Trabattoni, Attualità Di Platone

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Franco Trabattoni ATIUALITA DI PLATONE \IUDI SUI RAPPORTI FRA PLATONE E RORry, HEIDEGGER, GADAMER, DERRIDA, CASSIRER, STRAUSS, NUSSBAUM E PACI LI UNRilNT lNV.l 065228 . r*rvnnS t frtr §l l$t fl mt*

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StUDI SUI RAPPORTI FRA PLATONE E RORty, HEIDEGGER, GADAMER,DERRIDA, CASSIRER, STRAUSS, NUSSBAUM E PACI

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Franco Trabattoni

ATIUALITA DI PLATONE\IUDI SUI RAPPORTI FRA PLATONE E RORry, HEIDEGGER, GADAMER,

DERRIDA, CASSIRER, STRAUSS, NUSSBAUM E PACI

LIUNRilNT

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www.vitaepensiero. it

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Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del157o di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previstodall'art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 apile l94t n. 633.Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico ocommerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essereeffettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso diP<rrta Romana n. 108,20122 Milano, e-mail: [email protected] e sito webwww.aidro.org

(O z(XX) Vitu c Pcnsiero - [-:ìrgo A. Gemelli, 7 - 20lZZ MilanotstìN 1)7rì-81.ì-343- I fì22-5

INTRODUZIONE

Nella mia ormai quasi trentennale attività di ricerca mi sono occu-pato quasi esclusivamente di storia della filosofia antica. Il lavoro dellostorico - ed è questo un titolo che rivendico con piena consapevolezzadell'importanza e dei limiti di tale compito - consiste principalmentenell'interpretazione dei testi, volta a stabilire che cosa I'autore volesse

significare scrivendoli (o diffondendoli in altro modo, dato che nel pen-siero antico non sono infrequenti casi di filosofi che si sono espressi

solo oralmente). Mi rendo conto che al giorno d'oggi un obiettivomodesto come questo può essere facilmente considerato ingenuo,riduttivo, o addirittura impraticabile. Nell'epoca della decostruzione e

del post-moderno si sente spesso dire che i testi, una volta definitiva-mente separati dal padre che li ha generati (uso una metafora di matri-ce derridiana), acquistano una completa autonomia. Per cui lo scopodell'interprete sarebbe quello di lasciar parlare il testo in quanto tale,facendone emergere i suoi molteplici significati, che vanno molto al dilà di quanto l'autore ha inteso consapevolmente esprimere. In tal modoil testo filosofrco diviene disponibile per una serie infinita di ritessiture(questa volta prendo il termine da Richard Rorty), che poi costituisco-no l'ordito di un modo di fare filosofia certo non indipendente dagliautori wtllizzati, ma sostanzialmente libero dai vincoli e dalle cautele a

cui invece è legato il lavoro propriamente storiografico.Ammetto senza difficoltà non solo che si tratta di un'operazione del

tutto legittima, ma anche che essa è alla base di alcune fra le più inte-ressanti produzioni della filosofia contemporanea. In fondo, se si vuolecontinuare a fare filosofia anche oggi, rifiutando l'idea che viviamoormai in una stagione di basso impero in cui ai filosofi non rimane chetrasformarsi in commentatori, si tratta di una scelta quasi obbligata. Ilpanorama filosofico del Novecento contempla sia pensatori estrema-mente colti sul piano storiografico, sia pensatori che lo erano moltomeno (ad esempio Husserl e Wittgenstein), e non è dettto che i piùinteressanti siano sempre i primi (il detto eracliteo secondo cui ilmolto sapere non insegna ad avere intelletto conserva tutta la sua

attualità). E tuttavia anche i filosofi più creativi, se così vogliamo dire,e meno interessati alla tradizione, non hanno potuto evitare di espor-re le proprie tesi in costante confronto con i filosofi del passato (oalmeno con alcuni di essi, ritenuti particolarmente importanti). II cita-tissimo detto di A. N. Whitehead, secondo cui tutta la storia del pen-siero occidentale non sarebbe altro che una serie di note a pié di pagi-

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AITUAI-ITA DI PLAIONE

na al testo di Platone, in realtà non r,r.role dire (espungendo l'iperbo-le) altro che questo: è ben difficile che un pensatore contemporaneopossa esporre tesi filoso{icamente rilevanti senza che esse prevedanoun confronto, implicito o esplicito, con qualcosa come "la filosofia diPlatone" o "il platonismo". Se questo è vero, I'idea di svincolare inqualche modo il testo filosofico dal suo autore e dalle supposte inten-zioni che governavano la sua scrittura sembra essere l'unico modo pra-ticabile che ci è rimasto per fare filosofia, poiché se è vero che è impos-sibile fìlosofare in astratto senza chiamare in causa i grandi autori delpassato, è anche vero che non si può pretendere che i filosofi "teoreti-ci" (uso la terminologia corrente nell'accademia italiana) possiedanole stesse competenze storiografiche che sono invece essenziali per glistorici. Ciò comporterebbe, fra l'altro, un enorme dispendio di ener-gie nella consultazione e nell'analisi di una letteratura secondaria cheormai è d'obbligo chiamare "sterminata".

Detto questo, è ben chiaro che il lavoro dello storico ha una naturamolto diversa. Per il momento mi accontento di far notare che a questolavoro dowebbe essere consentita almeno una pari legittimità. E nonsarebbe nemmeno il caso di dirlo, se non fosse che tale legittimità vienecontinuamente messa in discussione: in particolare proprio in Italia,dove fin dagli anni '50 si è awiata una diatriba noiosa non ancora deltutto sopita. Ancora oggi molti ritengono che lo storico della filosofrasia una sorta di polveroso antiquario, impegnato a leggere testi margi-nali o a dirimere questioni irrilevanti, del tutto avulso da quella che è lafìlosofia propriamente detta; owero, come ho sentito dire da un colle-ga qualche anno fa, che il rapporto tra filosofi "teoretici" e storici sia

paragonabile a quello che intercorre tra i giocatori di calcio e gli spet-

tatori allo stadio. Corollario di questa disistima è I'idea che il teoreta,poiché prowisto di una naturale capacità di comprensione dei proble-mi filosofici ignota allo storico, dovrebbe trascurare la letteratura sto-

riografica per pura e semplice igiene mentale, per lasciare la sua mentehbéra di elaborare le proprie idee in modo creativo (che è poi più omeno quello che diceva Cartesio; ma owiamente in relazione a untempo e a una cultura assai diversi dai nostri).

La disistima nei confronti della storia della filosofia, di cui ho appe-na detto, mi è sempre sembrata piuttosto bizzarra. Perché - mi sonochiesto spesso - si ritiene del tutto naturale che esistano, oltre agli arti-sti, storici dell'arte, oltre ai letterati, storici della letteratura, oltre agliimprenditori, storici dell'economia; e invece si ritiene meno legittimoche esistano, oltre ai fìlosofi, degli storici della filosofia? Ora mi sonoconvinto che a questa domanda vi è una risposta ben precisa, che inparte dipende dalle considerazioni che ho fatto soPra. Tia il lavoro del-l'artista e il lavoro dello storico dell'arte (userò questo esempio come

INTRODUZIONE

indicativo per tutti i casi) in fondo non vi è nessuna interferenza. Noncosì invece tra il lavoro del filosofo e il lavoro dello storico della filoso-fia. Se è vero, come ho detto, che oggi il filosofo difficilmente può esi-mersi dal confrontarsi con i grandi autori del passato, qui lo storicodella filosofia sembra avere una importante voce in capitolo: una voce,intendo dire, che richiama il filosofo all'uso corretto delle sue fonti, e

mette continuamente in discussione l'uso teoretico di autori, testi ecategorie storiografrche, ove si suppone che questi riferimenti sianoliberamente rielaborati a dispetto della reale natura dei testi e dell'evi-denza storica che vi si manifesta. Credo che buona parte delle critichemosse dai f,rlosofr agli storici dipenda proprio dall'insofferenza nei con-fronti di questi richiami. Così si sviluppa una controversia apparente-mente molto dificile da risolvere: allo storico che accusa il frlosofo discarsa acribia storiografica, il filosofo oppone l'accusa di scarsa sensibi-lità filosofica.

Una soluzione in realtà ci potrebbe essere, ed è di carattere stretta-mente pratico: filosofr e storici della filosofia svolgano pure separata-mente il loro lavoro, senza intralciarsi a vicenda. Ma ciò che è semplicesul piano pratico lo è molto meno sul piano teorico. Da un lato, comedetto sopra, è praticamente impossibile fare filosofia disinteressandosidella storia della filosofia. Dall'altro è anche vero che chi fa buona sto-ria della filosofia non fa solo storia, ma fa anche filosofra. E qui è venu-to il momento di dire qualcosa anche a proposito della storia della frlo-sofia e delle sue possibili deformazioni. l,a storia in quanto tale non esi-ste perché la storia è sempre storia di qualcosa. Per cui, così come nel-1'espressione "storia dell'arte" il termine qualificante I'impresa che essa

descrive non è "storia" rlrta "arte" , allo stesso modo nella storia della filo-sofia I'elemento qualifrcante è che l'oggetto della ricerca sia la filosofia.Ora, di fatto, questo awertimento non è sempre tenuto ben presentedagli storici della filosofia, e ciò fa sì che la diffidenza dei "teoreti" siain qualche caso giustificata: lo storico che in realtà non si occpa di fìlo-sofia non ha owiamente alcun titolo per interferire in un modo qual-siasi nel lavoro del filosofo.

Ma questo l,uole anche dire che se lo storico della filosofra si occupadawero di filosofia le interferenze con il filosofo sono inevitabili; e inquesto caso l'insofferenza del filosofo non è siustificata. Non lo è pro-prio per la natura particolare che ha la filosofia al giorno d'oggi (men-tre Cartesio, per tornare al caso che citavamo sopra, poteva forse averedelle buone ragioni per ritenere che al tempo suo fosse necessaria unaspecie di eNtochéradicale). (lercherò spiegarmi con un esempio, relativoa uno dei tìlosofì protagonisti di qtresto libro, ossia Martin Heidegger.(ìorne è n()t(), I lcirk'g13t't' ltir cl:rlrorirt«r unir parte essenziale del suo pen-sicro strlla bast'<lt'lllr rroziorrr'«li «rlllio rl«'ll'r:ssr:rc, chc sarcbbc a su<r

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ATTUALITA DI PIAIONE

parere il tratto comune della metafisica occidentale; tale oblio dell'es-sere si regge, a sua volta, sull'occultamento della nozione originaria diverità, che con Platone muta il suo significato di "non-velatezza" nelsignificato di "correttezza (dello sguardo)". Ora, è chiaro cheHeidegger potrebbe sostenere un particolare tipo di ontologia, e lanozione di verità che Ie è collegata, senza fare alcun riferimento a indi-catori storici come "la metafisica occidentale" o "Platone". Di fatto perònon è così. Di fatto il riferimento alla storia della metafisica occidenta-le e a quello che si è verificato in essa prima e dopo di Platone è unaspetto essenziale e determinante della sua stessa filosofia. Senza questevalutazioni "storiche" non ci sarebbe nemmeno il punto di vista teoreti-co. Così, quando Heidegger nei suoi ultimi anni ha riconosciuto al filo-sofo e storico del pensiero antico Paul Friedlànder che già nel lessicoomerico il termine greco ol,r1Oero non possedeva più il supposto signi-f,rcato etimologico di "non syelatezza", solo un osservatore molto condiscendente potrebbe ritenere che si tratti di un indifferente aggiusta-mento storiografico. Un osseryatore più attento, o piuttosto più indi-pendente, dovrebbe invece riconoscere che questo "piccolo aggiusta-mento" proietta un'ombra pericolosa su tutto il pensiero di Heidegger:se fosse vero che Heidegger ci ha raccontato una storia che non è maiesistita, probabilmente anche le conclusioni filosofiche che ne ha trat-to sarebbero in pericolo, perché proprio quel particolare tipo di storiacostituisce il loro fondamento primario. Insomma - e in generale -, datoche la storia della frlosofra è oggi tanto importante in sede di elabora-zioni teoretiche, credo che sia interesse soprattutto del filosofo in quan-to filosofo tenere conto delle storie fìlosofiche della filosofia: un'imma-gine superficiale della storia della filosofia, o di alcuni suoi aspetti,potrebbe infatti suggerirgli idee filosofiche scarsamente fondate (e dun-que anche scarsamente interessanti).

I saggi raccolti in questo volume nascono soprattutto dall'impressio-ne che per quanto riguarda Platone (l'autore di cui mi occupo) questofecondo rapporto tra filosofr e storici della filosofia sia quasi inesisten-te, al punto che certe ambiziose costruzioni teoriche sembrano sorreg-gersi in gran parte su una semplicisica e stereotipata nozione di ciò chesi pretendono essere "Platone" e il "platonismo". Questa immagine sem-plicistica, ormai decisamente messa in crisi da decenni di serie indaginidi storiografia filosofica, è alla base dell'antiplatonismo così diffusonella cultura frlosofica contemporanea: un antiplatonismo che si fonda,a mio awiso, su alcuni radicati pregiudizi, circa la reale natura della frlo-sofia di Platone, che sarebbe urgente correggere. Tale urgenza, comeormai dor,rebbe essere chiaro, non è dettata soltano da esigenze di pun-tualizzazione storiografica. Sono infatti persuaso che una rinnovata epiir corretta immagine della filosofia di Platone possa costituire un inre-

INTRODUZIONE

ressante punto di partenza e di confronto per il pensiero contempora-neo. Così come in generale è vero, io credo, che una buona storia dellafilosofia possa e debba dare il suo contributo alla riflessione speculativa.

Qui però il discorso generale e il progetto particolare di questo librodevono essere tenuti distinti. Non è owiamente compito mio valutare se

i miei studi sul pensiero di Platone costituiscono o no un caso di buonastoriografia filosofica. Ed è chiaro, d'altra parte, che quanto esposto inqueste pagine si regge proprio sulle ricerce storiografiche a cui hoaccennato. Per cui mi regolerò in questo modo. In primo luogo faccionotare che I'antiplatonismo "teoretico" di cui ho detto è seriamentemesso in forse, nel panorama attuale degli studi platonici, anche danumerosi altri modelli interpretativi diversi dal mio. Per cui il discorsogenerale che ho condotto fin qui rimane valido anche se non si accettal'immagine di Platone e del platonismo da me elaborata. In secondoluogo, non potendo riprodurre in questa sede le analisi storiogafìcheche mi hanno condotto a proporre tale immagine, premetto comeprimo capitolo un saggio in cui le linee principali del mio orientamen-to sono tratteggiate in modo sintetico.

Chi volesse invece conoscere queste analisi in dettaglio, può anzitut-to consultare i testi via via richiamati nelle note. Ma poiché i saggi con-tenuti in questo libro sono stati scritti in tempi diversi, e poiché ho deci-so di ripubblicarli nella loro forma originaria (salvo qualche correzionee aggiustamento qua e là), è evidente che molti degli scritti che ritengoimportanti in rapporto all'immagine di Platone di cui ho detto non vicompaiono, in quanto non erano ancora stati stampati. Di conseguen-za ho ritenuto opportuno presentarne qui una lista indicativa, che com-prende sia scritti già citati in alcune note sia scritti che non vi compaio-no. Tra i volumi, Platone, Carocci, Roma l99B; Platone, Lisidz, a c. diFranco Trabattoni, 2 voll., LED, Milano 2004 e La aerità nascosta. Oralitàe scrittura in Platone e nella Grecia classica, Roma, Carocci Editore 2005.Tra i saggi, comparsi in riviste, atti di convegmi o volumi collettivi, si

vedano i seguenti: Alcune considerazioni generali sul Socrate di Platone,

"Rivista di storia della filosofia" 51 (1996), pp. 895-906; Il pensiero come

dialogo interiore (Theaet. 189e4-190a4, in Il Tbeteto d,i Platone: strutture e

problemo,tiche, a c. di G. Casertano, Loffredo, Napoli 2002, pp. 175-187;L'orientamento al bene nella fil.osofia di Platone, in New Images of Plato.

Dialogues on the ldea of the Good, Ed. by G. Reale and S. Scolnicov,Academia Verlag, Sankt Augustin 2002, pp. 294304; L'enore di Socrate, inM. Barbanti - F. Romano (a cura di), 1l Parmenide di Platone e la sua tra-

dizione, Catania 2002, pp. 143-153; Il sapere del Jilosofo, in M. Vegetti (a

cura di), Platone. La Rc.pubblica, vol. V, libri \/I-VII, Bibliopolis, Napoli2003, pp. 151-186; Il d,iabgo come "portaaoce" dell'opinione di Platone. Il caso

rlel Pirrnrenidr:, in M. lìotutzzi - F. Trabattoni (a c.), Platone e la tradizione

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ATTUALITA DI PI-ATONE

platonica. Studi di filosofia antica, Cisalpino, Milano 2003, pp. 151-178;Unità della airtù e autopredicazione inProtagora 329e-332a, in 1/ Protagoradi Platone: struttura e problzmatichl, Vol I, a c. di G. Casertano, Loffredo,Napoli 2004, pp.267-297; Sui caratteri distintiai dello. "metafisica" di Platone(a partire dal Parmenida), "Methexis" 16 (2003), pp. 43-63; Platone onto-

teologo?, "Rivista di Storia della filosofra" 59 (2004), pp. 921-930; Esiste

un'ontologia in Platone?, in E. Storace (cur.), La storia dell'ontologia, AIboVersorio, Milano 2005, pp. 9-29; Il "circolo uirtuoso" del linguaggto. Sulsignificato delCratilo platonico, in G. Casertano (cur.), llCratilo diPlatone:struttura e problematiche, Loffredo, Napoli 2005, pp. 150-181; Diakttica e

persuasione nei dialoghi di Platone, in G. Reggi (ctr.) Letteratura e riJlessione

filosofica nel mondo greco-romano, Sapiens editrice, Lugano 2005, pp. 41-59; Adyog e ò6(a: il signiJicato della confutazione della taza definizione dientocr]pq nel Teeteto, "Rivista di cultura classica e medievale", 48(2006), pp.71-27 L'intuizione intellettuale in Plntone. In margine ad alcunerecenti pubblicazioni, "Rivista di Storia della filosofia" 61 (2006), pp. 701-719 Plato: Philosophy, Politics and Knoukdge. An Ouaruieu in A. Bosch-Veciana -Josef Monserrat-Molas (eds.), Philosophy and Dialogue. Studieson Plato's Dialogu,es, Vol. I, Societat Catalana de Filosofia, Barcelona2007, pp. 223-246; Esiste, secondo Aristotele, una "dottrina platonica delleidee"?, "Methexis" 20 (2007), pp. 159-180.

Ecco ora I'indicazione delle sedi originali in cui sono stati pubblica-ti i saggi qui ristampati, e delle fonti degli inediti:

Capitolo 1: versione leggermente abbreviata di L'argomentazione pla-tonica,"fTpo!À.r.1poto", 1 (2001), pp. 7-38.

Capitolo 2: Platone, Rorty e la "uiolenza" della metaf.sica, "PraticaFilosofica" 10 ( 1996), pp. 17b-197 .

Capitolo 3: Platone, Rorty e la consolazione dellafilosofia,"Arte Estetica.5 (1997), pp. 31-52.

Capitolo 4: La filosofta è una cosaseria ?,"Rivista di storia della filoso-fta" 52 (1997), pp. 597-610.

Capitolo 5: traduzione italiana di un testo in francese in corso dipubblicazione negli atti del colloquio internazionale "Platon etHeidegger", Nizza, 5-6 fèbbraio 2008.

Capitolo 6: testo in corso di pubblicazione negli atti de The \rIISymposium of the International Plato Society, Dublino, 23-28 luglio2007.

Capitolo 7; Jacques Derrida e lc origini greche del logocentrismo (Platone,

Aristotele), "Iride. Filosofia e discussione pubblica", 17 (2004), pp.547-568.

