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35 35 Verso uno scambio comunicativo Periodico quadrimestrale dell’Associazione Sammarinese degli Psicologi (RSM) Anno VIII – n. 35 gennaio-aprile 2007. Pubblicità inferiore al 40% – Stampe – Spedizione in abbonamento postale – Tabella B – Taxe percue (tassa riscossa) – Autorizzazione n.397 del 15/1/’98 della Direzione Gen.PP.TT.della Repubblica di San Marino – ISSN: 1124-4690.In caso di mancato recapito rinviare all’ufficio Postale di Borgo Maggiore – 47893 (RSM) per la restituzione al mittente, che si impegna a pagare la relativa tassa. www .diregio v ani.it I n questi ultimi vent’anni si è conclamata una frattura nella relazione tra i giovani e gli adulti, che è esplosa in famiglia e nel mondo della scuola. Se fino a circa dieci anni fa la difficoltà relazionale si avvertiva fondamental- mente nei licei, adesso è presente anche nella scuola media inferiore, con elementi predittivi che si potrebbero cogliere già dalla scuola elementare. Al determinarsi di tale situazione hanno probabilmente contribuito da un lato il senso di inadeguatezza, il disagio e la rabbia dei giovani (giustificata o meno), dall’altra la scar- sa capacità degli adulti di comprenderli nella loro proble- maticità, mostrando invece di esserne indispettiti e irrigiditi; i ragazzi, quindi, si sono sentiti autorizzati e spinti ad esse- re sempre più autonomi, più intenzionati a dimostrare la lo- ro forza, la loro indifferenza e distacco dalle regole sociali degli adulti. Le cause di questa situazione sono diverse, possiamo racchiuderle nell’incapacità di noi adulti di contenere e ge- stire in modo attuale le problematiche giovanili: la famiglia è spesso assente; la scuola presenta molte inadeguatezze de- terminate da troppi carichi, pochi mezzi, ma soprattutto i docenti sono stati esautorati dai giovani. La scuola è stata delegata silenziosamente, ma non ufficialmente, di quegli aspetti educativi di cui prima si faceva carico la famiglia. Il mondo degli adulti trasmette, attraverso i mass-media, modelli di comportamento sociale e di immagine di sé co- struiti sull’apparenza, rinforzando in tal modo i sentimenti di onnipotenza che sono propri dei ragazzi di questa età. L’impossibilità di rispondere a tutte le loro domande e alle richieste di aiuto ci ha spinto a cercare uno spazio e un lin- guaggio che sia ascoltato dai giovani e che ci permetta di ascoltarli. In collaborazione con l’agenzia di stampa quoti- diana DIRE è nato diregiovani, un portale di informazione per giovani dai 14 ai 25 anni che si occupa di tutta l’infor- mazione, dalla musica alla politica, dallo sport all’attualità, comprese le tematiche più spinose da affrontare. All’interno di questo portale vi saranno campagne di informazione per diverse tematiche, la prima è stata I LIKE ME! La mia immagine? Mi piace!, che affronta il tema dell’immagine corporea (obesità, gli stili di vita, ecc.) in collaborazione con gli assessorati del Comune di Roma per le Politiche Giovanili e l’assessorato per la Famiglia e Adolescenza. L’obiettivo generale di questo progetto è, così, riuscire a da- re ai giovani l’opportunità di manifestare il proprio disagio, trovare comprensione e accoglienza da parte degli adulti at- traverso la presenza di esperti. A questo proposito hanno dato la loro disponibilità i membri della S.I.M.A. Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (presidente dott. Giuseppe Raiola), il servizio di psicologia e psicoterapia dell’Istituto di Ortofonologia (responsabile dott.ssa Magda Di Renzo), così i ragazzi avranno la possibilità di scam- biarsi idee e contenuti, di dialogare attraverso il portale con gli esperti che, garantendo l’anonimato, saranno disponibi- li on line per fugare i loro dubbi e perplessità anche con l’aiuto di molti responsabili scolastici. Per dare ai giovani un’informazione anche tramite i loro coetanei, in particola- re attraverso la videopartecipazione, su www .diregiovani.it i navigatori potranno creare un loro spazio riservato con la consulenza di esperti, e «postare» gli elaborati audio-video- scritti in modo tale che loro stessi, formati come informa- tori/giornalisti, siano i protagonisti dell’informazione. Federico Bianchi di Castelbianco A pagina 96 un’importante comunicazione ai Lettori

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3535Verso uno scambio comunicativo

Periodico quadrimestrale dell’Associazione Sammarinese degli Psicologi (RSM) Anno VIII – n. 35 gennaio-aprile 2007. Pubblicità inferiore al 40% – Stampe – Spedizionein abbonamento postale – Tabella B – Taxe percue (tassa riscossa) – Autorizzazione n. 397 del 15/1/’98 della Direzione Gen. PP.TT. della Repubblica di San Marino –

ISSN: 1124-4690. In caso di mancato recapito rinviare all’ufficio Postale di Borgo Maggiore – 47893 (RSM) per la restituzione al mittente, che si impegna a pagare la relativa tassa.

www.diregiovani.itIn questi ultimi vent’anni si è conclamata una frattura

nella relazione tra i giovani e gli adulti, che è esplosa infamiglia e nel mondo della scuola. Se fino a circa dieci

anni fa la difficoltà relazionale si avvertiva fondamental-mente nei licei, adesso è presente anche nella scuola mediainferiore, con elementi predittivi che si potrebbero coglieregià dalla scuola elementare.

Al determinarsi di tale situazione hanno probabilmentecontribuito da un lato il senso di inadeguatezza, il disagio ela rabbia dei giovani (giustificata o meno), dall’altra la scar-sa capacità degli adulti di comprenderli nella loro proble-maticità, mostrando invece di esserne indispettiti e irrigiditi;i ragazzi, quindi, si sono sentiti autorizzati e spinti ad esse-re sempre più autonomi, più intenzionati a dimostrare la lo-ro forza, la loro indifferenza e distacco dalle regole socialidegli adulti.

Le cause di questa situazione sono diverse, possiamoracchiuderle nell’incapacità di noi adulti di contenere e ge-stire in modo attuale le problematiche giovanili: la famigliaè spesso assente; la scuola presenta molte inadeguatezze de-terminate da troppi carichi, pochi mezzi, ma soprattutto idocenti sono stati esautorati dai giovani. La scuola è statadelegata silenziosamente, ma non ufficialmente, di quegliaspetti educativi di cui prima si faceva carico la famiglia.

Il mondo degli adulti trasmette, attraverso i mass-media,modelli di comportamento sociale e di immagine di sé co-struiti sull’apparenza, rinforzando in tal modo i sentimentidi onnipotenza che sono propri dei ragazzi di questa età.L’impossibilità di rispondere a tutte le loro domande e allerichieste di aiuto ci ha spinto a cercare uno spazio e un lin-guaggio che sia ascoltato dai giovani e che ci permetta di

ascoltarli. In collaborazione con l’agenzia di stampa quoti-diana DIRE è nato diregiovani, un portale di informazioneper giovani dai 14 ai 25 anni che si occupa di tutta l’infor-mazione, dalla musica alla politica, dallo sport all’attualità,comprese le tematiche più spinose da affrontare. All’internodi questo portale vi saranno campagne di informazione perdiverse tematiche, la prima è stata I LIKE ME! La miaimmagine? Mi piace!, che affronta il tema dell’immaginecorporea (obesità, gli stili di vita, ecc.) in collaborazionecon gli assessorati del Comune di Roma per le PoliticheGiovanili e l’assessorato per la Famiglia e Adolescenza.L’obiettivo generale di questo progetto è, così, riuscire a da-re ai giovani l’opportunità di manifestare il proprio disagio,trovare comprensione e accoglienza da parte degli adulti at-traverso la presenza di esperti. A questo proposito hannodato la loro disponibilità i membri della S.I.M.A. SocietàItaliana di Medicina dell’Adolescenza (presidente dott.Giuseppe Raiola), il servizio di psicologia e psicoterapiadell’Istituto di Ortofonologia (responsabile dott.ssa MagdaDi Renzo), così i ragazzi avranno la possibilità di scam-biarsi idee e contenuti, di dialogare attraverso il portale congli esperti che, garantendo l’anonimato, saranno disponibi-li on line per fugare i loro dubbi e perplessità anche conl’aiuto di molti responsabili scolastici. Per dare ai giovaniun’informazione anche tramite i loro coetanei, in particola-re attraverso la videopartecipazione, su www.diregiovani.iti navigatori potranno creare un loro spazio riservato con laconsulenza di esperti, e «postare» gli elaborati audio-video-scritti in modo tale che loro stessi, formati come informa-tori/giornalisti, siano i protagonisti dell’informazione.

Federico Bianchi di Castelbianco

A pagina 96 un’importante comunicazione ai Lettori

Servizio di Diagnosi e Valutazione

Servizio Psicopedagogico

– Logopedia– Psicomotricità– Atelier grafo-pittorico– Atelier della voce– Laboratorio di attività costruttive– Laboratorio ritmico-musicale e di

educazione uditiva– Attività espressivo-linguistica

(racconto-fiaba)– Attività espressivo-corporea

e drammatizzazione– Rieducazione foniatrica– Servizio scuola-collaborazione

con gli insegnanti

– 1a Visita– Osservazione globale

• area cognitiva, linguistica, psicomotoria

• area affettivo-relazionale• visite specialistiche• psicodiagnosi

– Proposta terapeutica

Presa in carico

– Psicoterapia, individualee di gruppo, con bambini

– Psicoterapia, individualee di gruppo, con adolescenti

– Counseling e psicoterapiadella coppia genitoriale

Servizio di Psicoterapia per l’Infanzia e l’Adolescenza

Riunioni d’équipee progetto terapeutico

Corso Quadriennale di Specializzazione in Psicoterapia dell’età

evolutiva ad indirizzo psicodinamico

PUBBLICAZIONI

ATTIVITÀCONGRESSUALE

CONSULENZEPSICOPEDAGOGICHE

ATTIVITÀ DI RICERCA

ATTIVITÀ DI FORMAZIONEATTIVITÀ DI FORMAZIONEATTIVITÀ CLINICAATTIVITÀ CLINICA

Corsi di Psicomotricità

Istituto di OrtofonologiaAUT. DECRETO G.R.L., ACCREDITATO CON IL S.S.N. – ASSOCIATO FOAI

Centro per la diagnosi e terapia dei disturbi della relazione, della comunicazione, del linguaggio, dell’udito, dell’apprendimento e ritardo psicomotorio – Centro di formazione e aggiornamento per operatori socio-sanitari, psicologi e insegnanti

OPERATIVO DAL 1970Direzione: via Salaria, 30 – 00198 Roma TEL. 06/85.42.038 06/88.40.384 FAX 06/84.13.258

[email protected] - www.ortofonologia.itCorso Quadriennale di Specializzazione in Psicoterapia dell’Età Evolutiva a indirizzo Psicodinamico (Dec. MIUR del 23-7-2001) Convenzionato con la Facoltà di Medicina dell’Università «Campus Bio-Medico» di Roma per attività di formazione e ricerca

Accreditato presso il MIUR per i Corsi di Aggiornamento per InsegnantiProvider ECM accreditato presso il Ministero della Salute Rif. N. 6379 per Corsi d’aggiornamento per Psicologi e Operatori Socio-Sanitari

Accreditato per la Formazione Superiore presso la Regione Lazio

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SCUOLA FAMIGLIA PEDIATRA SERVIZI TERRITORIALI

Corsi di Aggiornamento per Insegnanti

Corsi di formazione per operatorisocio-sanitari

Seminari Monotematici

UNI EN ISO 9001:2000 EA:37

l’immaginaleUn approccio al sognoPatricia Berry 4

L’immaginale al di là della vitaAlfredo Sacchetti 14

Technè astrologica. Studio sullaCarta Natale di J. HillmanPia Vacante 18

Magi Informa 13, 21, 23-25, 36-37

45, 52-53, 65-67, 81

Questioni di psicoterapia dell’età evolutiva

Il bullismo tra senso diinadeguatezza e onnipotenzaMagda Di Renzo 27

«Per parlare di... adolescienza.Gli adulti di frontea una nuova sfida»Daniela Cardamoni, Daniela Quinto

Mariella Tocco, Simona Trisi 31

Ingresso libero 32

Professione genitore: dagli Egiziall’angolo piattoBruno Tagliacozzi 34

Cinema e letteratura, una lettura psicodinamica

Qualcuno con cui correreSerena Polinari 38

Fare psicologiaPsicoanalisi e telepatiaMarco Alessandrini 42

Evento migratorioe reazione psicogena acutaFilippo Sciacca 47

Autismo e psicosinell’età evolutiva 48-49

«Io conto e te ti nascondi!»Renato Corsetti, Gianluca Panella 54

L’«ospicologo»e lo sportello d’ascoltoLuciana Cerreti, Flavia Ferrazzoli,Anna Mammoli, Barbara Zerella 58

La Psicologia della Salute in un Ospedale di Malattie InfettiveAlberto Vito, Martina Lupoli,Liliana Tizzano, Giuseppe Nardini,Giuseppe Viparelli 60

La psicologia come professioneSimone Pesci 64

Counseling per i genitoriIl counseling come spazio peruna «triplice alleanza»Maria Cardone 68

Prospettive pediatricheLe caratteristiche delcomportamento alimentarein adolescenzaPietro Campanaro 71

La disabilità vista da un medico degli adolescentiGiuseppe Raiola 74

ISFAR Magazine 76, 82-83

Approccio psicopedagogicoed esperienze cliniche

Il mondo sconosciuto dellaPet TherapyFrancesca Allegrucci, Barbara Silvioli 77

L’importanza delle emozioninello sviluppo della menteChiara Lukacs Arroyo 84

«Diversamente = diversa... mente»Maria Rita Esposito 89

Calendario convegni 96

IN QUESTO NUMERO

EDITOREAssociazione Sammarinese

degli Psicologi (RSM)

DIRETTORE RESPONSABILERiccardo Venturini

RESPONSABILI SCIENTIFICIFederico Bianchi di Castelbianco

Magda Di Renzo

AMMINISTRAZIONEVia Canova 18, 47891 RSM

tel 0549/90.95.18 fax 0549/97.09.19

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06/84.24.24.45Fax 06/85.35.78.40

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I numeri arretrati possonoessere richiesti alla redazione

(è previsto un contributoper le spese postali)

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pubblicazione degli articolinon prevede nessuna forma

di retribuzione

Il presente numero è statochiuso nel mese

di aprile 2007

l’immaginale4

Una volta una paziente di Jung arrivò alla seduta stra-namente turbata. Sembra che avesse avuto occasio-ne di mostrare a qualcun altro un sogno che lei e il

suo analista avevano esaminato in una seduta precedente,ed era poi rimasta così insicura per la differenza di interpre-tazione, che si era affrettata a chiedere una terza e poi unaquarta opinione. Tutte differivano in modo essenziale. L’in-terpretazione dei sogni, ora recriminava, era una pseudo-scienza e coloro che li interpretavano soltanto ciarlatani.

Benché questo aneddoto possa riflettere un certo nume-ro di problemi sull’analisi, e più in particolare su questotipo di paziente, stimola anche alcune riflessioni teorichesui sogni. Naturalmente ogni sogno ha una varietà di possi-bili interpretazioni e, come è naturale, ogni analista ha incli-nazioni, approcci e ipotesi particolari. Alcune interpretazio-ni, tuttavia, non sono forse più pertinenti di altre? Esami-niamo il sogno della paziente:

«Giacevo su un letto in una stanza, apparentemente sola,ma con un senso di agitazione attorno a me. Una donna dimezza età entra e mi porge una chiave. Più tardi entra unuomo, mi aiuta ad alzarmi dal letto e mi conduce al pianosuperiore, in una stanza sconosciuta».

Possiamo ora immaginare differenti analisti junghiani eil tipo di interpretazione che ognuno di essi può dare di que-sto sogno:1. Analista Io-attivo: l’intero sogno è caratterizzato dolla

passività del tuo Io. Sei sdraiata: una posizione alquantoinconscia, che favorisce il senso di agitazione inconscia.Senza sforzo da parte tua, prendi quel che ti viene porto.Sei quindi portata via dall’Animus, in alto, in un’areaulteriore di fantasia passiva.

2. Analista relazione-sentimento: sei sola in una stanza,isolata e tagliata fuori dal tuo matrimonio, dalle amici-zie, dai figli. Non esprimi mai sentimenti alle altre figu-re del sogno, né hai contatti reali con esse. Vieni quindicondotta nelle regioni superiori, in compagnia solo deltuo Animus, sola e lontana, la principessa nella torre.

3. Analista orientato sul transfert: sei in una posizione ses-suale semiconscia, in cui l’agitazione rappresenta le tueproiezioni erotiche non riconosciute. Fantastichi variesoluzioni: (a) la madre fallica, o (b) l’uomo che ti condu-ce al piano superiore verso uno sconosciuto culmine diintensità. Una di queste soluzioni (in chiave sessuale) siriferisce alla tua proiezione su di me come tuo salvatore.

4. Analista Animus-sviluppo: quando sei di fronte alla tuaagitazione, questa diventa la donna di mezza età: haipaura di diventare vecchia e infeconda. Ma in quelladonna più anziana trovi la chiave creativa che diventapoi l’Animus sconosciuto, che ti porta verso la stanza disopra, cioè verso la parte sconosciuta della tua psiche,dove ora può avvenire un lavoro creativo.

5. Analista introverso: eccoti infine sola con te stessa, nelvaso. Ricevi ora un aiuto dall’interno. La tua femminilitàinteriore ti dà la chiave, perché la chiave è la claustrazio-ne in cui affronti un’inquietudine interiore, finora negatadalle tue difese estroverse e dall’acting-out. Questo tiporta al passo successivo, la figura dell’Animus, che tiaiuta ad alzarti dal letto e ti conduce a un altro livello.

6. Analista femminile-madre terra: giacevi passiva, connaturalezza, in contatto con i tuoi sentimenti reali (posi-zione depressiva). Ora puoi ricevere doni dal femminile,la madre positiva. Sfortunatamente non appena apparel’Animus perdi questa unione, seguendolo in alto versol’intelletto.

7. Analista orientato sul processo: non è tanto importanteil contenuto del sogno, quanto la maniera in cui l’haipresentato nella nostra seduta (il fatto che me l’hai rac-contato con voce così aggressiva; il fatto che hai aspet-tato fino alla fine dell’ora; il fatto che me l’hai datoscritto chiaramente a macchina e poi ti sei adagiata pas-siva, aspettando l’interpretazione).Quando leggiamo queste sette enunciazioni, quanto le

tesi dell’analista sembrano evidenti in alcune e quanto credi-bili e accurate in altre! Tuttavia, ognuna di queste prospetti-ve può essere desunta da scritti di Jung sul sogno, e nessunadi esse è necessariamente errata. Qui non ci interessa il «giu-sto» o lo «sbagliato» riguardo alle risposte precedenti, mapiuttosto perché ne preferiamo una a un’altra. Si potrebbeevitare il problema dicendo che dipende tutto dalla reazionedel paziente – quale interpretazione fa «click» per lui. Maper quanto pratico possa essere questo approccio, nascondeuna difficoltà essenziale, dal momento che ha a che fare conquella che può esser chiamata una sensibilità teoretica.

Sappiamo dagli studi comparativi, fatti su indirizzi teo-rici e su stili di terapia diversi, che virtualmente ogni terapia«funziona»: ogni terapia dà prova di raggiungere gli scopiche si propone, e i fallimenti hanno la stessa incidenza

Un approccio al sognoPATRICIA BERRY

Analista junghiana, University of Dallas

Ma ogni processo psichico, per quanto può essere osservato come tale, èessenzialmente «teoria», è cioè una «presentazione»; e la sua ricostruzione– o «ri-presentazione» – è nel migliore dei casi una variante della presen-tazione stessa.

C.G. JUNG1

l’immaginale, anno II, 1984

l’immaginale

cezione proveniente dal linguaggio poetico, cioè l’immagi-ne fantastica, che si riferisce solo indirettamente allapercezione dell’oggetto esterno. Questa immagine si basapiuttosto sull’attività fantastica inconscia»2. In questo passoJung dà luogo a una distinzione tra immaginazione e perce-zione. Un’immagine della fantasia è sensibile anche se nonè percettuale; ha cioè ovvie qualità sensuose – forma, colo-re, struttura –, ma queste non sono derivate da oggetti ester-ni. D’altro canto la percezione ha a che fare con cose realioggettive – quel che vedo è reale e lì. E così, siccome riven-dicano una realtà esterna, le allucinazioni (sia psicoticheche psichedeliche) riguardano la percezione; mentre leimmagini del sogno riguardano l’immaginazione. I duemodi, immaginale e percettuale, si affidano a funzioni psi-chiche distinte e differenziate. Per quanto concernel’immaginazione, qualsiasi questione di referente oggettivoè irrilevante. L’immaginale è a suo modo assolutamentereale, ma mai «perché» corrisponde a qualcosa di esterno.Benché figure e luoghi del sogno spesso prendano a prestitol’aspetto della realtà percettiva, non derivano necessaria-mente dalla percezione. Come leggiamo in Jung, le imma-gini nei nostri sogni non sono riflessi di oggetti esterni, masono «immagini interne».

Ma perché allora, possiamo chiederci, a volte sogniamofigure del nostro mondo percettivo e altre volte figure chenon sono mai state percepite? Di certo la figura familiaredeve essere un certo tipo di immagine a posteriori, o Tage-srest. La maniera tradizionale con cui trattiamo le immaginiche corrispondono a figure legate alla percezione è di chia-marle prodotti dell’inconscio personale e di cercare poi diclassificare le proiezioni che esse ci portano. Fin qui tuttobene, perché sembra che quel che stiamo realmente facendosia cercare di redimere queste immagini dal loro imprigio-namento percettivo e di recuperarle come psichiche, spo-stando con ciò il nostro punto di vista dal percettivo all’im-maginale.

Ma questo non può avvenire, la nostra uscita da questomondo percettivo resta bloccata, il nostro procedere siarresta quando abbiamo a che fare con queste cosiddettefigure personali a un livello personale, dimenticando chesono fondamentalmente immagini della fantasia «celate»in immagini a posteriori. Le figure personali sono proprioquelle maggiormente legate alla nostra prospettiva lette-rale. Quando il mio sposo, i miei figli o un amico appaio-no nel mio sogno, in una certa misura sono stati allontana-ti dal quella «realtà» del mondo percettivo al quale sonocosì strettamente uniti. Il sogno offre l’opportunità di ren-dere metaforiche queste figure, e così la psiche può essereosservata mentre opera «verso» l’immaginale, allontanan-do dal percettivo, ripetutamente e insistentemente. Si puòconsiderare questo movimento come l’opus contra natu-ram della psiche, un’opera che si allontana dalla realtànaturale del percettuale e va verso la realtà psichica del-l’immaginale.

Dobbiamo ora guardare più da vicino al tipo di realtàche un’immagine possiede. Dobbiamo esaminare più accu-ratamente che cosa intendiamo qui per immagine, e unmodo di farlo è considerarla separatamente, attuando unasorta di «analisi dell’immagine».

quantitativa in tutti i tipi di terapia. Benché di per se stessonon sorprenda, dal punto di vista dei risultati il relativismoin terapia può portare a gravi conseguenze. Apre la strada aun aspetto della psicoterapia poco diverso dalla ciarlatane-ria, dalla nevrosi da transfert sintonico, dalla suggestioneisterica, dalla acquiescenza dottrinale, dalla conversionereligiosa e dal lavaggio del cervello adottato in politica. Perquesti e in questi troppi «clicks», il soggetto si sente cam-biato in meglio sulla base di intuizioni rivelate. Se mancaun discernimento sensibile fra le teorie, non importa piùquale teoria abbiamo; un’idea è buona quanto un’altra, pur-ché funzioni – e ciascuna funziona in egual misura. Se cisono teorie migliori o peggiori sull’interpretazione delsogno, queste non possono basarsi su ciò che fa «click» –perché quando perdiamo la nostra sensibilità su questopunto, la perdiamo anche nella pratica.

Inoltre, poiché il nostro più importante modo di riflette-re su quel che stiamo facendo è attraverso i sogni, è fuoridiscussione che diventare consci delle nostre ipotesi è diimportanza fondamentale. È il punto cruciale della nostrapratica. Gli alchimisti non solo facevano esperimenti, matrascorrevano in egual misura il loro tempo in un certo tipodi theoria – pregando, leggendo e riflettendo su ciò che sta-vano facendo. Fare della «praticità» il nostro criterio deter-minante è infatti una forma di immoralità, di quel tipo cheosserviamo anche nello psicopatico, per il quale è buonociò che funziona. Ma piuttosto che lasciarci troppo traspor-tare da questa accusa morale contro il pragmatismo, sarebbeforse più vantaggioso rivolgersi al suo contrario, all’impor-tanza psicologica della teoria.

Dal momento che la teoria è così determinante per la pra-tica – dopo tutto, ciò che mettiamo in pratica è teoria –, perchési possa essere consci di ciò che facciamo con i sogni, dobbia-mo divenire consapevoli di ciò che pensiamo dei sogni. Dob-biamo esaminare non solo come mettiamo in pratica la nostrateoria, ma anche ciò che di essa mettiamo in pratica. Questosignifica rivolgersi alle nostre ipotesi e diventare consapevolidella nostra inconscietà anche in questo campo.

Quindi, ciò che elaboreremo in questo saggio è uno stru-mento (uno tra tanti) per afferrare con più precisione le ideeche sono in fondo a noi quando esaminiamo i sogni. Nostraintenzione è di elaborare alcuni mezzi per un’«autocoscien-za interpretativa», un procedimento attraverso cui poter esa-minare il nostro effettivo processo interpretativo, interpreta-re le nostre interpretazioni.

Come abbiamo detto, i metodi hanno ipotesi sottostanti,e anche questo metodo implica una posizione teorica. Ilnostro presupposto fondamentale è che il sogno è qualcosain se stesso e per se stesso. È un prodotto immaginale intutto e per tutto. Indipendentemente da quel che facciamo onon facciamo con esso, – è un’immagine.

I. IMMAGINE

Dobbiamo aderire all’immagine!

R.L. PEDRAZA

Come dice Jung, per immagine «non intendo la riproduzio-ne psichica dell’oggetto esterno, quanto piuttosto una con-

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l’immaginale6

Sensualità. Una ragione per cui le immagini si fondonocosì facilmente con le immagini a posteriori derivate dallapercezione sensoriale, è perché anche le immagini sonofondate sui sensi, anche le immagini implicano una speciedi corpo. Ma questo corpo non è un corpo «naturale» per-cettivo, più di quanto lo siano le immagini derivate daoggetti naturali percettivi. Il corpo cui si riferiscono leimmagini è metaforico, un corpo psichico nel quale le com-binazioni sensoriali e tutte le qualità sensoriali dell’immagi-ne, che per la percezione, per un motivo o per l’altro, sareb-bero bizzarre, incomplete, soverchianti o distorte, prendonoqui significato.

Trama. La parola «trama» è in relazione al tessere. Così,essere fedeli a una trama significa sentire e seguire la suatessitura. Quando diciamo di porre un sogno nel suo conte-sto, con la trama, cioè, della vita di chi sogna, tendiamo adimenticare che il sogno ha un senso, una trama, è tessutosecondo disegni che offrono un contesto compiuto e pieno.Le situazioni della vita non devono essere gli unici mezziper mettere in relazione il sogno con questo suo aspetto ditrama. L’immagine ha di per sé una trama.

Emozione. Inseparabile, sia dalla sensualità che dallatrama, è l’emozione. L’immagine di un sogno è, o ha, unaqualità d’emozione. I momenti del sogno possono essereespansivi, oppressivi, vuoti, minacciosi, eccitati… Questequalità emozionali non sono necessariamente riferite verbal-mente dal sognatore nel suo racconto, o rappresentate dall’Iodel sogno nelle sue reazioni o da altre figure del sogno. Sonoaderenti o inerenti all’immagine e possono non essere affattoesplicite. Anche se non riconosciute dal sognatore nel sogno,sono cruciali per «la loro connessione con le immagini. Nonpossiamo prendere in considerazione alcuna immagine neisogni, come nella poesia o nella pittura, senza sentire la qua-lità emozionale presentata dall’immagine stessa.

Simultaneità. Un’immagine è simultanea. Nessuna parteprecede o causa un’altra parte, benché tutte le parti sianointrecciate tra di loro. Perciò consideriamo il livello di imma-gine del sogno come non progressivo: nessuna parte avvieneprima, o conduce a una qualsiasi delle altre parti. Possiamoimmaginare il sogno come una serie di sovrimpressioni, ecome se ogni evento aggiungesse tessuto e spessore al resto.Del sogno di prima possiamo allora dire che l’Io orizzontaledel sogno (la sognatrice sdraiata), la donna con la chiave,l’uomo che conduce di sopra, sono tutte espressioni essen-ziali per lo stato psichico; nessuna di esse introduce un signi-ficato secondario. Sono strati l’uno dell’altro e inseparabilinel tempo. Possiamo esprimere tale relazione come mentre oquando. Mentre l’Io del sogno giace agitato, una donna dimezza età porge una chiave e un uomo conduce in una stan-za sconosciuta. Non importa quale frase viene «per prima»,perché non ci può essere priorità in un’immagine – tuttoviene dato contemporaneamente. Ogni cosa sta accadendomentre tutto il resto sta accadendo in modi diversi, simulta-neamente. L’accento che Jung pone sulla «situazione attua-le» non è necessariamente da identificarsi con la situazionedi vita letterale, che allontana il sogno dalla presenza del-

l’immagine, ma può anche voler dire che ogni parte delsogno è simultaneamente presente.

Relazioni interne. Tutti gli elementi (personaggi, ambien-ti, situazioni) all’interno di un sogno sono in qualche modoconnessi. Ciascuno è una parte dell’immagine globale delsogno, così che nessuna parte può essere privilegiata o con-trapposta ad altre parti. Con questa completa relazione inter-na del sogno, vogliamo mettere in evidenza la piena demo-crazia dell’immagine: tutte le parti hanno eguale diritto diessere ascoltate, appartengono allo stato, e non ci sono posi-zioni privilegiate all’interno dell’immagine. (Questo nonsignifica negare le innate gerarchie all’interno dell’immagi-ne, cui arriveremo più avanti, a «Valore».) Vediamo ora unesempio, che mostra come la relazione interna appare nel-l’immagine di un sogno. Una donna sognò: «Sono a letto,quando un buffo gnomo emerge dalle coltri. Mi guardatimidamente, come se volesse un contatto sessuale. Proprioin quel momento il mio amico R. (un conservatore, unresponsabile e anziano gentiluomo) appare sulla porta egrida “Fuggi!”, come se fossi in gran pericolo».

Un modo di esaminare questo sogno potrebbe esserequello di considerare l’amico conservatore R. e lo gnomobriccone come opposti, tra i quali la sognatrice deve sce-gliere. Ma tale approccio equivarrebbe a «fissarli» inopposizione, rafforzando quella che è già l’esperienza del-l’Io del sogno. Tenendo conto della coincidenza degli oppo-sti (la coincidentia oppositorum), cioè l’immagine globaledel sogno in cui tutte le parti si adattano l’una all’altra,vedremmo lo spaventato R. costellato in realtà dallo gnomoamoroso e viceversa. Loro due insieme sono l’immagine.Nella vita quotidiana, quando la sognatrice è in relazionecon la sua creatività da gnomo, la sua bricconeria, e cosìvia, il suo Animus conservatore e responsabile la spaventa ela spinge a fuggire, a scindersi dagli aspetti propri dellognomo, più bassi; e d’altra parte, quando l’Animus respon-sabile è in uno stato di panico, da qualche parte, proba-bilmente a livello molto inconscio, si verifica un investi-mento sullo gnomo. Nella vita quotidiana fa cadere la borsa,perde le chiavi, crea inconsciamente malintesi… Se dobbia-mo aderire a questo livello immaginale del sogno, il puntoessenziale è trattenersi dallo scegliere tra i personaggi.

Spesso occorre anche mantenere una certa tensione fravari ambienti. Un uomo sognò: «Mi muovevo nella cucinadi mia madre e vidi l’Enciclopedia Britannica sul banco».L’immagine è la cucina di sua madre, dove c’è un’enciclo-pedia. Una tendenza immediata sarebbe quella di distrugge-re quest’immagine dicendo, per esempio, che «un’enciclo-pedia non sta in una cucina», o che «essa mostra l’Animusdi tua madre». Mentre la prima affermazione significhereb-be tradire del tutto l’immagine (perché le immagini più effi-caci congiungono in effetti gli opposti più discordanti), laseconda sarebbe in se stessa un’affermazione dell’Animus –un giudizio preconcetto. Ma restituendo all’immagine ilriconoscimento e la dignità di un prodotto psichico infinita-mente più profondo di noi, possiamo acquietarci.

Dentro la cucina di sua madre c’è un’enciclopedia o unrospo o un vecchio storpio. La psiche ha già fatto qualcosa,qualcosa sta accadendo nella cucina di sua madre. Per il

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contenuto, possono essere separati; secondo il pensiero im-maginale queste coppie sono invece un’unità. Il vecchiosaggio è sia una struttura archetipica che un contenuto, eanche il numero quattro, il «quaternio», questa idea struttu-rale astratta, è un contenuto immaginale che appare come lequattro persone della mia famiglia, o un’auto per quattropasseggeri, o un quartiere della città.

Poiché le immagini con i loro contenuti sono sempredisposte strutturalmente all’interno di un sogno, non possia-mo parlare di esse al di fuori di questo contesto. L’uccellorosso di un sogno e l’uccello rosso di un altro sogno nonimplicano mai esattamente lo stesso contenuto, poiché né laloro relazione strutturale nel sogno, né le altre immagini delsogno, con le quali sono strutturalmente in relazione, sonoidentiche.

Ma è vero anche il contrario. Dal momento che le strut-ture sono composte di immagini con contenuti, non possia-mo parlare di esse al di fuori di questi contenuti. Sogniidentici con un solo contenuto diverso, diciamo un uccellonero anziché uno rosso, porterebbero a significati diversi. Inaltre parole, non è la posizione da sola che promuove ilsignificato di un simbolo, ma sia la posizione che il conte-nuto. L’uccello rosso non è il risultato di determinanti strut-turali (leggi di forze, opposizioni binarie, grammatica, lin-guistica, o altro), ma è esso stesso una delle determinantiche danno forma al sogno. L’immagine è essa stessa un’irri-ducibile e completa unione di forma e contenuto, e a nostrogiudizio non può essere considerata separatamente, come sefosse solo uno dei due aspetti. L’immagine è sia il contenu-to di una struttura che la struttura di un contenuto.

II. IMPLICAZIONE… l’interpretazione deve guardarsi dal fare uso di un qualsiasi puntodi vista altro da quelli manifestamente offerti dallo stesso contenuto.Se qualcuno sogna un leone, la corretta interpretazione può trovarsisolo nella direzione del leone; in altre parole sarà essenzialmente una«amplificazione» di quest’immagine. Ogni altra cosa sarebbe un’inter-pretazione inadeguata e scorretta, perché l’immagine «leone» è unapresentazione del tutto inequivocabile e sufficientemente esplicita3.

Dopo aver esposto l’aspetto iniziale del nostro approccio alsogno come immagine, ed avere esplorato quel che è l’im-magine, procediamo alla sua elaborazione: quel che l’im-magine implica.

Questa seconda modalità di approccio ha a che fare conl’intero procedimento del trarre implicazioni dall’immagineoriginale. Naturalmente, quanto più ci allontaniamo dall’ef-fettivo testo del sogno, tanto più la nostra interpretazione siapre a problemi, a differenze individuali, a inclinazioni e aparticolari aree di conoscenza (con le lacune che ad esse siaccompagnano). Quando parliamo di questo movimentodall’immagine all’implicazione (e a una terza categoria, allaquale giungeremo più avanti), non stiamo parlando di unaprogressione sequenziale nell’atto di interpretare. Non è chenoi necessariamente osserviamo prima l’immagine e poi netraiamo delle implicazioni, e così via, in questo ordine. Matutti questi sono aspetti dell’interpretazione, il cui ordinenon è sequenziale, ma ontologico. L’immagine è primarianon nel tempo, non perché ci è necessario considerarla per

sognatore l’importante è «lavorare» su quest’immagine (efar sì che questa immagine «lavori» su di lui) in qualunquemaniera che sia immaginativo-esperienziale – il che richie-de di mettere a freno il giudizio e l’interpretazione.

Valore. Alcune immagini sembrano più potenti, piùattraenti di altre. Per esempio, l’enciclopedia risalta sor-prendentemente in quella che altrimenti apparirebbe comeuna scena del tutto comune. Spesso, come in questo caso,l’attrazione sembra risiedere in una singolare combinazioned’immagine e di ambiente (un leone nel bagno), o a volte inuna singolarità dell’immagine stessa (un serpente alato). Inentrambi i casi le immagini sono «innaturali».

Quando il sogno presenta un’immagine che va contro ilnormale corso delle cose, si presume che tali immaginisiano di gran valore, perché sono esempi dell’opus contranaturam». Per come comprendo la concezione che Jung hadei simboli, essi cambiano il corso della natura ed elevanola sua energia a un valore più alto. Di qui il fatto chel’immagine innaturale, insolita, peculiare sia quella che sidistingue e che contiene il maggior valore.

C’è un’altra maniera di riconoscere il valore delle imma-gini del sogno. Immagini ordinarie possono essere investitedi sentimento, per esempio il piccolo cane marrone della miainfanzia o la sciarpa che mia madre mi regalò a Natale. C’èperò bisogno di una differenziazione tra sentimenti-sentimen-talismo, kitsch, desiderio struggente, nostalgia, aspettativa…Il sogno scopre l’immagine del sentimento, mostrando il sen-timento per quello che è. Così si può leggere il sentimentoattraverso l’immagine, come l’immagine attraverso il senti-mento. Il cane o la sciarpa sono di gran valore solo perché li«sento» fortemente nel mio sogno, ma il sogno mi dice anchedove si trovano i miei forti sentimenti di nostalgia. Trattare inostri sentimenti più imbarazzanti di un sogno da un punto divista sentimentale, significa perdere l’imbarazzo e di conse-guenza la discriminazione della qualità del sentimento.

Il caso è simile a quelle situazioni in cui uno sente lo sti-molo a scegliere tra, diciamo, città e campagna, cielo eterra, la casa paterna e il proprio appartamento. Un sognopuò mostrare la città come un luogo che dà ai nervi, la cam-pagna idilliaca, il cielo spaventoso, la terra nutritiva, la casapaterna complicata e insignificante, l’appartamentoindipendente come luogo riservato e appagante. Tuttaviaognuna di queste sensazioni è una fantasia dal punto divista dell’altra. La città sembra minacciosa proprio a causadella mia fantasia idilliaca e viceversa. Scegliere tra l’una el’altra di queste immagini parziali, significa perdere l’im-magine più ampia, che dopo tutto è una totalità! Identificar-si con la fantasia del sogno nei termini in cui si è presentata,vuoi dire perdere il significato della fantasia.

Struttura. Esistono relazioni strutturali significativeinterne alle immagini e tra esse. Di conseguenza le immagi-ni in una certa misura dipendono per il loro significato unadall’altra. Ma è importante su questo punto distinguersi daquegli indirizzi di pensiero che vorrebbero vedere le imma-gini come «solo» strutture, e derivanti il loro significatointeramente dalle impronte che riempiono. Secondo qualsia-si tipo di pensiero strutturale, forma e materia, struttura e

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prima quando si considera un sogno; l’immagine è primariain un senso più fondamentale, quello al quale ritorniamopiù e più volte e che è lo sfondo e la fonte della nostracoscienza immaginale.

Così, quando consideriamo il sogno nelle sue implica-zioni, ci accorgiamo che si restringe ulteriormente la seletti-vità con cui stiamo operando. E questo sembra paradossale,perché si ha la sensazione (a causa del nostro maggiore svi-luppo concettuale? a causa della nostra tradizione iconocla-stica?) che sia l’immagine il modo più limitato. Il sognodice solo questo, o dà queste particolari immagini, mentrele implicazioni sembrano estendersi in molte direzioni. Maallontanandoci dall’immagine e procedendo verso l’impli-cazione, ci priviamo delle profondità dell’immagine – lesue ambiguità senza limite, che possono essere solo in parteafferrate con implicazioni. Cosicché diffondersi sul sognosignifica anche restringerlo – un’ulteriore ragione per nonallontanarci troppo dalla fonte.

Narrazione. Fin qui abbiamo trattato il sogno da unpunto di vista relativamente statico, sentendo i vari eventidel sogno come i suoi livelli e le sue trame. Ora però comin-ciamo ad ascoltare e a osservare il sogno nel suo aspettonarrativo e drammatico. Era a questo aspetto del sogno cheJung si riferiva quando parlava della sua struttura dramma-tica (esposizione, sviluppo, peripezia, lisi)4.

Poiché la maggior parte dei sogni appaiono in questaforma di racconto, possiamo qui giustamente seguire Jung eservirci della narrazione piuttosto che dell’immagine, comecategoria primaria. Ma questo ci conduce a nuove complica-zioni, la prima delle quali è il carattere verbale della narra-zione. Anche se le parole contengono le immagini, le parolenon possono contenerle del tutto: parole e immagini nonsono identiche. Dato che le immagini sono primarie per noi,qualsiasi forma in cui viene modellata l’immagine è perconseguenza una sua trasposizione, è forse un passaggioche allontana da essa. Naturalmente, trasformando un’im-magine in parole, l’immagine può vivificarsi e arricchirsi;allo stesso tempo tuttavia ciò appesantisce le immagini per-meandole di tutti i problemi del linguaggio. La lingua divie-ne ora il contesto, un contesto che richiede il suo genere dicoerenza. Abbiamo fatto tutti l’esperienza di lottare perscrivere in forma coerente quel che sembra un sogno essen-zialmente incoerente. Ma comincio a dubitare della nostraidea di coerenza. È veramente il sogno incoerente, o è ilnostro approccio verbale che lo rende tale? Le immagininon richiedono parole per manifestare il loro intrinsecosignificato, ma non appena siamo coinvolti con il linguag-gio, allora ciò che aderisce all’immagine viene trasposto incoerenza verbale. Così troviamo che alcuni sogni non pos-sono essere descritti con parole. Sembrano far resistenzaalla trasposizione e allora li troviamo «incoerenti». Non riu-sciamo a mettere assieme le immagini entro una storia.

La seconda difficoltà con la narrazione è quindi che lasua natura verbale richiede una coerenza di tipo particolare:una storia, o il senso di una sequenza. Una cosa accadeprima di un’altra e conduce a un’altra ancora. Ma la succes-sione dei frammenti del sogno è spesso ambigua. E dal

punto di vista dell’immagine .deve essere così, perché l’im-magine non ha un prima e un dopo. Attraverso il nostro rac-conto, i frammenti del sogno, la cui successione è ambigua,tendono a diventare una cosa piuttosto che un’altra. Il nostroracconto genera una direzione irreversibile e dà forma alsogno entro un modello definito.

Rilevare i limiti della narrazione non significa metterein dubbio il potere della parola, il logos, in terapia – anzi, lamaniera in cui raccontiamo la nostra storia è quella in cuidiamo forma alla nostra terapia; significa semplicementemantenere distinto il racconto dallo strato immaginale fon-damentale, e notare che la loro fenomenologia è a voltediscrepante. Quando capitano lacune verbali o narrative nelracconto del nostro sogno noi le riempiamo, elaboriamo ciòche potrebbe dar senso al significato narrativo, ma nonnecessariamente al significato immaginale. Le immaginisono del tutto reversibili, non hanno un ordine o una suc-cessione fissa. In alcuni casi queste «interpolazioni» narra-tive distorcono o persino tradiscono l’immagine, perchétendono a collassare l’immagine nel racconto, entro la sto-ria di cui parliamo. E se i sogni sono principalmente imma-gini – la parola greca per sogno, oneiros, significa immagi-ne e non racconto – allora disporre queste immagini comese fossero una narrazione è come guardare un dipinto e trar-ne una storia.

Questo carattere di racconto è rinforzato anche dallaterapia. Quando narriamo i nostri sogni, narriamo le storiedella nostra vita. Non solo il contenuto dei sogni vieneinfluenzato dall’analisi, ma lo stesso stile del nostro ricor-dare. L’analisi tende a enfatizzare quello narrativo piuttostoche quello imagistico, anche se l’accento posto da Jungsulla pittura e sulla scultura ha contributo a ripristinare ilprimato dell’immagine. Ma il nostro reale interesse qui nonè se sia più fondamentale il racconto imagistico o quellonarrativo. Pensiamo piuttosto, dal momento che lo stile nar-rativo della descrizione è inestricabilmente legato a unsenso di continuità – che in psicoterapia chiamiamo l’Io –,che l’abuso della continuità a causa dell’Io sia un rischiosempre presente.

Questo ci porta alla terza e più importante difficoltà pre-sentata dalla narrazione: essa tende a diventare il viaggiodell’Io. L’eroe sa bene come trovarsi al centro di ogni rac-conto; può trasformare qualunque cosa in una parabola delmodo di raggiungere il centro, del modo di occupare comun-que il gradino più alto. La continuità in un racconto diventail continuo avanzare dell’eroe stesso. Cosicché, quando leg-giamo un sogno come narrazione, non vi è niente di piùtipicamente egoico che considerare la sequenza dei movi-menti come una progressione che culmina nella giustaricompensa o nella disfatta del sognatore. Il modo in cui unracconto ingloba l’individuo come suo protagonista cor-rompe il sogno e ne fa uno specchio ove l’Io vede soltantoquel che gli interessa. E poiché il suo principale interesse èil progresso comunque sia, l’interpretazione del sognodiviene ben presto parte del progredire eroico. Colui chesogna e colui che interpreta il sogno abbreviano la loro stra-da attraverso l’inconscio qui decidendo, là rifiutando, per-ché la successione degli eventi è caduta preda dell’idea del

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distanza. Schemi di vita unilaterali diventano multidimen-sionali, e le variazioni apportate dalla narrazione diventanotutte parti della nostra esperienza.

Ma è anche vero proprio il contrario, quando prendo,come una certa parte di me fa sempre, il racconto troppoegotisticamente, troppo personalmente. In questo caso sonotroppo inflazionata dalla natura archetipica del materiale, eil materiale a sua volta è rimpicciolito perché si adatti aibisogni del mio Io. C’è anzi un aspetto regressivo dellapoiesis, un mezzo con il quale io posso soltanto rafforzarela mia miopia, con il quale posso tralasciare di vedere lafantasia nel suo errante aspetto autonomo, come non pro-prio «mia». Quando la guardo nella sua grandezza archeti-pica, i giudizi crollano. In nessun modo posso dire che que-sto personaggio è una persona buona, questa è cattiva, que-sta figura «fa la mossa sbagliata», o accorgermi di «quantoera inconscia». I personaggi sono inconsci. Data la disposi-zione, essi fanno tutti quel che devono fare; e dati i perso-naggi, la situazione deve essere qual essa è.

In conclusione, il modo con cui trattiamo il racconto è lostesso con cui trattiamo la nostra psiche. Ascoltare la storiadel sogno come allegoria morale, con un messaggio per uncomportamento giusto o sbagliato (progressivo, regressivo),significa assidersi a giudizio al di sopra delle nostre anime.Quando tuttavia consideriamo il racconto come archetipico,tutti i personaggi diventano preziose entità soggettive, siaminori (solo un frammento di, non un’identità) che maggiori(con maggiore risonanza archetipica), di qualsiasi nostropunto di vista particolare, ristretto e riguardante l’Io.

Amplificazione. Una modalità con cui ci avviciniamoalla narrazione in analisi è l’amplificazione. Amplificare unsogno significa tentare, attraverso analoghi culturali, di ren-derlo più sonoro, ricco di echi e più ampio. A prima vistapuò sembrare che questo processo richieda soprattutto unbagaglio di conoscenze culturali e una certa dose di intui-zione e di fortuna. A un esame più attento scopriamo che ilprocesso è più selettivo e coerente.

Quando ci chiediamo quel che abbiamo fatto in un’am-plificazione, scopriamo prima di tutto delle somiglianze.Scopriamo che una figura o il tema di un sogno, in unaqualche essenziale maniera, è simile a una figura o a untema mitico. La comparazione che abbiamo fatto fa sì checi spostiamo da un’immagine personale a una collettiva eculturale; ci siamo spostati da qualcosa di più ristretto aqualcosa di più esteso, da qualcosa di completamente cono-sciuto (nel senso che è a portata di mano) verso qualcosa dipiuttosto sconosciuto (di ampia portata). La chiave sembraessere questa qualità di essenziale somiglianza. Mentre unasomiglianza puramente casuale ci porterebbe fuori strada –come l’enorme quantità di amplificazione usata a volte, adanno del sogno effettivo – una somiglianza d’essenzarimarrebbe necessariamente in contatto con l’immagine delsogno, la relazione con la quale sarebbe espressa nel simili-tudine («quasi» o «come»), in modo tale da essere parallelapiuttosto che sostituire l’effettiva immagine del sogno.

Elaborazione. I sogni sono come nodi nei quali le impli-cazioni si condensano, nodi che noi elaboriamo cogliendo

miglioramento progressivo. Il prima e il poi diventanoanche il peggiore e il migliore.

Il problema è aggravato dal fatto che sia il sognatorecome appare nel sogno, che le tendenze eroiche di colui cheinterpreta, possono presentarsi in forme più sottili di quellaovvia che chiama in causa l’eroe implicitamente. Entrambipossono essere eroici nella funzione, anche se sono sensibilie umili. Come Eracle si vestì con un abbigliamento femmi-nile, può farlo a un certo punto anche la coscienza eroica.Ma sotto questa umiltà c’è ancora l’Io come centro delsogno o della storia terapeutica. Il sogno ruota intorno a lui,intorno alla sua individuazione.

Quel che veramente intendiamo quando parliamo dicoscienza eroica dell’Io, non è tanto questa o quella figuramitologica, quanto piuttosto quell’atteggiamento che rompela continuità e l’interconnessione proprie all’immagine delsogno come un tutto. Questo atteggiamento discrimina con-tinuamente tra bene e male, amici e nemici, positivo e nega-tivo, a seconda di quanto queste figure ed eventi si accordi-no con la nostra opinione di progresso. Interpretare quindicome «negativi» o «positivi» questi stessi personaggi signi-fica considerare la narrazione nel suo aspetto esteriore, edessere presi perciò dall’idea di movimento che ha l’Io nelsogno.

Poiché l’errore è di tipo piuttosto ovvio, la sofisticazioneanalitica ci ha insegnato a fare l’una o l’altra mossa opposte.Possiamo, per esempio, prendere le parti dei ragazzi cattivi,dando credito al punto di vista dell’inconscio (le forze oppo-ste all’Io del sogno). Oppure possiamo tentare di prendere inmaniera drastica le distanze dal racconto, giudicandolo.Allora dimostriamo come la situazione del sogno possaessere stata manipolata abilmente proprio là dove l’Io haimboccato una direzione sbagliata, o dove ha instaurato unasituazione autodistruttiva. Diventiamo come insegnanti chegiudicano l’esecuzione. Ma con questo giudicare, forsesiamo intrappolati ancor più dal racconto e dalla sua enfasiegoica, perché questa trappola è ancora più sottile. Le nostreosservazioni interpretative sui modi migliori di trattare ilsogno sono affermazioni di una coscienza eroica, la nostra,più esperta, contro un’altra che lo è di meno (quella delsognatore, ora identificato con la rappresentazione di sé nelsogno). Lo stiamo semplicemente spingendo a barattare ilsuo mito eroico con il nostro, o a raffinarlo in conformità delnostro.

Poiché il coinvolgimento dell’Io provocato dal raccontoè forse, a un certo livello, inevitabile, prima di andare avan-ti dovremmo mostrare per il racconto quel tanto di rispettoche gli è dovuto. Non possiamo ascoltare una storia senzasentirci rapiti; non possiamo raccontare una storia senzasentire noi stessi in una parte di essa. Il racconto ci rapisceemozionalmente e immaginativamente, ed è una modalitàestremamente profonda di esperienza archetipica. Sia chearriviamo o no ad affermare come alcuni fanno (vedi Ste-phen Crites) che senza la narrazione non ci sarebbe affattoesperienza, possiamo almeno esser d’accordo sul fatto che iracconti trasformano l’esperienza e arricchiscono di signifi-cato archetipico i comportamenti quotidiani. Eventi perso-nali, umori, gelosie e persino sintomi, quando sono riflessiattraverso una storia, acquistano peso e cionondimeno

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parole chiave e, trattandoli come immagini, ne spieghiamo isignificati impliciti. Andare verso il West in un sogno signi-fica andare verso la libertà, il nuovo, la morte, il tramonto,la «natura», andare in senso orario, estroversione… Quandoil sognatore elabora o fa associazioni, c’è sempre il pericolodi sopravvalutarle, di renderle determinanti. Tendiamo adimenticare che le sue osservazioni derivano probabilmentedal punto di vista conscio; sono cioè egosintoniche, il chenon vuoi dire che siano irrilevanti, ma che sono limitate.

Nella maggior parte dei casi l’elaborazione effettuatadal sognatore ci dice di più riguardo al sognatore che non alsogno. Veniamo a sapere da questa elaborazione la situazio-ne dell’Io e i costrutti attraverso i quali egli vede se stesso.Diciamo che l’amico Giovanni appare in un contesto alquale il sognatore dà gli attributi associativi di pigrizia,malizia e mancanza di determinazione. Da ciò possiamosupporre che l’ideale dell’Io è non-pigro, non-infido e bendeterminato. Da un punto di vista molto più importanteperò impariamo che il sognatore vede alla luce di questicostrutti. Dicono poco del sogno, perché dopo tutto sonoelaborazioni coscienti, ma ci dicono molto sulla relazionedell’Io con il contenuto «amico-Giovanni».

Un’eccessiva sollecitudine verso il materiale associativoci può portare a un’ulteriore difficoltà, in cui possiamo perde-re, rivolti al punto di vista conscio, le sottigliezze di una figu-ra del sogno. In questo modo perdiamo l’occasione di dissol-vere una fissità conscia, espressa dall’associazione, e per dipiù rischiamo di irrigidirla ulteriormente. L’Io e «l’amico-Giovanni» diventano ancor più fermamente radicati nelleposizioni che hanno stabilito per se stessi e l’uno per l’altro.

Ripetizione. Questa è un’altra caratteristica che attira lanostra attenzione quando ascoltiamo o leggiamo un sogno,e da cui traiamo delle implicazioni. Con ripetizioni intendosomiglianze di qualsiasi tipo. Nello stesso sogno possiamotrovare ripetizioni di aggettivi – varie cose chiamate «gran-di» o «verdi»; o di verbi: correre, precipitarsi, affrettarsi; osomiglianze nella forma: la rotondità di uno pneumatico, lasuperficie rotonda di un orologio, e così via. Oppure ilsogno può presentare ripetizione come ricorrenza di untema, per esempio quello del movimento dal basso all’alto.Nel sogno la segretaria non ha tempo e quindi un tizio deveparlare al «capo»; un dolore al ginocchio è ora diventato unmal di testa; qualcuno viene promosso a scuola. L’insiemedi queste ripetizioni mostra un tema (movimento verso l’al-to) interno al sogno. Questo movimento non può esseremesso in discussione – non possiamo dire che potrebbe nonapparire – senza tradire il livello dell’immagine del sogno.La cosa migliore che possiamo fare, e non è poco, è di porrein rilievo la ripetizione e le sue coordinate: «capo», mal ditesta, promozione scolastica. Tutte queste cose hanno a chefare con un’idea archetipica di più alto, e ognuna di esseporta con sé sia i benefici che i danni di tutte le altre.

Riesposizione. Il modo più sicuro per mantenere le impli-cazioni aderenti all’immagine è di riesporre il sogno e le suefrasi dando loro una nuova inflessione. Con il termine di rie-sposizione intendo una sfumatura metaforica che sappia fareda eco o che rifletta il testo al di là della sua esposizione lette-

rale. Si può fare questo in due modi: il primo è di sostituirealla parola effettiva sinonimi ed equivalenti (vedi sopra a«Elaborazione», dove il movimento verso il West diventa ilmovimento verso la libertà, la morte, ecc…). Il secondo, diriesporre semplicemente con le stesse parole il testo, maaccentuando la qualità metaforica implicita nelle parole stes-se. La frase letterale «sto guidando» diventa «io sto guidan-do», oppure «io sto guidando», a seconda di quale sensometaforico vogliamo mettere in rilievo. Senza una riesposi-zione tendiamo ad essere presi dall’aspetto esteriore delsogno e a trarre facili conclusioni da esso, non riuscendo maia entrare veramente dentro la psiche o il sogno. Quando siamocompletamente in difficoltà con un sogno, non ci può esseremeglio da fare che ripeterlo, lasciarlo risuonare di nuovo,ascoltarlo finché non si apra un varco a una nuova chiave.

III. IPOTESIIn nessun altro campo i pregiudizi, le interpretazioni sbagliate, i giudi-zi di valore, le idiosincrasie e le proiezioni, si manifestano più aperta-mente e spudoratamente che in questo particolare campo di ricerca,tanto che si stia osservando se stessi che il proprio prossimo. ln nessunaltro campo come in psicologia l’osservatore interferisce più drastica-mente nell’esperimento5.

Fin qui abbiamo parlato della nostra interpretazione rife-rendoci all’effettivo testo del sogno (Immagine) e alleImplicazioni che si possono trarre da esso. Prendiamo orain considerazione una terza categoria, l’Ipotesi, che più siallontana dal testo effettivo del sogno e che di conseguenzaè più esposta alle personali predilezioni, alle opinioni e alleintuizioni del singolo analista. Sotto il termine Ipotesi pos-siamo porre qualsiasi affermazione di causalità, ogni per-ché di questa o quella mossa interpretativa; e parimentiqualsiasi generalizzazione fatta sulla base del sogno, qual-siasi valutazione, prognosi, qualsiasi uso del tempo passatoo futuro (questo era o questo sarà), così come qualsiasiconsiglio diretto, che riguardi la situazione di vita dell’ana-lizzando.

