Bonsai & Suiseki magazine - Marzo-Aprile 2012

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Bonsai & Suiseki magazine - Marzo-Aprile 2012 - ----------- THE FIRST OPEN-MAGAZINE from the world of Bonsai and Suiseki. The magazine is an informative, scientific and technical instrument open to all. Free and online.

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BSM - Anno IV n. 2 - Marzo/Aprile 2012

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IN COLLABORAZIONE CON

CONTRIBUTORS

Lorenzo Agnoletti, Fabio Canneta, Stefania Cornario, Nicola Crivelli, Gian Luigi Enny, Valeria Marras, Laura Monni, Giacomo Pappalardo, Roberto Raspanti, Elisabetta Ruo, Enrico Sallusti, Francesco Santini, Umberto Scognamiglio, Anna Lisa Somma, Mauro Stemberger, Hans Vleugels, Nevis Zanchetta

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Antonio RicchiariEditoriale

BONSATIREGGIANDO

DAL MONDO DI BONSAI & SUISEKI

EDITORIALE

SECRET WORLD

MOSTRE ED EVENTI

18

Fabio CannetaL'insieme... e l'essenza20

Gian Luigi EnnyElementi fondamentali di un

giardino in stile giapponese28

Sandra GuerraUna conversazione con il

Maestro32

Giuseppe MonteleoneBonsai Club Polistena34

Hans VleugelsNoelanders Trophy38

IN LIBRERIA

Antonio RicchiariIl buddista riluttante - W.

Woollard45

AGRONOMIA BONSAISTICA

Luca BragazziLa capacità di scambio dei suo-

li. CSC44

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Antonio RicchiariEditoriale

SOMMARIO

DAL MONDO DI BONSAI & SUISEKI

EDITORIALE

SECRET WORLD

MOSTRE ED EVENTI

18

Fabio CannetaL'insieme... e l'essenza20

Gian Luigi EnnyElementi fondamentali di un

giardino in stile giapponese28

Sandra GuerraUna conversazione con il

Maestro32

Giuseppe MonteleoneBonsai Club Polistena34

Hans VleugelsNoelanders Trophy38

IN LIBRERIA

Antonio RicchiariIl buddista riluttante - W.

Woollard45

38

28 20

32

34

AGRONOMIA BONSAISTICA

Luca BragazziLa capacità di scambio dei suo-

li. CSC44

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SOMMARIO

BONSAI 'CULT'

Antonio RicchiariUna nuova ecologia46

LA MIA ESPERIENZA

C. Scafuri, G. PappalardoJuniperus sabina "Ultimo"48N. Crivelli, N. ZanchettaDi mano in mano56Mauro StembergerDa semplice tronco a bonsai63

A LEZIONE DI SUISEKI & CO.

Luciana QueiroloLa storia, le passioni, la fanta-

sia del mio "Stone Brother", Bradley Barlow

68

I FANTASTICI QUATTRO

L. Agnoletti, N. Crivelli, R. Raspanti, F. Santini

Taxus baccata92

Antonio Acampora La scelta del materiale di

partenza per un principiante

OGGI PARLIAMO DI...

102

Anna Lisa SommaAlla scoperta del Sol Le-

vante: Giappone - di R. Menegazzo

IL GIAPPONE VISTO DA VICINO

109Hitoshi ShirotaHitoshi's World110

U. Scognamiglio, E. RuoPrunus mume116

L'ESSENZA DEL MESE L'OPINIONE DI...

Valeria MarrasMassimo Bandera77

88

46

48

77

68

BSM AWARD

Enrico SallustiStoria di un pino nero88

Stefania CornarioHanami112

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SOMMARIO

I FANTASTICI QUATTRO

L. Agnoletti, N. Crivelli, R. Raspanti, F. Santini

Taxus baccata92

Antonio Acampora La scelta del materiale di

partenza per un principiante

OGGI PARLIAMO DI...

102

Anna Lisa SommaAlla scoperta del Sol Le-

vante: Giappone - di R. Menegazzo

IL GIAPPONE VISTO DA VICINO

109Hitoshi ShirotaHitoshi's World110

U. Scognamiglio, E. RuoPrunus mume116

L'ESSENZA DEL MESE

116109

92 112

102

Stefania CornarioHanami112

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Ho imparato ad amare il Giappone negli anni. L’ho ap-prezzato poco per volta. E’ l’Impero dei segni, è la patria

dell’estetica, di un’estetica purissima ed essenziale, è la terra dei dettagli, della perfezione e se esistesse una perfezione assoluta oserei dire: della perfezione assoluta.

E’ un mondo a sé stante. Se qualcuno, non ricordo chi, ha detto che Dio è nei particolari, il Dio di quella Terra è rapp-resentato in tutta quella infinità di particolari che riempiono il quotidiano. La perfezione anche nel superfluo, nell’effimero, nel minuzioso. Quanto un occidentale può capire? Quanto può penetrare questa civiltà?

E’ da notare che l’aspetto “tradizionale” sia inserito in un corpo sociale dotato anche di tratti “moderni”. In Giappone, qualità come “spirito di appartenenza” e “senso dell’onore” contraddistinguono ogni gruppo. L’abilità personale ed i risultati effettivi contano molto di più della provenienza familiare. Ha scarsa importanza che un individuo sia nato in una famiglia ricca o potente oppure in una di contadini. La valutazione di un indi-viduo viene fatta in base alla sua attività più che alla sua origine.

L’attaccamento al gruppo contribuisce in maniera de-terminante all’identità sociale di un individuo. Questo implica lealtà verso il proprio gruppo. I giapponesi sono abituati a con-siderare l’ordine gerarchico come il principio fondamentale di organizzazione sociale. Questo modo di vedere si manifesta ovunque nelle attività di gruppo, ed è bene esemplificato dal concetto giapponese di democrazia.

I giapponesi intendono per “democrazia” un sistema che dovrebbe stare dalla parte dei deboli, o degli inferiori, e in cui, in pratica, ogni decisione dovrebbe esser presa anche in base al consenso di coloro che occupano i livelli più bassi della gerarchia (sic!).

Tutte queste brevi considerazioni mi portano ad alcune similitudini, a pensare al Paese in cui viviamo, al nostro quotidi-ano e, perché no, inevitabilmente la mente si rivolge al piccolo mondo del bonsai che molti di noi vivono professionalmente e quindi a tempo pieno.

Mi piace pensare che chi si dedica con amore e pas-sione al bonsai ed al suiseki, oltre alle conoscenze di tecniche e di pratica, oltre all’affinamento del senso estetico, cerchi di ar-ricchire e coltivare qualità come quelle che sono innate nell’indi-viduo giapponese. Certo, i valori dell’uomo giapponese hanno parametri molto diversi di quelli dell’uomo occidentale. Tutto ciò, se dovesse mutare (discorso utopico?), migliorerebbe di molto l’attuale panorama che ci rappresenta e che ci appar-tiene, panorama che appare oggi dai contorni sfocati, intristito da talune mancanze e carenze che minano seriamente l’aspetto aggregativo visto come unione solidale di individui che hanno in comune la medesima passione, e, quel che è più grave, l’imma-gine stessa di una categoria che rischia, per colpa di qualcuno, di trasformarsi in una vera e propria lobby con annessi e con-nessi!

Si può sempre cambiare, non è facile, ma c’è sempre tempo per provarci.

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di Fabio CANNETA

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I bianchi e i neri ci restituiscono un’immagine effimera e ingannevole che nulla ha in comune con la percezione dei nostri occhi abituati a stimoli policromi.

Ma per uno strano gioco di vuoti e di pieni rappresentati dai bianchi e dai neri, ci porge la nuda materia spogliata delle sue seducenti pennellate intrise di colo-

re accompagnando per mano l’osservatore verso l’essenza delle forme.

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Ogni forma d'arte utilizza i propri ele-menti per comporre l’opera. Lo stesso avviene quando si tratta di realizzare un giardino in stile

giapponese. Se analizziamo bene un tipico giardino nipponico si avvale di vari elementi che lo caratterizzano come: piante, lanterne, rocce, vasche per l’acqua, isole, stagni, ponti, alcune volte una sala da tè e paesaggi presi in prestito.

Il modo in cui vengono utilizzati dai maestri giardinieri questi diversi elementi in combinazione tra loro, è ciò che porta un giardino alla sua esistenza. Le pietre sono tra gli elementi più importanti, infatti quando si co-mincia la costruzione di un giardino in questo

stile il progettista di solito inizia con la colloca-zione delle varie pietre. Il raggruppamento delle pietre può essere fatto in modo casuale o anche in forme triangolari. Secondo la tradi-zione giapponese le pietre sono sempre posi-zionati in numero e in gruppi dispari, solo in seguito si aggiungono in base al progetto gli altri elementi.Ricordiamoci che, posizionare le rocce equivale a formare l’ossatura del giardi-no dal quale dipenderà l’atmosfera, il decoro e soprattutto la serenità dell’intero complesso, perciò nel posizionare anche una singola roccia, ci si dovrà concentrare e impegnare se-riamente senza mai farlo a cuore leggero.

Le pietre possono essere incorporate in un certo numero di modi diversi, un modo

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comune è quello di usarli come segna passi per un sentiero del giardino, oppure possono essere utilizzati per rappre-sentare una montagna e, se posizionate in un giardino Kero-sansui ad un'isola. Alcuni progettisti di giardini in stile giapponese sanno sfruttare l’uso delle pietre per creare l'illu-sione di paesaggi presi in prestito dando una sensazione di una montagna in lontananza.

L'acqua è un altro elemento molto importante uti-lizzata come scenografia in questi giardini essa può essere simboleggiata attraverso molti mezzi differenti, per esempio con la ghiaia rastrellata nelle rappresentazione di onde che si infrangono contro la roccia, oppure con le vaschette tsuku-bai per purificare la bocca prima della cerimonia del tè.

Poiché l'acqua simboleggia la purezza, nello stesso tempo dona a tutto il giardino un tocco di freschezza. Uno degli usi più suggestivi è quando viene utilizzata per la crea-zione di cascate: dove è possibile, un salto d’acqua crea un ambiente di pace e serenità dando all’osservatore quella sensazione di naturalezza e senso di pace paradisiaca. L'acqua può essere utilizzata anche in torrenti, stagni, fiumi,

ognuno dei quali funge da centro di attrazione in un giardi-no giapponese.

Anche la lanterna di pietra è un elemento classico della vecchia scuola, quasi mai deve mancare, il suo posi-zionamento è fatto in un modo molto strategico in quanto è pensata per portare simbolismo di elementi contrastanti, come lo yin e lo yang.

Unitamente ai vari tipi di vegetazione il pino e l'acero giapponese sono tra gli alberi più diffusi in un giardi-no di questo stile, altre essenze tipiche ricercate sono: il muschio, il bambù, le magnolie, le azalee, i ciliegi, i susini, le peonie ecc.

Non tutti gli elementi descritti in questo articolo so-no obbligatoriamente necessari, ma se per una buona rea-lizzazione necessitano, andranno usati con cura, parsimonia e discrezione.

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1. Vari elementi che compongono un giardino nipponico - 2. Sentiero di pietre - 3. Onde di ghiaia - 4. Vaschetta Tsukubai - 5. Cascatelle

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Maestro, ma come vengono valutate le piante ai concorsi? Pongo la domanda di punto in bianco, nel mio miglior stile "senti maaaaa...", du-rante una lezione col mio Istruttore. La situazione è molto piú prosaica ma mi sono sentita subito nei panni di Daniel nelle prime scene di "Ka-

rate Kid". "Si valutano diversi elementi per un bonsai" - risponde lui senza nemmeno

pensarci troppo, come se mi stesse elencando gli ingredienti per una pasta alla carbo-nara - " asimmetria, semplicità, austerità, naturalezza, sottile profondità, libertà dall'attaccamento e tranquillità."

Annuisco, già convinta di aver capito tutto e applico immediatamente la mia esperienza di insegnante occidentale chiedendo: "i punteggi in che range vanno assegnati di solito? Fanno la media dei punti assegnati da ogni giudice?". E mi becco in risposta un sorrisetto - no Daniel San - che mi da la misura della profondità della mia ignoranza. "Non è matematica, non devi ragionare con la tua mente e il tuo sa-pere occidentale, devi osservare la pianta con il necessario distacco, essere la pianta!"

Ecco. Essere la pianta. Probabilmente ho la faccia della mucca che vede pas-sare il treno e mi sento ad anni luce dal capire che accidente significhi, ma ostinata ci riprovo.

"Ma se devono giudica-re le piante, ci vogliono un me-tro di misura e un metodo obiettivi, no? Altrimenti ogni giudice sceglierebbe in base ai suoi gusti!"

Il sorrisetto questa volta è di compatimento - dai la cera, togli la cera, Daniel San.

"Continui a ragionare col tuo cervello occidentale. Devi dimenticare tutto quello che hai imparato nella tua vita, guardare con gli occhi del bambino. I giudici orientali anche senza i tuoi "parametri obiettivi" alla fine scelgono tutti la stessa pianta.

Osservare un bonsai con distacco, liberi dall'attacca-mento, significa svuotare la mente, lasciare che entri in te, che ti parli. Nel mondo occi-dentale spesso si punta a rende-re evidente l'autore, a "firmare" un bonsai in modo che balzi agli occhi chi l'ha educato. In giappone invece la pianta viene prima dell'autore, non importa se é Kimura o Sandra Guerra. E quello che conta alla fine é ció che trasmette, che riesce a co-municare."

Travolta dalla massa di concetti per me 'alieni' rifletto in silenzio per un po', poi tento di trarre un senso dal tutto.

"Quindi che un giudi-ce deve guardare un bonsai con distacco non significa che deve essere freddo, ma che non deve tentare di imporgli modelli mentali, schemi, ca-ratteristiche che non sono nella pianta ma nel giudice, deve la-sciare che entri nella sua mente vuota, cioè libera da legami e preconcetti e che gli comunichi sensazioni, che gli parli, la-sciandosi "riempire", lasciando-la "entrare"...?"

Guardo speranzosa il viso del mio maestro, sicura di aver al massimo appena scalfito la profondità dell'argomento, ma questa volta - hai, Daniel san - vi trovo un sorriso di approvazione e, ci potrei giura-re, una strana ombra di occhi a mandorla e baffetti.

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Scrivo con immensa soddisfazione queste poche ri-ghe. Soddisfazione per un sogno che si è realizzato a distanza di anni. Ebbene sì, nel scorso mese di di-cembre 2011 si è costituito il Bonsai Club Polistena.Finalmente, dopo una gestazione durata circa sei

anni, l'idea di un paio di amici si è fatta realtà. Era infatti il 2006 quando assieme all'amico ed attuale presidente del Club, Antonello Galluccio, si discuteva ogni volta che se ne aveva l'occasione, sull'assenza sul nostro territorio di un club o di una qualsiasi forma di organizzazione che raccogliesse quegli amatori che non si vedevano, ma che eravamo certi

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ci fossero. Eravamo certi che nella parte più meridionale della Calabria gli appassionati ci fossero. Le frequentazioni sui diversi forum e gli interventi dei singoli sulle riviste di settore ci facevano conoscere un po' alla volta quelli che sa-rebbero diventati i nostri compagni di avventura.

Alla scoperta di questo tesoro nascosto, fu di supporto la nostra passione. Esplicitata ad ogni occasione ed in ogni circostanza, ha sicuramente contribuito a farci avvici-nare agli attuali amici e soci. La svolta definitiva si è avuta du-rante gli ultimi mesi dello scorso anno, quando, il gruppetto che raggiungeva già le 5-6 unità grazie al passaparola, ha

portato al primo incontro organizzato per discutere sulla co-stituzione del Club, ben undici amici. L'accordo e la sinto-nia è stata immediata, all'aperto e sotto i fantastici alberi della Villa Comunale di Polistena abbiamo concordato che la settimana successiva ci saremmo rivisti per discutere sullo statuto e definire il tutto. E così è stato. Formalizzati gli adempimenti burocratici ed amministrativi nasceva uffi-cialmente il Club. Che emozione!!!Ad oggi ci siamo incontrati più volte, ed almeno una volta al mese, nonostante la momentanea assenza di una sede defi-nitiva. Alcune volte non siamo riusciti ad essere tutti, ma si

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sa, la passione è più forte di tutto ed al mo-mento l'officina di Marcello è il nostro re-gno! Lì discutiamo e lavoriamo, ma, devo dire, che la grande sensibilità dimostrata dall'Amministrazione Comunale è quasi emozionante. Abbiamo la promessa e l'impegno reale per l'assegnazione di un lo-cale idoneo ai nostri scopi.

Per il resto, che dire, motivazioni e scopi sono comuni a qualsiasi Club di bonsai. Ma in noi alberga un'altra spe-ranza, quella di diventare un punto di riferi-mento per tutti gli appassionati di questa parte di Calabria e soprattutto di mantene-re viva e possibilmente far crescere la pas-sione per questa splendida arte.

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Giunti oramai alla tredicesima edizione, la Bonsai Assocation Belgio (http://www.bonsaiasso-ciation.be/) ha organizzato anche quest'anno il Noelanders Trophy. Questa mostra internazionale

di bonsai è divenuta una delle più importanti e seguite d'Eu-ropa, questo specialmente grazie al suo organizzatore, nonché fondatore del BAB, Marc Noelanders.

Per il secondo anno consecutivo, lo scenario per questa mostra è stato il sito storico minerario della città Heu-sden-Zolder, location che ha caratterizzato fortemente que-sto evento. Al suo interno sono stati esposti ben 100 bonsai. Il grande successo di questa mostra è senza dubbio il suo ca-rattere internazionale, nonché la collaudata formula di combi-nare le dimostrazioni eseguite da ospiti internazionali, ad un grande mercato bonsai. Ogni anno ci sono sempre più visi-tatori provenienti da tutta Europa, e in alcuni casi addirittura venuti da altri continenti.

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Gli ospiti principali del nutrito programma di quest'anno sono stati: William Valavanis (USA), Ryan Neil (USA), Mauro Stemberger (IT), Jorge Campos (ES) e Vaclav Novak (CZ). Nel corso del pomeriggio, hanno fatto tutti una dimostrazione in due sa-le separate, demo seguite e commentate da Walter Pall. Co-me ogni anno, questi ospiti sono stati gli stessi che hanno composto la giuria per la scelta dei bonsai da premiare. I vincitori di quest'anno sono stati:Primo premio "Noelanders Tro-phy": Juniperus chinensis di Luis VallejoPrimo premio Kifu "Noelanders Trophy": Juniperus c. 'Itoigawa' di Mauro StembergerMiglior bonsai BAB: Pinus mugo di Christian VosMenzione di merito "Noelanders Trophy": Salix babylonica di Si-mon TemblettMenzione di merito "Noelanders Trophy": Pinus sylvestris di David

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BenaventeMenzione di merito "Noelanders Trophy": Picea abies di Nicola CrivelliMenzione di merito "Noelanders Trophy": Fagus sylvatica di David BarlowInoltre, Robert Kempinski, Presidente del Bonsai Clubs International ha assegnato al Taxus cuspidata di Mauro Stemberger il Premio BCI. Anche Simon Temblett ha ricevuto questo premio per il suo mozzafiato salice piangente Salix babylonica. Per fi-nire, il tedesco Gormez Soler ha ricevuto il Premio EBA per il suo Carpinus turczaninovii.

Le mie congratulazioni a tutti i vincitori ed ai loro favolosi lavori, ed a tutti gli altri espositori che hanno fatto di que-sta mostra un vero e proprio evento. Un plauso in particolare a tutti i soci del Bonsai Association Belgio, grazie al loro duro lavoro sono riusciti ad organizzare e creare un evento davvero magnifico.

Come ogni anno, tutti i bonsai sono stati fotografati in uno studio fotografico professionale dal signor Willy Evene-poel. Vi invito per il prossimo anno alla XIV edizione del Noelanders Trophy, che si terrà il 19 e 20 gennaio 2013.

