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APPUNTI, 6 Politica

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APPUNTI, 6Politica

Si ringrazia la redazione della rivista AUT-AUT che ci ha permesso la pubblicazione dei due saggi di Ágnes Heller,

che sono stati letti per la prima volta in italiano,sui i numeri della prestigiosa rivista rispettivamente: “La teoria, la prassi e i bisogni umani”, n°135 (1973),

“La teoria marxista della rivoluzione e la rivoluzione della vitaquotidiana”, n° 127 (1972).

a cura di

Emiliano Bazzanella

Ágnes Hellertra Marx e Foucault

abiblioforum per utopie e skepsis

Il SUV e il coraggio di dire la veritàdi Emiliano Bazzanella

La teoria, la prassi e i bisogni umanidi Ágnes Heller

La teoria marxista della rivoluzione e la rivoluzionedella vita quotidianadi Ágnes Heller

Prima edizione: luglio 2011

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con qualsiasi mezzo sono riservati.

ISBN: 978-88-97158-02-8

INDICE

1. Il SUV e il coraggio di dire la veritàdi Emiliano Bazzanella, 9

2. La teoria, la prassi e i bisogni umanidi Ágnes Heller, 27

3. La teoria marxista della rivoluzione e la rivoluzionedella vita quotidianadi Ágnes Heller, 49

Il SUV e il coraggio di dire la veritàdi Emiliano Bazzanella

Le strade delle nostre città sono oggi sempre più dominateda un dispositivo tecnologico nuovo. Si tratta del cosiddet-to SUV, acronimo di Sport Utility Vehicle, un’automobilecorazzata che deriva dai mezzi militari utilizzati nella primaguerra del Golfo dagli Stati Uniti. Le loro dimensioni sonomastodontiche. I loro consumi energetici altrettanto.Eppure questi piccoli carrarmati stanno proliferando sem-pre di più, intasando le vie dei centri urbani in una compe-tizione che si basa soprattutto sulla possanza e sulla gran-dezza dell’involucro metallico, oltreché sulla potenza deimotori. Tutto sembra logico, quasi normale, persino razio-nale. Invece non lo è affatto: laddove infatti le macchinestanno aumentando in modo impressionante di numero eladdove uno dei problemi fondamentali della nostra epocaè quello dell’inquinamento urbano (dal benzene e dallesostanze alifatiche per arrivare alle polveri sottili e allenanoparticelle), la risposta dell’uomo è quella di raddop-piare le dimensioni dei mezzi (senza peraltro un incremen-to significativo della capienza interna) e di utilizzare inutil-mente motori potenti, dispendiosi ed inquinanti.Potremmo giustificare il paradosso tirando in ballo il

profitto e i meccanismi dell’economia tardocapitalistica:sì, è vero, il gioco può anche apparire inutile, assurdo,contraddittorio o – se proprio vogliamo – stolto, ma peròattorno ad esso catalizziamo forze produttive, investi-menti di capitali, in fondo un incremento generalizzatodel benessere comune. In quest’ottica, d’altra parte èproprio il consumismo, per quanto acefalo e psicotico, ad

incarnare il vero comunismo, l’essere tutti apparigliati inun consumo tanto smodato ed esorbitante, quanto egua-litario e trasversale sicché ciascuno di noi, cittadinomedio di un Occidente tramontante, possiede l’automo-bile, gli elettrodomestici, il telefonino, l’iPod, etc.. Questa spiegazione tuttavia non è sufficiente. Non pos-

siamo pensare al giovane lavoratore salariato che, con lascusa di una famiglia un pò allargata, acquista a rate econ molti sacrifici un mezzo che a malapena risulta piùcomodo e funzionale della sua vecchia automobile. NelSUV si catalizzano altri elementi che hanno a che fare conil desiderio, con il cosiddetto “valore di scambio”, conl’acquisizione di un sur-plus simbolico come la volontà diesprimere il proprio ruolo sociale e il prestigio che neconsegue. Infine, con qualcosa che ha a che fare con il“reale” o se vogliamo con un bisogno “primario”. Il SUV, ad esempio, è rassicurante! Non alludiamo sol-

tanto alla sua struttura più compatta, alla tenuta di stra-da ineccepibile, all’ABS, a quella dozzina di air-bag sparsiovunque. Ciò che offre il SUV è una risposta ad un bisognodi sicurezza che non si riferisce affatto ai cosiddetti biso-gni fittizi creati dall’ingranaggio dei consumi, ma è ilsegno del dispositivo di potere e di sapere che sorreggeoggi la nostra società. Allorquando le grandi narrazioni oi metarécits – come le chiamava Lyotard – si sono fram-mentate in una miriade di microcosmi narrativi specia-lizzati, l’uomo ha iniziato ad esperire una condizionenuova, molto più incerta e problematica. Egli ha scoper-to il rischio dell’Altro, acuito dai grandi e ineludibili pro-cessi migratori che hanno caratterizzato e continuerannoa caratterizzare il nostro tempo. E la sua reazione neiconfronti dell’Altro è quella d’una difesa eccessiva e fuorimisura, che si palesa a partire dall’incremento del mer-cato assicurativo, ad esempio, (nella misura in cui le assi-curazioni “rassicurano” e danno senso anche alle cata-strofi più inimmaginabili), oppure dalla diffusione dellaprofessione del matematico attuariale che è in grado di