Così come nell’immagine tutti gli attributi descrittivisono intrecciati e vanno a formare un unico contesto, e cosìcome la nostra discussione sull’implicazione si accentrasull’esame del sogno come racconto, così le sue ipotesiimplicano quell’unico atteggiamento da cui derivano. Que-sto atteggiamento è di sentirsi assolutamente obbligati adavere un effetto sull’analizzando, a dargli qualcosa, unaqualsiasi cosa da portarsi via. E sembra, abbastanza curio-samente, che quanto più gli altri due metodi hanno fallito –cioè, quanto più noi abbiamo fallito nella nostra rispostaimmaginativa al sogno – tanto più insistente è la nostra sen-sazione che ora dobbiamo realmente stabilire la connessio-ne. Sfortunatamente il nostro insuccesso con l’immagine el’implicazione è dovuto probabilmente proprio alla nostratrascuratezza della psiche, alla nostra perdita di realtà imma-ginale e di senso dell’anima. E quando questo avviene,come sembra inevitabile, la nostra prima mossa per recupe-rare l’anima è quella di proiettarla dovunque, e poi di pre-tenderne la realtà. Quando si perde il delicato movimentodella metafora, tendiamo a chiamare in causa sostitutivi piùforti e più letterali.

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vista causale, tenderebbe a escludere il resto. Forse è questoil reale pericolo del pensiero causale e la ragione per cuiJung ci mise in guardia da esso. Quando a qualcosa vienedata priorità come causa principale, ogni altra cosa divienesecondaria, semplici aspetti, la cui intenzionalità non èmaggiore che se fossero palle da biliardo. Di conseguenzala finalità viene attribuita solo alla causa (o cause) iniziale,e il resto cade in uno stato senza anima, senza movimento ointenzionalità.

Valutazione. Questa si riferisce a qualsiasi affermazionenegativa-positiva, a qualsiasi giudizio di valore, che sianoriferiti a un sogno o a una parte qualsiasi di esso. A livello diimmagine il criterio della valutazione non può essere applica-to, perché l’immagine semplicemente è. Mia madre che con-ficca aghi su di me (come immagine) non è né positiva nénegativa; semplicemente è. Nell’Implicazione tuttavia, con lasua enfasi narrativa, i personaggi assumono una certa qualità,se non proprio buona o cattiva almeno d’aiuto o d’ostacolo.Mia madre sta ascoltando me, il protagonista. Questo però ècosì solo perché ho l’idea di me stesso come protagonista, edi conseguenza sono portato a considerare gli altri comeaiuto od ostacolo. Qualsiasi idea valutativa sul comportamen-to di mia madre che conficca gli spilli – «mia madre è un per-sonaggio negativo», oppure «tutto ciò è per il mio bene» – èpura e semplice ipotesi. Nel nostro sogno iniziale, con i setteesempi interpretativi, potremmo con egual ragione supporreche sia bene che la sognatrice stia sdraiata, oppure che questoatteggiamento sia pura passività; o ancora che l’uomo scono-sciuto rappresenti l’intellettualizzazione che la porta in alto efuori strada, oppure un Animus positivo che la conduce nelleregioni sconosciute della sua psiche. Alcune di queste ipotesiriteniamo riflettano le nostre proiezioni specifiche sul sogno,oppure le nostre idee su tali cose in genere.

Generalizzazione. Un sogno è l’esposizione specifica diuna particolare costellazione di personaggi e ambienti,cosicché qualsiasi tentativo di generalizzazione a partire daesso è un fare ipotesi. Molto di quel che facciamo in psico-logia ha a che fare con la generalizzazione. Esaminiamo unavvenimento o un fatto specifico e immediatamente cer-chiamo di dargli un qualche significato generale, di adat-tarlo a un contesto più ampio. Tendiamo, sulla base di unsingolo sogno, a dire che il sognatore è questo o quel tipo dipersona, o che ha questo o quel problema. Gli procuriamoun’identità «operativa». Le generalizzazioni sono estrema-mente utili fino a che ci rendiamo conto che sono sempliciipotesi più o meno acute; però molto di quel che ricaviamoda esse possiamo realizzarlo anche tramite l’amplificazione.Con l’amplificazione richiamiamo l’attenzione su paralleli,patterns di significato. Tuttavia nell’amplificazione il parti-colare non viene perso di vista, non è inghiottito dal genera-le, ma gli viene posto a fianco, come una seconda melodianella medesima tonalità. Motivi particolari di un sogno pos-sono senza difficoltà andare paralleli a quelli mitici e tutta-via senza essere sussunti da questi.

Specificazione. Abbastanza connesso alla generalizza-zione è qualcosa che potrebbe sembrare a prima vista un

Sembra adesso che il sogno possa essere reso effettiva-mente rilevante soltanto connettendolo a un concetto direaltà più semplicistico, procedimento questo che va adiscapito dell’immagine, la cui realtà immaginale non puòpiù essere percepita. Abbiamo perso così la nostra pietra diparagone dell’immagine come psiche e della psiche comeimmagine, e anche quella che deve essere la nostra premes-sa, cioè che niente può essere più rilevante o reale dell’im-magine stessa del sogno. Tentiamo in modo disperato dimettere in relazione il sogno con la fantasia collettiva diuna realtà che chiamiamo vita, relazioni, il mondo quotidia-no. Ma, piuttosto curiosamente, questo movimento diventaspesso un procedere verso la magia. Perché, perdendo ilvero potere dell’immagine, deriviamo il nostro potere dauna connessione magica con il mondo della materia co-struito dall’lo. Per magia qui intendo: interpretare gli aspettiimpersonali del mondo secondo le mie personali intenzionie i miei interessi (servendomi dei sogni per la prognosi, ladiagnosi, le predizioni, le connessioni segrete…). Unaforma moderna di pensiero magico è il pensiero causale.

Causalità. Il sogno come Immagine non fa asserzionicausali. Gli eventi accadono in relazione l’uno all’altro, maquesti eventi si integrano come in pittura o scultura, senzarapporti causali. Quando nelle nostre interpretazioni faccia-mo asserzioni causali, come a volte può essere utile fare,non parliamo più dell’immaginazione a partire dall’imma-ginazione, ma dell’immaginazione a partire da una serie diipotesi proprie della fisica. Il modo in cui lo facciamo fadifferenza nella nostra interpretazione. Del frammento disogno «Sono in una stanza con il signor X quando improv-visamente le luci si spengono», si potrebbe dire:a) Il signor X determina lo spegnersi delle luci. (In rozzi ter-

mini analitici, ciò significherebbe che la mia ombra X,con tutte le caratteristiche sue proprie, causa incoscienza.Dopo aver detto questo, procederemmo a focalizzare lanostra attenzione soprattutto sull’agente, l’ombra X.)

b) Oppure X è il risultato dello spegnersi della luce. (Inquesto caso l’incoscienza è una precondizione per lacomparsa di X, e così dirigeremo la nostra attenzionesullo stato inconscio come agente.)Prendiamo un altro esempio:«Io e il mio fidanzato stia-

mo correndo sulle montagne, sopra una slitta trainata dacavalli. Giungiamo di fronte alla casa di mia madre. Lei civede e sbatte la porta così forte che i cavalli, presi dal pani-co, ci trascinano giù per un’altura, ad andatura terrificante».La relazione causale più evidente è fornita qui dall’Io delsogno – la madre che sbatte la porta causa panico nei caval-li. Ma prendere questo come base per l’interpretazione delsogno, significa ignorare l’immagine nel suo insieme. Io e ilmio fidanzato che andiamo in slitta sulla neve della monta-gna, potrebbe essere visto anche come causa del fatto chemia madre sbatta la porta, oppure come causa del panicodei cavalli e del loro correre verso il basso. Se concediamoeguale riconoscimento a ogni aspetto del sogno, compren-diamo che tutti gli eventi sono connessi e che si costellanosimultaneamente l’un l’altro. Dal punto di vista analitico èquindi la situazione nel suo insieme che dobbiamo intuire,non l’uno o l’altro aspetto che, considerato da un punto di

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l’immaginale12

suo opposto. Invece di ampliare il contesto del sogno, laspecificazione riguarda la sua delimitazione al fine di unadisamina specifica. Il sogno si focalizza sull’uno o l’altrointeresse del sognatore. Diciamo: «Questo sogno ha a chefare con l’analisi, oppure con la tua relazione con tuo padre,col tuo lavoro, col tuo matrimonio…», alludendo con que-sto al fatto che il sognatore dovrebbe fare qualcosa riguardoa queste situazioni e che il sogno sta dando delle indicazio-ni. Infatti discutiamo del sogno come se fosse un’entità teo-logica; che conosce come un Dio onnisciente, che si prendecura come il Dio del Nuovo Testamento, che crea come ilDio del Vecchio Testamento, ma che tuttavia la pensa pro-prio come te o me. Il sogno si interessa di tutte le piccolecose di cui ci interessiamo noi – dove andare, cosa fare – epoi ci corregge, quando abbiamo fatto quello che nondovremmo fare o abbiamo preso decisioni sbagliate. Se spe-cifichiamo il sogno in un messaggio, il sogno viene antro-pomorfizzato e divinizzato. Sia che questa tendenza vengaconsiderata come una secolarizzazione dell’istinto religio-so, uno spostamento, oppure una nuova fonte inesauribile disignificato, questa tendenza è del tutto conforme ai nostripregiudizi teologici. Ma qualsiasi posizione prendiamorispetto a questa questione teologica, dal punto di vista psi-cologico una cosa rimane certa: tutte le conclusioni specifi-che che noi traiamo appartengono al campo dell’ipotesi. Ilsogno non dà un consiglio specifico; lo facciamo noi, appog-giandoci come sostegno al sogno.

*

Quando ripensiamo a queste ipotesi, ci si accorge che lamaggior parte di ciò che effettivamente facciamo in terapiacade all’interno di questa categoria. Possiamo quindi presu-mere che l’analisi del sogno sia estremamente personale, alpunto che queste interpretazioni ci dicono di più su colui cheinterpreta che non sul materiale in esame. E in realtà è così,come sappiamo dalle sette diverse interpretazioni con cuiabbiamo iniziato. Se l’interpretazione del sogno è così sog-gettiva, ci potremmo chiedere com’è che funziona davvero.

Proprio qui sta il tranello – perché l’interpretazione fun-ziona. Quel che la fa funzionare deve basarsi su qualcosa didiverso dall’immagine del sogno e dalle sue implicazioni.Dato che la relazione tra l’immagine del sogno e le nostreipotesi è così tenue, non siamo più nella situazione di poterdichiarare che le nostre interpretazioni siano basate sulsogno. La loro validità deve derivare da un’altra sorgente,che presumo di poter chiamare abilità terapeutica.

Vuoi dire forse che abbiamo percorso un circolo com-pleto, per ritornare poi al pragmatismo con il quale abbiamoiniziato e al quale abbiamo tentato di sfuggire? Se le nostreinterpretazioni sono sostanzialmente ipotesi e queste hannosuccesso in virtù dell’abilità terapeutica, allora forse dob-biamo sostenere la nostra abilità pratica con una teoria delleterapia, distinta per esempio dalla teoria dei sogni e non unavolta ancora camuffata con essa. Siamo partiti fiduciosa-mente in questa direzione, tentando di riconoscere e distin-guere tra i nostri procedimenti riguardo ai sogni.

Nel ripensarci possiamo anche chiederci perché granparte delle cose che facciamo con i sogni sia un’ipotesi.

Nonostante la ricchezza interna dell’immagine del sogno, oforse proprio a causa di essa, ci sembra di prestare troppopoca attenzione a questa categoria. Potrebbe darsi che fac-ciamo delle ipotesi proprio perché non siamo capaci diimmaginare? Il sogno ci confonde con la forza delle sueimmagini e noi generalmente ci troviamo in difficoltà arispondere con pari forza. La nostra immaginazione non èallenata e non possediamo un’adeguata epistemologia del-l’immaginazione, in modo da incontrarci con l’immaginedel sogno al suo stesso livello.

Il training analitico ci insegna più che altro come fareipotesi sui sogni e come elaborare le loro implicazioni.Impariamo imitando le ipotesi che fanno i nostri analisti suinostri stessi sogni. Quel che non impariamo è una psicolo-gia dell’immagine paragonabile a ciò che studenti di archeo-logia, iconografia, estetica, o esegesi dei testi imparerebbe-ro sull’immagine nei loro campi. Del resto non sappiamoneanche cominciare a scoprire quella che potrebbe essereuna psicologia dell’immagine, finché in psicologia conti-nueremo a servirci di quelli che consideriamo i nostri scopiterapeutici. Forse sarebbe più appropriata l’altra strada cir-colare: scoprire quello di cui l’immagine ha bisogno e daquesto far derivare la nostra terapia.

Ma coltivare l’immaginazione e sviluppare una sua epi-stemologia è impresa piena di rischi. Da una parte dobbia-mo riconoscere la nostra storica stentatezza nei confrontidell’immaginazione (come Casey ha dimostrato)6 cosicché,quando iniziamo a immaginare in risposta alle immagini delsogno, della letteratura o di altro, non ci sorprendiamo difronte alla povertà e alla soggettività delle nostre risposte.D’altra parte, come a compensare l’iconoclastia della nostratradizione, vi è un’indifferenziata glorificazione delle imma-gini che non porta né alla precisione né a una relazione psi-cologica con esse.

Forse l’unica strada fra queste due limitanti alternative èuna via negativa, una psicologia dell’immagine che partadal riconoscimento di procedimenti non appropriati. In que-sto saggio abbiamo tentato un tale approccio. Il nostrointento è stato quello di elaborare un metodo di consapevo-lezza interpretativa, e di chiarire così qualcosa della confu-sione derivante dalle immagini primarie della psiche – quel-le che si presentano nei sogni. Riflettendo sui nostri proce-dimenti interpretativi di fronte ai sogni, possiamo ricavarneuna certa differenziazione, rendendoci conto di quando nonstiamo dando all’immaginale ciò che gli è dovuto.

Traduzione di Bruno Minutigentilmente concessa dai «Quaderni della Biblioteca

Alleanza per la Fondazione Individuale»

NOTE1 C.G.. Jung, CW, vol. 17, par. 162.2. C.G. Jung (1921), «Tipi psicologici», in Opere, vol. VI, p. 451 s.3. C.G. Jung, CW, vol. 17, par. 162.4. C.G. Jung (1945/1948), «L’essenza dei sogni», in Opere, vol. VIII, p.317.5. C.G. Jung, CW, vol. 17, par. 160.6. Vedi E. Casey, Verso un’immaginazione archetipica, «l’immaginale», 2,1984 [N.d.R., «Babele», 32, gennaio-aprile, 2006].

In libreria

C.G. JungLettere, 1906-1961in 3 volumi

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l’immaginale14

Oggi ho avuto, a Tucumán, un’interessante conversa-zione con Benjamìn Toledo, eminente psichiatra emio amico, sull’immaginale in noi stessi, quella pre-

senza esistenziale e ontologica che un tempo veniva chia-mata archetipica, propria dell’individuo, in un senso quasiparadigmatico1. E ci siamo chiesti qualcosa sul suo destino esulla sua eventuale immortalità.

Tutto ciò, naturalmente, mira a non confondere l’oggettoo, per meglio dire, il soggetto dell’immaginale con ciò che èsemplicemente immaginario o fantastico.

Non so più a chi di noi due appartengano queste idee. Tut-tavia, ciò che è importante è che rimangano vive come espe-rienze uniche e che rispondano a una dinamica di apertura versoil mondo, come la Weltoffenheit di Arnold Gehlen2. Probabil-mente ci porremo in contrasto con il neopositivismo del sud-detto autore, ma tutto ciò che rimane di questa apertura è vali-do e reale: come quando, all’alba, apriamo una finestra sulleAnde illuminate dai primi raggi del sole, sentiamo il canto degliuccelli, respiriamo profondamente, diciamo «buon giorno», onon diciamo niente, perché le parole sono superflue.

Innanzi a quella natura penetrante e profumata, mistica ecalda, in prossimità del tropico australe, si apre il mondointero, a prescindere dalla latitudine in cui ci si trova, e sem-bra di sentire le voci più strane provenienti da tutti i conti-nenti, talvolta espressioni di gioia, altre volte pianti prolun-gati, ovvero canti al Signore.

Probabilmente è questo tutto il dramma dell’esistenza,una sorta di mundus imaginalis del quale ci parla Dario V.Caggia, secondo l’antico significato del Thesaurus Linguae,Latinae3. Tuttavia, noi lo sentiamo dentro, come qualcosa dipresente e ontologico che «è lì»: così come se quelle vocilontane geograficamente venissero captate da un potenteapparecchio a onde corte, si sovrapponessero a una baraon-da continua e fosse impossibile distinguerle per comprende-re il loro linguaggio o per stabilire una sorta di dialogo conesse: poiché dietro quella confusione vi sono sicuramentedegli esseri che godono o soffrono, cantano o gridano dispe-rati in una strana catarsi. Vorremmo comprenderne qualcosa.

Sarà, dunque, meglio chiudere nuovamente quella fine-stra e vedere se è possibile sintetizzare, isolandola, una diquelle voci, nella tranquillità del mio pensatoio. E mi rendoconto di essermi inebriato di aria e di profumi campestri, eche ora percepisco meglio. Vedo persino l’immagine fisica

di ognuno dei miei amici, non importa se si trovano real-mente in questo continente australe o in Africa, in Asia o nel-l’antico mondo mediterraneo ove nacquero i miei avi. Ècome un’eidofania4 di tutti loro, con aspetti caratteristici cheun tempo mi affascinarono ma che ora non so, né mi doman-do, se continuano ad essere così come li videro i miei occhi.

Eppure li vedo, sono qui presenti insieme a me, perchésento le loro voci, parlo con loro, mi rispondono: il nuovodialogo avviene in un nuovo miracoloso incontro.

Sto sognando? No. È una fantasia? Neppure; perché ècoerente, profonda, essenziale. E allora?

Probabilmente è un reincontrarsi di anime. Lo diciamocon enfasi, quasi senza volerlo, e poi ci rendiamo conto chenoi non vogliamo usare così, semplicemente quella parola,senza averne proposto una spiegazione psicologica e, diconseguenza, epistemologica ed esistenziale. Non vogliamocosì semplicemente sfuggire alla nostra naturale tendenzaprofessionale per la ricerca. Scorgiamo, dunque, quel concet-to di immaginale eidofanico di cui si è accennato ma in sensodinamico, tangibile, e ci sembra che quel nuovo dialogo è diper sé una vivencia (esperienza di vita), una vivencia rinno-vata nel tempo e nello spazio. Pertanto formuliamo messag-gi, percepiamo psicofanie5 di ogni genere e, talvolta, vereteofanie: tutte manifestazioni che nascono spontaneamentedall’essere e che trascendono i momenti passati. Il dialogodiviene eterno, ricerca valori e difetti, sia particolari che uni-versali. Direi, però, che non ci conduce a un’assiologia masemplicemente a una situazione di fatto, in quanto sento lanecessità di fermarmi, riposare e meditare sul bene e sulmale, sul sacro e sul profano, su ciò che è vivo e su ciò che èmorto, sul vero e sul falso… e guardo stupefatto. Non hoancora operato una scelta. Sto qui e ascolto perché quellevoci risuonano in me, pregnanti, ed esigono una risposta.

Continuo, dunque, quella vivencia nel tentativo di dive-nire protagonista del teatro dell’immaginale. Assumo, per-tanto, posizioni concrete, fisso un comportamento, scrivo aun amico o salgo rapidamente in automobile, o in aereo perrecarmi a tenere una lezione o una conferenza. È come sve-gliarsi per incanto. La nostra meditazione odierna non deve,tuttavia, varcare la soglia dell’esistenziale.

Vogliamo sapere qualcosa di più, e possibilmente, moltodi più di ciò che è accaduto, perché fa parte della nostra vita esi ripete quotidianamente. Non vi sarà qualcosa di immortale?

L’immaginale al di làdella vita

ALFREDO SACCHETTIAntropologo

l’immaginale, anno II, n. 2, 1984

«Scartafacci d’Oggi», Yerba Buena (Tucumán), 4 dicembre 1983. Dialogo di Alfredo Sacchetti (antropologo) con Benjamìn Toledo (psichiatra), alle faldedelle Ande de La Aconquija, nella regione dell'antico Tucumán, nel luogo in cui si incontrarono, lottarono e soffrirono molte razze di indigeni e di bian-chi e dove ora abitano i loro discendenti. Un insieme di voci.

l’immaginale

perenne che ci parla di immortalità: è dunque l’immaginaledi tutte quelle presenze dell’anima che si riflette sulle pendi-ci delle nostre Ande?

Me lo fa pensare Pasquale Magni quando nella sua rivi-sta dal titolo significativo di «Responsabilità del Sapere»(1983), afferma che la luce accesa sulle montagne dell’anti-co Tucumán11 è visibile anche da Roma. Egli è stato da noiper parlarci del suo nuovo atteggiamento epistemologico,dell’homo solaris12 che si manifesta in un dialogo chiaro tralogica mentis e logica entis, quest’ultima intesa forse comeriflesso dell’immaginale di cui abbiamo parlato13.

Se l’immaginale come eidofania risponde dunque a unalogica entis della persona – presente e immortale – al di làdella vita, grazie alla quale il dialogo continua, ci doman-diamo se tutto questo non costituisce forse un archetipo, unasorta di consentium gentium, come fu concepito da C.G.Jung14. Se ne discute con Benjamìn Toledo. Ma, in realtà, secosì fosse, non vi sarebbe dialogo ma semplicemente unpatrimonio ereditato o acquisito dalla cultura dei nostri avi.La nostra sarebbe stata, infatti, una pura illusione o un para-dosso sarcastico della vita. Non può esistere un dialogoinnanzi a una pura ideologia o atteggiamento teoretico.

Noi, di converso, parlavamo di eidos: di un’immagineconcreta, di voci sonore, come quelle captate dalla radio oquelle emesse dagli uccelli che spiano dai rami degli alberi:tutte armonie dell’essere che richiedono la propria presenzae che si identificano per la loro tipologia, al di là dello spa-zio e del tempo, e si riconoscono quando si è avuta la fortu-na di convivere nel bios dell’esistenza.

È per questo motivo che non prediligo la parola archeti-po, di coniazione junghiana, sebbene ne faccia uso, ma nondesidero generalizzarla. Preferisco distinguere l’archeofaniapura dalla tipofania. La prima manifestazione è una sempli-ce eredità di un patrimonio comune senza volto; la secondaè la reale permanenza di un essere da me rappresentato o chemi trovo innanzi; è qui, e non può morire. Forse è stato, macontinua a vivere e dialogare con me. Non so se resta, tutta-via, il suo corpo mortale: ciò che meno mi importa e che pro-babilmente non ho mai amato in quanto tale.

Ebbene, sarebbe opportuno chiarire ancora una volta chesenso ha l’immortalità di quell’immaginale che ci affascinanelle nostre meditazioni. Potrebbe essere quella menzionatadallo scrittore argentino Borges, che occupa anche un postod’onore nella magnifica opera siciliana di Antonio Buttitta Ilcarretto racconta? In altre parole, cos’è che garantisce quel-l’immortalità?

Lo leggiamo, insieme a Benjamìn, su un testo di Borges,dove l’autore dice: «Ho dedicato gli ultimi vent’anni alla poe-sia anglosassone. Conosco a memoria molte poesie anglo-sassoni, L’unica cosa che non conosco è il nome dei poeti. Macosa importa? Cosa importa se io, ripetendo le poesie del IXsecolo, sento qualcosa che qualcuno sentì in quel tempo? Eglivive in me in quel momento, io sono quel morto. Ognuno dinoi, in un determinato momento, è tutti gli uomini, tutti gliuomini morti precedentemente. Non solo quelli che hanno ilnostro stesso sangue […] Lo stesso può dirsi per la musica eper il linguaggio. Il linguaggio è una creazione, una sorta diimmortalità. Io sto usando la lingua spagnola. Quanti mortispagnoli stanno vivendo in me? Il mio parere o il mio giudi-

Quando mi trovo di fronte a questa parola mi vengono ibrividi, perché mi rendo improvvisamente conto che il dialo-go che avevo avviato con Luigi Fantappiè e Niels Bohr (ilmatematico e il fisico), Canto Petrocchi (il paleontologoafricanista), Sergio Sergi (l’antropologo) – e potrei conti-nuare con un lungo elenco – non è fantasia, l’ho già detto,eppure questi amici sono già morti. E vero che ho altri amicivivi, lontano da qui, che non so cosa facciano in questomomento… sebbene percepisca le loro voci, talvolta vigoro-se. Cosa accade in questo mondo irreale e quasi paradossalenell’incanto della mia esistenza?

Dapprima, ho oltrepassato lo spazio dei continenti e deimari, ora questo paradosso si ingigantisce poiché sto oltre-passando il tempo e ho quasi la sensazione che se non lofacessi non varrebbe la pena di vivere, perché continuo acercare «l’oro del tempo», di cui ci ha parlato André Breton6.È come se il senso della vita fosse presente in questo dialo-go perenne, in questo desiderio di conoscere non solo quel-lo che accade attorno a me ma anche più lontano, a BuenosAires, a Cordoba, a Rio de Janeiro o a Belem, a Philadelphiao a Chicago, a Roma o a Napoli, a Barcellona o a Madrid, aLisbona o a Oporto, poiché in questi luoghi e in tanti altri hodegli amici o, Dio mio, li ho avuti.

Devo essere sicuramente sveglio dato che Benjamìn, ilmio amico qui presente, è d’accordo, acconsente e in questomomento la segretaria mi porta il primo numero della rivista«L’immaginale» appena arrivata dall’Italia con i nomi notidi Dario V. Caggia, Beppino Disertori, Marcella Piazza ealtri7, filosofi e neuropsichiatri illustri del nostro tempo.

Cosa vuol dire tutto ciò? Sto scavando nei miti e neimisteri che si trovano effettivamente nelle tradizioni di tuttii popoli? Probabilmente. Ma, in realtà, la meditazione miesalta ancor di più, perché la sento realmente dentro e gliamici che credevo morti non sono scomparsi: il loro imma-ginale vive con noi, palpita come noi, perché è immortale –immortale fino a quando esisteranno uomini sulla Terra ofino a quando ci sarà Dio tra noi, perché ho paura di pensa-re all’aldilà, alla fine di tutto questo.

Ricordo che nella Sardegna dei nuraghi i pastori di untempo vagavano con i loro greggi fra antiche torri, tumulifunerari e resti di antichi castra, credendo ancora nel mito-logema dei loro avi sull’«esistenza atemporale». Durante lemie ricerche antropologiche mi invitarono a sperimentarequella vita dormendo negli antichi nuraghi8. Avrei, così, vis-suto fuori dal tempo e mi sarei pure reso conto, essi diceva-no, del senso della mia esistenza. Ne parlai poi a Roma,negli anni Quaranta, con uno dei più illustri studiosi di mito-logia, Karl Kerényi9, in conversazioni indimenticabili. Eglimi diede la spiegazione psicologica, sulla quale convenivapure il mio maestro di Storia delle Religioni, Raffaele Pet-tazzoni10: in tutto il mondo arcaico mediterraneo si credevache il tempo scomparisse dalle nostre dimensioni ontichenell’ora in cui il sole è nel punto più alto. Il sole, che con ilsuo percorso ci indica il trascorrere del tempo, si ferma eallora io, come l’Epimenide cretese, vivo fuori dal tempo, inarmonia con la interpretatio graeca, con quella dei SetteDormienti di Efeso o dell’antico Kronos iberico.

Ma, allora, è mito o realtà?Ancora una volta esigiamo una risposta a quel dialogo

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l’immaginale16

zio non hanno importanza; non hanno importanza i nomi delpassato […] ma, piuttosto, l’immortalità, la nostra immorta-lità. Quest’immortalità non ha motivo di essere individuale(sic), può prescindere dal fatto incidentale dei nomi e deicognomi, può prescindere dalla nostra memoria. Perché sup-porre di continuare in un’altra vita con la nostra memoria,come se io continuassi a pensare per tutta la vita alla miainfanzia, a Palermo, ad Androguè o a Montevideo? Perché tor-nare sempre su queste cose? È un espediente letterario; possodimenticare tutto questo e continuare a esistere, e tutto questovivrà in me anche se io non lo nomino. La cosa più importan-te è forse quella che non rammentiamo in modo preciso. Lecose importanti le ricordiamo, forse, senza rendercene conto.[…] Per concludere, dirò che credo nell’immortalità: non nel-l’immortalità individuale, ma in quella cosmica. Continuere-mo ad essere immortali, al di là della nostra memoria soprav-vivono le nostre azioni, i nostri gesti, i nostri atteggiamenti,tutta quella parte meravigliosa della storia dell’universo –anche se non lo sapremo mai, ed è meglio non saperlo»15.

In questa lunga citazione vi sono delle verità, ma è ancheimplicito un paradosso antropologico inaccettabile e assurdo.Cos’è immortale per Borges? Senz’altro non quello che abbia-mo chiamato l’immaginale della persona. E allora, tutto ciòche riguarda la memoria di azioni, gesti e atteggiamenti puòsolo passare nella presenza cosmica, fuori dal tempo.

Io non accetto questa distruzione ontologica e non com-prendo come, in tal modo, sia possibile continuare il dialogodell’aldilà quando, per converso, l’unica cosa che mi assicural’immortalità è quella comunicazione interpersonale che defi-nisco intersistemica dal punto di vista psicogenetico16. Natu-ralmente non nego la memoria delle azioni, ma non è tutto.

Non è solo il ricordo di qualcosa di passato, morto oscomparso nella lontananza. È il presente e l’attivo, è ciò chemi illumina di nuovo, ciò che vive in me, ciò che permane inme e io sono capace di percepirlo e trasmetterlo: è una pre-senza ontica e immaginale, una nuova eidofania dell’essere.

Borges non riesce a sentire ciò, sebbene abbia ragionequando afferma che non ci interessa il ricordo dei nomi: que-sti sarebbero nomina che si perdono a causa della loro arbi-trarietà originaria. È vero, ma talvolta servono anche per fareun concreto riferimento a tutto un insieme di modalità sincre-tiche17 che definiscono l’essere individuale. Se così non fosseresterebbero soltanto delle immagini isolate, atteggiamenticircostanziali, e si perderebbe l’insieme scenico di una vita. Ildialogo si spezzerebbe, ancora una volta, in frammenti senzasenso. E io so che così non è. Che grande scenografia quelladella Genesi quando Dio presenta ad Adamo tutti gli animaliche ha creato, e gli dice: «Tu darai loro dei nomi e quellisaranno i loro veri nomi»!18 «I loro veri nomi»: vuol dire chesono già qualcosa di più di nomina, che hanno già un riferi-mento sistemico e ontologico, sono già il riflesso di una realtà.

Benjamìn condivide, «perché lo vediamo», dice, «persi-no nella continuità del pensiero schizofrenico, quando ildelirio non è in grado di rompere la continuità immaginale,la dinamica personale: lo potrà condurre verso assurderealtà, ma il dialogo in quanto tale sopravvive come un para-dossale teatro di esseri privi di umanità, talvolta sarcastico edrammatico, ma reale, allucinante, coerente con se stesso».

L’individuo, allora, si isola dal mondo – rifletto io – e con-

tinua a vivere, malato, come un immaginale onirico in tutta lasua dissolutezza19: si spaventa, gode, fa strane smorfie, ma iltutto molto coerente con il suo mondo perverso. Tuttavia, ladinamica psicogenetica è sempre la stessa: è cambiato soltan-to il palcoscenico della vita, la dimensione della sua presenza.

E il problema dell’immortalità?, insisto io.Forse implica, nella sua complessità, la tipologia del

Systema in tutte le sue tetradiche strutture ontiche: quellabiogenetica formativa e funzionale della macchina corporea,quella intuitiva spazio-temporale di presenza dell’uno, quel-la associativa e sacrale e, infine, quella valutativa ed episte-mologica: è tutto l’universo implicito della persona, cheabbia o non abbia nome.

Una simile struttura sembrerebbe molto semplice – osser-va Benjamìn – perché, essendo tetradica fa pensare al manda-la tibetano20, quelle forme universali che tu hai studiato e chesono presenti nella cultura andina21. Queste conducono sempreverso il centro ontologico dell’essere. Come si spiega, allora,l’insieme di voci che prima sentivamo, il tumulto del loroincontro, le migliaia e migliaia di ricordi personali, le sensa-zioni di presenze concrete che ci affascinano o ci turbano?

Io rispondo deciso: si spiegano con quella chiara progres-sione geometrica che inizia con l’uno-persona, continua conle sue due facce dell’universo ontologico (logica entis) e del-l’universo esistenziale (logica mentis) (sono 2); poi passa allasuddetta divisione tetradica (sono 4), e così via fino ai dueaspetti analitici di ogni dimensione (sono 8); le disposizionidi introversione o estroversione psicogenetica delle qualiparlava Jung (sono 16); le tendenze epagogiche aristotelicherivolte verso i poli del particolare e dell’universale (sono 32),del meriston o dell’ameres; la ricerca assiologica dei valori edelle rispettive enantiofanie (sono 64); le dinamiche consce einconsce (sono 128), e infine tutte le possibili versioni delcarattere dell’Io, fino all’infinito (sono ∞).

La progressione si compie, inesorabile, fatidica, con unarapidità stupefacente, spettacolare, e il palcoscenico dellavita o dell’aldilà che cerchiamo si popola di personaggi inso-spettati, così, come per incanto, come quando nel cielo nero,australe, di quest’antico Tucumán compaiono milioni di stel-le. Anche tra queste deve esistere un dialogo, a modo loro,se si rispettano nella loro armonia cosmica.

«Probabilmente solo l’uomo è capace di ribellarsi nel suouniverso esistenziale ed è capace di genocidi», dice Benjamìn.

È vero. È questo il dramma di quella che si è preteso dichiamare libertà e della dignità che ne deriva. Ma forse que-sta è la vera ragione che dovrebbe animare il dialogo, poichéquando l’armonia cosmica si allaccia alla libertà dell’uomo– o quello stato che credetti tale – può divenire amore, amoresenza querimonie, come diceva l’autore del Martin Fierrocon la sua saggezza creola delle pampas del sud22.

Ora sì che possiamo riaprire la finestra perché, fuori, inquel frastuono di voci e canti, sappiamo per certo che esi-stono anime che vagano e ci ascoltano, in agguato tra lefoglie degli alberi fioriti di Tucumán.

Sarà un’allucinazione?, chiede qualcuno, e Benjamìnriflette.

Ancora una volta: sarà retorica?Non so cosa vogliono dire quelle parole nella loro essen-

za ultima. Non sono esistenzialista in senso filosofico, tutta-

l’immaginale

NOTE1. Definizione del Thesaurus Lingua Latinae, poi scomparsa nelle lin-gue volgari.2. A. Gehlen, Der Mensch, Frankfurt, 1974.3. D.V. Caggia, L’immaginale, «L’immaginale», Rassegna di psicologiaanalitico-esistenziale, analisi immaginale e archetipologica, n. 1,Lecce, 1983.4. È l’eidos come forma, aspetto, specie o natura della personalità nellasua «standardizzazione», secondo il concetto di G. Bateson e l’uso, inNaven: A survey of the problems suggested by a composite picture of aculture of a New Guinea tribe drawn from three points of view, 2a ed.Stanford, 1958.5. A. Sacchetti, Psicofanie, Portugal, Junta Distrital do Porto, 1966.6. Cfr. «L’immaginale», Rassegna già citata.7. Ibidem.8. A. Sacchetti, Astrazione e simbolismo nell’ornamentazione. A propo-sito dell’artigianato sardo, «Rivista di Etnografia», vol. XVI, Napoli,1962.9. K. Kerényi, Miti e misteri, Torino, Einaudi, 1950.10. R. Pettazzoni, La religione primitiva in Sardegna, Piacenza, 1912.La citazione è importante, sebbene io, oggi, dubiterei circa la direttaeredità africana che il Maestro sosteneva.11. P. Magni, Rassegne di «Responsabilità del Sapere», Roma, 1982.12. P. Magni, Homo solaris, Roma, Il Fuoco, 1982.13. P. Magni, Per una nuova epistemologia, «Folia Humanistica», XIX,209, Barcellona, 1981.14. C.G. Jung, Psicologia e alchimia, Torino, Boringhieri, 1981.15. A. Buttitta, Il carretto racconta, Palermo, Giada, 1982.16. A. Sacchetti, Prospezioni storiche del mio «Systema» psicogenetico,«Atti dell’Accademia Roveretana degli Agiati», Rovereto, 1983.17. Il concetto di sincretismo (e l’opposto di diacretismo) culturale èstato introdotto in occasione di un Simposio sull’Antropologia d’Ame-rica, che si è tenuto a Tucumán (1982) presso I’Universidad del NorteSanto Tomas de Aquino (UNSTA) sotto gli auspici della FundacionGenus.18. Genesi, 2, 19.19. Ci riferiamo alla dissoluzione psicogenetica di coniazione jackso-niana ripresa in considerazione da B. Disertori e Marcella Piazza nelTrattato di psichiatria e socio-psichiatria, Padova, Liviana, 1970.20. G. Tucci, Teoria e pratica del mandala, Roma, Astrolabio, 1949.21. A. Sacchetti, Uomini e dei sul tetto d’America, Genova, Silva, 1966,Vedi anche Forme mandaliche nel mondo andino, «L’Universo»,XLVI, 6, Firenze, 1966.22. A. Sacchetti, Mito, parodia e libertà, dal Don Chisciotte al MartinFierro, Rovereto, «Atti dell’Accademia Roveretana degli Agiati»,1981.

via, ho la certezza che si tratta di una vivencia mia. Nonposso tradurre vivencia in nessuna lingua, poiché è l’esserequi presente, che guarda con la sua coscienza… come queivolti di pietra viva che appaiono come sfingi nella poesia diTrakl interpretata da Heidegger.

VARIAZIONI SUL TEMA• L’immaginale, come una sorta di «biotipo» dell’anima, non è qualco-sa di esclusivamente esistenziale, né la persona nella sua totalità. Nonè neppure l’archetipo in senso junghiano ma, piuttosto, l’archetipo pro-prio, il proprio paradigma basico, come se si facesse un’ipotesi tipolo-gica individuale, come se io rappresentassi realmente una tipofania diquesto e non un semplice esemplare, così come la biotipologia e la sta-tistica trattano il corpo e le sue funzioni.• Il mio dialogo, allora, non si stabilisce con una persona reale, viva sì,ma già ridotta a un paradigma. L’immaginale di Juan, ma non Juan chevive e sta scrivendo in questo momento, seduto nel suo studio di Belém,vale a dire il suo archetipo che non ha né maschera, né contingenza, nécondiscendenza: potrebbe essere quello di ieri o quello di domani.• Esiste un pericolo: potrei non conoscere abbastanza bene Juan per sco-prire il suo immaginale: credo in lui, parlo con colui che pensavo fosseJuan, probabilmente con un altro Juan, che non è il mio amico Juan.• È vero. Ma è importante?• E vi è anche un paradosso: probabilmente quel Juan di domani non èil Juan di oggi. Può darsi che sia un altro.• E inoltre: sto parlando della sua immortalità, l’immortalità di qualcunoche, deve ancora essere e non è, tuttavia vive in me.• È questo il vero Juan cui mi riferisco. Ha l’anima o l’immaginale dellasua anima, ovvero l’archeofania presente di ciò che sarà. Non lo so.• Quest’altro Juan – che è una semplice manifestazione ontica dell’ani-ma – come persona, lo conosce solo Dio.• Tutto ciò mi fa pensare all’immagine come categoria. Molti sono i filo-sofi che hanno trattato l’argomento: da Cartesio a Hume, da Spinoza aLeibniz, da Sartre a Bachelard a Husserl e tutta la scuola dell’esistenzia-lismo o della fenomenologia dei giorni nostri. Non è questo il luogo adat-to per rifiutare atteggiamenti che non trovano spazio in queste pagine.Ciò che interessa è stabilire che la categoria di quest’immagine – quelladell’immaginale dell’uomo – non è una mera idea né un modello, maun’autentica espressione di un qualità presente che non sfugge allenostre percezioni poiché risveglia in noi una sorta di familiarità necessa-ria, immanente e profonda in tutte le dimensioni psicogenetiche dell’es-sere: e rivela un universo nel quale siamo consci di essere protagonisti.

Traduzione di Maria Rosaria Buri

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l’immaginale18

Vorrei qui «attualizzare», attraverso un lavoro di er-meneutica astrologica, i principi teorici esposti in unmio precedente articolo, apparso su «Babele» 33 (p.

20), dal titolo: Breve introduzione alla disciplina astrologica.La scelta di fare un lavoro ermeneutico sulla Carta Natale

di Hillman nasce anzitutto come ringraziamento personale aun grande Pensatore, e, volutamente, l’interpretazione nontoccherà la sua vita privata, bensì tenderà a evidenziare le sin-cronie tra la sua personale combinazione archetipica, confi-gurata nella Carta Natale, e il suo Pensiero.

Ho inserito il grafico natale di Hillman per consentire divisualizzare, sia da un punto di vista strettamente tecnico, cheimmaginale, i contenuti che saranno discussi.

Con l’ausilio delle tecniche astrologiche, evocheremo letrame della vocazione-missione che «anima» la sua CartaNatale. Nel rispetto di questa prospettiva di lettura, sarà pri-vilegiato l’asse del Fato, e nell’interpretazione saranno uti-lizzate le Stelle Fisse, definite da me e da un mio caro amico«le Moire dell’Anima».

Le stelle fisse, a causa del loro movimento lentissimo(percorrono circa 1° di longitudine ogni 72 anni), costitui-scono la rete necessaria (Ananke), su cui si innestano le di-namiche archetipiche dei «pianeti erranti»1, alias il mondo diPsiche, che è intessuto (riferisce Kerenyi che tutte e tre leMoire erano Klothes, filatrici, anche se solo una di loro sichiamava Cloto), in ogni sua «immagine» dal filo di Anankee dalle sue numerose personizzazioni, le «straniere residenti»(Hillman, 1991, p. 123).

Quando una o più stelle fisse entrano in aspetto sinergi-co con uno o più pianeti-archetipi di una Carta Natale si at-tiva la necessaria «luce simbolica della stella [... che] è unraggio che illumina una zona della mente e ci fa risuonarenote, sentimenti, idee» (Gambassi, 2003), e aggiungerei al-tresì la patologizzazione intrinseca al nucleo di significatiarchetipici della stella e del pianeta (o dei pianeti) che en-trano in sinergia.

Fatte queste premesse chiarificatrici, vi auguro buona let-tura.

La nascita di Hillman avviene sotto l’egida di uno YerosGamos celeste: Sole e Luna (Anima e Animus) in novilunio inAriete, scandiscono un nuovo punto di partenza (Ariete), il ri-lascio di un nuovo seme, di un nuovo logos, che darà inizio aun nuovo ciclo (aspetto di novilunio).

È di notevole importanza soffermarsi sul fatto che la na-scita in questione avviene durante un novilunio (con uno scar-to di pochi secondi).

Se in astrologia la Carta Natale di ciascuno rappresenta ilprogetto del proprio Daimon, la cosiddetta Carta di LunaNuova Prenatale (cioè una Carta eretta per il momento esattodel 1° novilunio precedente la propria data di nascita), rap-presenta lo specifico progetto dello Spirito, entro il quale ilproprio Daimon è chiamato a operare. In un caso come quel-lo che ci accingiamo a indagare, cioè il caso in cui una nasci-ta avviene durante un novilunio, le istanze del Sé coincidonoperfettamente col progetto più largo nel quale si è inseriti,cioè col progetto del novilunio in questione.

Uomini di grande levatura sono nati durante la fase di no-vilunio, e in genere si tratta di personaggi accomunati dal fat-to di essere stati dei pionieri, degli iniziatori, che hanno indi-cato nuovi percorsi al Pensiero, che hanno lasciato profondetracce dei loro ideali personali nel sociale di appartenenza, oaddirittura arricchito il patrimonio culturale dell’intera uma-nità. Valgano come esempi Freud, Marx, Nasser, il presiden-te egiziano fautore del nazionalismo arabo o panarabismo, ilprofeta persiano Bab, che a metà del 1800 fu nella sua patriail promotore di nuove forme di religiosità, e passò attraversoil martirio, e, per finire, la regina Vittoria, simbolo vero e pro-prio di un’epoca, che incarnò e inaugurò uno stile espresso daun codice estetico e comportamentale ben preciso.

Di fronte ai due luminari (Sole e Luna), in opposizione2,si erge Spica, stella fissa di prima grandezza della costella-zione Virgo, la cui luce simbolica è legata ai Misteri Eleusini,alla fecondità, alla medicina, al concetto di «prendersi cura»,concetto ulteriormente scandito dalla congiunzione3 diKirone (che evoca la dialettica del guaritore-ferito) ai due lu-minari, ai quali si oppone, altresì, la stella Arcturus (stella fis-sa della costellazione Bootis, che troviamo congiunta al Solenatale di Nietzsche), che conferisce ricchezza e onori, non-ché notorietà sociale e professionale. Anche i simboli deigradi sabiani su cui poggia il novilunio, indicano un eleva-tissimo grado di fecondità, simboleggiato da una donna in-cinta, «il cui bambino assumerà varie forme emotive e cul-turali» (Rudhyar, 1973, p. 59).

Secondo l’astrologia classica, in ogni oroscopo il rappor-to soli-lunare, qualsiasi esso sia, produce le polarità cono-sciute come Tyche (Parte di Fortuna) e Daimon (Parte diSpirito), che rappresentano, rispettivamente, l’autorealizza-

Technè astrologica.Studio sulla Carta Natale

di J. HillmanPIA VACANTE

Dottoressa in Storia e Filosofia (CT), socia CIDA (Centro Italiano di Astrologia)

l’immaginale

la propria enthymesis che all’esterno si manifesta come ma-crocosmo» (Hillman, 1993, p. 48).

L’atteggiamento nei confronti dell’Anima viene indicatodagli aspetti astrologici di Plutone-Ade.

Plutone è congiunto a Sirio, «la stella ardente», della co-stellazione Canis Major, la stella fissa più luminosa del cielo.La luce simbolica di Sirio evoca, secondo gli antichi astrolo-gi, Hermes, o il dio egiziano Anubi, figure legate alla funzio-ne di psicopompo, guida di anime.

Plutone intrattiene un aspetto di trigono con Venere, che ècongiunta al Medio Cielo, traduco: la vocazione (MedioCielo) di Hillman sono i valori (Venere) inferi (Plutone, ilprincipio alchemico di morte e rinascita), ed è proprio il mi-to di Ade e Persefone (Plutone trigono a Venere) che costellaquesta configurazione astrologica, che in Re-visione della psi-cologia diventa: «Ade, Persefone e una psicologia della mor-te», da cui traggo le seguenti parole: «Qui la morte è il puntodi vista “al di là” e “al di sotto” della preoccupazione della vi-ta, è deletteralizzata, non più morte medica ed escatologia teo-logica di paradiso e inferno. La morte nell’anima non è vis-suta come proiezione nel tempo [...] essa è simultanea alla vi-ta di ogni giorno, così come Ade sta fianco a fianco con suofratello Zeus. La ricchezza di Ade-Plutone si riferisce in ter-mini psicologici alle ricchezze che vengono alla luce allorchési riconoscono le interiori profondità dell’immaginazione»(Hillman, 2000, p. 348).

Nella nostra Carta Venere è inoltre congiunta alla stellafissa Deneb della costellazione Cygnus, che conferisce straor-dinarie capacità di apprendimento, e alla stella fissaSadachbia (costellazione Aquarius), «la fortuna (o la stella)delle cose nascoste», che evoca la possibilità di accedere alleconoscenze psichiche e spirituali, celate agli occhi della co-mune coscienza profana.

Oltre al fatto che la congiunzione al grado di Venere alMedio Cielo denota la vocazione estetica: «La bellezza è unanecessità epistemologica; è il modo in cui gli dei toccano i no-stri sensi, raggiungono il cuore, e ci attirano nella vita. La bel-lezza è anche una necessità ontologica, che fonda le particola-

zione materiale e sociale, e l’Opus contra naturam, cioè ilpercorso evolutivo ascendente, il cui movimento conduce dal-la materialità all’Anima.

Nel caso di novilunio, Tyche e Daimon sono congiuntiall’Ascendente, e così è nel nostro caso.

L’Ascendente viene posto dall’astrologia classica, «comedatore della vita e dello Spirito, ond’è chiamato timone»(Picard, 1997, p. 129). Ma cosa evoca l’Ascendente in questocaso? L’Ascendente cade in Gemelli, dunque sull’asse dellaconoscenza (Gemelli-Sagittario). L’Ascendente, Tyche eDaimon sono sinergicamente in aspetto a una particolare retestellare, che fa capo al Centro Galattico a cui è congiunto ilPunto di Illuminazione, opposto polare della Parte di Fortuna4.

Il Centro Galattico5, astronomicamente conosciuto comeA Sagittarius, è una radiosorgente, una «stella nera», che, da-gli antichi (dalla mitologia cinese all’indiana, alla greca, e viadicendo), veniva immaginata come il Cuore pulsante dell’A-nima del mondo, la Via degli dèi e delle anime, il Tempio del-la Sacralità Universale, e il pensiero va subito a L’anima delmondo e il pensiero del cuore»5.

Oltre al Centro Galattico, la rete stellare suddetta, com-prende stelle fisse come Betelgeuse, stella fissa della costel-lazione Orione e congiunta all’Ascendente, la cui luce sim-bolica evoca l’ingresso del Tempio della Conoscenza, la por-ta simbolica della Casa della Fratellanza, e Zavijava, stellafissa della costellazione Virgo, che rappresenta la «Mente del-la Donna Celeste», la Mente nel suo significato di guida inte-riore. Anche Kirone (la cura), oltre ad essere congiunto adAlrischa, stella fissa della costellazione Pisces che evoca i le-gami d’Anima tra l’umano e il Divino, è in aspetto di GrandeTrigono6 con il Centro Galattico e con Regulus (una dellequattro stelle regali dell’astrologia classica), che rappresentail cuore, il cuor di Leone (costellazione a cui appartiene lastella): «Per il coeur de lion, il compito della coscienza risie-de allora nel riconoscere il costrutto archetipico del suo pen-siero: che le sue azioni, i suoi desideri, le sue appassionanticonvinzioni sono tutte immaginazioni – creazioni dell’himma– e che quanto esso sperimenta come vita, amore e mondo, è

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Figura 1. La Carta Natale di James Hillman

l’immaginale20

rità sensibili del mondo. Afrodite dà uno sfondo archetipico al-la filosofia della “singolarità”, e consente al cuore di trovarel’intimità con ogni evento particolare in un cosmo pluralistico.Per il mondo pervaso di anima anche noi siamo oggetti del-l’aisthesis, inspirati esteticamente dall’Anima Mundi, da leipercepiti, forse persino espirati esteticamente, come immagini,da un himma ardente nel cuore» (Hillman, 1993, pp. 71-72).

Il novilunio in congiunzione a Kirone in 11° Casa testi-monia della diffusione nel sociale, nel mondo, della prospet-tiva archetipica e del «prendersi cura» delle figure immaginaliche risiedono e governano la nostra anima. Tutto ciò viene ul-teriormente rafforzato dalla congiunzione di Giove alla stellafissa Nashira (costellazione Capricornus), che evoca il mitodel «portatore di buone notizie», dell’apostolo, del diffusoredel Dharma, di colui che diffonde nel mondo la conoscenzache è stato in grado di tirar fuori dal profondo (Nashira), e delmaestro (Giove) dell’Anima (ancora Giove).

La prometeica e combattiva forza trasformativa opera nelprofondo (Marte in Acquario, in 8° Casa, Casa cosignifican-te del segno Scorpione), avanzando instancabilmente nei ter-ritori conoscitivi (Marte congiunto a Giove e membri en-trambi del Quadrato a T), e si indirizza al «prendersi cura di»(con tutte le implicanze che ne derivano, ma che qui non pos-siamo discutere), stimolata e attivata dal quintile7 che si creatra Marte (forza e autodeterminazione) e Kirone (la cura).

Il tutto gestito da un Mercurio Prometeico (cioè una men-te lungimirante), da una «supermente» scattante (congiunzio-ne Mercurio-Urano8), e da una mente rivolta verso il profondo,impegnata con notevole sforzo nella costruzione di nuovestrutture di coscienza (larga quadratura calante9 Mercurio-Plutone). Mercurio inoltre è congiunto a Deneb Kaitos, la co-da della balena, stella fissa della costellazione Cetus, che rap-presenta il «potere della coda», la forza del rivolgimento, non-ché congiunto a Zaniah, stella fissa della costellazione Virgo,che indica la trasgressione, e il suo stile di pensiero e di scrit-tura ad esso speculare, ne sono la manifestazione fenomenica.

Nella Carta che stiamo discutendo, parecchie sinergie trapianeti e stelle indicano, in senso destinale, la fatica del per-corso, a cui l’uomo Hillman, solo con se stesso, ha dovuto fa-re fronte: per esempio, Sole e Luna sono congiunti a BatenKaitos, stella fissa della costellazione Cetus, che dà tendenzaa esaurimenti nervosi, Venere è opposta a Thuban, stella fis-sa della costellazione Draco, che dà carattere solitario, orgo-glioso ed emotivo, Saturno è congiunto a Unukhalai, collo delserpente, stella fissa della costellazione Serpens che confermaancora i pericoli dell’esaurimento nervoso, e ricordiamo infi-ne l’ascendente in Gemelli (sistema nervoso) e la forte enfa-si sull’asse 3°-9° Casa (asse Gemelli-Sagittario).

L’iniziazione al mondo infero avviene, nella nostra Carta,attraverso modalità potenzialmente e altamente trasformative,che consentono l’ingresso in campi più elevati, o profondi, ela cui attivazione si può manifestare fenomenicamente attra-verso crisi personali tanto massacranti, quanto degne di esse-re sacralizzate.

La configurazione astrologica più pregnante, per quantoriguarda questa tematica, è il Quadrato a T.

La configurazione astrologica detta Quadrato a T, riguar-da la dialettica tra l’attività (i due quadrati) e l’equilibrio(l’opposizione). È una configurazione che dà forza e motiva-

zione in prospettiva di una meta, il rischio è quello di spreca-re le energie per mancanza di equilibrio. È un gioco di forzeche possono implodere conflittualmente, o esprimersi, anchecreativamente, nel mondo fenomenico.

In questo caso la manifestazione fenomenica che chiamiamo«crisi», funge da elemento catartico-rigenerativo (Saturno in 6°Casa e punto focale del Quadrato a T), grazie al quale è possibileguadagnare vasti territori al mondo della conoscenza (l’opposi-zione del Quadrato a T si svolge sull’asse 3°-9° Casa), ma at-traverso rapporti «ombra» molto tormentati con cui l’uomoHillman ha dovuto fare i conti in maniera intensa e problemati-ca. E a questo proposito è emblematicamente significativa, inquesto oroscopo, la posizione di Lilith-Luna Nera-Ecate.

Secondo Kerenyi, Ecate non può essere considerata un ar-chetipo come gli altri, in quanto essa non ha un suo topos benpreciso, poiché quando nel nascente Olimpo vennero distri-buite «le dignità e le onoranze» (cioè in altri termini il sistemadelle Dignità e Debilità planetarie), Zeus, onorandola sopratutte le altre divinità, le permise di mantenere la triplice dignitàche ella possedeva come divinità pre-olimpica, e cioè il pren-dere parte alle questioni che riguardavano il cielo, il mare, laterra, e probabilmente anche gli inferi, data la sua somiglian-za a Persefone, anche lei monogenes, figlia unica, come Ecate.

«La valenza erotica nera di Ecate deve essere assunta co-me un’espressione essenziale dell’intera psiche. Dobbiamovedere in Lilith-Luna Nera, al di là del significato biologico,l’aspetto spirituale del demoniaco e del suo significato numi-noso» (Sicuteri, 1978, p. 140).

Nella nostra Carta, Ecate insidia Nettuno10 (al quale è con-giunto): il regno delle ombre lunari, dei deliri allucinatori,dell’angoscia divorante, gioca a costringere l’uomo in quel«buio in cui tutte le vacche sono nere», funge da deterrente al-l’impeto conoscitivo (Ecate opposta alla congiunzione Giove-Marte in 9° Casa11), graffia, in aspetto di quadratura, con lesue unghie nere e i piedi sporchi di fango, il punto Vertex (l’a-scendente dell’Anima) e Saturno (la struttura ossea e psico-logica), e la crisi sopravviene, tra i meandri terrifici del velodi Ecate, che copre tutte le cose, perfino quelle invisibili.

La via che la Carta propone in vista di un buon utilizzo delQuadrato a T la ricaviamo dai seguenti elementi: le crisi ca-tartico-purificatorie (Saturno in 6° Casa) fungono da stru-menti per l’evoluzione spirituale della persona (congiunzionedi Saturno alla stella fissa Hadar-Agena della costellazioneCentaurus), che potenzialmente è in grado di acquisire cono-scenza dei fattori strutturali (archetipici), da cui emanano tut-te le manifestazioni fenomenico-esistenziali (simbolo sabianodel grado su cui poggia Saturno).

