Zygmunt bauman individualmente insieme anteprima

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Zygmunt Bauman INDIVIDUALMENTE INSIEME A cura di Carmen Leccardi DIABASIS la ginestra

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Zygmunt BaumanINDIVIDUALMENTEINSIEMEA cura di Carmen Leccardi

D I A B A S I S l a g i n e s t r a

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LaGinestra

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Collana diretta da Ferruccio Andolfi e Italo Testa

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Il volume è stato pubblicato con il contributodella Fondazione Cariparma

Si ringraziano

Anna Zaniboni e l’Archivio Carlo Mattioli di Parma

per la gentile collaborazione

In copertinaGinestre di Carlo Mattioli

Individually, Together; Moving Places: Freedom of the Liquid-Modern Era;

From Liberty, Equality, Fraternity to Security, Parity, Network;

On Hybrids and the Rest of Us; The Desert, Overcrowded…;

Europe: United in Difference;

An Interview with Zygmunt Bauman

Traduzioni di René Capovin, Paolo Costa, Valeria Annicchiarico

ISBN 978 88 8103 556 4

© 2008 Edizioni Diabasisprima ristampa 2014

Diaroads srl - vicolo del Vescovado, 12 - 43121 Parma Italiatelefono 0039.0521.207547 – e-mail: [email protected]

www.diabasis.it

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Zygmunt Bauman

INDIVIDUALMENTEINSIEME

A cura di Carmen Leccardi

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Dentro l’individualizzazione. Etica della responsabilità e politica,Carmen Leccardi

Individualmente, insieme

La libertà nell’era liquido-moderna:muoversi da un posto all’altro

Da ‘Libertà, Uguaglianza e Fratellanza’a ‘Sicurezza, Parità e Rete’

Ibridi e no

Il deserto, sovraffollato...

L’Europa: uniti nella differenza

Appendice

Intervista a Zygmunt Bauman

Questa raccolta

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Zygmunt Bauman

Individualmente insieme

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Considerato, sul piano mondiale, uno dei più influenti teori-ci sociali; autore di diverse decine di libri tradotti in numeroselingue; soprattutto, intellettuale impegnato in una battaglia in cuiil segno culturale e quello politico risultano appena distinguibili− partire dal presente per aprire al possibile e pre-figurare un fu-turo diverso è, nella sua visione, il compito specifico della cultu-ra1 − Bauman rappresenta oggi una delle punte di diamante delpensiero critico. Le sue prese di posizione contro la globalizza-zione neo-liberista e la crescente produzione di «scarti» umaniche la accompagnano (rifugiati, migranti, richiedenti asilo, sans

papier, nuovi e vecchi poveri), insieme alla sua denuncia dellosmantellamento degli spazi pubblici e delle reti di protezione so-ciale ne fanno un’incarnazione contemporanea della tradiziona-le figura dell’intellettuale impegnato.

La vasta popolarità di cui gode oggi la sua produzione scien-tifica, ben oltre i ristretti circoli accademici, non può dunque es-sere disgiunta dalla scelta di Zygmunt Bauman di pensare e pren-dere posizione. Bauman non è infatti soltanto un sofisticato stu-dioso della modernità contemporanea – nelle sue parole, la «mo-dernità liquida». È, al tempo stesso, un implacabile accusatoredella privatizzazione dell’esperienza, della colonizzazione dellasfera pubblica ad opera del mercato, della degenerazione dellapolitica e della strumentalizzazione in chiave securitaria dell’in-certezza, quest’ultima forse il tratto societario ed esistenziale piùcaratteristico del nostro tempo2.

Dentro l’individualizzazione. Etica della responsabilità e politica

Carmen Leccardi

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Il progetto emancipativo che struttura il suo pensiero ponel’analisi sociale al servizio della dignità degli esseri umani e dellaloro aspirazione alla giustizia. Per il tramite di un’attrezzaturaconcettuale duttile, che gli consente di attraversare con identicaeleganza territori disciplinari diversi, dalla filosofia all’economia,dalle scienze politiche alla storia, Bauman intende contribuire al-la «riarticolazione» della condizione umana. Egli fa riferimento,con questa espressione, alla necessità di sostenere in modo atti-vo la ricerca di significato e di finalità esistenziali espressa dagli«individui sempre più individualizzati»del nostro tempo. In que-sta cornice analitica, la sociologia gli appare come la disciplinaimpegnata a conoscere e a far conoscere «la forma delle cose, ilterreno dal quale germogliano e le condizioni di incubazione»3.

