ATTUALITÀ FOCUS DOSSIER

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DOSSIER Siria Aberrazioni belliche FOCUS Thailandia, In attesa del nuovo re ATTUALITÀ Argentina a rischio default In caso di mancato recapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito Rivista della Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50 2 MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA ANNO XXXI FEBBRAIO 2017 Il muro del debito

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DOSSIERSiriaAberrazioni belliche

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Rivista della Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50

2M E N S I L E D I I N F O R M A Z I O N E E A Z I O N E M I S S I O N A R I A

ANNO XXXI

FEBBRAIO2017

Il murodel debito

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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIATrib. Roma n. 302 del 17-6-86. Con approvazione ecclesiastica. Editore: Fondazione di religione MISSIO Direttore responsabile: GIULIO ALBANESERedazione: Miela Fagiolo D’Attilia, Chiara Pellicci, Ilaria De Bonis. Segreteria: Emanuela Picchierini,[email protected]; tel. 06 6650261 - 06 66502678; fax 06 66410314. Redazione e Amministrazione: Via Aurelia, 796 - 00165 Roma. Abbonamenti: [email protected]; tel. 06 66502632; fax 06 66410314. Hanno collaborato a questo numero: Chiara Anguissola, MarioBandera, Roberto Bàrbera, Azia Ciairano, Marzia Cofano, Franz Coriasco, DarioDe Sousa, Silva Filho, Victoria Gómez, Francesca Lancini, Raffaele Luise, PaoloManzo, Enzo Nucci, Giovanni Rocca, Antonella Salvati, Adriano Sella, FedericoTrinchero, Franco Zocca.

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In questi tempi di crisi, un po’ tuttidovremmo periodicamente esercitareun esame di coscienza sulla lealtà

personale di fronte ai documenti delMagistero. Se è vero che abbiamo ilsacrosanto diritto di invocare una treguarispetto ai sistematici bombardamenticartacei per cui si fa fatica a leggeretutto, c’è anche il rischio di fare diogni erba un fascio, dunque di snobbaretesti fondamentali, e questo è eccle-sialmente scorretto. Se il Concilio haaffermato che c’è una gerarchia delleverità (Unitatis Redintegratio, 11), pos-siamo ben credere che esista ancheuna gerarchia nei documenti del Ma-gistero. Ce ne sono alcuni che non èproprio possibile trascurare, come, adesempio, i documenti di papa Francesco.Sappiamo bene che il Magistero non èsuperiore alla Parola di Dio, «ma adessa serve» (Dei Verbum, 1). Sappiamoanche che ad esso dobbiamo aderire«con religioso rispetto» (Lumen Gentium,25). Ecco perché è fondamentale leggeree rileggere, oggi, l’Evangelii Gaudium,l’enciclica programmatica di papa Fran-cesco. Lo disse egli stesso, apertamentea Firenze, nel suo intervento nella cat-tedrale di Santa Maria del Fiore, duranteil Convegno ecclesiale del novembre2015. «Permettetemi solo di lasciarviun’indicazione per i prossimi anni: inogni comunità, in ogni parrocchia eistituzione, in ogni diocesi e circoscri-zione, in ogni regione, cercate di avviare,

in modo sinodale, un approfondimentodella Evangelii Gaudium. […] Sonosicuro della vostra capacità di metterviin movimento creativo per concretizzarequesto studio. Ne sono sicuro perchésiete una Chiesa adulta, antichissimanella fede, solida nelle radici e ampianei frutti». Ebbene, dobbiamo prendereatto che quelle parole non semprehanno trovato un felice riscontro nellacosiddetta pastorale ordinaria di moltedelle nostre diocesi. E dire che di stimolialla riflessione il pontefice ne ha offertie continua ad offrirne a non finire. Peresempio, sempre a Firenze, disse: «Atutta la Chiesa italiana raccomando ciòche ho indicato in quella esortazione:l’inclusione sociale dei poveri, che hannoun posto privilegiato nel popolo di Dio,e la capacità di incontro e di dialogoper favorire l’amicizia sociale nel vostroPaese, cercando il bene comune…».Queste parole sono semplici, dirette edesigono una risposta che tenga contodi quella che è la realtà dei fatti, nellaloro concretezza.Quando i vescovi latinoamericani aPuebla, nel 1979, parlavano dei poveri,in una celebre serie di paragrafi deldocumento (31-39) fecero una descri-zione di volti di bambini, volti di donne,volti di contadini, di tanti volti. Ogniparagrafo tratteggiava un volto didonne e uomini che vivono nei bassi-fondi della Storia. Ricordiamoci che icontatti tra i popoli, in questo primo

EDITORIALE

di GIULIO [email protected]

(Segue a pag. 2)

»

Poveri noi

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Indice

EDITORIALE

1 _ Poveri noi di Giulio Albanese

PRIMO PIANO

4 _ A colloquio con il professor Raffaele Coppola «Il debito dei Paesi poveri è questione di usura!» di Giulio Albanese

ATTUALITÀ

8 _ Argentina a rischio default

Il gigante che non riesce a rimettersi in piedi di Paolo Manzo

FOCUS14 _ Dopo la morte di Bhumibol di Thailandia

Il lungo lutto in attesa del nuovo re di Miela Fagiolo D’Attilia

L’INCHIESTA18 _ Dopo la chiusura della Rotta Balcanica La politica che uccide più del gelo di Ilaria De Bonis

SCATTI DAL MONDO

22 _ Storie da Lampedusa Disegni dalla frontiera A cura di Emanuela Picchierini Testo di Chiara Pellicci Disegni di Francesco Piobbichi

PANORAMA

26 _ Il papa ai movimenti popolari L’ombra dei muri sulla democrazia di Raffaele Luise

DOSSIER

29 _ Crimini contro l’umanità in Siria Aberrazioni belliche di Ilaria De Bonis

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

37 _ Missione e nuovi stili di vita Piccoli gesti cambiano il mondo di Adriano Sella

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segmento del Terzo Millennio, come in passato,passano attraverso le persone, senza trascurare,come peraltro a Puebla non venne affattotrascurato, il necessario discorso sociale epolitico che invoca strutture di giustizia esolidarietà che sostengano le relazioni personali.Noi oggi, cari lettori, se vibriamo per la sortedi un popolo, lo facciamo non tanto davantiad una statistica, ma al cospetto di personeconcrete che magari abbiamo già incontrato,chissà quante volte, nelle nostre stesse par-rocchie. Pensiamo ai migranti che popolanole nostre città, i nostri paesi. Di fronte aicambiamenti, qualcuno parla già di post-globalizzazione, o di de-globalizzazione, masappiamo bene che c’è ancora tanta umanitàdolente che sta masticando il pane duro enero della globalizzazione. Essa va contrastata,senza dubbio, con strumenti economici e po-litici adeguati, ma anche con un’attenzioneparticolare alle persone vive, ai volti, come sidiceva, e alle relazioni. La nostra fede cattolica,dunque universale, si tesse innanzitutto esoprattutto tra persone in carne ed ossa.Solo persone capaci di avere sguardi umani,compassionevoli, di amicizia e di ospitalitàpossono dirsi cristiane.

(Segue da pag. 2)

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40 _ Camerun I Focolari tra il popolo Bangwa di Victoria Gómez

42 _ Suor Clara uccisa a Bukavu Missionaria per i diritti delle donne di Miela Fagiolo D’Attilia

44 _ Il cardinale Massaia è venerabile La straordinaria missione in Etiopia di fra’ Guglielmo di Miela Fagiolo D’Attilia

45 _ Missione Legalità

Brasile Repressione mascherata da lotta alla corruzione di Dario de Sousa e Silva Filho

46 _ L’altra edicola Putin punta alla Libia di Ilaria De Bonis

49 _ Posta dei missionari Con la missione nel cuore a cura di Chiara Pellicci

RUBRICHE52 _ Ciak dal mondo RESTAURARE IL CIELO E l’angelo apparve di nuovo a Betlemme di Miela Fagiolo D’Attilia

54 _ Libri Caterina e il riscatto dalla schiavitù di Chiara Anguissola

Profughi: persone, non numeri di Chiara Anguissola

Al centro l’amore di Chiara Anguissola

Missione in Burundi di Chiara Anguissola

56 _ Musica AEHAM AHMAD Un piano per la pace di Franz Coriasco

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OSSERVATORI

DONNE IN FRONTIERA PAG. 12

Razia e le ostetriche del Punjabdi Miela Fagiolo D’Attilia

ASIA PAG. 13

Nepal, una lezione per Trumpdi Francesca Lancini

AFRICA PAG. 16

Alla scoperta di internetdi Enzo Nucci

MEDIO ORIENTE PAG. 17

Le Iraqi girlsdi Chiara Pellicci

GOOD NEWS PAG. 21

Evviva la “Casa della Fatwa!”di Chiara Pellicci

VITA DI MISSIO

57 _ Missio Adulti&Famiglie Un appello a tutti di Chiara Pellicci

59 _ Solidarietà delle Pontificie Opere Missionarie

INDIA Le donne della parrocchia di Deogarh di Miela Fagiolo D’Attilia

60 _ Missio Giovani Missio Giovani a Km0 di Giovanni Rocca e Marzia Cofano

MISSIONARIAMENTE

62 _ Intenzione di preghiera del papa Non giriamo la testa di Mario Bandera

63 _ Inserto PUM La missione ad gentes

dei gruppi missionari di Franco Zocca

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PRIMO PIANO

«Il debito dei Paesi pover

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A colloquio con il professor Raffaele Coppola

di GIULIO [email protected]

La crisi dei mercati ela finanziarizzazionedell’economiamondiale hannogenerato unaggravamento deldebito dei Paesipoveri o a rischiodefault. La questioneè rilevante ed esigel’affermazione deldiritto sullostrapotere di unaarchitetturadell’economiaglobale in flagranteviolazione dei dirittidella persona.

eri è questione di usura!»«L a questione del debito inter-

nazionale, che pesa come unpesante macigno sul destino

di molti popoli, nella cornice geopoliticaed economica della globalizzazione,esige delle risposte da parte del consessodelle nazioni». È questo il pensiero e percerti versi la sfida che lancia coraggio-samente e di cui è oggi tra i principaliinterpreti, il professor Raffaele Coppola,direttore del Centro di Ricerca “RenatoBaccari” del Dipartimento di Giurispru-denza dell’Università di Bari, nonchéPromotore di Giustizia Corte d’Appellodello Stato Città Vaticano. Salentino diorigine, da diversi anni Coppola portaavanti una battaglia di civiltà e diritto.Un impegno che è sempre più rilevantein riferimento alla condizione debitoriadei Paesi poveri, allo sfruttamento delleloro risorse da parte dei Paesi industria-lizzati, agli enormi crediti e interessi, so-vente “composti”, che essi vantano eche sono assolutamente inesigibili. Eglipartecipò alla stesura della nota Cartadi Sant’Agata de’ Goti, che risale – nonmanca di precisare – al 29 settembre1997. Una dichiarazione su usura e de-bito internazionale, che ha fatto prati-camente il giro del mondo, approdandonelle massime istituzioni internazionalie anche nel Parlamento italiano, che harecepito questo. Infatti la legge del 25luglio 2000 n. 209, all’articolo 7 – ahimèancora rimasto inattuato - stabilisce cheil Governo italiano, nell’ambito delle isti-tuzioni competenti, proponga l’avviodelle procedure per la richiesta di parerealla Corte internazionale di Giustiziasulla coerenza tra le regole che discipli-nano il debito estero dei Paesi in via disviluppo (ma oggi si potrebbe far riferi-

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mento al debito tout court e generica-mente ai Paesi poveri o cosiddetti a ri-schio) ed il quadro dei principi generalidel diritto e dei diritti dell’uomo e deipopoli. Non v’è dubbio, infatti, comescritto in più circostanze sulla nostra ri-vista Popoli e Missione, che la povertàsia determinata in gran parte dalla strut-tura usurocratica dell’economia plane-taria e che la speculazione finanziaria,nell’arco degli ultimi 20 anni, abbia presoil sopravvento sull’economia reale, de-terminando la crescita del cosiddettodebito aggregato nei Paesi poveri o co-munque “a rischio”, come nel caso di al-cune nazioni europee (Grecia docet!).Per non parlare del fatto che il crescentepotere del sistema bancario ombra è inflagrante violazione di tutti i dirittiumani e che le fonti private di credito, aprescindere da quelle pubbliche, sonoresponsabili della crescente finanziariz-zazione del debito, sempre più a usura.Cosa dire poi del dato che il valore dellematerie prime, nei Paesi del Sud delmondo, è condizionato dalla specula-zione finanziaria, dalle fluttuazioni in-controllate dei mercati monetari e daregole del commercio internazionale si-curamente pregiudizievoli o addiritturainesistenti? Tutto questo, in pratica, èsintomatico di un mercato senza regole,cioè all’insegna della deregulation. Aquesto proposito, un gruppo qualificatodi giuristi ed esperti di economia del-l’Unità di ricerca ‘Giorgio La Pira’ delCNR e del Centro di studi giuridici lati-noamericani dell’Università di Roma ‘TorVergata’, con la collaborazione del Cen-tro di Ricerca ‘Renato Baccari’ del Di-partimento di Giurisprudenza dell’Uni-versità di Bari, diretto dal professorCoppola, hanno formalmente chiestosulla base di ciò, che, con il sostegnosempre più incisivo della Santa »

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Sede e anche di governi dei Paesi coin-volti nella grave crisi economico-finan-ziaria mondiale, l’Assemblea generaledelle Nazioni Unite giunga a formularel’auspicata richiesta di parere alla Corteinternazionale di Giustizia dell’Aja suiprincipi e sulle regole applicabili al de-bito internazionale, nonché al debitopubblico e privato, al fine della rimo-zione delle cause delle perduranti vio-lazioni dei princìpi generali del diritto edei diritti dell’uomo e dei popoli, co-genti, come risultanti specialmente dallagià menzionata Carta di Sant’Agata de’Goti e da alcune risoluzioni dell’Assem-blea generale delle Nazioni Unite (Os-servazioni da un Seminario romano,date il 18 dicembre 2015 nell’Universitàdi Roma “Tor Vergata”). «Questo indi-rizzo – spiega Coppola - è sempre piùcrudamente attuale e lo è ancor mag-

PRIMO PIANO

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giormente ove si pensi alla necessità,da papa Francesco messa tante volte inevidenza e ribadita, parlando a ungruppo di nuovi ambasciatori presso laSede Apostolica, di rivedere su basi eti-che il sistema della finanza globale afronte di pericolose ideologie, che pro-muovono l’autonomia assoluta dei mer-cati e la speculazione finanziaria, ne-gando così il diritto di controllo agliStati pur incaricati di provvedere al benecomune. È sufficiente volgere la mentealle autentiche responsabilità, in Europae in America, del collasso finanziario edella ‘bolla’ dei derivati OTC (Over TheCounter). Sintomatica di una mancanzadi regole che acuisce a dismisura la que-stione debitoria delle economie nazio-nali, minacciando seriamente il benes-sere dei popoli, sino a provocarescientemente la fame e la morte dei

propri fratelli in umanità».D’altronde è sufficiente riflettere suquanto sta avvenendo, ormai da anni,sul palcoscenico internazionale, per com-prendere la posta in gioco. «Mentre iPaesi poveri – prosegue Coppola - con-tinuano o tornano a vivere questi mo-menti drammatici, si dovrebbe da partedei Paesi ricchi o comunque privilegiatie di quelli detentori di poteri sempremeno incisivi, almeno in Occidente, comedelle istituzioni interessate, a livello na-zionale e internazionale, considerare ildebito estero, al pari di quello pubblicoe privato, quale tema sovrastante o tra-sversale, compatibile con la scelta diqualunque programma speciale di ca-rattere umanitario, oggetto di monito-raggio continuo e d’interventi miratifrutto del dialogo fra le varie istituzionie gli Stati, fino alla ricostruzione del

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A colloquio con il professor Raffaele Coppola

esiga la creazione e formulazione di undiritto internazionale specifico sulla que-stione del debito, Coppola è convintoche si tratti di un lavoro praticamenteinutile. Egli, infatti, asserisce che «iprincipi della Carta di Sant’Agata de’Goti su usura e debito internazionalenon sono una recente invenzione. Essisono stati formulati secondo la grandetradizione del diritto romano e del dirittocanonico, per la quale l’usura “pecuniaein fructu non est”, ove è evidente, comenella teologia morale di Sant’AlfonsoMaria de’ Liguori, l’uso dell’antica giuri-sprudenza e legislazione anche per lepene agli usurai, colpiti da infamia».Una cosa è certa: il professor Coppola,rilasciando questa intervista esclusivaal nostro mensile missionario, ci ha resipartecipi, per così dire, di uno scoopsenza precedenti. Del fatto cioè che

quadro giuridico del debito e alla con-seguente applicazione dei criteri del suoricalcolo». Lungi da ogni retorica, l’uomo,creato ad immagine e somiglianza diDio secondo l’antropologia cristiana, faparte, dice ancora Coppola, «di una reteglobale e, in questi frangenti di perdu-rante crisi a livello mondiale, europeo enazionale, contro ogni ipotesi scientificao fantascientifica che faccia leva sulgrave problema della sovrappopolazione,occorre non dimenticare che all’umanitànon mancano le tecnologie e tutte lerisorse necessarie (in gran parte inuti-lizzate) perché il secolo presente, supe-rando le barriere della sopraffazionedell’altro e della logica di mercato chene deriva, possa essere quello della pro-sperità condivisa, della epocale conver-genza, della realizzazione del bene co-mune». Alla domanda se questa iniziativa

papa Francesco e dunque la Santa Sede,a parte le attestazioni ufficiali (chenon mancano), possano sostenere taleindirizzo, non fosse altro perché è per-fettamente in linea con il consolidatoe diuturno Magistero della Chiesa cat-tolica contro “l’imperialismo interna-zionale del denaro” (Quadragesimoanno, ripresa dalla Populorum progressio,n. 26), secondo le forme e i contenutiespressi dai predecessori e dallo stessopontefice, con particolare riferimentoall’Enciclica Laudato Si’ e al discorsoalle Nazioni Unite del 25 settembre2015. Questo discorso sembra anzi ri-tagliato sulle riflessioni fin qui svolte evirgolettate, specialmente per l’esplicitacondanna della macro-usura. A riprovache essere cristiani significa essere,senza mezzi termini, dalla parte deipoveri.

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ATTUALITÀ

del tessuto socio-economico argenti-no.Purtroppo le misure adottate dal governodi Mauricio Macri per risolvere le gravisfasature macroeconomiche prodottedalle politiche di Cristina Kirchner –dal cambio fisso sul dollaro che erastato “doppiato” sul fiorente mercatonero, alla spesa pubblica finanziatastampando moneta con annessi deficit

di PAOLO [email protected]

di bilancio oltre il 7% annuale ed un’in-flazione seconda solo al Venezuela intutte le Americhe – «non hanno datole risposte attese», sottolinea la UCA. E,anzi, nel primo anno di Macri alla CasaRosada, (il palazzo presidenziale ar-gentino), i poveri sono aumentati di1,4 milioni (+10%) mentre sono andatiin fumo 130mila posti di lavoro.Certo, va considerato che mai nella

Q uattordici milioni di poveri –cinque dei quali bambini - suuna popolazione di 43 milioni

di persone, con dati da brivido: un ar-gentino su dieci è ufficialmente disoc-cupato e c’è un morto per denutrizioneogni dieci ore. No, non è il Sahel bensìi numeri da disastro sociale, snocciolatinel bilancio di fine 2016 dalla prestigiosaUCA, l’Università Cattolica Argentina.Cifre desolanti che preoccupano nonsolo quella classe media, tradizionaleserbatoio elettorale del peronismo nelPaese del tango, che si è vista erodereuna parte consistente del salario negliultimi 12 mesi, ma anche papa Francesco,profondo conoscitore per ovvi motivi

Il gigante che non riescIl gigante che non riescSolo 16 anni fa la tragedia economica travolsel’Argentina, mentre l’allora presidente De La Ruaabbandonava in elicottero la Casa Rosada. Oggi lapresidenza di Mauricio Macri si trova a fare i conticon una situazione economica e sociale che puònuovamente far precipitare l’Argentina nel caos.

Argentina a rischio default

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Veduta di Buenos Aires.

sce a rimsce a rimettersi in piedi

passò alla storia come il peggiore dellarecente storia argentina ed i gas lacri-mogeni della polizia non risparmiarononeppure la stanza del futuro papa. Luisi era però affacciato e, vista unasignora letteralmente manganellata asangue da un agente, non esitò a »

storia democratica recente dell’Argentinaun presidente non peronista – e Macrinon lo è mai stato - è riuscito a finireun suo mandato. Raúl Alfonsín fu infatticostretto a dimettersi poco prima dellascadenza a causa di un’iper-inflazioneche ne aveva eroso drammaticamenteil consenso (era il 1989), mentre di Fer-nando De La Rúa si ricorda la vergognosafuga dalla Casa Rosada in elicottero,in pieno default di fine 2001.Una tragedia socio-economica con de-cine di morti per strada rimasta impressaindelebilmente nella memoria dell’alloramonsignor Bergoglio, che vide dalla fi-nestra del suo appartamento gli scontriviolenti della polizia contro i piccoli ri-sparmiatori, molti dei quali pensionati,letteralmente rovinati dal fallimentodel Paese del tango. Quel dicembre

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ATTUALITÀ

Trasportatore di cartoni aPalermo, quartiere residenzialedella capitale argentina.

Mauricio Macri,presidente dell’Argentina.

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nel terzo trimestre 2016, ha portato alcrollo del Pil del Paese del 3,8% e sulsempre maggior numero degli “esclusi”in un Paese ricchissimo di materie prime.Basti pensare al soprannome di “granaiodel mondo” con cui si indicava BuenosAires quando in Europa infuriava laSeconda Guerra mondiale. «Come popolodobbiamo sederci intorno ad un tavoloper cominciare un dialogo, responsabilee permanente con l’obiettivo di raffor-zare la nostra ancor troppo fragile con-vivenza di cittadinanza» è l’appello ri-volto dalla Cea in primis al mondo po-litico argentino, invitato dai vescovi«ad abbandonare gli interessi elettorali,i calcoli meschini e la speculazione fi-nanziaria».Ma sul banco degli imputati della Chiesaargentina ci sono anche gli imprenditori– da cui Macri si attendeva una maggiorecollaborazione, soprattutto da quelliinternazionali - invitati ad investire dipiù nella manodopera «ben pagata» enel lavoro «dignitoso».In tal senso è illuminante il rapportoreso noto alla vigilia dell’ultimo Nataledall’Osservatorio sul Debito Sociale del-l’Università Cattolica Argentina (Odsuca),che, oltre a confermare una disoccu-

impugnare il telefono e chiamare furenteil ministro degli Interni dell’epoca: «Lavostra polizia sappia almeno distingueretra i facinorosi e i disperati che hannoperso tutti i loro risparmi» disse confermezza.

TENSIONI SOCIALIOggi la situazione non è ancora para-gonabile a quella di 16 anni fa, mal’aggravarsi di quasi tutti gli indicatori

economici durante il primo anno dellapresidenza Macri - un trend che senon sarà presto ribaltato potrebbe por-tare a pericolosissime tensioni sociali –ha fatto intervenire prontamente laChiesa argentina e la UCA, in costantecontatto con papa Francesco.Non è dunque un caso che il messaggioper lo scorso Natale della Conferenzaepiscopale argentina (Cea) si sia con-centrato su una recessione che, solo

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11P O P O L I E M I S S I O N E - F E B B R A I O 2 0 1 7

D on Alberto Barros,55 anni, fa il par-

roco della parrocchiaSagrada Familia a Po-sadas, la capitale dellaprovincia di Misiones,una delle più colpite dal-la povertà e dal feno-meno del narcotrafficoessendo confinante conParaguay e Brasile inquella Triplice Frontiera

celebre per contrabbando ed illeciti di ognisorta. Vicedirettore della Caritas locale, guardaal 2017 «con molta speranza, perché mi parecomincino a vedersi più possibilità di crescita».

