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BIBBIA Eco dei Barnabiti 1/2018 2 I l Quarto Vangelo è l’unico a non riportare l’episodio nella sinagoga di Nazaret, sul quale ci siamo soffermati la volta scorsa, ma nello stesso tempo è quel- lo in cui risalta con maggiore eviden- za come l’appellativo “Nazareno” o Nazoraios – (Gv 18,5.7; 19,19), apparentemente dispregiativo perché contrario alle attese messianiche tradi- zionali, racchiuda in sé sin dal princi- pio il progetto di salvezza del Padre, il progetto che troverà il suo compimen- to nel sacrificio supremo della croce. L’evangelista Giovanni, infatti, fa riferi- mento alle origini nazaretane di Gesù solo in due occasioni: all’inizio del Vangelo, nell’incontro con Natanaele, che lo riconosce quale «Figlio di Dio» re d’Israele» (Gv 1,49) e nel rac- conto della passione, quando la singo- lare e salvifica regalità di Gesù sarà pienamente rivelata sulla croce. «Sarà chiamato Nazareno», scrive- vamo infatti all’inizio del nostro cam- mino di quest’anno, è un titolo che prefigura già il suo destino di croce, come recherà l’iscrizione: «Gesù il Na- zareno, il re dei Giudei» (Gv 19,19). da Nazaret può venire qualcosa di buono? Dopo che i primi discepoli (An- drea, l’anonimo discepolo e poi Pie- tro), seguono il Maestro, Gesù chia- ma espressamente Filippo: «Seguimi». Egli «trovò Natanaele e gli disse: “Ab- biamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret”. Natanaele gli disse: “Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?”. Filippo gli rispose: “Vieni e vedi”» (Gv 1,45-46). Filippo “trova” (euriskei) Natanae- le, nome ebraico che significa «dono di Dio», oppure «Dio ha donato». Questo disce- polo è nominato solo in Giovanni (qui e in 21,2, dove è detto originario di Cana di Galilea) ed è stato identificato ora con l’evangelista Matteo, ora con Simone il cananeo, ma soprattutto con Bar- tolomeo, il discepolo che nell’elenco dei Dodici viene subito dopo Filip- po (cf. Mc 3,18 e par.). Indipendentemente dalla validità storica di queste identificazioni, tuttavia, la sua è una figura fon- damentale nella cosid- detta «settimana inaugu- rale», durante la quale Giovanni rivela l’identità di Gesù. Nel trasmetter- gli l’esperienza da lui vissuta, Filippo annuncia a Natanaele di aver incontrato «colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti». Gesù è dunque presentato come supporto e compi- mento di tutta la Scrittura dell’Antico Testamento. Una designazione così densa di significato contrasta e quasi stride con la modestia del personag- gio: «Gesù, figlio di Giuseppe, quello da Nazaret» e svela – insieme – L’ICONA DI NAZARET (IV) Il Germoglio diventa l’albero della vita Con il presente articolo, si conclude la riflessione del biblista p. Giuseppe Dell’Orto che, con un occhio a Nazaret, ci ha permesso di contemplare i 30 anni che Gesù ha trascorso nel piccolo e sconosciuto villaggio della Galilea che Dio ha scelto per piantare il suo germoglio nella vita dell’uomo, e che gli sono serviti a per maturare uno stile di vita quotidiana, fatta di lavoro, di preghiera, di relazioni, di servizio 1 . 1 Motivi di carattere tecnico hanno im- pedito che quest’articolo apparisse, come era previsto, in ECO 4 (2017). La presente nota serva di scusa per i nostri lettori. Filippo porta Natanaele da Gesu - Codice Sforza-Savoia, Torino, Biblioteca Reale

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Eco dei Barnabiti 1/20182

Il Quarto Vangelo è l’unicoa non riportare l’episodionella sinagoga di Nazaret,

sul quale ci siamo soffermati la voltascorsa, ma nello stesso tempo è quel-lo in cui risalta con maggiore eviden-za come l’appellativo “Nazareno”– o Nazoraios – (Gv 18,5.7; 19,19),apparentemente dispregiativo perchécontrario alle attese messianiche tradi-zionali, racchiuda in sé sin dal princi-

pio il progetto di salvezza del Padre, ilprogetto che troverà il suo compimen-to nel sacrificio supremo della croce.