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prevenire ogni tipo di rischio, per finire con le cosiddette“guerre preventive” e con il controllo sempre più capilla-re delle città metropolitane attraverso microcamere,body-scanner, intercettazioni telefoniche, etc.. In breve,l’uomo occidentale del XXI secolo ha paura e ha bisognodi sicurezza, ed è su questa paura e su questa sicurezzache fanno presa le malìe incantatorie ed illusorie delmercato.Il SUV insomma come follia quotidiana non può essere

compreso soltanto sulla scorta dei meri meccanismi delmercato e del consumo. Esso ha a che fare con la dimen-sione dell’Altro e, nelle modalità che in questa sede cer-cheremo di delineare, con la nozione in sé contradditto-ria del “bisogno”. Ciò significa che il capitalismo noninventa soltanto necessità fittizie attraverso una moltipli-cazione di bisogni inutili, ma si radica su una struttura-zione profonda del soggetto, innestandosi direttamente ein maniera inconscia su quell’Altro che abita il nostrostesso corpo e che sin da piccoli cerchiamo di addomesti-care con l’aiuto del linguaggio e delle conoscenze. A par-tire da qui inoltre dobbiamo iniziare ad indagare sullepossibilità di un disinceppamento di siffatto meccanismoa double bind, per ritrovare una sintonia effettiva trarazionalità e bisogni reali, senza le distorsioni alienantidel sistema tardocapitalistico. Per approcciare quindi la questione aperta dalla follia

del SUV, dovremmo iniziare da alcune domande che oggipaiono quantomai attuali. Che cosa possiamo salvare diMarx? Può essere ancora oggi condivisa per certi aspettila sua analisi economica e sociale? In un’epoca di crisicome quella attuale, le intuizioni marxiane di un capitaleastratto divenuto terribilmente reale e di un neo-impove-rimento delle società occidentali dopo quasi due secoli diincremento delle ricchezze paiono acquistare una nuovaautorevolezza, appena inficiata dai fallimenti del sociali-smo reale. Noi vorremmo tuttavia tentare una sorta diaggiramento della questione ed evidenziare come oggi

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emergano piuttosto delle contraddizioni implicite sianella società capitalistica che nel comunismo così comerealizzato storicamente a partire dalle teorie di Marx.Non si tratta più allora di valutare quali siano ancora letesi marxiane capaci di chiarire la pur sempre difficilecomprensione della contemporaneità, ma di utilizzare lostesso Marx come una sorta di crivello ermeneutico ingrado di far affiorare le impasses del sistema cosiddettotardocapitalistico in quanto associabili alle impassesequipollenti dell’utopia comunista. Nel 1993 Derrida scrive Spettri di Marx, nel quale egli

mette in luce come il filosofo tedesco sia sempre statoossessionato dai fantasmi, ma alla fine sia divenuto luistesso un fantasma. La spettralità, in effetti, integra unadimensione differente rispetto a qualsiasi forma di onto-logia: lo spettro non-è, ma quasi-è, secondo uno statuto“misto” ed ambivalente. I fantasmi di Marx sono il lavo-ro astratto, l’opacità sociale a causa della quale le strut-ture della produzione materiale sono ricoperte ed offu-scate da infinite stratificazioni sovrastrutturali, l’esten-sione progressiva e necessaria del capitalismo, ossiaquella che oggi chiameremmo “globalizzazione”. Marx hapaura di queste forme spettrali o “hantologiche” (in con-trapposizione a quelle “ontologiche”, cioè riguardantil’essere), che gli si manifestano come l’Altro tout court:l’alienazione, l’essere-altro che noi stessi siamo si giocaproprio nella generalizzazione ed astrazione dei nostripensieri, quando cioè il lavoro reale diviene quantitàmisurabile e scambiabile, quando il capitale, da entitàinesistente diviene quasi-esistente, quando infine il dis-positivo di potere dell’organizzazione sociale borghese,ancorché opaco e indiscernibile, si fa paradossalmenteefficace e performativo. In sostanza si tratta di compren-dere le ragioni attraverso le quali il bisogno astratto edintimo di sicurezza si trasforma all’improvviso nel biso-gno collettivo ed estrinseco del SUV.L’ideologia tedesca (1847), d’altra parte, venne scritta

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da Marx in gran parte con l’intento di scardinare le ipo-tesi di M. Stirner, che si focalizzavano sulla prevalenzadell’individuo e del singolo nei processi collettivi o“comunitari” che sostengono la società. Ma anche Stirneraveva paura dei fantasmi: il singolo, il soggetto isolatonella sua irripetibilità costituisce anch’esso una forma dialienazione, è l’altra faccia dell’Altro. L’io, l’uno, insom-ma, è già paradossalmente una forma di alienazione el’intero edificio della psicanalisi sembra giocarsi all’inter-no di questa schisi o allotropia, come diceva Foucault.Entrambi gli autori, dunque, nella loro paura per lo spet-tro, oscillano tra i poli opposti di una visione della realtàche sorprendentemente può apparire omogenea: siaStirner che Marx, infatti, temono l’Altro, cercano di scan-sarne gli effetti pur erigendolo a motore fondante di tuttala realtà sociale. In altre parole, sia la società capitalisti-ca basata sull’individualismo e la proprietà, sia l’ideale diuna società disalienata basata sul pubblico non sarebbe-ro che altrettante forme alienate e, quindi, giocate su unparadossale rapporto con l’Altro.Veniamo allora ad Ágnes Heller, filosofa ungherese

allieva di G. Lukács, che sembra tentare un superamentocritico del marxismo “scolastico” degli anni Cinquanta,per intraprendere una via che pare attraversare le istan-ze spettrali messe in luce da Derrida a proporsito di Marxe Stirner. Nei due scritti del 1968 e 1973 che qui introdu-ciamo, assistiamo da un lato all’esigenza di rivisitare laprassi rivoluzionaria, cioè – in un linguaggio più coeren-te con i nostri tempi – di valutare le potenzialità perfor-mative di una determinata teoria; dall’altro all’emergeredi quell’istanza della “vita quotidiana” che sembrerebbevoler coniugare l’unicità stirneriana con l’infatuazione (eil timore) per il generale e l’astratto da parte di Marx.L’analisi della vita quotidiana della Heller, che sfocia

poi in una teoria articolata dei bisogni, ripropone così iltema dell’Altro in una forma che potrebbe ricordare l’o-spitalità derridiana. Il bisogno infatti è ciò che condensa

