BloGlobal Weekly N°4/2014
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© BloGlobal.net 2014
BOSNIA-ERZEGOVINA – Dal 5 febbraio sono in corso in Bosnia, e più precisamente nella Federazione
di Bosnia-Erzegovina (l'entità a maggioranza croato-musulmana del Paese), proteste contro le auto-
rità locali, accusate di inadeguatezza nella gestione dei problemi economici e di corruzione
anche a livello nazionale. Partite da Tuzla, uno dei centri industriali principali del Paese, dove alcune
migliaia di manifestanti sono scese in piazza per richiedere il pagamento dei contributi previdenziali e
per contestare il processo di privatizzazione che ha portato al licenziamento di centinaia di lavoratori e alla bancarotta di alcune
industrie del territorio (Konjuh, Polihem, Dita e Resod-Gumig), i cortei si sono estesi anche ad altre città: Zenica, Bi-
hać, Mostar e, soprattutto, Sarajevo, dove si sono verificati anche scontri violenti con le forze di polizia e dove alcuni gruppi di
manifestanti hanno preso d'assalto edifici pubblici e governativi. Il bilancio si aggirerebbe intorno ai 200 feriti e
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arresti. Sono rimaste invece marginali, e tutto sommato limitate ad una dichiarazione di sostegno alle manifestazioni nella Fede-
razione BH, le proteste nella Republika Srpska, l'entità a maggioranza serba. Alla base del malcontento popolare – rivolto in parti-
colar modo a Tuzla nei confronti del partito socialdemocratico (SDP) – vi è l'insostenibilità di una situazione economica che, nono-
stante i notevoli aiuti a favore della ricostruzione provenienti da Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale, non è ancora
riuscita a tornare ai livelli di sviluppo precedenti al conflitto del 1992-95. La contrazione del PIL (dovuta anche agli effetti della crisi
europea), l'innalzamento del tasso di disoccupazione (che ha raggiunto secondo il FMI il 44,1% - mentre la Banca Centrale parla
di 27% considerando, infatti, quanti lavorano in nero) e le politiche di privatizzazioni selvagge che hanno coinvolto migliaia di
imprese e che si sono rivelate fallimentari, si accompagnano alle distorsioni politiche derivanti dall'assetto creato dagli Accordi di
Dayton. Basata sul principio di power sharing, tale intesa ha finito con il creare una struttura istituzionale estremamente fram-
mentata, dove alla suddivisione del Paese in due entità (ciascuna con propri governi, propri organi legislativi, proprie forze armate
e di polizia e addirittura rispettive dogane e sistemi fiscali), si aggiunge l'architettura di uno Stato centrale, anch'esso dotato di
propri organi ed istituzioni. La paralisi istituzionale a cui il Paese è stato negli anni ripetutamente sottoposto è stata, dunque, cer-
tamente favorita dall’esistenza di una struttura nella quale gli interlocutori sono numerosi e le cui competenze di difficile individua-
zione si inseriscono in uno scenario caotico che pregiudica il regolare svolgimento del processo decisionale. A questi fattori si
lega un elevato livello di corruzione: gli episodi di finanziamento illecito dei partiti, di malversazione dei fondi pubblici e
di nepotismo, hanno fatto sì che il malcontento popolare crescesse nel tempo. Un problema confermato anche dal Presidente di
turno della presidenza tripartita bosniaca, il croato Zeljko Komsić, che, a seguito della fuoriuscita dall'SDP, sta facendo della
lotta alla corruzione e della rottura all'immobilismo politico alcuni dei suoi cavalli di battaglia del programma elettorale del suo nuo-
vo partito (Fronte Democratico) in vista delle consultazioni di ottobre. Considerate come le più significative dalla fine della guerra
nel 1995, le manifestazioni dei giorni scorsi hanno condotto alle dimissioni dei governatori di quattro province. Il Primo Mini-
stro della Federazione BH, Nermin Niksić, musulmano che fa parte proprio del SPD, ha comunque dichiarato che non ha alcu-
na intenzione di dimettersi. Niksić, peraltro già in rotta da mesi con il Presidente dell'Entità, Živko Budimir, ha piuttosto annunciato
sia l'apertura di un'inchiesta per verificare la legalità delle privatizzazioni sia la proposta di un progetto d'emendamento al codice
elettorale che dovrebbe permettere l'organizzazione di elezioni anticipate. La necessità in realtà di riforme più sistemiche e di
respiro costituzionale – come d'altra parte richiesto anche dall'Unione Europea per lo sblocco dei 47 milioni di euro di fondi di pre-
adesione (IPA) e per l'avvio del processo di integrazione europea – insieme con la complessità di un sistema partitico all'interno
della Federazione BH e con l'eterogeneità dei gruppi di mobilitazione e di opposizione, rendono difficile la ricerca di una soluzione
di breve-medio periodo all'impasse sociale, politica ed istituzionale della Bosnia.
