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AD 17 Lo straniero

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Lo straniero

Lo straniero

Asterios

Alfred Schütz

Traduzione di Leo Budinich

Un saggio di psicologia sociale

seguito da

Il reduce

Prima edizione nella collana AD: gennaio 2013Titolo originale:

The StrangerThe Homecomer

Asterios Editore è un marchio editoriale di©Servizi Editoriali srl

Via Donizetti, 3/a - 34133 Triestetel: 0403403342 - fax: 0406702007

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con qualsiasi mezzo sono riservati.

ISBN: 978-8895146-74-4

ALFRED SCHÜTZ

Gli articoli “The Stranger: An Essay in Social Psychology” e “The Homeco-mer” sono comparsi per la prima volta nell’American Journal of Sociology ri-spettivamente nei volumi 49, n.6 del maggio 1944, pp. 499-507 e 50, n.5 delmarzo 1945, pp. 363-376.

Sono poi stati ripresi, assieme agli altri articoli e scritti di Schütz riguardantila teoria sociale, all’interno del secondo dei tre volumi di Collected Papersdati alle stampe dall’editore olandese Martinus Nijhoff fra il 1962 e il 1966 aL’Aia.

Una traduzione italiana di una scelta dei testi presenti nei primi due volumidei Collected Papers, fra cui anche Lo straniero e Il reduce, è stata curata daAlberto Izzo per i tipi dell’Unione Tipografica-Editrice Torinese, ed è uscitanel 1979 all’interno della Biblioteca moderna di sociologia col titolo di SaggiSociologici.

Indice

Lo straniero, 11 Il reduce, 35Notizie, 57

Nella traduzione dei due saggi che seguono, alcune espressioni ricor-renti del lessico utilizzato da Schütz sono state rese sempre alla stessamaniera; si tratta di:“to approach” e derivati, reso come “avvicinarsi” e derivati “folkways” come “modi di vivere comuni”“home” in quanto sostantivo come “casa” nel senso più emozionale deltermine; “home” in quanto aggettivo come “natio”“homecomer” come “reduce” nel senso più ampio del termine“in-group” e “out-group” se da soli, generalmente come “gruppo”; maquando associati a “members of the” come “membri interni/esterni algruppo”“partner” come “compartecipante”“pattern” come “modello”“relevance” e “relevant” come “pertinenza” e “pertinente”“unquestioned” e “unquestionable” come “indiscusso” e “indiscutibile”

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Lo straniero: un saggio di psicologia sociale

Il presente articolo intende studiare secondo i termini diuna teoria generale dell’interpretazione la situazione ti-pica in cui si trova uno straniero nel suo tentativo di in-terpretare il modello culturale di un gruppo sociale a cuiegli si avvicina e di orientarsi al suo interno. Per i nostripresenti propositi il termine “straniero” indicherà un in-dividuo adulto del nostro tempo e della nostra civiltà chetenti di venir permanentemente accettato o almeno tolle-rato dal gruppo a cui si avvicina. L’esempio preminentedella situazione sociale presa in esame è quello dell’immi-grato, e le analisi che seguono, per motivi di comodità,sono elaborate con a mente questo esempio. Ma la lorovalidità non è affatto limitata a questo caso specifico. Chifa richiesta di appartenenza ad un circolo esclusivo, il fu-turo sposo che vuole essere ammesso nella famiglia dellafidanzata, il figlio dell’agricoltore che entra al college, ilcittadino che si installa in un ambiente rurale, la reclutache si arruola nell’esercito, la famiglia di un lavoratore in-gaggiato per lo sforzo bellico che si trasferisce in una cittàin espansione – sono tutti stranieri secondo la definizioneappena fornita, sebbene in questi casi la tipica “crisi” chel’immigrato affronta possa assumere forme più lievi o ad-dirittura essere del tutto assente. Dalla presente indagine,

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tuttavia, sono intenzionalmente esclusi certi casi, la cuiinclusione richiederebbe di porre alcune restrizioni allenostre affermazioni: si tratta di (a) il visitatore o l’ospiteche intenda stabilire un contatto meramente transitoriocon il gruppo; (b) i bambini o i primitivi; e (c) i rapportifra individui e gruppi appartenenti a differenti livelli di ci-viltà, come nel caso dell’indiano Huron che venne con-dotto in Europa – un modello caro ad alcuni moralisti deldiciottesimo secolo. Inoltre, non è intento di quest’articolooccuparsi dei processi di assimilazione e adattamento so-ciale, di cui tratta una letteratura abbondante e, per lamaggior parte, eccellente,1 ma piuttosto della situazionedi avvicinamento che precede ogni possibile adattamentosociale e ne include i prerequisiti.In quanto è un utile punto di partenza, indagheremocome il modello culturale della vita di gruppo si presential senso comune di un uomo che vive la sua vita quoti-diana fra i propri simili all’interno del gruppo. Seguendola terminologia consueta, usiamo il termine “modello cul-turale della vita di gruppo” per indicare tutte le peculiarivalutazioni, istituzioni e sistemi di orientamento e con-dotta (come i modi di vivere comuni, le consuetudini, leleggi, le abitudini, i costumi, l’etichetta, le mode) che, se-condo l’opinione comune dei sociologi del nostro tempo,caratterizzano – se non addirittura costituiscono – ognigruppo sociale in un dato momento della sua storia. Que-