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le due facce spettrali dell’Altro, l’hospes che è anchehostis, nemico: l’ospite è l’Altro che nella sua visitaimprovvisa irrompe nel “proprio” e diviene paradossal-mente “padrone”. D’altra parte l’etimologia del termine“bisogno” correla tra di loro la “necessità” con il “deside-rio” e una dimensione che potremmo definire onirica(dal francese besoin, da cui anche somnium, sogno),nonché convoca il registro della “visione” (il tedescosehen). Ci troviamo insomma innanzi ad un intreccioabbastanza fitto, nel quale istanze in apparenza eteroge-nee, se non divergenti, collassano in una sola figura. Ilbisogno è qualcosa che perdura e sempre ritorna, cioèpossiede i caratteri del “reale” lacaniano; ma è pure qual-cosa come l’oggetto del desiderio, a sua volta ricoperto dauna sorta di cortina spettrale. In breve, ciò che sembrasuggerirci la Heller è che un’azione emancipatoria neiconfronti dei villi del capitalismo e della società dei con-sumi deve passare necessariamente attraverso una deco-struzione della figura fantasmatica del bisogno e, quindi,nei modi che dobbiamo ancora analizzare, della soggetti-vità. L’Altro terrifico del capitale astratto “divenuto-reale” e trascendente può essere addomesticato all’inter-no della vita quotidiana, ma a prezzo di un’altra “conta-minazione” con l’Altro, cioè quella che sorregge e sostan-zia il bisogno nella sua essenza individuale e “reale”. Sitratta insomma, per certi versi, di “giocare” con l’Altro,esponendosi e mettendosi in gioco, rinunciando alleincrostazioni difensive di cui ci siamo ricoperti.Non dobbiamo tuttavia affrettarci troppo lungo questa

via. Per comprendere meglio i singoli passaggi è indispen-sabile innanzitutto un inquadramento della nostra pro-spettiva e, pertanto, un chiarimento di alcune nozioni cheabbiamo in parte desunto da J. Lacan. Partiamo innanzi-tutto dal registro del “reale” che abbiamo più volte men-zionato con una certa leggerezza, a dire il vero: il reale – cidice Lacan – ha uno statuto essenzialmente contradditto-rio, poiché si colloca al di fuori di qualsiasi lógos. Può esse-

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re de-scritto o in-scritto soltanto da una non-descrizione,ossia in seguito al fallimento del linguaggio. Laddove laparola viene meno – come nel godimento, ad esempio,oppure nel dolore intenso e nell’angoscia – ecco che in quelluogo o non-luogo si manifesta il reale. Nel plus-godereche contorna e consegue l’acquisto del SUV è in gioco infat-ti un rapporto con quel reale che si manifesta nel bisognodi sicurezza o, se vogliamo, nella paura. Non c’è soltanto ilpiacere per lo status symbol o per l’immagine curvilinea eaccattivante dell’oggetto: viene toccato un nervo più pro-fondo che però è dell’ordine dell’indicibile, dell’out-of-joint, della disgiunzione.Per queste ragioni il reale è “tichico” (dal greco τυχη:

“fortuna” ma anche “incontro”): il suo “incontro” è sem-pre casuale ed eventuale, e può essere ricordato e razio-nalizzato soltanto après coup, “dopo il colpo”. E tuttaviail reale – osserva Lacan – torna sempre allo stesso luogoed è come se fosse appiccicato sotto la suola delle nostrescarpe. Esso, dunque, non è solo l’evento irripetibile del“là-fuori”, ma è qualcosa che permane e che nel perma-nere intride noi stessi, il nostro corpo e la nostra carne:mutatis mutandis è il reale del capitale astratto nella suairragionevolezza e nello stesso tempo il reale del nostrocorpo e della nostra individualità più propria.Il reale inoltre, anche se legato al godimento, fa paura;

e uno dei problemi del soggetto e del divenire-adulto delbambino è forse quello di addomesticare questo reale oAltro che ci portiamo addosso sin dalla nascita e che ciassilla anche dall’esterno. Il SUV, allora, per certi aspetti èin rapporto con il reale nella misura in cui lo dif-ferisce elo occulta: esso, nello stesso processo, fa affiorare l’Altroche è in noi e che temiamo, e lo nasconde simultanea-mente con il gioco delle illusioni immaginarie sulle qualisi radica il mercato. Dobbiamo segnalare tuttavia che non sempre Lacan

sarebbe stato d’accordo con la nostra sovrapposizione trala dimensione dell’Altro e il reale: nel corso della sua

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opera assistiamo infatti ad una costante ambiguità, unatensione od oscillazione tra il grande Altro in quanto“luogo del linguaggio” e dell’alienazione del soggetto, el’Altro in quanto “Tu”, ovvero il reale primordiale dell’in-contro “faccia a faccia” con il prossimo o l’estraneo (ilvolto d’Autrui di Lévinas). Ora, ciò che pare insegnarciMarx a questo riguardo è che il capitale astratto e quan-tificabile, ossia simbolizzato, può divenire-reale, cioè puòtrasformarsi in una realtà “estranea” e vessante, sebbenederivi da una produzione dello spirito umano. Si trattadunque del grande Altro del linguaggio che incatena ilsoggetto ad una dimensione alienata; ma questo “Altro”è anche il reale di cui siamo in-carnati, è quella che Lacandefinisce un pò enigmaticamente “sostanza godente”. NelSUV o, meglio, nel bisogno del SUV è implicata questaduplicità anfibolica, sulla quale tuttavia fa il suo giocoperverso il sistema dei consumi. Un chiarimento di questi intrecci indubbiamente