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La capacità di scambio rappresenta la capacità di trattenere i cationi presenti nella soluzione circo-lante ed è una caratteristica chimica dei suoli molto importante. Si esprime in meq/100gr. Que-

sta proprietà è definita dall’origine e dalla composizione del suolo e i suoli che manifestano elevata capacità di scambio sono quelli ricchi di minerali argillosi e di so-stanza organica (SO).

Ne risulta che i diversi suoli hanno una diversa CSC (Capacità di Scambio Cationico) e che quelli con va-lori elevati hanno una maggiore capacità di trattenere gli elementi nutritivi, in particolare i micro-elementi di tipo ferroso. I suoli con tali caratteristiche rappresentano un ottimo serbatoio di accumulo per le piante, che di conse-guenza ne dispongono in maniera più eqilibrata, sia nella quantità che nel tempo, avendo una crescita molto più omogenea e costante. Alcuni suoli con scarsa CSC, non potendo trattenere i suddetti elementi nutritivi, risultano particolarmente poveri e come tali rappresentano un ti-po di suolo costituente una validissima struttura fisica e non chimica o nutrizionale.

In Agronomia bonsaistica, i substrati meglio rappresentativi per questo parametro e più considerati e utilizzati sono qui di seguito un elencati:

AKADAMA = 35 KIRYU = 25LAPILLO = 30

KANUMA = 32POMICE = 13TERRICCIO UNIVERSALE (TU) ricco di Hu-

mus = 200/400Personalemente ritengo essenziale comporre

una miscela con percentuali differenti dei primi substrati escludendo totalmente il TU. Una scelta simile si basa sulla necessità di avere una capacità da parte del suolo di evitare costipamento e asfissia dovuta a substrati orga-nici quali il TU, e di garantire una struttura che conferi-sca alla miscela un compromesso tra aria e acqua risultando essere un validissimo supporto alle fasi di concimazione organica.

Proprio tale pratica risulta essere invalidata se la si applica su substrati ricchi di SO, inquanto già ricchi di elementi nutritivi, ne consegue che praticamente risulta essere incontrollabile la somministrazione dei nutritivi. Al contrario, miscele ben strutturate fisicamente con CSC media compresa tra 20 e 25 rappresentano un eccellente supporto alla decomposizione della SO, fa-cendo risultare perfettamente controllabile la cessione dei nutrienti, senza scompensi.

Si capisce quindi, come il TU non rappresenti una gestione di tipo professionale, ma approssimativa e di comodo.

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Tra i valori che caratterizzano un suolo, di estrema importanza troviamo la sua capacità di scambio; è un parametro quasi per nulla considerato dai bonsaisti e come tale la sua non considerazione fa incorrere sempre più spesso in problemi legati alla fisiologia dell'assorbimento dei nu-trienti di difficile interpretazione e risoluzione.

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Perché questo libro di William Woolard, autore inglese, re-gista, produttore, laureato ad Oxford? Perché sono forte-

mente convinto di due cose: la prima è di ciò che scrive l’autore “Mi sono avvcinato al buddismo armato di un acuto scetticismo riguardo alla sua pos-sibile integrazione e rilevanza in un contesto occidentale moderno. Ad-esso sono convinto del grande valore che può rivestire nella vita di chi-unque, in qualsiasi parte del mondo.

Considero quell’iniziale scetti-cismo come il mio miglior requisito per la stesura di questo libro”. La seconda è che bonsaisti e suisekisti debbano leggere questo prezioso ed in-teressante libro. Ho riscontrato una certa resistenza nelle persone, anche di un certo livello culturale, a parlare di buddhismo perché credo venga con-siderato una specie di tradimento verso chi pratica il cristianesimo. Ni-ente di più errato. I principi del buddhismo e la sua interpretazione bene si affiancano alla nostra religione e sicuramente aiuterebbero a vivere

meglio, a vedere il quotidiano sotto una luce migliore, meno grigia, e soprattutto ad essere più tolleranti e disponibili verso il nostro prossimo.

L’Autore, in questo libro che si legge con molta facilità, che non ha nessuna pesantezza teologica, ha rac-colto le sue più scrupolose consid-erazioni personali sul buddhismo inteso non come sistema filosofico oscuro, astratto, inaccettabile e im-praticabile, ma come insegnamento legato alla vita quotidiana. Parla, ed è importante, della determinazione, della gratitudine (ahimè, troppo spesso ignorata!), parla di felicità e di come imparare a costruire una vita migliore per sé e per gli altri, indi-pendentemente dalle circostanze che affaticano la nostra vita.

Perché il titolo “riluttante”? Perché l’Autore ha impiegato molto tempo per capire il valore di ciò con cui era entrato in contatto per caso e che non ha più abbandonato.

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IL BUDDISTA RILUTTANTE VIAGGIO DI UN OCCIDENTALE ALLA SCOPERTA DEL BUDDISMO

WILLIAM WOOLLARD

ESPERIA

€ 10,00

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In Italia una persona su tre si dedica al giardinaggio. Da un’indagine della Coldiretti emerge che il 37% degli italiani ama curare il giardino o l’orto di casa. Ogni città reclama il proprio riscatto vegetale; nei grossi centri urbani si registra una “versione urbana” della passione per il verde. Un

nuovo modo di avvicinarsi alla natura e diverso da certi atteggiamenti ecologi-sti che anni addietro facevano tanto moda.

Se l’ecologismo era pauperista, la nuova passione per i giardini rica-vati in ogni dove: sui davanzali, sui balconi, laddove un piccolo spazio lo permette, è qualcosa di più di una tendenza del momento. E’ qualcosa che mira ad un equilibrio estetico e sociale. Si tratta di una vera tendenza a quella del giardino casalingo, la cura del balcone, l’angolo verde, perfino lo spazio condominiale viene preso in considerazione da convinti inquilini.

Credo sia cambiato anche il profilo del consumatore per il pollice verde. Fino a qualche anno addietro era identificato come una cosa da attempate casalinghe o da eleganti signore o da pensionati intenti più ad occupare il tempo che a riempire vasetti di terra. Molti hanno riscoperto, ri-prendendosele, le proprie radici contadine. Comincia a diffondersi il deside-rio di abbellire gli spazi abitativi, non solo con piante e fiori da vaso, ma anche con qualcosa che ci aiuti a tornare ad un’alimentazione più naturale.

Dedicarsi al verde aiuta a mantenere un certo equilibrio. Una pianta necessita di alcuni gesti regolari e accurati, senza esagerazioni o ritmi conci-tati come invece accade ne caos del quotidiano. Curare il verde richiede concentrazione e creatività. Abbellire il proprio balcone o la propria terrazza può fare venire fuori un senso estetico sopito o mai scoperto ed il confronto con altri che hanno il famoso ”pollice verde” e fanno lo stesso nell’ambito del proprio appartamento è anche una forma di condivisione e una maniera effi-cace per uscire dal propri isolamento narcisistico.

Tutti i centri commerciali hanno registrato un aumento del 30% sulle vendite del settore vivaistico. E questo è un dato che si commenta da solo. In questo panorama da “ritorno al futuro” vorrei si inserisse un angolo che veda più persone attorno al bonsai amatoriale, di quel bonsai capace di suscitare passione ed emozioni, di quel bonsai sincero e genuino che lascia fuori dal tempio i falsi mercanti e quegli interessi che immancabilmente finiscono per guastarlo ed alterarlo. Il bonsai possiede una forte capacità evocativa, ha una forte pulsione ed è capace di un forte richiamo. Perché non sfruttare tutte queste potenzialità e attivarle per un richiamo che attiri e veda nuove forse e nuovi elementi all’interno del bonsai? Se un certo ricambio è fisiologico, una bella cura rinvigorente farebbe molto bene al bonsai, con annessi e connessi!

Il bonsai è un modo di avvicinarsi alla natura, è la ricerca di un equi-brio estetico e, perché no, interiore. E’ un modo di apprezzare la natura, pri-vo di ideologie e diverso dall’ecologismo militante del passato.

L’uomo ha bisogno del suo giardino per vivere “con naturalezza” in un ambiente idoneo alla vita umana associata, spazio etico della comunica-zione, e della vita attiva, pienezza della vita. Luogo dell’origine, tema comu-ne alle differenti culture e aspirazione teleologica di alcune. I giardini diventano, nella città oramai multietnica, baluardi per la difesa dell’ambiente, spazi della comunicazione, terreni culturali idonei all’uomo, alla sua multi-formità; al suo essere natura: da tutelare con tutto il suo patrimonio vitale e socioculturale.

Nelle città sono sempre più frequenti gli episodi di giardinaggio spontaneo. Le città, in genere, non sono affatto a misura d’uomo. Il bisogno di verde è sempre più impellente. E ognuno trova, in maniera libera e creati-va, una soluzione per le sue necessità. Nel nostro Paese si è tentato di tra-durre community garden in “orto globale” e le iniziative e le reti di reciproca informazione crescono a vista d’occhio. C’è un grande interesse per il verde fai da te, ma non si è mai sviluppato un vero e proprio movimento.

Bisogna diffondere nuove idee e cercare di fare rete, per facilitare la comunicazione fra chi vuole occuparsi di aree abbandonate, piante sponta-nee, orti e giardini. New York è, come spesso accade, all’avanguardia per quel che riguarda i “giardini urbani”. A tal proposito consiglio la lettura di un interessante lavoro di Michela Pasquali, edito da Bollati Boringhieri, dal titolo I giardni di Manhattan. E, credetemi, se ognuno di noi facesse la propria piccola parte, le nostre città subirebbero uno stravolgimento tale da renderle più belle e vivibili.

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Per chi come me fa un utilizzo quotidiano di internet e del web, anche a scopi comunicativi, ne conosce ampiamente gli innumerevoli vantaggi, tra i quali quello di poter entrare in contatto con professionisti che fino a

non molto tempo fa erano praticamente irraggiungibili. E' stato così che ho avuto il piacere di conoscere Giacomo Pappalardo - indiscusso esperto dell'arte bonsai, da anni ai vertici del bonsai-smo europeo - e di poter approfondire il suo modo di vedere ed interpretare il bonsai.

Vi presento uno dei miei recenti nuovi lavori “ULTI-MO”, un possente juniperus sabina dal grande futu-ro. Ho il piacere di affidare il commento ad un caro amico, Carlo Scafuri, che si è distinto in questi ultimi anni come caporedattore della ormai famosa rivista BSM.

GIACOMO PAPPALARDO

1. La foto mostra questo bellissimo esmeplare di Juniperus sabina ad attecchimento avvenuto. L'esemplare in qeustione rispecchia fedelmente le caratteristiche fenotipiche della specie: corteccia bruno-rossastra, portamento cespuglioso, vegetazione squamiforme di colre verde intenso - 2. Particolare del terriccio usato per l'attecchimento. L'utilizzo della pomice in alte percentuali, oltre ad assicurare un

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Ricordo che durante una no-stra discussione, incentrata sul come cambino i modi di articolare gli step d'impostazione in base all'esemplare che si ha davanti, che Giacomo mi ha proposto di guardare le foto di un suo lavoro su un esemplare di sabina inedi-to, dicendomi, che mi avrebbe chiari-to meglio questo concetto.

Nell'impazienza di riceverle, mi sono improvvisamente ritrovato ad essere un bambino in attesa di aprire il suo primo regalo di Natale. Gli occhi fissi sul monitor in attesa che il pro-gramma di posta elettronica mi mostras-se quel che sapevo già essere l'ennesimo capolavoro di Giacomo.

Le foto arrivano... oggetto “Ultimo”... le osservo in silenzio una dopo l'altra, in una sequenza che mi illustra passo dopo passo come un ce-spuglio di ginepro sia potuto diventare uno stupendo Bonsai, un degno e raro rappresentante di “arte vivente”. Un au-tentico tuffo al cuore! La drammaticità e la fluidità del tronco, i lunghi jin dal secco a vela ed i vasti shari presenti su

tutto l'esemplare, indicano con chia-rezza come il tempo abbia plasmato, giorno dopo giorno, una forma così contorta e al contempo così affasci-nante. La tubolarizzazione delle poche vene vive presenti, hanno reso evi-denti i passaggi vitali della pianta, qua-si come se essa avesse scommesso con quali rami avrebbe potuto vincere la sua sfida con la morte.

Ho ricontattato immediata-mente Giacomo, con la speranza che fosse così paziente da rispondere a tutte le domande che avevo in serbo per lui. Gentile come sempre, ha accettato di saziare la mia curiosità, sicché quesito dopo quesito, mi sono reso conto che quel che stava condivi-dendo con me era un'esperienza che avrebbe potuto arricchire moltissimi appassionati di bonsai. Non mi è re-stato che porgli la fatidica domanda: “Giacomo, ma perché non scrivere un articolo su Ultimo? Un simile capolavo-ro merita sicuramente una pubblicazio-ne!”. “mmm.... ottima idea Carlo; te la sentiresti di lavorare a questo progetto

con me?” Inutile dire quale sia stata la mia risposta... ed eccoci qui!

Giacomo mi raccontò di quando, nella primavera del 2008, vi-de questo yamadori di sabina durante una delle sue escursioni sulle Alpi ita-liane, e di come subito si fosse reso conto del potenziale che possedeva. Un buon programma di coltivazione ed una concimazione mirata, avevano fatto in modo che la pianta fosse pronta per la sua prima impostazione già nell'autunno dell'anno seguente. “Ma un solo anno dedicato all'attecchi-mento, non è un po' pochino per un materiale del genere?”. “Sicuramente. – mi risponde - Infatti, solitamente è una procedura che sconsiglio categori-camente. Lavorare una pianta dopo così poco tempo dalla sua raccolta, non solo è rischioso, ma può essere addirittura controproducente, indu-cendo l'esemplare, il più delle volte, a morte certa”. Fa una pausa, poi ri-prende ponendo l'attenzione su que-sto importante aspetto: “Con altre specie, come ad esempio il pino, le

perfetto drenaggio, garantisce un apporto ottimale di acqua utile ai capillari - 3. Dalla rimozione di un moncone, è stato possibile stimare l'età della pianta grazie alla conta degli anelli. Grazie all'uso di un buona lente d'ingrandimento, è stato possibile contare ben oltre 200 anelli (escludendo il pezzo centrale che era in stato di marcescenza), stimando l'età di Ultimo in circa 250-300 anni - 4. L'esemplare visto dal lato destro - 5. L'autore accanto ad Ultimo. Da questo semplice raffronto, quel che balza subito all'occhio dell'osservatore è la considerevole dimensione di questo pregiato araki

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cose cambiano. Ma in questo caso, contando soprattutto sull'esperienza maturata in molti anni nella coltiva-zione di questa specie, ho potuto approcciare un primo intervento con molta tranquillità.” Parole sante le sue! Penso a quanti splendidi ara-ki sono andati persi solo negli ultimi anni per la fretta di accelerare i tempi, per non aver dato il giusto pe-so alle pratiche agronomiche. Giaco-mo è un eccellente coltivatore, e nel tempo i suoi consigli sono divenuti per me dei veri e propri dogmi da se-guire ciecamente.

Rivedo le immagini che mi ha inviato, e continua a ronzarmi in testa la classica domanda che ogni amatore che si rispetti si pone quando è in presenza di simili tra-sformazioni: “Giacomo, ma come fai a creare queste opere d'arte da quel che inizialmente appare come un grosso, ingarbugliato ed anonimo

cespuglio? Ci sono delle forme o dei bonsai da cui trai esempio, o è tutto frutto del tuo estro?”. “Solitamente è il materiale stesso che mi indica la via da seguire. In questo caso speci-fico, la pianta non presentava certo una lettura facile. La sua forma confusa mi ha obbligato a guardarla più e più volte, permettendomi di farmi soltanto un'idea molto generi-ca sul come impostarla. Le uniche certezze che avevo riguardavano alcune parti che avrei dovuto elimi-nare, e sulla pulizia che avrei dovu-to eseguire per avere una lettura veritiera del materiale che avevo da-vanti.” Di nuovo una lunga pausa, poi continua insistendo molto su questo punto: “Si sente spesso parla-re di disegno di una pianta prima di lavorarla, ma spesso, come in que-sto caso specifico, la cosa è impro-ponibile! A mio parere, l'approccio migliore da seguire è quello di fare

6. Dopo un'attenta analisi del materiale, viene asportato un gros-so pezo di ramo che tagliava ottica-mente il fronte dell'esemplare - 7. Con l'ausilio di un sega elettrica, viene inizialmente rimosso il ramo antiestetico. Successivamente si passa all'uso di una fresa per sgros-sare e rifinire il taglio - 8. Particola-re della fresa utilizzata per sgrossare al meglio il taglio. Succes-sivamente è stata bruciata la parte interessata utilizzando un cannelli-no a gas al fine di eliminare le imperfezioni lasciate dagli utensili elettrici - 9. Il primo importante step di pulizia è terminato. Il sabi-na mostra finalmente tutto il suo potenziale. Sin dal primo impatto visivo non si può non restare affa-scinati da questo mix di caratteristi-che che fanno di Ultimo un ginepro di gran pregio: dinamicità dei movimenti, drammaticità ma al contempo armonia tra le forme, sono soltanto alcune delle sue pe-culiarità

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10. Grazie ad un comunissimo programma di elaborazione grafica, si realizza un virtual che mostri, in grandi linee, l'aspetto che avrà questo sabina tra qualche anno. Un attento e calibarto protocollo di coltivazio-ne/concimazione, studiato appositamente per questo bonsai, farà si che il virtuali di-venti reale! - 11. Si spennella il liquido jin su tutte le superfici di legna secca. Lo scopo primario dell'applicazione del solfuro di calcio è quello di preservare il legno impe-dendo che col tempo marcisca sotto l'azio-ne degli agenti atmosferici - 12. Particolare delle vene vive. E' impressionante la tubola-rizzazione di questa vena linfatica principale - 13. E' arrivato il momento di collocare la ramificazione principale. Per la piega di que-sto grosso ramo viene utilizzato un tutore metallico. Prima del suo posizionamento, l'autore "saggia" l'elasticità del ramo prima di decidere quali tecniche adoperare

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14. Con l'aiuto di un assistente, viene posizionato il tutore e successivamente avvicinato il ramo fi-no alla posizione desiderata - 15. Si passa ora alla filatura per posizionare e direzionare definitiva-mente la ramificazione primaria e secondaria

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16-19. La filatura è senz'altro la pratica che richiede più pazienza, ma un lavoro ben fatto garantisce un risultato ordinato e pulito. Quando se ne presenta la necessità, vengono potati i ciuffi più "esuberanti" in modo da riequilibrare la vigoria complessiva dell'esemplare - 20. L'autore, visibilmente soddi-sfatto del lavoro svolto, accanto al suo sabina al termine dell'impostazione

21-23. Particolare - I ciuffi di vegetazione non sono stati fi-lati, ma bensì lasciati crescere liberamente. In questo step non è la rifinitura dei palchi l'obiettivo da raggiungere, ma un'impostazione di massima che stressi il meno possibile la pianta - 24. Particolare della legna secca risanata

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prima una pulizia generale della pianta, eliminando le parti di palese disturbo. Solo dopo ci si potrà eventualmente aiu-tare con un disegno.” Altra importantissi-ma lezione, penso.