Prete di strada – a Posadas è noto per avercreato strutture di accoglienza per bambini edadulti che prima non avevano un tetto – donBarros elogia il fatto che il Parlamento, con ilconsenso di tutti i partiti ed i movimenti, abbiadichiarato «l’emergenza sociale» e sia statoampliato «il sussidio ai disoccupati con unfiglio minorenne o diversamente abile». «Certo– sottolinea – resta il problema della classemedia che ha perso potere d’acquisto nel 2016e sappiamo che non basta aumentare la spesasociale quando c’è una crisi congiunturaleperché dalla povertà si esce solo con programmidi lungo termine, grazie ad un’educazione al-l’altezza e con la creazione di posti di lavoroveri».

Oggi in Argentina per don Alberto la vera sfida èproprio «creare occupazione. L’unica via d’uscitadalla dura realtà che viviamo è una grande unitànazionale tra dirigenze politiche, sindacali e reli-gioni». È la disoccupazione «ciò che qui preoccupamaggiormente la Chiesa, insieme alla crescitaesponenziale della droga perché – aggiunge ilsacerdote - oggi cocaina, crack e sostanze sin-tetiche stanno facendo strage tra i giovani (ed imeno giovani) di ogni classe sociale». Perfortuna «è stata dichiarata l’emergenza anchenel settore delle dipendenze. Speriamo - concludedon Barros – che serva a combattere la piagadel narcotraffico, la cui esistenza è stata negataper troppo tempo dai nostri politici».

P.M.

Argentina a rischio default

carietà e disuguaglianze strutturali»perché «non è mai conveniente che cisia solo lo Stato ad indagare, analizzaree diffondere informazioni su temi sociali,a cominciare dal calcolo della pover-tà».A detta della Cepal, l’agenzia delle Na-zioni Unite che si occupa delle economielatinoamericane e caraibiche, nel 2017il Pil argentino tornerà a crescere inmodo sostenuto, almeno del 2,5%,mentre per Euromonitor, Buenos Aires

farà registrare un +3,1%del Pil. Visti i risultatidisastrosi ottenuti nelsuo primo anno alla pre-sidenza - sul fronte pro-duttivo, inflazionario esociale dopo avere letto(si spera attentamente)le rigorose analisi del-l’UCA e la reprimendadella Conferenza episco-pale argentina - Macriha deciso di cambiare lasua équipe economica.

Il neo ministro Nicolas Dujovne hadetto di voler «investire pesantementein infrastrutture» per stimolare l’occu-pazione. Staremo a vedere. Di certo c’èche per ora la realtà di quei 14

nomisti neocapitalisti e dalle multina-zionali, quello di «raggiungere una mag-giore flessibilità del lavoro» ma l’esattocontrario. Secondo il settimanale bri-tannico The Economist, il 2017 andràmeglio, anche perché molta dell’infla-zione del 2016 (arrivata al 40%, mentregli stipendi sono stati di fatto congelati)è dovuta sia alle cifre false date negliultimi anni dall’Indec (l’Istat argentino)che dalla decisione di Macri di eliminareil cambio fisso sul dollaro, con indubbibenefici per gliesportatori ma an-che un subitaneoaumento del costodelle importazioni.Nonostante le sta-tistiche sulla situa-zione argentina sia-no oggi più reali-stiche rispetto al re-cente passato,monsignor VíctorManuel Fernández,rettore della Cat-tolica nonché (a detta di molti) unodegli interlocutori più ascoltati dalSanto Padre, ha detto che l’Odsucacontinuerà comunque a diffondere isuoi rapporti periodici su «lavoro, pre-

pazione alle soglie del 10%, ha anchesottolineato come il 18% di chi oggilavora a Buenos Aires riceve uno sti-pendio da miseria, essendo «sotto oc-cupato», mentre addirittura il 54% deilavoratori ha contratti precari.

PRECARIETÀ E DISUGUAGLIANZE SOCIALIIl problema dell’Argentina di oggi nonè dunque, come sbandierato dagli eco- »

DON ALBERTO E I SENZA TETTO DI POSADAS

Padre Pepe Di Paola

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milioni di poveri in uno dei Paesi poten-zialmente più ricchi al mondo, causaalla Chiesa cattolica argentina un «grandedolore», una immensa sofferenza che èstata trasmessa a Macri a fine 2016 dalpresidente della CEA, monsignor JoséMaría Arancedo. L’arcivescovo della diocesidi Santa Fé (una delle regioni maggior-mente colpite dalla tossicodipendenzaminorile) si è detto molto preoccupatoanche per il narcotraffico che, negliultimi tempi, ha fatto dell’Argentina ilterzo Paese che più esporta cocaina almondo (fonte Onu), trasformandola inuna terra pericolosissima per i tanti preticoraggio che nelle periferie delle grandicittà, a cominciare da Buenos Aires, sonol’ultimo baluardo per le migliaia di famiglieche vivono nelle villas miserias, le ba-raccopoli di questa parte di mondo.

PRETI CORAGGIOTra i preti coraggio c’è padre Juan He-

raldo Viroche, un eroe della lotta controi narcos di Tucumán – tra le città ar-gentine con più poveri - che aveva piùvolte denunciato, anche in un videoreso noto solo post mortem, la famigliadel politico “Chicho” Soria come re-sponsabile del locale traffico della droga

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ATTUALITÀ

D a molti anni Razia Joseph, pakistana cri-stiana, opera a Faisalabad, nello Stato

del Punjab, per dare dignità piena alla donnain famiglia, nella società e in politica. La suavocazione è infatti quella di «cambiare lamentalità, costruire ponti tra uomini e donne,tra cristiani e musulmani, tra ricchi e poveri,tra moderati e fondamentalisti. Questa è lachiave del futuro». Per aiutare le donne indifficoltà ha fondato nel 1987 la WomenShelter Organization (Wso) che ha sedi nellearee urbane e rurali del Punjab, in cui vengonoospitate e protette donne costrette ad ab-bandonare le loro case. Ma Wso organizzaanche corsi di recupero scolastico e formazioneprofessionale per donne impegnate a rico-struirsi una nuova vita dopo essere sfuggitea violenze o matrimoni forzati. L’organizzazionedi Razia assiste anche le donne in carcere e iloro figli, dall’advocacy ai corsi di taglio ecucito per insegnare un mestiere alle donneche, dopo la prigione, potranno guadagnarsida vivere onestamente.Per il suo impegno Razia è stata minacciatamolte volte e la sua è una vita a rischio. Male donne, senza distinzione di fede, la pro-teggono e più di una volta l’hanno aiutata anascondersi, come racconta lei stessa: «Miappoggiano, mi confortano, nascondono imiei movimenti, se qualcuno mi viene a cer-care. Io le aiuto cambiando date e luoghi,ma la loro presenza mi dà forza. Spesso ven-gono anche gli uomini, quelli che non sonod'accordo, che mandano le figlie ai nostricorsi perché è giusto così, che mi danno con-sigli per evitare problemi». L’associazioneAiuto alla Chiesa che soffre (Acs) sostiene illavoro della Joseph che ha avuto modo diringraziare i benefattori italiani. AlessandroMonteduro, presidente Acs Italia, ha detto:«Siamo lieti di essere al loro fianco per so-stenere il progetto per la formazione digiovani ostetriche (Traditional Birth Attendants)che riguarderà 75 ostetriche in 15 aree deldistretto di Faisalabad, che saranno formateper prestare assistenza sanitaria alle donnein procinto di partorire nelle aree rurali».

di Miela Fagiolo D’Attilia

RAZIA E LE OSTETRICHE DEL PUNJAB

OSSERVATORIO

DONNE INFRONTIERA

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cotraffico, la tratta ed il crimine, perciòconosco Bergoglio da prima che di-ventasse Francesco e collaboro conl’Accademia Pontificia su questi temi»è lui stesso a raccontarci, assicurandoche «dov’è morto padre Viroche è terradi nessuno. Oltre all’abbondante venditadi paco (così si chiama il crack in Ar-gentina, ndr) là vengono drogate bam-bine per poi immetterle sul mercatodella prostituzione su camion che ap-partengono a potenti ex funzionaripubblici, collusi coi narcos. L’uccisionedei sacerdoti è un messaggio mafiosoche ha almeno tre obiettivi: spaventarela popolazione, essere di monito per glialtri preti che denunciano, dividere laChiesa, che come tutte le istituzioni,non ha al suo interno solo eroi come ipreti coraggio».Padre Pepe Di Paola è uno di questi sa-cerdoti “di strada” costantemente mi-nacciati dai narcos e che, sino alla no-mina papale, proprio con Bergoglio, al-lora arcivescovo di Buenos Aires, tra-scorreva tra i più poveri delle periferiedella capitale quasi tutti i suoi finesettimana. Ed è sempre lui che - allaguida di un’équipe di lavoro sulle droghedella Pastorale sociale – lo scorso no-vembre ha chiesto che venisse dichiarata«l’emergenza nazionale da parte delleistituzioni affinché nessun altro bambinoqui muoia per la droga». Un appello

accolto dall’Argentina che,il 12 dicembre scorso, hadichiarato «lo stato di emer-genza per le tossicodipen-denze sino a fine 2018», im-pegnandosi a combattere ilnarcotraffico ed il crescenteconsumo di droghe. «Negliultimi 40 anni nessun go-verno ha messo questo enor-me problema al centro dellasua attenzione» ha dettopadre Pepe nella speranza -che è poi anche la nostra -che finalmente adesso lecose cambino.

e della tratta a fini di prostituzione.Padre Viroche è stato trovato impiccatoma nessuno crede al suicidio, a comin-ciare da Gustavo Vera, coraggioso atti-vista sociale, leader della FondazioneLa Alameda nonché amico di papaFrancesco. «Da anni lotto contro il nar-

Argentina a rischio default

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P er sei mesi l’esercito e circa 100 volontarinepalesi hanno sfidato un’altitudine di

oltre cinquemila metri e freddo estremo, perabbassare il livello del lago Imja. In una lottacontro il tempo, senza strade percorribili,hanno gettato dagli elicotteri il materiale ne-cessario a costruire una diga e a evitare inon-dazioni sul tetto himalayano.Tecnicamente le chiamano GLOF, Glacial LakeOutburst Floods, ovvero “inondazioni im-provvise dai laghi glaciali”, che avvengonoquando i ghiacciai si sciolgono per il riscalda-mento globale e i bacini lacustri non riesconoa contenerne la portata idrica. Mentre in Oc-cidente c’è ancora chi - come il neopresidentestatunitense Donald Trump - nega il riscalda-mento globale, per i nepalesi esso è qualcosadi molto tangibile e pericoloso.Già nel 2000 il governo di Kathmandu feceabbassare il livello del lago Tsho Rolpa, chein cinque anni era passato da 0,23 chilometriquadrati a 1,53 chilometri quadrati. E per ilfuturo le autorità del Paese asiatico, uno deipiù poveri dell’area, devastato nel 2015 da ungravissimo terremoto, stanno pianificando diintervenire in altri cinque laghi.Rishi Ram Sharma, direttore del Dipartimentonazionale di idrologia e meteorologia, spiegache i suoi ricercatori stanno analizzando lecondizioni geofisiche lacustri, ma hanno a di-sposizione dati vecchi. Indagini più aggiornatepotrebbero stabilire che più zone sono arischio di GLOF.Il lago Imja, che fino agli anni Cinquanta nonesisteva, ora minaccia la regione dell’Everestpercorsa dai trekker e abitata da persone chesopravvivono grazie al turismo. Il Centro in-ternazionale per lo Sviluppo montano integrato,con sede a Kathmandu, riporta 35 casi recentidi GLOF in Nepal, Bhutan e Tibet. E addiritturacinque solamente nell’Hunza Valley pachistana,nella prima metà del 2008. Intanto gli studi(appoggiati anche dall’Onu), secondo cui dal2000 al 2015 ci sarebbe stato un rallentamentonel riscaldamento globale, vengono smentiti.Non avrebbero tenuto conto in modo adeguatodel “calore” degli oceani degli ultimi 20 anni.

di Francesca Lancini

NEPAL, UNALEZIONE PER TRUMP

OSSERVATORIO

ASIA

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Villa Miseria, baraccopoli a Tucuman, città argentina.

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FOCUS Dopo la morte di Bhumibol di Thailandia

F inirà ad ottobre di quest’anno illungo periodo di lutto dei thai-landesi per la morte dell’amato re

Bhumibol Adulyadej. Dopo 70 anni diregno, Rama IX si è spento il 13 ottobre2016 nell’ospedale Sirijaj di Bangkok a88 anni, lasciando il suo Paese in unadelicata fase di transizione, ufficialmenteiniziata l’1 dicembre scorso con la nominaal trono di suo figlio Maha Vajiralongkorn.Il primogenito di Bhumibol dopo la finedel lutto nazionale diventerà ufficialmenteil decimo sovrano della dinastia Chakri,fondata a Bangkok nel 1728.Le immagini dei thailandesi piangentiper salutare la salma del vecchio rehanno fatto il giro del mondo, gli abiti alutto per il lungo addio al “padre dellapatria”. In effetti re Bhumibol e suamoglie Sirikit sono stati per molte gene-razioni due figure onnipresenti nella vitadell’ex regno del Siam: i ritratti del resulle banconote, agli incroci delle strade,sugli ingressi dei palazzi dell’ammini-strazione dello Stato. Anche nelle bot-tegucce dei mercati di frutta e sete, suicruscotti dei taxi, nelle stazioni ferroviarie.Ovunque. A testimoniare il riconoscimentodell’identità nazionale in un simbolo uni-ficatore dalle caratteristiche molto speciali,

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

[email protected]

Il lungo lutto in attesa del nuovo re

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»

come indica il titolo di Bodindradeba-yavarangkun che, in lingua pali, indicanel re il “discendente del dio Indra, dalsuo sangue e la sua carne, Signore ditutti gli angeli”. Nel giugno del 2006, alculmine dei festeggiamenti per i 60 annidi governo, Bhumibol era apparso al bal-cone della sala del trono, coperto da unpesante mantello d’oro. Lentamente avevaalzato la mano per salutare il suo popoloe aveva abbozzato un leggero sorriso.L’emozione era tale che molti partecipanti,vestiti di giallo - il colore del re – avevanole guance rigate di lacrime. Gli osservatori

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stranieri erano rimasti stupiti da questamanifestazione di amore incondizionatoper un monarca venerato da buddisti einduisti.

COLPI DI STATO A CATENAMa tra il giubileo d’oro del 2006 e il2016, il caos che ha prevalso sulla scenapolitica ha prodotto una erosione delprestigio della famiglia reale. L’immaginedi Bhumibol è stata usata dal movimentoconservatore delle Camicie Gialle che siopponevano al primo ministro ThaksinShinawatra, al potere dal 2001 fino alcolpo di Stato del 2006. Il re ha presoatto di questo rovesciamento, così comedel putsch del 22 maggio 2014 che haportato al potere il generale PrayuthCha-ocha. Le prese di posizione politichedel monarca (sempre più vecchio, fragilee malato) hanno incrinato la tradizionee il re si è rivelato il leader che prendevaatto del volere della maggioranza: leCamicie Rosse (schierate con Thaksin) sisono sentite abbandonate, soprattuttodopo il silenzio reale durante gli scontridi maggio e aprile del 2010, durante iquali i militari avevano sparato sullafolla dei manifestanti pro Thaksin. Ilcolpo di Stato dei militari, dopo disordiniin varie città (ma soprattutto a Bangkok)

La Thailandia ha un nuovo re. Cinquanta giorni dopola scomparsa del padre, sua maestà BhumibolAdulyadej, morto il 13 ottobre a 88 anni dopo averregnato 70 anni, il principe ereditario MahaVajiralongkorn è diventato il decimo sovrano delladinastia Chakri, fondata a Bangkok nel 1782. Regneràsu un Paese che sta affrontando una complessa crisidi transizione sul piano politico ed economico.

con decine di morti e centinaia di feriti,ha soppresso la costituzione, sciolto ilgoverno e eliminato dalla scena pubblicala potente famiglia Thaksin.La Thailandia non è nuova a queste si-tuazioni, trattandosi del 19esimo putschdall’istituzione della monarchia costitu-zionale ad oggi. Nessun capovolgimentoha però intaccato il prestigio della figuradel re, e i reati di lesa maestà sono puniticon pene che arrivano fino a 15 anni dicarcere per chi insulta un membro dellacasa reale. Di fatto il sentimento nazionalee il rispetto dei simboli in cui si incarnaè una caratteristica della cultura del po-polo thai, gli “uomini liberi”, che nontollerano che due “turisti per caso”, comei ragazzi italiani Ian Gerstgasser e TobiasGamper, facciano a pezzi la bandieranazionale. Acciuffati nel gennaio scorso,dopo aver compiuto la stupida bravata,i due sono stati costretti a scusarsi uffi-cialmente e poi espulsi dal Paese.

CRISI ECONOMICANel Paese delle orchidee, su certe cosenon si scherza affatto. Bhumibol, unodegli uomini più ricchi del mondo, lasciaun Paese diviso tra una élite monarchicae una classe rurale ancora legata al de-posto premier Thaksin. Un regno fragile,dopo essere stato a partire dalla metàdegli anni Settanta il motore economicodella regione del Sud–Est asiatico.

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FOCUSFOCUS

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L a crisi può diventare una opportunità”.Una frase fatta che spesso serve solo a

nascondere l’ennesimo meccanismo di sfrut-tamento. Eppure qualcosa si muove.In Sudafrica, ad esempio, la forte svalutazionedel rand (la moneta locale) nei confrontidel dollaro rende difficile l’acquisto di di-spositivi tecnologici (e non solo) provenientida Stati Uniti o Cina. Troppo cari per unapopolazione che fatica a mettere insiemepranzo e cena, mentre gli indicatori economicisegnano un forte rallentamento nella crescitagenerale. Il Sudafrica ha infatti ceduto allaNigeria il primato di leader nello svilupponel continente. Ma una start up di Johanne-sburg ha raccolto quasi 11 milioni di dollariper finanziare la produzione e la commer-cializzazione in tutta l’Africa di una linea dismartphone economici basati sul sistemaAndroid. Prezzo stimato di vendita al pubblico40 dollari, ben al di sotto della media. Losmartphone in questione è rivolto ad unafascia sociale che non può permettersi devicepiù costosi. Arriverà sul mercato (anche inEtiopia) al massimo entro un anno e mezzo.Alcuni componenti saranno importati dallaCina ma progettazione, assemblaggio, fab-bricazione della scocca esterna saranno rea-lizzati nella Nazione Arcobaleno creandoalmeno 600 posti di lavoro. Si tratterà di undispositivo economico con una fotocameradi non alta risoluzione e un GB di Ram.Offrirà un dispositivo Android in un Paesedove gran parte della popolazione non hamai avuto accesso a internet.Molto interessato al nuovo dispositivo è il gi-gante dei motori di ricerca Google che inAfrica deve fare i conti con il 39% degli utentiche preferisce invece Opera per le navigazionion line a fronte del 32% che si affida aChrome. Ed il Sudafrica resta comunque unmercato interessante per il gigante di MountainView che potrebbe in questo modo allargareil proprio raggio di azione e aumentare con-siderevolmente i suoi profitti negli spazi pub-blicitari in vendita.

ALLA SCOPERTA DI INTERNET

AFRICAOSSERVATORIO

di Enzo Nucci

Oggi la Thailandia attraversa un periodoeconomico critico con gli investimentistranieri diminuiti del 90% nel 2015,mentre la Banca mondiale prevede untasso di crescita del 2%, il più deboledella regione in cui Myanmar e altriPaesi vicini sono molto più in salita. Illungo periodo di lutto nazionale che laThailandia sta attraversando, preoccupagli analisti per quanto riguarda il settoremanifatturiero, l’export e la potente in-dustria turistica, che da sola rappresentail 20% del Pil thailandese. Nei complessirapporti con Cina e Stati Uniti (alleatistorici per gli scambi militari e commer-ciali), si inserisce il Giappone che ha di-chiarato la sua disponibilità a sostenerele sue numerose imprese con sede nelPaese. Insieme alle condoglianze per lamorte di Bhumibol, il portavoce del go-verno giapponese, Yoshihide Suga, hadichiarato che il suo establishment«offrirà un appropriato sostegno allecompagnie giapponesi per minimizzarel’impatto sulle attività delle imprese»,oltre 4mila, che si sono impiantate in

Thailandia, dopo lo tsunami dell’11 marzo2011. Il Giappone è oggi, di fatto, ilmaggiore partner straniero, con investi-menti che ammontano, secondo l’orga-nismo del commercio internazionaleJetro, a oltre 3,8 miliardi di euro. Marchitrainanti sono Toyota e Nissan che, conle loro fabbriche sul territorio thai, hannosfornato lo scorso anno quasi 800milavetture ma che per i prossimi mesi hannogià programmato di ridurre la produzione,sospendere le campagne pubblicitarie eprocedere al ridimensionamento del per-sonale.

FRAGILI SCENARI PER IL NUOVO REL’instabilità politica che ha segnato gliultimi 10 anni si cristallizza ora intornoal problema della successione al trono,in un confronto generazionale difficileda affrontare, soprattutto per il principeMaha Vajiralongkorn, chiacchierato erededella dinastia regnante. Pluridivorziatoe amante della Baviera in cui ha da anniuna tenuta su lago di Starnberg, il 64ennere “in attesa di corona” non ama la vita

Maha Vajiralongkorn, decimosovrano della dinastia Chakrisul trono della Thailandia.

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Q ualche macchina da cucire arrivata daun vecchio convento, delle stoffe tipica-

mente mediorientali e alcune ragazze ira-chene, scampate alla violenza dell’Isis e ri-fugiate in Giordania. Sono questi gli ingredientidel progetto “Rafedìn - Made by Iraqi girls”,guidato da don Mario Cornioli (fidei donumdella diocesi di Fiesole in servizio al Patriarcatolatino di Gerusalemme) e finanziato dallaCaritas locale e dalla Custodia di Terra San-ta.Le giovani sono di origine irachena: chiarriva da Kirkuq, chi da Mosul, chi daNinive.Tutte hanno ricevuto minacce di mortein quanto cristiane e in una sola notte,quella della fuga, hanno perso casa, lavoro,la vita quotidiana di sempre. Ma tutte sonoaccomunate da una grande fede in Gesù,che è la roccia salda alla quale restano an-corate. «All’inizio eravamo dieci ragazze. Poiabbiamo cominciato a lavorare e siamo au-mentate, fino a raddoppiare. Sono venutedue persone a tenere un corso di cucito disei giorni. Dopo quattro mesi, sono arrivatedelle italiane che ci hanno insegnato cosenuove. Ora abbiamo abbastanza lavoro eabbiamo imparato a cucire» racconta Sally,una delle Iraqi girls.Con gli scarti di stoffe tipiche del MedioOriente, vengono realizzati abiti su modelliitaliani: capi che fanno invidia alla modapiù trendy, ma anche papillon colorati chevengono venduti con il passa-parola e tramiteweb. Le giovani sarte hanno addiritturacucito una casula da donare a papa Francesco.Nella lettera di accompagnamento si legge:«Siamo ragazze irachene rifugiate in Gior-dania. Siamo state forzate a lasciare il nostroPaese, l’Iraq, scappando dal terrorismo acausa della violenza di gruppi di banditi chesi fanno chiamare Stato Islamico. Abbiamodovuto lasciare tutti i nostri averi per salvarela nostra vita e la nostra fede nel SignoreGesù Cristo. […] Abbiamo cucito questa ca-sula con gli scarti del nostro lavoro. Anchenoi siamo state “scartate” da uomini malvagiche ci hanno cacciato dalla nostra terra. Madagli scarti tante volte può nascere una cosabella e utile per dare gloria al Signore».

di Chiara Pellicci

LE IRAQI GIRLS

OSSERVATORIO

MEDIO ORIENTEpubblica, gli affari politici e militari delsuo Paese. I militari al potere sostengonola sua candidatura per garantire unatransizione soft ad un Paese che sta at-traversando un doloroso passaggio traun sistema dominato da un lato da unaoligarchia di militari e burocrati, e dall’altrodalle spinte di una società più democraticae partecipativa. Un esperto di dinastiemonarchiche come David Streckfuss dice:«Il sistema esistente è talmente legato almodus operandi di Bhumibol, che è dif-ficile ipotizzare che questa immaginepossa essere riprodotta e indossata dalmonarca seguente. Anche un giovaneBhumibol avrebbe dei problemi in questaimpresa».Il rallentamento dell’attività politica po-trebbe complicare le elezioni previsteper la fine di quest’anno. In ogni caso, lasuccessione al trono sta producendo l’in-debolimento della monarchia, dopo unlungo periodo di fulgore iniziato neglianni Sessanta, e continuato nei decennigrazie all’affiatamento tra i militari e ilre. Mantenendo fede alla missione prio-ritaria di garantire la «protezione del-l’istituzione monarchica», i militari hannopermesso a quest’ultima di restare al disopra della mischia politica. Ma ora tuttosembra fluido, incerto, e tutti si chiedonocome Maha Vajiralongkorn potrà af-frontare il confronto con l’eredità di suopadre Bhumibol.

