Bonsai & Suiseki magazine - Gennaio - Febbraio 2014

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Bonsai & Suiseki magazine - Gennaio-Febbraio 2014 - ----------- THE FIRST OPEN-MAGAZINE from the world of Bonsai & Suiseki. The magazine is a cultural, informative and scientific instrument open to all. Free & Online.

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BSM ‐ Anno VI n. 1 ‐ Gennaio/Febbraio 2014

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IN COLLABORAZIONE CON

CONTRIBUTORS

Fabio Canneta, Stefania Cornario, Gian Luigi Enny, Stefano Frisoni, An

Hojo, L., Mario Pavone, Rossana Peritore, Luca Ramacciotti, Anna Lisa

Somma, Umberto Scognamiglio

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BONSATIREGGIANDO

Antonio RicchiariEditoriale

DAL MONDO DI BSM

EDITORIALE

SECRET WORLD

BONSAI 'CULT'

14

Fabio CannetaSegni16

Gian Luigi EnnyChe cos'è un giardino zen? II P.24Stefano FrisoniBonsai Express 2.028Luca RamacciottiIkebana International32

Antonio RicchiariIl tempo ed il bonsai42

IN LIBRERIA

Antonio RicchiariMai dire Bonsai47

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Antonio RicchiariEditoriale

SOMMARIO

DAL MONDO DI BSM

EDITORIALE

SECRET WORLD

BONSAI 'CULT'

14

Fabio CannetaSegni16

Gian Luigi EnnyChe cos'è un giardino zen? II P.24Stefano FrisoniBonsai Express 2.028Luca RamacciottiIkebana International32

Antonio RicchiariIl tempo ed il bonsai42

16

32 42

24

IN LIBRERIA

Antonio RicchiariMai dire Bonsai47

28

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SOMMARIO

LA MIA ESPERIENZA

Rossana PeritoreLa ragazza dei sette veli48Mario PavoneLe due ballerine54

A LEZIONE DI SUISEKI & CO.

Luciana QueiroloSuiseki. Forma&Colore

Stefania CornarioMederu

IL GIAPPONE VISTO DA VICINO

108Anna Lisa SommaLa poesia delle piccole cose115

L'OPINIONE DI...

Pietro StradaAntonio Ricchiari77

62

54

88

48

77

OGGI PARLIAMO DI...

Antonio AcamporaBunjin.L'esaltazione dell'essenzialità

88

An HojoEsposizine di Bonsai Shohin

DALLE PAGINE DI BONSAI&NEWS

98

62

Umberto ScognamiglioKaki

L'ESSENZA DEL MESE

118

IL BONSAINAUTA

L.Ak. è il primo allievo...96

A SCUOLA DI ESTETICA

Antonio RicchiariLo stile. Visione stilisticadel bonsai contemporaneo

104

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SOMMARIO

Stefania CornarioMederu

IL GIAPPONE VISTO DA VICINO

108Anna Lisa SommaLa poesia delle piccole cose115

108115

96

98

An HojoEsposizine di Bonsai Shohin

DALLE PAGINE DI BONSAI&NEWS

98

Umberto ScognamiglioKaki

L'ESSENZA DEL MESE

118

118

IL BONSAINAUTA

L.Ak. è il primo allievo...96

A SCUOLA DI ESTETICA

Antonio RicchiariLo stile. Visione stilisticadel bonsai contemporaneo

104

Hitoshi ShirotaHitoshi's World116

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Anche per l’Oriente l’inizio del Nuovo Anno èprofondamente celebrato e pieno di signifi‐cati. In Giappone è tradizione rendereomaggio alle divinità, chiedendo ad esse

fortuna e successo per l’anno appena iniziato.

Il fervore dei preparativi inizia negli ultimi

giorni di dicembre con una accurata pulizia della casa,

susuharai, un vero e proprio rituale che ha lo scopo di

rendere l’ambiente atto ad accogliere il passaggio delle

divinità. Le esposizioni che accolgono il Nuovo Anno

propongono oggetti della tradizione, sono di piccole

dimensioni e di fattura raffinata, con colori vivaci e

ricchi di simbologia al fine di ottenere buoni auspici.

Queste composizioni sono di Pino (kado‐

matsu), di pigne di riso intrecciate (shimenawa), carta

tagliata e incisa che forma decorazioni e disegni (kiri‐

gami) nelle più svariate forme secondo una tradizione

locale. In cucina si preparano cibi tradizionali come le

polpettine di riso pestato (kagami mochi), come offerta

rituale da regalare a parenti e amici, da gustare in fa‐

miglia.

Alla mezzanotte del 31 dicembre centotto

rintocchi delle campane dei templi buddhisti risuonano

aspettando l’alba del Nuovo Anno. Si visitano allora i

templi shintoisti per ricevere la benedizione dei kami.

Le tradizioni occidentali che conosciamo bene

e che viviamo sono altrettanto significative e piene di

phatos. La tradizione cristiana, con la nascita del Cristo,

è un rinnovarsi (per chi la possiede) di una fede che,

probabilmente, ci conforta in un periodo partico‐

larmente critico e difficile per tutti. E mi piace e mi

conforta credere che esiste un Dio di tutti gli uomini,

un Dio di questo nostro Pianeta martoriato dalla follia

dell’uomo.

L’augurio per tutti gli uomini, al di là di razze e di di‐

versità, per tutti quegli uomini che la tradizione cristia‐

na chiama “di buona volontà”, è quello di trascorrere

un 2014 sereno e con il dono incommensurabile della

salute. A voi, cari amici che ci seguite, un “BUON

BONSAI E UN BUON SUISEKI!”.

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di Fabio CANNETA

Tratti incerti ricercano l’essenza dell’immagineguidati da linee che fuggono il centro

per estendersi nell’infinito immaginato.

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Onde gentili accarezzano il pratodisegnando volute che cavalcano il bianco tappeto.

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Curve rincorrono il buio e la luceil vuoto e li pieno incuranti di spine accuminate.

Oro di spighe cercano il solein un mare ondeggiante che sembra tempesta.

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Ognuno di noi cerca i propri SEGNI e questi segnirendono unica la nostra ricerca delle forme.Ognuno di noi cerca i propri SEGNI e questi segnirendono unica la nostra ricerca delle forme.

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IL TRATTO E’ INCERTO MA LA VIA E’ SICURA

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Nei giardini zen, come già ripetuto più volte, la pietra è l'ele‐mento principale; ci sono tre tipi di giardini zen, lo Tsukiya‐ma o collina giardino, il Karesansui o giardino secco e laChaniwa o giardino del tè. Tutti questi giardini includono

rocce. L'idea del giardino zen è la semplicità del design, qui vieneaggiunta la dignità e la grazia che si trova nei giardini classici giapponese.Tutti gli oggetti collocati nel giardino simboleggiano qualcosa, adesempio le rocce rappresentano un senso di autorevolezza e di illusioneo più semplicemente può simboleggiare un senso di tranquillità a se‐conda della forma della pietra e dello stato d’animo di chi osserva. Sono

Tsukiyama, collina giardino

Giardino Zen?(SECONDA PARTE)

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state codificate dai maestri giardinieri cinqueclassi di forme delle pietra: la taido che èuna roccia verticale alta,la reisho è bassaorizzontale la shigyo è arcuata, la shintai èpiatta e la kikyaku è inclinata. Ogni forma èscelta con cura ed è in grado di creare unaconcezione esaltata della natura, insiemecon la sensibilità artistica del maestro giardi‐niere.

Tutti i giardini zen se ben realizzati,

dovrebbero riuscire a fornire un luogo di ri‐flessione e contemplazione, questi giardinidevono essere realizzati con rocce e moltaghiaia che viene attentamente rastrellata conlinee rette e, in forma circolare attorno allapietra, creando in questo modo una speciedi atollo in mezzo al mare. E’ comunqueimportante, se possibile, osservare questogenere di giardino da diverse angolazioni,permettendo alla mente di mettere a fuoco,

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così da comprendere l’importanza di tutto l’interocomplesso.

Il contorno di questo spazio roccioso èimportante che venga delimitato, può trovarsiaccanto a un giardino fiorito o all’interno di ungiardino classico, come già detto, aggiungete unacomoda panca che vi servirà per rilassarvi e vi aiu‐terà nella contemplazione, inoltre avrete un buonpunto d’osservazione leggermente sopra il vostrogiardino zen.

L'area composta dalla ghiaia dovrà essererastrellata di tanto in tanto per mantenere i detritifuori da esso, ma soprattutto servirà a dare

1. Karesansui. Giardino secco ‐ 2. Le rocce dal colore uni‐forme dovranno essere raggruppate in numero dispari eben conficcate nella ghiaia

3

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l’impressione del movimento di onde o torrenti, vi‐sto che in questo tipo di giardino l’acqua è bandita.

Un giardino zen durerà tutta la vita,pertanto scegliete un luogo il più tranquillo possibi‐le. Le rocce dovranno avere un aspetto naturalenon lavorate con utensili moderni, ma solo dalvento e dall’acqua e con colori moderati e uni‐formi, possibilmente affondate di circa un terzonella terra, il tutto raggruppate in numero dispari.

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3. In questa immagine si possono trovare tutte le formedi rocce codificate da utilizzare nel giardino zen ‐ 4. Ghi‐aia accuratamente rastrellata

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Il BONSAI EXPRESS nasce dallavoglia di condividere congli amici, geograficamentevicini e lontani, la passione

per i bonsai in un periodo estivodove ci si allontana e ci si perdedi vista.

Si tratta di unachiacchierata serale, unasemplice disquisizione sui lavoridi stagione da effettuare neipropri giardini. Ci si confrontasulle problematiche della colti‐vazione o dell’ impostazione.

Man mano che ilgruppetto di amici cresce, si so‐no aggiunti al Bonsai Expressuna serie di ospiti famosi che

hanno alle spalle un esperienzabonsaistica che dura da tempo,vincitori di mostre e concorsi,ma al tempo stesso desiderosi diinsegnare ai nuovi appassionati isegreti della loro arte.

Per questi maestri il BEè un occasione per far cono‐scere, non solo le loro opereche già si vedono sulle riviste oalle mostre, ma è anche l' occa‐sione per svelare ai nuoviappassionati i loro stili di colti‐vazione.

Attraverso la chat sifanno domande e si ottengononumerosi consigli per migliorarele proprie conoscenze. Il BE

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organizzato in modo semplice e spontaneo, diventa quindiuno strumento utile ed apprezzato da molti, da voce alleopinioni di tutti cercando di unire e di valorizzare il bonsai‐smo italiano fatto di grandi talenti e di tanta professionalità.Inoltre, mette in mostra la voglia di crescere e di confrontarsiper continuare ad essere apprezzati in europa e nel mondo.

Il bonsai è un arte sempre più diffusa in Italia e

Bonsai Express ci impegna ad aumentare il livello artistico dichi lo pratica. Ora i due conduttori Stefano Frisoni e ClaudioCasadei hanno accettato un’altra sfida, quella invernale conBONSAI EXPRESS 2.0. Sarà rivoluzionato non poco lastruttura e le modalità ma il concetto rimane lo stesso: di‐vertirsi e imparare in compagnia. Gli annunci del Liveverranno inseriti in queste pagine Facebook:

https://www.facebook.com/groups/claudi‐bonsai/?ref=ts&fref=tshttps://www.facebook.com/frisonis

e potete seguire qui su Youtube:http://www.youtube.com/user/Stefanobonsai/feed

Allora a presto in Live e buon divertimento con Bonsai Express 2.0 !!

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GIORGIO CASTAGNERI

ARMANDO DAL COL

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Ikebana International è un’associa‐zione culturale no profit dedicata alladiffusione e alla promozione dell’artegiapponese dell’ikebana. Nasce su

idea di Ellen Gordon Allen nel 1956, il cuiscopo era di creare un’associazione a li‐vello mondiale che unisse le persone cheamano questa arte. Attualmente dell’Asso‐ciazione fanno parte più di 60 paesi eoltre 7,800 iscritti.

Ikebana International non è unascuola di ikebana, e non è detto che peressere iscritti si debba fare ikebana, si puòanche essere solamente interessati come

ad altre arti giapponesi (la rivista che Ike‐bana International edita ha sempre difondo articoli sulla cultura e i luoghigiapponesi). Chi studia ikebana sicura‐mente qui vi troverà fonte di interessedato che si vede non solo come operanole diverse scuole qui rappresentate, maanche come vengono “trattati” i medesimimateriali con ikebana differenti per stile,forma e utilizzo del materiale vegetalestesso.

Ci sono scuole strettamente tra‐dizionali, altre all’avanguardia e altreancora che si collocano nel mezzo.

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Le oltre cento scuole di ikebana hanno di‐versissimi approcci a questa arte anche sealcuni canoni restano piuttosto immutati.

L’Ikebana International offrel’opportunità attraverso i suoi collaboratori(tutti volontari) di far sì che le personeinteressate abbiano una visione globale diquesta arte attraverso la possibilità dipartecipare a dimostrazioni, conferenze eworkshop tenuti dagli insegnanti delle va‐rie scuole.

Presidente onorario è Sua AltezzaImperiale la Principessa Takamado,membro della famiglia imperiale giappo‐nese.

Nel 1958 Jenny Banti Pereira(una delle massime artiste in questocampo) aveva fondato a Roma il secondoChapter al di fuori del Giappone dell’Ike‐bana International, ma nel corso deglianni questi aveva cessato la sua attività.Due anni fa la direttrice del Chapter diMilano, la signora Keiko Ando, propose alsottoscritto di fondare un Chapter romanodata l’alta percentuale di persone che stu‐diano quest’arte nella capitale italiana.Secondo il regolamento dell’associazioneera preferibile che a crearlo fossero alme‐no due scuole di ikebana per cui mi rivolsialle rappresentanti della scuola Ohara tro‐

Free Style. Scuola Ohara. Courtesy of Silvana Mattei

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vando in Silvana Mattei una valida soste‐nitrice dell’iniziativa. Fare ikebana al di làdel continuo studio, dell’esercitarsi è volercomunicare qualcosa (come tutte le arti),non fare sfoggio del proprio io per cui labase del Chapter romano è stato fattonella più totale concordia e passione.

