Attualità in Senologia

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POSTE ITALIANE S.P.A. SPED. ABB. POST. 70% - DCB/NOVARA/077/2005 077/2005 05 Trattamento adiuvante nei tumori Inferiori al 1 cm Le novità da San Gallen anno XXI numero 64 quadrimestrale febbraio - maggio 2012 attualità in senologia Terapia con US ad alta intensità nei tumori iniziali POSTE ITALIANE S.P.A. SPED. ABB. POST. 70% - DCB/NOVARA/077/2005

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Organo ufficiale della Forza Operativa Nazionale sul Carcinoma Mammario (F.O.N.Ca.M) del Gruppo Italiano per lo Screening Mammografico (GISMa) e della Società Italiana di Senologia

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POSTE ITALIANE S.P.A. SPED. ABB. POST. 70% - DCB/NOVARA/077/2005

077/200505

Trattamento adiuvante nei tumori Inferiori al 1 cm

Le novità da San Gallen

anno XXI numero 64 quadrimestrale febbraio - maggio 2012

attualità in senologia

Terapia con US ad alta intensità nei tumori iniziali

POSTE ITALIANE S.P.A. SPED. ABB. POST. 70% - DCB/NOVARA/077/2005

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N. 64 - 2012 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 1

attualità in senologia

S O M M A R I OS O M M A R I O

Segreteria di RedazioneElena BiffoliAnna CoffanoTel. 0322905665 (8,30-13)

Consiglio Scientifi coUmberto Veronesipresidente

Alberto Costavicepresidente

Dino AmadoriFranco BerrinoLuigi CataliottiGianpiero Ausili CefaroMaria Grazia DaidoneAndrea DecensiGiuseppe D’AiutoMario De LenaCosimo Di MaggioAlfonso FrigerioMarco GrecoMaria Antonietta NosenzoNereo SegnanPiero Sismondi

Fotografi eFoto di copertina Riccardo FaggianaAltre foto © Fotolia e iStock

Coordinamento grafi coe impaginazioneEleonora Fiumara

EditoreFaggiana Riccardo28805 Vogogna (VB)[email protected]

StampaPRESS GRAFICA s.r.l.28883 Gravellona T. (VB)

Registrazione pressoil tribunale di Verbania.Rivista “Attualità in Senologia” iscritta al n°2come da decretodel 04/02/2005

Attualità in SenologiaRivista della Scuola Italiana di Senologia: direttore Claudio Andreoli

Anno XXI - n. 64Febbraio - Maggio 2012

Organo uffi ciale diForza Operativa Nazionalesu Carcinoma Mammario (FONCaM)

Gruppo Italiano per lo Screening Mammografi co (GISMa)

Società Italiana di Senologia

In collaborazione conSocietà Italiana di Radiologia MedicaSezione di Senologia (SIRM)Europa Donna

DirettoriMarco Rosselli Del Turco (Responsabile)Claudio Andreoli

Redazione Rassegna della LetteraturaANATOMIA PATOLOGICA: Anna SapinoBIOLOGIA CLINICA E TERAPIA MEDICA: Paolo PronzatoCHIRURGIA: Roberta SimonciniCHIRURGIA PLASTICA : Maurizio NavaECOGRAFIA SENOLOGICA: Angela Maria GuerrieriEPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE: Eugenio PaciGENETICA: Maria Luisa BrandiIMMUNOLOGIA: Andrea BalsariLABORATORIO: Massimo GionMAMMOGRAFIA: Gian Marco GiuseppettiPATOLOGIA BENIGNA:Alfonso PluchinottaQUALITÀ DI VITA DISAGI E RELAZIONI: Gemma Martino RADIOTERAPIA: Laura Lozza

Redazione Scientifi caElsa CossuViviana GalimbertiMassimiliano GennaroMaria Piera ManoLorenza MarottiDaniela TerribileCorrado Tinterri

Copyright: le condizioni di utilizzo dei materiali contenuti in questa rivista sono concordate con i detentori. Se ciò non fosse stato possibile, l’editore si dichiara disposto a riconoscere tali diritti.

EDITORIALEEDITORIALE FORUMIl trattamento adiuvante nei tumori inferiori ad 1 cm

FORUM il parere diAntonella Palazzo-Emanuela Risi-Enrico Cortesi, Maria Piera Mano, Marco Zappa-Adele Caldarella

OBIETTIVO SUQuali sono le novità di San Gallen

OBIETTIVO SUMetodiche emergenti mini-invasive nel trattamento termo-ablativo del carcinoma mammario in fase iniziale ed esperienza dell’Istituto Europeo di Oncologia con gli ultrasuoni focalizzati ad alta intensità ecoguidati (HIFU-USg)

RASSEGNA DELLA LETTERATURA

QUATTRO CHIACCHERE CONAlfonso Frigerio

NUOVI STUDIMa è veramente necessaria la biopsia del linfonodo sentinella? Studio SOUND (Sentinel node vs Observation after axillary Ultra-souND)

SPIEGHIAMO LA MEDICINAChe cos’è la chirurgia oncoplastica

QUI CURANO COSÌA.O. Istituti Ospitalieri di Cremona

GISMaNews dal Convegno 2011

L’esame del linfonodo sentinella: dall’analisi morfologica a quella molecolare.

NEWS

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Forse siamo proprio sulla buona strada. Dopo l’approvazione da parte del Senato della mozione presentata dalla Senatrice Bianconi sui tumori al seno nello scorso Aprile, con

l’adesione di tutti i gruppi parlamentari, la stessa Senatrice Bianconi al congresso di Attualità in Senologia, tenutosi a Firenze nel Novembre scorso, ha confermato l’impegno a portare avanti i contenuti della mozione e ha annunciato l’istituzione di un gruppo tecnico di lavoro presso il Ministero alla Salute del quale fanno parte anche componenti del nostro comitato di Redazione.Questo gruppo tecnico ha quasi completato il proprio lavoro che sarà la base per un documen-to programmatico sulla senologia, sul quale il Ministero chiederà un impegno alle Regioni.Vi ricordo che i contenuti principali della mozione sono, da una parte, un impegno a esten-dere i programmi di screening e diagnosi precoce in modo uniforme sul territorio nazionale, migliorandone ulteriormente la qualità e estendendo le fasce di età coinvolte e, dall’altra, a osservare la disposizione del Parlamento Europeo che impegna gli stati membri a istituire unità multidisciplinari per la cura del tumore al seno, ove siano trattati almeno 150 nuovi casi all’anno, conformemente a quanto suggerito da EUSOMA, una per almeno 1-2 milioni di abitanti. Si aff erma inoltre che è necessario verifi care ed eventualmente disporre una revisione dei relativi DRG, nell’ottica di un DRG di percorsoE’ ora importante che tutti gli specialisti senologi italiani, mettendo da parte interessi talvolta di settore, si impegnino in tutte le sedi a difendere il principio fondamentale che deve sotten-dere questo rinnovamento della senologia: la multidisciplinarietà, intesa come collaborazione collegiale tra professionisti qualifi cati e dedicati, che esclude una prevaricazione di uno specia-lista sull’altro e si traduce in un reale benefi cio di diagnosi e cura per la donna. La direzione clinica dei programmi di screening, così come delle unità multidisciplinari per la cura del tu-more al seno, dovrà essere affi data al professionista più competente e autorevole, a prescindere dalla sua specialità in origine.E’ quindi l’occasione da non perdere per riunifi care le competenze cliniche in ambito di screening e diagnosi clinica, riavviare una collaborazione tra le varie specialità per la cura del tumore al seno, rilanciare il ruolo delle infermiere di senologia, dei tecnici di radiologia e di altri operatori non medici e sviluppare attenzione ai servizi di supporto per le donne che am-malano di tumore al seno.

EDITORIALE

* Direttori AIS

Marco Rosselli Del Turco *

Claudio Andreoli *

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N. 64 - 2012 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 3

F O R U MF O R U M

Il trattamento adiuvante nei tumori inferiori ad 1 cm

ERICA MORETTI, MARTA PESTRIN, ANGELO DI LEO, E LAURA BIGANZOLI

UO Oncologia Medica “Sandro Pitigliani”, Ospedale di Prato, Prato

In seguito all’utilizzo routinario dello screening mammo-grafi co e all’introduzione della risonanza magnetica sem-

pre piu’ frequentemente giungono alla nostra attenzione, per valutazioni di terapia adiuvante, pazienti con tumori di dimensioni inferiori al centimetro e linfonodi ascellari ne-gativi (N0).Considerati inizialmente tumori a buona prognosi con dati di sopravvivenza libera da malattia a 10 anni superiore al 90% con il solo trattamento loco regionale, analisi successi-ve hanno evidenziato come in presenza di specifi che carat-teristiche biologiche, la prognosi di questi tumori potesse risultare meno favorevole. Fattori riconosciuti associati ad una peggiore prognosi sono rappresentati da un’istologia duttulo-lobulare(1), la positività per HER2(2), un alto grado tumorale (grado 3)(3), un’età inferiore ai 50 anni alla dia-gnosi, la presenza di invasione linfovascolarei(4), un elevato indice di proliferazione (Ki67 ≥ 20%)(5).In questo articolo rivedremo dati della letteratura relativi alla prognosi e al ruolo del trattamento adiuvante in tumori pT1a-b N0 divisi in base alle loro caratteristiche biologiche in ormonosensibili, HER2-positivi e triplo negativi.

1. La malattia ormono-sensibileNoti sono i benefi ci derivanti da una terapia contenete ta-moxifene e/o un inibitore dell’aromatasi. Dati recentemen-te pubblicati della metanalisi di Oxford hanno confermato a 15 anni un benefi cio assoluto da parte di 5 anni di tamoxife-ne del 13.2% e 9.2% rispettivamente in termini di recidiva e mortalità tumore specifi ca(6). Questo lavoro ha confermato come in una popolazione ER positiva (ER+), il benefi cio assoluto correlato all’uso di tamoxifene è dipendente dal ri-schio di recidiva e di mortalità della malattia stessa ie., sta-

di più avanzati di malattia derivano un maggior benefi cio assoluto dal trattamento. Esistono comunque evidenze di benefi cio da parte di un trattamento con tamoxifene anche in pazienti con tumori ER+ pT1a-bN0(7).Recentemente il Danish Breast Cancer Cooperative Group ha pubblicato uno studio di popolazione atto a valutare il tasso di mortalità di 3197 pazienti aff ette da neoplasia mammaria non trattata con terapia sistemica con lo scopo di identifi care quei sottogruppi che avrebbero potuto bene-fi ciare o meno dall’aggiunta di un trattamento sistemico(8).Le pazienti avevano un carcinoma mammario N0 ER+ e /o PgR positivo (PgR+) + ed erano ulteriormente caratterizzate in base ai seguenti fattori di rischio: età al momento della chirurgia (da 34 a 74 anni raggruppate per categorie con intervallo di 5 anni), dimensioni della neoplasia (≤ 20 mm), istologia e grading (carcinoma duttale di grado 1, carcino-ma lobulare di grado 1 e 2, altre istologie). Un gruppo di validazione di 2710 pazienti é stato inserito nello studio. Ad un follow-up mediano di 14,8 anni si sono osservati tassi di mortalità più elevati nelle pazienti con una neoplasia supe-riore al centimetro e con un’età inferiore a 60 anni. Tuttavia lo studio ha permesso di identifi care un piccolo gruppo di pazienti di età ≥ 60 anni e con neoplasia <1cm e ben diff e-renziata che non aveva un rischio aumentato di mortalità rispetto alle donne della stessa fascia di età nella popolazione generale (Figura1).Dati di biologia molecolare indicano come nel gruppo di pazienti ER+ si possano identifi care due popolazioni biolo-gicamente distinte caratterizzate da una diversa prognosi: il sottogruppo luminale A e luminale B(9). Nella pratica clinica quotidiana l’analisi immunoistochimica di HER2, ER, PgR e Ki67 permette di identifi care con una buona approssima-zione la sottopopolazione luminale B (caratterizzata dalla positività per ER, da un alto indice proliferativo e a volte dalla positività per HER2)(10,11). Lo studio danese risulta quindi in parte limitato dalla man-canza di dati relativi alle caratteristiche immunofenotipiche

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o al profi lo genetico delle neoplasie prese in esame. Infor-mazioni relative allo stato di HER2 e di ki67 avrebbero in-fatti potuto fornire una defi nizione ancora più precisa del gruppo di pazienti eff ettivamente a basso rischio di morta-lità.

2. La malattia HER2 positivaHER2 è amplifi cato e/o “overespresso” in circa il 20% dei tumori mammari. HER2 è un fattore prognostico negativo associato ad elevati tassi di recidiva di malattia e di morta-lità in assenza di terapia sistemica(12), HER2 emerge come fattore prognostico sfavorevole anche nei tumori mamma-ri in stadio I, nei quali l’espressione del marcatore è infe-riore al 10%. Tale dato deriva da numerosi studi (Tabella 1) condotti retrospettivamente ed eterogenei per il tipo di trattamento adiuvante impiegato e per la durata del follow-up(2,13,14,15,16,17,18,19). Particolarmente interessante é lo studio condotto all’MD Anderson Cancer Center in quanto le 965 pazienti con diagnosi di carcinoma mammario in stadio pT1a, bN0M0 analizzate non avevano ricevuto né trastuzumab né chemio-terapia adiuvanti(14). L’intervallo libero da ricaduta è risulta-to complessivamente del 92%. La sottopopolazione HER2 positiva si è caratterizzata per un peggior outcome rispetto a quella HER2 negativa (77% vs 94%, p<0.001). Ad un’ana-

lisi multivariata la positività di HER2 è risultata essere as-sociata ad un maggior rischio di recidiva locale e a distanza rispetto allo status HER2-negativo.L’analisi più numerosa di casi HER2 positivi in stadio pT1a, bN0M0 è stata eff ettuata presso l’Istituto Europeo di Onco-logia ed ha incluso 150 pazienti HER2 positive(15). Questa popolazione è stata confrontata con una coorte di pazienti con malattia HER2 negativa, bilanciata per status ormonale, età e anno della chirurgia. Circa il 50% della po-polazione ER negativa inclusa in studio aveva ricevuto una chemioterapia adiuvante. Ad un follow-up mediano di 4,6 anni la positività di HER2 si è associata ad un più elevato rischio di recidiva (hazard ratio 2,4; 95% CI, 0,9-6,5). Gli autori hanno correlato l’espressione di HER2 con quella dei recettori ormonali (RO). Nel sottogruppo RO positivi è sta-ta osservata una sopravvivenza libera da malattia (DFS) a 5 anni del 99% nei casi HER2 negativi a fronte del 92% nelle pazienti con neoplasia HER2 positiva. Nei casi RO negativi il tasso di sopravvivenza libera da malattia è risultato analo-go nei due sottogruppi: del 92% e del 91% nelle pazienti HER2 negative e HER2 positive rispettivamente(15). Tali dati seppur provocativi, dato il numero limitato di pazien-ti analizzati e la possibile interferenza del trattamento che-mioterapico adiuvante, non sono riproducibili nella pratica clinica.Nel loro complesso tutti questi studi evidenziano come il tu-more mammario HER2 positivo in stadio I, anche in caso di dimensioni inferiori al centimetro, sia caratterizzato da un signifi cativo rischio di recidiva. Anche le analisi che hanno incluso pazienti trattate con chemioterapia adiuvante hanno dimostrato il valore prognostico negativo di HER2; questo dato suggerisce che, nonostante la generale chemiosensibi-lità della malattia HER2 positiva, la chemioterapia da sola non migliora signifi cativamente l’outcome(15,18,19).Per tale motivo estremamente attuale è la discussione sul ruolo di un trattamento adiuvante contenente trastuzumab in questo sottogruppo. Globalmente cinque studi clinici hanno dimostrato un vantaggio in termini di intervallo li-bero da malattia e sopravvivenza globale dall’aggiunta del trastuzumab al trattamento chemioterapico: HERA trial(20), BCIRG 006(21), NSABP B-31 e NCCTG N 9831(22) e Fin-HER(23). Complessivamente questi trial hanno coinvolto più di 13.000 pazienti e hanno reso l’impiego del trastu-zumab uno standard terapeutico nel programma adiuvante del tumore mammario HER2 positivo. La maggioranza di pazienti arruolati negli studi clinici adiuvanti presentava in-teressamento linfonodale e pT≥ 20mm. Ad oggi non sono disponibili dati derivanti da studi clinici randomizzati che defi niscano il ruolo del trastuzumab nel

Figura 1: associazione tra il rischio relativo di morte ed età e dimensio-ni tumorali alla diagnosi: modello ottenuto all’analisi multivariata. La linea orizzontale rappresenta il tasso di mortalità valutato sulla popola-zione generale di donne appaiate per età (mod. da JNCI 2011)

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trattamento adiuvante di tumori HER2 positivi di dimen-sioni inferiori al centimetro e senza interessamento linfono-dale. Esistono tuttavia evidenze indirette dell’impatto posi-tivo del trattamento con trastuzumab in questo sottogruppo di pazienti. Analisi retrospettive hanno evidenziato come il benefi cio proporzionale derivante dal trattamento adiuvante con trastuzumab fosse indipendente dallo stadio di malattia. Nel trial BCIRG 006 è emerso un vantaggio del braccio adriamicina-ciclofosfamide (AC) seguito da taxano-tra-stuzumab (TH), quest’ultimo somministrato per 1 anno, rispetto allo stesso trattamento senza trastuzumab indi-pendentemente dall’interessamento linfonodale e dalle dimensioni tumorali(21). Nel contesto del trial HERA si è evidenziato un benefi cio dall’aggiunta del trastuzumab nei casi con tumore primitivo tra 1 e 2 cm (HR 0.59, 95% CI 0.39-0.8) e nei tumori senza interessamento linfonodale (HR 0.51 95% CI 0.30-0.87)(20). Questi risultati sono in linea con quanto emerso dalla metanalisi di Oxford: il bene-fi cio proporzionale di un trattamento sistemico adiuvante è indipendente da stato linfonodale e dimensioni tumorali(24). Dati derivanti da un’analisi retrospettiva condotta presso l’Istituto Curie hanno rilevato una riduzione del tasso di re-cidive in pazienti con tumori HER2 positivi di dimensione <1 cm in seguito all’introduzione del trattamento adiuvante con trastuzumab(25). Tale dato risulta limitato dall’esiguità del campione (75 casi, 33 trattati con chemioterapia di cui 31 in associazione al trastuzumab) e dalla contemporanea introduzione della chemioterapia e del trastuzumab. Il trastuzumab viene generalmente ben tollerato sebbene si associ ad un potenziale rischio di cardiotossicità. La cardio-tossicità può essere infl uenzata sia dalla modalità di sommi-nistrazione rispetto alla chemioterapia (ad es. sequenziale vs concomitante) che dal tipo di chemioterapia utilizzata. In studi clinici di terapia adiuvante gli eventi di scompenso cardiaco congestizio di classe III e IV e i decessi per cause cardiache varia da 0% a 4,1%(20-23). Un confronto diretto tra i diversi studi clinici è diffi cile in rapporto alla diversa de-

fi nizione di evento cardiaco e il diverso follow-up. Sembre-rebbe comunque che il trastuzumab possa essere maggior-mente cardiotossico quando somministrato in associazione con antracicline. I potenziali eff etti tossici di schemi a base di antracicline, taxani e trastuzumab per un anno, valutati nell’ambito dei principali studi clinici e ritenuti di riferimento nella terapia adiuvante del tumore HER2 positivo, hanno indotto i ricer-catori a testare regimi meno tossici e/o di più breve durata su una popolazione target comprensiva dello stadio I. I prin-cipali studi attualmente in corso volti a valutare in setting adiuvante schedule di chemioterapia caratterizzate da una minor tossicità attesa e/o dalla somministrazione di trastu-zumab per una durata inferiore a 12 mesi sono riportati in Tabella 2. In una review pubblicata da Banerjee e Smith nel 2010 gli autori suggeriscono alcuni possibili approcci che, parallelamente agli studi prospettici randomizzati, potreb-bero contribuire alla defi nizione del trattamento più ap-propriato per questo sottogruppo di pazienti. In particolare ipotizzano la creazione di database che raccolgano prospet-ticamente i dati relativi alla gestione dei tumori < 1 cm per una successiva analisi retrospettiva dell’outcome associato ad ogni trattamento. Viene inoltre enfatizzata l’importanza di studi volti ad una più accurata stratifi cazione del rischio di recidiva nell’ambito di questo sottogruppo di pazienti(26).Ad oggi, sulla base delle evidenze attualmente disponibili e in attesa di ulteriori dati derivanti dagli studi in corso, l’accurata valutazione del rischio cardiologico nel singolo paziente e la scelta di regimi chemioterapici che riducano le probabilità di tossicità cardiaca sono fondamentali nella defi nizione del programma terapeutico, a maggior ragione nel caso di tumori piccoli e N0, per i quali è mandatoria l’attenta considerazione di rischi e benefi ci attesi.

3. La malattia triplo-negativaIl tumore mammario triplo negativo (TNBC) è defi nito dalla mancanza di espressione con metodica immunoisto-

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chimica sia dei recettori ormonali che di HER2 e rappresen-ta il 15% di tutti i tumori della mammella. Recenti evidenze indicano che il TNBC è una patologia eterogenea con ca-ratteristiche cliniche, patologiche, genetiche e conseguente-mente prognostiche molto diversifi cate(27).Nell’ambito dei tumori triplo negativi è possibile distin-guere specifi ci sottotipi istologici caratterizzati da un buon outcome, come ad esempio tumore midollare, carcinoma apocrino a basso grado, carcinoma adenoideo-cistico, car-cinoma metaplastico a basso grado, carcinoma secretorio(28). Questi sottotipi vengono normalmente esclusi quando si parla del ruolo della terapia adiuvante nei tumori di dimen-sione <1 cm. L’istotipo più comune tra i TNBC è rappre-sentato dal carcinoma duttale infi ltrante che si caratterizza generalmente per una cattiva prognosi. La chemioterapia rappresenta la sola opzione di terapia adiuvante sistemica nei tumori triplo negativi che sono globalmente considerati altamente chemio sensibili. Studi di terapia neoadiuvante hanno mostrato che l’otteni-mento di una risposta patologica completa (pCR) in pazien-ti con tumori TNBC era associato ad una prognosi favore-vole sovrapponibile a quella dei tumori non triplo negativi. In contrasto, i pazienti con malattia triplo negativa che non ottenevano una pCR presentavo una prognosi molto più sfavorevole rispetto alla controparte non triplo negativa(29). Nonostante la possibilità di eseguire indagini molecolari so-fi sticate, come ad esempio la determinazione del genomic grade index (29), ad oggi nella pratica clinica non dispo-niamo di elementi che ci possano aiutare ad identifi care il sottogruppo di TNBC “altamente chemio-responsivo”. In-fatti esiste una quota di pazienti con malattia triplo negativa scarsamente sensibile alla chemioterapia pur in presenza di un elevato genomic grade index. (29). Non esistono in letteratura studi che hanno direttamen-te valutato la prognosi di tumori triplo negativi in stadio pT1a-bN0. Nell’analisi condotta all’MD Anderson per valutare l’outco-

me di pazienti HER2 positive con pT <1 cm, si ricava che nel sottogruppo triplo negativo (n= 125) la sopravvivenza a 5 anni libera da recidiva a distanza è del 95.6%, mentre nella popolazione HER2 positiva e RO positiva era rispet-tivamente del 86.4 e 97.5% (14). Un rischio di recidiva a di-stanza a 5 anni del 4.5% nella popolazione triplo negativa potrebbe essere sottostimato forse da un eff etto “diluente” di istologie favorevoli (solo il 76% della popolazione studiata era rappresentato da carcinomi duttali infi ltranti)(14). Esiste una diff erenza tra pT1a e pT1b? Kaplan e colleghi (SABCS 2007) hanno valutato l’outcome di 91 pazienti aff etti da carcinoma mammario triplo negativo dei quali 70% pretrattati con chemioterapia. Ad un follow-up media-no di 4.6 anni i tassi di recidiva erano rispettivamente 0% nei pT1a (n=5), 15.4% nei pT1b (n=13) e 9.6% in tumori pT1c (n=73)(30).

Linee guida e conclusioniIn Tabella 3 sono sintetizzate le linee guida del National Comprehensive Cancer Network (2011) e dell’associazione Nazionale di Oncologia Medica (2009) nonchè le racco-mandazioni di St Gallen (2009) per la gestione della pazien-te aff etta da un tumore mammario in stadio pT1a-bN0M0.Da queste linee guida emerge che un trattamento ormonale adiuvante viene considerato in tutte le pazienti aff ette da ne-oplasia mammaria ER+ anche se l’astensione dal trattamen-to viene considerata un’opzione per i tumori di dimensione ≤ 5mm. Tale opzione risulta a nostro avviso particolarmente applicabile a pazienti che presentano una limitata aspettati-va di vita o che non desiderano gli eff etti collaterali correla-bili al trattamento.Per quanto riguarda le neoplasie HER2 positive un tratta-mento con chemioterapia più trastuzumab viene conside-rato nelle neoplasie di diametro >5mm. Nell’ultima Con-sensus Conference di St Gallen del 2011 è stato dedicato ampio spazio alle problematiche ancora dibattute in merito al trattamento adiuvante della malattia HER2 positiva. Nel-

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F O R U MF O R U M

lo specifi co dei tumori <1 cm la maggioranza degli esperti si è espressa favore di un trattamento con trastuzumab in caso di lesione primitiva compresa tra 6 e 10 mm. Al contrario il 60% di essi ha escluso l’indicazione a trattare con trastu-

Autore/

Popolazione

analizzata

T1N0M0

HER2+/-

N

T1abN0M0

HER2+

N(%)

Revisione

Centralizzata

HER2/Metodo

Follow-up

mediano

(anni)

Risultati

JoensuuFinish cancer Registry

T1a-c852

65 (8%) SiIHCCISH

9.5 Overall DDFS 88%DDFS-HER2 pos 72% (95%CI 60-85)-HER2 neg 88% (95% CI 85-92)-p<0.0001Analisi multivariata per DDFSHER2 pos HR 2.56 (95%CI 1.05-6.23, p=0.04)

Gonzalez-AnguloMD Anderson Cancer Center

T1a, b965

98 (10%) SiIHCFISH

6.2 Overall DRFS 96%DDFS a 9 anni-HER2 pos 86% (95% CI 77-92)-HER2 neg 97% (95% CI 95-98)(p<0,0001)Analisi multivariata per DDFSHER2+HR 5.3 (95% CI 2,3-12,62)(p<0,001)

Curigliano European Institute of Oncology

T1a, b2130

150 (7%) SiIHC FISH

4.5 DFS a 5 anni OR pos-HER2 pos 92% (95%CI 86-99)-HER2 neg 99% (95% CI 96-100)DFS a 5 anni OR neg-HER2 pos 91% (95% CI 84-99)-HER2 neg 92% (95% CI 84-100)

ChiaCanadian cancer Registry

T1a-c1248

117 (9%) SiIHCFISH

12.4 DFRS a 10 anniHER2 pos 78%HER2 neg 86%p=0.095ER posHER2 pos 87%HER2 neg 87%ER negHER2 pos 73% (95% CI 61-82)HER2 neg 84% (95% CI 78-88)

Tovey Glasgow Royal Infi rmary

T1a-c230

16 (7%) SiIHCFISH

6.5 Recidiva HER2 posHR 8.99 (95% CI 3-27, p=0.000)

BlackMA Gen Hosp &Dana Farber CancerInstitute

T1a-c134

134 No 5 DFS a 5 anniT1a-b 90.5%,T1c 89.5%

Park Korean Breast Cancer registry

T1a,b370

31 (8%) SiIHCFISH

5 DRFS sottogruppo HER2 pos (defi nito come HER2 pos e OR neg)HR 5.7 (95%CI 1.04-31.5, p=0.045)

RakkhitMD Anderson Cancer Center

T1a, b1369

31 (8%) SiIHCFISH

6.2 DRFS a 5 anni sottogruppo HER2 pos (defi nito come HER2 pos OR pos/neg)HR 4.66 (95% CI 2.47-8.8, p<0.0001

zumab pazienti ope-rate per lesione stadio pT1aN0. Dal momen-to che le uniche eviden-ze che supportino l’im-piego di trastuzumab in associazione all’ormo-noterapia derivano dal setting metastatico, il panel si è un dimostrato sfavorevole alla sommi-nistrazione di trastuzu-mab adiuvante senza chemioterapia, fatta eccezione per le circo-stanze in cui quest’ul-tima risulti controindi-cata(28).Per quanto riguarda la malattia triplo negati-va una chemioterapia adiuvante viene consi-derata un opzione nei tumori pT1bN0. Sot-tolineiamo ancora una volta, come anche spe-cifi cato nel Consensus di St Gallen, che tumori triplo negativi ad istolo-gia favorevole non de-vono essere considerati in questa valutazione. La decisione in meri-to ad un trattamento adiuvante nei tumori HER2 positivi e tri-plo negativi inferiori al centimetro richiede l’ accurata valutazione di rischi associati alla te-rapia e benefi ci attesi, la personalizzazione del programma terapeutico a favore delle opzioni meno tossiche (tossici-tà a lungo termine) e il

coinvolgimento del paziente nel processo decisionale.Tabella1. Studi che hanno valutato l’impatto dello status di HER2 sulla sopravvivenza di pazienti con diagnosi di tumore mammario

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F O R U MF O R U M

stadio pT1N0M0 (Modifi cato da Oakman C et al 31)Tabella 2. Studi clinici condotti in setting adiuvante anche nella sottopopolazione di pazienti in stadio I con la fi nalità di testare schemi chemioterapici meno tossici e/o sommistrazioni di

trastuzumab per una durata <12 mesi.TXL: taxolo; D: docetaxel; CEF: ciclofosfamide, 5fl uorouracile, epirubicina; G: grado; OR: recettori ormonali; sett: settimane; T: tumore primario; N: status linfonodale.

