Bonsai & Suiseki magazine - Gennaio-Febbraio 2013

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Bonsai & Suiseki magazine - Gennaio-Febbraio 2013 - ----------- THE FIRST OPEN-MAGAZINE from the world of Bonsai and Suiseki. The magazine is an informative, scientific and technical instrument open to all. Free and online.

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BSM ‐ Anno V n. 1 ‐ Gennaio/Febbraio 2013

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IN COLLABORAZIONE CON

CONTRIBUTORS

Sergio Biagi, Fabio Canneta, Antonio Conte, Stefania Cornario, GianLuigi Enny, L., Filippo Lanfranchi, Silvia Orsi, Luca Ramacciotti, Anna Li‐sa Somma, Andrea Trevisan

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BONSATIREGGIANDO

Antonio RicchiariEditoriale

DAL MONDO DI BONSAI & SUISEKI

EDITORIALE

SECRET WORLD

BONSAI‐DO: PRATICA E SAPERE

8

Fabio CannetaL'albero10

Gian Luigi EnnyIl design nel giapponese18Luca RamacciottiIl principio del Kado22Gian Luigi EnnySuiseki. Valutazione di un

luogo di raccolta30

Massimo BanderaIl fascino varietale36

AGRONOMIA BONSAISTICA

Luca BragazziL'acqua di irrigazione e la sua

qualità42

Antonio RicchiariLa misura di un uomo34

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Antonio RicchiariEditoriale

SOMMARIO

DAL MONDO DI BONSAI & SUISEKI

EDITORIALE

SECRET WORLD

BONSAI‐DO: PRATICA E SAPERE

8

Fabio CannetaL'albero10

Gian Luigi EnnyIl design nel giapponese18Luca RamacciottiIl principio del Kado22Gian Luigi EnnySuiseki. Valutazione di un

luogo di raccolta30

Massimo BanderaIl fascino varietale36

38

18 10

36

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AGRONOMIA BONSAISTICA

Luca BragazziL'acqua di irrigazione e la sua

qualità42

Antonio RicchiariLa misura di un uomo34

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SOMMARIO

IN LIBRERIA

Silvia OrsiPiante spontanee, shitakusa ekusamono

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LA MIA ESPERIENZA

Sergio BiagiIl Nastro46Antonio ConteUn silvestre da rimodellare54Andrea TrevisanIl primo Step60

A LEZIONE DI SUISEKI & CO.

Luciana QueiroloTree root Scholar's Stone70

Antonio AcamporaKengai. La potenza dellanatura

OGGI PARLIAMO DI...

Anna Lisa SommaUn amore e due paia di ali

IL GIAPPONE VISTO DA VICINO

109Hitoshi ShirotaHitoshi's World110

L'OPINIONE DI...

Pietro StradaSilvia Orsi87

96

87

60

46

70

BSM AWARD

Filippo LanfranchiIl pozzo dei desideri96

Carlo ScafuriBonsai. Il concetto, l'estetica,la filosofia

45L.Se una mattina d'invernoun viaggiatore

BONSAINAUTA

106

100

Antonio RicchiariLa casa giapponese117

Stefania CornarioKokeshi. Una tradizioneche sfida il futuro

112

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SOMMARIO

Antonio AcamporaKengai. La potenza dellanatura

OGGI PARLIAMO DI...

Anna Lisa SommaUn amore e due paia di ali

IL GIAPPONE VISTO DA VICINO

109Hitoshi ShirotaHitoshi's World110

112109

100 112

117

L.Se una mattina d'invernoun viaggiatore

BONSAINAUTA

106

100

Antonio RicchiariLa casa giapponese117

Stefania CornarioKokeshi. Una tradizioneche sfida il futuro

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Anche l’arte del bonsai è una forma didialogo. Non nasce nella solitudine di

una serra, ma è una costruzione collettiva. E’tentativo di aprirsi all’altro. Strategia percondividere esperienze, per rimodulareintenzioni, per ripensare progetti. E’ ascolto econfronto. Dialettica. Scambio di esperienze.Avventura che porta il bonsaista ad uscire dalproprio “io”, ad abbandonare le prerogativedell’individualità, per aprirsi al “noi”, ad unapluriautorialità.

Dunque arte del bonsai come parte‐cipazione. Oppure tutte queste cose belle eidealistiche sono pura utopia? Da quello chequalche volta si vede in giro sarei tentato didire di sì, ma la mia natura volge sempreall’ottimismo, quindi spero proprio di no.

I propositi, nel nostro caso riguarda‐no il neo nato 2013, sono la cosa piùimportante e costruttiva perché riguardano ilfuturo della nostra rivista, nostra poichè èpatrimonio dei lettori. Continuiamo il nostrolavoro seguendo la linea editoriale tracciatadall’inizio che significa assoluta e attenta pro‐fessionalità; informazione a 360°, collabora‐zione aperta a tutti e con tutti nell’interesseesclusivo di una migliore diffusione delbonsai e del suiseki. Il Magazine è un openspace, non è riservato a pochi, non è setto‐riale, non è di “parrocchia”. E’ anche questala nostra forza, assieme all’originalità ed alprimato, e questo non ce lo potrà toglieremai nessuno.

Auguriamo a tutti gli amici un serenoe felice 2013 all’insegna della pace e dellafratellanza perché è di questo che l’uomod’oggi ha bisogno. Noi ci rimbocchiamo lemaniche e riprendiamo il nostro lavoro, conla promessa che anche quest’anno il Magazi‐ne riserverà ai propri lettori molte sorprese.Le pagine saranno piene di contenuti e dinovità.

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di Fabio CANNETA

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A pedibus usque ad caput / Dai piedi alla testa

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Ab imis fundamentis / Dalle radici più profonde

Do ut des / Dare e avere

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Eadem mutata risurgo / Risorge uguale eppure diversa

Augere fini imperi / Accrescere i confini dell’impero

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Ab aestus et tempestae / Dal caldo alla tempesta

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Sfida la gravità alla ricerca della luce proteso verso il cieloa voler sfiorare le nuvole non più così lontane.

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Osservando attenta‐mente i giardinigiapponesi viaccorgerete che

offrono una bellezza naturaleche dura tutto l’anno, a diffe‐renza di quelli in stile inglese,che puntano maggiormente allevarietà di splendore floreale ca‐ratterizzata in primavera‐estate escompaiono completamentedalla fine dell’ autunno, i giardininipponici si basano princi‐palmente sull'uso di piantesempreverdi che vengono collo‐cate nei piccoli spazi e lavoratedalle sapienti mani del maestrogiardiniere.

La filosofia di fondo del giardinogiapponese è quello di ricreare ilpaesaggio naturale in miniatura(esempio uno scenario montanocon cascate e torrenti).

Questa vista della natu‐ra dallo stile molto affascinante ècontinuamente ricercata conogni mezzo. Ciò che molti occi‐dentali apprezzano circa lo stilegiapponese è l'uso di pietre aforma di montagna e l’usodell'acqua, la maggior parte dellepersone, sembrano veramenteincantarsi e ammirare tali ele‐menti.

Vi è un numero enormedi piante autoctone non solo in

Wabi ‐ Sabi. Qui è depositata la patina del tempo

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Asia ma anche in Europa, che, sesapientemente potate, si adattanoperfettamente ai giardini di ispira‐zione giapponese, qualcheesempio di piante nostrane: ci‐pressi, agrifogli, abeti, piniolmi,prugnoli, faggi aceri campe‐stri, ecc.

Chiaramente andrà limi‐tato il numero di varietà: come ilbonsai, anche il giardino giappo‐nese sarà composto da vuoti e dapieni, è bandita la ripetizione,creando in questo modo un sensodi continuità che è partico‐larmente rilevante nei piccoli spa‐zi.

Nella realizzazione delgiardino orientale è importantecreare una tavolozza controllata,pertanto lasciate che predomina‐no tonalità di verde per lamaggior parte dell'anno, questostile rifugge dal’opulenza edall’abbondanza dei colorisgargianti molto abusata in acci‐dente specialmente sotto forma difioritura di qualsiasi genere. Spes‐so ricercate invece quell’essenzeutilizzate per mostrare il tra‐scorrere delle stagioni (latifogliedai colori caldi in autunno), madeve essere gestita attraversoalcuni esemplari ben collocati.Importante per una buona rea‐lizzazione usare un contrastoadeguato tra le varie essenze,anche in questo caso si tratta diforma, colore e consistenze di‐verse, per esempio una formaglobosa di azalee affiancata arocce dal colore grigio darà risaltomaggiore al complesso roccioso,mentre accostano bene le larghefoglie di un acero accanto agliaghi appuntiti di un pino.

Come ho già detto,arbusti sempreverdi sono la spinadorsale del giardino giapponese,molti di questi cespugli fanno undoppio lavoro, aggiungendo al fo‐gliame verde la produzione di fio‐

1. La naturalezza dei muschi formatisi neltempo è impareggiabile ‐ 2. Un pinomugo in primo piano ‐ 3. Con gli anni lapatina del tempo si depositerà donandoal giardino un fascino unico ed irripetibile

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riture stagionali, invece alcune piante perenni come iris e ellebori offrirannointeressante fogliame per tutto l'anno, buona cosa sarà quando si utilizzanopiante erbacee come hosta e felci, accostarle alle vaschette dell’acqua(tsuku‐bai) o alle lampade votive.

Conoscere le tecniche di base del bonsai sarà molto vantaggioso,queste possono essere applicati a pini e altri alberi per limitare la loro crescitae dimensione particolarmente voluta in questi piccoli giardini, aiutando nellostesso tempo a raggiungere la forma contorta e impalcata, caratteristica dellostile orientale.

Un giardino ben fatto tenderà a conferire una sensazione di antichi‐tà e di atemporalità, ricordate poi che, con gli anni si formeranno muschi elicheni i quali depositando sulle vaschette, sulle lanterne e sulle rocce confe‐riranno quella patina del tempo che, all’osservatore più attento ricorderàmolto quello stato d’animo di Wabi.

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Cipressi, bossi, ginepri, piante autoctone delle nostre regioniperfettamente inseriti nel giardino in stile orientale

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Piccolo torrente

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La lavorazione del materiale, il gioco delle superfici fogliari sono tutti temi tipici dellaScuola Sogetsu che permettono all'artista di mettere in campo tutta la sua creatività.

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Imparare l'arte dell'ikebananon vuol dire prendere lezio‐ni su come si dispongono ifiori in maniera artistica, ma

compenetrare una visione delmondo aliena al nostro modo divivere la quotidianità.

In Italia spesso c'è ilfraintendimento che l'ikebana siaprettamente un'arte femminile.Nel nostro immaginario c'è la clas‐sica scena della geisha che compo‐ne ikebana. In realtà, come tutte learti giapponesi, era di esclusivoappannaggio degli uomini tanto evero che solo dalla metà del perio‐do Edo (1600‐1868) le donnegiapponesi iniziarono ad accederea quest'arte dopo secoli che eranata.

Gli stessi Iemoto(fondatori di una scuola) sonsempre stati degli uomini. E ciòper far meglio comprendere comenon ci si accinga, con l'ikebana, afare delle belle composizioni damostrare agli amici, ma ad intra‐prendere un percorso atto a farciosservare meglio la natura e ascrollarci di dosso i problemi dellaquotidianità.

Inizialmente quest’arteera nota con il nome di kadō (lavia dei fiori) termine antecedente

ad ikebana che comparirà nellinguaggio corrente prima del XVIIIsec.

Per questo quando entria‐mo in un'aula di ikebana dobbia‐mo spegnere i nostri telefoni elasciare oltre la soglia i problemiche possiamo avere nella vita quo‐tidiana. Spegnamo tutti i rumorireali e mentali ed iniziamo il no‐stro cammino lungo la via dei fiori.

Il maestro metteràl’occorrente, per realizzare il no‐stro ikebana, a portata di mano.Non dobbiamo alzarci perchéquesto spezzerebbe la nostraconcentrazione. Davanti a noiavremo il contenitore nel qualedisporre il materiale (suiban è laciotola bassa e tsubo il contenitoreverticale), una ciotola per effettua‐re il taglio dei fiori in acqua (equindi prolungarne la durata),ilkenzan (il supporto per gli ikebanaeffettuati nel suiban) e le cesoie.Ogni allievo deve avere il propriospazio e materiale; non sarebbemale se ognuno possedesse le ce‐soie (le hasami sono quelle ideateproprio a questo scopo) perché lanostra mano piano piano impari ariconoscerle, ad abituarsi ad esse.

Il tavolo su cui andremo acomporre l’ikebana deve essere

pulito costantemente dall'allievoperché la confusione non ci aiute‐rà nel nostro lavoro e non sarebbemale avere a portata di mano unpiccolo asciugamano (quello pergli ospiti è della grandezza giusta)su cui poseremo le cesoie per nonfar rumore e che ci aiuterà anche arimuovere eventuali gocce diacqua utilizzata per riempire i vasi.Iniziamo ad osservare il materialevegetale che il maestro ci avrà po‐sto innanzi.

Questo è il momento piùimportante nella realizzazione diun ikebana dato che dovremo os‐servare ogni singolo dettaglio delfiore, della foglia, del ramo postoalla nostra attenzione.

Con le mani seguiremol'andamento del fusto, percepire‐mo la ruvidezza o la morbidezzadel materiale, ne saggeremo l'ela‐sticità, osserveremo come la co‐rolla si schiude e si porge a noi.

Un ikebanista deveannullare totalmente il personale“questo mi piace, questo non mipiace”.

Tale atteggiamento, chegli allievi potrebbero avere allaprima lezione, va subito eliminatodato che questa forma di pre‐concetto ci porterebbe a lavorare

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Quando si idea un ikebana dobbiamo anche pensare al contesto in cui andremo a collocarlo.Quale tipo di luce cadrà su di esso, cosa avrà come sfondo, in quale punto della casa, della hall(nel caso di installazioni per alberghi o centri congressi) verrà posizionato. L'ikebana può ancheessere ideato per un museo (nella Sogetsu gli ikebana sono delle vere e proprie sculture) e inquesto caso può essere interessante collaborare con un artista che permetta di posizionare l'ike‐bana vicino ad un suo lavoro in modo da formare un unico connubio. Ho avuto la fortuna dipoter lavorare con Gioni David Parra che, appassionatosi all'ikebana, ha voluto spingersi oltreandando non ad affiancare l'ikebana ai suoi quadri, ma a farne un'unica opera. E' così natoquesto lavoro dove il suo dipinto Con‐Tatto (ink su carta velina, cm 100 x 150) diviene parteintegrante del mio ikebana e viceversa. Abbiamo studiato li colori, la struttura autoreggentedell'ikebana, le forme, tutto è stato elaborato nei minimi dettagli affinchè l'occhio dell'osservato‐re non percepisse due cose distinte messe poi assieme.

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male.Ogni esternazione della natura ha unasua bellezza, un suo valore. Sta a noiattraverso lo studio, l'osservazione,capire quello che la natura ci suggeri‐sce e comprendere quale linea vadarealizzata per mettere in risalto la pe‐culiarità del materiale che stiamo la‐vorando.

Se un ramo, un fiore, una fo‐glia hanno un andamento che ci pia‐ce, ma stona con il resto dell’ikebanalo toglieremo per posizionarlo diffe‐rentemente.L'ikebana si realizza man mano cheaggiungiamo materiale, lo lavoriamo,lo spostiamo a seconda di come ve‐diamo che interagiscono gli elementitra di loro. Non è detto che una voltache posizioniamo qualcosa questodebba rimanere fissato per l'eternità se“stona” con il resto degli elementi;dobbiamo arrivare ad avere unacomposizione che sia equilibrio,armonia ed asimmetria (il simmetricodà una sensazione di stabile, fermo,l'asimmetria di qualcosa di vivo, inmovimento).

Stile libero. Il vaso è tipico della scuola Sogetsu epermette di giocare sia con le linee dritte che con lecurve alternando pieni e vuoti. Questo ikebana è statoideato per un progetto fotografico di Lorenzo Palombiniche è l'autore della fotografia.

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Dopo aver lavorato il materia‐le vegetale al 50% circa ed aver decisolo stile da eseguire (o il maestro ci haspiegato cosa dovremo fare) iniziamo lacomposizione.

