Bauman, le vespe ed una barca a Panama

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    Amaltea Trimestrale di cultura Anno IV, Numero due, giugno 2009 //4

    Vito De Giusep p e

    Bauman, le vespee una barca a Panama

    Un sibilo, un ronzio lontano, un suono sor-do che si fa sempre pi acuto, man manoche mi avvicino di soppiatto al cespuglio.Tutto intorno a me unorgia di colori vi-vaci. Il verde smeraldo dell'erba, il rossoacceso dei papaveri, il bianco leggero deltarassaco, le diverse tonalit del marronesul tronco degli alberi che con la loro chio-ma oscurano il colore dei cespugli che na-scondono il blu scuro delle more e dei mir-tilli che si affacciano dai rovi del cespuglioverso cui mi dirigo.Il suono si fa sempre pi forte fino a diven-tare quasi un frastuono, ma non fastidio-so. ciclico, ripetitivo ed ha un effetto ip-notico.Senza spostare i rami che si affaccianoverso di me, sporgo la testa oltre il bordosuperiore del groviglio di rovi e foglie, doveuno spettacolo che mi lascia senza parolesi propone ai miei occhi.Un nugolo dinsetti dal corpo bruno constrisce gialle che corrono orizzontalmenteper il corpo, volano intorno ad un sasso,posto ai piedi del cespuglio, su cui si nota-no le piccole cellette esagonali che costitui-scono il loro nido.I loro movimenti sembrano in perfetta sin-tonia. Volano come se rispondessero a re-gole precise, come se ci fosse un disegnopreciso in ogni loro pi piccolo movimento.Questo ricordo compare improvviso, comeun flash, mentre, seduto in studio alla mia

    poltrona preferita, sotto la lampada a mu-ro, leggo sul portatile un testo breve di

    Bauman: Le vespe di Panama 1. Appenatrentadue pagine in formato elettronico.Mi stato segnalato da un carissimo ami-co. Naturale conseguenza di una riflessionemattutina sulla condizione socio-politica incui viviamo e sulle possibili scelte di gover-nance che potrebbero essere ipotizzate.Leggendo ripercorro mentalmente gli scon-tri avvenuti durante il G20 a Londra.E' un susseguirsi di pensieri e immagini: lacrisi economica, l'edonismo reganiano deglianni ottanta, la reganomics, la scuola diChicago e le privatizzazioni inglesi voluteda Margaret Thatcher, Primo ministro In-glese che govern la Gran Bretagna dal1979 al 1990.Ronald Reagan vinse le elezioni presiden-ziali degli Stati Uniti nel 1980, incarnandolidea che non fosse disdicevole inseguirelabbondanza e che anzi, obbligo etico deicittadini dei paesi pi avanzati fosse pro-prio quello di accumulare beni e denaro.Jimmy Carter perse quelle elezioni predi-cando invece il rischio connesso a uno svi-luppo economico che non tenesse contodella sostenibilit ecologica e sociale.Un turbinio convulso che non riesco a fer-mare, poi il ricordo del nido di vespe os-servato tanti anni fa, quando la curiositda bambino di otto anni mi spinse versoquel ronzio che avrebbe dovuto preoccu-parmi e invece mi catturava, sinterrompee riprendo a leggere il testo di Bauman.

    1 Z. Bauman, Le vespe di Panama , Latera, Bari 2007.

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    L'economia della nostra societ stata for-temente saldata negli ultimi trentanni, at-torno a principi fondamentalmente indivi-dualistici, in cui il mercato e le sue norme,in pratica quelle che regolano il gioco delladomanda e dell'offerta, hanno organizzatoe determinato le scelte di vita e politicadinteri gruppi sociali.L'uomo ha smesso di essere animale socia-le per diventare consumatore.Il senso e il significato della sua esistenzasono attribuiti sulla base della sua capacitdi consumare: tanto pi si consuma, tantopi si esiste.La quantit di cibo, automobili, elettrodo-mestici, abbigliamento, scarpe e quant'al-tro danno il senso della misura della pro-pria competenza a stare all'interno del

    gruppo sociale.Il consumo prevede una domanda che de-ve essere esaudita con unofferta di beni ei produttori rispondono a questa richiesta.Produrre il pi possibile, senza limiti, perfar consumare il pi possibile, stato l'im-perativo categorico insieme alla massimiz-zazione dei profitti: ottenere il massimo ri-sultato con il minimo mezzo.In unottica di questo tipo c' solo un modoper massimizzare il profitto: abbattere icosti di produzione, cercando aree produt-

