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I BARNABITI E DANTE Eco dei Barnabiti 3/2015 58 N on sappiamo, an- che se è probabi- le, se Dante sia andato o abbia soggiornato presso qualche convento (chi non ricorda l’incontro con fra- te Ilario a Bocca di Magra?); qui seguiamo però il cammino inverso che vede il convento con i suoi frati andare metafo- ricamente a trovare Dante nel suo mondo poetico e ivi fare soggiorno. Il culto di Dante ha avuto e ha tuttora, per così dire, i pro- pri santuari a lui dedicati: sono i cenacoli letterari, le associa- zioni, i centri culturali; ma la rassegna non sarebbe comple- ta se dimenticassimo i conven- ti, quali centri di interessi dan- teschi, in particolare quelli in cui erano attivi collegi e istituti scolastici, spesso definiti come studentati, che potevano vanta- re docenti di prim’ordine, pre- ziose biblioteche, laboratori scientifici, musei di storia natu- rale… una vera ricchezza. Infatti, memori della più che millenaria e benemerita attività culturale e scientifica di tanti e insigni uomini di Chiesa, alcuni istituti reli- giosi svolgevano attività educativa presso i propri conventi dove erano annesse scuole nelle quali operavano come insegnati dei docenti apparte- nenti all’Ordine stesso ed esperti nelle varie letterature, da quella greca e lati- na a quella italiana e europea, e nelle discipline scientifiche, matematiche, fisiche e naturali; spesso personaggi eminenti nei vari ambiti del sapere per opere, scoperte, invenzioni e brevetti. l’incitamento del Tommaseo In particolare il culto di Dante, co- me era ovvio, primeggiava nei collegi presenti in Firenze, e del resto c’era da aspettarcelo; ma era comune in tutte le strutture scolastiche religiose, in os- sequio all’incitamento scultorio di Niccolò Tommaseo per cui «leggere Dante è un dovere, ri- leggerlo è un bisogno, sentirlo è un presagio di grandezza», nel senso che chi è nell’idem senti- re con il Poeta non può alber- gare nel proprio cuore che sen- timenti elevati e magnanimi. Il culto di Dante praticato nei collegi non era che un partico- lare aspetto del più generale culto verso il Poeta che conta- giava vastissimi strati della po- polazione; anzi ci fu un lettera- to che volle invogliare il famoso e popolare editore romano Edo- ardo Perino (1841-1895) a di- vulgare l’opera dantesca presso il più vasto pubblico. Questi, quantunque sfruttasse il cattivo gusto e la curiosità morbosa di certi lettori con volgari pubbli- cazioni a dispense, volle acco- gliere il suggerimento del lette- rato. Pubblicò la Vita Nuova dell’Alighieri e altre sue Rime, con un titolo però che solleti- casse la suddetta curiosità pru- riginosa, così che ne venne fuo- ri un volume in grande formato: Gli amori di Dante raccontati da lui medesimo (1888). Possiamo ag- giungere una divertente curiosità: il Pe- rino arrivò a concepire il progetto di pubblicare con il titolo stuzzicante I vi- zi e le orge di sant’Agostino le incante- voli e profonde Confessioni. Ma chiudiamo questa parentesi, es- sendo arrivato il momento di passare in rassegna i principali mattatori dan- teschi dell’Ordine religioso dei padri Barnabiti, illustrando brevemente i la- sciti in argomento tra i più significati- vi. Forse alcuni di questi nomi non diranno nulla a molti, ma non è un buon motivo per non farli conoscere, anche se rimandano ad anni lontani. i mattatori danteschi del nostro Ordine Il primo che incontriamo e Timoteo Bertelli (Bologna, 1826-1905), figlio DANTE IN CONVENTO Una vivace e appassionata rassegna dei principali interpreti danteschi tra i barnabiti, che ne illustra brevemente i più significativi lasciti in argomento. frontespizio dell’edizione de “Gli amori di Dante” apparsa a Roma nel 1888 per i tipi di Edoardo Perino p. Timoteo Bertelli