Dopo la morte di Bhumibol di Thailandia

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Le cosiddette “camicie rosse”,antigovernativi fedeli all’ex premier

Thaksin Shinawatra, protestano per lestrade di Bangkok nel marzo 2010.

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L’INCHIESTA

La politica che uccidepiù del gelo

teressi della nazione. E neanche quellidella Chiesa. Dal canto loro, i verticidella Chiesa ungherese, rimangono insilenzio. Padre Zoltan è isolato. Il geloscende su di lui e sulla sua comprensi-bile carità evangelica.È una storia raccontata dall’agenzia Afpquesta. E ripresa da diversi giornali stra-nieri. «Non sono un eroe – ha detto pa-dre Zoltan alla stampa estera – ho fattosemplicemente il mio dovere di cri-stiano». Ed è vero. Ma per gli standarddell’Ungheria, della Serbia e dei Paesidell’Est europeo che hanno applicato

«S alvateci prima che siatroppo tardi o moriremo difreddo». L’SOS arriva come

un messaggio nella bottiglia in una ge-lida mattina di dicembre, poco primadella vigilia di Natale. Padre Zoltan Ne-meth, parroco di Koermand, cittadinadi 16mila persone in Ungheria, al con-fine con la Slovenia, riceve la mail. Siallarma. Apprende che è stata inviatada uno dei 14 richiedenti asilo “rilocati”

dopo la chiusura del Centro d’acco-glienza di Bicske. Chissà come sonoriusciti a collegarsi ad internet e chie-dono aiuto. Si trovano nel campo di“fortuna” allestito temporaneamenteproprio alla periferia di Koermand:quattro tende malconce e nessuna as-sistenza. Il freddo uccide. Il parroco vasul posto. Offre ospitalità ai ragazzinella sacrestia della sua parrocchia. Mada lì a breve si scatena un putiferio. Iparrocchiani non apprezzano il gestodel sacerdote, che rischia di doverseneandare. Lo accusano di non fare gli in-

di ILARIA DE [email protected]

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emergenza umanitaria causata da po-litiche disumane e dalla chiusura dellaRotta Balcanica. Tutti i giorni dal mesedi gennaio scorso, abbiamo ascoltato econtinuiamo oggi ad ascoltare, storiedi uomini morti assiderati alle porte diBelgrado e al confine austriaco. Il 6gennaio i cadaveri di due giovani ira-cheni di 28 e 35 anni sono stati ritrovatidagli abitanti del paese di Izvor nellaregione di Burgas, vicino al monteStrandzha, al confine tra Bulgaria e Tur-chia. Izvor era scelta dai migranti illegaliperché unico varco per superare lo sbar-ramento all’Europa, dal momento chein quel punto non ci sono recinsioni,come racconta l’Huffington Post.Sono settemila secondo l’Unhcr i rifu-giati che tentano l’ultima carta balca-nica, nonostante il gelo e nonostantela chiusura della rotta (vedi box a pag.20) che fino al marzo 2016 era ancoraaccessibile. Fa specie apprendere che iragazzi salvati da padre Zoltan - cosìcome quelli che osserviamo nei terribiliscatti dove somigliano ai profughi dellaSeconda guerra mondiale, con addosso

Dopo la chiusura della Rotta Balcanica

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coperte da campo - vengono dal Kur-distan iracheno, dall’Afghanistan e dalCamerun. Nonché da Nigeria e Congo.Paesi dove il fondamentalismo e laguerra mietono vittime.Le organizzazioni locali stimano chenella sola Serbia arrivino a 10mila, dicui seimila ospitati nelle strutture uffi-ciali e solo 3.140 di queste più o menoadatte per affrontare un gelido inverno.Il resto della gente dorme fuori, negliedifici abbandonati di Belgrado o nellebaracche di montagna al confine. Alcunipersino nei boschi, a meno 20 gradi dinotte. L’ipotermia è un fenomeno dram-matico: «Ci sono stati sette casi di con-gelamento a Belgrado nelle ultime 24ore, vi assicuro che è molto più gravedi quanto sembra. Il congelamento fasì che il sangue non raggiunga le estre-mità del corpo, addormenta i nervi enei casi più gravi può essere trattatosolo con l’amputazione perché i tessutimuoiono. Sono certo che il numero dicasi aumenterà significativamente»,spiegava all’inizio di gennaio AndreaContenta, esperto di Affari umanitariper Medici Senza Frontiere.

“UNGHERIZZAZIONE” DELLE FRONTIERETra i governi più inferociti contro i mi-granti l’Ungheria di Viktor Orban è al1° posto. Il premier ultranazionalista haripristinato la pratica della custodiacautelare in carcere per i richiedentiasilo: significa che per tutto il tempoin cui le persone sono nel Paese, in at-tesa di una risposta al loro status, do-vranno rimanere in carcere. «La misurava contro le norme internazionali pre-cedentemente accettate anche dall’Un-gheria - ammette Orban - . Lo sappiamoma lo faremo lo stesso». Il governo diBudapest è così spietato nel respingerei migranti che la sua barriera fatta difilo spinato, vetri, taglierini e cemento,al confine del Paese con la Croazia e laSlovenia, sta facendo scuola. Vienechiamata “ungherizzazione” dei confini.Consiste nell’inventare sistemi »

Migranti in fila per la distribuzionedel cibo a Belgrado, Serbia.

Pur trovando sbarratala Rotta Balcanica,varco di accessoall’Europa, dal marzo2016 impedito aimigranti, i richiedentiasilo da Siria,Afghanistan, Iraq,Africa, non siarrendono. Cercanoaltre vie. Ma giunti inSerbia e l’Ungheriamuoiono assiderati dal freddo.

già da tempo politiche nazionaliste dirifiuto totale dell’accoglienza ai mi-granti, la sua diventa un’eccezione quasieroica. O ai limiti della legalità. A se-conda del punto di vista.

SEGUIRE IL VANGELO IN UNGHERIA«Io seguo Gesù non i leader politici»,continua a ripetere il sacerdote, 61 annie un passato di missionario in AmericaLatina. Da lì ad un mese, ecco che l’ec-cezione di quell’emergenza freddo di-verrà la regola. La morte per “ipotermia” è l’ultima

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dove le aziende pubblicizzano i loro sis-temi anti-rifugiato. In questo elenco degliorrori rientrano i droni, diverse tipologiedi filo spinato, ma anche i cani addestratia riconoscere “un certo odore”: quellodei clandestini.Le istituzioni ungheresi e quelle serbenon solo non accolgono, ma vorrebberorestituire direttamente al mittente chiarriva dall’inferno. Respingendo i malca-pitati in patria, in violazione di tutte lenorme di diritto internazionale. Comeracconta l’Osservatorio Balcani e Caucaso:«L’organizzazione serba Infopark, che

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L’INCHIESTA

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A ll’inizio del 2015 i media si accorsero che, per raggiungerel’Europa, i profughi utilizzavano una via da quel momento

indicata come “Rotta Balcanica”. In realtà quell’itinerario eraattivo da anni, almeno dal 2012, seppure in numeri contenuti. Chifuggiva dalle guerre e dalla miseria del Medio Oriente e dell’Asia,arrivava in Turchia e da lì con piccole imbarcazioni sbarcava sullevicine isole greche, Kos in particolare, per raggiungere la Macedoniae quindi, avventurandosi attraverso la Bulgaria o la ex Jugoslaviae superati i confini ungheresi, finalmente entrava nei territori del-l’Unione.Furono tra i 750 e gli 850mila i fuggitivi in quell’anno, tanti da al-larmare i Paesi attraversati dall’esodo e tutti i governi del VecchioContinente. Le spinte razziste e xenofobe, alimentate da alcuneforze politiche europee, avevano indotto proteste anche violente.Allora per fermare il fenomeno si inasprirono i controlli allefrontiere, si scatenarono violente campagne di stampa, il governodi Budapest arrivò a decidere la costruzione di un muro lungo ipropri confini «per fermare l’invasione».Dopo interminabili polemiche, il 18 marzo 2016 i 28 governidell’Ue trovarono un accordo per “bloccare” la rotta. La soluzionefu quella di decidere il respingimento dei migranti in Turchia. Lamisura fu definita «temporanea e straordinaria» necessaria perporre fine alle sofferenze umane e ripristinare l’ordine pubblico. Incambio del “sacrificio”, il governo di Ankara ottenne un primoversamento di tre miliardi di euro per le spese di “accoglienza” ela promessa di seconda tranche di altri tre miliardi entro la finedel 2018.

Da quel momento, il flusso di persone che entravano nell’Europaunita attraverso i Balcani si è in parte fermato. Ma nel frattempomolti hanno forzato il blocco. Secondo Frontex, l’Agenzia europeadella Guardia costiera e di frontiera, nel 2016 gli arrivi in Greciasono crollati del 79% e i viaggiatori lungo la rotta si sarebberoridotti a 123mila persone. Da allora sulla sorte di chi è deportatoo trattenuto in Turchia o rimasto bloccato in Grecia è sceso unsilenzio quasi totale.Rim Alkardus, una donna fuggita dalla Siria con la figlioletta Shandi un anno e mezzo ed il marito, ha raccontato: «È stato difficile,abbiamo tentato più volte di passare i confini con la Turchia.Quando alla fine ci siamo riusciti e siamo arrivati ci hanno trattatomalissimo. Ci hanno tenuti chiusi in uno spazio angusto con po-chissimo cibo ed abbiamo subito violenze».Se le condizioni dei profughi in Turchia sono molto difficili, anchechi sta in Grecia non se la vede bene. Eleni Takou, responsabileellenica di Solidarity Now, racconta: «Da noi ci sono campiprofughi dove le condizioni di vita, soprattutto ora che è arrivatol’inverno, sono molto difficili. Oserei dire disumane. C’è chi vivenelle tende senza alcun riscaldamento con temperature moltobasse ed in condizioni igieniche precarie. In questo momento,secondo le stime del governo, più di 60mila persone sono rimasteintrappolate sul territorio greco».La chiusura della Rotta Balcanica, insomma, è servita a placarele proteste di settori di opinione pubblica europea contrari all’ac-coglienza, ma non ha certo messo fine all’esodo. Chi scappadalle guerre e da morte certa, non si ferma di fronte a nulla:migliaia di persone sono oggi abbandonate a se stesse nell’infernodi campi. E lungo le frontiere bloccate, in cerca di un varco. Diun’ancora di salvezza.

“innovativi” e incredibilmente spietatiper respingere le persone. Ma costruirebarriere difensive significa anche ali-mentare un mercato: il business dellebarriere. «Una barriera non è solo unabarriera – spiega un esperto dell’Uni-versità di Alborg al Middle East Eye - èuna infrastruttura che cresce e si per-feziona grazie a dei contratti e a delleaziende».Middle East Eye in un dettagliato repor-tage racconta dall’interno cosa accadeal Borderpol Global Forum, una specie difiera che si tiene ogni anno a Budapest,

Storia della Rotta interrottadi Roberto BarberaMail: [email protected]

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bus. Ad imporre loro di lasciare il mezzo,secondo quanto riportato dal personaledi Infopark, una pattuglia di polizia edesercito ai confini con la Bulgaria e laMacedonia.Subito dopo, i loro documenti sono statisequestrati e il gruppo di richiedentiasilo è stato condotto, a bordo di unaltro veicolo, nei pressi del confine conla Bulgaria dove è stato abbandonato,nel bel mezzo della notte e con unatemperatura di meno 11 gradi. Fortu-natamente la famiglia è riuscita a tele-fonare ai volontari di InfoPark ed è statasalvata dalla polizia locale. Rimane ilfatto che migliaia di persone, nono-stante il freddo, scappino dalle loroterre passando per la Grecia e åarri-vando alle porte d’Europa. Continuanoad attraversare i Balcani occidentali neltentativo di raggiungere il Nord, affi-dandosi a trafficanti di esseri umanisenza scrupoli e alla fortuna.

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Dopo la chiusura della Rotta Balcanica

opera nel centro di Belgrado, ha denun-ciato il tentativo di espulsione di una fa-miglia siriana verso la Bulgaria». Il casoriguarda un gruppo di sette migranti, trai quali anche un bambino di due anni,che si trovava a bordo di un autobus dilinea in direzione Bosilegrad, una piccolacittà nella Serbia meridionale, dove sa-rebbero stati registrati in uno dei campiprofughi, in attesa di ottenere il via liberaper attraversare il confine con l’Ungheria.«La famiglia era regolarmente registratanel Paese e aveva espresso l’intenzionedi chiedere asilo in Serbia, come confer-mato dai documenti in suo possesso»,scrive l’Osservatorio Iraq. La famiglia nonha mai raggiunto la propria destinazionefinale: vicino Vladi in Han i sette sirianisono stati costretti a scendere dall’auto-

F atwa è una parola araba che abbiamoimparato a conoscere in riferimento ad

una condanna a morte inflitta da un’autoritàmusulmana nei confronti di chi è ritenuto reodi blasfemia verso l’islam (un caso che fecescalpore fu quello dello scrittore SalmanRushdie per il suo libro “Versetti satanici”).Per la verità, però, il termine fatwa indica ge-nericamente un responso giuridico su questioniriguardanti il diritto islamico o pratiche diculto. Non c’è quindi da stupirsi se in Egittoc’è un organismo autorevole e rispettato alivello internazionale che si chiama “Casadella Fatwa”. Si trova al Cairo, è presiedutodal Gran Mufti d’Egitto ed è incaricato di dif-fondere pronunciamenti orientativi e scioglieredubbi e controversie riguardo all’applicazionedi tutti i precetti coranici.Ed ecco la buona notizia: la “Casa della Fatwa”ha emesso un pronunciamento per confermareche è assolutamente legittimo consentire chei cristiani costruiscano chiese in una nazioneislamica, nel dovuto rispetto delle leggi delloStato.L’affermazione può sembrare scontata, manon lo è affatto in un Paese dove solo l’11 di-cembre scorso è stata compiuta una stragetra i fedeli riuniti per la messa nella cattedralecopta di San Marco provocando la morte di26 persone, e in un contesto in cui alcuni pre-dicatori salafiti avevano vietato ai musulmanidi congratularsi con i cristiani in occasionedelle festività del Natale (in quanto farloavrebbe rappresentato un “grave peccato”) ealtri esponenti islamici avevano addiritturaaffermato che per un musulmano l’odio versoi cristiani rappresenta una sorta di precettoreligioso. Invece, già nei giorni precedenti alloscorso Natale, la “Casa della Fatwa” aveva ri-badito che un musulmano non deve averenessuna esitazione a porgere le proprie felici-tazioni ad amici e conoscenti cristiani in occa-sione delle loro feste liturgiche, perché talecomportamento contribuisce ad alimentarela convivenza pacifica tra le diverse componentidella società. Anche il recente pronunciamentorelativo alla costruzione di chiese in unanazione islamica va in questa direzione.

di Chiara Pellicci

EVVIVA LA “CASADELLA FATWA”!

OSSERVATORIO

GOODNEWS

La barriera di filo spinato anti migranticostruita dall’Ungheria nei pressi delvillaggio di Gara al confine con la Serbia.

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«H o sempre disegnato, ma con uno stile del tutto diversoda questo, solo per gioco. Da quando vivo a Lampedusa

e mi confronto quotidianamente con il dolore, il senso di impotenzae tante storie davvero pesanti, ho cominciato a disegnare conquesto stile, per raccontare volti, persone, per denunciare, perfare sintesi. Forse anche per autoterapia». A parlare è FrancescoPiobbichi, operatore umanitario impegnato da tre anni nel Progetto“Mediterranean Hope – Osservatorio sulle migrazioni di Lampe-dusa” sostenuto dall’Unione delle Chiese valdesi e metodiste.Originario di Umbertide, nato nel 1972, non si definisce un artistama «un attivista sociale che utilizza il disegno per raccontare lafrontiera», un luogo geografico, ma non solo, sul quale si trova avivere da anni. Lo stile dei suoi disegni è caratterizzato da vortici,scarabocchi ripetuti, a ricordare la ripetizione dei racconti dei mi-granti: persone sempre diverse tra loro, che narrano storie sempreuguali, fatte di violenza da parte dei trafficanti di uomini, costrizionea salire a bordo sotto la minaccia di armi con qualunque condi-zione del mare, compromissione dei gommoni che imbarcanoacqua già prima della partenza, naufragi in mezzo al Mediterraneoche decimano il numero dei migranti, soccorsi che restituisconosperanza ai sopravvissuti. Ma lo stile dei disegni di Piobicchi ècaratterizzato anche da colori molto vivaci e accesi, a ricordareche – nonostante tutto – in ogni storia raccontata da chi l’ha vis-suta in prima persona, c’è sempre e comunque un segno di vita,

S C A T T I D A L M O N D O

Corridoi umanitari subito

Eravamo 130

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una speranza. «Con il disegno – continua l’autore - ho volutorompere la “pornografia dell’immagine”, troppe volte presentenelle foto scattate senza pudore. Invece il tratto, i colori, gli schizzipermettono di fare dei ragionamenti politici che denunciano pro-cessi economici di sfruttamento ed egoismo sociale. Per esempio:il fatto che nei miei disegni il filo spinato sia sempre attaccato allepersone, vuole ricordare che la frontiera, queste persone, se laportano dietro, ovunque vadano a finire».

Ogni disegno sembra riferirsi ad una storia di unapersona in carne ed ossa, con un volto, un nomee cognome. Lo si capisce anche dai titoli che Piob-bichi sceglie per ognuno dei suoi schizzi colorati:“Eravamo 130”, “Sali alla svelta”, “La Libia mi habruciato l’anima”, per esempio. Eppure i racconti

del viaggio sono quasi tutti uguali, si ripetono, come se fosserofotocopia l’uno dell’altro. Anche se ogni storia lascia increduli,senza parole, per il carico di brutalità, disumanità, sofferenza.Come “L’odissea del 3 novembre” (che è diventata anche un vi-deo, scaricabile da YouTube, illustrato con i disegni di Piobbichi):racconta la cronaca di un naufragio con le parole di due migrantiprovenienti dal Camerun: Stephan e Steve, di 26 e 37 anni, en-trambi salvi per miracolo.

A cura di EMANUELA [email protected]

Testo di CHIARA [email protected]

Disegni di FRANCESCO PIOBBICHI

STORIE DA LAMPEDUSA

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Lampedusa salva vite

Frontex

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bichi dal titolo “Disegni dalla frontiera”, alla scoperta dell’espe-rienza che si vive nelle zone di passaggio come Lampedusa,ma non solo. «Le frontiere - commenta l’autore – sono tante:Lampedusa è una di queste e lo è da anni. Ma oggi i luoghi difrontiera sono esplosi ovunque: penso a Ventimiglia o alle sta-zioni delle grandi città italiane, come Milano. Ormai Lampedusaè un’isola che salva, ma non integra, perché qui si vivono mol-tissimi transiti, ma pochi, pochissimi intrecci». Eppure il germedel razzismo si annida ovunque e «nasce – denuncia Piobbichi- dal momento in cui ci si divide in categorie, ci si separa “noi”da “loro” (i migranti, ndr). A me piace parlare sempre e solo di

MOSTRA DI STORIE E VOLTITra tutte quelle ascoltate, è questa la storia che ha colpito mag-giormente Piobbichi: «È quella che racchiude tutti i racconti:sembra il mito fondativo di un viaggio unico. Ma questa ha unvalore aggiunto: termina con una presa di coscienza da partedei superstiti, con la loro voce che si alza e chiede giustizia peril dramma accaduto».Le 120 vittime di quel 3 novembre sono solo alcune delle decinedi migliaia affogate nel Mar Mediterraneo (4.899 solo nel 2016,secondo dati Unhcr al 21 dicembre scorso). Uomini, donne,bambini diventati i protagonisti della mostra di Francesco Piob-

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S C A T T I D A L M O N D O

Il muro tra noi e loro In equilibrio sulla frontiera

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“persone”. Con gli stessi diritti».A Lampedusa il progetto Mediterranean Hope, per il quale lavoraPiobicchi, ha dato vita - insieme alla parrocchia cattolica di SanGerlando, a enti e associazioni territoriali - al Forum Lampedusa

Solidale che si preoccupa di fornire accoglienza e praticarla intutte le sue forme. Quando i migranti sbarcano sull’isola, sulmolo viene offerta una prima assistenza: una bottiglia d’acqua,un bicchiere di tè caldo, delle coperte, una parola di benvenuto.Racconta l’autore dei disegni: «Mi fermo sul molo, respiro ecerco di capire meglio. L’umanità si sta muovendo, uomini edonne, a decine di migliaia si spostano dai loro Paesi, fuggono

da guerre, dalla povertà e cercano speranza. Qui, dalla frontieradi Lampedusa, faccio da anni la mia parte. E disegno. Con tuttii colori possibili».La mostra di storie e volti da Lampedusa sta facendo il girod’Italia ed è arrivata anche a Bruxelles, nella sede del Parlamentoeuropeo. È itinerante e gratuita: basta una sala, una scuola, unaparrocchia dove esporla, o comunque un luogo che inviti achiudere gli occhi e arrivare lì, a Lampedusa, per testimoniarela propria scelta di non respingere altri fratelli e sorelle che cer-cano solo la possibilità di una vita migliore.Per informazioni contattare [email protected]

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STORIE DA LAMPEDUSA

Grazie Lampedusa

Sotto shock

Fiore nel mare spinato

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L’analisi di papa Francescoevidenzia le ragioni che sono

alla base dei fenomeni sociali,politici e culturali che più

spaventano i cittadini della“fortezza Europa” e

dell’Occidente più in generale.Paura del presente e delfuturo, crisi dei mercati

finanziari, respingimento eaumento delle masse dei

poveri, tensioni latenti perattacchi terroristici e nuove

presenze sulla scena politicamondiale sono problemi chedevono far riflettere tutti gli

uomini di buona volontà.