Titolo uffi ciale A Phase II Trial of Adjuvant Paclitaxel and Trastuzumab for Node-Negative HER2-Positive Breast Cancer32

The Synergism Or Long Duration (SOLD) StudyA randomised Phase III Study comparing trastuzumab plus docetaxel followed by 5-FU, Epirubicin, and cyclophosphamide to the same regimen followed by single-agent trastuzumab as adjuvant Treatment for Early Breast Cancer33

SHORT-HER: multicentric randomised phase III trial of 2 different adjuvant chemotherapy regimens plus 3 vs 12 months of trastuzumab in HER2 positive breast cancer patients34

Protocol of Herceptin Adjuvant With Reduced exposure, a Randomised Comparison of 6 months vs 12 Months in Al Women Receiving Adjuvant Herceptin (PHARE)35

PERSEPHONE: Duration of Trastuzumab With chemotherapy in women with Early Stage Breast cancer: Six months Versus twelve36

Fase 2 3 3 3 3

Trattamento TXL+trastuzumab D q21 x 3 cicli + trastuzumab (9 sett)→ CEF x 3 ciclivsD q21 x 3 cicli+ trastuzumab (9 sett.)+ → CEF x 3 cicli→ trastuzumab q21 x 14 cicli

Braccio AAC/EC x 4 cicli → TXL/D + trastuzumab x 4 cicli q21 → trastuzumab x 14 cicli q21vsBraccio BDq21 x 3 cicli+ trastuzumab q7 x 9 cicli → FEC x 3 cicli

≥ 4 cicli di chemioterapia adiuvante

Chemioterapiasecondo lo schema adottato nel singolo centro

Durata del Trastuzumab 52 sett 51 settVs9 sett

12 mesiVs3 mesi

12 mesiVs6 mesi

12 mesiVs6 mesi

Eligibilità T<3 cmN0

T>5 mm e G>1 oN+

N+ oN- e ≥ 1 di:T>2 cmG 3Invasione linfovascolareEtà ≤ 35OR <10%

≥ 10 mm Pazienti candidate ad un trattamento neoadiuvante e adiuvante T e N: qualsiasi

Stato Completato Reclutamento in corso Reclutamento in corso Completato Reclutamento in corso

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N. 64 - 2012 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 9

F O R U MF O R U M

NCCN 2011 AIOM 2009 St Gallen 2009

pT1a pT1b pT1a pT1b pT1a pT1b

ER+ HER2- Considerare HT HT±CT NT=opzione+ Considerare HT

HER2+ Considerare HT HT±CT+T Decisione caso per caso° Decisone caso per caso**

ER- HER2- NT=opzione Considerare CT NT=opzione Considerare CT NT=opzione Considerare CT

HER2+ NT=opzione Considerare CT+T NT=opzione Considerare CT±T Decisone caso per caso**

Tabella 3. Linee guida a confronto

NT: no terapia adiuvante; CT, chemioterapia; T: trastuzu-mab; HT: ormonoterapia+ : in assenza di altri fattori di rischio° : in base ad altri fattori di rischio** ST Gallen 2011: la maggioranza del Panel era disponibile a considerare chemioterapia adiuvante + trastuzumab nei casi pT1bN0

Bibliografi a1 Rosen PP, Groshen S, Kinne DW, Norton L. J Factors infl uencing prognosis in node-negative breast carcinoma: analysis of 767 T1N0M0/T2N0M0 patients with long-term follow-up. J Clin Oncol. 1993; 11: 2090-100.2 Joensuu H, Isola J, Lundin M et al Amplifi cation of erbB2 and erbB2 expression are superior to estrogen re-ceptor status as risk factors for distant recurrence in pT-1N0M0 breast cancer: a nationwide population-based study. J Clin Cancer Res. 2003; 9: 923-30.3 Chia SK, Speers CH, Bryce CJ et al Ten-year outcomes in a population-based cohort of node-negative, lympha-tic, and vascular invasion-negative early breast cancers without adjuvant systemic therapies. J Clin Oncol. 2004; 22: 1630-7.4 Leitner SP, Swern AS, Weinberger D et al Predictors of recurrence for patients with small (one centimeter or less) localized breast cancer (T1a,b N0 M0). Cancer. 1995; 76: 2266-74.5 Colleoni M, Rotmensz N, Peruzzotti G et al. Minimal and small size invasive breast cancer with no axillary lym-ph node involvement: the need for tailored adjuvant the-rapies. Ann Oncol. 2004; 15: 1633-9.6 Early Breast Cancer Trialists’ Collaborative Group (EB-CTCG), Davies C, Godwin J, Gray R, Clarke M, Cutter D, Darby S, McGale P, Pan HC, Taylor C, Wang YC,

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10 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 2012 - N. 64

F O R U MF O R U M

who have human epidermal growth factor receptor 2-po-sitive, node-negative tumors 1 cm or smaller. J Clin On-col. 2009; 27:5700-6.15 Curigliano G, Viale G, Bagnardi V et al Clinical rele-vance of HER2 overexpression/amplifi cation in patients with small tumor size and node-negative breast cancer. J Clin Oncol. 2009; 27: 5693-9.16 Chia S, Norris B, Speers C et al Human epidermal growth factor receptor 2 overexpression as a prognostic factor in a large tissue microarray series of node-negative breast cancers. J Clin Oncol. 2008 ; 26: 5697-704.17 Tovey SM, Brown S, Doughty JC et al Poor survival outcomes in HER2-positive breast cancer patients with low-grade, node-negative tumours. Br J Cancer. 2009; 100: 680-3.18 Black D, Younger J Martei Y et al Recurrence risk in T1a-b, node negative, HER2 positive breast cancer Bre-ast Cancer Res Treat 2006; 100: abstract 2037.19 Park YH, Kim ST, Cho EY et al A risk stratifi cation by hormonal receptors (ER, PgR) and HER-2 status in small (< or = 1 cm) invasive breast cancer: who might be possible candidates for adjuvant treatment? Breast Can-cer Res Treat. 2010 ; 119: 653-61.20 Piccart-Gebhart MJ, Procter M, Leyland-Jones B et al Trastuzumab after adjuvant chemotherapy in HER2-po-sitive breast cancer. N Engl J Med. 2005 20; 353: 1659-72.21 Slamon D, Eiermann W, Robert N et al Adjuvant tra-stuzumab in HER2-positive breast cancer. N Engl J Med. 2011; 365: 1273-8322 Romond EH, Perez EA, Bryant J et al Trastuzumab plus adjuvant chemotherapy for operable HER2-positive breast cancer. N Engl J Med. 2005; 353: 1673-84.23 Joensuu H, Bono P, Kataja V et al Fluorouracil, epi-rubicin, and cyclophosphamide with either docetaxel or vinorelbine, with or without trastuzumab, as adjuvant treatments of breast cancer: fi nal results of the FinHer

Trial. J Clin Oncol; 27: 5685-92.24 Early Breast Cancer Trialists’ Collaborative Group (EB-CTCG). Eff ects of chemotherapy and hormonal therapy for early breast cancer on recurrence and 15-year survival: an overview of the randomised trials. Lancet, 2005; 365: 1687-717.25 Rodrigues MJ, Wasseemann J, Albiges-Sauvin L, et al Treatment of node-negative infra-centimetric HER2+ invasive breast carcinomas: A joint AERIO/REMAGUS study. J Clin Oncol 27: 10s, 2009 (abstr 517).26 Banerjee S, Smith IE. Management of small HER2-positive breast cancers. Lancet Oncol. 2010 Dec;11: 1193-9.27 Lehmann BD, Bauer JA, Chen X et al Identifi cation of human triple-negative breast cancer subtypes and pre-clinical models for selection oftargeted therapies. J clin investigation, 2011; 121: 2750-6728 Yerushalmi R, Hayes MM, Gelmon KA Breast carcino-ma-rare types: review of the literature. Ann Oncol. 2009; 20:1763-7029 Liedtke C, Mazouni C, Hess KR et al. Response to neoadjuvant theraphy and long-term survival in patients with triple negative breast cancer. J Clin Oncol, 2008; 26: 1275-8130 Kaplan HG, Malmgren JA, Atwood MK: T1N0 triple negative breast cancer: adjuvant chemotherapy treatment and risk of recurrence. Breast Cancer Res Treat, 2007; 106: S14931 Oakman C, Sapino A, Marchiò C et al Chemotherapy with or without trastuzumab. Ann Oncol, 2010; 21 Sup-pl 7: vii112-932 ClinicalTrials.gov identifi er: NCT0054245133 ClinicalTrials.gov identifi er: NCT0059369734 ClinicalTrials.gov identifi er: NCT0062927835 ClinicalTrials.gov identifi er: NCT0038190136 ClinicalTrials.gov identifi er: NCT0071214

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N. 64 - 2012 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 11

Forum Il parere di

Enrico Cortesi, Antonella Palazzo,

Emanuela Risi

Unità di Oncologia Medica - Dipartimento di Scienze Radiologiche Oncologiche ed Anatomo-Patologiche - Policlinico Umberto I - Sa-

pienza Università di Roma

Quale è la opinione del vostro team in merito al tratta-mento con chemioterapia +/- trastuzumab nei casi infe-riori a 1 cm HER2 positivi o tripli negativi?

Negli ultimi dieci anni è stato dimostrato come il tu-more mammario sia una malattia dal comportamen-

to eterogeneo che rifl ette i vari profi li biologici intriseci al tumore stesso. Mediante studi di “gene profi le” sono stati individuati almeno quattro sottotipi molecolari ai quali grossolanamente, corrispondono caratteristiche identifi -cabili all’esame istologico, attraverso l’analisi dei recettori estro-progestinici (ER e PgR), della proteina oncogeni-ca HER2 (human epidermal growth factor receptor 2) e dell’indice proliferativo cellulare (Ki67). Ad oggi, per un corretto approccio diagnostico e terapeu-tico del tumore al seno, è pertanto necessario conoscere, non solo tutte le informazioni clinico patologiche classi-che, quali età, grading istologico (G), dimensioni tumo-rali e coinvolgimento linfonodale, ma soprattutto la sua biologia. Un tumore mammario positivo per ER e/o PgR ha gene-ralmente una prognosi migliore rispetto a quello negativo, grazie alla possibilità di controllare la malattia mediante la deprivazione ormonale. Per contro in assenza di tar-get, come nel caso dei tumori triplo negativi (ER e PgR e HER2 negativi), si osserva una maggior sensibilità alla chemioterapia, pur rappresentando una delle situazioni a più alto rischio di recidiva. Anche i tumori HER2 posi-tivi sono a prognosi peggiore. Questo oncogene è, difatti, coinvolto nei segnali di proliferazione, motilità e invasività cellulare ed è iperespresso in circa il 25% dei tumori mam-

mari ed in meno del 10% di quelli di piccole dimensioni. Il trastuzumab, un anticorpo monoclonale anti-HER2, ha, tuttavia, drammaticamente migliorato la storia natu-rale di questa malattia, sia nel trattamento metastatico che in quello precauzionale o adiuvante. Secondo le più re-centi linee guida internazionali il vantaggio ottenuto con l’aggiunta del trastuzumab alla chemioterapia adiuvante è tale da indicarla nei casi di tumori mammari con dimen-sioni superiori al centimetro. Ad oggi, infatti, non esistono studi clinici disegnati per i tumori HER2 positivi o triplo negativi di piccole dimensioni (< 1 cm), anche se è stato ampiamente dimostrato il loro maggior rischio di recidiva. Le attuali conoscenze sulla biologia del tumore mamma-rio rappresentano la base dei successi ottenuti con le più moderne strategie terapeutiche e pertanto, anche se ancora nell’ ambito di forte controversia, crediamo che di fronte a caratteristiche di aggressività biologica, quali triplo nega-tività o iperespressione di HER2, la scelta di una chemio-terapia +/- trastuzumab non debba tener conto delle sole dimensioni tumorali. L’età premenopausale, la presenza di familiarità per patologia tumorale mammaria, ovarica o endometriale, così come la storia della malattia, un alto G o Ki67, sono informazioni aggiuntive che ci aiutano nella proposta di una chemioterapia precauzionale per tumori “aggressivi” anche se di piccole dimensioni.Ulteriore dibattito vi è sul tipo e durata della chemiotera-pia da proporre in questi casi. Molti, infatti, considerano opzionale una più breve durata del trattamento. In assenza di evidenze scientifi che, al momento, non riteniamo che la piccola dimensione debba condurre alla conclusione di poter abbreviare la durata di una chemioterapia e pertan-to, la nostra tendenza è quella di una terapia di durata standard preferibilmente con una combinazione di farma-ci sequenziali che deve essere sempre scelta sulla base delle condizioni generali e delle comorbidità della paziente.

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12 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 2012 - N. 64

F O R U M I l p a r e r e d iF O R U M I l p a r e r e d i

Maria Piera Mano

Dipartimento Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Università di Torino - S.C.Epidemiologia dei Tumori 2 CPO Piemonte, Azienda Ospedaliero Universitaria San Giovanni Battista di Torino.

Nei casi di tumore inferiore a 1 cm, alla luce anche della revisione della letteratura eff ettuata nel forum della dott. Moretti et al., si può adottare un protocollo standard di trattamento sistemico o la insuffi ciente documentazione disponibile in letteratura suggerisce una discussione caso per caso, limitando il trattamento a casi molto selezionati?

A mio parere, oggi adottare un protocollo standard è molto diffi cile poiché i fattori che possono modulare il tipo di

terapia sono molti ed in continuo aumento: è dunque impor-tante che le pazienti vengano trattate in centri qualifi cati e da specialisti con adeguato livello di formazione.La categoria trattata nel Forum (tumori piccoli con linfonodi negativi), in particolare, non si può considerare oggetto di trat-tamento sistemico come protocollo standard con i dati oggi disponibili.Oggi grazie ai programmi di screening lesioni di queste dimen-sioni sono frequenti e il rischio di sovratrattare è dunque molto elevato: globalmente questa categoria ha un rischio di ripresa di malattia molto basso (8% a 10 anni) ed è sovrapponibile a quello della popolazione generale in alcuni sottogruppi (es: nei casi unifocali con recettori positivi ed età superiore a 60 anni). Per contro, come citato nel Forum, la letteratura riporta percen-tuali di mortalità sui possibili danni iatrogeni da trattamento sistemico con trastuzumab (che è preceduto inevitabilmente da chemioterapia), che rischiano di eguagliare o superare in termi-ni di mortalità i benefi ci; la stessa ormonoterapia spesso consi-derata poco tossica rispetto alla chemioterapia, ha in realtà un impatto importante sulla qualità di vita a causa degli eff etti sulla sessualità, sui danni metabolici e sull’osteoporosi, etc.Il rischio oggi è quello di trattare una lesione in base alla ca-pacità che ha di rispondere piuttosto che sulla base del rischio

di ricaduta: ad esempio un tumore che esprime Herb 2 rischia di essere trattato con trastuzumab e quindi con chemioterapia anche se unifocale, senza in situ associato, e di dimensioni in-feriori ai 5 mm.A questo proposito le linee guida fanno una distinzione tra pT1a e pT1b: nessuna linea guida, nazionale o internazionale, propone un trattamento in lesioni di dimensioni inferiori a 5 mm (mantenendo una riserva su altri fattori di rischio), mentre nei tumori di dimensioni superiore ai 5 mm pur non raccoman-dando il trattamento adiuvante in modo imperativo sembrano essere a favore di un trattamento adiuvante, almeno, nelle lesio-ni HER2+ per il rischio prognostico negativo maggiore.In realtà le dimensioni sono relativamente importanti quando si parla di tumori a linfonodi negativi sotto il cm.; ciò che bisogna prendere in considerazione è la estesa componente di in situ di alto grado associata che sottintende a lesioni ben più estese e pericolose.Attualmente, come citano gli autori del forum, non esistono trial randomizzati che ne confermino l’effi cacia, ma solo evi-denze indirette, retrospettive e su numeri limitati.Non dimentichiamo che ci sono anche problemi relativi all’ac-curatezza e riproducibilità nella determinazione della espressio-ne dell’HER2.Se sono HER 2 - e Rec negativi, anche se non esistono studi che abbiano valutato il rischio prognostico dei triplo negativi di piccole dimensioni, non viene esclusa la possibilità di tratta-mento con CT.In conclusione, credo che prima di introdurre il trattamento sistemico in questo gruppo di pazienti, occorra condurre trial randomizzati; anche se, in ultima analisi, è la discussione del singolo caso condotta in modo multidisciplinare e con il parere della paziente a determinare le decisione fi nale.Bisogna anche informare la paziente che, quando c’è global-mente una buona prognosi, è alto il rischio di essere trattata inutilmente: infatti nel 90% dei casi non ricadrà anche senza trattamento adiuvante sistemico, e nel 2% dei casi potrà co-munque ricadere.

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N. 64 - 2012 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 13

F O R U M I l p a r e r e d i F O R U M I l p a r e r e d i

Marco Zappa, Adele Caldarella

SC Epidemiologia Clinica e Descrittiva, ISPO, Firenze

Le evidenze disponibili sulla sovra-diagnosi suggeriscono che questo fenomeno è legato in particolare alle neoplasie diagnosticate sotto a 1 cm, o può essere ugualmente presente anche per forme più estese?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo innanzitutto separare il concetto di sovra-diagnosi da quello di sovra-

trattamento. Per sovra-diagnosi si intende la identifi cazione tramite screening o esame spontaneo di prevenzione (cioè eff ettuato in una donna asintomatica) di un carcinoma che, senza l’eff ettuazione di quell’esame, non sarebbe mai comparso clinicamente nella vita di quella donna. E’ evidente che ogni trattamento eff ettuato su una lesione sovra-diagnosticata è un sovra-trattamento. Per altro un sovra-trattamento può avveni-re anche per lesioni non sovra-diagnosticate. La sovra-diagnosi deriva da due elementi: a) l’aspettativa di vita di quella persona: un esame di anticipazione diagnostica fa comparire un tumore un certo numero di anni prima della sua comparsa clinica. Se il numero di anni è superiore a quanto sarebbe vissuta quella stessa persona è evidente che il caso è sovra-diagnosticato. Da ciò deriva che la sovra-diagnosi è più probabile che avvenga in persone più anziane. b) l’esistenza di forme tumorali a lentissi-ma crescita (qualcuno ipotizza addirittura l’esistenza di forme tumorali regredibili). La sovra-diagnosi è stimabile a livello di popolazione, ma non è, al momento attuale, individuabile a livello del singolo individuo. In altre parole sappiamo che fra 1 o 2 tumori ogni 10 individuati in fase asintomatica sono sovra-diagnosticati. Non sappiamo dire quali siano. Possiamo però ipotizzare che i tumori sovra-diagnosticati abbiano le ca-ratteristiche che rendono meno probabile il manifestarsi del tumore stesso sotto forma sintomatica: ovverosia la posizione ma soprattutto le dimensioni e la velocità di crescita. Un tu-more che cresce velocemente con molta probabilità sarebbe comparso clinicamente. La velocità di crescita non è stimabile al primo esame a cui si sottopone la donna ma può esserlo

all’esame successivo. In altre parole possiamo pensare che i casi sovra diagnosticati siano più frequenti fra i tumori piccoli identifi cati al primo round in donne relativamente anziane. Il dato del Danish Breast Cancer Cooperative Group (1) in cui non si osserva un eccesso di mortalità rispetto alla popolazione generale in donne di età >= 60 anni e con neoplasia < 1 cm ben diff erenziata potrebbe trovare una parte di spiegazione nella sovra-diagnosi. Comunque il problema della sovra-diagnosi fa risaltare ancora di più la necessità di evitare sovra-trattamento.

Quali considerazioni derivano dalla lettura della revisione elaborata dalla dr.ssa Moretti et al., alla luce del rischio di sovra-trattamento?

Per valutare l’utilità o meno di un trattamento occorre in pri-mo luogo identifi care se esista un eccesso di mortalità nella popolazione non trattata rispetto alla popolazione generale. Nello studio citato(1) le donne con età superiore a 60 anni e piccoli tumori ormonoresponsivi non presentano, in assenza di trattamento adiuvante, un aumento del rischio di mortalità; l’analisi esamina la mortalità per ogni causa, così da considerare non solo quella causa specifi ca ma anche la mortalità per cause competitive. Questo dato è importante per considerare anche eventuali eff etti terapeutici indesiderati, soprattutto quando si valuti l’effi cacia terapeutica di nuovi trattamenti in patologie ad alta sopravvivenza. In tumori a buona prognosi è da consi-derare l’effi cacia terapeutica in termini di costi/benefi ci: riscon-trare infatti che in un tumore con sopravvivenza a 10 anni pari al 95% un nuovo trattamento comporta un miglioramento pari al 20%, signifi ca in realtà che in una paziente la prognosi migliora, in 4 non si assiste ad aumento della sopravvivenza e 95, trattate pur avendo già un’alta sopravvivenza, subiscono presumibilmente eff etti terapeutici indesiderati.Studi prospettici su ampie casistiche, data la bassa mortalità delle piccole neoplasie della mammella, sono necessari per validare l’utilizzo di terapie adiuvanti in questi tumori. L’in-dividuazione di fattori potenzialmente utili nell’identifi care i pazienti con tumore piccolo ma prognosi sfavorevole potrebbe contribuire alla selezione dei casi in cui il vantaggio in termini di sopravvivenza generale risulti superiore alla tossicità terapeu-tica, ma al momento attuale rimane comunque non trascura-bile, e da valutare al momento della decisione terapeutica, il rischio di sovratrattamento.

1) Christiansen P, Bjerre K, Ejlertsen B et al “Mortality rates among early-stage hormone receptor-positive breast cancer patients: a population-based cohort study in Denmark” JNCI 103, 1363-1372, 2011

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O B I E T T I V O S UO B I E T T I V O S U

N. 63 - 2011 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 15

Quali sono le novità di San Gallen?

M.DONADIO, M.MISTRANGELO, AM. VANDONE, G. RITORTO

SSCVD Oncologia Medica Senologica- Breast Unit - Ospedale S. Gio-

vanni Battista, Torino

La 12a Breast Cancer Conference di San Gallen, ha riuni-to nel Marzo 2011 circa 4300 partecipanti provenienti

da 96 paesi diversi, con faculties di tutto il mondo, a rappre-sentare le discipline rilevanti nel trattamento adiuvante del carcinoma mammario. Dopo la presentazione dei risultati delle ricerche cliniche nell’ambito della cura del carcinoma mammario, un Panel di 51 esperti ha valutato una serie di domande per defi nire delle nuove raccomandazioni di trattamento alla luce delle più recenti evidenze scientifi che.Come nelle precedenti conferenze di San Gallen(1), il Panel di esperti ha garantito la valutazione delle prove scientifi che dando un parere anche in caso di evidenze ambigue o sup-portate da dati ancora insuffi cienti per poter esprimere un giudizio. Per la prima volta, è stata data un’esplicita defi ni-zione dei possibili confl itti di interesse riguardanti gli esperti del Panel.La discussione plenaria ha preso in considerazione tutti gli aspetti del trattamento del tumore mammario in fase ini-ziale, dalle indicazioni chirurgiche e radioterapiche, alla di-scussione delle indicazioni terapeutiche mediche in base ai diversi sottotipi tumorali, la cui defi nizione è stata l’elemen-to centrale della Consensus Conference 2011.

Terapie loco regionali: chirurgia e radioterapiaIn ambito di trattamento chirurgico loco-regionale, è sta-to dato ampio spazio di dibattito a due specifi ci argomenti: l’exeresi del solo linfonodo sentinella e le indicazioni alla dissezione ascellare.La presenza di cellule tumorali isolate o di metastasi fi no a 2 mm (micrometastasi) in un singolo linfonodo sentinella, non sono stati considerati un’indicazione per procedere alla linfoadenectomia, indipendentemente dal tipo di interven-

to chirurgico mammario eff ettuato(2). Sulla base dei dati del-lo studio ACOSOGZ0011, è stata indicata la possibilità di omettere nella pratica clinica la dissezione ascellare anche in presenza di macrometastasi, ma solo in pazienti sottoposte a intervento conservativo seguito da radioterapia whole-breast e in pazienti con linfonodi clinicamente negativi oppure con 1-2 linfonodi sentinella positivi. La linfoadenectomia, in assenza di mirate sperimentazione cliniche, non dovrebbe essere omessa in pazienti sottoposte a mastectomia, in coloro che non riceveranno radioterapia, in pazienti con il coinvolgimento di più di due linfonodi sentinella ed in caso di pregressa terapia neoadiuvante(3).Dalla Consensus Conference 2011 è stata indicata la possi-bilità di diversifi care il trattamento radioterapico adiuvante in esiti di chirurgia conservativa, in base alle caratteristiche di malattia e delle pazienti.Questa indicazione trova conferma nei dati relativi alla ra-dioterapia intra-operatoria, che ha dimostrato risultati so-vrapponibili a quelli della radioterapia whole-breast conven-zionale(4).Inoltre, programmi di radioterapia accelerata (15/16 frazio-ni versus le 25 convenzionali), si sono dimostrati altrettanto adeguati in termini di controllo loco-regionale di malattia, sopravvivenza e tollerabilità, rispetto al trattamento conven-zionale(5,6). Tecniche di Partial Breast Irradiation (PBI), sono conside-rate un’opzione accettabile, sia per effi cacia che per tollera-bilità, in casi selezionati quali le pazienti di età superiore ai 70 anni. Il loro uso ha invece ancora un ruolo controverso in presen-za di estesa invasione vascolare e nelle pazienti precedente-mente sottoposte a irradiazione a mantellina per pregresso linfoma, per le quali i rischi di un secondo tumore al di fuori del quadrante mammario trattato, sono notevoli. La radioterapia adiuvante dopo mastectomia, è fortemente indicata in pazienti con quattro o più linfonodi ascellari po-sitivi ma è da segnalare che una parte non maggioritaria del

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16 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 2012 - N. 64

O B I E T T I V O S UO B I E T T I V O S U

Panel di esperti la considera adeguata anche in pazienti di età inferiore ai 45 anni con 1-3 linfonodi positivi ed in pa-zienti con estesa invasione vascolare e 1-3 linfonodi positivi indipendentemente dall’età. La maggior parte degli esperti, ritiene infi ne che la radiote-rapia adiuvante completi il trattamento chirurgico conser-vativo dopo exeresi di un carcinoma duttale in situ (DCIS), ma considera accettabile la sua omissione in pazienti selezio-nate ovvero anziane, o con CDIS di basso grado e a basso rischio di recidiva.

I sottotipi biologiciNella Consensus 2011 è stata confermata la necessità di considerare il carcinoma della mammella, non più come una singola patologia. Dallo studio degli specifi ci pattern di espressione genica sono stati identifi cati diff erenti sottotipi tumorali e nella pratica clinica, la loro individuazione è resa possibile dalla valutazione immunoistochimica dello stato recettoriale, dell’indice di proliferazione (Ki 67) e dello stato di HER2. I sottotipi defi niti attraverso i criteri clinico-pa-tologici sono simili, ma non identici ai sottotipi molecolari e ne rappresentano una conveniente approssimazione per la pratica clinica. (Tabella 1).La defi nizione dei sottotipi di malattia si basa quindi sull’esi-stenza di un elevato standard qualitativo anatomo-patologi-co, in accordo con le linee guida disponibili(2-3).Identifi care i diversi sottotipi di tumore mammario, è fon-damentale per il diverso rischio epidemiologico(7-8) e la dif-ferente prognosi(9-11), storia naturale e predittività di risposta ai trattamenti sistemici(12-16).Nella classifi cazione proposta, il Ki-67 è fondamentale nel discriminare tra i sottotipi ‘Luminali A’ e ‘Luminali B’ (HER2 negativi). Se il Ki-67 non è disponibile, il grading tumorale può essere utilizzato per distinguere le due pato-logie.I diversi sottotipi tumorali così individuati, guidano nelle scelte terapeutiche perché predittivi di risposta ai diversi trattamenti sistemici di cui oggi possiamo avvalerci(17-20).Il Panel di esperti sostiene che i marcatori clinico-patologici che hanno guidato le scelte terapeutiche fi no ad oggi, pos-sano continuare a svolgere un ruolo determinante nella de-cisione circa il miglior trattamento adiuvante, in assenza di metodiche di valutazione genica nella pratica clinica.

Terapie sistemicheOrmonoterapia in donne in pre-menopausaIn questo setting di pazienti, il Panel 2011 ha confermato l’indicazione a Tamoxifene, da solo o in associazione con soppressione ovarica come standard terapeutico. In partico-

Intrinsic Subtype Defi nizione

clinico-patologica

Note

Luminale A ER e/o PgR positivoHER2 negativoKi67 basso (< 14%)

Il cut-off per il ki67 è stato defi nito attraverso la com-parazione di dati clinico patologici con la defi ni-zione di intrinsic subtype da PAM50. E’importante controllo locale di qualità della determinazione Ki67

Luminale B Luminale B

(HER2 negativo)

ER e/o PgR positivoHER2 negativoKi67 alto

In diversi panel genici, I geni indicativi di elevata proliferazione sono fattori indicativi di scarsa pro-gnosi. Se non è disponibile la valutazione del Ki67, un’indicazione alternativa di proliferazione tumora-le si può avere dal grado che può essere utilizzato per distinguere neoplasie “Luminali A’ e ‘Luminali B (HER2 negative)’

Luminale B

(HER2 positivo)

ER e/o PgR positivoHER2 overespresso o amplifi catoKi67 indifferente

Possono essere indicate sia terapia ormonale che terapia anti-HER2

HERBB2 HER2 positivo

(non luminale)

HER2 over-espresso o amplifi cato

ER e PgR negativi

Basal Like Triplo negativo

(duttale)

ER e/o PgR negativiHER2 negativo

Esiste una sovrapposizione in circa l’80% dei casi tra sottotipo basale e triplo negative ma in quest’ulti-ma categoria sono inclu-si alcuni istotipi speciali come il carcinoma midol-lare tipico e l’adenoide cistico con un basso rischio di ricaduta a distanza. La valutazione di citochera-tine basali sebbene abbia dimostrato di aiutare nella selezione delle neoplasie basal-like, è considerata attualmente non adegua-tamente riproducibile per l’uso nella pratica clinica

Tabella 1. Defi nizioni surrogate degli intrinsic subtypes di carcinoma mammario St Gallen 2011.

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lare la maggior parte degli esperti ha espresso la preferenza per l’utilizzo del solo Tamoxifene.Nelle pazienti con controindicazione a Tamoxifene, la sola soppressione ovarica è stata accettata come possibile tratta-mento così come la combinazione della soppressione ovarica con un inibitore dell’aromatasi(21).

Ormonoterapia in donne in post-menopausaDopo revisione dei dati ad oggi disponibili, per il tratta-mento ormonale adiuvante della donna in post-menopausa, il Panel di esperti ha confermato l’indicazione all’uso degli inibitori dell’aromatasi (se non controindicati) ed in parti-colare in caso di linfonodi ascellari coinvolti.Circa il 50% degli esperti, ritiene inoltre, che pazienti sele-zionate potrebbero essere trattate con Tamoxifene da solo, e che in caso di intolleranza agli inibitori dell’aromatasi può essere indicato lo switch a Tamoxifene. E’ fondamentale per una corretta scelta terapeutica, la defi -nizione di stato menopausale, basato sia su criteri clinici che biochimici.Ad oggi, la durata del trattamento ormonale adiuvante non dovrebbe superare i 5 anni con inibitore dell’aromatasi up-front, indipendentemente dallo stadio iniziale di malattia e dell’età della paziente alla diagnosi.Nei casi di tumore della mammella maschile, l’indicazione alla terapia ormonale adiuvante prevede l’utilizzo di Tamo-xifene, considerando gli inibitori dell’aromatasi un tratta-mento opzionale nei pazienti in cui vi siano controindica-zioni al Tamoxifene e la durata del trattamento endocrino è di 5 anni.

Chemioterapia adiuvanteLa scelta di eseguire un trattamento chemioterapico adiu-vante deve essere eff ettuata considerando potenziali rischi e benefi ci per la singola paziente ed in virtù dei fattori predit-tivi di risposta per lo specifi co caso clinico. Il Panel di esperti concorda che i fattori clinico-patologici a supporto dell’indicazione ad eseguire una chemioterapia adiuvante siano: l’alto grado istologico, l’elevata prolifera-zione cellulare (Ki 67), la ridotta espressione di recettori ormonali, la positività HER2, avere un fenotipo ‘triplo ne-gativo’. In termini di estensione della malattia, la positività del lin-fonodo non è stata considerata di per sé una indicazione all’uso della chemioterapia, anche se una maggioranza forte l’avrebbe usata in caso più di tre linfonodi coinvolti.La maggioranza di esperti ha convenuto che Oncotype DX®(22) possa essere utilizzato ove disponibile, per predire il benefi cio della chemioterapia nel gruppo di donne endocri-

no responsive. Incertezza rimane circa l’uso di altri panel genici e la mag-gior parte degli esperti concorda sul fatto che i dati sul MammaPrint®(23) non siano ad oggi suffi cientemente solidi per consigliarne l’utilizzo nella pratica clinica. La maggior parte degli esperti considera l’invasione linfova-scolare come un fattore non suffi ciente per consigliare l’ag-giunta della chemioterapia(24). Circa il ruolo della chemioterapia adiuvante nei diversi sot-totipi di carcinoma mammario (Tabella 2), vi è stato unani-me consenso circa il minore benefi cio del trattamento per i tumori ‘Luminal A’ indipendentemente dallo schema scelto. Ne deriva che in questo setting di pazienti si possa evitare il trattamento chemioterapico in assenza di evidenti fattori di rischio.Per la malattia ‘Luminal B’, il Panel di esperti ha ritenuto che tanto le antracicline quanto i taxani dovrebbero essere inclusi nel regime chemioterapico e che tale scelta dovrebbe essere preferita anche nella malattia ‘HER2 positiva’. Per la malattia ‘Triplo negativa’ con istotipo duttale, si con-ferma la scelta di un trattamento contenente antracicline e taxani e un agente alchilante (tipicamente ciclofosfamide) mentre i dati di letteratura ad oggi non supportano l’uso di cisplatino o carboplatino. Un’esigua maggioranza di esper-ti ha supportato l’uso di una chemioterapia dose-dense(25) in questo sottogruppo di pazienti mentre è stata prevalente l’indicazione a non utilizzare terapie anti-angiogeniche data l’assenza di dati solidi e sottolineando la necessità di ulteriori studi in questo particolare ambito.