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I BARNABITI E DANTE

Eco dei Barnabiti 3/201558

Non sappiamo, an-che se è probabi-le, se Dante sia

andato o abbia soggiornatopresso qualche convento (chinon ricorda l’incontro con fra-te Ilario a Bocca di Magra?);qui seguiamo però il camminoinverso che vede il conventocon i suoi frati andare metafo-ricamente a trovare Dante nelsuo mondo poetico e ivi faresoggiorno.Il culto di Dante ha avuto e

ha tuttora, per così dire, i pro-pri santuari a lui dedicati: sonoi cenacoli letterari, le associa-zioni, i centri culturali; ma larassegna non sarebbe comple-ta se dimenticassimo i conven-ti, quali centri di interessi dan-teschi, in particolare quelli incui erano attivi collegi e istitutiscolastici, spesso definiti comestudentati, che potevano vanta-re docenti di prim’ordine, pre-ziose biblioteche, laboratoriscientifici, musei di storia natu-rale… una vera ricchezza.Infatti, memori della più che

millenaria e benemerita attivitàculturale e scientifica di tanti e insigniuomini di Chiesa, alcuni istituti reli-giosi svolgevano attività educativapresso i propri conventi dove eranoannesse scuole nelle quali operavanocome insegnati dei docenti apparte-nenti all’Ordine stesso ed esperti nellevarie letterature, da quella greca e lati-na a quella italiana e europea, e nellediscipline scientifiche, matematiche,fisiche e naturali; spesso personaggieminenti nei vari ambiti del sapere peropere, scoperte, invenzioni e brevetti.

l’incitamento del Tommaseo

In particolare il culto di Dante, co-me era ovvio, primeggiava nei collegipresenti in Firenze, e del resto c’era daaspettarcelo; ma era comune in tuttele strutture scolastiche religiose, in os-sequio all’incitamento scultorio di

Niccolò Tommaseo per cui«leggere Dante è un dovere, ri-leggerlo è un bisogno, sentirlo èun presagio di grandezza», nelsenso che chi è nell’idem senti-re con il Poeta non può alber-gare nel proprio cuore che sen-timenti elevati e magnanimi.Il culto di Dante praticato nei

collegi non era che un partico-lare aspetto del più generaleculto verso il Poeta che conta-giava vastissimi strati della po-polazione; anzi ci fu un lettera-to che volle invogliare il famosoe popolare editore romano Edo-ardo Perino (1841-1895) a di-vulgare l’opera dantesca pressoil più vasto pubblico. Questi,quantunque sfruttasse il cattivogusto e la curiosità morbosa dicerti lettori con volgari pubbli-cazioni a dispense, volle acco-gliere il suggerimento del lette-rato. Pubblicò la Vita Nuovadell’Alighieri e altre sue Rime,con un titolo però che solleti-casse la suddetta curiosità pru-riginosa, così che ne venne fuo-ri un volume in grande formato:Gli amori di Dante raccontati

da lui medesimo (1888). Possiamo ag-giungere una divertente curiosità: il Pe-rino arrivò a concepire il progetto dipubblicare con il titolo stuzzicante I vi-zi e le orge di sant’Agostino le incante-voli e profonde Confessioni.Ma chiudiamo questa parentesi, es-

sendo arrivato il momento di passarein rassegna i principali mattatori dan-teschi dell’Ordine religioso dei padriBarnabiti, illustrando brevemente i la-sciti in argomento tra i più significati-vi. Forse alcuni di questi nomi nondiranno nulla a molti, ma non è unbuon motivo per non farli conoscere,anche se rimandano ad anni lontani.

i mattatori danteschidel nostro Ordine

Il primo che incontriamo e TimoteoBertelli (Bologna, 1826-1905), figlio

DANTE IN CONVENTOUna vivace e appassionata rassegna dei principali interpreti danteschi tra i barnabiti, che neillustra brevemente i più significativi lasciti in argomento.