Nel Chapter di Roma (recente‐mente presentato durante una conferenza– dimostrazione al Museo Nazionaled’Arte Orientale 'Giuseppe Tucci' a Roma)sono riunite le tre più grandi scuole di ike‐bana esistenti: Ikenobo, Ohara e Sogetsu.

L’Ikenobo è la prima scuola in as‐soluto di ikebana (ha più di 550 anni di

vita). Nasce come evoluzione della praticabuddista di offerta floreale sugli altari.

Il suo Fondatore il monacoSenkei narra nel Diario Hekizannichirokuche nel 1462 egli stesso pose alcune deci‐ne di rami e fiori in un vaso d’oro. L’Ike‐nobo, nel XVI secolo, prevedeva lo studiodi due diversi stili: Tatehana e Nageireba‐na che venivano collocate in appositi spazidella casa riservati al culto.

A partire dal XVII secolo, si svi‐lupparono da questi due stili iniziali quelliche hanno caratterizzato la scuola Ikeno‐bo: il Rikka e lo Shoka.

La struttura del Rikka simbo‐

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leggiava il monte Sumeru (o Meru), miticamontagna sacra per il buddhismo, e ne mo‐stra sette caratteristiche rappresentate daisette rami principali che nello Shoka sa‐ranno ridotti a tre.

L’attuale Maestro della scuola Ike‐nobo Sean’Ei partendo da due stili tradizio‐nali (Rikka Shofutai e Shoka Shofutai) hacreato altri due stili per adattare le compo‐sizioni alla vita contemporanea e agli spaziabitativi attuali (rispettivamente RikkaShinputai e Shoka Shinputai).

La prima vera rivoluzione in questaarte si ebbe con la nascita della scuolaOhara durante il periodo Meiji (1868 –1912) caratterizzato da una profonda tra‐sformazione e mutamento della società edella cultura giapponese.

Il suo fondatore e I° Caposcuola(Iemoto) fu Unshin Ohara che ideò il Mori‐bana (letteralmente fiori ammassati), unaforma che si sviluppava non più soltanto inaltezza, ma anche orizzontalmente.

Koun, il II Iemoto, seguendo la tra‐

dizione del profondo sentimento diattenzione e di amore verso la Naturache permea tutta l’Ikebana Oharaideerà il Moribana Paesaggio.

La scuola Ohara segna unpassaggio dall’ikebana classico seppurnon scostandosi mai del tutto dalletradizioni culturali e pittoriche delgiappone come avviene per composi‐zioni quali il Rimpa ed il Bunjin. Altriesempi di stili della scuola Ohara sonol’Hanamai, l’Hana‐isho e il recenteHana‐kanade.

Se l’Ohara fu innovativa perl’ideazione del Moribana, il particola‐re riferirsi alle pitture tradizionali, lacreazione di paesaggi e l’attenzionedavvero minuziosa alla natura la rivo‐luzione totale nel campo dell’ikebanafu portata dalla scuola Sogetsu.

La Scuola Sogetsu (lette‐ralmente “Erba e Luna”) vennefondata nel 1927 da Sofu Teshigaharaartista interessato al mondo modernoe fortemente influenzato dall’aperturadelle frontiere del Giappone (Restau‐razione Meiji 1868).

Al motto "l'Ikebana fuori dalTokonoma" si formarono le nuovetendenze per cui la rivoluzione cultu‐rale portava a concepire l'Ikebana co‐me un'arte scultorea.

Nel 1930 venne proclamatoil "Manifesto dei nuovi stili dell'Ikeba‐na" in cui questa diviene una vera epropria arte evolvendosi in parte daiconcetti filosofici che l’avevano ca‐ratterizzata, ma soprattutto dalle re‐strizioni nell'uso dei vegetali.

Ikebana Sogetsu di Lucio Farinelli (Disassembling andrearranging the materials)

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Classic Style. Scuola Ikenobo. Courtesy of Rikka Shofutai

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Mankichi lanscape and kakemono. Di Silvana Mattei.Scuola Ohara

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Free Style. Scuola Ikenobo. Courtesy of Rikka Shofutai

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L’artista è libero di sceglierecontenitori e forme imprimendonell’ikebana la propria personalità.

Il materiale vegetale divienecolore, materiale plasmabile e si va aperdere la visione fino ad alloraespressa dell'Ikebana (le cui costruzionianche tradizionali erano tutte artificiali)quale raffigurazione della Natura, resi‐denza degli Dei; Sofu utilizzando nuo‐vi materiali e tecniche innovativeaffermò che: l’ikebana poteva esserefatto da tutti in ogni momento, inqualsiasi luogo con qualsiasi materiale.L’ikebana Sogetsu è composto da linee,colore e massa e da qui si dispiega lapossibilità di una creatività infinita.Sofu fu considerato un grande artista alpari dei suoi amici Picasso e Dalì einsignito di onorificenze tanto inGiappone quanto all’estero, innovatorein assoluto insegnò ikebana ancheattraverso media quali la radio. Isuccessivi Iemoto apportarono variantinell’insegnamento della Sogetsu ideatoda Sofu senza mai alterarne le nozionitecniche di base. (Kasumi introdussenell’ikebana il materiale dipinto e gliikebana in miniatura, Hiroshi ideògrandi installazioni in bambù e portòl’ikebana a livelli di massima speri‐mentazione creando stili che prevede‐vano la presenza in contemporanea dipiù artisti quali il Renka e Akane che,recentemente, ha introdotto l’insegna‐mento dell’ikebana anche presso ibambini).

Il programma di insegna‐mento della scuola, ideato per facilita‐re l’apprendimento e l’insegnamentodell’ikebana si chiama Kakeiho e pre‐vede due corsi di Moribana e Nageireper comprendere le dimensioni e lospazio e durante i quali si affronta spo‐radicamente lo stile libero e due corsidi stile libero concentrato su temi qualimassa, linea e colore al fine di svi‐luppare l’artista che è in noi.

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Ikebana Sogetsu di Luca Ramacciotti(Using both fresh and unconventional materials)

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Al contrario del concetto di tempo occidentalee moderno che ha una scansione lineare, inGiappone sopravvivono le vestigia di vitacontadina. Per i giapponesi il tempo non è

circolare, ma esiste una certa reiterazione o somiglianzadi forme.

L’assenza di una dimensione temporale siavverte nella stessa lingua giapponese, cosicchè ognicosa è potenzialmente e contemporaneamente passata,presente o futura. Ci troviamo all’opposto del concettodi tempo lineare, che distingue le cose che sono avve‐nute da quelle che stanno avvenendo, possono o do‐vranno avvenire.

Una scarsa linearità caratterizza il pensiero fi‐losofico. Anche la storia appare priva di una destinazio‐ne poiché non vi è nessuna vita futura, non esiste unsecondo Avvento né una fine dell’universo. Siamo nellaperfetta società esistenziale dove l’uomo esiste e l’unicacosa che conta è l’istante.

Il presente svanisce costantemente, il mo‐mento della fioritura dei ciliegi, della luna piena o delle

onde che si infrangono è sempre effimero: è il sogno diun istante che svanisce in tutta fretta. La periodicità deiriti, dei cambi d’abito e dei cibi, che oggi risalta cosìtanto nella televisione giapponese con i suoi motivi sta‐gionali, ricorda ai giapponesi la ciclicità del mondo, conla primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno. Ritmi dellestagioni che cambiano bruscamente trovano un riflessianche nella più affollata metropoli giapponese: coglieree sentire questi cambiamenti è molto importante per lamaggior parte dei giapponesi.

Il tempo varia nella qualità piuttosto che nellaquantità. Può essere accelerato, rallentato o addiritturacancellato, come avviene nella cerimonia del tè, cheimpone agli ospiti di togliersi gli orologi prima di entra‐re in uno spazio atemporale. Il tempo è vivo, nonmorto. I giapponesi lo dominano, anziché essere domi‐nati. Al contrario degli occidentali nei quali si instaurauna lotta contro il tempo e ogni ostacolo genera doloree affanno. I superjet, i computers, i forni a microonde,le tecniche per leggere velocemente, il cibo già prontosono tutti prodotti della preoccupazione moderna di

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guadagnare tempo e velocità.L’elasticità o la relatività del tempo è una delle caratte‐

ristiche più straordinarie del tradizionale modo in cui il Giappo‐ne si calcolava il tempo. Come avviene nelle culture tribali, iltempo letteralmente si espandeva e si contraeva. Non c’eranulla di equivalente alla settimana. La durata di un’ora era fles‐sibile e cambiava nel corso dell’anno, in base alla stagione.

Le concezioni giapponesi del tempo hanno diversistrati. In superficie possiamo trovare il tempo scandito dall’oro‐logio occidentale (non dimentichiamo che l’introduzione degliorologi in Giappone fu un fatto complicato), ma poi troviamo iltempo delle stagioni, ritmico e magico. Esso è pieno di signifi‐cati, non è morto, anche se – come avviene per qualsiasi altracosa nel Sol Levante – non esiste separato dal resto. Gli alberi, laluna, i venti e le erbe sono tutti orologi che rallentano o accele‐rano il tempo.

I giapponesi non sono schiavi del tempo, lo gustano, loassaporano, e lo usano. Ne creano per i loro scopi e raramentesembra che ne abbiano troppo (difficoltà ad annoiarsi) o troppopoco (nessuna tendenza all’ansietà). Visto l’uso ridotto deltempo passato nella lingua giapponese e i rigidi concetti dicircolarità temporale, il passato fa parte del presente. Il passato èconcepito come un unico contenitore in cui tutto esiste simulta‐neamente e non è visto come un percorso ordinato verso il pre‐sente. Vi è una sensazione di atemporalità che, attraversol’invenzione di nuove tradizioni e una rapida dissimulazionedella novità, dà alla gente l’illusione che poi non sia cambiatomolto.

Lunga premessa la nostra per potere inserire in questocontesto anche “il tempo del bonsaista”. Egli cura, conserva epromette in un certo senso l’eternità all’albero. Come influisce ilrapporto del tempo sul bonsaista e come ciò sia causa‐effetto dideterminati comportamenti: percezione del tempo, modo divedere il tempo, interpretazione della vita attraverso i ritmi lentidella Natura?

Il bonsaista ha un rapporto quotidiano con la pianta: igesti semplici, misurati e lenti sono sapientemente dosati neltempo. La progettazione degli interventi è diluita nel tempo, inun tempo vissuto al futuro, mai al presente. Il bonsaista ha tempilunghi, vive al presente ed il passato è soltanto un vago ricordodi com’era la pianta e pertanto non va vissuto. Il bonsai è unalezione costante sul tempo: insegna a programmare ogni cosa,ogni atto attraverso le stagioni, gli anni. Un modo di vivere quo‐tidiano senza angosce e assilli, di quell’incubo del tutto pronto esubito, dell’immediatezza di ogni cosa, dei risultati istantanei.

Il bonsaista vuole gestire la sua pianta e non registrare iltempo: tuttavia la sua struttura di base è un calendario voluta‐mente fondato sulla concezione del tempo quale progressionedi eventi ordinati: il riposo vegetativo, il gonfiarsi delle gemme,la ripresa vegetativa, la fioritura, a fruttificazione e quant’altro.

Secondo lo Zen il passato ed il futuro sono illusionieffimere e il presente è eternamente reale. La successione li‐neare del tempo è una convenzione del nostro pensiero verba‐le.

Il vecchio e saggio maestro bonsai che programmalunghissimi interventi nel tempo, senza tenere conto della pro‐pria età vive dunque al presente: V’è soltanto questo ora: nonproviene da nessuna parte; non procede verso nessuna parte;non è permanente, ma non è non‐permanente; si muove,eppure è sempre fermo; quando cerchiamo di ghermirlo sembrafuggir via; eppure è sempre qui e non si può sfuggirgli. (AlanWatts, La Via dello Zen, Milano, Feltrinelli, 1971)

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Nella quarta di copertina silegge: “Scritto dalla partedelle piante per conoscerele loro esigenze e curarle ri‐

spettando la loro natura”. Non capisco,trattandosi di verde in generale, ilperché di un titolo tanto specificocentrato sul bonsai.Un titolo del genere mi fece sorgerequalche dubbio sull’acquisto del libro(titolo perentorio ed estremista!) matant’è, uno dei miei editori mi insegnòche bisogna leggere tutto. Se mai il si‐gnor Melotti dovesse leggere queste ri‐ghe, avrei piacere di potere avere conlui uno scambio di opinioni.Non penso comunque che questo sia ilmetodo giusto per portare proseliti allabotanica in generale ed al bonsai inparticolare. Tra l’altro, scorrendo le pa‐gine, noto che per un titolo centratosull’argomento “bonsai”, questo vieneliquidato in appena otto pagine.

Per dirla tutta, il capitolo 10 “Mai direbonsai… se non sai!” non mi ha parti‐colarmente entusiasmato perché di illu‐strano solamente difficoltà, fallimenti edi piante già … cadavere. Dove si parladi “alberi nani già maturi” e di “piantinedall’aspetto rachitico e sofferente”vengono usati termini desueti. Trovoinadatto, inoltre, l’acronimo BONSAI(Bonsai Organization for NotSuccumbing to All Inexperts). Altraaffermazione che mi lascia perplesso eche non risponde al vero: “una diffusacredenza popolare ci ritiene scherzi dinatura, sofferenti aberrazioni partoritedalla crudeltà umana…”.comunque, malgrado tutto, le 150 pa‐gine risultano di facile e fluente letturaanche se il prezzo di copertina nongiustifica appieno i contenuti del libro.

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MAI DIRE BONSAI

EUGENIO MELOTTI

SIRONI EDITORE

€ 16,00

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La storia inizia in una fredda domenicamattina di Febbraio dell’anno scorso inquel di Prato nella nostra sede durante unLaboratorio della Bonsai Creativo School.