«C’è un terrorismo di base che deriva dal controllo globale del denarosulla terra e che minaccia l’intera umanità. Di questo terrorismo

base si alimentano i terrorismi derivati come il narco-terrorismo, il terrori-smo di Stato e quello che è erroneamente chiamato terrorismo etnico o re-ligioso». Parole fortissime che papa Francesco aveva pronunciato durantela conferenza stampa nel volo verso la Polonia lo scorso 31 luglio, e cheha ribadito nel corso dell’incontro con i movimenti popolari del mondo inVaticano il 5 novembre 2016, in un discorso che si segnala come uno deipiù belli del pontificato. Il papa ha denunciato il dominio dell’“economia cheuccide”, come aveva scritto nell’Evangelii Gaudium, divenuto oggi dittaturaeconomico-sociale diffusa a livello globale, come espressione concreta diquel paradigma tecnocratico che governa il mondo, che Francesco avevacondannato nella Laudato Si’. «Ma nessuna tirannia - ha rincarato il pon-tefice davanti ai movimenti popolari - si sostiene senza sfruttare e moltipli-care le nostre paure». Toccando così quello che è lo Zeitgeist (lo spirito deltempo) di questo inizio di millennio dominato da una “paura liquida”, comeha osservato Baumann. Un sentimento che nasce quando il presente ti sgo-

L’ombra dei m

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saggi importanti del suo discorso ai rap-presentanti dei movimenti popolari :«Ilrapporto tra popolo e democrazia corre ilpericolo di offuscarsi, fino a diventare ir-riconoscibile. Il divario tra i popoli e le no-stre attuali forme di democrazia si allargasempre più come conseguenza del-l’enorme potere dei gruppi economici emediatici che sembrano dominarle». Emolto spesso sono Paesi di tradizione cri-stiana e leader che si professano cristiani,gli artefici di questa deriva della democra-zia che, proprio per contrastare l’enormediseguaglianza che sconvolge il mondo (ilmale maggiore, l’ha definito), ha esortatoi movimenti popolari e il popolo dei poveriad entrare direttamente nella «politica

Papa Francesco all’incontro coni movimenti popolari nel mondoin Vaticano il 5 novembre 2016.

menta, il futuro ti spaventa. E quando glialtri, tutti gli altri, ti appaiono come una mi-naccia, come un esercito invasore. Nasceda qui la paura dei poveri e degli impove-riti dei Paesi ricchi che li spinge a rifiutareaccoglienza e a scacciare i più poveri,che fuggono dai loro Paesi sconvolti dafame e guerra. E così si alzano «muri - hadetto il papa - che rinchiudono alcuni edesiliano altri. Cittadini murati, terrorizzati daun lato; esclusi, esiliati, ancora più terro-rizzati dall’altro».

“DEMOCRATURA” E CHIUSURE NAZIONALISTESentendosi minacciati dagli immigrati, sulpiano del lavoro, della prosperità e della si-

curezza, i cittadini della (sempre più incrisi) “fortezza Europa” giungono a negarei diritti fondamentali agli stranieri, pen-sando in questo modo di difendere i pro-pri diritti. Ma sottovalutando nello stessotempo il paradosso drammatico che siviene a creare, e che Michele Ainis sinte-tizza nella domanda: «Può esistere un’en-tità politica antidemocratica versol’esterno, che si conservi democratica alsuo interno?». Il populismo e la xenofobiafanno così scivolare i sistemi democraticiverso la “democratura” (come la definivaPredrag Matvejevic) e verso la chiusuranazionalista, come ci mostra il panoramainquietante dell’Europa dell’Est. E su que-ste stesse riflessioni torna il papa in pas- »

muri sulla democrazia

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«un progetto-ponte dei po-poli di fronte al progetto-muro della finanza specu-lativa», che costruisca unosviluppo autenticamenteumano, integrale e rispet-toso della casa comune,giacché - ammonisce ilpontefice in un passaggioche riguarda da vicino l’Eu-ropa e il nostro Paese -«non sono vero sviluppoquelle “protesi” cosmeti-che che questo sistemamoralmente atrofizzatopropone: crescita econo-mica, progressi tecnolo-gici, maggiore “efficienza”per produrre cose che si

comprano, si usano e si buttano, inglo-bandoci tutti in una vertiginosa dinamicadello scarto». E dove le prime vittime sonoi migranti, i rifugiati e gli sfollati, puntua-lizza il papa, che spiega perché ha decisodi assumere, almeno per un certo tempo,la responsabilità della sezione dedicata aldramma dei migranti del nuovo Dicasteroper lo Sviluppo Umano Integrale: «Perchési tratta di una situazione obbrobriosa,che posso solo descrivere con una parolache mi venne fuori spontaneamente aLampedusa: vergogna». Una tragedia cheè al tempo stesso – ricorda il papa con leparole pronunciate dall’arcivescovo Hiero-nymos di Grecia a Lesbo – una bancarottadell’umanità, immensamente più gravedelle scandalose bancarotte bancarie. Pa-role sferzanti, sempre attuali, se solo pen-siamo al piccolo Mohammed Shohayet, diappena 16 mesi, spiaggiato nel fango diun fiume all’inizio di gennaio scorso, iconadel popolo-ombra dei Rohingya, perse-guitato dalla buddista Birmania, conl’avallo del premio Nobel per la pace AungSan Suu Kyi.Contro l’ingiustizia e il dolore di un mondovieppiù diseguale violento e impaurito, tuttidevono intervenire per ristabilire le ragionidella speranza – implora Francesco - che,di fronte al diffondersi di leader politici xe-nofobi e nazionalisti, ricorda da che partevuole che si ponga la sua Chiesa.

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alta, con la maiuscola, creativa, dallegrandi visioni».

LA VOCE DEI POVERIOra, con Donald Trump presidente degliStati Uniti, tutto sembra complicarsi. An-che per il pontificato di Francesco. La“cultura dei muri” e l’islamofobia diTrump, votato da molti cattolici, rischianodi rafforzare gli ambienti ecclesiali piùconservatori, che diffidano dell’atteggia-mento inclusivo di Bergoglio verso gli im-migrati, i divorziati risposati e gli omo-sessuali. C’è già un cardinale, l’americanoRaymond Burke, che ha salutato il neopre-sidente come «difensore dei valori dellaChiesa». Il rischio, insomma, è che si ali-menti, dentro e fuori la Chiesa, un movi-mento percorso da pulsioni che vanno indirezione opposta a quella indicata daFrancesco, in America come in Europa. Ec’è chi teme che da questi ambienti, og-gettivamente resi più forti da un presi-dente che in campagna elettorale si erascontrato con papa Bergoglio, presentan-dosi peraltro come l’ “argine bianco” con-tro l’invasione degli immigrati latinoame-ricani, possa venire una insidiosapressione perché il papa argentino sfumie ricalibri la propria strategia, come ha ri-cordato Massimo Franco. Ma il papa vaavanti imperterrito ed indica nei movi-menti popolari un soggetto fondamentale

per provare a riordinare un mondo sull’orlodella terza guerra mondiale. Unico leader

mondiale a farlo, Francesco torna a riven-dicare per ogni abitante del pianeta il dirittofondamentale alla terra, alla casa e al la-voro, e torna a chiamare i promotori delmovimenti popolari “poeti sociali”, per-ché capaci di concatenare in modo crea-tivo milioni di piccole e grandi azioni chenel loro insieme delineano un’alternativaumana alla globalizzazione dell’indiffe-renza, puntando sui tre obiettivi decisivi diuna politica degna di questo nome: met-tere l’economia al servizio dei popoli, co-struire la pace e la giustizia, difendere laMadre Terra.

LA MISERICORDIA RICHIEDE CORAGGIOIl terrorismo, ammonisce poi Francesco inun passaggio di drammatica attualità, sialimenta con i muri, e di fronte a quanti an-cora confondono la misericordia con ilbuonismo, o peggio, con il relativismo,scandisce: «La misericordia non è facile,richiede coraggio. Per questo Gesù cidice: “Non abbiate paura”, perché la mi-sericordia è il miglior antidoto contro lapaura. È molto meglio degli antidepressivie degli ansiolitici. Molto più efficace deimuri – che prima o poi cadono -, delle in-ferriate, degli allarmi e delle armi». C’è bi-sogno – argomenta ancora Francesco - di

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Agenti di polizia alconfine serbo-croato.

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CRIMINI CONTRO L’UMANITÀ IN SIRIA

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LA GUERRA SIRIANA CI MOSTRA OGNI GIORNO UN INFINITOREPERTORIO DI BRUTALITÀ CONTRO I CIVILI. «LABORATORIO DICRUDELTÀ», LO HA DEFINITO IL PAPA. LE ATTUALI “EMERGENZEUMANITARIE”, DALLA SIRIA ALLO YEMEN ALL’IRAQ,CONTENGONO GIÀ SOTTO TRACCIA LE GUERRE DI DOMANI.RIPRISTINARE LA GIUSTIZIA È DUNQUE UN OBBLIGO.

AberrazionibellicheAberrazionibelliche

di Ilaria De Bonis - [email protected]

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«D opo avere esportato le guerre, questesono tornate da noi sotto forma di terrori-

smo, profughi e destabilizzazione. La guerra, intutte le forme in cui si presenta, non bussa allaporta, non prende appuntamenti, né conosce va-canze. LʼOccidente dimentica il passato e si fasorprendere dal presente». Alberto Negri, inviatodi guerra per Il Sole 24 Ore, affida ad un post suFacebook questa riflessione. Come si è involutala strategia bellica in questi ultimi anni in MedioOriente? Lʼaberrazione più evidente, nelle guerreancora in corso, è la Siria. La “trappola di Aleppo”,

lʼassedio di Assad ai civili, le restrizioni imposteagli aiuti umanitari; la spietatezza dei jihadisti, ladebolezza delle Nazioni Unite: una miscela esplo-siva che sostanzialmente ci spiazza ma ci lasciainerti. I conflitti si fanno sempre più atroci e violentiovunque. Ormai da anni non riguardano più sologli eserciti (inesistenti in senso tradizionale),quanto la gente comune. Lo scrive lʼOcha (agenziaOnu per gli aiuti umanitari), lo riportano gli istitutidi ricerca e le ong di denuncia. Lo vedono con ipropri occhi fotoreporter e inviati; giornalisti, free-lance e operatori umanitari. Mentre scriviamo è

Siriani in fuga dal quartiere Bustan Al-Basha, Aleppo est.

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in agenda lʼavvio di negoziati di pace ad Astana,in Kazakistan, il 23 gennaio. Ma chi negozieràper lʼopposizione siriana? Il fronte opposto aBashar al Assad non è un fronte. Dentro cʼè ditutto. «Quello che oggi accade in Siria è un labo-ratorio di crudeltà»: la sintesi più efficace vieneda papa Francesco. Il rischio è che questo espe-rimento di morte in futuro produca mostri.

Civili o militari?«Tre milioni e mezzo di persone richiedono assi-stenza umanitaria in Siria e sono intrappolate inaree assediate e difficili da raggiungere, espostea gravi minacce», denuncia lʼOcha. Oltre unmilione di siriani vive ancora sotto assedio neigovernatorati di Damasco, Homs, Deir Ezzor eIdlib. Ad Aleppo la sorte dei civili è stata (e ancoraè) nelle mani di Bashar al Assad, dittatore e cri-minale di guerra. Secondo il Syrian AccountabilityProject (collettivo di attivisti, studenti e ong) lalista delle accuse contro Assad è piuttosto lungae comprende diversi crimini commessi in spregioalla Convenzione di Ginevra (vedi box a pagina32). «Molti gruppi hanno ucciso i civili in Siria, manessuno tanti quanti il governo siriano, che continuaa bombardare quartieri e a torturare migliaia didetenuti», ha confermato il Segretario generale

delle Nazioni Unite uscente Ban KiMoon. Ma perché noi occidentalirestiamo a guardare? Anzitutto per-ché sottili strategie e aberrazionimilitari smontano sempre più la de-finizione di “vittime”, come ci spiegaRiccardo Noury, portavoce di Am-nesty International Italia. Accadeche «in questi conflitti le personeperdano la loro caratteristica di “ci-vili”». Nel 2014 ad esempio perlʼIsraeli defence forces «i civili diGaza non erano solo civili, lʼambu-lanza non era solo unʼambulanzae le case non erano case», diceNoury. La propaganda li spacciavaper altro: arsenali di guerra (gestitida Hamas), coperture militari, targetda abbattere. Praticamente nessunadistinzione, in una certa fase deiconflitti, intercorre tra obiettivi civilie militari. Cosa che si è ripetutaanche in Siria. «Ecco perché – ag-giunge Noury - in un primo momentosembra che tutti rimangano inertidi fronte alla barbarie: la strategiadi guerra è quella di smontare »

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Cosa sono le Convenzioni di GinevraI l 12 agosto 1949 furono adottate, dalla comunità internazionale

a Ginevra, quattro Convenzioni, destinate a sostituire tutto ilcorpo giuridico preesistente in materia. La prima è relativa al mi-glioramento delle condizioni dei feriti e dei malati delle Forzearmate in campagna; la seconda si occupa di feriti e naufraghidelle Forze armate sul mare; la terza dei prigionieri di guerra.Infine la quarta (cui normalmente ci si riferisce quando si parladi Convenzione di Ginevra) è un Trattato sulla protezione deicivili in tempo di guerra. L’articolo quattro del protocolloaggiuntivo di questa Convenzione parla di garanzie fondamentaliper i civili: «Tutte le persone che non partecipano direttamenteo non partecipano più alle ostilità, siano esse private o no dellalibertà, hanno diritto al rispetto della persona, dell’onore, delleconvenzioni e delle pratiche religiose». Esse saranno trattate inogni circostanza «con umanità e senza alcuna distinzione dicarattere sfavorevole. È vietato ordinare che non ci siano so-pravvissuti». Pertanto a Ginevra si proibiscono «le violenzecontro la vita, la salute e il benessere fisico o psichico dellepersone, in particolare l’omicidio, così come i trattamenti crudeliquali la tortura, le mutilazioni o ogni genere di pene corporali».

Si vietano «le punizioni collettive»; «la cattura di ostaggi»; «gli attidi terrorismo» e gli oltraggi alla dignità della persona, specialmentei trattamenti umilianti e degradanti, lo stupro, la prostituzioneforzata e qualsiasi offesa al pudore. L’Articolo 16 del Titoloprimo dice inoltre che «i feriti e i malati, come pure gli infermi ele donne incinte fruiranno di una protezione e di un rispettoparticolari». Le gravi violazioni (“grave breaches”) delle Convenzionidi Ginevra sono competenza della Corte penale internazionale(CPI), assieme ai crimini di genocidio, crimini contro l’umanità etutti i crimini di guerra. Ma se è vero che il Consiglio di Sicurezzadella Nazioni Unite può deferire alla CPI una situazione in cuisiano stati commessi crimini anche in assenza di connessioni tralo Stato in questione e la Corte, è pur vero che esiste il potere diveto. Tra i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza,oltre agli Usa ci sono Russia e Cina a non aver aderito alla CPI. Ilpotere di veto della Russia che sta con Assad, nel caso siriano,blocca tutto. Russia e Cina hanno già posto quattro volte il vetosul deferimento del dittatore di Damasco. Pertanto il ricorso allacorte rimane una pura chimera.

(I.D.B.)

la definizione di vittime. Il mondo reagisce dicendo:“Si stanno solo ammazzando tra di loro”».

Lʼassedio come armaPoi arrivano le immagini dei civili assediati; lestorie di persone in carne ed ossa, come quelladi Bana al-Abed, la bimba di sette anni che permesi ha twittato dal profilo di sua mamma, rac-contando la paura che aveva a vivere assediatain casa ad Aleppo Est. La sua vicenda lʼabbiamoseguita tutti col fiato sospeso: quando i numeri siumanizzano le persone tornano ad essere persone,la diffidenza scompare.Il direttore generale dellʼUnicef, a dicembre 2016,diffonde la notizia che 47 bambini intrappolati inun orfanotrofio ad Aleppo Est sono stati evacuati:il mondo tira un sospiro di sollievo. Il portaleSiege Watch, dettagliato e oggettivo osservatoriodellʼassedio (del Syria Institute), è straordinarionel fornire cifre, date e mappe del delirio contro icivili. Da qui apprendiamo i dettagli. Uomini, donnee bambini intrappolati in zone isolate, rimastisenza cibo e con pochissima acqua. Gli aiutiumanitari non arrivano o sono centellinati. Ilgoverno filtra i convogli. Damasco è il principaleartefice dei tanti assedi siriani. Sebbene nonlʼunico. Assad tiene sotto scacco anche Jobar,piccola municipalità ad Ovest di Damasco (dovenel momento in cui scriviamo sono assediate

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ancora 45 famiglie, 225 persone). «Questa tatticamilitare – scrive Siege Watch – è una forma dipunizione collettiva nei confronti delle aree che ilgoverno siriano non controlla». Ma ovviamenteanche Isis e i gruppi jihadisti appena possono as-sediano i civili “nemici”. Alberto Negri spiega che«gli assedi in realtà sono due» anche ad Aleppo.Dove i gruppi jihadisti non sono stati certo tenericon la popolazione civile e a loro volta hanno ra-zionato le scorte alimentari. Yarmouk è assediatainvece su tre fronti: governo, Isis e gruppi armati.Le persone sono letteralmente incastrate tra icontendenti. Anche da qui però arrivano storie.Di quel miracolo che è il “restare umani”. AyhamAhmad, per tutti “il pianista di Yarmouk”, nel2014, grazie ad uno scatto che lo ritrae sedutoalla tastiera di un pianoforte malconcio, circondatoda macerie nel campo profughi palestinese, diventafamoso. Ayham trascinava fuori ogni giorno il suopianoforte, rimasto intatto nonostante le bombe,e si metteva a suonare. Quegli scatti lo hannosalvato: il ragazzo di Yarmouk oggi è in Europa

Togliere lʼacqua, attaccare gli ospedaliMa gli ultimi anni di delirio bellico hanno spostatoancora più in là lʼasticella del crimine. La Siriacome anche lo Yemen (col suo conflitto combattutonellʼoblio totale, che ha già ucciso 10mila per- »

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Una stalla convertita in scuola per i bambini di Daraa, nel sud della Siria.

(vedi pagina 56).

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«D obbiamo scendere in piazza, urlare, gridare, protestare.Forse non riusciamo a parlare perché il movimento è

frammentato. Allora mettiamoci insieme. La situazione è troppograve. Per questo dobbiamo avere il coraggio di violare lalegge, di farci arrestare, di andare in prigione». Lo scrive padreAlex Zanotelli, in una lettera pubblicata sul sito di Unimondo.«Desolanti conflitti si estendono dallo Yemen all’Afghanistan –scrive - guerre combattute con armi sempre più sofisticate, esempre più a pagarne le spese sono i civili». Di fronte a questamattanza ciò che «sconcerta maggiormente è il silenzio delmovimento per la pace. Non lo posso accettare». Il missionarioaggiunge: «Questo sarebbe il dovere prima di tutto dei religiosi,dei preti, delle suore: sull’esempio dei fratelli Berrigan e dellesuore domenicane che, negli Stati Uniti qualche decennio fa, sisono fatti anni di carcere per il loro impegno contro la guerra inVietnam e la bomba atomica». Zanotelli dice che come cristianonon può accettare il silenzio della Chiesa: «Mi fa ancora piùmale il silenzio dell’episcopato italiano e di larga parte delle co-munità cristiane. Per fortuna papa Francesco parla chiaro».Zanotelli spiega poi che «è l’industria delle armi, fiorentissimaoggi, a gioire di tutto questo. Secondo i dati del Sipri (Istitutointernazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma), a livellomondiale, investiamo quasi cinque miliardi di dollari al giornoin armi. A livello italiano, secondo l’Osservatorio sulle spesemilitari, spendiamo 64 milioni di euro al giorno». Una cifra stra-tosferica. Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, commentandoil dato fornito dell’Osservatorio MIL€X, ha detto: «Sono soldispesi bene» e «non sono tanti», solo «l’1,15% del Pil, quindi ab-bastanza lontano dal 2% richiesto dalla Nato». Ancora Alex Za-notelli: «In questo periodo abbiamo venduto bombe all’ArabiaSaudita e al Qatar, che poi le hanno date a gruppi armati legatia Al-Qaida come a Jabhat al–Nusra in Siria. E tutto questo no-nostante la legge 185/90 vieti la vendita di armi a Paesi inguerra e a Paesi dove vengono violati i diritti umani».

(I.D.B.)

«La Chiesa in piazza»

sone e prodotto 2,5 milioni di sfollati) «hanno mo-strato al mondo intero che il concetto “le primevittime sono i civili” è stato perfino superato»,come spiega ancora Riccardo Noury. «Adesso iltarget sono diventate le infrastrutture: centralielettriche, impianti di approvvigionamento dellʼac-qua, ospedali». Obiettivi niente affatto casuali,ma accuratamente selezionati da eserciti, milizieribelli e gruppi terroristici. Nessuno escluso. Eppurese si applicasse la sempre valida Convenzione diGinevra del 1949 anche queste nuove forme di

crimini di guerra sarebbero sanzionate.Jan Egeland, consulente Onu ed ex direttore diHuman Rights Watch, ha detto che «impedirelʼaccesso allʼacqua è certamente un crimine diguerra dal momento che a rimetterci sono i civili».Il riferimento specifico era alle scorte dʼacquanellʼarea di Damasco, dove oltre 5,5 milioni dipersone hanno un accesso razionato per via deicombattimenti tra governo siriano e gruppi dʼop-posizione. Ma il razionamento di cibo, acqua emedicine è una prassi comunemente adottata intutti i Paesi del Medio Oriente dove sono in corsoguerre, compreso naturalmente lʼIraq. È lo stessoAssad con la sua macchina della propaganda afornire la sua versione dei fatti, in una recente in-tervista allʼagenzia Sana: «La guerra non è la so-luzione se ce ne sono altre – ha dichiarato ildittatore - ma la domanda è: come si possono li-berare i civili dalle zone in mano ai terroristi? Èmeglio lasciarli sotto di loro?».

Vecchi e nuovi crimini di guerraA “fare scuola” è stato forse Israele, nelle innume-revoli operazioni militari che hanno assediato icivili palestinesi intrappolati nella Striscia. Ed anchenella Cisgiordania privata dellʼaccesso allʼacqua enelle città chiuse dal Muro di separazione.Ma ancora più colpevolmente, denuncia un inviatodi guerra storico come Alberto Negri, è stata lacomunità internazionale che ha sempre usatolʼarma dellʼembargo contro dittature come quelladi Saddam Hussein in Iraq (Oil for Food), sapendobene che a rimetterci sarebbero stati i civili, non ipotenti. Unione Europea e Nazioni Unite fanno

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ha dichiarato Mego Terzian, presidente di MSFFrancia.

Aleppo peggio di SarajevoA settembre scorso, 75 ong hanno denunciatoquesto “aiuto selettivo” al quale le Nazioni Unitesi sono piegate. In quella lettera scrivevano chelo Humanitarian Response Plan delle UN, pubbli-cato agli inizi del 2016 per raccogliere i fondi daiPaesi donatori, era stato rimaneggiato dopo lepressioni del regime: nelle 64 pagine del plan èstata omessa le parola «assedio». Lʼunico giornaleitaliano a riportare la notizia è il Corriere dellaSera, con Davide Frattini. «Le Nazioni Unite —denuncia quella lettera — sembrano aver accettatola visione del governo fino al punto da considerare“umanitarie” solo le organizzazioni che Damascodesigna come tali». Alla domanda comʼè possibileche il governo siriano abbia il potere di autorizzareo meno lʼingresso dei convogli umanitari, BenParker, ex operatore umanitario Onu, ci ha spiegatoche la ragione è semplice: «Lʼattuale governo diDamasco ancora rappresenta la Siria alle NazioniUnite». Folle ma vero. Ciò non toglie che «lʼassediodi Aleppo – come conferma Noury - ha superatoquello di Sarajevo». Secondo Alberto Negri in realtà «in Siria non cisono né angeli, né demoni: sono tutti demoni. Lepopolazioni civili sono le vere vittime. Da unaparte Assad, dallʼaltra la guerriglia jihadista». Mabasterebbe pretendere lʼapplicazione del diritto,che pure esiste, se ci fosse una politica seria eforte a fare da garante: «Ciascuna delle parti incausa deve ritenere come prioritario il rispetto deldiritto umanitario internazionale, garantendo laprotezione dei civili e la necessaria assistenza

umanitaria alla popolazione», ha ri-petuto decine di volte papa Francesco.Lʼultima delle quali ai diplomatici italianiil 9 gennaio scorso. Tuttavia lʼEuropapreferisce non fare nomi: in una riso-luzione del 21 novembre scorso lʼEu-roparlamento si dice «a favore delperseguimento dinanzi alla Corte pe-nale internazionale delle persone ac-cusate di attacchi indiscriminati a dan-no delle popolazioni civili, della deli-berata sottrazione di aiuti umanitaridestinati a coloro che muoiono difame». Ma non nomina mai Assad.