frontespizio dell’edizione de “Gli amori di Dante”apparsa a Roma nel 1888 per i tipi di EdoardoPerino

p. Timoteo Bertelli

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di un professore di astronomia: lasua biografia è presente nel Diziona-rio biografico degli italiani della Trec-cani, e a lui è dedicata una via in Fi-renze. Insegnò a lungo fisica e mate-matica nel collegio fiorentino “AllaQuerce”. Fu un illustre fisico e si-smologo, autore di brevetti. Dei suoiinteressi danteschi si cita una disser-tazione Sopra una terzina di Dante,la prima terzina del Purgatorio.Al quasi coetaneo Francesco Saverio

Cuttica (Torino, 1817-1879) si deveuna Dissertazione intorno a una erro-nea interpretazione della terzina “Tuse’ lo mio maestro” (Inf. I,85), nonché

un Saggio di studi su Dante del 1877.A questo religioso si devono anche di-versi sonetti di circostanza.Incontriamo successivamente un

altro scienziato, Camillo Melzi d’Eril(Pisa, 1851-1929), che insegnò mate-matica e fisica al collegio “AllaQuerce” di Firenze, del cui osserva-torio astronomico fu direttore. Fupresidente della Società astronomicaitaliana, autore di un trattato di trigo-nometria e si qualificò come studio-so di cosmologia. Autore di una cin-quantina di opere a stampa e titolaredi diversi brevetti, si interessò dellavisione cosmologica della Comme-dia e a lui è dovuto uno studio del1905 su Alcune date dantesche se-condo le Tavole Alfonsine.Alessandro Ghignoni (Roma, 1857-

1924) si laureò in lettere antiche cheinsegnò a lungo al collegio fiorenti-no. Fu anche appassionato di musicae compositore. Può essere considera-to un dantista di professione se si tie-ne presente la sua notevole produ-zione, in scritti, conferenze e Lectu-rae. Si citano di lui delle Postilledantesche pubblicate dall’editoreBarbera nel “Giornale storico dellaletteratura italiana”. Molto articolataè la sua Lectura Dantis genovese sulcanto VI dell’Inferno, che definisceuno dei più umani del Poema, cantoappassionatamente patriottico di de-nuncia delle discordie civili che offreil destro all’autore di imbastire tantiinteressanti collegamenti con altriCanti. Il Ghignoni nel 1906 fu a Sar-zana a commemorare il centenariodella dimora di Dante in Lunigianacon un’ampia dissertazione su Uomi-ni ed eroi. Quello che non muorenell’opera di Dante.Il barnabita si sofferma sugli ele-

menti che ritiene immortali dell’ope-ra dantesca, e cioè il fatto di rendercicontemporanei ai suoi personaggi,alla loro multiforme personalità eall’attualità che rivestono ai nostriocchi. I personaggi danteschi sonovivi perché incarnano delle idee e leidee di Dante ci appassionano per-ché incarnate in personaggi vivi (al-tro che “Gazzetta fiorentina” su cuiironizzava Voltaire). A parte que-st’aspetto, padre Ghignoni sottolineala perfezione formale che dà formadi insuperata bellezza al pensiero. Etutto questo attraverso terzine onni-potenti, terzine – così afferma – chediventano tremende come anatemi,

squillanti come trombe, plebee dipopolano buon sangue. Infine l’unitàstilistica, l’intima armonia del tuttosenza cadere in una stucchevoleapologia in prosa, in un seccante po-lemista in versi, un predicatore instrofe, insomma un insopportabilecastigo di Dio.Al Ghignoni si devono ancora in-

terventi sui Canti I e XIII dell’Inferno,mentre assai articolata è la lettura delCanto XXXI, quello dei giganti edell’arrivo del Poeta al fondo del ba-ratro infernale. Si tratta di una letturatenuta nel 1901 alla Società dantescadi Firenze che consente all’autore diripercorrere l’itinerario dell’Alighieriattraverso i passi più significativi.

