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Emiliano Bazzanella

LacanImmaginario, simbolico e reale

in tre lezioni

Asterios

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Prima edizione: Ottobre 2011

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Indice

Introduzione, 9

PRIMA LEZIONEL’immaginario

Lacan e i reality show, 15L’alienazione immaginaria, 21Un riassunto necessario, 25

SECONDA LEZIONEIl simbolico

L’alienazione simbolica, 29La deriva del soggetto, 34

L’inconscio, 40La funzione dell’Io, 49Il gioco del limite, 57

TERZA LEZIONEIl reale

Il godimento e la definizione lacaniana del reale, 65Il divenire-reale e la psicosi, 75

Il nodo borromeo, 85La società dei consumi, 98

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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INTRODUZIONE

Scrivere qualcosa su Jacques Lacan rappresenta sempre unaprova difficile. Se poi l’intenzione è quella di “introdurre” ilsuo pensiero, di “esemplificarlo” o “semplificarlo” nellostesso tempo, l’impresa allora si fa davvero ardua.Chi scrive non è un “lacaniano”, né si è mai sottoposto ad

alcuna seduta analitica. Il che non costituisce affatto un ele-mento marginale, visto il contesto in cui si è espresso pre-valentemente l’insegnamento di Lacan. Lo stesso lacanismo,che peraltro ancora oggi è quantomai vivo e si dirama invarie “scolastiche” spesso in contrapposizione tra di loro,sembra talvolta mostrare un’evidente connotazione “esote-rica” e riguardare in modo esclusivo una ristretta cerchia didiscepoli e di “iniziati”.Lacan d’altronde non ha mai fatto nulla per dissimulare

quest’immagine di grande Maestro che egli stesso ha ema-nato e diffuso con naturalezza all’interno della sua corte diadepti. Anzi: nei filmati ancora oggi reperibili su YouTubenotiamo una personalità complessa che gioca con un lin-guaggio volutamente ermetico e difficile da comprendere.Accelerazioni dell’eloquio, pause, cambiamenti repentinidell’argomentazione, ripresa altrettanto improvvisa deltema centrale, un aforisma, e poi un momento di silenzio:chi ascolta deve organizzarsi, cercare di rintracciare un qual-

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che fil rouge, ma non appena si illude d’averlo trovato, eccoche Lacan sorprende e spiazza nuovamente, lasciando inbocca l’amara sensazione di non aver capito nulla.Qual è allora l’operazione che in questo breve scritto si

cerca di intraprendere? Come può scrivere di Lacan qual-cuno che è estraneo alla sua dottrina, che appartiene alla ca-tegoria dei filosofi (categoria rispetto alla quale Lacan nonha mai celato una forte diffidenza) e che conosce appenaqualche rudimento della pratica clinica?L’idea, probabilmente azzardata, è che un pensiero per così

dire “estraneo” a Lacan possa in qualche maniera chiarirnequalche aspetto, soprattutto se rivolto a un pubblico altret-tanto poco avezzo a concetti complessi come quelli lacaniani.In breve non si tratta di prendere Lacan, per così dire, “dipetto”, affrontando via via le sue tematiche più importanti eseguendo una cronologia che ci porterebbe a discriminaredue, tre o più fasi lacaniane, magari enfatizzando l’una a sca-pito dell’altra, come perlopiù avviene nella saggistica oggidisponibile. Questa scelta è stata fatta sia per i limiti di spazio del pre-

sente lavoro suddiviso in tre brevi lezioni, sia perché chiscrive (e forse non solo) non sarebbe probabilmente in gradodi offrire una panoramica onnicomprensiva del pensiero la-caniano. Credo invece che una soluzione non proprio dicompromesso sia quella di “far funzionare” Lacan in conte-sti disomogenei rispetto a quelli della psicanalisi, cercandodi carpire il senso del suo insegnamento attraverso un’ap-plicazione concreta delle sue idee. È un po’ la medesima ope-razione che d’altra parte ha fatto lo stesso Lacan, attingendo

