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AFGHANISTAN 1934-2014 Eco dei Barnabiti 3/2014 51 I l giorno 1° gennaio del 1933 i padri Egidio Ca- spani ed Ernesto Cagnacci iniziavano ufficialmente a officiare nella Cappella presso l’Ambasciata Italiana a Kabul, dopo un viaggio che li aveva portati da Venezia a Kabul, via Bombay per mare, per treno e per auto. Pio XI, cioè Achil- le Ratti già Prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano, originario di Desio come il p. Caspani, aveva vo- luto proprio lui, padre Egidio, che conosceva anche come studioso, per iniziare una Missione speciale in Afghanistan. Il re dell’Afghanistan, Amanullah, aveva accolto la richiesta dei tecnici e diplomatici cattolici dei paesi occi- dentali, che lavoravano in Afghani- stan, di poter avere un cappellano cattolico per l’assistenza religiosa in un paese irreversibilmente musulma- no dall’epoca della conquista araba. Per riconoscenza verso lo Stato, che per primo aveva riconosciuto l’Af- ghanistan come Stato indipendente affrancatosi dall’Inghilterra, il re si era rivolto al Governo Italiano nel 1922 perché provvedesse alla richie- sta dei tecnici e diplomatici cattolici in Afghanistan. Già dovrebbe far riflettere questa cosa che ha dell’incredibile: uno Stato musulmano chiede, senza con- tropartite religiose, che vi sia un sa- cerdote cattolico per il personale delle Ambasciate straniere e per i tecnici stranieri che lavorano nel proprio paese. E si trattava proprio di quell’Afghanistan, oggi malamente identificato con i talebani, con Al- Qaeda e così via. Da parte sua co- munque, il re Amanullah si sarebbe detto contento se anche qualche Sta- to Occidentale avesse fatto la stessa cosa per i lavoratori musulmani ivi presenti, ma fu comunque molto ge- neroso, senza chiedere alcuna con- tropartita. L’unica vera condizione posta fu di non fare nessuna forma di proselitismo presso la popolazio- ne locale. Gli afghani, comunque, erano e sono oramai atavicamente musulmani, come sono ospitali ver- so qualunque straniero che sappia stare al proprio posto. E i nostri padri l’hanno sperimentato tante volte in questi “80 anni”. i padri fondatori: Caspani e Cagnacci Evidentemente lo Stato Italiano si ri- volse alla S. Sede e, dopo varie tratta- TUTTO È COMINCIATO 80 ANNI FA “80 anni in Afghanistan” è un anniversario: quello dell’arrivo dei Barnabiti in Afghanistan. interno della cappella interno della cappella

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AFGHANISTAN 1934-2014

Eco dei Barnabiti 3/2014 51

Il giorno 1° gennaio del1933 i padri Egidio Ca-spani ed Ernesto Cagnacci

iniziavano ufficialmente a officiarenella Cappella presso l’AmbasciataItaliana a Kabul, dopo un viaggioche li aveva portati da Venezia aKabul, via Bombay per mare, pertreno e per auto. Pio XI, cioè Achil-le Ratti già Prefetto della BibliotecaAmbrosiana di Milano, originario diDesio come il p. Caspani, aveva vo-luto proprio lui, padre Egidio, checonosceva anche come studioso,per iniziare una Missione specialein Afghanistan.Il re dell’Afghanistan, Amanullah,

aveva accolto la richiesta dei tecnicie diplomatici cattolici dei paesi occi-dentali, che lavoravano in Afghani-stan, di poter avere un cappellanocattolico per l’assistenza religiosa inun paese irreversibilmente musulma-no dall’epoca della conquista araba.Per riconoscenza verso lo Stato, cheper primo aveva riconosciuto l’Af-ghanistan come Stato indipendenteaffrancatosi dall’Inghilterra, il re siera rivolto al Governo Italiano nel1922 perché provvedesse alla richie-sta dei tecnici e diplomatici cattoliciin Afghanistan.Già dovrebbe far riflettere questa

cosa che ha dell’incredibile: unoStato musulmano chiede, senza con-tropartite religiose, che vi sia un sa-cerdote cattolico per il personaledelle Ambasciate straniere e per itecnici stranieri che lavorano nelproprio paese. E si trattava proprio diquell’Afghanistan, oggi malamenteidentificato con i talebani, con Al-Qaeda e così via. Da parte sua co-munque, il re Amanullah si sarebbedetto contento se anche qualche Sta-to Occidentale avesse fatto la stessacosa per i lavoratori musulmani ivipresenti, ma fu comunque molto ge-neroso, senza chiedere alcuna con-tropartita. L’unica vera condizioneposta fu di non fare nessuna formadi proselitismo presso la popolazio-ne locale. Gli afghani, comunque,erano e sono oramai atavicamente

musulmani, come sono ospitali ver-so qualunque straniero che sappiastare al proprio posto. E i nostri padril’hanno sperimentato tante volte inquesti “80 anni”.