    tive in cui i costi per produrre beni siano ipi bassi.Questo pu accadere solo in luoghi in cui lapovert tale che le regole di tutela dei la-voratori sono facilmente sacrificabilisullaltare del profitto, illudendo il lavorato-re che gli si stia invece offrendo la sua so-pravvivenza economica, permettendogli didiventare consumatore esso stesso.Di fronte alla scelta tra il morire di fame oil sopportare condizioni di lavoro ai limitidell'umano, pur di avere qualcosa da man-giare, la scelta sempre molto facile.Gli umani, ma gli animali in genere, scel-gono sempre la minima possibilit di so-pravvivenza, anche se rischiosa, alla mortecerta, questo perch rispondono a quelloche un istinto primario di adattamentoall'ambiente, una pulsione biologica irre-frenabile e incontrollabile: l'istinto di so-pravvivenza.Mantenere al di sotto di certi standards divita gli esseri viventi, comporta una mag-giore facilit di controllo da parte di chiprospetta, seppur minime, possibilit disopravvivenza.Lo spostamento in aree depresse da un

    punto di vista socio-economico, della pro-duzione industriale favorisce la massimiz-zazione dei profitti, poich si assicurano li-velli minimi di sostentamento alla popola-zione, in cambio di manodopera a bassocosto.Le multinazionali si assicurano cos grossefette di mercato con prodotti che assicura-no profitti elevatissimi, pur avendo costi diproduzione molto bassi.Perch tutto questo funzioni si ha bisognoper di un controllo capillare della popola-zione che deve essere mantenuta in unacondizione di costante sottosviluppo, chepu quindi essere gestito nei termini difornire ricchezza cui pochi possono accede-re, a scapito dei molti che ne sono inveceesclusi.

    Spesso si confonde il consumo con il con-sumismo. Il consumo un'azione che tuttigli esseri viventi attuano. Consumiamo,l'ossigeno, consumiamo il cibo, consumia-mo l'acqua, ma in natura nulla si crea enulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Incosa si trasforma per un'altra questio-ne.Siamo capaci di trasformare l'ambiente,ma ci che otteniamo non riutilizzabile,perch non questo lo scopo. Produciamoper vendere, quanto pi possibile, non per

    riciclare.Questo crea comportamenti che si rivelanoper essere disfunzionali, rispetto alle strut-ture biologiche organizzate nel corso dimillenni di evoluzione, sviluppando patolo-gie che possono essere tranquillamente i-dentificate come il risultato di un modellosociale di stampo capitalistico.Tipico esempio di malattia conseguente aun modello comportamentale indotto dalconsumismo, pu essere indicatonellobesit.L'obesit non una malattia sociale piovu-ta dal cielo, ma la diretta conseguenzadella legge di mercato: vendere quanto picibo possibile, mangiare quanto pi possi-bile, non per saziarci, non per soddisfareuna funzione fisiologica necessaria per lasopravvivenza dell'individuo e della specie,ma solo come via per massimizzare i pro-fitti delle multinazionali dell'agroalimenta-re.La conseguenza dei guadagni delle multi-nazionali che circa trecento milioni dipersone, secondo le stimedellInternational Association for the Study

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    of Obesity2, hanno un indice di massa cor-porea superiore a un valore di trenta punti,indice per una diagnosi conclamata di obe-sit.Molti studiosi cominciano a lanciare le lorogrida dallarme sul fatto che questa sia daconsiderare una delle peggiori epidemie delpianeta, per la sua alta incidenza sui costisociali che i paesi occidentali devono af-frontare per far fronte alla situazione deri-vante dallobesit.Personalmente non mi sembra sia cambia-to un granch negli ultimi duecento anni.Un tempo la malattia dei ricchi era la got-ta, oggi la malattia dei paesi ricchi l'obe-sit, perch i ricchi abitanti del quarto dipopolazione mondiale con il reddito pro-capite pi elevato, mangiano pi cibo di

    quanto gli sia necessario per vivere.Il resto della popolazione mondiale, queitre quarti che hanno a disposizione un dol-laro al mese di reddito procapite, sempli-cemente muore. Muore di fame, di stenti,di malattie e di sete.Tutto questo attraverso l'individualismoveicolato dal liberalismo radicale che fadelle leggi di mercato il generatore di nor-me che regolano i comportamenti degli in-dividui.C' un piccolo problema per: l'uomo un