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1. Invece di citare illustri contributi personali di autori americani comeW. G. Sumner, W. I. Thomas, Florian Znaniecki, R. E. Park, H. A. Mil-ler, E. V. Stonequist, E. S. Bogardus e Kimball Young, e di autori tede-schi, in particolare Georg Simmel e Robert Michels, rimandiamo allapreziosa monografia di Margaret Mary Wood, The Stranger: A Studyin Social Relationship (New York, 1934), e alla bibliografia citata inquella sede.

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sto modello culturale, come ogni altro fenomeno delmondo sociale, ha un aspetto differente per il sociologoe per l’uomo che agisce e pensa al suo interno.2 Il socio-logo (come sociologo, non in quanto uomo fra i propri si-mili quale egli rimane nella sua vita privata) è ildisinteressato osservatore scientifico del mondo sociale.Egli è disinteressato in quanto si trattiene intenzional-mente dal partecipare alla rete di progetti, relazioni le-gate a mezzi e fini, moventi e possibilità, speranze etimori che l’attore calato all’interno del mondo socialeutilizza per interpretare le sue esperienze di quest’ultimo;come scienziato egli tenta di osservare, descrivere e clas-sificare il mondo sociale quanto più chiaramente possi-bile secondo termini ben ordinati, in accordo con gliideali scientifici di coerenza, non-contraddittorietà e con-seguenza analitica. L’attore all’interno del mondo sociale,tuttavia, lo sperimenta primariamente come campo deisuoi atti effettivi e possibili, e solo secondariamente comeoggetto del suo pensiero. Fintanto che è interessato allaconoscenza del suo mondo sociale, egli non organizzaquesta conoscenza nei termini di un sistema scientifico,ma in termini di pertinenza per le sue azioni. Egli rag-gruppa il mondo attorno a sé (come il centro) come uncampo di dominazione, e quindi è interessato in partico-lare a quel segmento che è all’interno della sua portataeffettiva o potenziale. Fra i suoi elementi egli selezionaquelli che possono servire come mezzi o fini per il suo“uso e diletto”,3 per agevolare i suoi propositi e per sor-

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2. Questa intuizione sembra essere il più importante contributo degliscritti metodologici di Max Weber alle problematiche della scienza so-ciale. Cfr. il nostro Der sinnhafte Aufbau der socialen Welt (Vienna,1932).

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montare gli ostacoli. Il suo interesse verso questi ele-menti ha gradi differenti, e per questa ragione egli nonaspira a conoscerli tutti con la stessa profondità. Ciò cheegli vuole è una conoscenza ordinata per gradi degli ele-menti pertinenti, dove il grado conoscenza desiderata ècorrelato alla loro pertinenza. Messa altrimenti, il mondogli appare in ogni dato momento come stratificato in dif-ferenti strati di pertinenza, ognuno dei quali richiede undifferente grado di conoscenza. Per chiarire cosa sianoquesti strati di pertinenza possiamo – prendendo a pre-stito il termine dalla cartografia – parlare di “isoipse” odi “linee di livello ipsografico della pertinenza”, provandoa suggerire attraverso questa metafora che noi potremmomostrare la distribuzione degli interessi di un individuoin un dato momento, prestando attenzione alla loro in-tensità ed alla loro estensione, attraverso la connessionedi elementi di pari pertinenza ai suoi atti, proprio comeil cartografo connette fra loro punti di pari altitudine at-traverso le linee di livello al fine di riprodurre adeguata-mente la forma di una montagna. La rappresentazionegrafica di queste “linee di livello della pertinenza” non cele mostrerebbe come un singolo campo chiuso, ma piut-tosto come numerose aree sparpagliate sulla mappa,ognuna di dimensioni e forma differenti. Unendoci a Wil-liam James nel distinguere due generi di conoscenza,4

vale a dire “la conoscenza di cognizione” e “la conoscenzariguardo”, possiamo dire che, all’interno del campo co-perto dalle linee di livello della pertinenza, vi sono centridi esplicita conoscenza di ciò a cui si mira; essi sono cir-

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3. John Dewey, Logic, the Theory of Inquiry (New York, 1938), cap. IV.4. Per la distinzione fra questi due generi di conoscenza cfr. WilliamJames, Psychology (New York, 1890), I, 221-22.