ITALIA – Si sta consumando l’ennesimo cambio di governo in Italia. A distanza di circa dieci mesi
dall’assunzione dell’incarico, si è dimesso irrevocabilmente il Presidente del Consiglio del Ministri, En-
rico Letta, a causa di dissidi interni al proprio partito, quello Democratico. Sfiduciato dai suoi, Letta ha
rimesso nelle mani del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il proprio mandato, che con
ogni probabilità, al termine delle consultazioni di rito, verrà assegnato al neo-Segretario del PD, Matteo
Renzi. Il Presidente della Commissione Europea, José Barroso, ha mostrato apprezzamento per i mesi
come Primo Ministro di Letta: «Ho chiamato Letta per dirgli di persona che ho apprezzato molto la grande cooperazione
che abbiamo sviluppato durante il periodo in cui è stato Primo Ministro. E’ stato un piacere lavorare con lui». Sul futuro Premier
italiano, Barroso ha aggiunto che «l’impressione è che abbia un profondo interesse nel portare avanti il processo di integrazione
europea. L’Europa rimane fiduciosa nel fatto che l’Italia continuerà con le riforme strutturali e con gli sforzi per il consolidamento
dei conti pubblici». Anche il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha elogiato l’operato di Letta: in una telefonata si è com-
plimentato per l’operato del suo governo sulla scena internazionale e gli ha confermato l’amicizia. Dal Dipartimento di Stato hanno
lodato gli sforzi di Roma «in campo internazionale per migliorare la stabilità e risolvere i conflitti, in Afghanistan, Siria e Libia e
promuovere le riforme e della crescita dell'economia italiana e dell'Eurozona». Infine, il Cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha
auspicato una soluzione rapida della crisi di governo poiché l’Italia «è un partner molto importante e molto vicino». Nel
frattempo, pare rasserenarsi la situazione economica dell’Italia, per molto tempo inserita nel gruppo dei PIIGS. Bankitalia ha
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diffuso nuove statistiche sull’andamento del PIL, che dovrebbe tornare a crescere, seppur del solo 0,1%, in questo anno
solare. Un’altra notizia positiva arriva dagli Stati Uniti, dove l’agenzia di rating Moody’s ha deciso di alzare l’outlook dell’Italia,
che è tornato così ad essere stabile per «la capacità di recupero» e per le «capacità finanziarie del governo italiano». Una nuova
fiducia a Roma si è mostrata anche con il pressing che il Ministro degli Esteri, Emma Bonino, ha deciso di applicare sull’India per
il caso dei fucilieri di marina (i marò) in attesa da due anni di essere processati dalle autorità indiane. La Farnesina ha incassato il
sostegno, seppur tiepido, di Unione Europea, che nei giorni scorsi aveva persino ventilato l’ipotesi di sospendere i ne-
goziati per un accordo di libero scambio con New Delhi, e della NATO, che con il Segretario Generale Anders Fogh Rasmussen
si è detta particolarmente preoccupata per i risvolti sulle missioni antipirateria che conducono in prevalenza gli occidentali. Un
grave smacco per Roma è giunto dal Palazzo di Vetro, dove il Segretario dell’ONU, Ban Ki-moon, aveva inizialmente declinato
l’invito italiano a mediare con le autorità indiane, definendola anzi una «questione bilaterale». Dopo le polemiche suscitate in Ita-
lia, Ban Ki-moon ha fatto una parziale inversione di rotta, dichiarando che studierà giuridicamente il caso. Ad ora, la Bo-
nino sembra intenzionata a spingere sul tasto dell’arbitrato internazionale, mentre in India pare scongiurata l’ipotesi di utilizzare la
legge pirateria ad hoc che prevede la pena di morte per chi ritenuto colpevole di omicidi.
