Bonsai & Suiseki magazine - Settembre - Ottobre 2013

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Bonsai & Suiseki magazine - Settembre-Ottobre 2013 - ----------- THE FIRST OPEN-MAGAZINE from the world of Bonsai and Suiseki. The magazine is an informative, scientific and technical instrument open to all. Free and online.

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BSM ‐ Anno V n. 2 ‐ Settembre/Ottobre 2013

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IN COLLABORAZIONE CON

CONTRIBUTORS

Giacomo Bellini, Fabio Canneta, Antonio Chicca, Armando Dal Col,

Gian Luigi Enny, Hiroharu Kobayashi, Daniela Schifano, Umberto

Scognamiglio, Anna Lisa Somma, Andrea Valori

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BONSATIREGGIANDO

Antonio RicchiariEditoriale

DAL MONDO DI BSM

EDITORIALE

SECRET WORLD

BONSAI‐DO: PRATICA E SAPERE

8

Fabio CannetaTestimoni del tempo10

Gian Luigi EnnyLa quiete e la serenità18Daniela SchifanoIl perché di un premio24Carlo ScafuriTiberio Gracco.Talento Italiano 2013

30

Massimo BanderaIl bosco36

IN LIBRERIA

Antonio RicchiariPreghiere Bonsai43

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Antonio RicchiariEditoriale

SOMMARIO

DAL MONDO DI BSM

EDITORIALE

SECRET WORLD

BONSAI‐DO: PRATICA E SAPERE

8

Fabio CannetaTestimoni del tempo10

Gian Luigi EnnyLa quiete e la serenità18Daniela SchifanoIl perché di un premio24Carlo ScafuriTiberio Gracco.Talento Italiano 2013

30

Massimo BanderaIl bosco36

10

36 30

18

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IN LIBRERIA

Antonio RicchiariPreghiere Bonsai43

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SOMMARIO

LA MIA ESPERIENZA

Giacomo BelliniFukushima. Il vecchio saggio44Andrea ValoriFar di necessità virtù...52Armando Dal ColMedusa56

A LEZIONE DI SUISEKI & CO.

Luciana QueiroloDobutsu‐seki e Sugata‐ishi,le "pietre in movimento"

Antonio AcamporaL'esposizione del bonsai‐ I parte ‐

Anna Lisa SommaSe una notte d'inverno ungatto narratore...

IL GIAPPONE VISTO DA VICINO

105Hitoshi ShirotaHitoshi's World106

L'OPINIONE DI...

Giuseppe MonteleoneArmando Dal Col75

44

56

75

62

84

BSM AWARD

Antonio ChiccaLa dama antica84

Hiroharu KobayashiNon solo fiori

DALLE PAGINE DI BONSAI&NEWS

98

92

Sergio BassiDa che parte guardi (il mondo)tutto dipende...

73

62

Umberto ScognamiglioKuromatsu.Il pino nero giapponese

L'ESSENZA DEL MESE

108

OGGI PARLIAMO DI...

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SOMMARIO

Antonio AcamporaL'esposizione del bonsai‐ I parte ‐

Anna Lisa SommaSe una notte d'inverno ungatto narratore...

IL GIAPPONE VISTO DA VICINO

105Hitoshi ShirotaHitoshi's World106

92105

98

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Hiroharu KobayashiNon solo fiori

DALLE PAGINE DI BONSAI&NEWS

98

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Umberto ScognamiglioKuromatsu.Il pino nero giapponese

L'ESSENZA DEL MESE

108

OGGI PARLIAMO DI...

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I recenti accadimenti che hanno provocato quei disa‐strosi movimento tellurici, offrono lo spunto per alcune

riflessioni, alcune amare, che riguardano il genere umano.Sembra che il nostro pianeta si voglia riscattare e

colpire l’uomo, responsabile di avere trascurato e violatola propria terra a vantaggio dei propri interessi materiali.Di tutto ciò ne paga il conto, come sempre, la gente co‐mune, il patrimonio artistico e naturale. Sì, perché lanatura costituisce un bene talmente prezioso eincommensurabile che una classe politica stolta e igno‐rante non ha saputo e voluto valutare.

E noi, che amiamo i bonsai e le pietre che lanatura stessa forgia e ci regala, sappiamo quanto siacomplesso e lungo nel tempo il processo di ripopolazionee rifacimento della flora e del paesaggio in generale.

Sentiamo forte l’urlo di una natura che mostrandola sua presenza e la sua potenza attraverso tragiche mani‐festazioni in terra, in acqua e nell’aria, è come se volesseattirare l’attenzione degli uomini distratti da ben altro.

Ci viene in mente uno dei tanti problemi costituitidalla deforestazione che spesso si accompagna alla de‐sertificazione e che vede come attore principale l’onnipo‐tente albero. Per noi, gli alberi sono forti simboli dilongevità e di vita, oltre che di rinnovamento. Gli alberisempreverdi simboleggiano l’immortalità perché sembra‐no non dovere perdere mai le foglie, anche se in realtà lecambiano in continuazione, perdendo gli aghi e sosti‐tuendoli con i nuovi. Gli alberi decidui spesso sono ilsimbolo della rinascita per questo perdere le foglie erinnovarle in primavera. I semi ed i frutti degli alberirappresentano la fertilità e anche l’immortalità. Gli alberisono simbolo dell’inscindibile legame fra la vita e la morta.

Gli alberi sono uno dei tanti specchi usati dall’uo‐mo per meglio comprendere se stesso. La letteratura, lapoesia, le arti visive, i film sono pieni di immagini di alberie foreste, grazie alla loro ubiquità e alla capacità dirappresentare i nostri bisogni e la nostra complessitàpsicologica. Gli alberi possono sembrare fragili ma posso‐no mostrare una forza notevole grazie alla loro resilienza,l’abilità di persistere all’intrusione o al disturbo da parte diforse esterne. Noi stessi siamo esempio di forza ed alcontempo di fragilità simile agli alberi.

Gli alberi possono essere incredibilmente dinami‐ci, i loro rami si spezzano ed i tronchi cadono, scivolandolungo i fiumi per poi fare entrare i loro elementi nutritivinel circolo dell’ecosistema, trasformandoli in abitanti mo‐bili delle foreste.

Gli alberi simboleggiano le cose dell’espressioneumana.

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di Fabio CANNETA

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Testimoni del tempo aggrappati con ostinazione alla nuda roccia sembravogliano prendere il volo per farsi cullare dal vento intriso di neve.

Il morso del gelo che ha fatto cadere il fitto manto di foglie rivela allo sguardosegni furtivi tracciati nell’ombra da animali in cerca della tana.

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Questo danzare di nebbie trasforma i pieni in vuoti lasciando intravedere un fremitouna piccola briciola del tutto e quel nulla diviene forma compiuta.

Quando il tuo sguardo coglierà queste emozioni contemplando i miei piccoli alberisaprò che il mio cammino non si è fermato.

Quante volte i tuoi occhi hanno goduto di queste balze scoscesecosi care e familiari.

Quante volte il tuo sguardo ha tentato di penetrare le nebbie della montagna.

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Tutte le volte del mondo congli occhi del tempo passato edi quello a venire fin dove lenebbie sfiorano l’infinito.

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Quante volte hai ascoltato il silenzioovattato della neve sui rami.

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A Paola...

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La maggior parte deigiardini giapponesi,che come le casetendono ad essere

piccoli, spesso sono racchiusiin una cornice che fa da re‐cinzioni: i maestri giardinieridurante la realizzazionecercano con dei trucchi pro‐spettici di creare un'atmosferadi calma e di quiete, creandouna divisione marcata tra ilmondo caotico della città e ilmondo del giardino. Il giardi‐no in oriente viene infatticonsiderato un mondo a parterispetto a ciò che avvieneall'esterno ed è filtrato da unmuro oppure da una re‐cinzione costituita o da unasiepe o da un intreccio dibambù che, da un lato richia‐ma con i suoi disegni il conte‐nuto della filosofia orientale edall'altra lascia passare losguardo attraverso le maglie.

Il giardino è vistonell’immaginario collettivocome un atollo e i grandi

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1. Piccolo giardino all’ingresso di casa ‐ 2. Recinzione in bambù ‐ 3.‐ 4. Isole simboliche con onde formate dallaghiaia

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1. Piccolo giardino all'ingresso di unacasa

2. Recinzione in bambù

3, 4. Isole simboliche con ondeformate dalla ghiaia

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massi sono isole in un mare dighiaia circondato dalla vegeta‐zione disposta in modo sparpa‐gliato sino a formare una speciedi scenografia. La disposizionedelle pietre e degli arbusti devesempre essere collocata in modoasimmetrica, come a ricordare lacasualità della natura, ed è pro‐prio questa composizione ri‐cercata dal maestro giardiniereche induce l’osservatore a un vi‐sione di pace e serenità.

Nella tradizione nippo‐nica uno dei principali legamitra giardino e casa è la veranda,essa ha la funzione principale diservire da accesso che va dallacasa al giardino e viceversa e, dicreare una continuità tra gli spa‐zi interni e quelli esterni, poichéha una copertura dunque èinterno, ma non ha parete edunque è esterno.

Questo modo di os‐servare il giardino è tipico nelpaese nipponico, pur rimanendoal coperto esiste la possibilità dirilassarsi e di godere dellebellezze naturali. I sentieri, oltrea guidare i movimenti all'internodel giardino, sono intesi a indi‐rizzare i sensi e la mente, essisono infatti utilizzati con effettisignificativi: quelli diritti condu‐cono l'occhio lungo il percorsofino alla fine, attirando chi

guarda a una camminata imma‐ginaria per raggiungere il culmi‐ne del percorso che può essereun'entrata o il bacino di un la‐ghetto, mentre quelli sinuosi la‐sciano l’osservatore afantasticare cosa ci sarà oltre.

Un'altra attrattiva cheporta l’osservatore alla ricercadella quiete è il giardino zen,che, all'interno del suo spaziosviluppa un richiamo filosoficodi ciò che avviene all'esterno,come già detto precedente‐mente, le rocce rappresentanoisole circondate dalle onde delmare, reso verosimile dalla ghia‐ia rastrellata in modo da formareun sottile disegno di onde mari‐ne che si infrangono contro gliscogli.

L'uso della ghiaia persimboleggiare l'acqua è propriadell'estetica Zen che, distilla glielementi fino a minimizzarli allaloro essenza, incoraggiando inquesto modo chi osserva a libe‐rarsi dai limiti della realtà edell'apparenza fisica per guidarela mente verso uno statoconcettuale dove la meditazionee la contemplazione fluiscanoindisturbate, rilasciandonell’animo una quiete profonda.

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5. Veranda di una casa giapponeseaffacciata sul classico giardino

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6. Tipico giardino zen in stile Karesansui per meditare e rilassare la mente

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Febbraio 2013III Kokoro‐no Bonsai Ten

Premio Italiansuiseki alla pietra paesaggiodi Geppino MaurielloOrigine : Liguria

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Ipremi, alle mostre, non mancano. Ogni club orga‐

nizzatore mette sempre a disposizione numerosi rico‐noscimenti, al fine di gratificare i partecipanti ed anche,purtroppo, assicurarsi sia un buon numero che una

buona qualità nelle esposizioni. La questione è molto di‐battuta e non sta a me dare una risposta: senza l’assegnazio‐ne di premi avremmo lo stesso numero di partecipanti?

Ovviamente sì, mi piace pensare… ma in attesa diuna manifestazione senza premi e senza antagonismi, doveil commento di un esperto possa aiutarci a capire pregi e di‐fetti, dove il confronto diventi momento di riflessione da‐vanti ad un bonsai o ad un suiseki, nel frattempo, quindi, esperando di non attendere troppo, anche Italiansuiseki hadeciso di inaugurare una ‘buona abitudine’, quella di offrireun riconoscimento a quegli appassionati, che impegnandosinelle mostre amatoriali propongano un suiseki esteticamentevalido e contemporaneamente ben esposto.

Ma chi è oppure cos’è Italiansuiseki ? E’ un sitoweb, nato dal desiderio di alcuni amici di dare uno spazioai suiseki, cioè a quelle pietre che rispettano i principi dellatradizione giapponese. Lungi da me fare da queste righe unalezione, mi basta ricordare che molte culture orientaliperseguono l’arte dell’apprezzamento delle pietre, ognunacon modalità proprie e con terminologie diverse. Così inCorea si parlerà di suseok, in Cina di Gongshi, in Giapponedi… suiseki. Noi occidentali ci siamo avvicinati alle pietrecon entusiasmo ed in tempi recenti, e se 20, 30 anni fa gliesempi erano pochi e si riferivano soprattutto al Giappone,adesso il mondo allargato del web mette a disposizione de‐gli amatori, a livello teorico e pratico, pietre cinesi, coreane,americane, italiane, in un grande minestrone culturale.