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condati da un alone di conoscenza riguardo ciò di cuipare sia sufficiente essere a conoscenza; poi segue unaregione in cui ci si contenterà meramente di “riporre lapropria fiducia”; le colline contigue sono la casa delle spe-ranze ingiustificate e delle presunzioni; fra queste aree,tuttavia, si stendono zone di ignoranza completa.Non vogliamo sovraccaricare quest’immagine. Il suoproposito principale è stato quello di illustrare come laconoscenza dell’uomo che agisce e pensa all’interno delmondo della propria vita quotidiana non sia omogenea;essa è (1) incoerente, (2) solo parzialmente chiara e (3)nient’affatto libera da contraddizioni.

1. È incoerente poiché gli interessi di un individuoche determinano la pertinenza degli oggetti sele-zionati per un’ulteriore indagine non sono essistessi integrati all’interno di un sistema coerente.Sono solo parzialmente organizzati sotto di ognigenere di progetti, come i progetti di vita, quelli ri-guardanti il lavoro e il tempo libero, i progetti re-lativi a ogni ruolo sociale che si assume. Ma lagerarchia di questi progetti muta assieme alla si-tuazione ed alla crescita della personalità; gli inte-ressi vengono continuamente cambiati di posto ecomportano un’ininterrotta trasformazione dellaforma e della densità delle linee di pertinenza. Nonsolo varia la selezione di ciò che è oggetto di curio-sità, ma anche il grado di conoscenza mirata. 2. Nella sua vita quotidiana un uomo si interessasolo parzialmente – e osiamo dire eccezionalmente– alla chiarezza della sua conoscenza, cioè, ad unapiena comprensione delle relazioni che esistono

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fra gli elementi del suo mondo e dei principi gene-rali che regolano tali relazioni. È soddisfatto chesia a sua disposizione un servizio telefonico benfunzionante e, normalmente, non domanda comefunzioni nel dettaglio tale congegno e quali leggifisiche rendano possibile questo funzionamento.Compra merci in negozio, senza sapere come sianoprodotte, e paga con denaro, sebbene abbia sola-mente una vaga idea di cosa il denaro sia real-mente. Dà per scontato che il suo similecomprenderà il suo pensiero, se espresso in un lin-guaggio piano, e vi risponderà conformemente,senza meravigliarsi di come possa venir spiegataquesta miracolosa performance. Inoltre, egli nonva in cerca della verità e non ricerca la certezza.Tutto ciò che vuole sono informazioni riguardo ciòche è probabile che accada e l’intuizione delle pos-sibilità o dei rischi che la situazione presente com-porta per l’esito delle sue azioni. Il fatto chedomani la metropolitana sarà in funzione come alsolito appartiene per lui quasi allo stesso ordine diprobabilità del fatto che sorgerà il sole. Se in ra-gione di un interesse specifico egli ha bisogno dimaggiore conoscenza esplicita di un argomento,una benevola civiltà moderna gli tiene pronta unaserie di banchi informativi e di biblioteche di con-sultazione. 3. La sua conoscenza, infine, è contraddittoria.Allo stesso tempo egli può considerare parimentivalide due affermazioni che di fatto sono incom-patibili l’una con l’altra. Come padre di famiglia,cittadino, impiegato e membro della sua chiesa

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egli può avere le più differenti e meno congruentiopinioni riguardo a questioni morali, politiche oeconomiche. Tale contraddittorietà non trae ne-cessariamente origine da un errore logico. Sempli-cemente, il pensiero degli uomini spazia suargomenti collocati all’interno di livelli differentie di differente pertinenza, ed essi non sono consa-pevoli delle modifiche che dovrebbero fare nel pas-sare da un livello ad un altro. Quest’ultimo e similiproblemi dovrebbero venir esplorati da una logicadel pensiero quotidiano, postulata ma non conse-guita da tutti i grandi logici, da Leibnitz fino adHusserl e Dewey. Fino ad ora la scienza logica haavuto a che fare primariamente con la logica dellascienza.

Il sistema di conoscenza così acquisito – incoerente,contraddittorio e solo parzialmente chiaro com’è – per imembri interni al gruppo assume l’apparenza di una coe-renza, chiarezza e non-contraddittorietà sufficienti peroffrire a ciascuno una ragionevole possibilità di compren-dere e venir compreso. Ogni membro nato o educato al-l’interno del gruppo accetta lo schema preconfezionatostandardizzato del modello culturale che gli viene tra-mandato dagli antenati, dagli insegnanti e dalle autoritàcome una guida indiscussa e indiscutibile in tutte le si-tuazioni che possono aver normalmente luogo all’internodel mondo sociale. La conoscenza correlata al modelloculturale porta in sé stessa la prova della propria validità– o, piuttosto, essa viene data per scontata in assenza diprove contrarie. È una conoscenza di ricette affidabili perinterpretare il mondo e occuparsi di cose e uomini al fine