Rendere disponibile questo sapere, metterlo in tensione conun’utopia positiva, una visione del futuro fondata sull’annulla-mento della necessità e sull’apertura al possibile anche nella «vi-ta liquida» del nostro tempo, fagocitata dai richiami del consumoe povera di politica: questo è l’obiettivo che Bauman si proponee in base al quale intende offrire agli uomini e alle donne di oggile chiavi di lettura essenziali per la conquista di forme di con-trollo sulla propria esistenza. Ciò può accadere mettendo a lorodisposizione gli strumenti discorsivi capaci di rendere visibili edintelligibili le dinamiche del potere contemporaneo e le loro ri-cadute sul piano biografico. Il sapere che la sociologia di Bau-man costruisce è pensato, in sintesi, come una forma di prassi.

Riprendendo da Barrington Moore l’idea che la stessa conti-nuità culturale e sociale deve essere considerata frutto di un’i-narrestabile processo creativo, generazione dopo generazione,piuttosto che come esito scontato di una condizione d’inerzia,Bauman porta la nostra attenzione sulla dimensione dell’impre-vedibilità, dell’apertura, della radicalità costitutiva dell’agire uma-no4. Sebbene la sociologia non sia, com’è ovvio, un movimentopolitico, non di meno, secondo Bauman, più di altre forme di sa-

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pere possiede un forte «potenziale trasformativo», legato alla suacapacità di rovesciare il senso comune e demistificare le appa-renze. Questa capacità la pone in condizione di mettere in luce,ad esempio, non solo come l’universo in cui ci troviamo a vivere,i valori e le norme che lo strutturano, siano un prodotto storico,frutto di scelte umane e, in quanto tali, sempre trasformabili. Leconsente anche di fare luce sulle molteplici facce dell’esperienzaumana e sulla relazione che lega la loro specificità alla storia.

A questo scopo appare fondamentale la dimestichezza conuna particolare abilità di pensiero, denominata nella prima metàdel Novecento dal sociologo americano Charles Wright Mills«immaginazione sociologica»5. In questa abilità, non a caso,Bauman eccelle. È sulla base di tale perizia che egli è ad esempioin grado di connettere magistralmente le esperienze «banali»della vita quotidiana nel nostro tempo con le grandi questionisociali e politiche, la dimensione micro- con quella macro-so-ciale. Grazie all’unione tra questa capacità ed uno stile di scrittu-ra creativo, immaginifico, nella produzione più recente semprepiù ricco di metafore ed evocativo – in una parola, letterario −Bauman appare oggi come uno straordinario narratore di «sto-rie sociologiche»6. I saggi contenuti in questa raccolta esempli-ficano bene l’affermazione.

Non vi è dunque spazio, nella proposta teorica di Bauman, perl’alternativa tra «impegno» e «neutralità». L’avalutatività weberia-na qui non è accolta. In una società individualizzata, dove l’ege-monia delle logiche del mercato erode la prossimità, dove il princi-pio del piacere domina il principio di realtà e la «sindrome del con-sumatore» estende l’usa-e-getta fino alla sfera delle relazioni inter-personali, chi non condivide queste forme di alienazione non puòche assumere in prima persona la responsabilità di «pensare con-tro». Impegno etico e politico non sono disgiungibili.

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Il titolo apposto da Norbert Elias alla sua ultima opera,pubblicata postuma, La società degli individui, coglie perfetta-mente nella sua essenza il problema che ha assillato la teoriasociale fin dalle sue origini1. Rompendo con la tradizioneinaugurata da Hobbes e trasformata da John Stuart Mill, daHerbert Spencer e dall’ortodossia liberale nella doxa – la cor-nice preriflessiva di ogni ulteriore conoscenza – del nostrosecolo, Elias ha sostituito l’‘e’ e il ‘contro’ con il ‘di’, e cosìfacendo ha spostato il discorso dal l’imaginaire delle due for-ze condannate a una battaglia, mortale eppure senza esito,tra libertà e dominio, in quella di una ‘concezione recipro-ca’: la società determina l’individualità dei suoi membri e gliindividui formano la società con le loro azioni quotidianementre perseguono strategie plausibili e realizzabili all’in-terno della trama socialmente ordita delle loro dipendenze.