Così, può passare il concetto che le pietre possonoessere tagliate, poiché negli Usa non è da considerare comeun difetto, oppure ammirando una pietra cinese ci può co‐

Dal sito www.italiansuiseki.it tre pietre delle collezione degliamici di Italiansuiseki:

∙ Taki‐ishi ‐ Pietra castata (Lorenzo Sonzini)

∙ Dobutsu‐seki ‐ Pietra a forma animale (Daniela Schifano)

∙ Toyama‐ishi ‐ Pietra montagna (Felice Colombari)

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gliere il dubbio che la sua formanon sia naturale, perché nella Ci‐na tradizionale lavorare la formadi una pietra serviva ad “aiutare lospirito della pietra a esprimersicompiutamente”.

Ho fatto solo due piccoliesempi, ma pensiamo anche aitanti tipi geologici che il mondonaturale mette a disposizione.Non si tratta di dare un giudizio dimerito, perché tutte le pietre sonoda apprezzare, ma collocandolenella loro cultura di origine ecomprendendo fino in fondo letante differenze che le caratte‐rizzano, dalla forma al colore,senza dimenticare le modalità dipresentazione.

In attesa che l’occidentesviluppi una propria personale vi‐sione dell’arte dell’apprezzamentodelle pietre, noi possiamo soloimparare a comprendere e adifferenziare tra loro le proposteche provengono dall’Oriente. Traqueste, il suiseki giapponese èquello che per primo abbiamo

acquisito e sul quale sono impo‐state le nostre imperfette cono‐scenze. Il primo librosull’argomento fu il famoso Co‐vello‐ Yoshimura “The JapaneseArt of Stone Appreciation”, checi ha introdotto a termini comeclassificazione, durezza, patina,coltivazione, wabi, sabi, yugen,shibui, tokonoma, daiza.

L’approfondimento diquesti argomenti apre un mondocomplesso, dove tutto ha unamotivazione estetica e filosoficacollegata ai principi del BuddismoZen. Non potendo fare qui untrattato sul suiseki, vorrei solo ri‐cordare che la bellezza di un sui‐seki deriva, almeno in parte, dalsuo potere di evocare una scenanaturale od un oggetto facentecomunque parte del mondo natu‐rale, come un animale o una figu‐ra umana. Un suiseki deve peròavere qualcosa di più di una merasomiglianza oggettiva e caratteri‐stiche fisiche come colorismorzati, equilibrio, una superficie

Ottobre 2012V Mostra Autunnale "Città dei Ragazzi"

Premio Italiansuiseki alla pietra paesaggio “Magia a Sesel”di Laura MonniOrigine: Liguria

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invecchiata dal tempo si devono sposare a qualitàspirituali non definibili con un solo termine: wabi,sabi, shibui, yugen, e cioè l’asimmetria, la semplici‐tà, l’austera nobiltà, la naturalezza, l’acuta pro‐fondità, il mistero, la tranquillità.

Un suiseki si esprime “da sé“: non va aiu‐tato lavorandone la forma, non va completatoapponendo posticci per migliorarne la comprensio‐ne, in quanto la sua bellezza maggiore sta nel suopotere evocativo.

Anche la presentazione deve essere sobriae misurata: la pietra va appoggiata su un alloggia‐mento in legno chiamato daiza, intagliato seguendocon precisione il perimetro della pietra. Avendo lasola funzione di supporto, il daiza non deve esserelavorato in modo estroso e fantasioso, dovrà esserein una parola sola… discreto.

Ecco, questa brevissima descrizione di unsuiseki, che spero abbia fatto venire il desiderio diapprofondire l’argomento, dovrebbe farcomprendere le differenze esistenti tra esso ed unapietra cinese tradizionale, ad esempio, in quanto unGongshi cinese va valutato attraverso caratteristichemolto diverse, come il traforo, la rugosità, la finezza,la snellezza. Il colore può essere anche molto chia‐ro, il supporto in legno può essere molto elaboratoed intagliato.

Ovviamente, seguire i principi del suisekinon ci obbliga ad acquisire solo pietre giapponesi,ma esse possono essere cercate nel nostro territorio,nei fiumi, sui monti e nei mari, tenendo però pre‐sente quello che cerchiamo, e perché lo cerchiamo.

Qualcuno ha infatti affermato: "Il Suisekinon è altro che questo: trovare una pietra, allevarlacon cura e presentarla correttamente. Questo ètutto ciò che serve sapere". Sembra facile! Ma noi diItaliansuiseki vogliamo premiare con una targa chicon semplicità cerca di far suo questo percorso.

Il premio è stato istituito nel 2012 e daallora è stato assegnato in occasione di quattro ma‐nifestazioni: nel 2012 a Roma, in occasione dellaXIX Mostra di Primavera e della V Mostra Au‐tunnale "Città dei Ragazzi", entrambe organizzatedall'Associazione Culturale Roma Bonsai, e nel2013 ad Ercolano, in occasione della III edizionedella Kokoro‐no Bonsai Ten, organizzata dal Na‐poli Bonsai Club ed a Frascati, in occasione della XVMostra Suiseki & Bonsai “Città di Frascati”, orga‐nizzata dal Bonsai Club Castelli Romani. I premi so‐no stati attribuiti ad opera del giudizio congiuntodel team di Italiansuiseki.

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Maggio 2012XIX Mostra di Primavera

Premio Italiansuiseki alla pietra disegnata “Il mare di notte”di Giuseppe CordoneOrigine : Liguria

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Giugno 2013XV Mostra Bonsai & Suiseki “Città di Frascati”

Premio Italiansuiseki alla pietra paesaggiopresentata dal Napoli Bonsai ClubOrigine : Liguria

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TALENTO ITALIANO 2013di CARLO SCAFURI

Come consuetudine, anchequest'anno si è tenuto ilConcorso "Nuovo TalentoItaliano". Rappresentanti

di Club, delle Scuole riconosciuteUBI, e semplici amatori, hannocercato di dare il meglio di se, alleprese con dei ginepri itoigawa, in

sole quattro ore di gara. Per questaedizione, il Direttivo UBI haregolamentato ancor di più ilConcorso al fine di garantire unamaggiore trasparenza e correttezzanei giudizi sugli operati deipartecipanti. I tre giudici, AntonioGesualdi, Sandro Segneri ed Alfiero

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Suardi, hanno valutato soltanto il lavoroultimato, ben consci però di quale fosse ilmateriale di partenza.

Degli undici partecipanti diquesta edizione, i lavori che si sonodistinti appartengono a: FrancescoGentile qualificatosi al terzo posto,Matteo Massaggia al secondo, e dulcis infundo, Tiberio Gracco al primo(ottenendo il massimo del punteggio).

Non è retorica, ma la vittoria diTiberio, è la dimostrazione nei fatti chel'umiltà, la voglia di apprendere, el'impegno costante, sia la giusta strada dapercorrere per chi vuole cimentarsi inquesta Dō.

Per chi Vi scrive, Tiberio non èsolo un amico, ma un modello da seguire.L'attribuzione più azzeccata, è quelladatagli da un socio del Napoli BonsaiClub, Dario Rubertelli: "Tiberio Gracco,tutto arrosto e niente fumo!". Ed èesattamente così... umiltà e grandicapacità sono due qualità che in lui simuovono di pari passo.

Ma chi è Tiberio Gracco? Moltilo hanno conosciuto grazie ai vasi che daqualche anno impreziosiscono i bonsai trai più belli in circolazione. Ma lui non èsolo un vasaio dalle indubbie capacità!

Classe 1978, ha mosso i suoiprimi passi nel mondo del bonsai appenanel 2004. All'epoca la sua passione nonera che un timido interesse nei confrontidi queste piccole piante in vaso. Con lascoperta del Napoli Bonsai Club, avvienela prima importante svolta. Grazie alladisponibilità del Presidente del Club,Antonio Acampora, ed ai suoiinsegnamenti dati durante le "attivitàassistite", Tiberio inizia ad entrare inpossesso di tutta una serie di concetti, dinozioni sull'estetica e di tecniche, chesono andati nel tempo a formare quelbackground conoscitivo senza il qualenon sarebbe potuto progredire.

Durante la nostra chiacchierata,Tiberio ha sottolineato più e più voltel'importanza fondamentale della guida diAcampora. Esseri seguiti ed indirizzati dauna persona con così tante conoscenzenell'arte bonsai, ha rappresentato uncaposaldo nella sua formazione.

Nel 2006, in occasione dellaprima edizione della Kokoro‐no BonsaiTen, entra in contatto con Sandro Segnerie la Bonsai Creativo School‐Academy...seconda svolta decisiva per il suocammino bonsaistico. Dopo averpartecipato ad alcuni suoi seminari, nel2007 entra a far parte dell'Accademia,ciclo formativo questo che si concluderàcon ottimi risultati nel 2009.

La foto mostra il primo vaso realzzato a mano da TiberioGracco appositamente per questo splendido esemplare diGinepro Fenicio, esposto al Congresso BCI‐IBS del 2008.

Mirto ‐ Coll. Tiberio GraccoMenzione di merito, Congresso UBI 2012

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Siamo nel 2008. Quasi perdiletto, “prova” a realizzare un vasofatto di gres per uso hobbistico... laprima prova non è male. Lo porta conse in un incontro accademico persottoporlo al giudizio di Sandro, chedopo averlo visto per bene, ed averneapprezzato forma, proporzioni e sensoestetico, sprona Tiberio a continuare suquella strada ed a migliorarsi semprepiù. Visto che realizzare vasi non glirisulta complicato, mette da parte la

modellatura, per concentrarsi sullostudio e la sperimentazione dei varigres, le terre, gli smalti, reazione allevarie temperature di cottura, ecc. ecc.

Valter Giambarresi, socio delNBC, gli commissiona un vaso per ilsuo fenicio, esposto successivamente alCongresso IBS/BCI del 2008. Da lì inpoi i suoi vasi sono sempre stati piùricercati da un pubblico di amatorisempre più esigente.

Sotto la guida di Sandro

Segneri, ha la possibilità di maturare edapprendere in modo costante econtinuativo, affinando così di volta involta le sue tecniche. Pur diplomandosiin Accademia nel 2009, continua aseguire Segneri durante i seminari chesvolge al club, e piano piano, inizia a“venir fuori”. Ai suoi successi comevasaio, iniziano ad arrivare quelli comebonsaista. Espone per la prima volta, alCongresso UBI del 2011 di Sanremo, ilsuo esemplare di erica, con il quale

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vince il “Premio IBS” ed il premio “Iodifendo l'olivo”. L'anno seguente,sempre al Congresso UBI, ottiene una“menzione di merito” con un bonsai dimirto. Sempre nel 2012, in coppia conManuel Conson, vince il primo postodel Trofeo Arcobonsai per Club. Infine,il direttivo del Napoli Bonsai Club loseleziona per il Talento Italiano del2013... mai decisione fu così felice! Ilsuo prossimo appuntamento sarà alCongresso EBA (in Polonia nel 2014)

come rappresentate italiano alConcorso del Talento Europeo.

Ed eccoci giunti alla fine diquesto articolo. Ho preferito mettere inluce alcuni passaggi del progresso diTiberio, non tanto per unacelebrazione fine a stessa, quanto perevidenziare come la passione e l'umiltàsiano le carte vincenti per chiunque siapprocci a questa arte.

La prossima edizione delCongresso UBI, e quindi del Contest

per il Talento, si terrà a Torinonell'Aprile del 2014, per una tre giornidi bonsai&suiseki da ricordare. Ungrande in bocca al lupo a tutti ipartecipanti, e come sempre... buonbonsai!

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di MASSIMO BANDERA

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Le regole che determinano la composizione del boscoa bonsai sono molteplici e concorrono tutte al ri‐cercare la possibilità di trovare il miglior equilibrio trail materiale di partenza ed il risultato naturale. Una

delle regole più importanti, alla quale è impossibile ri‐nunciare, è l’uso di un pane di terra, e conseguentementeun vaso, estremamente piatti, proprio per dare l’esempio ela sensazione dell’orizzontalità del territorio. Le regole diprofondità sono legate alla scelta crescente o decrescentedel diametro dei tronchi rispetto al fronte, ed anche alla loroaltezza.

La profondità deve essere tanto maggiore quantopiù basso è il numero di soggetti del bosco, nel senso chenei boschi a 5, 7 o 9 tronchi sarà molto accentuata la diffe‐renza di diametro tra individui, mentre nei boschi numerosiquesto elemento è meno importante nel senso che il diame‐

tro degli individui può essere “più simile fra loro”. La posi‐zione del gruppo deve in oltre prevalere verso destra o versosinistra lasciando uno spazio che rappresenta l’infinito,conferendo una grande profondità e tranquillità allacomposizione, liberandola anche dal rischio di sembrareuna coltivazione concentrata.

