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APPUNTI, 2 Politica

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Marino BadialeMassimo Bontempelli

Marx e la decrescitaPerché la decrescita ha bisogno

del pensiero di Marx

abiblioforum per utopie e skepsis

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Prima edizione: aprile 2010

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INDICE

1. Introduzione, 92. La decrescita, 10

3. “L’intelletto, cioè la capacità della ragione di distinguere”, 15

4. Altre distinzioni, 175. Quale filosofia di Marx?, 20

6. Quale Marx per il presente?, 237. Accumulazione, decrescita, anticapitalismo, 27

8. Sulle contraddizioni del capitalismo, 329. L’unica via d’uscita, 39

10. Cosa può dare il pensiero di Marx alla decrescita, 43

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1. Introduzione

Questo saggio, il cui titolo nomina Marx e la decrescita, èovviamente rivolto in primo luogo alle persone interessa-te a Marx e a quelle interessate alla decrescita, e il primoobiettivo che ci poniamo è quello di suscitare una discus-sione costruttiva fra questi due gruppi. È noto che, ingenere, fra coloro che continuano a ricavare ispirazionedal pensiero di Marx e coloro che in tempi recenti hannoiniziato a teorizzare la decrescita non corrono buoni rap-porti. I primi tendono a vedere la decrescita, nel miglio-re dei casi, come un’aspirazione soggettiva di naturasocialmente ambigua, mentre i “decrescisti” vedono nelpensiero di Marx nient’altro che una versione “di sini-stra” dell’idolatria dello sviluppo che oggi domina ilmondo e contro cui intendono combattere. Giudichiamoquesta contrapposizione del tutto negativa, e cercheremoin questo saggio di mostrare le ragioni di questo nostrogiudizio. La prima tesi generale che ci sforzeremo di argomenta-

re nel seguito può essere così enunciata, in una sintesiquasi da slogan: “coloro che seguono le teorie di Marxhanno bisogno della decrescita, la decrescita ha bisognodi Marx”. E con questo intendiamo dire quanto segue: dauna parte, oggi ogni teoria ispirata a Marx ha bisognodella decrescita perché essa rappresenta l’unica formula-zione possibile di un anticapitalismo adeguato alla realtàdel capitalismo attuale; dall’altra, la decrescita ha biso-gno del pensiero di Marx perché in esso si trovano alcunifondamenti teorici indispensabili per l’elaborazione diuna proposta teorica e politica adeguata ai problemi chela decrescita stessa individua. Queste affermazioni ci portano alla seconda tesi fonda-

mentale di questo saggio, che è la seguente: solo dall’in-

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MARX E LA DECRESCITA10

contro fra il pensiero di Marx e decrescita può nascere unanticapitalismo che sia capace di confrontarsi, sul pianoteorico e politico, con la realtà del capitalismo attuale. Lanascita di una tale forma di anticapitalismo è ormai unanecessità stringente. La dinamica dell’attuale fase capita-listica sta infatti spingendo il mondo verso un baratrospaventoso, ma la percezione sempre più diffusa, anchese in maniere ancora indefinite, di una tale tendenza, nonriesce ancora a tradursi in un movimento politico ingrado di incidere davvero sulla realtà. Noi crediamo chel’incontro fra il pensiero di Marx e la decrescita sia unaprecondizione perché si possano combattere con effica-cia le dinamiche mortifere del mondo attuale. Questoscritto, quindi, non si rivolge solo a coloro che sono inte-ressati a Marx o alla decrescita, ma a tutti coloro cheavvertono il carattere distruttivo dell’attuale capitalismomondiale e cercano di contrastarlo.

2. La decrescita

Il nostro intento di costruire un terreno di confrontocostruttivo fra il pensiero di Marx e il pensiero delladecrescita sarà posto in opera parlando soprattutto diMarx e marxismo, e meno della decrescita. Il motivo èsemplice: la discussione su Marx e sul marxismo duraormai da un secolo e mezzo, e la storia di questo secolo emezzo di discussioni è talmente ricca, complicata, diver-sificata, conflittuale, da rendere molto elevata la possibi-lità di essere fraintesi, e di conseguenza inevitabile unalunga serie di chiarimenti, precisazioni, distinzioni. Alcontrario la decrescita è una proposta recente di riorga-nizzazione della società sulla base di assunti teorici sem-plici e lineari, e non ha quindi conosciuto scontri e frat-ture paragonabili a quelli avvenuti nell’ambito del marxi-smo. Almeno nell’essenziale, il suo contenuto teorico èper il momento sufficientemente “chiaro e distinto”, per

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LA DECRESCITA 11

dirla con Descartes. In questo paragrafo ne offriamo unaversione estremamente sintetica1.Il punto fondamentale da cui partire per comprendere

la nozione di decrescita è la distinzione fra beni d’uso dauna parte e merci dall’altra. “Merce” non è sinonimo dibene o servizio, ma è un bene o servizio prodotto per ilmercato in vista di un profitto e dotato quindi di un prez-zo. Non c’è sul piano teorico alcun rapporto necessario traaumento quantitativo delle merci, diffusione del benesse-re e progresso delle conoscenze. Per un lungo periodo sto-rico, fino a tutti gli anni Sessanta del secolo scorso, l’allar-gamento della scala di produzione di merci, pur con tantirisvolti negativi, è stato effettivamente associato, in unquadro storico complessivo, alla diffusione del benessereeconomico, all’ampliamento della libertà individuale,all’avanzamento dei costumi e delle conoscenze. A partiredagli anni Settanta del secolo scorso, però, l’ulterioreaumento quantitativo dei beni prodotti per il mercato èstato sempre più correlato, non accidentalmente (comemostra una vasta letteratura economica e sociologica),alla crescita delle diseguaglianze sociali, alla riduzionedelle risorse destinate alla protezione sociale, a minoridiritti del lavoro dipendente, alla diminuzione del tempolibero dal lavoro, allo sviluppo di processi di de-emanci-pazione e di marginalizzazione, cioè a indicatori precisi diun diminuito benessere della maggioranza della popola-zione e di una minore libertà individuale.Un altro punto da comprendere riguardo alla decresci-

ta è che essa, proprio perché riguarda le merci e l’incor-

1. Per una visione più approfondita delle proposte dei teorici delladecrescita, rimandiamo ai testi relativi, per esempio M.Bonaiuti (curadi), Obiettivo decrescita, Bologna 2005; M.Pallante, Decrescita emigrazioni, Edizioni per la Decrescita Felice, Roma 2009; M.Pallante,La felicità sostenibile, Rizzoli, Milano 2009. Serge Latouche ha espostole idee della decrescita in numerosi testi, fra i quali particolarmentechiaro e sintetico è S.Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena,Bollati Boringhieri, Torino 2007. Senza nominare la decrescita, esponeidee ad essa contigue P.Bevilacqua, Miseria dello sviluppo, Laterza,Roma-Bari 2008.

