'uso di componenti mobili, inserite per enfatizzare il ritmo della danza. Il più elaborato fra questi travestimenti articolati è gejoraku, con tutti i tratti del volto mobili, gli occhi, il naso, il mento e le guance.

Le maschere bugaku, di origine rituale, rappresentano spesso dei personaggi so-prannaturali come il dragone o un uccello mito-logico.

La rappresentazione teatrale noh è un'invenzione prettamente giapponese, che si originò nel quattordicesimo secolo circa ed è considerata una delle più pure e distinte espres-sioni della cultura della nazione. Le maschere

sono più rifinite rispetto ai primi tipi, coprono solo il volto anziché tutta la testa. In origine le rappresentazioni erano riservate ai samurai, ma non escludevano possibilità di accesso per le altre persone in occasione di beneficenze o di feste di gala. Il dramma noh è poetico, sti-lizzato, musicale, estremamente lento, la sua solennità richiama le cerimonie religiose.

Gli attori principali indossano stupendi abiti di pesante broccato, pertanto le maschere avevano un aspetto molto austero, per essere in armonia con il vestito, e allo stesso tempo abbastanza delicate per indicare le delicate emozioni volute dagli attori. Esse erano rea-lizzate con leggero legno kiriri e dipinte a tempera con un sottile strato di lacca nella parte interna. I tipi umani gradualmente si svi-lupparono in tipologie fisse, quali la “giovane donna” o il “vecchio uomo”. Alcune particolari caratteristiche, per esempio l'acconciatura dei capelli, rendono possibile suddividere questi tipi umani in altre classi specifiche per ruoli individuali: i fantasmi, i demoni, gli spiriti, le divinità ecc. Anche le maschere rappresentanti dei demoni non sono terrificanti; qualche ruga solamente serve ad indicare la passione che la domina. Tutte le parti erano rappresentate da uomini anche quelle femminili.

La prima maschera noh era tra le più belle prodotte al mondo, associava una deli-cata realizzazione stilistica ad un calibrato naturalismo. Fra le più popolari e familiari è la “giovane donna”, che rappresenta il tradiziona-le ideale di bellezza giapponese. E' realizzata con lunghi capelli lisci e neri e con delle stri-sce agghindate perfettamente attorno alla fronte. Il viso è candido, le sopracciglia sono tracciate col nero molto alte verso la fronte, le labbra sono rosse e i denti bianchi. Le masche-re che ritraggono uomini vecchi sono dipinte con cura o in alternativa hanno i tratti inta-gliati. I capelli sono spesso attaccati passando attraverso dei buchi forati sulla testa, lo stesso avviene per la barba e i baffi. Alcune masche-re sono usate per rappresentare un personaggio specifico, che si presenta solo in una particola-re commedia. Uno di questi è shojo (l'orango-tango danzatore), un giovane ubriaco

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caratterizzato dal viso rosso per aver bevuto troppo saké. Le sue labbra so-no atteggiate ad un mezzo sorriso, un dente superiore ed uno inferiore sono esposti, inoltre ha una frangia scompigliata e le fossette sulle guance. La maschera è piccola e senza orecchie e deve sempre essere indossata con una lunga parrucca ros-sa.

Le maschere noh vengono sempre accompagnate dalle masche-re dei buffoni, gli kyôgen, fra i quali compare il demone sciocco con un aspetto grottesco e la donna paffuta e sempliciotta.

Le maschere noh e kyôgen tra-ducono le due tendenze costanti dell'arte e della letteratura giappone-se: poesia e caricatura, bellezza idea-lizzata e realismo che sconfina nella parodia. Questi due caratteri si ritro-vano, più o meno mescolati, nelle ma-schere utilizzati ancora oggi per le danze che accompagnano le feste reli-giose popolari. Per esempio il Kagu-ra e una “danza degli dei” che può essere rituale (rito per ottenere la pioggia, di fecondità, caccia contro i demoni) o descritiva (rappresentazio-ne del dio locale che combatte i de-moni). Le maschere utilizzate in questa manifestazione sono più vici-ne per l'aspetto a quelle noh. Il gyô-den è una processione buddista di personaggi mascherati che rappre-sentano delle entità mitologiche.

Diversamente dalla maggior parte di intagliatori di maschere del mondo, quelli giapponesi firmano le loro opere e guadagnano notevole fa-ma per la loro abilità. La famiglia De-me o Demme, che ebbe il suo splendore in particolare nel XVII se-colo, era probabilmente la più cono-sciuta.