RUSSIA-EGITTO – L’atteso viaggio in Russia del Feldmaresciallo Abdel Fattah al-Sisi – la cui candidatu-
ra ufficiale per le prossime elezioni presidenziali di primavera è prevista a giorni –, si è concluso con un
doppio successo diplomatico: l’implementazione dell’accordo di fornitura militare precedentemente
firmato nel novembre del 2013 e, soprattutto, l’endorsement ufficiale di Vladimir Putin. Durante l’incon-
tro con al-Sisi l’uomo forte del Cremlino ha affermato: «So che ha preso la decisione di presentare la
sua candidatura alle presidenziali e Le auguro anche a nome del popolo russo di avere successo». Il
Feldmaresciallo al-Sisi ha cercato di dribblare l’argomento ponendo piuttosto l’accento sul fatto che la «visita offre un nuovo inizio
per lo sviluppo della cooperazione militare e tecnologica tra l'Egitto e la Russia» e sperando che «questa cooperazione
possa avere un’accelerazione». Se le dichiarazioni di al-Sisi hanno rappresentato un invito ai Russi per ridurre la dipendenza
dell'Egitto dagli aiuti americani, le affermazioni di Putin hanno provocato, invece, l’immediato nervosismo di Washington. Il Diparti-
mento di Stato americano ha commentato che «non spetta a Putin decidere il futuro dell'Egitto». Il riavvicinamento in
corso negli ultimi mesi tra Russia ed Egitto, in particolare dopo la decisione degli Stati Uniti di congelare una parte degli aiuti de-
stinati alle forze armate egiziane – poi sbloccati all’indomani del memorandum militare tra Mosca e Il Cairo – rappresenta un altro
duro colpo per la Casa Bianca e per la ridefinizione della sua politica estera nell’area. Infatti, gli accordi di fornitura d’ar-
mi o energia firmati dalla Russia con Iraq, Siria, Algeria e Libia s’inseriscono in quel tentativo di copertura del vuoto mediorientale
lasciato dagli USA – sempre più orientati al Pivot asiatico – che il Cremlino sta cercando di colmare attraverso una diplomazia
militare e commerciale. Tuttavia, il Ministro degli Esteri egiziano Nabil Fahmy ha escluso che l'Egitto sostituirà un part-
ner internazionale con un altro: «nessuno vuole riscrivere la storia», ha detto il plenipotenziario nordafricano al quotidiano cairota
al-Ahram, parlando invece di interessi comuni tra i due Paesi a livello regionale e globale. La visita di Stato di tre giorni a Mosca
(12-14 febbraio) del Ministro della Difesa al-Sisi e del collega degli Esteri Nabil Fahmy è avvenuta nell’ambito del bilaterale “2+2”
con gli omologhi russi Serghej Lavrov e Serghej Shoigu, già protagonisti dell’accordo di novembre 2013, e ha portato ad un’esten-
sione della precedente intesa. Citando fonti dell'industria della Difesa russa, il quotidiano economico moscovita Vedomosti ha
scritto che il valore complessivo del memorandum dovrebbe aggirarsi intorno ai tre miliardi di dollari e dovrebbe prevedere la for-
nitura di jet da combattimento Mig-29M/M2 Fulcrum, sistemi di difesa anti-missili, elicotteri Mi-35, missili anti-nave, armi leggere e
munizioni.