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11INTRODUZIONE

– in modo più o meno esplicito e con un eclettismo moltointelligente – da una svariata serie di autori che non sono diestrazione psicanalitica: Cartesio, Kant, Hegel, Heidegger,Marx, Sartre, Lévinas, Saussure, Jakobson, Peirce, Merleau-Ponty, Bateson, Derrida.Uno dei pensatori che ha tentato un’operazione simile è

stato Slavoj Žižek, al quale ricorreremo spesso perché è riu-scito ad “avvicinare” Lacan utilizzandolo come griglia con-cettuale per comprendere meglio la società contemporanea.Si tratta per certi versi di un aggiramento, grazie al quale sievita un impatto frontale con un pensiero lacaniano sfug-gente, talvolta elusivo e frastagliato da cesure e cambi re-pentini di registro.La prospettiva e il paradigma che adotterò non sono poi

nemmeno loro ascrivibili a un orizzonte lacaniano. La diffi-coltà in cui incorre chi si accosta agli scritti di Lacan derivainfatti dal fatto che egli è stato il pensatore dell’Altro e del-l’alienazione. Noi siamo “alienati” in maniera molteplice(alienati dall’immaginario, alienati dal simbolico, alienatidal reale) e il termine “alienazione” significa anche e soprat-tutto assoggettamento. Quando Lacan dice che “non c’èAltro dell’Altro” significa che c’è “solo” l’Altro, e noi stessi,prima di essere degli “io”, degli “uni” o delle identità, siamo“altri”, altri-da-noi-stessi. Tutte le classiche problematichefilosofiche inerenti alla preliminarità di un ego, di un io o unsoggetto, cioè tutte le riflessioni che sono succedute al cogitocartesiano, vengono di fatto sovvertite.S’instaura una sorta di dialettica che però non si conclude

nella sintesi hegeliana, a suo modo abbastanza pacificante.

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Alienato sin da bambino, l’uomo cerca delle vie di fuga: l’io,il soggetto, il desiderio, l’ideale dell’Io e l’Io ideale, l’ “oggettoa” causa del desiderio, il significante-maestro, il sintomo:cioè, in breve, gran parte dell’arsenale concettuale di Lacannon sarebbe altro che una descrizione fenomenologica di unmeccanismo dialettico e “zoppicante” di difesa, nel quale adogni forma di protezione e disalienazione consegue neces-sariamente un fallimento.Si tratta insomma di applicare quel paradigma immunita-

rio, frequentato di recente da filosofi come Roberto Espositoe Peter Sloterdijk, secondo il quale la difesa nei confrontidell’Altro avviene costitutivamente attraverso l’Altro. Po-trebbe sembrare un paradosso, ma è ciò che avviene abitual-mente nel nostro corpo: l’antigene non viene respintoall’esterno, ma accolto nell’organismo in modo da predi-sporre le difese più appropriate. Se all’inizio c’è solo l’Altro,una difesa nei confronti dell’Altro non può che passare at-traverso l’Altro!Utilizzando questa prospettiva si profila anche abbastanza

agevole una comprensione della clinica lacaniana. Ma diven-tano soprattutto comprensibili anche la società dello spet-tacolo e quella dei consumi che caratterizzano il nostrotempo: sono le due facce della stessa medaglia che corri-spondono a una precisa dialettica immunologica. Seguendola lettura di Žižek, se infatti le epoche passate erano carat-terizzate da un “grande Altro” molto forte (le leggi, le regole,l’ordine, la disciplina, la figura del Padre, la religione), lacontemporaneità vede il prevalere reattivo dell’immaginarioe, in seconda battuta, del reale. L’immaginario occupa dap-

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13INTRODUZIONE

prima gli spazi lasciati liberi dall’ordine simbolico e dà luogocosì alla società dello spettacolo basata sulle immagini dellatelevisione, di internet, del cyberspazio, della pubblicità.Nello stesso tempo però assistiamo a una sorta di reazionecompensatoria che spinge l’uomo occidentale alla ricercaspasmodica del reale occultato dall’immaginario stesso: inquesta dialettica riusciamo a collocare nella loro giusta lucefenomeni solo in apparenza devianti come la continua ri-cerca del pericolo dei giovani d’oggi, gli sport estremi, la di-pendenza da droghe e alcol, una certa tendenza dell’artecontemporanea verso il macabro, l’osceno e lo scioccante.Ma soprattutto siamo in grado di comprendere il meccani-smo del consumo come movimento collettivo e rituale di av-vicinamento al reale.Le tracce del ritiro del simbolico sono sparse un po’ ovun-

que: le possiamo riscontrare nel diffuso analfabetismo di ri-torno presente nelle società più sviluppate, che si caratterizzaper l’egemonia delle lingue “semplici” come l’inglese, per l’uti-lizzo sempre più diffuso di slang semi-iconici come gli SMS,per il successo dei social network in cui c’è senz’altro scritturama soprattutto immagine, come ad esempio in Facebook dovel’elemento vincente non è tanto il linguaggio implicito nel ter-mine book, ma la “faccia”, the face; oppure, ancora, possiamoritrovare queste tracce nel diffuso permissivismo nell’educa-zione dei figli (dovuta all’assenza della figura del Padre), cheporta a una mancanza di quei limiti necessari cui consegueuna perdita diffusa del desiderio (non si desidera più nulla)e, paradossalmente, una parallela assenza di trasgressione(“tutto è trasgressivo”).