TrastuzumabNel sottogruppo di pazienti HER2 positive lo standard te-rapeutico prevede l’aggiunta al trattamento chemioterapico adiuvante, della terapia con trastuzumab per un anno.La maggior parte degli esperti ha ritenuto indicata l’esten-sione di tale indicazione anche ai pazienti con malattia infe-riore al centimetro (pT1b), ma non in caso di malattia pT1a pN0. Trastuzumab somministrato per un tempo inferiore all’anno(26) è stato considerato ad oggi un trattamento sub-ottimale, essendo ancora in attesa dei risultati degli studi con schedula “SHORT” ma è un’opzione altrimenti accet-tabile in realtà socio-economiche in cui le risorse ne limitino il suo utilizzo per la durata considerata adeguata. In attesa dei dati dello studio HERA, il Panel non ha sup-portato l’indicazione a continuare la terapia adiuvante con trastuzumab oltre l’anno. Pur preferendo l’uso concomitante del trastuzumab alla che-mioterapia, il suo utilizzo sequenziale è stato accettato in casi clinici selezionati, per lo più quelli a minor rischio di

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ricaduta e come scelta in base alle condizioni della paziente.E’ stato a lungo discusso l’uso di trastuzumab senza che-mioterapia o in associazione con la sola ormonoterapia, ma ad oggi, tale indicazione non è ritenuta accettabile in consi-derazione della mancanza di dati solidi. Può essere tuttavia presa in considerazione come opzione nei rari casi in cui non sia possibile eff ettuare la chemioterapia per rifi uto della paziente.

Setting neoadiuvanteIl trattamento chemioterapico nel setting neoadiuvante è fondamentale nel facilitare una chirurgia conservativa(27)

ed, il raggiungimento di una risposta patologica completa ha un impatto favorevole con benefi cio in Overall Survival. La scelta della chemioterapia neoadiuvante deve quindi essere fatta sulla base dei fattori prognostici defi niti all’im-munoistochimica e comunemente valutati per defi nire i trattamenti adiuvanti: è sconsigliato l’uso in tumori con basso indice proliferativo o alta endocrino responsività per la scarsa probabilità di risposta. In questo sottogruppo di pazienti, il Pannel di esperti è risultato quasi unanime nel sostenere l’uso della terapia endocrina neoadiuvante in post-menopausa con un trattamento che dovrebbe essere continuato fi no alla massima risposta ottenuta o per un minimo di 4-8 mesi.

Tabella 2. Raccomandazioni di trattamento sistemico per sottotipo secondo San Gallen 2011

Intrinsic Subtype Terapia Note

Luminale A Sola terapia endocrinaPochi casi richiedono chemioterapia (per esempio elevato numero di linfonodi o altri indicatori di ri-chio)

Luminale B

(HER2 negativo)Terapia endocrina + chemioterapia

Uso e tipo di chemioterapia dipendono dal livello di endocrino sensibilità, rischio percepito e prefe-renze della paziente

Luminale B

(Her2 positivo)

Chemioterapia + Terapia anti HER2 + ormonoterapia

Non ci sono dati a supporto dell’omissione della chemioterapia in questo gruppo

HER2 positivo (non luminale) Chemioterapia + terapia anti HER2I pazienti a rischio molto basso pT1a N0 dovrebbero essere posti in sola osservazione senza trattamento adiuvante

Triple negative duttale Chemioterapia

BifosfonatiIl Panel di esperti non ha supportato l’uso dei Bifosfonati nel setting adiuvante, sia in premenopausa(21) che in post-menopausa(28).

ConclusioniLa 12a Breast Consensus Conference di San Gallen ha confermato che non sia più possibile considerare il tumore della mammella come una singola malattia. I sottotipi pos-sono essere defi niti mediante test genetici(29-31) o utilizzan-do la classifi cazione immunoistochimica(32-35) e defi nisco-no patologie intrinsecamente diverse per fattori di rischio epidemiologici(7,8), diversa storia naturale(9-11), e diff erente risposta alle terapie sistemiche e locali(12-16). Queste diff erenze implicano che i medici che gestiscono le pazienti aff ette da carcinoma mammario debbano sempre più valutare il singolo caso clinico per le specifi che carat-teristiche biologiche e soppesare correttamente le evidenze scientifi che disponibili al fi ne di arrivare a consigli terapeu-tici appropriati ed individualizzati.

La bibliografi a è consultabile sul sito di Attualità in Senologia www.senologia.it”.

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Metodiche emergenti mini-invasive nel trattamento termo-ablativo del carcinoma mammario in fase iniziale ed esperienza dell’Istituto Europeo di Oncologia con gli ultrasuoni focalizzati ad alta intensità ecoguidati (HIFU-USg)

PAOLO ARNONE(1), STEFANO ZURRIDA(1)(2)

(1)Divisione di Senologia,Istituto Europeo di Oncologia - Milano

(2)Unità di Diagnostica e Terapia Chirurgica in Senologia - Facoltà di

medicina Università degli Studi di Milano

Nel corso degli ultimi quattro decenni grazie allo svilup-po della diagnostica ed alla diff usione dei programmi di

screening, che hanno permesso l’individuazione di tumori di piccole dimensioni, spesso non palpabili, si è assistito ad una continua e progressiva riduzione dell’aggressività chirurgica locale, chiaramente nel rispetto della radicalità oncologica, ma con un occhio di riguardo sempre maggiore nei confron-ti dell’integrità fi sica della paziente ed in linea generale nei confronti di una migliore qualità della vita perioperatoria ed a distanza oltre che ai costi sociali di trattamenti e ricoveri lunghi ed onerosi.Sullo stimolo di tali obiettivi, affi ancato parallelamente dall’evoluzione tecnologica di presidi medico-chirurgici sempre più miniaturizzati ed in genere meno invasivi, al-cuni autori hanno iniziato esperienze cliniche speculative nell’utilizzo di tecnologie termo-ablative minimamente in-vasive o non invasive per il trattamento del carcinoma mam-mario, mutuandole da altre discipline oncologiche dove il controllo locale della malattia è stato dimostrato in diversi tipi di tumore. Tutte le tecniche di termo-ablazione si basano sull’erogazio-ne di energia termica, calore o freddo, su un bersaglio ben defi nito (tessuto tumorale) causandone la necrosi. Tra le tecniche mininvasive di termo-ablazione percutanea mediante calore, troviamo l’ablazione con radiofrequenze (RFA), la termoablazione laser (LA) detta anche fotocoagu-lazione laser o laser terapia interstiziale (LITT) e l’ablazione con microonde (FMWA), mentre basata sull’utilizzo di sor-gente criogenica è la criochirurgia.Discorso a parte va fatto nei confronti di una non recentis-sima metodica di termo-ablazione, basata anch’essa sull’uti-lizzo del calore, ma che per la sua assoluta non-invasività ed

alla possibilità di eff ettuare trattamenti conformazionali, e grazie all’avvento di strumenti di imaging sempre più sofi sti-cati, ha portato ad un rinnovato interesse nei suoi confronti: gli ultrasuoni ad alta intensità focalizzati (HIFU).Tutte sono state e sono argomento di studio nel trattamen-to del carcinoma mammario in fase iniziale dimostrandosi procedure fattibili e sicure, rimanendo però al momento ad uno stadio di pura ricerca scientifi ca.

METODICHE MINI-INVASIVETermoablazione mediante Radiofrequenza (RFA)Tra le metodiche di termoablazione quella mediante radio-frequenza è certamente la più studiata ed utilizzata in am-bito clinico.La RFA si ottiene posizionando percutaneamente, sotto guida TAC, RMN, o ecografi ca, una sonda isolata, delle dimensioni di 14-17 gauge, dalla cui estremità fuoriescono fi no a 10 piccoli elettrodi, che vengono infi ssi all’interno della lesione tumorale da trattare. Tali elettrodi, essendo par-te di un circuito elettrico chiuso attraversato da una corrente alternata ad alta frequenza (460 - 480 kHz) e con potenze variabili da 200 a 250W, mettono in movimento gli ioni presenti nel tessuto interposto, i quali, nel tentativo di segui-re i cicli di corrente che si alternano ad alta frequenza, cam-biano continuamente direzione, causando il riscaldamento del tessuto circostante per attrito.Questo processo provoca la distruzione del tessuto attraver-so la coagulazione termica e la denaturazione proteica cellu-lare in pochi minuti. Il danno termico si inizia ad ottenere a partire da circa 40°C e superati i 42.5°C il tempo di esposizione necessario per la morte delle cellule si riduce esponenzialmente. Le temperature generate dagli elettrodi devono essere supe-riori ai 50°C per garantire la necrosi cellulare potendo rag-giungere anche i 100°C.Il trattamento può defi nirsi completato una volta che il tes-suto tumorale abbia raggiunto una temperatura specifi ca,

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monitorata in tempo reale da minuscoli termometri, dette-termocoppie, incorporate nelle punte degli elettrodi o quan-do l’impedenza dei tessuti, a causa dell’escara prodotta, ha raggiunto un livello tale in cui il riscaldamento, legato alla deposizione di energia elettrica, non è più incrementabile.Numerose sono state le esperienze cliniche con tale metodi-ca a partire dalla fi ne gli anni 90 e per tutto il decennio ap-pena trascorso. I primi studi, basati su casistiche disomoge-nee per criteri di arruolamento, presentavano un intervallo tra trattamento RFA e chirurgica eccessivamente ridotto tale da non consentire un giudizio defi nitivo circa la completez-za della necrosi cellulare ottenuta, probabilmente ascrivibile a processi apoptosici che si sarebbero conclamati nelle gior-nate successive al trattamento stesso e per l’impossibilità di dare un giudizio sul risultato estetico ottenuto.Manenti e colleghi, nel 2009, diedero una prima risposta a tali quesiti pubblicando la loro esperienza nel trattamen-to di carcinomi mammari accertati istologicamente in fase pre-trattamento, con dimensioni ≤2cm, sottoponendo i 34 pazienti ad intervento chirurgico dopo un mese dal tratta-mento con RFA allo scopo di verifi carne gli eff etti. Il con-trollo RMN ad una settimana dal trattamento confermava nel 91% l’assenza di enhancement residuo, ed il risultato istologico post-chirurgico confermava, alla colorazione con ematossilina-eosina, un risultato di completezza nel tratta-mento nel 94% dei pazienti e del 97% all’analisi immunoi-stochimica con NADH-diaphorase. Valori decisamente in-teressanti venivano riportati anche per il risultato cosmetico ove risultava eccellente nel 82% dei pazienti nonostante in un caso fosse stata presente una ustione cutanea con iperpig-mentazione della cute. Un passo successivo nella valutazione dell’effi cacia della me-todica si è avuto con Oura, nel 2007, in cui i pazienti trattati con RFA e seguiti, senza rimozione della lesione termoabla-ta, con follow-up medio di 15 mesi, non hanno mostrato ripresa locale di malattia.

Termoablazione laser (LA) detta anche fotocoagula-zione laser o laser terapia interstiziale (LITT)La termoterapia interstiziale laser (LITT) o percutanea (PLA), ideata a metà dello scorso secolo, si è giovata delle innovazioni tecnologiche degli ultimi decenni ed in parti-colare dall’introduzione di diodi generatori di luce laser più effi caci e miniaturizzati a partire dagli anni 90’.La LITT viene generalmente eseguita utilizzando radia-zioni luminose con lunghezza d’onda del vicino infrarosso (da circa 700 - 2000 nm). In particolare quelli al neodimio ossia YAG-laser (ittrio-alluminio-Garnite, 1064 nm) sono considerati quelli con prestazioni migliori, in quanto con

lunghezza d’onda più prossima a quella in cui l’acqua (in-torno ai 1000nm) ha il suo massimo grado di assorbimento e quindi l’ottenimento di temperature estremamente elevate in pochi secondi.Da un punto di vista fi sico i fotoni prodotti e direzionati verso l’obiettivo possono essere da esso assorbiti, dispersi o attraversarlo senza subire alterazioni e quindi eff etti. Il feno-meno sul quale si basa la LITT è l’assorbimento dell’energia luminosa da parte dei tessuti che viene convertita in calore. Infatti, quando viene assorbita, l’energia luminosa fotonica è convertita in energia termica con conseguente innalza-mento della temperatura all’interno del tessuto. Gli eff etti sono simili alle altre metodiche di ablazione ter-mica basate sugli eff etti ingravescenti del calore. Il danno cellulare inizia al di sopra dei 45°C, con la dena-turazione termica delle proteine cellulari e tra queste quella degli enzimi per poi diventare sempre più severo oltre i 60°C fi no a quando, a temperature prossime ai 100°C o più, la vaporizzazione dell’acqua intracellulare causa la rottura della cellula, per frattura o esplosione, sino a giungere alla carbo-nizzazione dei tessuti.Il calore generato tende a propagarsi dalla sorgente ai tessuti circostanti per contatto ed irraggiamento, dipendendo an-che dalla perfusione del tessuto.L’ulteriore riscaldamento di un mezzo già coagulato deter-mina la formazione di tessuto carbonizzato con conseguente diminuzione della penetrazione della luce. Per questa ragio-ne le dimensioni delle lesioni indotte presentano un plateau.L’energia laser, attraverso l’utilizzo di fi bre ottiche di piccole dimensioni (21-22 Gauge) e fl essibili, può essere erogata, in modo puntiforme o sferica, direttamente nel bersaglio sotto guida ecografi ca, TC o RMN. La durata del trattamento è tipicamente di 15-30 minutiDiverse sono le tecniche di trattamento allo scopo di ot-tenere risultati più validi. La tecnica denominata di pull-back consente di trattare lesioni spostando la fi bra laser in modo da coprire interamente la lesione oppure utilizzan-do diverse sorgenti contemporaneamente, in modo che il campo d’azione di ogni singola fi bra si sovrapponga a quella adiacente in modo da trattare lesioni anche di dimensioni non esigue.La metodica è stata oggetto di numerosi studi circa la fatti-bilità e sicurezza che hanno evidenziato, sebbene su casisti-che non ampie e disomogenee per criteri di arruolamento, una completa ablazione del tumore tra il 13% ed il 91% con complicanze rappresentate da ustioni (4-8%) e pneumoto-raci (7%).Dowlatshahi nel 2002 su 54 pazienti aff etti da carcinoma mammario con dimensioni comprese tra 0,5 e 2,2 cm ri-

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portava una ablazione completa nel 70%, che saliva al 96% negli ultimi 28 pazienti trattati, ad indicare come in queste metodiche innovative la “learning curve” sia fondamentale.

Ablazione con Microonde Focalizzate (FMWA - Fo-cused microwave ablation)La termoablazione con microonde focalizzate è una meto-dica mini-invasiva basata sull’utilizzo di onde elettromagne-tiche, con frequenze di 900 MHz o superiori, in grado di sviluppare calore in una zona molto ristretta ed in particolar modo in tessuti ricchi di acqua, per l’attrito dovuto alla ra-pida agitazione ionica dei componenti cellulari.Non risentendo dell’impedenza dei tessuti, la metodica non è infl uenzata dalla costituzione del parenchima e soprattutto dall’esito terapeutico stesso, limitazione molto evidente nel-le termoablazioni con radiofrequenze (RF) a causa dell’esca-ra prodotta nella zona di necrosi.Il trattamento si ottiene mediante l’inserzione percutanea, sotto guida ecografi ca all’interno del tessuto da trattare, di una duplice sonda, una costituita da un’antenna in grado di creare un campo elettromagnetico tale da modulare l’esten-sione della focalizzazione del fascio di microonde generate all’esterno dell’organo, oltre a controllarne la temperatura prodotta, temperatura che può essere controllata anche me-diante sensori cutanei. Per quanto riguarda il trattamento, esso consta di brevi sessioni della durata di due o tre minuti di impulsi di mi-croonde focalizzate nella zona target, con temperature di 37-49°C, seguite da un periodo di raff reddamento. In lette-ratura viene suggerita la compressione della mammella allo scopo di evitare movimenti involontari della lesione durante il trattamento oltre a ridurne lo spessore ed il fl usso ematico aumentandone così l’effi cacia.Gardener nel 2002 ha pubblicato il primo studio per valu-tare la fattibilità e la sicurezza di tale trattamento valutando 10 pazienti aff etti da carcinoma mammario con dimensioni comprese tra 1 e 8cm. Il trattamento FMWA, la cui tem-peratura media di picco intratumorale è risultata essere di 44,9°C, è stato seguito dopo 5 - 27 giorni dall’asportazione chirurgica del tumore. Sebbene il controllo ecografi co po-sttermoablativo dimostrava una riduzione delle dimensioni del tumore in 6 pazienti, l’esame istologico evidenziava in 7 pazienti cellule tumorali necrotiche ma in nessuno dei 10 pazienti necrosi tumorale completa.Uno studio prospettico, multicentrico, di fase 2 per determi-nare la dose termica minima sicura ed effi cace nel produrre una necrosi completa, pubblicato da Vargas e coll nel 2010 su 25 pazienti aff etti da tumore mammario con dimensioni comprese tra 0,7 e 2,8 cm, ha evidenziato necrosi completa

in soli 2 pazienti ed una percentuale di necrosi variabile in 17 pazienti, dimostrando che la completa distruzione del tumore necessita di una dose termica di 210 minuti cumu-lativi/equivalente, ed una temperatura massima di 49,7°C . Tra le complicanze segnalate si riportano ustioni cutanee, algie ed eritema cutaneo in sede di trattamento.

Crioterapia (CT)La crioablazione è un processo basato sull’utilizzo di stru-menti in grado di generare, in un punto preciso, temperatu-re estremamente basse tali da congelare il tessuto bersaglio causandone un danno termico irreversibile e pertanto con modalità di ablazione opposta a quelle fi nora analizzate ba-sate sul danno da calore. In realtà si tratta dell’evoluzione di trattamenti, ben noti e diff usi, specialmente in dermatologia, basati sull’utilizzo per contatto dell’azoto liquido, in cui la diffi coltà nel calibrare la terapia e la necessità di dover aspettare che la regione tratta-ta scongelasse spontaneamente, li rendevano discretamente incerti e rischiosi.L’attuale tecnologia alla base della crioablazione si fonda sull’eff etto Joule-Th omson o eff etto Joule-Kelvin, nel quale l’espansione di un gas compresso, e quindi liquido come per esempio l’argon o l’azoto liquido, permette l’ottenimento di temperature estremamente basse (comprese tra i -190°C ed i -160°C) nella zona centrale da termoablare allo scopo di causare ai tessuti interessati danni irreversibili e quindi la necrosi cellulare.Essa si ottiene posizionando, prevalentemente per via per-cutanea e sotto guida ecografi ca all’interno o in adiacenza al tessuto patologico, una sonda isolata da 17 gauge composta da una serie di aghi cavi (fi no a 20), detti criosonde, dotati di sensori termici multi-point.All’interno di tali aghi scorrono gas allo stato liquido, ge-neralmente Argon, che espandendosi ne raff reddano unica-mente le estremità causando il congelamento del bersaglio da trattare in una sorta di massa di ghiaccio, detta “ice ball” o “palla di ghiaccio”. Successivamente, sempre attraverso gli stessi aghi, viene fatto scorrere un’altro gas (Elio) che ne determina un rapido scongelamento ed il trattamento si completa dopo alcuni cicli di congelamento-scongelamento computer-assisted.I meccanismi d’azione che portano al danno cellulare sono fondamentalmente due. Le basse temperature causano la formazione di cristalli di ghiaccio sia intra che extracellulari. La formazione di cristalli di ghiaccio intracellulari danneg-gia la membrana cellulare e le strutture intracellulari, com-portando un danno irreversibile alla cellula, mentre i cristalli di ghiaccio extracellulare producono un gradiente osmotico

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transmembrana in grado di provocare uno spostamento dei fl uidi intracellulari verso lo spazio extracellulare che, in ulti-ma analisi, porta alla disidratazione cellulare ed alla necrosi.Poiché il congelamento con crioablazione è un processo pu-ramente termico e non dipende dall’applicazione di corrente elettrica, può avere alcuni vantaggi così come nei tessuti ad elevata impedenza. Diversi studi, sempre su casistiche ridotte e disomogenee per criteri di arruolamento e metodica di localizzazione (ecogra-fi ca e RMN), ne hanno ormai dimostrato la fattibilità e l’ef-fi cacia, con percentuali di necrosi molto alte, raggiungendo il 100% dei tumori mammari di dimensioni inferiori ad 1 cm come riportato da Sabel e coll. nel 2004. Inoltre non si sono riscontrate complicanze gravi, se non lievi ecchimosi ed edema nella zona trattata. I dati conclusivi di questi studi hanno evidenziato la necessità di una selezione dei pazienti estremamente accurata con obiettivo di trattare carcinomi unifocali e ben identifi cabili agli accertamenti strumentali.

METODICHE NON-INVASIVEHIFU High Intensity Focused UltrasoundLa metodica con ultrasuoni ad alta intensità focalizzati

(HIFU) è una procedura medica ad elevata precisione che, a diff erenza delle precedenti metodiche descritte, è completa-mente non invasiva.Essa si basa sull’uso di energia meccanica (ultrasuoni) prove-niente da una sorgente acustica esterna in grado di indiriz-zarla in un punto ben defi nito e di piccole dimensioni all’in-terno del corpo umano (FIG.1). In tale maniera è possibile bruciare distruggendolo un bersaglio tumorale in maniera selettiva e senza danneggiare le strutture circostanti o i tes-suti attraversati dal fascio HIFU, cute compresa. Questo eff etto è raggiunto grazie alla focalizzazione, otte-nuta mediante un trasduttore specifi co, di un fascio di onde ultrasoniche in una regione teorica ben defi nita, detta Acou-stic Focal Region (AFR). L’AFR può essere indirizzata su un target specifi co con guida RMN o ecografi ca, realizzan-do, specialmente in quest’ultimo caso, un vero trattamento conformazionale in real-time (FIG. 2). L’energia sviluppata nella AFR è legata alla energia degli HIFU, espressa in Watts ed alla loro durata, ed è un concetto teorico. Quando l’energia meccanica acustica viene focalizzata all’in-terno di un tessuto biologico, essa subisce delle alterazioni legati alla costituzione dei tessuti attraversati ed ai fenomeni fi sico-chimici generati in sede di trattamento. Tali variabi-li comportano delle modifi cazioni nella forma geometrica del teorico danno biologico causato dell’AFR che pertanto viene a prendere il nome di Biological Focal Region (BFR).L’energia rilasciata nel BFR determina un danno biologico permanente a causa di tre meccanismi diff erenti ma tutti concorrenti allo stesso scopo: la necrosi cellulare.Il primo meccanismo è l’ipertermia. L’energia acustica degli

FIGURA 1 FIGURA 2

FIG. 1: Trasduttore HIFU con sonda per guida ecografi ca: il cuore del sistema - FIG.2: trattamento conformazionale di lesioni a margini non regolari

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HIFU viene trasformata in energia termica ottenendo un innalzamento della temperatura locale fi no a raggiungere i 65°C -100°C quasi istantaneamente (FIG.3).La seconda modalità di danno cellulare è dovuta ad un fe-nomeno fi sico defi nito “cavitazione”. L’energia meccanica degli HIFU provoca, mediante fenomeni di espansione e contrazione la creazione di bolle gassose all’interno delle strutture intracellulari, che con i loro movimenti oscillatori di espansione e collasso causano uno stress meccanico con conseguente aumento della temperatura intracellulare oltre che un danno meccanico diretto con esplosione della cellu-la. (FIG.4).Ultima, ma non meno importante modalità di azione degli HIFU, è la coagulazione dei vasi sanguigni neoplastici con conseguente danno ischemico secondario del tessuto neo-plastico. La durata dell’impulso acustico durante il trattamento HIFU, detta sonicazione, associata alla potenza degli HIFU espressa in watt, è uno dei parametri essenziali per raggiunge-re un adeguato BFR e quindi la conseguente termoablazione

del bersaglio. Tuttavia un incremento della durata o della potenza di sonicazione da un lato comporta un maggiore eff etto biologico, grazie all’aumento del volume di danno tessutale in corrispondenza della BFR, ma d’altro canto, aumenta la probabilità che la cute compresa nel percorso degli HIFU, venga danneggiata. I danni provocati appaiono come una reazione infi ammatoria della pelle di varia natura che varia dalla iperemia fi no ad ustioni di secondo grado. Al fi ne di limitare la percentuale di questi eff etti indesiderati è necessario modulare i parametri di trattamento, riducendo la durata e la potenza di sonicazione e aumentando l’inter-vallo di tempo tra ogni sonicazione. La dimensione del BFR varia quindi non solo in relazione alla potenza acustica ed alla durata ed alla modalità di eroga-zione dell’energia sonica, ma anche in base alle caratteristi-che specifi che del tessuto biologico da trattare. Infatti l’onda acustica può essere infl uenzata dalle interferenze dovute alle brusche variazioni di impedenza tra i diversi tessuti presenti a partire dalla cute fi no ad arrivare al bersaglio. Questo feno-meno può comportare il rilascio di energia, con conseguente riscaldamento dei tessuti interposti (come la cute ed il tes-suto adiposo), provocando in caso di trattamenti di lunga durata eff etti collaterali indesiderati, quali danni cutanei in corrispondenza del punto di ingresso degli ultrasuoni. Tale fenomeno è raramente osservato nel trattamento termoabla-tivo del carcinoma mammario in fase iniziale.Diversi studi, sebbene su casistiche ridotte e disomogenee per criteri di arruolamento e metodica di guida, ne hanno ormai dimostrato la fattibilità e l’effi cacia. Una recente revi-sione della letteratura su 5 studi su non più di 28 pazienti, relativamente all’utilizzo di HIFU sia con guida RMN che ecografi ca, ha evidenziato un risultato termoablativo com-pleto in tutti i 23 pazienti trattati solo nell’esperienza di Wu (2003), mentre i rimanenti studi hanno presentato un ri-sultato di necrosi tumorale completa variabile dal 20% al 79% dei pazienti trattati, quest’ultimo valore ottenuto però dopo due sessioni di trattamento, e tutti accompagnati da una percentuale di danno cutaneo variabile dal 3% al 10%.

ESPERIENZA IEOSulla base di queste esperienze internazionali, presso l’Isti-tuto Europeo di Oncologia è stata avviata una preliminare valutazione della metodica. I pazienti, previa accurata valu-tazione clinico-strumentale, sono stati arruolati secondo cri-teri fortemente restrittivi: carcinoma mammario di dimen-sioni ≤1.5cm, confermato istologicamente con core-biopsy, visibile ecografi camente, distante dalla cute o dalla gabbia toracica almeno 5 mm e 20 mm dal complesso areola-capez-zolo, senza microcalcifi cazioni patologiche al di fuori della

FIGURA 3

FIGURA 4

FIG. 3: L’energia acustica si trasforma nel punto di fuoco in energia termica - FIG. 4: Meccanismo della cavitazione

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neoplasia.Verifi cati i criteri di arruolamento i pazienti sono stati sot-toposti, nelle prime fasi dello studio in anestesia generale ed attualmente in anestesia locale +MAC, a singolo trattamento termoablativo HIFU eco guidato utilizzando il JC Focused Ultrasound Tumour Th erapeutic System [Chongqing Haifu (HIFU) Technology Co., Ltd., P.R. China] (FIGG.5, 6a, 6b). Successivamente, a distanza di alcune settimane, le pazienti sono state sottoposte a trattamento chirurgico conservativo con lo scopo di constatare istologicamente gli eff etti e tratta-re le pazienti secondo gli attuali standard clinico-terapeutici.I risultati ottenuti si sono dimostrati estremamente interes-santi, sia sotto il profi lo della sicurezza (nessun complicanza immediata o a distanza) che dell’effi cacia: grazie ai continui miglioramenti tecnologici ed alla ovvia curva di apprendi-mento degli operatori nell’utilizzo dello strumento, si sono ottenuti risultati incoraggianti ed in linea con quanto pre-sente in letteratura. Infatti, escludendo i primi 4 pazienti trattati prima di importanti upgrade tecnici, si è ottenuto dopo analisi con colorazione vitale mediante TTC(2,3,5-triphenyltetrazoliumchlorid) una necrosi del 100% in tutti i pazienti, mentre l’analisi istologica mediante colorazione con ematossilina-eosina ha evidenziato una necrosi ≥75% in circa il 79% dei pazienti trattati, una necrosi≥95% in circa il 64% dei pazienti, di cui completa nel 50% dei pazienti (FIG. 7)Come unico eff etto collaterale del trattamento, presente in tutti i pazienti, si è osservata la presenza di edema da trauma meccanico delle onde ultrasonore con aumento della consi-stenza parenchimale in corrispondenza dell’area termoabla-ta, che non ha necessitato di alcun trattamento, risolvendosi spontaneamente nell’arco di alcuni giorni (FIG. 8). Inoltre nei pazienti aff etti da lesione tumorale dei quadranti inferio-ri della mammella si è osservata nella sede del trattamento una temporanea retrazione cutanea, sempre legata all’edema del parenchima.

ConclusioniNonostante gli incoraggianti risultati ottenuti siamo di fron-te a tecniche che necessitano di essere indagate con maggio-re ampiezza. Il continuo sviluppo tecnologico e la miniatu-rizzazione sempre più spinta degli apparati, accompagnati

FIGURA 5

FIGURA 6A

FIGURA 6B

FIG. 5: JC Focused Ultrasound Tumour Th erapeutic System [Chongqing Haifu (HIFU) Technology Co., Ltd., P.R. China] - FIG. 6a: Fase del trattamento - FIG. 6b: Fase del trattamento

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dal perfezionamento dei sistemi di controllo e d’imaging, schiuderà un futuro quanto mai roseo ed interessante per tali metodiche. Numerosi sono i vantaggi delle metodiche termoablative miniinvasive già ad oggi apprezzabili. Risultati estetici estre-mamente validi, dovuti all’assenza di perdita di sostanza dell’organo trattato, ritorno alle normali attività occupazio-

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FIGURA 7

FIGURA 8

nali in tempi rapidissimi, con evidenti risvolti positivi non solo per il paziente stesso ma per la comunità in toto e, non ultimo, come riportato dagli studi di Wu nel 2007 e Xu nel 2009, l’evidenza di una possibile stimolazione della risposta immunitaria tumore-specifi ca dovuta all’incremento dell’at-tività dei linfociti Natural Killer, per la persistenza in sede di frammenti antigenici tumorali residui al trattamento.Evidentemente, come esiste sempre un rovescio della me-daglia, anche per queste metodiche ci sono delle zone di ombra che possono minarne la credibilità. Gli stessi lavori scientifi ci pubblicati, ad esclusione di quelli basati sulla RF, sono costituiti da casistiche numericamente ridotte e diso-mogenee per metodica di guida, di analisi strumentale post-trattamento e, non ultimo, per quanto riguarda le eccessive diff erenze dimensionali delle lesioni tumorali trattate. Altre perplessità insorgono dalla diffi coltà nell’eseguire un’esau-stiva analisi istologica del tumore sia prima del trattamen-to termoablativo (per esempio la valutazione dell’invasione vascolare), che successivamente nella corretta valutazione dei risultati ottenuti, per le diffi coltà a diff erenziare cellule vitali da quelle destinate a morte per apoptosi. Inoltre, trat-tandosi di trattamenti locali, tutta la valutazione dello stato linfonodale ascellare, rimane ad oggi di esclusiva pertinenza chirurgica. La possibilità di lasciare anche termoablato “il tumore” in sede, senza la possibilità di valutazione istologica dei margini, è considerata una eresia chirurgica, sebbene per molti radiologi interventisti questo sia un argomento supe-rato, se si considerano i routinari trattamenti con RF sulle lesioni tumorali epatiche o polmonari.In passato troppo spesso i chirurghi hanno voltato le spalle a metodiche emergenti, considerandole inopportune e non meritevoli di attenzioni, abbandonando spesso, immature, geniali intuizioni tecnologiche, off rendole così ad altre di-scipline.

FIG. 7: valutazione macroscopica. E’ ben visibile la lesione tumorale trattata, circondata da un orletto emorragico che ne delimita l’area - FIG. 8: risultato estetico a 20 gg di distanza dal trattatmento HIFU

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Rassegna della letteratura

ANATOMIA PATOLOGICARECENSIONE A CURA DI I. CASTELLANO E A. SAPINO

Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana,

Università di Torino

Nella formulazione della diagnosi istologica del carci-noma della mammella il patologo descrive con estre-

ma accuratezza e precisione le caratteristiche morfologiche (istotipo, grading, indice mitotico, etc), e l’assetto immu-nofenotipico (espressione dei recettori ormonali, stato di HER2, indice proliferativo) della neoplasia. Tutto questi parametri vengono presi in considerazione dell’oncologo per la scelta del trattamento più idoneo. Eppure, nonostan-te numerosi progressi siano stati fatti in ambito terapeutico, esiste una certa percentuale di pazienti la cui prognosi non viene defi nita in modo accurato dagli attuali parametri, ri-chiedendo quindi lo sviluppo di nuovi metodi diagnostici. In questo senso le caratteristiche dello stroma ed il grado di desmoplasia, solo raramente vengono presi in considera-zione dell’anatomo-patologo. Lo studio di seguito riportato suggerisce come dallo stroma, ed in particolare dalla dispo-sizione delle fi bre collagene intorno ai dotti neoplastici, sia possibile ottenere informazioni sulla prognosi del carcinoma mammario.