Anche la parete frontale dovrebbe avere un po’ dispazio per contribuire ad aumentare il respiro della compo‐sizione come si può notare dalla piantina del disegno 1.L’osservazione dal fronte deve consentire un posiziona‐mento dei tronchi in modo da non avere più di due piantein fila proprio per rispettare la naturalezza. Anche latriangolarità dovrà rispettare le solite regole di asimmetriadei triangoli considerando la chioma dell’intero bosco nelsuo insieme o nei suoi gruppi principali. Nello stile a boscocome anche nelle ceppaie e negli stili a zattera per la cultura

1. Giardino dei boschi di Saburo Kato

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giapponese, sono normalmente utilizzati per rappresentareforeste o rive di laghi. Questa curiosa motivazione è dovutaall’assenza della pastorizia e dell’allevamento bovino nellamontagna giapponese, per tanto in Giappone è raro vederepraterie libere in alternanza a boschetti come avviene nellenostre Alpi, ed è per questo che nella mentalità giapponesel’area libera che rappresenta l’infinito suggerisce il lago o ilfiume che sono gli unici elementi in grado di tagliare la fore‐sta vergine, oltre all’agricoltura ed agli interventi umani ingenere.

Nella realizzazione del vuoto si deve lasciare lospazio completamente libero, senza aggiungere elementicome erbe, rocce o statue che sono considerate per la raffi‐natezza giapponese, estremamente volgari; l’arte consisteappunto nel riuscire a dare l’impressione e la sensazione

della presenza. Questo elemento di grande ricaduta esteticaè un punto di fondamentale differenza tra la cultura dellaCina e del Giappone, vedremo infatti com’è importante peri cinesi inserire direttamente l’elemento che si vuole rappre‐sentare. Osservando il bosco dal fronte sarà importantemantenere tutte distanze differenti tra i tronchi, in modo daevitare ripetizioni e ricadere nella simmetria. Questarappresentazione è particolarmente importante nel caso incui ci siano poche piante, infatti i boschi di 7, 5 o 9 alberisono in realtà proprio i più difficili poiché la loro posizionedev’essere praticamente perfetta. Nella composizione e fre‐quente vedere coppie di tronchi molto ravvicinate quasi acontatto, che devono essere di dimensioni differenti e loscopo è per ottenere una impressione più grande del troncopiù grosso attraverso al contrasto col tronco più piccolo, inoltre permette di aumentare l’effetto di naturalezza facendo

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2. Bosco di abeti. Disegno di Giu‐seppe Attini ‐ 3. Bosco realizzato dalMaestro Masahiko Kimura. ‐ 4. Boscodi Ezo di Saburo Kato

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vedere che è nato un tronco piccolo vicino al grande albero.I boschi formati da gruppi di piante sono molto

interessanti perché permettono di ottenere gli spazi vuotianche in composizioni con moltissimi tronchi, come il casodel disegno 3 e 4, in cui notiamo una struttura di latifoglie invaso e su lastra a tronchi dritti ed a tronchi mossi. Nella rea‐lizzazione pratica questo tipo di bosco è un insieme di bo‐schi semplici, normalmente 2 o 3, accostati tra lororispettando le stesse proporzioni come se fossero grossisoggetti.

Le superfici del pane di terra non devono esserepiatte, ma al contrario devono seguire degli andamenti

naturali, facendo talvolta piccoli salti, gradini e dislivelli chevanno via via degradando verso il margine, soprattutto nelcaso dei boschi su lastra.

Dal punto di vista della coltivazione i boschi bonsaiche diventano capolavori si ottengono normalmente conpiante giovani che crescendo insieme per molti anniavranno delle forme particolarmente armonizzate tra loro,mentre l’uso di piante grosse assemblate all’ultimo momentodifficilmente porteranno un risultato completo dal punto divista dell’estetica Zen.

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Mi è stato regalato,all’inizio di questoanno, un libretto cheho trovato curioso nel

titolo, al di là del grande valorespirituale per i suoi contenuti.

E’ uno di quei libretti,molto agevoli, che bisognerebbetenere sempre a portata di mano,per una specie di “prontuario”per lo spirito! Una considerazioneper chi come me ha visto nascereil bonsai in Italia: come il termine“bonsai” sia da tempo entratonell’uso comune e usato perfino

in libri di carattere religioso.Gli autori scrivono a pro‐

posito delle preghiere che “sonocome le piante bonsai: piccole; sicolgono con uno sguardo; affasci‐nanti per la loro bellezza.[…]queste brevi preghiere, come ibonsai, sono in se stesse completenella loro brevità. Come perquelle piante, occorre moltaattenzione, una continua curaperché non appassiscano.”

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PREGHIERE BONSAI365 BREVI ORAZIONI PER OGNI

GIORNO DELL’ANNO

A CURA DI LUIGI GUGLIELMONI E

FAUSTO NEGRI

EFFATA’ EDITRICE

€ 8,50

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Questo ginepro itoigawa da vi‐vaio di provenienza giappo‐nese risulta molto diverso daisoliti itoigawa ricchi di ramifi‐

cazione, curve e vegetazione moltofitta. E’ caratterizzato da due masse ve‐getative ben distinte, una sul primo ra‐mo posto a circa 2/3 del tronco e l’altraconcentrata all’apice del ginepro e daun tronco abbastanza flessuoso eslanciato. Queste due caratteristicheconnotano un carattere decisamentefemminile che influenzerà il progettodel futuro bonsai.

Già al momento della scelta diquesta pianta mi hanno colpito propriole potenzialità che questo ginepro pos‐siede nel poter diventare un bonsaiche esprima la leggerezza e la saggezzadi un vecchio letterato.

Gli shari come rughe profondeche solcano il viso, il ramo con la partedi legna secca spezzata come una ci‐catrice legata ad un lontano ricordo, lascarsa vegetazione di verde intenso co‐me la candida capigliatura checirconda lo scarno viso di questovecchio saggio.

Pochi giorni dopo che questoginepro entrò nel mio giardinoavvenne il disastro di Fukushima dove

alla forza devastatrice della natura si èandata a sommare la furia altrettantodevastatrice dell’uomo. Da quel giornoho sempre avuto l’idea che questo gi‐nepro dovesse rappresentare la forzarinnovatrice della natura che, nella suacomplessità, riesce a contrapporreforze devastanti fragorosamenteimprovvise e di una potenza inimmagi‐nabile, al maestoso silenzio che necontraddistingue la rinascita con il suocontinuo, impercettibile ed incessantetrasformarsi che ha permesso la rea‐lizzazione di questo stupendo pianeta,nonostante la presenza dell’uomo.

Fukushima sarà il nome diquesto bonsai per ricordare a tutti noila contraddizione umana che è capacedi distruggere tutto quello che locirconda ed allo stesso tempo, con ladisciplina, l’orgoglio, la dignità, la soli‐darietà e la volontà di ricominciare, sirimbocca le maniche e riesce ad anda‐re comunque avanti.

BASE E RADICI ‐ La prima cosa che saltaall’occhio sono le tre radici che parto‐no dal tronco ed in particolare quellacon l’attaccatura al tronco più in alto,che sicuramente rappresenterà un pro‐blema dal punto di vista estetico.

TRONCO ‐ La parte iniziale presenta duecurve molto nette mentre poi assumeun andamento più rettilineo con alcunimovimenti appena accennati fino allaparte apicale dove il tronco si divide indue parti, di cui una secca conse‐guente di una precedente potatura,mentre l’altra finisce con una piccolacurva con tre rami principali cheportano tutta la vegetazione apicale.Per tutta la lunghezza del tronco ci so‐no varie parti di legna secca in evi‐denza che potranno diventare uno opiù shari lungo tutto il tronco. Questipotranno fornire ancora più movi‐mento all’intero bonsai nel progetto fi‐nale.

Contemporaneamente, la de‐finizione delle vene vive e la loro tu‐bolarizzazione daranno ancora piùcarattere e movenza al tronco. Uno deilavori da fare durante l’impostazionedel bonsai, sarà proprio quello di indi‐viduare le zone di secco non evidentied allo stesso tempo delineare le venevive ed approcciare gli shari.

RAMIFICAZIONE E VEGETAZIONE ‐ A parte idue piccoli rami posti a 2/3 del tronco,che andranno sicuramente eliminatiqualsiasi sia il progetto finale, le masse

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vegetative della pianta sono es‐senzialmente due: la prima sul ramoposto dopo la prima metà del tronco ela seconda, formata da tre rami prima‐ri, all’apice del ginepro. In tutti e due icasi abbiamo la presenza di una partesecca emergente che rappresenta laparte interna del ramo e del tronco perl’apice. Questa situazione molto pro‐babilmente ci costringerà a fessurare eseparare la vena viva dalla parte secca

per permettere la piegatura e la messain posizione. La vegetazione sembra inbuona salute, di un verde intenso,anche se in alcune zone ci sono deipiccoli rami con vegetazione ad aghiche denunciano un minimo stato distress della pianta.

CARATTERE ‐ La conformazione deltronco, la ramificazione e la vegetazio‐ne a disposizione non ricca, danno

immediatamente idea di una pianta dalcarattere femminile ed elegantenonché sofferto. Il progetto del futurobonsai non potrà prescindere da que‐ste caratteristiche ed anzi cercheremodi evidenziarle. Volendo identificareuno stile che più si avvicina al caratteredi questo itoigawa sicuramente vienein mente un bonsai con due masse ve‐getative ben distinte composte da tantipiccoli palchi leggeri che mettano in

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evidenza il movimento del tronco esoprattutto il gioco di alternanza fravene vive e zone di legna secca.Due ipotesi più estreme potrebberoprevedere l’eliminazione di unadelle due masse vegetative per crea‐re un bunjin con un aspetto ancorapiù drammatico. In questa versioneil punto focale o elemento caratte‐rizzante saranno i jin, gli shari, ovve‐ro tutta la legna secca che dovràessere lavorata per rendere evidentel’azione degli agenti atmosferici, deltrascorrere del tempo edell’intervento dei fenomeni naturalisu questa parte della pianta.

A questo punto iniziamo a

ruotare ed inclinare la pianta perindividuarne l’aspetto fondamentaledi ogni bonsai: il fronte.

LATO A ‐ Esaminando il ginepro daquesto lato la parte iniziale alla basedel tronco risulta piatta, “bidi‐mensionale”, anche se inclinata. Ri‐salendo, dopo la prima curva, iltronco tende ad allontanarsi verso ilretro e, dopo la seconda curva, ri‐sulta rettilineo fino alla curva nellazona apicale che tende verso destra.

Il ramo a sinistra è moltorettilineo, cilindrico e indirizzatoverso l’alto fino al punto doveemerge la parte centrale, secca. I

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piccoli rami, intermedi, posti sul davantihanno una dimensione del tronco molto esilee quasi sicuramente verranno eliminati du‐rante l’impostazione.

Da questo lato sono evidenti i dueshari principali al livello delle due curve ini‐ziali. Questi potranno in futuro rappresentareun punto focale del progetto. Sono visibilianche due rami potati in precedenza che po‐tranno essere trasformati in jin.

LATO B ‐ In generale, se visto da questo lato, ilginepro diventa ancora più anonimo: iltronco diventa particolarmente rettilineo e ci‐lindrico sia nella prima parte che nel trattosuccessivo alle due curve.

Partendo dalla base, la radice giàevidenziata nell’analisi generale della pianta èmolto visibile e sicuramente rappresenta unelemento di disturbo nella visione del bonsai.Gli shari non sono più visibili e soprattutto ilprimo ramo va a ritrovarsi completamente sulretro della pianta. Anche volendo piegarloverso il fronte andrebbe a posizionarsi pro‐prio sulle due curve del tronco.

Anche eliminando il primo ramo esfruttando la vegetazione apicale rimangono idifetti della prima parte del tronco.

LATO C ‐ Da questo lato emergono imme‐diatamente due elementi negativi:‐ Il tronco viene prepotentemente in avanti

verso l’osservatore ed anche inclinando note‐volmente la pianta la situazione non miglioradi molto;‐ La ve‐

getazione, ed in particolare l’apice, si trovatutta rivolta verso il retro e difficilmente puòessere reindirizzata verso il fronte o ai lati acausa delle parti di legna secca che emergo‐no sia dal ramo principale, sia dall’apice.

Unica nota esteticamente valida puòessere il movimento del tronco che mette inevidenza tutte le curve presenti. I due ramipotati potrebbero essere sfruttati per crearedei jin e degli shari.

Lato D ‐ La prima parte del tronco ha unaforma molto ristretta rispetto al resto deltronco stesso con una zona molto più sottilefino alla prima curva verso sinistra che pro‐voca una leggera contro‐conicità molto anti‐estetica. La pianta tende ad allontanarsirispetto all’occhio dell’osservatore.

In questa situazione il primo ramo èposizionato proprio sul fronte ed anche pie‐gandolo verso destra, la vegetazioneandrebbe a finire sulla prima curva. La partesuperiore del tronco rispetto al primo ramorisulta molto rettilinea senza alcun movi‐mento fino alla vegetazione nella zona api‐cale.

Gli shari non sono visibili e l’insiemedella pianta non presenta nessun puntod’interesse.

I MOTIVI DELLA SCELTA ‐ MOVIMENTO. In questaposizione si ha il massimo del movimento edanche la parte più rettilinea risulta attenuatadalle piccole curvature del tronco. L’inclina‐zione che prima tende ad andare indietro per

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poi tornare verso l’osservatore all’altezzadell’apice, insieme alle curve iniziali, au‐mentano la dinamicità d’insieme. Gli shari e levene vive andranno ancora ad accentuare ilmovimento ed il carattere del bonsai.