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Sono insomma i tratti salienti di quella che ormai da piùparti viene considerata un’epoca di barbarie che mostra evi-denti tratti psicotici. È come se fossimo imprigionati nelsogno di un Altro, in una finzione che è quella immaginariadella TV e di internet, oppure quella altrettanto perniciosadel mondo finanziario: il problema insiste nel fatto – e quiLacan diviene fondamentale – che queste sfere di senso fit-tizio tendono a “divenire-reali” e, soprattutto, ad avere “ef-fetti” reali come dimostrano le recenti crisi finanziarieglobali. Nozioni lacaniane come l’attraversamento del fan-tasma o il sinthomo possono così fornire un ausilio efficacenella comprensione del nostro tempo, forse, nello scoprirequalche via d’uscita o di radicale cambiamento.

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L’IMMAGINARIO

Lacan e i reality show

Che cos’è un reality show? Quali significati nasconde unaparola in apparenza così diffusa e innocua come reality,realtà? È poi possibile uno show della realtà, cioè la sua ri-duzione a “spettacolo”?Se andiamo a considerare la nostra vita quotidiana, soprat-

tutto in questi ultimi anni, ci accorgiamo in effetti come essasia costellata da eventi, abitudini e pratiche che spesso ap-paiono irrazionali, a fronte di un aspetto esteriore che ne fa-rebbe invece qualcosa di oltremodo sensato. Il reality showcostituisce forse un esempio di questo tipo. Si tratta del-l’apice di un processo di spettacolarizzazione che Guy De-bord aveva già teorizzato parecchi anni fa, per la precisionenel 1967. Tutto è spettacolo, tutto viene ridotto a finzione ead apparenza. La realtà stessa dunque è diventata uno show.Una vulgata abbastanza ricorrente ci dice che stiamo

progressivamente passando da una società basata sullascrittura a una società basata sulle immagini: grazie allenuove tecnologie, infatti, stiamo declinando verso un pen-siero non più verbale ma iconico, cioè fondato sulla rela-zione e sull’intreccio di immagini contigue. Si tratta senzadubbio di una forma regressiva che ci riporta al mondo in-

PRIMA LEZIONE

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fantile dove l’immaginario è predominante nella fase evo-lutiva preverbale. Il seno materno protettivo e tranquilliz-zante, l’altezza smisurata dei genitori, i colori degli oggetti,le figure degli animali sui primi libretti illustrativi incan-tano un bambino che sta appena iniziando a categorizzarela realtà che lo circonda. E ciò che colpisce della dimen-sione immaginaria è la sua capacità di emozionare, di ope-rare per così dire a livello pre-logico, prima cioè ches’instaurino pregiudizi e sovrastrutture concettuali.Il filosofo sloveno Slavoj Žižek, di formazione lacaniana, os-

serva come questa società dello spettacolo, che lui interpretacome l’effetto di un’ “inflazione dell’immaginario”, derivi in-vero da un indebolimento del simbolico, ossia dal “ritiro delgrande Altro”. Qui in effetti le cose si fanno subito più proble-matiche e incominciamo ad avere un assaggio di quale sia laterminologia tipicamente lacaniana. Nell’espressione “grandeAltro” l’aggettivo “grande” indica propriamente la lettera ma-iuscola “A”, la “A” grande in senso prettamente tipografico.Mentre il termine “Altro” mette assieme e catalizza sorpren-dentemente due istanze non proprio sovrapponibili come l’al-tro-uomo, cioè un nostro simile che però non siamo noi, e l’”altro” assoluto, un’alterità disantropizzata e ineffabile. Ma inche cosa consiste allora questo “grande Altro” che coincide daun lato con il Tu, e dall’altro con qualcosa che è abissalmentedifferente da noi? Com’è possibile concepire qualcosa che èsimile a noi, che siamo talvolta “noi stessi” e che però può tra-sformarsi in qualcosa di totalmente estraneo?Lacan è abbastanza lapidario nel dare una risposta a que-