STATI UNITI – Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e quello della Repubblica francese, Fra-
nçois Hollande, hanno tenuto un vertice bilaterale dall’alto contenuto simbolico in Virginia, nella resi-
denza che fu del “Padre Fondatore” degli USA (e passato alla storia come filo-francese) Thomas Jef-
ferson. Ha infatti affermato Obama che «Questa casa rappresenta i legami che hanno aiutato a guida-
re la rivoluzione americana e a influenzare la rivoluzione francese». Hollande ha risposto che «I legami
che ci uniscono resistono a ogni tempo. Eravamo alleati ai tempi di Jefferson, siamo alleati oggi. Jefferson e Lafayette erano ami-
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ci e noi rimarremo amici per sempre». Al di là delle questioni simboliche, Obama ha assicurato che «la nostra alleanza non è mai
stata così forte. Le nostre relazioni sono molto più profonde di cinque, dieci, venti anni fa» e ha annunciato la sua presenza al
settantesimo anniversario dello sbarco alleato in Normandia. I due Presidenti hanno manifestato una convergenza di vedute sulle
problematiche mediorientali, in particolare su Siria e Iran; Obama, così come Hollande, ha mostrato dispiacere per lo
stallo che si è creato a Ginevra sulla conferenza siriana, mentre sulle questioni delle sanzioni economiche a Teheran, in particola-
re sulle aziende in affari con gli iraniani, i due hanno affermato che queste «lo fanno a loro rischio e pericolo, saranno colpite da
una pioggia di sanzioni» se non rispetteranno le disposizioni governative. Obama ha poi ringraziato pubblicamente Hollande per il
rinnovato attivismo francese sulla scena globale, in particolare in Africa come dimostrato dall’invio di truppe in Mali e
nella Repubblica Centrafricana. Hollande ha poi affermato che le vicende del Datagate costituiscono acqua passata, anzi
«la piena fiducia tra di noi è ristabilita», benché sia necessario garantire la privacy non solo ai cittadini statunitensi, ma a qualsiasi
altro a prescindere dalla nazionalità. Questo nuovo idillio ha suscitato qualche speculazione nella conferenza stampa a margine
del summit sulla maggiore importanza dell’alleato francese in relazione a quello “speciale” britannico: Obama però si è divincolato
rispondendo che «è come scegliere tra le mie due figlie. Sono entrambe splendide e meravigliose». Intanto, il Segretario di Stato,
John Kerry, si è recato a Pechino all’interno di un più ampio tour asiatico che lo ha portato anche in Corea del Sud e in
Indonesia. Kerry ha incontrato il Presidente della Cina, Xi Jinping, e successivamente il titolare degli Esteri, Wang Yi. Il Segretario
ha definito molto costruttive le discussioni bilaterali, dicendosi «molto lieto di avere potuto approfondire in dettaglio alcune delle
questioni riguardanti la Corea del Nord», dove Pechino si è nuovamente impegnata a garantire la stabilità della penisola e a scon-
giurare l’ipotesi che Pyongyang prosegua nel suo cammino nucleare. Dal canto suo, il Presidente ha auspicato la creazione di un
«nuovo modello di relazioni sino-americane». Kerry si è soffermato poi sulla Zona di Difesa Aerea (ADIZ) proclamata unilateral-
mente da Pechino che includerebbe il territorio delle isole Senkaku contese con il Giappone: «Abbiamo detto molto chiaramente
che una iniziativa come quella, unilaterale e non annunciata,costituirebbe una sfida per alcuni popoli della regione e una minaccia
alla stabilità». Dal canto suo, Wang ha invitato Washington a rispettare la posizione della Cina e ad adottare un atteggiamento
«oggettivo e imparziale» se vuole promuovere la stabilità dell’area.