L’evangelista Giovanni, infatti, fa riferi-mento alle origini nazaretane di Gesùsolo in due occasioni: all’inizio delVangelo, nell’incontro con Natanaele,che lo riconosce quale «Figlio di Dio»e «re d’Israele» (Gv 1,49) e nel rac-conto della passione, quando la singo-lare e salvifica regalità di Gesù saràpienamente rivelata sulla croce.«Sarà chiamato Nazareno», scrive-

vamo infatti all’inizio del nostro cam-

mino di quest’anno, è un titolo cheprefigura già il suo destino di croce,come recherà l’iscrizione: «Gesù il Na-zareno, il re dei Giudei» (Gv 19,19).

da Nazaret può venirequalcosa di buono?

Dopo che i primi discepoli (An-drea, l’anonimo discepolo e poi Pie-

tro), seguono il Maestro, Gesù chia-ma espressamente Filippo: «Seguimi».Egli «trovò Natanaele e gli disse: “Ab-biamo trovato colui del quale hannoscritto Mosè, nella Legge, e i Profeti:Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret”.Natanaele gli disse: “Da Nàzaret puòvenire qualcosa di buono?”. Filippo glirispose: “Vieni e vedi”» (Gv 1,45-46).Filippo “trova” (euriskei) Natanae-

le, nome ebraico che significa «donodi Dio», oppure «Dio hadonato». Questo disce-polo è nominato solo inGiovanni (qui e in 21,2,dove è detto originariodi Cana di Galilea) ed èstato identificato ora conl’evangelista Matteo, oracon Simone il cananeo,ma soprattutto con Bar-tolomeo, il discepolo chenell’elenco dei Dodiciviene subito dopo Filip-po (cf. Mc 3,18 e par.).Indipendentemente dallavalidità storica di questeidentificazioni, tuttavia,la sua è una figura fon-damentale nella cosid-detta «settimana inaugu-rale», durante la qualeGiovanni rivela l’identitàdi Gesù. Nel trasmetter-gli l’esperienza da luivissuta, Filippo annuncia

a Natanaele di aver incontrato «coluidel quale hanno scritto Mosè, nellaLegge, e i Profeti». Gesù è dunquepresentato come supporto e compi-mento di tutta la Scrittura dell’AnticoTestamento. Una designazione cosìdensa di significato contrasta e quasistride con la modestia del personag-gio: «Gesù, figlio di Giuseppe, quelloda Nazaret» e svela – insieme –

L’ICONA DI NAZARET (IV)Il Germoglio diventa l’albero della vita

Con il presente articolo, si conclude la riflessione del biblista p. Giuseppe Dell’Orto che, con unocchio a Nazaret, ci ha permesso di contemplare i 30 anni che Gesù ha trascorso nel piccolo esconosciuto villaggio della Galilea che Dio ha scelto per piantare il suo germoglio nella vitadell’uomo, e che gli sono serviti a per maturare uno stile di vita quotidiana, fatta di lavoro, dipreghiera, di relazioni, di servizio1.

1 Motivi di carattere tecnico hanno im-pedito che quest’articolo apparisse, comeera previsto, in ECO 4 (2017). La presentenota serva di scusa per i nostri lettori.

Filippo porta Natanaele da Gesu - Codice Sforza-Savoia, Torino, Biblioteca Reale

l’inadeguatezza della comprensionedi Gesù da parte di Filippo. «Unaadeguata comprensione di Gesù co-me adempimento delle aspettativedell’AT eclisserebbe le promesse del -l’AT; Gesù è il Figlio di Dio, l’Agnellodi Dio. Non può essere visto come“quello di Nazaret” o “di Giuseppe”»(F. Moloney). Di qui la reazione iro-nica e quasi beffarda (e in fondo sen-sata) di Natanaele. Egli svaluta l’ori-gine galilaica di Gesù, non soltantoperché Nazaret è una borgata insi-gnificante, ma anche perché, in basead una tradizione giudaica, si ignora-va da dove sarebbe venuto il Messia:«il Cristo invece, quando verrà, nes-suno saprà di dove sia» (Gv 7,27). Lasua battuta sottolinea il paradossogià evidente in sé. L’obiezione di Na-tanele esprime come l’origine di Ge-sù non può deporre a favore dellasua messianicità; ma – nello stessotempo – è obiezione di alto spessoreteologico, perché riguarda il para-dosso della manifestazione di Dio e,più ancora, «pone in evidenza la li-bertà di Dio, che sorprende le no-stre attese facendosi trovare propriolà dove non ce lo aspetteremmo»(Benedetto XVI).Filippo non risponde, non spiega,