sto paradosso: il grande Altro, l’Altro, è il linguaggio! A dire

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17LACAN. L’IMMAGINARIO

il vero egli dice espressamente che l’Altro è il “luogo” del lin-guaggio, è nello stesso tempo il linguaggio e lo spazio di ar-ticolazione dello stesso (come se dicessimo abbastanzabanalmente che se non ci fosse un “altro” uomo, un Tu checi parla, non avremmo bisogno di comunicare e, quindi, tan-tomeno del linguaggio). È una questione questa – la doppiavalenza dell’Altro – sulla quale dovremo soffermarci piùvolte. Qui invece ciò che conta a mio avviso per caratteriz-zare il registro lacaniano dell’immaginario è che in qualchemaniera oggi esso sta emergendo e si sta diffondendo reat-tivamente in seguito all’indebolimento del linguaggio. Il linguaggio di cui si accenna in questo caso deve inten-

dersi in senso allargato, ragione per la quale Lacan parlapropriamente di un “registro del simbolico”: esso oltre al-l’alfabeto, alla semantica, alle regole di sintassi, e così via,incarna soprattutto la figura della “legge” e dell’ordine.Nell’epoca che Michel Foucault definisce “classica” e inquella successiva caratterizzata dalla struttura disciplinare(epoca quest’ultima che si prolunga tutto sommato fino aiprimi anni del Novecento), il dispositivo di potere che con-nota la vita del singolo è basata su strutture gerarchichemolto precise di saperi e di narrazioni, su classificazioni etabularizzazioni, su norme cogenti e regole, sull’esercizio ela disciplina. In altre parole, il simbolico (e non l’immagina-rio come oggi) ricopre l’intera realtà, dandole senso e fina-lità. Le religioni stesse erano molto più efficaci e persuasive,coinvolgendo gli uomini sia dal punto di vista della cono-scenza, che da quello della morale e della pratica. Tutto erapiù organizzato e i confini tra il bene e il male ben delineati.

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18 BAZZANELLA

Con il ritiro del grande Altro sottolineato da Žižek tale con-dizione è venuta drasticamente meno: i saperi si sono ulte-riormente parcellizzati, le grandi narrazioni della fisica, dellabiologia, della logica e della medicina hanno all’improvvisoscoperto i propri limiti, le religioni hanno subìto un processoinesorabile di secolarizzazione, la morale e la legge sono di-venute relative. Sicché a prendere il posto del simbolico si èinserito l’immaginario con i suoi incantamenti e i suoi effettidi “copertura”.Il termine “copertura” non viene usato a caso: ritengo in ef-

fetti che esso potrebbe essere utilizzato come una sorta di gri-maldello per attraversare in maniera abbastanza organica ilpensiero lacaniano, tutto costellato da buchi, beanze, man-canze e relative otturazioni e riempimenti. La dinamica“vuoto-pieno” tipicamente strutturalista (si desidera poichéa monte c’è una mancanza, si parla poiché il pensiero è “bu-cato” dal non-senso, si ama la donna perché il rapporto ses-suale è destinato al fallimento, e così via) assume ancheun’inflessione per così dire “immunologica”. La copertura of-ferta dall’immagine – oltre che dal simbolico – dimostra per-lopiù uno scopo difensivo e serve soprattutto a “filtrare” larealtà. In breve il reality, al contrario di quanto non denunciil nome, non rappresenta che uno schermo (rappresentatoanche di fatto dallo “schermo televisivo”) nei confronti di unarealtà o un “fuori” minaccioso, schermo che tuttavia implicaanche una certa catarsi (quando soffriamo o godiamo nel ve-dere gli “altri” esser sottoposti alle prove più tremende) e unapresa di distanza. Il fine del reality, insomma, non è lo svela-mento della realtà, bensì viceversa il suo occultamento!

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19LACAN. L’IMMAGINARIO

Un esempio abbastanza illuminante di questo meccanismolo possiamo ritrovare nell’attentato al World Trade Centerdell’11 settembre 2001. L’evento quasi affascinante degliaerei che bucano come il burro l’acciaio dei grattacieli, l’in-cendio e il successivo crollo, con quell’enormità di detritipolverizzati al vento quasi a soffocare l’intera Manhattan,rappresentano qualcosa che ha a che fare con la faccia piùterrifica della realtà. Se la stessa tragedia fosse avvenuta cen-t’anni prima, l’evento sarebbe stato probabilmente ascrittoa un disegno oscuro di Dio che proprio attraverso la cata-strofe avrebbe rinfocolato nell’uomo una fede ormai sopita,sospingendolo verso una nuova Guerra Santa. Oppure, ci sisarebbe impegnati nel disciplinare ossessivamente i soc-corsi, nel circoscrivere le zone a rischio, nell’isolare la zonadel disastro, nel seppellire quanto prima i morti per evitareepidemie e contaminazioni: la tecnica che Foucault chia-mava appunto “disciplinare”. Ciò significa che la “media-zione” tra la catastrofe e il soggetto sarebbe avvenuta quasiesclusivamente attraverso il registro del linguaggio e la ra-zionalizzazione simbolica, che anche di fronte all’illogicitàdel disastro e dell’azione terroristica, avrebbe cercato di ca-talogare, organizzare, mettere in serie, disciplinare.Žižek all’opposto mette in luce un aspetto nascosto di que-