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di ottenere in ogni situazione i migliori risultati con unosforzo minimo, evitando le conseguenze indesiderabili.Per un verso, la ricetta funziona come un precetto per leazioni e serve così da schema espressivo: chiunque vogliaottenere un certo risultato deve procedere come indicatodalla ricetta prevista per tale proposito. Per l’altro, la ri-cetta serve da schema interpretativo: chiunque procedacome indicato da una ricetta specifica è ritenuto stare cer-cando di ottenere il risultato correlato. Pertanto la fun-zione del modello culturale è quella di eliminare ledomande problematiche attraverso l’offerta di direttived’uso preconfezionate, di rimpiazzare verità difficili daconseguire con confortevoli truismi e di sostituire l’auto-esplicativo al discutibile.Questo “pensare come al solito”, come possiamo chia-marlo, corrisponde all’idea di Max Scheler della “conce-zione relativamente naturale del mondo” (relativnatürliche Weltanschauung);5 esso include le premesseche “vengono da sé” pertinenti per un particolare grupposociale, che Robert S. Lynd così magistralmente descrive– assieme alle loro intrinseche contraddizioni ed alla loroambivalenza – come lo “spirito della Middletown”.6 Ilpensare come al solito può venir mantenuto fintanto chealcune premesse basilari rimangono vere, vale a dire: (1)che la vita, e specialmente la vita sociale, continuerà adessere uguale a quella che è stata fino a quel momento,

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5. Max Scheler, “Probleme einer Soziologie des Wissens”, Die Wissen-sformen und die Gesellschaft (Lipsia, 1926), pp.58 e seguenti; cfr. Ho-ward Becker e Hellmuth Otto Dahlke, “Max Scheler’s Sociology ofKnowledge”, Philosophy and Phenomenological Research, II (1942),310-22, specialmente p.315.6. Robert S. Lynd, Middletown in Transition (New York, 1937), cap.XII e Knowledge for What? (Princeton, 1939), pp.58-63.

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ovvero, che gli stessi problemi che richiedono le stessesoluzioni ricorreranno e che, dunque, le nostre espe-rienze precedenti saranno sufficienti per padroneggiarele situazioni future; (2) che noi possiamo rimetterci allaconoscenza tramandataci da genitori, insegnanti, go-verni, tradizioni, abitudini, etc., anche se non compren-diamo le loro origini e il loro reale significato; (3) chenell’ordinario andamento degli avvenimenti è sufficienteconoscere qualcosa riguardo al generale tipo o stile dieventi in cui possiamo imbatterci nel nostro mondo-della-vita al fine di gestirli o controllarli; (4) che né i si-stemi di ricette come schemi interpretativi ed espressiviné le basilari premesse appena menzionate che vi sotto-stanno sono nostre questioni private, ma vengono simil-mente accettati e applicati dai nostri simili. Se solo una di queste premesse cessa di essere presente,il pensare come al solito diventa inattuabile. Allora sorgeuna “crisi” che, secondo la famosa definizione di W. I.Thomas, “interrompe il flusso dell’abitudine e permetteil sorgere di mutate condizioni di consapevolezza ed eser-cizio”; o, come possiamo dire, abbatte repentinamente ilsistema di pertinenze in atto. Il modello culturale nonfunziona più come un sistema di ricette sperimentate e aportata di mano; rivela che la sua applicabilità è ristrettaad una specifica situazione storica. Eppure lo straniero, in ragione della sua crisi perso-nale, non condivide le suddette premesse basilari. Eglidiviene essenzialmente l’uomo che deve mettere in di-scussione praticamente tutto ciò che pare essere indiscu-tibile ai membri del gruppo a cui si è avvicinato. Per lui il modello culturale del gruppo a cui si è avvici-nato non possiede l’autorità di un sistema sperimentato

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di ricette, e ciò, se non altro, poiché egli non prende partealla vivida tradizione storica attraverso cui esso si è for-mato. Certamente, anche dal punto di vista dello stra-niero la cultura del gruppo avvicinato ha la sua storiapeculiare, e questa storia gli è pure accessibile. Ma essanon è mai divenuta parte integrante della sua biografia,come è accaduto con la storia del suo gruppo natio. Solole maniere in cui sono vissuti i propri padri e nonni di-ventano per ognuno elementi del suo stile di vita. Tombee ricordi non possono né venire trasferiti né conquistati.Lo straniero, dunque, si avvicina all’altro gruppo comeun nuovo venuto nel vero senso del termine. Nel miglioredei casi egli può essere volenteroso e capace di condivi-dere il presente e il futuro con il gruppo a cui si è avvici-nato in un’esperienza vivida e immediata; in ognicircostanza, tuttavia, egli rimane escluso dalle esperienzeche riguardano il suo passato. Visto dalla prospettiva delgruppo avvicinato, egli è un uomo senza storia.Per lo straniero il modello culturale del suo grupponatio continua ad essere il risultato di un ininterrotto svi-luppo storico e un elemento della sua personale biografia,che proprio per questo è stato ed è ancora l’indiscussoschema di riferimento per la sua “concezione relativa-mente naturale del mondo”. È come una questione scon-tata, quindi, che lo straniero inizia ad interpretare il suonuovo ambiente sociale nei termini del suo pensare comeal solito. All’interno dello schema di riferimento che haportato con sé dal suo gruppo natio, tuttavia, egli trovaun’idea preconfezionata del modello che è presumibil-mente valido all’interno del gruppo avvicinato – un’ideache necessariamente si dimostrerà presto inadeguata.7