    animale sociale che vive in branco e fondasulla collaborazione e sulla cooperazione lasua massima capacit di adattamentoall'ambiente.Tale condizione evolutiva biologica si scon-tra apertamente con quella che vuole erro-neamente farci credere che possano esiste-re condizioni in cui uomini abbiano interes-si che prevalgono su quelli di altri uomini, icui interessi di profitto prevalgono su quellielementari di tutti gli individui.Ritorno a leggere Bauman, e la ricerca dacui prende spunto, o meglio le conclusionicui giunto un gruppo di ricercatori dellaZoological Society of London che ha studia-to la vita sociale di quattrocentoventiduevespe, di trentatr colonie differenti, in unarco di oltre seimila ore a Panama.Bauman, colui che ha definito la nostracome la "cultura liquida", esprime il puntoche al contrario di quanto si credeva, ilcinquantasei percento delle vespe operaiedel campione studiato dai ricercatori, cam-bia comunit ed entra a far parte del nuo-vo alveare come membro effettivo.

    2 http://www.iotf.org/index.asp

    Io rimango colpito invece dal luogo: Pana-ma.Qualche giorno fa, in una di quelle discus-sioni tra la nostalgia per mitici tempi pas-sati e la critica al disimpegno sociale, tipi-che tra gli appartenenti alla generazionenata negli anni sessanta, in pieno boomeconomico, parlando con un mio coetaneo,questi asseriva che la nostra societ haraggiunto un punto di non ritorno e che luistanco pensava di mettere in atto un sognoche coltivava sin da giovanissimo: compra-re una barca a Panama per portare in giro ituristi che si recano a visitare le bellezze diquel paese.Una fuga, nient'altro che una fuga.Tipico di un'intera generazione devastata,combattuta tra linseguire sogni di facili

    guadagni raccolti sulla sofferenza dei tanti,sulla povert e sulla morte di milioni dipersone, e il culto rivoluzionario che ha a-nimato il nostro immaginario collettivo ge-nerazionale. Tutto senza sparare neancheun colpo.La Barca a Panama.Le vespe di Panama.Per un attimo Panama sembra essere di-ventato il centro del mondo, o almeno ilcentro del mondo dei miei pensieri.Gli insetti sociali, vespe, formiche api, non

    sono esseri che vivono confinati all'internodi comunit chiuse e iperorganizzate, inca-paci di accogliere membri provenientidall'esterno. L'alveare invece un luogo,una struttura che accomuna e che rompele differenze.I comportamenti sociali non sono limitati amembri dello stesso alveare, sono inveceestesi a tutti i membri della specie, a pre-scindere dalla provenienza. Il ruolo che siaveva in un alveare si assume nel nuovosenza sconvolgimenti nella struttura orga-nizzata dell'alveare.La definizione di appartenenza si trasformain capacit di adattamento, di adesione aregole generalizzabili in luoghi il cui funzio-namento e la cui organizzazione dipendedalla struttura sociale, che modula i com-portamenti degli individui in quel luogo.Lo spostamento da una condizione di go-verno a una di Governance , intesa comel'insieme di norme che definiscono la pos-sibilit di ogni individuo di partecipare allavita in quel determinato territorio, di po-terne utilizzare le risorse, di poter parteci-pare alla costituzione di quella conoscenzacondivisa che struttura il comportamento

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    organizzato dei membri di una comunit eche comunemente definita "cultura", de-scrive il concetto, inteso in senso politico,di "liquidit espresso da Bauman.Se spostiamo il punto di vista dell'analisidal Gouverment alla Governance , forse do-vremmo porre l'accento su un altro scivo-lamento concettuale, quello che porta dalla"politics" alla "policy". Dalla politica intesacome espressione delle dinamiche che ac-cadono all'interno e tra i sistemi ideologici,alla politica reale, la policy appunto, dif-ferenza intraducibile in italiano che invececoagula all'interno dello stesso concetto, la"politica", concetti che sono strumenti diosservazione e mezzi di cambiamento di-stinti l'uno dall'altro.Nella lingua inglese, il termine "policy" de-

    finisce le azioni che riguardano la politicapubblica o aziendale, con "politics " si defi-nisce invece l'insieme di attivit di governodella collettivit.Negli Stati Uniti i due termini esprimonounaperta contraddizione tra una tensioneverso l'impegno rispetto all'essere spetta-tori passivi delle attivit di governo.Lo spoil system, attraverso cui si assegna-no le cariche in funzione della scelta cen-tralizzata dei partiti verso uomini che atte-stano la loro lealt agli stessi, anzich per