sto avvenimento, che è sintomatico del climax della nostraepoca: le infinite sequenze di immagini, in gran parte fruttodi riprese occasionali, la loro reiterata e quasi maniacalemessa in onda su tutti i network, le foto, gli ingrandimenti,le opere d’arte che hanno avuto per tema proprio quel disa-stro, e così via, sembrerebbero alludere d’acchito a una

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20 BAZZANELLA

nuova capacità dell’uomo, mai esperimentata prima, di ac-costarsi alla realtà. La globalizzazione non esemplifiche-rebbe in questo senso tanto l’allargamento dei mercati edelle economie a livello planetario, quanto la possibilità perciascuno di assistere e partecipare ad eventi reali anchemolto remoti e un tempo inavvicinabili. Ma siamo sicuri chesia proprio così, osserva Žižek? Non ci troviamo invece in-nanzi a un’illusione che di fatto cela una nuova strategia dioccultamento e di copertura? In effetti la massa pletorica di immagini dell’11 settembre

che abbiamo visto sino alla nausea non sarebbe che unoschermo o un filtro che ci distanzia dalla dura realtà, checi protegge da un incontro letale e traumatico con essa. Ese volessimo allargare questo discorso, ci accorgeremmoche anche la televisione assolve in una certa maniera que-sta funzione che abbiamo chiamato immunitaria, chia-rendo così ulteriormente il senso paradossale del realityshow: invece di avvicinare la realtà, di farcela vivere e co-noscere meglio, esso implica una sorta di allontanamentoe di distrazione. Invece di vivere la nostra esistenza contutti i rischi e i gravami che essa comporta noi siamo alie-nati nell’immaginario di una vita altrui che è rinchiusa inuna scatola all’interno delle tranquilizzanti mura domesti-che. La TV non “mostra” la realtà, ma la nasconde attra-verso la sua spettacolarizzazione e la sua coperturaimmaginaria. L’immagine non è soltanto il medium con cuii nostri sensi entrano in contatto con essa, ma similmenteall’organo-ostacolo di Henri Bergson, costituisce il dia-framma che ce ne separa.

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21LACAN. L’IMMAGINARIO

L’alienazione immaginaria

È in questo crocevia di meccanismi che possiamo iniziare acomprendere la natura dell’immaginario lacaniano, che pe-raltro rappresenta la prima tappa teorica del suo pensiero,sviluppata a partire dal 1936. Nello sviluppo del bambino c’èuna fase in cui egli inizia a specchiarsi e a riconoscersi: questoè un comportamento tipico dell’uomo che non si riscontranegli altri animali (o, forse, si riscontra soltanto in alcune spe-cie di primati). Il riconoscimento però non è così pacificante:a causa del particolare gioco simmetrico del rispecchiamentoil bambino si muove in modo scomposto e disarticolato, man-cando quindi un perfetto adeguamento tra i gesti del suocorpo e l’immagine riflessa. Nello stesso momento in cui siidentifica con la propria immagine, quindi, il piccolo perde inqualche modo se stesso: lo stadio dello specchio costituisceper Lacan il primo momento di un’alienazione costitutiva checaratterizzerà l’intera vita dell’adulto. Non è plausibile quindipensare allo sviluppo del bambino come a una graduale co-struzione di un “io” stabile e uguale a se stesso che di fattoprende coscienza di un’identità originaria. Paradossalmenteil bambino nasce altro-da-se-stesso e l’alienazione è il luogoabituale in cui egli dovrà in futuro muoversi e articolare lapropria esistenza. Lacan è il pensatore dell’alienazione, manon di un’alienazione “composta” di tipo hegeliano in cui la“negazione” e il “divenire-altro” sono funzionali ad una sin-tesi, bensì di un’alienazione che mantiene se stessa e che simoltiplica continuamente.