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7. Nella sua veste di resoconto che mostra come il modello culturale

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In primo luogo, l’idea del modello culturale del gruppoavvicinato che lo straniero trova all’interno dello schemainterpretativo del suo gruppo natio trae origine dall’at-teggiamento di un osservatore disinteressato. Lo stra-niero che si avvicina, tuttavia, è prossimo a trasformarsidall’essere uno spettatore distaccato all’essere un aspi-rante membro del gruppo avvicinato. Il modello culturaledel gruppo a cui si è avvicinato, allora, non è più un ar-gomento del suo pensiero, ma un segmento del mondoche deve venire dominato tramite azioni. Di conseguenza,la sua posizione all’interno del sistema di pertinenza dellostraniero muta decisamente e questo significa, come ab-biamo visto, che la sua interpretazione richiede un altrotipo di conoscenza. Balzando dalla platea al palco, percosì dire, lo spettatore di prima diventa un membro dellacompagnia, si inserisce come compartecipante nelle re-lazioni sociali con i suoi co-attori e prende parte di lì inpoi alla scena in corso.In secondo luogo, il nuovo modello culturale acquisisceun carattere ambientale. La sua lontananza si muta inprossimità; le sue cornici vuote vengono riempite daesperienze vivide; i suoi contenuti anonimi si trasfor-mano in situazioni sociali definite; le sue tipologie pre-confezionate si disintegrano. In altre parole, il livellodell’esperienza ambientale degli oggetti sociali non è con-forme al livello delle mere convinzioni riguardanti oggetti

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americano raffiguri se stesso come un elemento “indiscutibile” all’in-terno dello schema interpretativo degli intellettuali europei, riman-diamo alla spiritosa descrizione di Martin Gumpert dal suo libro FirstPapers (New York, 1941), pp.8-9. Cfr. anche libri come Jules Romains,Visite chez les Américains (Parigi, 1930) e Jean Prevost Usonie,Esquisse de la civilization américaine (Parigi, 1939), pp. 245-66.

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a cui non ci si è avvicinati; nel passare da quest’ultimo alprecedente, ogni concetto che tragga origine dal livello dipartenza diventa necessariamente inadeguato se vieneapplicato al nuovo livello senza essere stato riformulatonei suoi termini. In terzo luogo, la raffigurazione preconfezionata delgruppo estero che sussiste all’interno del gruppo natiodello straniero dimostra la sua inadeguatezza allo stra-niero che si avvicina per la mera ragione che essa non èstata plasmata con l’intenzione di suscitare una replica ouna reazione da parte dei membri del gruppo estero. Laconoscenza che essa offre serve meramente da praticoschema per interpretare il gruppo estero e non da guidaper favorire l’interazione fra i due gruppi. La sua validitàsi basa primariamente sul consenso di quei membri delgruppo natio che non intendono stabilire un rapporto so-ciale diretto con i membri del gruppo estero. (Coloro chevi sono intenzionati si trovano in una situazione analogaa quella dello straniero che si avvicina.) Di conseguenza,lo schema interpretativo si riferisce ai membri del gruppoestero meramente come oggetti di questa interpreta-zione, ma non va al di là di ciò, non si riferisce ad essi nécome destinatari di possibili atti emananti dall’esito dellaprocedura interpretativa né come soggetti di reazioni an-ticipate nei confronti di tali atti. Perciò, questo genere diconoscenza è, per così dire, isolata; non può né venire ve-rificata né falsificata dalle risposte dei membri del gruppoestero. Quest’ultimo, dunque, considera questa cono-scenza – secondo una sorta di effetto “allo specchio”8 –

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8. Nell’usare questo termine alludiamo alla ben nota teoria di Cooleydel sé riflesso o allo specchio (Charles H. Cooley, Human Nature andthe Social Order [edizione riveduta; New York, 1922], p. 184).