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porazione di energia e materie prime nei prodotti, non ibeni ed i servizi in quanto tali, non è affatto un progettofrancescano di rinuncia alla ricchezza economica (oalmeno non lo è nell’idea a cui qui si fa riferimento, adesempio di Latouche o Pallante; certamente ci sono ideenon condivisibili di decrescita, come al tempo di Marxc’erano idee non condivisibili di comunismo o sociali-smo). È un rifiuto dello sviluppo capitalisticamente inte-so, cioè dell’unica nozione di sviluppo oggi diffusa e com-presa, che schiaccia quanti non vogliono accettare inve-stimenti economici che devastano il territorio. Ed è unapresa d’atto delle necessità non di fruire di meno beni,ma di consumare meno merci, e soprattutto meno ener-gia e meno territorio.Diversi sono, nel nostro tempo, i casi in cui una vita

migliore e più libera è correlata ad una minore quantitàdi beni. Nei paesi più sviluppati una dieta più sana pre-suppone il consumo di una minore quantità dei tanti pro-dotti altamente sofisticati e calorici dell’industria alimen-tare. Nelle città degli Stati Uniti una minore esposizioneai rischi presuppone una diminuzione delle armi dafuoco vendute e comprate. Una più libera fruizione dellenostre spiagge e delle nostre scogliere presuppone unaminore quantità di colate di cemento sulle nostre coste. Evia dicendo.In diversi altri casi, invece, la libertà individuale e la

creatività mentale richiedono che la disponibilità di benie servizi non diminuisca, oppure che aumenti. Ma atten-zione: una disponibilità accresciuta di beni e servizi puòessere realizzata anche in un contesto non di sviluppo,ma di decrescita. Un esempio: immaginiamo che ilnostro sistema sanitario cominci a svolgere una seriaattività di prevenzione ecologica delle patologie mediche,e, con un’immaginazione ancor più sganciata dalla realtàattuale, che il nostro sistema politico e amministrativoproduca e faccia rispettare leggi che riducano drastica-mente i rischi di infortuni sul lavoro e di contatto nel-

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LA DECRESCITA 13

l’ambiente con sostanze patogene. In una tale situazioneil cittadino fruirebbe di migliori servizi sanitari e potreb-be maggiormente disporre di quei beni preziosi che sonocure mediche attente alle persone e basate su buoneinformazioni ambientali, nel quadro non di uno sviluppo,ma di una decrescita dell’economia. Infatti il contributodel sistema sanitario allo sviluppo dell’economia è datodalla quantità di farmaci immessi sul mercato, dagliapparecchi diagnostici smerciati, dai tempi delle degenzeospedaliere, che evidentemente diminuirebbero nel casodi un’efficace prevenzione di diverse patologie e di unadrastica diminuzione di malattie e infortuni sul lavoro.Fin qui abbiamo parlato delle conseguenze negative

dello sviluppo per la vita sociale. Non spendiamo molteparole per ricordare le conseguenze negative per l’am-biente naturale, perché su di esse c’è ormai una vasta let-teratura. Ricordiamo solo che il peggioramento dell’am-biente non è una astrazione, ma si traduce in peggiora-mento della qualità della vita (depauperamento ed avve-lenamento delle falde acquifere, pessima qualità dell’ariarespirata, accumulo di rifiuti non smaltibili senza danni,nocività degli alimenti, dai pesci al mercurio alle carniagli ormoni e agli antibiotici ecc.). La crescente invivibi-lità dell’ambiente per effetto dello sviluppo è una tale evi-denza, di cui ciascuna persona psichicamente sana hapercezione quotidiana, che per negarla bisogna essere oprivilegiati che hanno ancora per lungo tempo i mezziper sottrarsi a gran parte delle sue venefiche conseguen-ze, o sciocchi resi tali da una radicale atrofia dell’anima.In Italia uno dei modi in cui si manifesta la nocività

dello sviluppo è quello di progetti economici che tendonoa invadere e distruggere il territorio con strutture e operedi vario tipo. Questa invasività e queste devastazionisono inevitabili, all’interno dell’odierno meccanismodello sviluppo. Infatti lo sviluppo non può fare a menodell’accumulazione di realtà fisiche sul territorio (strut-ture produttive, infrastrutture edilizie come autostrade e

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aeroporti, strutture commerciali, mezzi di trasporto,rifiuti che occorre smaltire in qualche modo). Ma il terri-torio italiano è saturo (altrove la situazione può esserediversa): l’Italia è un paese piccolo e sovrapopolato, il cuiterritorio è stato da tempo invaso dalle realtà fisiche lega-te allo sviluppo. Non essendoci più spazio libero, le nuovestrutture fisiche necessarie per lo sviluppo possono inse-rirsi solo in una realtà fisica e sociale già organizzata,mettendone in crisi gli equilibri. In parole povere, lenuove strutture devono invadere la vita quotidiana degliabitanti del territorio, sconvolgendola. L’opposizione daparte degli abitanti del territorio attaccato è dunquenaturale e istintiva, non necessariamente derivante daopzioni politiche e ideologiche generali, e quindi puòcerto presentare molti limiti, specie nella fase iniziale. Ilpunto cruciale sta però nel fatto che essa va nella direzio-ne della critica dello sviluppo, anche se i suoi attori pos-sono non averne coscienza. Con questo intendiamo direche la prospettiva della critica dello sviluppo è l’unica cherenda coerenti queste lotte, dando ad esse un valore e unrespiro generali. Al di fuori di tale prospettiva, questelotte possono essere facilmente criticate e isolate indi-candole come espressione di egoismi locali che devonocedere il passo all’interesse generale. La risposta a questacritica sta appunto nell’indicare il rifiuto dello sviluppo,cioè la decrescita, come interesse generale del paese.Queste lotte hanno quindi, al di là della coscienza dei sin-goli individui che vi partecipano, un carattere di radicalecontestazione dell’attuale ordinamento economico esociale2.