(ìaiptolo 8: lìrn,.st Cassi,rq e 1,"'c.s/cl,it:a platonir:a"", in Ernst Cassireqliirl,o.s c eiialon. ll ftniltlernu, del hdkt r rlrll.'a,rk n.ei, diaktghi. d,i Plalone. Postille

INTRODUZIONE

di Mauro Carbone, Renato Pettoello, Franco Ttabattoni, EdizioniLibreria Cortina, Milano 1998, pp. 703-734.

Capitolo 9: testo in corso dipubblicazione negli atti del convegno

Leo S{rauss tra antico e morl,erno, Milano, 10 maggio 2007.

Capitolo l0: Platone, Martha Nussbaum, e le passioni, in G. Giardina(cur.), Le emozioni second,o i.fil,osofi antichi, Atti del convegno nazionale,

Siracusa 10-11 maggio2007, CUECM, Catania 2008, pp. 39-61.

Capitolo 17 Sutte tracce d,ell'ttrmonia' Enzo Paci, il telos s il Greci, inE'Renzi4. Scaramwzza (a cura d1), Omaggio a Paci. II- Incontri, Cuem,

Milano 2006, pp. 279-237.

È doua.oto awertire che non sono un esperto, tanto meno uno spe-

cialista, di nessuno degli autori discussi in questi saggi. Sono dunqueben consapevole che gli addetti ai lavori potrebbero rinvenirvi delle

tracce di dilettantismo, e me ne scuso in anticipo. A mia discolpa invo-

co la buona intenzione di cui ho detto sopra, ossia quella di promuove-

re un dialogo reale ed efficace tra filosofi e storici della frlosofia'Infine, qualche ringraziamento. Sono grato in primo luogo ai diret-

tori delle riviste, ai curatori di volumi collettivi e agli organizzatori dei

convegni per avermi concesso di ristampare (o di pubblicare) i testi

contenutiln questa raccolta. All'amico Mauro Bonazzi devo un prezio-

so aiuto per la correzione delle bozze. Ringrazio di cuore il mio caro

amico Roberto Radice per aver accettato di accogliere il libro nella col-

lana di Vita & Pensiero da lui diretta.

Milano, 18 ottobre 2008.

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Capitolo IL' argomentazione platonica*

1. Se cè una caratteristica che dowebbe distinguere il discorso filo-sofico da ogni altro tipo di discorso (ad esempio dal discorso mitico odal discorso poetico), la prima cosa che viene in mente è che essa con-

siste nell'uso dell'argomentazione. Tuttavia, anche se assumiamo prov-

visoriamente che questa impressione sia fondata, in realtà non abbiamofatto un grosso passo avanti. Ci resta pur sempre da capire, infatti, che

cosa si intende per «argomentazione". Il pensiero antico ci fornisce, aquesto proposito, una risposta pressoché univoca, almeno da un puntodi vista generale. Aristotele, quando nel I libro della Metafisica consactaTalete, per tutti i secoli a venire, come primo filosofo della storia, giu-stilica questa tesi nella maniera seguentel. Se muoviamo dal punto divista dei contenuti, la nota asserzione di Talete secondo cui principio è

I'acqua non può considerarsi nuova, né differente nella sostanza dal

discòrso mitico secondo cui tutte le cose sono nate da Oceano e Teti(che erano due divinità marine). ciò che differenzia il discorso diTàlete da quello mitico consiste piuttosto nel fatto che Talete è arrivatoalla sua conclusione mediante un certo genere di argomentazione. Egliawebbe notato (diciamo «anrebbe» perché lo stesso Aristotele corredala sua esposizione con un .forse"2) che tutte le cose hanno la loro ori-gine nell'elemento umido; generalizzando queste osservazioni partico-iari, sarebbe giunto così ad individuare un unico principio attivo inogni singola cosa, e dunque cvpace di raccogliere le differenze in unaunità universale: sarebbe riuscito, in altre parole, a conquistare unpunto di vista in cui le differenze non sono decisive, a patto che si con-

centri l'attenzione sugli elementi comuni.Non senza ragione questo momento della storia della filosofia è

sempre stato descritto come un passaggio dal mito al logos. Infatti laparòla greca .logos" è legata al verbo legein, c}:e significa «di1s», ma

anche "raccogliere". Talete, insomma, avrebbe raccolto dalle cose dif-ferenti che si trovava di fronte un elemento comune, e lo awebbe inte-so come loro principio. In realtà è questionabile, se non del tuttoimprobabile, che Talete abbia utilizzato la parola greca arché (princi-

* Versione abbreviata di L'argommtazione platonica"flpopl't'1pottt", 1 (2001),

pp. 7-38.I 983b18-984a5.2 983b22.

Page 7: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTUALITA DI PI-AIONE

pio) rrt:l rnorlo voluto da Aristotele. Occorre anche awertire che nell'o-peraz-ione attribuita da Aristotele a Talete sorlo presenti due momeutidiversi, che non si implicano affatto a vicenda. fJna cosa, infatti, è indi-viduare un procedimento mediante il quale si istituisce una differenzatra particolare ed universale. Tlrtt'altra cosa è dire che questo universa-le è principio di quel particolare. Chi voglia affermare la verità di que-sta proposizione è costretto, fra le altre cose, a specificare che cosaintende per principio, e a dire in che senso ritiene che l'universale siaprincipio del particolare. Questo problema giunse ad uno stadio rnoltoavarlzàto di elaborazione già con Platone e con Aristotele, ma ora lolasceremo da parte, perché non è rilevante per il nostro scopo presen-te. Ora ci interessa piuttosto sottolineare il fatto che la prirna fonna incui si è storicamente presentata I'argomentazione filosofica, anche sullabase di quanto hanno detto i filosofi che per primi hanno riflettuto cri-ticamente sulla loro attività (come appunto Aristotele), consiste nell'i-stituire un rapporto tra universale e particolare.

Lo stesso Aristotele, sempre nel libro I della Metafisica, ci fa anchecapire che il primo filosofo greco che ebbe chiara consapevolezza dellacentralità teorica di questo metodo fu Socrate. Socrate, spiegaAristotele, concentrò per primo la sua attenzione sui termini o concet-ti generali3. Sappiamo infatti che egli soleva chiedere il "che cos'è" diLrna certa cosa, precisando esplicitamente che non accettava risposteaventi per oggetto cose singole o particolari, ma che era invece interes-sato a risposte capaci di cogliere più cose insieme in un'unica defini-zione. Questo procedimento è riccamente documentato dai dialoghi diPlatone (vedremo fra poco qualche esempio), in cui la figura di Socratee il suo metodo occupano una posizione di assoluto rilievo. Tirtti cono-scono anche la differenza che Aristotele rileva, a proposito dell'univer-sale, tra Socrate e Platone: quest'ultimo avrebbe affermato, distanzian-dosi in ciò dal suo maestro, che gli universali sono separati dalle cose(cioè che I'universale è separato dal particolarea). "§spuato» (o, forsemeglio, «separabile») è termine tecnico della filosofia di f istotele, edè un indicatore significativo per indagare la difficilissima questione delrapporto fra i due massimi filosofi del mondo antico.

Ma anche di questo possiamo al presente non occuparci.Interessante è invece notare che il testo platonico è trno dei luoghi pri-vilegiati in cui, attraverso il modo socratico di indagare, si fa consape-vole la posizione secondo cui l'argomentare filosofico consiste nelporre in rapporto dialettico particolare e universale. La prima tesi cheintendo sostenere in questo saggio è che in tal modo viene alla luce la

3 987b1-4.a Metaph. XIII, 1079b30 sgg.

natura di base di qualunque tipo di argomentazione, attiva sia prima

che qualcuno iniziisse u.ifl.tt... consapevolmellte su di essa, sia dopo

che lìr reazione «post-moderna» contro il logocentrismo lra esplicita-

mente iniziato a polemizzare contro di essa. Quello che intendo dire'

pitì concreta-.r-ri., è che la utilizzano anche quanti dicono di negarla,

àd anzi la wtiliz.zano rìell'atto stesso in cui mettono in opera gli stru-

menti con cui la negano. La seconda tesi, più articolata, consiste tlel

tentativo di rnostrare (contro le semplificazioni purtroppo ancora cor-

renti) che la discussione platonica clel rapporto universale,/particolare

è consapevole dell'elevata problematicità del suo oggetto, e che pone

I'accento su alcuni motivi intorno ai quali è ancora urgente interrogar-

si. Qtresto Viene a dire, in altre parole, che la prospettiva-platonica, se

corr;thmente oltre che latamente intesa, è ancora oggi l'orizzonte in

cui non può non muoversi il discorso filosofico, e che i tentativi di

costruire percorsi ad esso estranei o sono falliti o sono dol'uti a sempli-

ci equivoci.

2. Normalmente si ritiene che definirsi "platorlici" sia una cosa assai

impegnativa, perché ciò comporterebbe I'accettazione di principi filo-

,ofi.i"molto forri, e per di piu ormai praticamente privi di corso legale.

Esempi di tali princìpi posìono essere l'assunzione che esista un'int.ui-

zione intellettuale capaòe di schiudere con trasparenza, all'occhio della

mente, la realtà metàfisica delle idee; I'assunzione che l'uomo si possa

collocare al cospetto <lella .perentoria presenza dell'essers"5; l'assun-

zione che sia pòssibile dedurre apoditticamente la struttura del parti-

colare dalla conoscelza dell'u1ivèrsale (ed eventualmente adottare le

misure politiche coercitive indicate in questa situazione); l'assunziotre

secondo cui lo strumento del linguaggio, in cui si riflette il pensiero,

sarebbe in grado di definire in maniera compiuta ed ultimativa la natu-

ra di og,i slngola idea. In realtà nessuna di queste tesi può essere cor-

rettarnènte asiritta a Platone. Platone uon riteneva disponibile all'tio-mo, almeno {ino a che l'anirna si trova incartrata in un corpo. nessun

tipo di intuizione intellettuale; neppure credeva, in accordo con quan-

to alra poi anche Aristotele, che esistesse qualcosa defrnibile corne

.l'essere,; rìon pensava affatto che il particolare f-osse ricavabile dall'u-

niversale; uu.uu, ir-rf,rrr., una coscienza e[meneutica del linguaggio e del

pensiero (che ha sempre forma linguistica), alla luce della quale il lin-

g.,aggio si presenta come un ambito infinitamente indagabile e senza

il"à;, incapace di produrre conclusioni o determinazioni definitive.

Tilnt. menò si p.tià dire, di conseguenza, che le assunzioni sopra

clqlciilte costit;iscono, tutte o in parte, Ia struttura Portante del rnodo

51,'<rsprcssione è rli (i. Vut(irno, Olh" l'inl(\'prctrtzione, Romir-Birri 1994, p.40'

T,,ARGOMENTAZIONE PIATONICA

Page 8: Trabattoni, Attualità Di Platone

l6 AITUALITA DI PI-ATONE

platonico di fare filosofra. Per quanto riguarda, invece, il classico prin-cipio metafisico dei "due mondi", è necessaria qualche cautela in più.Sarebbe infatti difficile, anche alla luce di una lettura non ingenua deidialoghi, sostenere che Platone non abbia mai affermato nulla di simi-le. C'è da dire però che tale principio, almeno frnché l'indagine si arre-sta all'ambito ontologico e gnoseologico (senza sconfìnare, cioè, nel-l'ambito etico), può essere anch'esso decostruito in chiave ermeneuti-ca. Si potrebbe sostenere, in altre parole, che la teoria dei due mondisia solo una brillante metafora per affermare la vicarietà, la non esau-stività del mondo in cui l'uomo si trova effettivamente a vivere; e sonoindubbiamente pensabili dei quadri di riferimento in cui l'orizzontemondano appare "secondo" nel senso ora precisato, senza che ciò com-porti assunzioni realistico/dogmatiche sulla reale esistenza di un altromondo e sulla conoscibilità della sua natura.

Discutere analiticamente gli indicatori (pseudo) platonici che abbia-mo sopra enunciato ci costringerebbe a compiere un percorso troppolungo. In questa sede, in particolare, non possiamo nemmeno tentaredi dimostrare che il pensiero, per Platone, ha sempre natura dialogico-discorsiva, perché anche quando viene espresso nel dialogo parlato hacomunque l'aspetto di un dialogo che l'anima compie con se stessa6.

Assumeremo perciò questo punto di vista come un'ipotesi di partenza,senza discuterla. Del resto il principio determinante ed essenziale dellafilosofia di Platone, che ora ci interessa, è in realtà un altro. Esso consi-ste nel dire che I'analisi del particolare, per quanto venga reiterata inpiù tempi e da persone diverse, darà alla fine sempre lo stesso risultato,e cioè che il particolare rinvia necessariamente all'universale, comecondizione ineludibile del fatto che il particolare possa essere pensatoe detto nel modo in cui gli uomini effettivamente lo pensano e lo dico-no. L'universale, in altri termini, è condizione della parola e del pen-siero - almeno di quella parola e pensiero che si manifestano comelogos. Del resto, se legeintuole dire dawero «raccogliere», questa alfer-mazione non si discosta molto dalla tautologia. L'asserzione non tauto-logica consiste nell'aJfermazione dell'esistenza di qualcosa come ilIogos e nell'individuazione della sua struttura nel rapporto biunivoco(o rimando pendolare) tra particolare ed universale.

ti Ho già parzialmente trattato questi argomerrt\in Scriuere nell'anima. Vnità,dial.ettica e persuasione in Platone, Firenze 1994, e in Oralità e scrittura in Platone,Milano 1999. Analisi più specifiche appariranno in altri miei studi, alcuni incorso di pubblicazione ed altri in via di elaborazione. Il riferimento più imme-diato sono i passi 189e-190a del Tbeteto e 263e del Sopz (quest'ultimo passo nona caso è citato da H.-G. Gadamer in Veritii e Metodo, pag. 468 della traduzione ita-liana, Milano 1983), ma anchc l'analisi dei libri centrali della Rcpubblica, dell'ex-czr.rzsfilosofì<'o <lt:lla VII Leltera c rli :rltri p:rssi s:rlienti, dà lo stesso risultato.

L'ARGOMENTAZIONE PI-ATONICA

La posizione ora riassunta si differenzia sia da quella di Aristotelesia da quella di Kant. Tratteremo per primo questo secondo punto, sia

perché è il più semplice, sia perché meno rilevante per il discorso cheintendiamo svolgere. Nel corso del Parmenide il giovane Socrate, perdifendere la "dottrina delle idee" dalle incalzanti obiezioni del filoso-fo eleate, a un certo punto avar.za l'ipotesi che le idee siano soltantopensieri, e cioè che esistano solo nelle animeT (in termini modernidiremmo .nella mente'). Questa proposta viene però subito confuta-ta da Parmenide perché contrasta con il principio della partecipazionedelle cose alle idee. Una cosa è bianca - così potremmo esemplificare

- perché partecipa all'idea del bianco. Ma se I'idea del bianco fossesolo un oggetto del pensiero, si creerebbe una strana commistione trapensieri e cose, superabile solo con l'ipotesi "idealistica" estrema (eassurda) secondo cui le cose stesse non sarebbero altro che pensieri.

Questo argomento spiega assai bene, al di là delle sue sottigliezze, ladifferenza tra il modo di ragionare di Platone e quello di Kant. Se ilpensiero coglie l'unità nelle cose, per quanto la sua comprensione diquesta unità possa essere limitata dalla circolarità ermeneutica dell'e-spressione linguistica (a cui il pensiero è vincolato), I'unità deve esse-

re comunque un dato oggettivo, una caratteristica della realtà, non unprodotto della facoltà unificante propria del pensiero stesso. Le idee,in altre parole, sono pur sempre oggetti colti dal pensiero (nella misu-ra in cui sono colti), e sono separate sia perché sono altre dalle cose,sia perché sono altre dal pensiero. D'altra parte, la certezza che le ideenon esistano solo nel pensiero è dimostrata dal fatto che, in caso con-trario, il pensiero sarebbe in grado di comprenderle in modo chiaro e

distinto, semplicemente lavorando dentro di sé in quanto pensiero. Maquesto è appunto ciò che non si verifica. Uno dei problemi più graviche Parmenide, nel dialogo omonimo, solleva a carico della teoriadelle idee consiste appunto nel pericolo che le idee, se separate, sareb-bero totalmente inconoscibili all'uomo. Ma in realtà il problema siconfigura anche nella maniera inversa: le idee deuono essere separate,perché altrimenti sarebbero perfettamente conoscibili (cosa che inve-ce non è).

Il confronto con Aristotele ci impegnerà invece più a fondo, perchéa mio parere lo Stagirita è colui che ha dato forma articolata a quellache possiamo chiamare la concezione naturale del linguaggio (e a unadottrina dell'argomentazione ad esso adeguata), che ha in qualchemodo dominato la cultura filosofica occidentale sino alla nascita dellacoscienza ermeneutica; e perché questo orientamento, a mio parere, è

dovuto in buona parte al fatto che Aristotele ha in qualche modo occul-

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Page 9: Trabattoni, Attualità Di Platone

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ATTUALITADI PLATONE

tiìt() (' nl('ss() a tA('('r'(' rurir I)r'()sl)ettiva ermeneutica già ben presente nel-l'opera di Platonc.

Platone ed Aristotr:lc sorro d'accordo, sia pure in modo diverso, neidire che attraverso 1'esperienza del particolare si manifesta I'unir.ersale.Trascurando di indagare se Aristotele ha ragione nel ritenere che perPlatone l'universale è separurto, e in che senso ciò può essere occasionedi critica, c'è tra le due posizioni una diflèrenza più sostanziale. Mentreper Aristotele I'universale si manifesta senza residui nel pensiero e nellinguaggio, per Platone il pensiero e il linguaggio sono il luogo in cuil'universale appare solo in forma di traccia (né sono disponibili fonti diinformazione più complete). Questa situazione è resa in Platone dalladottrina della reminiscenza, secondo la quale conoscere è ricordare: unricordare, evidentemente, che si sviluppa per tracce, spezzoni e residui,dunque non può mai raggiungere lo stato di esaustività a cui vorrebbeambire una definizione.

"Definizione", infatti, è termine tecnico di Aristotele, e identificauna proposizione che unisce genere prossimo e difl'erenze specifiche8.In Platone, invece, la famiglia lessicale che fa capo al verbo usato daAristotele nel senso di "definire" (oizein) significa piut.tosto "circoscri-vere", "delimitare", <<sep?rare»g. Ciò può esser-e inteso anche nel sensodi stabilire un limite tra due ambiti, mediante la duplice operazione diporre qualcosa da un lato e qualcosa dall'altro. In questo modo la defi-nizione assume in Platone il colore di un procedimento negativo, checonsiste nell'accrescere la conoscenza di una idea ponendola sempre aldi là di un insieme di negazioni che aumenta indefinitamente. Se voglioindagare, ad esempio, la natura della bellezza, il procedimento corret-to consiste nel «raccogliere" in insiemi di generalità crescente le coseche possono essere dette belle, dove da un lato la presenza del predica-to cornlrne della bellezza ha carattere parzialmente nìa progressiva-mente informativo riguardo che cosa labellezza sia, ma dall'altro la bel-lezza in sé è esclusa, sia perché non coincide con nessuna delle cosebelle, sia perché ogni generalizzazione è sempre prowisoria e perfetti-bile: cioè al di là e separata da tutto ciò che si può cogliere con i sensie con il pensiero. Questo procedimento, che assomiglia al metodo concui la matematica rnoderna .delimita,/definisce" i numeri reali, potreb-be forse essere il modo corretto di intendere la separazione dell'ideaplatonica di cui parla Aristotele. Quello che è certo, in ogni caso, è chesi tratta di un procedimento molto diverso da quello della definizione

8 Menph. Vll, 7037b2+l 038a4.9 Cfr., in proposito, le ossen'azioni su come intendere la "definizione" del-

l'idea del bene in fusp. 531b9 in P. Stemmer, Platons Dialektih. Die frùhen und mitt-leren Di.aloge, Berlin-New York 1992, p. 194, e M. Vegetti, L'id.ea dzl bene n.ellaRepubblica di Platone, "Discipline filosofiche" 1 ( 1993) , pp. 221-223 e n. 7 .

aristotelica, in base alla quale, una volta individuato il genere prossimo

e tutte le sue differenze specifiche, l'indagine semplicemente si arresta:

e si arresta perché u q.r.tto Punto il tinguaggio, che è 1o specchio fède-

le della.o.à, è riuscito a catturare la cosa nella sua pienezza, e non c'è

più alcun bisogno di proseguire l'indagine. Alistotele, in altre parole,

non ri.ono...*ot ll.rg.ruggiò nessuna vicarietà, né metafisica (in cui illi.guaggio è il riflesio imperfetto di una conoscenza metafisica non

p.o.-po.iriorrale) né ermenelrtica (in cui il linguaggio è scmplicemente

ienia fondo). euesto è il motivo per cui - fra le altre cose - la gnoseo-

logia aristotehcà è molto più esposta al rischio del dogmatismo di quel-

la"platonica. Ciò che p;arantisce Platone contro questa deriva dogmatica

saiebbe, in questo caso, proprio la separatezza dell'idea tanto criticata

da Aristotele.A questo punto qualcuno potrebbe chiedere che il metodo «plato-

nico, iopra enunciato venga mostrato all'opera nei dialoghi. Qui posso

solo noàre due cose. I dialoghi aporetici di definizione, in primoluogo, rispecchiano assai bene questa struttura. Trattandosi di dialoghi

,.riu .orr.lrsione positiva, è owio che la risposta diretta alla domanda

socratica da cui muove l'indagine alla fine non è stata trovata. E tuttavia

sarebbe azzarclato clire che la ricerca non ha fatto nessull passo avanti.