aggrovigliati e difficili da sciogliere lo possiamo trarredall’assunzione del cosiddetto paradigma “immunitario”che sembra prevalere oggi in certe correnti di filosofiapolitica (vedi al riguardo l’opera di R. Esposito): l’uomocome individuo e la comunità degli uomini non mirereb-bero che al conseguimento di un certo controllo e di unacerta padronanza nei confronti dell’Altro-reale. Ma que-sto controllo e questa padronanza, esattamente come nelnostro sistema immunitario, non possono avvenire senon attraverso una “contaminazione” con l’Altro, unasorta di imbricazione: l’ospitalità derridiana, insomma.Nell’immunizzazione dev’essere assunto l’Altro in dosiminime e controllabili, ma l’immunizzazione stessa puòeccedere e diventare letale: conosciamo ormai tutti lacomplessità delle malattie autoimmuni e la necessità diutilizzare quegli immuno-depressori che a loro volta, inuna sorta di effetto boomerang, indeboliscono le difesedell’organismo. Traslando questa dinamica nel nostrodiscorso, potremmo dire che per certi aspetti il capitale

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astratto, l’astrazione in genere, rappresenta una strategiaimmunitaria volta a controllare il Tu-reale, l’hospes-hostis che sopravviene all’improvviso e destabilizza lanostra condizione tranquillizzante di essere-a-casa-pro-pria; ma questa immunizzazione, nella misura in cuidiviene esorbitante, si trasforma anch’essa nell’Altro,cioè nello stesso nemico trasfigurato sotto differenti spo-glie. Gran parte dell’opera letteraria di Franz Kafka – e inparticolare Il processo – cerca ad esempio di descrivere ilparadosso di un sistema di leggi che, finalizzato in origi-ne alla difesa della comunità nei confronti dell’Altro-reale violento che la abita, si trasforma in modo repenti-no in una nuova forma di alterità, ancora più perniciosaed invasiva. Orbene, tornando al concetto helleriano di “bisogno”

potremmo dire che esso integra un doppio movimentoimmunizzante, dal momento che si compone dell’Altro-reale e, contemporaneamente della “copertura” o “scher-matura” di questa alterità. Il bisogno consiste infatti nel-l’ingredienza dell’Altro-reale sotto le fogge della necessitào dell’impellenza, ma simultaneamente si articola nell’oc-cultamento di questa necessità attraverso il filtro di unregistro del tutto differente. Noi ci intratteniamo continua-mente con i nostri bisogni, ma questi bisogni posseggonouna natura ancipite, ossia implicano già un addomestica-mento del reale impossibile (impossibile nel senso di “non-padroneggiabile”) ed integrano un momento onirico-fan-tasmatico (il somnium e il sehen) che per ceri aspetti depi-sta e distrae.Nel linguaggio lacaniano, il bisogno è anche un oggetto

del desiderio od “oggetto a”: la “a piccola” sta per l’im-maginario e, quindi, per una componente che si articolanel vedere e nella superficie spettrale. Come la Ding hei-deggeriana, che Lacan riprende nel suo seminario sull’e-tica della psicanalisi, l’oggetto del desiderio in cui l’uomofantastica (dall’etimo: de-siderare), si compone di unapellicola visibile e fittizia che circonda un buco, il reale

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che lo sorregge. L’uomo è attirato nel gorgo del reale equesto movimento viene incanalato dalla sequenza meto-nimica dei significanti: ciò vuol dire che il desiderio è inqualche maniera simbolizzato, fa parte dei meccanismidel senso e del linguaggio. O meglio: il bisogno che marcal’entrata del reale nella sfera umana, si manifesta giàattraverso il suo occultamento incantatorio e immuniz-zante, come se esso in qualche maniera lo sfruttasse pereluderne gli effetti.In tale prospettiva ritroviamo siffatto meccanismo nei

cosiddetti “bisognini” cui il bambino inizia ad essere edu-cato dopo i primi due anni di vita. Sino a quel momentol’evacuazione e la minzione sono impellenze o purenecessità, talvolta accompagnate da un certo fastidiooppure da soddisfazione ed appagamento. Per l’infante ilprincipale problema quotidiano è la liberazione da que-sta necessità che tuttavia, grazie alla sua ricorrenza eregolarità, diviene via via più famigliare. Pupù, cacca,popò sono i nomignoli amichevoli con cui i genitori cer-cano di descrivere l’universo escrementizio del lorobimbo, per renderlo più vicino e meno osceno.L’educazione, perpetrata via via attraverso una progres-

siva rete di simbolizzazioni spazio-temporali (il momentodella peristalsi, il luogo del bagno, il rituale regolare e ripe-titivo della stessa defecazione, etc.), in qualche manieracopre la dimensione reale di questa necessità, facendoneun vero e proprio bisogno. Le feci divengono così un“oggetto a”. Esse indicano qualcosa di “sporco” e “deterio-re”, ma aprono anche un orizzonte immaginario alquantoambiguo nel quale l’escremento può assumere una valenzalibidica. La pupù da mero gioco con il reale, diventa serio eseriale: è una necessità di cui ne va del soggetto, ma questanecessità viene occultata da uno schermo simbolico edimmaginario. L’Altro fisiologico ed ineludibile si scontracon l’Altro delle finzioni astratte del linguaggio e del pen-siero collettivo. In ogni bisogno, dunque, anche in quello più spontaneo