2. In questo paragrafo abbiamo ripreso alcuni passaggi di un nostro pre-cedente intervento: M.Badiale, M.Bontempelli, Per salvare la vita-28 tesicontro la barbarie, reperibile in linea per esempio all’indirizzohttp://www.rivistaindipendenza.org/Teoria%20nazionalitaria/tesi.htm

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L’INTELLETTO 15

3. "L’intelletto, cioè la capacità dellaragione di distinguere"

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Introduciamo adesso, come annunciato sopra, alcunedistinzioni e precisazioni relative al nostro modo di uti-lizzare il pensiero di Marx.Per cominciare a parlare di marxismo e pensiero di Marx

occorre innnanzitutto distinguere questi due termini.Abbiamo scritto sopra che la decrescita ha bisogno “diMarx” e non “del marxismo” proprio per sottolineare l’im-portanza di tale distinzione. Essa è ormai moneta correntefra gli studiosi di Marx, ma forse conviene ribadirla. Ilmarxismo come movimento teorico-politico è una costru-zione successiva alla morte di Marx. Tale costruzione èdovuta in parte ad Engels, ma soprattutto ai dirigenti dellasocialdemocrazia europea, tedesca in primo luogo, cheavevano bisogno di una ideologia di legittimazione delmovimento operaio che stavano organizzando. Data lasituazione culturale dell’epoca, era inevitabile che il marxi-smo come ideologia del movimento operaio assumesse uninquadramento di tipo positivistico e scientistico. Sarà taleinquadramento a permettergli una grande efficacia prati-ca, a spese però di una distorsione dei concetti di Marx e diuna riduzione della teoria sociale a un sistema semplifica-to e dogmatico spacciato per scientifico. Il dogmatismo èinfatti il necessario esito di ogni forma di scientismo. Loscientismo è definito dall’assunzione della moderna scien-za della natura come unica forma di conoscenza razionale.Si tratta di un presupposto non dimostrato scientificamen-te né argomentato razionalmente4, e cioè, appunto, di undogma. Il carattere religioso del positivismo del tardoComte, o anche quello del marxismo come movimentopolitico organizzato, non è quindi casuale ma si collega in

3. E.Pagliarani, da Proseguendo un finale, in Tutte le poesie (1946-2005), Garzanti, Milani 2006.4. Si veda M.Badiale, Difficili mediazioni, Aracne, Roma 2008,pagg.21-22, per una breve critica allo scientismo.

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MARX E LA DECRESCITA16

profondità al carattere dogmatico di ogni forma di positi-vismo e scientismo.Il peso di tale inquadramento positivistico del marxi-

smo e la difficoltà di liberarsene si possono cogliere in unpaio di esempi. Il primo è quello di Labriola. In Italia Antonio Labriola

è il primo serio studioso di Marx a livello accademico.Egli si sforza di inserire il pensiero di Marx in una rifles-sione culturale di alto livello, fornendo quindi al nascen-te movimento socialista uno strumento di grande valorenella lotta per l’egemonia culturale. Ma proprio nel farequesto Labriola critica e supera le interpretazioni positi-vistiche di Marx, e questo lo allontana dalla cultura deigruppi dirigenti del movimento operaio. Labriola nonpartecipa al congresso di Genova del 1892, congresso dalquale nasce il Partito Socialista Italiano, e verrà sempretenuto in disparte dai dirigenti del partito.Il secondo esempio è quello di Lenin. Se consideriamo

due suoi testi filosofici, Materialismo ed empiriocritici-smo, scritto nel 1908-09, e la parte relativa alla logicahegeliana dei Quaderni filosofici, scritta nel 1914-15, sco-priamo che il primo è imbevuto di positivismo ottocen-tesco, che è appunto la filosofia a cui egli aderisce pertutta la prima fase della sua vita, mentre nel secondo taleposivitismo è del tutto superato5. Ora, è ben noto che diquesti due testi è Materialismo ed empiriocriticismo adessere stato largamente recepito nel movimento comuni-sta e ad averne influenzato il senso comune. I Quadernifilosofici, nonostante rappresentino la più maturaespressione del pensiero filosofico di Lenin, sono staticonosciuti, anche nei momenti di massima diffusione eprestigio del cosiddetto “marxismo-leninismo”, soltantoda pochissimi studiosi.

5. Lenin vi afferma tra l’altro che “non si può comprendere a pieno ilCapitale di Marx, ed in particolare il suo primo capitolo, se non si è stu-diata e capita tutta la Logica di Hegel. Di conseguenza, dopo mezzosecolo nessun marxista ha capito Marx!” (Lenin, Opere scelte, vol. III,Editori Riuniti, Roma 1973, pag. 445).

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ALTRE DISTINZIONI 17

4. Altre distinzioni

Con queste osservazioni iniziali sulla distinzione fra mar-xismo e pensiero di Marx non intendiamo naturalmentedire che la storia del marxismo sia un errore durato unsecolo o più. Il marxismo storicamente esistito ha pro-dotto molto ciarpame ideologico e dogmatico, ma anchemolte analisi interessanti e creative. La nostra intenzionenon è qui fare un bilancio del marxismo, ma solo preci-sare che marxismo e pensiero di Marx sono due cosediverse, anche se naturalmente interconnesse, e che,scrivendo “la decrescita ha bisogno di Marx”, intendeva-mo sottolineare che è proprio nel pensiero di Marx che sipossono ritrovare alcuni elementi concettuali decisivi peruna convincente fondazione teorica della decrescita. Ilpasso successivo in questa analisi consiste nel rendersiconto che lo stesso pensiero di Marx presenta una gran-de complessità, anche solo riferendosi al Marx maturo.In Marx coesistono diverse teorie, che riguardano ogget-ti diversi e utilizzano metodologie diverse. Per comincia-re a fissare le idee, e fare un po’ di chiarezza, convienedistinguere tre teorie diverse presenti nel Marx maturo:

a. Il materialismo storico. È questa una teoria che spie-ga come si generano i fatti storici. Il suo oggetto è quindil’intera storia umana, e la sua metodologia si basa sull’in-terazione fra alcuni assunti teorici generali e la ricercaempirica sulle concrete vicende storiche delle diversesocietà umane. Gli assunti teorici del materialismo storicoconsistono essenzialmente nel rimandare alla sfera dellaproduzione come sfera “in ultima istanza determinante”dell’accadere storico, e nel concettualizzare tale sfera attra-verso la nozione di “modo di produzione” che deriva dal-l’articolazione di “forze produttive” e “rapporti di produ-zione”. Questi assunti teorici generali non dicono quale siala specifica articolazione di forze produttive e rapporti di