La cosa cercata risulta essere diversa e al di 1à di tutte le proposte avan-

zate nel corso della cliscussione, e tuttavia i ricercatori ora possiedon6

qualche suggerimento orientativo per il loro lavoro: sono indubbia-

Àente -"- ignoranti di prima. La filosofia, per Platone non è altra

cosa che Ia pro-secuzione indefinita di questo lavoro, di questo procedi-

mento "delimitante".Esistono però molti dialoghi che non sono aporetici' Un esempio

importante € U nnpunOtlca, in ctri sembra addirittura di trovare una defi-

niiione positiva di un oggetto del tipo di quelli sui quali si interrogava-

no invano i dialoghi aporetici (la giustizia). Ed ecco allora il mio secon-

do rilievo. Benché qrulcoru del genere nella Rzpubblica effettivamente

accada, non si tratti però di uni clefinizione nel senso arist<ltelico del

termine. La Repubblicà potrebbe essere considerata, nel suo complesso,

come il dialogo in cui Platone pone e risolve il problema, formulato alla

maniera socràtica, di dire .che cos'è la giustizia". La soluzione si profì-

la nel IV libro, a partire da,433a, qualdo Socrate osserva che la siusti-

zia consiste nel rìspetto del principio posto a fondamento di tutto lostato: e cioè il principio secondo il quale ciascuno, nelle diverse classi,

cleve svolgere l'unica attività per la quale è natllralmente portato.'Iiaducenao piu avanti questo principio in una definizione sintetica

(433e), Socrate afferma cÀe la giirstizia consiste nel possesso (rxis) di ciò

.,h. è p.op.io (oikeios), nel senso di specifrcamente appartenente a cia-

s<.w<»- (helautou.) . Ancora più si,teticamente, poco sotto egli parla anche

L'ARGOMENTAZIONE PI-{TONIC,A

Page 10: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTUALITADI PI-ATONE

di oikeiolragia, cioè del "fare le cose proprie, (433c8).Possiamo dunque affermare, su questa base, di aver colto in modo

completo e definitivo il significato della giustizia? Sarebbe in realtà. unaaffermazione molto azzardata, e fondamentalmente scorretta. Non acaso Socrate dichiara esplicitamente più avanti che si tratta di una defi-nizione approssimativalo. Non possiamo infatti non chiederci, dopoaver proposto la definizione, che cosa si intende per «proprio» e per«cose proprie". Sappiamo ad esempio che Antistene, un socratico fie-ramente awerso a Platone, utilizzava la formula oi:heios logos per indica-re un discorso capace di definire la natura intrinseca di una cosa, e inquesto senso ad esso proprio (cioè appropriato)ll. Ma abbiamo anchebuoni motivi per sospettare, sulla base di alcuni passi del Carmide, delLiside e del Simposiol2 che Platone considerasse il concetto di «proprio»come di per sé \.rroto, almeno fino a che non si sia in grado di precisa-re in quale relazione il proprio sta con il buono (o il bene). Nel Cannidela formula "fare le cose proprie" (tò eouto0 zrpotretv) viene propostadal giovane personaggio che dà il titolo al dialogo come risposta alladomanda socratica "che cos'è la saggezza? (ooQptoouvq: l61b),,. Subitodopo si scopre che si tratta in realtà di un'idea di Crizia, che viene poicoinvolto di persona nella difesa della sua tesi. Socrate infatti ha buongioco nel mostrare a Carmide che la sua definizione è assolutamente\..uota, che assomiglia più a un enigma che a una risposta. L'idea diCrizia consiste nel definire come buone le cose proprie e particolari diciascuno (tò oirceio r€ Koi rà Éouto0:163d). Ma ancora una volta I'inci-denza informativa di questa definizione è assai modesta. Se la saggezzaè un bene, non basta dire che essa comanda di fare le cose proprie, per-ché il proprio non ha di per sé nessuno riferimento specifico al bene eal male. Lo stesso Crizia, alla fìne del dialogo, deve arnmettere che laconoscenza offerta all'uomo dalla virttr della saggezza si rivela essere unbene solo se è conoscenza di ciò che è bene e di ciò che è male ( 174b) .

Ma che ne è, allora, del «proprio"? Per citare Ia domanda su cui si chiu-de, con un nulla di fatto, il Liside, dovremmo dire che il bene è il pro-prio (oirèiov) di ciascuna cosa, o che il male è proprio di ciò che è cat-tivo, il bene di ciò che è buono, il neutro del neutro (222c)? f)etto inaltre parole, il proprio è buono in quanto proprio, o si definisce pro-prio solo ciò che è buono? E se scegliamo l'una o l'altra delle due stra-de, possiamo con questo eliminare il rischio di circolarirà? Se definiscoil buono a partire dal proprio, non corro forse il rischio di intendere

10 cfr. 443c.11 Sr.r Antistene cfr. A. Brancacci, Oiheios l-ogos: la fitosofia del linguaggio di

Antistene, Napoli 1 990.12 Del Carmidc e del Liside cliremo tra trn attimo. Il luogo del Sjmposio a cui

mi riferisco è 205e.

come proprio ciò che ritengo essere.' a priori e senza argomentazione'

corn" Lroìo? Se viceversa difinisco il proprio a partire dal buono' non

.;É i"tt. iI sospetto che io chiami buono semplicemente ciò che desi-

clero, ciò che percepisco come cosa mia e propria?

Sarebbe pÉr la vèrità assai ingenuo ritenere che la Rtpubblica appar-

,..rg; u ,ruiur. della filosofia dI Phtone diversa da quella dei-dialoghi

;ì;;;"id - cioè la fase in cui le complesse e confuse aporie dei primi

scritti trovano Llna rlsposta stabile eà oggettiva -' per cui nel dialogo

-"di"* il circolo vizìoso sarebbe risolio tramite la priorità del-trene'

Perall.ermarequestodowemmopoterdirechenellaRzpubblicaP|atonefòrmula una definizione esaustivi .1.1 b.rr., e la usa come punto di par-

tenza per Lrn percorso univoco che va dal buono al proprio e mai vice-

u.rru. tlu .,elia Rzpubblica, come tutti sanno, non c'è nessuna definizio-

nedelbene.NésitrattadiunamancanzadeltuttoContingente.Infatti,u.,.r,. se prendessimo per buona]a definizione del bene che si ricava

dalla tradizione indireita, ossia che il bene è l'unol3' il problema si

ffi po...f be identico : Possiamo .daw:'" .91tt ctre t' urri tl

le^t-ermina il

nà.r., o non dobbiamo piuttosto dire che il bene appare uno- in base a

u., giudirio anteriore uila s,u identificazione con I'unità (ad esempio

che il bene è ordine, misura, proporzione)? Ma ancora' questo giudizio

come sarà a sua volta fondato?lnrealtànonesistonoviepercorribiliperrimuovereinrnododefi-

nitivo lo schema circolare che abbiamo ora illustrato' In esso si manife-

sta infatti una caratteristica strutturale ed ineliminabile del pensiero e

del linguaggio, ossia la sua inhnita declinabilità' la sua sostanziale man-

canzadiforrdo'Questacaratteristicainteressaallostessomodo,anchese non nella stessa misura, sia i dialoghi aporetici sia quelli conclusivi'

tra i quali non vi è dunque "t""'.u-difftitt"" tstt'-t'iale: ciò è dimo-

strato dal fatto che du ,i. lato i dialoghi aporetici non ,sono rnai del

tutto privi di risultati (come abbiamo dettoiopra);dall'-altro che i dia-

loghi'conclusivi non approdano mai a verità o definizioni assolute e

de?nitive. Questo significa, d'altra parte, che Ia conoscenza umana non

è confinata nello sc-etticismo (cosf come volevano alcuni sohsti, sulla

basediconsiderazionisullanaturadellinguaggiopercertiversianalo-ghe a qrell. di Platone), e che la filosofia può realmente fare qualche

[rog..rro. Basta avere liaccottezzadi capirè che i progressi della fìloso-

hu .loro legati all'ipotesi che il circolo ermeneutico possa-valere anche

comecircolol,trtuosoenonsolocomecircolovizioso;all,accettazione

13Ciòsideduce,secondoHansKràmer,dallatestimonianzadiAristotele.Cfr. i passi raccolti dallo stesso Krà:mer h Dialzttica '

O'f::il:' !|!,:::",'**"n'ùil.ri" 1989, pp. 5B-6i' Per una limitazione del peso o"lli

".td]'11"e. indiretta

riguardo a questo p.oÈI"*o cfr' F Trabatto.,i' Siàuerc nell'anima' pp' 168-173'

I .'ARGOMENTAZIONE PI-AIONIC"q'

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ATTUAIITA DI PI,ATONE

del fatto che I'aumento di conoscenze può accadere solo nella formanel progressivo squilibrio di probabilità, in cui la parte minoritaria nonpuò mai essere azzerata. La ricerca, in altre parole, appare come unflusso continuo, che può essere arrestato e cristallizzato in una defini-zione, in una verità acquisita, solo con una decisione arbitraria. Thli,appunto, sono le caratteristiche tipiche dell'indagare (e(etri(erv) diSocrate, il quale non caso nell'Apolo§a platonica si prefigura una possi-bile vita ultraterrena non già come il luogo in cui le domande trovanorisposta, ma come il luogo in cui la ricerca può finalmente realizzare lasua natura infinita, senza essere limitata dal vincolo della mortela.

Non c'è però solo la morte a porre dei punti fermi. Abbiamo dettosopra che gli arresti della ricerca possono essere prodotti solo con unmoto arbitrario. Ma l'arbitrio non è il capriccio. In realtà tali arresti sirendono necessari, nella vita dei singoli e delle comunità, a causa del-1'obbligo di agire, e dunque di scegliere. Così ha dor,r-rto fare Socratedavanti ai giudici, che è stato costretto a scegliere senza il conforto diverità indubitabili o di certezze assolute, ma fidandosi del ragiona-mento che sembrava più persuasivo alla sua ragione. Nella stessa lineail pitagorico Simmia, in un celebre passo del Fedone, ammette che inuna questione come l'immortalità dell'anima è impossibile o difficilis-simo conoscere qualcosa di certo nella vita presente; e che pertanto,sollecitati dall'obbligo di agire, agli uomini non resra che affidarsi alragionamento meno confutabile (òuoe(e),eyr6torov), e usarlo comeuna zattera per attraversare il mare tempestoso della vita (85c-d). Cosìpure nella Rzpubblica, dove è in gioco anche Ia felicità collettiva, l'ana-lisi individua una serie di buoni argomenti per dire che la giustizia èl'oì"reronpoyio, in cui la bontà del "fare le cose proprie" è sostenuta daragionevoli considerazioni sulle diverse attitudini naturali degli uomi-ni, sulla preferibilità dell'ordine in rapporto al caos, sulla superioritàdell'intelletto nei confronti degli istinti, ecc.: dove però è chiaro chel'indagine sull'oireiov e sul bene e sui loro rapporti reciproci è affettadalla natura infinita del logos e dell'esercizio dialettico (òrol,eyeo0or)in cui esso si esprime. Così, l'esigenzapraicadi agire sollecita un taglioall'indagine, centrato in modo preciso swi logoi che appaiono fino aquesto momento come non confutati, mentre il termine vero dellaricerca si sposta nel luogo ideale, ma inesistente, in cui la probabilitàdiventa certezza, l'inconfutato diventa inconfutabile, e ogni ulteriorepossibilità di dubitare è svanita. Va da sé che questo non luogo è ancheil luogo dove il logos, 1l òral"éyeoOor e I'e(etrl(erv sono definitivamenrescomparsi.

ru Apoktg.,4lb.

L'ARGOMENTAZIONE PLAIONICA

3. Riassumiamo brevemente le conclusioni che abbiamo raggiunto.Nel primo paragrafo abbiamo tentato di stabilire che per Platone qua-lunque forma di ragionamento ha carattere sempre e solo proposizio-nale, e che si confrgura come l'atto di raccogliere (legein) e alternativa-mente dividere l'unità nel molteplice. Nel secondo paragrafo abbiamovoluto mostrare che tale procedimento, pur esprimendosi in modo lin-guistico, non ha caratteristiche definitorie né scientifico-deduttive, per-ché connesso a una precoce consapcvolczza della natura ermeneuticadel linguaggio: una consapevolezza che sposta I'obiettivo della ricercadalla certezza alla probabilità, dalla dimostrazione alla persuasione. Oravedremo brevemente i presupposti teorici di questo metodo, come esso

si wiluppa e si articola in equidistanza dai due opposti pericoli delloscetticismo - inevitabile per chi muova da una coscienza ermeneuticasenza vedere altro che il circolo vizioso - e del dogmatismo - approdonaturale sia di chi confida in una conoscenza proposizionale prelingui-stica sia di chi nega la circolarità del linguaggio.

Torniamo, di conseguenza, ad esaminare la procedura argomenta-tiva di base, cioè quella che mette in rapporto dialettico universale e

particolare, unità e molteplicità. Inizieremo con alcuni passi tratti dalMenone, significativi anche per alcune interessanti particolarità lingui-stiche. Il dialogo si apre con Ia domanda, che Menone rivolge a Socrate,circa I'insegnabilità della virtù. Socrate, nella sua riposta, fa notare chenon è possibile individuare una qualità della virtù se non si conosce checosa la virtù sia (71b). Dopo alcune battute interlocutorie Menoneottempera alla richiesta di Socrate con una risposta di sapore gorgiano.in cui enuncia e brevemente definisce una serie di virtù diverse (la virtùdell'uomo, della donna, del bambino, della femmina, del maschio, dellibero e dello schiavo), spiegando che la virtù e il vizio si specificano invarie forme a seconda delle condizioni particolari (7le-72a). Socratereplica, con palese ironia, che il caso è particolarmente fortunato, per-ché mentre la ricerca verteva su una sola virtù, Menone si trova a pos-sederne uno «sciame". Poi, sollecitato dall'immagine dello sciame, spie-ga la vera natura della sua domanda mediante un paragone con le api.La risposta di Menone assomiglia a quella che darebbe uno il quale,interrogato sulla natura dell'ape (pel"irtqg nepì oùoioq <itr not' éotrv),rispondesse che esistono api di vario genere, diverse tra loro (72a-b).Ma, aggiunge Socrate, forse le api sono diverse anche «euanto all'esse-re api?" (72b+5). Questa espressione è costruita con il verbo essere,sostantivato e prowisto di articolo, declinato al dativo, ed anticipa inmaniera caratteristica la formula che sarà poi lutllizzata da Aristotele perindicare l'essenza. Naturalmente Menone risponde che, quanto all'es-sere api, non c'è tra le divcrs«r api alcuna diffcrenza.. Così Socrate puòapplicare subito doyro l'irrrrrrlgirrc irllir virttì e rn()slrar(Ì, di r:onseguenza,

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Page 12: Trabattoni, Attualità Di Platone

I,'ARGOMENTAZIONE PI-ATONICAATTUAIITA DI PIAIONE

che la delìnizione di stile gorgiano sopra proposta da Menone evade lanatura specifica della domanda. Abbiamo dunque qui un caso classicoin cui la somiglianza tra i differenti, isolata in quanto somiglianza, hal'effetto di individuare un terreno di ricerca unitario ed universale, incui le differenze specifiche devono essere messe in parentesi.

Un esempio più complesso, e filosoficamente più approfondito, lotroviamo in un dialogo cronologicamente e tematicamente assai lonta-no dal Mmone, ossia il Filebo. Il problema su cui il dialogo si interroga èla natura del bene umano. La discussione si apre mettendo a confron-to la tesi di Protarco, secondo cui il bene umano è il piacere, e la tesi diSocrate, secondo cui il bene umano è la scienza. Socrate osserva, anzi-tutto, che ci sono piaceri molto diversi fra loro, se non affatto contrari,per cui può sembrare strano sostenere che sono tutti simili tra di loro(12d). Protarco risponde che diverse ed opposte possono essere Iecause del piacere, ma i piaceri non possono essere diversi ed opposti traloro, perché non c'è evidentemente nulla di più sirnile al piacere che ilpiacere stesso (12d-e). In questo modo Protarco enuncia una specie diprincipio di identità, secondo il quale una cosa deve essere in primoluogo identica a se stessa. Ma il problema consiste appunto nella diffi-coltà di identificare una cosa come il piacere, cioè il motivo che fondaI'unità e l'universalità di quell'"essere piacere" che viene raccolto daipiaceri particolari, mediante I'esclusione delle loro differenze. Per capi-re che cos'è questo .piacere" in generale non possiamo però, come è

owio, accontentarci di verificare I'unità dell'espressione che lo indica.Come Socrate spiega poco dopo, infatti, nessuno può mettere in d!scussione il fatto che le cose piacevoli siano piacevoli (13a-b). Ma inquesto modo non abbiamo fatto alcun passo avanti per capire che cos'èil piacere. Ben prowista di valore informativo, al contrario, è l'asserzio-ne di Protarco secondo cui il piacere è il bene, perché offre un terminedi riferimento per capire che cos'è il piacere, diverso dal piacere stesso.Ma per fare questo bisogna anzitutto ritenere che tutti i piaceri sianobuoni; owero, ciò che è lo stesso, che "l'essere piacere" raccolto dai pia-ceri particolari sia totalmente inseribile all'interno dell'"essere buono".Bisogna dunque trovare che cosa c'è di identico in tutti i piaceri, cheappunto fa sì che tutti siano buoni (l3a-b). Così facendo, tuttavia, c'è ilrischio di comportarsi come gli sproweduti e gli inesperti di discorsi: se

diciamo che i piaceri, pur essendo tra loro molto diversi, sono simili peril fatto di essere buoni, veniamo a dire che simili sono le cose dissimili,e anzi che ciò che è maggiormente simile è simile a ciò che è maggior-menle dissimile ( l3d).