AF-PAK, 5 febbraio – Sono iniziati i colloqui di pace tra la fazione pakistana dei Talebani, Tehrik-i-Taliban Pakistan, e il governo di
Islamabad. Dopo un iniziale rinvio, le due parti si sono incontrate al tavolo dei negoziati con una lunga lista dei desideri per porre
fine ad un lungo conflitto che ha causato molte vittime nel Paese. Una delegazione talebana composta da quattro uomini, guidata
dal leader religioso Maulana Sami ul-Haq, ha quindi incontrato in un edificio ad Islamabad il team del governo. I primi colloqui si
sono tenuti in un clima amichevole e cordiale. Irfan Siddiqui, l’esponente di spicco della delegazione governativa, ha riferi to che
«non sembrava fossimo due controparti differenti, ma una sola e con lo stesso obiettivo». Anche ul-Haq ha definito l’incontro
“positivo”, aggiungendo in un comunicato a margine che i Talebani vogliono chiarezza sulla effettiva possibilità che quanto discus-
so con la delegazione governativa sia davvero passibile di concretizzarsi con atti politici. Il clima che circonda questi col loqui è
però pregno di scetticismo data la “natura estrema delle condizioni” che vincolano i negoziatori, come scritto dall’influente quoti-
diano pakistano The Express Tribune. Nel vicino Afghanistan, intanto, gli Stati Uniti paiono aver perso qualsiasi speranza di poter
siglare in breve tempo l’accordo bilaterale di sicurezza con il Presidente Hamid Karzai. Fonti del Pentagono riferiscono che la
distanza tra le due parti si sta ampliando anziché riducendo e che molto probabilmente l’accordo non verrà firmato prima delle
elezioni di aprile. Di riflesso, Barack Obama e il Segretario alla Difesa, Chuck Hagel, hanno ridotto al minimo i contatti con Karzai
e hanno iniziato a valutare l’opzione zero, che non manterrebbe sul territorio afghano alcun soldato americano dopo il ritiro pro-
grammato per quest’anno.
BRASILE, 7 febbraio – A pochi mesi dal via dei campionati del mondo di calcio FIFA (12 giugno-13 luglio), nuove manifestazioni
violente contro il rincaro dei prezzi dei mezzi pubblici si sono tenute a Rio de Janeiro. L’aumento di 10 centesimi di reais deciso
dal sindaco della città Eduardo Paes ha portato nuovamente per le strade giovani senza lavoro, il movimento a favore del traspor-
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to pubblico gratuito “Passe Livre” e, infiltrati nei cortei, diversi gruppi di Black bloc, alcuni dei quali di nazionalità straniera. Gli
scontri fra dimostranti e forze di polizia avvenuti nei pressi di una stazione della metropolitana cittadina hanno provocato la morte
di un operatore TV, il ferimento di sette persone e l’arresto di oltre una ventina di manifestanti. Già a giugno dello scorso anno
durante la Confederations Cup e un mese più tardi in occasione della visita del Santo Padre nel Paese sudamericano si erano
registrati alcuni episodi violenti a causa dell’aumento delle tariffe del trasporto urbano. La preoccupazione che situazioni analoghe
possano ripetersi anche in occasione dei prossimi mondiali di calcio ha spinto il governo a cercare un “dialogo permanente” con i
movimenti sociali delle dodici sedi dell’evento sportivo dell’anno. La decisione dell’esecutivo è stata resa nota da Gilberto Car-
valho, Capo di Gabinetto della Presidenza della Repubblica.