i padri fondatori:Caspani e Cagnacci

Evidentemente lo Stato Italiano si ri-volse alla S. Sede e, dopo varie tratta-

TUTTO È COMINCIATO 80 ANNI FA“80 anni in Afghanistan” è un anniversario: quello dell’arrivo dei Barnabiti in Afghanistan.

interno della cappella

interno della cappella

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tive – delle quali si occuperanno glistorici –, Pio XI decise per i Barnabiticon l’ormai ben noto: “Qui ci vuoleun Barnabita”. A p. Caspani, in queltempo assistente generale e maestrodei chierici studenti barnabiti del Gia-nicolo, Pio XI affidò la delicata mis-sione di assistenza religiosa per tuttol’Afghanistan, aggiungendovi quellodi studiare a fondo il paese, quandonon sarebbe stato possibile svolgeredel ministero. A nulla valsero le obie-zioni del p. Generale F. Napoli: Pio XIera deciso, fino all’idea di permettereche uno studente del p. Caspani fosseordinato sacerdote con la dispensa al-lora per l’età canonica, pur di permet-tere che un confratello stesse accantoal responsabile della Missione. Così ilp. Ernesto Cagnacci, nella funzioneufficiale di addetto all’Ambasciata Ita-liana sacerdote in incognito, partì colp. Caspani.Furono 15 anni di Missione inten-

sissimi, dal 1932 (se si comprendeanche il lungo viaggio iniziale) al1947, tra mille avventure e difficoltà,delle quali solo qualcosa trasparivanelle cronache, lineari e non prive diumorismo inviate all’Eco dei Barna-biti. Anche le difficoltà economichenon mancarono mai. Non mancòneppure una seconda guerra mon-diale! Ma i pp. Caspani e Cagnaccirimasero là, conquistandosi la fidu-cia e la stima degli europei come de-gli afghani. P. Caspani si accorse su-

bito di una Missione non tradizio -nale; pensò anche a un possibilesviluppo ancora in Birmania, dove sirecò col suo “assistente”, ma la Mis-sione in Afghanistan era stata volutadalla Chiesa: “La Santa Madre Chie-sa chiede che …”, frase che è rivoltaai candidati al sacerdozio nella litur-gia dell’ordinazione sacerdotale. Inquesto caso era stato Pio XI a rivolge-re la stessa domanda ai Barnabiti e,per grazia di Dio, i Barnabiti hannodetto sempre di sì, senza perdersidietro progetti personali o “calcoli dibottega”.Dopo la guerra mondiale l’avvi-

cendamento dei primi due padri eranecessario, anche perché i pp. Ca-spani e Cagnacci non furono manda-ti in Birmania, ma a fondare un’altramissione completamente diversa, ne-gli Stati Uniti. Nel frattempo però erastato raccolto un materiale enorme digeografia, storia, etnografia e tradi-zioni culturali sull’Afghanistan, an-che attraverso documentazione foto-grafica. Tutto ciò confluì nel volumedi Caspani e Cagnacci, Afghanistancrocevia dell’Asia, Vallardi, Milano1951. Per il suo tempo ma anche pervari decenni successivi fu un’operafondamentale sul paese, apprezzataapertamente dalle autorità del Gover-no Afghano e ricercata ancor oggida studiosi italiani e stranieri. Infat-ti, dall’Università di Ca’ Foscari diVenezia e dall’Institut Dominicain

d’Études Orientales (IDEO) del Cairosono venute in questi giorni richiestein tal senso. Gli autori avrebbero vo-luto già allora farne un’edizione ininglese col materiale lasciato in di-sparte, ma tale materiale non è statopiù ritrovato.