POSIZIONE DELLA VEGETAZIONE. Qui ha giocato unruolo fondamentale la presenza della legnasecca e l’andamento verso l’osservatore.

LE MASSE VEGETATIVE: UNA O DUE? Forse con dueavremo una pianta più equilibrata e tranquilla,con una soltanto, in particolare se scegliamo dicostruire la pianta sul primo ramo e di creareun jin apicale, la drammaticità aumenterà no‐tevolmente, ma forse realizzeremo qualcosa digià visto.

Sfruttare solo la vegetazione apicalecreando dei palchi leggeri potrebbe essere ungiusto compromesso. Un’altra strada percorri‐bile potrebbe essere un percorso in due fasi:nella prima impostazione sfrutteremo tutta lavegetazione. Questo ci permetterà di avere iltempo sufficiente per valutare meglio e poterprendere una decisione più serena. In un se‐condo momento valuteremo l’evoluzione chevorremo dare al nostro bonsai. Dopotutto unbonsai non è mai una cosa definita e definiti‐va.

LA REALIZZAZIONE ‐ L’occasione era diquelle da non perdere assolutamente! Il Mae‐stro Kunyo Kobayashi ospite alla manifestazio‐ne “Sotto il Cielo d’Inverno” organizzata da

Franchi Bonsai. All’interno della manifestazio‐ne due giorni di workshop con Kobayashi ed ilsuo genero Akiyuma.

Il giorno arriva, giusto il tempo di sa‐lutarsi con tanto di inchino ai due Maestri, esubito gli mostro il progetto spiegandogliquello che avrei voluto realizzare.

Kobayashi ed Akiyuma esaminano lapianta girandola ed inclinandola più volte edalla fine concordano con il mio progettosuggerendomi una maggiore inclinazione inavanti in modo da accentuare la direzionedell’apice verso l’osservatore ed allo stessotempo accentuare il movimento iniziale deltronco.

Subito dopo Kobayashi mi spiegaquali rami intende utilizzare per realizzarel’apice del bonsai ed un attimo dopo i ramisuperflui sono già caduti sul tavolo.

L’eliminazione di questi rami rendesubito più chiara anche la situazione delleparti di legna secca che andremo a realizzare.Continuo a pulire il tronco ed a delimitare levene vive che alimentano la vegetazione ri‐spetto alle parti già secche. Da questa opera‐zione emerge chiaramente che avremo duevene, posizionate ai bordi esterni del ginepro eche circondano la parte centrale di legnasecca, che andranno rispettivamente ad ali‐mentare le due masse vegetative, quella delprimo ramo in basso a sinistra e quella dellaparte apicale. In una successiva sessione di la‐voro mi dedicherò proprio alla lavorazione ditutta la legna secca in modo da alleggerire do‐

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ve necessario e mettere in evidenza i jin e gli shari così dacreare ancora più movimento sull’intera fisionomia delbonsai.

Completate queste prime due fasi, indispensabiliquando approcciamo qualsiasi pianta che vogliamo tra‐sformare in un bonsai, inizio con la fase di applicazione delfilo a tutta la ramificazione.In questo caso comincio con il primo ramo a sinistra. Questoè caratterizzato dalla vena viva che si è ormai completa‐mente staccata dalla parte secca del ramo in modo naturale,sicuramente a causa degli agenti atmosferici che ne hannodeterminato il distacco. Dovendo effettuare la piega dellavena viva verso il basso rispetto al jin naturale, proteggo lavena stessa avvolgendo con rafia inizialmente tutto il ramoper poi andare a salvaguardare la sola vena viva fino all’ini‐zio della ramificazione secondaria.

Sulla rafia viene applicato il filo di rameraddoppiando le spire in modo da garantire ancora unamaggiore protezione alle fibre della vena durante la piega. Ilramo viene ruotato e spinto verso il basso rispetto al jincercando di non stressare eccessivamente la vena e non

rompere il punto di contato con la parte secca. Per mante‐nere il ramo in posizione viene utilizzato un piccolo cuneodi legno che viene posizionato nel punto di apertura fra ra‐mo secco e vena viva. Con il tempo andremo a premereancora di più il cuneo verso l’interno in modo da accentuarela separazione ed allo stesso tempo spostare il ramo verso ilbasso e verso l’interno del tronco.

Anche nella parte apicale viene applicato il filo dirame cercando di raddoppiare sempre le spire sulle parti chedevono subire le piegature più drastiche. Utilizzando un filodi diametro minore, ma raddoppiandolo sul ramo, si ottieneuna maggiore protezione rispetto agli sforzi di estensione,compressione e rotazione delle fibre all’interno del ramostesso se paragonato all’applicazione di un singolo filo conun diametro leggermente maggiore. Nel nostro caso abbia‐mo usato un filo di 2,5 mm raddoppiato quando sarebbestato sufficiente un singolo filo da 3,5‐4 mm.

Su indicazione del Maestro Kobayashi il lavoro ècontinuato su tutta la ramificazione fino alla vegetazione piùfine utilizzando fili di diametro sempre più piccolo.

Mentre a me tremavano le mani per la paura dispezzare la vegetazione verde tipicamente fine dell’itoigawa,sia Kobayashi che Akiyuma procedevano con una velocitàed una sicurezza impressionante.

Finalmente ogni piccolo rametto ed ogni ciuffo divegetazione è legato e si può procedere alla modellazionedel ginepro. Con la stessa facilità e leggerezza con le qualiKobayashi metteva il filo di rame ha preso fra le sue maniogni ramo ed ha iniziato a piegare e posizionare la vegeta‐zione per disegnare il futuro bonsai. Dopo il lavoro delMaestro ho cercato di rifinire ancora meglio le parti di legnasecca abbozzate nelle fasi precedenti e poi ho definitiva‐mente tolto le mani dalla pianta. Ultima operazione unaricca nebulizzata di acqua su tutta la vegetazione.

Adesso il Vecchio Saggio sarà lasciato riposare pertutta la prossima stagione curando la coltivazione e l’esposi‐zione in modo da farlo recuperare dallo stress di questa pri‐ma impostazione e favorire l‘infoltimento della vegetazione.

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Premetto che ho scritto questoarticolo con grande emozione.Sono un bonsaista amatore edè la prima volta che ho la possi‐

bilita di scrivere un articolo per una rivi‐sta specializzata. Un "grazie" è doverosoalla redazione. Il materiale qui preso inesame non è di pregio, ed il mioobiettivo è stato quello di cercare di va‐lorizzare al massimo tutto ciò che lapianta poteva esprimere, cosa assoluta‐metne non facile visto il materiale dipartenza. Il tasso era in mio possesso dadiversi anni, ed in questo tempo mi so‐no solo dedicato a coltivarlo nel miglior

dei modi.Due anni fa la pianta subì un

incidente che la caratterizzò per sempre.Una violenta folata di vento la fece ca‐dere dal bancale, causandone la divisio‐ne del tronco in due parti. Decisi di nonintervenire e di attendere la sua reazio‐ne. Sorprendentemente non persenemmeno un germoglio. Alla fine del2011 decisi di approcciare un primostep di impostazione.

Come prima cosa ho iniziato aripulire la vegetazione e le scaglie dicorteccia aiutandomi con un coltellino...e qui sono iniziate le sorprese. Pian pia‐

far di necessità

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no venivano portate alla luce tutte le sue peculiarità, evi‐denziando shari naturali e vene belle gonfie.

Procedo con la filatura ed il disegno della pianta iniziaa prendere forma. Parto dal primo ramo e salgo fino all'apicetenendo in considerazione alcuni punti importanti. Per mia fi‐losofia, la prima cosa da tenere in considerazione è che il la‐voro non deve intaccare la salute della pianta, così da riuscire atirar fuori l'anima nascosta del tasso senza effettuare interventidrastici. Altri punti importante che ho considerato, sono quelliinerenti al movimento e all'armonia. La pianta aveva tre rami econ quelli dovevo fare tutto. Quindi ho lasciato un primo ramoimportante per dare carattere e direzione, uno di profondita el'ultimo per la continuità del tronco. Essendo quest'ultimo drittoe rigido, il primo ramo non potrà avere curve morbide, maeventualmente curve strette e ravvicinate, cosa quesa daescludere, visto che lo spessore del ramo e la vegetazioneravvicinata avrebbe messo a rischio la sua salute. Quindi l'holasciato dritto e rigido come il tronco per rendere il tutto piùnaturale, mentre la parte alta del tronco avrà curve moltoleggere. Un problema di questa pianta era lo spacco neltronco; questo poteva essere un punto di interesse ma ancheun disturbo.

Se si fosse aperto ancor di più, si sarebbe creatoun'antiestetica V, e per renderla più naturale si sarebbe dovuto

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torcere il tronco su se stesso, cosa che avrebbecomportato degli elevati rischi per la pianta.Inoltre, il resto del tronco sarebbe rimasto dritto erigido, e le due parti sarebbero state fortemento incontrasto estetico tra loro, rendendo l'intera piantaassolutamente non credibile.

Decido quindi di minimizzare lo spacco,come se volessi "chiuderlo", giocando moltocreando sull'effetto ottico con un "vedo non vedo".

A lavoro ultimato, il risultato mi appagadavvero molto. L'insieme risulta molto naturale earmonico. Nei prossimi step mi preoccuperò dipotare la vegetazione superflua, soprattutto nelprimo ramo. Essendo la sua prima impostazioneho lasciato volutamente più massa verde al fine dinon stressare troppo la pianta.

Volevo ringraziare il club che frequento,lo Zerozen, e Francesco Pieralli, mio amico emaestro. E' solo grazie al loro prezioso aiuto esupporto che ho la possibilità di migliorare un pas‐so alla volta sempre di più.

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La betulla ama un ambiente fresco, so‐leggiato e pedemontano dove esprimeil meglio di sé. La storia di questa be‐tulla fatta da seme nata nella primavera

del 1966, inizia con la prima foto del febbraiodel 1971, quando decisi di dargli una formacome la chioma di Medusa usando il filo di ra‐me degli elettricisti. Forma sicuramente insolitaper una betulla, poiché mi ero ispirato alla So‐phora japonica tortuosa cui ero rimasto moltoaffascinato. Infatti, come le serpi della chiomadi Medusa, la Sophora japonica intreccia i suoirami contorti e tormentati.

Purtroppo, la totale mancanza diinformazioni sulle tecniche bonsaistiche se nonquelle da me sperimentate, non mi avevanopermesso di conoscere le esigenze della be‐tulla che mal sopporta ad essere modellata co‐me la chioma di Medusa e così, anno dopoanno alcuni rami perirono.

Ci son voluti alcuni anni di osserva‐zioni sul comportamento della betulla per riu‐scire a comprenderla. Infatti, la betulla è unapianta affascinante ma piuttosto "permalosa"poichè crescendo velocemente ha un altrohandicap, mal sopporta "potature a legno", inparticolar modo se vengono effettuate con laluna crescente; i ritiri di linfa sono le cause piùcomuni nel far perdere un ramo con la po‐tatura. Fortunatamente, la betulla ha lacapacità di generare gemme e germogli sia allabase delle radici, sia all’ascella dei rami, stimo‐lando così la formazione di germogli e dipolloni.

Per ovviare alla perdita dei rami è ne‐cessario intervenire con una certa frequenzacon la potatura dei germogli e del taglio dellefoglie più grandi, in questo modo si riesce amantenere una vegetazione compatta, usandonel frattempo contenitori bassi per frenare lacrescita mantenendo il substrato sempre umi‐do.

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1. Come le serpi della chioma di Medusa, la Sophora japonica intreccia i suoi rami contorti e tormentati. ‐ 2. La betulla vistanel 1991. Dopo la perdita di alcuni rami, si era sviluppato alla base un robusto pollone. ‐ 3. Primavera del 2001 ‐ Alla basedelle radici si è sviluppato un giovane germoglio il quale contribuirà a formare il nucleo famigliare nello stile: padre, madre efiglio.

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4. Marzo 2011. La betulla è ancora spoglia.5. Aprile 2011. La betulla in piena vegetazione.6. Giugno 2011. La betulla è stata defogliata e modellata nello stile pendulo‐piangente ondulato, usando ilmetodo "Seishi".

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7. La base annosa della betulla neisuoi 45 anni di vita reali evidenzia lacaratteristica corteccia sugherosa, ti‐pica delle vecchie betulle. ‐ 8. Nelfrattempo si sono formati dei nuovigermogli nei punti strategici nel mi‐gliorare la chioma della “Madre",però anche sulla chioma del "Figlio"ci sono già delle tracce iniziate.L’evoluzione continua! ‐ 9. Infatti,come previsto anche la chioma del“Figlio” si sta infoltendo.

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10. La betulla vista nel mese diluglio 2011 dopo l’avvenutagermogliazione post defogliazio‐ne. ‐ 11. Armando con la Betullanel 2011. Sono trascorsi 40 annidalla prima immagine visibilenella foto che tiene in mano; ledimensioni della betulla non sisono discostate di molto, anzidirei che si sono ridotte, mentrei capelli di Armando si son fatticanuti, e così pure la cortecciadella Betulla mostra i segni deltempo trascorso. ‐ 12. Armandosembra dialogare con la Betulla.E come non potrebbe esseredopo 45 anni di vita trascorsiinsieme?