Qui, cronologicamente, dovremmoparlare del padre Giovanni Semeria,il più umanamente vicino a Dante e anoi, ma lo lasciamo per ultimo.Quindi proseguiamo nell’elenco de-gli appassionati dantisti tra i padriBarnabiti, citando il celebre Giusep-pe Boffito (Gavi, 1869-1944), presen-te nel Dizionario biografico dellaTreccani, a lungo insegnante presso ilcollegio fiorentino, bibliofilo, biblio-grafo, grecista, storico della scienza edella tecnica, dantista attento ancheagli spetti scientifici, cosmologici egeografici del Poema. Autore di studisulla cosmologia, geodesia e meteo-rologia in Dante, nonché sulla Episto-la a Cangrande della Scala. Insiemeal già visto Melzi d’Eril fu autore di

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p. Camillo Melzi d’Eril

p. Alessandro Ghignoni

p. Giuseppe Boffito

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un Almanacco dantesco pubblicatonel 1908 da Leo Olschki. In collabo-razione con E. Sanesi, il celebre bi-bliofilo nel 1905 diede alle stampeuno studio su La geografia di Dantesecondo Edoardo Moore.La nostra rassegna incontra ora il pa-

dre Angelo Leone (Noci, 1871-1908),insegnate di lettere alla “Querce”,autore di Osservazioni sulla topogra-fia morale dell’Inferno dantesco, del1898; di Di alcune teorie cosmologi-che di Dante – A proposito di unacontraddizione scoperta tra i versi121-123 dell’ultimo Canto dell’Infer-no e i versi 124-126 del Canto VII delParadiso del 1902; di A proposito diun recente articolo sulla “corda”; einfine di Note dantesche. Ancorad’alcune teorie cosmologiche.Come si vede da questo autore e

da alcuni che lo precedono, anchepresso i padri Barnabiti era notevolel’interesse sulla geografia, struttura edimensioni dell’universo dantesco,interesse che risaliva come minimoal Quattrocento. Infatti a quell’epocapuò datarsi la nascita di quella curio-sa, particolare sezione della stermi-nata letteratura dantesca che sono glistudi scientifici, fisici, matematici egeometrici del Poema sacro.Adesso è il turno di Domenico Bassi

(Siena, 1875-1940), purtroppo, a quan-to pare, l’ultimo dantista dell’Ordine,almeno per ciò che riguarda opere astampa; personaggio presente nel Di-zionario biografico, pedagogista insi-gne, filosofo studioso di Epitteto esant’Agostino, a lungo anch’egli inse-

gnante alla “Querce”. Come studiosodel Poeta fu autore di un testo su Lapovertà in Dante e in san Francescoe in particolare di due veri e proprilibri sulla figura di Maria Vergine nel-la Divina Commedia: Maria nel poe-ma di Dante (Libreria editrice fioren-tina) del 1931 e il precedente Il mesedi maggio con Dante del 1921 (editodall’Opera nazionale per il Mezzo-giorno d’Italia).

le “Lecturae” di padre Semeria

Ed eccoci giunti al padre Giovan-ni Semeria, la cui attività dantescalo ha visto protagonista tra l’Otto-cento e i primi decenni del Nove-cento. Figura molto popolare di re-ligioso, uomo di cultura e di carità,il padre Semeria nacque a Coldirodiin quel di Imperia nel 1866 e morìnel 1931. Il suo corpo riposa inMonterosso al Mare, luogo che an-cora oggi ricorda la sua benemeritaattività caritativa a favore degli orfa-ni di guerra. Infatti dopo avere rico-perto il ruolo di cappellano militarepresso il Comando supremo durantela Grande Guerra, fondò insieme apadre Giovanni Minozzi l’Operanazionale per il Mezzogiorno d’Ita-

lia, tutt’ora attiva in una cinquanti-na di strutture.Fu un uomo, per quei tempi, mo-