Chi si fida dei corridoi umanitari?Neanche i cosiddetti “corridoi umanitari”sono sicuri: «Non cʼè garanzia per lepersone che escono da Aleppo. È

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davvero fatica ad usa-re le parole giuste percondannare: ancoraoggi lʼespressione “cri-mine di guerra” è usatacon troppa parsimonia.Staffan De Mistura, in-viato speciale dellʼOnuin Siria è sembrato se-riamente colpito dallabarbarie ma sempremolto misurato: «Seconfermato – ha di-chiarato - lʼuso siste-matico e indiscriminatodi questo tipo di armi(chimiche, ndr) in areedove sono presenti ci-vili e infrastrutture civilipuò costituire un cri-mine di guerra».

In Siria, spiega ancora Noury, il paradosso vuoleche non solo le Nazioni Unite, più deboli che mai,abbiano fallito nel contenere il conflitto, ma addi-rittura abbiano abbassato a tal punto la testa dadover «supplicare un criminale di guerra qualeAssad per portare aiuti ai civili in pericolo». Èinfatti il governo legittimo di Damasco a deciderechi entra e chi esce da Aleppo, quali organizzazioniumanitarie possono arrivare e dove. Il paradossoè che un dittatore che ha dato origine alla carne-ficina, rimane in sella ed è arbitro degli aiuti uma-nitari. Persino Medici Senza Frontiere (MSF) èdovuta entrare in clandestinità per portare aiutoalla popolazione: «Non siamo mai stati autorizzatidal governo di Damasco ad intervenire in Siria»,

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Il corpo senza vita di Haya, piccola vittima siriana.

Approviggionamentodi acqua nella

capitale Damasco.

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E siste una Siria prima e dopo “laSiria”. Una Aleppo prima e dopo

“Aleppo” assediata, divisa e bom-bardata. Una Damasco prima e dopo“Damasco”. Lo spartiacque natural-mente è la primavera del 2011. Primadi allora Aleppo era una cittadinadel Medio Oriente come tante. Giu-seppe Alizzi, fotografo laureato inarchitettura, nel 2010 trascorre alcunimesi in Siria per lavoro e scatta foto.Prende appunti. Attraversa i vicoli e i

quartieri di Aleppo, Damasco (vive nella «casa rosa con l’alberodi mandarini nel patio»), Palmira. Calpesta pietre, incontrapersone. Ambulanti, bambini, donne al mercato. Di ritorno daaltri viaggi e altre avventure riprende in mano quelle foto. «Devoriscattare la normalità delle situazioni che io ricordo e che po-trebbero non esserci più», dice. Ne esce fuori un libro ShamSham, persone cose e luoghi siriani – edito da Mesogea – cheraccoglie in 127 pagine i dettagli poetici e materiali di un mondosparito. Ogni foto ha un suo fotogramma. Dalla vita di strada aSahat Bab al Faraj, ai bambini lungo le mura occidentali dellacittà vecchia di Aleppo; dal sottopassaggio di Nahar al Asi, agliarchi della grande moschea. Fotogrammi che dettagliano lamateria raccontando piccolissime storie. L’unicità del libro stanell’idea stessa di questo libro. Alizzi ha un dono speciale:creatività poetica. La sua è poesia minimalista in parole eimmagini. Come quella del «giovane lavoratore in pausa» im-mortalato al Suq di Damasco alle 11,30 di un dicembre del 2010.Il dettaglio sgranato mostra un piede. «Ossa, cartilagini, legamenti,nervi, peli, cheratina, sudore, ciabatte in plastica nera». Ogni fotoè riflessione: «Ad Aleppo disimpegno i francesismi dell’accademiaeuropea e dimentico i dizionari. Col corpo apprendo che i vicoliciechi non sono cul-de-sac ma ingressi e giardini. Col corpoimparo che in questi giardini a terra non c’è morbido verde madura pietra. Col corpo imparo che le fontane di questo giardinosono puro suono». Scrive Lorenzo Trombetta nella prefazione:«bisognava andare al cuore dell’umanità di quei luoghi. Farrivivere i dettagli, i gesti, le espressioni più normali. Perché laSiria non è un pezzo da museo».

(I.D.B.)

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possibile garantirne il passaggio, manon è chiaro che fine facciano i civiliusciti dalle zone orientali. Molti hannoraggiunto Aleppo Ovest ma lì cʼè ilrischio di arresti arbitrari e torture;parte della popolazione invece è aIdlib, nelle mani dellʼopposizione nonmoderata», spiega ancora Noury.Caduta Aleppo ora è Idlib il nuovocentro della resistenza anti Assad.Ma è in mano ad Al Qaeda e aisalafiti di Ahrar al-Sham. «Il regimeattaccherà anche Idlib: sarà brutalee i civili saranno quelli che ne soffri-ranno di più», ha dichiarato mesi fain unʼintervista a Repubblica JoshuaLandis, alla guida del Center forMiddle East Studies dellʼUniversitàdellʼOklahoma. Andrea Riccardi, dellaComunità di SantʼEgidio, lanciò unappello nel 2014 per creare una“zona di non belligeranza” attornoad Aleppo, che ne facesse una “città aperta”. Ecreasse corridoi umanitari per rifornire i cittadiniallo stremo. In pochi gli diedero retta. E la no warzone non si fece.Ma lʼumanità ad Aleppo ha davvero toccato ilfondo? «Credo sia sbagliato domandarci cosa èpeggio o cosa è meglio. Se abbiamo toccato ilfondo in Siria, se ci sia unʼunicità siriana. In realtàio credo che non esista il peggio», ci risponde an-cora Negri. «Ma se gli Stati Uniti e lʼOccidentenon cambieranno lo schema delle loro politiche –aggiunge - che si ripetono da anni, e non verrà ri-pristinata una giustizia globale, il futuro sarà unaconseguenza di questo presente di guerra». Se-condo il giornalista, nei prossimi mesi saremo co-munque costretti ad affidarci alla Russia, allʼIran,ad Erdogan e anche ad Assad. «Bisogneràmeditare se non sia il caso di riaprire le ambasciatea Damasco, perché è da lì che arrivano informazionisui jihadisti».La scommessa per la pace finora è persa: eppureva presa seriamente. La pace non si improvvisa,è il monito del papa. E non si può dare perscontata una volta per tutte: «È una “virtù attiva”»,altra efficace locuzione di Francesco. «Richiedelʼimpegno e la collaborazione di ogni singola per-sona e dellʼintero corpo sociale nel suo insieme»,dice il pontefice. A partire dal dovere di faregiustizia. Il rischio altrimenti è che la risposta deicivili scioccati, delle vittime violate, la conseguenzadei crimini commessi e di quelli subiti, producanoin futuro unʼaltra esplosiva miscela di paura, ven-detta e odio, peggiore della precedente.

La Siria prima della “Siria”

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀMissione e nuovi

stili di vita

Piccoli gesti

il mondo

Piccoli gesti

Non è superfluo ricordare che fi-nalmente nella Chiesa non siparla più di missioni ma di mis-

sione, andando oltre la visione euro-centrica, che era quella di portare, at-traverso i missionari tradizionali, il mo-dello europeo di Chiesa in ogni partedel mondo. Invece è tutta la Chiesa adavere una missione universale da com-piere, anzi è essa stessa missione e lodeve essere sempre. Il Concilio VaticanoII ha rotto lo schema ecclesiocentrico(la Chiesa come centro e come fine)indicandoci con fermezza che l’orizzontedella Chiesa è la costruzione del Regnodi Dio. Il popolo di Dio è sempre incammino per realizzare la grande »

Il cambiamento degli stili di vita delle singole personepuò avere grandi effetti su coloro che detengono ilpotere politico, economico e sociale. Gli impegniconcreti per la tutela del Creato e per l’accoglienza aifratelli sono al centro della missione evangelica e diuna conversione quotidiana da vivere nelle nostreparrocchie, diocesi e congregazioni religiose.

di ADRIANO SELLA*[email protected]

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missione che ci ha consegnato Gesù: ilRegno di Dio. Papa Francesco ci dà sti-moli nuovi e forti per poter realizzarela missione che Gesù Cristo ha vissutoe testimoniato, invitando la sua comu-nità a continuarla.Mettendo insieme l’esortazione apo-stolica Evangelii Gaudium e l’enciclicaLaudato Si’ emerge la connessione tramissione e nuovi stili di vita.L’Evangelii Gaudium ci fa riscoprireche la grande missione della Chiesa èannunciare a tutti la gioia del Vangeloche sgorga dall’incontro pasquale conGesù Cristo. «Invito ogni cristiano, inqualsiasi luogo e situazione si trovi, arinnovare oggi stesso il suo incontropersonale con Gesù Cristo o, almeno, aprendere la decisione di lasciarsi

le sue braccia: «Altri sono passivi, nonsi decidono a cambiare le proprie abi-tudini e diventano incoerenti. Mancaloro dunque una conversione ecologi-ca, che comporta il lasciar emergeretutte le conseguenze dell’incontro conGesù nelle relazioni con il mondo cheli circonda» (n. 217). I nuovi stili di vitasono quindi, secondo Laudato Si’, leconseguenze visibili e concrete dellemolteplici relazioni che ci legano allacasa comune: motivate e rinnovatedall’incontro con Gesù, esse traccianooggi i vari percorsi per la realizzazionedel Regno di Dio.

AZIONI PASTORALI CONCRETE NELLECOMUNITÀ CRISTIANELaudato Si’ sottolinea per almeno 21

incontrare da Lui, di cercarlo ognigiorno senza sosta. Non c’è motivo percui qualcuno possa pensare che questoinvito non è per lui, perché nessuno èescluso dalla gioia portata dal Signore»(n. 3). L’esortazione ci svela il cuore delVangelo: la vita diventa bella e gioiosase fa suo il dinamismo di vivere per glialtri. Quante volte Gesù Cristo ha fattocapire ai suoi che dovevano cambiarerotta: da persone che pensavano solo ase stesse a persone che, dopo l’incon-tro con Lui, sarebbero vissute per glialtri!L’enciclica Laudato Si’ ci presentamolto bene il legame tra la vita intrisadel Vangelo di Gesù Cristo e la curadella casa comune che è anche unasorella e una madre che ci accoglie tra

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

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volte che gli attuali stili di vita dellenostre società sono insostenibili echiama almeno 35 volte l’umanitàintera alla conversione ecologicamediante “nuovi stili di vita”. Fa ancheesempi concreti di cambiamenti chepartono dal basso e che possono “con-vertire” anche le istituzioni. «Un cam-biamento negli stili di vita potrebbearrivare a esercitare una sana pressio-ne su coloro che detengono il poterepolitico, economico e sociale. È ciò cheaccade quando i movimenti dei consu-matori riescono a far sì che si smettadi acquistare certi prodotti e cosìdiventano efficaci per modificare ilcomportamento delle imprese, forzan-dole a considerare l’impatto ambien-tale e i modelli di produzione. È unfatto che, quando le abitudini socialiintaccano i profitti delle imprese, que-ste si vedono spinte a produrre in unaltro modo. Questo ci ricorda laresponsabilità sociale dei consumatori.Acquistare è sempre un atto morale,oltre che economico» (n.147).Parlando della responsabilità socialedei consumatori, papa Francesco cita

missione evangelica e di una conver-sione quotidiana per custodire il gran-de dono di Dio che è il Creato.Nelle nostre parrocchie, diocesi e con-gregazioni religiose come viene vissutol’impegno di ridurre i rifiuti? La nostraChiesa sta formando cristiani chesanno accogliere i diversi e gli immi-grati con tenerezza e giustizia, supe-rando buonismi o chiusure? Le nostrecomunità cristiane nell’incontrare glialtri mostrano l’opzione preferenzialeper i poveri?E c’è anche un nuovo stile di evange-lizzazione che la Chiesa tutta deve farproprio: gli evangelizzatori devonoavere uno stile gioioso e non da fune-rale, uno stile pasquale e non daQuaresima senza Pasqua. “Missione perattrazione” la chiama il papa. Le tantemesse, celebrate nelle parrocchie, nellecattedrali e nei santuari, emanano lagioia del Vangelo e fanno vivere unincontro gioioso con il Risorto e trafratelli? Oppure sono riti noiosi chenon danno l’idea di un Dio Padre eMadre che abbraccia tutta l’umanità etutto il cosmo?

Ecco, dunque: la missioneesige nuovi stili di vita,nuovi stili di Chiesa e nuovistili di evangelizzazione perincarnare sulle vie dellastoria contemporaneal’amore di un Dio che amafino alla croce e fino allagioia di una risurrezionecosmica.

*Adriano Sella, che amachiamarsi “missionario delCreato”, ha promosso eanima tuttora in Italia laRete interdiocesana deinuovi stili di vita, di cuifanno parte più di 80 dio-cesi, fra cui Roma, Milano,Torino, Napoli, Palermo eBologna.

l’enciclica Caritas in Veritate diBenedetto XVI, che a sua volta cital’enciclica Centesimus Annus diGiovanni Paolo II. Insomma, sono tre ipapi che ci chiamano alla responsabi-lità sociale come cittadini consumato-ri. Responsabilità da vivere sia perso-nalmente che comunitariamente. Lenostre comunità devono impegnarsi inquesta sfida educativa per una con-versione ecologica dei propri membri,che li aiuti a fare scelte per una vitasobria, giusta e solidale.Ecco un esempio molto semplice: una“festa” (parrocchiale o diversamentecomunitaria) è etica se si fa una spesagiusta, se c’è l’impegno a produrremeno rifiuti e quei pochi ben differen-ziati, se si valorizzano i prodotti sta-gionali e quelli che vengono dalla pro-pria terra e da mani che hanno cura erispetto della madre e sorella comune,senza inquinarla con pesticidi e diser-banti. E, ancor più, se è una festa chesa accogliere tutti, soprattutto i pove-ri, i diversi e gli stranieri. Facciamomolta fatica a capire che questi impe-gni concreti sono conseguenza della

Missione e nuovi stili di vita

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I Focolari tra ilpopolo Bangwa

«A ttraverso il Movimento deiFocolari Dio ha visitato ilpopolo Bangwa…». Questo

l’incipit della lettera con cui monsignorAndrew Nkea, vescovo di Mamfe, indi-ceva il 2016 come Anno giubilare di rin-graziamento a Dio per l’arrivo dei Foco-lari tra il popolo Bangwa.È una storia che inizia nei primi anniSessanta, quando l’endemia della malattiadel sonno e altre malattie tropicali pro-vocavano una mortalità infantile del90%, minacciando l’estinzione della po-polazione. Fu allora che la preghiera diquesto popolo arriva a Chiara Lubichtramite monsignor Peters vescovo diBuea, a Roma per prendere parte alConcilio Vaticano II. Rispondere a quel-l’emergenza diventa una priorità pertutto il Movimento dei Focolari.Chiara Lubich fa la sua prima visita aFontem nel 1966. Nell’ampia spianataantistante il palazzo reale vi accorre

centrale elettrica e dal college.Chiara Lubich tornerà altre due volte aFontem ed ogni volta si avviano nuoviprocessi. Nel maggio 2000 si congedadai Bangwa radunati nella grande spia-nata: «Non mi sento di staccarmi da voi

tutto il popolo, con in testa il Fon e isuoi notabili. Commossi discorsi ed unaserie interminabile di danze bellissime.Chiara avverte la reale presenza di Diocome un sole che illumina e raccogliein unità tutti i presenti, «come se Dio ciabbracciasse tutti, tutti insieme, noi Fo-colarini che eravamo presenti e tuttaquesta tribù. Lì difatti è nata per laprima volta in me l’idea che noi avevamoa che fare anche con il dialogo interre-ligioso».Nella primavera del 1969 Chiara avviacon i giovani dei Focolari, i Gen, l’Ope-razione Africa a livello internazionale,per contribuire a realizzare le operesociali di cui i Bangwa hanno assolutobisogno, a cominciare dall’ospedale, dalla

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ Camerun

di VICTORIA GÓ[email protected]

A Fontem, in Camerun, dal 14 al 17 dicembre 2016una solenne celebrazione, molti eventi culturali emomenti di festa hanno concluso l’anno diringraziamento indetto dal vescovo di Mamfe,monsignor Andrew Nkea.

Camerun, maggio 2000. Chiara Lubich tra il Fon Njifua Lukas di Fonteme il Fon Njiendem Joseph di Fonjumetaw.

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nel programma ha la Confe-renza internazionale sul Dia-logo interreligioso tra religione

tradizionale africana e cristianesimo nel-l’esperienza degli ultimi 50 anni tra ilpopolo Bangwa.È forse l’inculturazione del cristianesimo,infatti, ad emergere in modo più evidente.La validità del metodo con cui i Focolarisi sono messi in dialogo con la popola-zione di religione tradizionale viene ri-confermata nell’intervento di monsignorAndrew, attraverso la sua esperienza diBangwa, di cristiano e vescovo.Per il filosofo e teologo africano MartinNkafu, direttore del Dipartimento delleScienze umane e sociali dell’Area inter-nazionale di ricerca presso la PontificiaUniversità Lateranense di Roma, «Il cri-stianesimo non ha cambiato la mentalitàdella gente. Nell’aderire a Cristo, ilBangwa mantiene la sua personalità, lasua cultura, una visione integra dellarealtà, e ciò gli permette – per usare leparole di Giovanni Paolo II a Nairobi nel1982 – di potere essere autenticamenteafricano e profondamente cristiano».Nel corso del 2016 erano state realizzatediverse iniziative, tra cui un concorsoletterario su “L’intervento di Dio nellastoria e vita del popolo Nweh Mundani”,a cui hanno partecipato con i proprilavori 700 ragazzi di 21 scuole, con ilcoinvolgimento di altri 4mila delle scuoleelementari e secondarie. Nel settembrescorso, invece, il pellegrinaggio di noveFon con il seguito, per celebrare a Romail Giubileo della Misericordia con papaFrancesco e ripercorrere i luoghi doveha vissuto Mafua Ndem, la “reginainviata da Dio”, come fu intitolata ChiaraLubich dal Fon Lucas Njifua Fontem, inoccasione del suo ultimo viaggio in Ca-merun nel maggio 2000. E a Fontempiccoli e grandi continuano a chiamarla“Mamma Chiara”.

senza avere fatto un patto solenne. Unpatto d’amore vicendevole, forte e vin-colante. È come una specie di giuramento,in cui ci impegniamo ad essere semprenella piena pace fra noi e a ricomporlaogni volta si fosse incrinata».A metà dicembre 2016 Fontem celebrasolennemente i 50 anni di questa storia,che appare come “un miracolo nellaforesta”. L’evento viene presentato neigiorni precedenti al primo ministro ca-merunense Philémon Yang ed è seguitocon partecipazione dal Movimento deiFocolari nel mondo e accompagnato davicino dalla presidente Maria Voce. AFontem sono presenti il copresidenteJesús Morán e i consiglieri centrali perl’Africa.Le autorità civili, tradizionali e ecclesialiricordano gli inizi della storia e l’im-pensato sviluppo nella regione sottoogni punto di vista. Oggi è al lavorouna Commissione per lo sviluppo, conesponenti Bangwa in Camerun e in altriPaesi, in dialogo con gli enti dello Stato,per avviare ulteriori azioni nel campodella salute, dell’educazione, della gio-ventù e della condizione della donna.Memoria, ringraziamento, responsabilità:sono le tre parole chiave che innervanoil programma della celebrazione. Essacomprende il giubileo del college OurLady Seat of Wisdom (500 allievi all’anno,tra i cinque migliori istituti pre-univer-sitari nel sistema anglofono camerunense)che ha richiamato numerosi ex-studentidall’estero. Il vescovo di Mamfe li esortaa prendere coscienza dei doni ricevutiche ora li rendono capaci di farsi am-basciatori di unità dovunque siano.Un’altra giornata è dedicata alla narra-zione avvincente delle testimonianze divita e lavoro a Fontem. Particolare rilievo

Sopra:

Fontem, dicembre 2016. Monsignor Andrew Nkea, vescovo diMamfe, e Jesús Morán, copresidente deiFocolari, durante la celebrazione del 50° dei Focolari tra il popolo Bangwa.

A fianco:

Chiara Lubich con gli allievi delCollege nella sua seconda visitaa Fontem, gennaio 1969.

Ospedale “Maria Salute dell’Africa”, Fontem.

Chiara Lubich appenanominata “MafuaNdem” (regina inviatada Dio), maggio 2000.

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Missionaria per i diritti delle donne

D ifendeva i diritti delle donne. Finda quando erano bambine anal-fabete. Suor Clara Agano Kaham-

bu era una religiosa congolese delleSuore Scolastiche Francescane di CristoRe, era una vera missionaria dell’educa-zione. È stata assassinata a Bukavu, nellaRepubblica Democratica del Congo, il29 novembre 2016. Nelle prime ore delpomeriggio suor Clara era come semprenella parrocchia Mater Dei, nel CentreMarie Madeleine dove faceva studiarele bambine senza istruzione primaria acausa della mancanza di mezzi economici.

riori. Quel terribile pomeriggio del 29novembre dello scorso anno, suor Clarasi trovava nel suo ufficio, quando unuomo si è presentato al guardiano delCentre, dicendo che doveva iscrivere lapropria figlia alla scuola religiosa. Unavolta entrato col permesso del guardiano,si è sentito un urlo lacerante proveniredall’interno dell’edificio. L’aggressore siè scagliato contro la suora, colpendolacon un coltello al collo. Poi è fuggitoma è stato subito catturato. Per la reli-giosa, prontamente soccorsa, non c’èstato nulla da fare, anche se tutti spe-ravano che potesse sopravvivere ed èstata caricata sull’unico mezzo di tra-sporto disponibile, una motocicletta, perportarla di corsa al più vicino ospedale.

Ragazze povere, obbligate dall’ignoranzadelle famiglie ad andare a servizio nellecase per guadagnare qualche soldo,invece che a scuola. Alunne piene divoglia di apprendere, di cogliere appienol’unica occasione della loro vita di di-menticare un passato spesso difficile.Piccole donne bisognose di sostegnoeducativo e di un aiuto materno pertrovare fiducia nelle loro possibilità. SuorClara faceva tutto questo, preparandolead un futuro diverso da quello toccatoalle loro madri, gettando le basi per unaparità di genere nella società congolese.Per tre anni, il Centre Marie Madeleineha formato centinaia di ragazze, rila-sciando diplomi di studio che permet-teremo loro di accedere agli studi supe-

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ Suor Clara uccisa a Bukavu

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

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Ancora un nomeallunga la lista deimissionari uccisi nel2016. È quello di suorClara Agano Kahambu,religiosa congolesedelle Suore ScolasticheFrancescane di CristoRe, accoltellata nel suoufficio scolastico.