La riuscita dell’opera comporta altresì la tematica delloscontro-incontro (opposizione Saturno-Algol) con Al Ghul, ilmostro, il drago, stella fissa della costellazione Perseus, il cui mi-to è quello di Perseo che mostra la testa di Medusa. La stella,considerata dagli antichi astrologi tra le più malefiche del cielo,è una binaria a eclissi, e poiché entrambe le stelle da cui è com-posta si occultano a vicenda secondo certi ritmi temporali, da quitrae origine l’idea di Algol-decapitazione. Algol rappresenta ilconflitto tra la parte luminosa e quella oscura della psiche, la lot-ta col mostro, il tesoro da conquistare, la principessa da liberare:il Pensiero Riflesso (Atena salva Perseo dalla pietrificazione mo-strandogli la testa di Medusa riflessa in uno scudo lucente) è la

l’immaginale

chiave che il mito propone, così come la «visione in trasparenza»è il personale modo hillmaniano di superamento dell’eclissi(Algol): «Delle cinque pulsioni istintuali che Jung prende in esa-me (fame, sessualità, attività, riflessione, creazione), la nozionedi riflessione – “piegarsi all’indietro” e “volgersi verso l’interno”dando le spalle al mondo e ai suoi stimoli per dedicare l’atten-zione a immagini ed esperienze psichiche – è quella che più siavvicina alla sua nozione di Anima [...] Ovvero come si esprimeJung: “la riflessione è un atto spirituale che va in direzione op-posta a quella del processo naturale; l’atto per cui ci fermiamo, ri-chiamiamo alla mente una cosa, ci formiamo un’immagine, e ciponiamo in relazione con ciò che abbiamo veduto. Essa va dun-que intesa come atto del diventare coscienti” [...] Da questi bra-ni emergono conseguenze di vasta portata. Essi indicano niente-meno che una visione completamente diversa del fondamento ar-chetipico della coscienza. Se il “divenire coscienti” ha le sue ra-dici nella riflessione, e se l’istinto riflessivo rimanda all’archeti-po dell’Anima, allora la coscienza stessa può essere più profon-damente concepita come fondata sull’Anima, anziché sull’Io»(Hillman, 1989, pp. 113 e 117).

La chiave che ci può permettere di comprendere meglio ilsignificato del Quadrato a T, è il simbolo sabiano del gradovuoto e opposto al Midpoint Vertex-Saturno, entrambi piane-ti focali della configurazione. Il simbolo dice testualmente:«l’ispirazione spirituale che viene all’individuo nel supera-mento delle crisi» (Rudhyar, 1973, p. 72), e dice ancora checome Noè ricevette il messaggio della colomba, dopo aver af-frontato una crisi collettiva, così, il modo in cui viene affron-tata la crisi personale, «risultante da sconvolgimenti emotivio dall’irruzione di forze e di impulsi inconsci nella coscienza»(ibidem, p. 73), può condurre «al messaggio dello SpiritoSanto che annuncia una Nuova Legge» (ibidem).

Al di là del letteralismo delle parole appena citate, le imma-gini del simbolo rimandano alla potenzialità intrinseca di ren-dere se stessi (in questo caso attraverso un certo modo di fruirele «crisi») una sorta di canale aperto, un punto focale attraver-so cui le forze Trans-personali annunciano una Nuova Legge al-la coscienza personale, cioè nuove prospettive di Pensiero, e chenella fattispecie ri-aprono al «Pensare» (uso il termine Pensarenel senso strettamente heideggeriano) possibilità antiche, e pursempre attuali nell’Anima: trattasi ovviamente della prospettivaarchetipica, che, fenomenicamente, si manifesta attraverso la vi-talità psicologica che anima la sua opera.

Tornando a Ecate-Luna Nera, (che grande rilievo possiedenella Carta in questione), secondo il Kerenyi, la dea trimorfaEcate-Lamia-Empusa, oltre che con i piedi di fango, veniva raf-figurata con i sandali di bronzo, in qualità di tartaruchos (pa-drona del Tartaro) e, infine, nel suo aspetto di dea luminosa, es-sa indossava sandali d’oro: ancora una volta ritorna il tema del-la via archetipica che conduce dal profano al sacro, dalla ma-teria all’Anima, ecco Eleusi e Persefone e Ade, ecco la trasfor-mazione della psiche, di cui voglio che sia lui stesso a parlare:«Poiché questo mito è al centro del principale culto mistericogreco di trasformazione psicologica, quello di Eleusi, la vio-lenza di Ade sull’anima innocente è una necessità centrale perla trasformazione psichica» (Hillman, 2000, p. 268).

Questo è l’aspetto numinoso di Ecate-Luna Nera, una nu-minosità che richiede per essere resa attuale (nel senso ari-stotelico del termine), un vero e proprio addestramento alla

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l’immaginale22

concentrazione totale, e una focalizzazione interiore di ener-gia e di coscienza in vista di un’autorealizzazione spirituale(simbolo sabiano del grado su cui poggia Lilith-Ecate).

Attraversando luoghi psichici tormentati e faticosissimi,con estrema disciplina (Saturno in 6° Casa), l’immagine diEcate con i piedi pieni di fango può trasmutarsi nella Lamiacon i calzari d’oro.

La Sacralità del pensiero hillmaniano trova qui le sue ra-dici destinali, la sua personale Epistrophè. La Spiritualità nel-l’opera hillmaniana permea di sé ogni cosa, aleggia dentro efuori, sopra e sotto, è sfuggente e inafferrabile alla concettua-lizzazione, e percepibile soltanto con l’«intuizione noetica».

Il senso della devozione e del rilascio, topoi psichici su cuiè possibile dipanare la matassa del quadrato a T (asse 6°-12°Casa), trovano espressione in parole come queste: «Le miefantasie e i miei sintomi mi rimettono al mio posto. Non sitratta più di sapere a quale luogo appartengono, a quale Dio,ma a quale luogo appartengo io, su quale altare posso lascia-re me stesso, entro quale mito la mia sofferenza si trasformeràin devozione» (Hillman, 1972, p. 194).

Mercurio e Urano, in Decima Casa costituiscono alleati ar-chetipici di grande rilievo (entrambi sono in trigono a Saturno)all’Opus contra naturam proposto dal quadrato a T: una men-te (Mercurio) scattante, instancabile, che procede a ritmi inar-restabili (Urano), e che così appare nel mondo (la congiunzio-ne tra i due pianeti si verifica in Decima Casa).

Ma c’è ancora di più: il simbolo sabiano di Mercurio nar-ra della sacra identità di Atman e Brahman (l’Anima persona-le e l’Anima del mondo), e configura un tipo di individuo che,oltre ad essere un’immagine della Totalità dal punto di vistadell’ambiente in cui vive, è «anche un agente attraverso cui laTotalità può esprimere se stessa in un atto di risonanza e di li-berazione creative» (Rudhyar, 1973, p. 47), che consentono (equesto è il simbolo sabiano di Urano) di trasformare la falce diLuna Nuova (ricordiamo il novilunio tra Sole e Luna) in LunaPiena, anzi nella più Piena fra tutte le Lune.

L’esperienza esistenziale e immaginale hillmaniana ci in-dica la Via che conduce alla Luna Piena della coscienza.

«Sia la Luna Nuova che la Luna Piena costituiscono degliinizi. La Luna Nuova è il punto di partenza del ciclo della “vita”,la Luna Piena svela il regno dell’“identità spirituale” dell’uomo,della sua immortalità individuale» (Rudhyar, 1985, p. 36).

NOTE1. I sette pianeti dell’astrologia classica – Sole, Luna, Mercurio, Venere,Marte, Giove, Saturno – che si muovono molto velocemente in relazione allecostellazioni: dai tredici gradi circa che percorre giornalmente la Luna sul-l’eclittica, all’indugiare di Saturno su un determinato grado eclittico anchefino a un mese e mezzo, nel caso in cui, su quel grado, il moto diretto delpianeta si converte in retrogrado o viceversa.2. Consiglio di immaginare l’aspetto astrologico di opposizione come unasorta di aut-aut, un vero e proprio faccia a faccia tra le funzioni psichiche-pianeti coinvolti, che può risolversi in una realizzazione integrativa, oppurein una frustrante frattura.3. L’aspetto astrologico di congiunzione indica forme di cooperazione tra lefunzioni psichiche indicate da due o più pianeti che hanno lo stesso grado dilongitudine, o che si trovano a pochi gradi di longitudine l’uno dall’altro.4. Secondo D. Rudhyar il Punto di Illuminazione è la potenzialità insita in cia-scun essere umano di percorrere la «via cosciente».5. Il Centro Galattico, nell’Uranografia è circondato dalle costellazioni diOfiuchus (alchimia, medicina), Scorpio (profondità psichica), e Sagittarius(conoscenza).6. Il trigono è un aspetto astrologico che simboleggia un libero fluire tra lefunzioni psichiche rappresentate dai corpi celesti coinvolti.7. Il quintile è un aspetto astrologico che offre l’utilizzo di illimitate capacitàcreative, e che si riscontra con frequenza in individui altamente creativi.8 Mercurio rappresenta la mente umana e i suoi processi; Urano, ottava supe-riore di Mercurio, simboleggia la Mente Universale, la Ragione Illuminata.9 La quadratura calante indica una fase del rapporto tra due pianeti-funzionipsichiche, in cui vengono esperite forme di crisi non nell’attività o nell’a-zione, bensì nella coscienza, e, grazie ad esse, l’individuo tende a costruire,con notevole sforzo, forme nuove di coscienza, relativamente alla visioneche è stata interiorizzata durante la fase di opposizione.10. L’archetipo Nettuno ha a che fare con l’«unificazione», l’unione di Atmane Brahman, o, se preferiamo il linguaggio plotiniano, è l’attualizzarsi del-l’Epistrophè.11. Ricordo che la 9° Casa veniva così considerata dagli antichi astrologi: «ciòche è degli dèi, e i sogni e l’espatrio....Quando il Sole, passata la culminazione,declina verso occidente, muta da una regione all’altra. Perciò a questa Casafurono attribuiti i viaggi e quelli lunghi, giacché questa Casa è sopra l’orizzon-te. Ora poiché la scienza si fonda sulla continua ricerca e sul moto incessantedell’anima, la Casa nona fu chiamata Casa della sapienza, della legge e deisogni, quasi anima che muta da luogo a luogo» (Picard, 1997, pp. 134-135).

BIBLIOGRAFIAACAMPORA E., Le stelle fisse, Milano, Armenia, 1988.DE LONGCHAMPS M.T., I nodi lunari e la luna nera. Il loro significato

astrologico, Roma, Mediterranee, 1997.GAMBASSI M., Conoscere le stelle. Studio astronomico e astrologico, Tori-

no, Edizioni Federico Capone, 2003.HILLMAN J., Il mito dell’analisi, Milano, Adelphi, 1972.

Anima. Anatomia di una nozione personificata, Milano, Adelphi, 1989.La vana fuga dagli dèi, Milano, Adelphi, 1991.L’anima del mondo e il pensiero del cuore, Milano, Garzanti, 1993.Re-visione della psicologia, Milano, Adelphi, 2000.

KERENYI K., Gli dèi e gli eroi della Grecia, Milano, Il Saggiatore, 2002.PICARD E., Le case astrologiche derivate, Milano, Xenia Editori, 1997.RUDHYAR D., Il ciclo delle trasformazioni. Una reinterpretazione astrolo-

gica dei simboli sabiani, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1973.Il ciclo di lunazione. Una chiave per la comprensione della persona-lità, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1985.

SICUTERI R., Astrologia e mito, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1978.

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JEAN KNOX

ARCHETIPO, ATTACCAMENTO, ANALISILa psicologia junghiana e la mente emergente

IMMAGINI DALL’INCONSCIO – ISBN: 978-88-7487-218-3C 24,00 – FORMATO: 14,5X21 – PAGG. 224

CLAUDIO WIDMANN (a cura di)

IL RITOIn psicologia, in patologia, in terapia

IMMAGINI DALL’INCONSCIO – ISBN: 978-88-7487-213-8C 22,00 – FORMATO: 14,5X21 – PAGG. 312

«Il rito non appartiene a nessun ambito specifico dell’esisten-za»,scrive Claudio Widmann,«Non è esclusivo del sacro né del

profano, non è prerogativa dell’uomo religioso né di quello secola-re; non è fenomeno unicamente soggettivo, né unicamente collet-tivo, non ha scopi solamente propiziatori né solo gratulatori. Il ritoappartiene alla normalità e alla patologia; è presente nelle culturearcaiche e nella civiltà postindustriale; è praticato da persone inge-nue e superstiziose e da persone intellettuali e razionali. Il rito èdell’uomo». Nell’antropologia, con i suoi riti agrari, nella patologia,con rituali ossessivi eseguiti negli ospedali psichiatrici, nella tera-pia, con il setting rigoroso della stanza dello psicoanalista, neimomenti cruciali dell’esistenza,con i riti di nascita e di morte,quel-li di passaggio all’età adulta, il matrimonio, l’ingresso e l’uscita dal-l’attività lavorativa... la vita dell’uomo è satura di comportamentirituali. La loro estensione è universale e la loro presenza attraversai tempi.Avvolti da una particolare tonalità emotiva, i riti trasfigura-no le persone, luoghi,oggetti e azioni della quotidianità.Attraversoil rito l’individuo entra in una dimensione che lo sovrasta,e fa espe-rienza delle realtà transpersonali. La maschera e il travestimentotrovano nel rito le loro ragioni storiche e soprattutto psicologiche.Gli autori dei saggi qui raccolti, in un excursus che attraversa diver-si ambiti dell’esperienza umana, del rito analizzano il suo caratteresimbolico, le sue potenzialità strutturanti, trasmutative e terapeuti-che.Dimostrano come il rito accompagni l’evoluzione psichica indi-viduale e collettiva e come la molteplicità dei riti partecipi allaformulazione dell’identità dell’uomo.

Immagini dall’Inconscio

Questo volume rappresenta il primo esauriente tentativo diintegrare alcuni aspetti della psicologia analitica con le

nozioni provenienti dalle neuroscienze e dalla psicologia ingenerale.L’obiettivo principale è rappresentato dall’aggiornamento delconcetto di archetipo sulla base dei risultati derivati da indaginisperimentali e da studi basati sull’osservazione. Inoltrandosinegli ambiti delle scienze cognitive, della psicologia evolutiva edella teoria dell’attaccamento, l’autrice interpreta in una prospet-tiva nuova la teoria e la pratica junghiane. Ne deriva una detta-gliata e ben documentata proposta di revisione e reinterpreta-zione della natura dell’archetipo, del suo funzionamento psichicoe del suo contributo al processo di cambiamento nel corso dellaterapia analitica. «La mente e i significati non esistono a priori»,afferma Jean Knox, «ma derivano da processi evolutivi e dall’e-sperienza delle relazioni interpersonali. Gli archetipi che emer-gono nel corso delle prime fasi dello sviluppo psichico costitui-scono il fondamento per l’evoluzione dei significati essenzialisecondo i quali gradualmente costruiamo i modelli mentali delmondo circostante, organizzando le esperienze quotidiane inschemi che potranno poi guidare le nostre future aspettative divita in tutti gli aspetti, incluse quelle relazionali».Lo studio sull’emergenza del significato simbolico nella menteumana, sia nel corso dello sviluppo che durante il processo ana-litico offre, infine, una cornice per l’integrazione della psicologiajunghiana nella prospettiva evolutiva.

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SONU SHAMDASANI

JUNG E LA CREAZIONE DELLA PSICOLOGIA MODERNAIl sogno di una scienza

IMMAGINI DALL’INCONSCIO – ISBN: 978-88-7487-214-5C 35,00 – FORMATO: 16,5X24 – PAGG. 448

Immagini dall’Inconscio

Per troppo tempo la figura di C.G.Jung è rimasta bersaglio di opi-nioni e interpretazioni che hanno avuto poco a che vedere con

la realtà dei fatti.Occultista, ciarlatano, profeta, misogino, scienziato,ateo, razzista, apostata freudiano, psichiatra e antipsichiatra, gnosti-co, mistico, guaritore…A che cosa si deve una tale proliferazione degli «Jung»? È possibile che si tratti sempre della stessa persona? Dopo decenni di creazione di miti intorno alla sua figura,la domanda – chi era C.G. Jung? – si fa davvero pressante.Jung ha creato una scienza che è nel contempo una chiave di let-tura della psiche umana, la più ad ampio raggio che si sia mai vistain Occidente. Una delle figure più controverse del panorama intel-lettuale occidentale è, in realtà, uno dei suoi personaggi piùimportanti.Il lavoro di Sonu Shamdasani rappresenta, paradossalmente, ilprimo e sicuramente più esaustivo lavoro sulla formazione dellateoria psicologica di Jung,sulla sua importanza nella creazione dellamoderna psicologia,sull’influenza che il suo pensiero ha avuto nellosviluppo delle scienze umane e nella storia sociale e intellettuale delXX secolo.Il volume apre nuove prospettive su tutta la psicologia odierna e ilricco e finora inedito archivio utilizzato dall’autore costituisce unabase per ogni futura valutazione dell’opera junghiana.

NATHAN SCHWARTZ-SALANT – MURRAY STEIN (a cura di)

TRANSFERT E CONTROTRANSFERT

IMMAGINI DALL’INCONSCIO – ISBN: 978-88-7487-156-8C 18,00 – FORMATO: 14,5X21 – PAGG. 224

Una delle premesse basilari al rapporto terapeutico era,per Jung,l’incontro tra la malattia del paziente e la parte sana dell’anali-

sta.Questa interazione che richiede un confronto,necessita di un’in-terpretazione dei vissuti di transfert e controtransfert al fine dielaborare e integrare i contenuti del paziente.Nell’affrontare questi concetti cruciali della relazione terapeu-tica, gli autori dei saggi qui raccolti cercano di vincere moltedelle resistenze e rimozioni ancora presenti nel mondo analitico.Sorprendentemente, questo argomento così fondamentale non èsufficientemente dibattuto, come se tutta la psicologia analiticadovesse ancora fare chiarezza sul grande mare di inconscietà (percitare l’espressione di uno degli autori), rappresentato in analisi daquesti due processi psichici di enorme importanza per la cura.La ricchezza delle argomentazioni e delle prospettive qui proposte,la franchezza nell’esposizione delle lacune esistenti, la vasta sceltadelle situazioni cliniche e le amplificazioni teoriche rendono questovolume un prezioso strumento di riflessione e di lavoro. A distanzadi anni dalla pubblicazione de La psicologia della traslazione, il piùsignificativo studio di Jung relativo al transfert, le diverse riflessionisui processi transferali/controtransferali riportano alle più recentiricerche e a una possibile apertura e confronto con le altre scuolepsicoanalitiche. Ne deriva un contributo che va oltre la stanza d’a-nalisi, un vero arricchimento nei termini umanistici generali.

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ANTONIETTA DONFRANCESCO – MICHELE ANGELO VENIER (a cura di)

IL GESTO CHE RACCONTASetting analitico e Gioco della Sabbia

IMMAGINI DALL’INCONSCIO – ISBN: 978-88-7487-219-0C 20,00 – FORMATO: 14,5X21 – PAGG. 250

Immagini dall’Inconscio

Questo libro collettaneo è stato scritto da alcuni analisti jun-ghiani che hanno introdotto nel loro setting analitico il

Gioco della Sabbia. La trasformazione del setting analitico tra-dizionale ha stimolato una più acuta attenzione a certi temiclassici, rinnovati dallo «spiazzamento» che porta a concepire ilGioco della Sabbia come uno strumento preverbale, da poterutilizzare all'interno di uno spazio codificato.Estraneo al setting tradizionale e invadente per la sua visibilità,il Gioco della Sabbia ha provocato riflessioni e confronti sutematiche condivise da chiunque si rivolga con interesse allavita più segreta della psiche.Tra i temi trattati: funzione del set-ting; primi incontri; elaborazione del controtransfert; ridefini-zione di «agito»; processo simbolico; attenzione al corpo delpaziente e a quello del terapeuta; ridefinizione dell'ascoltoanalitico; relazione con i sogni.Due contributi presentano il punto di vista più attuale delleneuroscienze sulla memoria e relativamente alla percezionedell'altro, nonché la teoria di Wilma Bucci del Codice Multiplo,per l'osservazione della comunicazione emotiva del paziente.

NATHAN SCHWARTZ-SALANT – MURRAY STEIN (a cura di)

PROCESSI ARCHETIPICI IN PSICOTERAPIA

IMMAGINI DALL’INCONSCIO – ISBN: 978-88-7487-156-8C 20,00 – FORMATO: 14,5X21 – PAGG. 256

Una raccolta di saggi sull’utilizzo delle dinamiche archetipi-che nel corso della psicoterapia. Il soggetto stesso dell’ana-

lisi, la psiche del paziente, si basa sugli archetipi: forme tipiche,originarie ed ereditarie di esperienze psichiche ricorrenti.Il complesso rapporto tra analista e paziente è fondamental-mente ispirato e condizionato dal processo archetipico.Quando, in un modo o nell’altro, qualcosa nella vita non fun-ziona, sono sempre gli archetipi a essere chiamati in causa.Depositari dei modelli di comportamento umano, gli archetipipossono riportarci, per così dire, sulla strada giusta.Dove si rivolge la forza vitale del paziente? In quale direzionetentano di portare il paziente le sue energie originarie? In chemodo l’analista riesce ad allinearsi all’archetipo in questione?L’ottica che seguono gli autori è quella di affrontare i processiarchetipici non solo all’interno dell’analisi junghiana, ma anchenegli altri indirizzi psicoterapeutici, come per esempio quellodi Winnicott o di Balint, con incursioni nei nuovi ambiti di ricer-ca psicoanalitica, tra cui quello sul sistema affettivo archetipi-co di Stewart.

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L’ATELIER GRAFO-PITTORICO

CORSO QUADRIENNALE DI SPECIALIZZAZIONE IN

PSICOTERAPIA DELL’ETÀ EVOLUTIVAAD INDIRIZZO PSICODINAMICO

Istituto di OrtofonologiaServizio di Psicoterapia per l’Infanzia e l’Adolescenza

CORSO QUADRIENNALE DI SPECIALIZZAZIONE IN

PSICOTERAPIA DELL’ETÀ EVOLUTIVAAD INDIRIZZO PSICODINAMICO

Decreto MIUR del 23.07.2001 • Anno accademico 2007-2008 • Direttrice: Dott.ssa Magda Di Renzo

L’obiettivo del corso è di formare psicoterapeuti dell’età evolutiva, dalla primissima infanzia all’adolescenza, in grado di utilizzare strumenti

inerenti la diagnosi, il trattamento psicoterapeutico e la ricerca clinica.

REQUISITI PER L’AMMISSIONEDiploma di Laurea in Psicologia o in Medicina e il superamento delle prove di selezione

NUMERO DEGLI ALLIEVI15

SEDE DEL CORSOIstituto di Ortofonologia, via Alessandria, 128/b – 00198 Roma

PER INFORMAZIONI E DOMANDA D’ISCRIZIONEIstituto di Ortofonologia, Via Salaria, 30 – 00198 Roma

tel. 06.88.40.384 – 06.85.42.038 fax 06.8413258 – [email protected][email protected]

LA FORMAZIONE PREVEDE

• Una conoscenza approfondita delle teorie degli autori che hanno contribuito storicamenteall’identificazione delle linee di sviluppodel mondo intrapsichico infantile e adolescenziale.

• Una padronanza di tecniche espressive checonsentano di raggiungere ed entrare in contattocon il paziente a qualunque livello esso si trovi,dalla dimensione più arcaica a quella più evoluta,al fine di dar forma a una relazione significativa.

• Una competenza relativa alle dinamichefamiliari e al loro trattamento in counseling.

• Una conoscenza della visione dell’individuo edelle sue produzioni simboliche nell’ottica dellapsicologia analitica di C.G. Jung.

ORIENTAMENTO DIDATTICO DEL QUADRIENNIO

(artt. 8 e 9 del D.M. MIUR n. 509/1998)

1.200 ore di insegnamento teorico, 400 oredi formazione pratica, di cui: 100 ore di lavoropsicologico individuale, 100 ore di supervisionedei casi clinici, 200 ore di formazione personale in attività di gruppo e laboratorio. Le 400 oredi tirocinio saranno effettuate presso le struttureinterne o presso strutture esterne convenzionate.

Le ore di formazione individuale previstedal programma si effettueranno durante il corsodi studi. Previa accettazione del Consigliodei Docenti, la formazione individuale può esseresvolta anche con psicoterapeuti esterni alla scuola.

In questo intervento vorrei porre la mia attenzione so-prattutto sulla natura relazionale del fenomeno «bulli-smo», per comprenderne il senso psichico più profondo

sia in riferimento ai reali rapporti tra coetanei sia in relazio-ne alla dinamica interna che abita tanto la vittima quantol’aggressore.

Come è stato ormai sottolineato da più parti, per com-prendere il fenomeno del «bullismo» bisogna prendere inconsiderazione il bullo, la vittima e lo spettatore quali perso-naggi che concorrono, attraverso modalità differenti ma a vol-te complementari, alla messa in atto del comportamento ag-gressivo.

Il bullo manifesta la propria aggressività in modo diretto(attraverso comportamenti fisici o atti verbali) o in modo in-diretto (attraverso comportamenti di denigrazione o esclu-sione) e svolge per lo più le proprie azioni nell’ambiente sco-lastico scegliendo spesso come vittima predestinata un com-pagno di classe. Generalmente si differenzia il bullo domi-nante – con le sue caratteristiche di aggressività, forza, op-posizione alle regole che ne fanno un progettatore ed esecu-

tore di atti di violenza – dal bullo gregario che assume per lopiù la funzione di «sobillatore» e che si pone come seguacedel primo. Ne condivide cioè gli obiettivi, ma non è in gradodi prendere iniziative violente né è capace di portare avantiun’azione da solo.

La vittima viene invece identificata come passiva-sotto-messa o provocatrice. Nel primo caso si tratta del classicobambino un po’ isolato dal contesto classe, che non è in gra-do di reagire in nessun modo all’attacco del bullo e che arri-va a colpevolizzarsi del proprio comportamento senza riusci-re a parlarne per il timore che la violenza aumenti. Nel se-condo caso si tratta del bambino che in qualche modo provo-ca gli attacchi degli altri e qualche volta prova a reagire congesti aggressivi che non riescono però mai ad avere la megliosu quelli del bullo.

Nella categoria dello spettatore troviamo invece i sosteni-tori del bullo (coloro cioè che assistono alla violenza ridendoo anche solo guardando), i difensori della vittima (che tenta-no di interrompere l’atto o che comunque tentano di consola-re la vittima) e la cosiddetta «maggioranza silenziosa» che

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QUESTIONI DI PSICOTERAPIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA

ISTITUTO DI ORTOFONOLOGIA – ROMAcon la collaborazione scientifica dell’UNIVERSITÀ «CAMPUS BIO-MEDICO» – Roma

Corso quadriennale di Specializzazione in Psicoterapia dell’Età Evolutiva a indirizzo psicodinamico

L’esistenza della scuola di psicoterapia infantile, che rappresenta la concretizzazione di 30 anni di lavoro con il mondodell’infanzia, costituisce anche per noi un nuovo percorso di studio e di ricerca. Nonostante il notevole impegno di

molti a favore dell’universo infantile, riteniamo che molto si debba ancora fare per fornire una risposta concreta di aiuto albambino che si trova a vivere oggi in un contesto così difficile e complesso, e soprattutto così diverso da quello che ha segna-to l’infanzia di noi terapeuti. Ci sembra che oggi l’impegno più importante di chi lavora con i bambini sia quello del con-fronto e della collaborazione tra adulti.

Un confronto che permetta di superare, senza rinnegarle, le posizioni che hanno fondato il nostro fare terapeutico peradattarlo alle nuove richieste che arrivano dai bambini, dalla famiglia, dalla scuola.

Un confronto che aiuti a divenire più consapevoli dei propri strumenti terapeutici al punto da poterli mettere a disposi-zione di altre professionalità senza rischiare confusive sovrapposizioni.

Un confronto, ancora, che favorisca nuovi impegni di studi e ricerche per rispettare i «luoghi» del bambino, ma ancheper dare sempre maggiore dignità a quelli abitati dall’adulto.

La rubrica QUESTIONI DI PSICOTERAPIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA è uno spazio di riflessione che ospitacontributi provenienti da diverse aree culturali o da differenti indirizzi, ma che hanno tutti l’obiettivocomune di una psicoterapia a misura di bambino. Attendiamo i vostri interventi.

Il bullismo tra senso diinadeguatezza e onnipotenza

MAGDA DI RENZOAnalista junghiana, responsabile del Servizio di Psicoterapia dell’Età Evolutiva

dell’Istituto di Ortofonologia di Roma

Relazione presentata al Convegno ARPEA

«Per parlare di… adolescienza. Gli adulti di fronte a una nuova sfida», svoltosi a Teramo il 3 marzo 2007

tenta di rimanere fuori dalla situazione non prendendo posi-zione in alcun modo.

Prima di addentrarmi in riflessioni che riguardano la di-namica psichica, vorrei chiarire un aspetto che spesso dividel’opinione pubblica e cioè il fatto che l’episodio di bullismo dicui ci stiamo occupando va differenziato dai comportamentigoliardici, da sempre presenti in età adolescenziale.

Per quanto riguarda infatti il fenomeno dell’attacco a unesponente del gruppo vissuto realmente o emotivamentecome più debole possiamo dire che si tratta di un qualcosadi universale che ha a che fare con il bisogno del gruppo diridefinire di tanto in tanto la propria forza e supremazia.L’alleanza necessaria per sferrare un attacco all’esterno hainfatti lo scopo di far sperimentare ai vari rappresentanti delgruppo il senso di appartenenza e di coesione. Il fatto chel’attacco venga perpetrato nei confronti delle persone piùdeboli è funzionale a definire un senso di identità e di dif-ferenziazione da ciò che viene avvertito come estraneo. Iragazzi sentono la necessità di ribadire la propria identitàcon azioni considerate trasgressive dal mondo degli adulti,e per questo si lanciano in «bravate». È ovvio che in ogniepoca questi fenomeni hanno assunto connotazioni diversesia in riferimento all’ambiente socio-culturale sia in rela-zione alla tipologia dei vari rappresentanti del gruppo. Ciòche è certamente cambiato oggi, e che connota l’atto di bul-lismo, è la modalità attraverso la quale viene espressa l’ag-gressività. I rapporti che attualmente uniscono gli adole-scenti sono infatti caratterizzati da una maggiore distanzaemotiva e questo rende più efferata l’aggressione nei con-fronti soprattutto dei deboli, perché non ci sono quei vincoliaffettivi che consentono di moderare la propria istintualità.Più che a «bravate», quindi, oggi assistiamo a veri e propriatti anti-sociali, nei quali sembra che i ragazzi abbiano per-so il senso di responsabilità. Dalle ricerche campionariesvolte da Telefono Azzurro ed Eurispes su una popolazionedi ragazzi dai 12 ai 18 anni emerge che un terzo degli in-tervistati ha partecipato in qualche modo a fenomeni di bul-lismo e che il 17% ha avuto una parte attiva in azioni di mi-naccia o violenza. Questi dati confermano l’entità del fe-nomeno e fanno protendere per una spiegazione più com-plessa, che va oltre la manifestazione di una normale provadi forza adolescenziale.

Ed è proprio su questo aspetto che vorrei interrogarmi perriflettere sul senso che oggi assume l’aggressività dei ragaz-zi, sia nei confronti di se stessi sia verso il gruppo dei pari.

Mettendo a confronto la tipologia del bullo con quella del-la vittima, alcuni autori hanno sottolineato il fatto che il bul-lo, a differenza della vittima, non soffre di insicurezza e dibassa autostima e che ha piuttosto bisogno di dominare suglialtri senza provare la minima empatia. Se sul piano descritti-vo questa constatazione del comportamento appare corretta,credo che a livello intrapsichico la dinamica sia più comples-sa e che tutti i partecipanti al fenomeno condividano in fondolo stesso nucleo complessuale.

Vorrei innanzitutto distinguere, con Guggenbühl-Craig,un tipo di violenza in presenza di Eros, da un tipo di violenzache si svolge invece in assenza di Eros perché ritengo che pro-prio questa distinzione ci aiuti a cogliere la differenza tra laclassica bravata e il fenomeno del bullismo. La violenza in

presenza di Eros è, infatti, quella che consente di mettere l’ag-gressività al servizio di comportamenti adeguati socialmenteed eticamente e che favorisce empatia nella misura in cui met-te a confronto delle forze che possono essere considerate pa-ritetiche. Uno scontro di tipo adolescenziale favorisce inrealtà un incontro a un livello più profondo nella misura in cuipermette il riconoscimento dell’altro come superiore o infe-riore in quel determinato ambito senza che si metta in atto unrifiuto radicale né una totale idealizzazione. La violenza in as-senza di Eros, invece, si concretizza in atti distruttivi che sialimentano di se stessi perché lo scopo perseguito è univoco,non toccato da quell’ambivalenza che permette di rimanere incontatto anche con la parte amorevole di se stesso. La vio-lenza in presenza di Eros è, dunque, quella che un individuopuò esercitare per difendersi o proteggere un altro da una so-praffazione o che è funzionale al riconoscimento di un dirit-to o di un dovere (come molte delle azioni educative che gliadulti devono esercitare nei confronti dei bambini) mentre laviolenza in assenza di eros è quella che persegue solo i suoiscopi senza porsi degli obiettivi sociali educativi o relaziona-li, una violenza cioè che viene esercitata sull’altro in quantooggetto e non in quanto individuo.

Nella relazione bullo-vittima manca innanzi tutto la sim-metria del rapporto per cui entrambi i partecipanti condivi-dono quell’area che oscilla senza soluzione di continuità traimpotenza e onnipotenza come se non ci fosse mai la possi-bilità di immaginare una trasformazione delle forze psichichemesse in campo. Una sorta di scissione che attribuisce a unodei componenti del rapporto tutta la polarità opposta a quelladell’altro e che depriva entrambi del senso di umiltà che aiu-terebbe l’uno a chiedere aiuto e l’altro a porgerlo. Una scis-sione in cui sembra convivere anche quella maggioranza si-lenziosa che non trova la forza di sollecitare cambiamenti, co-me se quell’azione fosse una necessità ineludibile, una sortadi iniziazione a un mondo anestetizzato che non sembra ac-corgersi di nulla. Ragazzi che si trovano in campi di battagliadove gli adulti non sembrano avere accesso per l’incapacità acontenere un’aggressività agita, forse perché non sufficiente-mente elaborata, o a contrapporsi con una violenza che siapiena di Eros per porre limiti e confini al servizio di una con-vivenza sociale. È in questo senso che anche il bullo può es-sere considerato, a livello profondo, un insicuro, un individuoincapace di far fronte all’inadeguatezza al punto da rimuo-verla completamente a favore di una prepotenza che perseguesolo il fine della supremazia sull’altro.

Questa considerazione mi sembra particolarmente im-portante per le implicazioni che ha sul piano educativo e te-rapeutico e per la possibilità di continuare a immaginarenuovi percorsi almeno da parte degli adulti. Considerare ilbullo solo come un individuo incapace di sintonizzarsi conle emozioni dell’altro e proteso solo alla supremazia, si-gnifica continuare a rimanere in quell’ottica di scissioneche determina appunto il fenomeno nella sua complessità eche non consente di trovare soluzioni più radicali al pro-blema. Né appare proficuo considerare la vittima solo comeun individuo incapace, insicuro e ansioso perché questo si-gnificherebbe ignorare, da una parte, l’aggressività repres-sa di cui è portatrice e, dall’altra, la dimensione di onnipo-tenza presente nell’atto di non chiedere aiuto. Ma tutto ciò

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QUESTIONI DI PSICOTERAPIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA

può significare anche, a mio avviso, deresponsabilizzare gliadulti dal loro ruolo educativo e contenitivo. I dati rilevan-ti emersi nelle ricerche ci impongono una riflessione chenon spinga verso atteggiamenti di tipo costituzionalistico,ma che chiami in causa l’ambiente ristretto della famiglia equello più allargato della società. Dovremmo forse interro-garci sui modelli che, in quanto adulti, proponiamo ai nostriragazzi e comprendere in che modo spingiamo verso com-portamenti anestetizzati che ignorano la presenza di emo-zioni e affetti.

Per la prima volta, per esempio, nella storia dell’umanitàlo sviluppo della tecnica non è gestito dai padri ma dai figlie questo crea una mancanza di contenimento per i ragazzi.Lo sviluppo incessante dei mezzi di comunicazione aumentasempre più il dislivello e spesso gli adulti non sanno porsi co-me modelli né, tantomeno, come argini. Nell’avventurarsiverso nuovi territori i ragazzi sono soli e non sono in gradodi gestire le proprie emozioni al cospetto di strumenti che sipropongono come seducenti ed eccitanti. Diventare registidelle proprie azioni, invadere la privacy dell’altro, sconfig-gere virtualmente il nemico con azioni aggressive, esserecostantemente in relazione con più persone senza un con-fronto diretto sono tutte operazioni funzionali a garantire lapropria supremazia senza sforzo e responsabilità. Senza sot-tolineare il concetto ormai chiaro della pericolosità di nonsaper adeguatamente distinguere il mondo reale da quellovirtuale. Credo che i genitori e, per quel che possono gli in-segnanti, dovrebbero porre seri limiti all’uso sconsiderato dicomunicazioni virtuali per aiutare i ragazzi a crescere emo-tivamente, oltre che cognitivamente. L’uso, per esempio, divideogiochi che portano i ragazzi a imitare comportamentiviolenti dovrebbe essere impedito nell’infanzia e permessolimitatamente nell’adolescenza. Nella pratica clinica incon-tro spesso ragazzi che cadono preda di vere e proprie crisi dirabbia incontenibile dopo avere giocato per ore con lo stes-so videogioco in cui bisogna ammazzare un numero sconsi-derato di persone per passare al livello successivo. Credoche il dato si commenti da solo.

L’incremento della comunicazione a distanza ha sicura-mente ridotto la possibilità di incontri più intimi che richie-dono necessariamente vicinanza. La contraddizione è quindisolo apparente, perché la facilitazione caratterizzata da in-contri virtuali in cui si può non essere se stessi protegge da

quei sentimenti di inadeguatezza o vergogna che si possonosperimentare in un incontro reale. L’idea di poter raggiunge-re chiunque e in qualsiasi momento alimenta il senso di onni-potenza di cui i ragazzi sono portatori e impedisce il sano con-fronto con il limite. I ragazzi che vivono una parte considere-vole del loro tempo in una realtà virtuale non sperimentano lapossibilità di sopportare la frustrazione e rischiano di rispon-dere con la violenza ogni volta che non riescono a soddisfareimmediatamente una loro esigenza. L’incapacità di tollerare lafrustrazione credo che sia la principale carenza dei nostri ra-gazzi e la responsabile di molte storie di disagio psichico e didevianza. L’insicurezza, la vergogna, il pudore e la preoccu-pazione sono sentimenti indispensabili per venire a patti conse stessi e con la vita, ma sembra che oggi anche gli adulti ab-biano paura di farli sperimentare ai propri figli in nome di unpresunto ideale di felicità.

Innanzitutto ritengo che servirebbe una maggiore solida-rietà tra adulti, per indicare linee educative che siano coeren-ti. Troppo spesso genitori e insegnanti si trovano in posizionedi contrasto, sovrapponendosi confusamente nei ruoli e la-sciando spazio alle pretese o alle proteste dei ragazzi che tro-vano facili scappatoie a molte delle loro azioni. Mi riferisco inparticolare al fatto che quando gli insegnanti assumono unaposizione forte nei confronti di azioni violente vengono spes-so accusati dai genitori quali persecutori del ragazzo.L’educazione del comportamento inizia molto presto, perchéi bambini hanno bisogno di essere protetti dalla loro stessa ag-gressività. Permettere a un bambino, come purtroppo accadesempre più spesso, di reagire con violenza non penalizzando-lo ma anzi incoraggiandolo per la sua forza significa non aiu-tarlo a capire che la comunicazione passa attraverso compor-tamenti più evoluti come il linguaggio verbale. Non è un ca-so che i disturbi del linguaggio siano in continuo aumento,proprio in una società che sembra aver fatto della comunica-zione il suo obiettivo supremo. L’apprendimento alla comu-nicazione deve partire dalle prime relazioni affettive e devepoter proseguire lungo tutto l’arco dello sviluppo. La comu-nicazione necessita di pause, si accresce attraverso le possibiliincomprensioni e trova il suo massimo dispiegamento in uncontesto che abbia una buona significatività emotiva. Non èpossibile raggiungere un’adeguata maturazione se non ci siconfronta con i limiti imposti dalla presenza dell’altro e que-sta è la principale funzione educativa degli adulti.

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QUESTIONI DI PSICOTERAPIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA

c. i .Ps.Ps. i .a .CCEENNTTRROO IITTAALLIIAANNOO DDII PPSSIICCOOTTEERRAAPPIIAA PPSSIICCOOAANNAALLIITTIICCAA PPEERR LL’’IINNFFAANNZZIIAA EE LL’’AADDOOLLEESSCCEENNZZAA

(Istituto di Formazione in Psicoterapia)

Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica per l’Infanzia e l’Adolescenza

(Riconosciuto dal MURST con Decreto del 16/11/2000)

SCADENZA ISCRIZIONI 30 GIUGNO 2007

Segreteria c.i.Ps.Ps.i.a.: Via Savena Antico, 17 – 40139 Bolognatel./fax: 051/62.40.016; e-mail: [email protected]; sito web: www.cipspsia.it

Quando ci troviamo al cospetto di comportamenti forte-mente aggressivi come quelli descritti in questi ultimi tempidalla cronaca possiamo sicuramente affermare che ci trovia-mo all’apice di una linea di condotta preesistente. A parte ca-si eccezionali in cui ci può essere una reazione improvvisa edeccessiva, il ragazzo che arriva a un gesto violento ha già spe-rimentato profondi sentimenti di inadeguatezza e ha sicura-mente mostrato dei segnali che sono stati disattesi dall’am-biente. Questi segnali possono essere di varia natura, ma so-no quasi sempre riconoscibili a un occhio attento. Come è sta-to evidenziato in storie diventate di dominio pubblico, alcunidi questi ragazzi presentavano un’esagerata timidezza e unaforte chiusura nei confronti dei coetanei, mentre altri aveva-no presentato fin dai primi anni di scuola un comportamentoaggressivo. Nel primo caso si tratta di ragazzi che non rie-scono a confrontarsi con i coetanei utilizzando la giusta dosedi aggressività per rispondere alla critica o all’insensibilità equindi si uniscono a una banda «forte» per trovare un’identitàe riscattare il senso di insopportabile impotenza. Nel secondocaso si tratta invece di ragazzi che non sono stati adeguata-mente contenuti a tempo debito e che hanno fatto della vio-lenza la strategia comunicativa per eccellenza. È chiaro che inentrambi i casi sarebbe necessario un intervento dell’adultoprima che il comportamento si esasperi oltre i limiti soppor-tabili dal ragazzo.

Di fronte a un comportamento violento sono necessariefondamentalmente una buona dose di empatia per il disagiosottostante l’atto e un adeguato senso di responsabilizzazione

per le conseguenze del comportamento violento. Questi at-teggiamenti sono entrambi necessari per comunicare al ra-gazzo la gravità dell’atto senza condannarlo irrimediabil-mente. Mi sembra che un problema oggi molto frequente tragli adolescenti e tra i bambini sia un’eccessiva inconsapevo-lezza del proprio operato in nome di una comprensione a ol-tranza da parte degli adulti. Per contenere realmente un ra-gazzo è necessario essere vicino alla sua emozione in mododa stimolarlo a un’elaborazione e a una possibile riparazionedel danno. Perdonarlo o condannarlo troppo in fretta signifi-ca invitarlo a rimuovere i sentimenti penosi che si nascondo-no dietro il suo comportamento deprivandolo di una possibi-le trasformazione.

Sono quindi necessari interventi mirati nella scuola perconsentire ai ragazzi un’elaborazione dei propri vissuti pro-prio nel luogo dove si perpetrano le loro azioni negative.Un’esperienza che stiamo conducendo da due anni in unascuola media alla periferia di Roma ci ha fatto comprenderequanto, al di là di possibili aspettative, i ragazzi siano prontia chiedere aiuto. Il nostro progetto iniziale riguardava soprat-tutto interventi in aula e un coinvolgimento degli insegnanticon l’idea che i ragazzi di quell’età non avrebbero usufruitodello sportello d’ascolto. Abbiamo invece dovuto potenziareil nostro intervento con i ragazzi, che sono stati i primi a usu-fruire di uno spazio psicologico, aiutando anche gli adulti adavere fiducia in un ascolto più attento che potesse andare ol-tre le prestazioni e gli obiettivi frenetici di un apprendimentosenz’anima. ♦

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QUESTIONI DI PSICOTERAPIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA

Istituto di Ortofonologia

L’adesione a Novum prevede la partecipazione ai Forum, la partecipazione gratuita ai convegni dell’Istituto e la possibilità dipartecipare ai futuri servizi che saranno attivati (ECM, etc.).

Sul sito (accesso protetto da password) verranno pubblicati gli abstract degli elaborati clinici dei diplomati della Scuola; sarannodisponibili video di eventi culturali e scientifici promossi dall’Istituto; è prevista l’apertura di una sala virtuale come forum di scambiocomunicativo e di un forum clinico; sarà approntata una sezione dedicata alla consultazione di materiale didattico e bibliografico; è inprogettazione una sezione che raccolga i lavori prodotti nell’ambito del seminario interdisciplinare su Cinema e Letteratura.

No vum

Novum è uno spazio culturale promosso dal Consiglio dei Docentidella Scuola di Specializzazione in Psicoterapia dell’età evolutiva

a indirizzo psicodinamico dell’Istituto di Ortofonologia. È costituito dagli specializzandi, dai diplomati e dai docenti della Scuola.

Novum riceve anche il contributo scientifico e culturale di esperti del settore.Lo scopo è quello di favorire lo scambio professionale, scientifico, informativotra i partecipanti e di convogliare ricerche, elaborati, articoli e materiali vari perrenderli condivisibili e disponibili sullo spazio in allestimento del sito dell’Istituto.Annualmente è previsto un incontro di tutti i partecipanti su temi preordinati.

N ovum

Il giorno sabato 3 marzo 2007 si è svolto a Teramo il 1°Convegno organizzato dall’Associazione ARPEA (Associa-zione Romana di Psicoterapia per l’età Evolutiva e l’A-

dolescenza) dal titolo «Per parlare di… adolescienza. Gli adultidi fronte a una nuova sfida». La scelta di questo tema è il risultatodel primo anno di attività dell’Associazione, che ha voluto por-re l’attenzione su un’età particolare della vita. È l’età che crea piùpreoccupazioni, più dubbi e più difficoltà al mondo degli adulti,non solo ai genitori e alla famiglia più estesa, ma anche alle isti-tuzioni, alla scuola, agli insegnanti, ai medici, agli psicologi, aglipsicoterapeuti e in generale a tutti coloro che si occupano di ado-lescenti. È stata volutamente inserita una «i» nella parola «ado-lescenza», perché crediamo che per la sua complessità e per gliinterrogativi che evoca possa essere considerata una nuovascienza.

La giornata, ricca di interventi, ha visto il susseguirsi di re-lazioni relative ai diversi aspetti dell’adolescenza trattati da di-versi punti di vista: «Le caratteristiche del comportamento ali-mentare in adolescenza» – dott. Pietro Campanaro, nutrizio-nista specialista in scienze dell’alimentazione del CentroRegionale di Fisiopatologia della nutrizione di Giulianova(TE); «Psicosomatica e psicoterapia analitica nell’adolescenza:dal corpo ai sogni» – dott. Fausto Agresta, psicologo, psicote-rapeuta, docente di psicosomatica, Facoltà di Psicologia (Prof.M. Fulcheri), Università di Chieti; «Sull’adolescentologia: unpunto di vista medico» – dott.ssa Giuliana Ciarelli, pediatra dibase e adolescentologa, Teramo; «I servizi di fronte al disagiomentale in Adolescenza» – dott. Renato Cerbo, Neuro-psichiatria infantile, direttore Centro Regionale per le psicosiinfantili, Università-ASL, L’Aquila; «Il bullismo tra senso diinadeguatezza e onnipotenza» – dott.ssa Magda Di Renzo,analista junghiana, direttrice della Scuola di Psicoterapiadell’Età Evolutiva, Istituto di Ortofonologia, Roma; «La di-stanza tra le reali motivazioni allo studio degli adolescenti e gliinsegnanti: siamo vecchi?» – dott.ssa Daniela Patriarca, inse-gnante Liceo Scientifico «A. Einstein», Teramo; «La disabili-tadolescenza. Il disabile e il mito dell’adolescenza» – dott.David Pizzi, assistente sociale specialista, Istituzione dei ser-vizi Sociali, Vasto (CH); «Adozione e adolescenza» – dott.ssaClementina Salerni, psicologa, referente per l’area psicologi-ca dell’ente autorizzato «In cammino per la famiglia», Chieti,Centro «Il Piccolo Principe», Pescara; «Il linguaggio degliadolescenti» – dott.ssa Anna Mammoli, psicologa, psicotera-peuta, Istituto di Ortofonologia, Roma; «Piercing e tatuaggi: lamanipolazione del corpo in adolescenza» – dott.ssa MariellaTocco, psicologa, psicoterapeuta dell’età evolutiva, responsa-bile del Servizio di diagnosi e valutazione ARPEA, Centro «IlPiccolo Principe», Pescara.

Obiettivo del Convegno è stato quello di dare voce alle mil-le sfaccettature del mondo adolescenziale che il dott. Campanaroha paragonato a un caminetto o a una Ferrari «il corpo dell’ado-lescente ha bisogno di un adeguato rifornimento perché altri-menti il fuoco non arde o il motore si ingolfa» e che la dott.ssaCiarelli ha definito «entrata nel mistero… chiamata alla vita». «Èuna fase positiva della crescita ma anche ad alto rischio di falli-mento» sottolinea il dott. Cerbo e prosegue «non dobbiamoaspettare l’adolescente ma dobbiamo raggiungerlo nei luoghi divita»; la dott.ssa Patriarca ci offre la possibilità di entrare nelmondo degli adolescenti e sentire la loro voce, i loro pensieri leg-gendo qualche brano dai loro temi mentre il dott. Agresta sotto-linea l’importanza del ruolo della famiglia.

La dott.ssa Di Renzo illustra un tema di attualità recente, ilbullismo, sottolineando l’incapacità dell’adulto di contenerel’aggressività dell’adolescente facendosi portavoce di quanti,guardando le immagini alla TV, hanno pensato: «Ma dove eranogli adulti quando quei ragazzi maltrattavano il loro compagno?».

E cosa dire poi dell’adolescente disabile con le sue grandirisorse, che il dott. Pizzi ha illustrato con un’immagine – «an-che gli asini hanno le ali» – a indicare la straordinaria capacitàdi questi soggetti di utilizzare le proprie risorse personali?Quali risposte dare all’adolescente adottato, angosciosamentealla ricerca della propria identità e delle proprie origini, de-scritto dalla dott.ssa Salerni? Cosa pensare di quegli «strani»modi di esprimersi descritti dalla dott.ssa Memmoli – il lin-guaggio moderno degli sms e dei murales – e dalla dott.ssaTocco – i piercing e i tatuaggi?

Sono tanti gli interrogativi ai quali tale convegno ha cercatodi dare delle risposte, risposte che forse stiamo ancora cercando.Questa giornata è stata sicuramente ricca di spunti di riflessionesoprattutto per noi adulti, genitori, professionisti, che abbiamo latendenza a mettere in discussione i comportamenti degli adole-scenti e non pensiamo che probabilmente i primi a mettersi in di-scussione dovremmo essere proprio noi.

Con affetto ringraziamo i relatori intervenuti al Convegno, ipartecipanti, in particolare gli studenti adolescenti che hanno ac-colto il nostro invito, la Città di Teramo, la Provincia di Teramoe l’Ordine degli Psicologi dell’Abruzzo.

* Il presente articolo è stato redatto da DANIELA CARDAMONI, psicologa,corso quadriennale di specializzazione in psicoterapia dell’età evolutivadell’Istituto di Ortofonologia di Roma, presidente ARPEA; DANIELA

QUINTO, psicologa, psicoterapeuta dell’età evolutiva, vicepresidenteARPEA; MARIELLA TOCCO, psicologa, psicoterapeuta dell’età evolutiva,responsabile servizio di psicodiagnosi e valutazione ARPEA; SIMONA

TRISI, psicologa, psicoterapeuta dell’età evolutiva, responsabile servi-zio di psicoterapia ARPEA.

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QUESTIONI DI PSICOTERAPIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA

«Per parlare di…adolescienza. Gli adulti

di fronte a una nuova sfida»*

Un appuntamento da non mancare. Lo avevamo detto ecosì è stato. «Ingresso lib(e)ro», l’evento culturale chesi è svolto a Roma il 24 marzo all’Auditorium di via

Rieti, ha richiamato tante persone attente e interessate, come siconviene a una «Giornata dei lettori e delle letture». Un grandeevento per le Edizioni Magi che, per la prima volta dopo diecianni hanno organizzato, dalle 10 alle 23, una serie di tavolerotonde con esperti e di presentazioni di novità editoriali.

Una scommessa e una sfida, questo evento, che ha richie-sto il lavoro di tutti noi, dall’ufficio commerciale a quellodelle pubbliche relazioni e all’ufficio stampa, senza dimenti-care l’impegno della redazione che ogni giorno segue in tuttele fasi i nostri libri. Tutti insieme, sotto lo sguardo attento diFederico Bianchi di Castelbianco e di Magda Di Renzo,abbiamo accolto lettori, esperti e tutti coloro che hanno rispo-sto al nostro invito a partecipare a questo evento. In tantisono venuti ad ascoltare gli esperti e gli autori dei nostri libri,a partecipare con domande e interventi alle tavole rotonde.Ed ecco che abbiamo potuto dare un volto ai nostri lettori:insegnanti, docenti, pedagogisti, psicologi, assistenti sociali,psichiatri, studenti universitari ma anche genitori e tantedonne, interessate alla nostra collana Parole d’altro genere.

Tra un dibattito e un altro è stato possibile fare uno spun-tino e acquistare i nostri libri, dando un’occhiata anche allenostre novità e a tutta la nostra produzione editoriale. Perpremiare l’interesse dei lettori, è stato rilasciato un attestatodi partecipazione ed è stato dato in omaggio un libro in temacon la sessione seguita. La formula scelta, quella delle tavo-le rotonde, ha consentito di mettere a confronto punti divista diversi e di dare spazio agli interventi del pubblico.

Di grande interesse le tematiche scelte: il rapporto geni-tori-figli, la sensibilità e la creatività femminile, le fasi del-l’adolescenza. Molto seguito, in serata, l’incontro con iprincipali esperti sul pensiero junghiano e i suoi sviluppi.Non sono mancate le presentazioni di alcune novità e di dueriviste, «AeP Adolescenza e Psicoanalisi», organo ufficiale

libroingresso

Giornatadei lettori

e delle letturedelle Edizioni Magi

dell’A.R.P.Ad. e di «RPA», la Rivista di Psicologia Analiticadell’Associazione Gruppo di Psicologia Analitica.

Ecco una sintesi delle varie sessioni:

I. PROFESSIONE GENITORE

Certi che «l’educazione di un figlio comincia dall’educazionedei suoi genitori», abbiamo messo a confronto il parere dialcuni nostri autori ed esperti sul nuovo concetto di famiglia,sul ruolo dei padri, sul rapporto tra genitori e scuola. Di gran-de interesse il dibattito su bambini e pubblicità (professoressaMaria D’Alessio). Si è parlato anche dei problemi dei bambi-ni in ospedale (Michele Capurso) e di come i bambini vivonogli adulti, insieme a psicologi e psicoterapeuti (FrancescaEmili, Flavia Ferrazzoli, Bruno Tagliacozzi). La dottoressaSimonetta Matone, Sostituto Procuratore della Repubblicapresso il Tribunale dei Minorenni di Roma, ci ha spiegatoperché Il tribunale non risolve. Una mamma – Mery La Rosa– ci ha parlato dell’adozione e della sua allegra tribù, riper-correndo tutte le tappe del suo percorso. A moderare la ses-sione e a parlare di «quel figlio che non arriva» la senatricePaola Binetti, autrice del libro Una storia tormentata. Il desi-derio di maternità e di paternità nelle coppie sterili.

II. PAGINE AL FEMMINILE

Sul palco le donne che scrivono, che si occupano di cura e dieducazione, che si misurano con il tempo che passa, con il diffi-cile rapporto col Potere. Abbiamo messo a confronto madri efiglie e ascoltato le testimonianze di chi si trova, ancora oggi, adaffrontare il tema della violenza sulle donne. Non è mancatol’intervento di uno psicoterapeuta (Alessandro De Filippi) atten-to a queste tematiche, nell’ottica secondo la quale non può maivenire meno il confronto con il Maschile. A moderare, ElenaLiotta, curatrice della nostra Collana «Parole d’altro genere»che ha guidato il dibattito e gli interventi delle autrici DanielaLucatti e Geni Valle, della psicoanalista Carole Beebe Tarantellie della psicoterapeuta Renata Biserni.

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dio Widmann) è stato possibile riscontrare la grande attua-lità del suo pensiero. Si è parlato dei suoi viaggi in Africa,in India e in America e delle sue Lettere, pubblicate direcente in tre volumi in un’edizione di prestigio. Abbiamoanche preso in esame quelle Immagini dall’inconscio comesogni e fiabe su cui si basa la psicologia analitica. Si è par-lato anche del gioco della sabbia e del rapporto tra l’uomo eil suo destino. Tutti hanno avuto la possibilità di conoscereJung come persona e come psicologo. Lui che ha trattato lapsiche con l’occhio del ricercatore e come un «amante del-l’anima».

L’articolo che segue è la trascrizione dell’intervento deldottor Bruno Tagliacozzi, analista junghiano, psicoterapeutadell’Istituto di Ortofonologia di Roma alla sessione Profes-sione genitore.

Rita ProtoUfficio Stampa Edizioni Magi

III. ADOLESCENZE, ETÀ SORPRENDENTI

Per indagare i passaggi dell’età in cui è più facile perdersi,abbiamo passato in rassegna i passaggi non sempre linearidell’adolescenza, la ricerca dell’identità che passa attraversoriti di iniziazione e del rischio e che si confronta con le regoledel gruppo. Tutto da esplorare il rapporto con l’immagineallo specchio che cambia e che è spesso difficile da accettare.Sotto la guida del professor Gianluigi Monniello, hannoattraversato il pianeta adolescenza la professoressa AnnaMaria Di Santo, il neuropsichiatra infantile Italo Gionangeli,l’analista junghiana Luisa Ruffa e lo psicoterapeuta Luca Val-lario.