dernissimo in pensiero e azione, an-che se l’aspetto sembri invece retro-cederlo a un’età in cui non era statoancora introdotto in Europa l’usodel pettine e del rasoio. La sua atti-vità si svolse in particolare a Geno-va dove istituì le “Letture dante-sche”, fondò anche la gloriosa GOG(Giovine Orchestra Genovese) e fuprotagonista di diverse iniziativeculturali e filantropiche. Le sue con-ferenze e la sua predicazione godet-tero di risonanza nazionale. Semeriafu uno tra i Barnabiti cui si devonoalcuni tra i più numerosi contributidanteschi. Inoltre la biografia delloscarmigliato frate ha tanti risvoltidanteschi, dal doloroso esilio edall’ipocrisia della quale fu vittima,che rendono più partecipi, vibrantidi sofferta umanità, i suoi scritti sul-la persona, la vita e l’opera del Poe-ta. Biografia e letteratura si mescola-no in un intreccio che coinvolge ecommuove. Si tratta di un personag-gio di grande spessore culturale eumano, intelletto aperto alla moder-nità e alle sue istanze, grande esti-matore di scienza e scienziati.

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p. Domenico Bassi

frontespizio del “Saggio di uncommento scientifico della DivinaCommedia” del p. Giovanni Boffito

frontespizio dell’opera del p. Semeria“La Vergine e Dante”

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A parte scritti minori come Semplifi-cazione della dantologia e uno studiosulle Opere minori di Dante, i contri-buti maggiori del barnabita ligure pos-sono essere così riassunti: L’omaggiodel genio a Maria – Dante e Manzoni;La Vergine e Dante; Il canto della sa-pienza (Par. XII); Il canto della fede(Par. XXIV); Dante – L’uomo e il poetanella cornice dei suoi tempi (LecturaDantis genovese, 1904); Dante, i suoitempi e i nostri (Lectura Dantis in Or-sanmichele, 1905); Canto XXIII dell’In-ferno (Lectura Dantis genovese, 1906);La preghiera di Dante a Maria (1921);S. Francesco d’Assisi commemorato daDante Alighieri nel Canto XI del Paradi-so (Opera nazionale per il Mezzogior-no d’Italia, 1926); infine Il Purgatorionelle definizioni poetiche di Dante.Questi testi semeriani, insieme ad alcu-ni contributi del padre Domenico Bassisono stati utilizzati nel 1965 in un nu-mero monografico dell’“Eco dei Barna-biti” come base di riflessione duranteun Maggio con Dante, in occasionedel centenario della nascita del Poeta.Diverse sono le osservazioni che il

religioso dedica all’opera dantesca. In-tanto nota che il poema, così profon-damente italico e paesano, interessagli uomini d’ogni nazione civile, qualericonoscimento dell’importanza e delculto mondiale che esso riscuote. Dan-te è sì poeta intimamente radicato nelsuo tempo, ma insieme così lar-gamente di tutti i tempi tantoche tutte le generazioni lo stu-diano e lo amano.Ciò significa dire che la Com-

media non è un esercizio ar-cheologico, bensì opera densad’interesse e di vita; i personag-gi e le loro vicende, come si ègià notato, sono di allora mapure di adesso; vicende nostreche ci intrigano e avvincono.Acutamente Semeria ravvisa inDante il precursore di Galileoin quanto propugnatore di unascienza nutrita di fatti senza ri-nunciare alla luce delle idee.L’Italia, prosegue, può vantarsidi aver dato al mondo modernonon solo in Colombo e in Gali-leo i due scopritori più arditi epiù fortunati, ma anche in Dan-te il loro profeta.

povertà e ipocrisia

Conviene limitare ora la no-stra attenzione su due argomen-

ti trattati dal barnabita (cfil saggio San Francescod’Assisi del 1941, e la Lec-tura Dantis sugli ipocriti:Canto XXIII dell’Inferno,1906). Parlando del “Po-verello”, Semeria ha occa-sione di delineare il verosignificato della povertàevangelica, che non puòconsistere nell’esaltare ciòche la Chiesa combatte dasecoli (ed egli stesso com-batté a favore degli orfanidi guerra), e cioè lo statodi indigenza che intristiscela vita umana, ma concer-ne quel tipo di povertàche consiste nel non esse-re schiavi della ricchezzae del lusso, nell’osservareun moderato e indispen-sabile uso dei beni mate-riali. Dante stesso loda laparsimonia dei romani,accennando al buon Fa-brizio che «con povertàscelse di essere virtuoso»(Purg. XX,25), connotandoil proprio costume di vitada austerità e severità, dasemplicità di mezzi chetemprano lo spirito e irrobu stisconol’organismo. Ma pure le matrone roma-ne, a detta del Poeta, erano sobrie: «le