Il fatto di concepire i propri membri come degli individuiè il contrassegno distintivo della società moderna. Questomutamento di prospettiva, tuttavia, non si esaurisce in un sin-golo atto, dev’essere rinnovato quotidianamente. La societàmoderna esiste nella sua attività di ‘individua lizza zione’, co-sì come le attività degli individui consistono nella ridefini-zione e rinegoziazione quotidiane dei loro reciproci intreccida noi definiti ‘società’. Nessuno dei due partner resta fermoa lungo. E così anche il significato di questa ‘individualizza-

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zione’ muta di continuo, assumendo forme sempre nuove,dal momento che i risultati accumulati della sua storia passa-ta pongono regole sempre nuove e cambiano la posta in gio-co. Il termine ‘individualizzazione’ significa ora qualcosa dimolto diverso da ciò che significava un secolo fa e da ciò chesuggeriva agli albori del l’epoca moderna: i tempi della tantodecantata ‘emancipazione’ umana dalle fitte maglie della di-pendenza, controllo e imposizione comunitari.

Gli scritti di Ulrich Beck Jenseits von Klasse und Stand? equello di qualche anno più tardi Risikogesellschaft: Auf dem Weg

in eine andere Moderne, hanno dischiuso un nuovo orizzontenella nostra comprensione del ‘processo di individualizza-zione’2. Questi due lavori descrivono tale processo come unastoria non ancora compiuta, con i suoi diversi stadi, benchépriva di un telos o di una meta predeterminati e, viceversa,contrassegnati da una logica di svolte marcate e capovolgi-menti improvvisi. Si potrebbe dire che come Elias ha ‘stori-cizzato’ la teoria freudiana del l’‘in di viduo’ civilizzato inda-gando la civilizzazione come un evento nella storia (moder-na), così Beck ha storicizzato la spiegazione che Elias ha for-nito della nascita dell’individuo rappresentando quella na-scita come un aspetto della continua, compulsiva e ossessi-va modernizzazione. Beck ha anche liberato il ritrattodell’individualizzazione dai suoi orpelli passati e transeuntiche ai nostri giorni oscurano la comprensione più che chia-rificare l’immagine (e mi riferisco, in primo luogo, alla visio-ne di uno sviluppo lineare, di un ‘progresso’ strutturato lun-go gli assi dell’emancipazione, del l’autonomia crescente edella libertà nel senso dell’auto affermazione), rendendo co-sì possibile un’attenta disamina delle molteplici tendenzestoriche dell’individualizzazione e dei loro esiti e consen-

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tendo quindi di comprendere meglio gli elementi distintividel suo attuale stadio di sviluppo.

Riassumendo: l’‘individualizzazione’ consiste nella tra-sformazione del l’‘identità’ umana da un qualcosa di ‘dato’ aun ‘compito’, e nell’attribu zione agli attori della responsabili-tà rispetto alla realizzazione di questo compito e delle conse-guenze (anche degli effetti collaterali) delle loro azioni. In altreparole consiste nell’istituzione di un’auto nomia de iure (ben-ché non necessariamente di un’autonomia de facto). Gli esseriumani non vengono più al mondo con delle identità definite.Come Jean-Paul Sar tre ebbe una volta a dire: non è sufficien-te nascere borghesi – si deve vivere la propria vita da borghe-si (la stessa cosa né si doveva né si sarebbe potuta dire dei prin-cipi, cavalieri, servi o cittadini dell’epoca premoderna!). Il bi-sogno di divenire ciò che si è è l’aspetto caratteristico della vitamoderna, e di questa sola (non dell’‘individualizzazione mo-derna’, giac ché tale espressione è evidentemente pleonastica:parlare di individualiz zazione e di modernità significa parlaredella medesima condizione so ciale). La modernità sostituiscela determinazione della posizione sociale con l’autode -terminazione compulsiva e obbligatoria.