il primo avvicendamento:Bernasconi e Boschetti

Nel 1947, dunque partiva per Ka-bul p. Giovanni Bernasconi, che poisarebbe diventato Superiore Genera-le dei Barnabiti per 12 anni, prima diconcludere la sua traiettoria in Brasi-le. Continuò a Kabul e per tutto ilpaese il ministero iniziato dai suoipredecessori, usando l’aereo e tutti imezzi a disposizione per raggiungerei cantieri dei tecnici disseminati inAfghanistan. Allora c’era ancora pos-sibilità di girare in ogni angolo, natu-ralmente sempre col debito permessodelle autorità locali. Forse non ci sirende conto della non ovvietà dellacosa, ma leggendo la documentazio-ne lasciataci da p. Panigati ci si ac-corge dell’importanza e della delica-tezza di un aspetto, che potrebbesembrare scontato. Capace di un finediscernimento politico sugli eventiorientali, dal suo osservatorio di Ka-bul, p. Bernasconi si accorse dellenecessità di una scuola per i bambinidei diplomatici, si mise in contattocon istituzioni laiche già presenti nelpaese e con altre religiose in Paki-stan; allora esisteva già qualcosa del-l’attuale problema del Pashtunistan,ma la celebre strada da Kabul attra-verso il Khaiber Pass fino a Peshawarera percorribile. La scuola era un ser-vizio sociale apprezzato per nazio-nalità e religioni diverse, ed era an-che un mezzo di sostentamento perla vita quotidiana. Fu affiancato dap. Aldo Boschetti, il quale era arriva-to anche viaggiando su un mercanti-le che trasportava dinamite; addettoall’Ambasciata Italiana, sacerdote inincognito, dopo qualche anno fuscoperto: non ci furono incidenti di-plomatici, ma dovette lasciare il pae-se. P. Bernasconi si adoperò per faraccogliere le Piccole Sorelle di Char-les de Foucauld a Kabul: da 60 annisono ancora là e non sono mai venu-te via, neppure nei periodi più terri-bili. Si diede da fare perché il dome-nicano p. Serge de Beaurecueil, isla-mologo affermato e studioso del

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esterno della chiesa

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mistico musulmano afghano Ansari,potesse essere accolto come profes-sore di mistica musulmana all’Uni-versità di Kabul; fu consultato da p. R. Voillaume, fondatore dei PiccoliFratelli del Vangelo, venuto in Afgha-nistan per vedere se fosse stato possi-bile impiantarvi una fraternità, e cosìvia. Tuttavia, l’attività incessante eanche logorante (ambito diplomati-co, scuola, visite pastorali per il pae-se) e i circa 1.800 metri d’altezza diKabul procurarono un grave infarto ap. Bernasconi, che fu “preso per icapelli” da un medico inglese e dal-la comunità internazionale di Kabule restituito ancora vivo ai Barnabitinel 1956.

dalla cappella alla chiesa:Nannetti

Il p. Generale E. Schot, dovettepensare abbastanza in fretta a unasostituzione, per continuare la Mis-sione affidata dalla Chiesa, e potécontare sulla generosa e umile dispo-nibilità di p. Raffaele Nannetti. Que-st’ultimo se la cavava col francese,ma era già abbastanza in panne col-l’inglese! Già, perché in un ambientediplomatico internazionale, con lascuola e gli altri contatti, bisognavaessere almeno un po’poliglotti; i suoipredecessori, senza allargarsi troppoe senza fare sfoggio, se la cavavanoegregiamente con il francese, conl’inglese e con il tedesco. P. Raffaele,dopo un breve corso intensivo sullerealtà afghane con p. Bernasconi, nel1957 si mise di buon impegno, inmezzo a difficoltà economiche nonindifferenti, che pesavano sul bilan-cio anche per la legna durante il lun-go inverno e rigido inverno afghano.Assicurò con la sua costante e pun-tuale presenza il ministero pastoralein tutto il paese, cercò di mantenerela scuola, ma fu particolarmente im-pegnato nella trasformazione dellasede del cappellano nell’Ambasciatae, soprattutto, nella trasformazionedella cappella originaria in una chie-sa vera e propria, più capiente e ade-guata alle esigenze del ministero pa-storale, ma sempre all’interno del-l’Ambasciata Italiana, perché c’era ildivieto assoluto di costruire chiese interritorio afghano. Qualche comunitàdelle Chiese Riformate fece il passopiù lungo della gamba costruendouna chiesa imponente e facendo pro-

selitismo: il Governo Afghano, sem-pre ospitale, fu anche inesorabilecon chi furbescamente veniva menoai patti stabiliti. I Barnabiti ritenneroinvece sempre primaria la consegnadi restare in Afghanistan. Così lanuova Chiesa di Kabul divenne an-che ufficialmente la Chiesa Madredella comunità cristiana in Afghani-stan, con cerimonia ufficiale e lapidecommemorativa il 15 agosto 1960; èdedicata alla Madonna della DivinaProvvidenza, la cui effige era statapresente però fin dal 1933.Con azzeccata espressione, il prof.