IV. INCONTRARE JUNG

Tutta dedicata al pensiero junghiano l’ultima sessione delnostro evento, con un confronto a 360 gradi sulle teorie diJung: grazie agli interventi di noti esperti (Magda Di Renzomoderatrice, Paolo Aite, Robert Mercurio, Luciano Perez,Marcello Pignatelli, Luigi Turinese, Antonio Vitolo e Clau-

Novità editoriali presentate:

Dal sentire all’essereIl libro tratta di un approccio terapeutico (i Gruppi di Incontro, introdotti in Italia all’inizio degli anni Settanta) volto a potenziare lefacoltà fondamentali della persona (sensazioni-emozioni-sentimenti, cognizione, immaginazione) e a sviluppare una buonacapacità relazionale. Dopo aver ricostruito lo sfondo socio-culturale nel quale tale metodica ha avuto origine, l’autrice Maria Feli-ce Pacitto, che è stata tra i primi a utilizzarla in Italia, ne ha illustrato il funzionamento e le possibilità di applicazione. RelatoriGiovanni Salonia, direttore della scuola di specializzazione in psicoterapia della Gestalt H.C.C. e Michele Festa, direttore CSU

Centro Studi Umanologia di Roma.

Omicida e artista, le due facce del serial killerCome sarebbe andata se Hitler fosse stato accettato nell’Accademia di Belle Arti di Vienna? Da questa insolita domandaparte Ruben De Luca, autore di questo testo che, per la prima volta, descrive i serial killer come artisti mancati, analizzando-ne le opere pittoriche. L’ipotesi innovativa è che si possa impostare un trattamento di arteterapia che trasformi la pulsionedistruttrice in un’energia creatrice. È intervenuta, oltre all’autore, Chiara Camerani, psicologa, presidente CEPIC, Centro Euro-peo di Psicologia, Investigazione e Criminologia.

Rivista «AeP Adolescenza e Psicoanalisi»Organo ufficiale dell’A.R.P.Ad., l’Associazione Romana per la Psicoterapia dell’Adolescenza. Fondata da Arnaldo Novelletto, èsemestrale ed è l’unica dedicata alla psicoanalisi dell’adolescenza e alle sue espressioni nei contesti istituzionali. È aperta aicontributi di altri gruppi italiani che si occupano di adolescenza. Ne hanno parlato Gianluigi Monniello, Direttore «AeP», Psi-coanalista SPI, Sapienza Università di Roma, Adriana Maltese, Presidente A.R.P.Ad. Psicoanalista SPI, Sapienza Università diRoma, Daniele Biondo, Ordinario A.R.P.Ad., Tito Baldini, Docente A.R.P.Ad., Psicoanalista SPI.

Affetto, trauma, alessitimiaCarole Beebe Tarantelli, psicoanalista e docente Sapienza Università di Roma e Luigi Scoppola, psichiatra libero docentein Gerontologia e didatta S.I.P.P., hanno parlato del trauma psichico e del suo effetto più grave, l’alessitimia: la difficoltà diriconoscere e descrivere i propri sentimenti. Analizzati a fondo i processi che sostengono il nostro equilibrio emotivo, glieventi che lo minano ma soprattutto le cure che cercano di ripristinarlo.

«Da ieri a oggi» Il pensiero di Carl Gustav Jung e la storia della «Rivista di Psicologia Analitica» presente in Italia dal 1970Prima uscita ufficiale per RPA, la prima rivista italiana che ha voluto diffondere il pensiero di Carl Gustav Jung. Ha caratteremonografico ed è semestrale. La sua redazione è costituita da analisti dell’Internazionale Junghiana. Apre le sue pagine adaltre scuole analitiche e pensatori di altre discipline. Sono intervenuti Paolo Aite, psichiatra, analista didatta junghiano, Mar-cello Pignatelli medico, analista junghiano e Angelo Malinconico, psichiatra, analista junghiano.

La fabbrica delle immaginiCosa può comunicare un film? Quali sono le emozioni e i sentimenti che vuole rappresentare? Ne abbiamo parlato conl’autrice Teresa Biondi, Adriana Berselli, costumista per le scene dello spettacolo, Flavio De Bernardinis, storico e critico diCinema, Sapienza Università di Roma, Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Chiamate in causa Antropologia ePsicologia, per una storia sui generis del Cinema che analizza i modelli culturali rappresentati nella messa in scena filmica.

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Siamo ospiti della casa editrice Magi – che ringrazio perl’invito a presenziare a questa tavola rotonda sulla Pro-fessione genitore – in un ambiente ricco di parole scritte

e di immagini. Non ho resistito alla tentazione di iniziare il miointervento parlandovi attraverso delle immagini: un film, Mil-lion Dollar Baby, del 2004, vincitore di quattro premi Oscar,con attore protagonista e regista Clint Eastwood.

Million Dollar Baby è la storia di una giovane donna, Mag-gie, e di un uomo in età avanzata, Frankie. Lei è una camerierain cerca di un riscatto personale e sociale attraverso la boxe; luiè il gestore di una scalcinata ma umanissima palestra di pugili.Lei cerca un padre – prematuramente scomparso – l’unico infamiglia con il quale aveva avuto un rapporto significativo; luicerca una figlia che non vede da anni e che ostinatamenterespinge le lettere sue al mittente. Un film che sobriamente, macon calore e sentimento tocca i temi fondamentali dei rapportigenerazionali. I due, insieme, arriveranno al successo, finoall’evento tragico che segnerà la fine di un sogno e il definitivoconsolidarsi di una relazione profonda fra i due personaggi. Altermine del film, la voce narrante chiuderà così l’ultima scena:«Frankie non è mai più tornato. Non ha lasciato neanche unmessaggio, nessuno ha mai saputo che fine abbia fatto. Hosperato che fosse venuto a cercare te [la figlia naturale]. Achiederti per l’ennesima volta di perdonarlo. Ma forse nonc’era rimasto più niente nel suo cuore. Spero solo che abbiatrovato un posto dove vivere in pace. Un posto in mezzo aicedri e alle querce. Sperduto tra il nulla e l’addio. Ma forse èsoltanto un’illusione. Ovunque si trovi adesso, ho pensato chefosse giusto farti sapere chi era veramente tuo padre».

Perché ho voluto narrarvi questo film? Perché introducemolto bene il tema di cui voglio parlarvi: la relazione tra geni-tori e figli. E questo film è una dimostrazione di quanto èprofonda questa esigenza e di quanto facilmente possiamodisattenderla. Di quanto è più facile, a volte, ricostruire unarelazione da capo piuttosto che viverla con le persone giuste.

Fermiamoci qui e cancelliamo tutto. Torniamo alla realtà.

La storia del film è drammatica, ma proviamo a pensare senella vita di tutti i giorni potremmo trovarci in una situazionesimile. In una situazione, cioè, in cui stiamo ponendo i presup-posti per vivere in maniera distorta il rapporto con l’altro, incui le fantasie e i desideri del genitore possono portare a nonvedere il figlio reale. E qui non posso non ricordare Jung quan-

do afferma che: «Gli influssi più forti che agiscono sui bambi-ni non provengono affatto dall’atteggiamento cosciente deigenitori, bensì dal loro sfondo inconscio. Ciò che di normainfluisce di più sul bambino a livello psichico è quella vita chei genitori non hanno vissuto: quel pezzo di vita che eventual-mente avrebbe anche potuto essere vissuto, se certi pretesti piùo meno sottili non l’avessero impedito. Si tratta di un aspettodella vita a cui ci si è sottratti, magari con una pia menzogna.Da qui si svilupperanno i germi più virulenti»2.

Un esempio pratico. Avete presente un padre alla partita dicalcio del figlio? Il primo pensa di essere il padre di Totti,mentre il figlio non riesce a farsi una ragione del perché ilgenitore non capisca le sue difficoltà, non lo aiuti, non loconforti invece di inveire contro di lui. È come se il padrevedesse un’immagine diversa da quella del figlio reale, comese avesse una benda sugli occhi, come se giocasse a moscacie-ca, mentre su quella benda si riflettono immagini interiori enon il figlio reale.

Un altro esempio. Le aspirazioni scolastico-culturali di unamadre nei confronti di un figlio. Anche qui ci ritroviamo in unasituazione simile, in cui il bambino rischia di non essere visto:la mamma vede nella sua benda Einstein, Aristotele o PieroAngela, ma non riesce a prendere contatto con il bambino realeche ha davanti a sé.

Fermiamoci nuovamente e cancelliamo tutto. Lasciamosolamente l’immagine del genitore che gioca a moscaciecacon il bambino.

Cambiamo prospettiva e mettiamoci dalla parte del bambi-no. Il bambino si sente trasparente come quando ci si siede atavola, tutti intorno alla tavola e voi siete l’unica persona dispalle al televisore…

Se il genitore è nel proprio mondo immaginario quando sirelaziona con il figlio, quale possibilità ha il bambino di farsisentire, di esprimere le sue paure, le sue angosce? Al bambinonon resta che seguire la stessa strada indicata dai genitori: lafuga nell’immaginario. Così a un genitore che si rapporta conun figlio immaginario farà da sponda un bambino che si rela-zionerà con genitori immaginari. Perché capite quanto è diffi-cile rapportarsi con dei genitori che non ti capiscono rispetto adei genitori perfetti: immaginari ma perfetti! Pensate così atutte quelle patologie che vanno dal mentire patologico finoalla pseudologia fantastica. L’impossibilità di un incontro reale

Professione genitore:dagli Egizi all’angolo piatto

BRUNO TAGLIACOZZICoordinatore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia dell’Età Evolutiva a indirizzo psicodinamico

dell’Istituto di Ortofonologia, analista junghiano, CIPA – Roma

Relazione presentata alla tavola rotonda Professione genitore, nell’ambito della manifestazione «Ingresso lib(e)ro. Giornata dei lettori e delle letture» a cura delle Edizioni Magi tenutasi a Roma il 24 marzo 2007

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sulle questioni fondamentali della vita: affetto, accudimento,protezione, comprensione e la necessaria e conseguente fugadalla realtà.

Ma volevo lasciarvi un messaggio positivo e di speranza e,quindi, andiamo a cercare un’alternativa che ci consenta di tro-vare o ritrovare un terreno sul quale instaurare un dialogo tragenitori e figli.

Fermiamoci ancora una volta, cancelliamo tutto e rico-minciamo da capo.

Dobbiamo individuare uno spazio nella vita quotidianaall’interno del quale stabilire un contatto con il bambino reale enon con quello immaginario. Proviamo a pensare alla nostragiornata tipo.

Dov’è il bambino reale? Sicuramente è quello che dormenella sua stanza per circa 10 ore ogni notte. Quello sì è il bam-bino reale, ma purtroppo non sta in relazione con noi: dorme.A scuola, allora, in quelle 8 ore è certamente sveglio. Ma anchein questo caso il bambino reale non è in contatto con noi.Facendo un rapido conto: 10 + 8 = 18 e 24 – 18 = 6: ci riman-gono circa 6 ore per entrare in contatto con nostro figlio.

Inizia il pomeriggio. Certamente anche lui avrà bisogno deisuoi tempi di recupero, da alternare fra un po’ di attività fisica,di catechismo, qualche visita medica, un po’ di televisione, diPlayStation, di Game Boy, ecc. Pazienza… però ci resta ilmomento della cena: tutti insieme intorno a una tavola perincontrarci. Però: il papà vuole ascoltare il telegiornale, lamamma desidera vedere il suo programma preferito e i bambi-ni mettono il muso se non vedono i cartoni. E magari sieteanche quello «trasparente» di spalle alla televisione…

Avete mai pensato che la nostra vita si svolge come quelladegli antichi Egizi raffigurata negli affreschi delle piramidi?Loro non conoscevano le leggi della prospettiva. Noi sì, mausiamo sempre la prospettiva centrale, quella con il punto difuga al centro del foglio; tutti guardiamo verso il centro e inostri scambi comunicativi si svolgono perennemente di fian-co: siamo di fianco quando si guarda la televisione, quando sista in macchina, quando si passeggia, nel confessionale dellaliturgia cattolica e persino sul lettino dell’analista.

Per fortuna, rimangono ancora un’ora o due prima di anda-re a dormire. Ma siamo oramai tutti stanchi e assonnati. E ci siaddormenta come capita, ma sempre con lo sguardo fissoverso il punto di fuga del televisore e rigorosamente di fianco.

Ma allora: dove possiamo recuperare il rapporto con ilnostro bambino reale?

Fermiamoci, cancelliamo tutto, ricominciamo da capo.

Il nostro bambino è lì, davanti a noi, tutti i giorni e siamonoi a educarlo all’affettività e alla relazione, un’educazione chenon possiamo relegare a qualche guizzo di presenzialismo delfine settimana. Non dobbiamo poi stupirci se l’adolescenza sitrasformerà da periodo critico a un periodo impossibile: il lassodi tempo che intercorre fra l’infanzia e la pubertà è incredibil-mente breve. Il rapporto con un figlio non si può rimandare neltempo o al tempo in cui sarà in grado di parlare e di risponder-ci o a tempi migliori: è un rapporto che va costruito subito,ancor prima della sua nascita, con le fantasie – questa volta sì

necessarie – sull’arrivo di un figlio nella nostra vita. Non pen-sate che abbia troppo esagerato nel raccontarvi le 24 ore delnostro ipotetico bambino. Purtroppo la quotidianità del lavorocon i genitori mi costringe a questo duro realismo, pur lenitodagli sforzi di tante mamme e tanti papà che riscoprono attra-verso la riflessione e la consapevolezza la ricchezza del ruologenitoriale.

Entrare in contatto con il bambino reale significa smetteredi giocare a moscacieca, togliere la benda e guardare nostrofiglio negli occhi, con le sue debolezze e la sua forza. In uncontatto profondo fatto di ascolto e dialogo, di attenzione epreoccupazione.

È un cambiamento di prospettiva di soli 180° rispetto alvivere di profilo; praticamente un angolo piatto, se non fosseche questo termine, «piatto», evoca una mancanza di profon-dità. Ma in realtà nel linguaggio matematico l’angolo piatto èdefinito come «l’angolo i cui lati siano l’uno il prolungamentodell’altro»2, e allora quale immagine migliore per rappresenta-re il rapporto tra genitore e figlio: l’uno è il prolungamentodell’altro, restituendoci non solo il senso di un contatto direttoe contestuale, ma anche una prospettiva storica di trasmissionedi valori ed esperienze attraverso le generazioni. E ancora, ilprolungamento presuppone anche il contatto fisico, il toccarsi,l’abbracciarsi, il ritorno a modalità antiche di comunicazioneprofonda con l’altro che hanno caratterizzato l’inizio della vitae, soprattutto, l’inizio della vita di relazione alla nascita delbambino.

Entrare nel campo visivo dell’altro, comunicare, stringereun contatto fisico.

Fermiamoci definitivamente, ma questa volta non cancel-liamo nulla.

NOTE1. Prefazione a F.G. Wickes, «Il mondo psichico dell’infanzia» (1931), inOpere, vol. XVII, Lo sviluppo della personalità, Torino, Bollati Boringhieri,1991, p. 42.2. Voce: «piatto», tratta dal Vocabolario della Lingua Italiana, edito dall’Istitutodella Enciclopedia Italiana.

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IL PEDAGOGISTA CLINICO NELLE ISTITUZIONIPEDAGOGIA CLINICA – ISBN: 978-88-7487-226-8C 13,00 – FORMATO: 15,5X21 – PAGG. 144

Sono infallibili, di norma, i presupposti che tutte le famiglie sianodiverse, che scrivere i «manuali» per i genitori sia compito di

esperti, che non ci siano soluzioni uguali per problemi – apparente-mente – uguali.Ma quando una mamma (di tre figli maschi) decide di raccontare ilmodo in cui ha organizzato la propria famiglia, le scelte che ha fattonelle situazioni problematiche, le sensazioni che l’hanno guidatanelle delicate questioni dell’educazione giornaliera, e se questo rac-conto trasuda di logica, ironia, affetto, buon senso e santa pazienza,ne viene fuori un qualcosa che supera di gran lunga il consiglio delpiù esperto degli esperti.Come fare per riuscire a sentirli tutti e tre mentre parlano contem-poraneamente? Come dividere l’attenzione e l’affetto perché nessu-no si senta geloso? Come non farsi inghiottire dalle faccende domestiche e trovare iltempo per stare insieme? Come ricavare del tempo per se stessi?E poi, le autonomie personali, la scuola, i parenti, gli amici. La societàdei consumi e l’economia domestica. La qualità del tempo libero.Questo vivace ritratto di una famiglia diventa, fin dalle prime pagine,una fonte da cui non pochi genitori potranno attingere a piene mani.

BARBARA MONDELLI

IO TI AMOROovvero sull’arte, in disuso, di essere genitori normaliPROFESSIONE GENITORE – ISBN: 978-88-7487-217-6 C 12,00 – FORMATO: 13X21 – PAGG. 104

Il criterio qualificante una professione, che contempla l'acquisizio-ne di competenze, di produzioni del sapere e di abilità nell'impie-

go di metodi e tecniche, fa del pedagogista clinico un protagonistaampiamente premiato dalla rilevanza sociale dei suoi interventi spe-cialistici.Egli esercita la professione in studi o centri privati, conduce attivitàsu progetti e convenzioni in istituzioni sanitarie, sociali, scolastiche egiudiziarie ed è in grado di incidere positivamente e con significativivantaggi sulla società.Nel volume il lettore trova illustrate esperienze concrete, che benrichiamano l'attenzione sulla competenza dei pedagogisti clinici esugli spazi operativi in cui essi agiscono.

Professione genitore

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TERESA BIONDI

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La storia del cinema ci regala un grande numero di film checontengono immagini e fatti provenienti da ogni parte del

mondo, raccontati da svariati punti di vista e, quindi, in grado didivenire un compendio della cultura, della conoscenza edell’anima umana.Il volume illustra i concetti che sottendono la costruzione del rac-conto filmico e le forme di rappresentazione attraverso immagini.Dalle immagini nella mente alle immagini in movimento... Lacapacità del cinema di riprodurre immagini mentali, modi dipensare e comportamenti nei diversi ambienti culturali di appar-tenenza si concretizza nella creazione di una vera e propriapsico-antropologia filmica della contemporaneità, in grado dimettere in scena le caratterizzazioni tipiche dei popoli e dellenazioni e la multiculturalità e multietnicità, anche nell’otticadella globalizzazione, con il conseguente annullamento dellespecificità culturali, delle differenze e dei contenuti originari.Il volume, attraverso la prospettiva interdisciplinare dell’analisifilmica – che permette l’approfondimento delle funzioni simbo-liche –, considera il prodotto filmico l’espressione e la rappre-sentazione dell’inconscio e dell’immaginario individuale e col-lettivo. Partendo dalla teoria moreniana che afferma la capacitàmagica della riproduzione tecnica delle «immagini viventi» edall’analisi del linguaggio filmico, si prosegue alla scoperta deglistrumenti utilizzati dalla cinematografia per esteriorizzare l’in-conscio, all’esame delle forme e delle tecniche del pensiero nar-rativo, della capacità di simulare attività mentali e di mettere inscena l’essenza intima del pensiero dell’uomo correlato con leazioni dell’ambiente.Uno studio della commedia all’italiana, in chiusura del volume,riassume ed esemplifica le tesi portanti dell’intera trattazione.

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TI RACCONTO IL MIO OSPEDALEEsprimere e comprendere il vissuto della malattia

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L’elemento che più di ogni altro determina la percezione di unamalattia è il vissuto che la accompagna. Per poterlo compren-

dere è necessario dare direttamente «voce» al bambino, accoglien-do le sue modalità espressive e ascoltandone le esperienze di ospe-dalizzazione. Solo così è possibile capire come il bambino vive e sirappresenta la malattia, di cosa ha bisogno per affrontarla, qualiaspetti della relazione di aiuto sono per lui i più efficaci.Nello svolgimento della ricerca,di cui questo libro riassume gli esiti,si è scelto di ascoltare direttamente i bambini, andandoli a incon-trare nel luogo di cura. Le forme espressive di grande libertà – ildisegno, la scrittura, la poesia – accompagnate dalla ricerca di ami-cizie, dal gioco e, soprattutto, dall’ascolto empatico da parte degliadulti, hanno consentito ai bambini di rivelare i loro sentimenti.Le risposte emotive del nucleo familiare, le modalità di erogazionedella cura e le caratteristiche del luogo in cui si affronta il processodi guarigione, viste e narrate con gli occhi dei bambini malati, ciconsentono di vedere sotto una luce nuova alcune delle proble-matiche connesse all’ospedalizzazione in età pediatrica.Oltre a offrire concreti spunti formativi e nuove conoscenze per aiu-tare quanti operano nell’ambito della malattia pediatrica e dellarelazione di aiuto, i risultati di questa indagine hanno valenze riferi-bili a tutto il mondo dell’infanzia. Emerge con chiarezza che quan-do il bambino ha l’opportunità di esprimersi, impara ad avere menopaura del proprio mondo interiore e riesce a far fronte anche adeventi eccezionali e ad emozioni penose. Ogni volta che intervieneattivamente su decisioni che lo coinvolgono, si abitua a fare altret-tanto anche nelle situazioni ordinarie, imparando l’importanza dellapartecipazione attiva nella società in cui vive. La capacità di far sen-tire la propria voce in modo costruttivo di fronte a un problemadiventa così uno strumento inestimabile nel suo processo di crescita.

Qualcuno con cui correre (Mondadori, 2001)di David Grossman

«Un cane corre per strada inseguito da un ragazzo»:così inizia Qualcuno con cui correre, romanzo diDavid Grossman, e così l’autore ci trascina in una

corsa a perdifiato per le vie di Gerusalemme dietro un caneche si infila nei vicoli impervi del centro storico, passa velo-ce tra le bancarelle dei mercati senza darci nemmeno il tem-po di chiederci dove stiamo andando. Lo seguiamo e basta.Proprio come Assaf, il ragazzino che tiene il guinzaglio, cui èstato affidato l’arduo compito di rintracciare il proprietariodell’animale. Il cane, anzi la cagna, Dinka, conduce Assaf inluoghi impensati, di fronte a strani e inquietanti personaggi,attraverso cui, a poco a poco, come in un puzzle, si componeil ritratto della misteriosa proprietaria: Tamar, una ragazza dibuona famiglia, fuggita da casa per salvare il fratello Shay,musicista eccezionale, convinto che solo drogandosi puòsuonare come Jimi Hendrix. Shay è caduto, da oltre un anno,nella rete di un protettore mafioso, un personaggio che ospi-ta in una grande casa ragazzi con aspirazioni artistiche e lisfrutta, mandandoli a esibirsi in giro per Israele, accompa-gnati dai suoi scagnozzi che intascano i soldi lasciati in ele-mosina dal pubblico.

Piccola, determinata, con una voce bellissima, Tamar haelaborato un piano per far fuggire il fratello, ha preparatouna grotta in una valle solitaria, portandoci tutto il neces-sario per far fronte alle inevitabili crisi di astinenza di Shay.Un piano audace in cui Assaf viene coinvolto prima anco-ra di aver incontrato la giovane, affascinato com’è da quel-la figura che a poco a poco prende vita nella sua mente e nelsuo cuore.

Tamar, fingendosi una ragazza sola e derelitta, inizia aesibirsi, a cantare nelle vie di Gerusalemme e così viene av-vicinata da due vecchietti che la conducono nella casa diPessah. Qui Tamar si scontra con una dura realtà, fra artistidi strada e giovani dalla vita spezzata, mendicanti, prostitu-te e violenti sfruttatori. Sono giovani, adolescenti in fugadalle loro famiglie, dagli adulti di riferimento, dalle loro re-gole e imposizioni, ma anche e soprattutto da se stessi, daipropri limiti, dalle proprie insoddisfazioni e frustrazioni.

La prima notte nella casa, Tamar viene aiutata da Shelly,una ragazza fragile, con l’anima ferita, che le diventa amica,le spiega le regole di quel posto orribile e la fa sentire un po’meno sola. Inizia a esibirsi in strada agli ordini di Pessah edopo alcuni giorni, a cena, finalmente vede Shay: è magro,deperito, l’ombra di se stesso, ma è ancora in grado, nono-stante tutto, di comprendere il loro codice segreto, il loro al-fabeto muto e così Tamar gli dice di essere lì per salvarlo.

Due giorni dopo il loro incontro, Tamar, animata da unanuova forza, si introduce nell’ufficio di Pessah, fruga nellasua agenda e scopre che lei e il fratello dovranno esibirsi nel-lo stesso luogo, dopo nove giorni; è l’occasione che aspetta-va, quello sarebbe stato il momento giusto per la fuga, cosìtelefona all’amica Leah e le chiede di andarli a prendere conla sua auto; purtroppo Tamar viene scoperta da Pessah e nonriesce a dire all’amica il luogo dell’appuntamento.L’indomani, dopo essersi esibita, consegna a un uomo delpubblico un foglietto di carta, in cui lo prega di aiutarla e ditelefonare a Leah.

Sei giorni prima della fuga, durante la cena, Pessahchiede a Tamar di cantare, di far ascoltare la sua voce aglialtri ragazzi; dopo un momento di esitazione e sconcerto,Tamar inizia a cantare e canta per l’unica persona che esi-stesse in quel momento, Shay; il fratello lascia la sala, mavi fa ritorno con la chitarra con cui intona i primi accordi diImagine; è un momento coinvolgente, emozionante, diprofonda condivisione; la musica li unisce e permette lorodi sentire, riconoscere e dar voce alla propria emotività; èun episodio importante, fondamentale, perché spezza il si-lenzio tra i due fratelli e perché induce Pessah a farli esibi-re insieme in strada, facilitando così la loro fuga. Quella se-ra, Shelly entra in crisi, riflette su se stessa, sulla sua vita,piange per la sua condizione, ma non trova la forza per rea-gire, così si lascia adescare da un trafficante di droga e conlui trova la morte; è un duro colpo per Tamar, che perde unacompagna affettuosa e generosa ed è costretta a elaborareun’altra difficile separazione.

Il giorno della fuga, durante la loro esibizione, Tamar ri-chiama l’attenzione del pubblico su Miko, delinquente al ser-vizio di Pessah, mentre ruba il portafogli a una vecchietta: inpochi secondi la folla inizia a urlare, a muoversi, dando ai

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Qualcuno con cui correreSERENA POLINARI

Psicologa, Specializzanda Corso Quadriennale di Specializzazione in Psicoterapia dell’Età Evolutiva a indirizzo psicodinamico dell’Istituto di Ortofonologia – Roma

Questa rubrica raccoglie i lavori di un seminario interdisciplinare che si occupa di opere cinematografiche e letterarie

in una prospettiva psicologica. Il seminario, considerato come propedeutico alla supervisione clinica, si svolge nel

primo biennio del Corso di Specializzazione in Psicoterapia dell’età evolutiva a indirizzo psicodinamico con l’obiettivo

di elaborare e condividere una narrazione dallo stesso punto prospettico, ma con una poliedricità di ascolti.

due fratelli l’occasione di fuggire; Tamar e Shay corrono contutte le loro forze verso un futuro diverso, verso la libertà everso la macchina di Leah; riescono a raggiungerla grazie al-l’aiuto di Moshe Honigman, l’uomo disponibile e altruista acui Tamar aveva consegnato il biglietto, che aveva deciso didare il suo contributo fino alla fine e impugnando un fucileriesce a bloccare Shishko, l’altro membro della banda chequel giorno sorvegliava i ragazzi.

Una volta in macchina, Tamar può finalmente riabbrac-ciare Leah e la sua figlioletta Noah, ma subito dopo si rendeconto di aver dimenticato Dinka; nella confusione, nel grovi-glio delle gambe, Dinka si era messa ad abbaiare, aveva per-so l’orientamento e anche i suoi padroni. Un silenzio pesantescende nell’abitacolo e un dolore e un’angoscia insopporta-bile colpisce Tamar, che perde Dinka proprio quando ritrovaShay, cose se fosse stato necessario sacrificare qualcosa, qual-cuno, per riaverlo.

Sarà Assaf a trovarla e si lascerà guidare per le vie diGerusalemme alla ricerca di Tamar: Dinka lo condurrà daTeodora, da Matzliah e infine da Leah; attraverso i loro rac-conti, tassello dopo tassello, la storia di Tamar prende vita sot-to gli occhi di Assaf, che, incredulo, scopre di essere cattura-to dalla figura di quella ragazza tanto dolce e determinata.

Leah conduce Assaf nella grotta, lì finalmente incontraTamar, le riconsegna Dinka e i due ragazzi vivono insieme igiorni difficili del recupero di Shay, pronti a partire per cor-rere lungo quel percorso magico che è l’amore, scoperto in-sieme a sedici anni.

I protagonisti di questo libro sono, dunque, due adole-scenti: Assaf, sedicenne timido e impacciato e Tamar, ragaz-za tanto decisa e dura, quanto dolce e triste.

ASSAF è un ragazzo molto fragile, insicuro, con poca au-tostima e fiducia in sé, che incontra molte difficoltà e pro-blemi nel relazionarsi con i coetanei. La sua insicurezza loporta a evitare il confronto con gli altri e a subire passiva-mente le loro iniziative.

Il ragazzo, superate le riserve e i dubbi iniziali, decide dicorrere dietro Dinka; ma cosa rincorre davvero Assaf?Perché tanta ostinazione nella ricerca? E se fosse solo il pre-testo per fuggire? O un confuso desiderio di correre incontroalla vita? C’è un po’ di tutto questo nella sua mente inquietadi adolescente; corre Assaf, e si sente invadere da una sensa-zione misteriosa e sconosciuta, dal piacere di una corsa ver-so l’ignoto. È una corsa che gli permette di conoscere a po-co a poco Tamar, ma che soprattutto gli consente di cono-scere se stesso, scoprire le proprie capacità, maturare unanuova consapevolezza di sé; è un viaggio nella vita della ra-gazza, ma soprattutto un viaggio alla scoperta di sé.

TAMAR è una ragazza sicura e concreta, ma anche piena dipoesia e di paura; si rimane colpiti e affascinati dalla sua ca-pacità sconfinata di amore, dalla sua capacità di entrare in re-lazione empatica con gli altri, dal suo dono di saper instaura-re legami profondi e sinceri con le persone più diverse.Tamar si trova però a dover affrontare da sola una situazionedifficile: di fronte a dei genitori incapaci di reagire al doloree fornire l’aiuto necessario e il giusto contenimento a Shay,

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sente di doversi far carico della situazione, sente che deve es-sere lei a reggere e a salvarlo. Per fronteggiare tutto questo ècostretta a indossare una maschera, a strutturare un Falso Sé,a mostrarsi dura, decisa, determinata, nascondendo la partepiù fragile e indifesa di sé. Prima di partire per questa av-ventura, Tamar si taglia i lunghi capelli e ciò rappresentasimbolicamente la ridefinizione della propria immagine.

Per comprendere fino in fondo la psicologia di questi duepersonaggi, che sembrano compensarsi, è necessario analiz-zare il rapporto con la famiglia d’origine, con le loro figureparentali.

La famiglia di Assaf è molto presente e solida. La mam-ma è descritta come ansiosa e iperprotettiva, al punto da nonfacilitare il processo di separazione-individuazione di Assaf,che sembra essere ancora nella fase di idealizzazione, nonancora pronto a mettere in discussione i suoi genitori.

I genitori di Tamar sono borghesi, istruiti, razionali, mapoco capaci di manifestare affetto e soprattutto di compren-dere i bisogni dei figli; è una famiglia, oserei dire, abbando-nica, costituita da quattro persone sole, in cui è poco presen-te la comunicazione e la condivisione. Di fronte alla crisiadolescenziale di Shay, al suo ricorso alla droga, i genitori re-stano svuotati e paralizzati, incapaci di reagire e di porsi co-me figure autorevoli in grado di sostenerlo e aiutarlo.

SHAY è un adolescente inquieto, aggressivo, prepotente,insofferente a qualsiasi regola e imposizione, ma è ancheestremamente fragile e vulnerabile; si droga, nell’illusione diaumentare così le proprie capacità personali e relazionali e so-

prattutto per fuggire da se stesso, dalla sofferenza, dalle diffi-coltà e dalla solitudine che caratterizzano il passaggio all’etàadulta. È lui a telefonare a Tamar e a chiederle di aiutarlo, maquando se la trova davanti ha paura, ha paura di seguirla nel-la fuga, ha paura di introdurre anche il minimo cambiamentonella sua vita distrutta. Come psicologi ci troviamo spesso difronte persone che ci chiedono di aiutarle, ma che, di fatto,non facilitano il nostro lavoro, non collaborano, perché han-no trovato un equilibrio, anche se nella sofferenza, e temonodi spezzarlo, perdendo sicurezza e stabilità.

Tutto il romanzo, pur nel realismo dei particolari, sembrasospeso in un’atmosfera fantastica ed è costruito con i piùclassici ingredienti della fiaba: c’è una principessa in jeans et-shirt, che verrà salvata da un cavaliere coraggioso, c’è ilcattivo da sconfiggere, che assomiglia a un orco crudele, cisono i geni buoni, che aiuteranno i protagonisti nella loro im-presa: ricordiamo Teodora, Karnaf, Leah, Moshe Honigman.

Non manca nemmeno un cane un po’ magico, che fin dal-le prime righe appare come il catalizzatore di tutti i sentimentipositivi: DINKA, un personaggio circolare del libro, che con-sente l’incontro tra Assaf e Tamar, l’unione tra il maschile e ilfemminile. Rappresenta un punto di riferimento per entrambi,è l’alter ego sia di Tamar che di Assaf, è la parte intuitiva, piùistintiva, più coraggiosa, la spinta a fare, ad andare avanti.

La prima persona da cui Dinka conduce Assaf èTEODORA: un’anziana suora che da oltre 50 anni vive in clau-sura in un ospizio, in attesa dei pellegrini dall’Isola diLiksos, in Grecia, suo paese natale. Circa settant’anni prima

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CINEMA E LETTERATURA, UNA LETTURA PSICODINAMICA

che Teodora nascesse, il capo del suo villaggio aveva decisodi costruire a Gerusalemme un ospizio per accogliere gli abi-tanti dell’isola che si recavano in pellegrinaggio in TerraSanta; l’edificio doveva essere custodito da un’unica suora,scelta a sorte tra le ragazze dell’isola. La prescelta fuTeodora, ma dopo due anni trascorsi nell’ospizio, giunse lanotizia che un terribile terremoto aveva ucciso tutti gli abi-tanti del suo villaggio.

Per comprendere il suo personaggio è importante tornareproprio a questo punto della sua storia, alla sua adolescenza,ai suoi 16 anni, quando improvvisamente perde tutti. Si ri-trova sola, senza più punti di riferimento, a poter scegliere ilproprio destino, il proprio futuro. Non aveva più senso re-stare in quella casa, in attesa di qualcuno che non sarebbemai arrivato; ha la possibilità di scegliere liberamente la pro-pria strada, di cambiarla, ma Teodora è sola e spaventata daun mondo che non conosce e così sceglie di continuare a vi-vere nel ruolo che le era stato assegnato. Non si sente pron-ta ad affrontare il mondo e così lo porta, un pezzetto alla vol-ta, nella sua stanza: legge libri, studia, impara l’ebraico anti-co e moderno, intrattiene una corrispondenza con intellet-tuali, filosofi e scrittori; ma il suo mondo è fatto solo di pa-role, descrizioni, personaggi e vicende scritte.

A Teodora Assaf racconta dei suoi genitori, del loroviaggio negli Stati Uniti, per andare a trovare la sua sorellamaggiore Reli, orafa di successo, trasferitasi lì un anno pri-ma perché sentiva il bisogno di più libertà e spazio. Le parladi Muki, la sorellina di 3 anni, della sua dolcezza e tenerez-za e di Roy, il suo miglior amico, con cui, negli ultimi tem-pi, aveva tante difficoltà a relazionarsi per i suoi atteggia-menti da leader, che il nostro protagonista, insicuro e fragile,non era in grado di gestire e frenare.

La suora racconta, invece, ad Assaf del primo incontrocon Tamar e di come quella ragazza aveva saputo risvegliarein lei il ricordo della sua adolescenza, del suo villaggio, deisuoi amici, della sua mamma sempre indaffarata e stanca, im-possibilitata a stare sola un minuto con lei. Tamar le ricorda laTeodora sedicenne, vivace, spigliata e irrequieta, le ricorda isuoi genitori che non avevano saputo combattere per lei, co-sì come quelli di Shay non erano stati in grado di farlo per lui.

Verso la fine del romanzo, per aiutare Tamar, che tanto l’a-veva colpita per la sua determinazione e il suo coraggio,Teodora, dopo 52 anni, trova la forza di uscire, di affrontare ilmondo e così attira su di sé l’attenzione di Pessah, che stava in-seguendo Assaf e Dinka, permettendo ai due di arrivare da Leah.

LEAH, cara amica di Tamar, è proprietaria di un ristoran-te, ha una vita difficile alle spalle, una figlia adorabile da cre-scere e un carattere generoso e leale. Sostiene Tamar duran-te tutta l’avventura, spedendo le lettere che la ragazza avevapreparato per tranquillizzare i suoi genitori, facendole canta-re da alcuni artisti di strada Happy Birthday nel giorno delsuo compleanno, aiutandola nella fuga, portando da lei Assafe Dinka, ma soprattutto non facendole mai mancare il suo af-fetto e la sua presenza. Leah è per Tamar un punto di riferi-mento importante, un porto sicuro da cui partire e a cui ap-prodare nei momenti di difficoltà, è quella base sicura che laragazza non trova nei genitori.

Anche Assaf ha un amico che lo sostiene e lo consigliadurante i giorni della ricerca: è KARNAF, l’ex fidanzato di

Reli, di cui è ancora tanto innamorato, grazie al quale ver-ranno arrestati Pessah e i suoi uomini.

SOFFERMANDOSI A RIFLETTERE...Qualcuno con cui correre è un romanzo avventuroso, incal-zante, commovente, in grado di illuminare il mistero dell’a-dolescenza, inoltrandosi con sicurezza nelle sue difficoltà enelle sue chiusure, per mostrarci la generosità e le grandez-ze di cui è capace.

Il libro esplora l’adolescenza, un periodo di transizione,di crisi, caratterizzato da trasformazioni corporee, psicologi-che, relazionali, che richiede all’individuo un’elaborazionedel proprio senso di identità. Molte difficoltà e disagi di que-sta fase del ciclo vitale possono insorgere o essere rafforzatiproprio da questa ricerca di un nuovo modo d’essere nelmondo.

L’adolescente acquisisce nuove capacità cognitive, a co-minciare dalla capacità di riflettere sui propri pensieri, di im-mergersi in una nuova dimensione temporale attraverso cuiha accesso al presente, al passato e al futuro. Deve al con-tempo tollerare il dubbio, la solitudine, la tristezza e l’ango-scia che da tutto ciò scaturiscono; vive nella continua ambi-valenza tra l’essere una persona indipendente e ribelle, chereclama la sua autonomia, e il bisogno di profonda dipen-denza in ambito familiare.

Assaf, come molti sedicenni, sente da un lato una certa ri-luttanza ad abbandonare le sicurezze del mondo infantile, edall’altro un irresistibile richiamo verso il mondo degli adul-ti, che però avverte come sconosciuto, complesso e inquie-tante. Sia verso il proprio passato infantile, che ormai svani-sce, che verso i propri genitori, c’è un misto indefinito di vo-glia di distacco e di rassicurazione.

Nel difficile compito di costruzione della propria identitàl’adolescente è chiamato a separarsi dai propri genitori, ametterli in discussione, ad abbandonare o ridefinire i loro va-lori, le loro idee, le loro regole, elaborando il lutto che ac-compagna qualsiasi perdita.

L’area psichica del libro è proprio quella della separazio-ne. Tamar, è costretta a vivere separazioni dolorose: da Shay,da Shelly, da Dinka, ma, come ogni adolescente, anche daipropri genitori e dall’immagine di se stessa bambina.

Il rimodellamento della personalità dell’adolescente do-vrebbe diventare uno stimolo per il rimodellamento della fa-miglia: i genitori dovrebbero accompagnare il figlio nel pro-cesso di separazione, trovare rimedio al vuoto che egli inevi-tabilmente lascia, dare il giusto peso al suo comportamento ri-belle, impulsivo, incoerente, ambivalente, alle sue richieste dilibertà e alle sue esigenze di guida, controllo e sostegno.

Il libro ci offre lo spunto per riflettere sulle ulteriori dif-ficoltà che gli adolescenti incontrano quando tutto questonon avviene, quando i genitori non sono in grado di porsi co-me figure affidabili, forti, autorevoli, in grado di fornire ilgiusto sostegno e contenimento, o quando si pongono comeeccessivamente protettivi e limitanti.

Qualcuno con cui correre ci immerge nell’adolescenza,nelle sue difficoltà e contraddizioni, senza farci mai dimen-ticare, però, che questa età contiene in sé aspetti evolutivi ecreativi. ♦

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CINEMA E LETTERATURA, UNA LETTURA PSICODINAMICA

Una breve introduzione ai rapporti tra psicoanalisi etelepatia non può esaurire i nodi che questo tema sol-leva. È però possibile accennare ad alcuni aspetti

generali e individuarne i possibili risvolti in termini di tecnicapsicoterapeutica. Infatti, come scriveva già Georges Devereuxnel 1953, studi di questo genere non sono «…contributi dipsicoanalisti riguardo a problemi di parapsicologia. Sonoinvece, specificamente, studi psicoanalitici dei cosiddetti“fenomeni-psi”, e devono quindi essere considerati essenzial-mente come contributi alla teoria e alla pratica della psicoana-lisi clinica» (Devereux, 1953, p. IX).

Non devono tuttavia neppure essere trascurati i risvolti chequeste teorie hanno in termini di responsabilità individuale.Esse infatti rendono possibile ipotizzare un «contatto» tramenti all’interno del quale l’individuo, che in questa prospetti-va sarebbe influenzato da atmosfere psichiche interpersonali –gruppali e collettive –, a sua volta e inconsapevolmente leinfluenzerebbe. Non si tratta perciò di svelare soltanto eventua-li influssi «telepatici», preriflessivi e nascosti, tra paziente eanalista nel loro incontro ben delimitato e peculiare, quantoanche una possibile e più vasta rete di contatto inter-psichicotra tutti gli individui della comunità umana, i quali in questosenso sarebbero corresponsabili, sebbene inconsapevolmente,di tensioni o conflitti che pervadono momenti storici e persone.

Riguardo al solo primo aspetto, ovvero la pratica della psi-coanalisi clinica, l’articolo di Hollòs (che sarà pubblicato sulprossimo numero), e che per la prima volta compare in tradu-zione italiana, è unanimemente considerato paradigmatico.Esamina infatti il possibile verificarsi di fenomeni telepaticinello specifico ambito della relazione tra paziente e analista. Insostanza, si occupa dell’ipotetico intervento della telepatia neifenomeni di transfert-controtransfert, seguendo in questo lastrada che Freud aveva dischiuso appena qualche anno prima.

È bene però premettere che Freud aveva esaminato soltan-to il possibile emergere, nei sogni notturni dell’analista, dicontenuti «trasmessi telepaticamente» dal paziente. SempreFreud, inoltre, quasi per mitigare la portata delle proprie ipo-tesi, si era chiesto se questi contenuti eventualmente ricevutidal terapeuta per via telepatica non si limiterebbero a concor-rere al formarsi del sogno secondo un’unica modalità, la stes-sa dovuta ai cosiddetti resti diurni, vale a dire fornendo il solomateriale di rivestimento per il desiderio inconscio. Egli infat-ti valutava con scetticismo l’idea che questi contenuti potesse-ro invece influenzare il desiderio inconscio stesso. In altri ter-

mini, Freud riteneva che non potessero «inserirsi» direttamen-te in profondità e causare, del desiderio inconscio, oltre alsemplice «rivestimento» anche l’insorgenza e il contenuto.Ecco pertanto che egli, ribadendo le proprie esitazioni, in con-clusione precisava che il suo «atteggiamento personale rispet-to a questa materia continua a essere riluttante e ambivalente»(Freud, 1921, p. 349).

Da questi pochi accenni è tuttavia già chiaro che nel par-lare di questo argomento emergono almeno due nodi cruciali.

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FARE PSICOLOGIA

Psicoanalisi e telepatiaIntroduzione all’articolo di Istvan Hollòs

«Psicopatologia dei problemi telepatici quotidiani» (1933)– Che sarà pubblicato sul prossimo numero –

MARCO ALESSANDRINIPsichiatra, psicoanalista, responsabile dell’Unità territoriale del Centro di Salute Mentale della ASL

di Chieti, Professore a contratto presso la Facoltà di Medicina e la Facoltà di Psicologia dell’Università di Chieti

ISTVÁN HOLLÒS: BREVE NOTA BIOGRAFICA

Medico ungherese, psichiatra e psicoanalista, István Hollòsnasce a Budapest nel 1872, dove muore nel 1957. Prove-niente da una modesta famiglia ebrea, è fondatore, nel 1913,insieme a Sándor Ferenczi, Sándor Rado, Hugo Ignotus ealtri, della Società Psicoanalitica Ungherese. Di questa è ini-zialmente vicepresidente e poi, dal 1933 al 1939, presidente.Già in questo periodo esercita come psicoanalista. È anchevicino ai circoli letterari, ai fermenti artistici dell’epoca. Nel1918 effettua un’analisi personale a Vienna con Paul Federn,analista già rinomato per la specifica attenzione rivolta apazienti psicotici.

Le psicosi sono anche il principale campo di interesse diHollòs, il quale diventa direttore del più importante manico-mio del paese, soprannominato «Casa Gialla» e situato aLipotmezö, nelle vicinanze della capitale. Nel frattempo, tra-duce in ungherese due opere di Freud, L’interpretazione deisogni (insieme a Ferenczi) e L’Io e l’Es (insieme a GézaDukes). Viene però presto destituito dall’incarico nel 1925,sotto il regime antisemita di Miklós Horthy, e nel 1944, insie-me alla moglie, sfugge fortunosamente alla morte durante untentativo di deportazione. A salvarlo insieme ad altri ebrei, è ildiplomatico svedese Raoul Wallenberg, e in quell’occasioneHollòs ha un’intensa esperienza interiore che amerà interpre-tare come intervento di «segni dal cielo».

Egli riprende l’attività di psicoanalista, e nella SocietàUngherese lavora al fianco di Imre Hermann. Ormai anziano,ha un episodio delirante. Termina i suoi giorni ricoverato nella«Casa Gialla», alla quale, nel 1927, poco dopo la sua desti-tuzione, aveva dedicato uno straordinario resoconto di espe-rienze cliniche, il romanzo-saggio I miei addii alla Casa Gialla(pubblicato in Italia dalle Edizioni Magi nel 2000).

Un primo nodo è la natura delle relazioni interumane, dellequali la relazione terapeuta-paziente è soltanto una variante,sebbene talmente particolare da rendere più evidenti le dina-miche in gioco. Ecco perciò che proprio in rapporto all’ipote-si della telepatia è necessario domandarsi se alla percezionerazionale e cosciente di una netta separazione tra la mente didue o più individui non sfugga una sottostante condizione dicontatto, o addirittura di non-separazione. Un secondo nodo,derivazione diretta di quello appena detto, riguarda la delimi-tazione della mente, in particolare la conformazione e i confi-ni dell’inconscio. In pratica vengono chiamate in causa nonsolo le relazioni dell’inconscio con le persone esterne, vale adire con l’inconscio degli altri individui, ma le relazioni chel’inconscio potrebbe intrattenere con l’intera realtà esterna,inclusi gli oggetti materiali e gli accadimenti concreti.

Riguardo a entrambi questi temi l’articolo di Hollòs pro-pone una spiegazione precisa, estrapolandola da un nutritoelenco di esempi clinici. L’autore rileva che i contenuti rimos-si del paziente sembrano riemergere, in seduta, nelle libereassociazioni che in quel momento occupano la mente dell’a-nalista. La sola spiegazione possibile, negli esempi da luiesaminati, sembra perciò appunto l’inconsapevole trasmissio-ne dei contenuti per via telepatica, dall’inconscio del pazienteall’inconscio dell’analista, del quale ultimo, poi, i contenutiraggiungerebbero la coscienza tramite il canale preconscioche genera le libere associazioni. Hollòs inoltre, in ciò diffe-renziandosi nettamente da Freud, considera anche la possibi-lità inversa, vale a dire il possibile affiorare, nelle libere asso-ciazioni del paziente, di contenuti rimossi dell’analista.

Riguardo invece al vero e proprio meccanismo di unasimile comunicazione telepatica, la spiegazione che Hollòspropone si appoggia a una sorta di metafora neurologica.Egli accenna a un’ipotetica «conduzione» di impulsi tra ilsistema nervoso del paziente e il sistema nervoso dell’anali-sta. In sostanza, la sua è una variante, più dettagliata e ardita,di quel «dialogo degli inconsci» di cui già parlava, più d’o-gni altro psicoanalista, il collega e amico Ferenczi, anch’egliungherese. Infatti quest’ultimo, sia pure non riferendosi aifenomeni telepatici, scriveva che «…gli inconsci di due per-sone si capiscono e si lasciano capire reciprocamente afondo, senza che la coscienza di entrambi ne abbia sentore»(Ferenczi, 1915, p. 151).

Ma volendo aggiornare e migliorare l’ipotesi di Hollòs,sorge spontaneo chiedersi con quale esatto meccanismo, ineffetti, potrebbe avvenire il «dialogo tra inconsci». Soprattutto,va da sé domandarsi se l’ipotetico «passaggio» di contenutipsichici da una mente all’altra potrebbe verificarsi soltantoattraverso una supposta via telepatica. Ma anche qualora l’ipo-tesi di questa via fosse la più accettabile, rimarrebbe poi inevi-tabile interrogarsi più a fondo sull’eventuale meccanismo del-l’ipotetica via telepatica. Infatti la spiegazione fornita da Hol-lòs, relativa a una «conduzione» di impulsi, tra un individuo el’altro, per il tramite del rispettivo sistema nervoso, sembrasemplicemente sostituire alla parola «inconscio» la parola«sistema nervoso», lasciando in realtà irrisolto il problema.

In effetti se questo, più in generale, non è altro che il temadell’empatia (Einfühlung) – il «sentire-con» il paziente, l’im-medesimarsi in lui – è però qui interrogato l’esatto meccani-

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smo di questo «sentire» gli altri. La vera domanda, insomma,riguarda la natura della mente e dei rapporti tra menti. D’al-tronde, la stessa definizione classica del termine «telepatia»solleva apertamente la questione. Si consideri infatti che in unrecente e aggiornato manuale la definizione suona comesegue: «Telepatia: Comparsa simultanea di un identico pen-siero (contenuto psichico) nella mente di due o più individuidistanti e non esposti a un medesimo stimolo sensoriale»(Biondi, 2004, p. 137 – il corsivo è mio).

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Tentando una schematizzazione, si può dunque dire che suquesto argomento le posizioni psicoanalitiche si suddividonoin due grandi orientamenti. Un primo orientamento è esempli-ficato dall’articolo che Paul Schilder scrisse in risposta alletesi di Hollòs. Secondo Schilder, «…anche qualora l’analistaparli molto poco, egli, nondimeno, ha modi caratteristici diespressione e di pensiero; questi vengono percepiti dagli ana-lizzandi nel [loro] sistema Inconscio, per lo più tramite identi-ficazione» (Schilder, 1934, p. 224). In altre parole, questoorientamento ritiene che tra gli esseri umani la cosiddettacomunicazione non-verbale, complessa e incessante sebbeneabitualmente inosservata e inconscia, sia responsabile di unoscambio di informazioni ben maggiore di quanto comune-mente viene supposto. Pertanto, il cosiddetto «contagio emoti-vo» tra persone (Hatfield et al., 1994) non deriverebbe da tra-smissioni «telepatiche», vale a dire dal passaggio di contenutipsichici da una mente all’altra attraverso canali diversi daquelli sensoriali, bensì da una comunicazione mediata propriodai canali sensoriali, sebbene su un piano non-verbale e incon-scio. Da questo punto di vista la moderna etologia, per esem-pio, e soprattutto la cosiddetta «etologia umana», ha molto dainsegnare (Eibl-Eibesfeldt, 1984).

Il secondo orientamento ritiene invece che la comunica-zione tra menti si svolga su un ipotetico piano non sensoriale.Ma in questo caso le teorie psicoanalitiche si dividono in duegruppi. Da un lato, alcune suggeriscono che specifiche funzio-ni non sensoriali, prima fra tutte l’intuizione, siano abbinate aicanali sensoriali, potendo perciò recepire, pur sempre per viasensoriale, anche ciò che tuttavia non è affatto sensoriale. Sitratterebbe pertanto di un «sentire» che pur mediato dalla sen-sorialità travalicherebbe di gran lunga quest’ultima, essendolegato a una sorta di facoltà intuitiva inconscia. In sostanza,alla sensorialità fisica sarebbe sempre inconsapevolmenteaffiancata una funzione cognitiva di tipo intuitivo ed emotivo.

Rientra allora in questo ambito, per esempio, la teoria klei-niana dell’«identificazione proiettiva» (e non è certo un casoche la Klein abbia effettuato la propria prima analisi personalecon Ferenczi). Secondo questa teoria, un contenuto inconsciodel paziente, un contenuto di per sé non-sensoriale, può essere«inviato» all’analista, e letteralmente «evacuato» in quest’ulti-mo, attraverso gli scambi comunicativi sensoriali, sia verbaliche non-verbali.

A ben vedere, comunque, anche così formulata questa teo-ria, e l’intero gruppo di eventuali altri analoghi modelli, è soloun’amplificazione delle teorie che rientrano nell’orientamentoprecedente, quello preconizzato da Schilder. Si limita infatti aestendere la natura e l’ampiezza delle comunicazioni per via

sensoriale, aggiungendo a queste un sottile e più vasto risvoltodi tipo intuitivo e non-sensoriale.

Ben altro sostiene invece il gruppo di teorie secondo cui lanatura stessa della mente deve essere concepita in terminidiversi da quelli abituali e correnti. La mente stessa, infatti,può essere immaginata come non racchiusa entro i soli confinifisici del corpo, oppure come connessa con i processi organicie corporei in grado tale da porsi in continuità con la fisicitàmateriale del mondo esterno. In entrambi questi casi, pertanto,la comunicazione tra menti avverrebbe per via non-sensoriale,tramite una effettiva, sottostante non-separazione tra internoed esterno e tra psiche e materia, inclusa la materia del mondoesterno.

Ecco allora, per esempio, le considerazioni di Bion, secon-do il quale «la nostra pelle è utile come metodo per dire qualisono i limiti della nostra composizione fisica, della nostra ana-tomia e fisiologia. È improbabile [però] che questo costituiscaun’adeguata descrizione dei limiti della nostra mente» (1977,p. 207).

Qui perciò la mente non può più essere identificata con ilsolo corpo, né con la materialità e i confini di quest’ultimo. Diconseguenza, volendo estremizzare, secondo questo modelloè pertanto possibile che le menti «si tocchino» tra loro diretta-mente e concretamente, nel momento stesso in cui invece icorpi, con la propria ingannevole delimitazione, offronoun’ovvia e visibile impressione di separazione e distanza.

Si spiega dunque in questo modo perché, nel caso specifi-co della relazione analitica, in questo caso ispirandosi nonsolo a Bion ma alla fisica quantistica, teorie recenti abbianocreato il concetto di «campo bipersonale»: un inconscio«comune» alle due persone – specificamente il terapeuta e ilpaziente –, nel senso di un unico campo di forze che conter-rebbe l’attività mentale inconscia di entrambi i componentidella coppia. È quanto d’altronde lo stesso Bion afferma inaltra forma, vale a dire quando ipotizza un’area della mente dalui chiamata «protomentale»: un’area unitariamente psichica efisica, e inoltre transindividuale, ossia situata o «espansa» aldi là dei limiti fisici e psichici dell’individualità conscia.

Lungo questa medesima scia è inevitabile menzionareanche la teoria di Matte Blanco (1988). Secondo questo auto-re la realtà, e quindi anche la mente o l’individualità, rivelanouna diversa conformazione a seconda della logica che l’os-servatore adotta. Così, se «guardata» con gli occhi della logi-ca della coscienza, basata sul principio di non-contraddizio-ne, la mente appare interna all’individuo e distinta dal corpo,ma se «guardata» con gli occhi della logica non-aristotelica,la logica dell’inconscio, la mente potrà apparire come estesaall’esterno dell’individuo e addirittura coincidente con lamateria e con il corpo.

Anche Lacan, a sua volta, sia pure limitandosi a spuntipiù occasionali e meno dettagliati, sostiene che ogni signifi-cante – sia esso un sogno, il racconto di un sogno, un gesto,un suono, un silenzio e via dicendo – è di per sé il sapere del-l’inconscio. Ecco perciò che il significante, così inteso,«…rimbalza da un soggetto all’altro al punto che la sequenzadelle ripetizioni, la catena dei significanti, ossia la girandoladegli elementi già ripetuti o da ripetere… non appartiene anessuno in particolare. Non c’è struttura a sé, né c’è incon-scio a sé» (Nasio, 1992, p. 27).

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FARE PSICOLOGIA

Come conseguenza immediata e cruciale, questi orienta-menti concettuali implicano dunque che la tecnica psicotera-peutica si allarghi a una lettura attenta dell’intera realtà del-l’incontro analitico: la realtà materiale della stanza, gli accadi-menti concreti che si verificano nell’ambiente durante la sedu-ta, e via dicendo. E tutto ciò, in conclusione, è ancora più evi-dente qualora si consideri un’ulteriore teoria appartenente infondo, nonostante le sue assolute peculiarità, al medesimofilone di pensiero: la teoria della «sincronicità» proposta daJung (1951, 1952).