Dobbiamo sempre lavorareusando entrambe le mani, standocomposti, il nostro corpo deve per pri‐mo esprimere armonia mentre andia‐mo a ricrearla nell’ikebana; niente gestibruschi, niente posture fisiche scoordi‐nate, le nostre mani, il materiale vege‐tale e la nostra mente sono un'unicofluire costante.La pratica ci permetterà la padronanzadelle tecniche e dei movimenti (“Fromformality comes fredoom” era il mottodi Sofu Teshigahara fondatore dellascuola Sogetsu ); chi si accinge allo stu‐

dio di un'arte sa che il costante allena‐mento è alla base di una buona resa.Riservare qualche ora a questa praticanell'arco della giornata potrebbe far sìche ci si scrolli da dosso le tensioniaccumulate.

Man mano che tagliamo ilmateriale non andremo a gettarlo aterra, in quanto per l’ikebana èimportante sia quello usato quantoquello eliminato. Prima di tutto po‐tremmo ricorrere ad esso per comple‐tare il nostro lavoro, oppure anche percreare altri ikebana. Inoltre è propriouna questione di rispetto per la naturache si è offerta a noi.

Una volta che avremo termi‐nato il nostro lavoro lo sottoporremoall'attenzione del maestro e con umiltà

accetteremo le sue correzioni. In ike‐bana non c'è posto per l'egocentrismo.Se il maestro ci da un tipo di materiale,un contenitore che non ci aggrada,dobbiamo sempre ricordare che siamolì per imparare e che il maestro non fanulla per caso.

Seguendo fedelmente ilpercorso che il maestro traccia ciaccorgeremo che con calma e bellezzala natura si disvela a noi e che quelleregole che all'inizio ci spaventavano oci obbligavano entro precisi confini so‐no divenuti per norma e li andremo adapplicare senza pensarci. Anche perchél'ikebana si fa più con il cure che con lamente.

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Questo ikebana è stato realizzato nell'ambito di una mostra di ce‐ramiche di Susy Pugliese in onore della maestra Sogetsu MariaGrazia Rosi. L'ikebana incorpora un ben preciso spazio, quirappresentato dal secondo vaso, andando oltre ai limitativi confinidel contenitore. La Scuola Sogetsu porta l'ikebanista a integrarel'ikebana e il mondo ad esso circostante.

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Nella mia esperienza hoappreso che le pietre sipossono trovare ovunque,dai litorali marini, ai letti

di torrenti in secca, oppure suisentieri battuti di montagna, maanche nei campi, valli e boschi, e vo‐lendo la lista è infinita, pensate chequando avevo ancora il mio caneRocky durante le nostre uscitegiornaliere qui in città, capitava spes‐so di imbattersi in vari lavori di scavoper la posa di nuove tubature o perl’ampliamento delle strade e propriodurante questi scavi sono riuscito a

trovare alcuni pezzi singolari, a ognibuon conto, le migliori pietre si tro‐vano in contesti e condizioni naturaliben più precisi che andremo ad ana‐lizzare.

Nella scelta del luogo per laricerca di pietre è importante cono‐scere alcuni particolari, per esempiose l'erosione del terreno è dovutadalle intense piogge, valutare anchezone sabbiose dove il vento è moltoelevato, oppure luoghi in cui si trova‐no torrenti e orridi con acque incontinuo movimento, ottime le ondedei laghi e dei mari che contribuisco‐

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Sentiero delle Orobie bergamasche

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no con il loro moto a mo‐dellare le pietre. Lo sonoanche i grandi fiumi che attra‐versano le nostre regioniportandosi appresso dai montiqualsiasi forma di detrito mi‐nerale, da non tralasciare ru‐scelli in secca, insomma nonbisogna trascurare nulla, lanostra attenzione diraccattatori di pietre come sisa è sempre attenta a qualsiasioccasione.

Consideriamo oraalcuni di questi luoghi in cui

le pietre sono spesso trovate.Volendo fare una specie distatistica personalmentemetterei al primo posto comequantità di materiale e di ri‐trovamenti le montagne e lecolline con le loro valli, inquesti luoghi è facile trovaremolte pietre di tutte le formee tipologie minerarie.Purtroppo il materiale raccoltoin questi luoghi la maggiorparte delle volte è semi‐sommerso sotto il livello delterreno, quindi naturalmente

bisognerà scavare conzappette e attrezzi per far levasulle pietre da estrarre e, ine‐vitabilmente gli esemplari re‐cuperati la maggior parte dellevolte saranno molto sporchi difango con parecchie incrosta‐zioni indesiderate, chiara‐mente una volta a casa perpulirle, olio di gomito amici!Subito dopo posterei fiumi etorrenti, sulle loro rive ilmateriale che si può recupe‐rare è tantissimo, con ilvantaggio che questo è quasi

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1. Pietra raccolta in città du‐rante la ristrutturazione diuna strada ‐ 2, 3.Giacopiane, famoso lagodella Liguria dove si possonoestrarre bellissimi suiseki.

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sempre pulito, l’unico punto a sfavore rimanela difficoltà di trovare buone pietre con cimedalle forme montagnose, come sappiamol’acqua e la sabbia che scorre con il temposmussa le rocce.

Una volta arrivati nel punto in cui sidesidera effettuare la ricerca delle pietre, pri‐ma di cominciare la raccolta si esploraparzialmente l’area per valutare più o menola potenzialità del sito.

Si potrebbe quindi segnare i puntidove vengono individuate le probabili pietreda raccogliere con pezzetti di legno piantatinel terreno in modo ben visibile, oppure conun mucchietto di sassi.

Quando si rimuovono le pietre pervalutarne la forma o per raccoglierle, è buonanorma ricoprire il buco lasciato, in questomodo eventuali animaletti che hanno stabili‐to lì sotto la loro dimora, potranno continua‐re a beneficiare di quel riparo, questa è

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4, 5, 6. Mani esperte mentre estraggono dal sottosuolo un bel futurosuiseki

Tratto di sponda del grande fiume Po

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sopratutto un intelligente pratica ecologicache mostra rispetto e gratitudine per i doniche la natura ci offre.

Altra cosa che io ritengo importanteè il rispetto per il patrimonio demaniale e perquello privato, noi collezionisti di pietradobbiamo ricordarci di usare la massimacortesia e rispetto, senza mai sconfinare inlatifondi privati, tantomeno se recintati, èconsigliabile onde evitare inutili e fastidiosediscussioni chiedere sempre l’autorizzazioneal proprietario del fondo prima di entrare,oall’ente che tutela la zona, una volta ottenuta,ricordiamoci di nuocere al terreno e allecolture il meno possibile evitando di lasciarebuche sparse e resti di bivacco, solo cosìquelli che verranno dopo di noi potranno aloro volta ottenere il permesso per nuoveraccolte.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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7. Torrenti di montagna ‐ 8. Rocce sul litorale marino ‐ 9. Pietra trovatasulla spiaggia di Tabarka in Tunisia

Tratto di sponda del grande fiume Po

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Voglio scrivere di Luigi Crespi.E lo spunto me lo fornisce lanotizia che è stato insignitodall’Imperatore del Giappone

Akihito della prestigiosa onorificenza“Ordine del Sol Levante, Raggi in Oroe Argento”, per il suo contributo eimpegno alla diffusione e alla promo‐zione della cultura giapponese. E’ unriconoscimento di altissimo pregio, unodei più antichi dell’Impero del Giappo‐ne. E il fatto che sia stato assegnato adun italiano accresce il suo valore.

Mi faccio scrupolo a scriveredi lui per quel senso di riservatezza cheha sempre caratterizzato questo grandepersonaggio del bonsai italiano. Luigiha celebrato l’anno scorso icinquat’anni di attività dall’apertura delprimo negozio che ne avrebbe fattouna azienda leader a livello mondiale.

Il suo interesse per il bonsai è datato1959, quando ebbe l’occasione diacquistare da un importatore di orchi‐dee un ginkgo biloba, un pino edun’azalea. Da quel momento Crespi,con grande abilità imprenditoriale si èimposto a livello mondiale comemarchio di prestigio per una serie difattori che includono una grandeofferta anche a livello qualitativo dibonsai, di articoli correlati e ad unqualificato servizio di assistenza per laclientela.

Gli anni ’70 vedono Luigi eLuisa Crespi in giro per il mondo e pro‐prio in quel periodo aumenta a dismi‐sura l’interesse prima, la passione el’amore per il bonsai. E’ proprio dal1979 che loro entrano in contatto inGiappone con questo mondo assoluta‐mente affascinante e talmente

coinvolgente da fare imprimere unasvolta decisiva all’attività che finora ri‐guardava il verde. Nasce così la CrespiBonsai che nel giro di pochi anni di‐verrà il primo centro italiano specia‐lizzato. Da quel momentocollaboreranno validamente i figli Lucae Susanna per quel che riguarda laparte commerciale e quella editoriale.

Devo dire che la figura di Lui‐gi, anche se coinvolge la partecommerciale, si astrae da questa poi‐ché in tutti questi anni i risultati chequesto uomo ha ottenuto, e non sonopochi, sono stati stimolati da unagrande passione per il bonsai che, al dilà dei dovuti guadagni, ha vistoinnanzitutto una forza trainante che gliha fatto diffondere in Italia la cultura el’amore per il bonsai.

Luigi, settantaquattro anni

4, 5, 6. Mani esperte mentre estraggono dal sottosuolo un bel futurosuiseki

FOTO © CRESPI EDITORI

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portati alla grande, con un applombetutto anglosassone che giova non pocoal suo fascino che mi si consenta defi‐nire di “principe‐pirata”, è anche uo‐mo di grande cultura per quel grandeamore per le arti dell’Oriente Estremo.L’orgoglio per il Crespi Museum, unadelle iniziative più prestigiose, inaugu‐rato nel 1991, per il “suo” Museo, cheoggi è fra i più belli e di valore almondo, traspira da tutti i pori quandofa da guida alle personalità e agliappassionati che vanno a Parabiagoper visitarlo.

Luigi è uno dei padri delbonsaismo italiano. Nel 1987 hafondato l’A.B.I. Associazione BonsaistiItaliani, che riuniva oltre venti ClubBonsai presenti su tutto il territorio ita‐liano. Ha pubblicato diversi libri, sioccupa della didattica e, altra iniziativadi grande rilievo, nel 1990 nasce Cre‐spi Editori allo scopo di diffonderel'arte del bonsai, oggi si rivolge anche almondo del verde in generale, alle arti ealle filosofie giapponesi. Pubblica il bi‐mestrale "Bonsai & news", la rivista piùautorevole e diffusa del settore. Fra lediverse pubblicazioni le ormai famoseminiguide, monografie dedicate allespecie bonsai, volumi incentrati sui di‐

versi aspetti dell'arte e della tecnicabonsai, sull'arte dei suiseki e sui giardinigiapponesi. Nel 1991 fonda l’Universi‐tà del Bonsai, una scuola unica chenon ha eguali al mondo, caratterizzatada una struttura didattica completaaltamente professionale, che in ventianni di attività ha formato oltre 400allievi. Anche in questo caso Luigi Cre‐spi ha colto nel segno, distinguendosiper iniziativa e anticipando altre formesimili nel campo della formazione cheperò lasciano sempre un ampio margi‐ne di originalità e alto livello formativoall’Università che rimane a tutt’oggiinsuperata.

Da molti anni Luigi si dedicacon passione anche allo sviluppo dellacultura giapponese e alla sua diffusionein Italia. Con cadenza biennale orga‐nizza, dal 1995, il Raduno Internazionedel Bonsai e del Suiseki, pro‐grammando concorsi e seminari suibonsai e invitando i maestri bonsaistipiù rinomati del Giappone, artisti epersonalità della cultura del Sol Le‐vante. E’ l’attuazione della “cross cultu‐re”.

Innumerevoli i riconoscimentiricevuti nelle varie manifestazione na‐zionali ed estere. Fra i tanti cito:

2006: consulente internazionale wbffworld bonsai friendship federation, unafederazione che opera a livellomondiale per la diffusione del bonsai.2008: riconoscimento e.s.a. (europeansuiseki association) e il riconoscimentowbff (world bonsai friendship fede‐ration) per il suo impegno nella diffu‐sione del bonsai in europa negli ultimitrent’anni.2010: MEMBRO ONORARIO DELLANIPPON BONSAI SAKKA KYOOKAIEUROPE FONDATA DAI MAESTRITOMIO YAMADA E HIDEO SUZUKI.2010: MEMBRO DEL COMITATODELLA DIFESA DEGLI OLIVI, UN’AS‐SOCIAZIONE A CUI COLLABORANOPERSONAGGI FAMOSI QUALICHARLES AZNAVOUR, UTO UGHI,GILLO DORFLES ECC.

Per tutto questo, per il contri‐buto e l’impegno profuso alla diffusio‐ne e alla promozione della culturagiapponese del bonsai, questo perso‐naggio ha richiamato l’attenzione eraccolto consenso e riconoscimento daparte del Giapppone, un Paese cui hadedicato e continua a dedicare inces‐santemente la sua vita con dedizione egrande passione. Buon lavoro, Luigi!

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7. Torrenti di montagna ‐ 8. Rocce sul litorale marino ‐ 9. Pietra trovatasulla spiaggia di Tabarka in Tunisia

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Acero Tridente - foto ©Angel Mota

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Durante una lezione colMaestro, ho avuto occa‐sione di parlare delle va‐rietà selezionate in

rapporto alla specie botanica. Per ilmaestro, che mi faceva notare tra letante solo piantine con le foglie mi‐gliori per bonsai, era fondamentaleche le varietà scelte per bonsaiall’interno di una specie, fossero ve‐ramente di quella bellezza “giusta”per il bonsai. Nel caso parlavamo diGinepri, dove nella foglia si cercasottigliezza e compattezza (cheesaltano la miniatura) sia che si trattidi specie botaniche, pure, raccoltein natura (ecotipi) sia che si tratti divarietà selezionate dall’uomo permutazione. Anche gli Aceri sono ri‐cercati nello stesso modo, come lepregiatissime varietà Seigen e Deso‐joo

La questione della varietànell’arte bonsai ci pone in una ve‐duta più naturale rispetto al florovi‐vaismo.Nella tradizione classica piùpura la specie botanica è quella dipiù alto valore estetico; chiaramenteil livello di naturalezza è al massimo.

Le varietà selezionatedall’uomo scoprono un aspettocreativo moderno, iniziato in realtàda quattro secoli, dove i coltivatoritirano fuori aspetti genetici nascosti,recessivi, per creare nuove piante, omeglio nuove varianti nell’ambitodella stessa specie.

Ricordo con piacere un miocarissimo allievo che considera il suoAcero un grande desiderio, chia‐mandolo “Sogno rosso”. Certo, pernoi occidentali, che siamo abituatiall’arte come bellezza impressio‐nante e appariscente, un bonsai con

Acero Tridente - foto ©Angel Mota

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Acer palmatum var. desojoo (aprile 2009) - foto © Pangrazi

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Ume OMOINOMAMA - foto © Angel Mota

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questi colori non può che piacere…Pensiamo a tre questioni fondamentali:1. Forse in campo bonsai dovremmo parlareanche in questo caso di avanguardie?2. Un bonsai di una varietà colorata di Aceropalmato è d’avanguardia rispetto ad uno stessobonsai della stessa specie botanica?3. Il magnifico Acero delle immagini, proba‐bilmente il più bel Desojoo in Italia, perdenaturalezza e valore estetico, o è un'altra cosa?

Certamente queste domande sonoprovocatorie, ancor più di questioni riferite aduna lavorazione in concreto, visto che il bonsaicresce spontaneamente con i suoi colori.Forse, in questo caso sarebbe azzardato darerisposte esaustive. Penso anche, cosa rivelatri‐ce, che ogni varietà selezionata dall’uomo permutazione spontanea o indotta (non per inge‐gneria genetica) sarebbe comunque potutaanche esistere in natura, o è esistita ma si èestinta.

Per il maestro Kimura l’importante èproprio seguire una GRANDE BELLEZZA.Pensiamo però ad una cosa: la varietà di Acerorosso DESOJOO è selezionata dai giappone‐si… ed il suo stupefacente rosso scarlatto durapochi giorni, come una fioritura…poi diventaverde per tornare al rosso, questa volta carmi‐nio in autunno…un grande esempio diimpermanenza… il Desojoo è una grandepoesia d’Acero, forse la più bella!