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produzione in ogni società determinata, né come si realiz-zi caso per caso la “determinazione in ultima istanza” deivari ambiti sociali da parte della sfera della produzionemateriale. Si tratta di questioni che possono essere affron-tate solo in collegamento con la ricerca storica empirica,verso la quale la metodologia del materialismo storico pre-senta dunque una ampia apertura.

b. La teoria del modo di produzione capitalistico. Sitratta di una teoria chiaramente diversa dalla preceden-te, sia nel suo oggetto sia nella sua metodologia. La diver-sità dell’oggetto è tale sotto due aspetti: in primo luogo lateoria parla di una formazione sociale storicamentedeterminata e non dell’intera storia umana. In secondoluogo, e soprattutto, essa parla della struttura logica dellaformazione sociale stessa, che è ciò appunto che indi-chiamo come “modo di produzione”, e non della sua sto-ricità empirica. Il modo di produzione che la teoria con-cettualizza è cioè la logica fondamentale della societàcapitalistica, ma non coincide con una concreta fase sto-rica di un paese capitalista, per esempio con l’Inghilterradel secolo XIX o gli Stati Uniti del secolo XX. La diversità della metodologia è data dalla deduzione

dialettica delle forme globali del modo di produzionecapitalistico, deduzione dialettica che è ovviamente cosaben diversa dalla ricerca storica empirica che è propriadel metodo del materialismo storico6.

c. La teoria della rivoluzione comunista. Si tratta diuna teoria di tipo sociologico e politologico, che cerca diindividuare le forze sociali e i meccanismi politici suiquali basare una forza politica rivolta al superamentorivoluzionario della società capitalistica. La teoria mar-

6. In buona parte del Capitale Marx si dedica a ricostruzioni di tipo sto-rico ed empirico, ma è ben noto agli studiosi che si tratta di esemplifi-cazioni dei processi logici che egli individua nel modo di produzionecapitalistico, in modo analogo alle note esemplificative che Hegelaggiunge nella Scienza della Logica.

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ALTRE DISTINZIONI 19

xiana della rivoluzione indica nelle classi sfruttate all’in-terno del modo di produzione capitalistico il soggettosociale in grado di abbattere questo modo di produzionee di instaurarne un altro.

Queste tre teorie si pongono su piani diversi e sono irri-ducibili l’una all’altra. Se non si coglie questo puntoappaiono, nell’esame dei testi di Marx, problemi e con-traddizioni che in realtà non esistono. Facciamo unesempio. Nel Manifesto Marx ed Engels affermano conforza la tesi dell’immiserimento crescente del proletaria-to, presentato come dato di fatto su cui basare la pro-spettiva rivoluzionaria. Nel XV capitolo del I libro delCapitale Marx presenta invece la possibilità teorica chelo sviluppo capitalistico porti ad un aumento del livello divita degli operai. Al capitalista infatti interessa che dimi-nuisca il valore della forza-lavoro, ma è logicamente pos-sibile, in presenza di un generale aumento della produt-tività, che la diminuzione del valore della forza-lavoro,quindi del valore delle merci necessarie alla vita del pro-letario, coesista con una maggiore estensione dei valorid’uso incorporati nel minore valore di scambio dei beni-salario. C’è una contraddizione fra queste due posizionidi Marx? Ha forse egli cambiato idea, nei circa vent’anniche passano dal Manifesto alla prima edizione delCapitale? La risposta è che le due tesi sono su due pianidiversi e appartengono a due teorie diverse. Nel CapitaleMarx sta indagando la struttura astratta del modo di pro-duzione capitalistico e ne presenta le varie possibilitàlogiche, rimanendo storicamente indeterminato quale diesse si realizzi poi nella storia concreta. Nel ManifestoMarx ed Engles determinano forme e modi della rivolu-zione proletaria sulla base della fase storica in cui si tro-vano. Abbiamo quindi da una parte una analisi teoricadelle varie possibilità implicite nel concetto di “modo diproduzione capitalistico” (siamo cioè sul piano teoricoche nell’elenco visto sopra corrisponde al punto b), dal-

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MARX E LA DECRESCITA20

l’altra l’analisi di una fase storica e delle possibilità rivo-luzionarie in essa implicite (siamo cioè sul piano teoricoindicato al punto c).

5. Quale filosofia di Marx?

Di fronte alla presenza di queste tre diverse teorie, sorgespontanea la domanda di quale sia il tessuto connettivoche le collega, lo sfondo teorico generale o il contestocategoriale che le accomuna. In una parola, la constata-zione dell’esistenza di (almeno) tre teorie diverse in Marxci porta alla questione di quale sia la “filosofia di Marx”.Anticipiamo la risposta: Marx non ha mai chiarito fino infondo questo problema, e una filosofia di Marx in sostan-za non c’è. In una fase della sua vita, quella dei primi anniQuaranta, fra l’abbandono dell’hegelismo e l’elaborazio-ne del materialismo storico, Marx aderisce in effettiesplicitamente ad una filosofia, cioè al materialismo filo-sofico di Ludwig Feuerbach. Ma questa filosofia non puòrappresentare la filosofia di collegamento delle teorie delMarx maturo, perché la prima di tali teorie che sopraabbiamo ricordato, cioè il materialismo storico, nasce,fra l’altro, proprio come critica e superamento del mate-rialismo filosofico di Feuerbach, e questo non per acci-dente, ma perché vi è effettiva contraddizione fra il mate-rialismo feuerbachiano e il materialismo storico, come èindicato in forma pregnante nelle celebri Tesi suFeuerbach. Dopo aver abbandonato il materialismo diFeuerbach Marx non aderisce esplicitamente ad una spe-cifica filosofia, e rispetto a questo problema si trovano,nell’insieme dei suoi scritti, indicazioni contraddittorie enon risolutive. Marx in alcune lettere dichiara la suaintenzione di scrivere un’opera di filosofia basata suHegel, e in vari passi ribadisce la sua stima per il grandefilosofo idealista, criticando chi lo tratta come un “canemorto”. In altri momenti sembra assumere come fonda-