Fra le mani l’informe cespuglio di ginepro alla ri‐cerca della forma nascosta. Quello che fin dall’ini‐zio ha attirato l’occhio su questa pianta è stato ilmovimento del tronco, la presenza di uno sharinaturale alla base che enfatizza la radice che escedal terreno e non meno importante il tipo di vege‐tazione che assomiglia in maniera incredibile aquella dell’itoigawa. La provenienza invece è ita‐liana e si tratta di piante coltivate in piena terra perpoi essere messe in vaso.

PRIMA OPERAZIONE: PULIZIA DELLA VEGETAZIONE. ‐Forbici alla mano, si iniziano ad eliminare i ramiche sicuramente non potremo utilizzare successi‐vamente, eliminiamo anche molta vegetazione alleascelle dei rami, quella più debole o addiritturasecca. Si passa alla corteccia eliminando le scagliepiù grosse con un piccolo coltello facendole saltareper poi spazzolare l’intero tronco con spazzoled’ottone e plastica. Oltre a rendere la corteccia diun bel colore marrone/rossiccio questa operazioneaiuta ad individuare meglio la posizione e l’anda‐mento dei fasci linfatici.

Piano piano la forma del tronco e dei ra‐mi principali diventano più leggibili permettendouna analisi della pianta più dettagliata.

La base presenta due curve molto pro‐nunciata, una radice ormai secca esposta fuori dalterreno che ha provocato lo shari naturale visibilenella foto.

Salendo verso l’apice, dopo le prime duecurve, troviamo un tratto diritto e cilindrico cheinterrompe il movimento della pianta ed al quale,

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in qualche modo, dovremo ovviare. La vegetazioneè abbondante e permette molte possibilità nel pro‐gettare il futuro bonsai.

Dopo aver girato e rigirato la pianta piùvolte, inclinata in tutte le angolazioni la decisione èpresa:“Dovrà sembrare una ragazza che fa la danza delventre, con sette veli che svolazzano nell’aria”.

Sotto la guida del nostro Maestro il pro‐getto prende corpo: il ginepro ha una sua natura

prettamente femminile che ricorda i movimenti si‐nuosi di una danzatrice del ventre, i futuri palchidovranno “vestire” il tronco del ginepro, ma allostesso tempo lasciar intravedere le curve ed i puntipiù interessanti dando, nell’insieme, una sensazionedi leggerezza e la percezione del vento che passaattraverso e muove la vegetazione dei palchi. Il pro‐getto è nato e addirittura autografato dal MiticoFrancesco.

Si eliminano ancora dei rami, si disegnano

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gli shari e si abbozzano i futuri jin con l'obiettivo di creare due vene ben distinte,ben gonfie e separate che salgono lungo il tronco, mantenendo così la sensazio‐ne di flessuosità del tronco, ma allo stesso tempo di vigoria e salute della pianta.Per eseguire questa operazione sono stati utilizzati dei coltelli affilati, per incide‐re la legna viva senza effettuare lacerazioni e garantire una migliore cicatrizza‐zione, e sgorbie per ripulire la parte di legno secco scoperta.

Dopo la lavorazione degli shari è stata la volta del filo. I rami più grossisono stati prima protetti con del nastro di gomma ricavato da camere d’aria perbicicletta, dopodiché è stata filata tutta la ramificazione fino ai rami più sottili.

Il tempo scorre, gli ultimi centimetri di filo arrivano a lambire i ciuffiverdi della vegetazione e finalmente si passa alla modellatura.

Seguendo il progetto iniziale siamo andati a riposizionare la ramifica‐zione, aprendola a ventaglio, cercando di ricreare la struttura dei palchi che ci

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avrebbe consentito una più agevole impostazione dell'interapianta.

Muovendo gli interi palchi ed accorciando la vege‐tazione, sostituendo gli apici dei singoli rami, abbiamo ri‐creato la struttura della pianta. Ad uno ad uno i “veli”vengono spiegati e posizionati in modo che la brezza possapassare fra un velo e l’altro muovendoli come leggere ondedel mare. Come ultima operazione sono stati eliminati alcu‐ni rami in eccesso.

AGOSTO ‐ Sono passati sei mesi dalla prima imposta‐zione di questo ginepro e devo dire che si è comportato ve‐ramente bene crescendo rigoglioso moltiplicando lavegetazione mantenendo la sua conformazione a squame,segnale inequivocabile che ha superato lo stress delle prece‐denti lavorazioni in modo positivo.

Per tutto questo periodo la pianta è stata in posizio‐ne soleggiata, senza alcuna somministrazione di concime,ma solo acidi umici e tanta acqua.

La decisione di eseguire una seconda impostazionedella Ragazza dai Sette Veli nel mese di agosto è statadettata dalla volontà e dalla necessità di eseguire il rinvasodella pianta nella prossima stagione – marzo/aprile – per cuiè stato deciso di anticipare la questa seconda impostazioneper dare il tempo alla pianta di superare lo stress e recupe‐rare energie prima di sottoporla al rinvaso.

Dopotutto in questa fase non andremo a eseguirepieghe drastiche od altre lavorazioni particolarmente inva‐denti sul ginepro, ma ci limiteremo ad eliminare il filo

vecchio che ha iniziato ad incidere i rami per sostituirlo conquello nuovo e riposizionare la ramificazione. Prima di que‐sta operazione, naturalmente, ho eseguito una nuova puliziadella vegetazione, in particolare accorciando e sostituendogli apici per permettere l’infoltimento della vegetazione.

Dopo due settimane di riposo in una posizioneombreggiata ma luminosa, la nostra Ragazza è stata rimessanella sua posizione soleggiata e coccolata con acidi umici,nebulizzazione della chioma e tanta acqua.

A tutti Noi volevo solo dire un'ultima cosa: a voltenon servono piante "stratosferiche" e varietà "griffate" perpassare una giornata gradevole, imparare tante cose e go‐dersi una "creatura" che tutti giorni potrà allietare i nostrisensi. Questo, in particolare, per chi come noi ha appenainiziato e molte volte si trova in imbarazzo davanti a certeessenze che hanno prezzi proibitivi e per la paura di sba‐gliare ci blocca le mani e soprattutto il cervello.

La Ragazza dei Sette Veli è stata acquistata in unvivaio locale ed è costata poco più di una pizza ed unabirra.

Con questo non voglio fare il moralista, ma credoche a volte sia utile stare con i piedi per terra.Sicuramente non la vedrete mai ad una mostra UBI, ma iospero di continuarla a godermela ancora per tanti anni...

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Questo pino mugo, è entrato in mio possessonel 2008. In un primo momento, era statamantenuta la stessa idea della precedenteimpostazione, posizionando la pianta in ca‐

scata, sfruttando il tronco di destra e collocandola inuna pietra di luna. Pur essendo un'impostazione inte‐ressante, ho provato ad immaginarmela diversamenteper enfatizzare l'eleganza insita in quest'esemplare.Dopo diverse ipotesi e tentativi, ho trovato l'inclinazio‐ne adatta per questo doppio tronco che avrebbe dato ilvia al mio lavoro. Pertanto, riportando il pino di 45gradi verso sinistra, i due tronchi si allineavano in ma‐niera elegante, dandomi uno spunto per poterla impo‐stare in quella maniera, soluzione molto più armoniosae naturale.

Come primo lavoro, è stato necessarioeffettuare una bella pulizia degli aghi vecchi, operazio‐ne questa dalla duplice finalità: da una parte si facilital'applicazione del filo, dall'altra serve a stimolare

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l’emissione di gemme arretrate. Il successi‐vo step ha interessato i due tronchi (un po'troppo divergenti per l'idea che avevo inmente), ed in particolare l'eccessivo spaziotra loro. Con l’aiuto di un tirante, sono riu‐scito ad avvicinare i due tronchi, dimi‐nuendo la distanza tra essi.

Una volta sistemati i tronchi, hofocalizzato la mia attenzione sulla ramifi‐cazione. In primis ho piegato il primo ramodella pianta di sinistra, in modo da poterevidenziare correttamente il movimentodel tronco altresì penalizzato. Successiva‐mente, ho avvicinato il primo ramo deltronco destro per non farlo fuoriuscire dalla

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silhouette che avevo immaginato. Alfine di eseguire un lavoro corretto edi preservare l'integrità di questi dueimportanti rami, ho avvolto gli stessicon del nastro di yuta (acquistabilenei comuni garden), ricoprendolisuccessivamente con dell'agglome‐rante per mantenerne l’umiditàsottostante e per fornire ai ramiun'ulteriore protezione.

Il grosso del lavoro è statofatto, d'ora in poi solo tanto filo edun po' di pazienza per modellare

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questo mugo secondo il mio progetto. Non posso na‐scondere che il lavoro finito mi soddisfi molto, nell'insie‐me quest'esemplare ne ha guadagnato in armonia egradevolezza. D'ora in avanti le “due ballerine” inizie‐ranno il loro lungo percorso verso la maturazione.

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Kamogawa‐Ishi. Kinzan‐Seki: Montagna in veduta ravvicinata

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Il valore Estetico di una pietra da noi scelta e designata a divenire Suiseki, è stretta‐mente legato all’analisi – considerazione di cinque elementi tra loro strettamentecorrelati: la sua Forma (KATACHI), la Durezza (SHITSU, qualità del materiale), il suoColore (IRO), la sua Superficie (HADA‐AI), e, da ultimo ma non meno importante,

la sua Patina che, intesa come “Età ottenuta dalla Cura o Coltivazione”(JIDAI), decreta ilraggiungimento dell’obbiettivo che ci siamo preposto: “fare di una pietra, un Suiseki”,appunto.

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La forma, che èl’aspetto esteriore della pietrae quindi ne determinal’interpretazione, è a sua voltacondizionata dal materiale dicui la pietra è composta. Più ilmateriale è di buona consi‐stenza, più diventa difficileche si assoggetti alle vicissitu‐dini ed al tempo, consentendouna modellazione dalla formainteressante; per la correttavalutazione di un suiseki di‐venta pertanto importante unabuona conoscenza in petro‐grafia. Armonia ed Equilibrio,racchiusi in un Suiseki di du‐rezza notevole e di forma no‐tevole, fanno di una pietra unpezzo unico di valore.

Nell’Arte dell'Os‐servazione delle Pietre, èimportante che la pietra abbiala capacità di evocare unascena naturale attraverso lasua forma ed il suo posiziona‐mento, supportata dalla varia‐bilità del materiale, del coloree della struttura di superficie.

1. Setagawa‐Ishi (67x32xh.19 cm)

2. Forma & Colore: Clorite ‐ Giappone

3. Sajigawa‐Ishi (30x20xh.14cm)

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4. Setagawa‐Ishi (47x18xh.11cm) ‐ Pietra da Accarezzare: Il colore, in quanto tale, non è predomi‐nante rispetto alla forma, ma concorre in egual misura.

Associato alla forma, però, contraddistingue stili o tendenze, come vedremo.

5. Foto tratta da: "L'essenza delle Rocce" di Kauemon Ishii (pubblicazione 1966): Kyoto Tanba usuki‐ishi (Usuki‐ishi: pietra mortaio.) "Come usuki‐ishi, viene considerata di buona qualità. Le linee taglientisi mescolano con quelli dolci, in modo da formare una serie complicata di montagne. Al fine di miglio‐rarne la forma, alcuni ritocchi manuali son stati aggiunti."

La pietra giapponese od in stile giapponese (quando cioè il termine suiseki risulta etimologicamentecorretto) ha fatto presa sul mondo Occidentale ed in un secondo tempo e con più forza, in Europa,indirizzandoci verso colori decisamente più scuri, sobri e misteriosi: dal nero al grigio, marroni, rossiverdoni‐blu e porpora ma in tonalità spente.

6. ...Colori che armonizzano con le forme dalle linee orizzontali , che stimolano maggiormente allameditazione, alla calma, richiamando il vuoto e riuscendo, passivamente, ad assorbire le emozioni. ‐ 7.Una Doha americana. Ricordo un detto, abbastanza noto, il quale recita: "Un bonsai può anche essereprogettato dall'uomo, mentre "il punto di interesse" del suiseki deve essere scoperto." ‐ 8. Anche uninsieme di più colori riceve molto apprezzamento quando rispecchia i colori di scenari naturali ‐ 9.Kamuitokan‐Ishi (28x17xh.7cm) Ecco che il colore diventa elemento in grado di sollecitare l’emotivitàlegata alla capacità di suggestione ‐ 10, 11. alla Mehinten 2009... Ecco che il suiseki non esclude tonipiù chiari, al contrario, enormemente apprezza le evocanti, calde o tenere sfumature delle stagioni

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12. Mitsuminegawa‐Ishi: un colore chiaro e sfumato, abbi‐nato a forme soavi, aiuta ad immaginare colline o monta‐gne in lontananza. ‐ 13. Liguria: Colori chiari, che nonescludano la presenza i fattori quali Durezza & Struttura(Shitsu), Kataki (Forma & Equilibrio) e, naturalmente,dellaSuggestione, come potere evocativo di luoghi e sentimenti.‐ 14. Tenkai: Maguro‐ishi Jet‐black stone. "Il colore scuronon solo favorisce la concentrazione dello sguardo, masoprattutto ricorda l’abisso del nulla, lo sfondo indetermi‐nato da cui la pietra, come qualsiasi altro essere, deriva." ‐15. La storica “Kurokamiyma”. Secondo il mio sentire, unapietra totalmente nera non può dare il senso della lonta‐nanza, anche quando la forma la dovesse suggerire.

Parlare di colore nero per il suiseki perfetto, non ha molto riscontro nel collezionismo reale, esclu‐dendo le numerose pietre nere vietnamite o coreane; in buona parte, ciò è dovuto alla difficoltà direperimento, soprattutto qui da noi, dove non è impossibile trovare, ad esempio, del buon basaltocon forma, ma rimane una ricerca confinata in zone estremamente esigue, se non vietate.