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22 BAZZANELLA

Tornando alla televisione, appare più chiaro come la dimen-sione immaginaria che essa evoca implichi necessariamenteun essere-altro-da-se-stesso. Ma questo altro-da-se-stesso seper un verso costituisce una condizione instabile di soffe-renza, necessitando la conseguente ricerca di punti di anco-raggio, per l’altro verso si trasforma in una vera e propriastrategia complessa di autoprotezione. L’uomo cioè tenta dieludere la propria alienazione alienandosi ulteriormente.L’immagine della TV ci aliena poiché ci immergiamo in unmondo estraneo che non è il nostro; ma in questa alienazionenoi troviamo anche un rifugio poiché ci allontaniamo da unarealtà altrimenti pericolosa e traumatica. Molti critici dellasocietà contemporanea credono che la diffusione dei mass-media e i nuovi mercati che essi aprono, incarnino una dege-nerazione tipicamente postmoderna di un mondo occidentaleche ha perduto i propri valori fondanti e le ideologie di riferi-mento. Eppure non dobbiamo pensare a un meccanismo con-sumistico così cieco e insensato: esso in fondo si basa su realtàpsicologiche e antropologiche ben delineate, che sfrutta perauto-alimentarsi e sostenersi. L’alienazione che produce, per-tanto, non è soltanto un effetto collaterale che non tiene contodegli individui, ma risponde a una necessità intrinseca al-l’uomo, che sin dalla nascita non smette di alienare e di alie-narsi. Il pensiero lacaniano ci aiuta anche su un altro fronte. Una

delle cose che difficilmente riusciamo a comprendere è l’at-trazione che opera su di noi la televisione. Anche quando ri-conosciamo la stupidità di certi programmi televisivi, nonriusciamo a resistere alla tentazione di darci un’occhiata. E

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23LACAN. L’IMMAGINARIO

possiamo dire che forse la prima alienazione immaginaria ilbambino moderno la prova quando già a pochi mesi è at-tratto dallo schermo della TV o del computer, e gesticola dicontentezza, reagendo invece con disappunto se soltanto perun istante proviamo ad allontanarlo. Ma per quale ragionequesto strumento alienante ci incanta così tanto? Per quantosiffatta alienazione sia inconsciamente ricercata e corri-sponda all’esigenza immunitaria di fuggire dal mondo reale,proprio in quanto strumento alienante non dovrebbe al con-trario suscitare repulsione, sospetto e diffidenza?Per Lacan non si tratta d’alcunché di misterioso: l’imma-

ginario infatti è legato alla dimensione del desiderio, fattorefondamentale all’interno della sua teoria analitica che peral-tro anticipa un analogo interesse diffuso in altri importantipensatori francesi dell’epoca (mi sto riferendo ad esempio aLyotard e a Deleuze-Guattari). Pensiamo soltanto per unistante alla suggestione significativa di una canzone popcome quella di John Lennon, Imagine (1971): l’immagineevoca vie di fuga, di sogno, appagamenti in luoghi ignoti, èinsomma una forma di evasione che, nel rischio e nell’insi-curezza che comunque infonde, riesce a suscitare un sensod’ebbrezza, di libertà. Anche in questo caso la notazione la-caniana è abbastanza significativa: se il campo del linguag-gio viene indicato da Lacan con la “A“ grande, l’ “altro”coinvolto nel meccanismo dell’immaginario, ovvero l’imma-gine riflessa, è la “a” piccola: ci troviamo sempre, come ab-biamo visto, nell’ambito di un’alienazione; e la lettera “a”per Lacan, sia minuscola che maiuscola, indica appunto que-sta condizione costitutiva.

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La cosa allora si fa interessante se andiamo a delineare icontorni del cosiddetto “oggetto a” che corrisponderebbe nellessico lacaniano all’oggetto del desiderio e che probabil-mente ha nel seno materno il suo prototipo. Sin dai primivagiti, l’infante va alla sua ricerca, dovendone gestire e con-trollare, nei limiti delle capacità, l’alternanza tra presenza eassenza. In altre parole il seno pare nascondere al suo in-terno una sorta di “buco”, una vera e propria mancanza. Setrasliamo questa struttura a livello dell’immagine, do-vremmo così pensare analogamente a una macchia, una sco-tomizzazione, un’ombra al suo interno: l’immagine chedovrebbe “far vedere” in fondo cela un’invisibilità (quandoil bambino si specchia nudo vede nell’immagine riflessa unbuco – osserva Lacan – ma questo viene copertto dal “fallo”:ci torneremo). In questo modo, da apparecchio tecnologico che crediamo