Ciò vale per l’‘individualizzazione’ in tutte le sue varianti eper la globalità dell’epoca moderna: per tutti i periodi e pertutti i settori della società. Nondimeno, all’interno di questacondizione comune vi sono variazioni significative che han-no tenuto separati individui appartenenti a periodi successivi,così come varie categorie di attori appartenenti alla medesi-ma fase storica. Il compito di ‘autoidentificazione’ assegnatoagli uomini e alle donne agli albori dell’epoca moderna, allor-ché andarono in pezzi le rigide cornici dei ceti, si ridusse allasfida di vivere mantenendosi ‘fedeli alla propria schiatta’ (‘al-

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l’altezza dei Rossi’): di conformarsi attivamente ai tipi socialie ai modelli di condotta stabiliti, di imitare, seguire gli schemi,‘acculturarsi’, non uscire dalle righe, non deviare dalla norma.I ‘ceti’ vennero in seguito rimpiazzati dalle ‘classi’. Mentre nelprimo caso l’apparte nenza era una questione di ascrizione, nelsecondo caso vi era una larga porzione di attiva realizzazio-ne. Alle classi, a differenza dei ceti, bisognava ‘aderire’ e l’ap-partenenza doveva essere continuamente rinnovata, ricon-fermata e testimoniata in una condotta quotidiana.

Retrospettivamente, si potrebbe dire che la divisione diclasse (o la divisione di genere, per quel che vale) fosse la con-seguenza di un accesso diseguale alle risorse necessarie perrendere l’autoaffermazione effettiva. Le classi differivanoper lo spettro di identità disponibili e per la maggiore o mi-nore facilità di scelta tra di esse. Gli individui dotati di mino-ri risorse, e quindi con minori possibilità di scelta, dovevanocercare una compensazione della loro debolezza individua-le nella ‘forza del numero’, chiudendo i ranghi e impegnan-dosi in azioni collettive. Come ha osservato Claus Offe, percoloro che si trovavano ai gradini più bassi della scala socia-le l’azione collettiva, orientata all’appartenenza di classe, eraaltrettanto ‘naturale’ e ‘nell’ordine delle cose’ quanto la ri-cerca individuale dei propri scopi di vita per i loro padroni.

La privazioni, per così dire, ‘si accumulavano’ e si conge-lavano negli ‘interessi comuni’ e venivano viste come suscet-tibili unicamente di un rime dio collettivo: il ‘collettivismo’ erauna strategia obbligata per chi era un potenziale destinatariodel processo di individualizzazione, e nondimeno impossi-bilitato ad autoaffermarsi come individuo attraverso l’usodelle proprie personali, ma palesemente inadeguate, risorse.Viceversa, l’orienta mento di classe dei più ricchi era parziale

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e in un certo senso derivato. Veniva in primo piano soprat-tutto quando la distribuzione diseguale delle risorse era mes-sa in discussione e contestata. Si può dire, tuttavia, che nelcomplesso gli individui ‘sradicati’ (disembedded) della moder-nità ‘classica’ dispiegarono il loro nuovo potere e i diritti de-rivanti dall’agire autonomo nella frenetica ricerca di un ‘ri-ra-dicamento’. E non mancavano di certo i ‘luoghi’ disponibilie pronti ad accoglierli. L’allocazione di classe, benché pro-dotta e negoziabile piuttosto che ereditata o semplicementeassegnata per ‘nascita’ come nel caso degli Stände, tendeva adivenire altrettanto solida, inalterabile e resistente alla mani-polazione individuale dell’assegnazione premoderna ai ceti.La classe e il genere influivano pesantemente sulla gamma discelte dell’individuo. Sfuggire al loro vincolo non era moltopiù facile che contestare il proprio posto nella ‘catena divinadegli esseri’. Nonostante tutti gli intenti e i propositi, il gene-re e la classe rappresentavano dei ‘fatti di natura’ e il compi-to residuale dell’‘auto affermazione’ di gran parte degli indi-vidui consisteva nel ‘sistemarsi’ nella nicchia assegnata con-formandosi ai comportamenti degli altri occupanti.

Questo è esattamente ciò che distingueva l’‘indi vi dua liz -zazione’ dei tempi passati dalla forma che essa ha assuntonella Risikogesellschaft, al tempo della «modernità riflessiva» odella «seconda modernità» (come Ulrich Beck definisce l’e-poca contemporanea). Non rimangono molti ‘luoghi’ in cui‘ri-radicarsi’ – e, in ogni caso, non a lungo. Vi sono invece‘posti’3 di dimensioni e natura varie, così come di numero eposizione cangianti che costringono gli uomini e le donne amantenersi in un movimento continuo e che non promet-tono né riposo, né la soddisfazione di ‘arrivare’, né il con-forto di raggiungere la destinazione dove sia consentito de-

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porre le armi, rilassarsi e smettere di preoccuparsi. Non esi-ste la prospettiva di un ‘ri-radicamento’ alla fine della stradaimboccata da individui (ormai cronicamente) sradicati.