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16. Kamogawa‐Ishi (32x21xh.14cm) ‐ 17.Sengen‐Ishi (39x21xh.12cm) L'antropolo‐go Edmund Carpenter (1922‐2011) scrisseche: "In Occidente, l'uomo percepisce glioggetti, ma non gli spazi tra una cosa el’altra. In Giappone, gli spazi vengonopercepiti, e venerati come il MA, ointervento dell’ intervallo." ‐ 18. Kamui‐kotan‐Ishi (31x12xh9cm) "Chiaro su neroo su verde scuro, nel suiseki contribuisce acreare il senso di MA e del Notan (buio‐luce), dove gli spazi, positivi e negativi,creati sia per forma che per colore ( inclu‐sioni di minerali), crea nell’osservatoreuna tensione visiva complessa."

In verità qui, in Occidente, ciò è stato inbuona parte comprovato dagli studi sullareazione della mente umana agli stimolidel colore, sviluppati nel campo dellapsicologia; in riflessuologia e, parallela‐mente, grazie alla sensibilità e ricerca diartisti come Vassily Kandinskij, pittorerusso vissuto a cavallo tra il 19° ed il 20°secolo e creatore della pittura astratta.

19. Palombino risonante. ‐ 20. VassilyKandinskij.

Kandinskij, sempre in base alla teoria se‐condo la quale il movimento del coloreè una vibrazione che tocca le cordedell'interiorità, descrive i colori in base allesensazioni e alle emozioni che suscitanonello spettatore, paragonandoli a stru‐menti musicali.

21. Kandinskij: "Il colore squillante ferisce

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a lungo l'occhio, come un acuto squillo di tromba ferisce l'orecchio. L'occhio diventa irrequieto, non riesce a fissarlo, e cerca profondità oriposo nel blu o nel verde.” ‐ 22. "Alcuni colori hanno un aspetto ruvido, pungente..." ‐ 23. "...mentre altri sembrano così lisci e vellutati,che si ha voglia di accarezzarli (il blu oltremare scuro, il verde‐cromo, la lacca di garanza)". Kurama‐Ishi (43x18xh.12cm) (n.d.r.: ed è vero!A nulla può la ruvidezza della texture, di fronte ad una forma & colore sì mansueti) ‐ 24. Abegawa‐Ishi (19x11xh.14cm) ‐ 25. Coho‐Zan:Kandinskij scrive: "Anche la differenza tra toni caldi e freddi si fonda su queste sensazioni." ‐ 26. Setagawa‐Ishi (58x17xh.13cm) "Il grigioed il verde, ugualmente statici, indicano quiete… ma nel verde è presente, seppur paralizzata, l'energia del giallo che lo fa variare versotonalità più chiare o più fredde, facendogli recuperare vibrazione." ‐ 27. "Il marrone si ottiene mischiando il nero con il rosso; ma,essendo l'energia del rosso fortemente sorvegliata, ne consegue che esso risulti ottuso, duro, poco dinamico" (n.d.r.: in questo caso,risollevato da macchie di verde).

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28. Taihu‐stone ‐ Kandinskij continua: "Il bianco è datodalla somma di tutti i colori dell'iride, ma è un mondoin cui tutti questi colori sono scomparsi: di fatto, è unmuro di silenzio assoluto. Interiormente, lo sentiamocome un non‐suono, anche se è un silenzio di nascita,ricco di potenzialità: è la pausa tra una battuta e l'altradi un'esecuzione musicale, che prelude ad altri suoni." ‐29. Kamogawa‐Ishi (22,5x10xh.13cm) "Il nero èmancanza di luce, è un non‐colore, è spento come unrogo arso completamente.È un silenzio di morte; è lapausa finale di un'esecuzione musicale" ‐ 30. Kifune‐Goshiki‐Ishi (30x15xh.12cm): "Tuttavia, a differenzadel bianco (in cui il colore che vi sia contenuto rimaneflebile) il nero fa risaltare qualsiasi colore."

Per Kandinsky, il colore è un mezzo per stimolare di‐rettamente l'anima: egli amava dire che l'armonia deicolori è fondata su di un solo principio: l'efficacecontatto con l'anima. Ma la rispondenza delle teorie diKandinsky all’estetica del Suiseki non si ferma al colore:egli sottolinea anche l’imprescindibile legame tra co‐lore e forma e voi potrete testare quanto da luienunciato, riandando agli esempi fino ad ora mostrati,in gran parte provenienti da pubblicazioni dellaNippon Suiseki Association e del nostro sensei Arishi‐ge Matzuura.

"La composizione pittorica è formata dal colore, chenonostante nella nostra mente sia senza limiti, nellarealtà assume anche una forma. Colore e forma nonpossono esistere separatamente nella composizione.E se un colore viene associato alla sua forma privile‐giata, gli effetti e le emozioni che scaturiscono dai co‐lori e dalla forma, vengono potenziati.

31, 32. L'effetto di risonanza è sottolineato da una de‐terminata forma oppure attenuato da un'altra: i colori"acuti" hanno maggiore risonanza cromatica se conte‐nuti in forme appuntite, mentre i colori "profondi" pre‐diligono quelle "tondeggianti.”

Sempre rifacendosi all’Arte tradizionale oppure attualedel Suiseki Giapponese, risulta interessante sì la prefe‐renza per i colori tranquilli ed oscuri, ma lo èaltrettanto la considerazione del Bianco come PuntoFocale incluso nel contesto di una pietra, sia esso costi‐tuito da Calcite, Quarzo, Barite, Celestina etc…Così, appaiono altrettanto interessanti i differenti(eppure a volte intersecantesi) rapporti tra Suiseki eShangshi, la pietra cinese moderna. Essa si discosta dalclassico Ghongshi o roccia dell’Erudito o Pietra delloSpirito, Scholars’ Rocks e va oltre alle quattro caratteri‐stiche cinesi dello Shou, Zhou, Lou, e Tou (sottile edelegante, texture,canali collegati tra loro, fori edaperture) tipiche delle pietre verticali di Taihu, inclu‐dendo i criteri giapponesi di “forma, colore, materialee spirito” (in cinese: Xing, Zhi, Se, Shen)….Ma per ora vi lascio qui; riprenderemo il discorso, se viva. Alla prossima!Luciana

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In generale le nostre interviste sono rivolte a professionisti del settore che operano

in maniera individuale. Oggi, con questa intervista, ci poniamo un obiettivo abba‐

stanza differente. Vedere il mondo del bonsai dalla parte di chi ne ha fatta una pro‐

fessione, un’azienda, una realtà professionale solida. E’ una prospettiva molto

diversa ma interessante, che apre alcuni spunti di riflessione che riteniamo utili da

condividere con i ns. lettori. L’intervista è stata effettuata nel Gennaio 2011 a Nara

Franchi, titolare dell’azienda Franchi Bonsai, e Matthias Naglein, addetto acquisti e

vendite, che ringrazio personalmente e a nome di Bonsai & Suiseki Magazine per la

cortesia e la disponibilità dimostrata nel corso dell’intervista.

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Sig.ra Nara ci può descrivere breve‐mente la sua esperienza professiona‐le e l’Azienda che lei rappresenta?

L’azienda Franchi è nata moltianni fa, affermandosi inizialmente nelmercato vivaistico. Da circa trenta‐cinque anni l’azienda s’interessa dibonsai a livello quasi esclusivo. Miopadre è passato dall’attività vivaisticaalla produzione di bonsai per una pas‐sione, per una scelta di mercato che hafatto e che io cerco di portare avantinel solco della tradizione ma introdu‐cendo allo stesso tempo elementid’innovazione che possano dareun’impronta personale alla gestionedella ditta.

Ringraziandola innanzitutto perl’attenzione che ci ha riservato,vorrei focalizzare l’intervista sul te‐ma della produzione di bonsai e pre‐bonsai. Ci può fornire il suo punto divista su qual è l’attuale situazionedel mercato del bonsai/prebonsai inItalia / Europa.

Per quanto riguarda l’Italiaabbiamo una visibilità più completapoiché l’Italia è la nostra piazza princi‐pale. Vendiamo qualcosa anche in Eu‐ropa ma abbiamo una visione piùlimitata, in questo periodo il mercatodel bonsai è abbastanza critico, perchépurtroppo la recessione economica hacolpito tutti i settori, e indubbiamenteanche il nostro. Il bonsai rappresentaun articolo sostanzialmente di nicchia,

un sovrappiù, quindi a livello stretta‐mente economico è uno dei primisettori a risentirne. Abbiamo avvertitoun calo del mercato rilevante negliultimi due anni, unitamente allaconcorrenza degli importatori cinesiarrivati in Italia, con prodotti di fasciabassa e qualità inferiore, ma a prezzimolto bassi.

La concorrenza di cui parla è limitataall’ambito delle piante o si estendeanche ad altri prodotti legati almondo del bonsai, attrezzi piuttostoche altri articoli.

Parzialmente anche nelmondo degli attrezzi, ma laconcorrenza principale, con impattieconomici sulla nostra clientela, è si‐

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curamente nell’ambito delle piante.

Su un prodotto che ha un ciclo di produzione così lungo, comeun bonsai/prebonsai, come pianificate la produzione, e quantoincidono i gusti dei clienti, le “mode”, gli “standard” ecc.

Noi cerchiamo di seguire i gusti e le tendenze dei clientiper quanto riguarda la tipologia delle piante da produrre, peròquesto è vero soltanto in parte, perché la nostra azienda è specia‐lizzata nella produzione di piante mediterranee, il nostro prodottoprincipale è la pianta autoctona, e noi vogliamo mantenere questalinea, questa identità, che ci ha differenziato da altri fornitori pre‐senti sul mercato. Ci interessa quindi mantenere questa diversifica‐zione.

Preferite ragionare su degli standard sostanzialmente?Preferiamo ragionare su un prodotto sul quale siamo sicuri

di avere ottimi standard qualitativi e che abbiamo sperimentato alivello di produzione da diversi anni. Tenga presente che il cicloproduttivo è abbastanza complesso, lavoriamo su grossi volumi e iltempo di produzione per arrivare al prodotto finito, un piccolobonsai, è di circa 5/7 anni di coltivazione. Ogni anno, per fornire almercato i volumi richiesti, mettiamo in coltivazione dalle 20.000alle 30.000 piante, con una rotazione continua. Con cicli di pro‐duzione cosi lunghi non possiamo permetterci sbagli nella pianifi‐cazione.

Siete nella zona d’eccellenza del vivaismo italiano, ma la sceltadi essere dei produttori e non dei “semplici” rivenditori e/oimportatori da cosa nasce questa scelta, quali sono i razionaliche vi hanno convinto a investire e a continuare credere in que‐st’attività? Dal punto di vista economico non sarebbe stato piùfacile e redditizio rimanere dei semplici rivenditori e/oimportatori? Quanto è importante nella vostra attività poter di‐versificare le varie linee di business, e quale considerate la piùstrategica?

Per quanto riguarda la produzione è stata una sceltapiuttosto naturale per mio padre, poiché è sempre stato presentenel settore del vivaismo, con la coltivazione degli olivi e dellepiante ornamentali. L'azienda aveva le strutture, il terreno, i vivai eil personale già abituato a lavorare intorno alle piante in una certamaniera. Per questo la scelta di mettere in produzione piante spe‐cifiche per la realizzazione di bonsai è stata un'evoluzione e unaconseguenza del lavoro che era stato impostato in precedenza damio padre. Non a caso la prima pianta che abbiamo coltivato abonsai e proposto al mercato è stato proprio l’olivo, la pianta chelui coltivava di più, che conosceva meglio.

E’ stato quindi un passo naturale?Sì, è stata un’evoluzione naturale dell’attività precedente,

mio padre era abituato a lavorare anche nel campo commerciale,perché si occupava della commercializzazione di diversi tipi dipiante. E’ stato uno dei primi italiani a recarsi nella Cina Popolare,moltissimi anni fa, per stringere rapporti commerciali, iniziando dalì l’importazione dei primi esemplari.

Tornando all’analisi commerciale, quali sono oggi i settori divendita di punta, che favorite maggiormente?

Oltre al settore del bonsai l’azienda si è caratterizzataanche per l’importazione di piante da giardino in stile giapponese.Ed è un settore che ci dà soddisfazione, anche perché, come per ibonsai, cerchiamo di andare direttamente nei luoghi di produzioneper scegliere e comprare le piante, per ottenere un migliore

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rapporto qualità/prezzo. Come volumedi fatturato il settore delle piante dagiardino è leggermente superiore ri‐spetto a quello del bonsai, però ilsettore bonsai e prebonsai rimane co‐munque un settore strategico per noi equindi cerchiamo di mantenere ele‐vato il livello qualitativo della vendita edella produzione.

Ricorda un episodio particolarmentebello o significativo avvenuto inazienda?

Ne parlavo ieri con Mattias,molti anni fa mio padre partecipavacon la regione Toscana, con il mercatodei fiori di Pescia, alle Floriadi che so‐no le manifestazioni europee parificateall'Euroflora, e ha partecipato in Belgio,a Bruxelles, a una manifestazione che

è stata visitata anche dai precedentireali del Belgio. Ricordo dalle parole dimio padre che in quell’occasione laregina Fabiola fu molto colpita dalbonsai di olivo portato da mio padreper quell’evento. Talmente colpitache, alla fine della mostra mio padrelasciò il bonsai come omaggio alla re‐gina. E questo per me è un ricordobello e significativo di mio padre edell’amore e dell’entusiasmo chemetteva nel proprio lavoro.

L’utente finale motiva il proprioacquisto, oltre che da fattori esteticipropri e personali, dall’elementoprezzo. Non sempre è facile capire ogiustificare, in alcuni casi, questoparametro. Ci può aiutare, a frontedella sua esperienza, a capire come

si arriva a determinare il prezzo fi‐nale di una pianta, sia nel caso diuna pianta prodotta localmente chenel caso di una pianta importata?