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Ma la francescana non ce l’ha fatta edè morta dissanguata lungo il tragitto.Per i bambini è stato uno shock terribile.Urla e pianti hanno accompagnato laviolenza contro la missionaria indifesa,morta mentre stava lavorando per loro.Amavano la loro maestra che vivevaper il suo lavoro, le sue figlie, la sua vo-cazione. La commissione diocesana “Giu-stizia e Pace” ha denunciato la grave ecostante condizione di insicurezza incui vive la popolazione del Sud Kivu dicui Bukavu è capoluogo: «A soli 40 anni,questa vera fautrice dei diritti delladonna, se ne è andata… Il suo nome e il

suo servizio si aggiungono alla lungalista dei difensori dei diritti umani fal-cidiati nella nostra provincia». Il comu-nicato denuncia il degrado della situa-zione sociale alla vigilia delle elezioninazionali; la recrudescenza della violenzae degli attacchi nei confronti della po-polazione in una città che pullula dimilitari e poliziotti; la circolazione intutta impunità di individui chiaramentepericolosi e armati, alcuni dei qualimalati di mente, che attaccano i passantisotto lo «sguardo sorridente delle forzedell’ordine». “Giustizia e Pace” ricordache «persino l’arcivescovo François-XavierMaroy Rusengo è stato attaccato a casasua nel sonno». La gente si chiede da dove nasce tanta

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ecc.), dove gruppi di uomini passano illoro tempo a bere e a picchiarsi. Grandiproblemi economici sono derivati anchedalla chiusura generalizzata di cooperativee istituti bancari che hanno fatto sparirei soldi dei piccoli risparmiatori. E la pre-carietà di vita di molti giovani senzalavoro rende ancora più complesso questoquadro sociale preoccupante.Suor Clara Agano era nata il 3 luglio1976 nella parrocchia di Luofu, delladiocesi di Butembo-Beni, figlia di Jean-Pierre e di Anastasia Kahindo, quinta inuna famiglia con dieci figli. Il 16 novembre2000 a Bukavu era stata ammessa nellaCongregazione delle Suore ScolasticheFrancescane di Cristo Re, nella Provinciacon sede a Spalato; postulante dal 5agosto 2001, ha iniziato il noviziato il25 agosto 2002 ed ha emesso i voti per-petui il 2 agosto 2010. Ha insegnatopsicologia, pedagogia e catechesi. «Erauna religiosa molto generosa. Stava la-vorando quando è stata uccisa. Ci au-guriamo che tutti coloro che credononel miglioramento delle condizioni divita della donna trovino in lei un modello»conclude il comunicato di “Giustizia ePace”.

violenza e come è possibile che unasuora sia uccisa con un coltello in pienogiorno, mentre insegna alle ragazze. Icivili di Bukavu hanno paura, a volte,persino di uscire di casa dopo il tramontodel sole. La recrudescenza della violenzadiventa ancora più evidente di notte,quando individui dall’aria pericolosa, conprecedenti penali e a volte sotto sostanzestupefacenti, girano indisturbati in unacittà che pullula di militari armati finoai denti. Una delle cause di tanta violenzasembra essere la proliferazione di negoziin cui sono vendute liberamente bevandealcooliche (kafanya, mbio, power7, kitoko,

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La straordinaria missione in Etiopia di fra’ Guglielmo

I l tenace cardinale Massaia che legòil suo nome alla sua missione inEtiopia, è stato dichiarato venerabile

dalla Congregazione per le cause deisanti che ne ha riconosciuto le virtùeroiche, il 2 dicembre dello scorso anno,a 102 anni dall’inizio del processo dibeatificazione del missionario cappuc-cino, aperto nel 1914. La figura diquesto gigante della missione nell’Ot-tocento ha contorni romanzeschi e digrande modernità. Ripercorrerne insiemele tappe è un po’ come rivedere allamoviola un film (anche se non proprioil kolossal drammatico “Abuna Messias”girato da Goffredo Alessandrini nel1939, tre anni dopo la fine della guerrad’Etiopia del regime fascista). Ma la-sciamo la parola alla Storia.Il 4 maggio 1846 papa Gregorio XVIinstaura il vicariato apostolico di Hararin Etiopia e nomina come responsabileGuglielmo Massaia (1809-1889), il fratecappuccino che era stato padre spirituale

autoctono. Nel campo della promozioneumana si impegna a portare cure emedicine nelle zone devastate dalleepidemie di vaiolo, tanto da esserechiamato “Padre del Fantatà” (signoredel vaiolo). L’epistolario, con le letterescritte di getto, raccoglie documentipreziosi per conoscere da vicino questostraordinario missionario che, grazie al-l’ampia opera “I miei 35 anni di Missionenell’Alta Etiopia”, ci ha lasciato un pre-zioso testamento.

di Silvio Pellico e di Vittorio EmanueleII. Pochi giorni dopo, Massaia ricevel’ordinazione episcopale nella basilicadi San Carlo al Corso di Roma e il 4giugno, ad un mese dalla nomina, lascial’Italia alla volta della sua destinazionein terra d’Africa. Ma il viaggio per rag-giungere le «ridenti contrade situatefra le sorgenti del Nilo Azzurro e quelledel Nilo Bianco» si rivela una infinitaserie di avventure degne di un romanzodi Salgari. Ci vogliono infatti sei anni,cinque mesi e 17 giorni per arrivare inEtiopia, allora chiamata Abissinia, du-rante cui fa un pellegrinaggio in TerraSanta, viene arrestato all’entrata delMar Morto, viene esiliato ed evita piùdi una volta la prigione e la morte.Dopo il suo arrivo nella regione diHarar, svolge con passione il suo apo-stolato tra il popolo dei Galla, nel Norddell’Etiopia, dove resta per 35 anni.Con grande energia organizza comunità,scuole, chiese, scrive e pubblica il primocatechismo e la prima grammatica dellalingua locale. Diventa popolarissimo ecosì amato dalla gente che l’imperatoreMenelik II lo nomina suo consigliere(incarico ricoperto dal 1870 al 1880).La pastorale di monsignor Massaia èefficace e dinamica: forma i giovani,lavora per la formazione di un clero

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀIl cardinale Massaia

è venerabile

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

[email protected]

Il cappuccino Guglielmo Massaia è stato dichiaratovenerabile, dopo più di un secolo dall’inizio delprocesso di beatificazione nel 1914. A riprovadell’attualità del suo impegno missionario nel Nordd’Etiopia dove è rimasto per 35 anni.

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Repressionemascherata da lotta alla corruzione

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MISSIONE LEGALITÀ Brasile

A rresti, sparatorie contro lavoratorie scuole di partito, minacce, ri-percussioni sulle appartenenze

politiche, sospensione dei diritti e dellegaranzie. In un silenzio violento daparte della politica e dei media occi-dentali, il Brasile rivive i segni di unpassato che fa paura. La giovane de-mocrazia brasiliana, ristabilita nel 1985dopo la dittatura militare, sta vivendooggi una crisi profonda. La presidenteDilma Rousseff ha subìto un processodi impeachment per aver utilizzato ri-sorse destinate al settore agricolo senzaconsultare il Congresso. Anche se nonsussiste reato nel procedimento, la de-stituzione della presidente è stato il ri-sultato di un forte contrasto dell’op-posizione per bloccare la sua azione digoverno a seguito della rielezione nel2014.Vediamo muoversi nella scena politicabrasiliana soggetti operanti come lemafie e l’attivazione di dispositivi simili:l’uso smisurato della violenza, favoriillegali alle aziende amiche e l’uso ar-bitrario delle posizioni di potere legal-mente costituite. Fin dal suo arrivo alpotere, il governo Temer ha criminaliz-zato i movimenti sociali storici: il Mo-vimento Nazionale dei Lavoratori SenzaTerra (MST) è equiparato ad un’orga-nizzazione criminale, e non solo sulpiano mediatico: la polizia - senza

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di DARIO DE SOUSA E SILVA FILHO*

internazionale sulla violazione genera-lizzata dei diritti, che sta attanagliandosempre più il Brasile. Dare visibilitàmondiale a questa (d)evoluzione politicae sociale è essenziale affinché si possanocombattere le sue conseguenze dram-matiche, per proteggere i rappresentantisociali esposti alla brutalità della poliziae per denunciare la crescita progressivadell’odio, che è diventata ormai la stra-tegia di veri e propri sistemi mafiosi:mafie aziendali e politiche. Hanno diffusola paura, contaminando la vita pubblica;hanno cancellato i piani democraticiper l’espressione della diversità e dellacultura a tutti i livelli; la non-politicasta diventando la segregazione dellaragione, anche nella vita sociale di tuttii giorni. Tutti gli attori impegnati per lalibertà e l’uguaglianza devono agireora. O la politica del profitto proseguiràeludendo sempre di più la democraziae l’impegno per la legalità.

*Sociologo presso l’Università Statale di Rio de Janeiro, UERJ

Foto di Dario de Sousa e Silva Filho; Sara Martins

neanche un mandato - si è già mossain azioni repressive ed anti-democratichecontro il MST. Senza prove, né azionilegali effettive, è stata attivata dal go-verno una campagna che va totalmentecontro l’articolo che tutela i dirittipolitici e civili dichiarati nella Costitu-zione brasiliana.Dall’Italia una voce di solidarietà e ac-compagnamento esiste da prima del-l’inizio di questa grande crisi brasiliana:insieme all’Associazione Libera e la pro-mozione di un network internazionalechiamato Red ALAS-América Latina Al-ternativa Social, alcuni movimenti erealtà brasiliane stanno cercando didenunciare e sensibilizzare la comunità

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L’altra

C hiusa, anche se solo virtualmente, la partita siriana,lo zar russo si appresta ora ad aprire quella libica. AVladimir Putin è sostanzialmente riuscito l’interven-

to armato in Siria, accanto a Bashar al Assad, tanto da vo-ler fare il bis. Stavolta in Nord Africa. Putin allarga così “gliorizzonti” geografici, spiega la stampa mediorientale con sar-casmo, sostenendo un personaggio tanto ambiguo quanto am-bizioso: il generale libico Khalifa Haftar.Il leader militare 72enne che controlla una cospicua parte diterritorio ad Est, la Cirenaica, si contende il resto della Libia

edicola

di ILARIA DE [email protected]

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LA NOTIZIA

IL PRESIDENTE RUSSO, INUN’INARRESTABILE FOGA DIESPANSIONISMO TERRITORIALE,VOLGE LE SUE MIRE IN LIBIA, DOPOAVER PARTECIPATO AL“BANCHETTO” SIRIANO. I GIORNALIMEDIORIENTALI COMINCIANO ACONSIDERARE L’EVENTUALITÀ DIUN SECONDO “CONFLITTO” SULLAFALSARIGA DELLA SIRIA.

PUTIN PUNTA

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Putin punta alla Libia

A ALLA LIBIAcon le altre fazioni ribelli. La rivalità principale è però tra Haf-tar e il primo ministro Fayez Al Serraj che guida un governoriconosciuto a livello internazionale.Da Bloomberg ad Al Arabya in Medio Oriente, a Jeune Afri-que, i giornali si stanno occupando molto di questo avvici-namento di Putin al Nord Africa e seguono con preoccupa-zione le evoluzioni dell’amicizia pericolosa col generale esi-liato da Gheddafi. I riflettori mediatici calano sulla Siria alleprese con un impossibile negoziato di pace, e timidamentesi accendono sulla Libia.Gulf news scrive che «sostenendo Haftar contro Al Serraj adOvest, la Russia potrebbe rafforzare il suo ruolo nella regio-ne ed assicurarsi miliardi di dollari dalla Libia in armi e con-

tratti». Ma la scelta di Putin, dettata dal solo desiderio di po-tere, non tiene conto di un’esplosiva miscela interna in Libia.Dove già, fa notare ancora Gulf News, le Nazioni Unite fa-ticano a tenere a bada gli alleati di Haftar e i gruppi arma-ti rivali, accusati di violare i diritti umani.Molti quotidiani tra cui Blasting News raccontano che piùo meno all’inizio di gennaio scorso il comandante Khalifa Haf-tar è stato addirittura ospite della portaerei russa Kuznetsov.A bordo di un elicottero della marina militare russa l’ufficia-le libico ha raggiunto Putin sulla nave nel Mediterraneo. D’al-tra parte Haftar lo scorso novembre era stato ricevuto a Mo-sca da Sergej Lavrov, ministro degli Esteri russo. Sembra chei due abbiano parlato della linea comune di lotta al terrori-smo jihadista.Zar Putin rischia di voler ripetere in Libia uno schema già vi-sto in Siria. «Inoltre la sua strategia potrebbe cementificareuna nuova alleanza con Donald Trump se i due dovessero al-linearsi in funzione anti-Isis» in Libia.«Sembra proprio – scrive Al Arabiya – che Putin voglia sfrut-tare al massimo l’attuale successo ottenuto in Siria per vin-cere anche la guerra civile libica». Il generale Haftar gode didue contingenze favorevoli: una è la guerra siriana quasi aglisgoccioli, che consentirà a Putin di liberare gran parte dellesue truppe, piazzandole altrove; la seconda è il progressivodisinteresse europeo per le sorti della Libia. E del Medio Orien-te in generale. La versione web della tv di Dubai spiega chesia la Gran Bretagna che la Francia, dopo aver innescato que-sta crisi per loro ingestibile, facendo fuori Gheddafi, adessosi disimpegnano del tutto dal caos libico. Putin avrebbe cosìancora una volta campo libero. «La Gran Bretagna di There-sa May non ha nessuna intenzione di impelagarsi in guerrenordafricane», scrive l’editorialista di Al Arabiya, e la Fran-cia di Hollande a breve non sarà più la Francia di Hollande,che lascia la poltrona a maggio prossimo e non si ricandida.All’interno di questo scenario per nulla rassicurante si inse-risce l’Italia che pare essersi schierata col governo di Serraj,tirandosi dietro le ire di Haftar.Al Corriere della Sera il generale libico avrebbe detto che l’Ita-lia ha fatto la «scelta sbagliata». In realtà il nostro ministrodegli Esteri sta negoziando degli accordi di cooperazione percontenere la minaccia terroristica dalla Libia e si guarda benedal fare scelte di campo esplicite e azzardate.Tornando al nostro uomo: è davvero così imbattibile questoleader russo che non più di tre anni fa aveva ingaggiato unconflitto interno con l’Ucraina, uscendone indenne? Se lo chie-de il Washington Post che è pronto a mettere dei paletti: “Pu-tin ha vinto il 2016 ma la Russia ha i suoi limiti come super-potenza”, titola l’editorialista David Filipov dalle colonne delquotidiano americano. «Verrebbe la tentazione di osser- »

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sile e Canada. Mentre il Pil pro capite si attesta a meno di no-vemila dollari l’anno, secondo le stime del Fondo MonetarioInternazionale. Ciò significa che il Paese dipende sempre piùdalle esportazioni di risorse naturali. Le riforme strutturali ela privatizzazione delle aziende di Stato invece sono fermeal palo. La Russia dunque ha bisogno dell’alleato americano.Ma ha bisogno anche dell’Europa. E i russi hanno bisogno dicontinuare a credere di essere una grande nazione. Gazeta.Ruosserva che la percentuale dei cittadini che hanno una qual-che forma di risparmio in banca è calata dal 72% del 2013al 27% del 2016. La gente comune è più povera di tre annifa nel grande impero. E per la prima volta in sette anni, diceil Washington Post, «i russi spendono più della metà dei lorosoldi in alimenti».«Putin vive una Russia; molti russi ne vivono un’altra. Le dueRussie non si intersecano molto», ha osservato Alexei Gusa-rov su Ekho Moskvy. Come dire che la sconfitta di Putin po-trà venire solo dall’interno, dal suo popolo e dalla “sua” Rus-sia. Il vento finora gli è a favore. Ma quanto durerà?

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L’altra edicolavare la lista delle vittorie di Putin degli ultimi 12 mesi e de-durne che nulla può fermare il Kremlino – ragiona – eppu-re la Russia non è l’Unione Sovietica; questa non è la guer-ra fredda e Mosca non cerca il dominio del mondo». L’obiet-tivo di Putin, scrive ancora Filipov, semmai è quello di ridi-mensionare l’influenza degli Stati Uniti, assicurandosi nel con-tempo i propri interessi vitali. Infatti, per quanto Mosca ap-paia potente, in realtà è più povera di tre anni fa: proprio pervia di quel conflitto in Ucraina che ha indebitato economi-camente il Paese. Conflitto proseguito in modo strisciante eche, secondo le stime delle Nazioni Unite, in due anni ha fat-to 10mila morti e oltre 20mila feriti. Ma il mondo dalla me-moria brevissima lo ha completamente rimosso. Ai tempi del-la guerra in Ucraina, Putin venne considerato un criminaledi guerra: oggi è il leader che ha salvato il mondo dalla mi-naccia islamista. Non senza conseguenze, però.Il quotidiano Moscow Times fa i conti in tasca allo zar: il Pilrusso aveva raggiunto un picco di 2,2 trilioni di dollari nel 2013e da allora è calato a 1,3 trilioni, più basso che in Italia, Bra-

Putin punta alla Libia

Il generale libicoKhalifa Haftar, dopoun incontro con ilMinistro degli AffariEsteri russo, anovembre delloscorso anno a Mosca.

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bambina brasiliana. Dal momento in cuiho visto la foto di Graziela mi sonodetta: «Ho una sorellina brasiliana e ungiorno la incontrerò!». Col tempo iprogetti che avevo da bambina subisconodelle variazioni: mi diplomo al liceoscientifico, mi iscrivo alla Facoltà di Ar-chitettura e nel frattempo inizio a col-laborare con un’associazione di promo-zione sociale per progetti di sostegno aiminori delle famiglie più disagiate delmio quartiere. Nonostante gli impegni,però, non abbandono mai il sogno diandare in Brasile per una missione uma-nitaria.

V i racconto in breve la mia storiamissionaria: nell’età della fanciul-lezza dicevo ai miei genitori che

un giorno sarei diventata medico perpoi partire con Medici Senza Frontiere,destinazione Africa o Sud America. Cre-scendo, la mia vocazione per la missioneumanitaria si è sviluppata pian pianoed è diventata più forte: quando all’etàdi 12 anni mia madre mi informa dellasua volontà di adottare a distanza una

a cura diCHIARA PELLICCI

[email protected]

Posta dei missionari

Con la missionenel cuore

Passano gli anni, raggiungo alcuni obiet-tivi come la laurea e falliscono altri pro-getti come l’associazione, ma vado avantiper la mia strada nonostante sentadentro di me che qualcosa ancora manca.E questa sensazione me la porto dentrofino al giorno di Lunedì in Albis del2016, quando penso: «Finalmente è ar-rivato il momento di prendere quelsogno che ho chiuso nel cassetto dabambina e di renderlo reale; non lascionulla in sospeso: mi sono laureata, tradue giorni termino l’esame di abilitazionealla professione di architetto, non houn lavoro nonostante abbia cercato tan-to…». Nel frattempo i miei genitori peralcuni anni partecipano agli incontri dispiritualità familiare presso la comunitàparrocchiale dell’Incoronata Madre dellaConsolazione, e attraverso di loro conoscoil parroco don Francesco Perna e ilvicario parrocchiale don Ciro Scogna-miglio, frequentando per un periodo ilgruppo giovanile parrocchiale “Tabor”. »

Antonella Salvati, prima in alto a sinistra.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

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prendo il volo: destinazione Maceiò, ca-pitale dell’Alagoas, Stato del Brasile,dove le suore gestiscono il Centro deFormaçao Santa Rosa de Lima-BarraNova, un centro di accoglienza per ra-gazzi di strada. Inizialmente le difficoltà

non sono poche: la lingua, principal-mente, poi una cultura totalmente dif-ferente dalla nostra, per non parlaredella cucina. Ma grazie all’aiuto dei ra-gazzini apprendo quasi subito alcuneparole chiave che mi permettono di co-municare con loro, di partecipare ailoro giochi e di accompagnarli durantele lezioni scolastiche. Sono rimastastupita di fronte alla loro abilità dicreare dei giochi con qualsiasi cosa siritrovassero tra le mani, che sia un pezzodi legno, un arnese rotto o una bottigliadi plastica. L’esperienza di tre mesi miha lasciato un segno indelebile nell’animoe un’esigenza, più che un desiderio, dicontinuare ad aiutare la missione in cuile Povere Figlie della Visitazione ci met-tono animo e corpo. I ragazzi con cuiho lavorato hanno delle storie alle spalleche noi italiani fatichiamo solo ad im-maginare, eppure erano sempre colsorriso sulle labbra, si accontentavanodavvero di poco. Ho compreso l’impor-tanza di una carezza e di un abbraccio,la differenza che possono fare nella vitadi un ragazzino abituato a vivere dasolo per strada, abituato a cavarsela dasolo e ad affrontare i pericoli della vitadi strada senza un genitore che lo pro-tegga. Ho capito quanto siamo fortunatinoi italiani, eppure quanto non riusciamoa rendercene conto: siamo sempre prontia lamentarci per gli ostacoli che incon-triamo durante il percorso della nostravita, invece di essere felici per tuttoquello che abbiamo e che gente nelmondo davvero si sogna. Ho imparatoad apprezzare le cose più semplici e hoappreso il vero significato della parola“condivisione”. E soprattutto ho capitol’importanza della preghiera e il suovero significato. Il 7 novembre 2016, a28 anni, sono ripartita per una perma-nenza un po’ più sostanziosa, che cer-tamente mi porterà con maggiore slancioa capire, vivere e percorrere la stradache Gesù ha tracciato nel mio cuore.

Antonella Salvati

Arcidiocesi di Napoli

Grazie alla famiglia e ai sacerdoti entroin contatto con le suore Povere Figliedella Visitazione di Barra, responsabilidi varie missioni in Brasile, Africa eEcuador.Dopo circa un mese, nel maggio 2016,

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Dal Carmel di Bangui

Posta dei missionari

A pochi metri da questo incrocio èstato abbandonato, e ormai è quasi in-cagliato nella terra, un pulmino dicolore verde. Non ha più le ruote ed èin pessimo stato. Ma – come spessocapita sui mezzi di trasporto pubblicoa Bangui – porta una scritta davveroimpegnativa: “Savoir pardonner. Saperperdonare”. Da quando è incominciatala guerra il motore si è spento, nessunoha mai più provato ad accenderlo, nes-suno ha mai più avuto il coraggio disalirci sopra... e, inevitabilmente, pochihanno raccolto la sfida di “saper per-donare”. La stato in cui si trova questomezzo di trasporto mi sembra moltosimile alla situazione in cui si trova ilCentrafrica. Allora, ecco il sogno. Hosognato che questo pulmino, rimastosenza gasolio, senza ruote, ma sopratuttosenza autista e passeggeri, all’improvvisovenga rimesso in moto. Ho sognatoche al volante si sieda il nostro corag-gioso arcivescovo, il neo cardinale Dieu-donné Nzapalainga, sicuramente la per-sona che, più di ogni altra, non si è maistancata di chiedere ai centrafricani di“saper perdonare”, supplicandoli di usciredal vortice della vendetta. A bordo hosognato che possano sedersi i bambini

di Bangui. E dietro, siccomele batterie saranno sicura-mente scariche dopo così tantotempo, e ci sarà bisogno diuna buona spinta per far par-tire il motore, ho sognato chesi mettano a spingere, contutta la loro forza ed energia,i giovani di Bangui. E, unavolta acceso il motore, ho so-gnato che questa simpaticacarovana possa attraversare ilKm 5 per poi proseguire finoa Bambari, Bocaranga, Bria...e poi, se ne avete bisogno,anche fino a voi.

Padre Federico

Trinchero

Bangui

(Repubblica Centrafricana)

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vevano in pace. Ora, invece, ognunosembra ostaggio dell’altro. Ci sono sol-tanto case sventrate o bruciate, tettidiroccati, erba alta, carcasse di macchine.Della parrocchia di Saint Michel restanoperò soltanto le mura. Al Km 5, untempo, ogni centrafricano si sentivacome a casa sua: ora, invece, sembraquasi necessario chiedere il permessoprima di potervi entrare e la gente sisaluta con un sorriso di reciproca diffi-denza. Anche un campo di calcio, quasiun termometro inequivocabile di quantosia ancora alta la febbre della guerra,resta ancora deserto senza giocatori néspettatori.Ma ho un sogno che è anche il mio au-gurio per il Centrafrica.Ketenguere è uno degli incroci più fre-quentati di Bangui per la vendita deglialimentari e per trovare una moto-taxi.Si trova molto vicino al Km 5 e asoltanto 3 chilometri dal Carmel deifrati Carmelitani scalzi (il nostro con-vento). Qui, nelle fasi più drammatichedella guerra, venivano immancabilmentebruciati dei pneumatici e innalzate bar-ricate. Ketenguere è diventato più volteuna sorta di confine invalicabile: dauna parte la guerra, dall’altra la paura.