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incapace sia di dare risposte che di assumersi responsa-bilità e si lamenta dei preconcetti, pregiudizi e malintesiche vi si ritrovano. Lo straniero che si avvicina, tuttavia,diventa consapevole del fatto che un elemento impor-tante del suo “pensare come al solito”, vale a dire, le sueidee riguardo il gruppo estero, il suo modello culturale eil suo stile di vita, non reggono alla prova dell’esperienzavivida e dell’interazione sociale.La scoperta che le cose nei nuovi dintorni appaionopiuttosto differenti da ciò che egli si aspettava sarebberostate a casa è spesso il primo colpo che viene inferto allafiducia che lo straniero nutre nella validità del suo abi-tuale “pensare come al solito”. Viene così invalidata nonsoltanto la raffigurazione che lo straniero ha portato consé del modello culturale del gruppo avvicinato, ma l’in-tero e fino ad allora indiscusso schema interpretativo dif-fuso all’interno del gruppo natio. Esso non può venirusato come schema di orientamento all’interno dei nuovidintorni sociali. Per i membri del gruppo sociale avvici-nato alle funzioni di tale schema adempie il loromodelloculturale. Ma lo straniero che si avvicina non può né av-valersene così com’è né istituire una generale formula ditrasformazione fra i due modelli culturali che gli per-metta, per così dire, di convertire tutte le coordinate esi-stenti all’interno di uno schema d’orientamento in quellevalide all’interno dell’altro – e ciò per le seguenti ragioni. Primo, ogni schema di orientamento presuppone chechiunque lo usi guardi al mondo circostante come rag-gruppato attorno a lui stesso, che vi sta ritto nel centro.Chi voglia usare una mappa con successo deve prima ditutto conoscere il suo punto d’osservazione secondo dueaspetti: la sua collocazione sul terreno e la sua rappre-

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sentazione sulla mappa. Applicato al mondo sociale, ciòsignifica che solo i membri interni al gruppo, che possie-dono un definito status nella sua gerarchia e inoltre nesono consapevoli, possono usare il suo modello culturalecome uno schema di orientamento naturale e affidabile.Lo straniero, tuttavia, deve affrontare il fatto che egli èprivo di qualsiasi status come membro del gruppo socialea cui sta per unirsi e quindi non è in grado di ottenere unpunto da cui partire per effettuare i suoi rilevamenti. Eglisi trova in un caso che si colloca all’esterno del confinedel territorio coperto dallo schema di orientamento dif-fuso all’interno del gruppo. Quindi, non gli è più consen-tito di considerarsi come il centro del suo ambientesociale, e questo fatto provoca di nuovo uno spostamentodelle sue linee di livello della pertinenza.Secondo, il modello culturale e le sue ricette rappresen-tano un’unità di schemi interpretativi così come espres-sivi coincidenti fra loro solo per i membri interni algruppo. Per colui che viene dall’esterno, tuttavia, questaunità apparente si frantuma. Lo straniero che si avvicinadeve “tradurre” i termini del gruppo estero nei terminidel modello culturale del suo gruppo natio, sempre cheall’interno di quest’ultimo esistano affatto degli equiva-lenti interpretativi. Se esistono, i termini tradotti possonoessere compresi e ricordati; possono venir riconosciutiattraverso la ricorrenza; sono a portata di mano ma nonsi tengono in palmo di mano. Eppure, anche allora, èovvio che lo straniero non può ritenere che la sua inter-pretazione del nuovo modello culturale coincida conquella diffusa fra i membri interni al gruppo. Al contrario,egli deve prendere in considerazione discrepanze fonda-mentali nel vedere le cose e occuparsi delle situazioni.

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Solo dopo aver così accumulato una certa conoscenzadella funzione interpretativa del nuovo modello culturalelo straniero può iniziare ad adottarlo come il proprioschema espressivo. La differenza fra i due stadi di cono-scenza è nota ad ogni studente di lingua straniera e ha ri-cevuto la piena attenzione degli psicologi che si occupanodi teoria dell’apprendimento. È la differenza che c’è frala comprensione passiva di una lingua e la sua attiva pa-dronanza come un mezzo per realizzare i propri atti epensieri. Per motivi di comodità vogliamo attenerci aquest’esempio al fine di rendere chiari alcuni dei limitiposti al tentativo dello straniero di conquistare il modelloestero come schema espressivo, tenendo presente tutta-via, che le seguenti osservazioni potrebbero, con le ap-propriate modifiche, venire facilmente adattate ad altrecategorie del modello culturale, come le consuetudini, leleggi, i modi di vivere comuni, le mode, etc.La lingua in quanto schema interpretativo ed espres-sivo non consiste meramente dei simboli linguistici cata-logati nel dizionario e delle regole sintattiche enumeratein una grammatica ideale. I primi sono traducibili in altrelingue, le ultime sono comprensibili riferendole alle cor-rispondenti o devianti regole dell’indiscussa lingua ma-terna.9 Tuttavia, sopraggiungono svariati altri fattori.