Per quanto riguarda le pianteprodotte da noi, il costo principale èrappresentato dalla manodopera,rapportata al tempo che impiega unapianticella da vivaio per diventare unbonsai. Ogni anno dedichiamo molteore di lavoro, svolto da personale spe‐cializzato, alla cura delle piante.Abbiamo spese di riscaldamento, diconcimazione, di trattamenti fitosani‐tari e d’irrigazione, quindi il costo to‐tale del bonsai è rappresentato solo inminima parte dal costo iniziale dellapianta, alla quale vanno aggiunti in % icosti del personale e di mantenimentoper gli anni di lavoro (dai cinque ai

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sette anni) necessari per arrivare al ri‐sultato finale. Per quanto riguarda lepiante importate dall’Oriente i prezzisono determinati dal mercato, in gene‐rale è il mercato che dice quale valoreha la pianta, ci sono dei canoni esteticiben precisi che guidano il prezzo, uni‐tamente alla domanda sul mercato,per esempio in questo momento èmolto richiesto il ginepro a cascata esemicascata. Ci sono poi, nel casodell’importazione, tutta una serie dicosti aggiuntivi che contribuiscono aelevare il costo della pianta, mi riferi‐sco in particolare, oltre al costo puro diacquisto, a tutte le spese aggiuntive,come il trasporto, le assicurazioni, idazi per l’importazione. Per giudicarese il prezzo è giusto, non considerandodistorsioni palesi, c’è anche undiscorso personale, legato al gusto dichi acquista, alle capacità tecniche e algrado di esperienza, al come chi“legge” la pianta è in grado diapprezzarne le potenzialità e l’evolu‐zione nel tempo. Tornando al puroaspetto economico, oggi per stare sulmercato ci si deve adeguare al trended evitare di proporre e rivenderepiante con margini al di sopra di quelleche sono le logiche e i parametri diquesto settore, regola che vale per noima ovviamente per tutti gli altriconcorrenti che operano nel settoredel bonsai.

Parlavamo prima di crisi del settore,questo ha portato a una riduzione oa un aumento dei prezzi delle pianteimportate?

La riduzione, o megliomancata riduzione dei prezzi, è fa‐cilmente spiegabile. I due principaliesportatori di bonsai sono il Giapponee la Cina, negli ultimi anni, bastaguardare gli archivi storici dei cambi, loyen si è rivalutato di circa il 35% ri‐spetto alla nostra moneta, quindimantenendo fissi i prezzi di acquisto inGiappone le piante sono mediamentepiù care del 35% rispetto a qualcheanno fa. In Cina tutti sappiamo che nel2010 il PIL è cresciuto del 10%, quindic’è una certa svalutazione anche dellavaluta interna, che si traduce poi in unaumento dei prezzi di vendita all’este‐ro. Gli acquisti sono diventati più cari,la riduzione dei prezzi alla vendita inItalia non c’è stata, per contro c’è statauna forte riduzione, per noi importato‐ri, sui margini, per contenere ecompensare, nei confronti dei clienti,gli effetti legati agli aumenti dei prezzi

di acquisto.

Generalmente, in questo mercatocosì specifico (bonsai e prebonsai), ilpotenziale cliente identifica in unapianta di provenienza asiatica e/ogiapponese un modello di riferi‐mento, per ragioni culturali ed este‐tiche. Nel settore della produzione dibonsai e prebonsai, può descriverele differenze tra il mondo dei colti‐vatori giapponesi e quelli italiani. Cisono delle contaminazioni, aveteapplicato qualcosa di questi modellinel vostro ciclo produttivo, o vice‐versa avete insegnato qualcosa a lo‐ro, oppure i modelli e i processiasiatici non sono applicabili nei no‐stri ambiti produttivi. Se non sonoapplicabili, ci descrive, a suo mododi vedere, quali sono i motivi ?(differenze culturali, tecnici, pratici,clima ecc.).

Lo scambio di competenzec’è stato soprattutto nei primi tempi,per acquisire le tecniche, però la rea‐lizzazione è prettamente basata sullecompetenze della manodopera italianae per quanto riguarda il ciclo di produ‐zione, i sistemi, le esigenze sonodettate dalle richieste del mercato ita‐liano che è comunque diverso dalleesigenze del mercato asiatico. Diciamoche ci poniamo a metà strada fra ilmercato giapponese, molto legato allatradizione e con una forte presenza dipiccoli produttori locali, molto specia‐lizzati ma con una ridotta capacità diproduzione (dalle trenta alle cinquantapiante anno) e il mercato cinese, cheha avuto una fortissima accelerazionee con cicli produttivi molto più veloci.Noi abbiamo una nostra tipologia diproduzione, con i nostri cicli, le nostretecniche che utilizziamo per poterciproporre sul mercato italiano ed euro‐peo con un prodotto che comunque sidifferenzia da quello cinese, da quellogiapponese, e che stilisticamente, pernostra esperienza, incontra di più ilgusto occidentale. Per gli addetti ai la‐vori il bonsai giapponese resta il massi‐mo dell’espressione artistica, tecnica eculturale, però per un normale cliente,che non ha le conoscenze e la compe‐tenza per apprezzare un bonsaigiapponese, o che approccia il bonsaiper la prima volta, la raffinatezza e laricercatezza del bonsai giapponesenon sono indicate, semplicementeperché non ha gli strumenti percapirne il valore. Facciamo unesempio, uno su tutti, lo stile literati, al

cliente medio di una pianta di un de‐terminato valore che può avere unmercato di riferimento abbastanzaampio, questo tipo di pianta non pia‐ce, non ne capisce il valore. La forma ètroppo ricercata, la forma della piantaha delle implicazioni filosofiche, unatradizione e un retaggio culturale cheper la maggior parte delle persone èincomprensibile. Se togliamo gliappassionati competenti, che costitui‐scono il 10% dei nostri utenti, il re‐stante 90% è costituito da clienti cheapprocciano il bonsai per la primavolta, e che lo acquistano comealternativa a una pianta normale.Dobbiamo quindi fornire una piantache sia semplice anche come manu‐tenzione perché altrimenti si corre ilrischio di far nascere nella gente l’ideache il bonsai sia una pianta difficile, dasoli addetti ai lavori, una pianta chemuore subito e quindi si allontana lapersona invece che avvicinarla a que‐sto settore. Avendo un certo numero diaddetti che lavorano sulla parte bonsai,dobbiamo avere ovviamente una certasicurezza sul rientro, sia per gli investi‐menti fatti sia per i volumi generati.Tenga presente che produciamo circatrentamila piante per anno, su una su‐perficie di produzione di cinque ettari,in un secondo vivaio terminato re‐centemente, realizzato secondo lespecifiche di produzione più moderne.Nella struttura che vede, teniamo leserre per l’acclimatamento delle pianteche arrivano dall’Oriente, le serre perla vendita e l’esposizione, il museoBonsai, che consigliamo a tutti di visi‐tare.

Il mercato dei produttori è moltoconcorrenziale. L’Italia è molto lungae stretta, e dal punto di vista climati‐co è simile al Giappone. Questosuggerisce l’idea di unioni tra i pro‐duttori per fornire tutte le tipologiedi piante e ridurre i costi. E’ statofatto qualcosa del genere oppure itempi non sono maturi? Le spiego ilperché di questa domanda, la visibi‐lità che si ha dall’esterno, rispetto almondo della produzione e delladistribuzione di bonsai è comunquequalcosa di frammentato, un settorechiuso al proprio interno, nel sensoche ognuno fa un po’ per se. Siamoin un momento di crisi, può averesenso, anche per espandere ilmercato verso altre realtà europeepiuttosto che locali, pensare di colla‐borare maggiormente tra le aziende

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del settore?La risposta non è facile,

perché non ci sono molti dati conosci‐tivi su altre aziende che svolgono que‐sto tipo di produzione. E’ vero chedall’esterno il mondo del bonsai puòsembrare molto frammentato e inparte è così. A livello teorico il ragiona‐mento ci può stare, però nella praticanon saprei da dove iniziare per attivarequesto tipo di collaborazione. Ilraggruppamento tra produttori po‐trebbe avere la sua valenza se esistesseanche una richiesta forte, ma da quelloche vediamo, anche dai nostri rapporticon l’estero, non sembra di vedere unagrande richiesta di bonsai mediterra‐neo europeo all’estero. In secondoluogo l’aggregazione è difficile, cono‐sciamo diversi produttori di bonsai inItalia, però sono realtà molto piccoleche non hanno neanche loro stessel’esigenza o l’interesse ad aggregarsi. Inpratica è anche un problema dimentalità, il ragionamento è “io faccioper me”, anche perché le realtà picco‐le hanno un sistema produttivo e unatendenza a mantenere la propria posi‐zione di nicchia e normalmente non siaccollano il rischio d’investimenti pro‐mozionali, per esempio all’estero. Lalogistica poi è un altro grosso proble‐ma, essendo l’Italia e lunga e stretta eparlando per il centro e sud dell’Italiaportare il prodotto in Europa centraleha dei costi paurosi. Noi siamo abba‐stanza fortunati perché ci troviamoall’interno di un polo vivaistico, quindici sono molti spedizionieri che sonoattrezzati in maniera specifica per iltrasporto delle piante. Immagino altriproduttori che si trovano in zone menoservite, che interesse potrebbero averea espandersi quando in zona nonhanno la possibilità di avere dei servizidi spedizione efficienti e attrezzati, de‐vono rivolgersi a corrieri che non sonoin grado di garantire trasporti cli‐matizzati, con il rischio di gelate ininverno o d’estate seccano permancanza d’acqua. Il vincolo della lo‐gistica secondo noi è quello che frenamaggiormente l’espandersi di unacultura della collaborazione tra leaziende, unitamente a una mentalitàdei produttori, non solo di bonsai, checomunque sono poco propensi adallargamenti di questo tipo.

Tempo, Produzione di massa, produ‐zione di qualità e giusta remunera‐zione. E’ una sintesi impossibileoppure esiste una ricetta? Sulla pro‐

duzione di massa abbiamo vistoquasi tutto nei passi precedenti, perquanto riguarda le piante di qualità,in altre parole piante con unamaggiore anzianità e dimensioni, ingrado di soddisfare le richieste degliappassionati che faticano a trovaremateriale valido?

Questo è un grosso problema,sinceramente per noi coltivare pre‐bonsai dal punto di vista logistico nonè molto semplice. Sul mercato, grazieal fatto che molti amatori sono di‐ventati dei raccoglitori con unospiccato senso degli affari, sono dispo‐nibili prebonsai di elevata qualità. Pro‐durre del materiale in vivaio, che siaaltrettanto valido come quelle raccoltein natura, è molto difficile e diffi‐cilmente si arriva a risultati simili. E’vero che noi siamo piuttosto limitatinella produzione di prebonsai ma pernoi è veramente impossibile perché laquantità di tempo necessaria per laproduzione porterebbe a costi divendita assolutamente fuori mercato.Inoltre esiste un rischio d’impresa nonindifferente, poiché dovremmo pro‐durre materiale di qualità senza averela certezza di venderlo in tempi breviuna volta disponibile. Certo una mini‐ma produzione la facciamo selezio‐nando i materiali più promettenti, mail numero di queste piante è esiguo inconfronto alla quantità della produzio‐ne normale. Tornando al discorso dellaraccolta in natura, ed evitando qualsia‐si ragionamento sulla liceità di questeoperazioni, a fronte di un investimentodi tempo e di costi molto ridotti, conun rischio che si traduce soloall’attecchimento del materialeraccolto, questi esemplari sono pianteche hanno dai 20 ai 70 anni di età.Produrre e coltivare una pianta in viva‐io per un tempo così esteso non è eco‐nomicamente sostenibile e soprattuttonon abbiamo notizie, né qui maneanche in Giappone, di aziende checompiano dei cicli produttivi cosìcomplessi. Naturalmente l’interessec’è, ma in un ambito di produzione icosti sarebbero talmente elevati chediventerebbe poi impossibile riuscire avendere il prodotto finale.

Internet e bonsai. Velocità e lentezza.Due mondi lontanissimi eppuresempre più vicini. Quanto è utileInternet nel vostro modello di svi‐luppo del business?

A oggi per noi Internet è unmezzo per tenerci in contatto più ve‐

locemente i fornitori esteri ma non loconsideriamo ancora uno strumento divendita, perché non amiamo molto l’e‐commerce su Internet. Abbiamo unnostro sistema di vendita, i nostri ri‐venditori si ritagliano il tempo per vi‐sionare e controllare le piante una peruna. Certamente Internet è utile e lousiamo per le normali attività di lavoro,contatti, amministrazione, ma non nevediamo ancora un uso efficace perincrementare le vendite e promuoverela nostra ditta. Consideriamo ancoraInternet e la nostra attività due mondidistanti e poco compatibili, molte dittedel settore ci hanno contattato peravviare l’e‐commerce, ma le soluzioniproposte non ci hanno convinti. Per gliappassionati di bonsai crediamo inveceche sia molto positivo poter averequesti strumenti d’informazione rapi‐da, quali i forum, che consentono discambiare velocemente informazionitecniche, pareri e cultura del mondobonsai.

Oltre al lato commerciale, svolgeteattività di promozione, culturali eformative nel mondo del bonsai. Ciracconta quelle più efficaci dell’ulti‐mo periodo?

Oltre ai corsi bonsai che stia‐mo portando avanti con i nostriistruttori ci proponiamo di riproporre,nel 2012, la manifestazione cheabbiamo realizzato nel 2010 (Sotto ilcielo d’Inverno). Questa manifestazio‐ne ci è sembrata particolarmente gra‐dita alle persone che hannopartecipato. Cercheremo di fare unamanifestazione piacevole e interes‐sante, indicativamente verso finefebbraio per evitare sovrapposizionicon altre manifestazioni. Abbiamo giàpreso contatto il maestro Kobayashi,che è venuto in Italia già diverse volte,ma questa volta porterà con sé il ge‐nero, un maestro molto giovane, sullatrentina, ma che ha già ricevuto diversipremi in Giappone. Vogliamo fare unamanifestazione che impronteremo sulconfronto generazionale fra un mae‐stro di provata esperienza quale Koba‐yashi e un maestro della nuovagenerazione. Speriamo di attirare tantiappassionati, faremo sempre laborato‐ri, le dimostrazioni e una piccola mo‐stra. A differenza dell’anno scorsocercheremo di suddividere le piantetra quelle provenienti dal Giappone erilavorate in Italia, e quelle realizzatetotalmente in Italia, perché secondonoi il livello qualitativo dei bonsaisti

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italiani e delle loro piante è cresciutomoltissimo, e merita di essere ricono‐sciuto per il valore specifico che ha.