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Partendo dal presupposto che questoimportantissimo elemento è alla base della vita eche gli esseri viventi ne sono dotati fino al 95%della loro costituzione, si capisce come la sua

qualità è un aspetto da non sottovalutare pena il parzialee fallimentare svolgimento dei processi fisiologici interni.Tali penalizzazioni, ci inducono a controllare, laddovepossibile, tutti i parametri che caratterizzano l’elementoliquido di base. Questi ultimi sono:la Salinità – questo parametro è espresso comeConducibilità Elettrica e si misura in mS/cm o anche inContenuto in Sali e si misura in mg/lt o ppm. Un valorelimite è, per esempio 2,30 mS/cm, tale valore ècaratterizzato in acque irrigue ricche di sodio, cloro equanità eccessive di microelementi. A tal proposito siricorda che l’aggiunta di fertilizzanti diluibili in acqua neaumenta la conducibilità e se le dosi di diluizione nonvengono rispettate possono esserci danni da eccesso dielementi minerali espletati tramite bruciature e graviustionia gli organi su cui è maggiore la concentrazionedegli elementi dopo l’evaporazione dell’acqua. A questoproposito è da considerare potenzialmente dannosa lapratica della concimazione fogliare, se operata in periodisecchi e con t° alte, per la delicatezza degli organifotosintetizzanti. Acque ricche all’origine di sali, neapportano in quantità nel suolo, che arricchendosi,possono indurre fenomeni pericolosissimi di antagonismonell’assorbimento degli elementi della nutrizionelimitando o arrestando la crescita tramite fenomeniclorotici. L’innaffiatura, intesa come pratica, deve quindiprevedere quanità d’acqua abbondanti per dilavare gli

eccessi. Periodi stagionali pericolosi ne risultano quindi latarda primavera e l’estate per la repentina evaporazionedovuta a t° elevate con conseguente aumento dei sucitati minerali.La Durezza ‐ la durezza rappresenta il contenutonell’acqua di sali di Calcio e Magnesio in soluzione ed èil grado di Durezza Totale espressa in gradi Francesi ed1°F equivale a 0,01g di carbonato di calcio/lt, e il valorelimite per definire un’acqua dura è di 35°F. Talecondizione rappresenta la possibilità di deposito dicalcare su, appoggi, vasi, foglie con tutta una serie direstrizioni alla vita della pianta.Il pH – la acidità o la basicità dell’acqua è rapprsentata,come in altri ambiti, dal ph e i range dei valori diriferimeno vanno da 5,5‐6 fino a 8,4. valori unguali osuperiori a 8,4 indicano forte presenza di carbonati diCalcio e Magnesio. Inferiori a 8,4 sono presentibicarbonati di Calcio e Magnesio. A valori inferiori a 7insistono sostanze leggermente acide o organiche, ed èproprio in tali range, ovvero da 5,5‐6, quindi con valoriacidi, che si verificano i massimi assorbimenti deglielementi nutritivi, in particolare micro‐elementi quali ilFerro. Ne consegue che irrigare con acque “tenere odolci” aumenta le possibilità di aumentare le quantità dinutrienti veicolabili all’interno della pianta, senza chesiano persi per percolazione. Valori di ph alti conpresenze esagerate di carbonati di calcio, inibisconoquindi l’assorbimento del Fe con conseguenti clorosi.I Microelementi – E’ possibile anche che l’acqua diirrigazione sia eccessivamente ricca di elementi nutritivi,soprattutto Ferro, Boro, Rame, Zinco e Manganese.

Nella pratica quotidiana della coltivazione bonsai, molti aspetti agrono‐mici convergono, grazie ai nostri controlli su di essi, verso la buona salu‐te delle nostre piante riuscendo in molti casi ad accorciare i tempi direalizzazione delle prime fasi di modellatura e impostazione. Tra questifattori rientra a pieno titolo l’acqua d’irrigazione.

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Anche gli eccessi di tali elementi nell’acqua possonorisultare nocivi. I micro‐elementi presenti in quantitàridottissime, risultano nocivi a valori misurabili in ppm.Una buona norma è quella di miscelarla con acque piùdure, solitamente nella % di queste ultime del 30%.d’obbigo.Cloruri – Questa componente rappresenta degliinquinanti per le piante, che assorbendoli con una certafacilità, ne possono mostrare gli effetti caustici aconcentrazioni di circa 120‐140 ppm.Solfati – Questo anione viene assorbito con difficoltàdalle radici, mentre viene trattenuto molto dallacomponente colloidale del suolo ed è per questo chemetodi di irrigazione sul suolo che mirano ad unacessione del mezzo liquido graduale e delicata, nelimitano il trattenimento abbassando il valore tossico da2200ppm a 90ppm.Carbonati – La Loro presenza è prerogativa di ph elevati(oltre 8,0), per cui il loro accumulo lo si riscontra tramiteil deposito di patine biancastre su superfici, ugelli diirrigazione e nei pressi dei fori di drenaggio dei vasi.Bicarbonati – L’irrigazione con acque ricche di talielementi, provoca clorosi magnesiache e carenze dicalcio, dovute al loro accumulo sulle foglie. Anche questiprovocano otturazione degli ugelli di irrigazione.S.A.R. Modificato – è il rapporto di assorbimento delSodio, che indica la stabilità di un terreno o di unamiscela. Le indicazioni che trasmette, legate alla salinitàdelle acque, indicano la capacità di un suolo di costiparsie di creare croste asfittiche superficiali. In campobonsaistico e in zone con acque saline, l’utilizzo di sola

akadama, comporta un peggioramento della stessa neiconfronti della respirazione radicale e della disponibilitàdi alcuni nutrienti.Valori superiori da 7 a 8, provocanodanni agli esemplari, mentre valori superiori a 9danneggiano la struttura del composto nel vaso dicoltivazione. Anche valori superiori a 6 di un altroparametro, l’ E.S.P. ( % di Sodio scambiabile) citrasmettono un peggioramento della struttura di suoliargillosi, quali l’ akadama.Normalmente, l’acqua di irrigazione coincide con l’acquadell’acquedotto, per facile accesso e reperibilità, ma nonè detto che questa sia di qualità per gli scopi irriguibonsaistici, ne risulta infatti che molte zone d’Italiapresentano delle acque particolarmente dure che lerendono totalmente inutili ai nostri scopi. In tali casi lamodifica tramite decantazioni, impianti di osmosi ecc. èd’obbligo. Prima dell’utilizzo di tali acque è consigliabileanalizzarla presso laboratori specifici per decidere sulleventuali modifiche da aportare alla sua qualità. In ognicaso si ricordi che il primo miglior modo per tamponareinconvenienti (seppur in parte) è l’agitazione del volumedi liquido per favorire l’evaporazione del cloro utilizzatoper la potabilizzazione e la decantazione in fusti profondialmeno 90 cm‐1 mt e per un periodo di almeno 48ore.Una volta attenuati i valori che rendono l’acqua dura epoco utilizzabile, l’aggiunta di aceto bianco di vino nellamisura di un cucchiaio da cucina ogni 5lt d’acqua, larende maggiormente idonea ai nostri scopi.

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Qualche anno fa ho iniziato afrequentare gli incontri presso ilPrato Bonsai Club e da allora la“malattia” per il bonsai è di‐

ventata incurabile ed ho iniziato a visitareogni mostra, a leggere ogni libro, a cerca‐re ogni sito che parlava di bonsai percapire, vedere, confrontare le essenze, glistili, le esposizioni; ogni volta rimanevosempre più colpita dalla delicatezza dellepiantine da compagnia e, da bravagiardiniera, avendo a disposizione diverse“erbette”, ho deciso di cimentarmi anchein questa arte.

Navigando sul web mi sonoimbattuta nella pianta che ho fotografatoin mille versioni e che appare in coperti‐na: la sassifraga su scheggia di bombadell’Istruttore ed amico Roberto Raspanti.

Ho iniziato a documentarmi inmodo più serio, ho frequentato varie bi‐blioteche, intervistato diversi vivaisti percarpire alcuni segreti sulla coltivazione,parlato con alcuni botanici per capire leesigenze di ogni specie, ho acquistatodecine di volumi che parlano di piantineofficinali, fiori ed erbe della montagna,degli appennini, laghi, fiumi, paludi e li‐toranei marittimi, ho quasi imparato amemoria i tre tomi di Sandro Pignattisulla Flora d’Italia e a poco a poco la ri‐cerca ha preso la forma di un volumesulle kusa.

Il libro inizia con una sezione

sulla botanica, per definire alcuniconcetti che nel testo vengono ripresi esviluppati; prosegue entrando nel meritodelle shitakusa e kusamono parlando inmodo approfondito delle due tipologie dikusa, degli abbinamenti con i bonsai,delle rappresentazioni di particolari habi‐tat, delle tecniche di coltivazione eformazione in vaso, dando indicazionisui contenitori ed i supporti.

Il libro contiene 15 schizzi e 364fotografie che illustrano i vari argomentiaffrontati nei diversi capitoli in cui è statosuddiviso; sono raccolte, in ordine alfa‐betico, 77 schede di specie di erbacee,felci e muschi per aiutare il lettore nellascelta della kusa per il tipo di tokonomache intende allestire; il volume èarricchito da consigli pratici per la colti‐vazione e la collocazione con le altrespecie. Alla fine dell’opera due ampiglossari ed una estesa bibliografia aiute‐ranno anche i lettori più esigenti in uninsolito cammino per conoscere uno deitanti aspetti che ogni giorno ci viene re‐galato dalla natura con tanta generosità eper la quale spesso non siamo così rico‐noscenti.

A tutti una buona lettura e seavete curiosità o esperienze da segnalarepotete scrivermi al seguente indirizzo e‐mail: [email protected]

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PIANTE SPONTANEESHITAKUSA E KUSAMONOSILVIA ORSI

FACTORY€ 28,00

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L’Autore apre la pagina difrontespizio con una frase pre‐tenziosa ed impegnativa che,bisogna ammettere, alla lettura

di questa ennesima opera di AntonioRicchiari, risponde in pieno alleaspettative. “In un certo senso questolavoro ha la pretesa di essere un ma‐nifesto e insieme pamphlet che offreuna lettura ed una interpretazionecolta del bonsai”. E’, in effetti uno stu‐dio che completa dal punto di vistateorico, la conoscenza del bonsai perquel che riguarda, come dice il sotto‐tiolo, la filosofia, la storia, l’estetica ebisogna sottolineare “il concetto”. Vasottolineato che nessun bonsaista hamai messo nero su bianco per quelche riguarda appunto il concetto delbonsai, termine impegnativo che haimpegnato l’autore in uno studio chesi è protratto per alcuni anni proprioper definire e chiarire alcuni lati delbonsai che vanno sicuramente cono‐

sciuto, al di là delle tecniche e del latopratico di questa disciplina.Non si può parlare di bonsai ecomprenderne l’essenza senza rimascavare e indagare nei meandri checonducono alla civiltà dell’OrienteEstremo. Una indagine che intreccia,analizzandoli, i rapporti tra arte e filo‐sofia in una sintesi razionale che giu‐stifica l’importanza di una nuovaecologia che ruota attorno al bonsai.Una analisi del sentimento religioso edei costumi dove si respira l’aria toni‐ficante delle estasi concretatesi neiconcetti mistici di Wabi e Sabi.La vendita di questo libro, per volontàdell’Autore, non è stata affidata ai co‐muni canali librari ma si può richie‐dere direttamente all’Autore([email protected] [email protected]).

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BONSAIIL CONCETTO, L'ESTETICA, LAFILOSOFIAANTONIO RICCHIARI

PROGETTOBONSAI€ 19,50

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Era il 2006 e sfogliando unarivista trovai una foto cheraffigurava un juniperusGiapponese quasi un

letterati, quelle piante che pur nonessendo possenti o universalmentericonosciute come capolavoripossono suscitare amore a primavista, una pianta dal tronco legge‐ro e dalla legna secca moltovecchia e fessurata, insomma, unapianta che lasciò in me un segnoindelebile. Ero e sono in contattocon un raccoglitore e artista nelmondo bonsaistico, gli avevo datodei tavoli costruiti su misura, gliparlai e gli spedii la foto di questapianta, chiedendogli se nel suoraccogliere si fosse imbattuto opoteva capitargli di trovare unmateriale che la ricordasse.

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Non passò molto tempo e miarrivarono delle foto che raffiguravanoquesta pianta (foto 1‐2‐3‐4); era un Sabi‐na raccolto sull’arco alpino molto vecchiodalla legna secca fantastica, capolavorodella natura che era vissuta in condizioniestreme per tantissimi anni, la vegetazio‐ne era scarsa e il ramo a cui appartenevaera posizionato in maniera particolare,però mi piaceva e mi intrigava. Arco2007 la consegna le ginepro; la pianta misembrò più lunga di quello che avevopensato ma continuava a piacermi eintrigarmi.

Durante tutto l’anno la studiai epresi in esame le varie possibilità, ma sirendeva necessario trovare una posizioneche ne riducesse visivamente lalunghezza e ne esaltasse le qualità deltronco e la legna secca vecchissima.

Aprile 2008. Feci delle proveper decidere il futuro fronte, e dopoun’attenta riflessione decisi per questo(foto 5). Per realizzare il disegno prefis‐sato si rendeva necessario alzare il ramoche supportava quella pochissima vege‐tazione cresciuta nel corso dell’anno e

staccare parte della vena vi‐va dalla legna secca che neimpediva la torsione per faresi che il piccolo, vecchio,rametto potesse essere spo‐stato nelle posizione desi‐derata.

Dopo la prima la‐vorazione (foto 5), l’avvolgi‐mento con il filo e unapassata veloce di liquido jinper esaltare la legna secca, èancora presente il monconeche testimonia la lunghezzadella pianta in natura.

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IL NASTRO (battezzato così daAlessandra, amica e socia delVersilia Bonsai Club) presentato sultavolo da me studiato, disegnato ecostruito appositamente in modoche possa essere esposto adun’altezza ottimale al fine di valo‐rizzarlo al massimo. A conclusionedi questa carrellata di fotografievorrei dire che il merito dell’unicitàe spero della bellezza di questapianta va senza alcun dubbio allaNatura che nel corso degli anni haforgiato attraverso le condizioniavverse, vento e neve, il magnificotronco, le contorsioni che neanchela fantasia più fervida potrebbeinventarsi.

Il mio ruolo nell'impostarequesta pianta è stato marginale, lamia opera è stata quella di rea‐lizzare la pulizia del tronco e d'avermesso in evidenza la piccolissimavena viva (circa un centimetro dilarghezza), la torsione del piccoloramo che supporta la vegetazione(con la diminuzione della legnasecca in modo da poterla piegarepian piano nella posizione attuale),ed infine l’avvolgimento del picco‐lo triangolo verde della vegetazioneche rimarrà tale poiché ritengo cheuna pianta con il tronco tantosofferto non debba ‐ e possa ‐ ave‐re una chioma troppo abbondante,anche perché il punto focale è daricercarsi proprio nella bellezza delmagnifico tronco.

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L'amico Fabio Sigismondidel Club di Novara milancia una nuova sfidaaffidandomi un silvestre

molto importante della sua colle‐zione che già qualche anno faaveva lavorato ad Arco di Trentocon l'amico Paolo Scarafiotti.Accetto di buon grado e inizio lafase di analisi della pianta.

Si presenta con la cassadi coltivazione completamentemarcia e con la vegetazione ormaimolto disordinata. Dopo aver te‐nuto la pianta nel mio vivaio perqualche settimana, per farla accli‐matare al nuovo ecosistema, de‐cidiamo che è arrivato ilmomento di procedere... si iniziacon una dettagliata e minuziosa

pulizia degli aghi in eccesso perridare ordine ai ciuffi apicali cheandranno filati e portati a riempi‐re i palchi della pianta.

Abituato a lavorare i pinid'aleppo che sono di una diffi‐coltà estrema a causa di aghi soli‐tamente molto lunghi e menocompatti, mi rendo conto subitoche per creare una densità degnaper supportare un cosi bel tronconon sarà tanto difficile, e che anzibisognerà eliminare qualche ramoin più per ridare armonia a questomeraviglioso e vecchio esemplare.