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Rendere un daiza "invisibile" scegliendo lagiusta forma del "muro"e dei piedini...scendendo a seguire fedelmente la linea diperimetro massimo della pietra nelle sue

evoluzioni... colorazione e finitura... queste son tuttefasi necessarie, ma conseguenti alla scelta di uncorretto inserimento della pietra nel legno, alla ricercadel giusto equilibrio, del "centro di gravità o bari‐centro". L’opera della Natura, nel suo incessante lavo‐

ro di modificazione della materia e della sua forma,non necessariamente tiene in conto che la cimaprincipale di una forma a montagna, ad esempio, siaequilibrata rispetto alla linea di orizzonte, che abbia adegradare piacevolmente in maniera asimmetrica edarmonica da ogni lato, che sul retro lo spazio siestenda a dare il senso della tridimensionalità edell’infinito, etc. etc.

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A questo, ove si renda necessario, dobbiamo ovviare noi che abbiamo dalla nostra, la possibilità di integrare il mancante conil legno, nel complice buio dello scavo di una base.

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Ma della ricerca del corretto posizio‐namento di pietre paesaggio cioccuperemo nel prossimo incontro.

Qui, vorrei per un attimoinvece soffermarmi sulla estrema va‐riabilità di scelta offerta da una pietraa forma cosiddetta "astratta", ovel’interpretazione può fallire, comediventare arte, genialità o sempliceintuizione come mixer tra la nostrapredisposizione a fantasticare e laintrinseca capacità di suggestionedella pietra.

Determinare poi quali siano i lati di una pietra, è la semplice conseguenza della scelta di quale sia il fronte e quale il retro…ma è proprio qui che, sovente, ci si lascia sedurre & sopraffare dalla migliore "vista" che poi non sempre corrisponde ad unascelta esteticamente corretta.

"GENGIS KHAN" di Andrea Schenone

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Il risultato che ne può scaturire non saràobbligatoriamente legato ai classici richiaminaturalistici, ma anche solo a linee di movi‐mento, dinamicità espressiva, misterioso intri‐go: immagini ispiratrici di sentimenti osemplice curiosità creativa.

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"LA VELA” di Andrea Schenone ‐ Ciò che latiene otticamente ancorata al piano diappoggio (simbolicamente, la barca che solcail mare) è quel nodo di legno. Questa suaforma sinuosa e sottile è in grado di rendere"la pietra", più leggera di quel "nodo". Palpabi‐le è la levigatezza della superficie: carezzatadall'acqua per migliaia di anni, ora pare mate‐ria malleabile, cedevole al primo soffio divento.

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La nostra fantasia, il nostrosenso estetico, poi, vengo‐no messi alla prova dallaforma di pietre che, vuoiper le proporzioni verticalipredominanti, vuoi perangolazioni o curve, vuoiper masse sovrapposte traloro etc. si riallacciano allamorfologia appartenente alregno animale e/o umanoo riferentesi ad iconografiedivine.

Nella tradizione giappone‐se, Suiseki è la Pietra Pae‐saggio, mentre pietre informa umana od animalesono state (e non sempre)accettate come acquisizio‐ne recente, tra le Keisho‐seki e comprese nelleChin‐seki o Pietre Rare.

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Maggiore rispetto è riservato ad immagini di kannon (Kannon‐seki) o personaggi storici; mentre pietre a forma di animale(Dobutsu‐seki) o forma umana (Sugata‐ishi) vengono di preferenza interpretate come "rocce a forma di" e non il contrario.

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Mr. A. Matsuura nota che, comunque: “non è buona cosa che la somiglianza si avvicini troppo alla cosa vera” e che “se pursia importante giocare con il cuore e con la mente, forme grottesche non sono buone”.

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Una Seigaku‐ishi dall'equilibrio perfetto. La sistemazione di una Sugata o di un Dobutsu nel legno, l’inclinazionedella pietra nel daiza (che siamo liberi di scegliere sino ad un grado più indietro da ogni possibile rovinosa cadu‐ta), può determinarne l’interpretazione, l’assegnazione del tema, lo stato di stasi od il movimento etc.

La pietra figura non deve, come un paesaggio, radicarsi al suolo, bensì percorrerlo, sostarvi, riposarvi, fuggirne,ergervisi come su un trono od altare.

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DA CHE PARTE GUARDI (IL MONDO)TUTTO DIPENDE... DI SERGIO BASSI

Ho sentito spesso amatori disuiseki come me,commentare una pietrache era possibile posizio‐

nare in modi diversi. Se questo puòsuccedere per una singola pietra, figu‐riamoci poi per un'esposizione multipladove le pietre sono molteplici.

Ritengo sia normale fare, pri‐ma della mostra, molte prove fina‐lizzate alla ricerca di un'esposizione

corretta ed armoniosa; per un amantedel Suiseki, scegliere le pietre è unadelle cose più divertenti che ci possaessere: fare le prove per esporre quelleche ci sembrano più adatte, cercare illivello, la posizione, gli abbinamenti...accorgersi magari che quella che "ciandrebbe meglio" non ha la base fattae che ci dobbiamo affrettare, perché lamostra è sempre più vicina e si rischiadi portarla con la vernice ancora fre‐sca...

Non voglio annoiarvi facendo‐ci vedere tutte le prove che abbiamo

fatto, io e Claudio, ma voglio rendervipartecipi della scelta sulla postura diuna piccola pietra oggetto (animale),che abbiamo ritenuto adatta percompletare il multiplo.

Analizzando la pietra, possia‐mo apprezzare i pregi che dimostra:una bella coda, forse un po’ spessa, madella lunghezza giusta; un anello dicalcite a delimitare ma anche adabbellire il collo; il muso, un po’allungato e con un’inclusione semprein calcite, ci può far immaginare unbecco ma non solo. Rigirandola fra le

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mani ci siamo accorti che semplice‐mente cambiando inclinazione, la suaespressività cambiava decisamente.

Partiamo da quella che pos‐siamo definire "massima inclinazione"(foto A). La testa molto bassa e la codarivolta verso l'alto, mi ricordano unpasserotto nell'atto di strofinarsi nellaterra smossa, o mentre sta facendo ilbagno in una pozza... oppure, si po‐trebbe interpretare come se stessemangiando o bevendo.

Se portiamo le due estremitàquasi allo stesso livello (foto B), abbia‐mo l'impressione di un animale che sista muovendo, lentamente, in modovigile ma tranquillo, assorto nelle attivi‐tà abituali di tutti i giorni, alla ricerca dicibo ed altro.

Alzando ancora "la testa" eovviamente abbassando "la coda" (fotoC), in questa posizione può cambiare

anche l'animale rappresentato; il collolungo potrebbe ricordare un dinosaurodallo sguardo attento e sempre pronto,conscio del fatto che lo stare all’erta fàla differenza fra essere preda o pre‐datore.

Posizioniamo la pietra con lamassima verticalità (foto D). L'animalesi slancia verso l’alto, il petto promi‐nente ed il collo lunghissimo sembrache vengano mostrati con orgoglio;possiamo immaginare che si muova(caratteristica molto difficile da ri‐scontrare in una pietra), probabilmenteche stia danzando.

Tutto questo ha certamenteuno scopo: gli animali usano questostratagemma per mettersi in mostra,quando cercano una compagna. Que‐sta posizione ci intriga moltissimo: pos‐siamo definirla "richiamo d’amore"; laricerca continua, comune a tutte le

specie, di "dare vita nuova per dare unsenso alla nostra vita". Non c'è nientedi più nobile e gratificante.

La piccola pietra in oggetto èqui posizionata all'interno del multiplo(foto E) presentato nella XV edizionedella mostra dell'AIAS avvenuta nel2012 a Bondeno di Gonzaga, dove hoavuto il piacere di aggiudicarmi il pri‐mo premio di categoria.

Quanta fantasia, quanto pia‐cere, quante interpretazioni da unapiccola pietra! Matti? Forse, ma è unapazzia contagiosa & gioiosa e Dio solosa quanto bene faccia allo spirito diognuno ed all'amicizia tra molti!

Da Luciana e Sergio... alla prossima!

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Salve amici, questa nuova intervista è un vero e proprio tuffo nella storia.

La storia del Bonsai nel nostro Paese. Armando Dal Col è questo, una

pietra miliare per tutti quelli che amano il bonsai, un termine di paragone

e, permettetemi, un modello da imitare. Persona modesta e sempre

disponibile, ha il suo regno nel SEI WA MUSEUM BONSAI EN (giardino museo

della serenità) diventato meta imprenscindibile per appassionati e

semplici curiosi. Inutile parlare delle sue piante, chi non le conosce? Un

solo accenno va al suo Faggio Patriarca una della più belle piante che si

siano mai viste. Ora, prima di cadere nella celebrazione del personaggio

lascio la penna al Maestro.

Buona lettura.

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Maestro, con un po' di emozione mi accingo all'intervistae mi rivolgo a te dandoti del tu. Inizio in maniera forseinsolita chiedendoti che ne è del famoso pesco da fruttoche fu l'inizio della tua e nostra storia.

Premetto che gli alberi da frutto nel periodo dellafioritura il pesco con i suoi fiori rosa pastello era quello chemi emozionava di più, ed è per questo che scelsi in un viva‐io nella lontana primavera del 1963 proprio un pesco e do‐po qualche giorno una Cydonia da fiore.

Purtroppo non mi resi conto all’epoca delle enormidifficoltà che avrei incontrato nello scegliere proprio un pe‐sco, soggetto com’è alle malattie come la “bolla del pesco”,la “gommosi” ed altre patologie. Ben diverso sarebbe statose avessi scelto per esempio un melo, la cui fioritura è se‐conda solo al pesco con la sua gamma di colori bianco‐ro‐sati.

Ciò nonostante e senza nessunissima esperienza ilpesco è vissuto sempre in vaso per ben 34 anni, passando amiglior vita nell’autunno del 1997 a causa delle ife tumoraliche si erano propagate in tutte le sue ramificazioni.Conservo comunque il pesco ed è esposto fra alcuni deimiei trofei poiché lo considero come una reliquia. Mentre laCydonia fortunatamente gode ancora ottima salute, ed allaMostra‐Congresso UBI 2012 ad ARCOBONSAI è stataesposta in uno spazio a me dedicato così, migliaia di perso‐ne l’hanno potuta ammirare.

Leggendo di te mi hanno colpito i tuoi inizi, ti seiinventato "gli alberi in vaso" ignorando l'esistenza delbonsai dall'altra parte del mondo. Ci puoi raccontare co‐me hai avuto questa intuizione?

Il mio approccio con il Bonsai era dovuto proba‐bilmente al mio DNA per il mio carattere romantico; da ra‐gazzo, infatti, mi piaceva ammirare gli alberi fioriti inprimavera, ed allungando un braccio vedevo l’albero pro‐iettarsi sul palmo della mia mano. E fu così che mi nacquel’idea di creare un albero in miniatura che potesse vivere inuna ciotola da tenere fra le mani.

Fermo restando che le difficoltà incontrate da te, Giorgi,Franchi e gli altri, pochi, storici pionieri, siano ai più no‐te, mi piacerebbe che ci raccontassi quello che è stato ilnostro big bang, l'inizio di tutto a partire da quel famosopesco. Cosa vi ha fatto superare tutti gli ostacoli che visiete trovati di fronte, come avete fatto a non desistere?

Fortunatamente con la prima EUROFLORA di Ge‐nova del 1966 che viene riproposta ogni cinque anni, ebbil’opportunità di leggere un articolo di questo grande evento.L’articolista annotava che fra le novità e le cose più interes‐santi da vedere c’erano degli alberi in miniatura coltivati neivasi, esposti dai giapponesi, ma non geneticamente nani,bensì creati artisticamente dall’uomo! Quasi sobbalzaileggendo questa notizia, allora si può fare! Commentai frame, ma quando cominciai a chiedere in giro nessuno ne sa‐peva niente. E così dovetti "accontentarmi ancora una volta"ad osservare la natura per carpirne i suoi segreti nei suoimolteplici aspetti.

Nel 1968 entrai in possesso di un piccolo manualeappena pubblicato dall’Edagricole: Bonsai pratico perprincipianti di Kenji Murata. Era la prima volta che conosce‐vo la parola Bonsai! Ma fu SOLO nel 1978 dopo aver lettoun articolo sul Bonsai in una rivista di giardinaggio scritto daCarlo Oddone di Torino, che appresi dell’esistenza di altri

appassionati, il quale ci invitava ad incontrarci. Mi misisubito in contatto e così andai a trovarlo a casa sua. Lui co‐nosceva altre sei sette persone in Italia appassionate diBonsai e, fra queste, Gianfranco Giorgi di Firenze cheincontrai successivamente, e fu proprio grazie a Gianfrancocol suo grande entusiasmo che mi coinvolse maggiormente,destando in me quella scintilla che ha fatto scattare il bigbang. Infatti, per ben 15 anni sono stato completamenteisolato senza conoscere nessuno che ne sapesse qualcosa,poichè il mio unico Grande Maestro è stato la NATURA!