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e primitivo, assistiamo alla coalescenza di reale, simbolicoed immaginario: la necessità fisica e reale viene ricopertada una velatura immaginaria e incantatoria, ma i modi incui l’individuo vi accede sono mediati dalla cultura e dallinguaggio. Lacan tuttavia ci dice qualcosa di più: nel rap-porto con il bisogno, ne va del soggetto, appunto, ossiaquest’ultimo subisce una sorta di barratura. Nell’incontrocon il bisogno e nella sustruzione immunizzante di scher-mi simbolici ed immaginari assistiamo pertanto ad unparadossale as-soggett(ament)o. L’uomo cerca di control-lare i propri bisogni con la creazione di fantasmi e con lasurcodificazione del desiderio; ma in questo suo tentativodi autodifesa rimane imbrigliato nel suo stesso dispositivodifensivo. Il bambino scherza e gioca con la sua cacca, manon appena sarà entrato nella dimensione comunitaria delbisogno, inizia tosto ad averne orrore e scopre una nuovaalienazione: se prima l’Altro erano le sue viscere e la peri-stalsi incontrollata, ora l’Altro è l’immagine delle feci e ciòche essa significa. L’immunizzazione per così dire prima-ria, la simbolizzazione dell’universo escrementizio, portaad una sindrome autoimmune, alla paura per ciò che l’e-scremento significa e simbolizza.In quest’articolazione indubbiamente complessa vedia-

mo come il concetto di “bisogno”, sebbene non centralenella riflessione marxiana, condensi degli aspetti decisi-vi: se esso costituisce una funzione essenziale nello svi-luppo delle società umane riunendo in sé l’Altro-realecon l’Altro simbolico in un dispositivo immunitario edautoimmunitario, iniziamo guadualmente a capire attra-verso quali meccanismi il mercato crei continuamentenuovi bisogni e come questi possano diffondersi nellanostra vita quotidiana. Attraverso la necessità del biso-gno vengono immessi sempre nuovi oggetti del desideriocon la propria sfera immaginaria e “illusionistica”: essinon sono puramente inutili e pleonastici, ma ciascunoritrova un qualche radicamento nel reale. Come osservaŽižek, l’uomo contemporaneo è costretto a godere (cioè

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ad incontrare il reale), ma questo godimento gli è strut-turalmente precluso dalla copertura simbolica e immagi-naria che circonda il vuoto all’interno di ciascun oggetto.L’immissione di sempre nuovi bisogni assolve in sostan-za il compito di immunizzare e dis-trarre l’uomo dalreale, ma ciò facendo essa rischia il trasformare la prote-zione immaginaria e simbolica in qualcosa di altrettantoreale, cioè di “hantologico”, spettrale.Marx ha giustamente paura delle manifestazioni spet-

trali di questo Altro anfibolico che si presenta sotto spo-glie via via cangianti: da un lato è il reale osceno dellaviolenza umana, della penuria, della natura non ancoraintroiettata e successivamente oggettivata dall’uomo;dall’altro è il reale del capitale o del mercato, ovvero diun’astrazione del pensiero umano che a partire da unafunzione originariamente immunizzante diviene alfineun’entità trascendente e fuori-controllo. Sicché una pras-si rivoluzionaria che intendesse scardinare tale dispositi-vo non dovrebbe fare altro che destrutturare i meccani-smi ipertrofici legati al bisogno e alla produzione nei suoiaspetti fantasmatici. In altre parole, Marx non riconoscel’Altro “reale” alla base dei rapporti economici e delleconseguenti formazioni sovrastrutturali e, quindi, nonriesce a concepire come, ad esempio, l’idea di “penuria”che sarebbe stata invece successivamente introdotta daJ.P. Sartre, possa rappresentare uno dei perni fondanti e“in negativo” dell’intero sviluppo del sistema capitalisti-co. Per lui è invece in gioco l’eccesso autoimmunitario delcapitale divenuto entità reale e il ritrovamento di unadoppia immunizzazione, cioè dell’immunizzazione diun’immunizzazione.Se volessimo tentare una riattualizzazione del pensiero

helleriano al di là di Marx, credo allora che dovremmoincentrare la nostra attenzione proprio sulla duplice fun-zione dell’Altro nell’ambito della dialettica dei bisogni e,di conseguenza, sulla centralità della vita quotidiana edelle tecniche di soggettivazione. Ciò che sin qui noi

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abbiamo considerato come un unico plesso, viene invecedistinto dalla Heller secondo due tipologie di bisogno: ilbisogno “radicale” che non è quantificabile e si sviluppa“in profondità” e riguarda pertanto l’amicizia, il gioco,l’amore, la convivialità; il bisogno “alienante” che pertie-ne invece ad entità quantificabili come il potere, il dena-ro, il successo sociale, il capitale insomma. Non bisognatuttavia qui cedere ad una facile interpretazione chevedrebbe nella classificazione helleriana un ritorno aivalori della famiglia e dell’intimità a fronte dei bisognifittizi creati dal mercato e finalizzati soltanto allo sfrutta-mento dell’essere umano e al profitto ingiustificato.Dobbiamo invece tentare una lettura più approfondita,che richiami l’alone spettrale evocato a sua volta daDerrida e che faccia del bisogno una struttura contrad-dittoria, giocata da fasi ambivalenti ed antagonistiche. Quando la Heller parla di condivisione, gioco, amicizia,

non allude soltanto ai valori affettivi della famiglia e delsingolo, bensì tratteggia i contorni della communitas inquanto “correttivo” del comunismo reale. Alla stessastregua del capitale astratto, infatti, anche il comunismo– che lei conosce sotto il profilo “ungherese”, per cosìdire – assume dei tratti alienanti. L’eccesso di burocra-zia, il potere dispotico del partito, la creazione di unmondo finzionale e chiuso rispetto all’esterno sono icaratteri del grande Altro, cioè di un sistema immuniz-zante di senso che, a cagione del suo eccesso, è diventatooppressivo e trascendente. Come osserva ancoraEsposito, “comunità” deriva da cum-munus: munussignificava nel mondo latino il dono che “deve” esserecontraccambiato. Si trattava dunque di un “onere” chederiva da determinate regole. Nell’essere del communis èimplicita una traspropriazione, una perdita del “pro-prio”; e questa perdita è regolata da un preciso “diritto”.Nel “comunismo” marxiano viene radicalizzato proprioquesto es-proprio regolato da norme e, quindi, per certiaspetti la fase specifica dell’alienazione. La Heller tutta-