L a situazione qui, nella Repubblicacentrafricana, è ancora precaria,soprattutto in alcune città. Tut-

tavia nella capitale Bangui, almeno re-centemente, non ci sono stati scontriparticolari. Non è stato così nei mesiprecedenti, quando quella tregua, mi-racolosamente iniziata dopo la visitadi papa Francesco per l’apertura del-l’Anno giubilare straordinario, è statafortemente minacciata con ancoramorti, troppi morti, per quello che ciera sembrato l’inizio della pace.Il quartiere del Km 5 di Bangui restaancora una enclave da cui i musulmaniescono molto raramente e per la qualei cristiani passano solo frettolosamente,quasi chiedendo scusa del disturbo. At-torno a questa enclave si estende ungrande anello disabitato, una sorta diterra di nessuno, dove i segni dellaguerra sono ben visibili. Qui, poco piùdi tre anni fa, cristiani e musulmani vi-

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O RESTAURARE IL CIELO

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B rilla di luce ritrovata la Basilicadella Natività di Betlemme, una

delle più antiche della Terra Santa. Eun grande angelo riapparso dall’obliodei secoli, dispiega le ali per portareun nuovo annuncio di pace al mondo.Nel luogo-simbolo della cristianità,un lavoro di oltre tre anni è riuscito a“Restaurare il cielo” come recita iltitolo del documentario di TommasoSanti, girato all'interno della Basilica, tesorodell’arte bizantina e patrimonio dell’umanità,come decretato dall’Unesco nel 2012.Fondata in epoca costantiniana e poi rico-struita nel VI secolo da Giustiniano, questogioiello di fede e arte ha attraversato tuttala storia della Palestina resistendo a inva-

sioni, guerre, dominazioni. Ma anche allosfregio del degrado, della corrosione dellepiogge, degli spari degli Ottomani iconoclastisulle pareti ricoperte di splendidi mosaici.Il restauro della Basilica è un importantesegno di dialogo tra le tre confessioni -cattolici, greco ortodossi e armeni - che

E l’angelo apparve di nuovo a Betlemme

E l’angelo apparve di nuovo a Betlemme

custodiscono il luogo sacro, e hannodeciso di collaborare nell’impresa, pro-mossa nel 2013 dall’Autorità nazionalepalestinese. Dopo 20 anni di consultazionitra le comunità religiose, ci si è resi contoche il tetto stava per crollare. Bisognavaintervenire urgentemente e dopo il pro-nunciamento di Abu Mazen, sono intervenutifinanziamenti e ditte specializzate, a partiredall’italiana Piacenti, che ha portato a Be-tlemme dalla Toscana squadre di tecnici eartigiani, coinvolgendo ingegneri e operaipalestinesi nell’impresa.“Restaurare il cielo” più che un documentario

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è il racconto appassionante del cantiereall’opera per il recupero di ogni piccolissimotesoro nascosto dietro le incrostazioni direstauri precedenti. Un lavoro certosinoed epocale (sono state pulite circa unmilione e mezzo di tessere di mosaicoin vetro, madreperla e metalli preziosi)a cui hanno collaborato ricercatori dicinque università e una squadra di 170persone, senza interruzioni, nemmenodurante i 58 giorni di guerra a Gaza.Spiega Marcello Piacenti, titolare delladitta di Prato che si è aggiudicata lagara dei lavori: «Siamo partiti dal restaurodel tetto per fare in modo che non piovessepiù nella chiesa, gravemente danneggiatadalle infiltrazioni. Poi siamo passati alletravature che, con il loro intreccio sotto lacopertura esterna, costituiscono uno deisoffitti più belli d’epoca medievale. Infinele pareti, esaminate con l’indagine termo-grafica che ci ha permesso di riportarealla luce alcuni brani di mosaici danneggiatio addirittura coperti, come nel caso delgrande angelo che si affaccia nella navatasuperiore». Anche papa Francesco hacommentato la scoperta del «settimoangelo in mosaico che, insieme agli altrisei, forma una specie di processione versoil luogo che commemora il mistero dellanascita del Verbo. Questo fatto ci fa pensareche anche il volto delle nostre comunitàecclesiali può essere coperto da “incro-stazioni”… ma tutti voi con le vostre azionipotete cooperare a questo “restauro” perchéil volto della Chiesa rifletta la luce di Cri-sto».Questa straordinaria operazione di restaurodella Basilica della Natività di Betlemmeandrà avanti ancora un paio di anni.Un’opera eccezionale dal punto di vistastorico, culturale e artistico. Ma anche unsegno di pace, di collaborazione e didialogo, in un Medio Oriente segnato daguerre e tensioni che sembrano non averemai fine.

Miela Fagiolo D’Attilia

[email protected]

E VENNE L’UOMO

Olmi, l’età dell’assoluto

Ermanno Olmi si rac-conta. Il senso di unaesistenza vissuta pie-namente, passata allamoviola con la saggezzadei suoi 85 anni. Le pa-role del grande regista,raccolte da Franco Pon-tiggia nel documenta-rio-intervista “E vennel’uomo” realizzato da

Alessandro Bignami per Rai Movie,lasciano nello spettatore un sensodi pienezza e di pace. Per la capacitàdi questo grande protagonista delcinema italiano di essere fedele allaricerca delle verità dell’uomo e deisegni di Dio. Il film, presentato alFestival di Venezia dello scorso anno(sezione Classici Documentari) e poinella 20esima edizione Tertio Mil-lennio Film Festival, è stato realizzatonella casa di Asiago di Olmi, circon-data dalla quiete del bosco e dellemontagne innevate. Ma anche deipremi della sua lunga carriera cine-matografica, come la Palma d’Orovinta a Cannes nel 1978 per “L’al-bero degli zoccoli” o il Leone d’Oroassegnatogli a Venezia nel 1988per “La leggenda del santo bevitore”,per citare solo due dei tanti titolidella sua lunga filmografia.L’intervistatore, Federico Pontiggia,spiega così l’esperienza dell’incontroravvicinato con «l’ultimo dei grandivecchi, il primo dei grandi giovanidel cinema italiano. Olmi ha il rigore,il nitore e la curiosità di rinnovarsie stupirsi a ogni film, senza abban-donare la sottile linea rossa dellasua poetica: l’umanesimo. Incon-trarlo, mettersi in ascolto, significaconoscere e riconoscere un cantoredel silenzio per immagini e suoni,un profeta laico che ha fatto dei filmle sue parabole, degli spettatori isuoi compagni».

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L a gente dovrebbe aver diritto ascegliere dove vuole emigrare,

vivere e costruirsi una famiglia. Madovrebbe anche esserci un dirittoreale a scegliere di non emigrare...Così riflette il cardinale Luis AntonioTagle, presidente di Caritas Interna-

tionalis, sulla questione dei migranti,di chi lascia la propria terra, vittimadi conflitti etnici, politici e religiosima anche di povertà, di ingiustizie,di guerre, di disastri ambientali. Lofa nel suo nuovo libro “I migranti

sono miei fratelli. Siamo chiamati adaccogliere” (Edizioni EMI): «Ho potutoconoscere da vicino il dolore dei pro-fughi – scrive - È un dolore enorme eincommensurabile». Non possiamo

abbandonarli al loro destino, ma dobbiamo cercare di vedere inciascuno di essi un fratello o una sorella e dargli un senso di spe-ranza. È quello che la Caritas sta facendo ogni giorno senza sosta

È una suora straordinaria, audace e ge-nerosa, la beata Caterina Troiani, a cui

è dedicato il libro di Maria Pia Ammirati.Vissuta nell’Ottocento, per quasi 30 anniCaterina è stata missionaria al Cairo. L’au-trice, critico letterario e direttrice di RaiTeche, in questo volume dal titolo “Fuoridall’harem. Caterina Troiani tra schiave neree rubaparadiso” riporta la “vita esagerata”della suora che con la sua opera, in nomedella carità cristiana, riscattava dalla schiavitùpiù ragazze possibile, portandole via dall’-harem per istruirle e renderle libere. Inoltreaccoglieva nelle proprie missioni centinaiadi bambini abbandonati neonati o picco-lissimi, malnutriti o affetti da malformazioni,malati gravi per dare loro una degna vita osepoltura. Questi piccoli venivano definiti“rubaparadiso”.Il libro immagina gli ultimi giorni di vita diCaterina, al secolo Costanza che, malata,narra a suor Nicolina il dramma della suainfanzia, quando perse la mamma uccisa,

LIB

RI

Maria Pia AmmiratiFUORI DALL’HAREMEdizioni San Paolo - € 12,00

Caterina e il riscattodalla schiavitù

a pochi giorni dalla nascita di un fratello,dal padre. Lei a quel tempo aveva solosei anni e dopo l’accaduto fu mandatain convento a Ferentino, in provinciadi Frosinone, dove maturò la sua vo-cazione e si fece suora con il nomedi Caterina. Partì nel 1859 con altrecinque consorelle dal porto di Napoli allavolta di Alessandria d’Egitto e da lì raggiunseIl Cairo.La sua è stata la prima missione femminilein Nord Africa. Nel 1868 l’Ordine dei FratiMinori e Propaganda Fide riconobbero ca-nonicamente la comunità di suore con ilnome di Terziarie Francescane del Cairoche poi dal 1950 divenne Suore FrancescaneMissionarie del Cuore Immacolato di Maria.Fu badessa fino alla morte, avvenuta nel

Luis Antonio Tagle

I MIGRANTI SONO MIEI FRATELLISIAMO CHIAMATI AD ACCOGLIEREEdizioni Emi - € 5,00

in molti luoghi. «Ma non basta – continua - è necessario unamaggiore assistenza a queste persone perché non sono numeri.A volte vengono trattati come capi di bestiame, spostati da uncampo all’altro, costretti a camminare per chilometri portandosidietro tutto quello che hanno».Il volume è una meditazione profonda, con domande e rispostealla luce della Parola di Dio nella carità e nella misericordia.Quella misericordia che fa sì che di fronte a Dio, nessuno sia uncaso disperato. Quando guardiamo o tocchiamo le ferite deipoveri e di quelli che soffrono tocchiamo Gesù. Le ferite delSignore risorto offrono ai peccatori la giustizia divina e non lacondanna, quindi se vogliamo essere operatori di guarigione,dobbiamo guardare e toccare le ferite di Cristo nelle ferite dellepersone.Papa Francesco ha compiuto due viaggi simbolici, a Lampedusae a Lesbo, per cercare con la sua autorevolezza di richiamarel’attenzione internazionale sul tema dei migranti. Gli uomini devo-no agire. La Chiesa pure. I migranti sono nostri fratelli checostretti a lasciare la propria terra cercano la nostra umanità esolidarietà.

Chiara Anguissola

Profughi: persone, non numeri

1887. Con grande determinazione e affron-tando mille difficoltà salvò dagli harem

1.547 ragazze, spesso solo bambine, rapitenei Paesi dell’Africa centrale e vendutecome schiave. Oggi la sua missione con-tinua, operando nei Paesi del Medio Oriente,ma anche in Eritrea, Ghana e Stati Uniticon l’obiettivo di portare l’amore di Dioovunque e di promuovere il dialogo ecu-menico e interreligioso.

Chiara Anguissola

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«I fatti esterni non bastano per capire lavita di una persona: bisogna cono-

scerne i sogni, il rapporto con la famiglia,gli stati d’animo, le delusioni, la malattia ela morte». Con questa frase si apre il libro“Il contagio dell’amore” di Lucrezia Lerro,estrapolato dalle opere di Etty Hillesum. Undiario quotidiano di parole e sogni di unadonna che ama la vita e crede nell’amorecome rimedio alla cattiveria. La scrittura èla terapia che Julius Spier, il suo terapeuta,le impone per tentare la risoluzione dei suoimali esistenziali. «E se il male inflitto alpopolo ebraico facesse parte di un disegnodivino di libertà?». Cosi Etty, la protagonistadel romanzo, annota al margine di unapagina bianca dedicata a un sogno chel’aveva tanto impressionata.La storia è ambientata in Olanda, ad Am-sterdam, durante l’occupazione nazista dellaSeconda guerra mondiale. Il libro è dedicatoa Etty Hillesum e Julius Spier, lui psicochi-rologo, lei paziente, realmente vissuti inquell’epoca. L’incontro tra i due è forte edecisivo per la ragazza ebrea che volleessere accanto al suo popolo durante lashoah, fino alla morte. Etty è la giovanedonna che, nonostante si sentisse minacciatadalla ferocia nazista, non riusciva ad odiare,anzi invocava Dio di salvare gli ebrei e ilmondo intero dalle persecuzioni... Una storiadi rara intensità che parte dalla fragilità emiseria umana per arrivare all’amore uni-versale, quello eterno. Etty Hillesum e JuliusSpier sono i protagonisti di queste pagineche emozionano e commuovono per l’in-tensità psicologica di pensieri e di sentimenti.Questo scritto che mescola elementi bio-grafici e invenzione letteraria, rientra nellacollana “Vite esagerate” delle Edizioni SanPaolo, perché racconta in modo romanzatofigure che nella loro vita, aderendo a unideale di fede forte, hanno vissuto grandiavventure per amore di Dio. Nel romanzola morte sembra essere soppiantata dalcontagio del grande amore che conduceEtty Hillesum a scelte e opere di estremocoraggio che da vittima della violenza latrasforma in operatrice di pace e speranza.

Chiara Anguissola

Al centro l’amore

LIB

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Lucrezia LerroIL CONTAGIO DELL’AMORE ETTY HILLESUM E JULIUS SPIER

Edizioni San Paolo - € 12,00

È avvolta ancora nel mistero la morte delletre missionarie saveriane avvenuta nel set-

tembre 2014 a Kamenge, nel Burundi. Ancoraoggi non si è riusciti a fare giustizia della barbarauccisione di Bernardetta Boggian, Olga Raschiettie Lucia Pulici. Il libro “Va’, dona la vita!”, curatoda suor Teresina Caffi, ricostruisce le vicendedelle missionarie vissute tra il Sud Kivu in Congoe la capitale del Burundi. Racconta i tratti salientidelle loro vite, dà voce ai loro scritti intimi, faemergere riflessioni spirituali e confidenze con

amiche e familiari. Tre storie diverse, accom-pagnate dallo stesso impegno missionario, vis-sute in territori molto pericolosi e violenti.La cosa più importante per le missionarie era ilfatto di essere presenti, più che l’agire. Olga eracatechista, Lucia ostetrica e Bernardetta forma-trice, tutte fedeli testimoni di Dio. Hanno donato

anni e anni di servizio tra diversi popoli e comunità. Non hanno abbandonato la loromissione, ma sono volute rimanere nel Paese-simbolo dell’Africa piagata dallaviolenza, per il grande amore per la gente e per limitare le sofferenze della guerra.«Una missionaria muore volentieri nella sua terra di missione. E poi a me bastaesserci, anche se non potrò fare tante cose». Questa frase di Olga Raschietti, scrittapochi giorni prima di essere uccisa con le altre due consorelle, si può considerareuna sorta di testamento. Anche Lucia Pulici aveva da tempo avvisato che nontemeva per la sua vita e che in caso di morte voleva essere lasciata là; diceva di de-siderare di «morire in Africa per risorgere il giorno ultimo col popolo africano».L’opera dell’autrice ci riporta all’amore e alle azioni quotidiane di donne semplici etenaci, pronte ad affrontare pericoli, guerre, soprusi e timori per portare a chiunquela materna vicinanza di un Dio che si fa prossimo a ciascuno. La vita e le opere ditanti missionari e missionarie si possono riassumere in questi ultimi pensieri.

Chiara Anguissola

A cura di Teresina Caffi VA’, DONA LA VITA!STORIA, PAROLE, MORTE DI TRE MISSIONARIE SAVERIANE IN BURUNDI

Edizioni EMI - € 13,00

Missione in Burundi

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anche nella voce dei tanti che in Siriacontinuavano a vivere nel terrore(proprio per il suo instancabile im-pegno umanitario, nel 2015 gli fuassegnato il prestigioso “PremioBeethoven”). Nel novembre delloscorso numero è stato invitato adesibirsi al Barezzi Festival, ed è im-pegnato in un tour nella nostra Pe-nisola di un paio di mesi. Serviràanche a promuovere il suo primoalbum, significativamente intitolatoMusic for hope, uscito la scorsaestate: 18 tracce che raccontano ildramma della guerra in Siria attra-verso una musica “classica” d’aroma

palesemente occidentale, ma armonica-mente intersecata coi versi e le melodiearabe. «Un album – ha dichiarato – cheho dedicato al mio popolo che vuole viverelibero ma non ha alcuna voce».Ormai noto in tutto il mondo come il leg-gendario pianista di Yarmouk, il 28ennedi Damasco scrive e suona musica chepare portarsi addosso le stimmate dellasua martoriata terra e la malinconia di tuttigli esuli. La sua nuova vita è solo all’inizio- presto arriveranno un nuovo disco eun’autobiografia - e tuttavia, come tanticonnazionali, anche Aheam si sente in

colpa per esseredovuto fuggire dallapropria terra, pursenza aver mai per-so la speranza dipoterla ritrovarepresto pacificata:«Tutti noi, musul-mani, cristiani edebrei, crediamo inun Dio che ci chie-

de di avere fede; solo con l’amore e lapazienza si potrà salvare il mondo, anchedove, come in Siria, la situazione pare, senon disperata come nei mesi scorsi, ancoraben lungi dal risolversi». Di certo, il giornoin cui accadrà, un po’ di merito dovremoascriverlo anche ad Aheam e al suo pia-noforte.

Franz Coriasco

[email protected]

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AEHAM AHMAD

U n pianoforte sotto le bombe, circon-dato da bambini, polvere e macerie.

È quello di Aeham Ahmad, un giovane si-riano il cui nome ha fatto il giro del web

quando, un paio di anni fa, lo si era vistosuonare il suo malandato strumento, cir-condato dai calcinacci e dalle devastazionidi quel girone infernale che è il campo pro-fughi di Yarmouk, alle porte di Damasco.Aeham aveva studiato al conservatorio,ma la guerra aveva sconvolto anche i suoiprogetti, e per campare s’era messo avendere falafel per le strade sfigurate dellasua città. Poi la passione per la musicaha avuto la meglio, così ha ripreso il suopianoforte verticale, l’ha caricato sul car-retto dello zio ortolano, e ha cominciatoa girare per i quartieri più desolati dellacittà, per portare un po’ di speranza nelcuore dell’orrore: «All’inizio suonavo solomusica classica – ha ricordato in un’in-tervista a La Repubblica nel 2015 - poiho cominciato a comporre e a proporreanche pezzi miei». Una sfida coraggiosasbattuta in faccia ai guerrafondai d’ognifazione: perché quelle foto e quei video

improvvisati hannofatto il giro delmondo.Il giorno in cui imiliziani dell’Isisgli hanno bruciatoil pianoforte – per-ché la musica oc-cidentale è considerata dai deliri integralistiun peccato mortale – e ucciso uno deibambini che sempre s’affollavano intornoal suo pianoforte, Ahmad ha deciso di la-sciare il Paese e fuggire in Europa. In Ger-mania è riuscito ad ottenere lo status dirifugiato, mentre cominciavano ad arrivarglirichieste per concerti da diverse nazioni:trasformandolo non solo nel principaleambasciatore del pacifismo siriano, ma

Unpianoperlapace

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tici e approfondimenti ispirati dalla Pa-rola di Dio, per mantenere viva in cia-scuno la consapevolezza della propriacorresponsabilità nell’annuncio delVangelo. Inoltre propone una concre-ta solidarietà con le Chiese di missio-ne per il finanziamento di opere reli-

giose, assistenziali ededucative. Lo fa in modouniversale, in particola-re in occasione dellaGiornata MissionariaMondiale, che si celebraogni anno in tutto ilmondo nella penultimadomenica di ottobre. Macome animare alla mis-

VITA DI MISSIO

Un appello a tuttiVITA DI MISSIO Missio Adulti&Famiglie

di CHIARA [email protected]

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È stata inviata poche settimane fatramite posta elettronica la let-tera-appello che don Mario Vin-

coli, Segretario nazionale di MissioAdulti&Famiglie, ha voluto lanciare atutti i contatti, gli Uffici missionari dio-cesani, i singoli collaboratori sparsi sulterritorio. L’obiettivo è quello di chia-mare a raccolta quante più personepossibile (tutte legate al mondo del-l’animazione missionaria di adulti, fa-miglie e comunità, a livello parrocchia-le e diocesano), per ripensare, proget-tare e rilanciare l’area pastorale del Se-gretariato nazionale della PontificiaOpera della Propagazione delle Fede.Missio Adulti&Famiglie promuove laformazione missionaria attraverso mo-menti di riflessione, contributi tema-

sione, nel concreto, adulti, famiglie ecomunità? Quali linguaggi e nuovistrumenti proporre come Segretariato?Sono queste le domande che hannomosso don Vincoli a scrivere la lette-ra-appello.«Sentiamo forte la necessità di costrui-re una rete, di fare un percorso e dareun’offerta formativa proprio a voi,adulti e famiglie, che spesso ci chiede-te supporto a riguardo. Non bastaanimare l’Ottobre missionario, occor-re fortificare un’identità di un settoreche ha tanto da dare e che è indispen-sabile nelle nostre diocesi», si legge nel-la e-mail inviata. «Tenuto conto del vo-stro impegno nell’ambito missionario –continua don Vincoli - ho pensato chepotevate essere voi la voce di quel

È un viaggio quotidiano di preghiera per ogni Paese

del mondo e la sua Chiesa. Utile all’animazione di

gruppi, comunità, famiglie, intende favorire la par-

tecipazione spirituale alla missione universale, la

conoscenza e l’apertura al mondo. Il Calendario è

lo strumento indispensabile per intraprendere il

Pellegrinaggio in quanto fa corrispondere a cia-

scun giorno una nazione per cui pregare. Per ogni

Paese c’è una scheda (inserita in un pratico rac-

coglitore) che descrive sinteticamente le principali caratteristiche

dello Stato abbinato a quel giorno, le difficoltà vissute dalla popolazio-

ne, la situazione del cristiani presenti, la vita della Chiesa locale.

Il Pellegrinaggio ad gentes

A quanti sono infermi, malati o sofferenti, viene proposto di vivere efficacemen-te la propria vocazione missionaria mediante l’offerta a Dio delle sofferenze fi-siche e spirituali, e di farlo attraverso la preghiera quotidiana per i missionari.Un modo concreto per condividerne le difficoltà, parteciparne e sostenerne lefatiche. Chiunque desidera partecipare all’iniziativa riceve l’indicazione relativaai missionari da affidare al Signore, uno schema di preghiera e la corona mis-sionaria.

Cirenei della missione

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VITA DI MISSIO

ste elaborate a livello nazionale daMissio Adulti&Famiglie.Chi fosse interessato a rispondere all’ap-pello può scrivere all’indirizzo del Segre-tariato: [email protected]

L’invito del Segretario è quello di rispon-dere a questa domanda nel modo più li-bero e veritiero possibile, in quanto èfondamentale una collaborazione cheparta dal territorio e modelli le propo-

Per animare missionariamente la propria comunità o un gruppo di adulti e fa-miglie, si propongono specifici sussidi annuali. Si tratta di strumenti versati-li che si prestano ad essere utilizzati come: integrazione di cammini già deli-neati, attraverso incontri monografici; proposte di itinerari mensili completi pergruppi che desiderano approfondire i temi della fede in chiave missionaria; sem-plice raccolta di testi di vari autori cui attingere per qualsiasi genere di incon-tro già programmato.L’Animatore missionario è un sussidio specifico che contiene il materiale di ani-mazione per la celebrazione dell’Ottobre missionario e della Giornata Missio-naria Mondiale.