Facciamo un salto di qualche decina d'anni, cosa ti piacee cosa non ti piace del bonsai odierno?

In questi decenni, il Bonsai italiano si è evoluto no‐tevolmente grazie alla conoscenza, alla maggiore informa‐zione e, soprattutto, alla scelta dei materiali di partenza.Come sono lontani quei tempi quando partivo anche dalseme. Oggi giorno, si notano dei Bonsai che sembra abbia‐no subito quasi tutti dei grossi traumi dovuti per lo più da"ipotetici colpi di fulmine" per ridurne le dimensioni. Ma,ahimè, dove sono finite le proporzioni dei rami rispetto alledimensioni del tronco!

Ti faccio una confessione, sfogliando le pagine del tuo si‐to sono rimasto ammirato dalla foto della tua betulla.Quattro decenni passati assieme, quattro decenni di curequotidiane. Cosa si prova a condividere più di metà dellapropria vita a prendersi cura di una pianta?

La storia di questa betulla fatta da seme nata nellaprimavera del 1966, inizia ad essere documentata con laprima foto del febbraio del 1971, quando decisi di dargliuna forma ispirandomi alla Sophora japonica tortuosa.Purtroppo, la totale mancanza di informazioni sulle tecnichebonsaistiche, se non quelle da me sperimentate, non miavevano aiutato a conoscere le esigenze della betulla chemal sopporta ad essere modellata e frequentemente potatagrazie alla sua vigoria, abbandonando facilmente dei ramiper ritiri di linfa. Ciò nonostante le difficoltà incontrate (eche incontro tuttora) è la consapevolezza di accettare questadisciplina del Bonsai che è calma ma severa, e vivere inarmonia con le leggi della natura.

Il tuo giardino museo bonsai della serenità è meta di mi‐gliaia di persone, a parte il naturale interesse degliappassionati, qual'è l'atteggiamento che hanno i semplicicuriosi nei confronti delle tue piante?

Quello che percepisco nelle persone che visitano ilmio giardino bonsai è il loro atteggiamento mentale in untotale "abbandono" dai problemi della vita; qui sembranoessere soggiogati dall’atmosfera rarefatta che emana il mu‐seo con i suoi I Bonsai, non semplicemente esposti, mainglobati nel verde quasi fossero un tutt’uno; divengono cosìun luogo di riflessione, di meditazione, di ricreazione, di di‐letto. Ed è per questo che provano una grande serenità inpresenza di queste piante.

Torno all'Armando Dal Col pioniere. Che sensazioni provinel pensare che il bonsai italiano deve a te una buonaparte di quello che è oggi?

Mi piace pensare di lasciare una traccia della miaesistenza poiché la vita di un uomo è talmente effimera chescompare al primo soffio del vento. Per passare ai posteri hoSOLO la certezza del mio nome che resterà per quello che

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ho fatto, se qualcuno vorrà ricordarmi.

Tanti sono stati i tuoi viaggi in Giappone. Che influenza hai avutodal mondo nipponico?

Sicuramente l’estrema cura dei giardini Bonsai giapponesi equelli dei templi, tutti estremamente curati fino all’ossessione, dove cisi sente coinvolti in un’atmosfera rarefatta intrisa di filosofia Zen.

Compagna di vita e discepola, fondamentale sembra il ruolo di tuamoglie Haina con la quale formate un binomio unico e di assolutovalore, ma poco si sa dei suoi inizi. Prima di conoscerti era giàparte di questo mondo?

Nel mio primo viaggio nelle Filippine avvenuto nel dicembredel 1986 ero stato invitato da Serapion Metilla, sicuramente il leaderdel bonsai nelle Filippine. Dopo aver svolto alcune dimostrazioni fra imaggiori collezionisti, volli avventurarmi fra le isole dell’arcipelagocome un semplice turista. Grazie alla guida di amici filippini incontratilì, conobbi Haina dove fui il primo europeo a metterci i piedi nellasua isola. Mi colpì particolarmente la dignità di Lei e della sua famigliapur essendo di una povertà assoluta. Haina saltuariamente lavorava aManila facendo anche la guida turistica. Pur conoscendo i Bonsai nonsi era mai avvicinata, poiché prediligeva coltivare le orchidee.

Dal nostro breve incontro nacque una tenue amicizia che cipermise di frequentarci per un certo periodo e, in febbraio del 1987nel giorno di San Valentino ci sposammo a Manila. Werther Pacca‐gnella che sicuramente molti di voi lo avranno conosciuto, anche senon visto (fu anche Presidente dell’Associazione Italiana Bonsai), èstato un po' il promotore del mio viaggio nelle Filippine, e quandoseppe che mi sposai con una filippina espresse il desiderio di farmi da

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testimone di nozze, ed io ne fui immensamente grato.Giunti in Italia, Haina fu colpita dalla mia collezio‐

ne di Bonsai e, a poco a poco se ne innamorò seguendominelle cure quotidiane, afferrando le varie tecniche da meusate. La mia fama incontrastata è cresciuta grazie anche ‐ esoprattutto ‐ alla preziosa collaborazione di Haina, divenutadiscepola appassionata e silenziosa, dotata di un grandeentusiasmo e di un intenso amore per la Natura.

Innumerevoli sono i riconoscimenti avuti dalle maggioriassociazioni mondiali, ma qua 'è quella che ti ha datomaggiore soddisfazione?

Sicuramente i riconoscimenti avuti dalla NipponBonsai Association che è la massima autorità mondiale èmolto importante, e così pure la profonda stima che colleghie semplici amatori hanno nei miei confronti.

Ti capita spesso di essere membro di giurie, visti da die‐tro la "cattedra" come giudichi i bonsaisti italiani?

Vedo con particolare interesse che ci sono diversigiovani artisti degni di nota con i quali non esitoconfrontarmi. Purtroppo i ritmi frenetici di quest’ultima ge‐nerazione che vuole tutto e subito fa dimenticare gli aspettifondamentali che impone la disciplina del Bonsai.

Come frequentatore del Napoli Bonsai Club Forum, hospesso modo di apprezzare i tuoi interventi e sopratutto isuggerimenti ai meno esperti. A questo proposito ti chie‐do quanta voglia di imparare dai più esperti vedi tra lenuove generazioni. Secondo te non c'è poca umiltà tra ineofiti?

Sicuramente molti di questi giovani "affilano gli

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artigl"” per farsi strada fra di loro, dimenti‐cando che non è sufficiente saper impostarebene una pianta. Ed è proprio in questocontesto che taluni "peccano" di umiltà.

Visto che hai attraversato tutti i cambia‐menti dell'associazionismo in Italia, tichiedo come giudichi l'attuale situazione.Quali le criticità e quali i punti di forzadel sistema italiano?

L’associazionismo in Italia è sicura‐mente all’avanguardia rispetto a molti paesinel mondo, solo che noi italiani "pecchia‐mo" troppo di individualismo ed è questoche ci danneggia. Uniti, penso che daremodel filo da torcere ai giapponesi stessi, poi‐ché, anche se eccelsi nella loro arte, nontutti quelli che hanno gli occhi a mandorlaci possono oltraggiare. Ecco perché l’asso‐ciazionismo legato ad una associazione sa‐na che rappresenti l’Italia come la nostraamata UBI diventerebbe imbattibile.

Prima di chiudere una domanda d'obbli‐go, visto che hai lavorato con le essenzepiù disparate, ce n'è una che ti da unasoddisfazione particolare?

Fra le conifere prediligo il laricepoiché esprime le sensazioni di una cadu‐cifoglia, la quale muta il suo aspetto nellento fluire delle stagioni. E poi come potreinon soffermarmi sul faggio, così potente dacaptare la vita che pulsa sui rami ancoraspogli.

Nel ringraziarti per il tempo che ci haidedicato, ti chiedo un saluto per i nostrilettori.

Ringrazio prima di tutto GiuseppeMonteleone per l’intervista fattami, eringrazio soprattutto l’amico EmilioCapozza per aver avuto il pensiero di ini‐ziare proprio con me la serie di intervistedei vari personaggi del Bonsai sul NotiziarioUBI. Un mio pensiero lo dedico infine atutti i lettori; e per la pazienza con cuileggeranno questa intervista dedico una miabreve poesia legata alla natura.

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ARMANDO DAL COL ‐ Il mio rapporto con la Natura

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ANTICA

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ph © Titti Fabozzi ‐ DMVcomunicazione

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Gente strana i bonsaisti…almeno alcuni, nonguardano le piante fio‐rite. I fiori forse non li

notano neanche, non sononeanche attratti dalle foglie enormie tirate a lucido, guardano itronchi! Magari di piante che sonoli chissà da quanto tempo, magariin una zona anche frequentata, mache non attirano l’attenzione.Piante che hanno subito qualcheincidente, che hanno persoqualche ramo, o l’apice è seccato ericresciuto più volte. Piante chenon raggiungono di certo le di‐mensioni delle sorelle più fortu‐nate, a causa della loro vita distenti. Piante che molti nonprendono in considerazioneneanche per una serata con carnealla brace. Gente strana i bonsaisti,guardano queste piante… e le tro‐vano belle!

Una corteccia vecchissi‐ma, uno shari naturale subito dopola base, incorniciato da due venelinfatiche perfettamente ci‐catrizzate, un elegante movimentodel tronco, rami bassi. Tutto questonei primi 60 centimetri della piantaalta all’origine circa tre metri. E poi,è un cipresso! Un vecchio sogno,nel giro di poco tempo la piantaarriva a casa. Forte il sospetto cheanch’io sia strano!

La pianta viene accorciata(foto1), si conservano i rami che po‐trebbero essere usati per il disegno fina‐le. Viene posta in un vaso grande eprofondo che ne faciliterà l’attecchi‐mento e la ripresa, un buon programmadi coltivazione la metterà in perfetta sa‐lute.

La passione per il progetto èforte , i sogni e i disegni volano unodietro l’altro, ma la nostra passione èun alternarsi di interventi ed attese, cre‐scite e tagli. È il momento dell’attesa.

Il cipresso, pianta generosa, ri‐sponde bene alla coltivazione ed arrivail momento di un altro passo. Una delleprime cose che si imparano avendo ache fare con gli alberi è che… inizianosotto terra. Ed è li che si concentra ilvero primo grande intervento su i nostrifuturi bonsai.

L’apparato radicale va ridotto e

sanato (foto 2), messo in condizione dicrescere vigoroso per poter garantireforza al nostro albero. Alle forbici vaaffiancato un buon programma di colti‐vazione che dia salute e forza alla no‐stra pianta. Molti considerano questaprima fase come una perdita di tempo,in realtà la formazione dei nostri alberisubisce una accelerazione al cubo! E ilcipresso conferma tutto questo, se purin un vaso di coltivazione abbastanzaridotto produce molta vegetazione e ra‐mificazione tale da farlo apparirepronto per il primo intervento di forma‐zione (foto 3).

La prima modellatura getta lebasi per il disegno finale (foto 4). Ilfronte è scelto e mette in risalto il movi‐mento elegante del tronco. Un grossoramo viene tagliato e questo liberal’energia di un’altro ramo poco più in

alto che diventerà il futuro primo ramo,cosi caratterizzante per tutto il disegnofinale. L’apice deve ancora crescere, mala prima impostazione già mette in ri‐salto il carattere femminile di questocipresso, il primo giro di danza è fatto(foto 5).

La generosità di questa essenzaè proverbiale, se ben coltivato il cipres‐so cresce con una velocitàsorprendente. La parte superiore dellapianta è ormai cresciuta e pronta perun secondo step. Si decide di liberareverso l’alto l’energia della pianta ealleggerirla di qualche ramo. Il disegnofinale è sempre più concreto, tra la ra‐mificazione si percepisce il vento chesoffia nella direzione segnata dai rami.La dama inizia a danzare (foto 6).

Coltivazione e interventi,l’alternanza di questi elementi regala al

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cipresso sempre più ramificazione e definizione (foto 7). Lavegetazione occupa sempre più spazi e il disegno è semprepiù completo e ricco di particolari. È il momento del primovaso bonsai la pianta reagisce bene e prosegue la suaformazione.

Al momento della sua prima uscita alla XIV Mo‐stra Nazionale Bonsai e Suiseki “Città di Frascati”viene premiata con la targa "Bonsai & Suiseki magazine".

Il commento più frequente che ho ascoltato suquesto albero "…è una pianta vecchissima e molto ele‐gante" credo fotografi molto bene l’amina di questo cipres‐so. Un albero che accarezzato dal vento danza nell’ariacome "una dama antica".

Ma il lavoro per nostra fortuna non finisce qui, unvaso più adeguato e una modellatura più dettagliata deiparticolari mi regaleranno a breve un altro giro di danzacon la vecchia dama.