“La pulizia della pianta è stata la parte più laboriosa, ma al contempo la più importante dell'intero step. Dopo aver eliminato un grosso ramo che incro-ciava otticamente la pianta, ed aver tolto tutto il superfluo, il disegno della pianta era oramai chiaro. Dopo aver provvedu-to alla definizione delle vene ed aver pas-sato il liquido jin sulle parti secche, non restava che filare la ramificazione.” Mentre Giacomo mi spiega le operazioni che ha eseguito, osservo con più attenzione le foto, scorgendo qualcosa che mi fa storcere il naso. Conosco molto bene il modo di lavorare di Giaco-mo, ne ho sempre ammirato le qualità artistiche ed interpretative. Vedendo dal vivo i suoi bonsai ho potuto appurare di persona la sua meticolosità nel posiziona-re con precisione certosina i palchi di ve-getazione. Dalle foto, invece, soltanto la vegetazione primaria e gran parte della secondaria era stata filata e messa in po-sizione. Rivolgo a Giacomo le mie perplessità, e lui serafico: “Giusta os-servazione Carlo, ma al momento l'obiettivo da ricercare non è la rifinitura, quanto invece il giusto posizionamento della ramificazione primaria e seconda-ria in modo da creare una struttura portante che sia la base per le future impostazioni! Inoltre, filare i singoli ciuffi avrebbe causato un ulteriore stress per l'esemplare. Affinché la pianta sia sempre in salute, nulla va lasciato al ca-so! Per gli stessi motivi, finita la lavorazio-ne, ho aspettato alcuni mesi per assicurami che la pianta rispondesse be-ne prima di effettuare l'operazione di rinvaso. Per una migliore coltivazione di Ultimo, ho preferito collocarlo in un contenitore più grande del vaso definiti-vo.” - “Su questo non posso che essere d'accordo con te, mi è stato sempre inse-gnato che il vaso definitivo è l'ultima co-sa a cui pensare. Dimmi Giacomo, hai già pensato se e quando esporlo in qualche mostra?” - “No Carlo... ha anco-ra tanta strada davanti, tutto a suo tempo. Quello di cui sono sicuro è che se tutto andrà bene durante questi anni di coltivazione, il risultato finale mi ripa-gherà sicuramente dell’attesa e degli sforzi profusi.”

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25. Dopo mesi trascorsi a recuperare la massima vigoria possibi-le, è stato possibile effettuare il rinvaso in un contenitore ancora piuttosto capiente ed adatto per una coltivazione ottimale. Purtroppo la posa in vaso non è stata priva di problemi. Un gros-so pezzo di tronco pregiudicava il suo corretto posizionamento. Si è reso perciò necessario asportarne un pezzo - 26. Una volta entrato correttamente nel vaso, si iniziano a stringere i fili di ancoraggio, attorno al nebari

27. Foto finale. Ultimo in tutto il suo splendore

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Nella mia collezione possiedo diversi biancospini, quasi tutti provenienti da una pianta che acquistai in un vivaio nei primi anni novanta. Questa “pianta madre” fu margottata e divisa in varie piantine. Su

questo esemplare (fig. 1) iniziai a piegare il tronco mediante una fessurazione a croce e tentai di radicarlo su una roccia, purtroppo l’operazione fallì e rimase per molto tempo nel mio giardino in stato di semi abbandono.

PREPARAZIONE DEL MATERIALE - Per coltivazione “semi abbando-nata” non intendo ovviamente una coltivazione al limite della sopravvivenza bensì una coltivazione mirata alla sola formazio-ne del materiale, in questa fase mi limito a far crescere libera-mente i rami che ritengo debbano ingrossare potando al contrario quelli che hanno raggiunto uno spessore adeguato.

Generalmente ho già una sommaria idea del disegno futuro da conferire alla pianta ma nonostante ciò lascio voluta-mente molti rami poiché nella coltivazione delle latifoglie tro-

9vo sia molto importante avere dei rami che in futuro potrebbero sostituire quelli che si rivelassero troppo ingrossati. Nel caso in cui un ramo si dovesse ingrossare eccessivamente andrà quindi eliminato senza indugi so-stituendolo con un ramo di minore spessore già pronto a prendere il suo posto.

Per tornare al biancospino fu da subito evi-dente che il punto di forza doveva essere rappresentato dalla creazione di una ramificazione fine.

E’ noto che questo tipo di ramificazione non è certamente facile da mantenere, per questo motivo uti-lizzo tecniche di defogliazione parziale atte ad evitare che i rami si ingrossino eccessivamente creando in que-sto modo disarmonia e disturbando l’equilibrio della pianta.

Nel 2008 la pianta passò di mano, Nevis cerca-va una pianta da lavorare durante un workshop. Gli pro-posi questo biancospino dall’aspetto ancora disordinato che fino ad allora non aveva praticamente regalato alcu-na fioritura.

Finalmente nell’aprile del 2009, durante un workshop nel mio giardino (fig. 7) per la prima volta ve-niva effettuata una vera e propria impostazione, era evi-dente che la pianta stava, sia pure lentamente, acquistando un carattere, si decise di eliminare il ramo basso a sinistra, dritto e inutile, trasformandolo in jin e di far risaltare le radici esposte adottando uno stile Han Kengai (semi cascata). Negli stili Kengai (cascata) le radi-ci esposte sono molto importanti in quanto aumentano la drammaticità della composizione. In questo stile la pianta deve dare l’immagine di essere aggrappata salda-mente ad un pendio friabile.

APPLICAZIONE DEL FILO SULLE LATIFOGLIE - Nel mese di apri-le la pianta presentava i germogli quasi del tutto aperti, si potrebbe quindi pensare che fosse troppo tardi per fi-larla. Tuttavia le latifoglie, quando inizia a scorrere molta linfa, diventano più morbide e quindi risulta più facile piegare i rami compresi quelli più spessi. L’unico accorgimento da adottare è una massima attenzione per evitare di “staccare” i teneri germogli.

Un altro momento che ritengo essere ideale per mettere il filo su una latifoglia è verso la metà di maggio in occasione della defogliazione. Naturalmente si può filare anche durante il periodo invernale ma così facendo il rischio di spezzare i rami è maggiore.

L’anno successivo, durante un nuovo WS, abbiamo filato e rinvasato il biancospino in un vaso di Alberto Vigoni (fig. 9). Si decise di non rischiare eccessi-vamente e “procedere per gradi” posizionando la pianta in un vaso più grande del dovuto senza badare eccessivamente al colore e alla forma dello stesso, al contempo veniva leggermente avvicinato l’apice al tronco principale.

Il pane radicale non venne praticamente toccato ma solo aggiunta akadama ben setacciata in tre diverse granulometrie e carbone nel fondo del vaso per favorire l’assorbimento di eccesso idrico.

Come mia abitudine preparo, delle bozze immaginando come dovrà svilupparsi la vegetazione e come dovrà essere il prossimo vaso: sicuramente più basso e con le radici più esposte (fig. 12-13).

Questi disegni saranno utili a Nevis per pro-

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grammare la coltivazione durante l’anno a venire e cercare il vaso definiti-vo.

TIPICITÀ DELL'ESSENZA - Un concetto ben noto ai miei studenti e che perso-nalmente cerco di non dimenticare du-rante l’impostazione delle piante è quello denominato “tipicità dell’es-senza”.

Ogni essenza ha la sua tipici-tà, le conifere ad esempio hanno un lo-ro portamento definito “tipico”, tuttavia anche tra le stesse conifere ci sono delle differenze di crescita, dovu-te all’ambiente e alle latitudini in cui crescono, e conseguentemente di impo-stazione.

A titolo di esempio si osservi l’impostazione che i giapponesi conferi-

scono a due specie di pino ben cono-sciute dai bonsaisti, ovvero il Kuromatsu (pino nero) e il Goyomatsu (pino a cinque aghi); un occhio esperto sarebbe in grado di distinguerli l’uno dall’altro anche contro-luce, semplicemente osservando l’imposta-zione della ramificazione.

Ovviamente anche tra le lati-foglie ci sono differenze di tipicità, gli

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aceri palmati ad esempio hanno una loro tipicità che è diffe-rente da quella degli aceri tridenti.

La tipicità del biancospino è quella di possedere una ramificazione non propriamente delicata, piuttosto rusti-ca e zigzagante. Le spine non invogliano certo l’osservatore ad accarezzare la sua corteccia che, tuttavia, nelle piante mature, acquista una screpolatura fine. Un elemento che pe-rò addolcisce questa essenza sono i piccoli fiori delicati e i frutti di un color rosso sangue.

Si abbia pertanto bene a mente che i frutti non so-no certamente pesanti e quindi non avrebbe senso abbassa-re gli apici dei rami. Essendo un’essenza dalla corteccia rustica che fa fiori e frutti, avendo ben a mente il concetto di tipicità, ritengo che non sia azzardato un paragone tra il biancospino e l’albicocco giapponese (prunus mume), conse-guentemente sarebbero accettati shari e piccoli jin. In latifo-glie di questo tipo, quando mi appresto ad eliminare un grosso ramo, piuttosto che fare un taglio a filo del tronco, pre-ferisco lasciare un piccolo pezzetto di ramo in modo da po-terlo lavorare a jin.

Nel caso specifico il biancospino di Nevis impone-va un certo andamento a cascata, anche dei rami, la nuova vegetazione però, compresi i terminali dei rami, dovrà ri-volgersi verso l’alto. Non dimentichiamoci che in Giappone il biancospino è un’essenza bonsai piuttosto utilizzata, anche come shoin, pertanto sui cataloghi e riviste nipponi-che, si possono trovare diversi bellissimi esempi e impostazio-ni da seguire.

In occasione della manifestazione UBI di San Mari-no assieme a Nevis abbiamo scelto un vaso che potesse accentuare di più l’eleganza della pianta. La scelta cadde su un vaso di Andrea Melloni (fig. 14).

L’aria romagnola, ed un’adeguata concimazione, hanno fatto sicuramente bene a questo biancospino che fino a quel momento non aveva mai fruttificato (fig. 15).

In primavera, durante un nuovo WS, la pianta veni-va rinvasata, alzata la zolla e nuovamente filata poiché nel frattempo si stava sviluppando anche una fine ramificazione secondaria. Con il nuovo vaso la pianta era pronta per parte-cipare a qualche mostra; venivano provati due allestimenti, il primo un allestimento chuhin a tre elementi (fig. 16) dove l’elemento principale è rappresentato dal biancospino mentre l’elemento secondario dal pino nero.

ALLESTIMENTO WABI SABI - Si confronti il precedente allesti-mento con il secondo, ovvero quello della figura 17, che rappresenta un allestimento singolo. Il paragone è utile perché pone evidenza al fatto come una pianta evocativa co-me questa sia in grado di riempire lo spazio espositivo anche da sola.

Il momento ideale per esporre un biancospino è fi-ne autunno-inizio inverno, spoglio con le bacche e possi-bilmente con qualche foglia gialla. In questo periodo si può apprezzare la ramificazione spinosa e sobria e gustare il calo-re dei rossi frutti maturi. L’allestimento di fine autunno espri-me in pieno il concetto di Wabi Sabi, un concetto molto importante nel bonsai giapponese. Certamente il biancospi-no lo si può esporre anche in primavera durante la fioritura, i fiori delicati e le foglie tenere però non esprimono il Wabi Sabi. Il colore di questo vaso, un rosso ruggine, è invece un colore molto Wabi Sabi, che meglio si apprezzerà non appe-na il vaso acquisterà una patina adeguata. Questo colore inoltre ricorda il colore del frutto maturo.

COLTIVAZIONE - A questo punto sarà necessario porre partico-lare attenzione alla coltivazione evitando che il biancospino ingrossi il tronco ed i rami poiché, essendo una pianta ele-gante e slanciata, perderebbe la sua peculiarietà. In questo piccolo vaso la pianta dovrà invecchiare lentamente creando una corteccia fine e delicata mentre le radici andranno, gradualmente, esposte.

Il biancospino viene esposto alla Mostra di Poppi, che si tiene annualmente nella bellissima cittadina toscana e riceve una menzione di merito.

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E’ con piacere che tempo fa ho appreso della vo-lontà di Nicola Crivelli di scrivere una nota sul biancospino. Una pianta alla quale sono particolarmente legato perché la acquistai esattamente il giorno in cui venni a sapere che sa-rei diventato padre con l’intendimento, e la speranza, di portarla avanti un giorno assieme a mio figlio.

Essendo un amante delle latifoglie cercavo una pianta che fosse un po’ fuori dagli schemi, anche se la prima volta che la vidi nel giardino di “Kitora” non ne rimasi affatto colpito: le radici mi parevano eccessivamente dritte, poco interessanti e non era mai fiorito. Nonostante ciò, sape-vo perfettamente che Nicola difficilmente coltiva piante senza prefigurarsi un futuro, ragion per cui me portai a casa.

Dopo qualche mese, con poca convinzione, decisi di riportarla da Nicola per un WS, ricordo perfettamente che mi accolse tenendo in mano uno dei suoi (orami noti) progetti e immediatamente fui pervarso da entusiasmo mi-sto a sconforto: tanto mi sembrava improbabile riuscire a impostare la pianta in quel modo (fig. 21).

Prima di metterci mano ebbe inizio una lunga discussione sul concetto di tipicità dell’essenza e sull’esi-genza di renderla più possibile evocativa e priva di forzatu-re. Dopo la prima impostazione del biancospino mi resi conto che iniziavo a vederlo con un occhio diverso al punto che, tornato a casa, non lo riposi più in un angolo del giardi-no bensì sopra un bancale, per fargli prendere più sole. Fu quindi con grande stupore che, dopo pochi mesi, vidi spunta-

re decine di gemme da fiore, talmente numerose che decisi, in accordo con Nicola, di eliminarne una parte per non indebolire troppo la pianta. Dopo un paio d’anni di coltiva-zione mirata a stabilizzare il biancospino e a infittire la rami-ficazione, giunse il momento di scegliere un vaso che potesse rendergli maggior giustizia.

La scelta fu preceduta da nuovo “studio” su colore, dimensione e forma del futuro vaso; al congresso UBI di San Marino finalmente ne trovammo uno adatto e la prima-vera successiva fu rinvasato nel nuovo contenitore.

Su consiglio di Nicola, ma in realtà spinto dalla cu-riosità di visitare il paese, decisi di iscrivere la pianta alla mo-stra di Poppi, senza che mi balenasse nella mente la possibilità di aggiudicarmi alcunchè giacché sapevo vi avrebbero partecipato piante assai blasonate e di maggior “impatto” estetico. Mi stupii molto quindi del riconosci-mento ricevuto, e ancor di più apprezzai la motivazione che l’aveva supportato, ovvero che ciò che aveva più colpi-to la giuria era stata la naturalezza e allo stesso tempo la semplicità della pianta: esattamente quello che ci eravamo prefissi anni addietro.

La prima persona alla quale comunicai il riconosci-mento fu proprio il mio Sensei ovvero Nicola “Kitora” Cri-velli e rimasi molto contento di sapere che lui… era contento.

NEVIS ZANCHETTA

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La pianta oggetto di questo arti-colo è un tasso baccata raccolto in Spagna nel 2002 (fig. 1-3). Il materiale pre-

sentava già al momento della raccolta caratteristiche che lo rende-vano un araki promettente a livello bonsaistico: ottime vene già tubolari e parti secche molto naturali scolpi-te dalle avversità atmosferiche. L’uni-co difetto che doveva essere corretto era un grosso taglio

effettuato al momento della raccolta per eliminare la grossa prosecuzione oramai secca del tronco principale.

La grossa parte tagliata (fig. 4-5) presentava un diametro di circa 20 cm e nessuna particolarità che potesse suggerire linee forti da segui-re al momento che si sarebbe intervenuti con attrezzi elettrici e non per donargli una forma in armo-nia con il resto della pianta.

Pertanto ci si basò sulla

parte di secco di destra completa-mente naturale che con le sue parti-colarità di guglie e picchi caratterizzavano l’esemplare (fig. 6-7). Iniziò pertanto l’intervento di scultura: dapprima con un trapano per svuotare la parte interna e poi con frese ad alta potenza, vista la du-rezza del legno del tasso si iniziarono a definire zone più o meno movi-mentate che ricordassero delle fiamme ed armonizzassero il loro disegno con il secco naturale esi-stente. Come evidenziato nelle foto si delimitarono delle zone con un pennarello rosso nelle quali interveni-re per asportare il materiale in ecces-so ricavando così la forma desiderata. Questi segni aiutano molto perchè definiscono delle linee che con l’uso della fresa è più semplice seguire.

Subito dopo la fase “elettri-ca” si bagnò per bene il legno per renderlo più lavorabile (fig. 8) e si ini-ziò ad intervenire in punti mirati con l’uso di sgorbie taiwanesi (da 3, 6 e 8 millimetri a seconda dell’effetto desi-derato) che permettono di strappare lembi di legno e rifinire tutte quelle zone dove siamo intervenuti prece-dentemente eliminando i segni dovu-ti agli attrezzi elettrici che però sono stati indispensabili per “sgrossare”.

A questo punto è giunto il momento di passare il fuoco su tutte le parti secche che sono state lavo-rate (fig. 9-10), in modo che tutti i ri-masugli delle lavorazioni verranno eliminati e nel legno si formeranno delle micro-screpolature che lo renderanno molto più naturale. Il fuoco agisce bruciando la parte di le-gno più morbida e mette in risalto tutte le venature sottostanti sottoli-neando tutti quei livelli che abbiamo creato con l’uso delle si-diao .

Ora l’ultimo tocco (fig. 11). Invece di spazzolare via la parte di le-gno bruciata utilizzando la solita spazzola in rame, per far emergere le particolarità donate al legno dall’uso del fuoco si vanno a proteggere tutte le parti vive della pianta con stracci e panni bagnati e si sabbiano a 6 atmo-sfere le parti secche. Questa tecnica

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seppur documentata di rado nelle lavorazioni dei maestri giapponesi viene usata di fre-quente per eliminare in modo approfondito tutti i segni dovuti all’interventi meccanici dell’uo-mo sul legno. E’ importante sottolineare che in Giappone non sono soliti utilizzare il fuoco al termine delle lavorazioni sul secco perciò sono costretti ad intervenire in modo più mas-siccio con la sabbiatura.

Ecco come risultano le parti secche del tasso alla fine della sabbiatura e l’applicazione del liquido jin (fig. 12-14). Gra-zie a fuoco e sabbiatura sono spariti i segni degli interventi di “lavorazione” e sono emerse ve-nature e particolarità che ritro-viamo di frequente in parti di legno secco esposte agli agenti atmosferici (sole/acqua) per anni. Ora la pianta è armonica in tutte le parti di legno morto e pronta per i successivi interventi sulla chioma.

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Marzo 2009 un ulteriore lavoro di rifini-tura della vegetazione lasciata crescere con sola spizzicatura durante la stagione vegetativa pre-cedente (fig. 15-18).

I rami vengono minuziosamente ripuliti e legati al fine di posizionarli nella posizione corretta e dare luce ed aria alle nuove gemme arretrate che crescendo daranno spessore agli stessi palchi fogliari conferendo così all’esempla-re in un paio d’anni la maturità richiesta per es-sere esposto ad una mostra.

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"...sono orgogliosa di avere un amico così emotivamente entusia-sta della vita e di ciò che la natura ci offre di bello... le sue pietre rispecchiano la sua vitalità ed amore per esse." - Luciana Queirolo

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Nato a Brisbane, in Australia, nel 1966, Bradley ini-ziò a collezionare e raccogliere bonsai / penjing, a livello di hobby amatoriale, nel 1993. Essendo Brisbane una zona di tipiche coltivazioni subtropi-

cali, le specie locali di Ficus sono perfette per bonsai e così, egli si specializzò in questa ed in altre specie di produzione locale ed in alberi decidui, tra cui Olmi cinesi e Bagolari.

A partire dal 2000, anno in cui Bradley iniziò ad esporre le sue creazioni tramite concorsi fotografici e conve-gni locali e nazionali, vinse numerosi riconoscimenti locali, nazionali ed internazionali: arrivò secondo al "Ben Oki International Design Award" sponsorizzato dal BCI; ha vinto per quattro volte l'Australian Associated Bonsai Clubs Natio-

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nal Awards; ha meritato il Primo & Secondo posto nella Competizio-ne Fotografica Internazionale di “Bonsai Today”, Sezione Amatori. Una frequente partecipazione al "JAL" ( International Bonsai Award), ha fruttato a Bradley l'Oceania Prize, con uno dei suoi pregiati alberi di Ficus autoctono.