Si procede quindi con larafia e con l'autoagglomerante perproteggere le parti dei rami piùspesse che verranno piegate.

Prediligo sempre l'uso

1. Il pino allo start delle operazioni di pulizia ‐ 2. Dopouna attenta fase di studio e la pulizia dei rami e degliaghi in eccesso

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3. Il silvestre pronto per essere reinterpretato ‐ 4. Si pro‐teggono i rami con della rafia vegetale ‐ 5. Ulterioreprotezione con l'autoagglomerante

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dell'autoagglomerante perché esteticamente meno invadentenell'economia visiva della lavorazione.

Dopo la preparazione di protezione si passa alla fi‐latura. Questa è un operazione che va fatta in un certo modoper far si che i rami assumano veramente la posizione in cuinoi vogliamo indirizzargli, e siccome "il fine giustifica i mezzi"mi aiuto anche con dei tiranti e con l'applicazione di unabarra metallica in contrasto al tronco principale su cui posi‐

zionare altri tiranti per cambiare l'assetto principale del pro‐seguo del tronco fino all'apice(trovo l'utilizzo dei tirantifondamentale nella costruzione di un bonsai, con la sola fi‐latura sarebbe impossibile far fare ai rami alcune curve). Peraccentuare ancor di più questa trasformazione la pianta vienecambiata di inclinazione e posizionata in una nuova cassa dicoltivazione per abituarsi al nuovo fronte. Piccole rifiniture esistemazione dei ciuffetti a creare i palchi e anche questo

Particolare dei tiranti e della messa in posa del primo ramo

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6. Particolare della filatura

7. Si usa una barra metallica come sostegno per tirare il tronco in avanti

8. In corso d'opera si tagliano rami che non serviranno per la nuovasilhouette

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step è passato. Ci sono voluti due giorni perquesta operazione, due giorni tra amici ebonsai.

Un nuovo capitolo per la costruzionedi questa pianta che sono convinto un giornofarà sicuramente bella mostra di se in qualcheimportante manifestazione.

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Pane radicale al momento del rinvaso

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Risultato finale. Nuovo fronte, e nuova inclinazione

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Questo Pino Silvestre è unmateriale di provenienzaFrancese raccolto durante laprimavera del 2009. Le

particolari condizioni in cui vivonoquesti Silvestri in natura li rendonounici e molto particolari con caratteri‐stiche molto diverse dai loro fratelliItaliani. Qui di seguito voglio pre‐sentarvi il mio iter di lavoro e coltiva‐zione per arrivare al primo step sulleconifere Yamadori.

In generale preferisco albericompatti e dalle caratteristiche ma‐schili e quindi tendo a creare piante diquesto tipo quando il tronco mi da lapossibilità. Lavorare nella coltivazionee tempistiche degli interventi a favoredi questo per poter evitare antiestetici

giri di rami di ricompattamento.

LA PREPARAZIONE ‐ Ci sono volutitre anni di preparazione prima di po‐ter arrivare al primo step di questo Pi‐no Silvestre. Nei primi due anni dicoltivazione la pianta è stata preparataattraverso potature e concimazionicon lo scopo di indietreggiare la chio‐ma e preparare la pianta al primorinvaso in vaso bonsai da coltivazione.

Per indietreggiare la chioma estimolare le gemme dormientiaccorcio la vegetazione quando lenuove cacciate dell'anno maturano,mantenendo però sempre della vege‐tazione lungo il ramo scelto. In questomodo quando a sua volta si sviluppe‐ranno le nuove gemme nell'anno

successivo taglio i rami mantenutil'anno prima come tira linfa e così viafino ad ottenere i rami di dimensioni evegetazione adeguata per il primostep. Inoltre in contemporanea sele‐ziono i rami che hanno tre biforcazionieliminando quella centrale.

In agosto procedo sempre atogliere gli aghi vecchi mantenendoquelli dell'anno e a seconda del vigoreanche quelli dell'anno precedente eavendo concimato abbondantementeper tutta la primavera con Agroprodigyabbinato a dei buoni fogliari si svi‐lupperanno numerose gemmedormienti in Settembre. A secondadell'esemplare scelto da lavorare e allalunghezza dei rami saranno necessaritempi e modalità di azione diverse ma

La trasformazione da "materiale" a bonsai passandoattraverso tre anni di attesa e mochi‐komi

1. L'esemplare da poco arrivato nel mio giardino presenta una vegetazione molto lunga ‐ 2. Durante l'agosto del 2010. Gli aghi dell'annonuovo sono molto forti grazie alle concimazioni, si elimina qualche ramo inutile al disegno finale e si scortecciano le parti morte dell'albero‐ 3. Presenta numerose gemme arretrate ‐ 4. Printo al rinvaso. Primavera 2011 ‐ 5. Rinvasato nel vaso bonsai da coltivazione. Fronte.Durante la primavera 2010 si è iniziato a compattare il tronco attraverso il tirante posizionato nella parte bassa gradualmente ‐ 6.Particolare del piede, il terriccio è composto da Perlite, Pomice e Akadama. Il moncone di radice verrà lavorato in un secondo momentoper non danneggiare le radici adiacenti ‐ 7. Un possibile fronte?

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il risultato della preparazione aiuterà molto nella fase del primo stepdi lavorazione.

Nella primavera del 2011 dopo aver verificato la vigoriadell'esemplare procedo a realizzare il primo rinvaso del Pino Silvestrein un vaso bonsai da coltivazione. Questo Pino Silvestre è statorinvasato in un composto di Perlite 30%, Pomice 50% e Akadama20% eliminando quanta più possibile terra originaria del posto (Creta)senza lavare le radici.

L'apparato radicale formato grazie alla Perlite durante i primidue anni è stato avvolto all'interno del vaso bonsai non tagliandonulla. Dato che si tratta di un primo rinvaso e il pane radicale non èancora formato e maturo ho preferito aggiungere Perlite nelle zoneadiacenti alle radici per stimolare l'attività radicale. A seguito del pri‐mo rinvaso la pianta vegeto in modo vigoroso e in maniere uniforme,segno che avevo fatto un buon lavoro.

A seconda dell'apparato radicale che mi trovo a lavorare usocompost diversi per i Silvestri: o solo pomice o Pomice e Akadama ocon l'aggiunta di perlite. Se devo invece usare vasi piccoli solo Aka‐dama. Dipende sempre dalla pianta e dalla sua zona d'origine. Nonho una regola fissa ma seguo una linea generale con una serie diindicazioni a seconda dell'albero che devo preparare.

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IL PRIMO STEP ‐ Preferisco lavorare i pini in autunno riponendo poi la piantain serra fredda in inverno al riparo dalle gelate e dal vento freddo.

Il primo step del Pino Silvestre ha interessato la realizzazione di alcu‐ne pieghe per sistemare la vegetazione e predisporre i palchi per gli sviluppifuturi. Usando rafia e agglomerante si prevengono eventuali rotture dei ramida piegare e si riesce a posizionare la chioma nei punti voluti fin da subitoaiutandosi con dei tiranti posizionati nei punti di piega.

Quando realizzo il primo step non cerco la completa rifinitura perchépreferisco sempre non lavorare troppo nel dettaglio andando a mantenerequalche ago in più per mantenere alto il vigore della pianta in questione.Questo silvestre è un Dai‐Bonsai, misura circa 80 di lunghezza dal nebari alprimo ramo. Presenta delle caratteristiche che in foto non si percepiscono co‐me il movimento non in asse (anche verso il retro e verso il fronte). Per me ilpunto focale di questa pianta è il tronco particolare e l'ho voluto incorniciareandando a chiudere la linea del tronco con la chioma nascondendo dove èl'apice un rigonfiamento del tronco dovuto ad uno shari.

Il primo ramo compatto come il suo ramo subito sul retro aiutanol'occhio a chiudere questo vortice del tronco compattando ancora di più la li‐nea del Silvestre. Se avessi allungato il primo ramo l'occhio dell'osservatore

Agosto 2011 ‐ L'esemplare ha superato il rinvaso e si procede ad eliminare gli aghi vecchi

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8. Si inizia mettendo in sicurezza con rafia e agg‐lomerante i rami da piegare ‐ 9. Si avvolge ilSilvestre e si iniziano a disporre le varie masse ‐10. Una foto in nottura mostra l'avanzamentodei lavori

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Fronte dopo il primo step. Sono riuscito ad ottenere una buonadefinizione nonostante non avessi tolto troppi aghi vecchi

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11. Il restro ‐ 12. Vista laterale ‐ 13. Il primo palco. Le masse sonodisposte distese in maniera omogeneana ‐ 14. Una mia brutta foto altermine del lavoro

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scapperebbe fuori andando ad annullarel'effetto del tronco.Inoltre creerebbe unachioma troppo sproporzionata al tronco.

Saranno necessari alcuni anni di la‐voro prima di poter pensare ad una possibileesposizione, sicuramente la chioma subiràqualche variazione in base alla maturità e ilvaso verrà cambiato ma il bello del bonsai èproprio quello.

Con queste poche righe ho volutopresentarvi il mio pensiero e iter di lavoro.Nei pochi anni che mi dedico al Bonsai hoimparato che la preparazione e la coltivazio‐ne sono fondamentali per permettere di rea‐lizzare un buon lavoro sui nostri esemplari.La fretta non è mai una buona amica... allaprossima!

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Il Koyasan è costituito da una serie di templi e pagode ed ècircondato da una fitta foresta di cedri maestosi

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1. Le montagne di tronchi, un apporto che sembrava inesauribile, son stati ormai pian piano smaltiti dalla popolazione, per curiosità edamore verso le bellezze naturali o, soprattutto, per accendere il camino nel prossimo inverno ‐ 2. L’acqua della devastazione di ottobre2011, qui in Liguria, trascinò con se case, persone, auto, alberi, sino a raggiungere il mare dove, dopo 25 giorni di ondate cariche di fangoe detriti, depositarono il loro bagaglio sulla spiaggia

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3. Un “relitto” portato dal nubifragio. Assieme a Mari‐o Ferrari, socio AIAS ed amante dei “Radiseki” (comelui scherzosamente chiama le radici di legno raccoltenel bosco, nel fiume e sulle spiagge) abbiamopasseggiato accanto a questo mare finalmenterabbonito, raccogliendo alcuni pezzi, soprattutto tra ipiù piccoli e curiosi rimasti ‐ 4. …non s’è fatto nientedi nuovo o speciale: i più tanti di voi che, come noi, siallenano nella palestra della fantasia, so che condivi‐dono questa passione

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5, 6. Così, questa volta ce ne andiamo alla ricerca, ma non della forma nella pietra, matra le radici naturali del legno: una pratica antica quanto l’osservazione delle pietre … ‐7, 8. infinite, le forme appena trovate, tutte che possono risvegliare la nostra fantasia ‐9/12. Alcune radici di Mario Ferrari, incerate e montate su legno o losa;”Radi‐seki”: unitalianissimo radi‐ce associato ad un giapponese seki: Radice‐ Pietra. Ed in verità, iltermine calza più di quanto si possa pensare: di radici di legno (credo che in Cina sichiamino Gang yi) Kemin Hu, nel suo ultimo libro, ne mostra alcuni esemplari,descrivendoli come: “Tree root scholar’s stone: pietra radice di legno degli Eruditi... (enon si tratta di legno fossile).

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13. Il legno antico artistico è apprezzato in Cina quanto la pietra e damigliaia di anni (foto per gentile concessione di Kemin Hu)

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14. Radice di cedro, legno molto antico, nel keidai (recinto) nei pressi del santuario Koyasan Yakushi‐do di Mondoyakujin. Radice di Ced‐ro come: “Sopravvivenza dell’anima ; questa guardiana della nostra Dahishi‐do, da 800 anni raccoglie le preghiere per una vita lunga e di‐gnitosa. “Buona fortuna nel soggiogare le disgrazie, sicurezza per la famiglia, per una buona convalescenza dopo la malattia … nel tempio,vengono offerte benedizioni anche per le nostre automobili, ed adempimento dei nostri desideri” ‐ 15. La zona, conosciuta comeOkuno‐in (Santuario interno), è un vasto cimitero che ospita anche i mausolei di numerosi personaggi famosi giapponesi. ‐ 16. Kitayama.Kitayama è la località più famosa, da oltre 500 anni, per la coltivazione, produzione,raccolta ed essicazione di una varietà di tronchi dicedro giapponese (sugi), da utilizzare per l'alcova del tokonoma , nelle case tradizionali giapponesi e per le case da tè.

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20, 21, 22. Tronchi di Sugi, con Shibori 'Maruta' naturale e luci‐data. “Il cedro giapponese (Sugi) in Kitayama è meticolosament‐e potato e curato per decenni per la produzione di un troncoche non abbia nodi visibili. Normalmente i tronchi hanno unasuperficie liscia, ma alcuni hanno una superficie naturalmente emisteriosamente saldata e torturata. Questa superficie si chiamaShibori. Shibori, o shiboru, il verbo, significa strizzare oschiacciare. I migliori esemplari con naturale Shibori può essereun 1 su 10.000 alberi.”

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Ma il tokonoma, lui,contrasta radicalmente con la sobrietà geometrica del resto della stanza. Si tratta di una alcova rettangolare cheospita la freschezza dell’ Ikebana e la poesia dell'inchiostro Sumi‐e. L'architettura del tokonoma sorprende per la sua espressività. Iltronco singolo, solitamente di cedro, che sostiene la struttura asimmetrica dell’alcova, ne stabilisce il tono. Ogni anomalia nodosa ècon cura conservata per affermare il carattere impetuoso e imprevedibile della Natura. Il rispetto del materiale e l’attenzione allavita in ciò che ha di più segreto ed elementare, caratterizzano lo spirito del Giappone. Grazie all’opera di Isamu Noguchi, Maestrodella non‐arte, ho imparato a concentrarmi sul presente, sull'uomo e la natura, sul significato profondo della vita. Ciò mi hapermesso di ricaricarmi a una nuova forma di primitivismo ... preistorica e sacro. I miei giochi di equilibrio a lui rendono omaggio edisegnano, a modo mio, nella tradizione dei paesaggi in miniatura, la funzione spirituale dello Zen. In cerca del Graal nel fiume, sondiventata "cacciatore‐raccoglitore" per portare il Selvaggio alla civiltà.” l Koyasan è costituito da una serie di templi e pagode ed ècircondato da una fitta foresta di cedri maestosi

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Tokonoma da: “Keido Katayama‐Ryu” ed. 1986

“Furu ki o tazune, atarashii ki o shiru"“Chiedere agli anziani per comprendere l’oggi”.

Nadine Fourrè”

“Allungata sul tatami, ammiro la saggezza dei vecchi ...non v’è quasi alcun mobile. Il superfluo è eliminato a favore dell’essenziale e della riflessione.

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24, 25. "Senza peso" ‐ “ Arte ga‐lleggiante, giardini pensili, mec‐canica celeste che sembranosul punto di rompere con lagravità”... “Spiritualità dimateriali nobili chetrasmettono la rassicurantepresenza degli spiriti dellanatura nel seno della casa.” ‐26. "L'artista guarda ilmomento magico in cui curvee contro‐curve coincidono conprecisione, in cui forze,volumi, forme e materiali siarmonizzano esattamente.” ‐L'artista guarda il momentomagico in cui curve econtro‐curve coincidono conprecisione, in cui forze,volumi, forme e materiali siarmonizzano esattamente.” ‐ 27.“Arte della suggestione, che l'ar‐tista rettifica, nuance e poi sco‐mpare, lasciando sempre unelemento di non‐parole, un

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passaggio verso l’immaginario”...Nadine Fourrè ‐ 28. Palissandro. Po‐ggia pennelli del 19° secolo. Operedi artigianato cinese di radice in usoper la visualizzazione accanto apietre dei letterati, ma anche di usoquotidiano, sembrerebbero deltutto naturali. Anche se l’interventoumano si presume ci sia, esso è purcosì sapientemente dissimulato. ‐29. Antico brushrest ‐ 30. 18° secol‐o ‐ 31. 20° secolo ‐ ‐ 32. Pare chela stessa fiamma abbia bruciatoanche all’esibizione 2011 delPotomach Group... oppure, lasomiglianza è sorprendente

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Forse, niente di così subliminale od essenziale ed armonico, nei nostriapprocci all’uso delle radici; ma una certa ricerca estetica o formale, sì:riconoscere forme significative è un buon allenamento, per la nostra fantasia egli amanti della pietra come noi, ne sono sovente attratti. Tra i letterati cinesi egiapponesi, il legno di radice naturale fu altamente valutato sia per usi pratici,quanto come visualizzazione delle forze naturali dell’energia del qi/chi: spirito‐respiro dell’Universo, racchiuse nella forma di un piccolo paesaggio. ChrisCochrane ci rese noto come Hideo Marushima ( forse il primo storico delbonsai giapponese) abbia additato un groviglio di radici somigliante ad un’isolacon picchi, come un possibile precursore del suiseki. In una recentediscussione su Internet Bonsai Association, poi, Chris riferisce di unapubblicazione: “Root Carving Art in China” (China Forestry Publishing House,2004) in cui viene ripercorsa la storia della raccolta in Cina di radici artistichenaturali. Nel 1982, durante la pulizia della tomba No 1 dello stato di Chu,scavata a Nashan, un dipendente del museo locale in Jingzhou ha scopertouna radice solo modestamente lavorata risalente al periodo degli staticombattenti, tra il 340 ed il 270 aC ‐ 2300 anni fa . Ha sembianza di animalea quattro zampe con testa di tigre, corpo di drago e coda di coniglio(un Bixie);il suo aspetto è molto dinamico ed il colore, semplice ed elegante. Numerosepubblicazioni sulle rocce dello studioso contengono immagini di antiche radicidi legno artistiche.