non giustifica; si limita a ripetere ilsuo invito a condividere l’esperienzafatta. Ai primi due discepoli Gesùaveva detto: «venite e vedrete»; Fi-lippo usa gli stessi due imperativi,ma al singolare: «vieni e vedi». Nonpuò dire altro ... non può fare “pro-messe”; ha detto chi ha incontrato einvita ad un incontro di persona.Natanaele, che ha reagito con scetti-cismo all’annuncio, resterà arrocca-to sulle sue posizioni, sulla convin-zione che “nulla di buono” può ve-nire da Nazaret, o si aprirà allascoperta? Si dimostrerà disponibilealla “novità”?

sotto il fico

Con un paradosso tipicamente gio-vanneo, il lettore è informato del fat-to che Natanaele va, in esecuzioneal vieni di Filippo, attraverso lo sguar-do di Gesù; è Gesù, infatti, che – pri-ma ancora di essere scorto da lui –vede (eiden) Natanaele venire a sé(erchomenos pros: cf. 6,35...); lo ve-de, cioè, disposto a credere nella suapersona e non soltanto nella Scritturacosì come egli la conosceva ed ave-

va imparato a comprenderla. Se Na-tanaele va incontro a Gesù, è Gesù avederlo per primo e a riconoscere inlui un «un Israelita in cui non c’è fal-sità». L’espressione richiama il Salmo32 «Beato l’uomo ... nel cui spiritonon è inganno» (Sal 32,2) ed è unelogio alla trasparenza di Natanaele,alla sua autenticità, alla sua assenzadi sotterfugi; un vero Israelita, capacedi accogliere Colui che Filippo avevadesignato come compimento delleScritture. Ecco veramente, dice Gesù:è una rivelazione, rivelazione di unaidentità spirituale ricca di franchez-za e di disponibilità, perché purobiettando, pur incredulo, è “andatoa vedere”.Viene alla mente l’episodio della

lotta di Giacobbe con Dio (Gn 32,25-33), quando il Signore gli cambianome: «non ti chiamerai più Giacob-be, ma Israele» (Gn 32,30). «Termina

l’epoca dei “tranelli” (j’qb), incomin-cia l’epoca di Israele, padre di un po-polo. Il popolo di Israele che deveimparare a lottare con Dio, a tratte-nerlo e a lasciarlo andare: l’autenticoIsraele. [...] Nella sua stirpe c’è un“israelita senza alcuna falsità”, Nata-naele (Dono di Dio), e perciò ricono-sce il suo re, quando gli vengonoaperti gli occhi» (L. Alonso Schökel).Lo scetticismo iniziale di Natanae-

le si trasforma in meraviglia: «da do-ve (pothen, e quindi non “come”!)mi conosci?». L’avverbio pothen inGiovanni ha un forte valore cristolo-gico, ed indica infatti la conoscenzasovrumana di Gesù (in questo caso),la sua origine divina (7,27s; 8,14;9,29s; 19,9; analogamente si riferisceall’origine divina del vino alle nozzedi Cana: 2,9; del vento: 3,8; dell’ac-qua donata alla samaritana: 4,11). Inquesta occasione, l’origine divina di

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Natanaele - Tetravangelo di Ivan Alexander -Londra, British Library Add39627 f. 216v

Marc Chagall, Il sogno di Giacobbe

Gesù viene rivelata dal suo “cono-scere” Natanaele nell’intimo: «primache Filippo ti chiamasse, io ti ho vistoquando eri sotto l’albero di fichi».L’espressione è a prima vista oscu-

ra, non immediatamente perspicua.Nella tradizione biblica “stare sedutisotto la vite e sotto il fico” designauna condizione di pace, di serenità,di sicurezza (si vedano ad esempio1Re 5,5: «Giuda e Israele erano al si-curo; ognuno stava sotto la propriavite e sotto il proprio fico, da Dan fi-no a Betsabea, per tutti i giorni di Sa-lomone»; Mi 4,4: «Siederanno ognu-no tranquillo sotto la vite e sotto ilfico e più nessuno li spaventerà»;Zc 3,10: «In quel giorno – oracolo delSignore degli eserciti – ogni uomoinviterà il suo vicino sotto la sua vitee sotto il suo fico»; 1Mac 14,12:«Ognuno sedeva sotto la sua vite esotto il suo fico e nessuno incutevaloro timore»). In questo senso «staresotto il fico come sotto la vite, èun’immagine biblica stereotipa perindicare la vita tranquilla e feriale nel-la propria casa. Proprio in tale conte-sto familiare e personalizzato, “sottoil fico”, con l’articolo, Gesù ha vistoe conosciuto Natanaele» (R. Fabris).Nel testo giovanneo, però, non c’è