Dal 2004, Bradley ha avu-to la possibilità di iniziare a fre-quentare Convegni Internazionali, cominciando con il Congresso del BCI in Taiwan. Durante gli ultimi 8 anni, ha frequentato tutte le Conventions del Bonsai Club International e dell' Asia Pacific Bonsai e Suiseki, tenute nella re-gione Asia-Pacifico (APAC). Que-sto ha permesso a Bradley di viaggiare ampiamente in Cina ed in molte occasioni.

Durante un Tour in Cina assieme all'allora presidente del BCI, il signor Alan Walker, Bradley è stato introdotto al mondo delle pietre cinesi. Da quel momento, egli ha progressivamente spostato il suo interesse primario dal Bonsai / Penjing alla raccolta di "Pietre oggetto", per lo più provenienti dalla regione Asiatica.

Facendosi molti amici in Cina, Bradley è stato in grado di accrescere la sua raccolta via Internet quando non è stato in gra-do di viaggiare di persona. Tra i suoi vasti contatti, Bradley ha svi-luppato una collaborazione con i maggiori artisti di lavorazione ad intaglio di daiza cinesi, con sede a Shanghai. Questo gli permette di acquistare pietre provenienti da tutta l'Asia, che poi spedisce a Shanghai per l'intaglio di disegni che egli stesso crea.

Bradley si dichiara completamente assorbito dalla ci-nese interpretazione della raccolta di pietra: "La principale differenza tra questo ed il Suiseki tradiziona-le giapponese, è facilmente visibi-le nella vasta gamma e colori della pietra raccolta in tutta la Cina e nella creatività dei cinesi ad inclu-dere Pietre Oggetto di alta qualità a rivaleggiare con le magnifiche pietre paesaggio trovate. Questa creatività si estende poi al posizio-namento delle pietre in sculture squisitamente dettagliate allo sco-po di valorizzare al meglio il matri-monio tra pietra naturale ed

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umana abilità professionale." -"Durante il mio più recente tour di raccolta in Cina, ho potuto godere di 5 settimane in lungo ed in largo per tutto il paese, compreso il Congres-so BCI 2010 a Tianjin. Tutti i miei tours finiscono a Shanghai, con un festoso banchetto assieme ai famosi scultori di daiza, creando as-sieme nuovi e stimolanti pro-getti su cui lavorare e celebrando il reciproco ri-spetto tra la cultura tradizio-nale della pietra cinese ed il crescente interesse per essa, nel resto del mondo."

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Si è avvicinato al mondo dei bonsai nel 1978, quando era ancora un bambino e in Italia non si sapeva ancora niente di quest'arte. Da quel momento ha affrontato con grande successo una sfida dopo l'altra, raggiungendo traguardi sempre più importanti. E' allievo del maestro Ma-sahiko Kimura; ha fondato la sua scuola, la Fuji Kyookai Bonsai scuola d’avanguardia presso la Fuji Sato Company; è Direttore del BCI e istrutto-re IBS. Certo non è facile riassumere in poche righe la poliedricità di que-sto personaggio. Per avere un'idea di tutto quello che ha fatto, vi rimando alla lettura del suo curriculum che troverete sul suo sito. In que-st'intervista ho cercato di approfondire alcuni aspetti, forse meno “pubbli-ci”, che mi sembravano importanti. Spero in questo modo di riuscire a soddisfare la curiosità di almeno una parte di voi... Ringrazio Massimo Bandera per la sua disponibilità, per me è stato vera-mente un grande piacere intervistarlo.

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La prima domanda riguarda l'anno in cui ha iniziato a occuparsi dei bonsai. Era ancora un bambino... ci vuole raccontare come si è avvicinato a quest'arte e com'era nel 1978 il mondo bonsaistico italiano?

Si, ero proprio un bambino, avevo 11 anni. A quei tempi non c'era ancora niente. Gli anni 70 sono anni mitici, ma in realtà c'era solo qualche personaggio che aveva fatto qualcosa di sponta-neo. Genotti negli anni 60, Oddone, Paccagnella, Franchi, forse anche Crespi. Ma in realtà in Italia in quegli anni non c'era niente. Quindi io nel '78 ho iniziato ovviamente da autodidatta, anzi, ancora meno. Abito in una valle alpina, la parte di montagna del mio paese è una faggeta e su' avevamo la baita, dove trascorrevamo le vacanze d'estate. Io raccoglievo delle piccole piantine di abete rosso. Le racco-glievo e le mettevo nei vasi, quindi avevo già un'attrazione per queste piantine piccole senza sapere neanche che esisteva il bonsai. Poi in una grande e famosa libreria di Torino trovai il libro di K. Murata “Bonsai pratico per principianti” tradotto in italiano, l'unico in quel periodo. Si trattava di un libricino molto piccolo e rimasi scioccato dallo scoprire che qualcun altro già faceva questa cosa, e raccogliere queste piantine piccole era addirittura un'arte. I nomi tecnici non era-no tradotti, io li ho studiati lì e me li ricordo da quei tempi. Quindi ho iniziato come autodidatta. A quei tempi, sembra retorica, la mae-stra era la Natura. Il contatto con la Natura è stato il mio primo inse-gnamento ed io sono rimasto molto legato all'idea di osservare la Natura, soprattutto aspra e selvaggia come quella delle montagne in cui vivo.

Visto che l'accesso alle informazioni era ridotto o nullo, ha ini-zialmente incontrato delle difficoltà o comunque è stato tutto molto naturale? Ora lei ha un suo sito, quanto pensa sia utile internet come mezzo di diffusione delle conoscenze nel campo dei bonsai ?

Già nel 1982 ho iniziato gli studi di agraria e ho imparato le tecniche di coltivazione, quindi, dopo le primissime esperienze ne-gative, bene o male sono riuscito a far sopravvivere le piante. Il primo approccio è stato quindi di tipo agronomico e botanico e solo dopo è arrivato quello giapponese. Internet ovviamente è un elemento molto importante, ma in realtà è solo una questione di metodo. Gli articoli li scrivevo anche prima, solo che prima li scrivevo su un foglio e li spe-divo, ora li mando via mail. L'informatizzazione agevola il lavoro, ma non ne toglie, anzi forse ne aggiunge. Internet permette una maggiore fruizione delle informazioni, che prima era limitata al mio giro, ai miei allievi, alla mia scuola. Oggi riesco a essere molto più famoso anche in ambienti lontani, grazie proprio al mio sito. Ora c'è il feno-meno tipo facebook, quindi l'uso dei social network che è ancora tutto un mondo a parte nel quale ancora non mi sono addentrato e credo sia una frontiera ancora più interessante ed efficace come me-todo di diffusione dell'immagine. Sulla formazione sono più negativo. La conoscenza dell'arte bonsai è impossibile che passi tramite internet. Se io guardo un video o leggo anche solo un libro non posso far passare la profondità del kuden giapponese, cioè il metodo dell'apprendistato tra Maestro e discepolo, che può essere fatto SO-LO col Maestro. Questo rimane insostituibile, lo dicono tutti i Maestri giapponesi, ma ne sono convinto anch'io.

Nel suo curriculum leggo che nel 1980 ha iniziato le sue collezioni d'arte giapponese. Ci può dire quali sono? A quale pezzo è più affezionato, o quale, per valore simbolico la rappresenta di più e perché?

Nella mia famiglia c'erano già diverse persone che avevano collezioni d'arte, quindi già da bambino ero abituato a vedere cose belle. A parte i bonsai, ho collezioni di ceramiche, pittura e vecchi li-bri, soprattutto materiale giapponese. La ceramica è forse il settore in

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cui mi sono appassionato di più. Tra l'altro negli anni 80 si comprava anche molto bene, rispetto a oggi. Appena ini-ziata l'attività professionale in Giappo-ne, con i broker e le importazioni per il centro bonsai Castagno prima e la Fu-ji Sato dopo, ho avuto la possibilità d'incontrare molti antiquari di alto li-vello a Tokyo. Si è comprato molto be-ne fino agli anni 90, oggi non si trova niente. Ci sono molti pezzi ai quali so-no affezionato, in particolare a oggetti che non sono solo preziosi o a volte non lo sono affatto, ma insegnano qualcosa. Quando ho iniziato la mia attività didattica, nel 2000, mi sono re-so conto che avevo già collezionato oggetti molto interessanti da un punto di vista didattico. Oggetti che insegna-no qualcosa, che esprimono un valore estetico giapponese, o un aspetto tecni-co e ancora oggi mostro questi oggetti ai miei allievi per insegnare qualcosa. Non so, per esempio mi viene in mente un bellissimo vaso di Seto che ha proprio quel gusto estetico dello Ya-warake che è il concetto di attenuato, di una bellezza attenuata che sa esalta-re il piacere della rinuncia, un concetto zen molto difficile da coglie-re nell'opera, ma che anche il bonsai dovrebbe avere.

Per quanto riguarda i bonsai invece, quali sono le sue essenze preferite? Riesce sempre a conciliare i numero-sissimi impegni con la cura dei suoi esemplari?

Io amo un po' il taglio botani-co, ogni essenza mi piace per la sua bellezza e non cerco di stereotipare le essenze più adatte al bonsai, questo in generale, poi, però forse mi piacciono un po' di più le conifere. Per quanto ri-guarda la cura non riesco quasi mai a conciliare tutti gli impegni, infatti, per due volte ho fatto una grande selezio-ne per avere pochi pezzi, e poterli se-guire. In origine, negli anni '90 avevo quasi 120 bonsai, poi sono sceso a 80 e cinque o sei anni fa sono sceso a 30, e chiaramente riesco a seguirli meglio.

E' inevitabile per chi ama i bonsai un avvicinamento al mondo e alla cultu-ra giapponese.. ma Lei è andato oltre la semplice conoscenza, di-ventando un profondo conoscitore della cultura nipponica. E’ difficile in poche righe, ma può cercare di illu-strarci quali sono i concetti (filosofi-ci, religiosi, ecc) che nel mondo giapponese sono applicati all'arte

dei bonsai? Diciamo che quando usiamo

la parola “bonsai” automaticamente parliamo di un'arte giapponese, se ci ri-ferissimo a quella cinese, parleremo del "penjing", che è un'altra cosa. Il bonsai è un albero in vaso, vivo, mi-niaturizzato e costruito secondo un'este-tica che è quella della bellezza giapponese. Il penjing è lo stesso, ma cambia l'estetica che non è quella giapponese ma quella taoista, appunto cinese. Poi oggi potremo anche consi-derare un bonsai più universale che da un punto di vista critico chiamiamo bonsai contemporaneo o d'avanguardia, che si basa sulla radice giapponese e in più prende anche de-gli aspetti della modernità artistica internazionale, da Kimura in avanti. Co-munque rimane sempre un concetto di base: il bonsai è una tecnica che si appoggia su una coltivazione, e pre-suppone la conoscenza di un'estetica che in fondo è quella della Natura, perché poi la vera bellezza zen è quella. Si tratta quindi di un concetto di bellezza universale; ecco perché in realtà più si studia l'estetica giappone-se, più ci si rende conto che si era già di quell'idea, proprio perché è universa-le. Io penso che oggi sia indispensabile studiare questo tipo di estetica per raffi-nare i nostri bonsai, ed anche le nuove generazioni devono farlo. Non si deve ricercare la bellezza dal proprio punto di vista. Il bonsai deve sottostare a quei canoni estetici perché solo così rie-sce a esprimere quel tipo di bellezza, altrimenti non è bonsai. La sensibilità alla vera bellezza dell'estetica è un impegno senza una meta, è un cammi-no, il do.

Dopo gli studi che ha intrapreso e tutte le esperienze che ha fatto, pensa di avere una visione più orientale o più occidentale del mondo? Esistono dei punti d'incontro fra le due culture o sono permeate da concetti opposti?

Molto interessante questa do-manda, che tra l'altro è uno dei tormentoni della filosofia mondiale. Io più vado avanti più sono occidentale, questo è stranissimo. All'inizio uno è molto occidentale, poi si rimane affasci-nati dall'oriente, soprattutto estremo e incredibile come quello del Giappone, che è l'apice del fascino, perché è vera-mente così sconosciuto e difficile da capire. Dopo 10-20 anni uno rimane così affascinato che vorrebbe quasi di-

ventare un giapponese. Poi dopo venti, trent'anni di esperienza s'inco-mincia a dire: ma forse è meglio che ognuno rimanga se stesso. D'altronde, anche quando, soprattutto negli anni '70, si cercavano i sincretismi anche a livello filosofico e religioso, ossia si andavano a cercare dei punti di contatto ad esempio tra buddhismo e cristianesimo, oppure tra psicanalisi e zen o tra il concetto artistico d'autore giapponese e quello occidentale alla fi-ne oggi si è arrivati a una considerazio-ne diversa, più moderna, più giusta. Si ritiene che ognuno abbia le sue ca-ratteristiche, soprattutto il Giappone, che ha fatto un'esperienza culturale co-sì totalmente staccata da noi. Non ha senso cercare questi punti di contatto, perché sono due esperienze completa-mente diverse. Anche quando ci sembra che ci sia una cosa uguale, in realtà, proprio perché il contesto è di-verso, c'è veramente molta, molta differenza tra noi e loro, da ogni punto di vista. Quindi anche in un'arte come il bonsai, che ha la sua compo-nente universale, chiaramente ci sono grandi differenze, per cui oggi finiamo per avere un'interpretazione giappone-se pura ed un'interpretazione contemporanea come quella di noi occidentali, soprattutto italiani, devo dire, che è un po' diversa. Ci sono de-gli elementi differenti.

Occidentali e orientali hanno un mo-do diverso di approcciarsi alle cose. La cultura orientale è orientata verso l'interno. E' forse necessario un raccoglimento interiore estremo per realizzare opere d'arte di un certo li-vello?

In Italia abbiamo un senso estetico molto sviluppato ma non la stessa capacità d'interiorizzare. Qui c'è un punto fondamentale, perché chia-ramente i giapponesi hanno il loro percorso storico, artistico, culturale. Tra l'altro loro non sono abituati a fare rivoluzioni come in Cina, quindi tutto s'innesta su quello precedente, per cui oggi c'è un'estetica giapponese ma anche proprio una sensibilità e una psicologia incredibilmente complessa, perché ha tutto questo retaggio vecchio, di una cosa sovrapposta all'altra, che per noi è difficile da stu-diare. Però ci sono dei punti cruciali. Per esempio, se si va a vedere proprio nel bonsai in dettaglio, siccome la sua estetica si basa sulla natura, alla fine continuiamo a fare quasi sempre bene

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o male la stessa cosa. Una grande diffe-renza tra i due punti di vista è legata al concetto d'Autore. Per la vera estetica giapponese, l'Autore deve sparire die-tro l'opera. I vecchi Maestri dicevano che un bel bonsai sarà veramente natu-rale quando avrà passato più mani, due o tre persone, allora perde la artifi-cialità che ha creato un autore singolo. Invece noi vogliamo l'opera firmata, do-ve vedi che sia veramente di M. Kimu-ra, piuttosto che di J. Naka, piuttosto che di Sandro Segneri, piuttosto che di un autore in concreto. Secondo me questo è un punto chiave dove effetti-vamente si può creare una certa diffe-renza anche dal punto di vista del critico d'arte che valuta un'opera. Per questo un'opera molto classica è quella valutata tramite i puri, purissimi valori estetici dell'estetica giapponese. Quindi c'è la bellezza del vuoto, c'è la bellezza dell'imperfetto, la pianta è molto raffinata, molto attenuata, molto naturale. Mentre nel bonsai contempo-raneo la pianta è molto più impo-nente, molto più importante, forse anche più formale per certi versi. Que-sta è una cosa di prerogativa tipica-mente occidentale ma ci sono anche i grandi esempi giapponesi, tanto è vero che il Maestro giapponese numero uno al mondo, Kimura, sicuramente fa il bonsai contemporaneo, lo dichiara e sono tutti d'accordo, anche in Giappo-

ne. E' un bonsai che ha anche una grande componente d'autore.

Durante il suo percorso formativo ha avuto la possibilità di entrare in contatto con i più grandi Maestri giapponesi, lei ora prova ancora un ti-more reverenziale nei loro confronti o si rapporta alla pari?

Io ho avuto l'occasione di co-noscere negli anni '80 diversi Maestri, ma rimasi poi affascinato dal mio Mae-stro, cioè Kimura, quando ricevetti a ca-sa i suoi libri in originale, che appunto comprai. Lì vidi il suo lavoro e rimasi affascinato, non solo dalla persona, ma anche dal fatto che lui amava lo stesso tipo di natura che io avevo conosciuto da bambino, nei boschi, quella delle piante devastate appunto dalle forze della natura e del tempo, nell'alta montagna dove vivo. Per questo è nato tutto quel feeling col Maestro. Poi c'è tutta la storia di come l'ho cono-sciuto.. Chiaramente quando scegli un Maestro, scegli quello e basta. Non ce ne sono più altri. La scelta del Maestro è per sempre. E' un aspetto della loro tradizione. Se io volessi fare qualcosa con qualcun altro, dovrei comunque chiedere il permesso, non è che non potrei farlo, ma il rispetto per lui dev'es-sere massimo. Poi oggi c'è comunque un rispetto esagerato perché lui è un Maestro giapponese di tipo formale,

quindi non potrò mai considerarlo al mio livello, rimarrà sempre e co-munque a un livello superiore. Poi, insomma, parliamo di M. Kimura, che è di un livello così irraggiungibile. Ora sta facendo un percorso per diventare tesoro nazionale vivente, che è un tito-lo di stato, e sarebbe il primo nel mondo bonsai perché per ora ci sono solo quelli per le arti maggiori, cioè ce-ramica, pittura ecc. Se lo raggiungerà, sarà davvero un inavvicinabile. Du-rante il percorso che abbiamo fatto per dare ad Arco di Trento per la pri-ma volta un premio a suo nome in una telefonata con l'interprete a un certo punto gli chiedevo delle cose, e volevo chiederne altre. L'interprete mi ha fermato e mi ha consigliato di non farlo perché sarebbe stato un po’ scortese: non vorrei rovinare l'armonia della conversazione. Ormai lo cono-sco dal 93 dopo trent'anni di professio-ne. A un italiano non verrebbe neanche in mente di dire una cosa del genere, e questo fa capire cosa vuol di-re ancora oggi il rapporto che deve avere un discepolo con un Maestro di quei livelli. E' un mondo feudale.

C'è un altro aspetto che credo sia giusto approfondire a questo propo-sito. Nel mondo occidentale non esi-ste una figura neanche lontanamente paragonabile a quella

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di un Maestro. E' stato diffici-le per lei, adattarsi a una condizione, nella quale, co-me scrive lei, ci vuole “Obbedienza, completa de-dizione, niente domande né obiezioni adattamento, e se il maestro dice che è nero davanti al bianco, l’allievo deve accettarlo”. Come può un occidentale accettare una cosa del genere? Non mi sembra che gli occidenta-li siano umili fino a quel punto. Alla fine diventa natu-rale?