Quest’ultimo infatti sostiene che l’archetipo, quale forzagenerativa che orienterebbe la psiche dalle profondità dell’in-conscio, ha una natura «psicoide», ossia psicofisica, e che per-ciò sarebbe in grado di imprimere significato psicologico aelementi e accadimenti materiali, anche qui travalicando lecomuni delimitazioni tra mente e corpo e tra interno ed ester-no. L’innovazione introdotta da questa teoria è però appuntol’attenzione al «significato»: un avvenimento interno (peresempio un pensiero dell’analista) può rivelarsi connesso a unavvenimento esterno (per esempio un gesto o una frase delpaziente) da uno stesso significato affettivo. Il significatoaffettivo sarebbe di origine archetipica e perciò deriverebbedall’inconscio «psicoide», capace, in quanto tale, di creare unreale, psicofisico contatto tra analista e paziente, scavalcandocosì la delimitazione e la separatezza tra i loro corpi fisici.

In questo senso, e più in generale, quando tra due eventinon sembra poter esistere un rapporto di causa ed effetto,eppure essi appaiono collegati in maniera «significativa» e noncasuale, il legame sarebbe stato indotto e creato dal significatostesso, il quale quindi avrebbe agito – se è accettabile un ossi-moro – come una sorta di «causa acausale». In pratica il signi-ficato, tramite il livello psicofisico o «psicoide» da cui derive-rebbe, sarebbe in grado di influenzare la materia esterna, e per-ciò – si potrebbe aggiungere – potrebbe influenzare eventual-mente anche l’inconscio psicofisico di un altro individuo.

Si può infine notare che proprio entro l’ottica di quest’ulti-ma teoria, la teoria junghiana della sincronicità, potrebbe rien-trare più specificamente, sia pure con la sua veste semplicisti-ca, l’ipotesi formulata da Hollòs riguardo a una «conduzione»di impulsi, tra due individui, da un sistema nervoso all’altro.

*

Come già detto, l’evidente complessità di questi modelli nonpuò essere qui riassunta, ma soltanto accennata. E se essisono, comunque, nient’altro che modelli, il loro scopo restatuttavia rendere ragione di fenomeni clinici e umani che sipropongono comunemente all’attenzione, sebbene soltantocome coincidenze «insolite» e inspiegabilmente non casuali.

È vero tuttavia, proprio da un punto di vista psicoanalitico,che queste speculazioni, questi modelli, potrebbero anchederivare soltanto da un desiderio fusionale non risolto, da unbisogno di appagare bisogni simbiotici e di alleviare, in que-sto modo, il sentimento di finitezza e di solitudine a cui tuttisiamo sottoposti. Il confronto con l’irrimediabile alterità dicoloro che incontriamo, e con l’alterità del mondo e deglieventi, è anche il confronto con l’estraneità di ciascuno rispet-to a se stesso, con l’ignoto, la precarietà e l’impotenza cheabitano in fondo il proprio stesso esistere. Le suddette teorie

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potrebbero allora esprimere soltanto l’inconscio bisogno dinegare e compensare questa costitutiva ferita narcisistica. Èaltrettanto vero, come sottolinea Hollòs, che queste variegateipotesi teoriche potrebbero anche provenire dal riemergereinconscio di un bisogno infantile di «meraviglioso».

Io però credo che l’interesse per questi temi sia mosso, neicasi migliori, dalla constatazione dell’effettiva complessitàdell’identità umana e delle relazioni interpersonali che con-corrono a formarla. E che questo interesse derivi anche dallareale sensazione che pur restando inevitabilmente confinati,noi tutti, nella caducità e nell’isolamento della propria mente,questa sia però in costante e vertiginoso interscambio con lementi altrui, effettivamente inserita in «atmosfere emotive»appartenenti a contesti più ampi, quali la propria famiglia, lapropria città, il proprio gruppo etnico-sociale, fino all’interomomento storico e culturale.

Tuttavia non penso che quest’area di studi debba necessa-riamente condurre a una qualche «teoria» certa e definitiva.Deve piuttosto stimolare a osservare se stessi, e il mondo checi circonda, con mente aperta anche a una logica diversa daquella razionale, basata – direbbe Matte Blanco – sul princi-pio di non-contraddizione. Se poi ciò servisse anche soltanto asentirsi responsabili, nel nostro essere profondo e nell’agirequotidiano, di un’«atmosfera emotiva» che potrebbe ripercuo-tersi, a propria insaputa, su altri a noi vicini o a noi lontani,questo sarebbe già un risultato enorme. Perché il tema della«telepatia», dopo tutto, se sfrondato dall’alone di magia o dimeraviglioso che lo riveste, diventa una radicale interrogazio-

ne sul principio della responsabilità individuale. O meglio, sulprincipio dell’apporto che l’individuo può dare a tutto ciò chedi transindividuale e di irrimediabilmente ignoto lo attraversae lo trascina, attraversando e trascinando, insieme a lui, anchegli altri.

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Torino, Loescher, 1981.BIONDI M., La ricerca psichica. Fatti ed evidenze degli studi parapsicologici,

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concerning I. Hollòs’article, «Imago», 20, 1934, pp. 219-224 (anche in:Devereux, op. cit.).

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FARE PSICOLOGIA

L’esperienza clinica che mi accingo a descrivere, avve-nuta presso l’Unità di Psichiatria (SPDC) di Agrigentodove lavoro in qualità di Dirigente Psicologo, mette

in evidenza alcuni interessanti aspetti psicopatologici della per-sona immigrata.

Il caso di T.R., infatti, mi ha permesso di conoscere più afondo una grave condizione psicopatologica determinata dal-l’evento migratorio vissuto come trauma.

T.R. è stato ricoverato nel SPDC tra l’agosto e il settembredel 2004, ma è stato difficoltoso poter raccogliere i suoi datianagrafici, clinici e le notizie sul suo contesto di vita. Di certo,evidenziava in maniera esponenziale e amplificata i problemi egli aspetti psicologici di un giovane migrante.

Era sbarcato a Lampedusa da uno dei famosi barconi della«speranza»; sbarchi di immigrati che già da parecchi anni, so-prattutto nei mesi estivi, fanno cronaca per le condizioni spes-so drammatiche in cui avvengono. Gli immigrati sono accoltidapprima nel sovraffollato Centro di Accoglienza dell’isola, poiportati in nave a Porto Empedocle per essere sottoposti ai con-trolli delle forze dell’ordine di Agrigento; infine sono smistatiin altri Centri di Accoglienza, o rimpatriati.

NOTIZIE ANAMNESTICHE SUL CASO

Le notizie anamnestiche su T.R. sono apparse, fin da subito, scar-ne e povere di informazioni.

T.R. è un giovane eritreo di 24 anni, celibe, che, giunto aPorto Empedocle è stato urgentemente ricoverato pressol’Unità Operativa di Medicina dell’Azienda Ospedaliera «S.Giovanni di Dio» di Agrigento per malnutrizione, dimagri-mento, disidratazione e attacchi di panico. Fu chiesta anche laconsulenza degli operatori dell’Unità di Psichiatria (S.P.D.C.), al-locata nello stesso Ospedale, poiché T.R. evidenziava restrin-gimento del campo di coscienza e un comportamento bizzarrocaratterizzato da immobilità o da movimenti afinalistici. Inoltrenon parlava e perciò è stato considerato sordomuto, o disfoni-co (infatti fu richiesta visita ORL). Si stava via via creano l’idea,la sensazione, l’immagine che T.R. fosse un paziente irrecupe-rabile.

Viste la particolare condizione sintomatologica e la diffici-le gestione del paziente nel reparto di Medicina fu deciso il suotrasferimento presso il SPDC. Il ricovero è durato 45 giorni e, du-rante questo periodo, c’è stata anche l’attivazione dei ServiziSociali dell’Azienda Ospedaliera e del Comune di Agrigento

per stabilire il luogo che lo avrebbe ospitato dopo le dimissio-ni. Infatti T.R. non poteva essere ospitato presso il locale Centrodi Accoglienza perché non era considerato clandestino, ma ri-fugiato politico.

A partire dalle scarne notizie si ricostruirà, infatti, che il mo-tivo della migrazione di T.R. era dovuta al fatto di essere statorenitente al servizio militare eritreo, di essere fuggito per evi-tare la guerra come altri giovani eritrei suoi coetanei. La guer-ra tra Eritrea ed Etiopia, scoppiata nel 1998 per il controllodelle terre a Sud comprese tra i fiumi Tacazzé e Mareb, è unconflitto sulla delimitazione di un confine e non una guerra et-nica, religiosa, tribale o causata da uno scontro di potere. Pertale motivo i villaggi sono rastrellati alla ricerca di giovaniche non abbiano assolto agli obblighi di leva e gli studenti so-no bloccati dalla coscrizione obbligatoria. C’è molto mal-contento, e chi può fugge perché il rischio più grande per igiovani soldati eritrei non è il nemico etiopico, quanto glistenti e le malattie che hanno decimato la gioventù di questopaese.

QUADRO CLINICO E SINTOMATOLOGIA

Visti la difficile condizione psico-fisica di T.R. e, soprattutto, ilfatto che non parlava, ho inizialmente osservato con attenzionei segni clinici e i suoi comportamenti. Evidente appariva il di-magrimento, la disidratazione, il blocco psicomotorio (stavaore sdraiato per terra o fermo in una posizione), il restringi-mento del campo di coscienza. L’espressione del volto era per-plessa, sofferente e triste.

Il quadro clinico, in base ai parametri dell’ICD 10, eviden-ziava quindi una reazione psicogena acuta da stress grave, de-terminata dallo shock subito dall’evento migratorio (e quindidallo shock culturale) con manifestazioni di:– stupor, caratterizzato da grave rallentamento psicomotorio

e mimico-gestuale, scarso contatto visivo, mutismo senzadiretta risposta agli stimoli. Non comunicava neanche conil non verbale. Permaneva, tuttavia, il riflesso di orienta-mento e con gli occhi seguiva le modificazioni oggettualidell’ambiente;

– catatonismo con assunzione di posture bizzarre;– negativismo e disbulia: compiva azioni motorie di signifi-

cato opposto od opponeva resistenza alle istruzioni (peresempio, se messo a letto si buttava subito per terra);

– stereotipie afinalistiche ed ecoprassia, con imitazione ripe-

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FARE PSICOLOGIA

Evento migratorioe reazione psicogena acuta

Il caso di un rifugiato politico eritreo

FILIPPO SCIACCADirigente Psicologo SPDC di Agrigento

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titiva dei movimenti (per esempio, camminava seguendo oaffiancandosi agli operatori).La psicologia culturale e la letteratura transculturale indivi-

duano l’incidenza dei problemi della migrazione, quali traumi,chock culturale, vissuti di sradicamento, distacco dalla famigliae dal mondo degli affetti. La migrazione è un cambiamento co-sì profondo che può produrre molta sofferenza sulla psiche del-la persona, sul suo funzionamento, tanto più se la migrazione èstata forzata o ambivalente.

La migrazione allora diventa un trauma che genera stresspsichico, sentimenti di impotenza, perdita dell’autostima, emo-zioni intense e spesso congelate, che emergono, dissociate dal-la parola, sotto forma di sensazioni somatiche e reazioni com-portamentali. Beneduce descrive bene in alcuni suoi scritti leconseguenze psichiche e sociali della guerra1. Esiste, infatti, unlegame tra guerra, migrazione, disagio psichico e manifestazio-ni psicopatologiche. La migrazione rappresenta un’esperienzatraumatica e di crisi.

INTERAZIONI OPERATORI-PAZIENTE

Vista la particolare condizione psicopatologica e le difficoltà dicomunicazione, inizialmente gli operatori del reparto si sonoadoperati per cercare di stabilire con T.R. un minimo contatto,anche attraverso il non verbale, al fine di renderlo più collabo-rativo. Successivamente sono stati invitati come mediatoridue connazionali eritrei che parlavano la stessa lingua: soprat-tutto un giovane, chiamato Michele, che risiedeva da tempo adAgrigento e una ragazza che veniva in reparto saltuariamente.Anche con loro T.R. non sembrava mostrare ascolto e non ma-nifestava feedback alle loro domande e ai loro discorsi. Sirinforzava in tutti gli operatori, dunque, l’idea che T.R. fossesordomuto.

Credo che gli sforzi effettuati per interagire con T.R. hannofatto emergere e riconoscere in tutti gli operatori la complessitàdel fenomeno e la necessaria sensibilità nel sapere stimolare eaiutare. Soprattutto con gli stranieri profughi questa sensibilitàdeve essere particolarmente vigile, e quando non siamo in gradodi aiutarli dobbiamo chiaramente riflettere su questa inadegua-tezza e assumere una posizione attiva nella ricerca di alternative.

Il caso di T.R. è stato affrontato nelle discussioni di équipe.Veniva inoltre somministrata terapia psicofarmacologica. Nellamia interazione con T.R. ho mantenuto un atteggiamento di ac-coglienza, di pazienza, ma nel contempo di stimolo attraversola gestualità, lo sguardo e il sorriso. Ho utilizzato in modo mas-siccio la comunicazione non verbale. Gradualmente egli, a par-tire dai suoi movimenti e comportamenti mimetici (seguirmimentre camminavo, entrare nella mia stanza, sedersi, ecc.), hamanifestato più collaboratività.

Posso affermare che per strutturare strategie di intervento inquesta situazione di interazione transculturale non si possonoapplicare delle soluzioni precostituite ed è necessario uscire da-gli schemi operativi consueti.

INTERVENTI EFFETTUATI E RISULTATI OTTENUTI

La progressiva e maggiore disponibilità a collaborare di T.R. miha permesso di fare alcuni iniziali tentativi di interazione conl’uso della penna, o matita, e dei fogli.

Usando la scrittura ho provato a fargli brevi domande in lin-gua inglese per verificare se la conoscesse. Con mia sorpresa,afferrando a stento la penna, T.R. iniziò a scrivermi le rispostein inglese. Solo molto tempo dopo mi fu anche possibile farlodisegnare (disegno della casa, dell’albero, ecc.).

Tramite questo intervento ho potuto finalmente raccoglierele notizie anamnestiche mancanti.

Innanzitutto T.R. non sapeva dove si trovasse, cioè inItalia. Ha iniziato a scrivere la sua età e di essere nato nel vil-laggio di Sesewe. Aggiungo che in Eritrea il fenomeno del-l’urbanizzazione è modesto, rimanendo il villaggio un’unità so-ciale molto vivace. È di religione cristiano-copta. I suoi genitorisono viventi e risiedono a Sesewe. Ha 3 fratelli (di cui due mag-giori) e 2 sorelle, e alcuni di loro vivono in un altro villaggio dimontagna, Segheneiti a Sud-Est di Asmara, dove T.R. ha fre-quentato la scuola secondaria. Gli piace studiare e mi ha rispo-sto che le sue materie preferite sono soprattutto la matematica,poi la chimica, la storia e la geografia.

Dal modo in cui mi forniva le informazioni e dai contenutiespressi ho potuto costatare che le sue funzioni cognitive ap-parivano integre. Ha ringraziato i dottori, affermando che nonavrebbe mai dimenticato il loro aiuto: «Dio è il creatore delmondo e al secondo posto ci sono i dottori».

Scriveva sempre più spesso del suo corpo e della sua salu-te, che sentiva progressivamente migliorare. Alla domanda suquali fossero i suoi problemi riferiva di non stare bene econo-micamente e di avere necessità di soldi, di essere renitente alservizio militare eritreo. Aggiungeva di avere degli amici aGenova.

Ma alle domande che gli ponevo sui suoi problemi, sullesue emozioni, sui suoi pensieri, manifestava difficoltà a ri-spondere. Come se non riuscisse a identificare bene o a rap-presentare la propria sfera psichica e il pensiero. A ogni miotentativo di approfondimento degli aspetti psichici mi rispon-deva laconicamente che, adesso, la sua testa era libera. Con piùfacilità, invece, parlava del suo corpo: «Tutto il mio corpo stamigliorando». Oppure mi rispondeva alle domande sui piatti ti-pici eritrei o sui suoi sport preferiti: volley e calcio.

Progressivamente T.R. ha cominciato, finalmente, a usa-re la voce, parlando dapprima in inglese e poi, con i suoiamici mediatori, nella sua lingua. La presenza confortante didue connazionali che fungevano da mediatori ha favorito ilsuperamento del trauma migratorio. Essi gli hanno dato sup-porto e rassicurazione, riducendo il sentimento di estraneitàe permettendo l’espressione verbalizzata di bisogni, paure edubbi.

Ma nel contempo, questo suo progressivo miglioramento,ha aiutato gli operatori a modificare l’idea, la sensazione e l’im-magine di non recuperabilità che si era già costruita intorno aT.R. Dopo la dimissione è stato in grado di raggiungere i suoiamici di Genova, in precedenza contattati dal Servizio Sociale,che sono stati disponibili a ospitarlo.

I risultati ottenuti hanno mostrato l’efficacia della correttapresa in carico dell’alterità culturale, attraverso un atteggia-mento capace di entrare in contatto con le manifestazioni psi-copatologiche, anche quelle considerate più difficili.

Un’ulteriore considerazione, in conclusione, va fatta suquesto caso. E cioè che le risposte fornite da T.R. hanno fattoemergere, al di là dei risultati ottenuti dagli interventi, un altro

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FARE PSICOLOGIA

dato interessante: la difficoltà che egli aveva a rappresentarsi edescrivere la propria vita psichica e la tendenza a esperire e acomunicare la sofferenza nella forma di sintomi somatici e aparlarne soltanto in tal senso.

Questa difficoltà poteva giustificare la forma tutta non-ver-bale e analogica con cui il suo disagio si estrinsecava, la sceltadi una via somatica, di un «linguaggio del corpo»?

Mi sono posto la questione se questa difficoltà, oltre ad es-sere stata determinata dalla condizione psicopatologica da luivissuta e dal lento recupero delle sue capacità, potesse essereconnessa a una particolare concezione culturale di rappresen-tare la vita psichica, la salute e la malattia. Era come se T.R.,pur avendo studiato e individuando nella testa e nel cervello lasede dei processi mentali, non sapesse esprimere e definire conchiarezza i contenuti psichici; il suo vissuto non era messo afuoco e riconosciuto, ma rimaneva vago e nebuloso. Le mani-festazioni della sua vita psichica non potevano altrimenti esse-re espresse e spiegate se non attraverso il filtro del corpo e lasofferenza somatica.

Tale difficoltà di riconoscere ed esprimere verbalmente lasofferenza interna è segno caratteristico dell’alessitimia, che si-gnifica letteralmente «affetto senza parole» (dal greco a-,lexis- [discorso, parola], thymòs [affetto, emozione]) e definiscepropriamente l’incapacità di comunicare verbalmente le emo-zioni. Nella definizione di Sifneos, introdotta per la prima vol-ta nel 1972, l’alessitimia è un disturbo affettivo-cognitivo chedescrive alcune caratteristiche dei pazienti psicosomatici, mache oggi si ritiene essere una caratteristica di molte patologiepsichiche. Si tratta di una dimensione psicopatologica trans-no-sografica, ma che trova il suo ancoraggio nella fase pre-verba-le dello sviluppo psico-affettivo dell’infans, corrispondente auna modalità di funzionamento psichico sia regressivo sia co-stituzionale che determina il blocco degli affetti in caso di si-tuazioni traumatiche.

In essa si colgono quattro caratteristiche fondamentali: in-capacità a identificare e verbalizzare le emozioni e i senti-menti, limitazione dell’attività immaginaria, «pensiero con-creto» con scarsa elaborazione dei vissuti, ricorso all’azione oalla somatizzazione per evitare i conflitti o per esprimere leemozioni.

L’alessitimia può essere primaria oppure secondaria, do-vuta a stress (è presente, infatti, nei disturbi post-traumatici dastress), età o cultura. In quest’ultimo caso – dovuto a fattoriculturali – il problema non risiede tanto nella mancanza diespressione delle emozioni e dei vissuti, ma nella scarsa di-stinzione, nelle culture non occidentali, della sfera affettiva daquella somatica.

Presso le culture tradizionali la salute consiste di una com-ponente fisica e di una componente emozionale che sono soloin parte differenziate, e più la cultura è tradizionale, minore è ladistinzione fra malattia fisica e disturbo psicologico. In occi-dente questa concezione è stata progressivamente soppiantatada un netto dualismo mente-corpo attribuendo un significato disalute e benessere all’espressione individuale e verbalizzata deivissuti psichici2. La persona non solo dovrebbe essere capace diparlare delle proprie emozioni ma dovrebbe saper utilizzare unidioma relativo al conflitto intrapsichico o interpersonale peresprimere la propria sofferenza. La riluttanza a comportarsi inquesto modo deve essere interpretata come un deficit psicolo-

gico, l’alessitimia, caratterizzato da un’incapacità a mentaliz-zare e a esprimere simbolicamente le emozioni; somatizzazio-ni e alessitimia sono considerate espressioni patologiche oquantomeno poco evolute.

Gli studi transculturali, invece, evidenziano le profondedifferenze che esistono nell’esperienza e nell’espressionedegli affetti, soprattutto nell’espressione corporea della sof-ferenza, che minimizza le componenti psichiche ed emotive.In culture ove verbalizzare le emozioni negative è consideratodisdicevole, espressione di individualismo inaccettabile, o stig-matizzato, l’espressione della sofferenza attraverso il corpo di-viene l’unico mezzo comunicativo possibile, utilizzando pe-raltro dei meccanismi connaturati alla nostra specie.

I risultati di una recente ricerca condotta da Dion (1996) suun campione di 950 studenti di entrambi i sessi, distinti per et-nia, mostrano che i segni specifici dell’alessitimia sono signi-ficativamente maggiori nel gruppo di studenti non occidentali.

Già nel 1963 gli psicoanalisti francesi Marty e M’Uzan ave-vano sottolineato l’importanza dell’uso del concetto di «pen-siero concreto» (pensée operatoire) per designare un tipo difunzionamento mentale che non appartiene esclusivamente aipazienti psicosomatici, ma che è connaturato nell’uomo.

Nella maggior parte delle persone tale «pensiero concreto»o «alessitimico» non sarebbe il risultato di resistenze, ma si trat-terebbe di un pensiero cosciente, che tenderebbe verso un de-ficit della capacità simbolica, che non si rappresenta un legameevidente tra il dato somatico e l’attività fantasmatica.

NOTE1. Vedi in particolare R. Beneduce, Bambini fra Guerra e Pace: il caso diEritrea ed Etiopia. Uno studio sui bambini che hanno bisogno di particola-ri misure di protezione, Firenze, ICDC-UNICEF e Cooperazione Italiana, 1999,pp. 1-45.2. Preciso, tuttavia, che fin dalle origini greche della nostra cultura il rappor-to psiche/soma era rappresentato anche in modo indistinto e olistico, comeper esempio nei poemi omerici, nella scuola medica di Ippocrate, nelle con-cezioni filosofiche di Democrito, di Epicuro e poi di Lucrezio in cui la psicheè fortemente connessa al corpo, nella concezione fisica della psiche diAristotele. Tali rappresentazioni della vita psichica erano in contrasto – sem-pre in ambiente greco-romano – con la visione dualistica di Pitagora, diEmpedocle, di Platone e, più in là, del cristianesimo.

BIBLIOGRAFIAAGUGLIA E., FORTI B., Le dimensioni della sofferenza psichica, Articolo trat-

to da Internet.BENEDICE R., Bambini fra Guerra e Pace: il caso di Eritrea ed Etiopia. Uno

studio sui bambini che hanno bisogno di particolari misure di protezio-ne, Firenze, ICDC-UNICEF e Cooperazione Italiana, 1999.(a cura di), Mente, persona, cultura. Materiali di etnopsicologia, Torino,l’Harmattan Italia, 1999.

DION K.L., Ethnolinguistic correlates of alexithymia: Toward a cultural per-spective, «Journal of Psychosomatic Research», 41(6), 1996, pp. 531-539.

MARTY P., M’UZAN M., La pensée opératoire, «Revue Française dePsychanalyse», 27(suppl), 1963, pp. 1345-1356.

MELLINA S., Psicopatologia dei migranti, Roma, Lombardo Editore, 1992. Vite altrove. Migrazione e disagio psichico. Etnopsichiatria e migrazio-ni in Italia, Milano, Feltrinelli, 2000.

NATHAN T., Principi di etnopsicoanalisi, Torino, Bollati Boringhieri, 1996.SIFNEOS F.E., The prevalence of «alexithimic» characteristics in psychoso-

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Prefazione all’edizione italianadi Carole Beebe Tarantelli

Dopo la promulgazione, in Ger-mania occidentale, delle leggi

d’indennizzo per risarcire le vittimedel regime nazista per gli effettipermanenti delle persecuzioni subi-te, si riunì negli Stati Uniti un grup-po di psichiatri e psicoanalisti (alcu-ni dei quali sopravvissuti essi stessiai campi di sterminio) per tentare didare una formulazione teorica a ciòdi cui erano stati testimoni nellemigliaia di interviste condotte conle vittime. L’orrore dei racconti sullasopravvivenza nei ghetti e neicampi di sterminio della Germanianazista erano indescrivibili, come loerano i postumi sintomatici presen-tati dai pazienti vent’anni dopo laloro liberazione. Gli studiosi hannoper di più scoperto che le reazionitraumatiche delle vittime dei nazistierano dello stesso ordine di quelleosservate da Robert Lifton (1968)studiando i sopravvissuti allabomba atomica di Hiroshima. Inaltre parole, hanno riscontrato che il trauma psichico massiccioaveva come risultato dei postumi sintomatici riconoscibili che,nonostante l’attenzione prestata dopo la prima guerra mondia-le alle nevrosi traumatiche belliche, non erano stati ancora stu-diati adeguatamente come fenomeno a sé stante. Dai loro sfor-zi nacque un libro, Massive Psychic Trauma (1968), curato daHenry Krystal.

Gli autori hanno constatato che le teorie psicoanalitiche deltrauma erano inadeguate, sia a livello fenomenologico chemetapsicologico, a spiegare le reazioni che avevano riscontrato,e che, se la teoria doveva dare ragione dell’esperienza vissuta sulpalcoscenico della storia, l’effetto sulla mente del trauma cata-strofico doveva essere riesaminato. Segnalando l’inadeguatezzadelle interpretazioni contemporanee del trauma, seguivanoAnna Freud (1967), la quale temeva che il termine venisseimpiegato in un senso così impreciso da rischiare di diventareconfuso e quindi inutile. Gli psicoanalisti tendevano infatti adesignare come traumatica ogni esperienza patogena, persinoquella meramente conturbante. Perché per esempio, si chiedevaKrystal, Masud Khan (1974) parla di «trauma cumulativo» e nondi sovrapposizione di esperienze patogene? Il risultato dell’im-precisione terminologica e concettuale era che le esperienzeestreme non avevano alcuna specificità, diventando così invisi-

bili e quindi inaccessibili al pensierometapsicologico e clinico. AnnaFreud aveva proposto una definizio-ne che distingueva il trauma insenso stretto da altri tipi di espe-rienza, per quanto dolorosi fossero, eche era il punto di partenza per unriesame del trauma. «Penso che l’e-pisodio sia stato perturbante? Chesia stato importante nell’alterare ilcorso dello sviluppo successivo? Chesia stato patogeno? Oppure intendotraumatico nel senso stretto del ter-mine, cioè sconvolgente, distruttivo,causa di disgregazione interna peravere interrotto il funzionamentodell’Io e la sua mediazione?»([1964]; 1979, p. 729). Era evidenteche un riesame era essenziale poi-ché, se gli psicoanalisti dovevanoessere in grado di trattare gli effettisulla mente umana delle esperienzeestreme, era essenziale capirli. L’im-plicita speranza era inoltre che, sel’effetto di eventi così estremi e

massicci come i campi di sterminio nazisti e la bomba atomicafossero stati studiati utilizzando un rigoroso livello intellettualee fenomenologico, sarebbe stata anche la premessa per potersiimpegnare su tipi più comuni di esperienze traumatiche, quali laviolenza sessuale, i maltrattamenti, le aggressioni, ecc.

Il problema concettuale con cui si sono scontrati Krystal egli altri psicoanalisti che hanno scritto Massive Psychic Traumaera lo stesso nel quale s’imbatté Freud una volta abbandonatala teoria della seduzione (la teoria della situazione intollerabi-le) a favore del ruolo della fantasia nella vita psichica (la teoriadegli impulsi inaccettabili), cosicché l’idea dell’origine trauma-tica della nevrosi scomparve, almeno per un certo periodo, dalsuo pensiero. Il conflitto tra visione «oggettiva» e «soggettiva»del trauma è intrinseca alla riflessione su di esso. La domandaè: come può la nostra teoria dare ragione degli effetti del «trau-ma esterno» (Freud, 1920) senza tradire la nostra conoscenzadelle dinamiche della patogenesi e il ruolo attivo della mentenel dare forma alla reazione all’esperienza? Se, per esempio, iltrauma psichico fosse semplicemente il risultato di eventiobbiettivamente sconvolgenti, la domanda diventerebbe inevi-tabilmente: come quantificare l’intensità di stimolo necessariaa definire un evento abbastanza sconvolgente da provocare untrauma, che è, forse, una domanda assurda? Per il DSM-III, per

HENRY KRYSTAL

AFFETTO, TRAUMA, ALESSITIMIACon un contributo di John H. Krystal

COLLANA: PSICHE E TRAUMA – ISBN: 978-88-7487-201-5 C 44,00 – FORMATO: 16,5X24 – PAGG. 480

Psiche e trauma

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fare un esempio, il trauma è provocato da «un agente stressan-te riconoscibile che provochi dei sintomi importanti di angosciain quasi tutti» (1982, p. 111), che potrebbe essere classificatauna non-definizione. In una visone puramente esterna del trau-ma, come quella del DSM-III, il ruolo della mente nell’elaborare edare una forma soggettiva alla reazione è praticamente irrile-vante. Esiste d’altro canto un problema reale riguardo al fattose stimoli puramente intrapsichici, per quanto raccapricciantiper l’Io, siano in realtà paragonabili agli effetti di uno stimoloesterno sconvolgente, come l’essere testimoni della distruzionedi tutta la propria famiglia in un campo di sterminio o l’esseretorturati o stuprati. Da uno dei due punti di vista, l’evento trau-matico è irrilevante e l’impotenza inerme della vittima mera-mente soggettiva. Dall’altro, l’insistenza sull’«agente stressanteoggettivo» si appropria della possibilità di pensare alle sotti-gliezze della risposta soggettiva al trauma.

Freud stesso ha ritenuto necessario reintrodurre l’idea ditrauma, in quanto situazione intollerabile, in Inibizione, sinto-mo e angoscia (1926), in cui riappare la vecchia teoria del-l’impotenza inerme dell’Io e l’origine traumatica delle nevro-si. Negli anni successivi alla pubblicazione di Massive PsychicTrauma, Henry Krystal ha elaborato una teoria della dinamicapsichica del trauma che prende quell’idea come punto di par-tenza.

Krystal ha infatti sviluppato un preciso e sistematicomodello metapsicologico e fenomenologico del trauma cata-strofico che costituisce i capitoli centrali di questo importantelibro. A suo modo di vedere, come è stato per Freud dopo il1926, la chiave della natura traumatica di un evento è l’espe-rienza soggettiva di impotenza inerme o l’incapacità di evitareil pericolo implicito in esso. DesPres, uno studioso dell’Olo-causto, rappresenta con un’immagine il senso di totale inermitàprovocato dalla situazione traumatica: «la prima condizione diun evento estremo è che non c’è via di scampo, nessun postoin cui andare salvo la tomba» (1976, p. 7). Il problema cruciale,per Freud, era stato se «l’impotenza motoria dell’io» – l’incapa-cità di allontanarsi dalla situazione traumatica (per esempiocon la fuga) – diventasse o meno «un’impotenza psichica» (p.168), ovvero l’incapacità di strutturare una difesa che potesseallontanare l’io dalla situazione che minaccia di travolgerlo.Krystal porta il ragionamento di Freud un passo oltre: l’essenzadella situazione traumatica è che il pericolo è soggettivamentericonosciuto come inevitabile e che ci si arrende a esso; ciò pro-voca una condizione di impotenza fisica e psichica. Ne risultache lo stato emotivo della vittima si trasforma da ipervigile eiperattivo (o ansioso, che segnala che la minaccia è stata regi-strata e ci si sta difendendo contro di essa) in uno di bloccoprogressivo delle emozioni accompagnato da un’inibizioneanch’essa progressiva delle sensazioni fisiche e delle funzionimentali fino a raggiungere uno stato catatonico. In altre paro-le, la risposta al trauma catastrofico è una regressione repenti-na, in quanto gli affetti si risomatizzano (o si deverbalizzano).Se la reazione traumatica è provocata dall’esperienza soggetti-va di resa di fronte a un pericolo sopraffacente, il risultato ulti-mo di essa, se non è bloccata, è la morte psicogena. In altreparole, la vittima «cede» completamente e si arrende alla pul-

sione di morte, cosicché non riesce più a contrastare «l’inerziapropria dell’organismo vivente» (Freud, 1920, p. 222).

Che cosa succede, si domanda Krystal, alle persone che siarrendono al pericolo inevitabile, ma non muoiono? Ha con-statato che il sintomo più tenace delle vittime di traumi è unadepressione diffusa, spesso grave, accompagnata da un’ansiaanch’essa persistente e grave, che può portare a un restringi-mento del campo vitale con sintomi di stanchezza, riduzionedella vitalità, anedonia o, nei casi più gravi, con i disturbicognitivi e affettivi dell’alessitimia. La reazione al trauma puòessere considerata un tentativo di regolare la risposta emotivache è la reazione all’evento sopraffacente: la minaccia delritorno di un’angoscia senza limiti può trasformare gli affetti inemergenze, e l’ottunderli nel tentativo di tollerarli può porta-re a un blocco cognitivo e affettivo. Per citare Krystal: «Dopoaver vissuto la morte, nessuna creatura rimarrà più la stessa: ilsenso di sicurezza o persino la fede non saranno mai più com-pletamente recuperati. È come se quest’incontro avesse forni-to uno sfondo oscuro sul quale dipingere il resto della vita» (p.158). Le vittime di un trauma catastrofico possono cioè mani-festare un disturbo affettivo che dura per tutta la vita. Ciò haportato Krystal alla ricerca racchiusa nella prima e terza partedel libro. Al fine di capire il trauma e i disturbi affettivi che pro-voca, infatti, aveva bisogno di una teoria degli affetti validache, com’è noto, è una delle aree più problematiche della teo-ria psicoanalitica. Krystal esamina, nei capitoli di apertura dellibro, l’aspetto motivazionale degli affetti. Sviluppa poi unateoria genetica di essi, tracciandone l’evoluzione dalle emozio-ni indifferenziate (o precursori degli affetti) dell’infanzia attra-verso il complesso processo della strutturazione fisiologica epsicologica che permette una crescente differenziazione e tol-leranza degli affetti fino, e attraverso, l’importantissima faseevolutiva adolescenziale.

Nella parte finale del libro, Krystal riferisce sul suo impor-tantissimo contributo allo studio dell’alessitimia, una sindromein cui le emozioni sono indifferenziate, vaghe, aspecifiche e vis-sute primariamente a livello somatico. Il paziente alessitimicovive gli affetti in modo indifferenziato e non riesce a distingue-re tra stati di stanchezza, tristezza, fame o malattia. Krystal haconstatato che l’alessitimia può derivare da un arresto dellosviluppo genetico dell’affetto e che può inoltre essere uno deiprincipali postumi post-traumatici laddove vi sia stata unaregressione affettiva massiccia. I problemi che spesso accom-pagnano questo disturbo sono l’indebolimento della capacitàdi avere cura di sé e l’anedonia.

Ho insistito sulla visione del trauma psichico massiccio diKrystal e sul disturbo dell’affettività che ne è il principaleeffetto a lungo termine. Proprio riconoscendo e studiando ladevastazione emotiva di chi sia stato gravemente traumatizza-to, si è reso conto che, per guarire dal trauma, le emozioninegative di odio e terrore, che ne sono l’eredità più frequente,devono essere controbilanciate da affetti in uguale misurapositivi. Questo libro non è quindi soltanto un’analisi della resaal trauma e della paralisi emotiva che Krystal considera la suaconseguenza più importante. È anche un libro sull’amore esulla guarigione.

INTRODUZIONE

Questo articolo affronta un campo ancora pocoesplorato finora negli studi sull’acquisizione dellinguaggio nell’infanzia: il contributo degli animali

domestici allo sviluppo linguistico del bambino. Sono chiari i rapporti di familiarità e di intenso affetto che

si instaurano tra bambini e animali, già in età precedente allaproduzione delle prime parole. Le terapie con l’ausilio dianimali domestici (AAT) che rientrano nell’oramai nota PetTherapy4, oggi mirano a un recupero globale in soggetti condiverse patologie (autismo, plurihandicap, ipovedenti e nonvedenti, sindrome di down, epilessia, disturbi d’ansia e di stress,cardiopatie, morbo di Parkinson e Alzheimer, ecc…), mentrenon sono presenti oggi delle terapie mirate esclusivamente alrecupero delle abilità linguistiche negli utenti di queste cure. Sela terapia con gli animali apporta dei benefici a un certo tipo diutenza patologica, ci siamo chiesti se la presenza di unostimolo, quale l’animale, nella vita di bambini sani non possafacilitare il loro sviluppo delle capacità linguistiche.

Abbiamo, perciò, voluto indagare quanto la presenza diquesto «interlocutore» privilegiato, induca il bambino a volercomunicare di più e quindi quale sia l’esito di questamaggiore comunicazione relativamente allo sviluppo dellinguaggio.

I dati raccolti, che si riferiscono essenzialmente al tipo difrasi prodotte dai soggetti, indicano un effetto positivo sull’an-damento dello sviluppo della capacità di produzione di frasi viavia più complesse, come si vedrà più in dettaglio in seguito.

CENNI SULLO SVILUPPO LINGUISTICO DEL BAMBINO

Nel corso degli ultimi decenni abbiamo assistito al modificarsidei paradigmi di riferimento e delle teorie sull’acquisizione dellinguaggio da parte del bambino. Noi crediamo che l’approccioattuale, che definiremmo integrato – quell’approccio, cioè, chetiene conto sia delle abilità specie-specifiche, sia dei prerequisi-ti dello sviluppo organico e dello sviluppo delle abilità cogniti-ve generali, sia del contributo fondamentale dell’ambiente, co-me pure dell’altrettanto essenziale contributo attivo del sogget-to che sta imparando – possa contribuire a far avanzare gli stu-di in questo settore più delle precedenti visioni che tendevano asottolineare il contributo di un solo fattore (Corsetti, 2003).

L’acquisizione del linguaggio nel bambino si presenta comelo snodarsi di una serie di fasi, che si succedono in un determi-nato ordine, condiviso da molti bambini. Al tempo stesso, que-

sto processo è caratterizzato da numerose variazioni individua-li che riguardano non solo i tempi, ma anche i modi e le strate-gie di apprendimento. Tutto questo è ben noto e non necessita diulteriori osservazioni in questo articolo. Basti dire che sono sta-te individuate dagli studiosi del settore una serie di stadi o tap-pe cosiddette «universali» dell’acquisizione del linguaggio chesembrano ritrovarsi in tutti i bambini indipendentemente dallalingua cui sono esposti e che stanno imparando. Non si possonotacere gli studi comparativi, a parere di chi scrive molto fecon-di di risultati, fra l’acquisizione in più lingue (crosslinguistic ininglese) a partire dai lavori di Slobin (1985). Questi studi indi-cano le differenze tra la serie di tappe di acquisizione in dipen-denza delle caratteristiche di funzionamento della lingua in que-stione. In sintesi, le cose più frequenti e più regolari vengonoimparate prima, ma esse non sono le stesse nelle varie lingue.

Intorno ai ventiquattro mesi, variazioni individuali a par-te, generalmente i bambini cominciano a combinare le paro-le in frasi. E questo è, a parere degli studiosi di sviluppo dellinguaggio infantile, un fatto fondamentale. Tuttavia la capa-cità di combinare simboli è strettamente collegata alla quan-tità di vocaboli posseduta: le cento parole sembrano rappre-sentare una «soglia minima» per passare alla frase, ma data lavariabilità individuale, non vi è un numero minimo stabilito diparole per poter determinare la capacità combinatoria delbambino e poi è importante sottolineare lo stile d’acquisizio-ne del bambino che può essere di tipo olistico o analitico5.

Verso i tre anni il bambino costruisce correttamente le fra-si semplici e affermative ed è sempre in questo periodo che ilbambino inizia a usare i pronomi io, tu, egli; si pone dunquein rapporto con l’interlocutore (Francescato, 1970).

Parisi (1977) sostiene che le strutture frasali vengono ac-quisite dal bambino all’incirca alla stessa età, indipendente-mente dall’ambiente socio-culturale in cui cresce. In genere,la lunghezza media delle frasi prodotte da un bambino è con-siderata uno degli indici più importanti e attendibili del suosviluppo linguistico. In pratica, verso i tre-quattro anni moltibambini possiedono le strutture sottostanti a tutte le frasi diuna lingua e la differenza rispetto agli adulti sta eventual-mente nella frequenza d’uso di queste strutture.

LA RICERCA

La ricerca è stata effettuata su un campione di 36 soggetti, sa-ni, tutti figli unici, residenti in provincia di Roma, scelti in ba-se al sesso, all’età anagrafica e al livello socio-culturale.

54

FARE PSICOLOGIA

«Io conto e te ti nascondi!»Conversazioni tra bambini e animali come fattore di sviluppo del linguaggio1

RENATO CORSETTI 2

GIANLUCA PANELLA3

Facoltà di Psicologia 1, Università di Roma «La Sapienza»

Il gruppo sperimentale è formato da 18 soggetti che pos-seggono animali domestici (cani, gatti, criceti, conigli, pape-re, galline, uccellini, ecc…) e il gruppo di controllo da 18 sog-getti senza animali nell’ambiente domestico.

Il gruppo sperimentale è stato suddiviso in 3 gruppi: il primocomprende 6 soggetti di cui 3 maschi e 3 femmine di età com-presa tra i 2 anni e 6 mesi e i 3 anni (età media di 2 anni e 10 me-si), il secondo è composto da 6 soggetti, di cui 3 maschi e 3 fem-mine di età compresa tra i 3 e i 4 anni (età media di 3 anni e 5mesi), e il terzo comprende 6 soggetti di cui 3 maschi e 3 fem-mine di età compresa tra i 4 anni e i 4 anni e 6 mesi (età mediadi 4 anni e 2 mesi). Inoltre ogni gruppo sperimentale è suddivi-so in 2 soggetti (1 maschio, 1 femmina) di livello socio-culturalebasso (B), 2 di livello medio (M) e 2 di livello alto (A).

Il gruppo di controllo è composto con le stesse caratteri-stiche di quello sperimentale.

Nelle tabelle che seguono sono riportate le caratteristichedei 18 soggetti del gruppo sperimentale (sesso, età e livellosocio-culturale: alto, medio, basso) per ogni sottogruppo.

In tabella 1 sono riportate le caratteristiche dei 6 soggettidel Gruppo 1, nella 2 le caratteristiche dei 6 soggetti delGruppo 2, nella 3 quelle dei 6 soggetti del Gruppo 3.

La raccolta dati è stata così svolta: sono stati fatti degli in-contri individuali con i soggetti, della durata di 45 minuti cia-scuno, durante i quali veniva fatta un’audioregistrazione dellinguaggio spontaneo prodotto dal bambino in interazione conil ricercatore e l’animale domestico (quest’ultimo era presen-te nel solo caso del gruppo sperimentale, ovviamente).

In seguito sono state trascritte le registrazioni ed è stata ef-fettuata la categorizzazione degli enunciati (seguendo in lineadi massima la categorizzazione di Taeschner, Volterra, 1986,con adattamenti. Vedi anche Corsetti, 2004). La nostra cate-gorizzazione considera: le parole singole (PS), i sintagmi (SIN),le frasi nucleari complete e incomplete (FNC, FNI), le frasi am-pliate con modificatore e avverbiale e incomplete (FACA,FACM, FAI), le frasi complesse inserite implicite ed esplicite,relative e incomplete (FCII, FCIE, FCR, FCI), le frasi binuclearisubordinate, coordinate e incomplete (FBS, FBC, FBI).

Per ogni soggetto è stata redatta una scheda di analisi conle frequenze e il rispettivo grafico di riferimento concernente

la distribuzione frasale, le frequenze medie di ogni gruppo, einfine i confronti delle frequenze medie tra i vari soggettitraendo delle conclusioni che hanno confermato l’ipotesi dipartenza, ovvero che la presenza di un animale domestico in-fluenza positivamente lo sviluppo linguistico (misurato attra-verso la struttura frasale) dei soggetti nelle varie fasce d’età.

Seguono le tabelle riassuntive dei confronti delle fre-quenze medie di ogni gruppo sperimentale e di controllo (ta-belle 4, 5 e 6).

Dopo aver osservato che la presenza dell’animale dome-stico influenza in maniera positiva lo sviluppo linguistico in

55

FARE PSICOLOGIA

TABELLA 1.SOGGETTO SESSO ETÀ LIVELLO SOCIO-CULTURALE

1 M 2; 11, 28 A2 M 2; 8, 12 M3 M 2; 7, 1 B4 F 2; 4, 13 A5 F 2; 11, 20 M6 F 2; 10, 5 B

TABELLA 2.SOGGETTO SESSO ETÀ LIVELLO SOCIO-CULTURALE

7 M 3; 7, 23 A8 M 3; 4, 6 M9 M 3; 5, 26 B10 F 3; 6, 2 A11 F 3; 4, 15 M12 F 3; 5, 22 B

TABELLA 3.SOGGETTO SESSO ETÀ LIVELLO SOCIO-CULTURALE

13 M 4; 2, 23 A14 M 4; 0, 4 M15 M 4; 0, 20 B16 F 4; 1, 8 A17 F 4; 1, 25 M18 F 4; 3, 10 B

TABELLA 4.GR/TF PS SIN FNI FNC FAI FACA FACM FCI FCII FCIE FCR FBI FBC FBS

G1S 9 12 10 26 9 4 4 12 4 4 4 13 11 10

G1C 18 23 19 16 8 3 3 6 3 3 2 5 4 4Gr = Gruppi; Tf = Tipologia frasale

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obbligatorie)

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tutti e tre i gruppi, si è voluto vedere in quale dei gruppi talepresenza risultasse maggiore.

I confronti effettuati mettono in evidenza una differenzatra gruppi: il primo gruppo sperimentale (età media 2 anni e10 mesi), evidenzia una differenza tra le frequenze medie, conil gruppo di controllo, maggiore rispetto al secondo e al terzogruppo; il secondo gruppo sperimentale (età media 3 anni e 5mesi), evidenzia una differenza tra le frequenze medie, con ilgruppo di controllo, simile al terzo gruppo (età media 4 annie 2 mesi).

La presenza dell’animale, quindi, influenza maggiormen-te lo sviluppo linguistico nei bambini del primo gruppo spe-rimentale, i più giovani. La tabella 7 riassume le differenze trale frequenze medie del gruppo sperimentale e di controllo.

DISCUSSIONE DEI RISULTATI E CONCLUSIONI

In base all’analisi effettuata della struttura frasale dei gruppisperimentale e di controllo è emerso che il gruppo speri-mentale (con presenza dell’animale), in tutte le fasce di etàprese in considerazione, ha formulato un maggior numero difrasi meglio strutturate (frasi nucleari complete, complesse ebinucleari) rispetto al gruppo di controllo (assenza dell’ani-male).

La presenza dell’animale domestico ha influito positiva-mente sulla strutturazione delle frasi emesse nell’arco del-l’audioregistrazione libera. Il gruppo di controllo ha riportatodei valori di frequenze medie maggiori per quanto concerne leparole singole, i sintagmi e le frasi nucleari incomplete nelgruppo 1 (età media di 2 anni e 10 mesi); le parole singole, isintagmi e le frasi ampliate con avverbiale nel gruppo 2 (etàmedia di 3 anni e 5 mesi); e le parole singole, i sintagmi e lefrasi nucleari incomplete nel gruppo 3 (età media di 4 anni e 2mesi). In sostanza, quindi, il gruppo di controllo produce piùparole singole o sintagmi e meno strutture più complesse.

Inoltre i confronti effettuati mettono in evidenza una dif-ferenza tra gruppi: il primo gruppo sperimentale (età media 2anni e 10 mesi), evidenzia una differenza tra le frequenze me-die, con il gruppo di controllo, maggiore rispetto al secondo eal terzo gruppo; il secondo gruppo sperimentale (età media 3anni e 5 mesi), evidenzia una differenza tra le frequenze me-die, con il gruppo di controllo, simile al terzo gruppo (età me-dia 4 anni e 2 mesi).

Quindi la presenza dell’animale indicativamente sembra cheinfluenzi maggiormente lo sviluppo linguistico nei bambini pic-coli, di età compresa tra i 2 anni e 6 mesi e i 3 anni (età media 2

anni e 10 mesi), probabilmente a causa di una maggiore inten-sità di rapporto e comunicazione con l’animale rispetto all’inte-razione con altri componenti della famiglia, o estranei.

BIBLIOGRAFIAANTINUCCI F., Le strutture della sintassi, Bari-Roma, Laterza, 1970. CAMAIONI L., Psicologia dello sviluppo del linguaggio, Bologna, Il Mulino,

2001.CASELLI M.C., CASADIO P., Il primo vocabolario del bambino, Milano,

Franco Angeli, 1995.CONDORET A., L’animal compagnon de l’enfant, Paris, Fleurus, 1973/1976.CORSETTI R., Appunti di psicopedagogia del linguaggio e della comunicazio-

ne, Roma, Kappa, 2003.Indicazioni per l’utilizzo del sistema di analisi del linguaggio Childes,Roma, Kappa, 2004.

FRANCESCATO G., Il linguaggio infantile: strutturazione e apprendimento,Torino, Einaudi, 1970.

GIOVANARDI C., GUALDO R., Inglese-Italiano – 1 a 1 – Tradurre o non tra-durre le parole inglesi?, San Cesario di Lecce, Manni, 2003.

LEVINSON B., Pet and human development, Springfield (IL), Charles C.Thomas Publisher, 1972.

PARISI D., Sviluppo del linguaggio e ambiente sociale, Firenze, La NuovaItalia, 1977.

SLOBIN D.I. (a cura di), The crosslinguistic study of language acquisition. Vol. 1:The data, Hillsdale, New Jersey-London, Lawrence Erlbaum Associates,1985.

TAESCHNER T., VOLTERRA V., Strumenti di analisi per una prima valutazionedel linguaggio infantile, Roma, Bulzoni, 1986.

NOTE1. Questo articolo è basato su una ricerca effettuata per una tesi di laurea di-scussa nella Facoltà di Psicologia 1, Università di Roma «La Sapienza», nelluglio 2004, relatrice la professoressa Traute Taeschner. La frase «Io conto ete ti nascondi!» è la frase di un bambino al suo animale domestico, registra-ta nel corso della ricerca.2. Renato Corsetti, professore nella Facoltà di Psicologia 1, Università diRoma «La Sapienza», ha curato l’impostazione della tesi e, in parte, la reda-zione di questo articolo.3. Gianluca Panella, laureato in psicologia dello sviluppo e dell’educazionenella Facoltà di Psicologia 1, Università di Roma «La Sapienza», nel luglio2004 si è occupato dell’impostazione della ricerca, della raccolta dei dati edella successiva analisi. È specializzando nel Corso in Psicoterapia dell’EtàEvolutiva a indirizzo psicodinamico dell’Istituto di Ortofonologia di Roma.4. Non esiste ancora un equivalente sufficientemente stabilizzato per la locu-zione Pet Therapy. Varie proposte sono apparse negli ultimi anni: terapiadolce con gli animali, terapia con gli animali domestici, cuccioloterapia, ecc.Vedi in Giovanardi e Gualdo (2003, p. 228).5. I bambini olistici con un numero di parole anche basso, possono talvoltaprodurre enunciati di più parole che però risultano costituiti in genere da «fra-si fatte» (per esempio, Va via, Ecco mamma), che sembrano riproduzioni me-morizzate per intero, piuttosto che frasi analizzate nelle loro parti compo-nenti. Viceversa, i bambini definiti analitici iniziano a comporre le frasi quan-do il loro vocabolario tende ad essere numericamente più alto; queste risul-tano combinazioni non rigide, più produttive, e costituite da parole già in pre-cedenza analizzate e usate come parole «singole» con quella ricchezza co-municativa e informativa descritta in precedenza come capacità di mettere inrelazione parti della realtà (Caselli, Casadio, 1995, p. 27).

56

FARE PSICOLOGIA

TABELLA 5. GR/TF PS SIN FNI FNC FAI FACA FACM FCI FCII FCIE FCR FBI FBC FBS

G2S 13 17 16 23 19 4 7 16 5 5 4 17 11 7

G2C 18 20 13 17 18 5 4 13 4 3 3 11 5 5Gr = Gruppi; Tf = Tipologia frasale

TABELLA 6.GR/TF PS SIN FNI FNC FAI FACA FACM FCI FCII FCIE FCR FBI FBC FBS

G3S 12 10 8 21 10 6 7 10 6 5 6 11 14 12

G3C 19 15 15 15 10 4 4 9 5 3 5 9 8 8Gr = Gruppi; Tf = Tipologia frasale

TABELLA 7. DG/TF PS SIN FNI FNC FAI FACA FACM FCI FCII FCIE FCR FBI FBC FBS

G1S- -9 -11 -9 10 1 1 1 6 1 1 2 8 7 6G1C

G2S- -5 -3 3 6 1 -1 3 3 1 2 1 4 6 2G2C

G3S- -7 -5 -7 6 0 2 3 1 1 2 1 2 6 4G3C

Dg = Differenze tra i gruppi Tf = Tipologia frasale

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Cosa significa lavorare come psicologhe (o forsedovremmo dire «ospicologhe») nello sportello d’a-scolto di una scuola media inferiore?

Questa è stata la prima domanda che ci siamo postequando ci è stato proposto di partecipare a un progetto diprevenzione e di ascolto presso una struttura scolastica icui studenti erano dei preadolescenti. Diverse sono statele riflessioni che hanno seguito il quesito appena riporta-to, a posteriori possiamo sicuramente considerarle neces-sarie per la progettazione e l’organizzazione del lavoroche ci saremmo prestate a compiere.

Siamo un’équipe di psicologhe psicoterapeute dell’I-stituto di Ortofonologia che dal dicembre 2005 operapresso una scuola media inferiore alle porte di Roma.

La scuola è inserita in una realtà urbanistica di perife-ria, e ciò implica una serie di disagi legati a questa condi-zione quali, per esempio, la carenza di strutture ricreativee di aggregazione per bambini e ragazzi. Inoltre, si riscon-tra in maniera forte l’esigenza di creare un tessuto socialeche integri le diverse culture, dal momento che nel quar-tiere sono presenti numerose famiglie straniere.

Il primo punto che abbiamo dovuto affrontare in coin-cidenza dell’inizio di questo lavoro è stato quello di riflet-tere attentamente sul ruolo che saremmo andate a ricopri-re. La nostra formazione di psicoterapeute ci consente disperimentarci con un lavoro basato sulla relazione signifi-cativa con il «paziente» e – per la strutturazione ben defi-nita di spazi e tempi, stabiliti in rapporto alle necessità delcaso, – ci permette di constatare lo sviluppo del «viaggioterapeutico» intrapreso con l’altra persona. Lavorandopresso uno sportello scolastico, invece, il ruolo che civeniva chiesto di ricoprire era quello del consulente psi-cologico: incontrare i ragazzi che avessero richiesto uncolloquio, in un tempo decisamente limitato e con bassis-sima frequenza. In fondo avremmo lavorato in uno spor-tello d’ascolto e non presso uno studio di psicoterapia e,come spesso si sente dire nel gergo degli «psi», questaorganizzazione strutturale degli incontri ci avrebbe «pro-tetto», nonché indicato, di non aprire porte o finestre diesperienze o ricordi di vita che per il tempo e il luogo incui operavamo non avremmo potuto chiudere, ovvero ela-borare.

Questa piccola difficoltà iniziale si è poi trasformatain un punto di forza nel nostro lavoro. Più volte, riportan-

do i casi riscontrati a scuola nello spazio di riflessione chel’équipe si ritagliava per una mattina a settimana, la nostravoglia di andare oltre il limite della consulenza, l’esigen-za di effettuare un intervento più esteso ci ha permesso difare considerazioni che, in caso contrario, sarebbero rima-ste in ombra e di poter lavorare, per quanto fosse possibilein quello spazio, sulle reazioni personali suscitate dagliincontri svolti a scuola. La mattina che ci serviva e cheutilizziamo tuttora per organizzare il nostro lavoro, da noichiamato «spazio di riflessione», non coincide con unmomento di supervisione bensì rappresenta un’occasionedi passaggi di informazioni tra tutti i componenti dell’é-quipe, tra cui la coordinatrice e la responsabile del proget-to. È anche un momento nodale del nostro lavoro in cui èpossibile dare libero spazio alle fantasie, ai pensieri, alleconsiderazioni sulle situazioni vissute a scuola, che dannoforma alla vera e propria parte operativa del nostro lavo-ro, ovvero attività e incontri con tutte le figure che sonopresenti nella struttura scolastica (ragazzi, professori,insegnanti di sostegno, assistenti, infermieri, collaborato-ri) e che vi gravitano intorno (genitori, nonni, fratelli) oche occasionalmente hanno a che fare con l’istituzionescuola (assistenti sociali, rappresentanti di cooperative eassociazioni).

La prima volta che abbiamo varcato la soglia dellascuola, dove avremmo tenuto lo sportello d’ascolto, siamostate colpite positivamente dalla grande struttura che ciavrebbe accolto e dai numerosi lavori fatti dai ragazziaffissi sui muri sotto forma di murales e cartelloni. Erava-mo molto emozionate e curiose allo stesso tempo, e abbia-mo pensato che frequentare quella scuola ci sarebbe pia-ciuto molto!

Ma come sarebbe stato l’impatto con i professori? Econ i ragazzi?

L’incontro di presentazione avuto con i docenti è statomolto breve e colloquiale. I presenti ci hanno illustratol’organizzazione scolastica rispetto agli spazi e ai tempi,riferendoci anche i principali obiettivi affrontati e rag-giunti nelle varie classi attraverso il loro lavoro. D’altrocanto, noi abbiamo illustrato il nostro ruolo all’internodella scuola, che non avrebbe rappresentato una sovrappo-sizione o sostituzione al loro ma, al contrario, avrebbeavuto una funzione di collaborazione e di integrazionecon il loro lavoro.