Conklin MW, Eickhoff JC, Riching KM et al Aligned collagen is a prognostic signature for survival in hu-man breast carcinomaAm J Pathol 2011 Mar; 178(3):1221-1232

In questo lavoro viene valutata l’associazione di una de-terminata disposizione delle fi bre collagene rispetto alla

neoplasia ed il follow up delle pazienti con carcinoma mam-mario. In particolare gli autori usando modelli murini di-mostrano, attraverso sistemi diagnostici sofi sticati (second harmonic generetion imaging -SHG- che prevedono l’utiliz-

zo di un particolare software che evidenzia le fi bre collagene in un tessuto fi ssato in formalina ed incluso in paraffi na, senza necessità di colorazioni), identifi cano tre patterns di interazioni architetturali tra stroma e neoplasia o TACS (Tu-mor Associated Collagen Signature). La TACS 1 si defi nisce nelle tappe precoci della tumorigenesi ed è dovuta alla de-posizione localizzata di fi bre collagene vicino alla neoplasia; la TACS 2 si realizza quando il tumore inizia a crescere, le fi bre collagene divengono evidenti e si dispongono in senso parallelo alla lesione, infi ne la TACS 3 si verifi ca quando al confi ne tumore-stroma le bande si dispongono aff astellate e perpendicolari alla neoplasia. Analizzando 196 casi di carcinoma infi ltrante della mam-mella su TMA in pazienti con follow up medio di 6 anni, gli autori hanno dimostrato che la TACS 3 correla con una disease free survival ed un’overall survival più breve, ed è un fattore prognostico indipendente rispetto al grado istologi-co, all’istotipo, alla dimensione del tumore, al suo assetto ormonale, allo stato di HER2 ed alla presenza di metastasi linfonodali. Infi ne da questo studio risulta che TACS3 cor-rela positivamente con l’espressione stromale di Syndecan-1 (recettore di numerose proteine della matrice extracellulare e del citoscheletro tra cui il collagene). Gli autori concludo-no quindi che l’allineamento del collagene può essere con-siderato un importante marcatore prognostico e che terapie mirate dirette all’interazione epitelio-stroma potrebbero rivelarsi uno strumento importante nella cura del cancro alla mammella. Questo lavoro è stato oggetto del seguente Commentary sul medesimo numero della rivista.

Locker J, Segall JEBreast cancer: the matrix is the messageAm J Pathol 2011 Mar; 178(3): 966-968

Gli autori sottolineano come l’importanza del lavoro so-pracitato di Conklin et al. sia quella di aver ribadito

come la “signature” stromale sia un processo biologicamente

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

rilevante nella storia della neoplasia, essendo implicata nella progressione tumorale, indipendentemente dagli altri fattori conosciuti. D’altro canto però viene criticata la diffi coltà di traslare il dato ottenuto con la SHG nella routine diagnosti-ca, e la necessità di trovare metodiche di più facile utilizzo. Inoltre viene ribadita la necessità di verifi care l’esatto rap-porto con l’anticorpo Syndecan 1. Una delle diff erenze principali tra cellule epiteliali e stroma è la presenza nelle prime di polarizzazione con giunzioni intercellulari. Il fenomeno descritto come “epithelial-me-senchymal transition” (EMT) prevede che cellule epiteliali polarizzate si trasformino in cellule mesenchimali in cui non sono presenti contatti intercellulari stabili. EMT, processo fi siologico nell’embriogenesi, avviene durante le fasi della formazione e progressione tumorale ed è di primaria im-portanza soprattutto nella metastatizzazione e nel fronte di invasione del tumore. Recentemente è stato dimostrato come EMT sia control-lato da complessi pathways regolati da svariate molecole extracellulari ed a sua volta sia responsabile dell’attivazione di specifi ci segnali che coinvolgono la riorganizzazione del citoscheletro, la dislocazione della caderina E dalla mem-brana plasmatica con conseguente perdita di coesione inter-cellulare e l’aumento della motilità cellulare. Nello studio di seguito riportato gli autori si propongono di valutare se la Tenascina C -TNC- (glicoproteina della matrice extracel-lulare presente all’interfaccia tumore-stroma e la cui overe-spressione correla con una prognosi peggiore) sia responsa-bile di EMT nel carcinoma mammario.

Nagaharu K, Zhang X, Yoshida T et al Tenascin C Induces Epithelial-Mesenchymal Transition-Like Change Accompanied by SRC Activation and Focal Adhe-sion Kinase Phosphorylation in Human Breast Cancer CellsAm J Pathol 2011 Feb; 178(2): 754-763

Lo studio ha esaminato la positività immunoistochimi-ca (IHC) alla TNC in 35 casi di carcinoma mammario

evidenziando la sua espressione principalmente nello stro-ma infi ltrato da singole cellule di carcinoma isolate l’una dall’altra o disposte in esili cordoni, mentre TNC è risultata negativa nelle aree periferiche di tumori a crescita solida. Inoltre la TNC aggiunta al terreno di coltura di linee cellu-lari di carcinoma mammario (MCF-7) sembra essere causa di delocalizzazione della CAD E e della -catenina causando cambiamenti conformazionali e di contatto intercellulare. Gli autori concludono quindi che TNC è responsabile del-la progressione ed invasività del carcinoma mammario.Un altro marcatore di progressione tumorale è l’invasione dei vasi linfatici ed ematici da parte delle cellule di cancro. Tale fenomeno riveste particolare importanza nei carcinomi infi l-tranti, di alto grado istologico, privi di metastasi linfonodali, in quanto viene preso in considerazione dagli oncologi nella scelta della somministrazione della chemioterapia. L’invasione vascolare viene valutata dal patologo in Ematos-silina Eosina, ma la sua diagnosi è poco soggettiva e ripro-ducibile. L’anticorpo anti D2-40, marcatore di endotelio linfatico, viene talvolta utilizzato nei casi dubbi. Recentemente è sta-to però osservato che D2-40 è espressa anche dalle cellule mioepiteliali, rendendo diffi cile la diagnosi diff erenziale tra cluster di cellule tumorali intravascolari e cluster di cellule di carcinoma in situ circondate da mioepitelio (Rabban JT et al, D2-40 expression by breast myoepithelium: potential pitfalls in distinguishing intralymphatic carcinoma from in situ carcinoma. Hum Pathol. 2008 Feb;39(2):175-83). Un tipo di cellule poco considerate dal patologo nella valu-tazione istologica del carcinoma mammario sono i macrofa-gi intratumorali, anche se rappresentano una componente cellulare sovente presente. Nel carcinoma della mammella i macrofagi intrautmorali sono stati correlati con aumento della angiogenesi e un peggioramento della prognosi, senza che vi sia tuttavia una relazione diretta. Nel lavoro di seguito riportato viene dimostrato che il nu-mero di macrofagi intratumorali non ha un signifi cato pro-gnostico indipendente.

Mahmoud SM, Lee AH, Paish EC, Macmillan RD, Ellis IO, Green ARTumour-infi ltrating macrophages and clinical outcome in breast cancer. J Clin Pathol 2011; Nov 2

Su una casitica di 1322 carcinomi mammari sono sta-te valutate la densità e la localizzazione di macrofagi

CD68 positivi, mettendoli in relazione con la prognosi. Si

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

dimostra che i macrofagi possono avere diversi pattern di infi ltrazione della neoplasia, ma che in genere sono diff usa-mente presenti. Inoltre un’alto numero di macrofagi correla con un alto grado tumorale e negatività per i recettori ormo-nali, HER2 positività e fenotipo basale (p<0.001). All’analisi univariata un alto numero di macrofagi CD68+ correla in modo signifi cativo con una ridotta sopravvivenza e ridotto tempo libero da malattia. Tuttavia all’analisi mul-tivariata i macrofagi CD68 non sono un fattore prognostico indipendente

BIOLOGIA CLINICA E TERAPIA MEDICARECENSIONE A CURA DI C. BIGHIN E P. PRONZATO

Oncologia Medica A, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova

EA Perez, VJ Suman, NE Davidson, et alSequential Versus Concurrent Trastuzumab in Adjuvant Chemotherapy for Breast CancerJournal of Clinical Oncology Published Ahead of Print on October 31, 2011

D Slamon, W Eiermann, N Robert, et alAdjuvant Trastuzumab in HER2-Positive Breast CancerNew England Journal of Medicine 2011vol 365; n 14: 1273-1283

Il Trastuzumab è un anticorpo monoclonale umanizzato che ha come target l’oncogene HER2 ed è approvato sia

come parte del trattamento adiuvante che del trattamento della fase metastatica delle pazienti HER2 positive1.Nel setting adiuvante rimane ancora dibattuta quale sia la modalità migliore di inserire il Trastuzumab se sequenziale alla chemioterapia o se concomitante ad essa. In Italia può essere somministrato in entrambi i modi mentre in altri pa-esi l’utilizzo concomitante non è ancora autorizzato. In un articolo recentemente pubblicato come “early release” sul Journal of Clinical Oncology vengono riportati i risultati della seconda interim analysis dello studio N9831 che è l’unico studio randomizzato con il Trastuzumab adiuvante che ha confrontato l’utilizzo dell’anticorpo monoclonale concomitante o sequenziale alla chemioterapia.Un altro importante punto di discussione sull’utilizzo del Trastuzumab adiuvante è l’insorgenza di cardiotossicità so-prattutto se utilizzato in associazione a chemioterapia con-tenente antracicline. Infatti, quando il Trastuzumab viene

sommninistrato in associazione alle antracicline determina un aumento da 4 a 5 volte nella percentuale di scompenso cardio-congestizio mentre una riduzione sub-clinica della frazione di eiezione ventricolare è stata osservata in una pro-porzione anche più elevata di pazienti2,3,4,5. Recentemente, Slamon et al hanno pubblicato sul New England Journal of Medicine i risultati dello studio randomizzato BCIRG-006 che ha confrontato una chemioterapia adiuvante con antra-cicline e Trastuzumab verso una chemioterapia non conte-nente antracicline e Trastuzumab con l’obiettivo di valutare l’effi cacia di uno schema con una potenziale minore cardio-tossicità. Quindi, entrambi gli studi che analizzeremo in questo nu-mero ci forniscono importanti risposte a quesiti ancora aperti sul migliore utilizzo del Trastuzumab nel trattamento adiuvante. Lo studio N9831 è uno studio che ha randomizzato quasi 2500 pazienti operate per un carcinoma mammario HER2 positivo ad una chemioterapia contenente Doxorubicina 60 mg/mq e Ciclofosfamide 600 mg/mq per 4 cicli ogni 21 giorni seguiti da Taxolo 80 mg/mq ogni settimana per 12 settimane (Braccio A), Taxolo settimanale in associazione a Trastuzumab iniziato sequenziale al Taxolo (Braccio B) op-pure concomitante ad esso (Braccio C) per 1 anno totale. L’obiettivo principale dello studio era la sopravvivenza libera da malattia (DFS). Ad un follow-up mediano di 6 anni, la DFS a 5 anni è risultata essere di 71.8% nel braccio A e di 80.1% nel braccio B. La DFS è risultata signifi cativamen-te aumentata dal Trastuzumab somministrato in modo se-quenziale al Taxolo (log-rank P< .001; arm B/arm A hazard ratio [HR], 0.69; 95% CI, 0.57 to 0.85). Il confronto tra il Braccio B e il braccio C ha mostrato un DFS di 80.1% e 84.4% rispettivamente. E’ stato dimostrato un aumento della DFS dall’utilizzo concomitante del Trastuzumab al Taxolo rispetto all’uso sequenziale anche se la signifi catività statistica non è stata raggiunta. Quindi, questo studio ribadisce ancora una volta

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

l’importanza dell’aggiunta del Trastuzumb alla chemiotera-pia adiuvante nelle pazienti HER2 positive e suggerisce che l’utilizzo concomitante alla chemioterapia potrebbe aumen-tarne il benefi cio. Lo studio BCIRG-006 è uno studio che ha randomizzato 3222 donne operate per un carcinoma mammario HER2 positivo ad una chemioterapia adiuvante con Doxorubicina e Ciclofosfamide ogni 21 giorni pr 4 cicli seguita da Taxotere ogni 21 giorni per 4 cicli (AC-T) oppure la stessa chemiote-rapia con l’aggiunta del Trastuzumab iniziato concomitante a Taxotere per 52 settimane (AC-T + Trastuzumab) oppure una chemioterapia non contenente antracicline con Taxo-tere e Carboplatino in associazione a Trastuzumab (TCH). L’obiettivo principale era la DFS, gli obiettivi secondari erano la sopravvivenza globale e tossicità. Ad un follow-up mediano di 65 mesi, la DFS stimata a 5 anni è risultata del 75% nel braccio AC-T, dell’84 % nel braccio AC-T + Trastuzumab e del 81% nel braccio TCH. La sopravvivenza globale stimata è stata di 87%, 92 e 91%, rispettivamen-te. Nessuna diff erenza in effi cacia è stata rilevata tra i due regimi contenenti Trastuzumab ed entrambi sono risultati superiori al braccio AC-T. L’incidenza di scompenso cardio-congestizio è risultata si-gnifi cativamente superiore nel braccio AC-T + Trastuzumab rispetto al braccio TCH (P<0.001). Si sono inoltre verifi cati 8 casi di leucemia acuta: sette nel gruppo che ha ricevuto antracicline e un caso nel gruppo che ha ricevuto il regime TCH. Quindi, questo studio sottolinea come l’aggiunta di un anno di Trastuzumab ad una chemioterapia anche non contenente antracicline aumenta in modo signifi cativo sia la DFS che la sopravvivenza globale. Inoltre, ci suggerisce come può essere evitato l’uso di antracicline per ridurre l’in-cidenza di cardiotossicità soprattutto in quelle pazienti che hanno già fattori di rischio per essa (per esempio le pazienti più anziane).

Bibliografi a1 Herceptin European Summary of Product Characteristics.www.emea.europa.eu/humandocs/Humans/EPAR/hercep-tin/herceptin.htm

2 Piccart-Gebhart MJ, Procter M, Leyland-Jones B, et al. Trastuzumab after adjuvant chemotherapy in HER2-positi-ve breast cancer. N Engl J Med 2005;353:1659-72.

3 Romond EH, Perez EA, Bryant J, et al. Trastuzumab plus adjuvant chemotherapy for operable HER2-positive breast cancer. N Engl J Med 2005;353:1673-84.

4 Smith I, Procter M, Gelber RD, et al. 2-Year follow-up of trastuzumab after adjuvant chemotherapy in HER2-po-sitive breast cancer: a randomised controlled trial. Lancet 2007;369:29-36.

5 Tan-Chiu E, Yothers G, Romond E, et al. Assessment of cardiac dysfunction in a randomized trial comparing doxoru-bicin and cyclophosphamide followed by paclitaxel, with or without trastuzumab as adjuvant therapy in node-positive, human epidermal growth factor receptor 2-overexpressing breast cancer: NSABP B-31. J Clin Oncol 2005;23:7811-9.

CHIRURGIARECENSIONE A CURA DI L. GALLI(1), R. SIMONCINI(2), D. CASELLA(2)

(1) Chirurgia Generale Nuovo Osp. Del Mugello - Borgo San Lorenzo (FI)

(2) Breast Unit - Azienda Ospedaliero-Universitaria di Careggi - (FI)

Sakr RA, Poulet B, Kauff man GJ, Nos C, Clough KBClear margins for invasive lobular carcinoma: A surgical challengeEJSO 37 (2011) 350-356

Il carcinoma lobulare invasivo (ILC) rappresenta circa il 10% delle neoplasie mammarie infi ltranti. Aggredirlo

con tecniche chirurgiche conservative (BCT) rappresenta una sfi da complessa alla luce dei dati presenti in letteratura, che mostrano una quota di coinvolgimento dei margini di exeresi che in alcune casistiche pubblicate raggiunge valori del 60%, di gran lunga superiori rispetto a quelle in caso di neoplasia duttale invasiva (24% in letteratura). La diffi coltà nel realizzare un’exeresi radicale sembra almeno in parte attribuibile alla sottostima della reale dimensione

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tumorale da parte della mammografi a e dell’ecografi a, le me-todiche di imaging pre-operatorie tradizionali. Tale fenome-no sembra dovuto alla mancanza di reazione desmoplastica tissutale da parte di ILC nonché alla sua frequente multifo-calità e multicentricità. Alcuni recenti studi dimostrano una maggiore accuratezza nella stima delle dimensioni tumorali da parte della risonanza magnetica mammaria, strumento che può quindi rendersi utile nella riduzione del numero di re-interventi per interessamento dei margini di exeresi (R.M. Mann et al.). Emerge pertanto la necessità di studiare una strategia effi cace per minimizzare il rischio di non radi-calità chirurgica su ILC mediante BCT; questo avrebbe un impatto notevole nella riduzione dei reinterventi, del nume-ro di mastectomie, delle recidive locali e probabilmente an-che nel miglioramento di DFS e OS. Dai dati in letteratura si evince che i soggetti a maggior rischio di compromissione dei margini dopo BCT per ILC sono le paziente giovani, portatrici di tumori mammografi camente maggiori di 15 mm, con invasione linfovascolare, multifocali. Alla luce di questi dati sembrerebbe prudente proporre una mastectomia alla maggior parte delle pazienti che sviluppa-no un ILC!Il lavoro in esame valuta l’argomento da un punto di vista nuovo, analizzando le tecniche chirugiche come fattori in grado di determinare probabilità di successo diverse nell’ot-tenere radicalità. L’ipotesi degli Autori è quella che la scelta di un approccio chirurgico oncoplastico (OPS) rappresenti un fattore che riduce il rischio di coinvolgimento dei mar-gini dopo chirurgia conservativa per ILC. In letteratura esi-stono pochi studi analoghi che dimostrano la superiorità di OPS in termini di radicalità oncologica nel trattamento car-cinoma duttale invasivo ed in situ. Il lavoro scelto è il primo che prende in esame OPS in caso di ILC. La chirurgia oncoplastica della mammella (OPS) consente di eseguire asportazioni molto ampie senza compromettere l’aspetto del seno grazie all’uso specifi co di tecniche rico-struttive proprie della chirurgia plastica contestuale all’inter-vento oncologico. La sicurezza oncologica di OPS è oramai ampiamente dimostrata. Recenti studi hanno anzi sottoli-neato come OPS consenta una radicalità oncologica addi-rittura superiore a BCT rendendo possibile l’asportazione di una maggiore quantità di tessuto mammario, con ovvi rifl essi sullo stato dei margini di exeresi e di conseguenza sul rischio di recidiva locale. A tal proposito Rietjens et al nel 2007 dimostrano che in termini di controllo locale di malattia, OPS si dimostra effi cace quanto una mastectomia per tumori inferiori a 2 cm e più sicura della classica BCT per tumori di dimensioni superiori. Tali conclusioni trova-no la loro spiegazione nella maggiore quantità assoluta di

tessuto asportato mediante OPS. Queste analisi sono però basate su selezioni di pazienti aff ette da DCIS o IDC e non da ILC, ove la generosità dell’asportazione chirurgica deve essere ancora maggiore. L’interesse che suscita questo lavoro è legato alla novità del concetto di applicare una specifi ca tecnica chirurgica per trattare in modo più effi cace una spe-cifi ca forma neoplastica. La popolazione esaminata dagli Autori è costituita da 73 pa-zienti con ILC accertato biopticamente T1-2 trattate con chirurgia conservativa (oncoplastica o tradizionale). Vengo-no escluse dall’ approccio chirurgico conservativo le neopla-sie multicentriche e quelle recidive; un pregresso trattamen-to radiante sulla parete toracica ed un trattamento sistemico neoadiuvante escludono parimenti BCT. Tutte le pazienti avevano eseguito mammografi a ed ecografi a preoperatorie; solo 11 pazienti (15%) avevano eseguito approfondimento con RM. I margini di exeresi sono stati considerati positivi se le cellule neoplastiche appaiono in contatto con la chi-na, in prossimità se hanno distanza dalla china inferiore a 2 mm. Un ampliamento dei margini è stato eseguito in questi casi. I margini sono risultati adeguati in 44 casi (60,3%), percentuale decisamente superiore rispetto ai dati presenti in letteratura. Sono invece risultati invasi in 19 casi (26%) ed in prossimità nelle rimanenti 10 pazienti (13,7%). E’ sta-to eseguito un reintervento in 17 pazienti (23,3% del cam-pione), delle quali 12 hanno subito una mastectomia.All’analisi statistica univariata dei dati ottenuti si confer-mano i fattori di rischio per coinvolgimento dei margini in ILC già menzionati precedentemente e già validati dai dati presenti in letteratura: le pazienti con margini positivi era-no signifi cativamente più giovani, mostravano tumori più grandi, più frequentemente multifocali e prevalentemente localizzati al quadrante supero-interno. Il dato saliente che emerge dall’analisi multivariata conferma l’ipotesi iniziale degli autori ed è la riduzione del rischio di interessamento dei margini nelle pazienti trattate mediante OPS. Pertanto viene dimostrato come, nel trattamento chirurgico

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di ILC, OPS non solo permette di evitare deformità conse-guenti alla chirurgia ma riduce anche il numero dei casi di exeresi non radicale. In ILC infatti, come emerge dai dati prodotti dagli Autori, è frequente una sottostima da parte degli esami di imaging pre-operatori, della reale dimensio-ne della neoplasia ed della sua frequente multifocalità. OPS si dimostra uno strumento fondamentale che consente di eseguire exeresi molto più ampie, al fi ne di compensare tale sottostima, riducendo la quota di interventi non radicali e migliorando allo stesso tempo e con la medesima procedura l’esito cosmetico del trattamento.Molto interessante si dimostra l’analisi che gli autori ese-guono del benefi cio fornito da OPS in termini di radicalità oncologica in relazione ai vari quadranti mammari. OPS garantisce risultati migliori in termini di margini liberi ed in termini di risultato estetico in ogni quadrante ma non appare fornire alcun vantaggio a livello del quadrante supe-ro-interno. A tale livello la percentuale di coinvolgimento dei margini appare essere la più alta (60%) indipendente-mente dalla tecnica chirurgica adottata; ciò potrebbe essere connesso agli importanti esiti estetici distorsivi che anche una procedura chirurgica minore può determinare in tale sede, ma anche alla mancanza di una tecnica oncoplastica maggiore di redistribuzione dei tessuti residui specifi ca per tale quadrante. Pertanto, quando ILC si trova a livello del quadrante supero-interno, parrebbe utile e prudente discu-tere collegialmente e in ambito multidisciplinare la strategia migliore e coinvolgere la paziente in tale.L’articolo esaminato si basa su un’analisi retrospettiva e non può pertanto raggiungere massimi livelli di evidenza scienti-fi ca. Arricchisce l’insieme delle altre casistiche retrospettive pubblicate sull’argomento, che sottolineano l’equivalenza se non la superiorità oncologica di OPS rispetto a BCT tradizionale, a fronte di risultati estetici migliori. Situazio-ni particolarmente interessanti per un’applicazione sempre maggiore della OPS sono quelle in cui si richiede un’aspor-tazione molto ampia di tessuti per ottenere una radicalità

oncologica con margini di exeresi liberi da malattia; è il caso del DCIS, di ILC e delle neoplasie trattate con terapia siste-mica neoadiuvante. In tali contesti la chirurgia oncoplasti-ca, oltre ai benefi ci precedentemente menzionati, garantisce senza dubbio un numero minore di mastectomie.Sarebbe auspicabile uno studio randomizzato che confron-tasse BCT tradizionale con OPS nel trattamento chirurgico del carcinoma mammario, considerando i dati oncologici, quelli cosmetici, quelli economici, e che potesse disporre di un adeguato follow up.Di fatto è molto probabile che si imponga sempre più la fi gura del chirurgo oncoplastico mammario, fi gura unica e nuova che racchiude nel suo bagaglio professionale sia le tecniche chirurgiche oncologiche sia quelle ricostruttive, al fi ne di poter off rire un trattamento integrato che garantisca il miglior risultato possibile nella cura delle pazienti aff ette da carcinoma mammario.

Bibliografi a

Giacalone PL, Roger P, Dubon O, El Gareh N, Rihaouj S, Taourel P, Daures JPComparative study of the accuracy of breast resection in on-coplastic surgery and quadrantectomy in breast cancerAnn Surg Oncol 2007; 14(2): 605-614Rietjens M, Urban CA, Rey PC et alLong-term oncological results of breast conservative treat-ment with oncoplastic surgeryTh e Breast 2007; 16: 387-395

Song H M, Styblo TM, Carlson GW, Losken ATh e use of oncoplastic reduction techniques to reconstruct partial mastectomy defects in women with ductal carcinoma in situTh e Breast Journal 2010; vol 16 N 2: 141-146

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Kaur N, Petit JY, Rietjens M et al Comparative study of surgical margins in oncoplastic surge-ry and quadrantectomy in breast cancerAnn Surg Oncol 2005 Jul;12(7): 539-545

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CHIRURGIA PLASTICARECENSIONE A CURA DI M.B. NAVA E J. OTTOLENGHI

Struttura Complessa di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva

Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano

Petit JY, Lohsiriwat V, Clough K B, Sarfati I, Ihrai T, Ri-etjens M, Veronesi P et alTh e Oncologic Outcome and Immediate Surgical Compli-cations of Lipofi lling in Breast Cancer Patients: A Multicen-ter Study-Milan-Paris-Lyon Experience of 646 Lipofi lling Procedures. Plastic & Reconstructive Surgery August 2011; 128(2): 341-346

Il lipofi lling è sempre più spesso utilizzato negli ultimi tempi come strumento o come complemento delle tecni-

che di ricostruzione mammaria dopo mastectomia o chirur-gia conservativa della mammella.Diversi articoli hanno suggerito che adipociti, preadipociti e i loro derivati possano, attraverso la secrezione di media-tori chimici, giocare un ruolo nella genesi dei tumori, nella progressione, nella recidiva, nello sviluppo di metastasi o, al contrario, avere un eff etto inibitorio in alcune fasi del ciclo del tumore. Considerando che potrebbero essere presenti delle cellule tumorali nel parenchima residuo dopo tratta-menti conservativi o nel tessuto sottocutaneo dopo mastec-tomia, sarebbe importante poter stabilire se il lipofi lling sia una tecnica sicura in Pazienti trattate per carcinoma della mammella, soprattutto secondo protocolli conservativiGli autori di questo articolo hanno quindi condotto uno studio multicentrico (European Institute of Oncology, Mi-lano; Paris Breast Center, Parigi e Leon Berard Centre, Lio-ne,) per osservare gli eff etti del lipofi lling dopo tumore della mammella, per controllare le complicanze della tecnica, le alterazione dei quadri mammografi co e ecografi co ed eff et-tuare un follow-up oncologico.Gli autori dello studio, condotto su un considerevole nu-mero di Pazienti (646 lipofi lling su 513 Pazienti), hanno concluso che il lipofi lling dopo trattamento per cancro della mammella porta ad tasso molto basso di complicanze e non altera il follow-up radiologico (anche se non tutti gli articoli in letteratura concordano con questo dato) dopo chirurgia conservativa, mantenendo l’indicazione alla biopsia nei casi dubbi).Manca però il dato più importante e più atteso. Non è for-nita nessuna prova defi nitiva sulla sicurezza del lipofi lling quanto a tasso di recidive o di metastasi a distanza.Per questo sono necessari ulteriori studi con un follow-up più lungo, condotti su un numero maggiore di Pazien-

ti, confrontabili con un gruppo di controllo paragonabile quanto a caratteristiche del tumore con il gruppo sottoposto a lipofi lling.

Colwell A S, Damjanovic B, Zahedi B, Medford-Davis L, Hertl C, Austen W G JrRetrospective Review of 331 Consecutive Immediate Sin-gle-Stage Implant Reconstructions with Acellular Dermal Matrix: Indications, Complications, Trends, and Costs Plastic & Reconstructive Surgery December 2011; 128(6): 1170-1178

Gli Autori dell’articolo hanno cercato di valutare l’ef-fi cacia della ricostruzione mammaria immediata in

un unico tempo con protesi e matrice di derma acellulare (ADM).Per fare ciò hanno compiuto uno studio retrospettivo sulla esperienza di tre chirurghi del Massachusetts General Ho-spital, Harvard Medical School confrontando le ricostruzio-ni mammarie immediate in un unico tempo con protesi e ADM con le ricostruzioni in due tempi con expander senza uso di ADM.211 Pazienti sono state sottoposte a 331 ricostruzioni im-mediate con protesi e ADM dopo nipple-sparing (66) o skin-sparing (265) per tumore della mammella (216) o per profi lassi (115).Le complicanze che si sono verifi cate sono state 10 infe-zioni (3.0%), 5 sieromi (1.5%), 4 ematomi (1.2%), e 30 casi (9.1%) di necrosi cutanea che hanno reso necessarie 5 (1.5%) rimozioni della protesi. Le ricostruzioni in due tem-pi con expander senza ADM hanno avuto un tasso di com-plicanze simile.Non è stata osservata diff erenza di costi tra i due tipi di rico-struzione, in quanto il maggior costo della ADM è compen-sato dall’assenza del costo del secondo tempo ricostruttivo.Pertanto gli Autori concludono che la ricostruzione mam-maria immediata in un unico tempo con protesi e matrice

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di derma acellulare off ra una effi cace e conveniente possibi-lità ricostruttiva, con un basso tasso di complicanze, e che potrebbe essere il trattamento di scelta in Pazienti selezio-nate. Una critica importante che deve essere fatta a questo articolo è che il confronto dei tassi di complicanze tra ricostruzioni immediate con protesi e ADM e ricostruzioni in due tempi con expander non avviene su gruppi di pazienti con simili caratteristiche, ma è viziato dal criterio di scelta della tecni-ca: infatti per le ricostruzioni con protesi e ADM sono state scelte le pazienti con lembi cutanei sani, spessi e ben vasco-larizzati, mentre in caso di lembi sottili e mal vascolarizzati è stata scelta la ricostruzione in due tempi con expander. A questo punto confrontare i tassi di complicanze perde gran parte del signifi cato, per la grande diff erenza delle condizio-ni iniziali.

Sbitany H, Serletti J MAcellular Dermis-Assisted Prosthetic Breast Reconstruction: A Systematic and Critical Review of Effi cacy and Associated Morbidity Plastic & Reconstructive Surgery December 2011; 128(6): 1162-1169

In questo articolo (pubblicato sulla stesso numero della rivista del precedente articolo) gli autori (della Univer-

sity of Pennsylvania) hanno eff ettuato una revisione della letteratura per valutare vantaggi e svantaggi dell’utilizzo del-la matrice di derma acellulare (ADM) nella ricostruzione mammaria in due tempi con expander e protesi. Dalla revisione dei nove articoli che rientravano nei para-metri di questa analisi l’unica diff erenza riscontrata è stata una maggiore incidenza di formazione di sieroma nel grup-po con ADM (8.4% contro il 4.3%), mentre è stato simile il tasso di infezioni che hanno portato alla rimozione della protesi. Questo ha fatto concludere agli Autori che le due tecniche sono altrettanto valide, con il vantaggio fornito

dall’uso della ADM di tempi ricostruttivi più rapidi.

Kim J YS, Davila A A, Persing S, Connor C M, Jovanovic B, Khan S A, Fine NA Meta-Analysis of Human Acellular Dermis and Submu-scular Tissue Expander Breast Reconstruction Plastic & Reconstructive Surgery January 2012; 129(1): 28-41

Un risultato diff erente è stato ottenuto dagli autori di questo articolo (rispetto a quello sopracitato) dalla va-

lutazione di 48 studi selezionati tra le 901 voci ottenute da una ricerca su medline per il periodo da gennaio 2000 a febbraio 2011.La metanalisi dei lavori ha suggerito che l’uso di ADM au-menta l’incidenza di complicanze (sieroma, infezione, ne-crosi cutanee) rispetto alla ricostruzione con expander e pro-tesi sottomuscolari senza uso di ADM. Questo deve essere ponderato con i vantaggi riferiti, quali il miglior risultato estetico e la riduzione della contrattura capsulare.