E' molto difficile. Non è neanche una questio-ne di umiltà, ma è proprio una questione di differenza tra un evo medio e uno mo-derno. Noi siamo in un evo moderno da 500 anni quindi non accettiamo più un meto-do feudale. Ossia, lui mi spie-ga una cosa ed io non posso dire: no, non sono d'accordo, penso che sia così, ah sì, inte-ressante, ma penso che.. No. lui me l'ha detta quindi io la so. Finisce lì. E lui me la dice quando pensa che io riesca a capirla. Questa è una regola feudale. Ad esempio, nella re-gola di San Benedetto il meto-do era quello, il metodo ascetico del monachesimo era di tipo feudale. Chiara-mente non è che non siamo

in grado di accettarla perché è feudale, ma perché non ci appartiene più da mezzo millennio. Però se noi faccia-mo un certo tipo di espe-rienza, anche in altre nostre antiche arti scopriamo che il metodo è lo stesso, quindi anche noi occidentali possia-mo capire quel metodo, chia-ramente molto duro, molto difficile sicuramente, ma una cosa è certa con quel meto-do passano delle informazio-ni che con un sistema accademico non potrebbero essere insegnate. E loro ne so-no ancora convinti e quindi continuano a spiegare in que-sto modo, che poi è il concetto dell'apprendistato. E' chiaro che la figura di sensei è qualcosa di una di-mensione tale che da noi non c'è, non è paragonabile al maestro di scuola. Forse potremmo paragonarlo, rima-nendo in tema musicale, ad una figura come Giuseppe Verdi, che era un Maestro, un grande personaggio. Sicu-ramente il maestro spirituale del monachesimo è la figura che si avvicina di più, perché comunque assume anche un aspetto profondo dal punto di vista spirituale: nella cultu-ra giapponese, infatti, si parla di “concetto estetico- mora-

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le”, in quanto i due aspetti sono uniti. In definitiva, tornando alla sua do-manda, io non mi sono ancora adattato completamente a questa condizione. E' una cosa difficilissima, però è talmente affascinante che uno cerca di concentrarsi e conservare per lo meno una parte del rapporto se-guendo quel metodo, che poi è quello che vuole il Maestro, anche se capisce che è un'impresa impossibile per un occidentale. Quindi rimane proprio quasi una sorta di confronto culturale dove entrambi cercano di fare una co-sa che sanno che è impossibile. Però il tema rimane aperto.

Ci può descrivere com'è una “giornata tipo”, se esiste, tra Mae-stro e allievo?

La giornata tipo dal Maestro è una giornata sostanzialmente di lavoro tecnico, poi ci sono i lavori di stagio-ne, che possono essere la pizzicatura, la concimazione, la legatura, la prepara-zione della mostra, un viaggio da qualcuno o un'escursione in natura o semplicemente osservare il lavoro del maestro. Quindi molto tecnico. Pratica-mente in quasi totale silenzio dall'alba al tramonto, tipo dalle otto alle undici di sera, con le pause per mangiare. Il rapporto spirituale è il silenzio, quindi è il contatto con la figura quasi asceti-ca che è il grande Maestro. Poi dicia-mo che qualcosa di simile a una lezione di tipo accademico pratica-mente non esiste. Il Maestro non parla mai. Cita una frase che piove dal cie-lo, come una cosa di un peso, di una grandezza incredibile; dichiara la grande verità in quattro parole. E' quello il sistema. E sono quelle le giornate più belle perché comunque so-no quelle più intense dove l'informazio-ne ti rimane molto. E' lì si vede proprio la differenza con il sistema accademi-co, dove c'è un professore che spiega mille perché l'allievo impari 10 o 100. Invece lì lui ti spiega uno ma a te rima-ne uno perché l'informazione è data in una condizione talmente preparata che tu la cogli totalmente. Faccio un esempio. Una volta stavamo facendo degli innesti su un ginepro, quindi una cosa molto tecnica. Ora, l'innesto sul gi-nepro è una cosa praticata dappertutto, tutti lo fanno ma non tutti gli innesti attecchiscono, anzi molti non prendono perché c'è qualche piccolo trucchetto. Il Maestro voleva insegnarmi questo metodo, io guardavo, e mi dicevo: questo è

quello che abbiamo sempre visto, non è che ci sia qualcosa di particolare pe-rò chiaramente continuavo a guardare il lavoro. A un certo punto lui si ferma, mi lancia uno sguardo m’indica dove guardare, fa un gesto che è durato un decimo di secondo ed io sono rimasto scioccato perché ho detto: ah, ecco è lì la differenza. Si tratta di qualcosa che non può essere messa in un artico-lo, non può essere filmata e non può es-sere detta a parole. E' stato solo uno sguardo dal quale ho capito qual era il problema e quale è il segreto del successo dell'attecchimento totale di quel tipo d'innesto. Questo è il concetto di “segreto”; era una cosa che lui aveva preparato, e quando me l'ha svelato io l'ho colto all'istante perché ero preparato per vederlo. Il Maestro sa quando è il momento giu-sto di dirlo. Questa è la vera difficoltà del loro metodo d'insegnamento. Ma è qualcosa che funziona moltissimo perché permette di far passare cose anche molto difficili, la coltivazione è piena di queste cose. Ad esempio la ba-gnatura, ecc. Però è una cosa di un fa-scino incredibile, sono proprio quelle cose per le quali viene da dire: è impossibile, stiamo facendo una cosa impossibile. Io spesso penso: sono un italiano che deve fare un'arte giappone-se, in un paese dall'altra parte del mondo, che già solo l'andarci è una co-sa difficile. Eppure non riesco a fermarmi perché è talmente bello...

Se chi si avvicina ai bonsai non ha la possibilità di fare un'esperienza del genere può arrivare a certi livelli? E' sufficiente una conoscenza di tipo tecnico o è indispensabile un rapporto con un Maestro?

In questo tipo di arte, il rapporto col Maestro è praticamente indispensabile. La scelta del Maestro è una responsabilità dell'allievo. Io ho puntato su quello perché volevo lui, ed era una cosa difficilissima. Non importa quanto sia grande, l'importante è che ci sia un Maestro, che abbia studiato dai veri Maestri chia-ramente, non da autodidatta, altri-menti decade tutto. Questo è molto più importante di una laurea perché la conoscenza di tipo scientifico in realtà è un supporto, loro addirittura dicono che possa essere un ostacolo. Io, che ho tutte e due le esperienze dico che non è un ostacolo perché molte cose le ho approfondite con la mia cono-scenza di tipo scientifico (agronomico,

botanico, ecc) però indubbiamente è un'altra cosa. E' una cosa in più, ma quello che è fondamentale è la parte bonsai. Si può rinunciare veramente a uno studio di tipo scientifico, tanto è vero che i grandi Maestri giapponesi dal punto di vista agronomico hanno una conoscenza quasi ridicola. Io dico che, quando si fanno studi agronomici e poi vedi il metodo bonsai, la prima cosa che dici è: qua i casi sono due, o questa gente non capisce niente oppu-re c'è qualcosa che mi sfugge perché tutto è diverso da come dovrebbe es-sere. Questo perché l'obiettivo è di-verso, non è la produzione, non si deve seguire l'evoluzione botanica della specie, ma si fa il bonsai, che è una cosa miniaturizzata, quindi tutto un altro tipo di obiettivo. Allora vale molto di più la conoscenza del meto-do di coltivazione di Kimura che una laurea in agronomia, perché alla fine ciò che serve è quello. Inoltre, sia la sensibilità sia la capacità artistica, sono doti che abbiamo tutti, ma solo un grande Maestro è in grado di tirarle fuori. Di questo l'oriente è convinto. C'è una grande differenza religiosa, chiaramente, perché noi abbiamo l'idea che la capacità artistica, essendo un dono di Dio, sia data solo a qualcu-no, invece è data a tutti, solo che non tutti la esprimono. L'uomo, per essere tale ha in sé queste capacità, queste sensibilità che magari sono adombrate, coperte, schiacciate, annientate e il percorso anche di un'arte così tecnica e pragmatica co-me quella di un'arte fine giapponese come il bonsai è in grado di risollevarti ed estrarre queste capacità e diventa anche un'esperienza di vita. C'è anche un altro aspetto affascinante. Quando nel medioevo le persone cercavano i maestri spirituali per ritirarsi in stato ascetico o spirituale venivano respinte, tant'è che nella regola di san bene-detto c'è scritto che se uno vuole abbracciare la vita monastica dovrà es-sere respinto. Se poi insiste, insiste e insiste, alla fine sarà accettato perché così si è sicuri che ciò che voleva era proprio quello. Con i Maestri giappo-nesi delle arti fini succede ancora oggi la stessa cosa, quindi tu ci provi e ci ri-provi e alla fine forse sarai accettato. Anche Kimura, alla prima lettera che gli ho mandato, non ha neanche rispo-sto, allora la seconda l'ho iniziato scri-vendo: le ho mandato una lettera, non è che non le è arrivata? In realtà c'è la tendenza iniziale a respingere,

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quello che è bello però è che, una volta che il sistema è agganciato, non potrai essere rifiutato, salvo che non si faccia qualcosa di tremendo e allora si viene buttati fuori. Ci vogliono due o tre anni perché il Maestro. capisca se tu sei in grado di raggiungere un livello alto, altrimenti, se quello è un grande Maestro, smette d'insegnarti, ti rifiuta, ti manda via. Perché lui può seguire qualcuno, che porterà avanti il suo no-me, solo se pensa sia alla sua altezza. Il problema è che ci mette due o tre anni per capire se tu sei in grado di es-sere avviato agli insegnamenti più alti. Anche questa è una cosa tipicamente feudale. Da noi la conoscenza è per tutti, invece lì no. Un'altra grande diffe-renza tra occidente e oriente è che noi abbiamo l'idea dei metodi che vanno per obiettivi e per mete. Invece nel ku-den non c'è la meta, non c'è l'obiettivo ma c'è il percorso. Quindi tutto è percorso, c'è sempre un migliora-mento, che è il concetto del migliora-mento continuo (KAIZEN). Anche nelle piccole cose, non solo nelle grandi. Chiaramente questo è il livello massimo, ma la natura del bonsai do-vrebbe essere questa qua. Si può fare bonsai anche solo dal punto di vista tecnico, quindi coltivare, lavorare e fa-

re una figura che magari è anche molto bella. Ma è uno stereotipo, non è l'arte bonsai.

Nel 2000 ha fondato la Fuji Kyookai Bonsai. Che cosa significa questa scuola per lei e cosa l'ha portata a scegliere anche la Spagna come sede della sua scuola?

Oggi sostanzialmente nell'ambito dei bonsai faccio tre lavori. Uno è l'insegnamento nella scuola. Scuola che ha una sede a Torino, una a Maiorca e una a Marbella. A Torino ci sono i bonsaisti, quindi come nelle altre scuole, più una sezione per i bimbi dai 4,5,6 anni e quelli delle scuo-le elementari, poi abbiamo anche una sezione per i portatori di handicap psichici della fatebenefratelli. Molto affascinante quest'esperienza d'insegna-mento del bonsai, che è stata molto apprezzata dai padri della fatebene-fratelli perché avere a che fare con i bonsai, vuol dire prendersi cura di qualche cosa e quel tipo di pazienti ha molto bisogno di questo. E' un'espe-rienza che ha funzionato molto bene ed è uno dei fiori all'occhiello della mia scuola. Un secondo lavoro, quello più professionale è la manutenzione e la gestione delle collezioni. I collezioni-

sti sono persone che amano i bonsai, li comprano e fanno gli interventi quo-tidiani tipo bagnare, concimare mentre tutti i lavori specialistici vado a farli io, quindi le manutenzioni, i lavo-ri di stagione, cosa che tra l'altro avvie-ne anche in Giappone. E poi il mio terzo lavoro è il commercio perché, chiaramente lavorando tre giorni alla settimana in un centro bonsai mi occu-po anche di commercio, quindi import export da Cina e Giappone, bonsai e materiali a loro connessi. Anche il commercio io lo trovo molto interessante, molto affascinante perché offre molte opportunità di co-noscere ancora altri tipi di ambienti professionali. Tra l'altro in Giappone la figura del Maestro è molto mischiata nel commercio, non è separata come avviene qua. Per quanto riguarda la scelta della seconda sede c'è un moti-vo storico anche lì. Nei primi anni 90 c'era un collezionista di Marbella che aveva una grande collezione e so-stanzialmente non se la cavava più, vo-leva la mano di qualcuno che lo aiutasse a sistemare un po' le piante e combinazione aveva conosciuto un commerciale dell'allora centro bonsai Castagno che mi conosceva e gli consi-gliò di contattarmi. Ci siamo conosciu-

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ti così. Lui due anni dopo, grazie ad un fondo per lo sviluppo del comune di Marbella ha fondato un museo, che per allora era una cosa straordinaria, ci voleva quasi un milione di euro per farlo un miliardo e ottocento milioni di lire di allora, una cosa davvero colossa-le che è ancora magnifica oggi. Mi no-minò assessore del museo e alla fine cominciai ad andare periodicamente a sistemare le piante. Andavo dieci, quindici giorni l’anno e sistemavo le piante, in quelle occasioni lui invitava altra gente, altri professionisti, io avevo già l'esperienza di Kimura e quindi ogni volta che andavo a fare la manu-tenzione c'era una sorta di gruppo che veniva a vedere i lavori. Alcuni erano di Maiorca e alla fine si appassionaro-no, formarono dei club e iniziarono a chiedere miei interventi sporadici all'interno dei club e così ho iniziato a essere conosciuto in Spagna. Poi nel 2000 io fondai la scuola in Italia, nel 2001 iniziai il primo programma e parlai di questo progetto ai bonsaisti spagnoli. Dissi loro che avevo orga-nizzato un programma di tipo scolasti-co, con più corsi, (la mia era la terza scuola nata in Italia, dopo quella della

Scuola d'Arte e la scuola di Crespi). Mi proposero di svolgere quel programma anche da loro. E così abbiamo fatto un programma che consta di due, tre interventi l’anno fisicamente là, più le web conference ogni mese, con lezio-ni di tipo teorico più tutta un'altra se-rie di viaggi, programmi, stage, scambi tra le scuole, una cosa molto artico-lata. Quindi è nata così.

A proposito del bonsai italiano. com'è visto il movimento bonsaistico italiano all'estero? In tutto il mondo, a parte in Giappone il bonsai italia-no è visto come una cosa ecceziona-le, di qualità altissima.

Si chiedono come abbiano fatto gli italiani a fare delle cose così belle e la spiegazione è che gli istrutto-ri italiani hanno cercato di organizzarsi in maniera più sistematica, sono nati i diversi gruppi d’istruttori, e, un po' per una maggiore organizzazione, un po' per la concorrenza, si sono dati molto da fare e hanno sia importato che raccolto materiali notevoli e lavorato, molto e molto bene. Molti degli istrutto-ri italiani hanno come istruttori dei Maestri giapponesi quindi alla fine è

proprio la qualità e la ricerca disimpe-gnata, che ha portato l'Italia a questo livello. Chiaramente questa è una cosa molto legata al bonsai contemporaneo ed è comunque molto legata all'Occi-dente perché i giapponesi pensano che il nostro bonsai sia proprio base, agli inizi, come un bambino che ha ini-ziato a fare i primi vagiti. Loro non considerano solo il bonsai contempo-raneo ma chiaramente tutta la storia del bonsai quindi, dall'alto dei loro se-coli non possono considerarci a un li-vello alto, anche perché per loro molti materiali devono invecchiare secoli o comunque tanti decenni, non qua-ranta anni. Se andiamo a vedere in realtà il bonsaismo italiano ha qua-ranta anni, ma i primi dieci anni mori-va tutto perché non sapevamo curarli, i secondi dieci è sopravvissuto qualco-sa ma erano orribili, i terzi dieci abbia-mo fatto dei bei bonsai, però i materiali non erano importanti. Sono solo dieci anni che stiamo lavorando molto bene con materiali molto belli, quindi i bonsai più belli che abbiamo in Italia non sono ancora vecchi perché quelli che avrebbero dovuto fa-re quaranta anni fa non ci sono, a

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parte qualche rarissimo caso. Un bonsai dopo dieci anni è ancora un bambino. Dopo venti incomincia ad avere una certa maturità. Ma quando inizi a vedere i capolavori giapponesi che hanno 80, 100, 200, 400 anni … non si possono neanche comprare. Il mio Maestro. dice che un bel bonsai va da 1 a 10 milioni con qualche cosa di interessante, sopra i 10 milioni è ve-ramente un bel bonsai, sotto 1 milione non è neanche un bonsai, ma sono mi-

lioni di yen,quindi un bel bonsai va so-pra i 90 mila euro.

Ci può dire quali sono i suoi prossi-mi impegni professionali? E quali i suoi progetti futuri?

Il problema è che quando si mette tanta carne al fuoco poi bisogna anche portarla avanti. Io concepisco i programmi al meglio che riesco dal punto di vista teorico, poi quando li attuo, piacciono e quindi alla fine biso-

gna portarli avanti. La mia scuola AVREBBE un programma di 5 anni, peccato che quando arrivano all'inizio del 5° vogliono assicurarsi che non sia l'ultimo. In Spagna addirittura mi hanno abolito il concetto dei cinque anni, cioè l'hanno trasformato in pri-mo anno propedeutico, quadriennio specialistico, post scuola illimitato, quindi praticamente ogni volta che faccio qualche cosa è a vita, per cui oggi ho un certo timore nell'aumenta-

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re gli impegni. Comunque ho in pro-gramma l'edizione del mio libro, “Bonsai d'avanguardia” in spagnolo, che dovrebbe essere pubblicato alla fi-ne dell’anno. Sarà interessante perché probabilmente riusciremo ad avere qualche opportunità in più, quindi sa-rà con le immagini a colori e anche qualche capitolo in più perché nel frattempo sono riuscito chiaramente a fare qualche capitolo in più. In italiano abbiamo in progetto di farne due. Uno sui vasi, e questo sarebbe molto interes-sante perché non c'è un libro non in lingua giapponese solo sui vasi. Ci vorrà ancora un po' di tempo perché ci sono molti tipi d'informazione, so-prattutto sul cinese, di cui ho il materia-le, ma è' ancora tutto da tradurre, quindi c'è ancora un gran lavoro da fa-re. Poi uno solo per i bambini, molto affascinante ma particolare; c'è il confronto con un altro tipo di professio-nalità che deve sviluppare la parte fantastica, un misto di favola e gioco. Ci tengo molto perché è una sezione della scuola molto, molto bella.

E, sempre per quanto riguarda i suoi impegni, ci vuole dire qualcosa sulla sua collaborazione col Magazine?

La collaborazione col Magazi-ne è nata da una richiesta che mi ha fatto Sandro Segneri. Sandro era già ve-nuto da me nel 2006 perché aveva l'idea d'inserire una sorta di master all'interno della sua scuola; chiara-mente a me ha proposto la parte di

cultura giapponese e insieme nasceva l'idea del magazine, che è andata avanti e continua tuttora. Mi aveva detto che il magazine avrebbe dato una grande opportunità, perché chiara-mente non avrebbe avuto i limiti di diffusione che può avere una rivista cartacea e anche per il fatto che è gratuita. Io ho creduto subito in que-sto progetto proprio per la modernità, oltre alla bellezza con cui Carlo riesce a creare una rivista veramente magnifi-ca. Quando poi sono diventato diretto-re del BCI mi è stato chiesto se si poteva creare una collaborazione tra il magazine e l'associazione mondiale che ho generato. Questo ha permesso di ampliare sensibilmente il numero di visitatori della rivista che oggi è seguitis-sima grazie anche al rapporto con il BCI. La rivista è bellissima, è letta in tutto il mondo e trovo che sia molto specchio della realtà del bonsai contemporaneo. Tra i membri del BCI sono rimasti così affascinati dal B&S Magazine che si stanno organizzando per fare una rivista simile, che è quasi pronta.

Che cosa rappresenta per Lei il BCI, di cui è Direttore dal 2009?