Del resto, ammette subito Socrate, un discorso del tutto analogo sipuò fare anche riguardo alla tesi secondo cui il bene è conoscenza.Siamo dunque di fronte a un problema di struttura, che riguarda I'ar-

gomentazione in generale, e non maniere particolari di porre i prohle-

mi o di definire le cose. Questo problema può anche essere formulato

in modo logicolinguistica, cioè come il problema della predicazione '

Se dico che il bene è il piacere, mi devò impegnare a individuare la

caratteristica comune a iutti i piaceri in base alla quale essi possono

essere detti buoni. In questo caso il piacere non può che apparire' di

conseguenza, tanto *oit.pli.. quantò uno: molteplice in quanto. i pia-

ceri sono diversi, uno in quanto-tutti i piaceri convergono sotto l'unica

predicazione di *buono,. La questione che sta alla base di tutto questo

àir.or*o, di conseguenza, è li questione del rapporto uno-molti'-Ess3

viene esplicitu-.rrt. chiamata in causa da Socrate alle righe 14c410' E

un probiema, spiega Socrate, che crea diffrcoltà a tutti gli uomini' sia

che ne siano consipevoli sia che, in alcu^i casi e in alcune occasioni,

non lo siano. La sua natura è in qualche modo stupefacente di per sé

(r6q reQordto 0oupoot6v), e consiite nell'affermazione che i molti sono

unoe che I'uno è molti: è infatti assai facile sollevare obiezioni ad ognu-

na di queste due asserzioni.Notiamosubito,inquestopassodaweronotevole'duecosesucui

dowemo tornare più avànti. Là problemaricirà clel rapporto urro-molti,

in primo luogo, non è una cosi che riguarda specificamente i filosofr;

essa riguarda tutti gli uomini' anche quelli che non ne sono consape-

voli. Illhe significa che non basta non riflettere §Lr questo rapporto' e

nemmeno deiidere programmaticamente di trascurarlo o di porsi al di

là di esso, perché a àttlà per natura in chiunque faccia uso del logos'

cioè in quàkiasi parola argomentativa. Questa parola' in effetti' 'si con-

figura u.rto-uti.à-ente còme un raccogliere' per natura e definizione'

càsicché il rapporto uno-molti è pienamente coestensivo con la sua esi-

stenza. Bisognà anche dire, in secondo luogo, che ess.o genera una

situazione sùpefacente e strana, corne la compresenza di qualità oppo-

ste nello stesso soggetto. Questa stranezza è per lo -più

occultata dal

fatto che la relazione uno-molti compare in modo irriflesso in un nume-

roinfinitodidiscorsi,maquasi.r.,,"t'olatematizzacomeunproblerna(si diceva, appunto, che eisa è attiva anche laddove non è percepita)'

Essa emergà ^pienamente alla luce, viceversa, quando l'attenzione si

.or..rt.uìron già sullo svolgimento dell'argomenta-zione' ma sulla sua

struttura di basà. Qui, quello che nelle situazioni ordinarie sembra nor-

male appare ul .oit.urio del tutto anomalo. possiamo addirittura spin-

ge.ci a àire .he una delle strutture portanri della filosofia di Platone

Eonsiste proprio nella percezione di anomalie per lo più non rilevate' e

nei consàguènti tentatM di trovarne delle spiegazioni'

L'anoÀaHa implicita nel rapporto uno-molti non riguarda però'

come sembra intendere Protarco (14c-d), il rapporto c|ì6' 1'l;i51s trala

molteplicità delle cose e I'unità del concett<-r ('concetto' rtott i' tt't-tnitlc

Page 13: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTUALITADI PLAIONE

platonic., rna Prcfi'ris<'. cvitarc lir parola .idea, perché il suo uso nellùlebo è assai problenìatic()). Qucste stranezze, spiega Socrate, sono le piùsemplici e sono molto facili da risolvere (i4d-e). Qui Platone probabil-mente allude alle prime battute del Parmenid,e, in cui Socrate propone dirisolvere le contraddizioni inerenti alla realtà sensibile, sottolineate dal-l'eleatico Zenone, mediante il procedimento della partecipazionel5 (percui un uomo, ad esempio, può essere uno e molteplice al tempo stesso, aseconda che vengano considerati l'intero o le sue membra). Le stranezzedi cui qui si parla nascono quando si I'uole dire che il bue, l'uomo, ilbello o il bene sono una cosa sola.

Tra i vari problemi che Socrate elenca subito sotto a proposito diindagini di questo genere, alcuni dei quali richiamano quelli discussinel Pannenide, ce n'è uno particolarmente importante. Ci si chiede se èdawero necessario porre unità del tipo di quelle sopra elencate, ciascu-na delle quali non solo è una, ma è anche sottratta alla generazione ealla corruzione. Se infatti nell'ambito delle cose sensibili l'unità degliindividui non costituisce affatto un problema, perché in un certo sensosi tratta di una unità garantita dalla natura (è facile capire che questacosa singola è Socrate, una e diversa da quest'altra cosa singola che èTeeteto), più di{ficile è capire fìno a che punto è necessario porre delleunità reali (ol,n06q o0ooq) laddove sono possibili differenti e quesrio-nabili modi di «raccogliere". Siamo sicuri che il piacere sia dawero<<uno>>, nonostante le differenze che esistano tra i piaceri particoìari?Poiché non percepiamo quella singola cosa che è il piacere allo stessomodo in cui percepiamo quella singola cosa che è Socrate, come pos-siamo essere sicuri che questa unità esiste? Come possiamo essere certiche il dato ultimo, in questioni di questo genere, non è la molteplicitàdelle descrizioni e delle opinioni, ma una unità che tutte le accomunae che in qualche modo le fonda? Possiamo essere ragionevolmente sicu-ri che Teeteto è identico a se stesso e diverso da Socrate. Ma laddove lanostra conoscenza della cosa non può fare appello a fonti extralingui-stiche, e deve per converso affidarsi a descrizioni verbali, come esserecerti che 1l milieu linguistico non sia un flusso indefinito di possibilità,dove domina incontrastata la differet)za e non è mai possibile fissareun'unità se non in modo arbitrario? Qrresto problema, si badi, riguardain primo luogo oggetti di scarso contenuto empirico come il bene o ilbello, ma riguarda in generale qualunque taglio effettuato nella realtàsulla base di un concetto generale, come il bue o l'uomo. Possiamo diredawero che il bue inteso in senso universale rappresenta un realeoggetto di conoscenza, o non dobbiamo piuttosto ammettere che essorisulta da un convenzionale processo di astrazione che trascura le diffe-

75 Parm. l28e-129e.

I,'ARGOMENTAZIONE PI-AIONIC,A

renze reali? L'unità (l'universale) è originaria e naturale, oppure origi-naria e naturale è solo la differenza (particolare)?

4. La tesi di Platone - che è poi la tesi di fondo alla quale si riducein un ultima analisi il "senso del platonisrro,l6 - consiste nella suaaccettazione decisa del primo corno dell'alternativa. Egli ritiene, inaltre parole, che l'unità non solo sia originaria esattamente come la diÈferenza, ma che anzi goda nei suoi confronti di una specie di prioritàlogica, fondazionale. Se infatti il molteplice con tutte le sue differenzecostituisce la realtà che si presenta a noi nel modo più semplice edimmediato, non per questo si tratta anche di una realtà autosuflìcienteed autonoma. C'è qui una sorta di anticipazione della regola aristoteli-ca secondo cui ciò che è primo per noi non coincide affatto con ciò cheè primo per sé. Il molteplice, se inteso assolutamente come molteplice,manifesta subito una natura contraddittoria: ossia la sua totalc incapa-cità di essere compreso in quanto assolutamente molteplice. Se inten-do parlare del molteplice in quanto tale, in effetti, non posso evitare diusare espressioni collettive, "r2666glienti", sul genere di quella che stousando ora, e cioè: molteplice. E chiaro che il molteplice così intesonon esprime la differenza, bensì l'unità: si intende in questo caso con

"molteplice" qualcosa corne ungenere (dunque un oggetto unico) cheraccoglie dentro di sé tutte le cose singole con le loro differenze. Si

veda ad esempio il ragionamento che lo Straniero di Elea, nel Sofista,

oppone a coloro che si pronunciano per la pluralità delle cose (243d-

244a). Lo Straniero suppone, per semplificare, che questi pluralisti(Platone allude ai filosofi della physis) ritengano originaria una dualitàdi principi. Ma essi ammettono o no che di questi due principi si puòdire, sia di entrambi sia di ciascuno, che sono? Ma allora come intende-re questo termine «essere» che applicano? Se insisteranno nel dire cheentrambi i principi sono (e non solo uno di essi) finiranno anche perdire che i due sono uno (in quanto - possiamo aggiungere - sono duecasi della stessa realtà unitaria che è l'essere).

Accade la stessa cosa ogni volta che si ripete questo esperimento, ameno che il pensiero e il linguaggio non vengano ttilizzati per indi-care quelle realtà che Aristotele nelle Categorie ha chianato sostanzeprime, cioè enti individuali come Socrate o PlatonelT. Ma è chiaro chea questo basso livello di espressione solo impropriamente si puo par-lare di logos, perché non abbiamo più a che fare con l'atto del racco-gliere, ma con I'atto di porre una marca o un'etichetta sopra unoggetto. La funzione demarcante della parola "Socrate" può essere

16Così recita il titolo di un libro importante diJean Moreau, che leggevaPlatone in chiave latamentc ncokantiana (Le sen,s du pla,ton.isml, Parigi 1967).

t7 Cat.2a17-74.

Page 14: Trabattoni, Attualità Di Platone

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errueureol Pt-aToNE

adcguatamente sostituta con un suono inarticolato, con un gesto ocon una figura: non così la parola <<uomo».

Questo stato di cose è il motivo che ha indotto Platone ad alfermarel'esistenza delle idee. Le modalità genetiche che abbiamo rapidamenteillustrato aiutano a capire che cosa le idee non sono e che cosa invecesono. Le idee non sono oggetti (sostanze) prowiste di una certa forma.Esse sono piuttosto delle unità relative al significato. Ciò viene a direche nella cosiddetta dottrina platonica delle idee il motivo dell'unità èprioritario rispetto a quello della sostanza (cioè dell'essere) e il motivodel significato è prioritario rispetto a quello della forma (quest'ultimo,sia detto ora per inciso, è I'elemento che attribuisce una porzione ine-liminabile di verità all'interpretazione neokantiana di Platone). Tra itanti passi che possiamo scegliere per documentare, nella nozione pla-tonica di idea, la priorità dell'unità sulla sostanza, prenderemo alcunerighe della Repubblica, tolte dalle pagine del libro V in cui Socrate stabi-lisce la differenza tra filosofi e filodossi:

Ciò posto, mi dica, chiederò, mi risponda quel brav'uomo [sc.il filodossol che non ritiene esservi il bello in sé né alcunaidea della bellezza in sé che permanga sempre invariata nellasua identità, ma che invece crede che Ie cose belle sianomolte - lui, I'appassionato di spettacoli che non ammetteassolutamente che qualcuno dica che il bello è uno, uno ilgiusto, e così via: "Fra tutte queste molteplici cose belle, ouomo eccellente, eli diremo, ve n'è forse una che non appa-rirà anche brutta? e fra quelle giuste una che non sembreràingiusta, e fra quelle pie, empia?"

(Resp. 478e7-479a8, tr. Vegetti con leggere modifiche).

Il torto del filodosso non consiste dunque nel non vedere quellecose, prowiste di forme intelligibili, che sono le idee. Le idee, infattinon si vedono (né l'occhio della mente può essere inteso in senso rea-listico come una vera e propria intuizione intellettualel8). Il suo erroreconsiste nel non rilevare (e dunque, in senso traslato, nel «non vede-16") che il molteplice richiama immediatamente l'unità, non appenaesso venga accostato dal logos (inteso sia come pensiero, cioè comeparola interiore, sia come parola pronunciatatr;. Se in effetti è inevita-bile che qualunque cosa bella appaia per qualche aspetto anche brutta,

18 Come già detto sopra, ho in corso di elaborazione alcuni intenrenti spe-cifici su questo problema. Cfr., in ogni caso, P. Stemmer, Platons Diakktih, pp.2l+225 e Monique Dixsaut, Wat is it Plato Calk 'Thinking', in "Proceedings ofthe Boston Area Colloquium in Ancient Philosophy", vol. 13 (1997), ed. byJJ.Cleary and G.M. Gurtler, Leiden 1999, pp. 1-27.

19In accordo con i passi del Tbeteto e del Sofxta che abbiamo citato alla n. 6.

nessuno ammetterà invece di dire che il bello è anche non bello' Al

contrario il bello, se esiste, avrà come sua caratteristica essenziale quel-

|2 fli «permanere sempre invariato nella sua identità"' cioè di essere

;;p.é e solo bello2o' Che una cosa come "il bello" esista' d'altra parte'

!-guiurrtito dal fatto che noi effettivamente chiamiamo "belle" tutta una

,.?i. di cose assai diverse tra loro. Questa facoltà dimostra appunto l'e-

,i*.tru di una qualità comune che le unifica' Ia quale' appunto perché

,^..ogti" it molieptice trascurando le differenze inerenti alle cose sin-

sole. oer cui esse pos§ono essere dette anche 'non belle"' deve essere

3"r"'.ì"t."-..r,. bella, cioè assolutamente invariabile nel suo signifi-

cato.Come ben si vede, la necessità di porre l'unità del molteplice deriva

da una riflessione sul logos, sul òto}'éyeooar in cui esso si articola, e sul-

liinruriu.tru dei significiti in essi presuPposta' Tale capacità unificante

del logos è stata occasionalmente chiamata da Platone Euvoprq to0 òto-

l"eyeoEor (fusp. 5llb4). Questa espressione non signifìca' come vor-

rebbero alcune traduzionì melodàmmatiche' la «Potenza. (o.forza)

della dialetti62», flìa indica più semplicemente la capacìt'à di articolare

1.".i.." e parola in modo razionaie, cioè raccogliendo e.alternativa-

L"rrr. dividindo l'unità nel molteplice' Essa si trova anche in un luogo

moltoimportantede]rParmenid,r.cuitornautileoraalmenoaccennare'Comeènoto,ne]^Parmenid,eP|atonemetteinboccaalfrlosofodiEleaunaseriedicritichecontrounaversionepiuttostoingenuadelladot-trina delle idee, esposta da un giovanissimo Socrate' Dopo aver messo

alle corde il suo interlocutore Pàrmenide, tuttavia, spezza una lancia in

favore della tesi dell'awersario:

È ,".o però - disse Parmenide - che se qualcuno' l":t"::nonammetteràcheesistanoideedegtienti'sollecitatodatutteledifficoltàcheabbiamoorasollevato'néstabiliràunaidea di ciascuna cosa, non awà dove volgere il pensiero' non

ammettendo che ci sia sempre la medesima idea per ciascu-

no degli enti, e iIr questo modo andrà cornpletamellte Per-

duta Ii dynamis tou diakgesthai' (trad' mia)

20 precisamente que§to è il senso del tanto discusso motivo dell'autopredi-

.^riorr. delle idee pi"to.ti.t. (quello per cui' ad esempio-'..1'idea del bello è

anche bella). Platone ,ro., o",ott, to" q"tto, affermare che l'idea è una cosa (o

.ortarrra) che ha la bellezza come attrìbtrto (questa è I'interpretazione che ne

clà Aristotele, e che dà forza alle sue critiche). Ègli wole invece alludere al fatto

che l,unità e invariabilirà àel significato non si manifesh mai in modo Perfettonelle cose sensibili iir, l.r..t,"t'rso, e solo iIì questo' è l9.ci1 dire-che l'idea

tlt:lla bellezza è bella i. rir,,rl., cmin.nte). cfr. i. pr.posit.. il mi, Plalone., Roma

l09tì, pp. 141-143.

L'ARGOMENTAZIONE PLATONICA

Page 15: Trabattoni, Attualità Di Platone

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ATTUAI,ITA DI PI-ATONE L'ARGOMENTAZIONE PI-ATONIC,A

ne razionale deve stare per forza all'interno della dialettica universale-particolare. La risposta «parlata" di Ippia è in realtà analoga al gestoche avrebbe potuto fare indicando una suonatrice cli flauto. Ippia,insomma, non ha capito che cosa è il logos, che esso implca l'esistenzadell'universale. Non è un caso, in effetti, che a volte la domanda socra-tica chieda semplicemente se l'interlocutore ritiene che una certadeterminazione universale esista o no (ne abbiamo un esempio salien-te nello stesso lppia Maggiore, e precisamente a 287c, Iaddove Socratechiede a Ippia se esiste qualcosa come la giustizia).

Il logos, il òroÀéyeo0or, dimostra I'unità invariante del significato, edè questo che Platone lr.rol cogliere parlando di idea della giustizia, dellabellezza, ecc. Questa unità invariante è messa in luce, sia nel passo dellaRtpubblica sia in quello del Parme.nide. dall'identico awerbio oei (sem-pre). Vorrebbe dunque dire Platone che la giustizia, labellezza, ecc.hanno sempre lo stesso significato? Non è forse vero che i significatisono sempre variabili, sia nel tempo sia nello spazio? E il fenomenodella comprensione adeguata non potrebbe essere solo un accidentedel fenomeno linguistico, del fatto che ci si riferisce a persone che par-lano la stessa lingua? Che dire di un òroì"éyeo0ot con persone che par-lano lingue diverse, magari ancora sconosciute?

Ora, è chiaro che per Platone l'essenza e il significato della giustiziain sé devono essere unici e identici. Non per questo però egli affermache tale essenza e significato possano essere conosciuti ed espressimediante il logos in forma ultima e definitiva. Il fenomeno della com-prensione è sufficiente a dimostrare l'unità del significato, perché esso

dimostra in modo inequivocabile I'esistenza di un terreno comune. Maquesto terreno può anche essere inesplorato, di difficile esplorazione oaddirittura inesplorabile nella sua integrità. Tàle, a mio parere, è l'ideache ne aveva Platone. L'evento della comprensione fonda, necessaria-mente, I'unità del molteplice, certifica l'esistenza di una figura, anchese il quadro non può essere completato. Nello stupefacente intrecciotra uno e molteplice, tra identico e diverso - di cui si parla nel Filebo -il motivo stupefacente non è la diffèrenza, ma l'identità. Già prima diPlatone alcuni autori avevano raccolto repertori delle differenze, a voltedawero abissali, tra gli usi e costumi dei vari popoli, e le avevano pro-poste allo stupore dei loro uditori e lettori (così ad esempio Erodoto,che non a caso darà molta materia ai sofisti). Ma il vero stupore, perPlatone, è esattamente quello inverso, e deriva dal fatto che gli uominisi intendano nonostante le differenze; dal fatto che sia sempre possibi-lc raccogliere in unità qualunque molteplice, anche se formato dallec:ose più diverse. Nel caso peggiore, come abbiamo visto nel passo delSofista, si dovrà alnrerro rlirt't:he tutte le c()se, per quarìto diverse, sonoiclcntiche per il lìrlto clr<'sorro. l)rrnqrrr: ci sarà senìpre almcno un

Questo passo non dice che l'assenza delle idee (cioè delle unità inva-rianti di significato) crea delle difficoltà a un certo genere di pensiero.In-questo caso si potrebbe infatti risolvere il problema dicendo che nonabbiamo identificato correttamente che cosa sia il pensiero. Il passodice, al contrario, che verrebbe meno il pensiero in gÉnerale, e cioè chel'esistenza delle idee è condizione di possibitità di qiella realtà inequi-vocabilmente esistente che è il pensiero. Infatti il pànsiero è òro)"eyào-0or, nel senso della relazione uno-molti rop.a p."iirata, e l,eliminazro-ne delle unità ideali elimina appunto il Erol"eyio0or_.

Su quali basi si fon-da una pretesa apparentemente così impegnati-va? Semplicemente sull'esperienza. Se io òhl.do a qualcuno, secondo latipica situazione che troviamo nei dialoghi socraticì, che cos,è la giusti-zia, o una qualunque altra caratteristici generale, il mio interlocutorepuò certo dare una risposta che non .o.ràirrido, o che appare erroneada più punti di vista. Ma la sua comprensione dela domànda, in basealla quale egli articola la risposta, è prova inconfutabile che entrambi gliinterlocutori si trovano già sul terreno dell'universale. per rispondeiealla domanda riguardo la giustizia in modo pertinente (dicèndo adesempio, con Trasimaco, che la giustizia è l,utilè del più forte, e non unmollusco appartenente al genere dei celenterati) occorre necessaria-n-lenJe possedere già una dose minima di comprensione comune su ciòche la giustizia in generale sia: occorre u*-.it..., in altre parole, cheesiste una giustizia come unità universale sempre identica nÉl suo signi-ficato, diversa da qualunque singola cosa giusta (che, come abbiamovisto nel passo della lìepubblica, può anche èrr.r. non giusta per qual_che rispetto).