ECOGRAFIA SENOLOGICARECENSIONE A CURA DI A.M GUERRIERI*, P. BELLI**

*Servizio Autonomo di Radiologia ad Indirizzo Senologico - SARIS

Centro di Riferimento Regione Puglia - A.O.U. Policlinico di Bari

**Dipartimento di Bioimmagini e Scienze Radiologiche - Università

Cattolica del Sacro Cuore - Roma

Linda A, Zuiani C, Lorenzon M, Furlan A, Girometti R, Londero V, Bazzocchi M Hyperechoic lesions of the breast: not always benignAJR Am J Roentgenol 2011 May; 196(5): 1219-1224

Nello studio ecografi co di una focalità mammaria, la ipe-recogenicità, risulta essere un segno il cui signifi cato è

ancora controverso come emerge dai dati, sia pure su serie li-mitate, pubblicati in letteratura. Lo scopo di questo studio è stato valutare la frequenza, la presentazione clinica e i reperti di imaging associati, di lesioni maligne della mammella che si presentano come noduli iperecogeni all’esame ecografi -co. Inoltre gli autori si sono proposti di determinare quali siano le caratteristiche ultrasonografi che in grado di predire la malignità di tali lesioni. Sono state valutate retrospetti-vamente 4511 biopsie mammarie eco-guidate eseguite dal gennaio 2000 al dicembre 2009 su un totale di 4487 pazien-ti e sono state identifi cate le lesioni iperecogene; sono state

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defi nite lesioni iperecogene quelle che mostravano aumento dell’ecogenicità rispetto al tessuto adiposo sottocutaneo e miste quelle con un’area limitata di componente ipoecoge-na. Sono stati inoltre considerati i reperti mammografi ci e di risonanza magnetica correlati e le informazioni cliniche.Le immagini ecografi che sono state valutate secondo il les-sico BI-RADS da due radiologi con esperienza in ambito senologico. E’ stata calcolata la frequenza dei carcinomi ipe-recogeni fra tutti i carcinomi, utilizzando come standard di riferimento i risultati della biopsia dopo escissione chirur-gica per valutare le lesioni che dopo la biopsia eco-guidata erano state classifi cate come maligne o ad alto rischio di malignità e il follow-up a 6-12 mesi per rivalutare le lesioni classifi cate come benigne. 25 lesioni (0,6% del totale delle lesioni biopsiate) erano iperecogene. Tra le 1849 lesioni ma-ligne, 9 (0,4%) si mostravano iperecogeneIn defi nitiva, secondo gli autori, il riscontro di una for-mazione iperecogena all’esame ecografi co non permette di escludere la natura maligna della lesione. In particola-re i margini mal defi niti (tutte le lesioni maligne e 7 delle 16 lesioni benigne avevano margini sfumati; p = 0.008) e l’orientamento antiparallelo della lesione (6 lesioni maligne su 9 vs.1 lesione benigna su 16; p = 0.003) secondo tale esperienza, rappresentano le caratteristiche ultrasonografi -che maggiormente predittive per la malignità delle forma-zioni iperecogene mammarie; e un ruolo importante riveste la correlazione con altre metodiche di imaging.

Kim SM, Kim HH, Kang DK, Shin HJ, Cho N, Park JM, Cha JHMucocele-Like tumors of the breast as cystic lesions: sono-graphic-pathologic correlationAJR Am J Roentgenol 2011 Jun;196(6): 1424-1430

Il tumore mucocele- like è considerato una rara lesione benigna della mammella.

In questo studio gli Autori hanno valutato le principali caratteristiche radiologiche che permettono di distinguere questo tipo di lesioni nei casi in cui esse siano associate alla iperplasia duttale atipica (ADH) o al carcinoma mam-mario. A tale scopo 72 tumori tipo mucocele diagnosticati istologicamente in 68 pazienti, in tre diff erenti dipartimen-ti, sono stati rivalutati retrospettivamente. In particolare sono stati considerati i reperti mammografi ci ed ecografi ci in rapporto alla classifi cazione BI-RADS e la correlazione di tali reperti con l’esame bioptico. Di queste lesioni, 53 erano caratterizzate, all’esame mammografi co, dalla presen-za di calcifi cazioni; in 39 casi esse erano associate alla pre-senza di una massa, mentre nei restanti 14 casi non vi era

una massa associata. Le calcifi cazioni con aspetto intermedio o sospetto per ma-lignità si sono riscontrate con frequenza maggiore nelle le-sioni tipo mucocele associate a carcinomi o ad iperplasia duttale atipica piuttosto che nelle lesioni benigne isolate (rispettivamente nel 92,3% e nel 62,9% dei casi; p=0.019). All’esame ecografi co la presenza di cisti raggruppate, di se-pimentazioni con setti spessi e di masse complesse è stata riscontrata più frequentemente (89,7% dei casi) nelle lesio-ni tipo mucocele associate ad atipia o malignità rispetto alle lesioni benigne “pure” (32,5% dei casi, con p < 0.001). La classifi cazione BI-RADS, in base all’esperienza degli Auto-ri, ha un valore predittivo positivo del 13,3% per quanto riguarda la categoria 4 e del 50% per quanto concerne la categoria 5 e può essere utilmente impiegata per la gestione di queste lesioni.

EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONERECENSIONE A CURA DI G. MASALA, D. PALLI

Epidemiologia Molecolare e Nutrizionale, Istituto per lo Studio e la

Prevenzione Oncologica-ISPO, Firenze.

Petracci E, Decarli A, Schairer C, Pfeiff er RM, Pee D, Masala G, Palli D, Gail MHRisk Factor modifi cation and projections of absolute breast cancer risk J Natl Cancer Inst 2011; 103:1037-48.

Il tumore della mammella è il più frequente nella popo-lazione femminile dei paesi “sviluppati” ma le possibilità

di prevenzione si sono fi no ad oggi limitate ai programmi di prevenzione secondaria (screening mammografi co con l’obiettivo di ridurre le complicanze e la mortalità specifi -

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ca) perché la maggior parte dei fattori di rischio noti erano sostanzialmente non modifi cabili. La ricerca epidemiologica ha però più recentemente identifi cato alcuni fattori di ri-schio potenzialmente modifi cabili e si sono così aperti nuo-vi scenari nella direzione della prevenzione primaria e della riduzione del rischio. Questo lavoro presenta un modello per la stima dell’impat-to potenziale di una serie di cambiamenti dello stile di vita nel ridurre il rischio di tumore della mammella. Si tratta dell’estensione di uno studio precedente (Decarli et al. J Natl Cancer Inst , 2006) che aveva validato una versione italiana del modello di Gail (con stime di rischio e tassi di incidenza e mortalità italiani). In questa nuova versione sono stati aggiunti al modello al-cuni fattori potenzialmente modifi cabili a livello individuale quali l’indice di massa corporea o BMI (Body Mass Index), il consumo di alcol e l’attività fi sica al di fuori del lavoro, con stime di rischio derivate da uno studio caso-controllo italiano. Il modello è stato applicato in un set di dati in-dipendenti rappresentato dall’ampia coorte del progetto EPIC Firenze (oltre 10.000 donne residenti nelle province di Firenze e Prato per le quali sono disponibili dati relativi allo stile di vita, alla storia riproduttiva e all’alimentazione al momento dell’arruolamento avvenuto tra il 1993 e il 1998 e che da quella data sono seguite per l’identifi cazione di nuovi casi di tumore ed altri outcomes).Il modello ha mostrato una buona capacità di predire l’in-cidenza nei sotto-gruppi di donne (calibrazione: rapporto attesi/osservati 1.10, IC 95% 0.96-1.26) e una capacità di discriminare tra chi svilupperà o meno il tumore analoga a quella di modelli simili (62% al di sopra e 57% al di sotto dei 50 anni di età). La novità di questo lavoro è rappresentata dalla valutazione dell’eff etto della riduzione dei fattori potenzialmente modi-fi cabili sul rischio assoluto, sia a livello individuale che della popolazione generale e di sottogruppi a rischio elevato. Gli autori si basano su una stima che, in media, nella popola-

zione locale il rischio per una donna di 65 anni di svilup-pare un tumore al seno nei 20 anni successivi sia del 6,5% (65 casi ogni 1000 donne, circa 1 caso ogni 15 donne). La modifi ca dei fattori legati allo stile di vita (non consumare bevande alcoliche, ridurre il BMI a un valore inferiore a 25, ovvero rientrare nella categoria normopeso, e aumentare il livello di attività nel tempo libero ad almeno 2 ore la setti-mana) potrebbe portare ad una diminuzione del rischio di circa l’1.6%, cioè una riduzione di un quarto del rischio atteso in questa fascia di età. Questa variazione apparentemente modesta a livello indivi-duale, si tradurrebbe a livello di popolazione generale in una riduzione importante del numero dei nuovi casi di tumore (in una popolazione di 1 milione di donne seguite nel tem-po si avrebbero 1.600 tumori in meno). Nelle donne della stessa età ma con rischio elevato (per storia familiare positiva o classifi cate nel decile più alto del punteggio di rischio) la riduzione sarebbe rispettivamente del 3,2% e del 4,1% ri-spetto all’atteso, quindi un eff etto ben più rilevante ma che, data la ridotta numerosità delle donne con queste caratteri-stiche all’interno della popolazione generale, si tradurrebbe in una riduzione del numero assoluto dei nuovi casi molto inferiore allo scenario precedente. Queste stime, anche se devono essere considerate in parte ottimistiche poiché as-sumono il raggiungimento delle modifi che più favorevoli e un impatto immediato e di lunga durata sul rischio di neo-plasia, indicano come anche modesti cambiamenti a livello individuale si possano tradurre in vantaggi rilevanti a livello della popolazione generale. Va inoltre considerato l’impatto che questi interventi posso-no avere su una più ampia gamma di patologie croniche che condividono gli stessi fattori di rischio. Sarebbe quindi utile, come fa notare anche l’editoriale di accompagnamento, che venissero sviluppati modelli che tengano conto di outcomes multipli per valutare meglio le diverse strategie possibili. In un’ottica di sanità pubblica, questo approccio consen-tirebbe di fornire una visione più ampia e integrata dei benefi ci sulla salute ottenibili con una effi cace strategia di prevenzione primaria, e quindi infl uenzare positivamente la motivazione al cambiamento.

Cuzick J, Warwick J, Pinney E, Duff y SW, Cawthorn S, Howel A, Forbes JF, Warren RMTamoxifen-induced reductio in mammographic density and breast cancer reduction: a nested case-control study J Natl Cancer Inst 2011; 103:744-752

Cuzick et al. hanno condotto un caso controllo nested nell’ambito di un trial di chemio-prevenzione disegnato

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36 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 2012 - N. 64

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per valutare l’eff etto del Tamoxifene nel prevenire la com-parsa del tumore mammario in donne a rischio elevato. Nel-lo studio IBIS 1 sono state randomizzate oltre 7.000 donne a tamoxifene o placebo per 5 anni. L’analisi più recente, ba-sata su un follow up mediano di 8 anni, ha evidenziato che il tamoxifene riduceva del 34% il rischio di tumori estro-geno-positivi ma non aveva eff etto sui tumori estrogeno-negativi (Cuzick et al J Natl Cancer Inst, 2007). Precedenti osservazioni in questo ed altri studi randomizzati avevano evidenziato una diminuzione della densità mammografi ca nelle donne trattate.Proprio per valutare la relazione tra riduzione della densità mammografi a e diminuzione dell’incidenza di tumore, sono state identifi cate 123 donne con tumore diagnosticato du-rante il follow up mammografi co e 924 donne di controllo (non diagnosticate con tumore nello stesso periodo di tem-po). Le mammografi e eseguite al baseline e a 12-18 mesi sono state recuperate, è stata stimata la densità espressa in percentuale dell’area totale e calcolato il cambiamento inter-corso tra baseline e follow up.In generale, i casi avevano più frequentemente una densità elevata (densità > 50%) al baseline (53% dei casi e 46% dei controlli) e in genere hanno mostrato una minore riduzione percentuale della densità nei primi 12-18 mesi dello studio. I risultati più interessanti erano legati alle analisi in dettaglio del braccio randomizzato a tamoxifene: un gruppo di don-ne (circa il 46% delle trattate) avevano una riduzione della densità mammografi ca superiore al 10% e allo stesso tempo una riduzione del 63% del rischio di sviluppare il tumore in confronto alle donne randomizzate a placebo, mentre le altre donne trattate con tamoxifene che però non avevano avuto una riduzione della densità presentavano un rischio simile a quello del gruppo placebo. Non è stata riscontrata nessuna diff erenza signifi cativa nella compliance al tratta-mento nelle donne con maggiore o minore riduzione della densità e quindi è improbabile che le diff erenze di rischio osservate siano da attribuire a questo aspetto. Considerando che il rischio assoluto di sviluppare il tumore osservato a 10 anni nel braccio placebo dello studio IBIS 1 era di 6.4%, e che la riduzione del rischio per le donne trattate nelle quali si era verifi cata la riduzione del 10% di densità era del 63%, gli autori stimavano in questo gruppo di donne una riduzio-ne del rischio assoluto del 4%.E’ ormai documentato ampiamente che l’elevata densità mammografi a è associata positivamente al rischio di tumore della mammella e il rischio attrìbuibile stimato per questa caratteristica è superiore a quello della maggior parte dei fattori di rischio noti per questo tumore. L’associazione del-la densità mammografi ca con il rischio di tumore, insieme

all’osservazione che la densità è potenzialmente modifi cabile da fattori che a loro volta modulano il rischio di tumore, contribuiscono a farne una candidata al ruolo di marcatore affi dabile del rischio di tumore. Al momento, tuttavia, man-cano dati certi che indichino che la riduzione della densità mammografi a predica eff ettivamente una riduzione nel ri-schio di tumore e che la riduzione del rischio sia maggiore nei soggetti nei quali si ottiene una maggiore riduzione di questo parametro. Un altro aspetto da ricordare è la diffi coltà di ottenere sti-me accurate e riproducibili della densità come evidenziato anche nell’articolo. Tuttavia questo lavoro, fornisce alcuni elementi a supporto della possibilità di utilizzare la densità come possibile marcatore intermedio non solo nell’ambito degli studi di chemio-prevenzione (o “terapia preventiva” secondo una recente defi nizione)ma anche negli studi di in-tervento volti alla modifi ca dello stile di vita.

GENETICARECENSIONE A CURA DI M.L. BRANDI

Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Firenze

Calvo V and Beato M.BRCA1 counteracts progesterone action by ubiquination leading to progesterone receptor degradation and epigene-tic silencing of target promotersCancer Res 71(9): 3422-3430, 2011.

Le mutazioni germinali del gene oncosoppressore BRCA1 conferiscono alle donne portatrici un rischio

dell’80-85% di sviluppare un tumore mammario e del 54% di sviluppare un carcinoma dell’utero nel corso della loro vita. Una delle ipotesi più accreditate per spiegare la

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N. 64 - 2012 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 37

R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

tessuto-specifi cità dei tumori BRCA1-dipendenti è quella che propone un ruolo del gene BRCA1 nella regolazione dell’attività degli ormoni ovarici, estrogeni e progesterone, sui loro organi bersaglio.E’ stato dimostrato che BRCA1 inibisce l’attività del recet-tore estrogenico e, più recentemente, anche del recettore progestinico (PR). Questo lavoro di Calvo et al. conferma l’inibizione del gene BRCA1 sul recettore progestinico, evidenziando che BRCA1 regola l’attività trascriziona-le di PR attraverso la sua attività di ubiquitina ligasi E3 attraverso un meccanismo proteasoma-dipendente ed un meccanismo proteasoma-indipendente. Queste scoperte confermano ulteriormente che vi sia una connessione fun-zionale tra il gene BRCA1 e l’attività di PR nelle cellule di carcinoma mammario, che potrebbe contribuire a spiegare la particolare suscettibilità al tumore mammario delle don-ne portatrici di una mutazione sul gene BRCA1. La perdita della funzionalità del gene BRCA1, conseguen-te alla mutazione, risulta in un accumulo della proteina PR ed in un’aumentata attivazione dei promotori bersaglio di PR. Una delle ragioni della tessuto-specifi cità associata ai tumori BRCA1-dipendenti è quindi la perdita dell’inibi-zione dell’azione del progesterone che perciò rappresenta uno dei più importanti ormoni che regola la biologia della ghiandola mammaria.Quale potrebbe essere l’implicazione biologica del legame BRCA1-PR nella ghiandola mammaria? Il progesterone, assieme ad altri fattori, regola lo sviluppo della ghiandola mammaria. E’ stata ipotizzata l’esistenza di cellule staminali progenitrici PR-positive che potrebbero rispondere al pro-gesterone rilasciando fattori di crescita paracrini che vanno ad agire sulle cellule mammarie negative per i recettori de-gli ormoni steroidei ed inducendo così la loro proliferazio-ne. In uno scenario di BRCA1 mutato, le cellule positive ai recettori per gli ormoni steroidei potrebbero rispondere esageratamente agli ormoni ovarici rilasciando fattori di crescita paracrini e questo comporterebbe un’aumentata

proliferazione delle circostanti cellule recettori-negative esponendo così anche queste cellule al rischio proliferativo e tumorale dovuto alla perdita funzionale di BRCA1. Sono proprio queste cellule recettore-negative che oggi vengono considerate i possibili candidati per l’avvio della crescita tumorale nel tumore mammario. Questa ipotesi sembre-rebbe confermata anche dal fatto che la perdita del gene Brca1 conferisce un’esagerata crescita progesterone-dipen-dente della ghiandola mammaria nei topi femmina adulti. Quindi nei soggetti portatori di mutazione BRCA1 si può ipotizzare un eff etto protettivo dell’ovariectomia sullo svi-luppo del carcinoma mammario, dovuto all’eliminazione dei segnali proliferativi paracrini progesterone- o estroge-no-dipendenti.

Bibliografi a1. Ma Y et al. Th e breast cancer susceptibility gene BRCA1 regulates progesteron receptor signaling in mammary epi-thelial cells. Mol Endocrinol 20: 14-34, 2006.

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3. Hu Y. BRCA1, hormone, and tissue-specifi c tumor sup-pression. Int J Biol Sci: 5(1):20-27, 2009.

IMMUNOLOGIARECENSIONE A CURA DI A. BALSARI

SC Biologia Molecolare, Dip. Di Oncologia Sperimentale, Fondazione

IRCCS, Istituto Nazionale dei Tumori, Milano

UI 21866172AU Zlotnik A. Burkhardt AM. Homey B.TI Homeostatic chemokine receptors and organ-specifi c metastasis.SO Nature Reviews. Immunology. 11(9):597-606, 2011.

Tra le diverse funzioni delle chemochine, una famiglia di 48 ligandi, la capacità di indurre migrazione cellulare è

la meglio caratterizzata. Questa funzione è nota per essere fondamentale per un corretto funzionamento del sistema immunitario. Da alcuni anni, è stato dimostrata la presen-za di recettori per chemochine anche sulle cellule tumorali, e come questi recettori siano implicati nel processo di me-tastatizzazione indirizzando la cellula metastatica ai diver-

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38 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 2012 - N. 64

R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

si organi. Sulla base di queste osservazioni si è valutato in modelli sperimentali l’attività anti-metastatica di molecole o anticorpi in grado di bloccare i recettori delle chemochine, in particolare si sono utilizzati farmaci in grado di bloccare i recettori CXCR4 e CCR7. Nella presente review vengono riportati i risultati di questi studi, che hanno evidenziato come gli antagonisti dei recet-tori per le chemochine svolgano attività antimetastatica, e viene prospettato un loro imminente impiego nel paziente oncologico. UI 21670311AU Capietto AH. Martinet L. Fournie JJ.TI Stimulated gammadelta T cells increase the in vivo ef-fi cacy of trastuzumab in HER-2 [SUPERSCRIPT PLUS SIGN] breast cancer.SO Journal of Immunology. 187(2):1031-8, 2011 Jul 15

Tra i molteplici meccanismi di azione del trastuzumab, l’induzione di una citotossicità anticorpo dipendente

(ADCC) ha sicuramente un ruolo rilevante, da qui l’impor-tanza di attivare le varie sottopopolazioni cellulari che me-diano ADCC in modo da incrementare l’attività terapeutica di questo anticorpo. Nei linfomi B si e visto che l’attivazio-ne dei linfociti T gammadelta, cellule in grado di mediare ADCC, via fosfoantigeni, determina un incremento dell’at-tività terapeutica degli anticorpi. Nel presente studio viene ipotizzato un possibile futuro uti-lizzo di attivatori dei linfociti gamma-delta in associazione a trastuzumab in pazienti con carcinoma mammario, in quan-to si evidenzia la presenza di questi linfociti nell’infi ltrato tumorale di 27 su 30 carcinomi umani e viene dimostrato in un modello sperimentale di carcinoma mammario HER+ xenotrapiantato, come la combinazione trastuzumab/linfo-citi gamma-delta stimolati da fosfoantigeni determini un incremento dell’attività antitumorale del trastuzumab.

UI 21427357ST MEDLINEAU Cai Z. Sanchez A. Shi Z. Zhang T. Liu M. Zhang D.TI Activation of Toll-like receptor 5 on breast cancer cells by fl agellin suppresses cell proliferation and tumor growth.SO Cancer Research. 71(7):2466-75, 2011 Apr 1.

Studi recenti dimostrano che i recettori Toll like, recet-tori chiave per l’attivazione della risposta immune verso

microorganismi patogeni, giocano un ruolo nella tumorige-nesi. Tale attività sembra esplicarsi in seguito alla loro attiva-zione su cellule del sistema immunitario in grado di control-

lare la risposta immune anti-tumorale, ma anche attraverso la loro capacità di modulare il microambiente tumorale quando questi recettori sono espressi e attivati direttamente sulla cellula tumorale. Questo studio, in particolare, dimostra come il recettore TLR5 sia espresso in un’alta percentuale di carcinomi mam-mari umani, in particolare nel sottotipo duttale invasivo (IDC), e come la sua attivazione mediante trattamento con lo specifi co ligando, la fl agellina batterica, in linee di car-cinoma mammario in vitro possa inibire la proliferazione cellulare e la crescita dipendente da ancoraggio median-te secrezione di fattori solubili inibitori capaci di agire in maniera autocrina. Inoltre, si dimostra come il trattamento con fl agellina sia in grado di inibire la crescita di tumori mammari in topi atimici, senza evidenti segni di tossicità e favorendo il rilascio di fattori pro-infi ammatori dalla cellula tumorale capaci di indurre un richiamo di leucociti neutro-fi li. L’attivazione del TLR5 potrebbe rappresentare pertanto un nuovo bersaglio terapeutico per la terapia del carcinoma mammario.

LABORATORIORECENSIONE A CURA DI M. GION*, M.G. DAIDONE**,

M. DE BORTOLI***, A. PARADISO****

* Centro Regionale Specializzato Biomarcatori/Consorzio Istituto

Oncologico Veneto IRCCS - Dipartimento di Patologia Clinica, Azienda

ULSS 12 - Venezia

** Dipartimento di Oncologia Sperimentale e Medicina Molecolare

Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori - Milano

*** Centro Interdipartimentale Sistemi Complessi in Biologia e

Medicina Molecolare SysBioM - Università degli Studi di Torino

**** Direzione Scientifi ca e Unità Operativa Laboratorio di Oncologia

Sperimentale Clinica - Istituto Tumori “Giovanni Paolo II” IRCCS - Bari

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N. 64 - 2012 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 39

R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

BIOMARCATORI DI MECCANISMOMego M, Mani SA, Cristofanilli MMolecular mechanisms of metastasis in breast cancer-clini-cal applicationsNat Rev Clin Oncol 2010; 7(12):693-701

Swaby RF, Cristofanilli MCirculating tumor cells in breast cancer: a tool whose time has come of age BMC Med 2011; 21(9):43

Cellule tumorali circolanti: contarle o caratte-rizzarle?

Le cellule tumorali circolanti (CTC) sono cellule di ori-gine epiteliale provenienti dallo spreading nel circolo

sanguigno di cellule tumorali da lesioni sia primitive che metastatiche. Attualmente, nonostante gli avanzamenti in ambito biotec-nologico e ingegneristico abbiano permesso l’identifi cazione e la caratterizzazione molecolare delle CTC, non è ancora possibile rilevare singole CTC con le attuali tecnologie di imaging ad alta risoluzione.Il tumore della mammella ha rappresentato il fulcro dell’at-tività scientifi ca internazionale sulle CTC in quanto è am-piamente accettato che la disseminazione precoce di cellule tumorali a livello ematico giochi un ruolo importante in questa neoplasia (Husemann et al, 2008). Queste cellule, importanti ma rare, vengono solitamente identifi cate e cat-turate dal sangue periferico attraverso metodiche che sfrut-tano le caratteristiche morfologiche e fi siche (dimensione e densità) e/o l’espressione di marcatori del lineage epiteliale (citocheratine, EpCAM), l’assenza dell’antigene comune leucocitario CD45, la presenza di putativi antigeni tumore-specifi ci (ad esempio MUC1 ed HER2), le caratteristiche citologiche (es. rapporto nucleo/citoplasma). Possiamo pertanto defi nire le CTC come cellule presenti nel

circolo sanguigno che esprimono caratteristiche antigeniche e/o genetiche specifi che di un certo tipo di tumore (Har-ris et al, 2007). Considerata la rarità delle CTC rispetto a tutte le altre cellule ematiche e la loro eterogeneità a livello citologico, citogenetico, trascrizionale e funzionale, le co-noscenze biologiche e cliniche su queste cellule dipendono fortemente dai sistemi di pre-arricchimento e rilevamento utilizzati, i quali sono inevitabilmente soggetti a bias di sele-zione. Questo signifi ca che ai problemi di specifi cità tecnica si aggiungono problemi di specifi cità biologica, ragion per cui la defi nizione di CTC dipenderà sempre dal metodo di arricchimento/rilevamento utilizzato. Recentemente Mego et al. hanno spiegato come il ruolo del-le CTC nel fallimento dei trattamenti e nella progressione tumorale sia legato a specifi ci processi biologici cui cellule più aggressive vanno incontro, quali la transizione epitelio-mesenchimale (EMT) e la capacità di ripopolare il sito tu-morale o i siti metastatici (“self-seeding”). Le cellule tumorali attivano un programma di transdiff erenziamento, caratte-rizzato dalla perdita dei contatti cellula-cellula e dall’acqui-sizione di un fenotipo mesenchimale, che ne aumenta la motilità e il potenziale invasivo. Dunque, per defi nizione, la EMT è necessariamente coinvolta nella generazione del-le CTC, probabilmente le più adatte alla colonizzazione di siti distanti se si considera l’associazione causale tra EMT e le caratteristiche di staminalità che contraddistinguono le tumor-initiating cells (Mani et al, 2008). Osservazioni precliniche e cliniche suggeriscono che esiste un continuum durante l’acquisizione del fenotipo CTC che ci porta a collocarle all’interno di uno spazio virtuale delimi-tato dal fenotipo epiteliale e da quello mesenchimale, e che comprende varie sottopopolazioni di CTC che esprimono, sia antigeni epiteliali che antigeni mesenchimali. A supporto di questo modello, è stata dimostrata l’esistenza di un feno-tipo EMT parziale, che tradotto in termini operativi indica che CTC esprimenti marcatori di EMT (Twist1, PI3Kα, Akt-2) e di staminalità (ALDH1) sono rilevabili in pazienti con tumore della mammella in fase avanzata attraverso me-todi di arricchimento immunomagnetici basati sull’espres-sione di EpCAM e Muc-1 (Atkas et al, 2009). Questa ete-rogeneità nella popolazione di CTC suggerisce ancora una volta che il loro valore come biomarcatore dipende forte-mente dal metodo di rilevazione utilizzato.Pertanto, considerate le potenziali applicazioni cliniche off erte dallo studio delle CTC, sono necessari metodi di rilevamento standardizzati e cross-validati tra diff erenti la-boratori. Inoltre, si dovrebbe dimostrare attraverso modelli murini l’eff ettiva capacità delle cellule selezionate nel forma-re un tumore in quanto, in funzione della loro eterogeneità,

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40 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 2012 - N. 64

R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

non tutte saranno in grado di sopravvivere all’ambiente cir-costante ostile e di insediarsi in un nuovo tessuto. La maggioranza degli studi clinici fi nora pubblicati si basa sulla quantifi cazione delle CTC e, solo recentemente, sono comparsi i primi lavori riguardanti la loro caratterizzazione molecolare. Le CTC possono essere rilevanti nel processo metastatico e nella progressione del tumore alla mammella e fl uttuazioni nel loro numero si associano a ripresa e pro-gressione di malattia. È stato dimostrato come il numero di CTC determinato prima del trattamento e alla prima visita di follow-up rappresenti in pazienti con tumore della mam-mella metastatico un fattore prognostico di sopravviven-za globale e libera da progressione; rappresenta inoltre un fattore indipendente e superiore al tumor burden misurato attraverso l’indice di Swenerton o al dosaggio di marcatori serici (Cristofanilli et al, 2004). Inoltre, variazioni di nume-ro possono predire anticipatamente la progressione rispetto ai metodi strumentali di imaging (De Giorgi et al, 2009) e la prognosi al primo follow-up, accanto ad una risposta funzionale saggiata attraverso FDG-PET e/o CT (Budd et al, 2006). Le CTC costituiscono, perciò, una “biopsia li-quida” non invasiva che permette di fotografare in tempo reale la progressione della malattia in pazienti sottoposte ai trattamenti convenzionali, mentre risulta ancora poco chia-ro il valore prognostico delle CTC in pazienti metastatiche sottoposte a terapia biologica (Bidard et al, 2010; Giordano et al, 2010). Tuttavia, la vera sfi da è rappresentata dalla pos-sibilità di monitorare le CTC in pazienti con tumore della mammella in fase precoce. É stato dimostrato come la pre-senza delle CTC rilevate prima di iniziare la terapia neoa-diuvante rappresenti un fattore prognostico indipendente di sopravvivenza globale o libera da metastasi, mentre la loro presenza dopo la chemioterapia sembrerebbe essere poco in-formativa (Pierga et al, 2008; Bidard et al, 2010). Le CTC rappresentano anche un sensore della plasticità tu-morale in quanto biomarcatori valutati nelle CTC sembra-no più informativi rispetto ai biomarcatori valutati nel tu-more primitivo, come nel caso di pazienti con CTC Her-2 positive responsive al trattamento con Herceptin malgrado il tumore primitivo fosse Her-2 negativo (Meng et al, 2004). Sono necessari trial prospettici per la validazione clinica di questi risultati, e alcuni dei quali sono attualmente in cor-so allo scopo di determinare il valore predittivo delle CTC nella decisione terapeutica e/o l’espressione in tali cellule di marcatori “druggable”.Lo studio della malattia circolante apre una nuova fi nestra sulla biologia del cancro e può avere forti implicazioni a li-vello traslazionale, per quanto riguarda la predizione sia del decorso clinico sia della risposta al trattamento, come pure

per la possibilità di individuare nuovi bersagli molecolari per il disegno di terapie personalizzate. La caratterizzazione molecolare delle CTC, molto più che la loro enumerazione, potrebbe avere un impatto sulle attuali conoscenze riguar-danti il processo di metastatizzazione e l’eff ettiva presenza in circolo di cellule con caratteristiche di staminalità, le tumor-initiating cells. Il profi lo di espressione genica delle CTC potrebbe essere infatti più informativo rispetto a quello del tumore primitivo, e se adeguatamente rilevabile e validato, potrebbero rappresentare un marker surrogato di prognosi, di risposta al trattamento e per il monitoraggio individualiz-zato dell’effi cacia del trattamento. Il concetto che le CTC possano rappresentare i precursori delle metastasi, un volta validato con studi prospettici indi-pendenti, potrebbe contribuire a integrare le attuali strategie cliniche per il rilevamento precoce di metastasi clinicamente occulte, non dimenticando tuttavia l’importanza di conside-rare in maniera adeguata e possibilmente migliorare l’effi ca-cia del metodo di selezione utilizzato.