1. Ogni parola e ogni frase, per prendere ancora aprestito un termine di William James, è circondatada “frange” che la connettono per un verso con gli

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9. Quindi, l’apprendimento di una lingua straniera rivela allo studente,spesso per la prima volta, le regole grammaticali della sua lingua ma-terna che egli ha seguite fino ad allora come “la cosa più naturale almondo”, vale a dire, come ricette.

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elementi passati e futuri dell’universo del discorsoa cui appartiene e da cui è circondata, per l’altrocon un alone di valori emozionali e di implicazioniirrazionali che di per sé rimangono ineffabili. Lefrange sono la sostanza di cui è fatta la poesia; pos-sono venir messe in musica, ma non sono traduci-bili. 2. In ogni lingua ci sono termini con svariate con-notazioni. Nel dizionario sono annotate anch’esse.Ma, oltre a queste connotazioni standardizzate,ogni elemento del discorso acquisisce il suo speci-fico significato secondario in derivazione dal con-testo o dall’ambiente sociale all’interno del qualeviene usato e, in aggiunta, assume una tinta speci-fica in base all’occasione effettiva in cui viene im-piegato. 3. Le espressioni idiomatiche, i termini tecnici, igerghi e i dialetti, il cui uso rimane confinato a spe-cifici gruppi sociali, esistono in ogni lingua, e il lorosignificato può venire appreso anche da qualcunoproveniente dall’esterno. Ma, in aggiunta, ognigruppo sociale, per quanto sia piccolo (se non ogniindividuo), possiede il proprio codice privato,comprensibile solo da coloro che hanno presoparte alle passate esperienze comuni in cui esso haavuto origine o alla tradizione ad esse legata.4. Come ha mostrato Vossler, l’intera storia delgruppo linguistico si rispecchia nella sua manieradi dire le cose.10 Tutti gli altri elementi della vitadel gruppo vi penetrano – sopra tutti, la sua lette-

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10. Karl Vossler, Geist und Kultur in der Sprache (Heidelberg, 1925),pp. 117 e seguenti.

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ratura. L’erudito straniero che si avvicina ad unpaese anglofono, per esempio, è fortemente pena-lizzato se non ha letto la Bibbia e Shakespeare inlingua inglese, anche se con le traduzioni di queilibri nella sua lingua materna ci è cresciuto.

Tutti le suddette caratteristiche sono accessibili sola-mente ai membri interni al gruppo. Esse appartengonotutte allo schema espressivo. Non sono insegnabili e nonpossono essere apprese alla stessa maniera, per esempio,del vocabolario. Al fine di avere il libero controllo di unalingua come schema espressivo, uno deve averci scrittodelle lettere d’amore; deve sapere come ci si prega e ci siimpreca e come dire le cose con ogni sfumatura appro-priata al destinatario ed alla situazione. Solo i membri in-terni al gruppo tengono lo schema di espressione inquanto genuino in palmo di mano e ne hanno il liberocontrollo all’interno del loro pensare come al solito. Applicando questo risultato all’insieme del modelloculturale della vita di gruppo, possiamo dire che il mem-bro interno al gruppo esamina attentamente le normalisituazioni sociali che gli si presentano in un singolosguardo e che afferra immediatamente la ricetta precon-fezionata appropriata alla loro soluzione. In quelle situa-zioni il suo agire mostra tutti i segni dell’abitualità,dell’automatismo e della mezza-consapevolezza. Ciò èpossibile poiché il modello culturale, tramite le sue ri-cette, provvede soluzioni tipiche per i problemi tipici di-sponibili agli attori tipici. In altre parole, la possibilità diottenere il risultato standardizzato desiderato attraversol’applicazione di una ricetta standardizzata è una possi-bilità oggettiva; cioè è aperta a chiunque si comporti

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come il tipo anonimo richiesto dalla ricetta. Quindi, l’at-tore che segue una ricetta non deve verificare se questapossibilità oggettiva coincida con una possibilità sogget-tiva, cioè, una possibilità aperta a lui, individuo, in ra-gione delle sue condizioni e facoltà personali, chesussistono indipendentemente dalla questione se altrepersone in situazioni simili potrebbero o non potrebberoagire nella stessa maniera con la stessa probabilità di riu-scire. Ancor di più, si può affermare che le possibilità og-gettive di riuscita di una ricetta sono tanto più grandiquanto più sono ridotte le deviazioni dall’anonimo com-portamento tipificato che hanno luogo, e ciò è valido spe-cialmente per le ricette destinate all’interazione sociale.Questo genere di ricetta, per funzionare, presuppone cheogni compartecipante si attenda che l’altro agisca o rea-gisca tipicamente, sempre che agisca tipicamente l’attorestesso. Chi voglia viaggiare in treno deve comportarsi inquella maniera tipica che il tipo “agente ferroviario” puòragionevolmente attendersi come la condotta tipica deltipo “passeggero”, e viceversa. Nessuna delle due partiprende in esame le possibilità soggettive implicate intutto ciò. Lo schema, essendo destinato all’uso di tutti,non ha bisogno di essere messo alla prova in base alla suaadeguatezza per il peculiare individuo che se ne serva.Per coloro che sono cresciuti all’interno del modelloculturale, non solo le ricette e la loro possibilità di riu-scita, ma anche gli atteggiamenti tipici ed anonimi cheesse richiedono sono un’indiscussa “questione scontata”che dà loro insieme sicurezza e fiducia. In altre parole,questi atteggiamenti, proprio per la loro anonimità e ti-picità, non sono posti all’interno dello strato di perti-nenza dell’attore che richiede esplicita conoscenza di, ma