Intendiamoci: ora, come in passato, l’individualizzazioneè un destino, non una scelta; nella terra della libertà indivi-duale di scelta l’opzione di sottrarsi all’individualizzazione edi rifiutarsi di partecipare al gioco è enfaticamente esclusa dal-l’ordine del giorno. Il fatto che gli uomini e le donne non pos-sano incolpare nessuno delle loro frustrazioni e travagli nonsignifica, ora non più che in passato, che essi possano difen-dersi contro la frustrazione ricorrendo alle loro risorse per-sonali o tirarsi fuori dai guai prendendosi, come il barone diMünchausen, per i lacci delle scarpe. Se si ammalano è perchénon sono stati sufficientemente decisi e solerti nel seguire ilregime di vita più salutare. Se sono disoccupati è perché nonhanno acquisito le competenze necessarie per superare uncolloquio di lavoro o perché non si sono dati da fare abba-stanza per trovare un posto o perché, semplicemente, han-no poca voglia di lavorare. Se sono incerti sulle loro prospet-tive di carriera e si arrovellano sul proprio futuro è perchénon sono stati sufficientemente bravi a farsi amici e a in-fluenzare le persone e non hanno appreso a sufficienza le ar-ti del sapersi presentare e del sedurre. Questo, in ogni caso, èciò che gli viene detto, e ciò che finiscono per credere cosìche essi si comportano als ob, ‘come se’ questa fosse, in effet-ti, la verità delle cose. Come Beck giustamente e acutamenteosserva «il modo in cui si vive diventa una soluzione biografica a

contraddizioni sistemiche». I rischi e le contraddizioni continua-no a essere socialmente prodotti; è proprio l’obbligo e la ne-cessità di farvi fronte che vengono individualizzati.

Riassumendo: c’è un divario crescente tra l’individualità

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intesa come destino e l’individualità intesa come capacitàpratica di autoaffermazione (come «individuazione», il ter-mine scelto da Beck per distinguere l’individuo che si so-stiene e si motiva da sé da un individuo meramente «indivi-dualizzato», vale a dire un essere umano che non ha altrascelta se non di agire come se l’individuazione fosse già sta-ta compiuta); e colmare questo divario, si badi bene, non faparte di questa capacità.

La capacità autoaffermativa delle donne e degli uomini in-dividualizzati, di regola, non raggiunge ciò che sarebbe ri-chiesto da un’effettiva autocostituzione. Come ebbe a os-servare Leo Strauss, l’altra faccia della libertà senza freni(unencumbered) è l’insignificanza delle scelte – i due aspetti sicondizionano l’un l’altro: perché preoccuparsi di proibire ciòche comunque ha scarsa rilevanza? Un osservatore cinicopotrebbe dire che la libertà arriva quando ormai ha ben po-ca importanza. Vi è un perfido sentore d’im potenza nell’un-guento di libertà prodotto dalle spinte all’individualizza -zione, e questa impotenza risulta tanto più odiosa e irritantealla luce del potenziamento che ci si attendeva da tale libertà.

Non è magari che, come in passato, lo stare fianco a fian-co e il marciare allo stesso passo possono rappresentare unrimedio? Forse facendo convergere le forze individuali, perquanto esangui ed esili, in una presa di posizione e in un’a-zione collettiva sarà possibile fare congiuntamente delle co-se che nessun uomo o donna da solo potrebbe mai sperare difare? Il problema, tuttavia, è che le difficoltà più comuni de-gli ‘individui-per-destino’ oggigiorno non sono cumulabili:semplicemente non si sommano in una ‘causa comune’. Ta-li difficoltà sono costituite fin dal principio in modo tale chemancano della forma necessaria per intrecciarsi con le diffi-