Ho conosciuto il BCI nei pri-mi anni 90, quando sono stato in Ame-rica per il congresso e c'era ancora J. Naka. E allora mi ricordo la mitica fra-se di Chiara Padrini che mi disse: uno come te dovrebbe iscriversi all'associa-zione mondiale. Io rimasi un po'

perplesso, non capivo cosa potessi fa-re in un'associazione di americani. Pe-rò in effetti era un'associazione che aveva un respiro mondiale. Alla fine seguii il consiglio di Chiara e divenni prima socio, poi istruttore, poi amba-sciatore e alla fine anche direttore, sia-mo in venticinque nel mondo. E' un'esperienza abbastanza impegnati-va. C'è molto da fare, si discute di di-versi temi, ci sono le votazioni, abbiamo un nostro forum per discute-re le varie tematiche; chiaramente implica un'attività da svolgere al di là del congresso e della rivista. E' molto macchinoso perché, avendo un respi-ro così mondiale, è un'organizzazione immensa, però è molto affascinante, è una bella esperienza, poi si svolge tutto in inglese. Ora c'è il Sudamerica che si sta muovendo molto.

Per concludere... quali consigli da-rebbe a chi si è avvicinato da poco a quest’arte?

Ai ragazzi che vengono nella scuola, il primo e il secondo anno in Italia, quasi tutti ragazzi giovanissimi, (dai trent'anni in giù) io dico: il bonsai è una cosa che si fa per divertirsi, per piacere, perché è una cosa bella, ecc, voi quindi dovete capire prima di tutto perché lo fate. Cioè fate bonsai perché volete divertirvi, conoscere una cultura giapponese, fare soldi o trovare un lavoro, perché volete avere uno svago, o una valvola di sfogo, cioè, dovete capire perché fate bonsai. Secondo cosa vi aspettate po-treste essere delusi in quanto il bonsai è una cosa molto lunga e difficile. Do-po uno o due anni ci si rende conto della sua complessità, quindi si po-trebbe avere un rifiuto. C'è molta gente che magari inizia, ha un primo approccio e poi rimane deluso dalla lunghezza e dalla difficoltà di que-st'arte. Quindi una prima cosa che io faccio è mettere in guardia e consiglio di capire cosa si vuol fare. E poi, se uno non si è avvicinato a una scuola, assolutamente, la prima cosa è cercare qualcuno che t'insegni bonsai. Non ci vuole un atteggiamento autodidatta perché col bonsai non funziona. Quella è la cosa che consiglio. Bisogna scegliere un Maestro perché altrimenti non si va da nessuna parte, non si fa il vero bonsai.

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Sono Enrico Sallusti, Presidente dell’Asso-ciazione Culturale Roma Bonsai, la mia passione per il bonsaismo risale ormai a molti anni fa, sono circa 40 anni che

pratico questa arte e continuo ad amarla. Molte piante fanno parte della mia collezione e per ognuna di esse avrei tante cose da raccontare, come per il mio pino nero (varietà Villetta Barrea), uno yamadori che mi ha dato molte soddisfazioni.

Ricordo che era l’anno 2000 il 12 di Lu-glio e con un mio cugino e un suo amico, tutti e due non bonsaisti ma fungaioli, la mattina presto ci avviammo per raggiungere una zona montuo-sa in Abruzzo alla ricerca di funghi appunto.

Proprio il giorno precedente parlavo di stili bonsai con il mio amico Fabrizio Petruzzello e scherzando presi un foglio di carta ed abbozzai un disegno di un bonsai con le curve al posto giusto e i rami distribuiti nelle curve esterne e con la giusta conicità, come ogni bonsaista desi-dererebbe fosse la sua pianta “perfetta”. Fabrizio sorridendo disse che noi bonsaisti non smettia-mo mai di sognare!

Insomma ero in montagna coi miei ami-ci fermo in una piazzola lungo la strada e godevo dell’aria fresca e della vista panoramica, intorno a me maestosi pini neri, ed una fascia di terreno tenuta libera da alberi e vegetazione, proba-bilmente dal corpo forestale dello stato oppure dai cantonieri, sicuramente per motivi di sicu-rezza e per non permettere ad un fuoco acci-dentale di propagarsi dalla strada verso i boschi circostanti, insomma per diversi anni l’intervento dell’uomo aveva mantenuto bassa la vegetazione in quel punto. E proprio in quel tratto di terreno il mio sguardo venne attratto da un pino nero basso sul terreno, mi chinai per vedere bene il tronco e rimasi stupito nel vedere come po-tenzialmente poteva somigliare al disegno che avevo fatto il giorno prima “sognando” uno ya-madori che mi potesse dare delle soddisfazioni.

Per abitudine in macchina porto sempre con me una piccozza, dei sacchi e del nastro da pacchi e quindi decisi di provare a raccoglierlo. Il terreno in quel punto era molto morbido e sciolto, quindi è stato facilissimo libe-rarlo dalla terra e in pochi minuti la pianta era nel bagagliaio della macchina. Ero molto eccitato per quella fortunata scoperta, non appena arri-vato a casa ho rinvasato il pino in una comoda

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ciotola utilizzando pomice come terriccio. Ho co-perto poi con una grande busta di plastica traspa-rente fissandola al vaso, così che facesse una specie di miniserra per mantenere una umidità costante.

L’unico problema evidente era la vegetazio-ne che si trovava a circa un metro dal tronco. Ho do-vuto quindi ragionare su come far arretrare la vegetazione senza creare problemi alla pianta in attecchimento, scegliendo perciò i passaggi giusti per arrivare al risultato che si può ammirare oggi. Per questo motivo ho lasciato trascorrere due anni di coltivazione, per non correre rischi e per far diventa-re il pino molto vigoroso, quindi nei primi giorni del mese di giugno, dopo che le candele si erano riempi-te di aghi al massimo turgore, ho tagliato le candele lasciando dalle 4 alle 8 coppie di aghi decrescendo dall’alto al basso.

Notai con piacere che dall’autunno di

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quell’anno alla primavera successiva il pino aveva prodotto numerose nuove gemme a ri-troso sui rami fino al tronco, tanto che nella primavera del 2004 le gemme hanno dato ori-gine a tanti nuovi rametti. Nell’autunno dello stesso anno finalmente ho potuto dare la pri-ma impostazione.

Nella primavera del 2005 la buona sa-lute della pianta mi consentì di trapiantarla in vaso bonsai e a quell’epoca risale la prima fo-to.

Da quel momento in poi il bonsai di pino mi ha dato tantissime soddisfazioni ed è stato esposto in varie occasioni e nelle Mostre dell’Associazione Roma Bonsai.

E’ stato inserito nel Catalogo n.14 U.B.I. del 2010 quando è stato esposto al Congresso Nazionale di San Marino. Nello stes-

so anno a Napoli è stato esposto al “Kokoro-no Bonsai Ten” e si è guadagnata la targa del Bonsai & Suiseki Magazine.

Nel 2011 alla Mostra della Giareda di Reggio Emilia ha vinto il secondo premio Conifere Categoria Amatori. Non poteva esse-re più giusto quest’ultimo premio, infatti io così mi considero: un amatore dell’arte bonsai.

La cosa che ho imparato da questo pino e da tutti gli altri che posseggo da tanti anni, è la loro facilità di coltivazione. Ri-spondono alle potature ad alle cure senza troppi sforzi e mi danno una grande sensazio-ne di serenità.

Insomma siamo cresciuti insieme: io come bonsaista, loro come bonsai!

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Il bonsai preso in esame dai nostri Fantastici Quattro è per questo primo progetto un araki di tasso. Dalla sua raccolta, le uniche operazioni svolte su questo esemplare sono state unicamente la capitozzatura per ridurne l'eccessiva iniziale altezza, ed il rinvaso finalizzato alla graduale ridu-zione del pane radicale ed allo sviluppo di nuove radici.

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Per quanto riguarda la prima pianta da tra-sformare in bonsai credo sia di aiuto speci-ficare che il lavoro da fare sarà lungo. In poche parole si tratta di decidere il fronte

possibile, in questo caso quello dove si vede una grossa radice a sinistra che sporge, e togliere completamente i monconi di rami dritti in basso a sinistra ed a metà a destra. In queste zone andranno lasciati uno o due rami per formare i successivi palchi. Per quanto concerne l´apice anche questo dovrà essere selezionato cercando di spaziare bene i vari rami.

Nel tasso è bene iniziare da subito a dare

un movimento ed una direzione ai rami selezio-nati. Per aumentare velocemente il diametro dei rami si può lasciar crescere liberamente l´apice di ogni ramo. Prendendo in considerazione la grossa e antiestetica radice si può iniziare ad incidere la parte superiore e con il tempo allargare il taglio per dividerla in due parti e diminuire l'impatto visi-vo. Durante i rinvasi di coltivazione si può mettere della plastica o una piastrella sotto le radici come si fa con gli aceri per far sviluppare una base più larga. Con le opportune concimazioni penso che in tre anni si potrà avere un discreto albero da la-vorare.

LORENZO AGNOLETTI

NICOLA CRIVELLIANALISI DEL MATERIALE

Il tasso è un’essenza molto vigorosa, que-sto materiale ha moltissima vegetazione giovane. Da quello che si può dedurre dalle foto, si tratta di un materiale da vivaio, fatto ingrossare in campo e poi capitozzato. Avendo una vegetazione molto fitta si fa molta fatica a vedere la struttura del tronco. Con un po’ di fantasia immagino un tronco più o meno come quello che ho evidenziato in ros-

so nel primo disegno. Nella creazione di un tasso bonsai è

molto importante la lavorazione della legna secca. La legna secca rientra nella tipicità dell’essenza del tasso, ogni essenza, in natura e bonsai, ha una sua tipicità. Il ginepro chinensis, shinpaku, ha un secco molto tipico, contorto, a spirali e piatto.

Guardando un dettaglio di legna secca, un occhio esperto, sa riconoscere subito a che es-senza appartiene. I tassi in natura e di conse-guenza in bonsai, non hanno quasi mai un comportamento contorto, la loro crescita è spesso dritta, nei parchi si sviluppa quasi a scopa rove-sciata. Per la facilità con cui forma i polloni, spesso lo si trova in stile a ceppaia, quasi sempre con tronchi dritti.

Il legno del tasso è molto duro, ma con il tempo tende a svuotarsi all’interno, tipico del tasso è perciò il sabamichi (tronco cavo)

Quando si analizza un materiale, la prima cosa che si cerca è il nebari. Il piede di questo tas-so è abbastanza difettoso perché si sviluppa solo da un lato. Un nebari che si sviluppa solo da un lato non si presta alla formazione di un bonsai ne-gli stili Chokkan (eretto formale) e Moyogi (eretto informale). Potrebbe andare bene per uno stile inclinato (Shaka) o semi cascata (Han Kengai) - fig. 1

Si inclina il tronco leggermente verso sini-stra per migliorare il nebari che formava uno scali-no.

Dopo il nebari si analizza il tronco. Anche in questo caso ci troviamo con un tronco non molto conico, quindi dovremo cercare di dare co-nicità al tronco intervenendo sulla legna secca, ovvero creando delle parti secche, jin e shari dove il tronco è cilindrico - fig. 2

In arancione ho evidenziato quale sarà il movimento del fusto. L’apice verrà ricostruito con un ramo giovane. Le parti che non servono per la costruzione del tronco si lavorano a jin e shari, in questo modo cerchiamo di dare conicità ed un po’ di movimento al tronco - fig. 3

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Si selezionano i rami utili al disegno. Si selezionano le vene (se non già definite natu-ralmente). I tratti cilindrici verranno lavorati a le-gna secca, i monconi e il tronco principale verranno svuotati della parte centrale. Bisogna la-vorare il secco in modo che sembri naturale e non artificioso.

Nello stile inclinato è importante che ci sia un ramo forte nella parte opposta alla direzio-ne della pianta.

Il sashi-eda, il ramo principale che enfatizza la direzione, sarà il secondo ramo di si-nistra. L’apice torna verso il centro per poi direzio-narsi a sinistra. Questo tasso avrà una direzione molto marcata, è importante che il flusso di energia che parte dal nebari verso l’apice, fluisca verso sinistra.

Nel limite del possibile bisognerebbe evi-tare una triangolarità della chioma. Nel bonsai so-no molto importanti i vuoti e i pieni, come nella musica e nell’arte in generale.

Con essenze come il tasso, in pochi anni si possono ottenere degli ottimi risultati. Vedrei bene una pianta di questo genere in un vaso rettangolare di questo tipo.

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IL PIACERE DELLA PROGETTAZIONE Senza dubbio è uno degli argomenti più sti-

molanti nella realizzazione di un bonsai: ipotizzare un progetto grafico che ci permetta di ottenere un albero il più evocativo possibile, partendo dal mate-riale che abbiamo a disposizione.

Prima di iniziare questa, spero, proficua collaborazione, terrei ad esprimere una piccola considerazione personale riguardo al mio modo di vedere ed intendere il bonsai… il bonsai per me è pura forma, a prescindere dal tipo di essenza che mi trovo a lavorare. Talvolta può essere riduttivo, in termini di creatività e di espressione artistica, pre-cludere alcuni tipi di interpretazione solo perché poco conformi alle peculiarità del tipo di essenza.

Personalmente tendo a seguire quello che la forma suggerisce o lascia intuire.

ANALISI OBIETTIVA/OGGETTIVA DEL MATERIALE

Taxus Baccata, probabilmente prove-niente da raccolta in natura. Il soggetto appare in buone condizioni di salute, per quanto concerne il vigore e la qualità della vegetazione.

Osservando le foto che ritraggono il tronco, si evincono circa quattro punti dai quali na-scono i rami. I rami stessi appaiono “giovani”

(emessi dopo potatura). Sembrano essere assenti vecchi rami aventi diametri significativi. Sulla lunghezza del tronco si “leggono” almeno due cambi di sezione significativi. Legna secca poco presente o almeno da creare tramite le consuete operazioni di jinning.

Se si esclude la base e parte del tachiagari l’essenza non esprime molti altri punti focali che catturino lo sguardo dell’osservatore.

ALBERI ED IMMAGINARIO

Dopo aver osservato ed analizzato oggetti-vamente la pianta, la nostra mente inizia ad ipo-tizzare forme, soluzioni atte a trasformare il nostro araki in un bonsai con delle buone potenzialità. E’ buona norma, oltre che una ottimale forma di esercizio, provare a mettere su carta una o più so-luzioni grafiche del nostro “albero immaginato”.

IPOTESI DI PROGETTO

Liberando la creatvità e restando fedeli alle caratteristiche mostrate dall’albero (il bonsai disegnato va poi realizzato!) sono diverse le solu-zioni che ne scaturiscono… ne ho estrapolate due, molto diverse da loro.

ROBERTO RASPANTI

PROGETTO A Da realizzarsi mantenendo quasi la

totalità dell’araki: altezza del tronco originale, mantenendo tutti i punti di inserzione dei rami. Il risultato è quello di un vecchio albero, alto ed imponente, modellato dahli anni e dal continuo e leggero soffio del vento...

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PROGETTO B Prevede un drastico cambio delle proporzio-

ni. Pianta molto più bassa, chioma compatta, direzio-nalità e senso dinamico molto pronunciati. Ad onor del vero non ho una netta preferenza tra le due solu-zioni: ambedue rappresentano due valide alternative per poter interpretazre un materiale di partenza pove-ro, ma che se approcciato con il giusto sistema, può re-galare delle belle soddisfazioni bonsaistiche.

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ANALISI DEL MATERIALE

Il tasso in questione è un materiale grezzo di notevoli dimensioni e in ottime condizioni di salu-te. Presenta un nebari molto piatto e allungato. Una caratteristica non certo perfetta che dovrà pre-vedere delle modifiche. Il tronco appare dritto e senza movimenti particolari e con un portamento ci-lindrico. Solo nella parte alta sono presenti rami di discreta dimensione, anch’essi cilindrici, che posso-no rappresentare eventuali sostituzioni di apice.

La vegetazione ricca e abbondante è costi-tuita da ramificazione veramente giovane e di dia-metro ridotto, non proporzionato alla dimensione del tronco.

LAVORI PREPARATORI

La prima cosa da fare è una pulizia e un’adeguata preparazione della pianta. Questa lavo-razione consiste nel mettere in evidenza le caratteri-stiche della tasso che al momento sono nascoste come ritiri di linfa, eventuali jin o shari. Allo stesso tempo è consigliabile una pulizia della corteccia in modo da evidenziare il bel colore rosso tipico di questa essenza.

Il nebari potrebbe essere migliorato con la creazione di shari. A riguardo potrebbe essere utile studiare il percorso delle radici, la loro vigoria e l’eventuale loro eliminazione. Gli shari dovranno es-sere realizzati soprattutto sulla parte superiore del nebari (o delle radici) e in tutta la sua lunghezza in modo da rendere meno cilindrico il tutto. La legna secca potrà essere successivamente estesa anche lungo il tronco. Nella creazione degli shari l’osserva-zione del fusto puo’ darci utili indicazioni sul dove realizzarli. Al tatto sarà possibile scoprire che il tronco non cresce uniformemente dritto e cilindri-co ma presenta dei piccoli e impercettibili avvalla-menti. Sarà in questi punti in cui andremo a incidere la corteccia. Altri shari potrebbero essere realizzati a partire dagli eventuali jin già presenti.

Così facendo diamo movimento a un tronco altrimenti dritto e cilindrico spezzandone la monotonia e andando a creare degli importanti punti focali. Un altro passo prima della progettazio-ne è lo sfoltimento della vegetazione. Si opera in modo oggettivo senza curarsi dell’eventuale pro-getto. Si eliminano i rami deboli e secchi, si lascia un solo ramo qualora in un punto ne nascessero più d’uno.

Dopo queste fasi è il momento della pro-gettazione. Cosa possiamo realizzare con un mate-riale del genere? Ad una prima valutazione, la soluzione più immediata potrebbe essere lo sfrutta-mento di quasi tutta l’altezza della pianta, cercando di distribuire la vegetazione in modo uni-forme e radiale creando un bonsai in stile moyogi o inclinato. Questa soluzione per quanto corretta, dipenderebbe in modo sostanziale da tutto un’insie-me di valutazioni riguardo alla posizione e grandezza degli shari, alla conicità e al movimento del tronco. In un certo senso sarebbe un’ottima so-

luzione solo se il lavoro sul tronco e sul nebari aves-se risolto in modo sostanziale i difetti analizzati in precedenza (cilindricità, assenza di movimento, as-senza di punti focali).

IL PROGETTO

La soluzione che però vorrei proporre è invece una scelta molto drastica e mira all’elimina-zione degli evidenti difetti presenti. È una soluzio-ne che conferirebbe una nuova personalità al tronco e al risultato finale. Naturalmente è una pro-posta che si basa sulle foto e sulle poche informa-zioni a disposizione, e che vuole rappresentare solo un’alternativa a soluzione più immediate. La fattibilità del progetto deve in ogni caso essere valu-tata con l’osservazione reale e l’analisi della pianta.

Partiamo dal presupposto che il difetto principale della pianta è in un nebari lungo e spro-porzionato e in un fusto cilindrico e senza punti di interesse particolare.

L’eliminazione di gran parte del tronco creerebbe una porzione di legno di generose di-mensioni che lavorata potrebbe creare un vero punto focale. Inoltre ci sarebbero i presupposti per il ridimensionamento del nebari attraverso la ridu-zione del legno in eccesso. Forse meglio delle paro-le può parlare il progetto stesso rimandando a dopo le spiegazioni per la sua realizzazione

Vediamo nei dettagli le motivazioni che mi hanno portato a una scelta del genere. Una pri-ma considerazione è la possibilità di mettere a di-mora questa pianta in un vaso adeguato. La presenza di lunghe radici legnose limita la grandezza nella scelta del vaso. Più radici vengono eliminate più sarà facile rinvasare la pianta in un piccolo recipiente. A questo scopo l’eliminazione di gran parte del legno e la successiva creazione della chioma con due/tre piccole vene comporta l’utilizzo di un pane radicale estremamente picco-lo.