33. Antica radice in pezzo unico‐, in forma di fungo Ling zhi. Il te‐rmine cinese Ling zhi (Reishi ingiapponese) significa”pianta‐erba del poterespirituale” e viene anche definito”fungo dell'immortalità”. Neitempi antichi, infatti, il Ling Zhiera considerato l'elisir in grado difar vivere per sempre e diriportare i morti alla vita ‐ 34.Grande importanza ebbe in Cinal’intervento umano ispirato dalleforme naturali del legno. ‐ 35.Scettro imperiale Ruyi di bosso,a figura di Lingzhi, appartenutoall’Imperatore Yongzheng. Eglifu grande appassionato di operenaturalistiche semplici edeleganti; alte erano lecompetenze all’interno deilaboratori di palazzo, per

produrre Ruyi come questo. E’ grazie all’altissima maestria con cui l’intagliatore seppe assecondare e valorizzare la nodosità del bastone, che questo scettro sembra come appena raccolt‐o nel bosco ‐ 36. "Artiglio di Dragone" tratto da una radice greggia, per l'imperatore. La parola cinese Ruyi , Njoi in giapponese, si identifica con l'espressione "Secondo i vostri desideri".Lo Ruyi, considerato uno degli Otto Tesori, fu uno scettro che rappresentava il potere e l’autorità. In origine, era una corta spada utilizzata per l'auto‐difesa. Il numero e l'opulenza degliscettri Ruyi aumentò durante il regno del figlio di Yongzheng, l'imperatore Qianlong. Fu Qianlong ufficialmente, ad ordinare la legge di presentare scettri imperiali a compleanni e feste diCapodanno. Gli Scettri furono realizzati lasciando alla fantasia degli artisti la scelta del materiale. ‐ 37. “Il Qi del Dragone”‐ Porta pennelli della Dinastia Qing da una radice di legnoNanmu (Douban nan). Albero della famiglia dell’alloro ma con caratteristiche simili al cedro. La superficie di questo oggetto, intrecciata da noduli di radica, ha una patina bruno‐rossastra.

In Asia tale fungo (Ganoderma Lucidum) viene utilizzato da oltre 4000 anni, nella medicina tradizionale cinese:pare sia il più antico fungo al mondoutilizzato come medicinale. Il fungo Ling zhi si trova frequentemente raffigurato nell’arte cinese antica ed a tutt’oggi esso è simbolo di vita eterna;augurio di vita felice ove “tutto va per il meglio, il paese è prospero e la gente vive in pace”

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produrre Ruyi come questo. E’ grazie all’altissima maestria con cui l’intagliatore seppe assecondare e valorizzare la nodosità del bastone, che questo scettro sembra come appena raccolt‐o nel bosco ‐ 36. "Artiglio di Dragone" tratto da una radice greggia, per l'imperatore. La parola cinese Ruyi , Njoi in giapponese, si identifica con l'espressione "Secondo i vostri desideri".Lo Ruyi, considerato uno degli Otto Tesori, fu uno scettro che rappresentava il potere e l’autorità. In origine, era una corta spada utilizzata per l'auto‐difesa. Il numero e l'opulenza degliscettri Ruyi aumentò durante il regno del figlio di Yongzheng, l'imperatore Qianlong. Fu Qianlong ufficialmente, ad ordinare la legge di presentare scettri imperiali a compleanni e feste diCapodanno. Gli Scettri furono realizzati lasciando alla fantasia degli artisti la scelta del materiale. ‐ 37. “Il Qi del Dragone”‐ Porta pennelli della Dinastia Qing da una radice di legnoNanmu (Douban nan). Albero della famiglia dell’alloro ma con caratteristiche simili al cedro. La superficie di questo oggetto, intrecciata da noduli di radica, ha una patina bruno‐rossastra.

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Bodhidharma. Ad oggi, dalla Cina, vengono anoi opere magnifiche realizzate a due mani(natura, uomo) ove figure e radice naturale sifondono in maniera talmente armoniosa, tantoda dubitare di poter distinguere dove finiscal’opera di una ed inizi l’arte dell’artista.

38, 39. ... Se una valanga d’acqua, reale, si era appena cheta‐ta... quale valanga di nozioni, culture, usanze; quali forme artisti‐

che, credenze mi/ci ha inondato!...cosa ho “innocentemente” causato, sollevando una radice are‐natasi sulla spiaggia! ...e non è tutto: altro avrei da raccontare (e

lo farò: non potete sfuggirmi! ...alla prossima!

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foto © Daniela Biei - Bruna Parma

Grazie innanzitutto a Silvia Orsi, autrice del libro “Piante spontanee,

Shitakusa e Kusamono” per aver accettato con piacere di raccontarsi in

questa intervista. Silvia, tu hai realizzato e stai distribuendo in forma au‐

tonoma un libro abbastanza particolare, dedicato alle piante di compa‐

gnia, shitakusa e kusamono. In molti, leggendolo, hanno espresso la

sensazione di classificare questo libro, per la completezza e chiarezza dei

temi trattati, nella categoria “il libro che mancava”. Mi sembra davvero

un fatto positivo, un riconoscimento del grande lavoro che hai svolto. Ti

va di raccontarci come è nata l’idea di realizzarlo? Ne accenni nella pre‐

fazione, racconti di un tuo vissuto precedente, di un forte attaccamento e

curiosità per la natura trasmesso dai tuoi familiari e la continua attenzio‐

ne per le forme espressive dell’ambiente, attenzione legata al contesto

nel quale vivi e alle tue esperienze di osservazione e di trekking in

montagna. Stimoli che poi si sono ulteriormente rafforzati con il tuo avvi‐

cinamento al mondo del bonsai, per il quale prediligi lo stile “literati”, il

più artistico in assoluto...

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...poi succede qualcosa, qualcheanno fa, un cambiamento forte,legato a un incidente in montagna,che ti ha costretta a rivedere, oltre adaltre cose, anche l’approccio alle tuepassioni, compresi anche i bonsai.E’ corretto dire che questo libro nonnasce solo come un “semplice” libro,quindi come un’esposizione delle tueconoscenze e competenze, ma cherappresenta anche la tua voglia dirimetterti in gioco dopoun’esperienza così forte ?, E che faparte, come meglio descrivi tu, dellatua seconda vita ?

Io credo di aver avuto unasorta di predestinazione per quantoriguarda il mio percorso immerso nellanatura, penso che il fatto stesso diabitare fin da piccola in una piccolacittadina, in una strada che si chiamaVia dello Zizzolo non sia stato un caso!Lo zizzolo è l’albero delle giuggiole e… quando si dice andare in brodo di

giuggiole si intende un qualcosa che tipiace particolarmente … come per melo è la natura sotto tutti i punti di vista.Ho sempre avuto la curiosità per i“mondi” diversi dal mio ed il fatto chei miei genitori hanno acquistato unoscroll molto bello quando avevo solocinque anni mi ha fatto nascere lacuriosità per l’Estremo Oriente.Mio padre conosceva bene , abitandolì vicino, i fratelli Franchi, Costantino eIdrio, e io ero spesso nel loro negozio enei loro vivai, da dove tornavo semprecon qualche regalo. Quindi da li, fin dapiccola, questa grande passione per glialberi in natura. La mia passione per lepiante è stata ben presto accontentata!Una passione molto forte, i mieigenitori mi portavano ogni finesettimana in montagna, sulle alpiApuane, sugli Appennini e a volte sulleDolomiti o in val d’Aosta, per cuiavevo modo di vedere e osservare lanatura ed i cambiamenti che

accompagnavano le diverse stagioni, efare paragoni tra i differenti ambientimontani che incontravo.Ho avuto il piacere e l’emozione diritrovare gli stessi fiori in luoghi diversi,e con entusiasmo scattavo foto aglialberi ed ai fiori che incontravo suisentieri. Mentalmente cercavo dimappare e ricordare tutti i fiori e lepiante che incontravo nei miei percorsie cercavo di vedere come la naturacambiava con gli stessi ritmi dellanatura che osservavo vicino casa.Crescendo ho sentito il bisogno dicapire meglio l’armonia del bonsaiperché non mi bastava più il solo fattodi riuscire a mantenere in vita i mieibonsai! Lo stile Bunjin si avvicinamaggiormente al mio modo di sentirela natura perché … la natura è arte!Ogni forma, colore, profumo,dimensione, disposizione dei fiori edegli alberi ti richiama ad una formad’arte emozionante dove il tuo

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compito è semplicemente quello diosservare per imparare. Maneggiare gliattrezzi per lavorare i bonsai (ed inparticolare le sgorbie e gli scalpelli),curare le kusa, per me è moltorilassante, ti senti immersa in ununiverso pieno di poesia e tutte lepreoccupazioni svaniscono di frontealla bellezza della tua essenza o dellatua piantina. La vita a volte è strana, ioho avuto molti regali (poter lavorarenegli orfanotrofi in Europa dell’Est ed inAfrica mi ha donato una prospettivadella vita molto privilegiata) e quandoall’improvviso è svanito tutto il miopunto di forza è stata sempre ecomunque lei … la natura! Homandato in “pensione” i miei bonsai emi sono dedicata ancora di più allekusa proseguendo uno studio cheportavo avanti da diversi anni daautodidatta. Nella biblioteca del miostudio accanto ai tomi della miaprofessione fanno bella mostra di sétanti libri di botanica, apicoltura eterapia orticulturale perché ho semprecercato di ritagliarmi dei momenti di“evasione” dai numeri per impararequalcosa di bello … e la natura hatanto da insegnarci!Con la seconda vita ho fatto i conti conla “velocità” nella quale siamo immersiogni giorno; ho riscoperto il piacere diavere il tempo per mettere in ordinetutto il materiale che avevo raccoltonegli anni, ho conosciuto tanti vivaisti

ed esperti di botanica che mihanno rivelato alcune cose che nessunlibro riesce a dirti, ho catalogato lemigliaia di foto ai fiori effettuando unamappatura dei vari sentieri nellediverse stagioni … è emozionantevedere come, ad esempio, le nostreAlpi Apuane indossano sempre nuovicolori dal bianco candido della neve alterra di siena bruciata delle foglie difaggio che danzano dolcementenell’aria prima di toccare il suolo inautunno … Il libro è nato da soloperché io non ho fatto altro che dareuna forma a tutto ciò che avevo“disseminato” nel pc; sistemando i mieiappunti e le foto mi sono accorta cheera piacevole da rileggere tuttoinsieme, come se fosse un racconto …ed è nata l’idea di condividere con gliamici appassionati come me la miaricerca.

Che cosa vuol dire pubblicare edistribuire un libro in manieraautonoma?

E' una cosa abbastanza

complessa. Io ho fatto questa sceltaperchè volevo essere “padrona” didistribuire il libro in un mercatocompletamente diverso da quello diriferimento. A me interessavasoprattutto distribuirlo alle persone chesento vicine, agli amici, ai veriappassionati di bonsai, perchè essendoun lavoro particolare, che è nato in unmomento molto complesso e delicatodella mia vita mi faceva piacere che agodere del frutto di questo miopercorso potessero essere delle personecon i miei stessi interessi, e che nonfosse semplicemente una curiosità dalibreria verso un libro di un argomentomai letto. A me faceva piacere poterlofar leggere a persone competenti, cheuna volta letto potessero fornirmiulteriori spunti di crescita. E' questo chemi ha spinto a questa forma atipica didistribuzione, che avviene proprioattraverso la mia partecipazione allemostre bonsai e al contatto diretto conle persone interessate al libro. Mi dàsoddisfazione perchè so che chi legge ilmio libro è davvero una persona chevuole davvero scambiare con meun'esperienza.

Questa scelta distributiva fa di te unagirovaga?

Sì, ed è divertentissimo,perchè finalmente in questo modosono davvero in contatto con tantepersone delle quali sono collega,bonsaisticamente parlando, personeche stimo molto, che mi hannoincoraggiato in questo momentoparticolare ad andare avanti, esoprattutto mettermi in gioco,raccontando quella che è statal'esperienza della scrittura del libro,spiegando come si possano fare lepiantine riesco di nuovo a carpireulteriori segreti perché magari allamostra partecipa un amico scrittore, oun maestro o un appassionato comeme che però già da tanti anni stacoltivando particolari piantine che ame non riescono bene, e lui miracconta la sua esperienza e di nuovoecco che ritorno alunna e sonofelicissima di imparare qualcosa chenon conosco.

Dalla tua presentazione leggo che seidottore commercialista e revisore deiconti, una professione che lasciapoco spazio all’errore e presupponeun approccio molto metodico eorganizzato. Questo si percepisceanche nel libro, che in maniera

guidata e razionale fornisce glistrumenti di base, ma direi anchemolto di più, a chi si avvicinaall’esperienza delle piantine dacompagnia. Ma per te cosa significa,a livello interiore, lavorare unashitakusa o un kusamono, seguirne iprogressi, gli abbinamenti con i vasi,sino ad arrivare all’accostamento conil bonsai nel tokonoma. Quali paroleuseresti per spiegare a chi iniziaquesta sottile magia, o perconvincere qualcuno ad iniziarequesto percorso?

Ebbene sì… lo confermo sonoun dottore commercialista e conl’aggravante del revisore dei conti!Poco spazio alla fantasia! Ma perfortuna la “contaminazione” con lanatura che ho avuto fin da piccola miha aiutato a trovare una dimensionespeciale prendendomi cura delle piante(bonsai o kusa) perché in realtà sonoloro che si prendono cura di noi. Alivello interiore penso che sia questo ilsignificato profondo della gioia dilavorare una piantina! Io scelgo lespecie, verifico le loro necessità per lacoltivazione, cerco di scegliere un vasoche non solo ne esalti la bellezza mache sia anche un contenitore cherispetti le esigenze della piantina, lascioche maturi per acquistare la giustapatina prima di decidere a qualeessenza o suiseki viene abbinata ecerco di realizzare il tokonoma chetenga conto delle regole espositive …ma la cosa essenziale è che mi lasciocomunque e sempre guidare dallamagia delle piantine … Ecco la parolamagia è proprio quella che haiutilizzato anche te per parlare dellenostre piantine. In effetti, come dicevopoco fa, sono loro che scelgono teprendendosi cura di te, della tuaanima; corriamo sempre e nonabbiamo mai tempo per niente e pernessuno … ma quando il nostrosguardo incontra la natura se si riesce asoffermarsi un attimo … inizia lamagia! La natura ti rapisce con la suabellezza ed a poco a poco capisci chehai trovato davvero la tua strada, il tuocammino verso la serenità.