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via vuole focalizzare l’aspetto correttivo che è implicitonei medesimi meccanismi della communitas, ossia la“reciprocità”. L’aver inserito il gioco nel novero dei biso-gni radicali sembra alludere forse a questo elemento: ilcomunismo reale avrebbe fallito in quanto divenuto“serio”, cioè asimmetrico, eccessivamente logico ed uni-direzionale. Ecco allora il profilarsi di una via mediana: l’amicizia,

l’amore, il gioco, la convivialità ci mostrano come nelbisogno emerga una relazione con l’Altro di tipo differen-te rispetto al rapporto con le astrazioni del capitale e delcomunismo. Questo Altro lo ritroviamo sempre all’inter-no della communitas, epperò non nella sua degenerazio-ne alienante, bensì nella simmetria e reciprocità spiaz-zanti cui dà luogo. Il bambino, ad esempio, vive in unmondo fatto di azioni e reazioni: egli si aspetta che il suopelouche ad un tratto parli e gli si rivolga come se fossevivo, gioca essendo-giocato e lasciandosi perdere in quel-la che invece l’adulto considera un’esperienza angoscian-te di alienazione. Il “comune” e il “proprio” sono la stes-sa cosa; il piccolo è immerso in un mondo che lo culla elui vive nell’Altro, è abituato all’Altro. La condizioneessenziale dell’uomo è dunque l’alienazione, ma mentrenell’infanzia essa costituisce il soggetto nella sua libertà espontaneità, nell’età adulta essa prende le fogge dell’a-strazione e della generalizzazione. Si passa cioè dall’esse-re-soggetto all’essere assoggettato, dall’avere una certafamigliarità con l’Altro all’esserne atterriti.I bisogni fittizi si sostituiscono così ai bisogni radicali;

al rapporto con l’Altro aperta facie, assistiamo all’affa-stellarsi di innumerevoli schermature e griglie protettiveche, attraverso la dis-trazione e il dif-ferimento, si illudo-no di allontanare l’Altro, mentre di fatto lo ricostituisco-no ancora più insinuante e pernicioso. Bisogna, pertanto,tornare al gioco ed esporsi in qualche maniera al rischio;l’eccesso di protezione ha portato ad una nuova aliena-zione: è necessario allora ripercorrere l’altra via del biso-

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gno, quella dell’Altro radicale. Si affaccia quindi un’altraaporia: per combattere l’alienazione immanente nei pro-cessi generalizzanti del capitalismo e del comunismo,siamo costretti a ricorrere ad un’altra alienazione, ad un“differente” rapporto con l’Altro.Questa elaborazione della Heller che trapela dai suoi

scritti, convoca eloquentemente nozioni come quella di“Individuo” (con la “I” maiuscola), “vita quotidiana” e,soprattutto, “condotta”. Siamo cioè all’interno di un oriz-zonte di discorso che potrebbe richiamare l’ultimoFoucault e i suoi tentativi di ridisegnare nuovi spazi di sog-gettivazione. Si tratta insomma di costruire un soggettoche sia originariamente “intaccato” dall’Altro, che abbia ilcoraggio di affrontare l’Altro. Foucault, alludendo almondo antico, parla infatti di parresìa o “veridizione” e di“coraggio della verità”. In entrambi i casi assistiamo percosì dire ad un rapporto più diretto nei confronti dell’Altro,cioè ad una sorta di immuno-depressione o di rinunciapilotata dei sistemi immunizzanti comunitari. Sia il comu-nismo reale che il consumismo di massa rappresentanoinfatti degli eccessi immunizzanti che sortiscono il medesi-mo effetto di un assoggettamento. Per recuperare unanuova pratica della soggettività, dunque, è indispensabileun depotenziamento e un coraggio che significa anche unamaggiore esposizione al rischio.I bisogni alienanti, creano degli individui che ancorché

più liberi, si ritrovano invece ulteriormente assoggettati esoli. I bisogni radicali viceversa, attraverso un “altro”assoggettamento, riposizionano l’uomo al centro delledinamiche sociali che lo coinvolgono. È significativo aquesto punto osservare che sia la Heller che Foucaultaccennino al “gioco” a proposito del soggetto: nell’epocadei consumi di massa e, quindi, di un’alienazione basatasull’eccesso della finzione e dell’astrazione che crea biso-gni sempre nuovi (basti pensare alla smaterializzazionedelle merci) è indispensabile pensare ad una figura delsoggettto che affronti aperta facie e, quasi infantilmente,