di controllare e dominare, la televisione si trasforma in unostrumento di assoggettamento nella misura in cui ci catturanel meccanismo del desiderio. Noi desideriamo il realitypoiché esso nasconde un “vuoto”, una “vacanza” di realtà,epperò nello stesso tempo ne siamo dominati: insomma ciilludiamo di “tenere a distanza” la realtà attraverso l’imma-ginario televisivo, ma per così dire “ne siamo”, ossia fac-ciamo parte dello stesso mondo finzionale che abbiamocollettivamente prodotto. Iniziamo a comprendere che cosa significhi nella sua es-

senza la società dello spettacolo: non si tratta soltanto di uneccesso nell’uso di certe tecnologie mediatiche, ma di unprocesso a doppia cattura mediato dal desiderio. In qualche

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maniera l’uomo contemporaneo è televisivizzato, fa parteegli stesso di quel mondo immaginario che si illudeva di pa-droneggiare (cambiando canale, spegnendo l’apparecchio,etc.) ma che invece finisce per assoggettarlo. Egli ha utiliz-zato inizialmente l’immagine quale copertura e schermaturadel reale, ma questa schermatura tende a debordare e a ri-succhiarlo come in un gorgo. L’oggetto-soggetto con cui cidifendiamo dall’esterno e che “era-là”, ora ci attrae nel suouniverso e letteralmente ci ingloba.

Un riassunto necessario

Abbiamo iniziato con una serie di flash o, se vogliamo, di“immagini”. Prima però di continuare il nostro discorso,proprio per evitare un iniziale sconforto nel lettore, mi pareutile un breve riassunto che fissi i punti nodali della conce-zione lacaniana dell’immaginario. In effetti la società dellospettacolo in cui stiamo vivendo oggi può rappresentare unottimo viatico per approcciare il pensiero di Lacan, poichéin essa troviamo catalizzati dei movimenti e contromovi-menti difficilmente spiegabili con le normali teorie sociolo-giche. Perché siamo attratti dalla televisione e da spettacoliche spesso noi stessi definiamo insulsi e inutili? E da checosa poi siamo condizionati e alienati? Lacan si occupa nei primi anni della sua attività proprio

del registro dell’immaginario. Sin da bambino, l’uomo sispecchia e tenta di identificarsi con l’immagine riflessa. Nonsi tratta però soltanto di un gioco: egli cerca da un lato di ri-conoscersi in qualcosa di esterno e identico a se stesso e

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dall’altro inizia a gestire la propria immagine così ricono-sciuta come un filtro o un medium nei confronti della realtàche lo circonda. Il cosiddetto “stadio dello specchio”, dun-que, inizia ad assolvere una precisa e doppia funzione che èdi tipo protettivo e difensivo. La nascita, in effetti, costituiscegià di per sé un trauma poiché l’infante viene al mondo percosì dire “altro-da-se-stesso”: prima di essere un uomo do-tato di coscienza e con una propria identità spirituale, il pic-colo si percepisce confusamente come un “corpo” che non èancora distinto dal mondo esterno: è un “dentro” che in re-altà è situato “fuori”; non è intimo, ma extimo. Si tratta di una condizione ovviamente inquietante e an-

siogena. Per Lacan infatti lo statuto dell’alienazione è fon-damentale poiché non esiste prima di tutto un sé, un’unitàpsicofisica, un “io”: il primum è l’Altro, cioè noi nasciamogià alienati. L’intera clinica lacaniana ruota attorno questacondizione problematica e alla dialettica cui dà luogo, nelsenso di una continua ricerca di punti di ancoraggio e diidentificazioni fittizie che conducono poi, irrimediabilmente,a nuove forme di alienazione.L’immagine fornisce una prima forma di scudo nei con-

fronti della realtà: viene costruita una sorta di “sfera” imma-ginaria che dà sicurezza e tranquillizza. Il problema sorgeperò laddove nello specchiarsi c’è uno sfasamento, cioè ilbambino non giunge a un completo riconoscimento. Eglisfugge così l’alienazione attraverso l’immagine, ma l’imma-gine a sua volta è alienante, è un “altro”, una “a piccola”. Lacan cerca allora di spiegare l’alienazione immaginaria

introducendo il meccanismo del desiderio. Anticipando

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anche alcuni temi che saranno oggetto della lezione succes-siva, possiamo dire che il desiderio è strutturato come unlinguaggio poiché è veicolato dal discorso dell’Altro (ossiadal simbolico, vedi pubblicità, convenzioni sociali, statussymbol, etc.) e inoltre funziona grazie a una mancanza ori-ginaria, a un fallimento: si desidera qualcosa, ma il desiderioè sempre desiderio dell’Altro; e questo qualcosa di deside-rato non è nulla di consistente, bensì un’apparenza imma-ginaria che nasconde un vuoto (il cosiddetto “oggetto a”causa del desiderio). Il desiderio è suscitato dal linguaggio, sicché io non desi-