Bonsai e piante di compagnia, nelbonsai la lavorazione è, oltre ad unfatto progettuale ed estetico, anche ilsusseguirsi di azioni molto fisiche,quali per esempio i rinvasi, lepotature, le piegature, le filature, lalavorazione del secco. Gesti tecniciche ripetuti nel tempo conducono

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alla realizzazione di un lavoro che porteràad “emozionare” coloro che guarderannol’opera realizzata. Cosa avviene invece, alivello artistico, nella creazione di piante dacompagnia, puoi spiegarcelo, cercando difare una comparazione tra i due mondi ?Quali i punti di contatto e quali lediversità? E quali a tuo parere le difficoltàche vanno tenute in considerazione nellalavorazione di queste piante ?

Si, il bonsai è talvolta un mondo cherichiede una discreta dose di forza per levarie fasi di ogni lavorazione e … a voltegrinta quando devi fare certe pieghe per nonrischiare di perdere un ramo. La lavorazionedelle kusa invece richiede piccoli gestidelicati, spesso si lavora, come per i mame,con le pinzette perché lo spazio del vasetto ècosì piccolo che per riuscire a collocare leradici nel modo corretto devi ricorrere astrumenti che siano più piccoli delle tue dita!I movimenti dei rinvasi, della selezione delleradici o della rimozione delle foglie è svolta inun mondo in miniatura, sembra quasi unafavola! Devi riuscire ad essereparticolarmente delicata. Il momento piùdifficoltoso durante l’anno è, senza dubbio,l’estate, quelle belle torride giornate quandoil vento caldo asciuga e prosciuga tutto! Perriuscire a mantenerle in vita tengo le miepiantine su vassoi di plastica con la pomice e3‐4 millimetri di acqua, lascio che le radicifuoriescano dai vasi, le nebulizzo spesso,leriparo con gli ombreggianti, nei momenticritici le innaffio anche tre volte al giorno!Vivono in un pugno di substrato che disperdemolto velocemente la propria umiditànell’aria. In inverno le riparo in serra fredda e,ad alcuni tipi di succulente, metto sopra unascatola di cartone per simulare il periododella loro permanenza sotto la neve. Questoinverno quando per un lungo periodo latemperatura era particolarmente rigida …confesso di averle portate in casa la notteallestendo uno scaffale in guardaroba davantialla finestra e lasciando l’aria condizionataspenta per non creare troppo sbalzo tra ilfuori ed il dentro … non ho avuto perdite ininverno, ma questa estate ho perso due felcied uno Hieracium …

Sensibilità artistica e padronanza delletecniche di realizzazione. Come si fondononei tuoi lavori e quale di questecaratteristiche ritieni più importante ?

Come nelle lavorazioni bonsai pensoche entrambe siano molto importanti anchese penso che la seconda lo sia maggiormenteperché … se fai un bel progetto, lavori beneuna piantina riuscendo ad arrivare ad unabella maturità e non hai molta dimestichezzacon alcune nozioni di botanica … rischi di

rendere vani i tuoi sforzi; credo che il primopasso importante sia imparare a mantenere invita la piantina, come il bonsai e poi a poco apoco acquisire le varie tecniche dilavorazione ed infine cercare di crescerecostantemente nella sensibilità artistica. Nondobbiamo limitarci ad osservare la natura,penso che sia molto importante osservareanche le altre arti come la pittura, la scultura,la lavorazione della ceramica, il teatro,talvolta anche la musica riesce ad ispirarti.Essere appassionati di arti fini, conoscerne isegreti, saperli trasportare nelle nostrepassioni, essere aperti alle novità aiuta moltonel percorso di miglioramento dellasensibilità. Io visito spesso i musei e le mostredove i quadri ti avvolgono con la lorobellezza, cerco di immagazzinare nell’animale emozioni che provo e tento di riviverlementre lavoro le mie piantine …

Nel tuo percorso di avvicinamento a questaespressione artistica, e alla successivarealizzazione del libro, hai seguito una viache, partendo dall’osservazione dellepiante in natura ti ha portato a diversilivelli di approfondimento, dallo studiodella botanica e del riconoscimento dellevarie specie, agli incontri con vivaisti,istruttori e maestri. Quali sono stati imomenti difficili e cosa (o chi) ti haarricchito di più di più durante questopercorso.

Ad essere sincera ogni momento èstato appassionante perché con ogni personache parlavo avevo modo di apprendere unpiccolo pezzo di puzzle sulla natura, mi sonodivertita a sperimentare i vari substrati con lepiantine seguendo i consigli dei vivaisti o deibotanici per capire se e come la piantinarispondeva alle diverse miscele; con gliistruttori, in particolare con Francesco Santini,è stato bello condividere i kusa day dove alcommento della piantina ed alla suasistemazione seguiva il set fotografico periniziare a catalogare le diverse specie e levarietà di ogni singola specie, poi conRoberto Raspanti sono seguite diverse“chiacchierate” ed alla fine sono ancheriuscita a farmi prestare la sua sassifraga suscheggia per 20 giorni in modo dafotografarla con la luce del sole nelle diverseore della giornate … volevo metterla comecopertina del libro e volevo trovare unasoluzione che esaltasse al massimo la bellezzadella composizione, semplice ma di enormeimpatto! Pensare solo alla natura ed allepiantine mi ha dato tanta forza in questiultimi tre anni e mi ha permesso di tornare asorridere alla vita! Grazie a questemeravigliose creature!

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Nel libro si trovano schede con descrizionimolto dettagliate di piante che haiesaminato e catalogato/fotografato nelcorso dei tuoi viaggi tra le montagne delCentro e del Nord Italia. A quando leschede delle piante del Sud e delle Isole,magari chiedendo un aiuto ai lettori diBonsai & Suiseki Magazine ?

Spero prima possibile! Averel’opportunità di imparare ancora tante cosepiacevoli, poterle condividere con altrepersone che come me sono appassionatesoprattutto se hanno modo di farmi scoprirespecie che non trovo nelle mie escursionisettimanali non può altro che farmi piacere!Mi farebbe molto piacere poter iniziare lastessa ricerca di bellezza nelle zone dellanostra meravigliosa Italia che per ora nonavevo ancora avuto modo di studiare inmodo così approfondito! Se i nostri amicihanno voglia di farmi da guida nei posti dovepoter apprendere nuovi segreti sulle piantine… sono i benvenuti!

Che suggerimenti ti senti di dare, oltreovviamente a quello basilare di acquistareil libro, a chi intende cimentarsi nellarealizzazione di kusamono e shitakusa ?

Ah!Ah! si come dici tu acquistare ilmio libro è “fondamentale” ma non èsufficiente! Come dice una celebre battuta diun film che adoro “bisogna provare, provare,provare, provare, provare … e poi ci si riescebene!” Come per i bonsai il percorso è uncrescendo continuo perché solo applicandosicon passione si possono ottenere dei buonirisultati.

Nella bibliografia del libro presenti unelenco molto esaustivo di pubblicazioni,quali consideri strettamente indispensabiliper chi vuole effettuare degliapprofondimenti ?

La scelta tra i vari testi divienedavvero difficile perché per me sono stati tuttimolto significativi ed interessanti da studiare… qualche testo a forza di sottolinearlo,evidenziarlo e mettere commenti a margine è… quasi logorato! Consiglio naturalmente itre tomi bellissimi (anche se le figure sonosolo fatte a china nera) di Sandro Pignatti sullaFlora d’Italia, i vari libri della flora delle Alpi(tra poco rimedierò la lacuna inserendo nellabibliografia i libri sulla flora degli Appenninidel Sud e delle Isole, naturalmente!), i libriediti da The Royal Horticoltural Society, unbuon libro di botanica ed un libro sullinguaggio dei fiori.

Le piante da compagnia hanno tutte unfascino evocativo particolare, ma ogniartista ha delle preferenze, quali sono le

tue piante preferite, e per quali motivi?Ormai non è più un segreto il fatto

che la mia pianta preferita è l’aquilegia. E’particolarmente bella la forma, il delicatoprofumo, il colore … naturalmente parlodell’aquilegia che incontro sui sentieri delleAlpi (quelle Apuane in particolare) che hannoun colore che va dal lilla chiaro al bluvioletto. Sono belle anche quelle bicolore main tutta onestà preferisco le piante spontanee(non a caso il titolo del libro inizia propriocon “Piante spontanee”) rispetto agli ibridi …che mi sembrano più freddi perché non sononati direttamente dall’alchimia della naturama per un capriccio umano!

Ci racconti come mai chi crea shitakusa ekusamono prima o poi sente la necessità direalizzare da sé i propri vasi. Chespiegazione ti sei data, visto che dallepagine del libro si scopre che sei ancheun’ottima ceramista?

Come ho detto prima secondo mechi si avvicina alle kusa è anche appassionatodi altre forme di arte e tra queste lalavorazione della ceramica è una moltoimportante. Quando hai davanti la tua kusapensi sempre a come puoi riuscire a regalarleun contenitore che la renda ancora più bella… quando inizi a guardarti intorno ne veditanti che ti colpiscono ma magari il colore, ladimensione e talvolta la forma si avvicinanoalla tua idea ma non interpretano a dovere latua sensibilità … nasce da sé la voglia diprovare a dare vita alla forma di vaso che haiin mente divertendoti a scegliere nel bosco laterra che proverai con vasetti semplici pertestarne la consistenza, la resistenza, lamalleabilità ed a poco a poco inizi amischiare i diversi terricci per vedere glieffetti cromatici, poi per renderle piùresistenti aggiungi un po’ di gres ed il gioco… inizia e ti appassiona sempre più!

Parliamo di reperimento del materiale periniziare a fare shitakusa e kusamono. Perattrezzi e substrati i materiali sono moltosimili, se non praticamente gli stessi usatiper i bonsai. Com’è la situazione perquanto riguarda le piante ? Si trovano neivivai generici oppure è necessario ricorrerea vivai specializzati o alla raccolta in natura(con tutte le considerazioni del caso)?

Inizio subito dalla raccolta in natura!VIETATISSIMO fare le uscite senza primaavere consultato ed appuntato tutte le specieche non possono essere raccolte! Nel libroripeto diverse volte che la natura ogni giornoci “regala con tanta generosità e per la qualespesso non siamo così riconoscenti” fiori diuna rara bellezza! Sta a noi ricordarci in ognimomento della nostra escursione che

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chiunque deve poter ammirare i fiori eche non dobbiamo danneggiarli. Spessosiamo privilegiati a poter vedere dellespecie rare per cui bisognaassolutamente sapersi accontentare discattare fotografie che ci ricorderannol’incontro! Non esistono vie di mezzo!La natura deve essere rispettata! Perquanto riguarda i vivai in effetti nontutti hanno le specie giuste per essereutilizzate come piantine da compagnia;ci sono alcuni vivai specializzati cheoffrono una bella gamma di piantine,abitando nella zona dei vivaisti diPistoia e Pescia posso dire che da noiriesco a reperire quasi ogni specieadatta, ma per le piante alpine devocercare in Trentino o in Friuli VeneziaGiulia. I prezzi in genere sonoabbastanza abbordabili, salvo pianteparticolari come le peonie e le orchideeche possono avere prezzi più elevati.

Per quella che può essere la tuavisibilità, nel panorama commercialedel bonsai italiano c’è richieste dishitakusa e kusamono, quindi spazioper un eventuale mercato di nicchia,oppure è ancora troppo presto ?

Secondo me siamo agli inizi,

ne parlavo settimana scorsa con alcunivivaisti, al momento è ancora unmercato di nicchia ma la situazione è infase di evoluzione.

Silvia, siamo quasi alla conclusionedella nostra intervista, hai avutomodo di approfondire il nostromagazine on‐line? Hai qualchesuggerimento per migliorarci e cosapensi di questa iniziativa ? Credi cheuna rivista elettronica e gratuitapossa essere utile per promuovereiniziative nel mondo del bonsai ?

Penso che la nostra rivista siauno strumento utilissimo per tutti gliappassionati di bonsai non solo perchéogni numero offre molti spunti artistici,ma anche e soprattutto perché vi sonoriportate le esperienze dei nostri amiciper cui leggendo abbiamo semprel’opportunità di imparare qualcosa e dicondividere trionfi e sconfitte … e daqueste ultime capire come riuscire adevitare di ripetere di nuovo l’errore. E’un’ottima idea riuscire ad avere unarivista dedicata al nostro mondo esoprattutto una rivista dove ogniappassionato può fornire il proprioapporto in modo costruttivo!

Termina qui questa intervista conSilvia Orsi. Silvia, grazie per la tuadisponibilità e per aver realizzatoquesto libro, che sicuramente aiuteràmolti bonsaisti nella creazione deiloro prossimi allestimenti. Prima dichiudere vuoi fare un saluto ai nostrilettori?

Bhé non sono molto brava coni saluti, mi ha fatto davvero tantopiacere avere l’opportunità di parlarecon te di una grande passione cheunisce molti bonsaisti. Ai nostri lettoriposso solo dire … grazie a tutti voi, lamia mail riceve sempre molti messaggida parte vostra accompagnati da fotobellissime e mi fa piacere sapere chesiamo in tanti ad avere questa bellapassione. Vorrei ringraziare anche CarloScafuri per tutte le chiacchierate sullekusa che abbiamo fatto e due careamiche che mi hanno mandato tantefoto delle loro bellissime piantine,alcune foto appaiono a corredo diquesto articolo, le due care amichesono Daniela Biei e Bruna Parma.

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La mia nascita come suisekista è recentissi‐ma, diciamo che sono ancora un suisekistain fasce, infatti mi sono avvicinato a que‐st’arte da meno di un anno. Inizialmente

vedevo i suiseki come un possibile accompagna‐mento ai miei bonsai per arricchire maggiormenteil tokonoma, poi ho iniziato a vederli non più co‐me oggetti secondari e mi sono appassionato eavvicinato sempre di più a quest’arte giapponeseche fonde assieme cultura e forza espressiva.

La cosa che mi affascina di più è cercaredi ricreare attraverso l’esposizione un’immagine ilpiù possibile naturale, ovvero qualcosa che nonsia così lontano da una possibile scena nella qualeci possiamo imbattere facendo una passeggiataimmersi nella natura.

Io e la mia pietra “il Pozzo dei desideri”ci siamo incontrati circa 9 mesi fa, era una mattinafredda e mentre cercavo di svegliarmi con l’aiutodi un caffè l’ho vista, era posata non in riva ad unlago o ad un fiume, ma su un tavolo con il suo beldaiza, ed è stato amore a prima vista. Hocontattato colui che l’aveva raccolta, nonché miomentore nell’arte del suiseki e dopo qualchegiorno la pietra è diventata mia.

A me piace la sua forma che mi ispirasensazioni di calma e tranquillità, inoltre il suocolore così scuro e intenso e la superficiecompatta mi hanno convinto che questo suisekipoteva essere apprezzato anche in una mostra.Nel 2012 mi sono iscritto all’AIAS, perché ritengoche far parte di una Associazione Nazionale possacontribuire alla mia crescita come suisekista, edho partecipato al Congresso a Firenze. Ho decisoche questa pietra potesse essere all’altezza dellamostra e l’ho portata. Sono stato felice di questa

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esperienza ed ho ricevuto dei buoni apprezzamenti.Ho deciso allora di portare la pietra alla Mostra Bonsai

e Suiseki d’Autunno organizzata dal mio club l’AssociazioneCulturale Roma Bonsai presso la Città dei Ragazzi a Roma.

Quest’anno una sala della mostra è stata riservata aisuiseki e ne sono stati presentati molti ad un buon livello. Ina‐spettatamente sabato sera mentre cenavo mi è arrivata una tele‐fonata che mi informava che la mia pietra aveva vinto il premio“Bonsai e Suiseki Magazine” come miglior suiseki. E’ stata unasoddisfazione molto grande per me, ricevere un premio presti‐gioso che mi incita a proseguire su questa strada.

Anche se il mio pregio non è stato assolutamentequello della scoperta nel vero senso della parola, ho avuto sicu‐ramente il merito di averla notata, mostrata e cercato diaccompagnarla nel modo giusto o perlomeno secondo il miogusto.

La pietra lago detta mizutamari‐ishi mi ha sempre affa‐scinato, mi hanno sempre colpito quelle pietre poste su un sui‐ban con dentro un po’ di acqua che fanno immediatamentepensare alle sorgenti di montagna fresche, refrigeranti e forse èquesto l’obiettivo di chi la espone specialmente se lo fa in unperiodo caldo.