alcun riferimento alla vite e non so-no chiaramente evocate né la posi-zione seduta né la sicurezza. Vice-

versa, la tradizione giudaica collegail fico alla conoscenza ed allo studiodella Torah. Il Talmud Babilonese, aproposito di Pr 27,18 («chi custodi-sce un fico ne mangia i frutti»), com-menta: «ogni volta che un uomo vain cerca di fichi ne trova, lo stesso èper le parole della Torah: quanto piùspesso un uomo le consulta tanto piùne ottiene dei significati» (‘Erubin54ab). E altrove: «tutti i frutti hannoparti da scartare: i datteri e l’uva han-no i propri semi, i melograni hanno lebucce, ma il fico è tutto buono damangiare. Così pure la Torah» (JalkutShim’onì). Seguendo questa interpre-tazione, Gesù avrebbe visto e ricono-sciuto in Natanaele un uomo che,anche prima di aprirsi all’incontrocon Lui, era già in ricerca, alla ricer-ca dei significati della Torah; un uo-mo capace di studiarla, di interrogar-la in modo sempre più autentico eprofondo. Proprio studiando la TorahNatanaele si è preparato ed ha potu-to essere pronto e disponibile all’in-contro con Gesù!Solo in questa prospettiva si com-

prende la risposta di Natanaele, altri-menti dissonante e ingiustificata:«Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei ilre d’Israele!». Lui, che aveva ironiz-zato sulle origini nazaretane del per-sonaggio incontrato dall’amico Filip-po, e che si è sentito prima definire

con le parole del Salmo e poi ri-co-nosciuto come un uomo dedito allostudio della Torah in attesa del mes-sia, ora riconosce nel “Nazareno”(nézer) il germoglio annunciato daiprofeti; ora comprende la profeziamessianica di Zaccaria: «ecco, iomanderò il mio servo Germoglio ... Inquel giorno – oracolo del Signore de-gli eserciti – ogni uomo inviterà il suovicino sotto la sua vite e sotto il suofico» (Zc 3,8.10).Nella sua confessione, Natanaele

attribuisce a Gesù tre titoli progressi-vi: «Rabbi» è il punto di partenza deiprimi due discepoli (Gv 1,38), chehanno riconosciuto in Gesù un mae-stro di sapienza; «Figlio di Dio» e «red’Israele» sono titoli messianici, lacui totalità e pienezza devono essereperò ancora rivelate, come gli diceGesù stesso: «vedrai cose più grandidi queste!» (v. 50). «Le parole di Na-tanaele pongono in luce un doppiocomplementare aspetto dell’identitàdi Gesù: Egli è riconosciuto sia nelsuo rapporto speciale con Dio Padre,di cui è Figlio unigenito, sia in quellocon il popolo d’Israele, di cui è di-chiarato re, qualifica propria del Mes-sia atteso» (Benedetto XVI). Natanae-le, dunque, intuisce l’origine divina ela regalità di Gesù in quanto Figlio diDio, ma la modalità e le implicazio-ni di questa figliolanza e di questaregalità dovranno ancora essere sve-late. «Queste parole sono il culminedi una serie di confessioni di Gesù daparte dei primi discepoli (cf. vv.41.45) che però, come le confessioniprecedenti, non colpiscono il bersa-glio. Natanaele si rivolge a Gesù intermini che possono essere intesi co-me espressioni della speranza mes-sianica del primo secolo ... Natanaeleha creduto sulla base della cono-scenza miracolosa di Gesù nell’aver-lo visto sotto il fico, ma per poter ve-dere cose maggiori si richiede qual-cos’altro» (F. Moloney). Gesù, infattireplica: «perché ti ho detto che tiavevo visto sotto l’albero di fichi, tucredi? Vedrai cose più grandi di que-ste!» (1,50). Cos’altro resta ancora davedere? Indubbiamente quanto segueimmediatamente questo episodio, va-le a dire il segno di Cana (2,1,-11);ma le parole successive promettonola visione di cose più grandi a tutti idiscepoli: «in verità, in verità io vi di-co: vedrete il cielo aperto e gli angelidi Dio salire e scendere sopra il Figlio