V. Cottini, Preside del Pontificio Isti-tuto di Studi Arabi e di Islamistica(PISAI), nella sua prefazione al volu-me “80 anni in Afghanistan” defini-sce i Barnabiti in Afghanistan come i“i parroci di Kabul”. P. Nannetti nonscrisse molte lettere, né sono statetrovate ancora tutte le sue relazioni.Ormai era diventato Superiore Gene-rale p. Bernasconi, il quale capì cheera tempo di far rientrare (1965) p. R. Nannetti; quest’ultimo compre-se che le sue difficoltà linguisticheerano state superiori alla sua disponi-bilità esemplare di religioso: la Mis-sione ha bisogno di questi uominileali, generosi anche oltre le propriecapacità, ma comunque capaci didare continuità ordinaria a un’operapiù grande, che è solo espressione di

un disegno di Dio, non essendo pro-prietà di nessuno.

dalle Ande al Pamir, per un quarto di secolo:

Angelo Panigati

Questa volta il p. Generale avevaavuto tempo di cercare una personaparticolarmente idonea alla Missioneafghana: dopo 15 anni di lavoro inCile, con una buona conoscenza del-l’inglese, del francese, del tedesco,accanto allo spagnolo-castigliano,p. Angelo Panigati era il nuovo italiano– perché tra le condizioni concordatetra la S. Sede, lo Stato Italiano e ilGoverno Afghano c’era che il cappel-lano dovesse essere rigorosamenteitaliano – poliglotta, vivace e intra-prendente, che avrebbe unito benpresto il darì, dialetto farsi di Kabul, ilrusso e il polacco alle lingue già dalui parlate. Rimase in Afghanistan dasolo per 25 anni, dal 1965 al 1990.Per qualche mese talvolta ebbe ac-canto qualcuno (i pp. A. Rizzi, L. Ca-gni e G. Moretti in tempi diversi) co-me ospite aiutante o come sostitutotemporaneo, ma mai stabile. Conp. Caldiroli e p. Erba compì una me-morabile traversata in auto da Firenzea Kabul, via Balcani, Istanbul, Iran(agosto 1973): l’auto si fermò definiti-vamente nel giardino dell’Ambascia-

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ta Italiana di Kabul. Fu testimone del-la progressiva russificazione del pae-se, fino all’invasione dell’Armata Ros-sa, all’epopea della resistenza afgha-na e alle lotte dei “Signori dellaguerra” con i prodromi dei talebani.Quando ormai avrebbe dovuto esseresostituito da p. Giusppe Moretti, un

missile di una delle parti in guerradurante un bombardamento a bassaquota su ciò, che restava dell’Amba-sciata Italiana, riuscì a farlo volareper circa 15 metri da una “stanzaall’altra” fino a sbattere … sul tendo-ne di cuoio che sostituiva il murodella cappella (marzo 1990). In quelcaso aveva funzionato l’intero Paradi-so, e il padre si era messo subito a ta-volino per redigere il diario dellagiornata. A leggere i suoi diari, spesso“diari di guerra e di arresti domiciliariin Ambasciata”, si ha l’impressione diassistere a un film sullo sbarco deimarines nel D-Day, e si scoprono an-che gli orrori di ogni guerra, le soffe-renze della gente, il dono di comeparole, frasi e brani della Bibbia pos-sano trasfigurare una tragedia imma-ne. L’incremento della scuola, la visi-ta puntuale anche dei più impervi di-staccamenti di tecnici nel paese, ilcontatto con la gente del mercato, irapporti con ebrei afghani – ai cui fi-gli insegnava l’inglese – con i sick,con i buddisti, con le varie comunitàdelle Chiese Riformate, una vita pa-storale pro gettata insieme a loro,l’esperienza dell’intercomunione, l’ap-profondimento della conoscenza vi-tale con l’islam afghano, il dialogo

costante interreligioso ed ecumenico,i rapporti diplomatici, l’amicizia e lacollaborazione con il domenicanoislamologo francese, Serge de Beau-recueil, col geologo domenicanoLapparent, la corrispondenza interna-zionale con quanti passavano da Ka-bul fecero della sua esperienza af-