IRAQ, 3 febbraio – Il governo continua la sua campagna militare contro gli insorti islamisti e filo-qaedisti dello Stato Islamico del’I-
raq e del Levante nelle province sunnite di al-Anbar. Secondo il Ministro della Difesa iracheno Saadun al-Dulaimi, le forze regolari
di Baghdad hanno lanciato una violenta offensiva uccidendo una cinquantina di militanti islamisti a Ramadi e a Falluja. Il Premier
Nouri al-Maliki, in visita in una base militare nei pressi di Ramadi, per provare a fiaccare gli insorti ha promesso 83 milioni di dolla-
ri in aiuti e 10.000 posti di lavoro nelle forze di sicurezza a tutti coloro che decideranno di abbandonare il fronte anti-governativo. Il
portavoce del Primo Ministro, Alì Mussawi, ha riferito all’agenzia AFP che in un incontro con i funzionari provinciali di al-Anbar e
con i responsabili delle tribù locali ha discusso dell’evoluzione delle operazioni dell'esercito nell’area. Le prospettive per una rapi-
da risoluzione della crisi sembrano sottili, come confermato anche dal vice Primo Ministro Hussein al-Shahristani che ha confer-
mato che la strategia governativa per riconquistare Fallujah potrebbe richiedere molto tempo. A rendere accidentata la situazione
sul campo influisce anche l’insurrezione, anche se su scala ridotta, di alcuni governatorati sunniti a nord di Baghdad, dove alcuni
combattenti hanno preso il controllo di una parte della città di Sulaiman Bek e zone limitrofe della provincia di Salaheddin. Intanto
non si placa il vortice di violenze nel Paese in vista dell’atteso appuntamento elettorale del 30 aprile. Almeno sette persone, tra le
quali Hamza al-Shammary, candidato alle elezioni parlamentari del blocco al-Ahrar, vicino al leader sciita Moqtada al-Sadr, sono
state uccise a Baghdad. Già nell’aprile del 2013, prima e durante la campagna elettorale per le consultazioni locali vennero uccisi
circa 20 candidati. La violenza in Iraq ha raggiunto livelli molto vicini a quelli dell’anno “nero” 2008, quando il Paese venne scon-
volto da brutali omicidi settari.
LIBIA, 14 febbraio – Le milizie fedeli all'ex Capo di Stato maggiore dell’Esercito Khalifa Haftar avrebbero tentato di destituire go-
verno e Parlamento di Tripoli ma, come spiegato dal Ministro della Difesa Abdulah al-Thani, le Forze Armate sarebbero riuscite
ad impedirlo. L'annuncio del tentato golpe era stato dato dalla tv panaraba al-Arabiya, secondo la quale le forze di Haftar avreb-
bero preso il controllo dei centri di potere della capitale per dare vita a un comitato presidenziale che potesse governare f ino a
nuove elezioni. In un improvvisato discorso tv, il Primo Ministro Ali Zeidan ha smentito che fosse in atto un golpe aggiungendo
che a Tripoli regnava la calma. Dopo aver chiarito i fatti, lo stesso Premier ha poi ordinato l’immediato arresto del Generale in
pensione. Haftar è stato una figura di rilievo della storia recente libica: salito alle cronache negli anni Settanta per aver combattuto
con l’Esercito di Gheddafi nella guerra contro il Ciad, lo stesso militare cadde poco dopo in disgrazia e fu costretto all'esilio negli
Stati Uniti. Rientrato in Libia dopo l'inizio della rivolta del 2011, è diventato immediatamente uno dei leader militari del Consiglio
Nazionale Transitorio libico. Il presunto colpo di Stato è tuttavia segno della sempre più marcata distanza tra i nazionalisti dell'Al-
leanza delle Forze Nazionali e gli islamisti del Partito Giustizia e Costruzione, legato ai Fratelli Musulmani libici. Tensione acuita
dalla decisione dell’esecutivo di transizione di prolungare il proprio mandato – scaduto il 7 febbraio – fino al 2015 ed entrando
così in conflitto con la road map stabilita che prevedeva, invece, l’istituzione di un Comitato di Sessanta saggi, un organismo inca-
ricato di redigere la nuova Costituzione e che si insedierà il prossimo 20 febbraio.