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coltà degli altri. Le difficoltà possono essere simili (e i semprepiù popolari talk-show dei nostri giorni fanno di tutto per con-vincerci della loro somiglianza e per inculcare nella mentedegli spettatori l’idea che il loro principale elemento di so-miglianza consiste nel fatto di essere affrontate da ciascunoa modo proprio), ma non formano comunque ‘un tutto che èpiù grande della somma delle sue parti’ e non acquistano al-cuna nuova qualità, più facile da gestire, per il fatto di essereaffrontate e fronteggiate collettivamente. Il solo vantaggioche può derivare dalla compagnia di altri sofferenti è la rassi-curazione che ciò che tutti gli altri fanno quotidianamente ècombattere da soli contro le difficoltà, rafforzando in que-sto modo la vacillante risoluzione a continuare finché si puòa farlo. Uno può forse imparare dall’esperienza degli altri co-me sopravvivere alla prossima ondata ‘recessiva’, come com-portarsi con bambini che pensano di essere adolescenti e conadolescenti che rifiutano di diventare adulti, come ‘liberarsi’del grasso o di altri ‘corpi estranei’, come sbarazzarsi di unadipendenza non più soddisfacente o di partner non più gra-diti. Ma ciò che si impara innanzitutto dalla compagnia deglialtri è che il solo servizio che la compagnia degli altri può ren-dere sono i consigli su come sopravvivere nella propria irre-dimibile solitudine e che la vita di ciascuno è piena di rischiche devono essere affrontati e superati da soli.

E non manca poi un altro problema: come Tocquevillegià sospettava, liberare le persone può significare renderleindifferenti. Secondo Tocqueville l’individuo è il peggior ne-mico del cittadino. L’individuo tende a essere tiepido, scet-tico o diffidente nei confronti del ‘bene comune’, della ‘so-cietà buona’ o della ‘società giusta’. Che cosa significa ‘inte-ressi comuni’ se non lasciare che ogni individuo soddisfi i

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propri? Qualsiasi altra cosa gli individui possano fare comecollettività fa presagire dei vincoli alla loro libertà di perse-guire ciò che essi reputano conveniente per sé, e in ogni ca-so non favorirà questa ricerca. Le due sole cose utili che ci sipossono attendere e si possono desiderare dal ‘potere pub-blico’ sono l’osservanza dei ‘diritti umani’, lasciare cioè checiascuno segua la propria strada, e consentire a ciascuno difarlo in pace, garantendo la sicurezza del suo corpo e dei suoibeni, chiudendo i criminali in prigione e mantenendo le stra-de libere da borseggiatori, pervertiti, mendicanti e da sco-nosciuti sgradevoli e malintenzionati.

Con la sua consueta e inimitabile arguzia Woody Allen hasaputo cogliere le manie e le debolezze degli individui-per-decreto tardo-moderni rovistando tra degli immaginari vo-lantini pubblicitari di «corsi estivi per adulti» cui gli america-ni sarebbero ansiosi di partecipare. Il corso di teoria econo-mica prevede il tema «Inflazione e depressione: come ve-stirsi in simili evenienze». Il corso di etica propone invece«L’imperativo categorico e sei modi per farlo funzionare nelvostro caso»; mentre il prospetto del corso di astronomia in-forma che «il sole, che è composto da gas, può esplodere inogni momento, provocando la completa distruzione del no-stro sistema planetario; gli studenti verranno istruiti su ciòche il cittadino medio può fare in una simile eventualità».

Riassumendo: l’altra faccia dell’individualizzazione pareessere la corrosione e la lenta disintegrazione della cittadi-nanza. Joël Roman, membro della redazione di «Ésprit», hanotato nel suo recente libro La Démocratie des Individus (1998)che «la vigilanza è degradata alla mera sorveglianza dei beni,mentre l’interesse generale non è più che una collezione diegoismi che fa leva sulle emozioni collettive e la paura del vi-

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cino», e invita a ricercare quella «rinnovata capacità di decide-re insieme» che ora si fa notare soprattutto per la sua assenza4.

Se l’individuo è il peggior nemico del cittadino e se l’indi -vidualizzazione crea problemi alla cittadinanza e alla politi-ca basata sulla cittadinanza è perché gli interessi e le preoc-cupazioni degli individui in quanto individui riempiono lospazio pubblico pretendendo di esserne i soli legittimi oc-cupanti e spingono fuori dal discorso pubblico tutto il resto.Il ‘pubblico’ è colonizzato dal ‘privato’; l’‘interesse pubbli-co’ si riduce al la curiosità sulle vite private di figure pubbli-che e l’arte della vita pubblica consiste unicamente nell’e-sposizione di affari privati e in confessioni pubbliche di sen-timenti privati (quanto più intimi tanto meglio). Le ‘que-stioni pubbliche’ che resistono a una simile riduzione di-ventano semplicemente incomprensibili.