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l’Altro o la verità, e ciò anche a rischio della propria vita.Il soggetto, l’Individuo helleriano si può costituire sol-tanto nel gioco basculante ed intermittente tra le duepolarità dell’alienazione, tra l’Altro del capitale astratto el’Altro del reale: ci vuole – appunto – coraggio!Chiudiamo allora con una serie di dubbi. Il sistema tar-

docapitalistico in cui viviamo attualmente è alquantovischioso e aggirante: come osservano G. Deleuze e F.Guattari, infatti, esso costituisce un “apparato di cattura”che si articola in una rivoluzione continua. Per il tardo-capitalismo la crisi – sia essa naturale, economica, socia-le, politica o finanziaria – non è un evento da scongiura-re e da cui difendersi, ma è il motore stesso del suo fun-zionamento: è attraverso le continue crisi che esso sievolve e cambia continuamente natura. Che il ritorno aibisogni radicali quale antidoto alla doppia alienazionedel capitalismo e del comunismo possa considerarsi dun-que ancora un’utopia, lo possiamo riscontrare proprionei più recenti sviluppi del mercato. Come nota infattiancora Žižek, oggi non si comprano più merci, bensìemozioni e sensazioni: le scarpette Nike ad esempio nonvalgono in se stesse, ma sono appena l’involucro per mar-care l’appartenenza ad un certo gruppo, per manifestareall’esterno una specifica immagine del proprio “io”, per ilbisogno di conformasi; così come la moda del “biologico”non naconderebbe che l’esigenza fittizia di far parte di uncerto mondo ecologista e naturalista, in una sorta dialleggerimento del senso di colpa che talvolta assilla ilconsumatore medio occidentale.Quest’evenienza è allarmante, poiché significa che il

gioco della contrapposizione dei bisogni della Heller invista dell’evitamento degli eccessi del capitalismo e delcomunismo reale, si trasforma in una nuova forma diconsumo e, quindi, in un nuovo mercato e in una radica-lizzazione dell’assoggettamento al capitale astratto. Sel’amicizia, il gioco, la convivialità, etc. sono divenutemerci (basti pensare ai reality, ad esempio o all’“econo-

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micizzazione” delle grandi espressioni del gioco colletti-vo) ecco che la pratica di una nuova forma di soggettiva-zione si trasforma nel vecchio essere-as(soggett(at)o el’Altro della communitas diviene nuovamente l’Altroquantificato e orripilante di una finzione divenuta-reale. La Heller ha qualche presentimento di questo processo

sottentrante, quando si accorge che anche la teoria, laproduzione culturale, è “soggetta” al consumo e, quindi,al mercato; ma ritiene ancora esenti da questo processometabolico gli spazi privati della vita quotidiana in cui sicondividono con gli altri le proprie esperienze. Invece,come testimonia l’attuale interesse per la privacy, mezzodi reazione e di difesa nei confronti di un pubblico ormaipervasivo, lo spazio degli affetti e della convivialità si èmutato definitivamente in un bisogno alienante, allastregua della ricchezza, del potere, del lusso. La privacycosta e c’è un mercato della privacy. Che fare allora?Come soggettivare disalienandosi dalla mercificazione edai bisogni fittizi?Un’idea che qui vorremmo appena abbozzare gravita

intorno alla creazione di un nuovo bisogno e può ricor-dare l’“attraversamento del fantasma” di Lacan, ossia lapresa di coscienza di quella schermatura finzionale eimmunizzante che ci protegge dal reale ma che nello stes-so tempo ci aliena ed assoggetta. In questa direzione dipensiero, la tecnica del sé foucaultiana potrebbe esserevirata verso la dinamica paradossale dei bisogni nellaloro ambivalenza e l’istituzione di un bisogno per cosìdire aporetico. E se allora questo bisogno fosse quellodella decrescita, cioè il coraggio di rinunciare alle sfereprotettive e materne offerte dallo sviluppo progressivo edall’incremento dei mondi virtuali e fittizi che frapponia-mo continuamente tra noi e la realtà? Se innescassimocioè il bisogno radicale del “meno” invece del bisogno del“più” e aprissimo così l’orizzonte di un senso comunita-rio non artificiale come nel comunismo e nel consumi-smo, ma essenzialmente autentico? E come potrebbe

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esser assimilata dal capitalismo quest’esigenza che, purgiocandosi attraverso il meccanismo del consumo daesso introdotto, mina la sua funzione protettiva edimmunizzante?

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La teoria, la prassi e i bisogni umanidi Ágnes Heller

La prassi e la teoria ineriscono sempre costitutivamentea una medesima unità produttiva e sociale (struttura).Questo spiega perché teorie e prassi di società diversedifferiscano tra loro non solo per il contenuto ma ancheper il modo in cui interagiscono e, di conseguenza, per lafunzione che la teoria svolge nelle diverse società. Innumerose organizzazioni sociali non si è affatto prodottauna separazione della teoria dalla prassi, ed esse svolgo-no la loro funzione di riproduzione sociale in modo inte-grale e indifferenziato (perfino le cosiddette società “pri-mitive” del XX secolo sono utilizzabili a titolo esemplifi-cativo). Parimenti, dal punto di vista del nostro proble-ma, non possiamo identificare l’alto medioevo con lasocietà borghese. Nel primo, il cristianesimo non fu sol-tanto una ideologia omogenea, ma penetrò e influenzò laprassi quotidiana degli uomini sviluppando i loro scopigenerali nel quadro e nel linguaggio della sua ideologiaegemone. Il problema generale del rapporto tra prassi eteoria non è emerso prima dell’avvento della società bor-ghese. Se è emerso, si è sempre trattato di capire perchépersone o gruppi di persone non agissero in conformitàai loro principi. Tuttavia, questo tipo di confronto mora-le non ha alcun peso per il nostro problema o, tutt’al più,ne è soltanto un aspetto secondario.Il problema generale del rapporto tra teoria e prassi è

un problema particolare della società borghese, un pro-dotto della sua struttura e una sua manifestazione. Così,proprio quando il problema viene posto nella sua forma