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Taketori monogatariLa storia di un tagliabambù

di Axel Vigino

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AFFINITÀ ALLE FAVOLE POPOLARI GIAPPONESI

Nella lettura delle antiche fiabe popolari giapponesi ho notato che, in molte di esse, i prota-gonisti non sono orgogliosi e coraggiosi cavalie-ri, bensì, molto spesso, semplici coppie di umili coniugi anziani che vivono in povertà e desidera-no una vita migliore, che alla fine riescono a raggiungere grazie all’intraprendenza e alla gene-rosità dell’uomo ed al sostegno della donna. Molto spesso questi non hanno figli, ma desidera-no averne uno, il quale comparirà nei modi più strani: in una pesca (nella storia di “Momotarou, un bambino nato da una pesca” ) oppure per effetto di un martello magico donato ad un gene-roso taglialegna da una famiglia di topolini o ancora in una canna di bambù, come nel caso del Taketori monogatari

LA STORIA

Taketori Okima, il taglia bambù, trovò per caso una canna di bambù che emanava una luce innaturale dal suo interno. Tagliandola delicata-mente Okima scoprì la fonte della luce; una bambina piccolissima, alta quasi quanto un polli-ce. Poiché non aveva figli, decise di portarla a ca-sa sua dove, assieme a sua moglie, l’avrebbe allevata come una figlia; le diede il nome di Ka-guya-hime (che significa principessa della notte splendente).

Gli anni passavano e Kaguya crebbe fino a diventare una ragazza splendida; intanto Okima e la moglie si arricchivano sempre di più, poiché, da quando Kaguya era con loro, ogni canna di bambù che il vecchio lavoratore tagliava contene-va una pepita d’oro.

La notizia della bellezza di Kaguya viaggiava di bocca in bocca e presto cinque princi-pi si presentarono davanti alla casa di Okima, pre-tendendo la mano della fanciulla. Non volendo sposarsi, Kaguya ordinò loro di compiere un’impossibile impresa ciascuno: al primo impo-se di regalarle la sacra ciotola del Buddha, al se-condo un ramoscello dell’albero dal tronco d’oro, al terzo la pelle dell’Inezumi, il ratto del fuoco della Cina, al quarto un magnifico gioiello posto sulla testa di un drago e al quinto chiese la preziosissima conchiglia nascosta all’interno del ventre di un’inafferrabile rondine. Ovviamente nessuno dei nobili principi riuscì a consegnare

ala principessa i fantastici gioielli e molti di que-sti ricorsero ai falsi: il primo ottenne una ciotola qualsiasi da un monastero, ma la principessa si accorse dell’inganno perché la ciotola non ema-nava luce sacra. Il secondo fece forgiare segreta-mente il ramoscello da alcuni gioiellieri, ma questi, non ricompensati per il lavoro, lo tradiro-no e dissero tutto a Kaguya. Il terzo convinse un cinese a dargli la pelle del ratto di fuoco, ma una volta donata a Kaguya, ella la fece ardere, dimo-strando così che era falsa. Il quarto si arrese do-po la lunga e pericolosa ricerca del drago e l’ultimo perse la vita nel tentativo di catturare il lesto uccello.

Molto presto la notizia raggiunse anche la corte dell’imperatore che, desiderioso di avere Kaguya in sposa, cominciò a farle visita molto spesso. Intanto Kaguya veniva sempre più spes-so pervasa dal desiderio di tornare a casa; confes-sò così ai genitori di provenire dalla luna e che presto i suoi concittadini di Tsuki no Miyako sa-rebbero venuti a prenderla. Appresa tale notizia l’imperatore, non volendo perdere la sua futura sposa, fece schierare le sue truppe attorno all’abi-tazione della sua amata per impedire l’arrivo del popolo della luna. In una notte di mezz’estate pe-rò, improvvisamente, alcuni esseri splendenti giunsero dal cielo e, accecando le guardie, prese-ro con loro Kaguya, la quale donò la propria ve-ste al padre ed una goccia dell’elisir di lunga vita all’imperatore e partì verso la luna senza più tornare sulla Terra. Dopo la partenza di Kaguya i due vecchi coniugi si ammalarono, mentre l’imperatore si recò sul monte più alto del Giappone, dove gettò, nella sua bocca infuocata, la veste di Kaguya e l’elisir di lunga vita.

Da allora, secondo la storia, il nome del monte deriva dalla parola “fushi” che significa immortalità, e il fumo che sale dalla cima del vulcano verrebbe dall’elisir che brucia al suo interno.

Questa è la storia di Kaguya-Hime e di come ella possa aver trovato la pace nel mondo che lasciò nella sua infanzia, ma che ritrovò molto più tardi, dopo essere cresciuta nell’amore dei suoi vecchi genitori adottivi.

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