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nella regione della mera cognizione in cui si riporrà lapropria fiducia. Questa interrelazione fra possibilità og-gettive, tipicità, anonimità e pertinenza pare essere piut-tosto importante.11

Per lo straniero che si avvicina, tuttavia, il modello delgruppo avvicinato non garantisce una possibilità ogget-tiva di successo, ma piuttosto una pura probabilità sog-gettiva che deve venire verificata passo per passo, ovvero,egli deve assicurarsi che le soluzioni proposte dal nuovoschema produrranno l’effetto desiderato anche per luinella sua speciale posizione di estraneo e nuovo venutoche non ha portato sotto la sua presa l’intero sistema delmodello culturale, ma che piuttosto è disorientato dallasua contraddittorietà, incoerenza e mancanza di chia-rezza. Prima di tutto egli deve, per usare il termine di W.I. Thomas, definire la situazione. Quindi non può fer-marsi ad una cognizione approssimativa del nuovo mo-dello, confidando nella sua vaga conoscenza riguardo ilsuo stile e la sua struttura generale, ma ha bisogno di unaconoscenza esplicita dei suoi elementi, indagando nonsolo sul loro che cosa, ma anche sul loro perché. Di con-seguenza, la forma delle sue linee di livello della perti-nenza per necessità differisce radicalmente da quelle di

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11. Si potrebbe far riferimento ad un principio generale della teoria dellapertinenza, ma ciò oltrepasserebbe l’intelaiatura del presente articolo.Il solo punto di cui si può qui discutere è che tutti gli ostacoli che lo stra-niero incontra nel suo tentativo di interpretare il gruppo a cui si è avvi-cinato sorgono dall’incongruenza delle linee di livello dei reciprocisistemi di pertinenza e, di conseguenza, dalla distorsione che subisce ilsistema dello straniero all’interno del nuovo circondario. Ma ogni rap-porto sociale, e specialmente ogni instaurazione di nuovi contatti so-ciali, anche fra individui, comporta fenomeni analoghi, sebbene essinon conducano necessariamente ad una crisi.

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un membro interno al gruppo in quanto a situazioni, ri-cette, mezzi, fini, compartecipanti sociali, etc. Tenendo amente il suddetto stato di interrelazione fra pertinenzada un lato e tipicità e anonimità dall’altro, ne consegueche egli si serve di un altro metro di misura per l’anoni-mità e la tipicità degli atti sociali rispetto ai membri in-terni al gruppo. Ciò avviene poiché, per lo straniero, gliattori che egli osserva all’interno del gruppo a cui si è av-vicinato non sono – come per i loro co-attori – coperti dauna certa presupposta anonimità, vale a dire, non sonomeri esecutori di funzioni tipiche, ma individui. D’altrocanto, egli è incline a prendere meri tratti individuali pertratti tipici. Così, egli si costruisce un mondo sociale dipseudo-anonimità, pseudo-intimità e pseudo-tipicità.Quindi non può integrare i tipi personali che si è costruitoall’interno di una raffigurazione coerente del gruppo av-vicinato e non può fare affidamento sulla previsione cheha fatto riguardo la loro risposta. E ancor meno lo stra-niero in sé può adottare quegli atteggiamenti tipici e ano-nimi che un membro interno al gruppo è autorizzato adattendersi da un compartecipante in una situazione ti-pica. Di qui la mancanza di sensibilità per la distanzadello straniero, il suo oscillare fra lontananza e intimità,la sua esitazione e incertezza e la sua diffidenza versoogni questione che pare essere così semplice e piana a co-loro che si affidano alla riuscita di ricette indiscusse chedevono solamente essere seguite ma non comprese. In altre parole, per lo straniero il modello culturale delgruppo avvicinato non è un rifugio, ma un campo d’av-ventura, non è una questione scontata ma un tema d’in-dagine controverso, non è uno strumento per sbrogliaresituazioni problematiche ma una situazione problematica

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