Una seconda motivazione è la scelta dra-stica di eliminare i punti deboli di questa pianta. Le parti troppo rigide e cilindriche (tronco e neba-ri) vengono completamente ridiscusse e rimo-dellate concependole come legna secca. Starà all’abilità del bonsaista creare conicità, profondità, ritmo e naturalezza dove prima non c’erano! Una bella sfida!

La drammaticità del legno secco non può che suggerire una modellatura della chioma in cui la natura ha dato la sua impronta. Personalmente non amo chiome centrate ed equilibrate su legni secchi particolarmente drammatici e contorti. Una natura così severa si riflette non solo sul dissecca-mento di grandi porzioni di legno ma anche su una struttura vegetativa molto squilibrata e ricca di linee di forza. In questo caso ho previsto una chio-ma fortemente verso sinistra. Se ci si immagina il vento che proviene dalla destra, non sarà difficile trovare coerenza e naturalezza in un tale progetto.

La costruzione della chioma prevederà la

FRANCESCO SANTINI

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selezione e l’utilizzo dei rami più forti che possono assicurare la creazione di altrettante vene linfatiche sufficiente-mente grandi e vigorose.

Un discorso a parte richiede la programmazione delle lavorazioni: potare drasticamente la pianta tutto in una volta non è una soluzione ade-guata. Preferisco operare con progressi-ve operazioni di potatura a distanza di tre mesi l’una dall’altra. Una potatura così diluita permette alla pianta di rea-gire adeguatamente superando meglio lo stress che si verrebbe a causare da una potatura unica. Nel corso del pri-mo anno andremo a potare progressiva-mente la pianta, favorendo sempre la vigoria della vegetazione utile. In que-sto stesso periodo dovremo assistere il tasso con una coltivazione adeguata e ricca di concime in modo da portare

la salute al massimo. Allo stesso tempo potremo accennare la creazione dei primi shari e la potatura delle radici. Una piccola attenzione alla radice le-gnosa presente sulla destra. Non po-tarla drasticamente ma lasciarla lunga in modo da poterla utilizzare come le-gna secca fuori dal vaso. La “coda” di legno sulla destra è infatti una appendi-ce legnosa da posizionare fuori dal va-so.

Una volta eliminata tutta la ve-getazione inutile, si procede con la pri-ma lavorazione del secco. Questa operazione dovrà essere effettuata pri-ma del necessario rinvaso in modo da non danneggiare le radici durante la fa-se di scolpitura. L’utilizzo di frese e scalpelli fa infatti vibrare la pianta e quindi è meglio che questa lavorazio-ne avvenga prima del trapianto. Solo

circa un anno dopo il rinvaso potremo passare alla prima modellatura.

Dunque, a conti fatti, il filo di rame sarà utilizzato solo dopo due anni dall’inizio del lavoro. Ma in que-sto periodo avremo raggiunto anche un altro obiettivo: con la crescita vigo-rosa di questi due anni avremo ottenu-to i diametri voluti della vegetazione. Diametri proporzionati alla grandezza del tronco.

La scelta di un progetto così drastico non è cosa facile. Al di là di quella che è la sua possibile realizza-zione, valutabile solo con la pianta da-vanti, resta il fatto di aver proposto una soluzione che vada a eliminare tutte le componenti negative del tasso in questione. Naturalmente è una delle tante soluzioni possibili.

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L'esperienza più scoraggiante per un principiante bonsaista è forse il non riuscire a trovare del buon materiale di partenza a un prezzo

adeguato. Talvolta si riesce a trovare qualcosa importato dal Giappone, e solo poche sono le ditte italiane che produco-no buon materiale, ed il prezzo è tuttavia piuttosto elevato, anche se giustificato, e non sempre alla portata di tutti. Quindi penso che il bonsaista debba essere capa-ce anche di selezionare e preparare il pro-prio materiale. Essenzialmente ci sono due modi di procurarsi il materiale: adatta-re piante cresciute spontaneamente o coltivate per altri scopi, però trovare qualcosa di veramente valido è tutt'altro che facile e molto raro, oppure bisogna comprarlo.

Una maniera semplice per orga-nizzare una collezione di bonsai, natu-ralmente per chi sia disposto a spendere anche cifre notevoli e non se la senta di affrontare il lungo periodo di educazione della pianta è di acquistare un certo nume-ro di esemplari già formati. E sempre bene preferire per l'acquisto un vivaio specia-lizzato, perché un simile vivaio potrà costi-tuire in seguito un valido punto di riferimento per la soluzione di ogni proble-ma che possa sorgere circa le cure e il mantenimento del bonsai.

Prima di comprare i bonsai sa-rebbe utile documentarsi un po', os-servando il maggior numero possibile di esemplari, in modo di formarsi un proprio gusto, di chiarirsi le idee su ciò che si desi-dera. Sarebbe bene scegliere, anche per non spendere un capitale e per apprende-re le cure, delle piante piuttosto giovani,

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ma che siano bene impo-state, che rivelino, cioè, già tutta la loro potenzialità a di-venire dei bei bonsai. All'ini-zio magari puntiamo sulle latifoglie anziché sulle coni-fere che hanno un punto in più di difficoltà (anche se tassi, ginepri, cedri e cipres-si consentono un buon margine di approccio al principiante). Le piante da fiore e da frutto richiedono anch'esse un tantino in più di esperienza specialmente per quanto riguarda gli interventi di potatura. Co-me inizio possono essere sufficienti sei, sette esempla-ri in modo di creare una certa varietà di stili e di spe-cie. Per evitare di possede-re una collezione monotona bisognerebbe as-sortire bonsai di conifere: so-no piante molto longeve, che modificano poco il loro aspetto nel corso dell'anno, che si oppongono con de-terminazione agli agenti

atmosferici, spesso ri-portandone danni evidenti, il cui sviluppo del tronco è sui rami, è estremamente ordinato e rispondente a leggi biologiche precise, quasi geometriche. Gene-ralmente sono considerati i bonsai più importanti, co-me pini, cipressi e ginepri, tassi. ecc. Con piante deci-due dalle foglie piccole, che si spogliano d'inverno, ma hanno il pregio di cambiare aspetto nel corso delle stagioni.

A differenza delle conifere hanno la capacità di adattarsi all'ambiente la-sciandosene modellare ma senza riportare grossi danni e rigenerandosi ad ogni anno. Le loro forme sono ge-neralmente gentili ed aggra-ziate. Si preferisce osservarle d'inverno quando sono spoglie e se ne può apprezzare la ramifi-cazione.

Con piante da fio-

re: queste latifoglie, sia de-cidue sia sempreverdi, sono apprezzate per la no-ta di colore che danno con la loro fioritura. I giappone-si preferiscono le fioriture copiose e di breve durata, e questo rispecchia il loro concetto estetico-filosofico della bellezza apprezzata proprio per il suo essere effimera. Inoltre, fra le piante, dovrebbero esserci anche alcuni esemplari di stile diverso, come un bo-schetto, una zattera, un bonsai su roccia o uno a ca-scata. Per organizzare una collezione di bonsai si po-trebbe scegliere: una varie-tà di cotoneaster, che si ricopre molto presto di fo-glie di un verde vivace, ha una bella fioritura primave-rile e in autunno assume un'intensa colorazione ros-sa coprendosi di piccole bacche, che durano fino all'inverno; una varietà di acero tridente, pianta che

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possiede una ricca chioma e cresce velocemente; un gi-nepro, le piante più classi-che per i bonsai, sempre molto belle e decorative; inoltre sarebbe consigliabi-le anche una varietà di olmo. Infine si potrebbe completare la collezione con un carpino e un melo da fiore. Questo elenco vuo-le solo fornire un'indicazio-ne dell'impronta iniziale da dare a una collezione di bonsai. Il criterio generale è, come si è già detto, quello di unire stili e specie diverse: dalle conifere, fondamentali protagoniste dell'arte bonsai, alle piante da frutto e da fiore che, con la loro variabilità d'aspetto, durante l'anno da-ranno alla collezione una nota sempre diversa.

LE PIANTE DI VIVAIO

In sostanza quasi tutte le piante adatte a dive-nire un bonsai sono rinveni-bili nei vivai che vendono piante da giardino: non es-sendo dei prebonsai, sono molto meno costose dei bonsai veri e propri, e allo stesso tempo si ha una certa sicurezza che non soffriranno eccessivamente per il trapianto e che sono esemplari sani e robusti. E

sempre bene che la scelta cada su una specie di pianta diffusa nella zona in cui si vive, perché non biso-gna assolutamente dimenti-care che i bonsai devono stare all'aperto e quindi più il clima è adatto agli alberi scelti e meno problematica sarà la loro ambientazione e la loro sopravvivenza. Il periodo migliore per co-minciare a educare una pianta è l'inizio della prima-vera poco prima che inizi la ripresa vegetativa, oppu-re in autunno quando gli alberi hanno già perduto le foglie e i frutti hanno raggiunto la maturazione, quando, cioè, sta per inizia-re il riposo vegetativo. Quando si va a scegliere la pianta bisognerebbe avere già in mente lo stile che si vuole ottenere, oppure biso-gna riuscire a valutare tutte le caratteristiche dell'albe-rello per riuscire a immagi-nare, una volta che sarà stato trasformato in bonsai, quale risultato potrà dare.

Un criterio da se-guire nella scelta, sarebbe quello della massima dispo-nibilità a seguire i suggeri-menti e gli spunti che le piante stesse possono dare.

A volte la chioma e i rami di certe piante, co-

me il cotoneaster, na-scondono completamente il tronco, così che non è fa-cile valutarne le dimensio-ni e la lunghezza; in questo caso, per decidere se la pianta è adatta o me-no, ci si può aiutare con le mani, facendole scorrere per tutta la lunghezza della pianta fino alla base per meglio comprendere se la forma è promettente oppu-re no. Con lo stesso siste-ma ci si può rendere conto dello stato delle radici, che in un bonsai dovrebbero essere disposte uniforme-mente in tutte le direzioni, in modo da fare una forte presa sul suolo.

MATERIALE VALIDO PER ESSERE LAVORATE A BONSAI

Per capire quali es-senze sono valide per esse-re lavorate a bonsai, in primo luogo si osservano le caratteristiche genetiche dell'essenza: ad esempio la foglia piccola è un grande pregio (olivastro), ma ci so-no molte essenze a foglia grande che rispondono be-nissimo alla miniaturizza-zione, ed in genere sono quelle che sullo stesso ra-mo presentano foglie di grandezze differenti (querce, lecci). Invece quelle che hanno foglie composite, generalmente rispondono poco alla mi-niaturizzazione. Altra cosa da tenere presente è che la foglia a margine lobato, o comunque irregolare, dà l'impressione di essere più piccola di una foglia di uguali dimensioni, ma a margine liscio (querce, biancospino). Altro fattore essenziale per decidere se un'essenza è bonsaistica-mente promettente, è ve-dere come risponde all'impostazione con il filo. Alcune essenze hanno le-gno duro e fragile, senza elasticità, che si spezza al tentativo di piegarlo; altre lasciano impostare i rami col filo ma, nell'arco di po-

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chi mesi o 2, 3 anni, questi rami s’indeboliscono fino a morire (corbezzolo, leguminose e acacie).

Altro fattore importante è il modo in cui l'essenza risponde alla coltivazione in vaso da bonsai. Alcune essenze dei climi caldo-secchi hanno apparati radicali molto sviluppati che scendono nella profondità del suolo dove ci so-no umidità e calore costanti. Que-ste essenze poco tollerano di vivere in un vaso basso da bonsai dove ca-lore ed umidità cambiano di conti-nuo, il che può far soffrire la pianta o modificarne caratteristiche come la fioritura o fruttificazione.

I CRITERI DI VALUTAZIONE DI UN BEL BONSAI

Può essere utile, per me-glio guidare alla scelta della pianta giusta, elencare quelli che sono i cri-teri di valutazione di un bel bonsai.

Le caratteristiche del buon materiale sono un nebari regolare, Il colletto (nebari) che presenta gros-se radici disposte radialmente rappresenta un elemento di prima-ria importanza in modo particolare nelle latifoglie perché, oltre ad attri-buire maggiore stabilità contribui-sce a dare un aspetto di maturità all'albero. La conicità del tronco è un requisito essenziale, in modo particolare per le caducifoglie. Da evitare tronchi che si allargano verso l'alto, che presentano segni antiestetici d’innesto o gibbosità.

Ma avere un tronco coni-co, e presentarsi con la corteccia ti-pica della specie, e la presenza di molti rami sottili e flessibili. Per tale motivo il primo passo non è guarda-re la chioma, bensì mettere allo sco-perto le prime grosse radici. Spesso, infatti, il nebari è in pro-fondità e non a filo terra, ed il tratto di tronco interrato può modifi-carne radicalmente il disegno, o addirittura presentare difetti tali da renderlo inutilizzabile.

Le radici devono irradiarsi in modo regolare senza essere intrecciate o rivolte verso l'alto, il tronco deve assottigliarsi bene verso la cima partendo da una base solida; inoltre un'apparenza piutto-sto vecchia è sempre da preferirsi.

Il bonsaista principiante che sceglie un materiale bonsai spes-so guarda il tronco già esistente in tutta la sua lunghezza, ma così fini-

rà quasi inevitabilmente col rea-lizzare un bonsai dalla scarsa conicità, invece conviene immagi-nare il maggior numero possibile di sostituzioni d'apice fin dalla parte più bassa del tronco. Quindi, spes-so, risultano molto interessanti quelle piante che hanno il primo ra-mo molto grosso e molto basso con cui fare la prima sostituzione d'api-ce; questo caratterizzerà movi-mento e conicità. Per quanto riguarda invece i rami, in primo luo-go vanno eliminati tutti i rami gros-si e non flessibili, lasciando dei monconi per realizzare degli jin se l'essenza li prevede.

Per quelle essenze che non rigettano dal tronco, è indi-spensabile che ci siano il maggior numero possibile di rametti molto flessibili. Invece, per quelle essenze che hanno la capacità di rigettare abbondantemente dal tronco que-sto può essere lasciato anche completamente spoglio e ricostrui-re tutta la ramificazione con i nuovi getti. Nella scelta dei rami da lascia-re, tenere presente che ne servono un numero molto maggiore, degli impalchi che si prevedono per il bonsai, una volta giunta a matura-zione; comunque, non lasciare mai a lungo due rami allo stesso livello, altrimenti si rischia che in quel punto si formi un antiestetico ri-gonfiamento del tronco.

La chioma più apprezzata è quella nella quale i rami più gros-si si estendono verso i lati e i più piccoli verso la parte frontale e po-steriore. I mikikiri-eda sono per i giapponese quei rami che, posti di fronte, tagliano di traverso tronco, i kuruma-eda sono invece quelli che partono da uno stesso punto, a raggiera e i kannuki-eda quelli che crescono opposti, orizzontalmente, l'arte bonsai non apprezza e non considera di valore nessuna di que-ste tre categorie di rami.

Le foglie devono essere piccole, folte e movimentate. I bonsai dal fogliame minuto e fitto, detti himesho o yatsubusasho, son di gran pregio. Infine la zona apica-le dell'albero, essendo dai giappo-nesi considerata un simbolo di vita, deve mostrare una forte vitalità.

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· BUON APPARATO RADICALE.· UNA RAMIFICAZIONE BEN DISTRIBUITA.· INTERNODI BREVI, FOGLIE POSSIBILMENTE PICCOLE.· ESSERE IN GRADO DI TOLLERARE POTATURE, ANCHE DRASTICHE.· REAGIRE BENE AGLI INTERVENTI DI TORSIONE E AVVOLGIMENTO.· SOPPORTARE FERTILIZZAZIONI ANCHE COSPICUE.· ESSENZA FACILE DA COLTIVARE.· ESSERE RESISTENTE A PARASSITI.· ESSERE ADATTA AL CLIMA E ALL'AMBIENTE IN CUI VIVRÀ.· ESSERE ADATTA ALL’ESIGENZA DEL PROPRIETARIO.

IN SINTESI

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Guardandolo dallo spazio, il Giappone somiglia a un arco affiorante a pelo d'acqua nell'indaco

dell'oceano Pacifico. L'arcipelago, frammentato in una miriade di isole, si snoda per circa tremila chilometri, dalle nevi dello Hokkaidō sino ai ce-dri di Yakushima, passando per le fore-ste subtropicali delle isole Ryūkyū e gli onsen (terme) disseminati un po' ovunque.

Per una coincidenza bizzarra (o forse no), la cultura nipponica pare riflettere la medesima ricchezza e va-rietà del paesaggio, lasciando il curio-so o l'appassionato di lungo corso incantati e talvolta smarriti dinanzi a tanta grazia. In Italia, purtroppo, gli strumenti di qualità per districarsi in questa selva scarseggiano o sono poco conosciuti: è il caso di Giappone di Rossella Menegazzo (Mondadori Electa, 2007, pp. 384, € 22), studiosa e soprattutto sincera amante della cultura del Sol Levante.

Ricalcando sinteticamente la struttura di un'enciclopedia, il volume passa in rassegna i principali ambiti

del sapere (arte, letteratura, storia, re-ligione, usi e costumi, manifestazioni tradizionali... ), rimarcandone non so-lo gli eventi notevoli, ma anche perso-naggi di spicco e opere salienti.

Un ricchissimo apparato ico-nografico — che ritrae monumenti, luoghi e capolavori del Giappone di ogni epoca — ci accompagna pagina dopo pagina, permettendoci un'immersione totale tra le pieghe del tempo, alla scoperta delle tante es-senze che hanno fecondato il suolo nipponico, sempre illustrate dalla Me-negazzo con un linguaggio accessibile e puntuale.

Travolti dalla bellezza lu-cente delle lacche, dall'eleganza chia-ra e sobria dei templi, dalla pace che emanano i volti assorti delle mille e uno dee Kannon di Kyōto, dimenti-chiamo così il consiglio che Hakuin Ekaku riportò più volte nelle sue pittu-re zen: «Sia la vita interiore sia il mondo fluttuante intorno a noi / sono come ciechi che vagano su un ponte. / Una mente che possa andare oltre è la guida migliore».

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GIAPPONE

ROSSELLA MENEGAZZO

MONDADORI ELECTA

€ 22,00

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HITOSHI'S WORLD

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photo © Hitoshi Shirota

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Il senso della vita e dell’arte giapponese po-trebbero essere racchiusi in una pratica che si ripete immutata da centinaia di anni; si tratta dell’Hanami, che vuol dire lette-

ralmente “ammirare i fiori”.L’Hanami è la consuetudine di ammira-

re, per sole due settimane l’anno, la fioritura dei ciliegi in varie parti del Giappone. Le origini di que-sta usanza sono antichissime e risalgono, molto proba-bilmente, al periodo Nara (710–794) quando ogni anno, all’arrivo della primavera, si contemplava la fioritura dei pruni (ume).

Questa pratica fu de-finitivamente consolidata nell’epoca Heian (794–1185), quando la fioritura dei ciliegi (sakura) preannunciava l’ini-zio del periodo di semina del riso. Era opinione diffusa che nell’albero di ciliegio vivesse una divinità, per questo moti-vo alle sue radici venivano po-ste laute offerte di sake capaci di propiziare la semina e rendere profi-cuo il successivo raccolto.

Ben presto l’imperatore Saga, cominciò ad organizzare feste nella sua corte di Kyoto, du-rante le quali si componevano poesie in onore dei fiori di ciliegio, si beveva sake e si ammirava

l’effimero ondeggiare dei petali, metafora della caducità della vita.

Inizialmente queste feste erano ri-servate esclusivamente ai nobili, ma dal periodo Edo (1603-1868) in poi esse furono estese ad ogni singolo suddito dell’Impero. Un ruolo importante nella diffusione di questa pratica si

deve soprattutto allo shogun Tokugawa Yoshimune che ordinò di piantare centinaia di ciliegi in ogni area del Giappone, in modo che que-sta festa potesse estendersi davvero a tutti.