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Il Titulus crucis conservato a Roma, nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme

dell’uomo» (1,51). Alla fede inizialedei discepoli, Gesù risponde con unapromessa che invita ad andare oltre.C’è bisogno di una fede più grandeper vedere cose più grandi!L’annuncio è introdotto da un du-

plice Amen, espressione che nelQuarto Vangelo Gesù pronuncia benventisei volte, in occasione delle sueprincipali rivelazioni. La visione pro-messa («vedrete») dei cieli aperti si-gnifica che la comunicazione tra cie-lo e terra è ormai stabilita in manierairreversibile. Gesù si richiama alla vi-sione di Giacobbe a Betel, quando ilPatriarca aveva sognato una scalache «poggiava sulla terra, mentre lasua cima raggiungeva il cielo; ed ec-co, gli angeli di Dio salivano e scen-devano su di essa» (Gn 28,10-17).Come YHWH aveva parlato a Gia-cobbe confermandogli la promessa eassicurandogli che sarebbe stato conlui nella sua missione, così, con lasua promessa, Gesù (in 1,51) annun-cia che in Lui l’Alleanza è ormai pre-sente sulla terra: la sua persona è illuogo in cui Dio si manifesta e si co-munica agli uomini. Gesù toglie allascala la sua ragione d’essere; con lasua venuta nel mondo il cielo si èaperto, e si è aperto perché gli angelidi Dio scendono e salgono sul Fi-glio dell’Uomo. «Questa è proprio lacasa di Dio, questa è la porta delcielo», aveva esclamato Giacobbe(Gn 28,17). È Gesù la nuova Betel, la«casa di Dio». «Poiché le ultime pa-role di Genesi 28,12 possono tradursiindifferentemente sia ”su di essa” (lascala), sia “su di lui” (Giacobbe), èproprio su Gesù, senza l’intermedia-rio della scala, che gli angeli salgonoe scendono. In termini chiari, tra ilFiglio dell’uomo e il Padre vi è co-munione di esistenza e per mezzodi lui si realizzerà il progetto di Dio»(X. Léon-Dufour).

Gesù Nazareno, il Re dei Giudei

Ed è sulla croce che viene datopieno compimento alla visione pro-messa: «La scala fissata dalla terra alcielo è la croce di Cristo, mediante laquale ci è dato l’accesso al cielo»(Cromazio di Aquileia, Catechesi alpopolo, 1,6).L’autore del Quarto Vangelo, con

un’ulteriore, radicale differenza rispet-to ai Sinottici, descrive la scena dellacrocifissione solo brevemente, senza

alcun indugio sui particolari, mentrededica ampio spazio alla “disputa”relativa all’iscrizione che Pilato fa af-figgere al di sopra della croce, atti-rando l’attenzione sul contenuto esulla formulazione del titulus: “Gesùil Nazareno, il re dei Giudei”. Fin dal-l’inizio del racconto della passione– nella scena dell’arresto nel giardi-no, oltre il torrente Cedron – e perdue volte Gesù è presentato come “ilNazareno” (Gv 18,5.7). Ora questadefinizione, unita a “il re dei Giudei”,campeggia al di sopra della croce.Giovanni inserisce (come Matteo)

il nome proprio Gesù, ma lo qualifi-ca con Nazoraios, gettando così unponte tra il Golgota e la vita di Gesù,tra inizio e fine del suo ministero. Ilriferimento geografico (da Nazaret)va inteso con un suo specifico risvol-to teologico e cioè rivolto non tantoa un luogo di attività del Gesù terre-

no come profeta che viene rifiutatodai suoi (come per i Sinottici), quan-to piuttosto allo scandalo della incar-nazione quale specifica forma mes-sianica.Tre punti di vista vengono qui mes-

si a confronto, per ciò che concerneil cartello.Il punto di vista di Pilato: egli, agen-