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L'esposizione dei bonsai ha ilcompito di mettere in risalto efar emergere tutta la bellezzadel bonsai. I giapponesi consi‐

derando i bonsai rappresentanti delladivinità. L'esposizione nel tokonomamette in rilievo la cultura giapponese.Per molti giapponesi l'esposizionerappresenta perfino la prova del livelloculturale e formativo dell’espositore.Ne scaturisce che è necessario cono‐scere la cultura giapponese e i suoi va‐lori estetici per una perfetta eimpeccabile esposizione in tokonoma.

Esporre in Giappone è un’arte

che serve ad esaltare le varie arti, unadelle scuole più importanti è quella delM. Ichiu Kataiama.

La scuola di Keido che si rifàallo spirito tradizionale come praticatoda Sen.no Rikyu. Una pianta diventabonsai solo quando è posta su un tavo‐lino in una esposizione. Implica questoil concetto di rispetto e riconoscimentodi "autorità" che va tributato a unapianta matura e degna del nomebonsai. L'essenza dello studio dell'espo‐sizione è in una "padronanza dellabellezza dello spazio".

Contemplare bonsai e suiseki,

principalmente se esposti nel tokono‐ma tradizionale, significa considerare lasacralità della natura, ed essernecompletamente partecipe.I propositi dell’esposizione. Gli intentidi una Bella esposizione sono:1 ‐ Creare un legame tra: il propriostato mentale, e l'espressione dei proprisentimenti e filosofia. Vedere come lapianta negli anni si è modificata nellostile.2 ‐ Tempo per riflettere sui propri pro‐gressi. Vedere i cambiamenti nellatecnica. Vedere la transizione dellapropria filosofia bonsai o suiseki.

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3 ‐ Diventare amici e ospiti con stima ecordialità.

TIPI DI ESPOSIZIONE

HIRAKAZARI (SEKIKAZARI ‐ Esposizio‐ne su tavola piatta) ‐ Sistemazione didue o tre o più esposizioni su di unalarga tavola piatta.

Questo tipo di esposizione de‐riva dal Tokokazari, poiché, con iltempo, sempre più gente s'interessò alBonsai. All’inizio furono tenute mostrepiù ampliate, benché private. Ripianibassi uniti posti sul pavimento vicino ailati delle pareti della stanza erano siste‐

mati per la larghezza e su di essi untessuto blu per esposizione. Le mostreerano ammirate da persone sedute sulpavimento. Date le circostanze, i rotolinon erano usati per le difficoltà diappenderli.

Finalmente quando il Bonsaiiniziò a divenire una passione perpersone mene ricche, si tennero mostrepubbliche, e i ripiani furono innalzatisu alti tavoli per ricevere il largo nume‐ro di visitatori che venivano a vederli.Si noti come nel sekikazari non sonoappesi i rotoli.TANAKAZARI (HAKIKAZARI) ‐ Esposi‐

zioni a "ripiani". L'esposizione a menso‐le dovrà eliminare il sensod’imprigionamento che fa di Hakikaza‐ri (a 5 soggetti) il più difficile da ottene‐re. Questa termine è usato per leesposizioni di shohin. All’inizio lepiante erano mostrate esclusivamentenei cofanetti cinesi da mostra. E' abitu‐dine considerare dei contenitori comeuna rappresentazione di un rilievogeografico.

In questo schema, specie dialta montagna, pini, abeti, ecc. sonoposti in cima, e le piante di pianura so‐no poste nelle mensole più basse.

I PARTE

DI ANTONIO ACAMPORA

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L’esposizione su tavolini multipli deve essere fatta in mododa riprodurre, l’ambiente naturale che ci circonda. Quindiin cima la montagna più importante e "lontana", poi altrielementi del paesaggio che possono essere, cascate,capanne, figure umane ed animali, pozze d'acqua,barche... con inserimento anche di elementi verdi.SOSAKUKAZARI ‐ Sosaku significa "creare". L'esposizionecreativa è un modo molto recente e molto libero di siste‐mare i Bonsai e i suiseki. Può essere usato per sviluppareun tema, creare uno stato d’animo o rappresentare unascena. Per esempio, fabbricare una larga impalcatura dallasagoma di una montagna, drappeggiata di tessuto su cuimostrare molti mame bonsai, che saranno posti secondol'habitat naturale delle varietà esposte.TOKOKAZARI ‐ Il tokonoma è un universo immaginarioposto all'interno di una casa per godere della grandezzadella natura in forma di microcosmo. In origine nellacapanna giapponese, fu progettato contro il lato di unaparete un pagliericcio, dove dormire, un po'sollevato inmodo da non avere le conseguenze insalubri dell'umiditàe di parassiti e animali. Quindi il talamo rimane come unpunto prediletto nella mentalità giapponese: la porzionemigliore della casa. Ancora oggi il tokonoma è un luogopreferito dove riporre le cose più rilevanti della famiglia.

Con il passare del tempo il tokonoma è diventatoil luogo di esposizione dell’essenza divina e delle suerappresentazioni. Ed è quel capolavoro di quel disequili‐brio, di asimmetria e al contempo di armonia, che solocon un profondo studio di questi elementi ed un intimocambiamento del proprio lo, che si può giungere adun'armonia differente che è una decisa contrapposizionecon la nostra tradizione di equilibrio, di armonia disimmetria.

Solo nel XX° secolo sono stati accettati i bonsainel tokonoma, proprio per la presenza della terra, una co‐sa corruttibile, deteriorabile, sporca, incompatibile con laformazione scintoista.

Nell'epoca di guerre interne del Giappone, il

Esempio di esposizione di Sekikazari

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territorio era diviso tra vari feudi incontinua lotta tra loro, a capo vi era unDamyo, un signore della guerra che vi‐veva in una fortezza. Nel luogo piùinterno, protetto e inaccessibile del ca‐stello, vi era la sua stanza da letto, e illetto stesso, formato dal TATAMI di 186x 90 cm, era rialzato rispetto allo spazioattiguo. In questa nicchia rialzata, egliriceveva i propri sottoposti e li ascolta‐va da questa posizione rialzata.

Questo spazio si chiamavaTOKONOMA. Quando egli era lonta‐no, lasciava appeso in questo spazio unrotolo recante una scritta, uno JIKU oscroll, e di fronte a questo rotolo siraccoglievano i suoi aiutanti, la sua fa‐miglia, e i sudditi, proprio come se luifosse presente. Questo era lo spaziopiù sacro dell'intero feudo. Più tardi, inepoca Edo, sotto lo shogunato conl'obbligo dei Damyo a risiedere nellacapitale, solo che l'assenza del feudata‐rio lo rese uno spazio vuoto ed es‐senzialmente rappresentativo, ove loscroll raffigurava la volontà e il poteredel Damyo espresso a distanza. A voltevi era il suiseki che egli prediligeva, ouna sua veste o armatura, una ceramicao altro.

Con la fine dello shogunato

nel 1834, il TOKONOMA viene arappresentare l'Imperatore, anch'essoraffigurato nelle case benestanti di no‐bili, commercianti e imprenditori.Questo ci permette di capire come nelTokonoma vi sia un ordine gerarchicod’importanza e delle regole precise,derivate da più di 500 anni di storia.

Difatti al suo interno, l'ele‐mento più importante è lo SCROLL,assolutamente indispensabile, seguitonell'ordine dal SUISEKI, dall'IKEBANA,dal TENPAI, dal BONSAI e per ultimodal KUSAMOMO. Pertanto se voglia‐mo esporre un bonsai, all'interno diqualunque spazio che non sia esatta‐mente un TOKONOMA formale, comelo spazio informale (sekikazari) non sa‐rà accettabile esporre né scroll, né SUI‐SEKI, né TENPAI. Questi oggetti fannoparte, infatti, ad un livello gerarchicosuperiore rispetto al bonsai, ed essonon sarebbe più il protagonistadell'esposizione bensì un complementodi secondo piano. Le due erbe dicompagnia più idonee a qualsiasi occa‐sione sono il bambù di varietà nane edil muschio. Esse possono essere usatetutto l'anno, poiché con le loro varia‐zioni di colore e la presenza di gemmeo foglie secche, sono capaci di espri‐

mere ogni stagione.Pure i tavolini in bambù o in

legno lavorato a bambù sono adopera‐bili tutto l'anno, a patto che il piano diappoggio sia in legno liscio. Sono daevitare le piccole basi in bambù ocannucciato, e tavolini con il ripiano inbambù, in quanto raffigurano levecchie canne che galleggianosull'acqua dei laghetti in estate, equindi sono usati solo in estate peresprimere frescura ed umidità di laghi ofiumi. Le erbe che fioriscono vannousate solo al momento della fioritura,come non si possono utilizzare in nes‐suna stagione erbe secche, e tutte leerbe inadatte al mochicomi che confe‐risce la sensazione della vecchiaia.

TOKO‐NO‐MA: significa lette‐ralmente spazio e tempo (ma) del (no)giaciglio (toko), un concetto di spazio,tempo indefinito, che riposa su se stes‐so. “Toko” significa altresì una piccolaarea verde destinata alla semina, allacoltivazione. Quindi si comprende co‐me il tokonoma possa essere conside‐rato anche il luogo della coltivazione disé, uno spazio “consacrato” dove non èpermesso camminare o sedere. Spaziocaratteristico dell’architettura giappo‐

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nese, senza uguali in altri paesi. Sitratta di una nicchia, di un’alcova, rica‐vata in una parete della stanza princi‐pale della casa, di dimensioni variesecondo gli stili; generalmente è pro‐fonda 90 cm e larga 180 cm, le di‐mensioni di un tatami. Vi è appeso unrotolo con un dipinto, generalmentelegato alla stagione, o una calligrafia, evi è collocata una composizione d’ike‐bana o un bonsai, talvolta un oggettodi particolare bellezza o valore. Il pavi‐mento del tokonoma (jodan) è rialzatorispetto al pavimento della stanza, perpermettere una giusta visione dellospazio e di ciò che vi è contenuto a chisia seduto nella tradizionale posizionegiapponese (seiza) sui tatami dellastanza stessa. La soglia può esseregrezza o rifinita con cura, ma anchequando è ben squadrata, puòconservare qualche superficie naturalenelle curvature del tronco da cui èstata sbozzata e che era stato sceltoproprio per questa caratteristica(un’imperfezione” che spesso i nostricarpentieri considererebbero un di‐fetto!). Il pavimento del tokonoma è disolito lucido; spesso se è spazioso è ri‐coperto da un tatami, orlato in genereda una fettuccia bianca. Nelle casedelle autorità i tatami erano orlati difettuccia nera. Il pilastro della parete disinistra è un tronco d’albero, semplice‐mente scortecciato, detto tokobashira.

E’ quasi sempre un troncod’albero al naturale o privato solo dellacorteccia ed è molto più apprezzato seè contorto o con venature elaborate, ose presenta nodi o protuberanze. Nelpunto in cui la trave superiore si unisceal tokobashira, sono usati chiodi con lacapocchia ornamentale, chiamati kaza‐rikugi, spesso in metallo minuziosa‐mente cesellato in varie forme trattedal mondo naturale o dal repertoriotradizionale. Talvolta di fianco al toko‐noma si può trovare un’altra nicchiadetta chigaidana, (chigai significa"differente", e dana significa "ripiano"perché i ripiani sono alternati. Vienechiamata anche usukasumidana, cioè"ripiani a forma di bruma": i ripiani, inquesto caso, sono collocati nel modocon cui l'arte giapponese rappresentatradizionalmente in forma semplificatala bruma o le nuvole) che contiene unoo più ripiani alternati e di solitosormontano un ripiano continuo chiu‐so da sportelli scorrevoli. Quando c'è

un unico ripiano, la nicchia è chiamataichiyo¬dana ("un solo ripiano").Quando il bordo libero in fondo al ri‐piano del chigaidana ha una cornice, ouna parte rialzata, il ripiano si chiamamakimonodana. È quello su cui sitengono i rotoli dipinti in orizzontale,detti makimono, e il copricapo da ceri‐monia. Nelle case della nobiltà, sopral'armadietto era posta anche una tavo‐letta di legno detta shaku, oggetto chein passato i nobili portavano al co‐spetto dell'imperatore per prendereappunti, ma più tardi è sopravvissutasolo come espressione del cerimonialedi corte. Anche il supporto della spadapotrebbe trovare posto sopra l'arma‐dietto. In onore ad ospiti influenti, ilsupporto con la spada veniva collocatanel tokonoma, al posto d'onore, ossiaal centro, davanti al dipinto appeso.

Nei dettagli del chigaidanaviene evitata quasi sempre la simme‐tria. È infrequente trovare due case cheabbiano il chigaidana con ripiani earmadietti disposti nello stesso modo.Spesso il tramezzo che separa i duespazi ha un’apertura ornamentale chesi presenta come una finestrella, chiusao meno da una grata, spesso di bambù.Le tipologie del tokonoma e del chigai‐dana sono in realtà molto varie. Di so‐lito le due nicchie sono disposteperpendicolarmente alla veranda, mapuò esservi anche solo il tokonoma.

Nell'abitazione di un nobile, iltokonoma era molto più spazioso delvano attiguo, che in questo caso era vi‐cino alla veranda; il chigaidana erapiccolo e poco profondo, e gli spazisotto i ripiani erano chiusi da pannelliscorrevoli che formavano armadietti amuro.