Lo scopo della domanda socratica, d'altra parte, consiste proprio inquesto: il Socrate di Platone non chiede.che cos,è lagiustizìa, con loscopo o la speranza di trovare qualcuno che conosca la àefinizione esat-ta ed ultimativa. Il suo scopo è quello di mostrare che la domanda stes-sa, una volta che sia adeguatamente compresa, pone in evidenza il ter-reno dell'universale in cui da sempre il lògos si muove (anche se i più,filodossi nell'indole, non se ne accorgono), e stabilisce che qualunquericerca razionale, indipendentementè dal grado di verità cire le saràdato raggiungere, non potrà mai evadere da questo terreno. Il torto delsofista Ippia, che alla domanda di Socrate "chè cos,è labellezza, rispon_de "una donna bella"zr (così come il torto di Menone che elenca unosciame di virtù), non consiste nel non vedere labellezzanella sua essen-za (nessuno ha questa visione), o nel non conoscere la sua definizione(il logos non è così potente). Il suo torto consiste nel non awedersi checose come bellezza hanno il carattere dell'unità, e che perciò l,indagi-

zr HipF. Maj.2B7a.

Page 16: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTUALITA DI PLATONE

purìto di vista in base al quale siamo costretti a dire che tutte le cosesono uno, che l'unità è originaria, che il molteplice e la differenza nonsono mai I'ultima parola sulla realtà. In caso contrario, infatti, questasituazione non si spiegherebbe. Né in questo modo, peraltro, si è anco-ra spiegato tutto. Resta da spiegare, in particolare, perché l'unità origi-naria dei significati sia impossibile da cogliere nella sua compiutezza,perché l'accordo sia sempre parziale, temporaneo, precario. Ma c'è unaparte della filosofia di Platone, come abbiamo visto sopra, che si incari-ca di spiegare a anche questo fenomeno: la natura vicaria, ermeneuticadel linguaggio; l'indisponibilità, per l'anima incarnata che vive neltempo, di accedere all'intuizione intellettuale.

Quanto al problema delle differenze di linguaggi, non si tratta diuna circostanza determinante. Come si desume dal Cratilo, il linguaggioè per Platone la forma in cui accade il pensiero, non la struttura che lodetermina. Nella WI Letterd2 scrive Platone che nulla impedisce di chia-mare il tondo dritto e il dritto tondo, e ciononostante il significato, perchi ha scambiato i nomi, non sarà meno sicuro (343b). Alìo stesso modoè owio che il concetto di giustizia è espresso in modo diverso da una lin-gua all'altra, sia moderne sia antiche, ed è anche chiaro che queste dif-ferenze non lasciano del tutto intatto il significato. Questo però non ciimpedisce oggi di interrogarci sensatamente sul significato della «giu-stizia" nell'Atene nel V secolo o nell'Inghilterra di Cromwell, suppo-nendo con questo almeno una parziale identità di significato con il ter-mine giustizia corrente nella lingua italiana del XXI secolo. Né questaidentità verrebbe meno in un ipotetico colloquio con un popolo primi-tivo sprowisto di una parola corrispondente, perché sarà sempre possi-bile identificare qualcosa di analogo, magari mediante una perifrasi,intorno a cui si ricostituisca quella minima unità di significato che per-mette il òtol,éyeo0or.

5. Cerchiamo ora di tirare Ie conclusioni di tutto questo discorso. Ilsenso del platonismo, abbiamo detto, consiste nella constatazione che

22 La maggioranza degli studiosi ritiene oggi questa lettera autentica, rnanon mancano autorevoli voci contrarie, mentre altri rimangono incerti. C'èda dire però che il più grave elemento di dubbio rimane pur sempre l'excur-sas filosofico, il cui contenuto ad alcuni sembra non collimare con quantoemerge dai dialoghi. Se però si trova un modello interpretativo della filosofiadi Platone da cui risulta cl:.el'excursus si sposa perfettamante con gli altri testi(come ho tentato di fare nei lavori citati alla n.6), allora la palla rimbalzaverso chi nega l'autenticità della lettera: sarà in questo caso lecito dire che sitratta di un apocrifo quando si è mostrato che una certa ricostruzione dellafilosolìa di Platone non è corrctta, ma non che tale ricostruzione è scorrettaperché la lettera è apocrifa.

vi è una necessaria implicazione tra uno e molteplice. Questo principio

forte, peraltro, si col[ega a una cortcezione debole della conoscenza

filosofica, in cui non ,oIo ,ron c'è nulla che assomigli a un occhio della

mente capace di cogliere intuitivamente e infallibilmente le idee, ma ilpensiero à il tirrg.rug:gio sono caratterizzati da una <<mancarrza di fondo"

di ordine latamente ermetteutico.UnriccofilonedelpensieroContemporaneochetrovaipiùlontani

antenati proprio nella ivolta ermeneutica (promossa in primo luogo da

Nietzschè e àeidegger), e che oggi si riconosce almeno in parte sotto iltitolo di decostruzionismo, sta cànducendo ormai da parecchi anni la

sua battaglia contro la metafisica e il logocentrismo, in nome del sin-

golare, dél frammentario, del differente, e in que§ta sua.battaglia ha

iivolto i suoi strali proprio contro Platone e contro il tradizionale modo

di argomentu.. .h. per molti secoli il filosofo ateniese avrebbe impo-

sto aTl'Occidente (pènso in primo luogo a Jacques Derrida e Gilles

Deleuze). Uno degli obiettivi polemici di questa battaglia è costituito in

effetti dal rapporto universale-particolare così come Io aveva inteso

Platone, e daùà tbrma di ragionamento (logos) corrispondente'Come anticiPato sopra, ù questo articolo mi propon^go - fra le altre

cose - di mostrare che questo luogo comune è frutto di fraintendimenti

e di equivoci. La gnoseologia cheì decostruzionisti combattono, in real-

tà, non è quella-di Platoie, ma <luella di Ar-istotele. Essi inoltre, nel

compiere questa operazione, vorrebbero anche scardinare alcuni pre-

supposti plàtonici, .t. ir-r realtà non possono essere scardinati, perché

.oràirio.ti di possibilità di qualunque tipo di logos (o parola)' com-

presi quelli utilizzati dai deèostruzionisti stessi. Abbiamo detto sopra

àh. A.irtot"le condivide con Platone il fatto che la conoscenza razio-

nale, cioè quella che si sviluppa mediante il logos, ha come suo ogget-

to l'universale. Poi abbiamo^aggiunto che c'è differenza, viceversa, nel

modo in cui essi consideranò il logot, e la conoscenza irt generale.

Aristotele ha una concezione naturale del pensiero e del linguaggio'

intesi come gli organi che rispecchiano fedelmente la realtà e Permet-tono di u..iuu.., se usati i..rru ...o.i, a conclusioni definitive.potremmo anche aggiungere ora che in Aristotele c'è almeno il sospet-

to dell,esistenza di-rina ilrtuizione intellettuale non Protetta dallz tuo

uorld,s theory di Platone (dunque disponibile) - ma poiché si tratta di

una quesd;ne assai .orrt ou..iu la laiceremo da parte23' Quello che mi

23 Le ultime righe det secondo libro degli Analitici Secondi potrebbero far

pensare che per ,Alistotele il livello più alto^di conoscenza coincida con una

sorta di intuizione intellettuale (100È5-17). Contro questa interPretazione del

passo ha reagito con vigore Enrico Berti (cfr. ad esempio Le ragioni di.Aristotek,

froÀu-gu.l t 6aS, pp. I 1:18) . Su questo tema esiste un interessante studio mono-

g.^fi." di V. Kal, 'òn Intuition aid Disrurtiot Rtasoning in Aristotle,I,eiden 1988.

L'ARGOMENTAZIONE PLATONICA

Page 17: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTUALITA DI PI-ATONE

sento invece di aflèrmarc i: ch«-. Platone ha una concezione ermeneuti-ca del pensiero e del linguaggio, sostanziaknente circolare, che li rendestrutturalmente disponibili all'apertura indefinita della ricerca, e impe-disce di considerarli semplicemente come lo specchio della natura.Questa "ermeneuticità" è stata bloccata per secoli, nella storia dellapensiero occidentale, proprio dalla concorrente e vittoriosa concezionearistotelica. E dunque particolarmente grottesco che gran parte degliermeneuti e decostruzionisti contemporanei continui pervicacemente aritenere la svolta ermeneutica, caratteristica di tanta parte del pensierodel XX secolo, come una sorta di parricidio nei confronti di Platone.

Bisogna fare una almeno importante eccezione, e precisamente infavore di uno dei padri fondatori del pensiero ermeneurico contempo-raneo, e cioè Hans Georg Gadamer (il quale, come è noto, ha dedicatogran parte della sua attività scientifica al pensiero antico, e in particola-re proprio a Platone2a). La lettura di Platone proposta autorevolmenteda Gadamer in numerosi suoi studi costituisce un'ulteriore aggravantealla situazione a cui alludevamo sopra, e cioè al fatto che i decostruzio-nisti, i quali pure in gran parte si considerano interni alla stessa tradi-zione di pensiero di cui Gadamer è uno dei massimi esponenti, reputi-no la filosofia platonica come la principale nemica del pensiero erme-neutico. Sembra in realtà che gli approfonditi studi platonici diGadamer abbiano riscosso presso i teoreti assai meno successo delleframmentarie ed awenturose ricerche sul pensiero antico eseguite daHeidegger (che peraltro su questo terreno era assai meno preparato eattendibile del suo discepolo). Non posso tralasciare un accenno, siapure cursorio, a un caso abbastanza clamoroso, che interessa da vicinolo scenario filosofico italiano. In un intervento comparso in occasionedel centesimo compleanno di Gadamer Gianni Vattimo scrive: "...mi hasempre colpito il distacco che Gadamer manifesta nei confronti delladura polemica di Heidegger contro la tradizione metafisica, e anzituttocontro Platone"25. Come si evince dal contesto, Vattimo in un certosenso si stupisce che Gadamer non abbia accettato il fatto che l'"eredi-tà greca, anzitutto platonica", sia «uno dei momenti chiave dell'obliodell'essere che ha condotto il pensiero metafisico occidentale a identi-ficare l'essere con gli oggetti della conoscenza scientifica e della mani-polazione tecnologica"26. Lo stupore di Vattimo deriva dal fatto che a

24 Cfr., soprattutto, i saggi tradotti in italiano e raccolti nei due volumi SrzdlPlatonici I e II (Casale Monferrato, l9B3 e 1984, rispettivamente). Su Gadamer ePlatone v. ora I'ottimo volume di F. Renaud, significativo già nel itolo, DieResokratisierung Platons. Die plalonische Hermeneutik Hans-Georg Gadamers, SanktAugustin 1999.

25ln Incontri con Hans-Genrg Gadarncr, a cura di G. Girgenti, Milano 2000, p. tì8.26 lbid., pp. 68-69.

I,'ARGOMENTAZIONE PI-ATONI(ìA

suo parere l'interpretazione di Platone proposta da Heidegger doweb-be essere in generale - come è chiaro - ormai owia per tutti, e dal fattoche dovrebbe esserlo in particolare per chi si è fatto continuatore dellatradizione filosofica inaugurata da Nietzsche e proseguita da Heideggerstesso. Per spiegare questa situazione Vattimo a\ar.za allora una doppiaipotesi: in primo luogo in Gadamer sono attivi dei presupposti «uma-nistici" estranei ad Heidegger, e in secondo luogo il suo atteggiamentoriflette quell'intenzione di .,urbanizzare Ia provincia heideggeriana" dicui ha parlato Habermas2T.

Quello che dawero «colpisce», in realtà, è il fatto che Vattimo sia

"colpito". La risposta al problema da lui sollevato, infatti, è sotto il nasodi tutti. Gadamer, da .filologo classico estremamente agguerrito- quale[o definisce Io stesso Vattimo28, ha proposto una sua personale inter-pretazione di Platone, quasi diametralmente opposta a quella diHeidegger, che per ottimi motivi doveva apparirgli ben più corretta diquesta29. Per sincerarsene, basterebbe leggere e meditare i suoi SrzdiPlatonici. Ma questo evidentemente è quanto i decostruzionisti di oggisi rifiutano di fare30; mentre invece non si trattengono dal parlare di

27 lbid.28 lbid., p.68.29 Un'esposizione sintetica delle due diverse interpretazioni si legge in O.

Pòggeler, Ein Streit um Platon: Heidegger und Gadamer, in Platon in der abendlàndi.-.schen C,eistesgeschichte,hrsg. von Th. Kobusch und B. Mojsisch, Darmstadt 1997,pp. 241-254. Più interessante, però, è la ricostruzione di F. Renaud, I)feIlesohratisi.erung Platons, cit, in part. pp. 25-35. Contro I'identificazione heideg-gerriana platonismo=metafisica=filosofia Gadamer sottolinea la motivazioneetica e dialettica che soggiace alla teoria delle idee; se Heidegger evidenzia inPlatone I'oblio della verità, Gadamer è interessato piuttosto ala continuità conla verità che si manifesta nonostante I'oblio; mentre Heidegger collega stretta-mente Platone alla storia del platonismo "metafisico", Gadamer rileva la prio-rità del Platone dialogico, la sua affinità con Ia filosofia ermeneutica in vista diuna metafisica «aperta»; infine, l'interpretazione di Heidegger è gravata dacarenze di tipo fikrlogico (ibid., p. 27 e n.28). ln ogni caso, fosse mancanza dipreparazione frlologica o scelta deliberata (cosa più probabile), gli arbitri com-piuti da Heidegger in sede di interpretazione platonica sono piuttosto eviden-ti. Cfr., in proposito,J. Barnes, Heidegger sltéléologue, "F.évte de Métaphysique etde Morale" 95 (1990), pp. 173-195, A. Th. Peperzak, Did Heidegge.r UndnstandPlato's Idea of the Truth? , in Platonic Transformations. With and after Hegel, Heid,egguLe.uinas, Lanham (USA) 1997, pp.57-lIl, e S. Rosen, T'he Question of Being. Alìnnsal of Heidegger, Yale 1993.

30 Eppure, come riccorda Pòggeler (Ein Streit um Platon, p. 241) , 1o stesscr

Gadamer ha dichiarato di considerare i suoi studi sulla filosofia antica, culmi-rranti nelle sue ricerche su Platone, der eigensttindigste Tbildel suo lavoro filoso-[ico. Almeno Vattimo, che è stato per qualche tempo allievo diretto di Gadamer(ì ha tradotto in italiano Verità e Metodo, questo non dovrebbe ignorarlo.

Page 18: Trabattoni, Attualità Di Platone

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Platone a ogni pié sospinto, sempre seguendo la traccia claudicante diHeideggel e disinteressandosi, oltre che di Gadamer, anche - e a mag-gior ragione - di tutta la letteratura specialistica.

L'approdo alla retorica, a cui siamo perwenuti attraverso Gadamer,ci permettere di dire le parole che porranno termine al nostro discor-so. La diffidenza verso una concezione diretta del pensiero e del lin-guaggio, intesi come specchio fedele della realtà, è giustificata da soli-di argomenti. Non mi riferisco, con questo, alle motivazioni di caratte-re etico, in cui la diffidenza è motivata dalle preoccupazioni che susci-ta un discorso metafisico in senso deteriore, cioè dogmatico e poten-zialmente violento. Se tale dawero fosse la natura del logos, nessuntimore pregiudiziale sarebbe sufficiente a decidere che le cose stannoin modo diverso. Ma il fatto è che le cose non stanno appunto così, per-ché la natura ermeneutica e dialettica di pensiero e linguaggio risultaevidente - come mostrano al meglio proprio i dialoghi di Platone - dal-l'esame del Erol,eyeo0ar nel suo esercizio concreto. Questa diffidenza,tuttavia, non può spingersi fino a negare la dialettica tra particolare euniversale, tra molteplice e uno. Chi ambisca, ad esempio, a cogliere lanatura della differenzain quanto differenza, non può pensare con que-sto di porsi al di fuori dei limiti in cui Platone ha collocato l'argornen-tazione filosofica. Al contrario, anche riguardo la differenza vale laregola della reductio ad, unum che Platone applicava alla giustizia, allavirtù e all'essere stesso. Chi pensa la differenza in quanto differenza,infatti, non può che pensare platonicamente a ciò che unifìca le diffe-renze in quanto differenze, cioè a un significato universale di differen-za che si mantiene costante nel tempo. La stessa regola vale owiamen-te anche per nozioni post-moderne come la differance derridiana, enulla rileva il sotterfugio linguistico. Perciò l'argomentazione filosofi-ca non può che muoversi all'interno di questa dialettica, cercando dicogliere e di precisare per quanto possibile unità di senso tagliate invario modo all'interno dell'infrnita molteplicità dei particolari. Al difuori di questi limiti non c'è né filosofia né logos (ancorché possanoesserci il discorso poetico e narrativo, o addirittura il puro non senso).Ciò che dawero si modifica nell'argomentazione , una volta che sianostati ammessi i vincoli ermeneutici a cui sono sottoposti il pensiero e illinguaggio, è che la defrnizione diventa delimitazione (sempre prowi-soria), che alla logica subentra ìa retorica, che la dimostrazione si tra-sforma nella persuasione.

Si può dunque dire che esistano, in certo senso, tre tipi di platoni-smo. C'è anzitutto il platonismo minimo, che a mio awiso contiene imotivi essenziali e determinanti della filosofia di Platone, di chi ritieneche pensiero e linguaggio non possano mai evadere dalla dialettica uni-versale-particolare. Da questo tipo platonisrno, nonostante i proclami

battaglieri levatisi da più parti in quest'ultimo secolo, la filosofia occr-

d.rrtài. non è in ..dtà *uì .uuru, .ré potrebbe farlo, se non cessanrlo di

usare l,ar§omentazione, il logos, il òtoléyeoOat - cioè cessando di esse-

re filosofi"a. C'è poi il platonismo massimo, cioè quello della teoria dei

due mondi, dellà sostanzialità dell'anima, della superiorità dello spirito

sulla materia, della bontà e prowidenza di Dio, ecc. Accettare que§to

platonismo è owiament. .rrrà q.,.rtione di scelte: ma in questo caso si

iruttu di scelte dawero molto impegnative, sia da mettere in pratica sia

da giustificare razionalmente. c'è infine l'idea di una metahsica della

p..i.rru, perentoria e violenta; di una gnoseologia dogmatica e coreci-

iiva fondaia sull'ammissione di uno sguardo privilegiato sul mondo,

indiscutibile, inquestionabile, assoluto' Questa idea è ciò che molti filo-

sofi contempo.arei combattono credendo di combattere il platonismo,

ma in realta non ha niente a che fare con Ia filosofra di Platone.