do contro la dichiarazione di inno-cenza (Gv 18,38; 19,4.6.12) ne mo-tiva la condanna in una forma sarca-stica, sia per sé che per i Giudei.Egli infatti non crede alla messiani-cità di Gesù; e si prende anche unarivincita contro i Giudei. A costoroche non riconoscevano altro re cheCesare, Pilato ripropone Gesù croci-fisso con lo steso “titolo” con il qua-le lo avevano rifiutato per tre volte(Gv 18,39; 19,14).Il punto di vista dei sommi sacer-

doti: essi colgono l’ambiguità del-

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Pilato scrive l'iscrizione - Bibbia di Holkham f. 31v

l’iscrizione. Presa alla lettera, essapotrebbe indurre il riconoscimentodell’attribuzione messianica di Gesù.Quindi reagiscono chiedendone unacorrezione integrativa e cioè che lascritta dovrebbe motivare apertamen-te che Gesù è stato crocifisso perchépretendeva di essere ciò che non era.Il punto di vista del narratore: egli

invita a leggere il cartello come epi-fania cristologica. I commentatori diGiovanni riconoscono unanimi che,nel testo scritto da Pilato e rifiutatodai Giudei, Giovanni contempla unaulteriore proclamazione della regali-tà messianica di Gesù dalla croce,con un risvolto giudiziale contro iGiudei.Questa scritta non rappresenta dun-

que la motivazione, la causa dellacondanna (aitía: Mc 15,26; Mt 27,37),ma è un títlos, vale a dire la procla-mazione di una verità: Gesù è il redei Giudei, dunque è il Messia davi-dico, è il Signore di Israele (e delnuovo popolo di Dio). E proprio per-ché questa scritta è un titolo i capidei sacerdoti si oppongono ad essa.Ma Pilato non intende in alcun mo-do modificarla: «o gegrafa, gegrafa =ciò che scrissi, scrissi», dichiara. Ilverbo usato nella forma del “perfet-to” (dal verbo grafein = scrivere) in-dica, come si sa, che l’azione com-

piuta è ormai sancita come definiti-va, e pertanto le sue conseguenzeperdurano nel presente. Il senso del-le parole andrà dunque inteso così:«Ciò che ho scritto resta scritto».Nell’ottica dell’evangelista, l’episo-dio assume un senso ben preciso: èla conferma irrevocabile da un latodella regalità di Gesù, che ora assu-me valore universale, dall’altro delgiudizio dei Giudei, il cui rifiuto delMessia-re trova in quel cartello il si-gillo ufficiale e definitivo. Non sen-za una certa ironia, tipicamente gio-vannea. «Pilato fa affiggere alla cro-ce di Gesù il cartiglio con scritto“Gesù il Nazareno, il re dei Giudei”(Gv 19,20). L’intento è quello di di-leggiare non solo il Signore, ma an-che (forse innanzitutto) le ridicoleaspirazioni autonomiste della Palesti-na nei riguardi della superpotenzaromana. Il procuratore sbeffeggiaIsraele mettendo per iscritto: “Il vo-stro re non sarebbe nient’altro cheun moribondo! Ecco cosa fanno/fa-ranno i romani del re che volete!”.Eppure, Pilato non si accorge di dire(anzi di mettere per iscritto) la veri-tà, proprio grazie alla sua canzona-tura (ecco l’ironia!): il re messia pro-messo da Dio a Israele è davveroquesto uomo che ora pende dallacroce» (G.C. Pagazzi). La croce è il

trono del vero re dei Giudei; e, para-dossalmente, è lo stesso Pilato che,con risolutezza, contro i Giudei, loproclama al mondo intero.Il valore universale di questo rico-

noscimento è ribadito dalle tre lin-gue in cui il titolo è riportato. Ebraistìindica la lingua aramaica, la linguanazionale parlata al tempo di Gesù;Romaistì (un hapax del Nuovo Testa-mento) è la lingua ufficiale del pote-re romano. Infine, Ellenistì sta per lalingua greca, la Koiné, la lingua co-mune del mondo mediterraneo. Ognilingua proclama ora, sulla croce, lasignoria di Gesù (cf. Fil 2,11).