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FARE PSICOLOGIA

L’«ospicologo»e lo sportello d’ascolto

LUCIANA CERRETIFLAVIA FERRAZZOLI

ANNA MAMMOLIBARBARA ZERELLA

Psicoterapeute, Istituto di Ortofonologia – Roma

Nonostante queste premesse, avevamo considerato chesarebbe servito del tempo per concretizzare tale collabora-zione e per superare difficoltà quali: il timore che i ragaz-zi usufruissero dello sportello d’ascolto a scapito delladidattica e anche la difficoltà a entrare in sinergia con ilcorpo docente nel perseguire obiettivi comuni e strategiedi intervento. Possiamo affermare con soddisfazione che,con il trascorrere delle settimane, lo scambio con i profes-sori è avvenuto più di frequente e questo ci ha dato la pos-sibilità di instaurare un rapporto caratterizzato da stima efiducia reciproca.

Abbiamo potuto incontrare per la prima volta lo sguar-do dei ragazzi quando siamo passate nelle classi per pre-sentare l’attivazione del nuovo servizio presso la loroscuola. Alcuni di loro sembravano stupiti dalla nostra pre-senza, altri annoiati, altri infastiditi, altri ancora moltointeressati.

Nel presentarci abbiamo cercato di stuzzicare la lorofantasia sulla figura dello psicologo e sulla presenza diuno sportello d’ascolto nella loro scuola. Dopo pochiistanti di imbarazzo, sottolineato da un momentaneo silen-zio, i ragazzi hanno riferito liberamente le loro considera-zioni. Molti di loro hanno fatto riferimento a trasmissionitelevisive in cui hanno potuto ascoltare interviste e rifles-sioni fatte da alcuni psicologi, altri hanno ricordato tele-film o film in cui c’era un attore che interpretava questoruolo. Pochi sono stati i ragazzi che hanno riportato diaver incontrato direttamente uno psicologo, se non perchési trattava di un amico di famiglia o perché avevano cono-scenti che hanno usufruito di un servizio psicologico.

Dopo aver chiarito quali fossero le nostre competenzee quale sarebbe stato il nostro ruolo all’interno della loroscuola, non sono mancate diverse espressioni maliziosesui volti di alcuni alunni. I loro sguardi esprimevano unchiaro pensiero: grazie all’attivazione dello sportello d’a-scolto sarebbe stato più semplice trovare un escamotageper perdere qualche lezioncina. Questo sorriso si è spentoqualche minuto dopo, quando abbiamo chiarito le moda-lità di prenotazione per eventuali colloqui: i ragazzi divolta in volta avrebbero dovuto segnare il loro nome su diun foglio per poi essere chiamati da noi psicologhe negliorari più congeniali in relazione all’organizzazione delnostro lavoro.

La nostra aspettativa rispetto alla frequentazione deiragazzi allo sportello era molto bassa rispetto a quella chepoi si è verificata essere la loro richiesta. Lo sportello d’a-scolto ha riscosso un gran successo fra gli alunni, infattiben il 60% dei ragazzi si è rivolto a noi almeno una volta.All’inizio immaginavamo di dover concedere agli alunniun po’ di tempo per «studiarci» e per poterci conoscere einvece, sin dalle prime settimane di attività, sono statenumerose le iscrizioni per i colloqui. Alcuni di loromostravano una grande curiosità nello scoprire lo sportel-lo sia come luogo che come funzione.

Diverse e curiose sono state le fantasie che ci hannoriportato a riguardo e che ricordiamo con simpatia: «Miaspettavo di trovare un vetro che ci dividesse propriocome è sistemato negli uffici postali», oppure, «e adessoche sai qual è il mio problema mi dai l’indicazione per

risolverlo?». Alcuni ragazzi, una volta entrati allo sportel-lo, ci chiedevano cosa fare o dire, altri, incuriositi dallanostra professione, ci chiedevano quale era stato il nostropercorso di studi. Nei primi incontri la maggior parte deiragazzi hanno preferito essere accompagnati da un com-pagno di classe che potesse sostenerli nel parlare con noio che magari avrebbe riportato una situazione di interessecomune alla loro. Con il trascorrere delle settimane, iragazzi hanno manifestato una maggiore fiducia nei nostriconfronti, manifestata dalla frequentazione più assidua incui si presentavano singolarmente. Le tematiche riportatesono state le più disparate, da quelle che appaiono piùbanali (ma che per noi mai lo sono) a quelle più serielegate a sofferenze familiari, a problemi di salute e diffi-coltà relazionali.

Molti hanno trovato in questo spazio per loro un portosicuro, dove poter essere ascoltati e accettati senza giudi-zio. Alcuni hanno scoperto la possibilità di intraprendereun viaggio personale, altri vorrebbero saltare la lezione diturno, ma il più delle volte è servita una «scusa non trop-po seria» per farsi chiamare e poi ci si è aperti. I ragazziscoprono un mondo nuovo, l’esistenza di alternative. Lacapacità di dire di no e di ragionare con la propria testa.In un mondo frenetico e ad «alta funzionalità» i ragazzitrovano nello sportello d’ascolto uno spazio in cui in cuicorrere non è consigliato e in cui è possibile sentirsi fortepartendo dalla descrizione dei propri limiti e dal raccontodi quelle esperienze ricordate come sbagliate.

In conclusione vorremmo farvi partecipi di alcunerisposte simpatiche, curiose e assolutamente veritiere datedai ragazzi rispetto alla nostra richiesta di conoscere qualifossero le loro riflessioni e considerazioni riguardanti lafigura dello psicologo e l’attività dello sportello, attivoormai da quasi due anni nella loro scuola.

• Chi è lo psicologo?«L’opsicologo è uno che ti ascolta!».«Lo spigologo è una persona a cui gli devi dire come tisenti tu!».«L’ospicologo è Barbara e Luciana».«Lopsicologo è una persona laureata in spsicologia!».• Cos’è lo sportello d’ascolto?«È una porta che ci si parla!».«È una porta che tu vai e lì trovi l’opsicologo e nessuno tipuò sentire».«È un aiuto per noi ragazzi».«È lo studio del lospsicologo».«È tipo un cassetto dei segreti e ti aiuta a ragionare».• Cosa non è in grado di fare uno psicologo?«Lo psicologo non è in grado di fare una cosa come risol-vere solo lui i problemi, ci vuole sempre il tuo sforzo!».• Con quali strumenti lavora?«Con la bocca».«Con la comunicazione e la gentilezza».«Lo strumento è l’ascoltare».• Ti fa paura lo psicologo?«No, perché è una persona normale, mica un mostro!».• Cambieresti qualcosa dello sportello?«Sì, che a ogni visita ti danno una barretta di cioccolata!». ♦

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FARE PSICOLOGIA

INTRODUZIONE

L’attuale Psicologia Ospedaliera, libera dal meccani-cismo del modello clinico bio-medico, trova oggi lasua maggiore ispirazione teorica nei principi della

Psicologia della Salute, a sua volta influenzata dalla TeoriaGenerale dei Sistemi; da tali presupposti teorici stanno na-scendo nuovi modi di operare in ambito sanitario.

L’obiettivo di questo contributo è proprio quello di illu-strare, attraverso l’analisi sintetica dei principi teorici fon-danti la Psicologia Ospedaliera e attraverso la descrizionedelle attività dell’U.O. di Psicologia Ospedaliera dell’A.O.Cotugno, il nostro tentativo quotidiano di rendere operativi iprincipi della Psicologia della Salute, trasferiti all’interno delcontesto «ospedale di malattie infettive».

DALLA PATOGENESI ALLA SALUTOGENESI: NUOVISPAZI PER LA PSICOLOGIA DELLA SALUTE

La Psicologia della Salute è reputata uno dei più importanticontributi della psicologia scientifica in ambito sanitario.Essa trova i suoi presupposti teorici in un nuovo paradigmache antepone il concetto di «salutogenesi» a quello di «pato-genesi», focalizzando l’attenzione sulla promozione della sa-lute piuttosto che sulla lotta alla malattia.

Nella «promozione» della salute l’obiettivo diventa losviluppo della persona, dei gruppi, delle comunità, in una vi-sione attenta alle dinamiche interne ed esterne ai sistemi incui le vicende di questo sviluppo prendono forma. Questopresuppone un passaggio dal vecchio modello «biomedico»al nuovo modello «bio-psico-sociale»; ovvero il passaggiodalla scissione tra mente e corpo, all’assunzione generale cheogni condizione di salute o di malattia sia la conseguenzadell’interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali(Engels, 1977, 1980; Schwartz, 1982).

Tale modello contiene un forte riferimento al concetto disistema, inteso come un’entità dinamica le cui componentisono in continua e reciproca interazione in modo da formareun’unità o un tutto organico (von Bertalanffy, 1968).L’opzione sistemica comporta sia la specificità di ciascun li-vello di organizzazione, sia la necessità di indicare in modonetto la natura delle relazioni e dell’interdipendenza tra i li-velli di interazione.

Questi nuovi orientamenti teorici hanno notevoli ricadu-te sul piano operativo e organizzativo, ma tale cambio di pro-spettiva non è affatto di facile realizzazione. Tant’è vero che,ancora oggi, lo stato di salute di una persona viene definitopiù sulla base di indicatori di morbilità e mortalità, piuttostoche su indicatori di vitalità.

Nonostante queste difficoltà, tuttavia, in Italia si assisteal costante proliferare di iniziative scientifico-culturali ingrado di segnare la tendenza verso un cambiamento impor-tante. Tra di esse, ci appaiono di particolare rilievo: l’aper-tura di tre scuole universitarie di specializzazione quadrien-nale in Psicologia della Salute (Roma, Torino, Bologna); diun dottorato di ricerca (Firenze) e di alcuni corsi di perfe-zionamento; oltre alla realizzazione di varie iniziative con-gressuali e alla nascita della Società Italiana di Psicologiadella Salute (SIPSA) e della Società Italiana di PsicologiaOspedaliera e Territoriale (SIPSOT).

Anche la nuova denominazione del Ministero dellaSanità, che dal 2003 ha preso il nome di Ministero dellaSalute, è un segno che anche sul piano istituzionale lenta-mente viene recepito questo cambiamento di prospettiva.

Sembra dunque che questo nuovo modello teorico sia or-mai condiviso a livello nazionale, sanitario, sociale e di co-munità anche se si è ancora lontani da una sua piena realiz-zazione sul piano operativo.

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FARE PSICOLOGIA

La Psicologia della Salutein un Ospedale di Malattie

InfettiveNuove strade verso il cambiamento

ALBERTO VITOPsicologo, Responsabile U.O. Psicologia Ospedaliera A.O. Cotugno (Na),

Componente Commissione Nazionale Lotta all’AIDS – Ministero della Salute (Roma)MARTINA LUPOLI, LILIANA TIZZANO

Psicologhe, borsiste, U.O. Psicologia Ospedaliera A.O. Cotugno (Na)GIUSEPPE NARDINI, GIUSEPPE VIPARELLI

Psichiatri Dirigenti, U.O.C. Psichiatria di Consultazione A.O. Cotugno (Na)

UN CONTESTO OBBLIGATO PER LA PROMOZIONEDELLA SALUTE: LA PSICOLOGIA IN OSPEDALE

La Psicologia della Salute sta esercitando una notevole in-fluenza sugli psicologi operanti in ambito clinico-medico; inparticolare, ciò avviene nell’ambito ospedaliero. L’obiettivodella Psicologia Ospedaliera è legato oggi proprio alla volontàdi accrescere la dignità dei pazienti cui l’ospedale, a causa del-la sua organizzazione meccanicistica, ha per molti anni nega-to la dimensione soggettiva, biografica, affettiva e sociale.

Tale modalità organizzativa, anteponendo le necessitàdel sistema a quelle dell’individuo, provoca una regressione eun appiattimento del paziente, impedendogli gran parte deicontatti affettivi, sociali e lavorativi, formandolo all’ideadella malattia come cosa «altra da sé». A questo approccio, siè contrapposto il modello bio-psico-sociale che apre la stradaa un «nuovo» modo di considerare il servizio sanitario, più vi-cino alle persone e più attento alle loro esigenze.

L’ingresso della Psicologia nella struttura ospedaliera hapermesso una visione più complessa della persona malata lacui specifica patologia rappresenta soltanto un’interfaccia,seppur essenziale, di un ben più articolato insieme di compo-nenti diverse e indipendenti tra loro.

Inoltre, in un’ottica sistemica, per «prendersi cura» della per-sona è tuttavia indispensabile risolvere il problema dell’integra-zione delle competenze e dei rapporti fra i vari specialisti all’in-terno del sistema dell’offerta, e successivamente quello dell’in-terazione con il sistema della domanda. Non è concepibile un’a-pertura dialogica reale verso la domanda dell’utente senza un’e-voluzione chiara dell’organizzazione interna al sistema dell’of-ferta, che valorizzi le specificità di ogni singola disciplina.

Sia pur in diversa misura è presente, ai vari livelli specia-listici, la paura di una maggiore apertura alla domanda del-l’utente. «Chi offre servizi sembra disperatamente ancorato altimore di perdere potere nel momento in cui il servizio non siapiù orientato alla tecnica ma all’utenza» (Carli, 1996).

In Italia l’ingresso dello psicologo nella struttura ospe-daliera è avvenuto solo di recente rispetto ad altri paesi oc-cidentali, a tutt’oggi si possono contare almeno 37 strutturecomplesse di Psicologia Ospedaliera attualmente attive, dicui ben 12 nella sola Regione Piemonte. Tale dato indica unacrescita a macchia di leopardo, legato a sforzi in singolerealtà più che a un riconoscimento condiviso a livello gene-rale della sua importanza (dati SIPSOT).

I servizi offerti vanno dall’ambito clinico quale psicodia-gnosi, counseling e psicoterapia, all’ambito formativo fino adarrivare alla ricerca applicata alla realtà ospedaliera.

La Psicologia della Salute nelle Malattie InfettiveCome già detto, il contributo della psicologia ha consentitoun’attenzione sempre maggiore alla componente soggettivadel paziente, creando le condizioni per una visione più ampiadell’assistenza alla persona malata. D’altro canto, invece, iprogressi della medicina hanno permesso la guarigione damolte malattie e hanno consentito che diverse patologie, untempo mortali, assumessero un decorso cronico.

Queste due discipline, strettamente correlate tra loro,possono dunque contribuire in modo sinergico al migliora-mento generale della qualità della vita delle persone malate.

In particolare la Psicologia, focalizzando la sua atten-zione sulla relazione operatore-paziente, tenta di operare deicambiamenti il più possibile stabili non solo nelle aree del-l’espressione sintomatica, della sofferenza psichica e deipattern di comportamenti disturbati; ma anche rivolgendo-si alla promozione della crescita e dello sviluppo verso unamaturazione personale. Compito dell’intervento psicologicoè inoltre quello di aiutare a ridurre il più possibile lo stressaggiuntivo – legato alla percezione della malattia, alle stra-tegie che si utilizzano per affrontarla e alle sue ricadute re-lazionali – che costituisce una conseguenza indiretta dellapatologia. Un discorso specifico riguarda le malattie infetti-ve e a trasmissione sessuale, come l’HIV, che ancora oggi so-no altamente stigmatizzate socialmente. I progressi nelcampo farmacologici, in particolare con l’avvento dei far-maci antiretrovirali, hanno trasformato radicalmente il de-corso dell’infezione da HIV che oggi va considerata alla stre-gua di una patologia cronica, ponendo ancor più in primopiano le questioni legate alla qualità della vita dei pazienti edei loro familiari.

La qualità della vita non può più essere legata a parame-tri «oggettivi» ma va ricondotta all’esperienza soggettivadel singolo individuo che è in grado di valutare il proprio li-vello di benessere; essa costituisce uno dei più importantiparametri per valutare la «salute» di un malato cronico.

Secondo Taylor S. (1997) è molto importante studiare laqualità della vita del malato cronico, per valutare quanto lamalattia ostacoli lo svolgimento delle normali attività di vi-ta quotidiana, in particolare le attività professionali, socialie personali; inoltre è necessario valutare l’impatto del trat-tamento sulla qualità della vita, per verificare che il tratta-mento non sia più nocivo del disturbo stesso.

Tra le varie fasi di adattamento del paziente alla nuovacondizione una delle più importanti è quella della «comuni-cazione della diagnosi», cui possono seguire diversi gradi diadattamento emotivo che vanno dagli stati di smarrimento eincredulità iniziali ai tentativi di adattamento e riorganizza-zione successivi o, al contrario, di negazione e di rifiuto del-la malattia e, conseguentemente, delle terapie e delle strate-gie di prevenzione dell’ulteriore diffusione del virus.

È proprio su questi tentativi di adattamento che si inse-risce l’intervento psicologico mirato a favorire il processo diaccettazione e reazione alla patologia e a migliorare la col-laborazione con l’équipe curante per una giusta aderenza te-rapeutica.

Tali malattie si diffondono all’interno di una relazionesessuale, ma che quasi sempre è anche affettiva ed emotiva,in cui l’altro riveste un ruolo assai significativo, e pertantoanche l’intervento sanitario, di prevenzione e di cura, deveessere rivolto al sistema relazionale del paziente.

Lo psicologo avrà l’obiettivo di promuovere comporta-menti e stili di vita orientati alla salute psichica, attraversol’individuazione delle aree di disagio, e potenziare le risor-se individuali e familiari. Infine, va ricordato che ai pro-gressi nel campo farmacologico non sono corrisposte modi-fiche altrettanto forti nell’immaginario collettivo relative al-la persona sieropositiva, che tuttora rischia di essere ogget-to di discriminazioni dolorose. In tal caso, il ruolo dello psi-cologo può svolgere una funzione particolarmente utile.

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FARE PSICOLOGIA

Attività dell’U.O. di Psicologia Ospedalieradell’A.O.D. CotugnoL’Unità Operativa di Psicologia Ospedaliera si è costituita di re-cente all’interno dell’Ospedale Cotugno, ed è collocata all’in-terno della U.O. complessa di Psichiatria di Consultazione edEpidemiologia Comportamentale. L’U.O. è stata strutturata dopouna più lunga presenza, maturata in circa dieci anni di attività,degli psicologi all’interno del contesto ospedaliero; e adotta unamodalità operativa che coniuga una duplice attenzione sia allacomponente strettamente organica delle patologie, sia alla com-ponente psicologica che talvolta rappresenta una risposta reatti-va alla scoperta della malattia, evocando risposte non semprefunzionali al trattamento farmacologico e terapeutico.

Le aree di intervento clinico di pertinenza del Servizio so-no diverse, tra cui una parte cospicua, sebbene non esclusiva,è dedicata proprio ai pazienti affetti da HIV. Per essi è statomesso a punto uno specifico modello di intervento psicologi-co, in cui l’assistenza è proposta sin dal momento in cui l’in-fezione viene diagnosticata e per tutto il percorso della ma-lattia. La connotazione di cronicità, che sempre di più assumel’infezione, ha spostato l’obiettivo dell’intervento psicologi-co dall’elaborazione del vissuto di morte imminente a un in-tervento diverso e complesso teso a stimolare l’adozione dinuovi stili di vita e la modifica delle proprie aspettative.

La persona sieropositiva va aiutata a convivere con l’in-fezione da HIV e con le complesse questioni psicologiche cheessa pone. Il rapporto con il proprio partner, con i propri ge-nitori, con i propri figli, con i propri amici, la progettualitàpersonale, i desideri e le paure sono le tematiche che può af-frontare con lo psicologo il quale, nel rispetto della libertà del-le scelte individuali, favorirà un processo di presa di coscien-za delle sue dinamiche interne. È inoltre importante indivi-duare le risorse e gli affetti su cui il paziente sieropositivo puòcontare e mettere insieme le disponibilità e i contributi di aiu-to che le persone che lo circondano possono fornirgli per crea-re intorno a lui un nuovo supporto sociale. La partecipazionedei familiari al trattamento psicologico rappresenta una ri-sorsa fondamentale per migliorare la qualità della vita sia del-le persone sieropositive sia di coloro ad esse più vicine.

Un intervento specifico è rappresentato dalla consulenzaalla coppia, in cui uno dei componenti o tutti e due sono sie-ropositivi. Esso si propone di favorire la presenza nella cop-pia di regole di funzionamento e di convinzioni che consen-tano un equilibrio armonico e il rispetto di norme preventive.

Un’area peculiare della consulenza psicologica consistenell’intervento finalizzato a migliorare l’aderenza a protocollifarmacologici complessi. L’aderenza terapeutica deve essereconsiderata un fenomeno comportamentale complesso, in-fluenzato da molti fattori e favorito da un supporto psicologico.Un intervento psicoterapeutico è pure proposto ai pazienti«worried well», ovvero coloro che si sottopongono più volte altest HIV e che nutrono una paura eccessiva di aver contratto l’in-fezione, mostrando una forte dimensione ipocondriaca.

Ma, oltre che ai pazienti HIV, l’intervento psicologico puòessere rivolto a tutti i pazienti dell’ospedale, a prescinderedalla patologia organica di base, sia ricoverati, sia in regimedi day-hospital che in trattamento ambulatoriale.

Durante il ricovero, l’intervento dello psicologo consistein consulenze nei reparti, che avvengono su richiesta del me-

dico, o del paziente stesso e dei suoi familiari. Talvolta lo psi-cologo condivide l’intervento di consulenza con lo psichiatrae, insieme a questi, valuta il proseguimento dell’intervento.La consulenza è un intervento a breve termine, focalizzato sulproblema, che tuttavia talvolta prosegue con una presa in ca-rico più strutturata.

Inoltre, è attivo un servizio ambulatoriale che eroga trat-tamenti di psicoterapia breve (sino a 16 sedute) con orienta-mento sistemico-relazionale. Il trattamento ambulatoriale è ri-volto sia agli ex degenti dell’ospedale che a pazienti esterni,che possono afferire al Servizio mediante richiesta del medi-co curante. È stata recentemente condotta una ricerca volta aconoscere la percezione dei pazienti in merito all’attività psi-coterapeutica svolta in un ambulatorio collocato all’interno diun ospedale di malattie infettive («Babele», n. 22), da cui èemerso che i diversi pazienti avvertivano il contesto pluri-specialistico ospedaliero più contenitivo e protettivo nei con-fronti di strutture quali i SER.T. e i D.S.M., che seguono preva-lentemente pazienti con patologie facilmente riconoscibili.

Gli interventi ambulatoriali possono schematicamente es-sere suddivisi in: a) interventi di tipo consulenziale, di brevetermine, focalizzati sul problema, che possono talvolta prose-guire con una presa in carico più strutturata; b) trattamenti dipsicoterapia breve, a cui può seguire l’invio ad altra struttura.

Dallo scorso aprile è attivo presso l’ospedale il centro perla cura del tabagismo, indirizzato sia al personale dipendentedell’ospedale, sia ai pazienti che si rivolgono al servizio peraltre cure. È rivolto principalmente ai dipendenti perché glioperatori sanitari occupano un ruolo particolarmente impor-tante nelle campagne antifumo e il loro comportamento, neiconfronti del fumo, ha una particolare importanza per la rica-duta sul resto della popolazione. Svolgendo questa attività cisiamo resi conto che essa può rappresentare una modalità in-diretta di presa in carico delle problematiche dei dipendentidell’ospedale, che può intervenire positivamente sul fenome-no complesso del burn-out che caratterizza molto spesso lacura di pazienti il cui carico emotivo diventa difficilmente so-stenibile e gestibile.

Pertanto uno degli obiettivi da perseguire, accanto alla cu-ra del tabagismo, è una funzione di sostegno ai dipendenti chepermetta loro di rendere più facilmente esplicite le difficoltàeventualmente connesse alla loro attività professionale, evi-tando nel contempo alla nostra équipe triangolazioni interneall’organizzazione ospedaliera. Il Centro opera secondo unapproccio integrato che tiene conto tanto delle problematichepsicologiche connesse con l’abitudine del fumo, tanto degliaspetti fisici che il tabagismo comporta. Il problema viene af-frontato in primis attraverso incontri individuali, condotti dauno psicologo, con una finalità informativa sui costi-beneficidell’abitudine al fumo. Successivamente viene appositamen-te adibito uno spazio in cui è possibile approfondire la storiapersonale di ogni fumatore e le abitudini legate al fumo.

Si è rivelata utile la somministrazione di un questionario ap-positamente strutturato per misurare il grado di dipendenza delpaziente. I colloqui prevedono un’analisi della motivazione altrattamento, con una prima fase di auto-osservazione cui fa se-guito il programma vero e proprio di disassuefazione. Le stra-tegie operative si indirizzano secondo il modello cognitivo-comportamentale. Infine, si svolgono incontri di gruppo tesi al-

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FARE PSICOLOGIA

la condivisione degli obiettivi e alla discussione delle difficoltàlegate alla decisione di smettere di fumare, con l’intento dirafforzare la motivazione e ridurre le ricadute, mantenendo unastabilità nel tempo del programma di disassuefazione.

All’intervento psicologico, ove richiesto, si affianca laconsulenza di uno psichiatra, del pneumologo e dell’oncolo-go, al fine di valutare l’entità dei danni prodotti fino a quelmomento, e di concordare gli appropriati trattamenti farma-cologici. Attualmente è in corso una ricerca che prevede, me-diante la somministrazione di un questionario a oltre 400 per-sone, di conoscere gli atteggiamenti nei confronti del tabagi-smo di tutti i dipendenti dell’Azienda.

Di recentissima apertura è lo sportello d’ascolto psicolo-gico per gli stranieri, un’iniziativa nata a seguito dell’emer-genza Tsunami, che ha colpito le popolazioni del sud-est asia-tico. Questo intervento si inscrive nell’ottica più ampia diun’individualizzazione dei bisogni e della cura dei pazienti,attraverso interventi improntati alle caratteristiche non solodella persona, ma anche e soprattutto del suo contesto di vita.Ecco perché in collaborazione con il servizio di Psichiatria, sisono offerte consulenze gratuite ai parenti delle vittime delloTsunami, che risiedono nel nostro territorio, e che a seguitodella catastrofe potevano aver sviluppato una Sindrome Posttraumatica da Stress.

L’attenzione verso i pazienti immigrati è proseguita e neigiorni scorsi è stato firmato un Protocollo d’Intesa conl’Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Napoli, cheprevede la pubblicizzazione tra le popolazioni immigrate re-sidenti nel Comune dello sportello d’ascolto psicologico e lapossibilità di sottoporsi gratuitamente e in anonimato al testHIV presso l’ospedale, anche per gli stranieri privi di permes-so di soggiorno. Inoltre, il Comune metterà a disposizione deimediatori culturali, che per alcune ore a settimana affianche-ranno gli operatori sanitari della nostra Azienda.

FormazioneAccanto a tutte le attività di ordine puramente clinico, moltospazio è destinato anche all’attività formativa. La scelta di por-tare avanti l’attività formativa è legata alla promozione di unmodello culturale, affinché attraverso l’esperienza pratica sipossano meglio sedimentare quegli aspetti strettamente legati almodello teorico di riferimento che sottende le attività cliniche.

Il Servizio è riconosciuto idoneo per lo svolgimento dei ti-rocini pre-laurea e post-laurea e ospita laureati delle Facoltàdi Psicologia sia dell’Università di Roma che di Caserta.Inoltre offre la propria attività di ricerca e supervisione a pro-getti di tesi psicologica. Sono anche attive alcune convenzio-ni con alcune scuole di specializzazione riconosciute dal MUR-ST per i tirocini degli allievi ai Corsi quadriennali di abilita-zione alla psicoterapia.

L’attività di supervisione è indirizzata sia ai tirocinanti cheagli psicologi convenzionati che operano all’interno delServizio di Ospedalizzazione Domiciliare, che assiste preva-lentemente pazienti con AIDS, oncologici o con gravi patolo-gie epatiche. Generalmente si articola in incontri di gruppo, acadenza mensile, in cui si lascia ampio spazio alla discussio-ne ed elaborazione dei dubbi e delle problematiche connessealla gestione del paziente.

Inoltre, il servizio partecipa alle lezioni dei Corsi AIDS pergli operatori del sistema sanitario sia a Napoli che nelle altrecittà della regione Campania. Sono promosse attività semi-nariali e convegni, in collaborazione con la Società Italiana diPsicoinfettivologia. Nell’anno 2004 è stato tenuto il ciclo diseminari di psicologia ospedaliera: «Prendersi cura: Aspettipsicologici e relazionali nel trattamento terapeutico del pa-ziente ospedaliero. Il contesto delle malattie infettive in epo-ca SARS» (accreditato ECM) e i seminari clinici «L’identità delTerapeuta», rivolti a psicoterapeuti in formazione. La parte-cipazione a tali attività era gratuita.

RicercaIl Servizio svolge anche attività di ricerca, di concerto con ilServizio di Psichiatria di Consultazione e promuove collabo-razioni nazionali. Fine ultimo è cercare una conferma delleipotesi teoriche che emergono attraverso il lavoro stretta-mente clinico. A tal fine, le attuali aree di ricerca si sono fo-calizzate sulla comunicazione medico-paziente, l’aderenza aitrattamenti farmacologici complessi, la psicologia ospedalie-ra, la psico-oncologia.

Attualmente sono attivi quattro progetti di ricerca finan-ziati dall’Istituto Superiore di Sanità, approvati all’interno delV Programma Nazionale di ricerca sull’AIDS, su tematiche ri-guardanti l’impatto della diagnosi di sieropositività, sulle di-namiche familiari, le caratteristiche psicologiche delle coppiecon partner sieropositivo, i fattori di rischio di contrarre l’in-fezione HIV per i pazienti psichiatrici gravi, gli aspetti psico-sociali nel reclutamento dei volontari nelle sperimentazioniper il vaccino. Su tali progetti, i cui responsabili scientifici so-no i responsabili del servizio di Psichiatria e dell’U.O. diPsicologia sono impegnati 14 borsisti, di cui 10 psicologi.

Il Responsabile del Servizio, infine, è componente dellaCommissione Nazionale per la lotta contro l’AIDS e le altremalattie infettive istituita dal Ministero della Salute.

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FARE PSICOLOGIA

La legge che istituisce e garantisce, dopo lunghe easpre battaglie, la professione di psicologo, offre aquesto specialista possibilità notevoli che spaziano in

vari ambiti di applicazione.

La professione di psicologo comprende l’uso deglistrumenti conoscitivi e di intervento per la preven-zione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabili-tazione e di sostegno in ambito psicologico rivoltealla persona, al gruppo, agli organismi sociali e al-le comunità. Comprende altresì le attività di speri-mentazione, ricerca e didattica in tale ambito. Peresercitare la professione di psicologo è necessarioaver conseguito l’abilitazione in psicologia me-diante l’esame di Stato ed essere iscritto nell’appo-sito albo professionale. […] L’esercizio dell’attivitàpsicoterapeutica è subordinato a una specifica for-mazione professionale, da acquisirsi, dopo il con-seguimento della laurea in psicologia o in medici-na e chirurgia, mediante corsi di specializzazionealmeno quadriennali che prevedano adeguata for-mazione e addestramento in psicoterapia, attivati aisensi del decreto del Presidente della Repubblica10 marzo 1982, n. 162, presso scuole di specializ-zazione universitaria o presso istituti a tal fine ri-conosciuti con le procedure di cui all’articolo 3 delcitato decreto del Presidente della Repubblica(Legge 56/89, artt. 1-3).

La Legge 56/89 stabilisce chi è e che cosa fa lo psicologo,indica i destinatari del suo intervento professionale e comepuò raggiungere la sua abilità/abilitazione professionale. Perdi più istituisce l’Ordine degli Psicologi.

Dalla Legge appare chiaro che lo psicologo ha moltepossibilità di intervento e per esplicare la sua professionalitàha il diritto e il dovere di entrare in possesso delle abilità chegli consentano di svolgere a pieno la sua professione. Que-sto testo fondamentale, dunque, dovrebbe essere incornicia-to in tutte le camerette degli studenti di psicologia in modoche questi, nel loro percorso formativo, prendano coscienzae pretendano quegli strumenti teorici e tecnici capaci diimplementare la giurisprudenza.

Le università si impegnano fortemente a garantire unbagaglio teorico importante agli studenti di psicologia; nonsempre però questo bagaglio teorico è accompagnato da una

conoscenza applicativa, che spesso viene circoscritta all’an-no di tirocinio che traghetta lo studente all’Esame di Stato,sempre che gli enti convenzionati si impegnino nel poten-ziare la professionalità dei tirocinanti anziché obbligarlispesso in lavori impropri, niente affatto conformi alle dispo-sizioni legislative.

In realtà, nelle università, in buona fede o per calcoli diconvenienza, non sempre si respira un clima che porti lo stu-dente alla coscienza della sua professione. «Non vi fate illu-sioni, ragazzi: avete da studiare! Ora dovete fare cinque annidi università e poi altri quattro di specializzazione, se voletefar qualcosa». Una frase che è abbastanza usuale, utilizzatadai docenti per far credere agli studenti che la laurea in psi-cologia, pur con la conseguente abilitazione professionale,non garantisca una professione, e quando parlano di inter-venti psicologici facilmente li confondono con le psicotera-pie relegando il ruolo dello psicologo a quello che primaveniva chiamato testista.

La psicologia applicata deriva i suoi strumenti dai dati edalle scoperte, in specie, della psicologia generale e speri-mentale che si occupano della ricerca in ambito psicologicoe forniscono le «notizie» utili all’applicazione. La psicologiaapplicata volge l’attenzione a diversi ambiti del sociale chein generale possiamo raggruppare in quelle che sono defini-te Psicologia del lavoro e delle Organizzazioni e PsicologiaClinica e dello Sviluppo. Considerando la legge 56/89 e loschema di riferimento (schema 1) si capisce come l’inter-vento psicologico, che applica le conoscenze psicologicheall’aiuto di singoli, gruppi, organismi sociali e comunità, èdiverso e non per questo più o meno efficace, rispetto allapsicoterapia che invece si basa per la maggior parte su teo-rie (ipotesi) sulla personalità, più o meno confermate dallaricerca, su teorizzazioni che spesso prendono le caratteristi-che di metapsicologie.

È utile distinguere, ma ciò che più conta è che gli stu-denti di psicologia hanno il diritto e il dovere di conoscereciò che possono fare, perché lo possono fare, e come farlo.Se il sapere (e parte del saper fare) può essere fornito dal-l’università, al tirocinio e a occasioni formative post lau-ream si dovranno demandare il saper fare vero e proprio euna formazione per il saper essere.

Gli psicologi già iscritti all’Albo professionale e i lau-reati in psicologia hanno il diritto di acquisire abilità opera-tive adatte a soddisfare con professionalità ed efficaciaquanto previsto dall’Ordinamento della professione.

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FARE PSICOLOGIA

La psicologiacome professione

SIMONE PESCIReflector

Docente dell’ISFAR Post-Università delle Professioni di FirenzePresidente della SIR (Società Internazionale di Reflecting)

Lo psicologo deve poter acquisire una formazione chesia occasione per accrescere la capacità di servizio, saperprestare una deontologica attenzione alla persona e innalza-re le proprie competenze per svolgere la libera professione oun qualificato lavoro dipendente.

Il percorso formativo, universitario o, più facilmente,postuniversitario, deve essere teso a far acquisire abilità con-crete nell’utilizzo di modalità di accoglienza e conoscitivedella persona (anamnesi, scopia semiotica, ecc.); a far con-seguire competenze operative specifiche per la scelta appro-priata di metodi e tecniche diagnostiche nelle differentisituazioni di patologia o di disagio e di valutazione dellerisorse; a far assumere modalità per l’elaborazione delleinformazioni fino alla formulazione diagnostica; a renderecapaci di realizzare interventi abilitativi, riabilitativi e disostegno psicologico; a far apprendere i metodi, le tecnichee gli ausili per favorire nelle persone un equilibrio psicolo-gico e relazionale.

Alla luce di queste considerazioni gli psicologi, se avran-no consapevolezza dei propri mezzi e sufficienti capacità nelsaper fare, potranno agire con competenza e professionalitàsul mercato del lavoro, ritrovando o confermando lo spazioche meritano nella società e diventando esempio di scienzaapplicata al benessere, senza invidia o avversione nei con-fronti di nessun’altra categoria professionale, poiché padro-ni del loro bagaglio teorico e pratico. ♦

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FARE PSICOLOGIA

Psicologia Generale Teorie (ipotesi)e Sperimentale della Personalità

Psicologia applicata

Lavoro Clinica Psicoterapiae Organizzazioni e Sviluppo

Schema 1

Corso di formazionein arteterapia plastico-pittoricaIl percorso di formazione in Arteterapia è rivolto a persone che intendonoavvalersi dell’arte visiva in ambito terapeutico, educativo, preventivo,assistenziale, riabilitativo, in relazione alla propria professionalità, comemezzo di riarmonizzazione della persona, al fine di garantire e generareuna migliore qualità della vita individuale e sociale.

Corso biennale con frequenza nei week-endsede del corso: Pescara

ARTELIEU presenterà sabato 7 luglio 2007 a Pescara un convegno sul tema:«Le artiterapie per colorare la vita»

Relatori: prof. J. Pierre Royol, dott.ssa L. Grignoli, dott. C. MeriniEvento E.C.M. per psicologi, patrocinio Ordine Psicologi Abruzzo

Ingresso gratuito su prenotazione (entro 23 giugno)

www.artelieu.itPer informazioni [email protected] Tel. 0854914348 cell. 3472952894

A R T E L I E UASSOCIAZIONE ITALIANA STUDI

SULLE PSICOPATOLOGIE DELL’ESPRESSIONE

E ARTETERAPIA

Collana diretta da Guido Pesci e Simone PesciLa collana assume il compito di divulgare i principi e le modalità con cuifacilitare l’individuo a riflettere, a meditare su di sé, sul proprio essere e sulproprio esistere utilizzando le proprie risorse. Essa intende destare esviluppare nuovi modelli di vita e di pensiero, organizzare nel sociale un’azionedi riscatto contro i fraudolenti tentativi del persuadere, del guidare e delconsigliare, estendere nella socialità nuove tutele per una vita più vera e piùlibera. La collana si propone di fornire i mezzi per aiutare la persona a innalzarel’edificio della propria personalità, discernere ogni aspetto dell’universalità chele appartiene, muoversi nella propria interiorità e conoscere se stessa, fino acreare così una società pensante e armoniosa.

Il metodo Reflecting si basa sul principioche è possibile giungere a una

comprensione profonda di noi stessisolamente per mezzo della riflessione. Essorespinge ogni procedimento che si affidaall’incoraggiamento, alle istruzioni, alleinterpretazioni e ai buoni consigli, per offrire

invece un aiuto esclusivo e indispensabile a promuovere la riflessione. Perchéla persona possa essere aiutata in questo suo procedere, e possa trovarenella riflessione un contributo alla propria crescita, il metodo fa appello atutti i contenuti espressivi e comunicativi andando oltre l’utilizzo dellaparola come frammento della comunicazione. L’obiettivo di questo nuovometodo è quello di favorire un’evoluzione positiva sfruttando le risorsepersonali. È un modo per analizzarsi, conoscersi e proporsi in direzione diuna crescita che agevoli il coraggio di affrontare i rischi e le delusioniesistenziali e che favorisca lo sviluppo delle proprie potenzialità fino araggiungere la libertà di essere se stessi.

Gli autori si propongono di dare unarisposta operativa e formativa a quanti

intendono seguire un percorso di aiuto afavore di persone in difficoltà. Il manuale –che segue in collana il libro Reflecting. Unmetodo per lo sviluppo del Sé – confermal’animata concezione che alla terapia occorre

una svolta. Non è accettabile che molti operatori siano convinti di possedererisposte per gli altri, di interpretare per gli altri, incoraggiare, indirizzare, dareconsigli e considerare tutto questo terapia. La terapia deve abbandonare ilprotagonismo della parola usata per conoscere, liberare, condurre l’altro;quella parola-farmaco sulla quale si è costituita la sovranità terapeutica, chesi propone di alimentare gli spazi di silenzio con domande e affermazioni,con spiegazioni e conclusioni. La persona, per il Reflector, non ha bisogno diun insegnante tecnico, di un interprete poliglotta, di una schiavitù segretadella propria psiche, di un’influenza esercitata da qualcuno su di lei, poichénecessita di una totale indipendenza nelle relazioni. Il Reflecting è un mododi porsi di fronte all’altro per fornirgli gli strumenti adatti alla riflessione. IlReflector, infatti, non dà risposte, ma aiuta a riflettere.

Reflecting

G. PESCI – S. PESCI – A. VIVIANI

REFLECTINGUn metodo per lo sviluppo del Sé

ISBN: 88-88232-58-3C 9,00 – FORMATO: 15,5X21 – PAGG. 120

SIMONE PESCI (a cura di)

MANUALE DI REFLECTING

ISBN: 88-7487-286-0C 11,00 – FORMATO: 15,5X21 – PAGG. 128

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informadilibriNOVITÀ GENNAIO–APRILE 66

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ELENA LIOTTA

A MODO MIODonne tra potere e creatività

PAROLE D’ALTRO GENERE – ISBN: 978-88-7487-224-4C 18,00 – FORMATO: 13X21 – PAGG. 168

Un saggio che si snoda tra le peculiarità del pensiero femmi-nile, la spiritualità delle donne, i loro modi di esercitare il

potere, la loro naturale propensione alla creazione delle condizio-ni di base, all’accudimento, alla sensibilità ambientale, a vedereanche altro... E oltre.Non ci si accorge nemmeno più del fatto che il modo di pensaredegli uomini si è imposto incondizionatamente nell’educazionecollettiva. Fino a diventare l’unico possibile, anche per le donne.L’educazione scolastica e quella universitaria non mostrano nessu-na sensibilità nei confronti delle donne, della loro vita e delle loroesigenze. Come anche il mondo del lavoro, della cultura, della poli-tica e dell’economia. E anche se ci sono donne che pensano diinterpretare le esigenze delle altre donne, continuano a usare –senza accorgersene – categorie maschili.Un buon inizio, scrive l’autrice, è pensare che c’è qualcosa di incon-taminato, un nucleo di libertà nel cuore di ogni donna. Quel qual-cosa che non ha bisogno di poggiarsi sui grandi sistemi di pensierocreati da alcuni grandi uomini, quel qualcosa che senza sfide népresunzioni permette a ciascuna donna di pensare la sua realtà eagire in modo autentico, partendo da sé. Se si vuole che le donnesiano più presenti nella vita della comunità, occorre che i loro sug-gerimenti vengano ascoltati, che si dia fiducia ai loro presentimen-ti, che vengano accolte le loro emozioni e che le loro idee, perquanto divergenti o apparentemente impossibili, vengano realiz-zate non meno di tante assurdità prodotte dagli uomini.

JEAN-FRANÇOIS VÉZINA

LA NECESSITÀ DEL CASOLa sincronicità negli incontri che ci trasformano

LECTURAE – ISBN: 978-88-7487-220-6C 20,00 – FORMATO: 13X21 – PAGG. 224

Che cosa sarebbe la psicologia se Jung non avesse incontratoFreud? Che cosa sarebbe la filosofia se Sartre non avesse

incontrato Simone de Beauvoir? Che cosa sarebbe la nostra vita se non avessimo incontratoquell’autore, quell’uomo o quella donna? È lecito chiedersi se la vita simbolica, oltre che nei sogni, simanifesti anche nella realtà sotto forma di coincidenze signifi-cative?Due avvenimenti non collegati da nessuna causa, ma che tutta-via, accadendo simultaneamente, creano un senso per la perso-na che ne è soggetta... la sincronicità è senza dubbio uno deifenomeni psichici più affascinanti.Questo libro, della sincronicità indaga innanzitutto la sfera rela-zionale. Parla degli incontri, sincronistici appunto, che fanno sìche persone, autori e opere si presentino nella nostra vita inmomenti determinanti, acquisendo così un valore simbolico ditrasformazione. Vengono esaminati i processi psichici che simanifestano sotto forma di motivi tematici o di inclinazioni checi attirano e ci conducono impercettibilmente verso una perso-na, un lavoro oppure un paese.L’autore spiega in che modo possiamo approfondire il senso diun avvenimento sincronistico e, per creare ipotesi interpretative,fa ricorso anche a metafore tratte dalle scienze della comples-sità e dalla teoria del caos.

Parole d’altro genere Lecturae

EDIZIONI MAGI

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informadilibriNOVITÀ GENNAIO–APRILE67

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Psicologia clinica

MARIA FELICE PACITTO

DAL SENTIRE ALL’ESSEREI Gruppi d’Incontro, un approccio umanistico-fenomenologico-esistenzialeai temi della sofferenza psichica e della crescita psicologica

PSICOLOGIA CLINICA – ISBN: 978-88-7487-211-4C 20,00 – FORMATO: 14,5X21 – PAGG. 296

Gruppi d’Incontro, un approccio terapeutico introdotto in Italia agliinizi degli anni Settanta e finalizzato a facilitare la scoperta dell’inte-

rezza dell’organismo umano (emozioni, sentimenti, sensazioni, capacitàimmaginativa), a favorire lo sviluppo di modalità comunicative soddisfa-centi, a trovare un senso all’esistenza elaborando un progetto di vita,sono il tema principale di questa trattazione.Gli strumenti e le soluzioni operative di questo metodo sono sorretti da unarticolato sostrato teoretico. Il libro fa la storia dei Gruppi d’Incontro e dellaPsicologia Umanistica, movimento all’interno del quale essi si sono svilup-pati; della Psicologia Umanistica vengono ricostruiti lo sfondo culturaleamericano e le connessioni con la filosofia fenomenologico-esistenziale econ quella ermeneutica, sorte in Europa. Le trame filosofiche si intreccia-no anche con i riferimenti alla ricerca psicologica contemporanea d’avan-guardia (Infant Research) e a quella neuropsicologica (Damasio, Gallese),mettendo in evidenza come le nuove scoperte in questi ambiti confermi-no intuizioni filosofiche, assimilate e fatte proprie dalla psicoterapia.Dei Gruppi d’Incontro, indirizzati non solo alla persona afflitta da disagiopsichico o a chi affronta una problematica esistenziale, ma anche a chiun-que voglia vivere in maniera più consapevole e piena, l’autrice presentagli obiettivi, l’intera procedura e la quasi totalità degli esercizi tradizio-nalmente utilizzati.

FABIO CARBONARI

INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO

PSICOLOGIA CLINICA – ISBN: 978-88-7487-222-0C 12,00 – FORMATO: 14,5X21 – PAGG. 112

Una rapida guida di riferimento alleprincipali teorie inerenti lo sviluppo

umano (psicologia dello sviluppo, com-portamentismo, psicoanalisi, epistemolo-gia genetica, cognitivismo, neuroscienzecognitive, approccio evoluzionista, ecolo-gico, ecc.).Senza pretese di esaustività, l’autoreguida il lettore in un percorso organico di avvicinamento a una materia piuttostocomplessa.Pur essendo unico e ben definito l’ogget-to di studio – l’essere umano in evoluzio-ne – sono molteplici gli approcci conosci-

tivi. Data l’articolazione stessa dellamente umana, questa non può esseremai descritta da un’unica teoria, la qualerisulterebbe riduttiva, ma si può tentaredi spiegarla tramite la ricerca di sinergietra punti di vista e approcci diversi.Tale articolazione non significa, quindi,conflittualità interna alla disciplina psico-logica, quanto capacità di rendere contodella complessità umana.In tal senso il libro fornisce al lettore gli strumenti per avvicinare e compren-dere i processi evolutivi nelle loro specifi-cità e la persona nella sua globalità.

Èpossibile pensare al counseling rivolto ai genitori come auna sorta di «spazio» dai molteplici significati e sfaccet-tature. Questo lavoro con i genitori, che affianca e si svol-

ge in parallelo al trattamento del bambino o dell’adolescente, hacome obiettivo generale quello di aiutare i genitori a investire inmodo adeguato i loro sforzi e le loro risorse nel percorso tera-peutico del figlio, così che questa sinergia possa garantire neltempo il successo del trattamento stesso. Tale obiettivo, però, èraggiungibile solo a patto che nel counseling si crei un particola-re «spazio» mentale, affettivo e relazionale che permetta ai geni-tori di pensare, accogliere e comprendere i bisogni del figlio, sol-lecitando risposte adeguate nei suoi confronti. Il terapeuta che la-vora con i genitori, in altri termini, cerca di ricostruire il figlio rea-le nella mente della madre e del padre, tentando da una parte dicoinvolgerli in un processo di comprensione empatica e, dall’al-tra, di attivare o di riattivare una «genitorialità positiva». Lo spa-

zio del counseling, quindi, si configura come uno spazio di so-stegno e di contenimento all’interno del quale il genitore deposi-ta prima ed elabora dopo una complessa costellazione di vissuti,dubbi, conflitti, difese, fantasie e aspettative. È sempre all’inter-no di questo spazio che il genitore può esprimere fino in fondo lesue richieste di aiuto, può sentirsi accolto nella sua ferita narcisi-stica legata al fatto di avere un figlio che ha bisogno di aiuto, puòsentirsi contenuto nel suo senso di vergogna e nei profondi vissutidi incompetenza che lo portano a considerarsi responsabile delsintomo del figlio. Commenti ricorrenti dei genitori che denota-no chiaramente questi vissuti di inadeguatezza sono, per esem-pio: «È colpa mia se mio figlio sta male», «Con mio figlio ho sba-gliato tutto», «Sono proprio una frana come genitore».

Il counseling è anche uno spazio d’incontro nel quale il ge-nitore proietta sul terapeuta un ideale di competenza e di cono-scenza totale rispetto all’allevamento del figlio e, proprio grazie

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COUNSELING PER I GENITORI

Il counseling come spazio per una «triplice alleanza»

MARIA CARDONEPsicologa e Psicoterapeuta, Istituto di Ortofonologia – Roma

Responsabili del servizio

DOTT. FEDERICO BIANCHI DI CASTELBIANCODOTT.SSA MAGDA DI RENZO

Équipe composta da:

DOTT.SSA ANTONELLA BIANCHI - DOTT.SSA MARIA CARDONE - DOTT.SSA FLAVIA FERRAZZOLIDOTT.SSA MARIA LUISA RUFFA - DOTT. BRUNO TAGLIACOZZI - DOTT.SSA ELIANA TISCI

DOTT. CARLO VALITUTTI - DOTT.SSA PAOLA VICHI

Il counseling rivolto ai genitori sta sempre più assumendo, nel nostro servizio, connotazioni peculiari in riferimentoai progetti terapeutici che rispondono all’esigenza del singolo bambino. La forma di aiuto rivolta ai genitori è con-

testualizzata in base a due parametri fondamentali: i problemi del bambino e la capacità del genitore di contenere, ela-borare, predisporre nuove risposte nel rispetto delle singole personalità dei genitori e delle problematiche presenti.Rispettando i livelli dei singoli genitori e le problematiche della famiglia vengono cioè proposti interventi mirati adaffrontare specifici temi educativi o riflessioni sullo stile educativo, o elaborazioni di nodi complessuali che influen-zano il rapporto con i propri figli nella convinzione che il bambino non può oltrepassare i limiti psicologici che glivengono inconsapevolmente imposti dai genitori. A tale proposito è risultato palese come la risoluzione di problema-tiche individuali/coniugali/genitoriali a qualsivoglia livello di approfondimento abbia consentito al bambino di attua-re quel salto di qualità all’interno del suo specifico programma terapeutico, se non la sua definitiva risoluzione.Accanto al counseling individuale è stata sempre più potenziata l’attività di gruppo. I gruppi dei genitori sono orga-nizzati in parallelo alle attività terapeutiche di gruppo rivolte ai bambini. Due spazi terapeutici compresenti (la coin-cidenza degli orari favorisce la partecipazione dei genitori) che migliorano la comunicazione e la relazione tra i varipartecipanti e fanno della stanza di terapia un luogo di interazione sociale, oltre che di elaborazione individuale ecollettiva. Un luogo, quello del gruppo, che consente di aprire a una dimensione collettiva di riflessione e condivi-sione del proprio vissuto problematico, spesso sentito come unico e indeclinabile e che si avvale del ruolo dello psi-coterapeuta conduttore quale attivatore e fluidificatore della comunicazione, in grado di restituire ai singoli e all’in-tero gruppo il significato e il valore di una rinnovata consapevolezza.Inoltre il lavoro parallelo dei due gruppi favorisce una migliore comprensione delle relazioni genitori-figli e uno scam-bio di importanti informazioni e riflessioni tra tutti i componenti dell’équipe terapeutica.

a questa proiezione, si trova a vivere delle inevitabili regressio-ni che devono essere adeguatamente gestite dal counselor.Attraverso la relazione con il terapeuta, il genitore può appren-dere nuovi stili comunicativi, può sperimentare modalità rela-zionali più adeguate e gratificanti, può attribuire nuovi significatialle esperienze vissute e condivise con il figlio. In questo spaziodi relazione, quindi, oltre al disagio e alla frustrazione si può spe-rimentare anche il cambiamento, oltre alla consapevolezza deipropri limiti e fragilità ci si sente anche rinforzati nelle capacitàpersonali e della coppia genitoriale.

In virtù di tutti questi aspetti, lo spazio del counseling rap-presenta quello che Winnicott (1971) definisce uno «spazio po-tenziale», uno spazio cioè dove la genitorialità si pone come areaintermedia tra il genitore e il bambino.

In uno spazio così definito, un posto di rilievo spetta all’al-leanza terapeutica, perché è questo il prerequisito essenziale perattuare un processo attivo e positivo di cambiamento e di tra-sformazione. Il concetto di alleanza terapeutica subisce una par-ticolare estensione e ampliamento nell’ambito del lavoro con igenitori in quanto lo scenario degli interlocutori si allarga: bam-bino/adolescente, madre, padre, terapeuta del bambino/adole-scente. Il clinico si trova così costantemente a chiedersi dove de-ve collocarsi psichicamente e con chi deve stabilire l’alleanza. Lareale difficoltà e la sfida continua per il counselor che lavora coni genitori, infatti, è proprio quella di mantenere la stessa distan-za (emotiva e psichica) rispetto ai genitori e al bambino o all’a-dolescente, concedendosi allo stesso tempo una completa libertàaffettiva per sperimentare l’intera gamma di sentimenti contro-transferali che inevitabilmente si attivano nel setting. A volte èdifficile evitare di identificarsi con l’una o con l’altra parte, op-pure a volte si può sentire il forte impulso a diventare una sortadi avvocato difensore che può di volta in volta schierarsi a favo-re del bambino/adolescente, o della madre, o del padre, o dellacoppia genitoriale nel suo insieme. Per fronteggiare tutto ciò ènecessario più che mai lavorare utilizzando in modo consapevo-le il transfert e il controtransfert, modulandoli adeguatamente.

Nel counseling con i genitori il terapeuta deve sempre tene-re a mente la centralità della relazione genitore-figlio e, di con-seguenza, l’atteggiamento terapeutico deve essere caratterizzatoda un profondo rispetto per tale relazione nella sua complessamutualità. In questo delicato lavoro il terapeuta, secondo me, de-ve sempre sapere dove e quando fermarsi perché solo così puòevitare un senso di onnipotenza, e può scongiurare il pericolo dimanipolazioni e invasioni, più o meno inconsapevoli, di ruoli edi setting. È opportuno, inoltre, avere un dialogo continuo e co-stante con tutti gli operatori coinvolti nel trattamento del bambi-no o dell’adolescente, evitando così il rischio di pericolose scis-sioni e collusioni. In questo senso, è come se parte del lavoro te-rapeutico con i genitori si svolgesse al di fuori del setting stesso.

Ricapitolando, possiamo affermare che lo spazio del coun-seling si configura, in realtà, come uno spazio per una «triplicealleanza», nel senso che il counselor, oltre a creare l’alleanza te-rapeutica con i genitori, deve stabilire una sorta di alleanza in-terna anche con il bambino/adolescente e con il suo terapeuta.Solo così sarà possibile la ricomposizione delle varie esperienzein un quadro coerente e potenzialmente positivo per tutti gli in-terlocutori coinvolti.

Vorrei proporre, a questo punto, una breve situazione clinicache racchiude in modo emblematico quanto fin qui descritto.

Da circa un anno seguo in counseling la signora S. con unafrequenza quindicinale. Qualche volta ho avuto modo di incon-trare anche il marito, da solo o insieme alla moglie. Il loro bam-bino di tre anni e mezzo, Giulio, presenta problemi dello spettroautistico ed è stato inserito in un particolare progetto terapeuticoche prevede settimanalmente la terapia ambulatoriale, la terapiadomiciliare, la nuototerapia, la pet-therapy e, inoltre, vengonoprogrammati incontri sistematici con la scuola materna dove ilbambino è inserito. Giulio ha una sorella maggiore di sette anniche la signora S. ha avuto da un precedente matrimonio.L’educazione di Giulio è stata particolarmente rigida per quantoriguarda gli orari e le modalità dei pasti e del dormire, ed emer-ge chiaramente la difficoltà di entrambi i genitori a rapportarsicon il figlio, a comprendere i suoi bisogni e a rispondervi in mo-do adeguato.

Quando ho incontrato la prima volta i signori S., mi ha su-bito colpito la dinamica interna della coppia e il loro modo di co-municare. Il marito si pone come il più competente tra i due, ten-

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COUNSELING PER I GENITORI

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Associazione Medica Italiana per lo Studio della Ipnosi

A.M.I.S.I.

de a svalutare la moglie e a trattarla con sufficienza, spesso l’in-terrompe bruscamente mentre parla, prendendo lui la parola. Èmolto difeso rispetto alla possibilità di frequentare il counseling,dice che non potrà venire agli incontri per motivi di lavoro, mami assicura che la moglie vi parteciperà perché «ne ha bisogno».I pochi incontri ai quali è stato presente anche lui avevano un ca-rattere «ufficiale», nel senso che era venuto per parlare di coseimportanti (per esempio, della diagnosi e del progetto terapeu-tico del figlio), come se implicitamente considerasse la mogliepoco attendibile e incapace di occuparsi di questi temi. Il signorS., inoltre, focalizza tutta la sua attenzione sulla mancanza di lin-guaggio di Giulio, trascurando o minimizzando le altre eviden-ti difficoltà, come per esempio le sue continue stereotipie mo-torie e la forte chiusura rispetto alla relazione. Per quanto ri-guarda la moglie, invece, mi colpisce il fatto che lei cambi com-pletamente atteggiamento a seconda se è da sola o in presenzadel marito. Quando sono presenti entrambi, la signora S. è mol-to più timorosa nel parlare, chiede quasi il permesso al marito,e anche ciò che dice è sempre misurato, descrive la realtà in mo-do molto edulcorato, quasi non vedesse le reali difficoltà diGiulio. Quando è da sola, invece, pur continuando ad avere untono di voce decisamente infantile, esprime però più libera-mente i suoi pensieri e le emozioni, mostrando anche una certasensibilità nel comprendere il significato profondo di alcunicomportamenti del figlio.