romane antiche per lor bere / contentefuron d’acqua» (Purg. II,145), e quindilontane dal «voler seguitar la gola oltre

misura» (Purg. XXIII,65). Unaparsimonia della quale si elogiala presenza anche nei conventi:valga per tutti la menzione di unpersonaggio dantesco tra i piùcelebri, Pier Damiani, che tiravaavanti unicamente «con cibi diliquor d’ulivi» (Par. XXI,115), percui la fame cessi e il suo soddi-sfacimento abbia termine quan-do si sia mangiato ciò che è giu-sto: «esuriendo [avendo fame]sempre quanto è giusto» (Purg.XXIV,154).Ci sia consentita a questo

punto una digressione non deltutto fuori tema. Nel celebrecanto XI del Paradiso Danteelogia insistentemente e, peralcuni critici, oltre misura, lapovertà di san Francesco. Inquesta sottolineatura esageratae ripetuta, Manfredi Porena, nelsuo profondo commento allaCommedia, vede un ennesimosfogo, una ulteriore occasioneche il Poeta, con inestinguibile

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Giovanni Stradano (Jan Van der Straet, sec. XVI),raffigurazione degli ipocriti

frontespizio del numero unico che il p. Semeriadedicò alla figura di San Francesco nel cantoXI del Paradiso

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rancore, non si lascia sfuggire nel darela stura alla sua acredine contro gli ec-clesiastici del tempo, trascurando dicantare le altre molteplici suggestionidell’incantevole messaggio del grandesanto d’Assisi: suggestioni che si rica-vano anche alla sola lettura del Canti-co delle Creature, quali l’incanto delcreato, l’amicizia del cosmo, il teneroamore per la famiglia d’erbe e di ani-mali, la carità, il perdono, l’attesa sere-na da parte del giusto del gran giornoche non avrà domani.Giovanni Papini, nel suo delizioso

Dante vivo, trova che un conto è parla-re della povertà di Francesco e un altropaio di maniche quando la povertà èla sua, di Dante. In base alle conside-razioni fatte più sopra circa la naturadella povertà evangelica, possiamo co-munque evitare di dare dell’ipocrita aDante quando, da una parte, elogiacon toni melodrammatici la povertàdel santo d’Assisi, ma dall’altra, comedetto, non appena la povertà toccava alui, ahi, ahi, ahi, fieramente e dolorosa-mente dà in alti lai. Lai che risuonanoamari sia nella Commedia stessa là do-ve in versi memorabili e toccanti ac-cenna al sapore di sale del pane accat-tato dal povero sulle altrui scale, sia,più esplicitamente, vuoi nel Convivioche nelle Epistole. Ad esempio nelConvivio accenna alla «pena d’essilioe di povertate» (I, III, 3) che lo costrin-ge a condurre una vita di peregrino,quasi mendicando (id., 4). Uno statod’animo amaramente riecheggiato nelricordo di Romeo di Villanova: «pove-ro e vetusto, mendicando sua vita afrusto a frusto» (a tozzo a tozzo, Par.VI, 140). Dante si considera «gettatoqua e là dal vento secco che vapora ladolorosa povertate» (Convivio, I, III, 5).Se dal Convivio passiamo alle Epistole,il Poeta lamenta la «inopinata pauper-tas quam fecit exilium; l’inattesa pover-tà che comporta l’esilio» (Ep. II, 7, let-tera di condoglianze per la morte di unconte di Romena alle cui esequie nonpuò partecipare impedito appunto dal-le sue condizioni economiche). Inoltrenell’Epistola XIII, 88 a Cangrande dellaScala, lamenta che la «rei familiaris an-gustia; la ristrettezza della gestione fa-miliare» non gli consenta di dilungarsinell’argomento in discussione. E anchequando assicura che nell’esilio non glimancherà certamente il pane, comescrive nella splendida, fiera e dramma-tica Epistola XII, all’amico fiorentinodove esprime più una dolorosa speran-

za che un apparente certezza: «Quip-pe nec panis deficiet; dal momentoche il pane non manca».Passiamo ora agli ipocriti del Canto