ghana quasi unaleggenda. Il pic-colo padre italia-no arrivava dap-pertutto. Lo cer -cavano anche lemigliaia di giova-ni, che facevanodi Kabul la metadel triste pellegri-naggio verso ladroga in oriente.Per questa ragioneera comparso suirotocalchi ancheitaliani; ma allastampa interna-zionale era moltopiù noto (Washin-gton Post; NewYork Times e cosìvia) come uno dei

maggiori conoscitori viventi del mon-do afghano. Durante la lunghissimastagione delle guerre dopo l’invasio-ne sovietica e il relativo ritiro delletruppe sovietiche, quasi tutti diplo-matici occidentali, italiani compresi,erano scappati; rimanevano quelli deipaesi filo-comunisti. Ma fu un rap-presentate del Governo Afghano e unmedico dell’Ambasciata cinese a ri-metterlo in sesto con l’agopuntura.Nei periodi più bui della guerra il Mi-nistero degli Interni dell’Afghanistansi congratulò con la S. Sede per lapresenza del p. Panigati a fianco del-la martoriata popolazione afghana. Imusulmani schiacciati dal regime so-vietico chiedevano al p. Angelo e allePiccole Sorelle di pregare per loro ...

da liceo di Firenzealla “parrocchia” di Kabul:

Giuseppe Moretti

Dopo 25 anni “in trincea”, p. Pani-gati doveva essere avvicendato, so-prattutto dopo l’ultimo “folle volo”di 15 metri sotto il bombardamentodell’Ambasciata Italiana. Questa vol-ta la successione fu ancor più linea-re. P. Giuseppe Moretti aveva colla-borato ripetutamente per brevi pe-

riodi con p. Angelo a Kabul. Se lacava bene con lingue (è l’unico su-perstite vivente dei “parroci di Ka-bul”). Durante il ventennio di ferro efuoco precedente in Afghanistan,l’attività del “parroco di Kabul” siera così circoscritta da far pensare auna situazione di “arresti domicilia-ri”. Ma il Governo Afghano non ave-va mai rotto il trattato con lo StatoItaliano per il cappellano cattolico:Repubblica Democratica, regime fi-locomunista, Armata Rossa, “Signoridella guerra” locali, nessuno avevavoluto abolire il “parroco di Kabul”.Forse i Governi mutevoli dello StatoItaliano avevano avuto tentennamen-ti, e non solo di natura economica,ma né i musulmani, né i russi aveva-no mai messo in discussione il “pic-colo prete italiano”, o il “Mullah Sahib”, il “Signor prete”, come lochiamavano amichevolmente e conrispetto gli afghani. La S. Sede erastata vicina ai “parroci di Kabul”,magari ne aveva discusso talvolta al-cune scelte pastorali, ma non li ave-va lasciati mai soli. Le nuove genera-zioni di Barnabiti forse hanno cono-sciuto pochissimo della Missioneafghana, ma i Superiori Generali,che si sono succeduti in questi 80anni, hanno sempre tenuto fermo iltimone sull’impegno della Missioneaffidata dalla Chiesa. Così, nel 1989p. Giuseppe Moretti era stato desti-nato alla Missione in Afghanistan, ar-rivandovi comunque dopo il famosobombardamento. Ma i bombarda-menti non erano finiti: infatti, nelgennaio del 1994 p. Moretti era sta-to ferito ed era stato rimpatriato atappe in Italia. A questo punto, il Ca-pitolo Generale l’aveva chiamato afar parte della Consulta Generaliziaper il sessennio fino al 2000: meglioun Assistente Generale vivo, che un “parroco” morto. Poi c’era statol’11 settembre 2001 e la nuova inva-sione della coalizione internazionalenel già martoriato paese. I danni col-laterali dei bombardamenti con idroni, l’atteggiamento spesso laicistadei contingenti come delle autoritàpolitiche occidentali non sono statimolto edificanti per un popolo pro-fondamente religioso, che spesso liaveva bollati come “Kafir astan”(“Sono miscredenti”). Ma, sempresoprattutto da fuori, erano arrivatianche i talebani, “studenti di teolo-gia”, che con l’islam afghano non