La prima fase del lavoro con la signora S., dopo aver chiari-to le modalità e gli obiettivi dei nostri incontri, si è focalizzatasulla spiegazione e, soprattutto, sull’accettazione emotiva delladiagnosi di autismo. Questa è stata una fase particolarmente de-licata. Da una parte emergevano i profondi vissuti di sofferenza,di colpa e di inadeguatezza della signora man mano che prende-va consapevolezza dei problemi e delle difficoltà di Giulio.Dall’altra c’erano i miei vissuti controtransferali, altrettanto for-ti, soprattutto di irritazione per il suo modo di parlare e per unasorta di «aggressività passiva» che emergeva dal suo modo di fa-re, modo di fare che era anche fortemente manipolatorio (la si-gnora, infatti, era meno fragile e indifesa di quanto volesse fareintendere). Queste reazioni controtransferali, condivise anche datutti gli altri operatori coinvolti nel trattamento di Giulio, pote-vano facilmente distorcere l’alleanza terapeutica con la madre epotevano portarmi a degli interventi molto direttivi, trasforman-do così lo spazio del counseling in uno spazio in cui dare sem-plicemente indicazioni educative e pedagogiche. Ma, sicura-mente la signora S. non aveva bisogno solo di questo.

Successivamente il lavoro del counseling è proseguito conl’obiettivo specifico di aiutare la madre di Giulio a riconoscere isegnali comunicativi, i bisogni e i desideri del figlio in modo darispondervi in modo sintonico. I genitori di Giulio, come ho giàaccennato prima, tendevano a dare da mangiare al bambino o ametterlo a letto a orari rigidamente prestabiliti, ignorando i se-gnali che lui poteva dare in questa direzione. La stessa cosa suc-cedeva con le attività ludiche, nel senso che proponevano aGiulio giochi che lui non gradiva affatto, o che non erano adattiper quel determinato momento (per esempio, gli proponevanogiochi molto movimentati quando era stanco e assonnato). Lostesso tipo di difficoltà si riscontrava anche nella capacità dei ge-nitori di riconoscere e di prendersi cura di un malessere, fisico oemotivo, del bambino. La madre, inoltre, tendeva molto ad anti-cipare le richieste del figlio, a sovrapporsi a lui e a utilizzare mo-

dalità comunicative molto ridondanti ed eccessive che, proba-bilmente, ancora di più suscitavano in Giulio una chiusura ri-spetto alla relazione. La totale assenza di linguaggio del bambi-no rendeva, ovviamente, difficoltosa ogni modalità comunicati-va e di interazione con gli altri e, come spesso accade con l’auti-smo, aveva creato una sorta di circolo vizioso annullando tuttiquei rinforzi positivi che gratificano il genitore e lo avvicinanoancora di più al bambino.

L’obiettivo del counseling, quindi, era quello di aiutare la si-gnora S. a superare il suo senso di frustrazione e a rapportarsi aGiulio come a un individuo dotato di intenzionalità, di pensieripropri e di specifici bisogni fisiologici ed emotivi.

Man mano che la donna esprimeva il suo disagio e il suo sen-tirsi inadeguata come madre e come individuo, si evidenziavauna sorta di regressione che la spingeva sempre di più ad affidarsiallo spazio del counseling e a esplicitare una chiara richiesta diaiuto, proiettando su di me un’ideale funzione materna. In que-sto spazio la signora S., attraverso la mia presenza costante e ac-cogliente, ha potuto fare l’esperienza di essere accolta, contenu-ta e sostenuta. Simbolicamente è come se avessi «preso in brac-cio» la mia paziente e mi fossi presa cura totalmente dei suoi bi-sogni. Questa regressione, ovviamente, ha attivato anche una for-te dipendenza e in varie occasioni è come se mi fossi trovata difronte a una bambina piccola, e non a una donna adulta.

In questa fase del lavoro con la signora S. è stato fondamen-tale il poter vivere quella «triplice alleanza» di cui parlavo prima.Oltre a prendere simbolicamente in braccio la signora, infatti, do-vevo riuscire anche ad allearmi con i bisogni emotivi del figlio ead accogliere le richieste concrete fatte dai vari operatori coin-volti nel trattamento di Giulio. Tutto ciò ha evitato che il coun-seling si trasformasse in una terapia personale della madre.

La particolare dimensione affettiva e relazionale del counse-ling, unita al lavoro terapeutico su obiettivi mirati, ha gradual-mente portato a un cambiamento positivo, attivando nella signo-ra S. una migliore capacità di prendersi cura di Giulio, di «ascol-tarlo» e di rispettare i suoi tempi e i suoi desideri. La qualità del-la relazione tra madre e figlio sta notevolmente migliorando, lasignora S. inizia a vivere in modo più sereno e gratificante il suoruolo genitoriale e sempre di più riesce ad attribuire un signifi-cato ai comportamenti di Giulio e a sostenerlo nel suo percorsoterapeutico. La signora S., inoltre, si mostra sempre più attiva eautonoma rispetto alla mia figura, come se avesse interiorizzatolo spazio terapeutico del counseling e, di conseguenza, la sua ca-pacità di riflettere e di lavorare sulle varie tematiche prosegue an-che fuori dal setting, tra un incontro e l’altro.

Nonostante tutti questi significativi miglioramenti, il lavoroterapeutico con la signora S. (e anche con Giulio) sarà ancoralungo e complesso. Credo, però, che una tappa importante siastata raggiunta e ora si inizierà a lavorare su altri obiettivi speci-fici, potendo contare su questa «funzione materna» ritrovata.

BIBLIOGRAFIABINETTI P., BRUNI R., Il counseling in una prospettiva multimodale, Roma,

Edizioni Magi, 2003.

GIANNAKOULAS A., FIZZAROTTI SELVAGGI S., Il counselling psicodinamico,Roma, Borla, 2003.

TSIANTIS J., BOETHIOUS S. B., HALLERFORS B., HORNE A., TISCHLER L. (2000),Il lavoro con i genitori, Roma, Borla, 2002.

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COUNSELING PER I GENITORI

Idati riguardanti il sovrappeso-obesità e i DCA (Disturbidel Comportamento Alimentare) in adolescenza sonoabbastanza preoccupanti; circa un adolescente su cinque

ha problemi in tal senso. Nonostante le varie campagne diinformazione sulla corretta alimentazione e l’insegnamentonelle scuole, non si assiste a un miglioramento della situa-zione. È come se le argomentazioni sull’alimentazione, sep-pur proposte e trattate in maniera scientifica e corretta, nonriescano a penetrare e a modificare alcuni comportamenti er-rati degli adolescenti per quanto riguarda il rapporto con glialimenti; sembra addirittura che si parlino lingue diverse!Occorre allora immedesimarsi nel linguaggio degli adole-scenti, a volte semplice e immediato, in altre molto com-plesso, per proporre temi di alimentazione corretta ed equi-librata stimolando la loro intelligenza attraverso riflessioni«alla loro portata».

L’adolescenza è un periodo della vita compreso tra i 12 ei 19 anni. Studi recenti parlano di un allungamento di questoperiodo tra i 9 e 24 anni, importantissimo per i cambiamentiche si verificano nella persona; è la fascia di età più ricca dicambiamenti a livello fisico, psichico ed emotivo, è l’età d’o-ro per fare prevenzione; un corretto «investimento» durantel’adolescenza è un «bene» che dura tutta la vita.

Si può ben capire quanta importanza abbia l’alimentazio-ne in questo periodo che seppure con alcune mediazioni, nondeve mai essere lasciata al caso. Volendo provare a definireche cos’è l’alimentazione potremmo dire che è «l’introdu-zione di alimenti scelti, preparati e ingeriti in forme e moda-lità diverse, atte a soddisfare le esigenze energetiche e nutri-zionali dell’organismo». Ecco la chiave di lettura: soddisfarele esigenze dell’organismo con alimenti vari, preparati in for-me accettabili e accettate dagli adolescenti, ascoltare le loroesigenze e propone un’alimentazione «giusta» per loro, alpasso con i loro ritmi e con i loro tempi.

Tuttavia occorre fare molta informazione perché la «ma-teria adolescente» si plasmi e diventi consapevole delle basidi una corretta alimentazione; un adolescente, anche se appa-rentemente refrattario, ha molta voglia di «recepire», bastaparlare il suo linguaggio!

Osserviamo le immagini che seguono, accompagnate dal-le domande. Apparentemente sono tre banali domande che,rafforzate dalle immagini, attirano subito la curiosità dell’a-dolescente e stuzzicano la sua intelligenza a dare una rispostao comunque, nella peggiore delle ipotesi, non lo lascia «re-

frattario e indifferente» di fronte all’argomento, sarà portato achiedersi che cosa gli voglia dire chi ha proposto queste do-mande.

Il corpo di un adolescente è come un caminetto che ha bi-sogno di tanta legna per «bruciare» molto, di tanto cementoper costruirsi solido ed è anche come una Ferrari che ha bi-sogno del giusto «carburante» per andare a 300 all’ora.

Semplici considerazioni, banali se vogliamo, che spin-gono alle prime riflessioni su concetti molto più comples-si riguardanti i fabbisogni di un adolescente, il metaboli-smo, ecc.

• Quando si salta un pasto (specie la colazione) non si met-te la legna e il corpo non ha energia da bruciare.

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PROSPETTIVE PEDIATRICHE

Le caratteristichedel comportamento alimentare

in adolescenzaPIETRO CAMPANARO

Medico Chirurgo-Nutrizionista, Specialista in Scienze dell’Alimentazione,Collaboratore del Centro Regionale di Fisiopatologia della Nutrizione Giulianova – ASL Teramo

– Si può avere un bel fuoco che brucia senza mettere legnanel caminetto?

– Si può costruire una casa senza cemento?

– È corretto mettere il Diesel in una Ferrari?

• Quando non si introducono abbastanza minerali e vitami-ne la struttura non viene su solida.

• Quando gli alimenti che si mangiano sono sbagliati il«motore» si ingolfa e la macchina non corre velocemente.

Altre considerazioni che mettono in evidenza in manieramolto semplice gli errori fondamentali più comuni dell’ali-mentazione di un adolescente e lo fanno riflettere sulla pro-pria alimentazione. È giunto il momento di chiarire e ap-profondire per i più «curiosi» alcuni di questi concetti fonda-mentali espressi.

Cominciamo dal metabolismo. Tutta la complessità dellamateria può essere riassunta in pochi sintetici concetti: il me-tabolismo è l’energia utilizzata da un individuo a riposo, inuno stato termico neutrale, a digiuno da 12-14 ore, in condi-zioni di totale rilassamento psicologico e fisico, esso corri-sponde al 60-75% della spesa energetica totale ed è l’energiautilizzata dall’organismo per compiere i lavori interni neces-sari al mantenimento del corpo, cioè quello che l’organismoconsuma per mantenersi «acceso al minimo». Ma per potersimantenere «acceso al minimo» un organismo, come il fuoco,ha bisogno di un «minimo di legna».

Affrontiamo ora la questione dei fabbisogni di un adole-scente. Quasi tutti hanno una cultura sulle diete, quasi nessu-no sa quali sono i propri fabbisogni. Il fabbisogno di energiadi un adolescente dipende dalla fascia di età:

MASCHI FEMMINE

13-15 anni 2550 2150

16-17 anni 2800 2200

18-20 anni 3050 2150Fonte LARN (Livelli di Assunzione Raccomandabili di Nutrientiper la popolazione italiana)

Tanti adolescenti che stanno a «dieta» introducono moltomeno del fabbisogno quotidiano per paura di ingrassare (ilfuoco non arde), altri molto di più, ma alimenti non utili aifabbisogni dell’organismo (il motore si ingolfa con un carbu-rante non adatto).

Arriviamo al punto dell’alimentazione equilibrata; moltosi è detto e molto si è proposto per promuovere un modello dialimentazione equilibrata. Anche in questo caso, semplifi-cando al massimo, possiamo dire che l’alimentazione equili-brata deve essere caratterizzata da una giusta proporzione trai nutrienti:

Carboidrati 55-60%Grassi 25-30%Proteine 10-15%

e da una corretta ripartizione dei nutrienti nell’arco dellagiornata:

Colazione e spuntino mattina 15-25%Pranzo e merenda 40-45%Cena 35-40%

Concetti molto complessi da far paura perfino a un matema-

tico? Niente di più semplice! Basta alimentarsi prevalente-mente con pane, pasta, riso, biscotti, fiocchi di cereali (car-boidrati 55-60%), non mangiare troppi secondi (proteine 10-15%), un secondo nell’arco della giornata può bastare, e fareun po’ attenzione ai condimenti (grassi 25-30%) con qualchetrucchetto e senza nulla togliere al gusto.

Fare una buona colazione, un buon pranzo e una cena nontroppo pesante. Poche e semplici regole per attuare un’ali-mentazione equilibrata e una corretta ripartizione dei nu-trienti, il resto lo fa l’organismo dell’adolescente che con ilsuo metabolismo può andare a «300 all’ora»!

Le proposte di alimentazione per un adolescente non de-vono mai essere impositive, conviene invece indicare dellecorrette tracce da seguire, lasciando allo stesso le scelte da ef-fettuare senza vietare i «cibi da adolescenti». Di seguito sonoriportate alcune «tracce» per i vari momenti della giornata ealcune considerazioni sugli errori più comuni.

COLAZIONE

• Liquidi: latte, tè, caffè, latte di soia, latte di riso, succo(migliorano la funzionalità intestinale, reintegrano la per-dita di liquidi durante il sonno).

• Alimenti prevalentemente carboidrati: pane, fette biscot-tate, cereali, dolci casalinghi, biscotti casalinghi, ecc.(danno energia per affrontare la giornata).

Saltare la colazione o prendere solo un caffè crea un no-tevole stress al corpo, non fa attivare correttamente il meta-bolismo riducendo il consumo calorico, predispone a una fa-me e a un assorbimento maggiore nei pasti successivi.

SPUNTINO DEL MATTINO E MERENDA

• Liquidi: tè, caffè, succo.• Alimenti: piccolo panino, crackers, barretta di cereali, bi-

scotti da forno, gelato piccolo, yogurt gelato.

Reintegra il calo fisiologico delle energie, contribuisce adattenuare la fame a pranzo e a cena.

PRANZO

• Primo: (piatto prevalente) pasta, riso, minestra, pasta e le-gumi, o pane in equivalenza al primo per chi fa pranzo alsacco.

• Secondo: se occorre piccoli quantitativi.• Contorno: (importantissimo e preferibilmente crudo) in-

salata, ortaggi, verdure cotte.• Pane: modeste quantità.• Frutta: di stagione, modeste quantità (1 frutto).

Errori più comuni del pranzo:– consumare prevalentemente secondi (le proteine affatica-

no la digestione);– mangiare solo primo e frutta (tende a far ingrassare).

CENA

• Secondo: (piatto prevalente) carne, pesce, uova, affettati,formaggi, ecc., in rapporto alla struttura fisica.

• Contorno: (importante) insalata, ortaggi, verdure cotte.• Pane: quantità medie.• Frutta: di stagione, modeste quantità (1 frutto).

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PROSPETTIVE PEDIATRICHE

La pizza può sostituire una cena completa.

Gli errori più comuni della cena:– consumare prevalentemente carboidrati (affatica la dige-

stione);– mangiare grosse porzioni di secondo (aumenta l’apporto

di grassi e le proteine non utilizzate vengono trasformatein grasso).

ALCUNI TRUCCHI ALIMENTARI «GIUSTI»

L’hamburger è meglio senza sottiletta o formaggio e con po-che salse (più è «carico» più è difficile da digerire e ingolfa ilmotore).

Nella scelta delle salse per insaporire un alimento meglio ilketchup (100 calorie per 100 grammi) che la maionese (650calorie per 100 grammi).

La pizza meglio mangiarla a cena, possibilmente con le ver-dure e non abbinarla alle patatine fritte, il tutto diventa trop-po difficile da digerire e tende a far ingrassare.

Le bevande gassate (coca, aranciata, gassosa, ecc.) sono

molto zuccherine, consumarne una quantità elevata è comemangiare tanti dolci, conviene berne al massimo 1-2 bicchie-ri o 1 lattina al giorno.

Per chi pratica attività fisico-sportiva è importante che primadell’attività (60-90 min.) vengano introdotte energie sotto for-ma di carboidrati (maltodestrine) per favorire la prestazionefisica, il consumo di energia e di grassi e preservare la massamuscolare: pane e marmellata o cioccolata, crostata di frutta,dolci da forno sono l’ideale.

Sicuramente i dolci e la cioccolata non sono da colpevo-lizzare, vanno considerati gratificazioni e si possono consu-mare facendo attenzione a non eccedere nelle quantità e so-prattutto dopo aver garantito all’organismo tutti i nutrientifondamentali. Non ci si deve «saziare» con i dolci! ♦

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PROSPETTIVE PEDIATRICHE

I.I.W. ISTITUTO ITALIANO WARTEGGFondatore e Presidente: Prof. Alessandro Crisi

L’I.I.W. propone in ambito Clinico, della Selezione, dell’Orientamento e dellaRicerca una nuova modalità di interpretazione del Test di Warteggcompletamente originale e innovativa rispetto a quella proposta dal suoideatore Ehrig Wartegg. Tale metodica che, a partire dal 2002 è stataintrodotta nei Reparti Selezione della Marina Militare, dell’EsercitoItaliano e della Polizia di Stato, si avvale anche di specifici softwarerealizzati per soddisfare le diverse esigenze di ciascun ambito di applicazione.L’I.I.W. opera a Roma offrendo i seguenti servizi:

1. ATTIVITÀ DIDATTICAAccreditato presso il Ministero della Sanità, oltre alla formazione specificasul nuovo metodo d’interpretazione del Wartegg, l’I.I.W. organizza corsi diformazione per Psicologi e Psichiatri su:• l’uso clinico di una Batteria di Test (Prove Grafiche, Wartegg, M.M.P.I.-2e W.A.I.S.-R);• singoli test quali il Rorschach; la WAIS-R; l’MMPI-2.

2. APPLICATIVOL’I.I.W. mette in vendita il materiale per l’utilizzo della nuova metodica eprecisamente: • schede per la somministrazione individuale o collettiva (copyright IIW); • software per la valutazione computerizzata del test in ambito Clinico, dellaSelezione e dell’Orientamento (copyright IIW).

3. SERVIZIO DI SCORINGPossono essere inviati protocolli Wartegg che l’I.I.W. provvede a siglare perpoi stilare un profilo computerizzato differenziato per il contesto Clinico,della Selezione o dell’Orientamento.

Maggiori informazioni possono essere richieste presso:Segreteria: 06.56.33.97.41 (il Ma, Me e Ve h 16-19)

www.wartegg.comemail: [email protected]

Le testimonianze dei genitori e di tutti coloro che quoti-dianamente agiscono in favore dei disabili favorisconouna maggiore consapevolezza delle varie problematiche

che si debbono affrontare in un’epoca, quale la nostra, d’ipe-rindividualismo esasperato. È chiaro come lo sforzo da fare siaquello di favorire processi d’integrazione in un ambientecostruito intorno al concetto di «normalità».

Le prove alle quali sono sottoposti i genitori di ragazzidiversamente abili sono dure ed estremamente difficoltose, nonsolo per le insuperabili «barriere mentali» della nostra società,ma anche per i conti che ognuno di loro deve fare con i sensi dicolpa. Si avverte l’inquietudine che pervade queste famiglie equella sensazione di sentirsi reciprocamente inadeguati.

Ognuno di questi ragazzi ha una sua identità, delle peculia-rità, delle insperate risorse, ma anche dei limiti; comunqueognuno di loro è una risorsa, con una propria storia di vita, unproprio percorso evolutivo, una modalità relazionale, una retedi legami, una propria organizzazione e un proprio equilibrio,che per quanto diversi o destrutturati sono comunque i suoi. Sidovrà prendere coscienza che la persona diversamente abile hauna sua elaborazione della realtà che non è ridotta rispetto allanostra, ma strutturalmente diversa. Assodato ciò, le famiglie,sostenute dalla società, dalle istituzioni, devono iniziare questolungo e tortuoso cammino intrapreso con la volontà di rendereautonomo il ragazzo. Ma la tentazione di caricare sulle propriespalle il ragazzo con tutto il fardello di difficoltà e amarezze ègrande! Forse sarebbe più comodo, meno frustrante o forse

darebbe la sensazione di giusta espiazione della «presunta»colpa.

Inoltre, questi genitori conoscono molto bene il valore diun cammino condiviso, fatto di brusche o impercettibili acce-lerazioni, ma anche d’interminabili rallentamenti; ma tuttociò deve essere fatto necessariamente «insieme» con la spe-ranza che anche gli altri capiscano e accettino. Ma perché glialtri accettino è necessario che avvenga una rivoluzione cul-turale nella società, alla cui base deve esservi «l’integrazio-ne» e la responsabilità sociale; la società deve essere consa-pevole del fatto che il diversamente abile o viene collocato alsuo centro o non sta da nessuna parte. Senza assunzione diresponsabilità sociale, oltretutto, non può esistere cura dellapersona con «disabilità», che viene quindi vissuta comecosto, problema; senza cura delle relazioni verso la personadiversamente abile non c’è responsabilità sociale, ma azioneadempitiva di cose dovute e servizi necessari.

Sullo sfondo di questo progetto emerge la volontà diprendersi cura della disabilità non come un problema, macome una dimensione della vita; ciò ha permesso di ridise-gnare il valore dell’umanità del singolo, che non può maiessere svincolata dalla sua dimensione sociale.

È ormai evidente come l’elevata qualità deve contraddi-stinguere l’impegno dell’associazionismo e del volontariato;solo attraverso la qualificazione di questi soggetti si potràgarantire ai nostri ragazzi un adeguato supporto «abilitativo»in grado di permettere un loro graduale e stabile inserimentosociale.

Il mio lavoro mi porta, quotidianamente, a incontrare gio-vani con malattie e con disagi più o meno gravi; grazie all’in-segnamento quotidiano fornitomi da questi ragazzi (e dalleloro famiglie) ho imparato a considerare la sofferenza e ledifficoltà come maestre di vita, ragion per cui i malati, le per-sone diversamente abili, ma anche i poveri e persino i tossi-codipendenti, appaiono come entità, come centri di sapere. Eallora, chi più soffre più sa.

Da diversi anni collaboro con alcune associazioni divolontariato la cui attività è volta all’assistenza di giovanisoggetti con disabilità; l’essermi inoltrato in questo particola-rissimo settore ha contribuito notevolmente alla mia crescitaprofessionale e umana. Per tutto ciò sono a loro molto grato.

Credo che il miglior modo per concludere questo mio breveintervento sia quello di citare una bellissima frase di MarioCapanna tratta dal libro Speranze: «È giunto il momento diconsiderare il presente in base al futuro, più che in relazione alpassato!».

Solo così daremo corpo ai sogni e ai diritti dei nostriragazzi. ♦

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PROSPETTIVE PEDIATRICHE

La disabilità vista da unmedico degli adolescenti

GIUSEPPE RAIOLAU.O.S. di Auxoendocrinologia e Medicina dell’Adolescenza, U.O. di Pediatria,

A.O. «Pugliese-Ciaccio» – Catanzaro

La tendenza dell’uomo a servirsi degli animali per gliscopi più disparati e a vivere a stretto contatto con essiè diffusa in tutte le culture e società. Tale tendenza è le-

gata al principio del benessere psico-fisico, che ha come pun-to d’origine il rapporto affettivo che l’animale è in grado di in-staurare con l’essere umano.

Il rapporto uomo-animale alle origini fu favorito dalla so-miglianza delle rispettive strutture sociali, in quanto entrambivivevano in gruppi e cacciavano gli animali, formando vere eproprie bande.

Varie sono le ipotesi che cercano di spiegare come sianonati i primi contatti tra l’uomo e il cane; quella più accredita-ta ipotizza un incontro casuale, probabilmente durante la cac-cia, con dei lupacchiotti che una volta portati nella dimoraumana avrebbero interagito con l’essere umano, e in partico-lare con i bambini e da lì sarebbe cominciata la prima dome-sticazione. In effetti diversi sono i documenti storici dai qualiè possibile affermare che la relazione tra l’uomo e il cane è ba-sata su un legame atavico, legame che coinvolge diversiaspetti: cane come collaboratore per la caccia e quindi per lasopravvivenza della specie, cane come oggetto da venerareavente funzioni magiche e propiziatorie, cane come compagnocon cui avere uno scambio affettivo sereno e gratificante.

ESORDI DELLA PET-THERAPY

La storia dell’utilizzazione degli animali come coadiuvanti al-le normali terapie mediche può essere fatta risalire già al tem-po della preistoria. Il gran numero di animali citati nella mito-logia e i numerosi dipinti di domesticazione degli animali pro-vano che l’interazione tra l’uomo e l’animale in realtà non èfrutto di nuove scoperte ma che tale rapporto è esistito da sem-pre.

I primi resoconti documentati risalgono al 1792 quando inInghilterra, presso il York Retreat Hospital, lo psicologoWilliam Tuke, insieme ad alcuni suoi collaboratori, incoraggiòi suoi pazienti malati di mente ad accudire gli animali per po-tenziarne l’autocontrollo e lo scambio affettivo. Nel 1942 ilPawling Army Air Force Convalescent Hospital utilizzò glianimali da compagnia, ritenendoli efficaci nel modulare posi-tivamente lo stato psichico dei pazienti. Nel 1970 pressol’Ospedale Psichiatrico Infantile del Michigan venne adottatoun cane come sostegno psicologico per i bambini ricoverati.

La Pet-Therapy nasce in America grazie al neuropsichiatra

infantile Boris Levinson, il quale notò che la presenza del pro-prio cane aveva effetti positivi durante le sedute con i suoi pic-coli pazienti. Documentò il modo in cui l’animale da compa-gnia fungeva da «ponte» tra il professionista e il paziente, fa-vorendo il costituirsi di un’alleanza terapeutica e fornendo alpaziente la motivazione a partecipare attivamente al processoterapeutico stesso. L’animale forniva al bambino la possibilitàdi proiettare il proprio mondo interiore, difficilmente esprimi-bile, ed era occasione di scambio affettivo e di gioco che ren-devano più gradito l’incontro terapeutico.

Grandi personalità nel campo della ricerca psicologica edetologica, come Bowlby e Lorenz, sottolineano l’importanzadello scambio affettivo ed emozionale per il benessere e la sa-lute di un individuo, e sono proprio queste le variabili princi-pali che entrano in gioco nella relazione uomo-animale.

Secondo Guttaman gli animali esercitano un effetto posi-tivo anche a livello dei processi comunicativi, aiutando il bam-bino a superare il delicato passaggio dal linguaggio orale allinguaggio scritto.

Molti psicologi hanno compiuto osservazioni per verifica-re l’utilità pratica dell’impiego della Pet-Therapy. In un’inda-gine condotta negli Stati Uniti, su oltre 400 psicoterapisti lamaggior parte di essi ha affermato di avere utilizzato tale ap-proccio, soprattutto con i bambini. Bernard (1989) ha rilevato,su bambini mentalmente ritardati, l’effetto maggiormente sti-molante della presenza di un cane rispetto a un giocattolo.Analogamente Pellettier (1989) ha ipotizzato come la presen-za di un animale familiare potesse determinare in bambini af-fetti da Sindrome di Down uno sviluppo significativo di com-portamenti sociali positivi verso l’animale e una diminuzionesignificativa di comportamenti sociali negativi.

Il meccanismo che entra in gioco in questi casi è semplice:l’animale, attraverso il gioco e la comunicazione non verbale,esercita sui bambini difficili, nei momenti più critici dello svi-luppo, una funzione sia educativa che terapeutica.

DIFFERENZE TRA AAA, TAA, EAA

Pet Therapy – in italiano Uso Terapeutico degli Animali daCompagnia (UTAC) – è un termine generico che indica un sup-porto ai metodi di cura che interessano alcune patologie conl’ausilio degli animali. Tale termine, se da un lato ha il vantag-gio di essere breve e facilmente memorizzabile, nasconde am-biguità che possono dare adito a fraintendimenti concettuali:

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APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE

Il mondo sconosciutodella Pet Therapy

Le Terapie Assistite con il cane: definizione, metodologia e finalità

FRANCESCA ALLEGRUCCIResponsabile scientifico dell’ANUCSS (Associazione Nazionale Utilizzo del Cane per Scopi Sociali)

BARBARA SILVIOLIPsicologa dell’età evolutiva, ANUCSS

non fa capire bene chi sia il fruitore della terapia, se l’uomo ol’animale, e può far pensare che si utilizzino esclusivamenteanimali da compagnia come cane o gatto. In realtà in questo ti-po di interventi «l’elemento terapeutico» è la relazione che l’a-nimale è in grado di instaurare con l’essere umano e l’uomo èil «fruitore» dell’intervento. Gli animali utilizzati negli inter-venti sono molteplici e variano a seconda delle specifiche esi-genze (cavallo, delfino, cane, animali da cortile, gatto, ecc.).

La Pet Therapy si presenta sotto diverse forme: le AttivitàAssistite con gli Animali (AAA), le Terapie Assistite con gliAnimali (TAA), l’Educazione Assistita con gli Animali (EAA).Non sempre la linea di confine tra queste tipologie risulta chia-ra. Sebbene diverse ricerche abbiano dimostrato che il contat-to con gli animali – per gli input emotivo/sensoriali gioiosi erilassanti che offre – di per sé può avere effetti terapeutici dalpunto di vista psicofisiologico, non sempre si può parlare diPet Therapy. Da questo punto di vista anche l’adozione di unanimale domestico ha un risvolto «terapeutico», che costitui-sce un apprezzabile plusvalore, ma non si tratta di Pet Therapy.Altra confusione molto diffusa è quella che ha indotto a defi-nire «terapie» iniziative che, per l’assenza di una precisa in-tenzionalità terapeutica e delle necessarie figure professiona-li, si pongono piuttosto nel campo delle «attività» con anima-li (Giuseppini, 1997).

ATTIVITÀ ASSISTITE CON GLI ANIMALI (AAA)Le Attività Assistite con gli Animali (AAA) consistono in attivitàdi tipo ricreativo e rieducativo che mirano a migliorare la qua-lità della vita incrementando, per mezzo dell’animale, lo statogenerale di benessere di alcune categorie di persone. Per esem-pio gli anziani o i malati terminali soffrono spesso a causa del-la solitudine in cui il loro status li costringe. Un animale in que-sto caso offre amicizia, compagnia, è fonte di allegria e spessostimola e motiva al gioco e alle passeggiate che, a loro volta, fa-cilitano i contatti sociali. L’AAA si esprime in una varietà diazioni condotte da professionisti, paraprofessionisti e volonta-ri in associazione con animali che presentano determinate ca-ratteristiche e criteri (ovviamente il personale deve possederespecifiche conoscenze sugli animali e sulla popolazione con cuiinteragisce). L’AAA può essere sia attiva-diretta, prevederecioè il contatto fisico con l’animale, che attiva-indiretta.Nell’ultimo caso la persona, pur non toccando l’animale, traeugualmente benefici dalla sua presenza, dall’osservarlo e/o daisuoni da lui emessi. A tal riguardo ricordiamo gli esperimenticondotti presso studi dentistici dove l’introduzione di un ac-quario, in alcuni casi, ha addirittura evitato il ricorrere all’ane-stesia nel curare i pazienti: la varietà dei colori, il rincorrersi deipesci, il simpatico suono prodotto dalle loro bollicine provoca,infatti, uno stato di relax profondo e intenso.

Gli obiettivi principali delle AAA sono quelli di favorire lasocializzazione e fornire agli utenti un momento di svago e di-vertimento.

A differenza delle Terapie Assistite con gli Animali, le AAA

non hanno obiettivi specifici programmati per ogni sessione;gli operatori, siano questi professionisti o volontari, non sonoobbligati a raccogliere informazioni durante gli incontri, chevengono gestiti con spontaneità e la cui durata non è rigida-mente programmata.

LE TERAPIE ASSISTITE CON GLI ANIMALI (TAA)Le Terapie Assistite con Animali, sono interventi finalizzati acurare la salute psicofisica degli individui. Si tratta di co-terapierivolte a persone con problemi fisici e/o psichici, da affiancaread altre cure. Viene precedentemente realizzato un progetto in-dividualizzato, attraverso un’équipe multidisciplinare che col-labora alla stesura, verifica e messa in opera del progetto stesso.Tale intervento prevede innanzitutto la scelta dell’animale adat-to in base allo scopo da raggiungere.

Le TAA sono interventi co-terapeutici che hanno lo scopo dipromuovere e migliorare le funzioni fisiche, sociali, emoziona-li e cognitive dell’uomo; gli animali vengono utilizzati a scopoterapeutico, nelle scuole, nelle prigioni, negli ospizi, negli ospe-dali, nei programmi di recupero per tossicodipendenti o per lariabilitazione di persone affette dal virus dell’HIV, da spina bifi-da, dal Morbo di Alzheimer, da sindrome di Down, da autismo,ecc. Essendo obiettivo di una co-terapia quello di inserirsi al-l’interno di un progetto terapeutico più ampio, al fine di contri-buire a migliorare alcuni deficit legati alla patologia, o ridurre glieffetti negativi della salute del paziente, rispetto alle attivitàsvolte con l’ausilio degli animali (AAA), le Terapie Assistite congli Animali agiscono su una malattia che è stata diagnosticata se-guendo un preciso protocollo terapeutico.

Dunque quello che distingue le Attività Assistite con gliAnimali dalle Terapie è che le seconde prevedono necessaria-mente la collaborazione di molteplici figure professionali (dalneurologo al fisiatra, dallo psicologo al pedagogista, ecc.) chesono in grado di sfruttare al meglio le potenzialità del cane, del-l’utente e della loro relazione; prevedono, inoltre, la presenza diuna progettazione specifica in grado di garantire che l’attività tral’animale e l’utente non avvenga per caso, solo per il fatto cheessi interagiscono spontaneamente tra di loro. Centrale saràquindi il «come» essi interagiranno, in modo che i risultati otte-nuti siano stati in un certo senso programmati e attesi. Infine, al-tra sostanziale differenza è che mentre i risultati delle AAA nonvengono misurati ed osservati empiricamente, nel caso delle TAA

è prevista la raccolta dei dati e la sperimentazione al fine di ef-fettuare una valutazione in termini di processo e di esito.

EDUCAZIONE ASSISTITA CON L’AUSILIO DI ANIMALI(EAA)L’EAA è una forma di educazione mediata dall’animale di ti-po prettamente ludico, costituita da incontri che coinvolgonogli animali, appositamente preparati in contesti educativo-for-mativi. Per il bambino l’animale riveste un ruolo affettivo no-tevole, grazie alla capacità relazionale dell’animale stesso,che permette un continuo scambio emozionale.

Con l’animale i bambini instaurano un rapporto mimico egestuale, riscoprendo la capacità non verbale di comunica-zione e affinando la propria sensibilità e ricettività ai segnaliesterni di piacere e di stress del compagno di giochi; questirappresentano tutta una serie di fattori fondamentali anchenella vita sociale tra coetanei e adulti, quindi necessari per unastrutturazione equilibrata della personalità.

ANIMALI IMPIEGATI IN PET THERAPY

Gli animali che vengono solitamente coinvolti nella Pet

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APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE

Therapy sono: asini, capre e mucche; criceti e conigli; uccel-li; pesci; delfini; cavalli; gatti; cani.

• Criceti, conigli: sono animali molto diffusi nelle nostre case,perché piccoli e gestibili molto facilmente. Osservare, acca-rezzare, prendersi cura di questi animaletti può arrecaregrande beneficio soprattutto ai bambini che stanno attraver-sando una fase difficile nella loro crescita.

• Uccelli: in particolare è stato rilevato l’effetto benefico deri-vato dal prendersi cura di questi animaletti.

• Pesci: è stato constatato che l’osservazione dei pesci di un ac-quario può contribuire a ridurre la tachicardia e la tensionemuscolare, avendo una forte capacità rilassante.

• Delfini: in Pet Therapy occupano un posto privilegiato.Risultano particolarmente efficaci per pazienti affetti da de-pressione e disturbi della comunicazione, e soprattutto per ipazienti autistici, aiutandoli a uscire, almeno parzialmente dalproprio isolamento. Purtroppo i costi proibitivi delle struttu-re e del mantenimento degli animali impediscono l’utilizzopiù ampio dei benefici di questa terapia.Il contatto con i delfini stimola inoltre la motivazione, l’au-mento di fiducia, la capacità motoria e comunicativa, la ca-pacità di memorizzare e di elaborare concetti.Non dimentichiamo inoltre che il luogo in cui viene effettuatafornisce un feedback positivo cinestesico e di riduzione del-lo stress.

• Cavallo: la terapia per mezzo del cavallo viene identificatacome ippoterapia. Con questo termine intendiamo un insie-me di attività equestri eseguite con una finalità terapeutica,diretta ai disabili fisici, psichici o con diverse problematichesocio-relazionali.Interessa diverse aree:– sviluppo e potenziamento muscolare;– orientamento spaziale;– abilità visuo-spaziali semplici e complesse;– integrazione relazionale.Nell’ambito dell’ippoterapia si riconoscono generalmen-te quattro fasi denominate: 1) ippoterapia; 2) riabilitazioneequestre; 3) fase presportiva; 4) fase sportiva.Non tutti i pazienti raggiungono la fase della riabilitazione,data la gravità della loro disabilità. Si distingue nettamente la pratica sportiva per disabili, chenon agisce specificatamente sulla menomazione e la disabi-lità, pur avendo un effetto favorevole sulla persona disabile.

• Gatto: per le sue caratteristiche di indipendenza e facilità diaccudimento, lo si preferisce per persone che vivono sole eche non sono agevolate negli spostamenti.

• Cane: l’utilizzo del cane nella Pet Therapy è fortemente pri-vilegiato poiché possiede caratteristiche che gli consento diavere una grande capacità di relazionarsi con l’ambiente econ l’essere umano in modo del tutto particolare.

POTENZIALITÀ DELL’IMPIEGO DEL CANE NEIPROGRAMMI DI AAA E TAA

Laddove la capacità di comunicazione e/o di relazione tra uomoe uomo sono compromesse, il contatto con l’animale – caratte-rizzato da immediatezza, spontaneità, assenza di giudizio o cri-tica – permette al paziente di superare molti timori e percezioni

di inadeguatezza. La fiducia e l’apprezzamento incondizionatoche mostra il cane favorisce nel paziente lo sviluppo di un sensodi sé positivo.

L’aspetto più immediatamente corporeo del contatto ha unimportante effetto su tutto l’apparato psicomotorio. Giocare conun cane significa essere stimolati a camminare o correre insiemea lui, lanciare e recuperare oggetti, rincorrerlo, toccarlo, acca-rezzarlo. Significa anche relazionarsi con l’animale, tenendolo ingrembo, sedendosi o sdraiandosi vicino a lui, sentendo il caloree la morbidezza del suo pelo, apprezzando i colori e gli odori delmanto, riuscendo a comprendere le espressioni e i diversi segna-li che ci invia di gratificazione, di fastidio, di richiesta, ecc.

Si tratta di interazioni complesse, che coinvolgono l’appara-to motorio-percettivo, così come quello emotivo-affettivo, chesviluppano la consapevolezza del «proprio essere nel mondo» edel proprio io-corporeo, favorendo l’evoluzione spontanea di ca-pacità e conoscenze necessarie alla relazione.

Il cane, inoltre, è in grado di riconoscere la disabilità dellapersona con handicap, e riesce pertanto a modulare naturalmen-te il suo comportamento in modo da rispettarne le caratteristiche,esso è in grado di decidere quale comportamento adottare a se-conda delle circostanze. Adifferenza dell’uomo, però, non dà ungiudizio di valore su tali diversità: il suo comportamento non èinfluenzato da pregiudizi o implicazioni morali che possono con-dizionare negativamente i rapporti con gli umani. Certi aspettiquali un’eccessiva salivazione, forti odori, stridii e vocalizzi par-ticolari, stereotipie comportamentali – che solitamente generanodistanza nel rapporto tra esseri umani – sono elementi abituali nelmondo comunicativo-relazionale dei cani e quindi non solo nongenerano reazioni di rifiuto o fuga ma, spesso, ne catalizzano l’at-tenzione e l’interesse. La presenza dei deficit fisici, sensoriali e/opsichici spesso non è d’ostacolo alla comunicazione, in quanto ilcane è capace di interagire a qualsiasi livello di gravità del sog-getto e lo fa utilizzando soprattutto la corporeità e il linguaggionon verbale.

A livello cognitivo il cane può essere utilizzato per stimola-re un bambino a contare le sue zampe o il numero di volte in cuiriporta una palla; può insegnargli a rispettare i tempi di attesa traun esercizio e l’altro, ecc.

A livello motorio il cane può stimolare azioni quali il corre-re o il lanciare oggetti, può accrescere la consapevolezza del-l’intensità del tocco e favorire il coordinamento oculo-manuale,accarezzandolo o porgendogli un biscotto.

L’orientamento spaziale può essere sviluppato prevedendo ladirezione in cui il cane correrà per recuperare l’oggetto o indivi-duando la sua posizione rispetto al paziente.

La presenza del cane, a livello della socializzazione, intensi-fica la comunicazione verbale e le interazioni con le altre perso-ne, si tratti dell’operatore, del terapeuta o di chiunque altro par-tecipi alle attività con l’animale.

Per quanto riguarda l’autonomia, l’acquisizione di capacità diaccudimento, anche così semplice come dare il cibo o spazzola-re l’animale, rendono il paziente molto più sicuro di sé e dispo-nibile all’apprendimento di autonomie inerenti la propria vitaquotidiana e l’autogestione. La presenza di un forte polo di at-trazione come il cane è insostituibile: accentra a lungo l’interes-se e aiuta a memorizzare e integrare apprendimenti diversi. Ed èproprio in virtù delle innumerevoli sollecitazioni che nasconodalla relazione con l’animale e che offre a tutti i livelli, fisici e

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APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE

Accreditato con il SSN • Sede di aggiornamento professionale

Aggiornamento professionale per gli insegnantiscuola dell’infanzia – scuola primaria – scuola secondaria di primo grado

(autorizzazione MIUR – Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio – Decreto prot. n. 7961 del 15/06/05)

• ANNO SCOLASTICOANNO SCOLASTICO 2007/2008 2007/2008 •

CITTADINI DEL MONDO!• Analisi delle problematiche relative all’integrazione scolastica

del bambino e dell’adolescente immigrato.• La progettazione e la gestione di azioni educative specifiche.• La programmazione di Unità Didattiche di Apprendimento.• La riflessione metaculturale e il circuito autogenerativo come

strumenti metodologici funzionali all’integrazione dellediversità culturali.

• La comunicazione tra famiglia e insegnanti per favorire il processo educativo.

• I rapporti tra i bambini immigrati e i compagni del gruppoclasse.

• Gli strumenti per la conoscenza e la gestione delle dinamichedel gruppo classe.

• La figura del mediatore culturale come facilitatore e promotore di azioni educative territoriali condivise.

• Lo sportello psicopedagogico nella scuola.inizio corso: autunno 2007

IMPARARE CON IL CORPO• Le problematiche psicomotorie nella scuola.• Lo sviluppo psicomotorio e l’apprendimento.• L’approccio psicomotorio a scuola: l’ambito educativo.• L’approccio psicomotorio alle materie curriculari.• L’espressione corporea e la comunicazione efficace.• I cambiamenti fisici e psicologici tipici della preadolescenza

e dell’adolescenza.• I cambiamenti fisici e le situazioni patologiche.• Come mettere in atto nel gioco della vita comportamenti

equilibrati dal punto di vista fisico, emotivo, cognitivo.inizio corso: autunno 2007

I DISTURBI DEL LINGUAGGIO EDELL’APPRENDIMENTO IN ETÀ EVOLUTIVA• Lo sviluppo del linguaggio e le sue componenti strutturali.

La comprensione e la produzione linguistica.• Gli aspetti costitutivi della lingua.• Caratteristiche generali del linguaggio infantile.• Le tappe fondamentali dello sviluppo della competenza comunicativa.• Il modello integrato della comunicazione.• Le patologie del linguaggio in età evolutiva.• Le patologie dell’apprendimento in età evolutiva.• L’approccio psicopedagogico ai disturbi del linguaggio

e dell’apprendimento.• I disturbi del linguaggio che interessano il versante fonetico.• I disturbi del linguaggio che interessano il versante lessicale, semantico

e sintattico.• Le dislessie in età evolutiva.• I disturbi dell’apprendimento scolastico

inizio corso: autunno 2007

IL LINGUAGGIO MUSICALE COME CONTESTO EDUCATIVO• La progettazione e la gestione di un’esperienza musicale collettiva.• La composizione musicale con i suoni informali. Il sistema suono/silenzio.

Il repertorio musicale. La composizione con i suoni vocalici. L’analisi e la composizione con i suoni alfabetici. Il parlato. La produzionemusicale con i suoni del corpo. La produzione musicale con strumenti e oggetti. La scrittura e la lettura dei suoni informali. I criteri e i concetticognitivi per la composizione musicale. Il Grafico musicale. Le sequenzetrasformazionali.

• La composizione musicale con i suoni formali. La scrittura dei suonicodificati. L’improvvisazione musicale collettiva. Il gioco musicale. Ilritmo e gli elementi di fraseologia. Il gioco musicale e la socializzazione.Elementi di musicoterapia.inizio corso: autunno 2007

PER INFORMAZIONI E ISCRIZIONI:Tel. 06.8552887 Fax 06.8557247 e-mail [email protected]

(è necessario indicare il nome della scuola e del referente da contattare con i relativi recapiti)Progetto Scuola: via P. Petrocchi, 8/B Roma - tel. 06.82003740

Istituto di OrtofonologiaCentro per la diagnosi e terapia dei disturbi della relazione e della comunicazione

• La scheda di rilevamento VHI, aspetti teorici sul funzionamento degliorgani fonatori, proiezione audio-video.

• Esercitazioni pratiche di rilassamento, stretching e respirazione, esercizi dicoordinazione pneumofonica.

• Esercizi vocali (altezza tonale, intensità) esercizi di risonanza, esperienze divoce proiettata finalizzate all’uso professionale della voce, questionario di gradimento.20-21 ottobre 2007

• SEDE DEI CORSI: SEDE DEI CORSI: VIAVIA ALESSANDRIAALESSANDRIA 128/B – ROMA128/B – ROMA ••Ogni Corso prevede: 30 ore in orario pomeridiano, una quota di partecipazione individuale di a 100,00

(solo per il corso LA VOCE la quota è di a 200) oppure una quota per l’istituzione scolastica di a 2.000,00.Le iscrizioni sono limitate dato il carattere dei corsi estremamente operativo.Verranno forniti materiali didattici e libri specifici.

Per i titolari di Magieoltre a 85.00

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psichici, che il cane diventa un veicolo privilegiato che consen-te all’uomo di fare un’esperienza ricca, unica e irripetibile in cuiemozioni e conoscenze nascono e si sviluppano in modo spon-taneo e naturale.

CON QUALE TIPOLOGIA D’UTENZA È PIÙ EFFICACELA PET THERAPY? In realtà non esiste un’utenza in particolare; l’impiego di pro-grammi di AAA e TAA ha visto applicazioni dagli esiti soddisfa-centi con patologie dell’infanzia e adolescenza (autismo, ADHD,ecc.), con disturbi sensoriali (sordità e cecità), con disturbi di per-sonalità, disturbi dell’adattamento, disturbi d’ansia e d’umore, di-sturbi psicotici, disturbi psichiatrici, con le tossicodipendenze, gliimmunodepressi e i malati terminali, con anziani, con i post co-matosi, ecc. È importante però tener conto che possono esisterecontroindicazioni al suo impiego in particolare con patologiequali ipocondria, disturbo ossessivo-compulsivo, depressionegrave, oligofrenia grave, qualsiasi patologia psichica che possaportare al maltrattamento dell’animale e zoofobia. Altri elemen-ti da tenere in forte considerazione sono la presenza di allergie alpelo degli animali o assenza di interesse per l’animale.Ovviamente dietro ogni patologia c’è la persona, che è unica e ir-ripetibile ed è quindi importante valutare di caso in caso e pro-grammare interventi individualizzati.

Pet Therapy, dunque, non vuol dire prendere un cane con séo averlo semplicemente accanto, per quanto piacevole possa es-sere la sua compagnia. Essa è una disciplina vera e propria. Inquanto tale non è una panacea per tutte le patologie e deve esse-re applicata dopo attenta valutazione: essa non è universalmen-te efficace, ossia non è adatta a tutti gli individui e solo esperti e

professionisti con una specifica preparazione nel settore sono ingrado di valutarne le possibilità e le modalità d’impiego.

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APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE

DARIO CASADEI – PIER LUIGI RIGHETTI (a cura di)L’INTERVENTO PSICOLOGICO IN GINECOLOGIAFORMA MENTIS – ISBN: 978-88-7487-212-1CC 23,00 – FORMATO: 14,5X21 – PAGG. 320

Negli ultimi anni si sta assistendoa un interesse sempre più spe-

cifico verso l'applicazione clinicadella psicologia in ambito ospeda-liero, con metodologie e interventimirati. L'apporto dello psicologo, aldi là dell'intervento di tipo diagno-

stico e terapeutico, è mirato alla cura della «qualità di vita» delpaziente ospedalizzato, del suo contesto relazionale ed è rivoltoanche al personale medico e paramedico. Nel volume vengonoesaminati i protocolli già sperimentati (e già applicati in alcunestrutture ospedaliere) e il ruolo che la psicologia può avere in areaginecologica. Gli autori (psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, gine-cologi, chirurghi ginecologi, onco-ginecologi e bioetici) presenta-

no con grande chiarezza le acquisizioni specifiche maturate sulcampo, senza tralasciare alcun aspetto specifico dell'area gineco-logica (il lavoro in corsia, protocolli di supporto chirurgico, l'areadell'oncologia ginecologica, aspetti di sessuologia, menopausa,bioetica e procreazione medicalmente assistita). Si tratta di untesto che affronta il vissuto ospedaliero nella consapevolezza delledifficoltà ancora presenti ma con la finalità di riportare la malattia,oggi altamente e solamente medicalizzata, a una dimensione«umana e personale». Per evitare che la tecnologia, la burocrazia,l'«efficienza» rendano il rapporto Sanità-Paziente un contratto percurare quella «macchina biologica» che è il nostro corpo, trascu-rando la sua intrinseca interdipendenza con la psiche e dimenti-candosi dell'attenzione che dev'essere invece prestata alla «perso-na» nella sua globalità.

Forma mentis

informadilibriNOVITÀ GENNAIO–APRILE

Negli ultimi tempi, grazie alla ricerca di StanleyGreenspan e ad altre recenti ricerche sui processi checostruiscono lo sviluppo della mente, una nuova teo-

ria si è aperta nel campo dell’autismo, apportando notevolicambiamenti nel modo di pensare e di vivere questo disturbo:«Abbiamo scoperto che le capacità più elevate della menteumana, come l’intelligenza, la moralità e il senso di sé, hannoinsospettate origini comuni» (Greenspan, 1997, p. 3).

Analizzando i primi stadi dello sviluppo della mente, «siè visto che ciascuno stadio richiede una serie di esperienzefondamentali e specifiche» (ibidem, p. 3). Contrariamenteall’idea cognitivista dello sviluppo, però, tali esperienze nonsono cognitive, ma essenzialmente emotive; per riprenderele parole di Greenspan esse «consistono in sottili scambiemotivi» (ibidem); ci si riferisce dunque a un’emotività fattadi scambio sottile, un’interazione sensibile costruita sui det-tagli, cui a me, personalmente, piace pensare come a unasorta di molecolarità dell’interazione.

La grande innovazione è costituita dunque dalla scopertache «in realtà sono le emozioni, e non la stimolazione cogni-tiva, a determinare l’architettura della mente» (ibidem).

Greenspan osserva come «l’importanza delle esperienzeemotive che sono alla base dello sviluppo mentale è semprepiù spesso sottovalutata in tutti gli aspetti della vita quotidia-na» (ibidem). Egli sostiene inoltre che il primato dell’aspettocognitivo su quello emotivo ha le sue origini nella filosofiadegli antichi greci: «Fin dai tempi della Grecia antica, i filo-sofi hanno posto il lato razionale della mente al di sopra diquello emotivo, considerandoli separati l’uno dall’altro» (ibi-dem, pp. 3-4). Tale concezione della mente, secondo cui l’in-telletto sarebbe una facoltà superiore, necessaria a dominarepassione e sentimento, «ha influito profondamente sul pen-siero occidentale, al punto di improntare di sé alcune dellenostre istituzioni e opinioni fondamentali» (ibidem, p. 4). Acausa di questa dicotomia, infatti, «la nostra cultura ha inve-stito a lungo e in misura incommensurabile, dal punto di vistaintellettuale e istituzionale, nell’idea che ragione ed emozio-ne siano separate e inconciliabili e che in una società civiledebba prevalere la razionalità» (ibidem). Per secoli abbiamoritenuto che intelletto ed emozione rappresentassero due parti

diverse della mente, in una visione polarizzata della menteche non è stata ancora superata. Gli psicologi moderni comeJean Piaget, che ha descritto gli stadi percorsi dal bambinoper imparare a pensare, e come Noam Chomsky, che ha ipo-tizzato il modello di acquisizione delle strutture grammatica-li, seppure abbiano apportato importanti contributi alla com-prensione delle strategie usate dai bambini per apprendere,trattano la nascita delle abilità cognitive separatamenterispetto allo sviluppo delle emozioni. Pur riconoscendo cheaffetto e intelligenza interagiscano e si influenzino, Piagetafferma che l’affetto non è la causa della strutturalizzazioneprogressiva che segna la crescita cognitiva.

Da queste premesse sono stati costruiti metodi di osser-vazione e interventi nell’ambito della psicologia dello svi-luppo e dell’educazione. Greenspan si chiede: «Ma si trattadavvero di premesse fondate?» (ibidem). I risultati emersi daricerche sullo sviluppo infantile mettono in luce le lacunedella teoria tradizionale.

Partendo dall’analisi dell’«architettura emotiva dellamente» e dei suoi livelli più profondi, Greenspan muove unacritica al modo di trattare i bambini e di catalogare i lorocomportamenti come ritardi cognitivi da parte di molti psi-cologi; e si pone un interrogativo: «Una bambina di un annoche lancia tutto attorno, cibo e giocattoli, e che non balbettaancora come quasi tutti i coetanei, ha un deficit intellettualesignificativo? Non riuscendo a convincerla nemmeno a cer-care una pallina nascosta sotto un bicchiere rovesciato, lopsicologo conclude che effettivamente è molto probabile chela bambina abbia un ritardo cognitivo» (ibidem). A questoproposito Greenspan muove una critica che è interessanteriportare per intero: «Sono cinquant’anni che gli espertichiedono a bambini di stare bravi in braccio alla mamma, diprestare attenzione e svolgere determinati esercizi in mododa far capire agli adulti quanto sono intelligenti. Sono cin-quant’anni che gli esperti suddividono quelli che non riesco-no a capire e ad esaudire le loro misteriose richieste in variecategorie di deficit mentale dai nomi più o meno astrusi. Glispecialisti hanno a lungo sostenuto che, assegnando un pun-teggio preciso alla capacità di infilare perni negli appositifori, di raggruppare dei cartoncini in base alla forma o di tro-

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APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE

L’importanza delle emozioninello sviluppo della mente

Stanley Greenspan, «Le origini emotive dell’intelligenza»*

CHIARA LUKACS ARROYOPsicologa

* in S. Greenspan, B. Lieff Benderly, The Growth of the Mind, 1997 (L’intelligenza del cuore, Milano, Mondadori, 1998). Questo articolonasce dell’esperienza di tirocinio presso l’associazione A.I.A.B.A. (Associazione Italiana per l’Assistenza ai Bambini Autistici), via Desi-derio da Settignano – 50135 Settignano (Firenze), in collaborazione con il dott. Xavier Barrett.

vare una pallina nascosta sotto un bicchiere, si possanomisurare con altrettanta precisione l’intelligenza e il grado dicompetenza raggiunto dai bambini» (ibidem, pp. 4-5).

Greenspan parte dai risultati di ricerche ed esperienzecliniche recenti per dimostrare che questo tipo di valutazio-ne si basa su premesse completamente sbagliate. Egli pro-pone un nuovo modo per valutare un bambino. Infatti quandoun altro esperto esamina una bambina adottando un approc-cio diverso, una varietà di comportamenti ed emozioni signi-ficative sembrano attraversare il bambino: prendendo comeesempio una bambina di dodici mesi, «la osserva giocare dasola e gli sembra attiva, curiosa, intraprendente: sta a senti-re il rumore delle macchinine che si scontrano, studia coninteresse la superfice ruvida di una palla di gomma, cerca ditirare per il naso la madre» (ibidem, p. 5).

Appena è stato cambiato approccio, incoraggiandola aprendere parte agli scambi scherzosi, lo psicologo si convin-ce che nel complesso il suo sviluppo cognitivo rientri nellanorma: «A un esame più approfondito la bambina si è rive-lata piena di energie e si è lanciata in balbettii più variegati»(ibidem). Se un approccio diverso è bastato a mettere in evi-denza le potenzialità linguistiche della bambina, «è chiaroche i test e i principi in base ai quali la bambina era statadichiarata ritardata hanno dei gravi limiti» (ibidem). Questoapre la strada a una nuova visione della mente secondo cui«la chiave dell’intelligenza e dello sviluppo mentale stanelle prime relazioni e nelle prime esperienze emotive, vis-sute attraverso l’eccitante reciprocità con la madre e nonrappresentate da capacità isolate come quella di inserire unperno in un foro o di trovare una pallina» (ibidem).