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Page 43: Attualità in Senologia

N. 64 - 2012 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 41

R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

Budd GT, Cristofanilli M, Ellis MJ et al Circulating tumor cells versus imaging-predicting overall survival in metastatic breast cancerClin Cancer Res 2006; 12(21):6403-6409

Cristofanilli M, Budd GT, Ellis MJ et al Circulating tumor cells, disease progression, and survival in metastatic breast cancerN Engl J Med 2004; 19;351(8):781-791

De Giorgi U, Valero V, Rohren E et al Circulating tumor cells and [18F]fl uorodeoxyglucose posi-tron emission tomography/computed tomography for out-come prediction in metastatic breast cancerJ Clin Oncol 2009; 27(20):3303-3311

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Harris L, Fritsche H, Mennel R et alAmerican Society of Clinical Oncology 2007 update of recommendations for the use of tumor markers in breast cancer.J Clin Oncol 2007; 25(33):5287-5312

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Meng S, Tripathy D, Shete S et alHER-2 gene amplifi cation can be acquired as breast cancer progressesProc Natl Acad Sci U S A 2004; 101(25):9393-9398

Pierga JY, Bidard FC, Mathiot C et alCirculating tumor cell detection predicts early metastatic re-lapse after neoadjuvant chemotherapy in large operable and locally advanced breast cancer in a phase II randomized trialClin Cancer Res 2008; 14(21):7004-7010

Altri articoli interessanti:

BIOMARCATORI DI ESTENSIONESandri MT, Salvatici M, Botteri E et alPrognostic role of CA15.3 in 7942 patients with operable breast cancerBreast Cancer Res Treat 2011 Nov 9 [Epub ahead of print]

BIOMARCATORI DI RISCHIOFarhat GN, Cummings SR, Chlebowski RT et al Sex hormone levels and risks of estrogen receptor-negative and estrogen receptor- positive breast cancersJ Natl Cancer Inst 2011; 103(7):562-570

PATOLOGIA BENIGNARECENSIONE A CURA DI A. PLUCHINOTTA E B. GNOCATO

UF Senologia Chirurgica - Chirurgia Mammaria Radioguidata

Policlinico Abano Terme (PD)

Rahmani S, Turton P, Shaaban A, Dall BOverview of gynecomastia in the modern era and the Leeds Gynaecomastia Investigation algorithmBreast J 2011; 17(3): 246-255

Li CC, Fu JP, Chang SC, Chen TM, Chen SGSurgical Treatment of Gynecomastia: Complications and OutcomesAnn Plast Surg 2011; Jun 27

Al-Allak A, Govindarajulu S, Shere M, Ibrahim N, Sahu AK, Cawthorn SJGynaecomastia: A decade of experience

Page 44: Attualità in Senologia

42 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 2012 - N. 64

R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

Surgeon 2011; 9(5): 255-258

Rispetto a pochi anni orsono la gestione clinica della gi-necomastia si è evoluta soprattutto su due aspetti. In-

nanzitutto sono aumentate le osservazioni di ginecomastia secondaria al maggior uso di preparati ormonali per il tratta-mento delle neoplasie prostatiche, soprattutto la bicalutami-de. La loro somministrazione prolungata si accompagna ta-lora alla necessità di controllare non tanto gli aspetti estetici quanto i sintomi dolorosi. Poiché le terapie sul dolore han-no maggiore eff etto nella fase proliferativa iniziale, in molti casi conclamati occorre agire preventivamente con farmaci di contrasto (tamoxifene più che inibitori dell’aromatasi) o, più raramente, con una blanda radioterapia. Per quanto riguarda invece il trattamento della ginecomastia primaria, esso è ancor più richiesto per motivazioni esteti-che e inevitabilmente con maggiori aspettative di risultati ottimali. Di fatto la ginecomastia è divenuta dominio quasi esclusivo dei chirurghi plastici anche per la necessità di in-tegrare il trattamento chirurgico con tecniche di rifi nitura come la liposuzione.Il lavoro di Rahmani e coll. si soff erma soprattutto sugli aspetti medici della ginecomastia rilevando ancora una volta come essa sia idiopatica nella stragrande maggioranza dei casi, mentre solo pochi casi isolati sono riconducibili ad un alterato rapporto tra livelli tissutali di estrogeni/androgeni e alla risposta di rimando degli organi bersaglio. L’inqua-dramento diagnostico deve essere individualizzato secondo un algoritmo investigativo da loro proposto, orientato so-prattutto ad escludere fattori eziologici signifi cativi, mentre il trattamento deve mirare a un controllo dei sintomi sola-mente nei casi in cui vi sia un disturbo psicologico. Infi ne gli Aa. sottolineano come la risposta alla terapia ormonale si verifi ca in un terzo dei casi e solo in fase proliferativa acuta, mentre non vi è vantaggio nei casi cronici stabilizzati.Li e coll. si occupano principalmente delle diverse opzioni chirurgiche basandosi sull’esperienza decennale raccolta re-trospettivamente in 41 pazienti. I dati vengono analizzati per stadio e tecnica chirurgica usata singolarmente (quasi sempre mastectomia sottocutanea, raramente solo liposuzio-ne) o associata ad altre tecniche (generalmente mastectomia seguita da liposuzione di rifi nitura). Il grado di soddisfazio-ne è stato registrato con un questionario di autovalutazione. I migliori risultati sono stati ottenuti nei gradi IIb (allarga-mento moderato con minimo eccesso di cute) e III (pelle ridondante e aspetto pendulo) con la mastectomia sottocu-tanea skin sparing associata ad una successiva liposuzione ecoguidata. In tutti i casi considerati la necessità di eff ettua-re una revisione chirurgica si è verifi cata nel 4.8% dei casi.

Partendo da una scala da 1 a 10, il livello medio di soddisfa-zione è stato 9.4, e il livello di self confi dence 9.2. Al-Allak e coll. si soff ermano soprattutto sulle ginecomastie idiopatiche giovanili. Più di altri ribadiscono la necessità di un supporto psicologico che, soprattutto nei giovani, riesce ad evitare l’intervento nella maggior parte dei casi.Una considerazione fi nale. La patologia della mammella ma-schile in quanto clinicamente saltuaria viene inevitabilmen-te poco considerata. Ciò si verifi ca anche per altre patologie organiche o più semplicemente funzionali, più frequenti ma considerate minori come ad esempio il dolore mammario. La loro limitata considerazione favorisce la formulazione di risposte generiche se non superfi ciali, non sempre all’altez-za dello importanza anche solo psicologica attribuita loro dal diretto interessato. E’ pur vero che di fatto è soprattutto la patologia neoplastica maggiore a necessitare di continui aggiornamenti (anche sulla comunicazione) e correzioni di linea avvalendosi in larga parte della letteratura scientifi ca e della discussione congressuale. E’ altrettanto vero che in letteratura le segnalazioni di patologia benigna sono spora-diche e talora in contrasto tra loro. Da qui la necessità di fare riferimento a testi che riescano ad essere esaustivi con una panoramica dello stato dell’arte non facilmente ricostruibile dalla ricerca online. Segnaliamo a tal proposito

Mansel RE, Webster DJT, Sweetland HMBenign Disorders and Diseases of the BreastSaunders-Elsevier, Th ird ed., 2009

Terza edizione dello “Hughes, Mansel & Webster’s”, uni-ca monografi a sulla patologia benigna, che riesce a sod-

disfare le molte domande relative a questa fi glia di un dio minore che si aff accia spesso nella nostra pratica quotidiana. Ampia trattazione degli argomenti (25 pagine sul dolore sono giustifi cate dal fatto che tale sintomo è comunque quello più frequente nella pratica clinica ambulatoriale) con key points di sintesi critica e indicazioni terapeutiche basate

Page 45: Attualità in Senologia

N. 64 - 2012 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 43

R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

su un razionale di risposte attese. Infi ne un capitolo sulla pratica chirurgica minore (accessi ottimali, accorgimenti sui prelievi, escissione selettiva dei dotti etc… ) per lo più data per scontata e forse per questo meno reperibile sugli altri testi.

Sanguinetti A, Fioriti L, Brugia M et alJuvenile papillomatosis of the breast in young male: a case reportG Chir 2011; 32(8-9): 374-375

QUALITÀ DI VITADISAGI E RELAZIONIRECENSIONE A CURA DI A. COLA E G. MARTINO

METIS Centro Studi in Oncologia, Formazione e Terapia - Milano

Zendejas B, Moriarty JP, O’Byrne J, Degnim AC, Farley DR, Boughey JCCost-eff ectiveness of contralateral prophylactic mastec-tomy versus routine surveillance in patients with unila-teral breast cancerJournal of Clinical Oncology 2011 Aug 1.; 29(22): 2993-3000

ABSTRACT

La mastectomia controlaterale profi lattica (CPM) in donne con cancro al seno unilaterale sono in

aumento nonostante non sia chiaro se questa pratica porta dei vantaggi in termini di sopravvivenza. Que-sto studio valuta il rapporto costi/benefi ci tra CPM e il normale follow-up come strategia di controllo del seno controlaterale. La valutazione è stata fatta prendendo come campione una donna con rischio medio di re-

cidiva. I risultati dello studio evidenziano che dai 45 ai 70 anni i costi tra le due strategie sono simili ma la qualità di vita è superiore nel gruppo CPM. Dopo i 70 il rapporto costi/benefi ci si inverte. Lo studio evidenzia anche che per prevenire un tumore al seno controlate-rale bisogna eseguire 6 mastectomie profi lattiche.

Ganz PA, Kwan L, Stanton AL, Bower JE, Belin TRPhysical and psychosocial recovery in the year after pri-mary treatment of breast cancerJournal of Clinical Oncology 2011 Mar 20; 29(9):1101-1109

ABSTRACT

Dal 2000 la chemioterapia viene consigliata a tutte le donne con cancro al seno più grande di 1 cm. Gli

studi dimostrano anche che la chemioterapia ha un im-patto negativo sulla qualità di vita delle donne anche a anni di distanza. Questo studio vuole capire se esistono interventi di supporto riabilitativo e psicosociale che possono limitare questi disturbi. Nello studio sono state coinvolte 558 donne operate per cancro al seno che hanno partecipato ad un pro-gramma di recupero psicoeducazionale: Moving Be-yond Cancer (MBC). Le donne sono state controllate do 2, 6 e 12 mesi dal primo intervento.I risultati hanno evidenziato che sia il gruppo che aveva fatto chemioterapia che il gruppo senza hanno avuto un netto miglioramento in tutti gli indici controllati. Le donne che hanno fatto chemio hanno però dimo-strato di avere una percentuale di sintomi signifi cativa-mente superiore in termini di dolore muscolo-schele-trico, disturbi vaginali, problemi di peso e nausea che persistono anche al controllo a 12 mesi.Aerts PD, De Vries J, Van der Steeg AF,. Roukema JATh e relationship between morbidity after axillary sur-gery and long-term quality of life in breast cancer pa-

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44 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 2012 - N. 64

R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

tients: the role of anxietyEuropean Journal of Surgical Oncology 2011 Apr 37(4): 344-349

ABSTRACT

Questo studio vuole capire quali sono le limitazioni alle attività quotidiane che le donne operate per

cancro al seno si auto impongono a seconda del tipo di chirurgia ascellare a cui sono state sottoposte: 1. solo linfonodo sentinella (51 pz.); 2. linfonodo sentinella e successiva dissezione ascellare (25); 3. dissezione ascel-lare (13).Anche se i risultati non hanno evidenziato diff eren-ze all’esame fi siatrico si è visto che le donne del terzo gruppo lamentavano maggiori sintomi e limitazione nelle attività quotidiane e che si imponevano maggiori restrizioni. Esiste una discrepanza tra la sensazione soggettiva della donna e la misurazione fi siatrica. L’ansia e le correlate limitazioni auto imposte sono quindi molto importan-ti per capire come la qualità di vita futura delle donne dopo intervento al seno potrà subire delle limitazioni.

RADIOTERAPIARECENSIONI A CURA DI L. LOZZA SC RT1 Radioterapia Fondazione IRCCS Istituto

Nazionale Tumori di Milano

Motwani SB, Goyal S, Moran MS, Chhabra A, Haff ty BGDuctal carcinoma in situ treated with breast-conser-ving surgery and radiotherapy: a comparison with ECOG study 5194Cancer 2011; 117: 1156-1162

Negli ultimi trenta anni la diagnosi di carcinoma duttale in situ (DCIS) è notevolmente aumenta-

ta, dal 2-3% al 30%, grazie soprattutto allo screening mammografi co.La sopravvivenza a dieci anni supera il 98%, indipen-dentemente dalle scelte terapeutiche (mastectomia, chirurgia conservativa, chirurgia conservativa seguita da radioterapia), talora localmente più aggressive che per forme infi ltranti.Infatti, alcuni aspetti del trattamento del DCIS sono ancora controversi, stante l’eterogeneità delle presen-tazioni cliniche e delle caratteristiche patologiche e biologiche della malattia.Diversi trials randomizzati hanno dimostrato che la radioterapia (RT) dopo chirurgia conservativa riduce il rischio di recidiva locale del 50-60%, con risultato cosmetico soddisfacente e bassa incidenza di eff etti collaterali.Il benefi cio assoluto della RT erogata sull’intera mam-mella potrebbe essere però meno evidente in sotto-gruppi di DCIS caratterizzati da fattori prognostici più favorevoli (età più avanzata, negatività dei margi-ni di resezione, basso grading).E’ continuo l’interesse ad individuare sottogruppi di pazienti alle quali off rire il programma terapeutico “minimo”.L’omissione della RT è stata pertanto oggetto di stu-di prospettici e retrospettivi: l’Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG) ha condotto uno studio prospettico (il 5194) su pazienti trattate con chirurgia conservativa senza radioterapia adiuvante per DCIS di grado basso-intermedio (LIG) di dimensioni 0.3- 2.5 cm con margini negativi ≥ 3 mm e di grado ele-vato (HG) di dimensioni 0.3- 1 cm, margini negativi ≥ 3 mm.Ad un follow up mediano di 6 anni il tasso di recidive locali a 5 e 7 anni per il gruppo LIG fu del 6.1% e

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

10.5% e nel gruppo HG del 15.3% e 18% rispetti-vamente.Nello studio non era previsto alcun braccio di con-trollo con pazienti assegnate anche al trattamento ra-diante.Gli Autori di questo lavoro hanno identifi cato 263 pazienti, trattate negli anni 1980-2009, con caratte-ristiche sovrapponibili a quelle reclutate nello studio ECOG 5194, 196 LIG e 67 HG.Tutte le pazienti ricevettero una radioterapia con fra-zionamento convenzionale sull’intera mammella (50 Gy + boost di 10-16 Gy).Ad un follow up mediano di 7 anni si osservarono recidive locali nell’1.5% e 4.4% nel gruppo LIG, del 2% e 2% nel gruppo HG, rispettivamente a 5 e 7 anni.La RT dopo chirurgia consente un elevato controllo locale, riducendo il rischio di recidiva locale del 70% in entrambe i gruppi analizzati.

Goyal S, Vicini F, Beitsch PD et alDuctal carcinoma in situ treated with breast-conser-ving surgery and accelerated partial breast irradiation Cancer 2011; 117: 1149-1155

Park SS, Grills IS, Chen PY et alAccelerated partial breast irradiation for pure ductal carcinoma in situ Int J Radiation Oncology Biol Phys 2011; 81: 403-408

L’opzione di irradiazione parziale della mammella (PBI) è stata oggetto di studi che ne hanno analiz-

zato la fattibilità e il risultato sul controllo locale qua-le modalità alternativa alla radioterapia convenzionale sull’intera mammella dopo chirurgia conservativa del-le neoplasie infi ltranti in stadio iniziale.

Il suo principale obiettivo è l’erogazione in tempi bre-vi di una dose di radiazioni omogenea e biologica-mente equivalente allo standard su un volume ghian-dolare ridotto.L’effi cacia della PBI nel trattamento del DCIS è ana-lizzata in pochi lavori i cui dati, non conclusivi, sono di certo interesse per il proseguimento della ricerca in tale ambito.Gli Autori della prima delle due pubblicazioni citate ripor-tano i risultati dell’applicazione della PBI in 41 pazienti “LIG” e 29 pazienti “HG”, secondo i criteri dello studio ECOG 5194 (vedi recensione precedente): ad un follow up di 5 anni le recidive locali sono state lo 0% e il 5.3% nei due gruppi, rispettivamente.Gli autori del secondo lavoro riportano, invece, su 53 pa-zienti il 2% di ricadute locali a 3 anni.PBI, realizzata con tecniche diff erenti (Mammosite, 3D conformazionale), è pertanto in grado di ridurre il rischio di ripresa locale di DCIS sia LIG sia HG. Si raccomanda di inserire questi trattamenti in studi clini-ci e di informare sempre adeguatamente le pazienti della insuffi ciente esperienza ad oggi maturata per questa scelta.

Selezione bibliografi ca

Farante G, Zurrida S, Galimberti V et alBreast Cancer Res Treat 2011; 128: 369-378Th e management of ductal intraepithelial neoplasia (DIN): open controversies and guidelines of the Istituto Europeo di Oncologia (IEO), Milan, Italy

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Q U A T T R O C H I A C C H E R E C O NQ U A T T R O C H I A C C H E R E C O N

Alfonso Frigerio

Caro Alfonso, so che sei molto attento al rigore metodologico nel-la tua professione. Cosa ti ha insegnato lo screening, al quale hai dedicato tanto interesse, per migliorare la tua attività di medico clinico?

La domanda è interessante e complessa. La risposta più rapi-da che mi viene in mente è che lo screening mi ha insegna-

to a mettere l’attività clinica in prospettiva. Provo a spiegarmi. La motivazione che porta molti di noi a scegliere la professione di medico è quella di aiutare i propri simili a risolvere e superare i problemi che riguardano la salute. Da questa spinta a fare del bene per i propri interlocutori/pazienti, deriva l’atteggiamento psicologico e programmatico per cui il clinico deve tendere a off rire sempre il massimo al proprio paziente, alla propria pa-ziente. Ciò comunemente si esprime con la massima: “la salute non ha prezzo”, ovvero, le considerazioni economico-fi nanzia-rie non devono condizionare l’off erta di diagnosi, di cura, di assistenza alla persona che ne necessita. Rispetto a tale approccio, lo screening mi ha insegnato a pensa-re alla singola donna... tenendo però presente anche il contesto dell’intera popolazione. È proprio la prospettiva di popolazione che rende evidente la debolezza dell’assunto tradizionale, che nega il condizionamento fi nanziario sulle scelte del medico. Il medico preparato e rigoroso, tanto più dove operi nell’ambito di un sistema di sanità pubblico, ha il dovere morale di porsi il problema delle risorse economiche e della competitività in termini di rapporto costo-benefi cio delle scelte, delle procedure e dei protocolli che adotta nella sua attività professionale. Il valore di queste considerazioni mi appare nel tempo sempre più pregnante, quando gli attuali scenari politico-fi nanziari globali rendono più evidente l’iniquità e la sostanziale insostenibilità di un’off erta sanitaria non regolata, che comporti il rischio di off rire sempre di più a sempre meno persone, ignorando le esi-genze della parte di popolazione meno garantita. Altro punto decisivo che ho acquisito dedicandomi allo scre-ening è il valore impareggiabile della stretta collaborazione multidisciplinare che lo screening organizzato richiede: l’im-

portanza del confronto continuo, stimolante e costruttivo tra esperienze clinico-diagnostiche (in primis lo stretto rapporto dei radiologi con i patologi e i chirurghi) e professionali diverse (la fi gura del tecnico di radiologia, sempre a fi anco del radio-logo nella conduzione del programma, ma anche l’importanza dell’infermiera dedicata, di personale di segreteria motivato...). A tutto ciò si affi anca la lunga collaborazione - dalle fasi iniziali del progetto, fi no alla valutazione dei risultati e delle loro im-plicazioni - con i colleghi epidemiologi. In defi nitiva, si può dire che lo screening mi ha aiutato ad as-secondare il rigore (nei comportamenti, nelle scelte) che è una componente fondamentale del mio carattere e della mia educa-zione, consentendomi di inscrivere le mie attività cliniche entro una prospettiva più profonda e sistematica.

Mi sembra che ultimamente si sia riaperto il dialogo tra il mondo della senologia clinica e quello dello screening. Cosa pensi che ab-biano imparato gli uni dagli altri?

Prima di tutto, vorrei ribadire un punto che ho sempre sostenuto già nelle fasi (ora largamente superate) di più

intenso confronto tra radiologi “di screening” e radiologi “cli-nici”: la contrapposizione di due schieramenti con queste eti-chette non è giustifi cata.L’obiettivo che ci poniamo (la salute delle donne), le compe-

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Q U A T T R O C H I A C C H E R E C O NQ U A T T R O C H I A C C H E R E C O N

tenze professionali e gli strumenti che utilizziamo (mammogra-fi a, ecografi a, prelievi mirati, lavoro multidisciplinare) sono gli stessi. Persino i rappresentanti dei due “schieramenti” sono in molti casi le stesse persone, che a seconda del contesto in cui in-tervengono indossano la veste del “clinico” o dello “screenista” (termine che ho sempre trovato ingiustamente riduttivo, oltre che linguisticamente sgradevole). Ciò che distingue screening e senologia “clinica” è sostanzialmente solo il diff erente approc-cio organizzativo: riprendendo quanto espresso prima, la forza dello screening è porsi nella prospettiva della popolazione. Peraltro, proprio nel rispondere alla domanda precedente, ho insistito sul concetto di rigore, scientifi co e metodologico. Eb-bene, nel corso di tanti dibattiti e confronti, mi è capitato di proporre una basilare distinzione di atteggiamento, attraverso la formula: cerchiamo di essere rigorosi, ma non rigidi. In quan-to radiologo, abituato a confrontarmi quotidianamente con la donna in ansia per la sua salute, per l’esito di un controllo, spa-ventata per la prospettiva di terapie impegnative, conosco trop-po bene i tanti risvolti psicologici, le molteplici peculiarità dei singoli casi, per non capire l’esigenza di molti colleghi radiologi di pensare a soluzioni più articolate, che escano dagli schemi - a volte davvero rigidi - del protocollo di screening. In sintesi, lo screening ha insegnato al mondo clinico a porsi il problema della popolazione ed a risolverlo in modo scien-tifi camente corretto e praticamente fattibile nel contesto delle risorse realisticamente disponibili; il mondo della senologia cli-nica ha sempre ricordato che senza l’ottimizzazione del rappor-to medico-paziente non può esservi pratica medica di qualità e che un protocollo operativo “evidence-based” non va visto come immutabile, ma può e deve essere rimesso in discussione, riformulato o rimodulato, qualora se ne dimostri l’opportunità, sempre con rigore, ma senza rigidità.

Tu sei sempre stato un ammiratore della bellezza e cultore dell’arte. In qualche modo questo ti ha facilitato nella grande stima per il tuo amico Laszlo Tabar, che certamente, oltre al valore  scientifi co, ha una grande capacità didattica, comunicativa e utilizza imma-gini cliniche aff ascinanti?

Qui la risposta è facile: sì. Da quando decisi di dedicare una parte considerevole della mia carriera alla lotta contro il

cancro della mammella, Laszlo Tabar è diventato il mio princi-pale obiettivo formativo. Alla metà degli anni ’80 Tabar era già l’autore del testo di riferimento per i mammografi sti di tutto il mondo (l’Atlante Diagnostico di Mammografi a, un volume di qualità incredibile, ancora valido dopo quasi 30 anni dalla prima edizione). Negli stessi anni pubblicava i primi dati dello Studio delle 2 Contee Svedesi (Two-County Trial) che dimo-stravano il signifi cativo impatto dello screening mammografi co

sulla mortalità da carcinoma mammario. Dopo averlo incon-trato in vari convegni (la prima volta al congresso EORTC di Londra nel 1987, dove io presentavo uno studio preparatorio del programma di screening di Torino), la nostra amicizia e collaborazione è iniziata in seguito al mio primo periodo di studio presso il suo reparto di mammografi a a Falun (Svezia). Eravamo nel 1992 e per me si trattò di una vera rivelazione, superiore ad ogni aspettativa. In quell’occasione, mi convinsi di avere trovato la persona che più di chiunque altro al mondo era progredita nella comprensione delle mille facce del cancro della mammella e che già aveva elaborato una strategia di studio e di lotta a questa terribile malattia, basata su strette collaborazioni multidisciplinari. Il punto di forza tabariano nella comprensione del cancro mammario era il lavoro avanzatissimo sulle correlazioni tra mammografi a di alta qualità ed anatomia patologica su macro-sezione. Su queste basi e con un’attenta valutazione statistico-epidemiologica delle curve di sopravvivenza distinte per sotto-tipi, Tabar riuscì a defi nire una serie di quadri mammografi ci con valore prognostico indipendente, il cui potenziale impatto nella gestione clinica delle pazienti è ancora da sfruttare a pie-no. Da allora uno dei miei impegni professionali più sentiti è stato quello di diff ondere presso i colleghi italiani la “nuova vi-sione” tabariana. L’ho fatto attraverso lezioni e interventi a corsi e convegni, traducendo quasi tutti i suoi libri in italiano e aiu-tandolo nell’organizzazione di suoi corsi monografi ci in Italia. L’obiettivo ambizioso che mi ha sostenuto in questo impegno è stato quello di favorire la crescita di una nuova generazione di specialisti capace di guardare in modo diverso alla gestione diagnostico-terapeutica del cancro mammario.Al di là di questo principale obiettivo, è certo che tra le cose che mi legano a Laszlo Tabar ci sono la grande passione per la didattica e quella per le immagini di qualità straordinaria, siano esse le splendide sezioni istologiche tridimensionali con le loro aff ascinati correlazioni mammografi che, siano invece le opere dei grandi artisti di tutte le epoche. Nei corsi italiani di Tabar, ho sempre cercato di lasciare più spa-zio possibile alle sue lezioni inarrivabili, ritagliandomi dei mo-menti marginali dove - divertendomi - ho cercato di intrattene-re il pubblico con “letture” storico-artistiche. Devo confessare che è stato per me motivo di speciale soddisfazione riuscire ad ottenere il plauso entusiastico di un perfezionista come Tabar alle mie lezioni di storia dell’arte. Soddisfazione poi completata negli ultimi anni accompagnandolo a visite straordinarie come la visione ravvicinata sui ponteggi di restauro degli aff reschi di Correggio nella cupola del Duomo di Parma, o quella più re-cente alle cappelle e alle logge vaticane, con i dipinti di Raff a-ello e Michelangelo.

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N U O V I S T U D IN U O V I S T U D I

Ma è veramente necessaria la biopsia del linfonodo sentinella?Studio SOUND (Sentinel node vs Observation after axillary Ultra-souND)

DOTT. ORESTE GENTILINI

Divisione di Senologia, Istituto Europeo di Oncologia - Milano

Numerosi studi hanno dimostrato che l’asportazione chirurgica dei linfonodi ascellari non migliora la pro-

gnosi delle donne aff ette da carcinoma della mammella(1-3) ma la recente pubblicazione dello studio americano ACO-SOG Z0011 ha prodotto un vero e proprio terremoto all’in-terno della comunità chirurgica mondiale. Infatti questo trial randomizzato(4) ha mostrato che non vi è alcuna dif-ferenza in termini di guarigione e di sopravvivenza libera da malattia tra le pazienti sottoposte a dissezione ascellare e le pazienti sottoposte a semplice osservazione in presenza di positività del linfonodo sentinella. Inoltre, l’incidenza di recidive linfonodali ascellari è stata sorprendentemente bas-sa anche nel gruppo di donne in cui è stata omessa la disse-zione ascellare in presenza di coinvolgimento del linfonodo sentinella (circa 1% dopo oltre 6 anni di follow up mediano)(5). Gli autori hanno quindi concluso che in pazienti operate conservativamente con positività del linfonodo sentinella e che ricevano radioterapia e appropriato trattamento medi-co precauzionale, l’omissione della dissezione ascellare non comporta un peggioramento prognostico. In attesa della pubblicazione dello studio studio IBCSG 23.01 sul signifi cato clinico e biologico delle micrometa-stasi nel linfonodo sentinella, anche la nostra esperienza ha confermato un eccellente prognosi delle pazienti omettendo la dissezione ascellare in presenza di micrometastasi nel lin-fonodo sentinella(6).In realtà, i risultati dello studio americano mettono in dubbio il concetto stesso del linfonodo sentinella. Infatti la biopsia del linfonodo sentinella è nata come strumento per conoscere lo stato di salute dei linfonodi ascellari rispar-miando la dissezione in caso di negatività e procedendo con una chirurgia più ampia in caso di coinvolgimento, pensan-do che questo potesse concretizzarsi in un vantaggio pro-gnostico. Ma se anche in presenza di positività del linfono-

do sentinella non vi è alcun vantaggio nel procedere con la dissezione ascellare, allora la domanda che si pone è: “Ma è veramente necessaria la biopsia del linfonodo sentinella?”(7).Inoltre, anche il peso dell’informazione prognostica off erto dallo stato di salute dei linfonodi è oggi molto meno impor-tante che in passato visto che la scelta del trattamento pre-cauzionale dipende sempre più dalla biologia della malattia che non dalla stima del rischio di ricaduta. Per questi motivi, all’Istituto Europeo di Oncologia ab-biamo disegnato un nuovo trial randomizzato che pos-sa rappresentare il passo successivo nella ricerca clinica in quest’ambito (Studio SOUND: Sentinel node vs Observa-tion after axillary Ultra-souND). Prenderanno parte a que-sto studio, che inizierà prossimamente, circa 1500 pazienti aff ette da tumore al seno di diametro inferiore o uguale a 2 cm, candidate a quadrantectomia e con linfonodi ascellari clinicamente sani. Le pazienti verranno sottoposte prima dell’intervento ad un’ecografi a del cavo ascellare. Qualora venga riscontrato un linfonodo di aspetto dubbio verrà ese-guito un approfondimento diagnostico mediante agoaspira-to sotto guida ecografi ca del linfonodo. Se gli esami doves-sero riscontrare un interessamento linfonodale si procederà direttamente con la dissezione ascellare. Qualora invece gli esami siano negativi, la paziente potrà partecipare allo stu-dio. A questo punto le pazienti verranno randomizzate in due gruppi:

- Gruppo 1: quadrantectomia con biopsia del linfonodo sentinella ed eventuale dissezione ascellareoppure- Gruppo 2: quadrantectomia senza biopsia del linfonodo sentinella.

Nelle pazienti del Gruppo 1 verrà applicata la pratica clinica standard che prevede di eseguire l’asportazione del linfono-do sentinella contestualmente alla quadrantectomia. In caso di negatività del linfonodo sentinella non verrà eseguita la dissezione ascellare. Considerando le recenti acquisizioni, la dissezione ascellare non verrà eseguita anche in presenza

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N U O V I S T U D IN U O V I S T U D I

di minimo coinvolgimento del linfonodo sentinella (micro metastasi cioè interessamento inferiore a 2 mm). La disse-zione ascellare verrà indicata solo in presenza di macrome-tastasi del linfonodo sentinella.Nelle pazienti del Gruppo 2 verrà eseguita l’asportazione del tumore mammario senza rimuovere alcun linfonodo ascellare. Comunque, in entrambi i gruppi tutte le pazienti riceve-ranno una radioterapia sulla mammella ed un trattamento medico precauzionale sistemico, cioè una terapia che agisca non solo sul seno ma anche su tutto il corpo e quindi anche su eventuali linfonodi residui. Gli obiettivi di questo studio sono di confermare che, qua-lora un’accurata diagnostica del cavo ascellare risulti nega-tiva, anche la biopsia del linfonodo sentinella può essere evitata, che la scelta del trattamento medico postoperatorio può essere presa esclusivamente sulla base della biologia del-la neoplasia e che la qualità di vita delle pazienti può essere migliorata grazie ad una minore invasività dell’intervento chirurgico.Il disegno di questo trial è nato all’interno di un gruppo collaborativo regionale (gruppo SOLE: Senologia Onco-logica Lombarda di Eccellenza) ma diversi altri centri in tutta Italia hanno manifestato interesse e volontà di aderire a questo studio e ci auguriamo che il numero di centri par-tecipanti sia destinato ad aumentare.