conclusione

«Lo scandalo dell’incarnazione –annunciato programmaticamente dalprologo (1,14), e prontamente sol-levato dall’ironia di Natanaele (“daNazaret può mai venir qualcosa dibuono?”: 1,45-46; cf. 7,41.52) –viene ripreso all’inizio della passione(“Chi cercate?” – “Gesù il Nazare-no!”: 18,5-7) e raggiunge il suo piùuniversale orizzonte, oltre i confinidella manifestazione a Israele, nelcartello trilingue della croce (19,19),che accumula scandalo su scandalo,oscurità su oscurità, rifiuto su rifiuto.Qui la risibile origine nazarena di Ge-sù messia si proietta sull’ancor più as-surdo esito del re dei giudei fino al-l’ultimo respinto dal proprio popolo(19,21)» (R. Vignolo).Siamo partiti da Nazaret, il piccolo

e sconosciuto villaggio della Galileache Dio ha scelto per piantare il suogermoglio nella vita dell’uomo; ab-biamo contemplato i 30 anni che aNazaret Gesù ha trascorso, e che glisono serviti a per maturare uno stiledi vita quotidiana, fatta di lavoro, dipreghiera, di relazioni, di servizio; ea Nazaret abbiamo ascoltato l’an-nuncio dell’oggi della salvezza, chedall’umile borgata galilaica si esten-de ai confini del mondo.La croce ne è il compimento su-

premo. Lì il germoglio giunge a pie-nezza. E porta pienezza. E la procla-mazione multilingue della regalitàdel Gesù crocifisso è un’altra indica-zione che Gesù attira tutti a sé (cf. Gv10,16; 11,49-52; 12,32).Solo ora, il Nézer = Germoglio di-

venta l’Albero della Vita per tutti!

Giuseppe Dell’Orto

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L'albero della vita - Icona cretese (sec. XV)

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Eco dei Barnabiti 2/2017

Vocabolario ecclesiale

ADDORMENTATO E SONNO – Il Salmo 4,9 che intro-duce la preghiera serale (Compieta) all’inizio liturgico del-la settimana liturgica, ossia il sabato sera, recita: «In pacemi corico e allo stesso tempo mi addormento», come a di-re che questa dovrebbe essere la nostra esperienza: pren-dere sonno appena toccato il letto… Eppure sono le stessescansioni quotidiane della preghiera a chiederci di riser-vare uno spazio al termine della giornata, tra la veglia e ilsonno. Quando siamo in procinto di coricarci, entriamoin uno stato definito ipnagogico (ipno = sonno; ago = in-troduco), in merito alla cui importanza convergono psico-logia e spiritualità. La spiritualità, poiché non vi è religio-ne che non prescriva opportuni esercizi meditativi e orantial termine del giorno, così che ci si “addormenta” dopoesserci “risvegliati” alla memoria di Dio, santificando percosì dire il subconscio. E quanto alla psicologia, il passag-gio dallo stato “conscio” della veglia a quello “inconscio”del sonno avviene attraverso il suddetto stato intermediocostituito dal “subconscio”. L’attivazione di tale stato si èrivelata di grande importanza non soltanto in ordine a unapiù compiuta penetrazione dell’animo umano, ma anchenell’intento terapeutico di sviluppare le potenzialità ine-spresse della personalità o di risanarne le patologie. È do-vuta allo psicologo francese Robert Desoille (1890-1966)questa intuizione, che fu scientificamente accreditata nel1931 dallo psicoanalista Charles Baudouin (1893-1963),intuizione che si tradusse nel metodo psicoterapeutico delRêve-Eveillé Dirigé, ossia del sogno guidato da svegli.Di qui l’importanza di entrare nel riposo notturno in

stato di raccoglimento interiore, così che parole, immagi-ni e sentimenti che ne costituiscono l’esperienza, possanopenetrare in profondità e dalla sfera conscia e subconsciapassare a quella inconscia. È quanto leggiamo in Platone(428/27-348/47 a.C.), quando raccomandava di «arrivareal sonno con l’anima razionale ben vigile, nutrita di benargomentati ragionamenti e ricerche, spingendosi fino allariflessione su se stesso» (Repubblica, IX, 571D-E). In talmodo la preghiera, o meglio lo stato meditativo che ab-biamo raggiunto, opererà nelle profondità dell’anima, cheverrà pervasa dalla «luminosa contemplazione delle realtàdivine» (Filocalia, 2,410) e gli eventuali sogni si riveleran-no «pienissimi dei misteri celesti» (B. Pereira, De observa-tione somniorum, Lugduni 1592, p. 132).La tradizionale preghiera della sera si rivela quindi ricca