    meriti professionali, pu essere definitauna degenerazione della politica, poichl'interesse di porre al centro i cittadini, i lo-ro bisogni, la possibilit di permettergli unapartecipazione attiva, sacrificato sull'alta-re di un interesse supremo che sembra fa-re capo a pochi e non a molti.Fare politica non per tutti, pochi possonopermettersi i costi di una politica attiva.Oggi un consigliere comunale, fa un lavoroa tempo pieno il cui guadagno talmentebasso da non potergli permettere di vivere.Solo chi ricco di famiglia pu farlo, gli al-tri sono tagliati fuori, basta vedere a cosa accaduto ai due consiglieri comunali elet-ti tra le liste presentate da Grillo nelle pre-cedenti amministrative.Negli ultimi anni si cercato di esprimereunequidistanza ideologica che ha favoritol'abbandono di una presa di coscienza civileche per forze di cose anche disimpegnopolitico.La distanza tra gli individui che abitano unaregione, un territorio e coloro che li gover-nano diventata cos grande che gli uninon vedono gli altri.

    La coscienza di un popolo coscienza so-ciale, impegno politico, farsi carico, o-gnuno nella propria sfera di competenza,delle necessit di tutti, che sono anche leproprie.Occorre che si attui un processo di sensibi-lizzazione che porti ad uneducazione versouna presa di coscienza per una consapevo-le partecipazione alle azioni di Governance che riguardano non un territorio, ma il vi-vere su quel territorio.L'interesse dei cittadini deve corrispondereall'interesse delle amministrazioni locali peri loro problemi, ma i cittadini non devonodelegare in bianco rispetto a scelte che so-lo e soltanto loro devono e possono pren-dere, attraverso la diretta assunzione deiproblemi inerenti allorganizzazione e

    all'amministrazione del territorio.Cooperare, collaborare, impegnarsi attiva-mente nella gestione di qualcosa che ditutti, non un principio di solidariet, mauna necessit degli esseri viventi che abi-tano lo stesso ambiente e che utilizzano lostesso spazio.Per arrivare a un approccio cooperativisticoe collaborativo occorre pensare un'econo-mia che sposti le sue fondamenta da indicimonetari a indici non monetari, nonuneconomia basata sul baratto, ma sullo

    sviluppo dell'individuo e del gruppo.Che valore ha la formazione? E la cultura?Quanto vale una rete di relazioni pi o me-no stabili?Quanto vale la solidariet intesa come tes-suto relazionale tra i membri di un gruppo?Passare anni del proprio tempo tra libri ecorridoi di unUniversit che valore pu a-vere?Quanto vale la ricerca?I soldi possono essere sostituiti dalla com-petenza e dal sapere?Si parla tanto di economia dell'Informazio-ne, ma alla fine sono i capitali che fannocapo alle aziende che producono informa-zione che sono quotate in borsa e che sonocapitalizzate. In loro nome e per loro contosi vendono futures, azioni, obbligazioni,senza che nessuno abbia mai visto un og-getto tangibile che porti quel nome.Uneconomia non monetaria quella cheriporta il denaro alla sua funzione di mezzoe non di fine, come invece accade oggi.Non comunque ripristinando i valori dellasolidariet tipica della cultura contadinache si fronteggia la crisi prodotta dallo svi-luppo parossistico della cultura industriale

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    e urbana. Bisogna invece ridefinire un nuo-vo modello culturale che sposti lattenzionesociale dal denaro, dal suo accumulo, omeglio dalla tensione verso il suo accumu-lo, alla costituzione di reti e modelli rela-zionali. Modello che faccia dello scambiodidee e della loro apertura a essere modi-ficato, il criterio di costruzione del tessutoconnettivo e del meccanismo di scambiodellinterazione sociale.Tanto pi posso condividere con gli altri,tanto pi possibilit ho di adattarmiallambiente. Tanto pi condivido, tanto pisono ricco, perch aumento le competenzedi tutto il gruppo e le sue potenzialit disviluppo globale.Il ricordo delle vespe che incontrai dabambino si riaffaccia con forza.

    Qualche settimana dopo, io e i miei amicitornammo a vedere cosa fosse accaduto.Non ci potemmo avvicinare. Lalveare eradiventato cos grande e il numero di vespecos elevato che quel territorio era diventa-to di loro assoluta pertinenza e chiunqueavesse osato avvicinarsi sarebbe stato at-taccato per difendere la collettivit da qua-lunque pericolosa intrusione.Mi accorgo che mi sto massaggiando ilbraccio, come se fossi stato nuovamentepunto da quei minuscoli animali.

    Allepoca fece molto male e tanta paura,adesso invece penso che abbiamo ancoratanto da imparare, soprattutto da esseripiccoli come gli insetti.In fondo il mondo bello perch e vario.