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QUALE FILOSOFIA DI MARX? 21

mento filosofico della sua opera il materialismo storico,che in questo modo si trasforma da teoria della genesi deifatti storici in una metafisica della storia. Infine, in altrimomenti sembra dire che la propria filosofia è implicitanell’opera scientifica di analisi storica ed economica cheegli andava svolgendo.Nessuna di queste indicazioni ci permette di risolvere il

problema della “filosofia di Marx”. Esaminiamole. Per quanto riguarda la prima indicazione, l’opera filo-

sofica di Marx basata su Hegel non è stata scritta, e nonne possiamo ovviamente discutere. I passi nei quali Marxcerca di precisare valore e limiti della dialettica hegelianasono troppo scarni per poter essere considerati l’esplici-tazione della “filosofia di Marx”. Si può certo sostenereche nella sua indagine scientifica del modo di produzionecapitalistico Marx utilizza in modo determinante alcunielementi dell’apparato categoriale hegeliano. È questauna tesi sostenuta di recente, in modo molto convincen-te, da vari autori7. Ma è chiaro che utilizzare un appara-to categoriale determinato (in questo caso, la logica dia-lettica hegeliana) è cosa diversa dallo sviluppare una pro-pria teorizzazione filosofica. Marx usa la dialettica hege-liana ma non teorizza in modo esplicito e compiuto taleuso. Se per “filosofia” in senso proprio intendiamo lo svi-luppo teorico della categorie implicite in una prassi, tuttociò implica che non possiamo parlare in senso proprio diuna “filosofia di Marx”.Per quanto riguarda la seconda indicazione, la trasfor-

mazione del materialismo storico da metodologia di cono-scenza storica in filosofia della storia, anch’essa appare in

7. Per esempio R. Finelli, Marxismo della “contraddizione” e marxi-smo dell’ “astrazione”, in D.Sacchetto, M.Tomba (cura di), La lungaaccumulazione originaria, Ombre corte, Verona 2008, pagg. 74-88, esoprattutto R.Fineschi, Marx e Hegel, Carocci, Roma 2006. Lavoricome questi, basati sulla nuova edizione critica della opere di Marx,rappresentano a nostro avviso il definitivo superamento delle discus-sioni novecentesche fra marxisti “hegeliani” e marxisti “anti-hegeliani”,e permettono di porre finalmente su basi adeguate il problema del rap-porto Marx-Hegel.

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MARX E LA DECRESCITA22

Marx solo per brevi accenni, ma rappresenta un aspettoimportante del marxismo novecentesco. Si tratta di unafilosofia della storia sostanzialmente dogmatica perchébasata sull’assunzione non argomentata razionalmente diun Soggetto-della-Storia (il proletariato) e di una lineagenerale di evoluzione della storia stessa. Prendiamo infine in considerazione la terza risposta

possibile, quella secondo la quale la filosofia di Marx èimplicita nella sua attività scientifica. Questa tesi puòessere declinata in vari modi, a seconda del significatoche si dà al termine “scienza”. Si può in primo luogointerpretare la scienza di Marx come modellata sullescienze moderne della natura, e in quest’ottica il contri-buto di Marx alla filosofia viene spiegato come la critica eil superamento di ogni forma di filosofia speculativa, cheviene appunto dissolta nella scienza. Questa tesi è unasemplice variante di quelle posizioni scientiste che abbia-mo sopra qualificato come dogmatiche.Si può in secondo luogo interpretare la scienza di Marx

come una “scienza speculativa”, all’interno cioè dell’orbi-ta di concetti tipici della tradizione filosofica culminatain Hegel. In tal caso la tesi che la filosofia di Marx è impli-cita nella sua attività scientifica equivale alla posizionesopra discussa, cioè alla tesi che Marx nella sua operascientifica utilizza in modo determinante l’apparato logi-co hegeliano senza darne una trattazione sistematica. Purtrovando convincente questa interpretazione, abbiamogià notato come essa non risolva il problema della “filo-sofia di Marx”.La discussione fin qui svolta ci porta, come avevamo

anticipato, alla conclusione che una “filosofia di Marx”semplicemente non c’è. Non c’è in Marx una teorizzazio-ne filosofica adeguatamente sviluppata che elabori losfondo categoriale complessivo delle diverse teorie scien-tifiche da Marx elaborate, e questa assenza non è statacolmata, almeno non in modo convincente, dal marxi-smo successivo. Possiamo concludere che, in sostanza,

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QUALE MARX PER IL PRESENTE? 23

Marx è stato un ottimo scienziato sociale e un cattivo filo-sofo. Se ci è permessa una piccola digressione, si puònotare che queste osservazioni forniscono una soluzionepiuttosto semplice al problema del rapporto fra scienza efilosofia in Marx, sul quale tanto ha dibattuto il marxi-smo novecentesco. Basta infatti distinguere fra due pro-blemi diversi: da una parte il tema generale del rapportofra scienza e filosofia, dall’altra quello del rapporto frascienza e filosofia in Marx. La filosofia, intesa comeriflessione razionale sul senso dell’operare umano, haovviamente, per definizione, una carattere logicamenteprioritario rispetto alle varie dimensioni dello stesso ope-rare umano, e quindi anche rispetto alla scienza. Il chenon vuol però dire che qualsiasi elaborazione filosoficasia logicamente prioritaria rispetto a qualsiasi elabora-zione scientifica. In particolare, nel caso di Marx, succe-de quello che succede a tanti altri scienziati di valore: è laloro elaborazione scientifica che precede e illumina laloro filosofia per lo più implicita. Si tratta, come diceva-mo, di una soluzione molto semplice, che è possibile peròsolo oggi, dopo la dissoluzione della tradizione marxista.Infatti, all’interno di questa tradizione, tale soluzione erainaccettabile e impensabile, dato che Marx vi figuravacome creatore di una teoria in cui avevano trovato solu-zione tutti i precedenti problemi storico-filosofici, e chedoveva soltanto venire correttamente applicata ai proble-mi nuovi per farne emergere la soluzione8.

6. Quale Marx per il presente?

Riprendendo il filo del nostro discorso, possiamo a que-sto punto porci una delle domande fondamentali di que-sto saggio: le teorie di Marx che abbiamo sopra distinto

8. Possiamo aggiungere, molto brevemente perché non è questo adessoil nostro tema, che un nuovo movimento culturale e politico anticapita-listico avrà senz’altro bisogno, fra tante altre cose, anche di una seria erigorosa fondazione filosofica. Ma non la dovrà cercare in Marx.