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il ministero di P. Panigati

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avevano nulla a che fare. Tuttavia imedia internazionali avevano contri-buito a costruire la leggenda metro-politana di “afghano = talebano”.Con Giovanni Paolo II e il cardinaleC. Sepe a dirigere il Dicastero diPropaganda Fide, p. Moretti tornavanel 2002 a Kabul in veste di Supe-riore Ecclesiastico della “Missio suiiuris”: era la prima forma embriona-le ufficiale di una Chiesa in territoriodi missione, senza clero locale, sen-za fedeli indigeni, ma comunquecon un presenza di cristiani cattolici.Subito p. Moretti si è inserito neiprogetti ricostruzione del paese, finoa far erigere una “Scuola della pace”a Tangy Kalay, non troppo lontanoda Kabul. L’istituzione, inauguratanel 2005, segnava i 70 anni dall’ini-zio della Missione in Afghanistan deiBarnabiti.Inoltre, p. Moretti, raccogliendo

l’eredità di p. Panigati, ha voluto ri-spondere a un accorato appello, forseanche un rimprovero, che un afghanorivolse al p. Panigati durante i tempipiù bui della repressione sovietica:“Perché il Papa non parla mai dell’Af-ghanistan? Se continua questo silen-zio un giorno gli sarà rimproverato!”.Ebbene, il primo Superiore Ecclesia-stico della Missio sui iuris in Afghani-stan ha raccolto tutti gli interventi diGiovanni Paolo II e di Benedetto XVIsu quel paese: una trentina di inter-venti tra il 1980 e il 2011.

per concludere:2 volumi in occasione degli 80 anni

della Missione in Afghanistan

Di tutte queste cose e di molte altreancora è stata data documentazionerigorosa nelle circa 1.400 pagine dei2 volumi, intitolati appunto “80 anni inAfghanistan”, redatti dal Vicario Gene-rale dei Barnabiti, p. F. Papa, dal Supe-riore Generale emerito, p. G. Villa e dap. G. Rizzi. Relazioni, diari, corrispon-denza, articoli, compresa la riedizionedell’ormai introvabile Afghanistan cro-cevia dell’Asia, arricchito di un indi-ce onomastico e toponomastico. Perognuno dei “parroci di Kabul” è statoofferta una sintesi documentata sullaloro percezione dell’islam afghano.C’è infatti un filo d’oro che lega

questi confratelli a una storia spiri-tuale più ampia. Fin dagli inizi, ilp. Caspani aveva capito che per vive-re questa Missione occorreva rifarsi a

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il villaggio in festa

consegna delle chiavi

visione d’insieme della scuola

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una spiritualità specifica, quella diCharles de Foucald, di Louis Massi-gnon (islamologo francese, amico diDe Foucauld), e di altri ancora comeGiulio Basetti-Sani (francescano, di-scepolo di L. Massignon), Mulla Za-

de (di famiglia musulma-na turca, divenuto cri-stiano, sacerdote, profes-sore al Pontificio IstitutoOrientale, consigliere diPio XII), Georges Ch.Anawati (di famiglia gre-co-ortodossa di originesiriana, divenuto dome-nicano, tra i fondatoricon S. de Beaurecueildell’IDEO del Cairo), Lo-uis Gardet (dei PiccoliFratelli del Vangelo, col-laboratore di R. Voillau-me), Abdel Jalil (di fami-glia musulmana maroc-china, divenuto cristianoe francescano), i monacitrappisti di Thibirine ecosì via. Una missionedi condivisione e di te-stimonianza senza an-

nuncio diretto, ma nello scambio diquello, che l’altro mi vuole dare, conciò che può ricevere. Come Paolo,naufrago a Malta negli Atti degli Apo-stoli 28,1-10: un reciproco scambiodi ciò che uno può offrire all’altro e

che l’altro può ricevere,senza evangelizzazionediretta.Lo ripete anche il car-

dinale F. Filoni, Prefet-to della Congregazioneper l’Evangelizzazionedei Popoli, nella sua pre-fazione ai due volumi.Sono i tempi lunghi del-la missione verso l’islam.Ma forse, come già ave-va acutamente intuito p. Panigati, è la chiave divolta anche per la rie-vangelizzazione di unoccidente in crisi religio-sa. Perciò, non chiedete-vi che cosa ci facciamoin Afghanistan e che sen-so ha il nostro continuarea dire di sì alla Chiesa. IlQoelet risponderebbe:“Simili domande non so-no ispirate a saggezza”(cfr. Qo 7,10).Papa Francesco ha avo-

cato a sé le decisioni sututte le forme di “Missiosui iuris” presenti ogginella Chiesa cattolica. IBarnabiti hanno già indi-cato chi prenderà ora il

posto di p. Giuseppe Moretti. Abbia-mo già detto il nostro sì. Poi il Signo-re si farà strada come sempre.

Giovanni Rizzi

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in ricordo dei caduti

le bambine frequentano la scuola

1° volume della Missionein Afghanistan in occasionedegli 80 anni

2° volume della Missionein Afghanistan in occasionedegli 80 anni