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più generale, dobbiamo avere ben chiaro in mente chestiamo affrontando un problema particolare, sorto nellastoria moderna e prevedibilmente legato a un periodostorico definito, per quanto lungo e importante.A titolo introduttivo e restrittivo, vorrei chiarire che nel

corso della mia argomentazione non terrò conto del rap-porto tra teoria e prassi nelle scienze naturali, sebbene laloro storia, da Galileo in poi, costituisca un momentoorganico del processo menzionato. Nelle pagine seguentilimiterò la mia analisi soltanto al rapporto tra teoria eprassi sociali.L’analisi teorica di questo rapporto è in se stessa la con-

seguenza e la manifestazione della divisione del lavoro edella produzione di merci nella società borghese. La for-mazione dell’intelligencija, uno strato sociale particolare, ilcui compito è quello di “produrre” le teorie, è stato condi-zionato dalla divisione del lavoro. Le forze sociali che crea-no le teorie e quelle che le usano si sono separate. Ciò èvero anche nel caso in cui il teorico rappresenti diretta-mente gli interessi di una certa classe, poiché nella societàborghese la creazione e la ricezione delle teorie si confor-ma quasi totalmente alla struttura della produzione dimerci. Che manifestino direttamente gli interessi di unacerta classe o no, le teorie passano in ogni caso per il mer-cato. Che non tutti i prodotti giungano sul mercato peressere scambiati è un fatto tanto ovvio che non c’è alcunbisogno di analizzarlo dettagliatamente. La sua discussio-ne è ancor più superflua per il fatto che nel secondo caso,tenendo conto della struttura della società borghese, il pro-dotto teorico non ha neppure la possibilità di essere tra-sformato in pratica. Pertanto scartiamo questo aspetto dalpunto di vista del problema che abbiamo di fronte. Laforma principale con cui la teoria giunge sul mercato è lapubblicazione. Questo è il modo in cui la teoria diventa dis-ponibile e può attrarre il consumatore. Forme secondariesono le azioni di propaganda, mediate o dal contatto per-sonale o, come avviene in misura sempre maggiore, dai

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mass-media, oppure da entrambe. Nei sistemi a mercatolibero la teoria giunge liberamente sul mercato, dove la sipuò prendere o lasciare: gli uomini utilizzano la teoria o laignorano, a seconda dei loro bisogni. Naturalmente, sotto-stando alle condizioni di un mercato manipolato, anche lalibera concorrenza delle teorie deve subire delle restrizio-ni e delle modificazioni. La maggior parte delle teoriemesse in circolazione sul mercato si conforma a unmodello immediatamente funzionale alle esigenze dimanipolare l’opinione pubblica in una direzione prestabi-lita. Più specificamente, la struttura sociale della societàborghese costringe inevitabilmente le teorie rivoluziona-rie che si oppongono al sistema a conformarsi alle moda-lità dello scambio di merci. L’affermazione assai nota diMarx, secondo la quale la teoria che penetra nelle massediventa una forza materiale, presuppone – almeno da unpunto di partenza astratto – l’esistenza di masse influen-zate dall’ideologia della classe dominante, da un lato, euna teoria rivoluzionaria senza masse dall’altro. Così, ilteorico (è indifferente che sia un economista, un filosofo oun sociologo) è colui che offre la sua teoria sul mercatoobbedendo alle regole della moderna divisione del lavoro.Dal momento che operiamo con un modello astratto, pos-siamo porre tra parentesi la varietà dei motivi e supporreinvece che tutti questi “operatori teorici” compaiano sulmercato con i loro prodotti teorici perché ritengono verele ideologie e i punti di vista espressi nelle loro teorie.Supponiamo cioè che a vendere le loro merci non sianostati spinti semplicemente dal desiderio di guadagnare deldenaro o del prestigio sociale, ma piuttosto che essi tenti-no di influenzare la società, in toto o parzialmente,mediante la circolazione e l’accettazione delle loro idee, dispingere, in altre parole, la società verso una direzioneritenuta preferibile. Ovviamente, questo non è vero nellamaggior parte dei casi, ma analizzando il problema gene-rale del rapporto fra la prassi e la teoria, l’omissione deimotivi personali e egoistici è giustificata. A questo punto

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il problema è quello di determinare l’identità dei “com-pratori” di questa merce, in che modo la comprano e imotivi che li spingono all’acquisto.È universalmente noto che l’accettazione di determina-

te idee, anche se assume proporzioni di massa, nonimplica affatto che la teoria riesca a trasformarsi in pras-si. La maggioranza di coloro che aderiscono a una teorianon sono altro che consumatori che consumano una teo-ria come consumano un dentifricio. Questo modo di con-sumare si risolve nella cosiddetta “cultura generale”, con-dizione senza la quale non si può appartenere a un datoceto sociale, così come lo è l’uso di una certa marca didentifricio. Naturalmente, il puro e semplice livello diconsumo può svolgere una funzione indicativa, può indi-care cioè quelle teorie che in un certo strato socialehanno imboccato la via che le conduce alla loro trasfor-mazione in prassi. Tuttavia, quanto più manipolatodiventa il sistema di mercato, tanto meno sono attendibi-li indicazioni di questo tipo.Poiché qui analizzo la teoria dal punto di vista della

prassi, devo trascurare tutti gli “acquirenti” che sonosemplici consumatori nel senso sopra definito. Di conse-guenza devo limitare la mia indagine a coloro che acqui-stano prodotti teorici in funzione di un certo tipo di pras-si sociale, e indagare sulle loro motivazioni e sui modi incui essi trasformano la teoria in prassi.Questa indagine presuppone comunque una previa

definizione della prassi e della efficacia pratica della teo-ria. È possibile operare con una definizione assai largadel concetto di prassi, includendovi ogni tipo di attivitàsociale e, in ultima analisi, l’attività umana in generale.Tuttavia questa definizione logica non è utilizzabile nel-l’analisi del rapporto che lega la prassi alla teoria. Seinfatti prendiamo le mosse da una definizione così ampiadi prassi, tutte le attività teoriche devono essere conside-rate allo stesso tempo attività pratiche, perdendo così laloro differenza specifica.