SIRIA-LIBANO, 15 febbraio – Si è concluso con un nulla di fatto il secondo round dei colloqui di pace a Ginevra tra rappresentanti
del governo di Damasco e delle opposizioni mediati dall'inviato speciale per l'ONU e Lega Araba, Lakhdar Brahimi. A differenza
dello scorso negoziato, questa volta non è scaturita neanche un'intesa di massima sulle possibili date per un prossimo incontro,
anche se, come dichiarato dallo stesso Brahimi, potrebbero esser stati individuati alcuni punti in agenda: lotta alla violenza e al
terrorismo, creazione di un organo esecutivo di transizione, formazione di istituzioni nazionali e riconciliazione. Le divergenze tra
le due delegazioni proprio riguardo ai primi due punti (il primo essenziale per il governo di Assad, il secondo per il CNS), lascia
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pertanto presagire un rinvio a tempo indeterminato della ripresa delle trattative. Inoltre, mentre restano distanti anche le posizioni
tra USA e Russia, benché entrambe abbiano dichiarato il loro impegno a garantire la riuscita della Conferenza, anche Francia e
Regno Unito hanno imputato al regime di Assad il fallimento degli incontri. L'unico obiettivo raggiunto, tracciato durante il primo
round della Conferenza, è stato l'accordo, raggiunto il 6 febbraio, tra governo siriano e Nazioni Unite circa un cessate il fuoco
e l'apertura di un corridoio umanitario ad Homs. Un fattore che in prospettiva potrebbe essere positivo per la possibile soluzione al
conflitto siriano proviene dal Libano: dopo 10 mesi di stallo nelle trattative, il Premier Tammam Salam - succeduto lo scorso apri-
le al dimissionario Najib Miqati - ha annunciato la formazione di un nuovo governo di unità nazionale. Ne faranno parte sia espo-
nenti del Blocco 14 Marzo, sunnita e anti-siriano, che fa capo al filo-occidentale Saad Hariri (titolari degli Interni, della Giustizia,
dell'Economia, dell'Informazione, delle Telecomunicazioni) sia membri di Hezbollah dell'Alleanza 8 Marzo, tradizionalmente alleati
del regime di Damasco (a loro i dicasteri delle Finanze, degli Esteri, dell'Industria, dell'Energia, del Lavoro e dei trasporti). Lo
sblocco delle trattative potrebbe esser dipeso non solo dal recente incontro tra Obama e Hollande relativamente al ruolo del Pae-
se dei Cedri nella guerra siriana, ma anche da un possibile cambiamento di prospettiva nell'ambito della stessa da parte di Arabia
Saudita e Iran.
SVIZZERA, 9 febbraio – Con il 50,3% di voti favorevoli e il 49,7% contrari, i cittadini svizzeri hanno approvato il referendum sull'im-
posizione di quote massime annuali sulla libera circolazione di lavoratori stranieri nella Confederazione e, dunque, dei cittadini
dell'Unione Europea e dei richiedenti asilo inclusi. L'iniziativa, promossa dal partito nazionalista ed anti-europeista Unione Demo-
cratica di Centro (UDC/SVP) di Christoph Blocher, che punta alla rinegoziazione degli accordi bilaterali con l'UE, era osteggiata
dal governo, dalla maggioranza del Parlamento e dalle rappresentanze delle imprese nazionali, che hanno fatto notare come una
simile mossa potrebbe danneggiare l'economia elvetica che fino ad ora ha registrato buoni tassi di crescita e uno scarso livello di
disoccupazione. Il Presidente della Confederazione Didier Burkhalter ha dichiarato che nelle prossime settimane il governo stu-
dierà su quali basi proseguire le relazioni con l'UE e che entro la fine dell'anno il governo procederà con l'attuazione del referen-
dum. Bruxelles, che dal canto suo ha specificato che non è possibile scindere la libera circolazione delle persone da quella dei
capitali, ha espresso rammarico per la svolta svizzera e ha minacciato di rivedere tutti gli accordi bilaterali: dopo il blocco del ne-
goziato per l'accesso della Svizzera al mercato comune dell'energia elettrica, è giunto anche il congelamento di quello sul grande
accordo quadro sul "trattato istituzionale", che dovrebbe inglobare tutti i precedenti pacchetti di accordi bilaterali. Il Comitato dei
rappresentanti permanenti (Coreper) ha stabilito di eliminare dall'agenda del Consiglio dell'UE l'approvazione del mandato nego-
ziale alla Commissione nonostante questo fosse inserito nel "punto A" e pertanto non soggetto a discussione. Probabile anche la
sospensione dei programmi di ricerca Horizon 2020 ed Erasmus.