Sussidi annuali e L’Animatore missionario l’animatorerivista trimestrale di animazione missionaria

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missionario

GIORNATAMISSIONARIAMONDIALE

2016PREGHIERA E OFFERTE PER LE GIOVANI CHIESE

È l’iniziativa tradizionalmente affidata all’Opera Apostolica, set-tore interno della Pontificia Opera della Propagazione della Fede.Il suo obiettivo è quello di promuovere la raccolta degli ogget-ti sacri essenziali per consentire una celebrazione liturgica di-gnitosa ai missionari nelle giovani Chiese. Attraverso un’offer-ta indicativa, si permette l’acquisto degli oggetti liturgici dainviare ai missionari. Si tratta di una proposta di solidarietàcui aderire individualmente o insieme alla comunità, in occasio-ne di particolari ricorrenze come il Natale, la Pasqua, matrimo-ni e anniversari, conclusione dell’Anno pastorale.

Dalla messa la missione

territorio che è fondamentale ascolta-re per poter comprendere le esigenze ele aspettative proprio degli adulti e del-le famiglie». Ecco quindi la richiestaesplicita a cui i contattati sono invita-ti a rispondere: «Di che cosa dovrebbetenere conto un percorso di formazio-ne e animazione missionaria rivolto avoi, adulti e famiglie?».

È una nuova iniziativa rivolta a giovani e famiglie. Si tratta di una carta che ri-chiama una credit card, a ricordare il compito, proprio di ciascun battezzato,di “ricaricare la missione” attraverso il proprio impegno personale e comunita-rio. La Missio Card propone l’utilizzo della tecnologia digitale: qrcode che riman-da ad una breve presentazione video delle iniziative e dei progetti di solidarie-tà delle Pontificie Opere Missionarie, e alla piattaforma on line per effettuareaccrediti attraverso smartphone o tablet.

Missio Card

Missio Adulti&Famiglie

Per questi e altri strumenti cheMissio Adulti&Famiglie propone,si può contattare il Segretariatoallo 06/66502626 o scrivere [email protected]

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S ono suor Suma Bara, della congre-gazione della Santa Croce di Cha-vanod e lavoro nella parrocchia di

Deogarh, nello Stato di Odisha nell’Indiadel Nord. Sono la superiora del conven-to e colgo questa opportunità per ringra-ziarvi del supporto per rafforzare la fededelle donne della parrocchia di Deogarhche ha molte frazioni, composte da cir-ca 70 famiglie l’una. L’area della parroc-chia si divide in due ampie zone sul ter-ritorio, una ad Est ed una ad Ovest, dovestiamo svolgendo programmi per la for-mazione umana, culturale e religiosadelle donne. In principio avevamo pro-grammato di dare formazione religiosaper le donne in tutta la parrocchia di Deo-garh ma, per la carenza di fondi, non sia-mo riusciti a coprire la zona occidenta-le della parrocchia. I nostri programmi

GRAZIE AMICIGRAZIE AMICISolidarietà delle Pontificie Opere Missionarie

prevedono la pre-ghiera, i gruppi diautoaiuto per le donne, la discussione deiproblemi del villaggio per il miglioramen-to delle condizioni di vita per tutti. Ab-biamo incoraggiato l’impianto di orti fa-miliari che permettono un migliore so-stentamento familiare, il tenore di vita ele condizioni di salute. Dopo la nostra for-mazione, le donne cambiano stile di vitanella famiglia e nella via del villaggio: in-troducendo molte attività sociali, abbia-mo potuto vedere le donne lottare per iloro diritti, fino al punto di far chiuderechioschi per la vendita di alcolici.Nella zona Ovest della parrocchia cisono 10 gruppi che lavorano per lo svi-luppo del villaggio. In queste zone è pre-sente la malaria. Durante i corsi di for-

PER AIUTARE I MISSIONARI E LE CHIESEDEL SUD DEL MONDO ATTRAVERSO LE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE:- Bonifico bancario intestato a

Missio Pontificie Opere Missionariepresso Banca Etica (IBAN: IT 55 I 05018 03200 000000115511)

- Conto Corrente Postale n. 63062855intestato a Missio - Pontificie OpereMissionarie, via Aurelia 796 – 00165 Roma

(informazioni: [email protected] –06/66502620)

Sono l’organismo ufficiale della Chiesa cattolica per aiutare le missioni e le Chiese del Sud delmondo nell’annuncio del Vangelo e nella testimonianza di carità. Approvate e fatte proprie dallaSanta Sede nel 1922, sono presenti in 132 Paesi. In Italia operano nell’ambito della FondazioneMissio, organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana.Attraverso un fondo di solidarietà costituito dalle offerte dei fedeli di tutto il mondo provvedono a:• finanziare gli studi e la formazione di seminaristi, novizi, novizie e catechisti;• costruire e mantenere luoghi di culto, seminari, monasteri e strutture parrocchiali per le attività

pastorali;• promuovere l’assistenza sanitaria, l’educazione scolastica e la formazione cristiana di bambini e

ragazzi;• sostenere i mass-media cattolici locali (tv, radio, stampa, ecc.);• fornire mezzi di trasporto ai missionari (vetture, moto, biciclette, barche).

PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE

CHI FA UN’OFFERTA PER LA MISSIONE UNIVERSALE ATTRAVERSO LE

PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE ITALIANE CONTRIBUISCE ALLA

SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE CHE ARRIVA FINO AGLI ESTREMI CONFINI

DELLA TERRA. GRAZIE ALLA GENEROSITÀ DI CHI DONA, OGNI ANNO

VENGONO REALIZZATI PROGETTI DI DISPENSARI, ASILI, SCUOLE, SEMINARI,

CHIESE IN TUTTI I PAESI DEL SUD DEL MONDO. BASTA APRIRE L’ATLANTE

DELLA MISSIONE PER SCOPRIRE DOVE UOMINI, DONNE E BAMBINI DI

TUTTE LE RAZZE E LE CULTURE RICEVONO L’AIUTO CHE PARTE DALL’ITALIA.

INDIA

Le donne della parrocchia di Deogarh

mazione religiosa abbiamo svolto anchecorsi di prevenzione e cura della malat-tia. Nel complesso, guardando ai risulta-ti, molti obiettivi sono già stati raggiun-ti. Anche se ci dispiace perché non sia-mo in grado di coprire tutti i distacca-menti della parrocchia di Deogarh, sia-mo grati alla Pontificia Opera della Pro-pagazione della Fede per averci conces-so i fondi per portare avanti i program-mi di formazione religiosa e umanadelle donne di questa zona. Ringraziamosoprattutto i benefattori che ci permet-tono di continuare il nostro lavoro sul ter-ritorio per la promozione.

(a cura Miela Fagiolo D’Attilia)

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VITA DI MISSIOM

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M ondialità,intercultu-ra, consu-

mo critico, salvaguar-dia del Creato, dirit-ti umani. Sono questele parole che hannosegnato fin dall’iniziola formazione che Mis-sio offre ai giovani mis-sionari italiani. Lo scorso anno numerosi giovani provenien-ti da tutta Italia hanno partecipato con entusiasmo, convin-cendo la segreteria di Missio Giovani a riproporre il per-corso per il 2017.La proposta formativa di “Missio Giovani a Km0” pensataper quest’anno prevede l’approfondimento delle temati-che del nuovo sussidio “Non abbiate paura”, incentrato sul-la Laudato Si’ di papa Francesco. “Grido della Terra e gri-do dei Poveri”, questo il titolo del primo incontro che siè tenuto presso il Cum di Verona dal 5 e all’8 gennaio.Il tema, scelto in linea con la proposta del sussidio per ilmese di gennaio, ha segnato tutti i momenti di questa pri-ma tappa. In questo momento più che mai sembrava ur-gente trattare questa tematica cara a papa Francesco, chenella Laudato Si’ scrive: «Non perdiamoci a immagi-nare i poveri del futuro, è sufficiente che

ricordiamo i poveri di oggi, che hanno pochianni da vivere su questa terra e non possono continua-

re ad aspettare». I relatori, invitati ad approfondire questeparole e consegnare stimoli biblici ai partecipanti, sono sta-ti padre Alex Zanotelli e suor Elisa Kidanè, entrambi com-boniani. Con i loro interventi hanno posto l’accento su ciòche significa ascoltare e non ignorare il grido della Terra eil grido dei poveri, quei poveri che abitano le periferie delmondo, nascono e muoiono nell’indifferenza dei poten-ti.Proprio di questo ha parlato Alex Zanotelli in occasione del-l’Epifania, contestualizzando il brano dei Magi e sottoline-ando il ruolo dell’Impero Romano di allora come metafo-ra degli imperialismi del nostro tempo. Lui che a Korogo-cho, baraccopoli nella periferia di Nairobi in Kenya, ha vis-suto accanto agli “impoveriti” in situazioni di degrado uma-no e ambientale, là dove si subiscono le ingiustizie di un

sistema che schiaccia ed uccide tanti per incre-

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MISSIO GIOVANI A KM0MISSIO GIOVANI A KM0

Al centro suor Elisa Kidanè .

Padre Alex Zanotelli.

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visione. L’obiettivo è stato quello di rispondere alla doman-da: «Noi giovani da che parte stiamo?».Da questi interventi, dai laboratori e dalle ricche condivi-sioni, ognuno ha appreso quello che è l’atteggiamento cheGesù ci chiede di assumere rispetto alle ingiustizie del mon-do e alla povertà. Scegliere di diventare portavoce di quel“grido”, di farsi prossimo non solo con le parole ma conscelte di vita concrete. «Oggi lamissione che sentiamo nostra èquella di camminare con i po-veri, ascoltare la loro voce, im-primere nel cuore i loro volti ele loro storie per trasmettere a

chiunque incontriamo laresponsabilità per il siste-ma in cui viviamo». Dan-dosi appuntamento per laseconda tappa di “MissioGiovani a Km0” di giugnoe ricchi di questa consa-pevolezza, si ritorna acasa dove ognuno siimpegna a vivere que-sta missione a passi lie-vi, testa alta e cuoreaperto.

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mentare il benessere di pochi. La sua testimonianza rac-conta di un Dio che non accetta un sistema del genere, unimpero: «Un Dio che viene, si manifesta, che sfida il tem-po rovesciando tutto».Suor Elisa Kidanè è intervenuta la mattina del 7 gennaio, leiche si definisce eritrea per nascita, missionaria combonia-na per vocazione e cittadina del mondo per scelta. Dallesue parole si evince la passione di chi ha fatto dell’ascol-to di quel grido la sua vita. Nella sua testimonianza ognu-no si è sentito preso per mano e portato, con il Vangelocome bussola, verso le periferie del mondo. Più che sem-plici parole, ciò che ha consegnato è vera e propria poe-sia, sentimento che nasce dal cuore. «Non Paesi poveri, maPaesi impoveriti. La ricchezza che c’è lì non c’è in nessunaltro posto. E non Terzo mondo: Dio di mondo ne ha crea-to uno. Siamo noi che lo abbiamo diviso e continuiamo adividerlo, mentre dovremmo cercare d’andare sempre piùverso l’unità».Dopo tanti spunti di riflessione i partecipanti hanno pre-so parte a dei laboratori di confronto per rielaborare quan-to ascoltato e porsi interrogativi che facilitassero la condi-

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Intenzioni

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I N T E N Z I O N E D I P R E G H I E R A D E L P A P AM

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“di MARIO [email protected]

“PER QUANTI SONONELLA PROVA,SOPRATTUTTO IPOVERI, I PROFUGHIE GLI EMARGINATI,PERCHÉ TROVINOACCOGLIENZA ECONFORTO NELLENOSTRE COMUNITÀ.

pensare ai papà separati che devonolasciare l’appartamento a moglie e fi-gli e passare loro una parte dello sti-pendio, mentre essi stessi sono costret-ti a dormire nei dormitori pubblici oda amici compiacenti).Le comunità cristiane sono quindichiamate a dare una risposta sia ai pro-fughi che arrivano dalla Siria e dai Pae-si in guerra delle varie parti del mon-do, sia ai nuovi poveri che la nostrasocietà genera come scarti di una nuo-va impostazione delle relazioni fra lepersone che si sta imponendo inmaniera sempre più radicale. Volta-re la testa dall’altra parte non fa altroche aggravare il problema.

F a sempre un certo effetto ve-dere nelle nostre città, neinostri paesi, anche nelle bor-

gate più sperdute, delle personeche vivono ai margini della società,e per quanto facciamo finta di nonvederli quando li incrociamo suimarciapiedi, essi ci sono e con la lorovita e soprattutto con i loro sguar-di non smettono di interpellarci. Avolte li gratifichiamo con una mo-neta o con un gesto di altruismo, al-tre volte invece cerchiamo di cam-biare direzione nel nostro camminopur di non incrociarli, anche se poiun sottile senso di colpa si insinuanelle nostre coscienze, rendendociinquieti.È evidente che la risposta a questo pro-blema non può essere individuale.Come comunità cristiana siamo chia-mati a dare una risposta corale a undramma che si consuma sotto i no-stri occhi. Per fortuna la comunità cri-stiana non è impreparata di fronte aqueste problematiche: molte parroc-chie, oltre a diverse comunità eccle-siali, danno accoglienza a persone chevivono sulla strada, mettendo loro adisposizione locali per passarvi la

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Non giriamo la testa

notte e spazi comuni per vivere mo-menti di socialità.Ci sono poi delle realtà ecclesiali chesi danno da fare per procurare loro deipasti caldi; altre persone in questi ul-timi tempi hanno allestito delle men-se comuni che hanno sempre affezio-nati clienti, sia a mezzogiorno comea sera; altri ancora si ingegnano nelpreparare delle “borse-famiglia” con-tenenti diversi generi alimentari perfar fronte ai bisogni impellenti di unafetta di società che si allarga sempredi più.Tutto ciò si può dire che la comuni-tà cristiana l’ha sempre fatto: se dia-mo uno sguardo ai secoli passati ve-diamo che i poveri trovavano nei con-venti e nelle chiese un rifugio sicurosia per passarvi la notte, sia per ave-re un pezzo di pane da mettere sottoi denti. Con vari cambiamenti ciò sirealizza ancora oggi. Il problema stanel fatto che la categoriadei poveri o degli indigen-ti cambia nel tempo: oggici troviamo di fronte deipoveri che fino a qualchetempo fa non era pensa-bile annoverare nel nove-ro di coloro che vivevanoin gravi difficoltà (basti

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che lavorano soprattutto in Africa ein America Latina. I membri deigruppi missionari corrispondonocon loro, pregano per loro e si dan-no da fare per raccogliere fondi perle loro iniziative in missione. Quan-do i missionari tornano per le vacan-ze, i gruppi si prendono cura di loroe li invitano ai vari incontri. Infat-ti si radunano ogni mese per la loroformazione. Siamo in tre veteranidella missione che si incontranomensilmente con i diversi gruppi.Da parte sua, l’ufficio missionario diTrento, ci fornisce del materiale dadiffondere nei gruppi, tra cui la ri-vistina ‘Comunione e Missione’.A livello liturgico, i gruppi missio-nari tradizionali animano la liturgiain varie occasioni, in particolare du-rante il mese di ottobre, nel qualepreparano anche la Giornata Missio-naria Mondiale. Inseriscono inten-zioni missionarie nella domeni- »

La missione ad gentes dei gruppi missionari

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storali, nelle quali, a causa della cre-scente mancanza di clero, sono sta-te accorpate ben 26 parrocchie.L’ufficio missionario ha affidato a noimissionari verbiti l’animazione mis-sionaria di queste tre unità pastora-li. Lo facciamo soprattutto attraver-so i gruppi missionari. E così ho in-tervistato i loro coordinatori.

Ci sono al mo-mento vari grup-pi missionari inquesto territorio,a livello di parroc-chie, di unità pa-storali e di vicaria-ti. Alcuni sonopiù antichi estrutturati, e lichiamo “gruppimissionari tradi-

zionali”, altri sono nati più di recen-te, sono meno strutturati ed hannogeneralmente uno scopo caritativo.I gruppi missionari tradizionalisono in gran parte composti dapersone non più giovani, e in mas-sima parte donne. Sono tutti sortiper aiutare i missionari e le missio-narie provenienti dai loro Paesi,

di FRANCO [email protected]

L’ amico padre Ciro Biondi,conosciuto e apprezzato neimolti anni passati insieme in

Papua Nuova Guinea, mi ha gentil-mente invitato a scrivere alcune ri-ghe per questa rubrica, ‘InsertoPUM’ della rivista Popoli e Missio-ne. Mi sono preparato alla cosa in-formandomi innanzitutto sulla sto-ria e gli obiettividella PontificiaUnione Missio-naria. Mi ha col-pito uno dei suoiobiettivi, che èquello di “Ani-mare tutti glianimatori delpopolo di Dioper la Missione”.Mi sono quindichiesto: chi sono gli “animatori delpopolo di Dio per la Missione”? Cene sono a vari livelli e così ho pen-sato di cominciare dal livello più bas-so, che per me è quello dei gruppimissionari presenti nel territorio incui mi trovo ad operare.Si tratta di un territorio della dioce-si di Trento, diviso in tre Unità pa-

I MEMBRI DEI GRUPPICORRISPONDONO CON I MISSIONARI,

PREGANO PER LORO E SI DANNO DA FARE

NELL’AMMINISTRAZIONEE PER LA RACCOLTA

DI FONDI.

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tro. La principale è certamente il fat-to che i missionari e le missionarielocali diventano sempre meno nume-rosi. Alcuni sono già morti mentrealtri sono rientrati a causa dell’etàavanzata. Al momento mancanomissionari locali giovani e anche can-didati alla vita missionaria. Questofatto rappresenta senz’altro una sfi-da grande per il futuro di questo tipodi gruppi missionari. Ammettonopoi di trovare grande difficoltà a re-

clutare giovani e uomini. L’inte-resse per la missione ad

gentes è diminuito dimolto sia tra i gio-

vani che tra lepersone di mez-za età. Vorreb-bero che si par-

missionari li aiutano con varie inizia-tive. Da molti anni, ad esempio, du-rante la stagione turistica, un grup-po apre un mercatino a favore deimissionari e missionarie locali. Un al-tro organizza tombole e vasi della for-tuna. Altri, durante l’Avvento, apro-no un mercatino di Natale, in cuivendono manufatti preparati daloro, comprese porcellane e cerami-che dipinte. Il ricavato delle vendi-te va a favore delle missioni. Inoltrediffondono le adozioni a distanza esi autotassano per poter finanzia-re le loro iniziative e provve-dere ai missionari in va-canza.Nelle interviste hannoespresso anche le diffi-coltà cui vanno incon-

cale preghiera dei fedeli, animano lagiornata dei missionari martiri (24marzo) e organizzano veglie di pre-ghiera missionaria aperte a tutti i fe-deli sia a livello parrocchiale che diunità pastorale o vicariale. La pre-ghiera è un punto forte della loroanimazione missionaria.A livello di annuncio, alcuni mem-bri dei gruppi missionari sono an-che maestre, catechiste o membri deiconsigli pastorali, così hanno occa-sione di animare missionariamentei loro scolari, i gruppi di ragazzi e ra-gazze delle catechesi o la program-mazione pastorale dell’intera Unitàpastorale.È però a livello caritativo che igruppi missionari tradizionali dame incontrati sono stati e sonomaggiormente impegnati. I lorocompaesani missionari segnalanodei progetti da finanziare e i gruppi

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«Se finora le energie della vita reli-giosa sono state spese come sup-

plenza di spazi sociali, oggi vengonospese in supplenza di spazi ecclesiali? Siprocede di supplenza in supplenza o piut-tosto di profezia in profezia?» Una do-manda cruciale che suor Plautilla Brizzo-lara delle Piccole Figlie dei Sacri Cuori diGesù e di Maria ha posto concludendo ilracconto di un’esperienza che presentaanche aspetti positivi: l’affidamento, nel2013, della parrocchia di Panocchia, nelladiocesi di Parma, alla comunità religiosadi cui è responsabile.È nel febbraio dello scorso anno che unatrentina di religiose, convocate dall’USMI,hanno partecipato a un laboratorio che ha

messo a fuoco luci e ombre della collaborazione pastorale delle religiose nelle Chieselocali, a partire da una lettura critica di questa singolare forma di “cura pastorale” che,dopo alcune esperienze degli anni Ottanta-Novanta, sembra oggi scomparire comeha dimostrato il racconto della lunga esperienza (1988-2014), oggi conclusa, di suorFrancesca Berton, delle Suore Pastorelle, a cui era stata affidata la Parrocchia di SanMichele Arcangelo in Nocera Superiore (diocesi di Nocera Superiore-Sarno).La questione è complessa anche perché c’è di mezzo il Codice di Diritto Canonico cheal can 517, (§2) precisa che «a motivo della scarsità di sacerdoti il Vescovo dioce-sano può affidare ad un diacono o ad una persona non insignita del carattere sacer-dotale o ad una comunità di persone una partecipazione nell'esercizio della cura pa-storale di una parrocchia», ma costituendo comunque un sacerdote che, con la potestàdi parroco, sia il moderatore della cura pastorale.«In effetti in questi termini – concludeva suor Plautilla - si esprime il decreto con cuiil nostro Vescovo ci ha nominate, lasciando alla prassi di vedere come muoversi. Viadifficile quando non c’è un mandato chiaro, quando ad esercitare una “certa” auto-rità è una donna, per la consuetudine ad identificare l’autorità con il carattere sacer-dotale e per i vincoli che il Diritto impone».Laici e donne nella Chiesa relegati nella categoria di precari supplenti?!? Sì, soprat-tutto se guardiamo alla nostra realtà di Chiesa italiana, “ni” se ci spostiamo anche sol-tanto in Francia, “no” se ci decentriamo verso il Sud del mondo, in particolare in Ame-rica Latina, dove ci sono buone possibilità di passare da supplenti a titolari! Èquestione di servizio non di potere: qui sta il segreto della profezia.

Suor Azia Ciairano

RELIGIOSE

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SUPPLENTI E PRESENTI

Stanno via alcune settimane e, unavolta tornati, riportano quello chehanno fatto. Evangelizzano con lemani e con l’esempio, che in fondoè una forma importante di evange-lizzazione.

in Africa (Tanzania e Kenya) grup-pi di operai a costruire infrastruttu-re in zone in cui operano od opera-vano i loro compaesani missionari.Partono ogni anno a scaglioni, dopoaver ricevuto la croce e il mandato.

lasse della missione anche nelle lezio-ni di catechismo ma le catechiste,

per varie ragioni, non sono pro-pense a farlo o ad invitare al-

tri a farlo per loro. Trovanopoi che i consigli delle Uni-tà pastorali si limitano atrattare i loro problemi in-terni, e che anche nelleomelie della Messa rara-mente si parla di missio-narietà. I parroci, obera-ti di lavoro, non sareb-bero in grado di cura-

re troppo i gruppimissionari.Venendo ora aigruppi missiona-ri meno struttura-

ti presenti nel ter-ritorio, ricordo pri-

ma di tutto un grup-po che da molti anni

raccoglie denaro, indu-menti e cibo da manda-

re in Romania. Un altro,costituito già 30 anni fa,ha continuato a mandare

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Op

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Senza Gesù nel cuore siamo troppo poveri per aiutare i più poveri

Rendi visibile il tuo amore a Dioaiutando i Missionari a celebrare l’Eucarestia

e amministrare i sacramenti.Dona gli oggetti sacri essenziali

per una celebrazione liturgica dignitosa.

dalla Messa la Missione Proponi alla tua comunità l’acquisto di uno o più oggetti

liturgici, in occasione di: Natale e Pasqua; Prima Comunione e Cresima; Matrimoni e anniversari;conclusione Anno Pastorale.

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