L'ARGOMENTAZIONE PIITONICA

Page 19: Trabattoni, Attualità Di Platone

Capitolo IIPlatone, Rorty e Ia violenza della metafisica*

Sull'infelice destino della metafisica nel corso di questo secolo nonè dawero il caso di insistere. Una ormai lunga tradizione, concorde e

compatta quantomeno nell'indicare ciò che rifiuta, ha proweduto congrande spiegamento dinezzi non solo a dimostrare l'inconsistenza epi-stemologica di questa disciplina, ma anche a denunciare i gravi danni e

pericoli che il pensiero "metafisico" può causare al vivere etico, socialee politico. In quest'ultimo senso, anch'esso troppo noto perché valga lapena di esaminarlo, la metafìsica rappresenta il pensiero violento perantonomasia, con esiti variamente modulati che vanno dal predominiodisumanizzante della tecnica alla creazione dello stato totalitario. Al dilà di ogni considerazione di carattere teoretico, è difficile non rilevarein questo vero e proprio locus communis della filosofia d'oggi almeno ungrave punto debole. Vi si parla di "metafìsica" come di un concetto o diun movimento unitario, serrza tenere conto che Ie metafrsiche sonomolte, e assai diverse fra loro. Queste differenze sono state più volte inItalia sottolineate da Enrico Bertil, ma non sembra che questi awerti-menti siano riusciti a scalfire una ormai ben radicata Àoircl linguistico-culturale. Un esempio recente (e autorevole) è l'ultimo libro di GianniVattimo, in cui si legge

Non è perché l'universale conduca necessariamente alla vio-Iazione dei diritti dell'individuo che Ia metalìsica deve esseresuperata; anzi, i metafisici hanno qui buon gioco nel dire chegli stessi diritti dell'individuo sono stati spesso rivendicati pro-prio in nome di ragioni metafisiche - per esempio nelle dot-trine del diritto naturale. E invece in quanto pensiero dellapresenza perentoria dell'essere - come fondamento ultimttdi fronte a cui si può solo tacere e, forse, provare ammirazio-ne - che Ia metafisica è pensiero violento: il fondamento, se

si dà nell'evidenza incontrovertibile che non lascia più aditoa ulteriori domande, è come un'autorità che tacita e si impo-ne senza "fornire spiegazioni"2.

* Platone, Rorty e la "uiolenza" dellametaft,sica, "Pratica Filosofica" 10 (1996),pp. t75-797.

I Cfr. E. Berti, Le uie della ragione, Bologna 1987, in part. pp. 17-54;Introduzione alla metafisica, Torino 1993, in part. pp. 12-43.

2 Oltue l'interPretazione, Roma-Bari 1994, p. 40.

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40 AITUALITA DI PI-ATONE

Quale sia la metafisica cui Vattimo si richiama, e soprattutto qualesia il suo punto di riferimento storico, diventa chiaro più avanti neltesto, là dove Vattimo, con evidente consenso, asserisce:

Heidegger ha...insegnato che la tecnica moderna è Ia conse-guenza diretta della metafisica platonica3.

La natura di questo rapporto dipende a sua volta dal fatto che la meta-fisica è

già tutta presente nella dottrina platonica delle idee come lastruttura rappresentabile dell'esserea.

Anche questa frase, come si vede, si richiama ad Heidegger, cioè allasua ben nota tesi secondo cui Platone awebbe per primo occultato lanatura della verità come svelamento, mettendo al suo posto la corret-tezza dello sguardo. Questo è appunto per Heidegger I'inizio dellametaflsica, e la tecnica moderna non è che la forma prevalente da essaassunta nell'epoca contemporanea5. Su questo argomento si è scrittomoltissimo, e io non ho qui intenzione di aggiungervi nulla (anche per-ché il presente lavoro ha un obiettivo diverso). Mi preme soltanto met-tere in luce che questa linea interpretativa di ascendenza heideggeria-na sposa l'immagine della verità come corrispondenza, come evidenzaeidetica di ciò che appare alla mente, con il "pensiero della presenzaperentoria dell'essere" (nei termini di Vattimo), e con la violenza impli-cita che ne deriva.

La lettura heideggeriana di Platone ha incontrato, si sa, il favore dinumerosi epigoni, non solo in Italia, ma anche in Francia e inCermania: epigoni che spesso ripetono acrit-icamente. senza una appro-fondita valutazione, le tesi del maestro. Il motivo di questo successo, aldi là del fascino indubbio suscitato dagli scritti del pensatore diFriburgo, consiste nel fatto che il Platone di Heidegger sembra comba-ciare assai bene con I'immagine di gran lunga più diffusa (soprattuttopresso i frlosofi non "antichisti") della filosofia platonica. E I'immagine,tanto per intenderci, mediante la quale può essere chiamata "platonica"la concezione realistica che ebbero Frege e Russell degli oggetti mate-matici: entità ideali, assolute, che si offrono alla percezione mentale. Il

3 Ivi, p. 51.+ Ivi, p. 5a.5 Cfr. M. Heidegger, Platons Lehre uon der Wahrheit, puhblicato per la prima

volta nel 1942, poi compreso in Holzwege (l,a ùtltrhru ltlnktni«t. d.elh. uerità, tr. ita-liana in Segnaaia, Milano 1987, pp. l!-r0-11)2).

RORTY E I-A VIOLENZA DELI-A METAFISICA

Platone che così viene evocato è il filosofo delle idee come oggetti asso-

luti ed intemporali, che possono essere colti dall'occhio della mente. Intal modo Platone ha potuto fungere da contorno, se non proprio dasostegno, a uno dei bersagli preferiti di un largo filone del pensierocontemporaneo, quello impegnato a combattere ogni forma di reali-smo epistemologico e di eidetismo (ci si perdoni questa parola, cheserve per indicare la persuasione che alcuni concetti siano delle essen-ze universali invarianti).

È u.r.o.a questa l'immagine a cui fa oggi riferimento il principaleesponente del neopragmatismo americano, e cioè Richard Rorty (l'in-fluenza di Paul Shorey, lo studioso americano di Platone più celebreprima di Cherniss, non pare essere uscita dalla cerchia degli specialisti6). Che Platone per Rorty sia essenzialmente quello di Russell emer-ge con chiarezza da un brano del suo libro più celebre:

Come Platone a suo tempo si era ispirato alla matematica nel-I'inventare "il pensiero filosofico"7, così i filosofi "seri" si rivol-sero alla logica matematica per trovare un riparo dai loro esu-beranti critici. Figure paradigmatiche di questo tentativo diritrovare Io spirito matematico furono Husserl e RussellS.

La tesi del tibro è nota. L'obiettivo principale della critica di Rorty è

la sequenza "epistemologica", attiva da Cartesio a Kant fino alla filoso-fia analitica e alla fenomenologia. Questa tradizione ha in vario modopostulato I'esistenza di una mente come "specchio della natura", nellaquale si riflettono le idee chiare e distinte. L'obiettivo che ne risulta è

quello di una conoscenza oggettiva e certa, capace di raggiungere (gra-

zie alla pura intellettualilà del procedimento) delle verità assolute e

rnetastoriche, indifferenti al divenire delle società e degli individui. Lamenzione delle idee "chiare e distinte" richiama naturalmente

6 Paul Shorey, nel suo noto saggio dal titolo The Unity of Plato's Though((ìhicago 1903) è stato il primo degli studiosi contemPoranei a notare chel)latone non fa nessun tentativo di descrivere le idee.

7 Questo modo di esprimersi non solo è decisamente tendenzioso, maanche del tutto fuor-viante. Platone non ha inventato il pensiero filosofico, maha tentato di spiegare la realtà che 1o circondava. La matematica costituisce unodegli strumenti, e non sempre il più importante, di cui si è servito per attuare(luesto tentativo (n. d. r.).

t Philosophy and the Minor of Natura, Princeton 1079 (tr. it. Milano 1986, p.127). Questo giudizio si trova però testualmente anticiPato in un saggio com-

l)arso per la prima volta nel 1978, e nuovamente ripubblicato nel 1985 (cfr' F.

Rcstaino, Fitosofiaepost-f,losofiainAmerica, Milano 1990, p. 116, n.37, e p. 117).(lirì fa credere che Rorty abbia sempre nutrito la massima fiducia in questa rico-slruzione storica.

Page 21: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTUAI,ITA DI PI-ATONE

Cartesio, che in effetti è uno dei personaggi principali (tanto per resta-re nell'ambito rortiano della filosofra come narrazione) di Philosophyand the Miruor of The Nature. Ma alle spalle di Cartesio compare spesso,negli scritti di Rorty, la figura di Platone. Questa derivazione è sinretiz-zataira maniera molto efficace in un passo tolto da un saggio del 1984:

... Cartesio conservò proprio quei temi del pensiero anticoche Bacone aveva cercato di cancellare. La conservazione del-l'idea platonica che la nostra facoltà più distintamente umanaera quella di manegeiare "idee chiare e distinte", piuttostoche realizzare il trionfo dell'ingegneria sociale, fu il contribu-to più importante e più sventurato di Cartesio a quello chenoi ora consideriamo la "filosofia moderna"9.

Cartesio è colpevole perché ha conseryato proprio ciò che si dovevabuttare, cioè la concezione platonica dell'oggettività degli universali edella mente ad essi correlata. Rorty ha implicitamente e anche esplici-tamente affermato più volte, soprattutto nei saggi che seguono La filo-sofia e lo specchio della natura, che la prospettiva teoretico-storiograficasopra illustrata deriva da Heidegger, o ameno collima con le analisicompiute dal fìlosofo tedescolO. In un saggio del 1984 si leggono adesempio frasi di questo tipo:

Interpretare opportunamente I'affermazione di Heideggerrichiede che si identifichi il platonismo con l'aflèrmazioneper cui I'essenziale della ricerca è venire in contatto con qual-cosa del tipo l'Essere, il Bene, o la Verità, o la Realtà, qualco-sa, cioè, di vasto e potente che abbiamo il dovere di com-prendere correttamentell.

9 Habermas e LyotarrL sulla postmodnnltà, in R. Rorty, Essays on Heideggn and,Othns Philosophical Papers- Vol. 2, Cambridge 1991 (rr. ir., da cui citiamo, S'cdlri

filosofici Id Roma-Bari 1993, p. 231).l0 Che la critica all'idealismo platonico debba molto ad Heidegger si rica-

va fra l'altro dal fatto che Rorty fa più volte sua la prospettiva heideggerianadi una sequenza che va da Platone a Nietzsche. V. ad es. Oltrepassare la tradizio-ne: Heidegger e Deuq, in Consequences of Pragmatism, Minneapolis 1982 (tr. it.Milano 1986, p. 75); La Jìlosofia e lo specchio della natura, p. 304. Cfr. in propo-sito F. Restaino, Filosofia e post-filosofia in America, p. i02; A. Gargani,Introrluzione a R. Rorty, Scritti filosoJtci { Roma-Bari 1994, p. XII (ed. orginale,Objectiaity, Rclatiuism and liuth. Philosophical Papns - Vol. 1, Cambridge 19gl ), eIntroduzione a Scritti fiktsofici II, p. XIJ.

tt Hddeggu contingenza e Ntragmatismo, in Scritti fitctsoJtcill, p.39; cfr. ancheContingence, Irony and, Solidaririty, Cambridge 1989 (tr. it. dal titolo La Jilosofiadopo lafilosofia, Roma-Bari 1989, p.93)

RORTY E LA VIOLENZ-A. DELI-A METMISICA

Ci hanno insegnato [sr. Platone e Aristotele] che, se non pos-siamo rendere evidente I'oggetto della nostra indagine -averlo chiaro e distinto, direttamente presente nell'occhiodella mente, raggiungendo così un accordo con tutti quelliqualificati a discuterlo - non riusciamo ad ottenere il nostroscoPol2'

Quest'ultima frase sintetizza quello che per Rorty è l'argomento diHeidegger, e che coincide sostanzialmente con la posizione di Dewey(anche se è stato Heidegger, e non Dewey, a collegare Ia concezionedella verità come adeguatezza, con i tutti i suoi effetti disastrosi, a

Platonel3). Ancora più esplicito è Rorty in uno studio del 1987, doveegli interpreta Essere e Tbmpo (o almeno la maggior parte di esso) "comeuna critica nietzscheana alla tradizione platonica"14:

il tema principale di quel libro giovanile è il tentativo dellatradizione platonica di sottrarsi allafrnitezza e alla storia, e dicollocarsi nel sowatemporale postulando un apparato inter-no predisposto a far qualcosa di più c}:,e adattarsi all'ambien-te15.

dove è ben chiaro il tentativo, cui abbiamo accennato sopra, di far con-vergere il pragmatismo deweyano e la filosofia di Heidegger (soprat-tutto quella anteriore alla Kehre) verso il medesimo obiettivo.

Seguendo Nietzsche attraverso il filtro di Heidegger Rorty affermache il platonismo

non pretende che l'incontro con la verità sia un baglioreaccecante, una illuminazione, ma semplicemente che si possagiungere alla verità attraverso il vaglio critico delle proprieintuizioni, e che una volta raggiunto un equilibrio riflessivorispetto ai propri giudizi prefilosofici, sia conseguita la veritàfilosofica. L'essenziale, qui, è l'idea secondo cui, per giunge-re alla verità, disporremmo di un apparato interno precosti-tuito, un apparato che include un linguaggio capace di porrele domande giuste - quelle che gli esseri umani hanno sem-pre formulato, o awebbero dor,rrto formularel6.

12 lvi, pp. 4o-41.13 Cft. Pragmatismo senza metodo,in Scrittifilosofici 1, p. 100.14 Di là dal reali,smo e dall'anti realkmo: Heideggu line, Daaidson e Derrida, " Atrt'

AuC'217-218 (1987), pp. 101-119; qui, p. 102.ts lbidem.16 Ivi, p. 101.

Page 22: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTUALITADI PLATONE

Sia pure con un linguaggio in parte più raffinato e in parte più mor-bido, viene qui ribadita la tesi che conosciamo. Il platonismo indica perRorty quella teoria che postula una ar^rnonia prestabilita fra gli organi diconoscenza e la realtà oggettiva: una armonia che rende possibile la con-quista della verità, sia pure mediante una attività di ricerca (le doman-de), come possesso stabile e ultimativo. Ulteriori allusioni al "platonismo" così defrnito si trovano sparse un po' dovunque nell'opera di Rorty:è sufficiente per questo scorrere gli indices nominum in calce ai suoi libri.Molto frequente, ad esempio, è la menzione di una linea speculativa epi-stemologico-metafrsica che va da Platone a Kant passando attraversoCartesio (questo motivo è frequentemente ripetuto in Contingence, Ironyand Solidarity). Ma il passo più chiaro e completo su tutto questo proble-ma si legge indubbiamente in Philosophy and the Minor of Nature:

Secondo la mia concezione Platone non ha scoperto la distin-zione tra due generi di entità, o interne o esterne. Egli fu piut-tosto il primo ad articolare quello che George Pitcher ha chia-mato il "Principio Platonico" - cioè il fatto che a differenzenell'ordine di certezza devono corrispondere differenze neglioggetti conosciuti. Questo principio è una conseguenza natu-rale del tentativo di modellare la conoscenza sulla percezio-ne17 e di considerare Ia "conoscenza di" come fondamentodel "sapere che". Se si suppone che abbiamo bisogno di facol-tà distinte per "afferrare" oggetti tanto differenti come mat-toni e numeri (nello stesso modo in cui abbiamo organidistinti di senso per i colori e per gli odori) allora la scopertadella geometria apparirà come la scoperta di una nuova facol-tà chiamata voùq18.

Il Principio Platonico produce la necessità di interpretare la cono-scenza e la giustificazione non già come rapporti tra proposizioni (esitoaperto a soluzioni di tipo pragmatistico), ma come delle "relazioni pri-vilegiate con gli oggetti intorno ai quali vertono le proposizioni"le. Mala conoscenza, considerata in questo modo, conduce a

una situazione in cui la discussione non sarebbe precisamen-te difficile, ma impossibile, perché ciascuno afferrato dall'og-getto in modo richiesto non sarebbe più capace di dubitare odi scorgere un'altemativa2o.

17 Questo tentativo deriva a sua volta "dall'analogia greca (e in particolareplatonica) tra percezione e conoscenza" (Lafilosofia e lo specchio della natura, p.120) [n.d.r.].

" Irri, p. 119. Cfr. anct,e Fisicalisrno non riduttiao, in Scritti fil.osofici I, p. 157;Restaino. p. 120. n.43.

t9 Lafilosopa e lo specchio d.ella natura, p. l2l.20 lttùlcm.

RORTY E I-A, \'IOLENZA DELI-A METAFISIC,A

Abbiamo in questo modo raggiunto, attraverso Rorty, la medesimasituazione paventata da Vattimo, e per loro inerente in maniera essen-

ziale alla metafisica: cioè una situazione di "evidenza incontrovertibile"che non lascia più spazio a "ulteriori domande".

L'immagine rortiana di Platone si fonda in massima parte, come è

chiaro, sulla metafrsica della Repubblica, con particolare riferimento alsesto libro e alla metafora della linea divisa con cui esso si chiude. Maanche lasciando da parte la questione di stabilire se I'interpretazione diRorty corrisponde veramente a ciò che Platone r,'uoi dire in quel testo2l,possiamo almeno chiederci se l'immagine ora evocata rappresenta ilvero Platone, o ciò che la filosofia di Platone significa da un punto divista essenziale. Che vi sia anche un altro Platone, questo credo che nonpossa essere negato. Leggiamo a esempio che cosa scrive in un litrrorecente un altro importante filosofo americano, amico e critico di Rorty,Richard Bemstein (il brano si trova all'interno di un saggio in cui I'4. sta

descrivendo i motivi per cui, soprattutto nel corso del '900, la razionali-tà filosofica e scientifica ha trovato tanti diffidenti oppositori)Parafrasando il noto aforisma di Whitehead, Bernstein spiritosamentescrive:

Dovrebbe essere chiaro a questo punto che potrei avere svol-

to la mia narrazione nella forma di una serie di note aPlatone. Il primo intreccio può essere fatto risalire alla"costruzione" del Platone metafisico, con la sua teoria dei duemondi, la sua denigrzzione della corporeità, e la sua celebra-zione delle forme eterne e immutabili che costituiscono iltelos erotico della dianoia e della noesis lecco comparire lametafora della linea divisa; n.d.r.]. Questo Platone (talvoltachiamato "platonismo") è il cattivo a cui possiamo imPutaretutto ciò che in seguito è andato storto nella razionalità occi-dentale. Questo è il Platone che viene attaccato e "decostrui-to" da Nietzsche, Heideggeq Derrida, Rorty. Ma c'è l"'altro"Platone...che è il grande difensore del dialogo parlato e scrit-to - che è sempre aperto a nuove svolte e non conosce chiu-sura definitiva22.

Questo secondo Platone, come ben si vede, rappresenta non tantoqualcosa di diverso dalla "metafisica" di Vattimo e dal Platone di Rorty,

2l Rinvio in proposito al mio Scriuere nell'ani.ma. Veritii, dialzttica e persun,sione

in Platone, Firenze 1994, in part. capP. III-V.22 R. Bernstein, The Nan Constellation. The Ethical-Politicttl Horizons of

Moilernity/Post Modnnity, Cambridge (Usa) 1991, tr. it. Milano \994, pp.5G57.

45

Page 23: Trabattoni, Attualità Di Platone

46 ATTUALITA DI PI-AIONE

ma piuttosto qualcosa di diametralmente contrario. Non è un Platoneche permette, magari controvoglia, la domanda ulteriore, i possibilidubbi e alternative; ma un Platone la cui essenza consiste appunto nelconcedere tali possibilità. Questo è il motivo che impedisce di risolveretutta la questione, ove si accettasse che il Platone filosofo dell'evidenzaincontrovertibile non è il vero Platone, con un puro aggiustamento sto-riografico. Non a caso Bemstein ha scritto che il primo Platone vienetalvolta anche chiamato "platonismo". Perché in effetti tale è l'immagi-ne prevalente di ciò che vale nella cultura ordinaria come platonico, eRorty potrebbe perciò continuare a parlare del Principio di Platone piùo meno come si parla del teorema di Thlete, come del termine miglio-re per definire un certo oggetto, senza alcuna pretesa storiografrca. Lasua narrazione potrebbe cominciare, invece che da Platone, daAristotele o addirittura da Cartesio. Ma il fatto è che se è vera la secon-da immagine di Platone, si apre lo spazio per una interessante alterna-tiva, per una narrazione diversa da quella di Rorty, che potrebbe esserecapace di salvaguardare Ia "conversazione" (ciò che soprattutto sta acuore a Rorty) senza necessariamente approdare al pragmatismo e aldecostruzionismo (tra i quali Rorty stabilisce una relazione: Dewey e, siapure in misura minore,James con Heidegger e Derrida). In tal modonon solo non c'è più la necessità di evadere da Platone; può anchediventare suggestiva la possibilità di tornare a confiontarsi con lui.