di richiami sacrali. Basti citare l’inno della liturgia roma-na che recita in latino: «Te corda nostra somnient, te persoporem sentiant; Te i nostri cuori sognino, / te sentanonel sonno» (la versione italiana purtroppo non segue iltesto latino!). O della liturgia ambrosiana: «Vigil te sensussomniet; vigilando i nostri sensi ti sognino»; «Te alta cordissomnient; Te sognino le profondità del cuore». Per sanPaolo la vigilanza consente di combattere l’agnosía Theou-;l’ignoranza di Dio (1 Cor 15,34).Giovanni Cassiano (360-435), fondatore e legislatore di

monasteri, ci assicura che, quando meditiamo in silenzio,nelle ore notturne, i brani della Scrittura «ci appariranno inuna luce molto più bella. È così che il loro senso più nasco-

sto, quello di cui non abbiamo il minimo sospetto durantela veglia, mentre siamo come sommersi nel sopore, si rivelaalla nostra mente» (Collazioni, 14,10). Non solo, ma «quan-do ci alziamo dal sonno ben disposti … ciò avviene soprat-tutto se ci siamo addormentati in uno stato di molta pre-ghiera» (Giovanni Climaco, Scala del Paradiso, 15,106). Edè quanto san Girolamo (347-420), traduttore della Bibbiaebraica in latino e dottore della Chiesa, raccomandava aisuoi discepoli, che si addormentassero mentre il capo sireclinava, colpito dal sonno, sulla sacra pagina. Una ma-dre di famiglia era solita pregare: «O Dio, mi addormentonel tuo pensiero e nel tuo pensiero mi risveglierò».

convergenza tra le tradizioni religiose

Ciò spiega come per gli antichi l’ingresso nel sonno rive-stisse grande importanza sacrale, un ingresso che si ritene-va fosse propiziato da Ermes/Mercurio, il messaggero deglidèi, definito “apportatore di sonno”. Obbedisce a questavisione una “Sura” del Corano (XXXIX,42). Dopo averedetto che «Allah accoglie le anime al momento della mortee durante il sonno; trattiene poi quella di cui ha deciso lamorte e rinvia l’altra fino a un termine stabilito», aggiunge,in considerazione del rapporto tra il sonno/sogno e lo stes-so Allah: «In verità in ciò vi sono segni per coloro che riflet-tono». Infatti, «secondo la teologia islamica, Allah ricevepresso di sé le anime dei trapassati e quelle dei dormienti»e a questi ultimi il suo Inviato, Maometto (570 ca.-632),raccomanda: «Chi di voi va a coricarsi lo faccia in stato dipurezza rituale… e dica: “Signor mio, muoio e vivo in tuonome; se trattieni la mia anima abbi pietà di essa, se la la-sci andare fa sì che sia protetta come lo sono i tuoi servidevoti”. Per questa vicinanza ad Allah, l’attività onirica dellamente presenta caratteristiche simili alla profezia»: «In ciòvi sono segni», si è detto poco sopra (Il Corano, NewtonCompton, Roma 2006, p. 403). Secondo il Talmud, testonormativo dell’ebraismo, destandosi al mattino il pio israe-lita deve pronunciare questa preghiera: «Benedetto sii tu,o Signore, che risusciti il morto» (Abraham Cohen, Il Tal-mud, Laterza, Bari 2011, p. 121).A questa stregua, Paramahansa Yogananda (1893-1952),

il grande esponente dell’Induismo, raccomandava: «Noncoricatevi la sera finché non avete comunicato conscia-mente con Dio» (L’eterna ricerca dell’uomo, Astrolabio,Roma 1980, p. 255). Il Salmista recita: «Chi abita al riparodell’Altissimo / passerà la notte all’ombra dell’Onnipotente»(Sal 90,1).È stato rilevato che 42 milioni di Italiani su circa 63 dor-

mono male e che 9 milioni soffrono di insonnia (App e sen-sori. Tutto quello che fa dormire, “Il Corriere della sera”,26.1.2018, p. 41). Converrà interrogarci su come facciamoconcreta esperienza delle ore notturne, se è vero quantoafferma il salmista (Sal 126,2), che cioè «invano ci si alzapresto e si va a riposare tardi», quando è Dio a «elargireai suoi amati nel sonno» i doni più preziosi del suo amore!

Antonio Gentili

Eco dei Barnabiti 1/2018

VOCABOLARIO ECCLESIALE

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