Le probabilità che gli attori individualizzati siano ‘ri-radi-cati’ nel corpo della cittadinanza repubblicana sono mini-me. Ciò che li spinge ad avventurarsi sulla scena pubblicanon è tanto la ricerca delle cause comuni e dei principi dellavita in comune, quanto il disperato bisogno di creare delle‘reti’. La condivisione dell’intimità, come Richard Sennettnon si stanca di evidenziare, tende a essere il metodo prefe-rito, forse il solo rimasto, per ‘creare comunità’. Questa tec-nica di costruzione può generare solo ‘comunità’ fragili e dibreve durata come pure emozioni disperse e vagolanti, chesi spostano erraticamente da un obiettivo all’altro e che va-gano nella vana ricerca di un approdo sicuro: comunità fon-date su preoccupazioni condivise, su paure o odi comuni,ma in ogni caso comunità ‘a tempo’5: il momentaneo racco-gliersi intorno a un ‘piolo’ (peg) su cui molti individui solita-ri appendono le loro solitarie paure individuali. Come so-

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stiene Ulrich Beck (nel saggio On The Mortality of Industrial

Society)6, «ciò che emerge dal dissolversi delle norme sociali èl’io nudo, aggressivo, spaventato, alla disperata ricerca di aiu-to e amore. In questa ricerca di se stesso e di una socialità so-lidale esso facilmente si perde nella giungla del sé. […] Unessere al lo sbando nella nebbia del suo sé è ormai incapacedi prendere atto che questo isolamento, questo ‘confina-mento solitario dell’io’ è una condanna di massa».

L’individualizzazione è destinata a restare tra noi; qual-siasi riflessione volta a individuare i mezzi necessari per farfronte all’impatto che essa ha sulla nostra condotta di vitanon può che prendere le mosse dal riconoscimento di que-sto fatto. L’individualizzazione garantisce a un numero sem-pre crescente di uomini e donne un’inedita libertà di speri-mentare, ma (timeo danaos et dona ferentes…) porta con sé an-che il compito inedito di far fronte alle sue conseguenze.Questo enorme divario tra il diritto all’autoaffermazione e lacapacità di controllare i contesti sociali che rendono tale au-toaffermazione possibile o irrealistica pare essere la princi-pale contraddizione della ‘seconda modernità’, un’epocache, attraverso tentativi ed errori, riflessioni critiche e auda-ci sperimentazioni, dovremo imparare collettivamente adaffrontare collettivamente.

In The Reinvention of Politics Ulrich Beck sostiene che ciòdi cui abbiamo bisogno non è nientemeno che «un’altra Ri-forma» e che essa richiede una «radicalizzazione della mo-dernità»7. A suo avviso «essa presuppone delle invenzionisociali e il coraggio collettivo di intraprendere degli esperi-menti politici», anche se lui stesso si affretta a precisare chea tal fine sono richieste «delle inclinazioni e delle qualità chenon sono esattamente diffuse, e forse nemmeno più in gra-

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do di mobilitare una maggioranza». Nondimeno qui stiamoe non abbiamo altre condizioni in cui agire, e in queste con-dizioni, che ci piaccia o meno, agiremo, facendoci carico del-le conseguenze delle nostre azioni e/o della nostra incapa-cità di agire.

Note1. Cfr. N. Elias, Die Gesellschaft der Individuen, Suhrkamp, Frankfurt

1987, trad. it. La sociertà degli individui, il Mulino, Bologna 1990. 2. Cfr. U. Beck, Risikogesellschaft, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1986, trad.

it. La società del rischio, Carocci, Roma 2000.3. L’espressione inglese è «musical chairs» (letteralmente: sedie musi-

cali) che sta a indicare quel gioco di società in cui alcune persone si muo-vono a suon di musica intorno a delle sedie (in numero sempre inferioredi un’unità al numero dei giocatori) su cui devono cercare di sedersi nonappena la musica si interrompe. Il giocatore che rimane senza sedia vieneeliminato [n.d.t.].