2. Non si può dire che siano mancati, soprattutto nel corso di que-sto secolo, importanti tentativi di sottolineare I'immagine dialogica diPlatone (il "buon" Platone di Bernstein). Basti pensare agli studi plato-nici di Hans Georg Gadamer?3. Ed è in effetti curioso notare che Rorty,che pure ha assunto Gadamer come una delle sue principali fonti diispirazione (soprattutto quando scriveva La filosofia e lo specchio d.ellaNatura), non abbia per nulla tenuto conto dell'interpretazione diPlatone proposta in più modi e in numerosi scritti dal filosofo tedesco,e si sia acriticamente attenuto all'interpretazione tradizionale nelmondo anglosassone. Ma non è di Gadamer che qui vogliamo parlare;nemmeno posso rendere conto del dibattito accesosi nel secondo dopo-guerra pro e contro un Platone dogmatico o problematico. Prenderòinvece in considerazione, a titolo di esempio significativo, il recentelavoro di uno studioso americano di filosofia antica, il cui scopo è pro-

23 La maggior parte di questi lavori, come è noto, è già da tempo disponibi-le in italiano: Studi Platonici I e II (Casale Monferrato, rispettivamente 1983 e1984). Cfr. anche L'anirna alle soglie del pensiero nelkt filo.sofia grec4 Napoli 1988. V.in proposito R. Bernstein, The New (ktnstclkttion, p. 220: "§6n6 pienamente d'ac-cordo con Gadamer quando rimprovera cortcsemente Heidegger per iI fatto diperpetuare il mito del 'platonism'".

RORTY E I-A VIOLENZA DELLA METAT'ISICìA

prio quello di difendere Platone da interpretazioni come quella accol-ta da Rorty. Mi riferisco al notevole volume di David Roochnik dal tito-lo già di per sé evocativo The Tiagedy of Reasori2+.

Critici come Nietzsche e Heidegger, esordisce Roochnik, hannoaccusato il logos (quel logos che sta alla base della "disumana" tecnicacontemporanea) di essere la radice ultima del progetto cartesiano-Inoltre essi hanno considerato Platone come I'iniziatore di quella infe-lice e ininterrotta tradizione logocentrica che giunge sino a Cartesio.Ma anche ben oltre Nietzsche e Heidegger, prosegue I'A., la medesimaanalisi è stata spesso ripresa in numerosi ambienti della speculazionecontemporanea. Roochnik cita in proposito un volume collettaneo del1987, dal itolo After Philosophg, in cui sono compresi scritti di autoriimportanti e diversi come Rorty, Foucault, Derrida, Habermas,Davidson, Dummett e Putnam, tutti però d'accordo nella loro opposi-zione alla "Platonic Conception of Truth" (questa espressione, maiu-scole comprese, è di Rorty)zr.

E chiaro che per Roochnik Platone non aveva aJfatto quella conce-zione della verità che qui gli viene attribuita. Ma qual è l'immaginealternativa che egli propone? L'obiettivo di Roochnik consiste nelriconciliare Platone, se così si può dire, con la fonte principale di tuttaquesta serie di critiche, cioè Nietzsche. In un libro di qualche anno fache ha suscitato un certo interesse anche presso i filosofi non antichi-sti26, Martha Nussbaum ha sostenuto che Platone può essere conside-rato il filosofb antitragico per eccellenza, dal momento che i dialoghicostituiscono (traduco una sintesi efficace di Roochnik) "Rifiuti iper-razionali della fragilità e del pathos irripetibilmente bello di essere

uomini"27.L'attacco di Roochnik consiste nel negare questa tesi. Egli non

"difende" Platone dimostrando che nei dialoghi è all'opera una razio-nalità diversa (cioè più "morbida") di quella normalmente accreditataalla tradizione Platone-Cartesio-(Kant), ma accettando l'importanzaetico-conoscitiva della dimensione tragica contro ogni razionalismototalizzante, e dimostrando che in Platone esistono dei presupposti"tragici" capaci di mettere in crisi l'efficacia e il potere della razionalitàin generale2S.

2a The Thagedy of Reason- Tbuard a Platonic Conception of Logos, New York andLondon 1991.

2s Irri, pp. X-XI; l'argomento è trattato più a fondo nel corso del libro, peres. pp. 95-96.

26 The fuagility of Goodness. Luch and l)thics in Greeh Tiagedl anrL Philosophl,Cambridge 1986 (tr. it. Bologna 1996).

27 T'he Tragedy of Rea,son, p. Xl.28 lbidem.

Page 24: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTUALITA DI PI-{TONE,

Se dunque Roochnik ritiene che Rorty muova le sue critiche ad unaimmagine sbagliata di Platone, questo non significa che l'immagine"giusta" potrebbe andare d'accordo con I'idea che ha della filosofia ilfrlosofo americano. È noto infatti che Rorty, pur facendo proprio ildecostruzionismo esplicito o implicito nell'opera di Nietzsche,Heidegger e Derrida, tuttavia si distacca da questi aurori proprio perchérifiuta quel pathos e quella tragicità che a tali posizioni sono legate2e. perRorty la filosofia oggettivistica, speculativa, "platonico"- cartesiana devetrasformarsi in gioco e metafora, in poesia e narrazione: non certo intragedia e pathos. Anche la celebre interpretazione derridiana del Fedroplatonic630 sarebbe agli occhi di Rorty, in quest'ottica, qualcosa di trop-po. Per Derrida la filosofia (platonica) si riduce necessariamente a scrit-tura e a metafora perché il linguaggio umano non è capace di evocarel'origine assente. Ma è anche vero che la consapevolezza di questaassenza non può essere espulsa, e perciò il senso del tragico rimane pre-sente in tutta la sua forza3t.

Ma torniamo a Roochnik. Che veste assume, in Platone, la tragediadel logos? Mediante un percorso che passa non solo attraverso platone,ma anche Aristotele, Cartesio, Spinoza, Derrida, Rorty (un percorso chequi non possiamo certo seguire nei dettagli), Roochnik arriva a conclu-dere che la ragione filosofica non è in grado di difendere la propriaverità in modo cristallino, non è in grado di esorcizzare il poeta, il sof,r-sta e il retore. La filosofia affonda le sue radici nel desiderio, cioè neldesiderio di sconfiggere la retorica e la sofistica med.iante il coglimentodella verità. Ma anche la verità, rappresentata in Platone dalle idee, èsolo un prodotto del medesimo desiderio. Da qui nasce la tragedia dellaragione.

Ci si potrebbe chiedere se I'immagine della filosofia di platonesopra delineata sia correrta. Io credo di no. Se la verità è oggetto direminiscenza, significa che deve esistere prima del desiderio, indipen-dente da esso, e non può essere un suo prodotto (cioè non esiste nep-

29 Cfr, in particolare i saggi, compresi in Scriuifilosofici II,in cui Rorty cercadi ricondurre questi autori all'interno della tradizione pragmatista (a titoloindicativo, cfr. pp. 39-163). C'è però almeno un'eccezione.ln Lafilosofia d.opo lafilosofia, p. 53 Rorty ammette che una cultura consapevole della sua finitezza etuttavia priva di pathos è probabilmente impossibile. Ma quesra fugace ammis-srone nmane senza conseguenze apprezzabili.

30J. Derrida, La pharmacie de Ptaton, "Tel Quel" 32-33 (1968), seconda ver-sione in La d,issémination,Paris 7972 (tr. it. Milano 1g89, pp. 101-197)

3l Cfr. ancheJ. Derrida, Violznce et métaphysique. Essai sur la pensée d,EmmanuelLeainas (tr. it. in La scrittura e la diffnenza, Torino 1990, p. 130): "se Ia scrittura èseconda, non c'è nulla tuttavia che venga prima di essa" (dove si confermaappunto che la scrittura è seconda).

RORTY E I-A, \'IOLENZA DELI-A METAFISICA

pure, come motivo tragico, la possibilità che sia solo questo). Né talevisione è compatibile con i principi etico-politici di Platone. Lo stesso

Roochnik deve ammettere che la sua lettura di Platone finisce perinclinare verso lo scetticismo. È v..o che non è lo scetticismo antitra-gico di Pirrone ma uno scetticismo aperto alla domanda3Z. Ma le soledomande non sarebbero mai capaci di sostenere alcun progetto etico-politico (tanto meno un progetto ambizioso come quello platonico):per fare questo ci vogliono le risposte. Platone in realtà non ha alcundubbio sul fatto che queste risposte ci siano, che la verità esista. Il latotragico della filosofia non si trova qui, ma altrove: nella consapevolez-za che non posso promuovere in forma tecnica e controllata il passag-

gio da me a un altro di quella che so essere la verità, e che come taleesiste ed appare solo per me33.

Per denominare l'aporia ora evocata è opportuno, in ogni caso, eli-minare la nozione di tragico. L'opposizione indicata da Roochnik frauna ragione trasparente, esaustiva e violenta, e I'ambigua tragicità diuna ragione che non riesce mai a raggiungere gli oggetti del suo desi-

derio, non tiene conto delle possibilità intermedie. Per Platone l'eser-cizio della ragione non è facile e trasparente come vorrebbe l'immagi-ne tradizionui.,

" ror, è tragico come vorrebbe Roochnik. È "semplice-

mente" difficile. Ed è difficile perché è difficile maturare una persua-sione sufficiente in rapporto a verità e principi che trascendono ladimensione mondana (sono "metafisici"). Io credo che questametafrsi-ca sia la giusta chiave di lettura per capire che cosa si deve metterecome "immagine di Platone" al posto dell'immagine "errata" attivanella mente di Rorty.

3. Di che metafisica si tratta? Se analizziamo un po' più a fondo ilproblema dei rapporti fra frlosofia e metafrsica, possiamo facilmentecogliere la presenza di alcune incertezze e ambiguità, di alcune nonirrilevanti differenze di definizione. Nella sua recente Introduzione allametafisicaEnrico Berti ha affermato che esistono più generi di metafisi-ca, e che il tratto comune a tutte consiste nell'intenzione di svolgere undiscorso intorno alla totalità34. Quest'ultima determinazione sarebbeperciò la sola capace di cogliere il significato di metafisica in manieraessenziale. Tuttavia Berti prosegue poi distinguendo tra le metafisicheimmanentistiche (filosofie che cercano le cause dell'intero dentro I'e-sperienza) e le metafisiche trascendentiste (filosofie che cercano lecause dell'intero fuori dall'esperienza). Né manca di sottolineare che

32 The Tragedy of Rtason, pp.204205.33 Ho esposto questa tesi nel libro già citato Scriaere nell'anima.34 Introduzione alla metafisicq p. 18.

Page 25: Trabattoni, Attualità Di Platone

tIi RoRTY E I-AVIOLENZA DELI-A METAIISICA

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AITUALITADI PI-ATONE

solo a proposito di questo secondo tipo il termine met.afisicaè usato in senso proprio, cioè conservando il significato diulteriorità rispetto alla Iìsica, o al mondo dell'esperienza,espresso nella preposizione metà31'.

Tuttavia

anche per il primo tipo...è ormai consueto parlare di metalrsica, alfine di distinguere questa forma di discorso da quantealtre non hanno alcuna pretesa di caratterizzare la totalità36.

Se volessimo perdere tempo sulle parole, potremmo dire che sareb-be forse più appropriato chiamare la riflessione sull'intero senrplice-mente filosofia (altrimenti come distinguerla dai saperi regionali?), e

usare il termine metafisica solo quando questa riflessione giunge adaJfermare l'esistenza di prirrcipi trascendenti (rispettando così, comenota anche Berti, la signifìcatività del prefisso metà). Sembra particolar-mente inappropriato, segnatamente, parlare di metafisica anche perquei pensatori, come i prirni ionici, per i quali il dualismo tra trascen-dente e immanente non si prospettava nemmeno come possibile (essi

erano ancorati a rnodi di pensiero anteriori a tale distinzione, come I'i-lozoismo: anche in questo caso ha presso alcuni un peso decisivo l'au-torità di Heidegger, che almeno sotto il profilo storiografico nonandrebbe daurero soprawalutata) .

Se però Berti decide di definire il termine rnetafisica più generica-mente come "discorso intorno alla totalità del reale", ciò forse nondipende solo dal fatto che si tratta di un uso ormai consueto. In realtàquest'uso è vigente solo in certi contesti, come dimostra il fatto che lamaggioranza degli studiosi di filosofia antica evita accuratamente didefinire metafisico un Talete o un Anassimandro. Più importante èprobabilmente il fatto che Berti deve scegliere ulla definizione di meta-fisica abbastanza ampia per poter raccogliere tutto ciò che inAristotele, in seguito alle note e controverse vicende editoriali, portaorrnai da secoli questo nome. Se in effetti la parola "metafisica" doves-se essere riservata solo al pensiero che muove verso la realtà trascen-dente, la metafisica di Aristotele potrebbe contenere al massimo la strateologia, cioè quella che i medievali chiamavano metaphysica specialis,mentre ne verrebbe esclusa la metaphysica generalis, cioè Ia scienza del-l'essere in quanto essere.

Come è noto Berti ritiene, diversamente da altri studiosi, che vi siain Aristotele

35 Ivi, p. 19.36 lbidzm.

perfettacoincidenzatralametafisicacomescienzadellatota_iita a"t reale, cioè dell'ente in quanto ente, e la metafisica

come scienza del soprasensibile, èioè del divino3T'

Questa coincidenza, giova aggiungere, non deriva per Berti dal fatto

, hc il,ente in quanto enle coincida con Dio" o viceversa (una erro,ea

irterpretaziorrÉ di Arirrotele, che lo studioso italia,o ha denu.ciato in

,,,,Inà..r*" occasioni), ma dal fatto che la metafisica aristotelica si quali

lica come scienza delle cause e dei principi primi' In questo senso

Il primo, cioè l'ente in quanto.ente, è oggetto della metafisi-

ca'nel senso che è ciò dì cui si cercano i princìpi e le cause

pt'ime (ùIetttplr. I-, 1003 a 3l-32), mentre il secondo' cioè Dio'è ogg"tto dàila metafisica nel senso che è una delle cause

p.iri'à dell'ente in quanto ente (Meto'ptr' A, 983 a 8-9)38'

Ciò non toglie però che in Aristotele Ie cause e i principi primi del-

l'essere si distùguàno in due ben differenti categorie' Da un.lato l'en-

tt: primo . *r-rp.è*o, cioè il motore immobile, di cui si può dire che è

trascendente jtralascio qui le possibili obiezioni), dall'altro le strutture

Iirnzionali clell'essere (materià, forma, ecc'), di cui si deve dire pirrtto-

sto che sono trascendentali e non trascendenti (questi due termini

s«tno usati in un contesto simile dallo stesso Berti, alche se owiamente

non bisogna confondere il trascendentale di Aristotele con quello di

Kant). DI questa diversità deriva una conseguenza assai rilevante: del

rnotore imÀobile, proprio perché trascendente, l'uomo non può mai

acquisire ,na infoimaiior-r. .o^pleta, mentre questo obiettivo è una

meta realisticamente conseguibile dalla scienza dell'essere in quanto

essere39.Proviamo ora a chiederci, in base alle differenziazioni sopra illustra-

te, in quale genere di metafisica si debba inserire la fìlosofia di Platone.

S. p.àaiaÀo in esame I'interpretazione che abbiamo chiamato tradi-

zioàale a cui si richiama Rorty, non può non saltare agli occhi un fatto

curioso. La metafisica di Platone vi appare descritta come quella filoso-

fìa che ha individuato delle strutture soggettive e oggettive capaci di

comprendere in moclo scientifico ed esaustivo la totalità del reale; cioè

.o,,'à .rru metafisica che rientra a pieno titolo nel canone "largo" pro-

posto da Berti, ma in cui è clel tutto assente l'indicazione essenziale con-

i.enuta nella preposizione meta. Nell'irrrmagine di Platone accolta da

37 Ivi. p. 1138 lbid,em.3eCfr.E.Plerti,PrortbdiAristotele,RomalgTg,pp'20G207e218-219'

Page 26: Trabattoni, Attualità Di Platone

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ATTUALITA DI PLATONE

Rorty non v'è alcun accenno alla trascendenza delle idee, ed è solo perquesta mancanza che il platonismo può divenire il prototipo di un sape-re bloccato nella frssità del dogma, violento perché indiscutibile eperentorio. L'abbagliante presenza dell'essere (ancora Heidegger!) dicui parla Vattimo (per la verità senza riferirsi in quel luogo a Platone) ela possibilità evocata da Rorty di "maneggiare idee chiare e distinte",non tengono conto del fatto che l'uomo per Platone non è mai in pre-senza del vero essere, non ha mai la possibilità di vedere le idee in modochiaro e distinto, né tanto meno di i'maneggiarle". È questo un motivosul quale Platone torna con particolare insistenza: si pensi anche solo alFed,one, alla Repubblica (l'allegoria della caverna) e al Fedro.In base a que-sto errore di prospettiva Platone diviene il padre di una "metafisica" chenon è affatto una metafisica, ma piuttosto una epistemologia (come ènoto la dialettica epistemologia-ermeneutica è uno dei Leitmotiaen dellibro più famoso di Rorty), oppure, se vogliamo usare la classificazionedi Berti, una "metafisica dell'immanenza".

Io sono persuaso (ma non sono il primo né il soloa0) che la radice diquesto equivoco derivi da una più o meno consapevole, e comunqLreassai antica, sovrapposizione del modello filosofico di Aristotele a quel-lo di Platone. Non rientra ora nei nostri obiettivi discutere se l:r teolo-gia di Aristotele possa essere veramente chiamata una metafisica dellatrascendenza. Che tale sia però la scienza dell'essere in quanto essere,è certamente improbabile, dal momento che per Aristotele questooggetto del sapere (cioè quello che abbiamo chiamato il trascendenta-le, le strutture concettuali dell'essere) è pienamente disponibile allaconoscenza dell'uomo. In effetti Aristotele ha conservato I'intemporalità dei concetti platonici, ma ne ha eliminato la trascendenza, spostan-done la collocazione dalla metafisica alla gnoseologia. Tàli concetti nonesistono al di là della dimensione sensibile, ma ne costituiscono gli attri-buti: attributi che l'uomo può effettivamente cogliere rnediante I'intel-letto. Così si apre per I'uomo, già nella sua dimensione mondana (chepoi è a mio awiso I'unica in cui Aristotele credeva) la possibilità di attin-gere presto o tardi le strutture intemporali e invarianti della realtà4l.Nasce la filosofia come epistemologia e come scienza rigorosa. Che èpoi la filosofia presa di mira da Rorty, come scienza

40 Osservazioni di tale tenore sono state svolte da Gadamer (cfr. ad es. PlatonsDiakktische Ethik,tr. it. Studi Platonici I, p. 10).

4l Opportunamente Roochnik: "I think the subsersives [sc. Rorqu, Derrida,ecc.; 11. d. r.] are wrong in their understar-rding and evaluation of Platonism. Ingeneral I think they have too thoroughly assimilated Plato to Aristotle. It isindeed true that Plato stands opposed to the subversive's poeticism. But he doesnot do so in the same way as his student. Aristotle is the great theoretician whoarticulates a vision of a world in which natural and stable structure can be ratio-nally discovered" (The Tragedl of Rtason, p.95).