1. Fisher B, Jong-Hyeon J, Anderson S et al. Twenty-fi ve-year follow-up of a randomized trial comparing radical ma-stectomy, total mastectomy, and total mastectomy followed by irradiation. N Engl J Med 2002; 347: 567–575.2. International Breast Cancer Study Group. Randomized trial comparing axillary clearance versus noaxillary clearance in older patients with breast cancer: fi rst results of International Breast Cancer Study Group Trial 10-93. J Clin Oncol 24:337-344, 20063. Veronesi U, Orecchia R, Zurrida S, Galimberti V, Luini

A, Veronesi P, Gatti G, D’Aiuto G, Cataliotti L, Paolucci R, Piccolo P, Massaioli N, Sismondi P, Rulli A, Lo Sardo F, Recalcati A, Terribile D, Acerbi A, Rotmensz N, Mai-sonneuve P. Avoiding axillary dissection in breast cancer surgery: a randomized trial to assess the role of axillary ra-diotherapy. Ann Oncol. 2005 Mar;16(3):383-8.4. Giuliano AE, Hunt KK, Ballman KV, Beitsch PD, Whi-tworth PW, Blumencranz PW, Leitch AM, Saha S, McCall LM, Morrow M. Axillary dissection vs no axillary dissec-tion in women with invasive breast cancer and sentinel node metastasis: a randomized clinical trial. JAMA. 2011 Feb 9;305(6):569-75.5. Giuliano AE, McCall L, Beitsch P, Whitworth PW, Blu-mencranz P, Leitch AM, Saha S, Hunt KK, Morrow M, Ballman K. Locoregional recurrence after sentinel lymph node dissection with or without axillary dissection in pa-tients with sentinel lymph node metastases: the American College of Surgeons Oncology Group Z0011 randomized trial. Ann Surg. 2010 Sep;252(3):426-32; discussion 432-3.6. Galimberti V, Botteri E, Chifu C, Gentilini O, Luini A, Intra M, Baratella P, Sargenti M, Zurrida S, Veronesi P, Rotmensz N, Viale G, Sonzogni A, Colleoni M, Veronesi U. Can we avoid axillary dissection in the micrometasta-tic sentinel node in breast cancer? Breast Cancer Res Treat. 2011 7. Gentilini O. Must we always hunt for a sentinel node? Breast. 2010 Feb;19(1):13. Epub 2009 Dec 14. PubMed PMID: 20005714.

DOTT. GIUSEPPE CANAVESE

S.S. Senologia Chirurgica Avanzata, IRCCS Azienda Ospedaliera

Universitaria San Martino - IST - Istituto Nazionale per la Ricerca sul

Cancro, Genova

DOTT.SSA BEATRICE DOZIN

S.C. Epidemiologia Clinica IRCCS Azienda Ospedaliera Universitaria

San Martino - IST - Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova

Fino a un paio di decenni fa, il trattamento chirurgico standard del carcinoma della mammella comportava la ma-stectomia radicale (con o senza preservazione dei muscoli piccolo e grande pettorale) e l’asportazione della catena lin-fonodale ascellare (linfoadenectomia). Quest’ultima proce-dura veniva praticata di routine con il triplice scopo di pre-venire le metastatizzazione ascellare, stadiare con maggiore accuratezza la malattia e migliorare la sopravvivenza.L’insieme del trattamento chirurgico, oltre ad essere estre-mamente demolitivo, si accompagnava a diverse complican-

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N U O V I S T U D IN U O V I S T U D I

ze fi siche invalidanti e a pesanti risvolti psicologici. Tra que-ste complicanze possiamo elencare la formazione di sieroma ascellare e la conseguente necessità di ripetuti drenaggi; il defi cit motorio della spalla e dell’arto superiore omolaterali dovuto a retrazione tendinea e compromissione nervosa; le disestesie all’ascella e all’arto;la formazione di scapola alata; la sindrome della “mammella fantasma”; l’ansia e lo stress emotivo derivanti dall’esito estetico dell’intervento, etc.. A lungo termine la problematica più frequente e tuttora più temuta, con un’incidenza del 15-20% nelle pazienti sotto-poste a dissezione ascellare, rimane il linfedema dell’arto su-periore omolaterale che consiste in una stagnazione di linfa nei tessuti interstiziali. Tale accumulo è dovuto all’interru-zione delle vie linfatiche a seguito dell’asportazione dei lin-fonodi ascellari. Questa complicanza, se non correttamente trattata con terapie riabilitative precoci, può andare incon-tro ad un processo di cronicizzazione per fenomeni di fi -brosi tessutale ed a una limitazione funzionale permanente.L’avvento della chirurgia mammaria conservativa (quadran-tectomia, tumorectomia allargata), la diff usione dello scre-ening mammografi co che consente l’identifi cazione di un tumore ad un stadio sempre più precoce, lo sviluppo del-la tecnica del linfonodo sentinella (SLN) e l’uso di terapie neoadiuvanti hanno permesso di ridurre signifi cativamente le suddette complicanze. Illustreremo i due ultimi approcci innovativi sopra elencati con i risultati ottenuti dalla nostra esperienza.

1. Biopsia del linfonodo sentinella - nascita ed applica-zione della tecnicaIl carcinoma della mammella diff onde prevalentemente at-traverso la via linfatica e le prime stazioni linfatiche interes-sate da questo processo, si trovano nel cavo ascellare. Tale diff usione metastatica delle cellule neoplastiche, dal focola-io tumorale primitivo ai linfonodi ascellari, avviene in ge-nere in modo regolare e progressivo dal I° al II° e quindi al III° livello ascellare. Lo sviluppo della tecnica del linfonodo sentinella (ricerca ed analisi intra-operatoria di esso) nasce dalle seguenti os-servazioni: 1) il linfonodo sentinella è il primo linfonodo o gruppo di linfonodi che riceve la linfa direttamente dal tumore e che quindi ha la maggiore probabilità di ospitare eventuali cellule metastatiche; 2) la probabilità di metastasi linfonodali ascellari è direttamente proporzionale alle di-mensioni del tumore primitivo, e pertanto più è piccola la lesione mammaria e minore è la probabilità di trovare linfo-nodi interessati. In particolare, nel caso di tumori di dimen-sioni al di sotto dei 2-3 cm., il cavo ascellare è frequente-mente libero da cellule neoplastiche; 3) complessivamente,

metastasi ascellari si trovano in solo 35-40% delle pazien-ti con carcinoma mammario di piccola dimensione; 4) il linfonodo sentinella ha un altissimo valore predittivo sullo stato di malattia dei linfonodi a valle, e pertanto la probabi-lità di trovare metastasi linfonodali ascellari a seguito di un linfonodo sentinella libero da malattia è quasi nulla. Nella pratica clinica, la tecnica della biopsia del linfonodo sentinella (SLNB) consiste nell’iniezione di 99mTechne-tium (sostanza con limitata carica radioattiva) nella zona subdermica nell’area del tumore; questo tracciante, attraver-so i vasi linfatici, diff onde verso il primo linfonodo ascella-re. Tale linfonodo sentinella viene identifi cato in sala ope-ratoria con una sonda radioguidata e viene esaminato dal patologo durante la medesima seduta operatorio. Se in esso non vengono trovate cellule tumorali, la paziente può evita-re la dissezione ascellare completa (ALND); se il linfonodo risulta positivo per metastasi, viene eseguita tale dissezione ascellare. Oggi la tecnica del linfonodo sentinella è stata validata da numerosi studi, come illustrato anche dalla nostra esperien-za. Abbiamo condotto uno studio clinico randomizzato su 225 pazienti con carcinoma mammario infi ltrante ad un stadio precoce di sviluppo, cioè con nodulo maligno di dia-metro fi no a 3 cm nell’ asso maggiore (T1-T2), e linfonodi ascellari clinicamente negativi (non palpabili, N0) (ref.1).Le pazienti sono state divise in modo casuale in due gruppi di trattamento: il gruppo standard A (115 pazienti) sotto-messo a SLNB seguita da ALND di principio, ed il gruppo sperimentale B (110 pazienti) sottomesso a SLNB seguita da ALND selettiva, cioè ALND eff ettuata solo in presenza di un linfonodo sentinella metastatico. Complessivamente, il tasso d’identifi cazione del SLN è stato del 98.7%. Nel gruppo A, metastasi nel SLN sono state trovate in solo 24 (21%) pazienti. Nelle 90 altri pazienti, il SLN era pri-vo di malattia. Di esse, dopo dissezione ascellare, metastasi sono state identifi cate in linfonodi ascellari non-sentinella in 8 casi (casi detti falsi-negativi, tasso del 5.8%). La nega-

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N U O V I S T U D IN U O V I S T U D I

tività del SLN ha predetto correttamente la completa nega-tività del cavo ascellare nel 91.1% dei casi, avendo quindi portato questa quota di pazienti ad una dissezione ascellare del tutto inutile. L’accuratezza complessiva della procedura è stata del 93.0%.Nel gruppo B, metastasi nel SLN sono state identifi cate in 25 (22.9%) pazienti che si sono sottoposte a immediata ALND. Il SLN è risultato invece negativo in 83 (76.9%) pazienti che hanno quindi evitato lo svuotamento ascella-re. In questo ultimo gruppo di pazienti, l’astensione della dissezione linfonodale completa non ho comportato alcun rischio addizionale a lungo termine in quanto a distanza ormai di 10 anni non si sono riscontrate recidive ascellari.

2. Terapie neo-adiuvanti e biopsia del linfonodo senti-nellaLa chemioterapia neo-adiuvante (NAC) è diventata oggi-giorno il trattamento d’eccellenza per le pazienti che pre-sentano un carcinoma mammario localmente avanzato, ma comunque operabile, con un tumore di diametro da 3 ad oltre 5 cm nell’asso maggiore (T2-T3), e linfonodi clini-camente positivi (palpabili, N>0). In tale contesto, la che-mioterapia neo-adiuvante viene utilizzata essenzialmente allo scopo di ridurre la massa tumorale e di consentire una chirurgia mammaria maggiormente conservativa. Inoltre, nel 30-40% delle pazienti trattate si osserva una riduzione del grado di malattia anche al livello dei linfonodi ascellari. Questa osservazione ci ha portato a verifi care la fattibilità, l’accuratezza e il valore predittivo negativo della procedura del linfonodo sentinella in pazienti trattate con NAC prima della chirurgia (ref.2).Lo studio ha valutato 64 pazienti. Tra esse, 54 (84.4%) era-no clinicamente N1prima della NAC; gli altri 10 pazienti erano N2 (8) o N3 (2). La stadiazione ascellare dopo NAC ha evidenziato una risposta completa (N0) in 40 (66.6%) casi, parziale in 4 (6.2%) casi e una malattia stabile in 20 (31.2%) casi. Durante la procedura SLNB, il tasso comples-

sivo d’identifi cazione del SLN è stato del 93.8%. SLNs con metastasi sono stati trovati in 37 (57.8%) pazienti. Altre 23 (35.9%) pazienti hanno presentato un SLN negativo; il cavo ascellare era a sua volta libero di malattia in 21 casi mentre 2 pazienti hanno presentato metastasi in linfonodi ascellari non-sentinella (falsi-negativi). Analogamente a quanto riportato per i tumori di piccole dimensioni, la procedura SLNB dopo NAC ha un tasso di falsi-negativi del 5.1%, un valore predittivo negativo del 91.3% ed una accuratezza del 96.7%.In conclusione, un SLN con esito negativo consente di escludere con ragionevole sicurezza l’interessamento me-tastatico dell’intera catena linfonodale ascellare. Consente quindi di evitare al 60-70% delle pazienti TI-T2-N0 ed al 30-35% delle pazienti con carcinoma localmente avanzato pretrattato con NAC una linfoadenectomia inutile e tutte le complicanze ad essa connesse, e di riservare lo svuotamento del cavo ascellare alle pazienti con linfonodo sentinella po-sitivo. Inoltre, questa opzione consente una ottimizzazione dei tempi di degenza e di recupero fi sico per le pazienti non-ché della gestione dei costi sanitari e sociali (ref.3).

Referenze

1. Canavese G, Catturich A, Vecchio C et al. Sentinel node biopsy compared with complete axillary dissection for sta-ging early breast cancer with clinically negative lymph no-des: results of a randomized trial. Ann. Oncol. 2009; 20: 1001-10072. Canavese G, Dozin B, Vecchio C et al. Accuracy of senti-nel lymph node biopsy after neo-adjuvant chemotherapy in patients with locally advanced breast cancer and clinically positive axillary nodes. Eur. J. Surg. Oncol. 2011; 37: 688-6943. Canavese G, Bruzzi P, Catturich A et al. Intra-operative evaluation of the sentinel lymph node for T1-N0 breast-cancer patients: Always or never? A risk/benefi t and cost/benefi t analysis. Eur. J. Surg. Oncol. 2010; 36: 737-744

AbbreviazioniSLN linfonodo sentinella (Sentinel Lymph Node)SLNB biopsia del linfonodo sentinella (Sentinel Lymph Node Biopsy) ALND dissezione linfonodale ascellare completa o lymfoa-denectomia (Axillary Lymph Node Dissection)NAC chemioterapia neoadiuvante (Neo-Adjuvant Che-motherapy)

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S P I E G H I A M O L A M E D I C I N AS P I E G H I A M O L A M E D I C I N A

Che cosa è la chirurgia oncoplastica

DOTT.SSA LEA REGOLO

Chir Gen, Breast Unit, Fondazione S. Maugeri Pavia

Il tumore della mammella si diff erenzia dalle altre patologie oncologiche poiché la mammella rappre-

senta per la donna la parte piu’signifi cativa dell’imma-gine corporea. Non è un organo vitale come il cuore il fegato, i polmoni ma ogni donna si sente tale proprio perchè la mammella la rende femminile, le consente di nutrire un fi glio e tutto ciò la rende diversa dall’uomo. A diff erenza di altre parti del corpo il suo ammalarsi non solo è pericoloso per la vita ma coinvolge la sfera aff ettiva in modo diretto ed intimo.La ricerca scientifi ca fi no a non molti anni fa era con-centrata a capire la biologia di questo tumore di conse-guenza migliorarne il trattamento con l’intento di mo-difi care parametri come la sopravvivenza, l’intervallo libero da malattia, trascurando però l’altro aspetto, la “cura” della femminilità.La possibilità di conservare la mammella colpita da un tumore è stato sicuramente un traguardo storico ma questo ha generato molto spesso esiti chirurgici estetici inaccettabili rendendo quasi preferibile la vecchia ma-stectomia al trattamento conservativo.Il problema di come rimodellare o ripristinare la per-dita totale o parziale del tessuto mammario asportato con il tumore non è stato recepito subito e spesso gli esiti chirurgici sono stati paragonabili a mutilazioni corporee, penalizzando doppiamente la donna aff etta da tumore.Per molto tempo il trattamento del tumore della mam-mella e la crescente attenzione alla chirurgia estetica hanno viaggiato su binari paralleli.Fu proprio un chirurgo plastico, John Bostwick III che, sensibilizzato da queste problematiche e convinto che la chirurgia ricostruttiva della mammella dovesse diventare parte integrante del trattamento chirurgico

del tumore mammario, per primo iniziò a parlare di chirurgia oncoplastica.Con Audretsch e dopo di lui molti altri, la ricostru-zione della mammella dopo mastectomia o il rimodel-lamento della mammella dopo asportazione parziale hanno ottenuto un riconoscimento internazionale.Le tecniche chirurgiche utilizzate nella chirurgia este-tica sono state adattate alle esigenze oncologiche per un corretto trattamento del tumore della mammella con attenzione particolare al risultato estetico.E’ proprio questo il concetto di chirurgia oncoplastica: la cura del tumore della mammella nel suo insito dua-lismo di malattia oncologica e malattia della donna.

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S P I E G H I A M O L A M E D I C I N AS P I E G H I A M O L A M E D I C I N A

Il cammino verso questo nuovo concetto di chirurgia oncologica per la donna è stato relativamente breve, riconosce alcune tappe fondamentali:la quadrantectomia introdotta da Veronesi a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, da qui il concetto di mirror-quadrantectomy, che risponde all’esigenza di migliorare la simmetria tra le due mammelle; l’aff er-marsi di una sensibilità estetica, che ha avvicinato la chirurgia oncologica a quella estetica, cresciuta insieme all’esigenza di ricostruzione mammaria nei casi in cui la chirurgia conservativa non era applicabile.Tutto ciò ha sicuramente complicato enormemente l’approccio terapeutico al tumore mammario, esigen-do inizialmente la stretta collaborazione tra il chirurgo plastico ed il chirurgo senologo.Il passo successivo è stato, infatti, riconoscere che la gestione della patologia mammaria non era più affi data alle mani di un singolo chirurgo ma era necessario un approccio multidisciplinare per programmare la strate-gia di trattamento coinvolgendo direttamente la donna nella decisione del programma terapeutico.Sono questi gli aspetti assolutamente innovativi dove le parole chiave sono multidisciplinarietà e partecipazio-ne attiva della donna nelle decisioni tenendo conto del suo ruolo sociale e delle le sue aspettativeSi è rivelato necessario uno scambio di conoscenze tra le diverse discipline: le necessità oncologiche del chi-rurgo senologo,( le dimensioni del tumore, la distanza del nodulo dalla cute dal piano muscolare, il concetto di margini coinvolti o prossimi, la componente intra-duttale, l’invasione vascolare, il valore prognostico dei linfonodi, la biologia del tumore, la possibile conserva-zione del capezzolo ed altri ancora), si sono arricchite di componenti innovative di ordine estetico, col comu-ne scopo di salvaguardare l’immagine corporea della donna senza sottovalutare la sicurezza oncologica.Il chirurgo plastico ha insegnato al senologo la necessi-

ta di salvaguardare il solco sottomammario durante la mastectomia per ottenere una migliore ricostruzione, l’importanza della ptosi mammaria e quindi la necessi-ta di risparmiare o no la cute ove possibile.In particolare la posizione del nodulo ed il rapporto tra volume mammario edle dimensioni del nodulo sono i parametri fondamentali per la scelta delle diverse tec-niche di oncoplastica. Eff ettuare resezioni ragionate che rispondano alla necessità di conservare la vascola-rizzazione del tessuto, in vista del mantenimento della vitalità del peduncolo non dimenticando però mai le necessità oncologiche.La chirurgia senologica diventa quindi una chirurgia oncoplastica formata da specialisti esperti e dedicati per off rire alla paziente tutte le possibilità ricostruttive:

- Una chirurgia appropriata per curare il tumore- Rimodellamento della mammella operata per cor-reggere i difetti dovuti alla escissione del tumore- Ricostruzione immediata in caso di asportazione totale della mammella- Correzione della asimmetria con la mammella con-trolaterale

Questo tipo di approccio chirurgico, comporta che spesso la donna necessita di ricevere più di un incontro con il team oncoplastico per assimilare e capire bene le diverse tappe di un percorso ricostruttivo.Il team oncoplastico deve:

- Assicurarsi di avvicinarsi il più possibile a quelle che sono le aspettative ricostruttive della donna- La paziente deve essere informata delle possibili se-quele che la chirurgia oncoplastica comporta- La paziente deve essere informata che la completa ricostruzione mammaria compresa la ricostruzione del complesso areola capezzolo richiede separate pro-cedure chirurgiche.

La paziente deve essere informata che un eventuale rifi uto delle procedure ricostruttive non comportano

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S P I E G H I A M O L A M E D I C I N AS P I E G H I A M O L A M E D I C I N A

in assoluto un impedimento ad intraprendere questo cammino successivamente qualora cambiasse idea.E’, inoltre, importante considerare che iniziare un per-corso di cura del tumore mammario secondo un ap-proccio oncoplastico puo’ avere un impatto anche sui componenti della famiglia che possono richiedere ed avere il bisogno di essere altrettanto adeguatamenteinformati sul programma terapeutico da percorrere.In questo contesto si evidenzia come oltre alle com-petenze chirurgiche sicuramente stravolte rispetto al passato, emerge fortemente la necessita di un appoggio psicologico competente da off rire alla paziente ed ai familiari che li accompagni per tutta la durata del per-corso che stanno per iniziare.Ritorniamo ancora una volta al concetto di approccio interdisciplinare: la decisione sul trattamento non è più di uno solo ma diversi specialisti devono incontrarsi e ragionare insieme con la paziente sulla strada da per-correre e, tale rapporto che si stabilisce all’inizio del trattamento, va mantenuto e rivisto durante tutto il percorso.Sempre nell’ottica di una fi losofi a oncoplastica la ne-cessità di multidisciplinarietà coinvolge tutte le disci-pline aff erenti al trattamento del tumore della mam-mella.La necessità di una radioterapia post-operatoria e la conseguente fi brosi dei tessuti irradiati possono osta-colare il lavoro del chirurgo oncoplastico,pertanto la collaborazione tra gli esperti, la possibilità di discutere e concordare la tempistica dei diversi trattamenti chi-rurgici ricostruttivi e la radioterapia, sono momenti fondamentali che migliorano il risultato estetico non a scapito del trattamento oncologico.Allo stesso modo la necessità di una terapia medica

preoperatoria o postoperatoria ragionata insieme con l’oncologo medico, impongono una multidisciplinarie-tà. La sincronia tra i trattamenti chirurgici e medici proposti dai diversi esperti nel programmare il percor-so terapeutico diventa fondamentale al fi ne di non ri-tardare i trattamenti suggeriti.La comunicazione tra le diff erenti discipline aff erenti alla senologia dove la chirurgia oncoplastica si integra ed e si ripropone nelle diverse tappe del trattamento medico richiedono una organizzazione ben strutturata che trova la sua nuova forma nel nascente concetto di BREAST UNIT CERTIFICATA. Il”cuore” culturale della Breast Unit e’ il Multi Disci-plinary Meeting (MDM), l’incontro settimanale tra i diversi esperti dedicati alla senologia che da alle pa-zienti la garanzia di essere curate in modo condiviso, collegiale e con il massimo di interazione fra le diverse competenze.La chirurgia oncoplastica bene si integra proprio in questo moderno ed innovativo concetto di Breast Unit, poiché il successo di un trattamento ricostruttivo non può prescindere dalla pianifi cazione insieme con le al-tre discipline che si preoccupano del corretto tratta-mento del tumore della mammella.La fi gura del chirurgo oncoplastico dedicato alla se-nologia richiede però una formazione, un periodo di training per ottenere e coagulare in una unica fi gura le esperienze di chirurgo senologo oncologo e di chirurgo plastico.Questo aspetto formativo è indispensabile e la parteci-pazione a corsi, master periodi di apprendimento de-vono essere ala base della formazione di ogni chirurgo dedicato alla cura del tumore della mammella.

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56 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 2012 - N. 64

Q U I C U R A N O C O S ÌQ U I C U R A N O C O S Ì

L’Unità Operativa Multidisciplinare di Patologia Mammaria (U.O.M.P.M.) è

dedicata alla prevenzione, alla diagnosi e alla cura della patologia mammaria, nonché alla promozione e all’educazione della salute per la donna e la sua famiglia. L’U.O.M.P.M. si confi gura come “Centro Unico”, nel quale la donna a cui viene fatta diagnosi di patologia mammaria può essere seguita lungo l’intera sua esperienza da un unico team multidisciplinare di professioni-sti che si trova in un’unica struttura. Le periodiche discussioni collegiali per la de-fi nizione di opzioni terapeutiche il più pos-sibile personalizzate, i momenti chiave della comunicazione della diagnosi e della scelta di un tratta-mento condiviso con la paziente al fi ne di creare un’allean-za terapeutica che sia davvero tale, fanno dell’U.O.M.P.M. di Cremona un centro di riferimento per la cura del carci-noma mammario che non si limita al solo ambito regionale lombardo.Grazie alle sinergie attivate con le università di Torino e di Brescia, nonché alle collaborazioni scientifi che con centri di ricerca a livello nazionale e internazionale (Oxford, Mel-bourne e Brisbane), l’U.O.M.P.M. dell’Azienda Istituti Ospitalieri di Cremona è in grado di off rire alla comunità servizi sempre all’avanguardia.

1. Reparto “Breast Unit” destinato all’attività terapeu-tica chirurgica e/o medico-oncologica della patologia mammaria, suddivisa in:

A. Area di ricovero in regime di Day Hospital o am-bulatoriale (Sezione Chirurgica Oncologica e Sezione Oncologica Medica), per Day Hospital chirurgici, on-cologico-medici, chemioterapia. L’attività di tipo specia-listico comprende: attività ambulatoriale per la fase dia-gnostica; programmazione e preparazione all’intervento

Unità Operativa Multidisciplinare di Patologia MammariaA.O. Istituti Ospitalieri di Cremona

chirurgico; intervento chirurgico, per lo più in regime di Day Surgery; assistenza durante la degenza ospedaliera; dimissione; follow-up chirurgico ambulatoriale; pianifi -cazione follow-up oncologico.B) Area di ricovero in regime ordinario (8 posti letto dedicati) per la degenza ordinaria di tipo chirurgico on-cologico, chirurgico ricostruttivo e oncologico medico.

Al servizio di Accoglienza Breast Unit spetta il compito di eff ettuare una prima analisi dei bisogni della donna, in modo da individuare i percorsi di risposta di volta in volta più appropriati, con un’attenzione particolare agli aspetti di tipo psicosociale.2. Servizio di Senologia, per la parte destinata all’atti-vità preventiva e diagnostica clinico-strumentale della patologia mammaria, con particolare attenzione alla diagnosi precoce e alla promozione della salute. Le pre-stazioni principali erogate sono: visite cliniche senologi-che; organizzazione esami radiologici di 1° livello; esami citologici (agoaspirato ecoguidato) e istologici di 2° livello; raccolta dati epidemiologici.Il Servizio si avvale di un Ambulatorio di Promozione della Salute, in cui si programmano visite specialistiche per test genetici/valutazione del rischio mediante Gail Mo-

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Q U I C U R A N O C O S ÌQ U I C U R A N O C O S Ì

del e Cuzick Model per le donne con familiarità di car-cinoma mammario, e si approfondiscono tematiche quali l’educazione sanitaria a stili di vita virtuosi.Il Servizio si interfaccia con l’Azienda Sanitaria Locale di Cremona per l’esecuzione dello screening mammografi co a scadenza biennale dedicato alle donne con età compresa tra i 50 ed i 69 anni.Recentemente è stato attivato il Laboratorio di Oncolo-gia Molecolare a indirizzo Senologico (L.O.M.S.), un servizio laboratoristico dedicato alla ricerca biologico-molecolare e clinico-traslazionale, con l’obiettivo di indi-viduare specifi ci bersagli molecolari all’interno delle cellule tumorali e ottenere, attraverso trattamenti mirati (target therapy), il massimo del benefi cio con il minore grado di tossicità possibile.

UNITA’ MULTIDISCIPLINARE DI

PATOLOGIA MAMMARIA

Primario e Coordinatore Responsabile: Dott. Alberto BottiniE-mail: [email protected]

Figure professionali (a tempo pieno)• Chirurghi 3• Chirurghi plastici 1• Oncologi 3• Biologi 2• Farmacisti 1• Infermieri professionali 16• Data manager 1

Figure professionali (consulenti)• Radiologi 4, per 25 ore settinamali• Anatomo patologi 2, per 28 ore settimanali• Radioterapisti 3, per 10 ore settimanali• Tecnici di radiologia 3, per 25 ore settimanali• Fisioterapisti 1, per 4 ore settimanali

ATTIVITÀ DI CHIRURGIA SENOLOGICA

Ore dedicate alla settimana 38Numero totale di nuovi casi/anno • Benigni 100• In situ 50• Invasivi 300

Giorni di attesa in media per una lesione maligna dalla indicazione all’intervento chirurgico 10

Giorni di degenza media 4

Vi sono in Ospedale altri reparti chirurgici che trattano lesioni mammarie NO

Il Vostro Servizio usufruisce di sessioni di sala operatoria e di letti di degenza dedicati alla patologia mammaria? SI

Letti di degenza dedicati SI, 8

Disponibilità di ricostruzione chirurgica immediata SI

Il Servizio utilizza la tecnica del linfonodo sentinella? SI

Praticate la chemioterapia direttamente presso il Vostro Servizio? SI

Esistono servizi di riferimento NO

Se occorre terapia adiuvante o complementare

ATTIVITÀ DI ONCOLOGIA MEDICA

Numero totale di nuovi casi/anno 300

Trattamenti di chemioterapia neo adiuvante 150

Trattamenti di chemioterapia adiuvante 200

Trattamenti di chemioterapia in ripresa di malattia 50

Negli ultimi tre anni in quali in studi clinici avete inserito pazienti di carcinoma mammario?

Vengono effettuati incontri multidisciplinari (con presenza almeno del radiologo, patologo e chirurgo) per ladiscussione dei casi clinici?

Tali terapie vengono vengono praticate direttamente presso il nostro servizio

si, negli studi:GIM4 (LEAD), GIM5 (CYPLEC), LAP107692/LET-LOB, LAP106988/CHER-LOB, ShortHER, L00070 IN 305 B0

Si, con periodicità bisettimanale, vengono discussi tutti i casi sia nella fase pre che post chirurgica e ogni qualvolta emergano dati che comportano una scelta di trattamento per la paziente.

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58 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 2012 - N. 64

Q U I C U R A N O C O S ÌQ U I C U R A N O C O S Ì

ATTIVITÀ DI FOLLOW-UP

Il follow up dei pazienti si svolge:

Se più servizi sono coinvolti nel follow-up, la paziente si rivolge ad uno solo di questi per le visite e questo le gestisce in collegamento tra i Servizi interessati (cioè il follow up dei pazienti è svolto in modo coordinato tra i Servizi) SI

Il follow-up è modulato in base a:

Esiste un servizio per la riabilitazionefunzionale di riferimento per le pazienti trattate?

Disponibilità di trattamenti per il linfedema (pressoterapia, linfodrenaggio ecc.) e consulenza psicologica? SI

SERVIZI

RADIOLOGIA DIAGNOSTICA

Primario: Dott. Lucio OlivettiRiferimento: Dott.ssa Maria Bodini

presso gli ambulatori dell’Unità Multidisciplinare dell’Unità Operativa di Radioterapia come visite aggiunte

stadio di malattia e rischio di ricorrenza con tutti gli esami consigliati di routine

si, ambulatorio di FKT mammario a cui vengono inviate le pazienti con complicanze.