L’Hanami ha da sempre affascinato artisti e scrittori; ne troviamo traccia in numersi tanka, haiku e, non ultimo, nel testo più rappresentativo della letteratu-ra giapponese: il Genji Mono-gatari di Murasaki Shikibu.

Ancora oggi l’Hanami è vissuto come un momento importantissimo da tutti i giapponesi, tanto che l’Agenzia Meteorologica moni-

tora costantemente la fioritura (sakurazensen) che raggiunge l’apice tra il 25 marzo e il 15 apri-le. I ciliegi fioriscono fancedo la prima comparsa nell’isola di Okinawa per poi spegnersi definiti-vamente nell’isola di Hokkaido. Ogni fase della fioritura, dai primi boccioli (kaika) al momento

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di massimo splendore (mankai), è seguita attenta-mente da tutta la popolazione che si reca nei parchi per assistere a questo magnifico spettacolo naturale, unendo la contemplazione della natura a feste, musica e pic-nic. Anche di notte, in quello che si chiama yozakura, è possibile ammirare que-sta straordinaria pioggia di ciliegi che, complice la luna, assume un carattere incredibilmente romanti-co.

L’Hanami si sta lentamente diffondendo anche in Occidente, in particolare negli Stati Uniti dove si celebrano l’"International Cherry Blossom Festival" (Macon, Georgia) e l’”Annual Sakura Matsuri Cherry Blossom Festival” (Brooklin, New York).

Di recente questa pratica è arrivata anche in Italia, grazie ai ciliegi giapponesi piantati al la-ghetto dell’Eur di Roma che, da qualche anno, ri-creano la magica atmosfera senza tempo di questo suggestivo spettacolo naturale.

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Il Prunus ha una tradizione millenaria nella cultura cine-se. Attraverso lo studio letterario e le raffigurazioni arti-stiche, già sotto le dinastie Quin , Han e, successivamente, Song (960-1270), è stata docu-

mentata la presenza dell’educazione a bonsai di questa es-senza: spettacolare per la bellezza ed il profumo dei suoi fiori, per il portamento e per il suo ritmo. In un antico testo vengono descritti due bonsai di Prunus (plum è il nome dato dai cinesi) che rappresentano la forza e il ritmo, un terzo ed un quarto Prunus che rappresentano la bellezza e il colore dei fiori, e un ultimo che rappresenta l’inizio della primavera. L’introduzione del Prunus mume in Giappone ri-sale al VI secolo e se ne trova testimonianza in un libro di poesie chiamato “Kaifusoo”, scritto nel 751, in cui viene cele-brata la bellezza dei fiori di questa specie.

PROPAGAZIONE - Il Prunus si propaga dai semi estratti dal frutto maturo; i semi vengono stratificati in una miscela di sfa-gno e sabbia per tre mesi a 4°C e messi a dimora in primave-ra. La propagazione per talea prevede l’utilizzo dei giovani rami prelevati in estate.

ESPOSIZIONE - Il Prunus predilige un’esposizione luminosa e

soleggiata. Proteggere a mezz'ombra in estate piena e in serra fredda, o con altra protezione adeguata, in caso di ge-late invernali. Attenzione al troppo sole in inverno perché potrebbe anticipare la fioritura.

POTATURA - Prima di iniziare la potatura, dobbiamo tener presente lo stato della pianta, se è giovane o vecchia, a che punto della sua formazione si trova, se ha internodi corti o lunghi. La potatura di formazione si effettua durante stagio-ne vegetativa, in primavera, quando le gemme cominciano a muoversi; andrà effettuata su tutti i rami contemporanea-mente in modo da indurre la pianta ad attivare nuovi germogli da foglia, molto vicini al tronco.

E’ molto importante mantenere delle gemme da fo-glia per non perdere il ramo. Si può ripotare a fine luglio o agosto.

Se la potatura è diretta all'ottenimento di fiori, si attende il termine della fioritura per eliminare l'eccesso di crescita dell'anno precedente. I fiori appassiti vanno elimi-nati. Durante l’estate si formeranno le gemme per l’anno se-guente e quando queste si saranno differenziate si potrà procedere con una nuova potatura, che mirerà a mantenere quante più gemme da fiore possibile. Le gemme da fiore si

FAMIGLIA: ROSACEAE

GENERE: PRUNUS

NOME COMUNE: MUME, UME, PLUM

Il genere Prunus comprendente alberi ed arbusti coltivati per i loro frutti: albicocche, ciliegie, pesche e prugne e specie coltivate a scopo ornamentale per la bellezza dei loro fiori.Il Prunus è un bonsai molto apprezzato proprio per la sua fioritura che può durare alcune settimane, dalla fine dell'inverno a primavera inoltrata, ma anche per il portamento, la distribuzione dei rami e il tronco rugoso che danno aspetto vetusto e fascino all'insieme. È adatto a tutti gli stili, eccetto l’eretto formale e quello a scopa.

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distinguono da quelle da foglia poiché sono più grosse e arro-tondate.

Dopo la potatura e nella successiva fase vegetativa, i nuovi germogli crescono; quelli nella zona apicale o sulle estremità dei rami forti sono molto vigorosi per cui si intervie-ne pinzando; questo è molto importante perché se lasciassi-mo crescere liberamente, i rami più deboli della parte interna della pianta non riuscirebbero a germogliare. Invece, limi-tando il vigore della vegetazione forte, i rami deboli più interni cominceranno a muoversi.

DEFOGLIAZIONE - Dai primi di Maggio fino a giugno, si cimano le punte dei rami forti, lasciando due o tre internodi e si ese-gue la defogliazione. Questa tecnica viene utilizzata per otte-nere gemme da vegetazione alla base dei rami. Il tempo ottimale per farlo è appena prima della caduta delle foglie; l’obiettivo della defogliazione, normalmente, è quello di

Il noto bonsai di Prunus mume è un albero da frutto appartenente alla famiglia delle rosaceae. Il nome della pianta e del frutto è Ume in giapponese e Maesil in co-reano.

La pianta si può considerare una forma intermedia tra un pruno ed un albicocco. Non essendo una pianta autoctona, sono meno evidenti nella nostra cultura e letteratura medica le sue proprietà, ciò nono-stante possiamo tener conto del suo uso culinario in quanto i frutti vengono molto utilizzati, ad esempio nella preparazione dell' umeboshi, un diffuso condi-mento asiatico. Oppure il succo dei frutti viene estratto tenendoli sotto zucchero e serve come base per una be-vanda rinfrescante, dal sapore agrodolce, spesso usata in estate. In Corea, il succo di Maesil', che è commercia-lizzato come una bibita salutare, sta godendo di una crescente popolarità. I frutti vengono anche utilizzati per aromatizzare l'aceto (umezu o umesu).

L'umeboshi è un popolare condimento della cucina giapponese a base di prugne salate. Vengono uti-lizzate, abitualmente, le prugne giapponesi arrivate a maturità. Il colore naturale è un bruno aranciato - dato dal contenuto in beta-carotene - ; spesso tuttavia si pre-ferisce colorare l'umeboshi per fargli assumere un più piacevole colore rosso. La colorazione viene effettuata mediante le foglie di shiso, una pianta aromatica, molto ricche di antociani. L'umeboshi ha un gusto accentuato acido e salato dato principalmente dalla macerazione delle prugne nel sale.

L’umeboshi e quindi il prumus mume, hanno delle proprietà terapeutiche date dal beta-carotene che agiscono nella prevenzione delle malattie cardiovascola-ri, di alcuni tipi di tumore e dell’invecchiamento. Il be-ta-carotene è contenuto nei frutti come le albicocche, i cachi, i meloni, le pesche, le arance e nelle verdure co-me le carote, i pomodori, la zucca gialla, i peperoni ros-si, ma anche verdure a foglia verde come gli spinaci, i broccoli, le rape e la cicoria. Il beta-carotene, giunto nell'intestino, viene convertito in parte in vitamina A, una sostanza fondamentale per la salute della pelle e degli occhi, e il resto viene assorbito e immagazzinato come tale. È fondamentale per il nostro organismo in quanto offre una vera e propria protezione nei confronti delle malattie cardiovascolari e di alcuni tipi di tumore. Ecco l’importanza di una dieta alimentare ricca di frutta e verdura, per l’ elevata assunzione di vi-tamine e sostanze ad azione antiossidante naturalmente presenti in questi alimenti (beta-carotene, vitamina C, vitamina E, selenio).

Le sostanze antiossidanti avrebbero infatti la capacità di neutralizzare almeno in parte i "radicali libe-ri", prodotti di scarto che si formano costantemente nel corso delle reazioni cellulari e capaci, attraverso reazio-ni chimiche definite ossidazioni, di danneggiare cellule e tessuti dell'organismo.

Potrebbe esserci un effetto indesiderato nell’as-sunzione di troppo beta carotene, che si manifesta in genere quando esso viene integrato, difficilmente succe-de solo con l’alimentazione, e può essere la comparsa di una colorazione giallastra, soprattutto del palmo della mano e della pianta del piede (carotenodermia): questo inestetismo che si manifesta nell'arco di 2-6 setti-mane è solitamente dovuto all'assunzione di una quanti-tà eccessiva beta-carotene; si attenua e scompare riducendo o sospendendo l'assunzione.

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aumentare il numero dei rami, ma serve anche ad aumentare il numero di gemme da fiore per la vegetazione successiva.

AVVOLGIMENTO - Applicare il filo dalla primavera all'estate proteggendo la corteccia e procedendo con cautela per la fragilità dei rami. È meglio evita-re l’applicazione di questa tecnica e formare la pianta soprattutto con le potature. Eventualmente si può ricorrere ad altre tecniche come tiranti, pesi, morsetti, etc.

IRRIGAZIONE - Un punto focale nella coltivazione del Prunus è l’annaffiatura: evitare che manchi l’acqua, che la pianta consuma in gran quantità. Durante l’inverno si può decidere di ridurre molto l’apporto di acqua: questo comporta la formazione molte gemme da fiore per la stagione

successiva ma rischia di debilitare seriamente la pianta. C’è da dire, comunque, che i Prunus Mu-me fioriscono abbondantemente, eccetto per alcune varietà vecchie e rare; perciò possiamo concimare e irrigare abbondantemente, ripe-tendo la pinzatura e la filatura.

CONCIMAZIONE - Anche la concimazione è molto importante poiché, se il Prunus perde forza, nella primavera seguente la maggior parte delle gemme sarà solo da fiore, il che è un problema per la continuazione della ramificazione. Si consi-glia l’utilizzo di concimi organici a lenta cessione ogni 20-30 giorni dalla primavera, dopo la fioritu-ra, all'autunno con un intervallo a luglio e agosto. In autunno utilizzeremo prodotti ricchi di potas-sio e fosforo. In caso di rinvaso non fertilizzare per tre mesi.

Dopo aver lavato i frutti freschi e maturi, questi vengono lasciati per alcuni minuti nell'acqua fredda per togliere l'amaro. In seguito vengono scolati ed asciugati con un panno. I frutti vengono poi disposti sul fondo di un recipiente adatto (prima ste-rilizzato con acqua bollente) e spruzzati o vaporizzati con acquavite. Viene a que-sto punto aggiunto il sale (in proporzione di circa 200 grammi di sale per chilo di frutta) mescolando accuratamente affinché il sale penetri bene nei frutti.

A questo stadio l'umeboshi può essere consumato ma più frequentemente viene colorato di rosso con le foglie di shiso. Dopo aver lavato le foglie nell'acqua fredda, queste vengono mescolate al sale marino. Questo miscuglio viene disposto a strati, con le prugne per favorire la fermentazione. Il recipiente viene coperto con un peso per ben pressare i frutti nella loro salamoia che deve durare da quattro a cinque settimane. Quando la fermentazione è avvenuta le prugne vengo-no ritirate e fatte seccare. Possono essere consumate intere o ridotte in polvere a formare un condimento chiamato shiso momiji.

PREPARAZIONE DELL’UMEBOSHI

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SHISO - Visto che ho nominato le foglie di questa pianta mi sembra giusto parlarne. La Perilla è una pianta erba-cea annuale della famiglia delle lamina-cee alla quale appartengono anche la menta, il basilico e il timo. Può arriva-re all’altezza di 1 metro e le foglie so-no verdi (aoshiso – perilla bianca) o porpora (akashiso – perilla rossa), piuttosto grandi e con i contorni se-ghettati.

Produce un’infiorescenza esti-va (a partire da Luglio) con piccoli fiori bianchi, rosa o lilla, da cui poi si svi-lupperanno i semi. E’ molto bella anche come pianta ornamentale, ma bi-sogna fare attenzione ai suoi numerosi semi che si propagano e possono farne una pianta altamente infestante.

La Perilla è nativa dell’Asia orientale (Cina, Giappone, Tailandia, Corea). La sua coltivazione è molto semplice in quanto non ha bisogno di cure particolari: sole quanto basta e

terreno drenante che mantiene una buona umidità. Le foglie di shiso hanno un gusto molto piacevole e vengono usate nella cucina giappone-se per aromatizzare i piatti (sushi, riso, zuppe o salse), in insalata o fritte (tenpura). Il seme, inoltre, fornisce un olio da cucina nutriente e ricco di Ome-ga 3, mentre lo shiso rosso viene anche usato per dare colore a molti piatti marinati come ho già anticipato all’umeboshi).

Foglie spezzettate di shiso ros-so mischiato al riso al vapore subito do-po averne ultimato la cottura, gli forniscono un bel colore rosa e un sapo-re leggermente speziato, molto buono. Tagliato a striscioline e messo nello tsuyu, aromatizza i piatti di soba e udon freddi. Si può usare anche per aromatizzare spaghetti e pizza, al po-sto del basilico

Lo shiso ha anche proprietà medicinali: le foglie hanno proprietà

antibiotiche e sono ricche di vitamina A, B2, ed E, contengono inoltre calcio e ferro. L’olio estratto dai semi è ricco di acidi grassi polinsaturi, in particola-re l’omega 3, i più potenti tra gli anti-ossidanti vegetali, presenti anche nel pesce, i quali esercitano sull’organi-smo una funzione particolarmente be-nefica.

Oltre a costituire un ottimo ri-medio contro l’invecchiamento cuta-neo e il decadimento fisico, mantenendo vitali, lubrificate e idratate mucose e pelle, la Perilla può essere usata anche come antiallergico e antinfiammatorio, inoltre può essere importante anche per il suo ruolo pre-ventivo rispetto alle malattie cardiova-scolari. D’altronde è stato usato per secoli nella medicina orientale come antiasmatico, antibatterico, antimicro-bico, antipiretico (febbre), antisettico, antispasmodico, come farmaco antitos-se, e per le sue caratteristiche

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RINVASO - Nel Prunus il rinvaso va effettuato a radice nuda ogni anno per le piante giovani, ogni 2-3 anni per esemplari più maturi . Il periodo più indicato è in primavera, dopo l' appassimento dei fiori, o in autunno, dopo la caduta delle foglie. Utilizze-remo un terriccio composto da: 60% akadama, 30% torba e 10% sabbia grossolana, ricco di sostanza organi-ca, non eccessivamente drenante e molto poroso.

Il vaso deve essere abba-stanza profondo e smaltato con colo-ri che mettano in risalto la fioritura di queste piante.

PARASSITI E MALATTIE - I nuovi germogli sono soggetti all’attacco degli afidi, per cui utilizzeremo un insetticida preventivo. I Prunus come tutte le ro-sacee possono andare incontro a mal bianco o oidio, corineo, ruggine fo-gliare, mal del piombo parassitario, cancri fungini ai rami, marciumi radi-cali, tumore batterico alle radici, cancro batterico, virosi varie, carie del legno, galle al colletto.

emollienti, espettoranti, ristoratrici, co-me tonico e anche per combattere la nausea in gravidanza. La perilla contie-ne molti antociani il cui nome deriva dall'unione delle parole greche "antro kyanos" = fiore blu; sono pigmenti colo-rati presenti in quasi tutti i frutti e gli ortaggi presenti in natura, ai quali conferiscono le sfumature del rosso e del blu. Alcuni ritengono che gli anto-ciani siano essenziali per attirare, dapprima gli insetti impollinatori sul fio-re, e, successivamente, gli animali sul frutto. Certi autori attribuiscono a que-sti pigmenti la capacità di filtrare le ra-diazioni solari nocive ; altri ancora estendono questa ipotesi attribuendo agli antociani una funzione protettiva dalla siccità nei momenti di illuminazio-ne elevata.

Gli antociani, pur non es-sendo indispensabili per la nutrizione umana, esercitano un'azione positiva sull'intero organismo, un vero e pro-

prio antidoto naturale contro l’invecchiamento. La proprietà più inte-ressante degli antociani riguarda l'azio-ne protettiva sul microcircolo. Per questo motivo il succo di mirtillo, che rappresenta la principale fonte natura-le di glicosidi antocianici, viene so-vente consigliato per combattere la fragilità capillare ( cellulite, varici, emorroidi); inoltre, grazie alla sua azio-ne antiedemigena ( contro l’edema, il gonfiore), è molto utile per risolvere i problemi di ritenzione idrica. Gli anto-ciani del mirtillo sono importanti anche per il trattamento della fragilità e della permeabilità capillare dell'occhio.

Ai glicosidi antocianici vengo-no attribuite proprietà antinfiammato-rie ed antiaggreganti piastriniche che, unitamente all'azione vasodilatatoria ed antiossidante, costituiscono un vero toccasana per l'intero sistema cardiova-scolare e una delle più valide protezio-

ni contro gli effetti negativi indotti dall’ipercolesterolemia.

Infine, gli antociani hanno azione scavenanger (scova rifiu-ti) sui radicali liberi e sono quindi importantissimi per il benessere gene-rale dell'organismo (protezione dagli agenti cancerogeni)) e per rallentare l'ineluttabile fenomeno biologico dell'invecchiamento.

Le fonti naturali più ricche di queste sostanze sono i frutti di bosco, le melanzane, l'uva scura e la bietola rossa. Gli antociani abbondano anche nei fiori della malva e del carcadè, co-sì come nelle arance, nelle ciliege, nelle mele, nelle fragole e nelle pere. In linea generale tanto più il loro colo-rito (rossastro o bluaceo) è intenso e tanto maggiore è il prezioso carico di antociani.

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L' Umeshu (a volte tradotto come "succo di pru-no") è una dolce bevanda alcolica giapponese e coreana prodotta immergendo i frutti verdi in shochu (un liquore). “ume” vuol dire “pru-gna” (ma è una prugna giapponese che sembra un’albicocca, le stesse usate per le umeboshi) e “shu” che vuol dire “alcool”. Il sapore e l'aroma dell'umeshu può attirare persino quelle persone che normalmente disdegnano gli alcolici.

La ricetta è molto semplice, ci vogliono:· 1 kg di prugne giapponesi acerbe, ma vanno bene le prugne italiane o anche le albicocche. · 1.8 l di liquore a 35 gradi vodka o grappa· da 400 a 600 grammi di zucchero o miele. Le prugne vanno lavate e pulite accuratamente, mondate del picciolo e asciugate bene. Non danneggiare la buccia durante il lavaggio. In un grande contenitore perfettamente pulito di vetro (ideali quelli con la chiusura ermetica da 3 o 4 li-tri), fate uno strato di frutta, poi mettete lo zucchero o il miele, lo zucchero nero d’Okina-wa, per conferire un aroma speciale. Quindi co-prite ancora con la frutta restante. Coprite il tutto con il liquore scelto. Lasciare l’umeshu in un luo-go protetto e al riparo dalla luce, deve maturare almeno 3 mesi.

Si beve liscio, con ghiaccio o allungato in acqua calda o fredda oppure con soda o acqua tonica. Non dimenticate di mettere alme-no una prugna nel bicchiere: bisogna mangiare anche quella!

Cin Cin! Anzi... Kanpai!

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