Questo rimane in ogni caso lospazio più importante, tanto che l’ospi‐te di maggior riguardo viene fatto sede‐re vicino ad esso, di spalle, quasiincorniciato da tale preziosa visione,mentre l’ospite di minor riguardo occu‐pa lo spazio vicino al chigaidana. Lanascita e l’evoluzione del tokonomasono strettamente correlate all’uso diesporre un rotolo dipinto o una calli‐grafia. A rilevare l’intimo legame esteti‐co e funzionale tra lo spazio e l’operaappesa è indicativo un particolare co‐struttivo. La parte superiore del toko‐noma, a 50 cm. circa dal soffitto, èattraversata da una trave ben rifinita,che nasconde agli occhi di chi è seduto

il chiodo cui è appeso il rotolo. Il toko‐noma quindi occupa un posto di rilievoper comprendere il “ma”, il complessoconcetto di spazio della culturagiapponese.

E Tanizaki nel “Librod’ombra” si domanda se il tokonoma“…una nicchia colma di nulla e dibuio…” non contenga la chiave perpenetrare nel segreto dell’Oriente. Ge‐neralmente il tokonoma s’incontraentrando nella casa, dopo aver attra‐versato la veranda, riparata da unatettoia, su cui si affacciano gli shoji,(porta scorrevole che separa l’internodall’esterno della casa, costituita da ungraticcio di legno rivestito con carta diriso). Il tokonoma è uno spazio privo dievidente funzionalità pratica; fa partedella stanza di soggiorno, dove scorrela vita quotidiana col suo rumore e ilsuo tempo, ma ne è separato; il suopavimento infatti è rialzato e diffe‐rentemente rifinito rispetto a quello delsoggiorno. E’ uno spazio limitato in cuinon si può sedersi o sostare, che tutta‐via immette in una dimensione priva dilimiti, in cui l’azione è sospesa per fa‐vorire la concentrazione e lacontemplazione. Silenzioso, ma nonimmobile; al contrario, uno spazio vi‐vo, in cui il legame profondo con il re‐spiro della natura si manifestaconcretamente, nella scelta dei fiori perl’ikebana e del kakemono che di voltain volta si accordino alla stagione, allaricorrenza o alla festività del momento.La disposizione degli elementi nellospazio obbedisce ad un criterio esteticodi raffinata essenzialità.

Nella casa del tè, di fronte altokonoma non esisteva differenza tradaymio, samurai e gente comune. Alcentro dell’attenzione era postoqualcosa di più importante dell’ego deipartecipanti alla cerimonia. E’importante che gli oggetti nel tokono‐ma abbiano la patina del tempo,abbiano una storia perché il tokonomaè anche luogo dove si coltiva e simantiene viva la memoria. Sono pre‐sentati uno alla volta perché ciascunodi essi possa essere ammirato nella suaunicità. L’incontro con un bonsai, unfiore, un essere, può realizzarsi se nonc’è sovrapposizione, se si lascia unospazio vuoto e un tempo di silenzio incui cogliere la vita propria delle cose.

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Una realtà in profondo mu‐tamento come quellagiapponese del periodoMeiji (1868‐1912), una fa‐

miglia di Tokyo come tante, un felinoche studia con attenzione ogni cosaattorno a sé per poi darne un'opinio‐ne: se Natsume Sōseki non fosse ilgrande scrittore che è, Io sono ungatto avrebbe potuto assumere confacilità i tratti di un divertissement dalsapore paradossale. E, invece, que‐st'opera è unanimemente ritenuta unodei maggiori romanzi della letteraturanipponica dello scorso secolo, tuttoraamata da milioni di lettori per la fre‐schezza che emana e la capacità dirievocare in modo vivido e godibilissi‐mo un mondo scomparso con i suoiriti quotidiani, le aspre maldicenze, lesottili ambiguità, le piccole e grandisperanze per il futuro.

Grazie allo sguardo limpido epenetrante del gatto protagonista(nonché narratore) emergono in su‐

perficie azioni e comportamenti degnidi una tragicomica commedia umana,priva di qualsiasi alone eroico: anzi,più i personaggi si sforzano d'appariredistinti e raffinati (come il proprietariodella bestiola, un intellettuale insulsoeppure pieno di sé), più si mostranoridicoli e mossi da interessi meschini.

Sornione e acuto, l'animaleassomiglia per certi versi a un maestrozen; osserva, riflette, prende co‐scienza della vera essenza delle vi‐cende degli uomini e se ne distaccaricorrendo alle due armi del saggioper eccellenza, l'ironia e la lucidità.Così facendo, con la massima natura‐lezza, il felino impartisce una lezionetanto fondamentale quanto difficile daattuare: saper sorridere di noi stessi edella nostra fragile, contraddittoriaumanità.

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photo © Hitoshi Shirota

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IIl pino nero, albero molto vigoro‐so, viene comunemente coltivatoin Giappone; ha aghi spessi, scurie verdi, fino a 5‐7 centimetri di

lunghezza sostenuti in gruppi di due.Sebbene questi aghi siano piuttostolunghi, le dimensioni possono essereridotte, con l'uso di tecniche di po‐tatura bonsai. Il P. thunbergii tolleracondizioni di crescita estreme cometerreni sassosi e poveri.

TECNICHE DI MODELLATURA ‐ L'idea dibase di questa tecnica è quella di bi‐lanciare le aree di crescita della piantain modo da distribuire in modo equi‐librato lo sviluppo.

Iniziare a concimare il vostripini entro la metà di marzo in modoblando e a cadenza settimanale. Dallafine di aprile alla metà di maggio,quando le candele hanno cominciatoad allungarsi, ma prima che gli aghisingoli appaiano, esaminare il vostropino con attenzione per determinarela sua forza complessiva. Se l'albero hauna crescita debole, non procederecon il piano di riduzione dell’ago: inquesto caso continuare a concimare,esporre la pianta al sole, rinvasare inun contenitore più grande per unanno o due per ripristinarne il vigore.

Se si è soddisfatti della cre‐scita della pianta e che un certo nu‐

FAMIGLIA: PINACEAE

GENERE: PINUS

NOME COMUNE: PINO NERO GIAPPONESE

Il Pinus thunbergii è senza dubbio tra le migliori specie utilizzate nella praticabonsai; questo pino prende il nome dal dottor Carl Peter Thunberg, botanico ed

entomologo svedese autore di un trattato sulla botanica giapponese. Questaspecie è stata a lungo considerata da molti come il "re" tra i bonsai

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Nel mese di giugno si pinzano i rami del p. thunbergii; questo è

utile per riequilibrare la forza dei rami e viene fatto sulla vegeta‐

zione dell’anno; se le candele si sono aperte contemporanea‐

mente, pinzeremo in una sola volta lasciando un piccolo

moncone alla base della nuova vegetazione. Sarà pinzata prima

la vegetazione meno forte; ridurremo il numero degli aghi dei

germogli più vigorosi per indebolirli. Quando i germogli meno

forti inizieranno a muoversi allora accorceremo quelli della zona

apicale.

Dopo la pinzatura bisogna rimuovere il concime per evi‐

tare di bruciare i germogli e per evitare che la seconda vegeta‐

zione non si allunghi oltremodo.

Alla fine di giugno, quando gli aghi delle candele nuove

sono completamente aperti, la pianta è pronta per il passo

successivo. Con gli alberi più giovani, tutti i nuovi germogli do‐

vrebbero essere tagliati completamente, tutti allo stesso tempo,

lasciando solo dei piccoli monconi per evitare un ritiro di mette‐

rebbe il ramo a rischio di morte.

Con piante più mature, dove i rami sono già in posizione

e sono cresciuti alla loro lunghezza ideale, lasciare intatti i

germogli più deboli; eseguire la scandelatura dei germogli più

forti della parte bassa della pianta. Attendere circa una settimana

/dieci giorni e poi rimuovere tutti i germogli più lunghi nella zo‐

na centrale della pianta. Infine, dopo una settimana/ dieci giorni,

tagliare tutti i germogli rimanenti intorno alla parte superiore

dell'albero e alle punte delle superiori. Dopo poche settimane,

alla base del moncone lasciato dopo la pinzatura, si sviluppe‐

ranno le nuove gemme che daranno seguito alla seconda

germogliazione. A questo punto continuare solo con la vostra

cura estiva fino alla parte successiva del progetto.

A metà agosto si inizierà a vedere diversi nuovi germogli

che si formano su tutti i rami in cui è stato rimosso il germogli nel

mese di giugno e l'inizio di luglio.

All'inizio di settembre rimuovere tutti i nuovi germogli,

tranne due per ogni estremità del ramo.

Mantenere i più quasi sull'orizzontale e su lati opposti del

ramo. A questo punto andare avanti con la concimazione au‐

tunnale dei vostri alberi fino a quando è quasi ora di metterlo in

protezione invernale.

Due settimane dopo che le caducifoglie hanno perso le

foglie, poco prima di mettere i pini in rimessaggio invernale, è

tempo per la prossima parte della formazione. Da questo mo‐

mento in poi fino ai primi di gennaio, è necessario strappare (o

tagliare corto, lasciando solo la guaina dell'ago) tutti aghi di tre

anni di età.

I Pini neri di solito mantengono aghi per circa tre anni

MEKIRI

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I pini neri possono essere classificati in tre categorie: Nishiki, quelle che hanno unaevidente corteccia fessurata; Yatsubusa, le varietà ad ago corto; e Seedling, quellecoltivate partendo da seme: tra queste una delle più apprezzate è la varietàMikawa. Questo pino è noto per la sua corteccia fessurata e colore bluastro; buonevarietà Nishiki includono Gekka Yatsubusa, apprezzata per le gemme che arretranoabbastanza facilmente e Katsuga il cui tronco incecchia velocemente ed ha aghi diun intenso verde scuro. Le varietà Yatsubusa includono Ban‐Sho‐Ho con i suoi aghicorti e spessi, e Koto‐Buki che è ampiamente coltivato in Giappone.

VARIETÀ DI PINO NERO

mero di candele si sono allungate oltre i 3 cm, spezzarea circa 2 cm le punte più lunghe. Quindi posizionare lapianta in un luogo soleggiato, irrigare e concimare finoall'inizio dell'estate. nella lavorazione del pino è es‐senziale equilibrare il vigore della pianta anche perchéesso ha una forte crescita all’apice e all’estremità dei ra‐mi. In primavera le candele si allungano producendo inuovi aghi; a questo punto è necessario accorciare lecandele per riequilibrare il vigore della pianta. Sui ramipiù deboli le candele saranno le ultime ad aprirsi enormalmente non verranno accorciate; nella zonaintermedia le candele ritarderanno la loro aperturaformando aghi non troppo lunghi; nella zona apicale, lecandele saranno le prime a svilupparsi. Le candele dellazona forte saranno accorciate ad un terzo, quelle dellazona media della metà. Attendere fino alla fine di giu‐gno e iniziare la parte successiva dello sviluppo.

ESPOSIZIONE ‐ I pini in generale e il pino nero giapponesein particolare tollerano esposizioni in piena luce; inoltreuna buona circolazione dell’aria garantisce una crescitaottimale ed una buona resistenza all’azione dei patoge‐ni.

IRRIGAZIONE ‐ Il Pino T. preferisce avere l’apparato radi‐cale costantemente umido rispetto alla maggior partedegli altri pini che prediligono un terreno asciutto.

SCELTA DEL VASO ‐ La scelta del vaso dipende, es‐senzialmente, dal peso ottico della pianta. Un pino ne‐ro, essendo una conifera, per la caratteristica della suacorteccia fessurata e per la sua possanza, dovrà essereabbinato ad un vaso lineare con superficie grezza scuraantracite o marrone, mai smaltata (in gres naturale);maggiore sarà la forza di questa conifera più scuro sarà ilcolore del vaso.

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RINVASO ‐ I pini neri vannorinvasati in primavera appenaprima che le gemme iniziano agonfiarsi; il substrato deve esse‐re formulato in modo da avereben presente due condizioni:una elevata durezza e resistenzaalla degradazione, perché lacrescita e lo sviluppo radicalenel pino nero è molto forte econtinuo; un perfetto drenaggio,caratteristica imprescindibile peruna buona coltivazione. Uti‐lizzeremo perciò uno strato dipomice di media granulometriasul fondo del vaso e, poiché lacomposizione del terriccio variain relazione al grado di forma‐zione della pianta, per piante incoltivazione useremo una mi‐scela composta da kiryu (60%),pomice (15%), zeolite (15%),carbone attivo (5%) e lapillovulcanico (5%); per piante in ri‐finitura utilizzeremo una miscelacomposta dagli stessi compo‐nenti e relative percentuali macon granulometria inferiore (da2 a 5 mm). Piante giovani pos‐sono essere rinvasate ogni due otre anni almeno, mentre pini piùmaturi anche ogni quattro/seianni. In fase di rinvaso è moltoimportante ricordare che il paneradicale non va completamenterimosso, ma si tende a mante‐nere parte della zolla per la pre‐senza di ectomicorrizesimbionti.

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