dero perché un “supposto io” ha necessità di qualcosa, ma èl’Altro, il sistema dell’informazione e il mercato, che deside-rano al posto mio. Inoltre il desiderio è sempre fallimentareperché alla fin fine si desidera l’impossibile, ciò che non puòessere raggiunto: le fattezze immaginarie con cui si presental’oggetto del desiderio (una donna maliosa e affascinante,una bella macchina) sono sempre illusorie e nascondono alloro interno un buco, qualcosa che non c’é. Se il mio desiderio è il desiderio dell’Altro e desiderio di

qualcosa che costitutivamente viene a mancare, ciò significache mi ritrovo nuovamente in una condizione alienata. Nellatelevisione siamo attratti dalle sue immagini e dai messaggiche essa continuamente invia, desideriamo i prodotti dellapubblicità e magari di diventare qualche personaggio dellesoap opera, ma tutto ciò non è reale, bensì una “copertura”di una mancanza, di qualcosa che non c’è e che non può es-serci. Alla fine la TV non è che una scatola vuota!

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IL SIMBOLICO

L’alienazione simbolica

In uno dei suoi più apprezzati aneddoti, Žižek descrivel’ovetto Kinder come il simbolo più pregnante della nostraepoca. Un piccolo ovetto di cioccolata al latte che nascondeuna sorpresa per lo più inutile e brutta. Ciò che si desideranon è più la cioccolata-alimento ma il “buco” dell’uovoespresso dall’inutilità della sorpresa: in realtà si desideraqualcosa non perché è una scatola piena, ma perché proprioal contrario essa è vuota.Per Lacan tuttavia la questione non è proprio così sem-

plice: l’immaginario non è sufficiente per descrivere esau-stivamente il funzionamento del desiderio. Abbiamo giàanticipato come esso in qualche maniera sia strutturatocome un linguaggio e sia veicolato da esso. Nel caso del-l’ovetto Kinder, ad esempio, accanto al vuoto rappresentatodalla sorpresa, abbiamo una serie di simboli che veicolanoil desiderio. La gamma dei prodotti Kinder – linea espres-samente dedicata ai bambini – fu associata fin dal suo lancioalla salubrità e alla naturalità. Anche se ciò non corrispondeal vero, essa fa pensare al latte fresco appena munto, al cioc-colato puro senza additivi e senza l’aggiunta di grassi idro-genati, di emulsionanti, e così via. Un genitore compra

SECONDA LEZIONE

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l’ovetto e accondiscende indubbiamente ai meccanismi de-sideranti del suo bambino, epperò nello stesso tempo si rin-cuora e pacifica la propria coscienza nella convinzionefittizia d’aver fatto la scelta migliore e d’aver sposato l’ideache la salute debba venire innanzi a tutto. A ben vedere, già Marx aveva intuito che quando com-

priamo una merce non lo facciamo per le caratteristiche in-trinseche dell’oggetto, ma per una serie di significati ulterioriche poi potremo spendere a livello sociale e scambiare conaltri significati. Il valore d’uso, insomma – cioè, nel casodell’ovetto Kinder, la necessità di sfamarsi – diviene secon-dario rispetto al valore di scambio con cui si comprano sim-boli, emozioni, significati sociali. E la marca, la griffe o ilbrand non fanno che condensare questo universo di signifi-cati accessori: quando acquistiamo un paio di scarpe Nike –osserva ancora Žižek – non lo facciamo perché esse sono fattecosì e così, in quella fabbrica piuttosto che in quell’altra, male compriamo unicamente per quella scritta: N-i-k-e.Lacan si sofferma allora su questo curioso meccanismo: il

desiderio, nell’accezione più comune, richiama un momentopiacevole ma destabilizzante del temperamento umano, incui c’è una sorta di evasione (presente anche nell’etimo la-tino sidera, stelle: “guardare attentamente le stelle”). Per taliragioni esso è sovente connotato dall’irrazionalità e do-vrebbe riguardare il campo esclusivo delle emozioni. L’ “og-getto a” e la sua struttura intrinsecamente immaginariasembrano corroborare quest’accezione piuttosto consoli-data. Eppure già Freud nella sua opera forse più famosa –L’interpretazione dei sogni (1900) – associa il desiderio al