Telefono: 0372.405664E-mail: [email protected]

ATTIVITÀ DI SENOLOGIA

Ore dedicate alla settimana 30

Il servizio è sede di programma di screening o esiste un programma collegato

Mammografi e eseguite nell’ultimo anno 10.000

Apparecchiature in dotazione

Controlli di qualità periodici SI

Vengono eseguite radiografi e del pezzooperatorio in tutti i reperimenti preoperatori(lesioni non palpabili) SI

ANATOMIA PATOLOGICA

Primario: Dott. Roberto GiardiniRiferimento: Dott.ssa Giuseppina FerreroTelefono: 0372.405477E-mail: [email protected]

ATTIVITÀ DI SENOLOGIA

Ore dedicate alla settimana 30

Numero di esami istologici mammari refertati nell’ultimo anno: 450

Numero di esami citologici mammarirefertati nell’ultimo anno: 28

si, esteso a donne residenti della fascia d’età 45-69 anni

- GE Senographe DS- Esaote MyLab 25X vision con sonda dedicata da MHz 7,5 - 13,0

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N. 64 - 2012 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 59

Q U I C U R A N O C O S ÌQ U I C U R A N O C O S Ì

Numero di esami microistologici refertati nell’ultimo anno: 310

Classifi cazione istologica codifi cata e archivio informatizzato SI

Valutazione grading SI

Valutazione stato recettoriale su tutti i casi SI

Indicatori di proliferazione SI

I pezzi operatori sono orientati (fi li, reperi metallici ecc.)? SI

Effettuate la marcatura dei limiti di sezione chirurgica? SI

Disponete della radiografi a di controllo del pezzo operatorio al momento dell’esame? SI

Viene effettuato l’esame estemporaneo sulle microcalcifi cazioni? NO

Viene effettuato l’esame estemporaneo sui tumori inferiori ad 1 centimetro? NO

Viene effettuato l’esame estemporaneo sui margini di sezione chirurgica in caso di intervento conservativo? SI

RADIOTERAPIA

Primario: Dott.ssa Ines CafaroRiferimento: Dott. Andrea Peveri Telefono: 0372.405485E-mail: [email protected]

ATTIVITÀ DI SENOLOGIA

Tempo di attesa medio (n. giorni) 15

Numero totale di nuovi casi/anno 1.000

N. acceleratori lineari in funzione 3

Procedure standardizzate di controllo di qualità in atto SI

MEDICINA NUCLEARE

Primario: Dott.ssa Ines CafaroRiferimento: Dott. Gianfranco LimaTelefono: 0372.405560E-mail: [email protected]

ATTIVITÀ DI SENOLOGIA

Ore dedicate alla settimana 10

Numero totale di linfonodi sentinella eseguiti/anno 250

Da quanti anni viene eseguito di routine la tecnica del linfonodo sentinella? 14

Numero totale di ROLL eseguite/anno 60

Numero totale di scintigrafi e ossee per patologia oncologia mammaria eseguite/anno 300

Il Servizio dispone di PET e TAC/PET NO

Si eseguono trattamenti radiometabolici loco-regionali o sistemici? NO

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60 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 2012 - N. 64

G I S M aG I S M a

News dal Convegno 2011(a cura del Coordinamento Gisma)

Dal 12 al 13 maggio 2011 si è svolto a Palermo l’an-nuale convegno GISMa (Gruppo Italiano Scree-

ning Mammografi co) che quest’anno, oltre alla rassegna sui risultati dei programmi di screening italiani, ha ap-profondito i temi relativi alla valutazione degli esiti este-tici nel trattamento conservativo, la risonanza magneti-ca e le sue implicazioni organizzative, e il peso di fattori socio-culturali nell’accesso ai programmi di screening. In particolare, è stata analizzata la situazione dei pro-grammi di screening nel sud Italia cercando di valutarne i risultati fi nora raggiunti e le criticità ancora irrisolte. Il Convegno è stato preceduto da un workshop in col-laborazione con l’AIRTUM (Associazione Italiana Re-gistri Tumori) e l’ONS (Osservatorio Nazionale Scre-ening) sui risultati del progetto IMPATTO e su come aumentare le sinergie tra servizi di screening e Registri Tumori. Inoltre, nell’ottica di una maggiore consapevo-lezza su queste tematiche è stata organizzata una giorna-ta di formazione/informazione sullo screening mammo-grafi co rivolta alle associazioni di cittadini e pazienti in collaborazione con PartecipaSalute. Al termine del Convegno si è svolta una Consensus Conference, in collaborazione con la SIRM (Società Italiana di Radiologia Medica) per il confronto, nella re-fertazione mammografi ca, tra la classifi cazione europea e il sistema BI-RADS che comincia a essere largamente diff uso anche in Italia. Di seguito una breve sintesi di alcuni degli argomenti discussi.

L’attività di screening mammografi co in Italia nel 2009. (Survey annuale GISMa/SQTM)Valutando i principali indicatori raccolti e confrontan-doli con gli standard di riferimento italiani ed europei assistiamo, per il 2009, ad un buon andamento com-plessivo dell’attività italiana di screening mammografi -

co. Se si osservano i risultati, per gli esami successivi, dei principali indicatori raccolti per singola regione (vedi tabella), al di là del buon andamento complessivo, si possono evidenziare alcune criticità. In generale, vi è un forte trend decrescente Nord-Sud. Questo andamento è molto più marcato per la copertura e la partecipazione. In alcune regioni italiane, il tasso di richiami per ap-profondimenti registra valori al di sopra dello standard accettabile. Altri indicatori che valutano in modo più diretto la sen-sibilità del programma come il tasso di identifi cazione dei tumori invasivi e quello dei tumori con diametro <10mm, si dimostrano invece positivi anche quando vengono analizzati per macroaree territoriali. Comples-sivamente occorre ricordare che i dati presentati sono dati aggregati e quindi la loro interpretazione implica

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G I S M aG I S M a

cautela considerando la grande variabilità che si registra per lo stesso parametro all’interno di una stessa regione. Anche per quel che riguarda i dati raccolti sulla qualità del trattamento chirurgico l’andamento si può conside-rare soddisfacente. Nella tabella vengono riportati due tra i molti indicatori che vengono annualmente valutati dalla survey SQTM. La proporzione dei casi con dia-gnosi preoperatoria è aumentata nettamente negli anni e presenta un buon andamento nel 2009 così come la percentuale di casi invasivi ≤10mm per i quali non è sta-to eseguito l’esame al congelatore. Sicuramente un mag-gior coinvolgimento delle regioni potrebbe permettere un ampliamento della casistica sulla qualità del tratta-mento dei tumori screen-detected in modo da rendere il confronto più esaustivo ed effi cace. Va comunque sotto-lineato il grande sforzo e l’impegno che gli operatori di screening mettono in campo, ormai da più di vent’anni, su molti livelli per un’analisi sempre più ricca e consi-stente della loro attività.

Valutazione degli esiti estetici nel trattamento conservativoIl trattamento oncoplastico, cioè la combinazione di tec-niche chirurgiche oncologiche con tecniche derivate dalla chirurgia estetica, permette di risolvere problemi relativi alle dimensioni delle lesioni eccessive in rapporto alle dimensio-ni della mammella o alla diffi coltà di garantire buoni esiti per localizzazioni in sedi diffi cili. Durante il convegno si sono gettate le basi per impostare un documento contenen-te raccomandazioni relative alle indicazioni del trattamento oncoplastico conservativo.E’ stato inoltre aff rontato un altro problema molto impor-tante in questo ambito: la valutazione degli esiti estetici. Infatti, se l’indicatore che misura l’appropriatezza del tratta-mento conservativo è risultato sempre soddisfacente in tutti i programmi, non vi è attualmente nessuna possibilità di monitoraggio relativo alle asimmetrie di volume, alle distor-sioni cicatriziali o del complesso areola-capezzolo.

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G I S M aG I S M a

Le diff erenze sociali nello screening e nella dia-gnosi del ca mammarioTra i principali fattori che limitano la qualità dell’assistenza a livello di popolazione vi è la presenza di importanti di-suguaglianze sociali e territoriali nella salute e nell’accesso ai servizi assistenziali, tra cui i programmi di prevenzione secondaria dei tumori. La sessione si è aperta con un ampio e dettagliato inqua-dramento teorico sul tema, evidenziando le caratteristiche costitutive delle disuguaglianze sociali di salute, i meccani-smi di generazione delle stesse e le politiche di contrasto e i recenti sviluppi relativi al modello dell’equity audit nei per-corsi assistenziali. Successivamente, sono stati presentati i risultati preliminari del progetto P.I.O “Interventi per ridurre le disuguaglianze nell’accesso allo screening, incrementare la partecipazione nella popolazione generale e in sottogruppi specifi ci” per la parte relativa alla fi delizzazione allo screening mammo-grafi co. L’aggiornamento della letteratura scientifi ca inter-nazionale sul tema ha costituito il background teorico su cui si sono sviluppate le linee principali di questo progetto, che ha coinvolto i programmi di Torino, Bologna, Firen-ze, Roma, Perugia e di 5 ASL del Veneto. I risultati dello studio mostrano che hanno maggiori probabilità di fi deliz-zazione le donne più giovani, le donne coniugate, e quelle con uno stato socio-economico più elevato. I dati ottenuti saranno utili per migliorare i meccanismi di accesso della popolazione invitata attraverso l’identifi cazione di strate-gie di intervento specifi che e mirate.La sessione è terminata con l’approfondimento del tema dell’equità nel percorso assistenziale del tumore della mammella, presentando i risultati di una sperimentazione torinese che hanno dimostrato l’utilità delle fonti informa-tive correnti nel monitoraggio dell’equità nei percorsi as-sistenziali per l’identifi cazione di aree critiche del percorso su cui intervenire, e l’impatto variabile che i determinanti socioeconomici possono avere in funzione del loro signi-

fi cato e della fase del percorso (diagnosi o trattamento).

Consensus Conference GISMa-SIRM sulle mo-dalità di classifi cazione dei reperti mammogra-fi ci (classifi cazione europea vs BI-RADS)E’ stato presentato il documento di discussione relativo all’uso di un sistema codifi cato di refertazione in mammo-grafi a (e altre indagini di diagnostica clinico-strumentale) inclusivo dei commenti raccolti nei mesi scorsi dai soci GISMa e Sezione Senologia SIRM ai quali il documento era stato reso disponibile. Dalla discussione è emerso un so-stanziale accordo sull’opportunità di diff ondere tra i senolo-gi un caveat rispetto all’uso dalla classifi cazione BI-RADS, apparentemente adottata da molti ma chiaramente male usata, non in ottemperanza alla raccomandazioni ACR. Il problema verte essenzialmente sul codice 3: R3 di BI-RADS è associato ad un VPP <2%, e per il bassissimo rischio di neoplasia non comporta alcun approfondimento ma solo il controllo di principio nel tempo. Tale pratica di early recall di principio è poco impiegata in Europa dove il codice 3 confi gura un sospetto modesto di neoplasia (VPP tra 5 a 10%), e comporta approfondimento spesso invasivo (FNAC o NCB). Tale pratica è rimasta invariata ma per questi casi è stato adottato il codice BI-RADS R3, che, nell’accezione descritta dalla ACR, ha ben altro signifi cato, mentre per i casi da approfondire è necessario usare per lo meno il codice R4a. La discussione si è conclusa con la raccomandazione di un comunicato uffi ciale congiunto GISMa-SIRM che preci-si i criteri per un corretto uso di BI-RADS, per chi la vuole usare, e suggerisca l’uso della classifi cazione Europea (Linee guida CE) che opera anch’essa secondo 5 punti, ma dove il codice 3 (M3 per la mammografi a) implica [in analogia alla citologia (C1-5) e alla micro biopsia (B1-5)] l’approfondi-mento eventualmente anche invasivo.Le relazioni presentate al convegno possono essere scaricate dal sito: http://www.gisma.it (sezione Atti dei convegni).Il prossimo convegno si terrà a Bologna dal 12 al 14 settembre 2012.

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L’esame del linfonodo sentinella: dall’analisi morfologica a quella molecolare.

B. FERNANDES^1, B. FIAMENGO^1, C. NAVLIGU1, P. SPAGGIARI1,

S. MANARA1, M. COLLETTO1, F. MAGANI1, C.A. GARCIA-ETIENNE2,

A. TESTORI2, C. TINTERRI2, M.RONCALLI1, L. DI TOMMASO1.

^ Questi autori hanno contribuito in maniera analoga alla stesura del

manoscritto.

1U.O. Anatomia Patologica e 2Breast Unit, IRCCS Istituto Clinico

Humanitas

La valutazione morfologica del linfonodo sentinellaL’esame del linfonodo sentinella (LS) costituisce, at-

tualmente, uno standard nel percorso diagnostico e tera-peutico delle pazienti aff ette da carcinoma mammario. Dall’introduzione di questa metodica (Giuliano AE et al, Ann Surg 1994; Veronesi U et al, Lancet 1997) diverse mo-dalità anatomo-patologiche sono state prese in considera-zione per esaminare il LS, sostanzialmente tutte riconduci-bili a due distinte tipologie di esame.Alla prima appartengono le metodiche che utilizzano tes-suto incluso in paraffi na e questo tipo di materiale può te-oricamente garantire i migliori risultati in termini di sen-sibilità. Il numero di sezioni in ematossilina/eosina (E/E) allestite infatti può variare da poche unità (sensibilità bas-sa) sino ad un esame in toto (una sensibilità assoluta). Va tuttavia sottolineato che questa seconda evenienza risulta solo teorica: infatti, considerando che ogni E/E misura cir-ca 0,005 mm di spessore, un LS di 5 mm potrebbe essere esaminato in toto solo allestendo 1000 sezioni in E/E. Il materiale incluso in paraffi na garantisce anche una ottima specifi cità: le colorazioni immunoistochimiche per la cito-cheratina consentono infatti di marcare con sicurezza anche singole cellule tumorali isolate (ITC). Il principale limite delle metodiche che insistono sull’impiego di tessuto inclu-so in paraffi na risiede nel fatto che, a fronte di una positività del LS, attesa in circa il 30-40% dei casi, si rende necessario un secondo intervento, in un tempo successivo, per comple-

tare la dissezione ascellare.L’utilizzo di tessuto congelato rappresenta il cardine della se-conda modalità di esame del LS. Teoricamente anche questo metodo, al pari dell’esame del LS su tessuto paraffi nato, può garantire l’esame di un numero elevato di sezioni in E/E e l’esecuzione di colorazioni immunoistochimiche. Tutta-via, nella pratica quotidiana, si preferisce favorire un altro aspetto, peculiare di questa metodica: la rapidità dell’esame. Ad esempio, in un protocollo come quello in uso presso la nostra Istituzione, un LS di 5 mm può essere esaminato in circa 45-50 minuti con l’allestimento di una sezione ogni 0,1 mm di spessore. Il principale vantaggio è la possibilità di fornire al chirurgo una risposta nel tempo intra-operatorio, evitando alla paziente un secondo intervento. Proprio per questo motivo, ove possibile e molto spesso sotto la spinta dei colleghi Senologi, le Anatomie Patologiche hanno adot-tato questa seconda modalità.

Limiti dell’approccio morfologicoVa osservato che entrambi gli approcci -sia quello su tessuto paraffi nato che quello su tessuto congelato- sono gravati da due grossi limiti. Come già segnalato nella precedente se-zione, il primo di questi ostacoli sta nel fatto che la quantità di tessuto linfonodale eff ettivamente esaminata è necessa-riamente esigua (le 1000 sezioni teoricamente ottenibili da un LS di 5 mm richiederebbero il lavoro di una giornata di 10 tecnici per essere allestite e quello di 10 medici per essere lette). Anche nel caso di un esame “intensivo” del LS (una sezione in E/E ogni 0,05 mm) l’accuratezza diagnostica del-la metodica sarà sempre limitata dalla ridotta percentuale di tessuto esaminato (in un LS di 5 mm di spessore circa 1%; in un frammento di 2 mm di spessore circa 2,5%). L’abi-lità e l’esperienza degli operatori coinvolti nella procedura rappresentano il secondo limite dell’approccio morfologi-co all’analisi del LS. In primo luogo, risulta fondamentale

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l’esperienza del tecnico di istopatologia nell’includere, ta-gliare e raccogliere in maniera appropriata sezioni del LS. In secondo luogo il limite della morfologia potrebbe anche essere riconducibile alla capacità del patologo di identifi care e riconoscere il deposito tumorale all’interno del LS. Pare opportuno rimarcare che, nell’esame al congelatore, le pro-blematiche legate all’esperienza degli operatori si amplifi ca-no: il tessuto non disidratato compromette la qualità delle sezioni allestite (che risultano frammentate per la presenza di cristalli di ghiaccio e di maggiore spessore) rendendo più diffi cile l’identifi cazione di piccoli focolai metastatici.

La valutazione molecolare del linfonodo sentinellaDi recente è stata proposta, validata ed introdotta una nuo-va metodica di analisi del LS (Tsujimoto M. et al. Clin. Cancer Res. 2007; Castellano et al Ann Surg 2011). Questa tecnica denominata OSNA (One Step Nucleic Acid Am-plifi cation) si focalizza sulla ricerca di una “traccia specifi -ca” del tumore piuttosto che sull’identifi cazione del tumore stesso (aspetto essenziale delle metodiche classiche). In altri termini, piuttosto che cercare di individuare il volto dell’in-dagato (le cellule tumorali) si preferisce cercarne l’impronta sotto forma di una molecola espressa in maniera specifi ca solo dal tumore stesso, individuata dopo accurati studi nella citocheratina 19 (CK19). Una volta identifi cata la traccia, quest’ultima viene quantifi cata e, in base alla quantità di espressione del RNA messaggero (mRNA) del marcatore CK19, il LS viene distinto in micrometastasi o (franche) metastasi. A questa capacità di rendere “oggettiva” la pre-senza di cellule neoplastiche, la metodica OSNA unisce un ulteriore aspetto di obiettività nell’esame del LS. Quest’ul-timo viene infatti frammentato e successivamente omo-geneizzato in toto, garantendo una valutazione dell’intero tessuto linfonodale, piuttosto che una minima percentuale dello stesso. L’approccio molecolare proposto da OSNA si propone dunque come più oggettivo, standardizzato, sensi-bile ed accurato di quello morfologico sin qui in uso.

Dalla valutazione morfologica a quella molecolare: l’esperienza in HumanitasLa metodica OSNA è entrata in uso routinario presso il Se-vizio di Anatomia Patologica dell’Istituto Clinico Humani-tas, al termine di un training sul personale medico e tecnico di un mese, il 01-10-2011. Dopo quattro mesi di utilizzo, il 31-01-2012, i dati raccolti sono stati confrontati con quelli prodotti dalla stessa equipe chirurgica (recentemente certi-fi cata in sede europea), nel periodo compreso fra il 01-01-

2009 e il 07-10-2009 utilizzando l’esame al congelatore del LS. Tali dati sono stati confrontati anche con quelli ottenuti su materiale paraffi nato nel periodo 2000-2005 (Di Tom-maso et al Ann Surg 2006). I risultati ottenuti su tessuto paraffi nato, esame al congelatore ed OSNA sono illustrati sinteticamente nella Tabella 1.

OSNA: una nuova era Con l’introduzione di OSNA il numero di LS esaminati per ciascun paziente si è leggermente ridotto (143 LS/128 pazienti, media 1.1 LS/paziente, range 1-3 LS/paziente) ri-spetto ai valori osservati in precedenza. Questo dato sembra suggerire una migliore valutazione preoperatoria dello stato linfonodale con i casi francamente positivi defi niti median-te l’ausilio di un agoaspirato e/o biopsia piuttosto che con la metodica scintigrafi ca/LS.Con OSNA è rimasta invariata, rispetto ai dati precedenti, la percentuale di LS+ (25%, rispetto al 30% della metodica in paraffi na ed il 22% di quella al congelatore), mentre si è osservato un dato interessante relativamente alla distri-buzione di metastasi e micrometastasi. Infatti con l’intro-duzione del metodo molecolare OSNA si è registrato un incremento delle metastasi (paraffi nato: 61%; congelato 74%; OSNA 84%) ed un decremento delle micrometastasi (paraffi nato: 38%; congelato: 26%; OSNA: 13%). Questo trend iniziale, seppur da confermare in casistiche più ampie, sembra coerente con una delle peculiarità garantite da que-sto metodo: l’analisi dell’intero LS. In altri termini OSNA, proprio in ragione dell’esame di tutto il tessuto e non solo di una porzione esigua, sembrerebbe in grado di individuare un certo numero di metastasi in precedenza sottostimate.Infi ne, il dato relativo alla presenza di ulteriori linfonodi positivi nel contesto dello svuotamento ascellare, pressoché identico con le tre metodiche, sembra confermare l’oggetti-va capacità di OSNA di identifi care ed evidenziare il feno-meno biologico della metastasi.

OSNA: aspetti criticiI dati OSNA sin qui discussi, seppur prodotti su una casisti-ca importante (143 LS), si riferiscono ad un tempo piuttosto breve di attività (4 mesi). Possiamo pertanto ritenerli inco-raggianti nonostante la diffi coltà per un patologo di abban-donare la valutazione morfologica di LS.Durante questi primi mesi di utilizzo in routine, sono state individuate alcune criticità legate all’organizzazione e allo svolgimento della metodica OSNA.

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Seppure presentata da alcuni, ma non dal produttore (va sottolineato), come una metodica più veloce del congelatore, questo aspetto non si è rivelato tale. Nella nostra esperienza solo nella evenienza di dover esaminare un singolo e piccolo (<0.60 g) linfonodo, i tempi di risposta si sono dimostrati inferiori (circa 40 min) rispetto allo standard raggiunto con il congelatore (circa 45 min). Ma nel caso di un linfonodo grande o di più linfonodi, invariabilmente la risposta subiva un certo ritardo (circa 50-60 minuti) rispetto allo standard.Rispetto all’esame al congelatore, OSNA richiede un im-pegno continuativo solo del personale tecnico, “liberando” di fatto il personale medico dalla lettura delle sezioni in E/E. Questo aspetto non è trascurabile nella valutazione dei costi; va tuttavia osservato che il costo unitario per analisi risente soprattutto di una buona programmazione degli in-terventi della Senologia.

Infi ne questa nuova metodica mostra un limite quando, seppur in rari casi (nella nostra casistica 5/143, 3%), non riesce a defi nire con esattezza la quantità di RNA messagge-ro del marcatore CK19. In questa situazione, che si realizza quando viene preso in considerazione il campione diluito (ad esempio in presenza di LS con eccesso di tessuto adipo-so), OSNA indica “solamente” la presenza di cellule tumo-rali nel LS senza distinguere fra micrometastasi e metastasi.

ConclusioniI dati relativi all’analisi molecolare del LS con il metodo OSNA appaiono sovrapponibili a quelli su materiale pa-raffi nato e congelato. Questa metodica si propone dunque come una valida alternativa all’esame morfologico: un cam-biamento epocale nella prassi di un servizio di Anatomia Patologica.

Tessuto paraffi nato Tessuto congelato OSNA

LS; pazienti

(media; range)

648; 540 (1.2; 1-5)

507; 390 (1.3; 1-5)

143; 128 (1.1; 1-3)

Pazienti con LS+ 162/540 (30%) 87/390 (22%) 32/128 (25%)

Metastasi 100 (61%) 64 (74%) 27 (84%)

Micrometastasi 62 (39%) 23 (26%) 4 (13%) §

Pazienti con altri linfonodi+ allo

svuotamento ascellare53/162 (33%) 27/87 (31%) 12/32 (38%)

- con metastasi al LS 43/100 (43%) 23/64 (36%) 11/27 (41%)

- con micrometastasi al LS 10/62 (16%) 4/23 (17%) 1/ 4 (25%)

Legenda: § in un caso l’analisi è stata effettuata sul campione diluito; il risultato, pertanto, indicava “solamente” la presen-za di cellule metastastiche senza distinguere fra metastasi e micrometastasi.

Tabella 1: Performance delle diff erenti modalità di esame del LS.

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66 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 2012 - N. 64 66666666666666666666666 ATTATTATTAT UALUALUALUALALLITÀITÀITITÀTÀÀÀ ININ IN IN I SESE SESESENOLNOLNOLNN OOOGIOGIOGGOOGIOGIGGG AAAAAA A 201201201201222 -2 - NN N N.N.. 6464 64 64

N E W SN E W S

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dotti in Europa ed in Nord America, notevoli cambiamenti volti ad ottenere radicalità oncologica pur conservando par-te della ghiandola mammaria. La chirurgia conservativa, di-mostratasi sovrapponibile, in termini di overall survival, alla mastectomia radicale, ha come obiettivo aggiuntivo non in-diff erente il risultato cosmetico sulla mammella conservata. Per questo motivo risulta fondamentale l’ accurata program-mazione dell’intervento chirurgico che non può esimersi da una stretta collaborazione tra equipe chirurgica (oncologica e ricostruttiva), radiologo, radioterapista, oncologo e non per ultima, la paziente stessa.Il Master Universitario di II livello in “Oncoplastica Mam-maria e Trattamenti Integrati” si propone di fornire una pre-parazione specifi ca nel campo dell’approccio alla patologia mammaria e della ricostruzione della mammella secondo le recenti tecniche di oncoplastica. L’obiettivo è la formazione di allievi preparati a fornire ad ogni paziente la soluzione più valida per raggiungere il massimo della radicalità oncologica con il miglior risultato estetico e funzionale. In particolare, i discenti acquisiranno conoscenza non solo della metodica chirurgica standard, bensì di tutta una serie di tecniche chi-rurgiche in grado di soddisfare qualsiasi esigenza ricostrutti-va immediata e diff erita, integrandosi con il chirurgo gene-rale, il radiologo, il radioterapista e l’oncologo medico al fi ne di essere in grado di collocare la paziente ed il suo problema ricostruttivo al centro di un percorso decisionale articolato su diversi fronti, ed in grado di garantirle la ricostruzione più idonea, rendendola partecipe e consapevole del processo decisionale. Tutto questo perché la terapia del tumore della mammella non debba essere più sinonimo di mutilazione per la donna e perché la cura del corpo non debba essere più

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N E W SN E W S

Gruppo di studio AIRO per la patologia mammaria Attività nel 2011

Prof. Luigia NardoneUniversità Cattolica Sacro Cuore RomaDiv. RadioterapiaCoordinatore Gruppo di Studio AIRO Mammella

Il Gruppo di Studio AIRO (Associazione Italiana Radiote-rapia Oncologica) per la Patologia Mammaria ha iniziato la

sua attività oltre 10 anni fa come aggregazione di Specialisti in Radioterapia Oncologica con particolare interesse per la tera-pia e la ricerca delle neoplasie del seno. Il Gruppo, costituito attualmente da oltre cinquanta soci AIRO partecipanti attiva-mente e aperto a chiunque sia interessato a farne parte, è gestito da un Coordinatore, affi ancato da alcuni Consiglieri volontari, tutti eletti ogni 2 anni con votazione collegiale.L’attività negli anni è stata rivolta alla ricerca dell’aggiornamen-to clinico e culturale, tecnologico e procedurale, nell’ottica di diff ondere una standardizzazione dei trattamenti su tutto il ter-ritorio nazionale. Dalla operosa collaborazione di un gruppo progressivamente sempre più numeroso e motivato è nata la prima pubblicazione e i successivi periodici aggiornamenti del-le cosidette “Linee Guida”, più esattamente denominate “Indi-cazioni e Criteri Guida” nella “Radioterapia del Tumore della Mammella”. Esse rappresentano un importante strumento di consultazione per aff rontare in modo semplice e chiaro alcuni aspetti talora controversi e per l’aggiornamento di problemati-che attuali nel trattamento radioterapico del carcinoma della mammella. Dall’inizio del 2011 il Gruppo di Studio sta lavorando alla re-visione e aggiornamento dell’ultima pubblicazione, datata no-vembre 2009. La nuova versione è prevista per novembre 2012, in occasione del XXII° Congresso Nazionale AIRO di Roma. Durante il 2011 il Gruppo di Studio ha elaborato e presentato alcune proposte di trials clinici prospettici, qui sinteticamente riassunti:► MIRA-SOLE trial (MultIcentric RAndomized Study of

cOnventionaL and hypofractionatEd RT in adjuvant breast cancer setting) E’ uno studio clinico multicentrico randomiz-zato di fase IIb/III, in pazienti aff ette da carcinoma mammario invasivo, sottoposte ad intervento chirurgico conservativo, fi -nalizzato al confronto tra lo schema di radioterapia comple-mentare a fasci esterni con frazionamento convenzionale e due schemi di radioterapia complementare a fasci esterni con ipo-frazionamento accelerato con boost concomitante, in 20 e 13 frazioni rispettivamente. Lo studio, che ha come sperimenta-tore principale la Radioterapia dell’Istituto Europeo di Onco-logia, approvato dal C.E. nel luglio scorso, prevederà l’arruola-mento di circa 3300 pazienti in 36 mesi.► ISIORT-HIOB (Hypofractionated Whole Breast Irradia-tion preceded by Intra - Operative Radiotherapy with Elec-trons as anticipated Boost) E’ uno studio clinico multicentrico europeo, proposto dalla Radioterapia di Salisburgo, già iniziato in diversi Centri europei, che prevede una radioterapia intra-operatoria con elettroni come boost anticipato associata in post-operatorio a radioterapia ipofrazionata in pazienti con ne-oplasia mammaria in stadio I-II trattate con chirurgia conser-vativa. Il trial, che ha come promotore italiano la Radioterapia dell’Osp. S. Filippo Neri di Roma, ha iniziato il reclutamento delle pazienti anche in Italia.► MISS-MARTY-DCIS (Multicentric Italian Single-Arm Study - Mammary RadioTh erapy Hypofractonation - Ductal Carcinoma In Situ) Ad iniziativa del Gruppo di Studio è in corso il completamento del testo del protocollo. Lo studio pre-vederà il trattamento ipofrazionato mammario dopo chirurgia conservativa in pazienti aff ette da carcinoma duttale in situ.E’ tuttavia necessario osservare che alcune diffi coltà, legate a re-centi problematiche assicurative, anche per gli studi prospettici no-profi t come quelli proposti, rallentano al momento l’ade-sione dei Centri e l’arruolamento delle pazienti.In considerazione delle diffi coltà economico-assicurative per condurre studi prospettici, il Gruppo di Studio ha avviato una “survey” retrospettiva su BC dopo irradiazione sopradiafram-matica, prevalentemente in donne trattate in giovane età per linfoma di Hodgkin.Oltre alle periodiche riunioni di lavoro (4 durante il 2011) sono stati organizzati per i primi mesi del 2012 due Convegni di stretta pertinenza radioterapica senologica: • “ZOOM Journal Club 2011” (Roma il 20 gennaio 2012) per presentazione e discussione collegiale degli articoli più sa-lienti della letteratura scientifi ca radioterapica in campo seno-logico, pubblicati nel 2011.• “Le Terapie Integrate nei Tumori della Mammella” - Incontro con gli Esperti (X° Edizione Chieti 16-17 febbraio 2012) per una discussione multidisciplinare sulle problematiche cliniche e le controversie più attuali in Senologia.

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In un’area di 18.000 metri quadri nel cuore di Sesto Fiorentino sorge il primo esempio toscano di istituto oncologico multidisciplinare e fondato sulla parteci-

pazione sia medico-scientifi ca che sociale: il Centro Onco-logico Fiorentino. Due componenti, in particolare, già dalla sua prima fase di attività si stanno dimostrando fondamen-tali: aver creato spazi in grado di suscitare emozioni positive ed essere riusciti a promuovere anche la cultura della sicu-rezza dei pazienti. Gli ambienti gradevoli contribuiscono a stimolare creatività nel lavoro e a migliorare la relazione di ospitalità. Nei reparti oncologici è particolarmente importante predisporre luoghi dove anche l’accoglienza, il soggiorno e le relazioni siano coerenti e sinergiche. Al CFO tutto questo è una realtà. Il Centro è stato progettato per disporre di ambienti a diversa intensità tecnologica che rispondano alle diverse esigenze e gamma di cure: screening, diagnosi, cura, follow up. Le ca-mere particolarmente confortevoli sono state progettate per rendere meno traumatica possibile la degenza ospedaliera. Anche il parco è stato studiato per essere un “giardino cura-tivo”. Tutto questo non è solo umanizzazione del luogo di cura, ma ha anche eff etti terapeutici. La dotazione tecnologica pone l’istituto all’avanguardia nel

www.centroncologicofi orentino.it.

In Toscana è nata una nuova realtà sanitaria

Centro Oncologico Fiorentino: una medicina sempre meno invasiva, una struttura moderna sempre più ospitale.

panorama dell’oncologia: non solo è adeguata, ma anch’essa è frutto di una scelta che ricerca la minima invasività. Dagli acceleratori lineari in grado di aggredire i tumori utilizzando dosi di irradiazione molto potenti alle tecniche di chirur-gia robotica che tanto stanno riducendo trauma chirurgi-co, perdite di sangue, complicanze postoperatorie. Il blocco chirurgico è il cuore operativo del Centro, progettato te-nendo conto del fatto che le tecnologie delle sale operatorie diventano ogni giorno più sofi sticate per eseguire interventi sempre meno traumatici ed invasivi. L’area risveglio è un vero e proprio reparto, in continuità fi sica con la zona delle sale, a pochi metri dalla terapia intensiva. Sempre all’interno dell’area, la sala per la radiologia interventistica. Il CFO fi n dalla sua ideazione si è posto l’obiettivo di svol-gere un ruolo signifi cativo nel campo delle cure e della ri-cerca oncologica. In questi anni abbiamo assistito ad uno straordinario sviluppo delle tecnologie diagnostiche e delle tecniche di cura. Per mettere a disposizione le cure più ef-fi caci in un campo sottoposto a intensa innovazione come l’oncologia, non sempre bastano le evidenze scientifi che, ma c’è bisogno della ricerca costante sul campo per ottenere il miglior risultato per ciascun paziente.

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GE Healthcare

GE imagination at work

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La globalità della diagnostica Senologica -Mammografia, Ecografia, Risonanza Magnetica,Imaging Molecolare e Onco-genetico - significaaccompagnare la paziente dallo screening allaprocedura interventiva e permette al radiologo diformulare una diagnosi veloce e sicura attraversoapprofondimenti diagnostici di qualità.

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Lei riparte serena...il suo radiologo l'ha rassicurata