Tuttavia Greenspan insiste nell’evidenziare le resistenzedella società moderna nell’adottare questa nuova visionedello sviluppo mentale: «Le conclusioni sul ruolo delle emo-zioni nell’apprendimento del pensiero tratte dall’osservazio-ne di bambini [in età scolare] contrastano apertamente conl’interpretazione tradizionale dello sviluppo mentale, chesepara emozione e ragione privilegiando ora l’una, ora l’al-tra» (ibidem, p. 7). A questo proposito egli riconduce al pen-

siero di Kant, «considerato il padre della filosofia e della psi-cologia moderna» (ibidem), la formulazione degli interroga-tivi su cui da allora vertono gli studi cognitivi, e dunque leorigini di questa dicotomia. Kant, come anche Piaget e altriteorici cognitivi, descrivendo il modo in cui i bambini impa-rano a pensare, non ha mai preso in considerazione fino infondo, nelle sue teorie sulla conoscenza, il ruolo degli affet-ti e delle emozioni.

A tal proposito Greenspan riconosce l’innovazione delpensiero freudiano: «Freud, invece, ha rivelato l’esistenza dicomplessi meccanismi emotivi che influiscono profonda-mente sul comportamento» (ibidem). Egli sottolinea comeFreud, partendo dall’opera di filosofi come Schopenhauer,abbia dimostrato che i desideri inconsci non sono inferioriall’intelletto, bensì potenti forze che possono costituire unaminaccia per la razionalità. Dalle sue scoperte sono sorti inambito psicologico nuovi movimenti e visioni del rapportotra razionalità ed emotività.

Tra la fine degli anni Trenta e i primi anni Settanta pio-nieri come Hartmann, Thomkins, Kohut hanno individuatoaltri diversi ruoli positivi e negativi delle emozioni. Le loroidee si sono riflesse nell’educazione dei bambini. Si è ini-ziato a parlare con i figli di sensazioni e sentimenti: «Neglianni Sessanta e nei primi anni Settanta, nel sistema scolasti-co americano è stato riconosciuto l’aspetto emotivo del com-portamento» e in molte scuole si è parlato liberamente direlazioni e sentimenti (ibidem, p. 8).

Con la scoperta dei farmaci nel trattamento delle malat-tie mentali, l’interesse clinico si è orientato nel campo psi-cofarmacologico, mettendo le teorie freudiane talmente inombra che due recenti studi della scienza comportamentalee delle ricerche neurologiche sull’importanza delle emozio-ni sono stati accolti dai lettori americani come grandi novità,seppure entrambi mantengano per certi aspetti la dicotomiatradizionale tra sensazioni e conoscenza. A questo propositol’importanza dell’esperienza emotiva trova conferma in dueopere: facciamo riferimento all’opera di Daniel Goleman,collaboratore scientifico del «New York Times» e al suo uso

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APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE

La Scuola tiene anche un Master quadriennale in Psicoterapia ed Ipnosi per la formazione continua di medici e psicologi.Informazioni e iscrizioni:

S.M.I.P.I. - Società Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi, Via Porrettana 466, Casalecchio di Reno (BO) Tel 051.573046 Fax 051.932309 E-mail [email protected].

La Scuola fornisce una preparazione professionale formativa e culturale completa sulle principali teorie e sulle più efficaci prassi psicoterapeutiche. I particolari contenutiscientifici e operativi sono un’evoluzione dell’opera di Milton H. Erickson e di Franco Granone. Si riallacciano quindi alle più avanzate correnti della psicologia e dellapsicoterapia quali, fra le altre, quelle del Mental Research Institute di Palo Alto, alcune dinamiche, clinicamente comprovate, della Programmazione Neurolinguistica, lapsicoterapia paradossale, la terapia sistemica e familiare, la psicoterapia cognitivo-comportamentale, la terapia delle Gestalt.

Durante la frequenza di un Corso di Specializzazione non è necessario acquisire crediti ECM, e, per questo tipo di Specializzazione, si può continuare la propria attivitàprofessionale. Si possono acquisire diverse Specializzazioni, ma non contemporaneamente. Il costo per anno di corso è di 4.000 euro, in cui sono comprese tutte le attivitàdidattiche e formative obbligatorie, versabile in due rate, all’inizio di ogni semestre.

S.M.I.P.I.Società Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi

Presidente: Dr. Riccardo Arone di Bertolino

CORSO DI SPECIALIZZAZIONE IN PSICOTERAPIA E IPNOSI CLINICAPER MEDICI E PSICOLOGI

Abilitato D.M. 30/05/2002 e 17/3/2003

Ogni anno accademico del corso quadriennale inizia a settembre e si conclude a giugno.Per iscriversi alla Scuola è necessario un colloquio di ammissione.

La sede delle lezioni è a Bologna. Il Corso si svolge nei fine settimana per un totale di 12 week end (sabato e domenica) e di due stages di 9 giorni l’uno (settembre e marzo-aprile).Le ore di corso annuali 500, di cui 350 didattiche (parte generale e speciale), 100 di tirocinio (in diverse sedi in Italia) e 50 di supervisioni e formazione personale.

del termine «intelligenza emotiva» per richiamare l’atten-zione sui trascurati aspetti positivi delle emozioni nello svi-luppo, già descritti da Freud e altri, «compresa la capacità diinterpretarle, di rispondere ad esse e, nelle relazioni, diviverle con empatia» (ibidem). In sostanza il suo pensiero èche queste capacità contano più che non il grado di intelli-genza che si misura con i test del QI.

Nel campo della neurologia facciamo riferimento allericerche di Antonio Damasio, che hanno portato alla scoper-ta che lesioni della corteccia prefrontale, dove risiedono lefacoltà che regolano le emozioni, possono portare punteggirelativamente normali nei test di intelligenza e tuttavia com-promettere gravemente le capacità connesse al giudizio, allapianificazione motoria alla capacità di valutare l’ambiente.«Le ricerche neurologiche insomma avvalorano i risultatiottenuti da molti studiosi e psicoterapeuti sull’importanzadelle emozioni anche per funzioni complesse della persona-lità come la prova di realtà e il giudizio» (ibidem, p. 9).

Seppure dunque queste opere ridestano l’interesse per ilruolo delle emozioni nello sviluppo, esse mantengono inalte-rata la dicotomia storica tra sfera cognitiva e sfera affettiva,la prima privilegiando l’aspetto emotivo, e la seconda dimo-strando che certe lesioni cerebrali possono influire sulle emo-zioni senza influenzare altri aspetti critici dei processi cogni-tivi. «L’eterna dicotomia tra emozioni e intelligenza perduraperché, fino a tempi recenti, si è trascurato il modo in cui esseinteragiscono nelle prime fasi dell’evoluzione della mente,senza chiedersi per esempio se […] le emozioni non svolga-

no anche un ruolo specifico e importantissimo nello sviluppodell’intelligenza, o se l’esperienza emotiva non sia indispen-sabile per acquisire capacità cognitive tradizionali» (ibidem).Dagli studi di Greenspan sull’età evolutiva emerge che «illoro scopo principale è quello di creare, organizzare e orche-strare molte delle funzioni fondamentali della mente» (ibi-dem). Moltissime funzioni, quali intelligenza, senso di sé,coscienza e moralità hanno tutte radici comuni nelle primis-sime esperienze emotive: «Per quanto possa sembrare strano,le emozioni sono artefici di una vasta gamma di operazionicognitive nel corso di tutta la vita e rendono possibile il pen-siero creativo in ogni sua forma» (ibidem).

A favore del legame tra sfera affettiva e intellettivadepongono varie fonti, fra cui le ricerche in campo neurolo-gico, da cui si è scoperto che le primissime esperienze di vitainfluiscono sulla struttura stessa del cervello. A questo pro-posito è noto da tempo che l’esperienza può far sì che le cel-lule cerebrali vengano impiegate per determinati scopi:«Negli studi di imaging del cervello è stato osservato che chisuona uno strumento musicale ha un maggior numero di col-legamenti neurali a livello corticale in corrispondenza delledita usate più spesso» (ibidem, p. 10). La mancanza o l’alte-razione delle esperienze necessarie può portare varie caren-ze che influiscono sulla struttura cerebrale durante il restodell’infanzia e nell’età adulta.

L’importanza dell’esperienza emotiva, in particolare aifini delle funzioni intellettuali e sociali superiori, trova con-ferma nel fatto che l’area del cervello preposta alla regola-

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APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE

Sabina Rellini, psicologa epsicoterapeuta, tratta daanni il tema del sogno e

ne indaga l’essenza in terminiinterdisciplinari. Il suo libroesplora il misterioso mondo delsogno in chiave psicologica,storica e antropologica, senzatralasciare la funzione terapeu-tica dell’esperienza onirica el’utilità di ricordarla e analizzar-la. Tutti sognano senza distin-zione di sesso o di età, ma inmodi differenti.

L’autrice si inoltra in quelle aree dove il sogno si integra conla scienza, la letteratura, la musica, la pittura, il cinema e lavita quotidiana. Il chimico Kekulé esorta i suoi colleghi asognare per “arrivare alla verità”. Il poeta Saint-Pol-Roux,prima di addormentarsi, appende alla porta della camera daletto il cartello: “Lo scrittore sta lavorando”. Lucio Dallasostiene: “Bisogna imparare a sognare per essere liberi”.L’artista William Blake trae indicazioni da alcuni suoi sogniper una nuova tecnica di incisione. Il regista Lelouch afferma:“I sogni sono elementi determinanti della nostra vita. Io,prima di fare un film, lo sogno”.In quanto riflette la personalità del suo autore, il sogno è un

valido strumento che aiuta a scoprire le proprie potenzialitàcreative, a individuare e superare un problema, un conflitto oun momento di crisi; suggerisce anche utili spunti di riflessio-ne relativi ad aspetti emozionali e cognitivi. L’esperienza oni-rica, dunque, consente di mettere in gioco se stessi e di con-frontarsi con la propria realtà psicologica. Questa inesauribi-le risorsa della vita inconscia, puntando un fascio di luce suzone profonde oscure e inesplorate, diventa fondamentale aifini dell’autoconoscenza e dell’equilibrio psicofisico di ogniindividuo.Il testo scorre limpido e spedito. Agevole per com’è struttura-to, il libro può essere letto in modo sequenziale o sofferman-dosi a soddisfare una curiosità sui simbolismi onirici; le illu-strazioni e il glossario finale ne completano il lavoro denso dielementi che punteggiano un ampio e originale giro di com-passo.

Sabina Rellini, Il fantastico mondo dei sogni. Capire einterpretare la vita onirica, Roma, Edup, 2005, pp. 252aa 12.00

EDUP – Ufficio stampaTel. 0669204361 – Fax [email protected] - www.edup.it

IL FANTASTICO MONDO DEI SOGNICapire e interpretare la vita onirica

zione emotiva (la corteccia prefrontale) presenta un’attivitàmetabolica più intensa tra i sei e i dodici mesi di vita, ovve-ro nel periodo in cui i bambini partecipano a un maggiornumero di interazioni reciproche e aumentano le capacitàintellettive. Inoltre l’esperienza può stimolare modificazioniormonali: sembra per esempio che un contatto fisico rassi-curante induca il rilascio di ormoni della crescita e cheormoni come l’ossitocina facilitino processi emotivi qualiaffiliazione e intimità.

In generale negli anni formativi si ha una delicata inte-razione tra predisposizione genetica ed esperienza ambien-tale, «ma non tutte le esperienze sono uguali: pare infattiche i bambini abbiano bisogno di particolari tipi di intera-zioni emotive, adatti alle loro esigenze evolutive specifi-che» (ibidem).

Questo genere di ricerche porta a chiedersi quali siano leesperienze precoci più utili per lo sviluppo del sistema ner-voso del bambino. Varie attività precoci, che vengono utiliz-zate come indici della presenza o meno di specifiche capa-cità nel bambino, non costituiscono le basi del vero appren-dimento: «Tali capacità motorio-percettive e altri strumentidel sistema nervoso sono degni di nota, ma non costituisco-no di per sé una forma di ragionamento» (ibidem, p. 11).

L’idea che l’emozione partecipi in maniera attiva e fon-damentale alla formazione dell’intelletto è nuova e per moltisorprendente, ma su queste basi ha già influenzato i metodiusati per valutare neonati e bambini: «Nel numero di giugno1994 di “Zero to Three”, pubblicato dal National Center forInfants, Toddlers, and Families, sosteniamo che il principalemetro per misurare la competenza evolutiva e intellettualedei bambini debbano essere gli scambi emotivi con le figuredi accudimento, e non la capacità di infilare perni nel forogiusto o di trovare palline nascoste» (ibidem).

Queste conclusioni trovano conferma nelle ricerche con-dotte da Greenspan in tre ambiti diversi. Il primo è rappre-sentato dal lavoro con i suoi collaboratori su bambini congravi problemi di tipo biologico, fra cui alcuni con sintomidi autismo. Partendo dall’ipotesi che in questi soggetti i pro-blemi fisiologici ostacolano le esperienze emotive necessa-rie allo sviluppo mentale, e l’assenza di esperienze emotivecritiche causa l’insorgenza dei sintomi autistici, Greenspan ecollaboratori hanno trovato il modo di modificare e aggirarealcuni dei limiti fisiologici, rendendo possibili le esperienzeemotive indispensabili; e molti di quei bambini, crescendo,sono diventati intelligenti ed emotivamente sani. Osservan-do l’effetto di esperienze emotive diverse sull’intelligenza,Greenspan e collaboratori hanno cominciato a capire l’im-portanza della loro influenza anche sull’evoluzione intellet-tuale e sociale.

Un altro ambito di ricerca è rappresentato anche dallavoro con bambini il cui sviluppo procede in maniera rela-tivamente normale e osservando gli stadi che attraversanomano a mano che emergono le capacità cognitive e sociali.

Da queste osservazioni appare evidente che certi tipi dieducazione emotiva portano alla salute psichica e che l’espe-rienza affettiva svolge un ruolo primario in molti aspetti dellosviluppo cognitivo. Dagli esperimenti condotti insieme aStephen Porges della University of Maryland risulta che alcu-ne aree del cervello e del sistema nervoso che controllano la

regolazione emotiva svolgono una funzione cruciale nei pro-cessi cognitivi: «In uno studio mirato abbiamo riscontrato chei valori di tale funzione di regolazione emotiva misurati a ottomesi sono correlati con il punteggio ottenuto nei test del QI

svolti a quattro anni di età» (ibidem, p. 12).Un terzo ordine di conferme riguardo al rapporto tra

intelletto ed emozione viene dal lavoro svolto con famiglie«a rischio multiplo». In queste famiglie, afflitte da moltepli-ci fattori di rischio, il grado di mancata evoluzione dellecapacità cognitive e sociali dei bambini dipende dalla misu-ra in cui la famiglia non ha saputo rispondere ai loro bisogniemotivi nei vari stadi dello sviluppo. In questo modo Green-span e collaboratori hanno scoperto di che cosa hanno biso-gno questi bambini nelle varie fasi osservando gli effettidella sua mancanza. Attraverso studi su interventi precoci, èstato possibile dimostrare che, assicurando le esperienzenecessarie ai neonati a rischio e alle loro famiglie, si otten-gono risultati positivi: «Le nuove capacità adattive spessopersistono nel resto dell’infanzia, nell’adolescenza e nellavita adulta» (ibidem).

Su queste basi è emersa una nuova interpretazione dicome si sviluppa la mente nei primi mesi di vita, che inte-gra l’esperienza di intimità emotiva del bambino con l’evo-luzione delle capacità intellettuali e, in definitiva, con ilsenso del sé.

Il modo migliore per comprendere l’influenza delle emo-zioni sullo sviluppo cognitivo è osservare il modo in cui ibambini autistici imparano a pensare e a comunicare. Dallavoro condotto su questi bambini è stato possibile rendersiconto di quanto i programmi terapeutici tradizionali ad essirivolti siano in realtà inadatti allo scopo di offrire loro un’e-sperienza emotiva: osservando questi bambini in programmiintensivi che andavano dalle venti alle quaranta ore alla set-timana, Greenspan e collaboratori hanno osservato comeessi tentino soprattutto di insegnare loro a parlare o di faracquisire capacità cognitive o strategie comportamentali,«ma anche quando essi imparano a costruire delle frasi, adallacciarsi le scarpe o a battere su un tamburo, non hanno laspontaneità gioiosa, l’entusiasmo, la flessibilità nel risolverei problemi e l’apertura emotiva che sono naturali alla loroetà» (ibidem, p. 15). Questi bambini esprimevano pensierimeccanici e stereotipati, mentre si aveva l’impressione chein essi si celasse un enorme potenziale creativo.

Risultati molto diversi si sono ottenuti con programmicome quello che ha rivelato le vere capacità della bambinadi un anno, per la quale la madre temeva un ritardo dello svi-luppo, di cui abbiamo parlato sopra: «Un programma di sti-molazione emotiva che incominci nel momento in cui ilbambino sfugge i sorrisi e gli approcci dei genitori e chesfrutti il ruolo dell’emozione nella normale evoluzione men-tale sembra dare risultati migliori dal punto di vista deglischemi intellettuali ed emotivi rispetto alle strategie di sti-molazione cognitiva diretta» (ibidem, p. 16). Con questoapproccio è stato possibile aiutare un buon numero di bam-bini a superare problemi specifici, incoraggiandoli a stabili-re scambi emotivi con una figura di accudimento, incomin-ciando con semplici gesti ed espressioni del viso.

Prendiamo il caso di Tony, entrato nel programma adiciotto mesi; nel primo anno di vita si era mostrato chiuso

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APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE

in se stesso e indifferente ai sorrisi e alle manifestazioni diaffetto che gli venivano rivolti. Arrivato a diciotto mesisenza aver incominciato a parlare, era circa un anno indie-tro rispetto alla media: «In effetti Tony non cercava pratica-mente mai di comunicare e i genitori erano molto preoccu-pati» (ibidem).

Angosciati dallo spettro dell’autismo, i genitori lo por-tarono in un centro medico rinomato, dove un esperto disviluppo infantile diagnosticò un disturbo grave e pervasi-vo dello sviluppo, ovvero, in parole povere, l’autismo: «Laprognosi lasciava intendere che nell’arco di tre anni […] sisarebbe trovato prigioniero in un regno inaccessibile e soli-tario, fatto di azioni stereotipate e ripetitive, di ritardomentale e di quasi totale esclusione dai rapporti umani»(ibidem, p. 17).

Nonostante il mondo delle amicizie, dell’apprendimentoe la speranza di un futuro sembrassero a lui preclusi, dopotre anni e mezzo di terapia incentrata sulle interazioni affet-tive, Tony, che a quel punto aveva cinque anni, era comple-tamente cambiato: «Giocava con gli amici, impegnava igenitori e i maestri in discussioni animate, contestava condecisione l’ora di andare a letto e aveva un numero infinitodi domande e risposte sul perché il mondo è fatto e come èfatto» (ibidem). In una registrazione fatta per documentare iprogressi compiuti dai diciotto mesi in poi, Tony dice divolere «quel gioco là che ha Steven»; alla domanda «Perchélo vuoi?» risponde «Perché è divertente»; quando gli vienechiesto se Steven avrebbe ceduto volentieri quel giocattolo,rispondeva con una risata e un sorriso sempre più grande:«No. Si arrabbierebbe» (ibidem). Successivamente Tony hadimostrato di essere in grado di formulare pensieri astratti edi percepire sfumature di comportamento: al padre, che cer-cava di convincerlo di essere simpatico a un altro bambino,ha detto: «Lo so che è gentile, ma non vuol dire che havoglia di stare con me» (ibidem).

Oggi Tony ha dieci anni e, per quanto ancora poco coor-dinato dal punto di vista fisico, le sue capacità mentali con-tinuano ad aumentare: «Ai test di valutazione del QI le suecapacità verbali e cognitive risultano molto superiori alleaspettative per la sua età» (ibidem).

Molti bambini autistici, come Tony, entrati nel program-ma di Greenspan, hanno fatto progressi, dimostrando veracreatività ed empatia, e superando varie fasi dello sviluppo.Con l’aiuto degli psicologi del centro questi bambini impa-rano a stabilire relazioni con gli altri, collegando prima gestie sentimenti e poi parole e sentimenti. Infatti, dal lavoro conquesti bambini si è scoperto che alla base dell’intelligenzac’è il collegamento fra un sentimento o un desiderio e un’a-zione, mentre alla base del disturbo autistico c’è proprio ladifficoltà a stabilire questo tipo di collegamento: «Quandoun gesto o un’espressione verbale si riferisce in qualchemodo ai suoi sentimenti o desideri – anche semplici comequello di uscire o di ricevere una palla – il bambino imparaa usarlo in maniera appropriata ed efficace» (ibidem, p. 18).A questo scopo «nella terapia utilizziamo pertanto le inten-zioni e i sentimenti spontanei come base dell’apprendimen-to individuale» (ibidem).

Con una bambina di due anni che non parlava, ma pas-sava ore a guardare nel vuoto e a fregare con la mano sem-

pre lo stesso punto del tappeto, è stato usato proprio questogesto ripetitivo per aprire una comunicazione: «In quellaripetizione anormale vedemmo non soltanto un sintomo diautismo, ma anche un segno di interesse e motivazione epensammo che quei pochi centimetri quadrati di pavimentopotessero aprire uno spiraglio e rendere possibile un legameemotivo e, in seguito, l’apprendimento» (ibidem). Propo-nendo alla madre di mettere la mano vicino a quella dellafiglia, sul punto preferito del tappeto, dopo ripetuti tentatividella bambina di scostare la mano della madre, al terzo gior-no questa interazione era divenuta il punto di partenza di unlegame emotivo: «La bambina incominciò a sorridere quan-do spingeva via la mano della madre» (ibidem, p. 19). Dal-l’allontanare la mano al cercarla e all’offrire sorrisi perrichiamarla, la bambina progredì fino a usare i gesti in undialogo non verbale; in seguito incominciò a emettere suonipropri imitando la madre che nitriva come un cavallo quan-do le si gettava tra le braccia. Con l’aiuto del terapeuta, siallargava lo zoo immaginario e diventava più ricco e com-plesso lo scambio emotivo: «via via madre e figlia si finse-ro cavalli che nitrivano, mucche che muggivano e cani cheabbaiavano» (ibidem). Dal gioco simbolico passarono alpensiero e alle parole: «Oggi, a sette anni, la bambina provaemozioni adatte alla sua età, ha degli amici e una fantasiavivace […] Abbiamo lavorato con un gran numero di bam-bini autistici e molti di essi hanno fatto progressi analoghi.Passando in rassegna oltre duecento casi di piccoli sospettiautistici sottoposti a questo genere di terapia, abbiamo sco-perto che tra il 58 e il 73 per cento del campione era diven-tato affettuoso e comunicativo» (ibidem).

In questo modo viene aperta la via chiusa delle emozio-ni, perché essi si incamminino verso un mondo nuovo, luogodi significato, dove la solitudine e il vuoto delle relazionicongelate, lasciano intravedere una nuova vita. E li vediamovolare su questi fiori, affamati di nettare come le api, livediamo gioire e creare come nessun altro bambino è capa-ce di fare.

Esemplare a tal proposito è l’illustrazione che l’edizioneMondadori sceglie come copertina dello scritto di Greenspan«L’intelligenza del cuore»: il disegno di David Tillinghastraffigura un grande cuore rosso con una scala che sale fino incima ad esso; un uomo, a braccia aperte, è già sopra il cuore,mentre un altro uomo, in basso, ha appena iniziato a salire. Èevidente che il disegno sta a significare la conquista di qual-cosa, la scalata del cuore, nel senso di un recupero della pro-pria profondità e sensibilità; senza vergogna, ma con il corag-gio di chi lotta, non per la vita biologica, ma per una vita libe-ra. La scalata del cuore come meta finale non solo dei bam-bini autistici, ma di ogni essere umano, noi compresi.

A questo punto mi viene in mente un articolo scritto peril giornale da Silvia Vegetti Finzi, in cui essa parlava ingenerale del termine di una terapia condotta con successo.L’articolo comunicava più o meno questo: guarire unpaziente è restituire la gioia di vivere, e riuscire a fare que-sto significa restituire dignità e rispetto alla vita umana,recuperando un po’ di umanità per se stessi in un mondo chetroppo spesso soccombe al degrado che porta con sé l’an-nullamento del rispetto e dell’umanità, forze e valori vitaliche ciascuno di noi è chiamato a preservare. ♦

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APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE

INTRODUZIONE

«La Scuola Secondaria di 1° grado1 rinnova il propositodi promuovere i processi formativi in quanto si preoc-cupa di adoperare il sapere (le conoscenze) e il fare

(abilità) che è tenuta a insegnare come occasioni per svilupparearmonicamente la personalità degli allievi in tutte le direzioni(etiche, religiose, sociali, intellettuali, affettive, operative, creati-ve, ecc…) e per consentire loro di agire in maniera matura e re-sponsabile».

Questa indicazione, tratta da Obiettivi generali del processoformativo2, traslata nella didattica dell’handicap, diventa re-sponsabilità professionale per il docente specializzato di attuarepiani individualizzati atti a promuovere il pieno sviluppo dellapersonalità dell’allievo che si ha di fronte. Non più, ormai, l’in-segnante di sostegno che mira a operare intorno a un percorsounico annuale per quel ragazzo3, ma un piano di lavoro che di-venta, in termini di finalità, obiettivi e modalità attuative, pro-getto per/di il gruppo-classe.

I PIANI EDUCATIVI INDIVIDUALIZZATI:DALL’AMBIENTE ALL’APPRENDIMENTO

Il piano individualizzato, pertanto, deve tenere presente una pre-messa metodologica fondamentale, che, fra l’altro, andrebbe pre-sa in esame da ogni team di docenti di base: partire dalla consa-pevolezza che, per favorire la spinta motivazionale all’apprendi-mento e per promuovere momenti significativi di crescita cultu-rale, è importante creare un ambiente accogliente e sereno, chedivenga quindi spazio di eccellenza.

Ogni PEI va caratterizzato, nel primo periodo dell’anno sco-lastico4, da una serie di obiettivi che, ponendosi come prioritari epropedeutici a quelli più specificamente relativi agli apprendi-menti, alle conoscenze e alle competenze disciplinari, faccia le-va sull’importanza della relazione, della convivenza democrati-ca e dell’interazione espressione/comunicazione.

Promuovere un clima relazionale positivo significa darevalore al rispetto e all’empatia come elementi-cardine del-l’interazione, sviluppando pertanto nel gruppo, in modo gra-duale e formativo, atteggiamenti chiari, leali e tendenti al be-ne comune.

In questo giocano un ruolo fondamentale i messaggi, lancia-ti dal docente, ma anche quelli che si strutturano nella relazionedi gruppo: comportamenti direttivi, ordini, rimproveri, schernomodificano il comportamento dell’alunno. Critiche, giudizi,rappresentazioni stereotipate danno significativi effetti alla rela-zione personale nonché all’idea che lo studente ha di sé e delgruppo.

Messaggi, diretti e indiretti, quali quelli dell’esagerare colsarcasmo, con l’ironia, con il pietismo, spesso proprio verso sog-

getti con abilità diverse, tendono col tempo a divenire segnali dirifiuto, di ambiguità, incidendo non poco sull’espressività, sullaspontaneità di chi li vive. L’uso pertanto di strategie metodolo-giche che operano intorno a gruppi di lavoro diviene un percor-so costante nella vita scolastica della classe: questo obiettivo varealizzato attraverso percorsi metodologici ad hoc, atti cioè a uti-lizzare strategie non classiche (quali la lezione frontale, il com-pito individuale) o almeno non solo quelle.

Ne è un esempio il Focus group: si tratta di una forma di in-tervista di gruppo, come la definisce Kitzinger, o di una discus-sione attentamente pianificata, come dice Krueger, che si basasulla comunicazione fra i partecipanti al fine di esplorare, chia-rire, ricercare opinioni di interesse comune.

La discussione verte di solito intorno a un argomento comu-ne e prestabilito dal moderatore: il modo in cui l’argomento vie-ne trattato dipende dalle caratteristiche dei partecipanti, dal li-vello di strutturazione della griglia di domande, dallo scopo chela ricerca e l’incontro si prefiggono, dall’abilità del moderatore.Attraverso queste e altre tecniche operative il docente deve, nellavoro collegiale, favorire nel gruppo di studenti la consapevo-lezza a crescere con una comunicazione efficace, basata cioè suun approccio descrittivo/oggettivo e non valutativo soprattuttonei confronti e in relazione alle esperienze interpersonali con ilcompagno diversamente abile (vedi schemi).

Questi aspetti della comunicazione rappresentano il punto dipartenza di un progetto didattico rivolto al gruppo e all’allievo di-versamente abile, e, pertanto, qualificano lo strumento operativodel docente stesso. Gli errori più frequenti in ambito educativo,relativi alla comunicazione e nella fattispecie alla relazione colragazzo disabile, sono spesso proprio appannaggio di alcuni do-centi che, poi, rappresentando un relatore/interlocutore per ilgruppo-classe significativo, viene emulato nell’espressione di al-cuni comportamenti.

Danneggiare l’immagine personale che l’alunno va forman-dosi nella relazione col gruppo-classe (specie nel primo anno),sottostimare le sue potenzialità, minacciare provvedimenti auto-ritari, umiliare e ridicolizzare, personalizzare il posto in classe5,interrogare il gruppo informandosi sull’alunno in sua assenza,approvare in maniera smisurata, esprime nel docente che lo fa onello studente una chiara trasmissione di messaggi che attiva ine-vitabilmente una determinata reazione cognitiva e comporta-mentale del ragazzo che si ha di fronte6.

Questo fa ben comprendere che per il docente specializzatoessere di sostegno significa in maniera complessa qualificarsi co-me sostegno alla relazione fra gli allievi e come sostegno alla di-dattica tutta: pertanto un piano individualizzato non può conte-nere definitivamente obiettivi a medio e lungo termine, mentrefissando finalità precise deve configurandosi come un processodinamico ed evolutivo di:

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APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE

«Diversamente = diversa... mente»MARIA RITA ESPOSITO

Pedagogista, Consulente pedagogico, Esperta Tutela dei Minori, Docente sezione ospedaliera nella Scuola dell’Infanzia Pozzuoli (NA)

– osservazione;– auto-osservazione;– relazione/comunicazione;– progettazione, attuazione, verifica/valutazione didattica.

L’OSSERVAZIONE

È importante che il docente specializzato nella formazione e nel-l’esperienza della sua didattica tenda ad allontanarsi il più possi-bile dalle definizioni7 per esercitare invece un costante processodi astrazione da convinzioni prefissate, pregiudizi, credenzetendendo invece a un allenamento continuo, per sé e per il grup-po di studenti, alla flessibilità, alla costruzione di spazi e tempi di-dattici alternativi.

Quando diciamo che un preadolescente è autistico ciaspettiamo che manifesti i comportamenti tipici dell’autismo,o per meglio capirci quelli ormai parte della nostra rappre-sentazione sociale del tipo «Rain Man», il personaggio inter-pretato da Dustin Hoffman. L’alunno potrebbe invece averecondotte pseudoautistiche, non gravi, e in maniera più o me-no inconsapevole8 trovare questo ruolo difficile da modifica-re perché è proprio ciò che gli altri si aspettano da lui: la let-tura delle diagnosi, spesso qualificate da una scarsità diinformazioni, fa ben considerare al docente che senza un’ac-curata osservazione (sviluppata sui piani occasionale e siste-matico) nei primi mesi dell’anno scolastico è davvero diffici-le comprendere quello che è meglio non fare.

In altri termini il rischio è quello di rimanere molto attac-

cati alle tipologie e alle competenze relative ai singoli deficit,quindi alle categorizzazioni, alle possibilità che sono date diavere competenze ancorate alla specifica definizione del de-ficit: spesso il docente e gli alunni stessi di classe elicitanoun’attenzione alla vita dell’allievo diversamente abile in re-lazione alla sua patologia (prendiamo, per esempio, un ra-gazzo con sordità grave), tralasciando molte volte in modo in-consapevole la comprensione dei meccanismi di apprendi-mento o l’organizzazione delle percezioni (per esempio, dichi presenta problemi di udito).

Può essere utile precisare che l’allievo diversamente abile,soprattutto ormai preadolescente, non è necessariamente in si-tuazione di handicap all’interno della classe, poiché la presenzadi un deficit (a questa età e se nel percorso pregresso di tipo sco-lastico si è operato introno ai concetti di recupero, potenzialitàdelle capacità e prevenzione) non può pregiudicare l’adeguato in-serimento e la partecipazione attiva alla vita sociale e didatticadella classe. Si può parlare di situazione di handicap solo quan-do, in presenza di una patologia, è necessaria una mediazioneesterna per socializzare, comunicare e apprendere.

In questa prospettiva il ruolo del docente di sostegno acqui-sta un ruolo mediatore che cambia e, che, in questo caso, si qua-lifica come mediatore tra allievo, classe, docenti altri e discipli-ne: è a carico dell’insegnante di sostegno la programmazione e lagestione, in compresenza e in collegialità, del piano didattico in-dividualizzato dell’alunno. Questo deve essere preso in seria con-siderazione dal team dei docenti, anche e soprattutto in relazio-ne al fatto che in molte circostanze la copertura oraria da parte deldocente specializzato, per ogni singolo allievo con bisogni spe-ciali, venga garantita al minimo.

Accanto a ciò si presenta, all’interno dello stesso gruppo-classe, la fisiologica condizione di allievi appartenenti a piùfasce di livello di apprendimento, che rende pertanto com-plessa l’attivazione di percorsi didattici di carattere discipli-nare. Ne consegue a volte che il docente disciplinare non rie-sce a integrare e a collegare le attività predisposte dal collegadi sostegno a quelle dell’intera classe: questa prassi, che si ri-vela poco efficace, è in contraddizione con un concetto fon-damentale della didattica speciale, quello cioè indicato dallaC.M. 184/1991 in cui è affermato il principio della contitolaritàdocente di sostegno/docente di base.

LA DIDATTICA SPECIALE

All’interno della didattica speciale è estremamente difficile ge-neralizzare strategie e approcci metodologici, che possano cioèrisultare efficaci, efficienti e pertinenti in più situazioni (o anchein situazioni relative a uno stesso handicap), poiché il docente de-ve considerare in maniera consapevole e complessa l’unicità checontraddistingue ogni singola situazione di diversa abilità, chepertanto delinea percorsi flessibili, modificabili e sempre conte-stualizzabili.

Questo deve qualificare un punto di partenza importantedi fronte alla stesura di un piano di lavoro individualizzatoche, partendo da un’osservazione tendente a elicitare tutti glielementi di capacità e di abilità dell’allievo diversamente abi-le, si strutturi in una serie di unità didattiche che coadiuvino abreve, medio e lungo termine il raggiungimento di traguardiformativi ed educativi adeguati, seppur minimi9.

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APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE

I piani di studio individualizzati trovano quindi un pun-to-forza sulla motivazione10 che, come in qualsiasi situa-zione di apprendimento, rende lo studente positivamenterinforzato nell’autostima e nella fiducia delle proprie capa-cità/abilità.

Creare situazioni didattiche che «scatenino» nell’alunnodesiderio e quindi esplorazione e avvicinamento alle espe-rienze significa motivarlo, e ciò si qualifica come fattore im-portantissimo se si pensa che la motivazione:– ha poca influenza sulla MBT (memoria a breve termine);– agisce sui livelli più elevati della memoria (in particolar

modo su quella semantica);– agisce in maniera significativa sull’aumento delle strate-

gie di organizzazione già sperimentate.La pianificazione delle unità didattiche, in sede collegia-

le di programmazione, dovrebbe tenere costantemente inconsiderazione certe indicazioni-standard che promuovonoapprendimenti significativi: il rendere ogni componente del-la classe protagonista del proprio apprendimento può esserefavorito, e quasi sempre è così che accade, al di là della spe-cifica disciplina, ma l’elemento di spinta motivazionale si col-lega all’utilizzo di strumenti/strategie (la cosiddetta motiva-zione strumentale) come i più moderni sistemi mediali.

La motivazione nasce soprattutto quando il piano di lavo-ro struttura tempi e spazi a misura di alunno:– gestire lo spazio aula in circle time;– promuovere ricerche in piccoli gruppi distribuendo ade-

guatamente capacità, abilità e affinità dei componenti;

– non definire regole fisse per la disposizione nei banchi (fa-vorire cioè la rotazione periodica o contestualizzata);

– usare il tutoring, il cooperative learning11.Accanto a ciò si aggiunge il fatto che l’introduzione di

nuove tecnologie, come le tecnologie dell’informazione e del-la comunicazione (TIC), nell’educazione e nella didattica rap-presenta un fattore sostanziale dei cambiamenti dei contenu-ti da insegnare nelle varie discipline curriculari. Si pensi peresempio a come la diffusione della tecnologia digitale abbiainfluenzato i programmi di insegnamento della matematica,inserendo l’informatica, la probabilità, la statistica.

Ciò implica quindi che tali cambiamenti sono espressionedi nuovi bisogni formativi che riflettono pertanto le trasfor-mazioni dei metodi di lavoro.

APPENDICE

La didattica laboratorialeLo spazio-laboratoriale si qualifica come spazio/tempo in cuil’espressione e la comunicazione dei linguaggi non verbaliviene privilegiata: questo ambiente didattico, adeguatamentestrutturato, consente di coinvolgere soggetti con problemi re-lazionali. Esso cioè va strutturato in relazione e in risposta adeterminati disagi, a determinate finalità conseguibili e que-sto caratterizza anche l’ampiezza e l’arredo.

Un laboratorio funzionale all’espressività corporea12 ri-chiede uno spazio ampio (una palestra, per esempio) e una se-

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APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE

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nella pratica dei linguaggi espressivi.• Corso di Counselor socio-educativo ad indirizzo pastorale.• Corso di Counselor per la salute indirizzato ai medici.• Corso di Counselor per l’orientamento professionale

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rie di strumenti atti a promuovere un vissuto, una percezionee una rappresentazione del corpo, dell’orientamento spazio-temporale, della coordinazione formativi per la personalità:specchi, forme, angolo-relax, ecc.

Un laboratorio funzionale alla prevenzione e al recuperodei disturbi specifici dell’apprendimento sarà supportato dastrumenti quali lavagne, tabelloni murali, PC, audioregistrato-ri, video, che si esprimono come alternative didattiche al foglioe alla penna.

L’arte-terapiaEssa, come la definisce Naumburg (1966), si orienta sul ricono-scimento che pensieri e sentimenti fondamentali di un soggettosono derivati dall’inconscio e raggiungono la loro espressionenelle immagini, piuttosto che nelle parole.

Kramer (1985) la definisce «formulazione della cosiddettaesperienza interiore».

L’arte terapia è un intervento di aiuto e di sostegno alla per-sona a mediazione non verbale, che utilizza i materiali artistici eil processo creativo come sostituzione o integrazione della co-municazione verbale, nell’interazione con l’operatore.L’intervento si svolge attraverso un momento attivo, in cui la per-sona è protagonista di quanto avviene: il paziente esprime con-tenuti personali – che possono essere ricordi, sensazioni, sogni,desideri, emozioni – con il dipingere, il disegnare e il modellare.Questo percorso avviene in un luogo protetto dove l’arte tera-peuta prepara i materiali e l’ambiente in modo da creare un cli-ma di rilassamento e tranquillità. In questo intervento è impor-

tante la relazione con l’arte terapeuta che crea il contesto rela-zionale adatto perché il paziente senta di potersi fidare e inizi ilpercorso espressivo.

L’arte-terapia, come precisa la professoressa Imperatore13,pone obiettivi primari di:– rafforzare la struttura e i meccanismi adattivi dell’Io;– svolgere un’azione catartica;– far emergere e chiarire i contenuti interiori latenti;– sviluppare la capacità di integrazione e relazione con gli al-

tri;– aiutare a realizzare un migliore controllo degli impulsi;– dare sfogo a tensioni/conflittualità emotive.

Il giocoEsso potrebbe qualificare la metodologia per eccellenza nellascuola e con gli alunni diversamente abili: purtroppo spessissimocapita che, nel passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuolaelementare, la foga nel terminare i programmi porti i docenti adedicarvi sempre minor tempo.

Il gioco si rappresenta come strumento di apprendimentofondamentale dall’infanzia all’età adulta ed esso pertanto rap-presenta un elemento motivazionale di primaria importanza perpromuovere lo sforzo che porta alla conoscenza, alla competen-za, al coinvolgimento e all’autodeterminazione.

Non si riescono in questa sede a elencare le strategie innu-merevoli di gioco, che non vanno comunque intese solo quali igiochi di regole, di socializzazione, di competizione, ma anche esoprattutto il gioco come modalità didattica e terapeutica per gli

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alunni diversamente abili, quindi come strategia che sottenda si-gnificativamente ogni obiettivo educativo/formativo.

L’utilizzo delle tecnologie informatiche L’utilizzo del computer nella didattica sta assumendo un rilievoconsiderevole nella scuola italiana, anche se non sempre al pro-liferare dell’hardware si associano software adeguati alle esi-genze e specifiche competenze nella gestione degli stessi.

Le prospettive che si aprono per facilitare l’apprendimentodell’alunno in situazione di handicap sono notevoli, e riguarda-no sia aspetti curriculari (per esempio, esercitazioni sulle abilitàstrumentali di lettura, scrittura e calcolo), sia la possibilità di ge-stire in maniera controllata progetti di recupero e programmiprettamente riabilitativi.

Per l’intero gruppo-classe e quindi anche per l’allievo conhandicap l’uso dello strumento informatico in un laboratorioappositamente attrezzato può costituire, e ormai costituisce,un’opportunità interessante, che può avvicinare l’allievo alleattività svolte dal resto della classe e viceversa, oltre che qua-lificarsi come elemento che motiva maggiormente gli studentirispetto a una lezione classicamente organizzata (si veda, peresempio, una lezione frontale): l’interazione con il computerpermette di focalizzare l’attenzione per tempi prolungati sudei compiti e facilita la gestione di esercitazioni in manieraautonoma.

Due strategie di lavoro di gruppo: il circle time,il focus groupÈ ormai abitudine interagire, all’interno dei contesti lavorativi neiquali operano gruppi di azione, per migliorare l’offerta del teamattraverso strategie come quelle del circle time (letteralmente:tempo del cerchio) e del focus group.

Attraverso la prima strategia si favorisce la relazione fra tut-ti i componenti del gruppo, dando valore a ogni affermazione eaccettando senza necessariamente condividere proposte e co-municazioni di ognuno.

All’interno del contesto scolastico utilizzare questa strategiadi lavoro vuol dire per il docente: osservare gli allievi in manie-ra complessa, cogliere le dinamiche che emergono nello spa-zio/tempo dedicato all’attività, rilevare disagi e conflitti tra stu-denti, dare maggiore attenzione all’ascolto/scambio/dialogo ri-spetto a una lezione frontale.

Già la strutturazione dello spazio, in cerchio appunto, senzala mediazione del banco, e con la possibilità di interagire anchecon lo sguardo con ogni compagno, predispone positivamente aun lavoro che tende a favorire una riduzione delle resistenze equindi una crescita del gruppo, che diviene «terapia» preziosa perl’alunno diversamente abile.

Attraverso il focus group, con la mediazione didattica deldocente/moderatore, la discussione può essere innanzituttotradotta in un articolato giudizio che permette all’insegnante(al team di insegnanti) di capire meglio e rispondere adegua-tamente alle esigenze dei ragazzi e quindi calibrare le propriemodalità (nei tempi, negli spazi) di intervento. Rispetto a unquestionario il focus ha l’indubbio vantaggio, per il docenteche ne abbia competenze acquisite, di permettere al modera-tore di esaminare anche i processi cognitivi e di pensiero chesottendono la definizione delle categorie utilizzate durante ladiscussione.

E per traslare il discorso dalle possibilità di offerta formativaalla didattica speciale, in modo da poter soddisfare il più effica-cemente possibile i bisogni formativi degli allievi diversamenteabili, le strategie di valutazione e intervento di derivazione co-gnitivo-comportamentale, i sistemi di insegnamento strutturato,la facilitazione di varie forme di comunicazione, l’educazione al-la percezione degli stati mentali propri e altrui, l’adattamento de-gli obiettivi individualizzati a quelli di classe e viceversa, l’uti-lizzo adeguato della «risorsa compagni» rientrano fra tali oppor-tunità. Questa analisi prende di conseguenza in considerazionedue ulteriori aspetti di notevole significato operativo per i fini chepersegue un piano di lavoro individualizzato, che sono quelli diindicare metodologie praticabili per favorire l’integrazione sco-lastica dei diversamente abili come obiettivo trasversale e co-stantemente presenti agli altri:– l’utilità di promuovere la conoscenza dei deficit e dell’han-

dicap in classe; – la possibilità di avvalersi delle nuove tecnologie informati-

che.

Promuovere la conoscenza dei deficit e dell’handicap in classe Come già indicato nell’importanza di approcciare un pianodidattico substratificato da un clima sereno e accogliente, nelmomento in cui viene stimolata nei ragazzi una conoscenzaadeguata e una valorizzazione dei compagni tutti, attraversoun’educazione all’equazione «diversamente= diversa…men-te», è più facile che si attivino azioni prosociali di aiuto e so-stegno. E se ciò in generale vale per ogni componente delgruppo-classe, esso si esprime soprattutto con lo studente conhandicap, in quanto è necessario che i compagni capiscano,interiorizzino e consapevolizzino che alcune particolaritàcomportamentali, come le scarse relazioni sociali o alcuni at-teggiamenti aggressivi (soprattutto su queste fa leva il gruppoin fase preadolescenziale) non sono dovuti ad aspetti/atteg-giamenti che vanno pertanto scherniti, ma sono conseguenzeinevitabili di un deficit.

Ideale sarebbe, in misura all’età e alla conoscenza gene-

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Giornate di Studio su: I DISTURBI DELL’APPRENDIMENTOProf. Cesare Cornoldi - Prof.ssa Rossana De Beni (Università di Padova)

31 Maggio - 1 Giugno 2007

31 Maggio – ore 15:30–19:50• Introduzione: Dott.ssa Sofia Ciappina, psicologa specialista in Valutazione Psicologica, responsabilescientifico della Scuola Superiore di Psicologia Applicata «G. Sergi»

• METODI DI LAVORO CON BAMBINI CON DISTURBI SPECIFICI DELL'APPRENDIMENTOProf. Cesare Cornoldi

• GLI ASPETTI EMOTIVI E MOTIVAZIONALIProf.ssa Rossana De Beni

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• INSEGNANTI

1 Giugno ore 8:30-13:40• LA DISLESSIAProf. Cesare Cornoldi

• I DISTURBI DELLA COMPRENSIONEDELLA LETTURAProf.ssa Rossana De Beni

1 Giugno – ore 14:30-19:30• DIFFICOLTÀ DI APPRENDIMENTO DELLA

MATEMATICAProf. Cesare Cornoldi

• GLI ASPETTI METACOGNITIVIProf.ssa Rossana De Beni

• QUESTIONARIO DI VERIFICA

L’attività formativa èrivolta prevalentementealle seguenti figureprofessionali:

rale della classe frequentata dall’allievo con diversa abilità, laconoscenza del deficit o della patologia attraverso un’attivitàorganizzata in modo completo: si può andare da semplicispiegazioni degli aspetti principali della sindrome, alla visio-ne di trasmissioni televisive sull’argomento o di film che han-no presentato mirabilmente storie riferite a persone con han-dicap simili, alla lettura e commento di biografie di perso-ne/personaggi, fino allo studio scientifico delle conoscenzedisponibili sui correlati neurofisiologici, relazionali, appren-ditivi intorno a quella disabilità.

CONCLUSIONE

L’intenzione perseguita da questo lavoro articolato in quattrocontributi era quello di considerare il bambino autistico nellasua esperienza scolastica, cercando di individuare degli itine-rari per favorire il processo d’integrazione. Ho messo in ri-salto come la situazione che si viene a determinare nel mo-mento in cui in una classe viene inserito un allievo affetto daautismo sia in realtà molto complicata, in considerazione del-le particolarità cognitive e comportamentali che presenta.

Partendo da questo presupposto, ho cercato di individua-re alcuni percorsi metodologici tenendo in considerazione dueaspetti principali: – da un lato l’esistenza di vari approcci di trattamento del-

l’autismo, sperimentati a livello internazionale, che hannodimostrato la loro efficacia, seppure in contesti differentida quello scolastico;

– dall’altro la necessità di coniugare le indicazioni tecnichecon un’attenzione alle principali metodologie per facilita-re l’integrazione, che da più parti sono state proposte. Miriferisco, in particolare, alla possibilità di adattare gliobiettivi della classe e quelli individualizzati per renderli,almeno in alcune parti, compatibili; all’organizzazionedelle attività in gruppi cooperativi; all’utilizzazione ade-guata della risorsa compagni; allo studio del deficit inclasse; all’opportunità di far riferimento alle nuove tec-nologie informatiche. Lo sforzo, in sintesi, è stato quello di portare un contribu-

to per la delineazione di una didattica speciale per l’integra-zione del bambino autistico. Pur nella sinteticità del lavoro,spero comunque che gli educatori possano trovare alcuni sti-moli che li aiutino nel loro procedere quotidiano.

NOTE1. Possiamo generalizzare a tutti gli ordini di scuole.2. Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati nella scuola se-condaria 1° grado (24/12/2002).3. Si userà indistintamente il termine «ragazzo», «studente», «allievo»,«alunno».4. I primi due mesi almeno se si tratta di uno studente che frequenta per la pri-ma volta quella classe.5. In genere accanto alla cattedra.6. Si generalizzi il concetto, ma lo si consideri relativo nei suoi aspetti più det-tagliati alla personalità dell’alunno in questione, alla diversa abilità di cui èportatore, al contesto e alla situazione contingente.7. Cui spesso invece si incorre, specie quando, essendo docenti di sostegno, sitrattano tipologie di handicap (EH – DH - CH), una patologie specifiche (auti-smo, sindrome di Down, ecc.).8. E ciò è strettamente in relazione alla gravità della patologia, al «punto del-lo spettro» in cui si posiziona il suo disagio psichiatrico/psichico.9. Il senso di traguardo minimo va inteso in maniera generalizzata, in quantoesso si precisa in relazione alla tipologia di handicap di cui è portatore l’a-lunno, o anche può considerarsi come traguardo minimo in una precisa ac-quisizione strumentale (per esempio, matematica) e non in un’altra. Inoltre,per es. per alunni che presentano patologie cosiddette molto gravi, occorrerendere semplificato il percorso di apprendimento, le operazioni cognitive,gli items proposti.10. Motivazione: insieme di meccanismi biologici e psicologici che determi-nano l’azione, il suo orientamento, la sua intensità, la sua persistenza. Essa ènotoriamente divisa in estrinseca (voti, premi, ricompense, ecc.) e intrinse-ca (ricerca di un’attività per l’interesse che essa procura per il soggetto o diper sé).11. Cooperative learning: al fine di massimizzare l’apprendimento del gruppopiù studenti operano in attività di scambio di esperienze, competenze, cono-scenze, dipendendo in maniera interattiva gli uni dagli altri, considerando ilsupporto di ognuno indispensabile al gruppo.12. Comportamenti patologici relativi alla motricità: alterazione dell’immagi-ne di sé, disprassie, inadeguata lateralizzazione.13. Laboratorio di didattica speciale. C/l Scienze della Formazione Primaria.Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, Napoli.

BIBLIOGRAFIABROTINI M., Le difficoltà di apprendimento, Pisa, Edizioni Del Cerro, 2000.BRUNATI L., SORESI S., «Un programma di coinvolgimento precoce per fa-

cilitare l’integrazione scolastica degli handicappati», in S. Soresi (a cu-ra di), Difficoltà di apprendimento e ritardo mentale, Pordenone, ERIP,pp. 311-331.

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IAVARONE M.L., IAVARONE T., Pedagogia del benessere, Milano, FrancoAngeli, 2004.

IMPERATORE A., «Educazione all’immagine», in Frauenfelder, Zeuli, Orefice(a cura di), Verso una nuova scuola, Napoli, Edizioni Tecnodid, 1986.

MASONI M., MEZZANI B. (a cura di), La relazione educativa, Milano, FrancoAngeli, 2004.

PARMIGIANI D. (a cura di), Tecnologie per la didattica, Milano, FrancoAngeli, 2004.

PILONE M., MUZIO C., La valutazione del pensiero strategico. Assessmentper il ritardo mentale e i disturbi di apprendimento, Brescia, VanniniEditrice, 2003.

ROLLERO P., Le (in)compatibilità fra individualizzazione e integrazione ef-ficace nel gruppo classe: alcune strategie di intervento, «Handicap eScuola», 3, 1997.

SARACINO V., Progettare la formazione, Lecce, Pensa Multimedia, 1997.TRISCIUZZI L., Manuale di didattica per l’handicap, Bari-Roma, Laterza,

1999.TRISCIUZZI L., GALANTI M.A., Pedagogia e didattica speciale per inse-

gnanti di sostegno e operatori della formazione, Pisa, Edizioni ETS,2001.

WINNICOTT D.W., Gioco e realtà, Roma, Armando, 1974.

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APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE

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Frosinone, 8-9 Giugno 2007 ConvegnoLa riabilitazione nella prassi psichiatricaDalla sofferenza verso l’autonomiatel. 0775.854426 – [email protected]

Milano, 8-9-10 giugno 2007Psiche, Affetti e TecneCollegio San Carlo – Via Morozzo della Rocca, 12Per informazioni: Promoest Milanotel. 02.43911468 fax [email protected]

Milano, 9 Giugno 2007 ConvegnoBambini con disordini dell’attaccamentoin affido e adozioneInterventi clinici e psicosocialiAuditorium Palazzo Kramer – via Kramer 5, MilanoSegreteria organizzativa: tel./fax 02.29511150 –349.3109575 [email protected]

Bra (Cuneo), 14 Giugno 2007CongressoLa psicologia nei servizi sanitari e l’umanizzazionedelle cure. Formazione, Organizzazione, BenessereTeatro Politeama «Foglione»Segreteria organizzativa: tel. 0173.316077 fax [email protected]

Firenze, 14-17 Giugno 2007 CongressoUmorismo e altre strategie per sopravviverealle crisi emozionaliPalazzo dei Congressi – Piazza Adua, 1 Promo Leader Service Congress Srltel. 055.2482271 fax [email protected]

Lugano Svizzera, 14-16 Giugno 2007 5° Congresso EuropeoTra distruttività e creatività: I disturbidella personalità dal bebè all’adolescentePalazzo dei CongressiPer informazioni: AEPEAtel. 00441.918152151 fax [email protected]/aepea-lugano2007

Roma, 15 Giugno 2007 XII corso internazionale di medicinatransculturaleAli…e radici..Aula Raffaele Bastianelli, I.F.O, via Ognibene, 25 –Roma MostaccianoPer informazioni:tel. 06.58543780 fax [email protected]

Valmontone, 16 giugno 2007La sfida del cambiamento: L’infermierein psichiatria. Ruoli e competenzeSegreteria organizzativa: Comunità Socio-Riabilita-tiva «Francesco»Per informazioni: tel. 06.9596383

Napoli, 21-24 Giugno 2007IV Congresso internazionale interdisciplinare CISATdi Psicologia,Psicoterapia e LetteraturaLa forma dell’anima. L’Arteterapiacome psicologia clinicaPer informazioni: CISATtel. 081.5461662 – 339.2854243fax [email protected]

Pescara, 7 luglio 2007ConvegnoLe artiterapie per colorare la vitaPer informazioni: tel. 085.4914348cell. [email protected]

Napoli, 20-22 settembre 200710° Congresso della Società Italianadi Psichiatria Biologica (SIPB)Psicopatologia e NeuroscienzePer informazioni: tel. 081.5666501 [email protected]

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Gentili lettori,

con la presente lettera desidero mettervi a conoscenza di un’importante decisionein merito al futuro di Babele.

Dopo 11 anni (con 35 numeri pubblicati) di distribuzione gratuita che tre voltel’anno continua a raggiungere più di 100 mila abbonati, si rende ora necessarial’introduzione di un abbonamento a pagamento.

Il motivo di questa scelta è dovuto al costante aumento dei costi della cartae di quelli tipografici, che non consente più la pubblicazione della rivista senzaun apporto, anche se minimo, dei suoi lettori.

Vi riassumo brevemente le principali novità che verranno introdotte a partire dalmese di gennaio 2008 e vi invito fin d’ora a contattarci per ogni dubbio e/o ulterioreinformazione, scrivendo al seguente indirizzo mail: [email protected]

� l’abbonamento a pagamento avrà inizio dal mese di gennaio 2008� il suo costo sarà di 9,00 euro l’anno (3 numeri)� l’importo dell’abbonamento sarà unico, sia per persone fisiche che enti,

associazioni, scuole, etc.� grazie alla collaborazione di vecchia data, l’abbonamento sarà gratuito

per i clienti delle Edizioni Magi (l’acquisto, per esempio, di almeno 1 volumenell’arco del 2007 dà diritto all’abbonamento gratuito per l’anno 2008)

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– il versamento dell’intera quota annuale sul C/C postale n. 90884008 intestatoa Edizioni Scientifiche Magi srl, via Giuseppe Marchi 4 – 00161 Roma.

Tutto il resto rimane invariato. Su Babele continueranno a trovare spazio articolifinalizzati ad approfondire, da più punti di vista, le più diverse tematiche inerentiagli ambiti psicologico, pedagogico, educativo e riabilitativo.

Certo della vostra comprensione e convinto di annoverarvi tra i nostri abbonati,auguro a tutti buona lettura,

cordialmente

Il Direttore Responsabile

Dott. Riccardo VenturiniRepubblica di San Marino, 30 gennaio 2007

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