4. Cfr. J. Roman, La démocratie des individus, Calmann-Lévy, Paris 1998.5. Letteralmente «comunità appendiabiti» (peg-communities) [n.d.t.].6. Cfr. U. Beck, On the Mortality of Industrial Society, in Id., Ecological En-

lightenment, Prometheus Books, Atlantic Highlands 1994, pp. 37-62 . 7. Cfr. U. Beck, The Reinvention of Politics, Polity Press, Cambridge 1997.

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Questa raccolta

Individually, Together, conferenza tenuta presso il Dipartimento di Filo-sofia di Parma il 29 gennaio 2000. La traduzione di Paolo Costa è giàstata pubblicata in «La società degli individui», 9, 2000, pp. 5-12. Unaversione inglese è successivamente comparsa con il titolo Forward byZygmunt Bauman: Individually, Together, in U. Beck e E. Beck-Gernsheim,Individualization, Sage, London 2002, pp. XIV-XIX.

Moving Places: Freedom of the Liquid-Modern Era; From Liberty, Equality, Fra-ternity to Security, Parity, Network; On Hybrids and the Rest of Us; The Desert,Overcrowded…; Europe: United in Difference, conferenze tenute in diversiluoghi tra il 2006 e il 2007. Il testo di From Liberty, Equality, Fraternity to Se-curity, Parity, Network è apparso in una versione francese in Liberté, Égal-ité, Fraternité, Télérama hors/série, Paris 2007. Una versione modifica-ta di Moving Places: Freedom of the Liquid-Modern Era è apparsa in Z. Bau-man, Does Ethics Have a Chance in a Society of Consumers, Harvard Uni-versity Press, Cambridge (Mass.) 2008. Traduzioni di René Capovin.

An Interview with Zygmunt Bauman, intervista a cura di Massimo Cap-pitti, raccolta il 30 maggio 2000. La traduzione di Valeria Annicchia-rico è già comparsa in «La società degli individui», 9, 2000, pp. 13-26.

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LA GINESTRABiblioteca per un individualismo solidale

Da due secoli, di fronte alla crisi delle rassicuranti comunità natu-rali e all’accelerazione dei processi di individualizzazione, filosofie pensatori sociali si sono posti il compito di costruire teorie nel-le quali la coesione della società non confligge ma va di pari passocon la cura di sé di individui emancipati. La collana La ginestra do-cumenta l’esistenza di questa tradizione di individualismo solida-le attraverso i testi di autori classici e contemporanei.

Titoli pubblicati

Georg SimmelFriedrich Nietzsche filosofo moraleA cura di Ferruccio Andolfi

Ralph Waldo EmersonSocietà e solitudineA cura di Nadia Urbinati

Pierre LerouxIndividualismo e socialismoA cura di Bruno Viard

Zygmunt BaumanIndividualmente insiemeA cura di Carmen Leccardi

Ágnes HellerLa bellezza della persona buonaA cura di Brenda Biagiotti

Harry G. FrankfurtCatturati dall’amoreA cura di Gianfranco Pellegrino

Gustav LandauerLa rivoluzioneA cura di Ferruccio Andolfi

Theodor W. AdornoLa crisi dell’individuoA cura di Italo Testa

Friedrich E.D. SchleiermacherMonologhi. Un dono di capodannoA cura di Ferruccio Andolfi

John DeweyIndividualismo vecchio e nuovoA cura di Maria Rosa Calcaterra

Charles TaylorLa democrazia e i suoi dilemmiA cura di Paolo Costa

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Questo libro

di Zygmunt Bauman

quarto della collana La Ginestra

nata dall’amicizia e dal lavoro comune

individuale e solidale

tra l’Associazione omonima

e le Edizioni Diabasis

viene pubblicato

alla sua prima ristampa

nel carattere Garamond

a cura di PDE Spa

presso lo stabilimento di LegoDigit Srl - Lavis (TN)

nel marzo dell’anno

duemila

quattordici

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D I A B A S I S l a g i n e s t r a

«La nostra è una società

individualizzata: abbiamo

raggiunto una libertà

di autoaffermazione individuale

e di autoespressione

virtualmente illimitata

che non ha precedenti.

La vita individualizzata, però,

ha le proprie angosce, forse

non meno dolorose di quelle

di una vita vissuta all’ombra

della tendenza totalitaria»

€ 10,00