Una domanda riguardante l’occupa‐zione. Oggi che tutti vogliono andaresulla luna, ritornare alla terra po‐trebbe essere una buona idea. Ritie‐ne che questo settore abbia ancoradegli spazi per essere un punto dipartenza o un’alternativa per chi hadelle idee imprenditoriali, o sempli‐cemente abbia voglia di lavorare emettersi in gioco. Che consigli visentite di fornire a chi vorrebbeintraprendere un’attività in questosettore?

Penso che ci siano degli spazinel nostro settore, meno di alcuni annifa perché molte piccole aziende sonocresciute, realizzate da persone che sisono staccate da aziende del settore, lospazio quindi si sta restringendo e ilmomento non è dei migliori per inizia‐re. Non è in ogni caso una cosa moltosemplice, perché attivare una piccolaazienda richiede un investimento dicapitali, all’apparenza non elevatissi‐mo, ma bisogna inquadrare il tutto ri‐spetto alla lunghezza del ciclo diproduzione. Poiché ci vogliono anniper arrivare a ottenere una pianta daimmettere sul mercato si ha un antici‐

po di capitali elevato, soprattuttonell’investimento in manodopera.Inoltre ogni anno deve essere impo‐stata e pianificata la produzione per glianni successivi, senza la possibilità difermarsi, e quindi prima di rientraredel capitale investito i tempi si allunga‐no di parecchio. Il nostro lavoro èbello, però non crediamo ci sia alla fi‐ne una grandissima possibilità di crea‐zione di molti posti di lavoro, perchéin ogni caso è sempre un’attività parti‐colare, di nicchia, per cui lo spaziooccupazionale è per definizione limi‐tato.

Quali sono stati i momenti più diffi‐cili?

Diciamo la verità, una crisicome quella di adesso non l’abbiamomai vista. Da quando abbiamo iniziatoa lavorare i bonsai con mio padre eandavamo in giro con il camion a farela tentata vendita si vendeva beneperché il mercato era interessato alpiccolo e non c’era moltaconcorrenza. Poi la situazione è andatacomplicandosi con il passare deglianni, sia per l’aumento dellaconcorrenza e dei fornitori, e non c’èstato un aumento proporzionale deiclienti. La cosa peggiore in questo mo‐mento è il trend negativo del settore,

che non è dovuto all’affacciarsi di unaconcorrenza particolarmente agguerri‐ta, non riscontriamo perdite di quotedi mercato ma proprio uno spro‐fondamento del mercato in generale,con una forte diminuzione della ri‐chiesta da parte dei nostri clienti. Ilsettore del bonsai ha avuto sì neltempo un’espansione ma non sarà maisecondo noi una pianta di massa, co‐me la stella di Natale o il ciclamino,non entrerà mai in tutte le case, sia peril suo costo che comunque è semprepiù alto rispetto ad altre piante, siaperché comunque incute sempre unpo’ di soggezione agli acquirenti. E poiil bonsai non è molto amato dalledonne, lo vediamo più come unapianta amata dagli uomini ma che ledonne difficilmente acquistano per se,per mantenerlo e appassionarsi a que‐st’arte. E giacché a livello statistico lamaggior parte degli acquirenti deigarden sono donne, è difficile vedereun grande sviluppo della clientela delbonsai. Un altro problema che voglia‐mo evidenziare è quello della pre‐senza, nei supermercati e in generalenella grande distribuzione, di prodottidi qualità scadente, che sono spacciateper bonsai e sono proposte a prezzimolto bassi. Queste politiche inquina‐no il mercato, perché il target di riferi‐mento di queste azioni commerciali è

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il cliente che acquista d’impulso,che a fronte di prezzi molto bassinon ha la capacità e l’interesseper capire la differenza tra untronco messo in un vaso, senzadrenaggio, senza retina e fis‐saggio, e una pianta curata, colti‐vata per mesi e rinvasata secondole regole. Non avendo poi la pos‐sibilità di fare una scelta ponde‐rata, è chiaro che questo tipo dicliente sceglie sulla base del costominore, e ovviamente non sce‐glierà la pianta che presenta uncosto maggiore. Noi, per filosofiaaziendale cerchiamo sempre digarantire un’alta qualità dellapianta non solo dal punto di vistaestetico, ma anche dal punto divista della conservazione e delmantenimento. Capirete che afronte dei volumi di piante distri‐buite in questi centri, la competi‐zione è molto difficile.

Che strategie di comunicazionesi possono adottare nel vostrosettore per spingere la richie‐sta?

Noi non investiamomolto a livello di pubblicità nelleriviste per gli utenti finali, prefe‐riamo investire nelle pubblicazio‐ni di settore, per invogliare ilmercato dell’utenza finale a ogginon vediamo grosse soluzioni, senon una maggiore disponibilitàall’acquisto, legata però a una ri‐partenza dell’economia in gene‐rale, e quindi maggiordisponibilità alla spesa. Sicura‐mente ci sono altre attivitàcollaterali che possono aiutare,ad esempio con i corsi tenuti daFrancesco (ndr Francesco Santiniistruttore I.B.S.) abbiamo avutodei risultati incoraggianti, siamopartiti un po’ timidamente ma èstato alla fine un buon successo,

con un ottimo coinvolgimento deinostri clienti. Tramite il nostromuseo del bonsai abbiamo poimolte visite da parte delle scola‐resche, sia delle elementari siadelle scuole medie, e questo po‐trebbe essere un’area da miglio‐rare, coinvolgendo maggiormentei ragazzi in attività istruttive e diformazione, anche approfittandodella vicinanza con Collodi chepotrebbe agevolarci. Inoltreabbiamo anche visite di scuole diagricoltura specializzata e istitutiuniversitari che vengono dallaFrancia e dalla Svizzera, chevengono per vedere la nostracollezione di piante e quant’altropuò offrire la nostra azienda.

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L'albero che appare nellefotografie è un esemplaredal tronco vecchio esottile, con molti rami

apicali. Si pensa provenga daraccolta in natura; dovrebbeavere circa 80‐90 anni di vita.Prima dell'intervento qui espostonon era mai stato lavorato. Que‐st’articolo descrive il primointervento di formazione di unpino silvestre in stile bunjinpartendo da un materialecompletamente grezzo. Prima diiniziare ad illustrare la lavorazio‐ne vorrei fare insieme con voialcune riflessioni sullo stile bun‐jin‐gi.

La forma oggi conside‐rata rappresentativa per un albe‐ro bunjin è di un esemplare daltronco vecchio ed esile, con po‐chi rami essenziali, un alberoche possiede una grazia natura‐

le, un albero che guardandolonon mette tristezza, ma placal'animo.

Letteralmente bun si‐gnifica lettere, scrittura ejin si‐gnifica persona, quindi sipotrebbe tradurre il termine bu‐njin come persona che ha lelettere, persona colta. Bunjinerano quindi letterati, per lo piùmonaci, ricchi proprietari terrierio artisti o calligrafi. Il contrario diBunjin è Bujin, cioè uomod’armi o soldato. Riferendosiinvece a un bonsai, si utilizza iltermine Bunjin Bonsai o Bunjin‐Gi o Bunjin‐Ki (Gi e Ki significa‐no albero).

Bunjin era una personache non sentiva l’incanto dellacelebrità, del potere o della glo‐ria, era una persona ricca di spi‐rito. Pertanto un albero bunjindeve esprimere la natura spiri‐

BUNJINL'esaltazione dell'essenzialità

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tuale di questo tipo di persona. Forma e ramisono di una raffinatezza eterea. L'albero rifiuta ilsuperfluo, riducendo i suoi elementi all’es‐senziale.

I Bunjin raffinati scrittori e pittori eranoin sintonia con la filosofia taoista e s’ispiravanoai fondamenti del Confucianesimo. Il Confucia‐nesimo era una scuola di pensiero cinesefondata da Confucio, che era un letterato. IlConfucianesimo divenne dottrina base delloStato cinese fin dalla Dinastia Han. Il principioordinatore dell'Universo, secondo questa scuoladi pensiero, era l'armonia (li'), che rappresentavail fine ultimo cui doveva tendere l'uomo attra‐verso il culto del divino e degli antenati, lacultura, il rispetto degli altri e l’esercizio co‐stante delle virtù. Dal loro pennello emergevanoil vuoto, la solitudine, la malinconia e l'avversio‐ne che scatenava in loro la finzione. I letteratigiapponesi che subirono l'influenza del gusto edel pensiero cinese, ricercavano la sublimazionenell'arte e permeavano il loro quotidiano diraffinatezza e spiritualità, rifuggendo da tutto ciòche era volgare. Non solo ammiravano le piantein forme naturali ma cercavano anche di vivereseguendo questa corrente artistica. Ma i letteratisubirono anche l'influsso della filosofia taoista,che aveva una visione positiva della Natura eusava i paesaggi, per evocare splendide rappre‐sentazioni del Paradiso taoista e delle Montagnesacre. Quindi, i letterati non si avvicinarono alBonsai per perfezionare ed apprendere l'esteti‐ca, bensì per rappresentare alcune verità filoso‐fiche e metafisiche.

I bunjin adottarono l’immagine del Pi‐no cresciuto su un dirupo, essendo il pinosimbolo dello spirito del bunjin che cerca di vi‐vere dei suoi ideali, senza compromessi. A pocoa poco iniziarono a raffigurare i loro ideali informa di bonsai. La pittura bunjin (bunjin‐ga)non era realistica, né multicolore, ma più vicinaalla pittura suiboku (letteralmente acqua einchiostro, una pittura in bianco e nero, priva dilinee e contorni marcati). Questo era lo stile chemeglio poteva esprimere la raffinatezza e la gra‐zia della natura universale, la mutevolezzadell'energia vitale, il ki di tutta la natura: monta‐gne, fiumi, erbe, alberi... Si dice che per ritrarreun paesaggio il bunjin viaggiasse a lungo, solita‐rio, in contatto con la natura, disegnando schizzidegli scorci più suggestivi; quindi tornava,stendeva un foglio di carta e con inchiostro epennello dava voce a quel bagaglio di sensazio‐ni e stati d'animo che altro non erano se non ilrespiro dell'universo. In altre parole l’uomoconviveva con la natura unendosi con essa econtinuando a vivere insieme. Questa via perscoprire l’essenza della vita è collegata fino adessere essa stessa “l’estetica del Bonsai.”

La nascita dello stile Bunjin non è bendelineata, anche se pare ricollegarsi alla secondametà del periodo EDO, che intercorre dal 1603al 1868. Prima di allora, intorno all'epoca Ka‐

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makura 1333, si parlava comunemente dibonsan (albero in vaso), termine adoperato inpoesia o nelle presentazioni cinesi e del qualesi trova ancora all'inizio dell'epoca Edo (1600‐1868), per indicare genericamente ciò cheoggi è il bonsai. La gente comune usava itermini hachi‐ue, o anche ue‐ki, con il signifi‐cato di albero messo in un vaso. La parolabonsai compare per la prima volta nel XVIIIsecolo. Solo dall'epoca Meiji appare la deno‐minazione albero bunjin o bunjin‐gi. Lo stileBunjin nasce a cavallo tra la fine dell'Era To‐kugawa (1868) e l'inizio di quella Meiji(1869), grazie ad alcuni letterati giapponesimolto conosciuti, come Sanyo, Chikuden, Yo‐sa Buson (haiku) Taiga (pittori) Aoki Mokubei(ceramisti) e Chokunyu, che seguivano le re‐gole di pittura descritte nel Manuale di pitturadel giardino del seme di mostarda, inoltreammiravano e studiavano a fondo dai libriYuo Hikusai‐ gafu e Kaishi‐en‐kaden o Keshi‐Gaden, considerati libri di testo per tutti queipittori che si definivano innovatori e che era‐no ispirati dalla pittura Nansoga o Nanga(1127‐1279) condizionata dal folklore e daidipinti della scuola cinese meridionale, la cuiopera più famosa è il dipinto Canto del Sud.

Dopo la metà del periodo Meiji, ilbonsai cessa di rappresentare il campo d’inte‐resse dei soli letterati ed emerge la possibilitàdi sviluppo come arte di stile occidentale. Lacondizione di ricerca spirituale del periodoEdo che era l'aspirazione ostinata al principio"rispetta la realtà e liberati dalle illusioni", nonera più adeguata al periodo Meiji, caratte‐rizzato da una cieca impazienza per l'Occi‐dente e i suoi valori. Venuta meno l'essenzadel letterato, l’appellativo di bonsai bunjin, siallontana dalla natura del letterato per di‐ventare espressione di forma. Non più,

quindi, riferimento alla sfera spirituale, il no‐me si lega semplicemente alle caratteristichedi un aspetto esteriore.Le caratteristiche e gli attributi (splendida‐mente descritte da Naka per noi occidentali)dello stile Bunjin sono:1. Pur avendo un suo aspetto, non esisteuna forma o un modello predefinito2. Non è lineare ma irregolare 3. Come uncibo che all’inizio non ha sapore, ma più nemangi e più la sua bontà ti pervade.4. Sembra come se stia lottando per so‐pravvivere pur essendo in realtà estrema‐mente in salute. Ciò che sembra quasi unalenta sofferenza deve essere soloconcettuale, “non reale”. Il suo aspetto ge‐nerale, deve semplicemente essere libero,non costretto, comprensibile, leggero,arguto e non convenzionale.5. Un buon esempio, deriva dall’osserva‐zione di alberi che abbiano sopravvissutoad ogni sorta di disagio.6. Evitare di aggiungere cose superflue, laforma definitiva deve essere essenziale7. Dovrebbe indicare un grandioso ritrattopur essendo un semplice schizzo, ungrande poema con una piccola frase8. Una figura modellata dal vento, daltempo, non troppo robusta ma semmaigradevole

La natura e le qualità del bonsai bu‐njin possiamo così tratteggiarle: l'apprezza‐mento del paesaggio; il cielo in un vaso; ilsenso di un'opera pittorica, un sogno, unasintesi, il sentimento di una poesia; eleganza,quiete, vetustà, modestia, mistero, la creazio‐ne di una forma che non ha bisogno di giusti‐ficazione..., di cornice... che testimonia la vitanonostante tutto... Basta.... il NULLA (mu,non voler dire unicamente nulla, ma significa

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anche la libertà totale che si conseguedistaccandosi da qualsiasi forma emateria) che circonda l'albero... Il bu‐njin‐gi deve trovare spazio nel vuoto,ma non colmarlo, nel vuoto ciascunopuò manifestare cosa ha nell’ animo.