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possono essere utilizzate oggi per un pensiero ed un’azio-ne anticapitalistiche? Anticipiamo la risposta: a nostroavviso solo la teoria del modo di produzione capitalisticoha oggi una tale valenza, non il materialismo storico né lateoria della rivoluzione. Vediamo perché. Per quanto riguarda il materialismo storico, quanto

abbiamo già detto ci sembra sufficiente. Inteso come teo-ria della genesi dei fatti storici, il materialismo storicorappresenta una interessante metodologia applicabileall’intera storia umana, e non ha dunque contenuti speci-fici da offrire all’analisi del presente. Inteso come filoso-fia della storia esso diventa una metafisica priva di fon-damento.Esaminiamo allora la teoria marxiana della rivoluzione

comunista, della quale finora poco abbiamo detto. Le tesifondamentali della teoria rivoluzionaria di Marx e delmarxismo (che in questo non si discosta molto dal mae-stro) possono probabilmente essere sintetizzate nelmodo seguente: il modo di produzione capitalistico,come tutti i modi di produzione, presenta contraddizioniinterne che determinano la possibilità di un suo supera-mento. Esso avverrà attraverso una classe sociale costi-tuita in modo tale da essere indirizzata a promuovere egestire il passaggio ad un superiore modo di produzione.Tale classe sociale (la classe operaia, o il proletariato, oforse il “lavoratore collettivo”: queste distinzioni, impor-tanti da molti punti di vista, non lo sono per il nostro dis-corso attuale) è intrinsecamente rivoluzionaria, e il com-pito degli anticapitalisti è di fornire a questo intrinsecopotenziale rivoluzionario gli strumenti (intellettuali epolitici) per realizzarsi concretamente. Da molto tempo riteniamo che queste tesi non abbiano

nessun fondamento. Non esiste nessun argomento, néempirico né teorico, a loro favore. La classe operaia, o piùin generale il proletariato, non ha questa potenzialitàrivoluzionaria che le viene attribuita. È questa la situa-zione di tutte le classi sfruttate (nello specifico senso

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marxiano, cioè come erogatori del pluslavoro da cui deri-va il plusprodotto appropriato dalle classi dominanti) neiprincipali modi di produzione che possiamo esaminare.Le classi sfruttate sono certo capaci di lotte e ribellioni,ma non hanno mai, proprio mai, rivoluzionato il modo diproduzione, cioè indotto e gestito il passaggio da unmodo di produzione all’altro. In Europa i contadini siribellano infinite volte contro lo sfruttamento feudale,ma queste ribellioni non comportano mai, di per sé, ilsuperamento del feudalesimo. Allo stesso modo i conta-dini cinesi si ribellano contro lo sfruttamento cui sonosottoposti all’interno del modo di produzione asiatico, equeste rivolte, in particolari momenti di crisi, possonopersino vincere sul piano politico, nel senso che manda-no al potere i ribelli. Ma non cambia il modo di produ-zione, il capo dei ribelli contadini diventa il nuovo impe-ratore, e la società cinese, superata la crisi, si riassesta suisuoi fondamenti millenari. Nelle rivolte di schiavi inSicilia, gli schiavi ribelli catturano i loro padroni e nefanno i propri schiavi. Si ribellano non per abolire laschiavitù, ma per diventare essi stessi schiavisti9.Nei tempi moderni la classe operaia, o più in generale

il proletariato, non ha fatto nulla di diverso. La classeoperaia ha lottato contro lo sfruttamento, è arrivata aimporre cambiamenti politici, ma non ha mai, propriomai, indotto un cambiamento del modo di produzione10. Questi fatti, difficili da eludere, hanno secondo noi un

fondamento teorico: le classi sfruttate, proprio perchésfruttate, sono interne al funzionamento del modo diproduzione che organizza lo sfruttamento, e non sono

9. Sulle rivolte degli schiavi si veda Diodoro Siculo, Biblioteca storica,Sellerio, Palermo, libro 34, par. I, II. È probabile che Spartaco sia statouno dei pochissimi schiavi ribelli che rifiutavano davvero la schiavitùcome istituzione. Sulla sua figura si veda M.Bontempelli, E. Bruni, Ilsenso della storia antica, vol. 2, Trevisini, Milano s.d., pagg. 247-259.10. Se si interpreta come nuovo modo di produzione quello instauratoin Russia tra il 1918 e il 1933, occorre osservare che esso è il risultatonon dell’azione della classe operaia industriale ma al contrario della suascomparsa durante la guerra civile.

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quindi minimamente in grado di avviare una dinamicasuperatrice del modo di produzione stesso. Il fatto diessere sfruttate implica infatti un ruolo preciso all’inter-no di una società strutturata su un dato modo di produ-zione, e questo dà alle classi sfruttate un ruolo sociale,una rete di relazioni, una coscienza di sé, che le rendecapaci di azione sociale e anche politica. Ma ruolo socia-le, relazioni, coscienza di sé sono, appunto, legate al lororuolo all’interno di quel modo di produzione, e rendonoquindi impossibile l’avviare, in quanto classe, una dina-mica storica di superamento del modo di produzione. Lastessa situazione oggettiva che dà alla classe sfruttata lapossibilità di lottare contro il proprio sfruttamento rendead essa impossibile lottare per il superamento del mododi produzione nel quale essa è sfruttata.L’esempio principale di un mutamento rivoluzionario

del modo di produzione indotto e gestito da una classesociale, quello che Marx e i marxisti hanno sempre pre-sente, è rappresentato ovviamente dalla rivoluzione bor-ghese che abbatte il feudalesimo e instaura il modo diproduzione capitalistico. Anche questo esempio confer-ma quanto stiamo dicendo. Infatti, nel modo di produ-zione feudale la classe sfruttata, nel senso marxiano, nonè rappresentata dalla borghesia, ma, ovviamente, daicontadini. La borghesia nel feudalesimo è una classe inqualche modo “interstiziale”, che non partecipa, cioè, allaproduzione del plusprodotto, ma organizza i processi delsuo scambio, lucrando su di essi. È proprio per questosuo carattere in qualche modo “esterno” al modo di pro-duzione feudale che essa riesce a creare, negli interstizidella società feudale, i primi nuclei del nuovo modo diproduzione, che rappresentano la base oggettiva di unruolo sociale, una rete di relazioni, una coscienza di sé,alternative al feudalesimo. Lo sviluppo di tutti questi ele-menti darà alla classe borghese la capacità di abbattere lasocietà feudale.Di fronte a queste considerazioni, cosa hanno da