TURCHIA, 15 febbraio – Dopo l’approvazione della contestata legge sul controllo statale degli accessi ad internet, il governo di
Recep Tayyip Erdoğan è riuscito a far passare, a maggioranza assoluta e tra aspre polemiche, la nuova riforma della Giustizia
che mira a rafforzare il controllo dell’Esecutivo sulla magistratura. Il voto in aula è stato preceduto da violenti tafferugli tra deputati
della maggioranza e dei partiti d'opposizione. Il disegno di legge era stato congelato il 24 febbraio 2013 su pressione di Unione
Europea e Stati Uniti che chiedevano una riforma meno restrittiva. Secondo i socialdemocratici del CHP di Kemal Kılıçdaroğlu, il
Consiglio Supremo dei giudici e dei procuratori (HSYK) – l’equivalente turco del CSM italiano –, l'Accademia della magistratura, e
quindi l’intero sistema giudiziario verrebbero posti di fatto sotto l'autorità del Ministro della Giustizia, in violazione del principio di
separazione dei poteri propri di uno Stato di diritto. Sempre secondo le opposizioni, la nuova legge mirerebbe ad insabbiare le
inchieste aperte per corruzione contro diverse personalità politiche anche all’interno del governo a guida AKP e che già verso la
fine del 2013 ha portato alle dimissioni di tre Ministri (rispettivamente il titolare degli Interni Muammer Güler, dell'Economia Zafer
Çağlayan e dell’Ambiente Erdoğan Bayraktar) e che potrebbero coinvolgere addirittura Bilal Erdoğan, figlio imprenditore del Pre-
mier in carica. ONG e associazioni di giornalisti accusano apertamente il governo di voler nascondere gli scandali attraverso l’uso
di norme liberticide. Dopo aver completato l'epurazione di forze ostili al governo nella polizia e nella magistratura, il rischio di una
involuzione autoritaria dell’attuale leader islamista sarebbe dettato dall’aspro scontro di potere in corso con Fetullah Gülem, il
potente imam un tempo alleato di Erdoğan che vive in esilio negli Stati Uniti e che il Premier accusa di essere il manovratore delle
file della cosiddetta “Tangentopoli turca”.
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VENEZUELA, 12-13 febbraio – A Caracas e nelle altre principali città del Paese sono scoppiate violente proteste tra collettivi stu-
denteschi pro- e contro-Maduro e forze di polizia che hanno causato la morte di quattro persone. Un militante filo-governativo e
uno studente sono stati uccisi a Caracas, mentre altre 23 persone sono rimaste ferite. Un altro militante e un poliziotto sono stati
uccisi a Chacao, uno dei quartieri popolari ad est della capitale venezuelana. Poche ore dopo la diffusione delle notizie in tutto il
mondo, la magistratura della capitale ha spiccato un mandato d’arresto nei confronti di Leopoldo Lopez, uno dei leader dell’ala più
intransigente dell’opposizione. Il Presidente dell’Assemblea Nazionale e uomo forte dei militari, Diosdado Cabello, ha accusato le
«opposizioni fasciste di voler tentare un golpe». Il Capo di Stato venezuelano Nicolás Maduro in un discorso televisivo alla nazio-
ne ha annunciato l’ordine di arresto per Iván Carratú e Fernando Gerbasi, leader dei movimenti studenteschi scesi nelle piazze, e
ha dato mandato al Ministero degli Interni di rafforzare la sicurezza nelle principali città del Paese per «evitare nuovi tentativi di
sollevazione anti-chavista». A loro volta, le opposizioni hanno imputato al governo Maduro le responsabilità della crisi economica
sempre più accentuata e dell’ormai dilagante insicurezza data dall’aumento del tasso di criminalità comune che colpisce le grandi
città del Paese.
A N A L I S I E C O M M E N T I
LA CINA DI XI JINPING: LA LUNGA MARCIA PER LE RIFORME
di Guido Travaglianti – 10 febbraio 2014 [leggi sul sito]
IL RISCHIO DEFAULT E L’UNIONE EURASIATICA: DIETRO LA CRISI UCRAINA
di Annalisa Boccalon – 14 febbraio 2014 [leggi sul sito]
Questa opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione — Non commerciale — Non opere derivate 3.0 Italia.
BloGlobal Weekly N° 4/2014 è a cura di Maria Serra, Giuseppe Dentice e Davide Borsani