Tuttavia non sempre tuttiquesti elementi sono riconoscibili neibonsai bunjin. Per avvicinarsi a que‐sto stile sarebbe vantaggioso studiare iKanji (scrittura cinese o giapponese,Shodo).

Bunjin è un albero che, no‐nostante il tronco sottile, hasopportato innumerevoli tempeste di

neve; il continuo accanimento dellanatura ha ridotto il numero dei suoirami e l'albero mostra la sua forzanella forma che gli consente di so‐pravvivere alle avversità della natura.Avrà una forma raffinata ed etereama colma dei rigori della naturaimplicita in essa. Quest’aspetto ha insé qualcosa d’impenetrabile, unabellezza unica, rappresenta lo stato diuna profonda comprensione deiprincipi di wabi (semplice, calmo,quieto, solitario, ecc.) e sabi (maturo,vecchio, sereno, mite, ecc.) In originetutti i bonsai bunjin erano creati ri‐

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spettando i principi di wabi e sabi.Per creare un albero bunjin è es‐

senziale riprodurre sui suoi rami quelle lineeforti e marcate, nelle quali la natura è maestra.Anche se non esistono norme precise, i bunjin‐gi dovrebbero avere una forma che richiamialberi che crescono in valli profonde, con cre‐scita allungata in cerca della luce del sole,condizionati da altri alberi vicini.

POTATURA DI UN ESEMPLARE BUNJIN ‐ La foto 1 mo‐stra il materiale di partenza scelto per creare unbunjin che esprima una condizione estrema: unPinus silvestris alto circa 70 cm, che non pre‐senta ancora una maturità di coltivazione (mo‐

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chi‐komi). Come albero bunjin mostraintensamente, attraverso il tronco, laseverità della natura che ne ha forgiatala forma. Non si può dire che siamolto elegante. Al momento la partesuperiore presenta una crescita liberae vigorosa e i rami sono riunitiformando una chioma disordinata.Non c'è armonia con il tronco che,invece, esprime la severità della natu‐ra. Si tratta essenzialmente di elimina‐re i rami superflui ed avvolgere glialtri, correggendone la posizione. Ladifficoltà sta nel decidere, prima ditutto, il fronte dell'albero, poi i rami datogliere, quelli da mantenere e comecorreggerne la posizione. In altreparole occorre disegnare con precisio‐ne nella mente una forma chiara darealizzare. Il primo passo è di esami‐nare attentamente l'angolo d’inclina‐zione e decidere il fronte dell'albero.Come si può valorizzare la torsionedel tronco alla base delle radici? Valu‐tando tutti i pregi e i difetti, progressi‐vamente si determina il punto divisuale migliore: il fronte dell'albero.Viene eliminato il ramo lungo sul latodestro dell'apice, lasciando un monco‐ne poi rifinito come jin. Dopo sonostati eliminati i rami nella parte apica‐le, lasciando soltanto pochi rami.Questo perché il movimento deltronco è perfetto per evocare unacondizione ambientale sfavorevole allacrescita (foto 2, lato posteriore).

La forma bunjin ha un fascinoed un valore del tutto peculiare, do‐vuti all'intensa suggestione di maturitàche esprime. Normalmente presentaun ramo marcatamente discendente,che dà carattere all'esemplare. I pregiparticolarmente ammirati della formabunjin sono la maturità di coltivazione(mochi‐komi), che dovrà acquisire ne‐gli anni, le curve delicate ed elegantidel tronco e l'atmosfera suggerita dallaramificazione. Il ramo discendente sullato destro è fondamentale per darecarattere all'esemplare. Per questomotivo, dal fronte, si deve vederechiaramente la sua posizione ed il suomovimento.

Nel Pinus, i rami apicali do‐vranno essere alleggeriti nei prossimi

interventi. Si osservi la foto che mostral'esemplare al termine della mo‐dellatura: l'apice è una cupola di ve‐getazione formata da tanti rametticome avviene negli alberi vecchi ematuri, che hanno perso la spinta dicrescita verso l’alto e raggiunta stabilitàed equilibrio di crescita.

Avvicinare i rami al tronco e ildisegno sarà valorizzato da ramifica‐zioni corte e molto vicine al tronco. Sitratta di rami che in giapponese sonochiamati kuytsuki‐eda, cioè rami chemordono il tronco, “bocconcino” erappresentano una peculiarità dellaforma bunjin. Come quelli chiamatihashirieda cioè rami lunghi. Alleggeri‐re il disegno è più facile a dirsi che afarsi. Normalmente non basta un uni‐co intervento: occorre accorciare i ra‐mi gradualmente fino ad ottenerenuovi germogli in prossimità della ba‐se, che consentano il mantenimentodi rami corti e compatti. Questo pro‐cedimento richiede meno tempo nelcaso dell'apice, poiché è la zonadell'albero che cresce e si sviluppa conmaggior vigore, mentre è più difficileda applicare sui rami marcatamentediscendenti della zona inferiore, menovigorosa.

Dopo questi interventi rile‐vanti non ci saranno altre potaturedella stessa portata, ma il lavoro so‐stanziale consisterà nel rendere folti ipalchi, nella rifinitura e nel manteni‐mento del disegno raggiunto.

Il ramo dominantediscendente è avvicinato al tronco peraccentuarne l'angolo acuto alla base,segno di maturità e dell'ambiente se‐vero tipico dell'alta montagna.Dopo l'intervento si può osservare unmaggiore equilibrio tra le masse di ve‐getazione; il nuovo aspetto valorizza ilmovimento del tronco, mentre ogniramo risulta più essenziale edimportante nel suo ruolo. Nelcomplesso il pino appare partico‐larmente vecchio, maturo ed evocati‐vo del suo paesaggio tipico.

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Ak è il primo allievo ed qui da 4 anni, il prossimoanno dovrebbe essere l'ultimo del suo apprendi‐stato. Proviene da una famiglia di coltivatori edinnestatori di bonsai. Il padre di Ak è molto consi‐

derato per i bonsai grezzi che riesce a coltivare e trasforma‐re, bonsai che spesso finiscono nei giardini dei maestri piùconosciuti e da questi nelle pagine delle riviste o nelle espo‐sizioni. Penso che il padre di Ak voglia fare con il figlio unsalto di qualità ed avere un futuro giovane maestro di livellomondiale.

Ak ha le qualità per divenire un ottimo maestrobonsai, intelligente, riflessivo, con un ottima manualità edote non indifferente in un allievo intuisce immediatamentei pensieri del Maestro. In un primo momento ho avutol'impressione di trovarmi di fronte ad una sfinge visto il suodistacco e la mancanza di espressioni del volto, mi sono inseguito accorto delle pupille mobilissime che tutto vedeva‐no e controllavano, con il tempo si rivelerà una personapiacevole e con un senso dell'umorismo molto britannico epoco giapponese. Pur avendo solo 23 anni ha già in mentetutte le fasi della sua carriera, è calcolatore ed estroso comeil Maestro, per questo è il suo allievo preferito fra quelli cheha avuto anche se non lo vuol dare a vedere.

Piccola nota a margine: il modello tradizionalevorrebbe l'allievo di qualsiasi livello muto se non gli vienechiesto di rispondere, sordo se non gli viene chiesto di ese‐guire, cieco se non gli viene chiesto di guardare, e cosaimportante non far fare brutta figura al suo maestro. Non

sembri una mia esagerazione, nei mesi seguenti incontrerògli allievi di altri maestri che in pubblico si comporterannoin questo modo, anche alcuni occidentali.

La persona attorno alla quale ruoterà il mondo du‐rante la mia permanenza è il Maestro penserete voi, inveceno è Fu. la moglie del Maestro, il Maestro stesso ammetteche senza di lei non sarebbe diventato importante. Comeogni moglie giapponese Fu ha il controllo della casa e dellacassa e anche dell'azienda. Fu deve accudire a due figlie edun anziano suocero e con il mio arrivo a tre allievi, duegiapponesi e per la prima volta uno straniero che rimarràper un lungo periodo. Per fortuna con Fu ci siamoincontrati e frequentati all'estero durante le manifestazionibonsai e mi ha accolto baciandomi sulle guance eabbracciandomi, atto molto poco giapponese.

Dovrò fare attenzione nei prossimi mesi perché inquesto giardino per l'esuberanza del Maestro si mescolanoriti e tradizioni uniti ad una severa disciplina a scherzi egiochi ed affettuosità e sarà difficile cogliere il registro dicomportamento da tenere nei vari momenti. Queste sonole persone con le quali sarò a stretto contatto ma il giardinodel Maestro ospita amici, studenti, clienti che mi fornirannouna varietà di caratteri da raccontare, li presenterò di voltain volta sul filo della memoria di questi 5 mesi in un altromondo.

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DI L.

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DI L.

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Una più matura comprensione degli Stili ed una diversa interpretazione è pos‐sibile a chi si rende disponibile ad un’ottica diversa e non prigioniera deglischemi tradizionali. Le nuove espressioni del bonsai non devono necessaria‐mente essere trasgressive od oppositive rispetto a quelle codifiche che ca‐

ratterizzano gli Stili. Un allargarsi del panorama estetico e un recupero di qualitàcreative e interpretative (dell’albero) può avvenire sicuramente attraverso una ricercaminuziosa, quasi pedante e uno studio più approfondito. In tutti gli Stili albergano iconcetti di wabi e sabi propri dall’estetica Zen, riaffermati anche dalla visione stilisticadei più grandi Maestri contemporanei del bonsai che hanno portato interpretazioniinnovative a quest’arte. Dal punto di vista percettivo abbiamo

GLOBALITÀ ‐ DETTAGLIO

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perché è vero ‐ secondo la formula gestaltica ‐ chela somma delle singole parti non è equivalente altutto; ossia che la globalità, la olisticità dell’albe‐ro (dal greco holon, sommatoria funzionale delleparti che è sempre maggiore della somma delleprestazioni prese singolarmente) non è uguale allasomma delle sue componenti (rami, foglie, radici,etc.) ma è qualcosa di sé stante, di inscindibile, dinon differenziabile nelle sue singole partizioni.

Molto spesso, nell’osservare un bonsai,accade che non si tenga abbastanza conto del

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da ogni Maestro. Il bonsaista deve sa‐pere indagare nel regno della visibilità,della tattilità, della manualità, tenendofissa l’attenzione alla matrice esteticadel bonsai.

Lo stile è dunque il risultatoscaturito da uno studio delle formepassate, con tutte le condizioni e lecircostanze del divenire. Questo cipone di fronte a molteplici implicazio‐ni chiamate in causa dal concetto distile: il rapporto dello stile con gli stili(del passato, delle tradizioni, etc.); lostile immanente al tipo di materiale(albero) scelto. La creazione di unnuovo stile non può essere risolto consoluzioni empiriche, pratiche, volonta‐ristiche, connesse ad una qualche teo‐ria dell’invenzione ex abrupto.

L’arte del bonsai ricondottaad un unico principio – L’uomo non

può creare che in maniera impropria:tutte le sue produzioni portanol’impronta di un modello. Se il bonsai‐sta, per originalità, fa di alcune partidella pianta un insieme contrario allanatura, così degradandola, valida deilimiti segnati e quando li si sorpassa cisi perde.

La funzione del bonsaista nonconsiste nell’immaginare ciò che nonpuò essere, ma nel ritrovare ciò che è.Per quanto concerne il bonsai,inventare significa riconoscere dove èe come è. Imitare è copiare un mo‐dello. Questo termine contiene dueidee:1. l’albero che porta i tratti che si vo‐gliono imitare;2. l’esemplare che lo rappresenta.

La natura, cioè tutto quelloche è, o che noi concepiamo age‐

volmente come possibile: ecco il pro‐totipo o il modello bonsai. L’artebonsai non crea le proprie regole: essosono indipendenti dal capriccio einvariabilmente tracciate sull’esempiodella Natura.

Da questo principio, bisognaconcludere che, se l’arte bonsai è imi‐tatrice della Natura, l’imitazione deveessere saggia e illuminante, tale chenon copi servilmente, ma che sce‐gliendo talune peculiarità li presenticon tutta la perfezione di cui sono su‐scettibili. In breve, una imitazione incui si veda l’albero come esso è in sestesso, ma quale potrebbe essere, co‐me potrebbe essere concepito me‐diante lo spirito.

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dettaglio per rivolgersi subito all’intero;ma spesso si sbaglia nel considerare ilparticolare come equiparabile al totale.

Nel bonsai d’avanguardia sitende verso l’aumento della complessi‐tà che rende meno leggibili e più evi‐denti l’armonia e l’equilibrio visivo,che va verso l’eliminazione radicaledella corrispondenza ordinata delleparti quale criterio cardinale di identi‐ficazione del bello (che appare in que‐sto modo al di fuori di qualsiasilegame, nella complessità strutturaledei pieni e dei vuoti). Tutto questo simanifesta con un orientamento che,privilegiando l’espressività, si allonta‐na, con uno scarto, rispetto agli schemistilistici tradizionali. In questo contestohanno un ruolo maggiore tutte quellelavorazioni avanzate di cui ci occupia‐mo nello specifico. Ciò accade comesuperamento ed elaborazione nel pie‐no di una fase artistica che si considera

“classica”, ossia produttrice di modelliesemplari, da proporre all’ammirazio‐ne e all’imitazione. Ecco perché siparla di bonsai d’avanguardia.