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opporre i teorici delle potenzialità rivoluzionarie dellaclasse operaia? Sul piano empirico, nulla. Sul piano teo-rico, le analisi di Marx. Ma ciò che queste ultime real-mente dimostrano è soltanto il carattere intimamentecontraddittorio del modo di produzione capitalistico.Quello di Marx è insomma, secondo noi, un tipico esem-pio di wishful thinking. Egli ha individuato correttamen-te le contraddizioni del modo di produzione capitalistico,e a questa analisi scientifica ha sovraimposto la narrazio-ne mitologica di una classe operaia che liberando se stes-sa libera l’intera umanità. In ogni caso, di fronte all’ingombrante testimonianza

dei fatti, l’onere della prova spetta al difensore della tesidel carattere rivoluzionario della classe operaia: chi, difronte all’evidenza del fatto che la classe operaia non hafinora fatto quella famosa rivoluzione comunista, sostie-ne però le sue potenzialità in tal senso, ha l’obbligo teori-co di fornirci gli argomenti razionali a favore di questatesi.

7. Accumulazione, decrescita, anticapitalismo

Dopo aver spiegato perché riteniamo che il materialismostorico e la teoria della rivoluzione di Marx non possanorappresentare la basi teoriche per l’anticapitalismo con-temporaneo, esaminiamo ora la teoria marxiana delmodo di produzione capitalistico. Cercheremo di mostra-re come in essa si possano trovare tali basi teoriche, ecome appaia naturale il collegamento con la teoria delladecrescita.Il modo di produzione capitalistico è caratterizzato dal-

l’appropriazione del plusprodotto nella forma specificadel plusvalore, attraverso la compravendita e l’uso diquella particolare merce che è la forza-lavoro. La caratte-ristica fondamentale che qui ci preme sottolineare è il

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fatto che tale appropriazione si esprime necessariamentenella forma della riproduzione allargata. Si ha riprodu-zione allargata del capitale quando, dopo un ciclo forma-to dall’acquisto di forza-lavoro, dal suo uso produttivo divalore e dalla realizzazione di tale valore sul mercato,viene iniziato un nuovo ciclo con un capitale maggiore diquello del primo ciclo, utilizzando parte del plusvaloreprodotto e realizzato nel primo ciclo. Per usare un lin-guaggio non marxiano, si ha riproduzione allargataquando una parte dei profitti vengono reinvestiti, in unmodo o nell’altro, nel processo produttivo. Marx studiadapprima (nel capitolo 21 del primo libro del Capitale,dedicato appunto alla “riproduzione semplice”) il caso diun capitalismo in cui non vi sia riproduzione allargata,per mostrare che si tratta di un modello astratto, noncorrispondente alla realtà, utile solo a porre in evidenzaun punto particolare, cioè il fatto che il plusvalore è sem-pre lavoro non pagato. La realtà dell’accumulazione capi-talistica è descritta nel capitolo successivo, dedicato alla“trasformazione del pluvalore in capitale”, nel qualeMarx prima osserva che “adoperare plusvalore comecapitale ossia ritrasformare plusvalore in capitalesignifica accumulazione del capitale”11 e poi che “con-siderata in concreto, l’accumulazione si risolve in ripro-duzione del capitale su scala progressiva”12, cioè appun-to in riproduzione allargata. La riproduzione allargata è inevitabile, all’interno di

un’organizzazione capitalistica, perché è diretta conse-guenza della concorrenza: “la concorrenza impone adogni capitalista individuale le leggi immanenti del mododi produzione capitalistico come leggi coercitive esterne.Lo costringe ad espandere continuamente il suo capitaleper mantenerlo, ed egli lo può espandere soltanto permezzo dell’accumulazione progressiva”13. La riproduzio-

11. K.Marx, Il Capitale, Libro I, Editori Riuniti, Roma 1977, pag. 635 (ilcorsivo è nel testo).12. K.Marx, cit., pag. 637.

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ne allargata, o accumulazione progressiva, è dunquestrettamente legata agli aspetti fondamentali del modo diproduzione capitalistico: “tutte le circostanze che deter-minano la massa del plusvalore cooperano anche a deter-minare la grandezza dell’accumulazione”14, e inoltre“insieme con l’accumulazione del capitale si sviluppaquindi il modo di produzione specificamente capitalisti-co, e, insieme al modo specificamente capitalistico, l’ac-cumulazione del capitale”15 . Nell’analisi marxiana il capitalismo è quindi un rap-

porto sociale nel quale l’allargamento continuo della pro-duzione, la sua mancanza di ogni limite, appare elemen-to costitutivo e fondamentale. Questo fatto rappresentala base di una spiegazione convincente dei problemi eco-logici generati dalla società attuale. È infatti del tuttochiaro che un sistema economico votato all’espansionesenza limiti non è compatibile con la finitezza dell’am-biente naturale. Ma questo tema non si esaurisce qui.Infatti, la tendenza all’accumulazione illimitata nondevasta solo la natura, ma la stessa società umana. Essaconduce infatti, alla fine, all’estensione del rapportosociale capitalistico a tutti gli ambiti della società, anchea quelli la cui logica di funzionamento è del tutto incom-patibile con esso (la scuola, per esempio). Fino a qualchedecennio or sono nei paesi capitalistici la subordinazionealla logica del rapporto sociale capitalistico dei vari ambi-ti sociali esterni all’impresa capitalistica rappresentavaun loro vincolo esterno, mentre al suo interno ogni ambi-to non aziendale continuava a funzionare secondo la sualogica specifica, diversa da quella del profitto. La novitàche è intervenuta negli ultimi decenni sta nel fatto chetutte le sfere della società sono sussunte alla logica del-l’accumulazione capitalistica, per cui la scuola è diventa-ta un’azienda, gli ospedali sono diventate aziende, ed è