XXIII dell’Inferno, condannati a unfaticoso cammino, nascosti sotto pe-santissimi mantelli di piombo. L’ar-gomento induce il padre Semeria aun momento di legittimo sfogo, nonlasciandosi scappare l’occasione di

dire la sua su quell’ignominioso pec-cato e pertanto ha modo di manife-stare il suo offeso e esacerbato ani-mo contro quel degradante vizio del-l’ipocrisia del quale è stato vittimaper tanti terribili anni della sua vita.A Dante possono essere accreditati

quanti vizi vogliamo, dalla superbia,di cui sinceramente si dichiara lui stes-so colpevole, alla faziosità di chi vole-va annegassero in Arno tutti i Pisani esi dessero fuoco da soli i Pistoiesi, manon certo l’ipocrisia cui riserva la pu-nizione esemplare del citato Canto;per questo Semeria lo sente tanto a sévicino, perché fu vittima di troppi se-polcri imbiancati, spesso in tonaca,durante la bufera del “modernismo” dicui fu ingiustamente accusato.Tornando agli ipocriti della Com-

media, non è un caso che incontran-doli nella sesta bolgia Dante pensi eraffiguri i colpevoli del tristo peccatocome personaggi di Chiesa, rappre-

sentando quei dannati sotto pesantitonache monacali. Quello dell’ipo-crisia dei religiosi è comunque un to-pos trito e ritrito, un luogo comune,quasi una banalità, topos costantenella letteratura e in tanto comunesentire. Per rimanere al Trecento, ciinzuppa con voluttà anche Dante, ol-tre che nella Commedia, con beceroanticlericalismo pure nel Fiore, conterzine sguaiate (se egli è l’autore diun’opera tanto squallida e degradan-te che molti critici si rifiutano di attri-buire a chi scrisse la Commedia).

una produzione minore

Se gli studiosi che abbiamo passatoin rassegna rappresentano il megliodella tradizione dantesca tra i Barna-biti, non vogliamo omettere per com-pletezza altri dati, non senza accen-nare ai frequenti “Trattenimenti acca-demici” tenuti dagli alunni dei collegidell’Ordine e aventi come argomentola Commedia e il suo autore.Andando in ordine cronologico, il

genovese Luigi Sambuceti (1721-1791) indirizzò una Lettera a unamico che aveva Dante in poco pre-gio, il cui autografo si conservanell’Archivio del Collegio S. Luigi diBologna. Ci auguriamo venga rin-tracciato e pubblicato. Nel secolosuccessivo, padre Francesco Denza(1834-1894), il cui nome è legatoalla fondazione della Specola Vati-cana, scrisse un saggio su Dante el’astronomia (1873). Dopo di lui, unbarnabita francese, Fortunato Palho-ries (1878, poi secolarizzato) illustròDante et sa Divine Comédie (1931).Un altro genovese, che rivendicò aCristoforo Colombo il titolo di “sco-pritore” dell’America, padre Gio-vanni Battista Spotorno (1788-1844)pubblicò nel “Giornale linguistico”della città un contributo Sopra lebellezze di Dante. Infine Carlo Stel-lati (1814-1889) ha lasciato un ma-noscritto dal titolo Del concetto e degli intendimenti della DivinaCommedia, con la interpretazionedelle prime allegorie e di più altriluoghi del Poema. Ci auguriamo chela tradizione di studi danteschinell’Ordine abbia a proseguire neltempo, anche in vista del prossimocentenario della morte del Poeta(1321-2021).

Giovanni Gentili

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p. Francesco Denza

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