Visto che la pietra è stata esposta in autunno l’ho la‐sciata nel suo daiza ed ho completato l’esposizione utilizzandoun tempai un po’ particolare che non seguiva le regoledell’esposizione classica ma che aveva soltanto l’obiettivo di ri‐chiamare un’immagine vista in un documentario qualche seraprima, che ricorda appunto gli uccelli acquatici che vivono vici‐no ai laghetti.

Insomma questa antica arte giapponese mi affascina emi trasmette molta gioia e sono convinto di continuare a “colti‐vare” questa passione.

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Questo stile suggerisce l'idea di unapianta che continua a vivereadattandosi all’asperità della Natura;tutto è conseguente di situazioni

difficili come la neve, le slavine di massi cheprocurano la rottura di rami e di tronchi e lescarse precipitazioni estive, che disseccano irami dando forma a shari e jin. La cascata èuno degli stili più affascinanti e difficili. Lacomplessità reale nel realizzare il kengai è nelriuscire a rappresentare nello stile una grandeintensità, indispensabile ad infondere lasensazione di sopportazione, di lotta e disuccesso di una pianta che vive in habitatestremi.

Le cascate bonsai sono definitekengai, quando i rami oltrepassano il bordoinferiore del vaso e questa regola invalsa è te‐nuta ancora oggi, proprio per diversificarsidalla semi cascata. I materiali appropriatihanno tronco basso e tozzo con lunghi rami, èimportante che la parte inferiore del troncosia molto sinuosa. Piante a forma piangente,come il Salice e il Prunus sono per questomotivo più facile da impostare a Kengai.

Nell'eventualità di conifere questostile deve rappresentare l’immagine di unapianta sviluppata aggrappata alla roccia, a latodi una cascata o su un dirupo molto scosceso:il tronco quindi si piega verso il basso e i ramisi sviluppano con tutta la loro forza versol’alto, benché alcuni sovente si dissecchino.

La cascata assume il suo nome dallasembianza tra l’aspetto del bonsai e la cascatad'acqua. In questo richiamo estetico bisognaanalizzare l'andamento della massadell'acqua, in bilanciamento con una formaconseguente della posizione dei rami e degliapici. Lo stile kengai possiede anche delle suevarianti chiamate: Dai Kengai (cascata verti‐

KENGAI

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cale) Gaito Kengai (ramo sporgente suldirupo) Taki Kengai (cascata d’acqua)Ito Kengai (cascata con rami a forma dicorda).

La cascata formale è la piùconforme alla tradizione, ed è costruitapartendo dalla ricerca del baricentrografico, devono corrispondere sullostesso asse, l'apice superiore (atama), ilcentro del vaso, la base della pianta(nebari) e l'apice inferiore (sita eda). Untempo si riteneva questa formaun’opera eccellente d'equilibrio esteti‐co. Attualmente questa forma è statatralasciata perché l'apice inferiore, chesi curva per ritornare nel baricentro,compie uno spostamento moltoinnaturale, perché un ramo non sicurverebbe mai verso il versante delmonte, dove non c’è luce. In più ètroppo abbondante di rami per esserela raffigurazione di una pianta che vivein un precipizio.

Nelle forme delle cascaterappresentative di piante sviluppate suburroni ci deve essere una corri‐spondenza tra la forma scelta e

l'ambiente che delinea quel certobonsai, e infine l’adeguatezza con laspecie.

APICE SUPERIORE (ATAMA) ‐ Per lacaratteristica di naturalezza e di verosi‐miglianza, in riferimento agli ambientiin cui si struttura una cascata, non cidovrebbe essere nessun apice superio‐re, essendo per forza di cose investita,piegata dalla neve o dal crollo dellepietre, o dai venti. Ecco perché l'atamadella cascata formale è un concettoestetico separato dalla realtà ambienta‐le. E' quindi consigliabile lasciare iltronco libero di vegetazione nella partealta, prevedibilmente con segni di trau‐mi come jin, shari, e cicatrici.

Nell'impostazione della parteapicale si deve aver presente che laforma deve essere compatta e appiatti‐ta; tuttavia, sia gli apici del tronco siadei rami, devono essere sostituiti conti‐nuamente al fine di conferire unanaturale sinuosità.

Il tronco può essere singolaree molto elegante. Anche la corteccia

deve essere vecchia. L'apice superiorepuò essere conservato purché sia plau‐sibile, come ad esempio quando èmolto spostato da un lato per cascateprofonde.

Questo ragionamento è attri‐buito in maggior parte alle conifere,mentre per le latifoglie è più naturalepensare anche all'atama. Le speciemediterranee sono soggette ad un ri‐sultato simile a quello montuoso, pro‐vocato invece da smottamenti e venti.Un altro particolare che valorizza ilbonsai a cascata, è realizzato dalle ra‐dici che spuntano in superficie.

LA CASCATA ‐ Il movimento del troncoin caduta è l’elemento centrale dellostile kengai. È necessario ottenere unmovimento naturale e verosimile deltronco, senza finire nella ripetitività.Bisogna sempre tener presente ilversante ideale della montagna e la di‐rezione del tronco che cerca la luce, ela risalita verso l'alto.

E' importante la prima curvaalla base del piede. Se c'è una curva

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molto accentuata vicino alla radice, ilmateriale è ottimo. Sarebbe ancorameglio se vi fossero shari e jin; se nonesistessere si possono realizzare jin coni rami potati e shari collegandoli tra lo‐ro.

Il tronco in caduta può avereuna “forma curva” o una “forma di‐ritta”. Nella "forma curva", il troncopresenta una serie di curve con ramidisposti lungo le sue curve esterne; edun ramo che comporrà l'apice. Per ladisposizione dei rami sulle curve deltronco si può imitare lo stile erettoinformale.

Nella "forma diritta" il troncocade verso il basso e i rami pendonoverso l'esterno formando quasi dei gra‐dini. In relazione alla specie, bisognaprivilegiare le torsioni accentuate suiginepri e le contorsioni sui pini. Per lespecie da fiore è meglio preferire mo‐vimenti delicati, per meglio evidenziarela fioritura. Il movimento del tronco incaduta è, insieme allo shari, il compo‐nente che più contribuisce a dare lostile e la specificità a quel certo bonsai.

Il tronco in caduta deve essere visibilesoprattutto nei primi tratti.

Si raccomanda di impostare irami piegando dall'attaccatura, te‐nendoli sempre vicini al tronco e sosti‐tuendone l'apice, lasciando un piccolojin apicale. Il numero dei rami deve es‐sere ridotto al minimo e devono esserelavorati parallelamente tra loro, diversi‐ficando le spaziature e la lunghezza deirami, in modo da poter essere tutti visi‐bili dal fronte.

I palchi vegetativi possono co‐minciare appena oltre la curva deltronco e continuare fino all'apiceoppure, se il tronco ha una forma inte‐ressante, si può avere una massa vege‐tativa concentrata nelle vicinanzedell'apice, perciò si avrà una cascata,con una visione più drammatica cheraffigura l’affermazione della pianta su‐gli elementi atmosferici.

La linea dello stile a cascata èspezzata da queste masse vegetativeche creano l'effetto di nuvole sospesenell'aria che contribuiscono ad accre‐scere l’attrazione e il mistero del

bonsai. Lo spazio è un altro elementofondamentale, per potenziare l'effettodi profondità.

APICE INFERIORE (SITA‐EDA) ‐Tranne che nella cascata formale comegià abbiamo visto (l'apice inferiore cre‐sce verso la parete, cioè verso l'ombra);in quasi tutti i casi, l'apice inferiore de‐ve staccarsi dal vaso e le parti terminalidella vegetazione devono stareleggermente all'insù. Il sita eda è comeun'atama, cioè un ultimo gran palco.Nelle cascate molto profonde, spe‐cialmente nelle latifoglie, ogni tanto èlasciato crescere qualche germoglio perirrobustire l'apice inferiore. L'apiceinferiore deve essere snello e affusolatoper le cascate a tronco sottile, mas‐siccio e arrotondato per le cascate atronco massiccio.

SHARI ‐ Notiamo dalla foto i ramidisposti come un fascio di corde in ca‐duta (Ito eda), notiamo inoltre come ijin sono piegati verso il basso proprioad indicare la coerenza con lo stile. I

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jin nello stile a cascata devono essere creati con dei movi‐menti verso il basso.

Il ruolo dato dallo shari, è quello di preferire undisegno verticale che aiuti l'occhio ad andare verso il basso.L'effetto di caduta, richiama alla mente l'effetto della frana,questo è evidenziato dallo scortecciamento e dai solchi verti‐cale del legno che accentuano il senso di verticalità.

Il colore preferito per gli shari dei kengai deve esseresufficientemente bianco, come accade in natura, vale a direin zone aride e sottoposte ad una forte luce solare. I ginepricon shari evidenti sono i principali soggetti per lo stile a ca‐scata, i jin si possono tenere anche lunghi, specialmente nellaparte bassa.

VASI ‐ Per lo stile a cascata, si usano sempre vasi alti, rotondi,quadrati od esagonali. E' fondamentale scegliere il bordo, chepuò essere svasato o chiuso, favorendo il bordo svasato perpiante delicate e lunghe ed il bordo chiuso per piante contronco massiccio e chiome compatte. Il fronte del vaso nelcaso in cui il vaso sia quadrato può anche essere scelto dispigolo che offre un aspetto più leggero e lieve; sono caratte‐ristiche da bilanciare per un buon risultato estetico.

Per le esposizioni di un kengai rispetto al passato sitende a collocare i bonsai a cascata in vasi meno profondi edimpiegare tavolini alti.

SPECIE ADATTE ALLO STILE A CASCATA ‐ Questo stile non èadatto a tutte le specie, ma solo a quelle che in natura vivonolungo i dirupi, e le pareti rocciose. Queste essenze sono: Gi‐nepri, Pino, Tasso, Tsuga, Prunus, Camelia, Rododendri,Gelsomini, Cotoneaster ecc. Le specie da fiore avranno chio‐me più compatte, come delle cascate d'acqua piene di fiori.

Per le specie da fiore bisogna impostare i rami inmodo elegante e con forme dolci. È necessario creareun'atmosfera serena piegando dolcemente tronco e rami inmaniera che si possono godere i fiori, i frutti e le foglie. Nonoccorrono jin e shari.

In Giappone, in passato, anche i Crisantemi eranoimpostati a Kengai, per godere tutta la bellezza di questi fiori.Lo stile Kengai consente di apprezzare appieno le piante dafrutto e da fiore. Questo stile nelle caducifoglie procura a chiosserva, la serenità ed una sensazione d’eleganza che si ma‐nifesta nelle quattro stagioni. Lo scopo di questo stile è quellodi far immaginare la durezza delle condizioni ambientalisenza dare all'osservatore una sensazione d’inquietudine o didisagio.

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La foto mostra un ginepro in cascata nellavariante ad "N".Questo stile che si basa nel rialzamentodell'apice inferiore fin quasi all'altezza delsuperiore è una variante naturalistica, che innatura avviene spesso, proprio come reazionedella pianta ad un periodo susseguente a quelliche hanno causato la caduta del tronco, e chenon si sono più ripetuti. In questo stile èimportante dare un aspetto del tronco sollevatoed una piega principale molto evidente.Gli elementi che concorono maggiormenteall’aspetto del kengai sono: il tronco checostituisce la dominanza visiva, l'apice superiore,e il vaso.

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E´entrato nella stanza con solo l'accappatoio ri‐dendo nel suo modo caratteristico con due colpifinali di tosse e indicandomi ha detto "L. ha toltoil tappo della vasca!" I presenti hanno riso assie‐

me a lui. Ho subito pensato che per essere a casa del

Maestro da solo un ora avevo già collezionato la figurada Gaiji (Straniero un po' ignorante), per fortuna il mioMaestro, la moglie, le figlie e gli allievi erano una Fami‐glia non Tipicamente Giapponese. Dopo le risate unagentile pacca sul braccio e tutto era finito, l'allievo piùanziano Ak. Mi accompagna nella cameretta dove abi‐terò per i prossimi 4 mesi.

La stanza non è male al primo piano con scalaesterna e lungo corridoio ingombro di scarpe degli altridue allievi ne hanno la media di cinque paia diverse traloro per le varie occasioni, il pavimento è di linoleumma si tolgono le scarpe. L'arredamento è costituito da uncapiente frigorifero degli scaffali ed un armadio il pavi‐mento è libero ed in un angolo ci sono 8 futon arroto‐lati. Per fortuna è presente un condizionatorecaldo‐freddo.

Trasportate le valigie tiro fuori l'indispensabile emi faccio il letto utilizzando i futon arrotolati, di solito sene usano due come materasso ma non è la prima voltache vengo in Giappone e 4 per me vanno bene. Midistendo e credo di addormentarmi subito invece vuoiper l'eccitazione vuoi per il fuso orario gli occhi ri‐mangono aperti. Che cosa mi ha portato qui? E so‐pratutto perché?

Adesso sono in una cameretta nel piccolo edifi‐cio prefabbricato di due piani a lato di uno dei più bellie conosciuti giardini bonsai in uno dei tranquilli comunisatellite di Tokio che si vede scintillante al di là del fiumeEdo. All'inizio in Italia ho accettato l'invito del Maestro,

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l'ho fatto senza dubbi pensavo fosse la stazione principa‐le del lungo cammino che avevo iniziato anni fa.

Avevo conosciuto il Maestro anni prima quandodurante un mio viaggio per la Kokufu‐ten la ditta dibonsai dove lavoro mi aveva fatto una lettera di invito ingiapponese per un maestro per organizzare una manife‐stazione in Italia. Naturalmente avevo molte copie dellalettera e la consegnavo con gentilezza e poche paroledel mio giapponese a tutti i maestri conosciuti perso‐nalmente o visti su libri, tutti ringraziavano con sorrisi einchini.

Il Maestro era indaffarato al suo stand di vendi‐ta e io non ero molto sicuro che fosse la persona checercavo, la foto a mia disposizione non era gran che epoi pensavo fosse più alto, mi avvicino e quasi sussurro ilsuo nome lui si gira e punta due pupille da finto gattoaddormentato su di me, nel seguente attimo tutta la suapersona mi sorride e io gli metto la lettera in mano.

Legge con attenzione e all'improvviso mi stringeil polso e scusandosi mi trascina per tutto l'edificio divendita, mentre camminiamo guardo attorno smarrito.Non è possibile che un giapponese, per di più Maestro,trascini toccandolo uno straniero appena conosciuto,non mi lascia il polso nemmeno in ascensore e sentoaddosso a me gli sguardi delle altre persone che pensa‐no "Guarda questo povero Gaiji smarrito che vieneaccompagnato come uno scolaretto".

Il suo obiettivo era la gentile signora D. segreta‐ria della Associazione Bonsai Nazionale che parla un

buon inglese. Con l'aiuto di D. il Maestro mi chiedemaggiori informazioni sulla Ditta dove lavoro e sullamanifestazione, finito l'interrogatorio mi invita per quellasera a cena a casa sua.

Credendo che il suo giardino fosse chilometrifuori Tokio declino l'invito, lui mi dice che vive a 20 mi‐nuti d'auto dalla Kokufu, gli faccio presente che sono as‐sieme ad altri 6 appassionati bonsaisti e lui invita ancheloro, dico che la sera è difficile orientarsi a Tokio e luidice che mi aspetterà con un pulmino all'uscita della zo‐na di vendita. Fregato! Accetto l'invito pensando a comeriuscirò a convincere gli altri che hanno già dei pro‐grammi per la serata. Infatti i miei compagni la cosa piùgentile che mi dicono è che non hanno mai sentitoparlare del Maestro e che probabilmente non si pre‐senterà all'appuntamento, gli faccio notare che nono‐stante la giovane età ha vinto primi premi con le azaleee anche la mostra dei professionisti. Riesco a convincerlianche perché io ho organizzato il viaggio e sono l'unicoche ha un pò di esperienza del Giappone, temonol'avventurarsi da soli oltre la soglia dell'albergo.

Al termine di un pomeriggio nel quartieredell'elettronica ci presentiamo, in ritardo, davanti allavendita, tutto è chiuso e buio ma un pulmino èparcheggiato e il maestro scende salutando e ci invita asalire. Qualcuno dei presenti dice che come maestrodeve essere di medio livello se non ha neanche un allie‐vo per mandarci a prendere.