Molti i fattori che conduconoa reali o apparenti effetti di abbando‐no delle norme codificate: il pathosche forza l’accettata compostezza delleforme precedenti; l’accentuazione dialcuni aspetti già rinvenibili nei prece‐denti “stili classici”; e un’altra variante,forse la più efficace, si ha quandol’artista acquisisce un potere crescentea quella forza eversiva e irrispettosadelle norme codificate che è l’immagi‐nazione, la quale ‐ secondo Pascal eBaudelaire ‐ “dispone di ogni cosa” econtinuamente “crea un mondo nuo‐vo” e, poiché lo produce, è anche“giusto che lo governi”.

Non ci si aspetti però nuoveregole codificate; occorre essere inve‐ce alla ricerca di un’ostinata armonia,

che deve celarsi per non appariresubito evidente e scontata. Le teorie ele pratiche bonsaistiche si devono spo‐stare invece in direzione di unainterpretazione dell’albero che siinventi, di volta in volta, le proprie re‐gole.

Diminuito il fascino deglischemi tradizionali, prende sempre piùconsistenza la ricerca del “nuovo” tra‐mite una più elaborata e immaginatavisione dell’albero, dagli effettisorprendenti.

La percezione del bonsaistaperde così l’innata staticità intesa comeorgano recettivo: nel loro legame conla mente si rivela esercizio del varcarela nuova frontiera del bello che è peròretaggio del bonsai contemporaneo.

In tutto ciò si racchiude l’evo‐luzione stilistica che è un processo ra‐zionale e irreversibile: l’habituscreativo è riempito in modo differente

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Tradurre (dal latino tra‐ducere: condure al di là) significa trasporrein una lingua diversa una serie di parole che non sono soltanto“parole” ma contengono concetti spesso estranei alla lingua incui si traduce.Questi concetti appaiono tanto più lontani quanto più lontana è

la cultura della lingua dalla quale intendiamo tradurre. In questo casoparliamo della lingua giapponese, in cui il significato e il significante assu‐mono un valore estetico totalmente estraneo a noi occidentali. I kanji, coni loro tratti “pittorici”, sembrano contenere un linguaggio segreto, qualco‐sa di inaccessibile anche quando riusciamo a coglierne il senso. In parti‐colare, c’è una parola giapponese che sfugge a qualsiasi traduzione ecomprensione: si tratta di mederu che vuol dire letteralmente “apprezzarele cose belle della natura”.

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Mederu, il cui suono sembratrasportarci già in una dimensione dicalma e di contemplazione, racchiudetutta l’importanza che la natura rivesteper i giapponesi. Viene subito inmente il rito annuale dell’hanami, du‐rante il quale si contemplano i ciliegi infiore; oppure l’autunnale momijigari icui protagonisti sono i bellissimi acerigiapponesi.

Come dimenticare, inoltre,

l’incipit del “Makura no Soshi” (Notedel Guanciale) di Sei Shōnagon: "L'au‐rora a primavera: si rischiara il cielosulle cime delle montagne, sempre piùluminoso, e nuvole rosa si accavallanosnelle e leggere..." dove la natura, dasola, costituisce uno spettacolo d’insu‐perabile bellezza. Nessun traduttore,per quanto abile e fantasioso, riusciràmai a trasporre in un’altra lingua que‐sto concetto che è anche il segno

dell’anima di un intero popolo. Tutta‐via, chi si è anche solo avvicinato allasublime arte del bonsai, riesce a carpi‐re il senso profondo di questo bellissi‐mo verbo. Piantare, coltivare, potare eveder crescere lentamente il proprioalbero, significa sperimentare mederue farne il motivo dominante del pro‐prio lavoro certosino. L’estetica delbonsai, basata su asimmetrie e vuotipieni di senso, è intrisa di mederu ed

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è, probabilmente, uno dei pochi canali che noi occi‐dentali possiamo percorrere per comprendere questamisteriosa parola.

Ogni bonsaista, con la sua arte paziente, rie‐sce a tradurre in un linguaggio non verbale questaincredibile parola e a rendere tangibile un concettoche, altrimenti, resterebbe per noi impenetrabile.

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E' difficile parlare di Prima nevesul Fuji (Einaudi, pp. 149, €

9,50), come lo è per una qualsia‐si raccolta di racconti di Kawa‐

bata Yasunari. Non perché la scrittura siaoscura, dal momento che la prosa èlimpida e avvolgente; si tratta di qualco‐sa di più midollare e intimo, che s'annidanel fondo delle parole e degli eventi.

In queste storie incontri sfumati,desideri reconditi e segreti, avvenimentiminimi come una visita inaspettata rive‐lano i lati, consueti o inquietanti, dell'esi‐stenza, in cui si insinuano sottilmente ildubbio, il senso di colpa, il rimpianto;persino nel gioco innocente dei bambinie nel rumore delle gocce di pioggia tra‐pelano dissapori e sofferenze.

La natura, presenza silenziosama pregnante, accompagna e a suo mo‐do spiega la bizzarra vita degli uomini,

come appare in Un filare di alberi o inYumiura, in cui la bellezza discreta di unviottolo di gingko o la magnificenza d'unvecchio tramonto sulla baia sembranocontrapporre l'incessante mutare dellestagioni agli accadimenti umani, effimerieppure carichi di affanni. Soltanto lamemoria, seppure a tratti, e le piccole,inaspettate meraviglie possono forse re‐stituire un briciolo di pace ed eternitàagli animi tormentati. L'esempio piùtoccante è certo Crisantemo nella roccia:qui il nobile fiore in cui s'è incarnato lospirito di una donna in perenne attesadell'amato pare raccontare una fragilevittoria della vita sul tempo e sulla morte.

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PRIMA NEVE SUL FUJI

YASUNARI KAWABATA

EINAUDI

€ 9,50

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HITOSHI'S WORLD

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photo © Hitoshi Shirota

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Il fascino di una tradizione mille‐naria circonda ancora ai nostrigiorni gli alberi di cachi, i cuifrutti, dal sapore delicato e parti‐

colare, solleticarono la fantasia deipopoli antichi, che individuarono inessi "il cibo degli dei". Originario dellaCina, dove viene indicato col nome di"Mela d’Oriente", il Caco viene larga‐mente coltivato anche in Giappone eoccupa un posto di primariaimportanza nella dieta alimentare diquei popoli.

ESPOSIZIONE ‐ Il Caco si colloca in po‐sizione ventilata e soleggiata. Poichéle foglie non si bruciano per lamancanza d’acqua, non è necessariomettere la rete ombreggiante,neanche in piena estate. Se si ha pocotempo per innaffiare, è meglio posi‐zionarlo in modo che non sia espostoal sole pomeridiano. In invernooccorre evitare che il terriccio geli.

INNAFFIATURA ‐ Per una produzioneottimale di, il Diospyros predilige

FAMIGLIA: EBENACEAE

GENERE: DIOSPYROS

NOME COMUNE: CACHI, KAKI

Albero deciduo, in Giappone il cachi viene coltivato per i suoi frutti. Invecchiando,il tronco si tinge di sfumature marrone‐nerastre. Molti dei sui rami sono divergenti,

e le foglie alterne di forma ovale si animano d’autunno di un bel colore rosso. Secome bonsai di piccole e medie dimensioni si usano anche il royagaki (Diospyrosrhombifolia), il tokiwagaki (Diospyros Morrisiana) o il mamagaki dai piccoli frutti,nessuno ha l’eleganza del cachi di montagna (Diospyros kaki). Sui frutti giallo‐rossi

del cachi sembra sempre diffondersi la calda luce del tramonto.

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DIOSPYROS LOTUS

Il termine Diospiro deriva dal greco 'dios' = divino e 'py‐

ros' = grano, frumento e per estensione 'frutto' cioè 'frutto divino'

in riferimento alle proprietà organolettiche dei frutti eduli. La

pianta originaria dell'Asia, è stata introdotta in Europa nel 1596;

già alla fine del 18° secolo era regolarmente coltivata nel sud

dell'Europa. Essendo più resistente al freddo del D. kaki viene

impiegato come porta‐innesto; è una pianta frugale, slanciata,

raggiunge i 15‐18 metri a maturità: nel nostro clima si sviluppa

bene, anche in terreni calcarei e asciutti (in collina può essere

un’ottima ed originale scelta, una possibile alternativa di colore)

La specie è conosciuta sotto diverse denominazioni, tra le quali

"legno di Sant'Andrea" e "legno santo" perché una leggenda so‐

steneva che Sant'Andrea fosse stato crocifisso su quest'albero. Ha

foglie caduche, semplici a lamina ovoidale lanceolata, margine

intero. La specie è pianta a fiori unisessuali e, raramente, anche

poligami: per questo la pianta si può presentare con soli fiori a

funzione femminile o con soli altri a funzione maschile; può

anche avere solo fiori ermafroditi o addirittura riunire con

combinazioni diverse le varie caratteristiche. I frutti, dunque,

possono derivare da fecondazione o dal principio di parteno‐

carpia: nel primo caso hanno una polpa più dolce e più soda e

un colore bruno. In alcune varietà i frutti, se partenocarpici, so‐

no (usando una classificazione utilizzata dai giapponesi per

contrapporli a quelli dolci) astringenti. Per la coltivazione bonsai

vengono utilizzati Cachi selvatici, assai diffusi nei boschi dell'Ita‐

lia settentrionale e centrale, che producono frutti astringenti, ma

staccati dal ramo. Assai semplice da preparare e da seguire nel

processo di crescita e formazione, questo alberello è consigliabi‐

le ai principianti e offre immediate soddisfazioni anche ai

bonsaisti meno pazienti. Fruttifica infatti entro un anno o due

dall'inserimento nell'apposito contenitore e quindi acquista

immediatamente un aspetto gradevole, anche se, naturalmente,

solo le cure e le modifiche che verranno apportate nel corso di

anni, sapranno conferirgli il carattere di un artistico ed armonio‐

so bonsai.

DIOSPYROS KAKI

È stato sviluppato dalla specie selvatica D. roburghii.

Spesso è innestato su portainnesti del più resistente e tollerante

D. lotus. L'albero può raggiungere altezze fino a 12‐18 m (40‐60

ft); le foglie sono alterne . La specie è generalmente monoica

con fiori maschili e femminili presenti su piante separate . I fiori

maschili, che sono generalmente in gruppi di 3, hanno 16‐24

stami, mentre i fiori femminili solitari hanno 8 pseudostami (sta‐

mi sterili, assenti le antere e polline). Il frutto ha un elevato

VARIETA' DI KAKI

innaffiature regolari in prima‐vera e in autunno , ma gene‐rose in estate. Anche se glialberi di cachi tollerano benela siccità , la qualità dei fruttirisente della mancanza di unapporto regolare di acqua . Incondizioni di siccità persi‐stente infatti, la pianta reagi‐sce frutta

POTATURA E FORMAZIONE ‐ Sel’obiettivo è la formazione deirami, si pota da ottobre afebbraio dopo la caduta dellefoglie, periodo che coincidecon la quiescenza dellapianta. Se invece l’obiettivo èla fruttificazione, una voltache i frutti interrompono laloro crescita (giugno), si pota‐no i rami selezionando quelliche si intende lasciare. I ramidel Caco sono abbastanza ri‐gidi, ma rimangono morbidifino a quando le vegetazioninon raggiungono i 15‐20 cm:il giusto procedimento è difermare in quel momento le

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nuove vegetazioni con il filo (avvolge‐re con il filo ferma la crescita dei rami,se questi vengono curvati verso il bas‐so); su torsioni e piegature più impe‐gnative è opportuno l’utilizzo dellarafia.

RINVASO ‐ Il periodo migliore pereffettuare il rinvaso è la primavera,prima del risveglio vegetativo; si lavavia il vecchio terriccio e si sostituiscecon un substrato che garantisce unbuon drenaggio. Poiché le radici cre‐scono vigorosamente, si consiglia l’uti‐lizzo di un vaso più profondo in mododa avere una maggiore umidità nelterreno. Si rinvasa ogni tre anni, mauna volta superata la fase di crescita,quando l’obiettivo sarà quello di otte‐nere una maggiore fruttificazione, sidovrà rinvasare ogni anno.

CONCIMAZIONE ‐ Somministrare conci‐mi organici azotati in primavera econcimi ricchi di fosforo e potassio inautunno; se non si concima adeguata‐mente non si ottiene una buona fiori‐tura. Diminuire la concimazione daprima della germogliazione fino aquando maturano i frutti.

MALATTIE ‐ Il Diospyros è abbastanzaresistente all’attacco dei parassitianche se è importante trattare perio‐dicamente con insetticidi; se lacomparsa di cocciniglia è associata allapresenza delle formiche, queste rego‐lano la loro proliferazione. Un eccessodi acqua a volte può provocaremarciumi radicali la cui conseguenza èperdita di fiori e frutti giovani.

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Nel 1983, il presidente Ronald Reagan ha avuto in dono da Hassan II, re del Ma‐rocco, un bonsai di Diospyros kaki proveniente dalla sua personale collezione. Ilbonsai è stato collocato nel National Bonsai and Penjin Museum.

CURIOSITÀ

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contenuto di tannini che conferiscono

proprietà astringenti; con la maturazione

si riducono i livelli di tannino

consentendone la commestibilità.

DIOSPYROS RHOMBIFOLIA

Originariamente scoperto in Ci‐

na, è stata successivamente introdotto in

Giappone dove viene utilizzato come

bonsai per le foglie molto piccole e i

frutti non più grandi di 2 cm; es‐

senzialmente dioica (piante maschili e

femminili) ha bisogno di sole pieno per

migliorare la fruttificazione. I frutti sono

ricchi di flavonoidi antiossidanti come le

catechine e le gallocatechine nonché di

acido betulinico, importante anti‐tumo‐

rale. Le catechine sono note per avere

proprietà anti‐infettive, anti‐infiammato‐

rie e anti‐emorragiche..

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