13. K.Marx, cit., pag. 648 (corsivo nel testo).14. K.Marx, cit., pag. 655.15. K.Marx, cit., pag. 684.

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diventato un’azienda anche lo Stato, che non è più“Repubblica italiana fondata sul lavoro”, ma appunto“azienda-Italia”. Abbiamo introdotto tempo addietro l’e-spressione “capitalismo assoluto” per designare questainedita configurazione del rapporto tra formazione socia-le e rapporto di produzione, caratterizzata da un assorbi-mento quasi totale della prima nel secondo16. Arrivato il capitalismo nella fase del capitalismo asso-

luto, lo sviluppo capitalistico devasta la natura, la societàe la psiche17, e genera quindi forti resistenze sulle qualiradicare una forza anticapitalistica. Una delle forme chetali resistenze assumono oggi in Italia è, come dicevamosopra, quella delle proteste popolari contro le grandiopere che devastano il territorio. Ma si tratta solo di unesempio. Le resistenze contro lo sviluppo capitalisticopossono assumere forme molto diverse, e il compito diuna forza politica anticapitalistica sarebbe quello di col-legare e coordinare tali lotte offrendo ad esse una proget-to complessivo. Su questo punto sono necessarie alcuneprecisazioni. In primo luogo occorre distinguere, come sempre si è

fatto nella tradizione marxista, fra potenziale oggettivodelle lotte e coscienza soggettiva dei protagonisti dellelotte stesse. Nei vari tipi di resistenze contro lo sviluppocapitalistico gli strati sociali coinvolti possono non averecoscienza della natura di queste lotte, possono aderirealla lotta per motivi puramente “locali”, possono insom-

16. Si veda M.Badiale, M.Bontempelli, Il mistero della sinistra,Graphos, Genova 2005, pagg 14-15, e Id., La sinistra rivelata, Massari,Bolsena 2007, pagg. 169-174. Si veda anche l’articolo M. Bontempelli,Capitalismo, sussunzione e nuove forme della personalità, reperibilein linea, per esempio all’indirizzo:http://www.rivistaindipendenza.org/Teoria%20nazionalitaria/Bontempelli%20-%20sussunzione.htm17. Si veda per esempio M.Benasayag, G. Schmitt, L’epoca delle passio-ni tristi, Feltrinelli, Milano 2009. Molti autori hanno riflettuto sulcarattere psicopatogeno dell’attuale organizzazione economico-sociale,ma ci pare manchi un collegamento fra queste riflessioni sparse in varicampi del sapere e una proposta politico-culturale anticapitalistica.

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ma esprimere quella che è stata chiamata “sindromeNIMBY”18. Resta il fatto che tali lotte hanno un contenutooggettivo anticapitalistico, per i motivi che abbiamo spie-gato: mettono in questione l’accumulazione di plusvalo-re, e quindi la sostanza stessa del capitalismo. In secondo luogo, per poter costruire su queste basi

una forza politica anticapitalistica occorre avere ben pre-senti le novità della situazione, che possono essere com-pendiate in due punti:a. Le forze anticapitalistiche nella tradizione marxista

avevano ben chiara la necessità di superare lo sviluppocapitalistico, ma rimandavano tale necessità al momentoin cui lo sviluppo delle forze produttive avesse portato lecontraddizioni capitalistiche al punto di esplosione, percui le scelte politiche concrete delle forze anticapitalisti-che non contraddicevano lo sviluppo stesso ma anzi ten-devano a favorirlo, impostando la lotta politica piuttostosul piano della redistribuzione del reddito. Al contrario leresistenze alle quali facciamo riferimento tendono fin dalloro primo manifestarsi a contestare immediatamente losviluppo capitalistico, ed è questa l’unica prospettivasulla quale abbia senso basare oggi una forza politicaanticapitalistica. Le lotte per la redistribuzione dei pro-venti dello sviluppo capitalistico oggi sono perse in par-tenza (torneremo più avanti su questo punto). b. Le lotte anticapitalistiche del passato erano stretta-

mente collegate ad una classe sociale. Nelle resistenzeanticapitalistiche attuali il soggetto antagonista non è piùidentificabile con una classe sociale: non si tratta del pro-letariato né di un suo sostituto. Il soggetto antagonistanon è cioè sociologicamente precostituito dal modo diproduzione, dai rapporti sociali dati, ma si costituisce inuna prassi trasversale a diversi gruppi sociali, attraversol’emergere di bisogni umani conculcati. Per usare una

18. Not In My BackYard, “non nel mio giardino”: sigla con la quale siusa stigmatizzare i movimenti di protesta contro le opere invasive delterritorio, per suggerire il carattere puramente egoistico di questemobilitazioni.

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vecchia formula, la resistenza anticapitalista è oggi “resi-stenza umana”.

8. Sulle contraddizioni del capitalismo

Cerchiamo di chiarire ulteriormente. È noto che in fasistoriche precedenti i marxisti avevano individuato inmodi diversi la contraddizione fondamentale del capita-lismo, sulla quale fare leva per scalzarlo. Essa poteva cosìessere individuata da alcuni nella contraddizione fracapitale e lavoro, da altri nel sottoconsumo implicito nel-l’economia capitalistica, da altri ancora nella caduta ten-denziale del saggio di profitto. Per fare un po’ di ordine inqueste discussioni, conviene ricordare che quando par-liamo di “contraddizioni del capitalismo”, ci riferiamoalla sfera logica, al concetto astratto di “modo di produ-zione capitalistico”, e che, una volta individuata una con-traddizione insita nel concetto stesso di tale modo di pro-duzione, essa può manifestarsi empiricamente in varimodi, a seconda delle concrete situazioni storiche. Perimpostare una politica anticapitalistica adeguata ai tempioccorre dunque capire quale sia la forma che le contrad-dizioni capitalistiche assumono in una determinata fasestorica.Così, l’immiserimento crescente del proletariato è stata

indubbiamente la forma in cui si sono manifestate le con-traddizioni del capitalismo nella fase storica della vita diMarx ed Engels, ma tale contraddizione è sembrata supe-rata per un lungo periodo, almeno nei paesi occidentali.La contraddizione fra le capacità produttive generate dalcapitalismo e i bassi salari di gran parte della popolazio-ne, che si manifesta in definitiva come scarsità di doman-da, può infatti rimanere latente per intere fasi storiche,come quella del secondo dopoguerra, nella quale la crea-zione di nuovi prodotti indirizzati alle masse, combinatacon la politica dei redditi di stampo “socialdemocratico”,