Il giardino si trova in un quartiere di case a due

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piani con qualche piccolo orto e solodegli edifici moderni a più piani lungo lavia principale, il giardino S.‐en èall'interno lontano da rumori e traffico.

Varcato il cancello il Maestroaccende tutte le luci e ci troviamo da‐vanti ad una grande nuova casadall'aspetto tradizionale, il giardino èspazioso ed i bonsai sono ben distanziatiscopriamo subito ben 7 tokonomagrandi allestiti per noi e decine di bonsaiche hanno vinto premi nelle passate edi‐zioni della Kokufu, tanti vasi antichi e unpiccolo giardino tradizionale con annes‐sa stanza da té. Solo l'annuncio della ce‐na ci riporta alla realtà ed a tavolaveniamo serviti da tre allievi. Al terminefelici e appagati ci riportano in albergo,con il cruccio che per motivi di temponon potremmo rivedere il giardino digiorno.

Tornati in Italia la ditta ricevenumerose risposte ed il principale michiede chi inviterei, rispondo che moltidei Maestri sono già conosciuti i Europaed in Italia ma il Maestro K. non è maiuscito dal Giappone è bravo e comuni‐cativo ed ha vinto numerosi premi. De‐cidiamo di organizzare la manifestazionecon lui.

Dopo quella manifestazione ilMaestro è venuto altre volte in Italia e ingiro per il mondo ed è diventato famosoanche all'estero, per questo dice che hanei miei confronti un debito di ricono‐scenza perchè ho creduto in lui.

In questi termini pare ad unoccidentale una semplice gentilezza maio come altri occidentali non avevo te‐nuto conto che il popolo giapponesesotto la giacca e cravatta nascondel'armatura e gli atti dei samurai, questovale sempre meno per i più giovani main certi ambienti tradizionali come ilbonsai è fondamentale.Il mio Maestro aveva un debito (GIRI)verso di me e se ne prendeva carico(ON), spesso questi obblighi morali sonoinestinguibili.

L'invito ad andare a studiare nelsuo giardino è stata la prima conse‐guenza dell'ON, dopo circa dieci annidall'invito ho deciso a 40 anni di partire.

Se una mattina d'inverno unviaggiatore carica sull'aereo le valigiepiene di vestiti e desideri...

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Mishima il nazionalista, ilraffinato, il giapponese.Mishima l'occidenta‐lizzato, il contradditto‐

rio, il suicida. Se ne sono dette tante ‐e se ne dicono ancora ‐ sullo scrittorenipponico, ma che fosse capace discrivere un testo quasi impalpabile co‐me Ali potrebbe apparire incredibile amolti.

Si tratta, in fondo, di un bre‐ve racconto: una manciata di pagineche volano via in un baleno, lasciandodietro di loro una sottile scia di ma‐linconia. E di malinconia e timidezzapaiono fatti i due giovanissimi prota‐gonisti della storia, la dolce Yoko esuo cugino Sugio, che si aggiranoinsieme per le strade di una Tokyo sucui incombono, gravi, tutte le minaccedel secondo conflitto mondiale all'api‐ce della sua drammaticità. Eppure, illoro amore acerbo e clandestino,bizzarro come solo sanno essere lepassioni adolescenziali, sembra nonconoscere paura, nutrendosi di unaleggenda evanescente, che affonda leradici nell'anima: entrambi sono in se‐greto convinti che l'altro possegga unpaio di ali, invisibili a chiunque, manon hanno il coraggio di confessarse‐

lo. Possono in tal modo viveresoltanto di parole non dette, dipensieri sottilmente intrisi di erotismo,di promesse che attendono, forseinvano, la fine della guerra perprendere corpo.

La prosa limpidissima edesatta di Mishima evoca un mondodai tratti onirici, che sa accoglierel'orrore dei bombardamenti e la viva‐ce ricchezza delle azalee in fiore, ce‐lando però un grumo più profondo eoscuro. Ed è proprio qui, con buoneprobabilità, che lo scrittore ha saputonascondere una parte di sé; la mede‐sima che ‐ come le ali di Yoko e Sugio‐ nessuno pare saper scorgere. Rivelòinfatti il romanziere, quasi con ama‐rezza: "Pensai d'aver scritto con moltasincerità di me stesso [...] invece, aquel tempo, nessuno si accorse dellamia confessione. Probabilmente era laconseguenza di essere sempreapparso agli altri come chi non vuolemai dire nulla di sé".Il racconto è legalmente scaricabilegratis da questo indirizzo:http://www.pedro.it/webs/mille‐lireonline.it/SchedeMOL/4_ali/4_a‐li.htm

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ALIYUKIO MISHIMA

STAMPA ALTERNATIVAil racconto è legalmente scari­cabile gratis

www.bibliotecagiapponese. it

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HITOSHI'S WORLD

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photo © Hitoshi Shirota

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Simbolo ed espressione dell’affasci‐nante cultura giapponese, le koke‐shi sono bambole tradizionaliprovenienti dalla regione del Toho‐

ku, una zona molto conosciuta per le sueonsen (terme). La loro origine e perfinol’etimologia risultano incerte infatti, soltantonel 1939, durante la Kokeshi NationalConvention , è stata ufficialmente accettatala scrittura in hiragana per ovviare alle nu‐merose ipotesi circolanti.

Molto probabilmente, la primakokeshi risale all’epoca Edo (1600‐1868)quando Kijishi, un falegname della pre‐fettura di Miyagi, cominciò a fabbricarequeste bambole come souvenir per i visi‐tatori delle onsen. Inizialmente, regalare oacquistare per sé delle kokeshi, aveva unsignificato spirituale: per la loro perfezioneformale esse rappresentavano, infatti, il de‐siderio di avere un figlio sano. Un’altrafunzione poteva essere quella di servire da

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oggetto per i massaggi, grazie alla mancanza di articolazioni ealla loro forma rotondeggiante.

Generalmente, le kokeshi sono fabbricate con legnostagionato per diversi mesi; esso può essere di ciliegio o dicorniolo mizuki che significa letteralmente “legno d’acqua”,forse perché utilizzate come amuleto contro gli incendi).

La loro lavorazione si presenta abbastanza sempliceanche se particolarmente lunga: la bambola viene prima tagliatain due blocchi (testa e corpo), in seguito viene tornita, lucidata eassemblata mediante una corda o una specie di elastico;successivamente l’artigiano dipinge a mano il viso, i capelli e ilkimono. I motivi floreali dei kimono permettono di riconoscerel’esatta provenienza di queste bambole, anche se la regione chene produce di più resta sempre il Tohoku.

E’ possibile distinguere due tipi di kokeshi: quelle tra‐dizionali (dento‐kokeshi), classificate in 11 tipi in base alla zonadi provenienza; e quelle creative (shingata‐kokeshi), realizzate apartire dalla seconda metà del ‘900, di forma e ispirazione arti‐sticamente più libera.

Oggi le kokeshi sono largamente diffuse non solo inGiappone ma anche in Occidente, tanto che la loro produzione

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è diventata in alcuni casi industriale.Questo ha necessariamente inciso sullaqualità dei materiali (quasi sempre pla‐stica o resine) e sulla loro funzione, chesi presenta come meramente decorati‐va.

Le moderne kokeshi hannocolori sgargianti e un design ispirato

prevalentemente ai manga; gli abiti ri‐producono le mode del momento edinfluenzano perfino le industrie cosme‐tiche, che propongono trucchi che ri‐mandano a queste singolari bambole.

Tuttavia, per quanto la lorocommercializzazione le abbia rese me‐no caratterizzanti, le kokeshi restano

un patrimonio indiscutibile della tradi‐zione del Sol Levante e conservanointatto il loro fascino antico e misterio‐so.

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Fino a pochi decenni fa lamaggior parte dei giapponesiviveva in case fatte di legno,carta e paglia. La pianta e la co‐

struzione di tali abitazioni privilegiava‐no alcuni elementi ritenutiindispensabili dagli stessi abitanti: ungiardino privato e un'ampia veduta. Iltermine shakkei, "paesaggio preso aprestito", indica la vista di alberi e colli‐ne (non inclusi nel terreno di cui si èproprietari) di cui si gode da un luogobenedetto dalla natura. Gli architetti e ipaesaggisti hanno imparato a innalzaremuri e siepi per celare uno scorcio po‐

co gradevole e a creare spazi liberiquando il paesaggio merita di esserevalorizzato. Un tempo anche gli abi‐tanti delle grandi città beneficiavano diun giardinetto interno che consentivaloro di vivere in simbiosi con la naturasecondo il ritmo delle stagioni. Le case,costruite soltanto con materiali naturali,erano destinate a decomporsi e a ridi‐venire terra dopo aver assolto alla lorofunzione. È ovvio che dovevano esserein armonia con la natura finché fosserostate in vita".

Al fine di ridurre l'umidità efare circolare l'aria, le abitazioni non

erano edificate direttamente sul suolobensì soprelevate. Un sistema perfetta‐mente funzionale di porte scorrevoliche potevano aprirsi consentiva una ri‐partizione flessibile dello spazio a se‐conda delle esigenze (per isolarsi oricevere ospiti), uno sfruttamento otti‐male della brezza per rinfrescare la ca‐sa oltre all'opportunità di ammirare ilpaesaggio verdeggiante dei dintorni.Abituati a vivere in simbiosi con lanatura in virtù di questi principi archi‐tettonici, i giapponesi hanno sviluppatouna spiccata sensibilità per aspetti eatmosfere particolari quali il canto degli

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uccelli, il soffio della brezza fra gliaghi di pino o l'odore della terrabagnata dopo un temporale esti‐vo. E dal momento che non esi‐stono animali feroci dai qualiproteggersi e che le rare zanzaresono facilmente tenute lontanegrazie alle zanzariere, la naturaappare mite, accogliente e irresi‐stibilmente bella.

La distribuzione dellospazio nella casa giapponese tra‐dizionale è determinata dalle di‐mensioni dei tatami, stuoiecostituite da un'imbottitura in pa‐glia di riso racchiusa da un fittointreccio di giunchi bordato da

una fascia di tessuto, gene‐ralmente un broccato colore inda‐co. Un tatami equivalesolitamente a una superficie di 2metri per 1 ma tali dimensionipossono variare lievemente a se‐conda della regione o del tipo diarchitettura. La dimensione di unastanza è calcolata in base al nu‐mero di stuoie che la occupano,sicché non è raro leggere negliannunci immobiliari pubblicati sulquotidiani indicazioni come 6tatami, 8 tatami e così via. Il po‐tenziale acquirente può così mo‐do visualizzare subito la metraturadell'abitazione.

Il tatami è impiegatoanche come unità di misura perdeterminare l'altezza del soffitto,l'area riservata al tokonomanonché la posizione di porte e fi‐nestre. La scansione lineare dellospazio, legata a preoccupazioni diordine pratico ed estetico, risale aun'epoca decisamente antece‐dente al periodo Heian. Neltempo è stata via via perfezionataper poi essere sostituita dalle lineecurve, forma prediletta dal maestridel tè del XVI secolo. Nulla deveessere relegato in secondo pianopoiché bisogna creare un'atmo‐sfera armoniosa nella quale gli

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uomini e le cose, rotoli appesi ocomposizioni di fiori di campo neltokonom, formino un unico uni‐verso con una finalità e una du‐rata ben determinate e venganopoi messi da parte per permettereun diverso utilizzo dello spazio. Inquest'ottica lo spazio giapponesetradizionale può essere parago‐nato a un palcoscenico sul qualevengano fatti salire uomini munitidi oggetti per rappresentare unatto unico della loro vita.È indubbio che una simile archi‐tettura richieda un apposito codi‐ce di comportamento e diabbigliamento cui gli abitanti de‐

vono uniformarsi. Il Giappone ènoto per l'importanza accordata aun cerimoniale inappuntabile, alrispetto delle forme e del proto‐collo persino in seno alla vita do‐mestica. Si sta seduti su un tatamicon le gambe incrociate,all'interno dei limiti definiti dallafascia di broccato in modo cheogni singolo individuo sia parte diun tutto.

Le abitazioni giapponesipossono dare l'impressione di es‐sere poco confortevoli, ma unavolta che sedere in modo corretto,indossare il kimono secondo latradizione e resistere al freddo

pungente di certe giornateinvernali siano divenute delle abi‐tudini se ne apprezzerà la bellezzae il disagio si tramuterà in piacere.Se nella maggior parte dei paesi lacostruzione degli edifici è fina‐lizzata a superare problemi legatial freddo e al caldo e a soddisfareaspetti quali la sicurezza e ilcomfort, ciò non accade inGiappone.

Se si esclude l'ultima ge‐nerazione, quasi tutti i giapponesihanno ricevuto un'educazionetradizionale che ha insegnato loroa ritenere fondamentale e sacro ilprincipio dell'adattamento. Non a

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caso le persone di una certa età sonopiù a loro agio nello stile di vita tradi‐zionale di cui il tatami è l'emblema epreferiscono il legno e la paglia aimateriali da costruzione moderni.Eppure oggi il modo di vivere tradizio‐nale attraversa una fase di declino.Abitando in case di cemento con l'ariacondizionata e il riscaldamento centra‐lizzato, la maggior parte dei giapponesinon è più in completa armonia con lanatura.Le case tradizionali ‐ L'architetturagiapponese tradizionale comprendeprincipalmente edifici a uso residenzia‐le, templi, santuari, palazzi e castelli, icui stili architettonici sono stati in granparte importati dai paesi vicini. Du‐rante il periodo Jòmon gli uomini vive‐vano in abitazioni seminterrato, checome in altre parti del mondo consiste‐vano di semplici buchi scavati nel suoloe poi ricoperti da un tetto di paglia.Nel periodo Yayoi la conoscenza dellalavorazione dei metalli consentì unimpiego più sofisticato dei materialinaturali e gli uomini cominciarono acostruire edifici (soprattutto granai peril riso) su pali di legno.

Le tracce più antiche delleprime forme di abitazione sono fornite

dai modellini haniwa in terracotta delperiodo dei Tumuli — testimoni dellevarie tipologie di case in uso all'epoca— nonché dalle decorazioni presentisul rovescio degli specchi bronzei rie‐sumati durante gli scavi archeologici. Ireperti hanno svelato l'esistenza di abi‐tazioni con pavimento rialzato e ve‐rande addossate a un edificioprincipale. I massicci tetti con faldeaggettanti ricordano le caratteristichearchitettoniche delle abitazioni ruralidei paesi dell'Asia meridionale, speciedell'Indonesia.

Fino a tempi piuttosto recentile case giapponesi non erano riscaldatein inverno, il che fa presupporre chefossero concepite per le estati tropicalipiuttosto che per rigidi inverni. Le casein campagna erano generalmente piùspaziose rispetto a quelle di città dalmomento che ospitavano per lo più fa‐miglie numerose. Inoltre in alcune re‐gioni parte della casa era riservataall'allevamento dei bachi da seta. I tettitradizionali erano ricoperti di paglia,ma poiché occorreva sostituirli spesso,in seguito si è preferito sostituirli concoperture di tegole, un'innovazioneche ha peraltro ridotto i rischid'incendio. Le case rurali con il tetto di

paglia, costruite di solito in legno,poggiano su un sistema di palafitte etravi sufficientemente solido e flessibileda resistere sia ai frequenti terremotisia alla furia dei tifoni autunnali.Malgrado l'aspetto rudimentale espartano, le fattorie giapponesi (minka)sono incantevoli e accoglienti.Infondono un diffuso senso di benes‐sere e di appagamento che si può pro‐vare soltanto vivendo a contatto con imateriali naturali quail il legno, la pa‐glia, la carta. Le confortevoli stuoietatami si gonfiano piacevolmente sottoi piedi, le finestre scorrevoli in carta diriso lasciano filtrare una luce smorzatae piacevolmente diffusa, e il riscalda‐mento è sostituito dal kotatsu, una ca‐vità rettangolare posta al centro dellastanza, riempita di brace e coperta conun tavolino basso su cui ci si riscaldanoi piedi. Per secoli le case tradizionalihanno soddisfatto appieno i loro abi‐tanti e, come avviene per le cose delpassato superate dal modernismo, èuna perdita la loro demolizione pro‐gressiva per fare posto a case modernedi materiali sintetici prive di qualsiasioriginalità architettonica.

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