RORTY E LA \IOLENZA DELLA METAFISIC,A

che coniuga il rigore argomentativo, fondato su un ricorso a

criteri pubblicaÀente c-ondivisi, con Ia capacità di pronun-

ciarsi su questioni di suprema rilevanza per--le nostre vite'

L'immagirie tradizionale della filosofia è quella di una disci-

plina ch? (un giorno) produrrà risultati.inconrestabili in rela-

Lior. u questiòni di supremo interesse4z'

È superfluo aggiungere che questo non è Platone' È vero che

Platone riteneva a"r.ré della filosofia pronunciarsi su questioni di

supremo interesse, e che avrebbe anche accolto con entusiasmo la sco-

p.'.,u di un algoritmo in grado di risolvere in modo incontestabile i

nostri problemi filosofici. Platone Pensava anche, per usare ancora una

espressione di RortY, che

selateoriafilosoficaciavesseinsegnatoariconoscerelareal-rà oltre le apparenze saremmo stati in condizione di poter

aiutare megfiò gh altri esseri umani43'

Maquestisonodesideritutt'altrochescandalosi.SenepossonoscandaliLzare solo quanti ritengono che noi uomini dovremmo rifiuta-

re il possesso di una verità incoìtrovertibile anche qualora fosse dispo-

nibilè, e d,ovremmo preferire la nostra contingenza-, la nostra libertà di

sbagliare. chi ragiona in questo modo proietta sulla verità i connotati

neg"ativi del dogÀatismo oppressivo, generato da verità sedicenti asso-

lutÉ *a che taù naturalmente non sono. Il dogmatismo è spaventoso

,àto p.. il motivo che non possediamo alcuna verità incontrovertibile.

Solo chi capisce questo présupposto si colloca nella posizione adatta

per capire la metafisica di Platone. Altrimerrti succede che da un erro-

i. rrurà.ro altri errori. Ci si scandalizzadelfatto che Platone abbia desi-

derato conoscere una verità incontrovertibile, e l'impressione ne8ativa

generatadaquestoscandaloportaerroneamenteacrederechePlatoneàbbia effettivamente costruitò un sapere assoìulo e definitivo. Ma intan-

to si è persa per strada la metalisica, ci si è dimenticati che per Platone

il sapeie assoiuto, per quanto desiderabile, non può essere attinto nella

dimànsione *urràun.. Questa "climenticanza" (intesa letteralmente

come perdita di un ,up.t. già posseduto) appare in qualche.modo

anchenegliscrittidiRorty.PuravendopiùvolteaffermatochePlatoneà it p.og."r-,l,ore degli epistemologi, bersaglio ultimo del pensiero deco-

struttivo, in un suo ,t dio su Derrida Rorty paragona inopinatamente il

filosofo francese a proprio Platone:

42 R. Rorty, Pragmatismo sutzametorLo,in ScrittiJllosoJicil' p' l0l'a3 La filosofla dopo la Jt'losofi,a, p. 144'

Page 27: Trabattoni, Attualità Di Platone

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erruerne DI PI-{T()Nt,

Chiunque si metta a leggere Platone alla ricerca di argomen-ti rigorosi va incontro a una delusione. Credo che accada lostesso con Derridaa4.

Ma se è vero che questo è Platone, perché si tenta di irrigidire il pla-tonismo nelle distinzioni (peraltro poco rigide già in Platone) tracciarr.nella metafora della linea? O ancora. Secondo Rorty

Platone concluse che le condizioni di possibilità del mondomateriale devono essere immaterialia5.

e affermò, con Kant, che il sublime esiste fuori dal tempoa6. Né Rortyosa aggiungere che la conoscenza umana abbia accesso, per Platone, aqueste condizioni immateriali, o che possa evadere fuori dal tempo. Maallora perché ritenere Platone il capofila clel pensiero dogmatico?Perché far risalire a lui la nascita dell'epistemologia? Perché trascuraresistematicamente il riferimento alla trascendenza implicito nella meta-fisica (il prefisso metà)?

Eppure questo è un dato assolutamente indispensabile per valutarela filosofia di Platone, o anche la metafisica in generale, per quello cheessa contiene di più essenziale. Nella situazione paventata da Vattimo dicui abbiamo riferito alf inizio, la metafisica si configura come "presenzaperentoria dell'essere", come qualcosa che "si dà nell'evidenza incon-trovertibile che non lascia più adito a ulteriori domande", come "un'au-torità che tacita e si impone senza "fornire spieuazioni". Anche solo unalettura superficiale di queste frasi fa subito saltare agli occhi che questaimmagine della "metafisica" è l'esatto contrario dell'idea di filosofiaaccolta da Platone, in cui da un lato l'incontro con l'essere perentoria-mente presente è riservato all'anima disincarnataaT (cioè non è appan-naggio dell'uomo in quanto mortale), dall'altro la frlosofia è descrittaproprio come quella disciplina che si apre indefinitamente alla doman-da, e il filosofo come colui che è in grado di fornire spiegazionia8.Proprio perché la verità è altrove, per tale motivo il filosofo non è ingrado né di bloccare la domanda né di imporre il silenzio; né tantomeno ha il diritto di imporsi con la violenza.

44 Derrida è un filosofo trascend.entale?, in Suitti filosofici II, p. 166.4s Wittgenstein, Heidegger e la reificazione del linguaggio, ibid., p. 78.46 La filosofia ttopo la filosofia, p. 129.47 Si veda ad esempio il Fedone (66 a sgg.), dove si dice che la conoscenza del-

l'idea è accessibile solo dopo la morte, o il celebre mito del Fedro,in cui vieneribadito il medesimo concetto.

48 Fedro,275 d sgg.

RORTY E I-A \'IOLENZA DELI-A METAT'ISICA

Possiamo ottenere una controprova di questo fatto attraverso il con-fionto con Aristotele. Il libro I della Metafisica ha uno scopo per così

dire introduttivo in rapporto allo studio dell'essere in quanto essere

(cioè di quella che per comodità possiamo chiamare la metaphysica gene-

ralis). Nel terzo capitolo di questo libro Aristotele afferma che competealla scienza dell'essere in quanto essere studiare anche gli assiomi, e inparticolare quello fra tutti più generale, cioè il principio di non con-traddizione. Non mi dilungherò certamente ora a mostrare comeAristotele procede in questa discussione. Mi interessa invece notare, inaccordo con Roochnik, che difficilmente si può parlare di vero dialogo.Il negatore del principio di non contraddizione può scegliere tra tace-

re o venire confutato non appena proferisca parola: in nessuno dei due

casi c'è spazio per una vera e propria dialetticità persuasiva4e.

L'argomento di Aristotele, insomma, manifesta una verità perentoriacapace di imporre il silenzio e di interrompere il dialogo. Il motivo percui ciò è possibile consiste nel fatto che per Aristotele la verità filosofr-ca è già qui e non altrove. L'assioma può essere stabilito senza residuiperché nessuna sua parte sconfina oltre l'esperienza sensibile. Nellametafisica di Platone le cose stanno molto diversamente. Essa si carat-

terizza non solo come una metafisica della trascendenza, cioè una filo-sofia che fa appello a principi ulteriori rispetto all'esperienza mondana;ma come una frlosofìa in cui la realtà trascendente è proprio il concet-to, cioè Ia verità stessa. Nella filosofia di Platone non si distinguono unametaph.ysica genera.lis da una metaphysica specialis, perché ciò che essa

afferma di trascendente sono proprio quei concetti universali che per-metterebbero, se fossero immanenti, di comprendere la realtà in modoalmeno potenzialmente esaustivo (la metaphysica generalis). Così Ia meta-

fisica di Platone finisce per dire semplicemente che esiste un saPere

assoluto da cui il sapere umano dipende (la sophia), ma che questo

sapere assoluto non è accessibile all'uomo (che deve accontentarsidella philo-sophia)stt . Ed è evidente che la philo-sophia, proprio per la sua

connessione essenziale con la fallibile temporalità dell'essere umano,non può mai figurarsi come violenza o come dogmatismo, ma deve

costantemente rimanere aperta all'indefinita possibilità di domandaree rispondere (il dialogo).

4. Si è così mostrato che il platonismo non ha affatto un rapPortoessenziale con l'epistemologia, o con Ia metafisica intesa come cono-

scenza esaustiva del mondo, ma ha invece un rapporto essenziale con ildialogo. Ma di che dialogo si tratta? Più precisamente. La particolare

4e T'heTraged) ofReason, p. 150.so Ctr. l-edro278 d.

Page 28: Trabattoni, Attualità Di Platone

AITUALITA DI PI-AIONE

natura della metafisica platonica non finisce forse per far scomparire ilsapere, e mettere al suo posto il dialogo inteso come conversazione"democratica", per natura non conclusiva e prowista solo di valore reto-rico o edificante? Il problema è straordinariamente ampio, e anchemolto discurso, . .to, può essere affrontato con ampieiza in questasede. Qui cercherò soltanto di orientare l'analisi verso una risposta, esa-minando due proposte ayaflzate in anni recenti.

In un interessante articolo dal titolo Plato's Metaphilosophy: \\hy PlatoWrote Dialogues5l, Charles Griswold cerca di dimostrare che Platone hascelto di scrivere in forma dialogica perché consapevolmente preoccu-pato delle contraddizioni autoreferenziali cui si va incontro quando sicerca di dimostrare, "metafilosoficamente", la necessità della f,rlosofia.Se in effetti si tenta di fare questo, si sta già facendo filosofia, e si finiscecosì per presuppone precisamente quello che si vorrebbe dimostrare.Agisce qui lo stesso motivo che ha spinto Hegel a dialetizzare la filoso-fia, dal momento che non si può imparare a nuotare prima di entrarein acqua. Il dialogo sarebbe dunque rl mezzo scelto da Platone per faredella metafilosofia in maniera dialettica, invitando il lettore alla rifles-sione non già con inefFrcaci appelli diretti (autoreferenziali), ma con-ducendolo dall'interno (indirettamente) a maturare determinate posi-zioni. È questo il dialogo frlosofico, inteso come ricerca comu.ré delsapere o della verità. E anche vero però che questa strategia è pratica-bile solo con chi accetta di sottomettersi a tale genere di dialogo. Chefare invece con chi lo rifiuta? con chi "professes no care for the Truth"e "no interest in the love of wisdom"?52 Questa domanda ha di mira idecostruzionisti come Derrida e (soprattutto) Rorry che non accettanoI'esistenza di un qualsiasi genere di universale prelinguistico anterior-mente al linguaggio (la scrittura per Derrida, la conversazione perRorty). Contro questi awersari Griswold adotta una strategia modellatasul tipo di quella con cui Aristotele confuta i negatori del principio dinon contraddizione (ancora il libro I della Metafisica) cioè dicendo chepresuppongono precisamente ciò che vogliono negare. SecondoGriswold la stessa attività decostruzionista (ad es. la "conversazione" diRorty) finisce per presuppone comunque "some claim to ,..r,6"13, inmodo tale che la pretesa dei decostruzionisti di eliminare qualunqueriferimento alla verità si rivela del tutto inconsistente (potremmo dire,nei termini di Aristotele, non che essi si contraddicono, ma che nondicono nulla). Questo genere di strategia è stato già più volte adottato

5l In &{.!\/., PlatonicWritings Platonic Rtatlings, NewYork-London 1988, pp.14yt67.

sz Ivi, p. l6b.s3 Self-Knouhdge in Pkrkt'.s I'hacdrus, New Haven-London 1986, p. 237.

RORTY E I-A VIOLENZA DELI-A META.FISICA

dagli awersari dei decostruzionisti, per esempio da Habermas, cheinsieme ad O. Apel ha cercato di dimostrare f ineluttabilità del dialogosotto pena della cosiddetta "contraddizione performativ2"s+ (che poinon è altro, come ha mostrato Berti55, che la riedizione moderna del-I'argomento aristotelico di Metaph. fl.

Ma non è questo il punto che qui ci interessa. Griswold accusa Rorty(a mio awiso giustamente) di separare in maniera troppo netta la frlo-sofia dalla vita prefilosofica, senza vedere quante assunzioni teorichegenerali sono già implicite nel nostro agire quotidiano56. Attraversouna dettagliata analisi del Fed,ro, egli giunge a stabilire che il dialogo pla-tonico è in grado di awiare l'interlocutore verso l'autoconoscenza, e

dunque verso il riconoscimento di ciò che nel nostro modo di conosce-re e di agire è già presente in forma implicita, e che sia pure in modomolto parziale si manifesta anche alla visione non filosofica (si pensialla visione della bellezza descritta nel Fed,ro). 1l dialogo, affermaGriswold. è da sé solo sufficiente a produrre questo sapere, a restituireun contesto che è già presentesT. L'unica condizione che si richiede è

che almeno uno dei due interlocutori (in questo caso olviamenteSocrate) abbia passione per la "self-knowledge"58.

Tutta questa ipotesi sembra però mal conciliarsi con ciò che accadeconcretamente nei dialoghi, in cui il sapere non è mai il prodotto deldialogo stesso, ma emerge come l'esito accuratamente preparato dalpersonaggio che conduce la discussione (in genere Socrate). In altreparole si tratta sempre, per usare una espressione di Th. Szlezdk, di unGesprach unter Ungkichenss. Giswold cerca di aggirare questa obiezionesostenendo che il dialogare raccomandato da Platone non è necessa-riamente quello esemplificato nei suoi dialoghi. In essi manca, in parti-colare, la conversazione tra due maturi filosofi, sul tipo di quelle cheaccadono, se pure non di frequente, anche nel mondo contempora-neo. Un dialogo di questo genere non può concettualmente mancare,conclude Griswold, nel paradigma di un dialogo come quello platoni-co, in cui dialettica e filosofia sono inseparabiliGo. Ecco un classico caso

54 Cfr. ad es. J. Habermas, Mmalbanu§tein und, kommunihatiaes Handeln,Frankfurt a. M. l9B3 (tr. it. dal titolo Etica del discorso, Roma-Bari 19892, pp. 23,36).

ss E. Berti, Aristotel.e nel Noaecento, Roma-Bari 1992, pp. 239-242.s6 Plato's Metaphilosophy, pp. 165-166.s7 Seffinowledge, p.240.58 Ivi, p. 237.59 Th. Szlezàk, Geslnàche unter Llnglzichcn. Ttrs Struhtur und 7)elsetzung dn pla-

tonische Dialoge, "Antike und Abendland" 34 (l9tìtì), pp. 99-1 16.60 Self-knowledge, p. 225.

lrl56

Page 29: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTUALITÀ DI PI-AIoN I.ì I{oRTY E I-A VIOLENZA DELI-A METAFISIC"\

rigrrardo "a fundamental issue", e cercano di risolvere il problema rnr prcstione62.

Tre sono dunque le condizioni che rendono possibile un dialogolikrsofico: 1) che sia un dialogo tra uguali; 2) che siano in gioco dellelrssunzioni fondamentali su cui c'è disaccordo; 3) che si tenti di supe-liÌre questo disaccordo. Ora, se l'interlocutore accetta questa definizio-nt: di dialogo, può essere o non essere d'accordo su determinate "assun-

zi«rni fondamentali". Se è d'accordo, non c'è dialogo; e si è in disaccor-rlo, ugualmente non c'è dialogo: c'è, sostiene Roochnik, o guerra o

silenzio. In effetti per trovare un accordo bisogna presto o tardi trova-lr: un principio sul quale entrambi gli interlocutori convengono. Ma se

v'è disaccordo sulle "assunzioni fondamentali", questo principio non

1luò essere mai trovato. Se viceversa si tenta di contestare la definizione<li dialogo sopra formulata, si cade in un circolo vizioso. Tale è perl{oochnik la situazione che si verrebbe a verificare in un ipotetico dia-klgo con Rorty. Rorty contesta la definizione di dialogo sostenendo che

rrcrn esistono fundamental issues. Ma un sostenitore di quel tipo di dialo-g() non può entrare in conversazione con Rorty su questo problema,perché si tratta appunto di una questione fondamentale del tipo diquelle che Rorty rifiuta. E qui ci fermiamo. In breve e in pratica:Roochnik ritiene che per quanto riguarda le assunzioni fondamentali'sul tipo di quelte che stanno alla base delle nostre generali irnpostazio-ni di comportamento, non è possibile un vero dialogo tra uguali voltoa trovare I'accordo. Ciò è dimostrato a suo parere da quello che accadenella vita reale63; ed è anche confermato da autorevoli dottrine episte-rnologiche come quella di Th. Kuhn (mi riferisco all'incommensurabi-lità dei paradigmioa). L'esempio classico scelto da Roochnik per illu-strare questa situazione Io abbiamo già fatto. Sul principio di non con-traddizione è possibile e anzi necessario addivenire a un accordo, maquesto accade senza che vi sia un vero dialogo.

Le analisi di Roochnik, che certamente possono essere oggetto di cri-tica e di discussione, possono però anche serwire in prima approssima-zione a suscitare dei dubbi riguardo la tesi di Griswold, cioè Ia possibili-rà che il dialogo fra uguali, proprio in quanto dialogo, sia capace di farapparire la verità. Ma, ancora una volta, non è questo che qui ci interes-

sa. Ci interessa invece sapere se abbiamo fatto qualche passo avanti percomprendere la natura del dialogo platonico. Io credo di sì. Potrebbe ineffetti nascere il sospetto che f inanità e I'evanescenza del dialogo frauguali, rimarcata de Roochnik, abbiano un rapporto non casuale con il

62 'fhe Tiaged) of llurm, p. 142.63 lvi, p. l48.6a lvi, P. i'12, rt. lì.

59

di un procedimento inaugurato per primo nientemeno che daAristotele (il quale peraltro era incolpevole, perché la sua intenzio,enon,era certo quella di esporre il pensiero di platone): un interprereattribuisce a Platone anche quello che platone non dice, ritenendolodeducibile a priori da quello che dice, sulra base della propria inrer-pretazione. Nel caso di Griswold il motivo di tale operazione É ben chia-ro' La conversazione liberale tollerante e democràtica di cui Rorty si èfatto paladino, e che per Griswold può sembrare il naturale risultato dellodo.ln cui il dialogo, è praticato ner Fedr&l, si può tranquillamentericonciliare con il dialogo pratonico, a patto chè entramti faccianoalmeno una concessione. Il fautore deila èonversazione deve ammette-re, per non cadere nella contraddizione performativa, che il suo mododi discutere implica qualche minimo preiupposto di carattere universa-le (contro il decostruzionismo radicaie). Il fàutore del dialogo platoni-co deve concedere, per.parte sua, che questo insieme di p"resuppostivengano alla luce proprio e soro con la ìonversazione, chà il dialogopermette di alvicinarsi alla verità pur rimanendo un dialogo fra uguaìi,1"1,?"_" da ogni tipo di dogmatiìmo o anche solo di iniegnamento.Poiché non accetta né che il dialogo sia incapace di awicinarii alla veri-tà (pregiudizio in favore dell'illuminismo), né che ci sia vero dialogo senon tra uguali (pregiudizio in favore della democ razia), Griswold ècostretto a dire che la causa dell'apparire della verità è il dialogo stesso.Ora, che questo sia vero in general,e è discutibile (ma certo nàn ne di_scuteremo 9ui).Quetto che invece è certo è che non è questo il modoin cui Platone intendeva il dialogo. In effetti Griswold è obbligato adammettere che il modo di dialogare descritto nel Fedro rror, .oiirpor-de a ciò che Platone ha realmente fatto in tutti gli altri clialoghi. Ma lacosa di gran lunga più probabile, naturalmente, è che Grisi'old nonabbia interpretato il Fedro nel modo giusto.

Diverso,.lnche se parzialmente condotto mediante strumenti e per_sonaggi simili, è il rnodo scelto da Roochnik per affrontare la questio-ne. Nell'ultimo capitolo del libro che abbiamà sopra citato, Roàchnikesordisce con una definizione di dialogo filosofiio, e poi si sforza didimostrare che tale dialogo è impossibire. È opportunà rilevare, anzi-tutto, che con Ia sua definizione di dialogo Roochnik r,rrole coglierequalcosa di importante e di triviale al teÀpo stesso. Non si tratìa, inaltre parole, di una concezione filosofica éosì altamente specifica darendere tutto sommato poco interessante la discussione in proposito,ma di un dialogo di cui gli uomini hanno un vero interesse à.À.rr..-re la natura e le possibilità. Ro.chnik clefinisce il dialogo filosoficocome una conversazione i. <'tri due persone entrano in clisaccordo

6t tvi, p. 237.

Page 30: Trabattoni, Attualità Di Platone

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ATTUALITADI PLAIONI]

l.rtto r lrr. (pr(.sl() tipo rli tli:rl«rg«r non compare mai in Platone (come lo,itcrso ( lr iswr »l<l i' r'r »slrt.ll«r ad ammettere). Platone non era forzato a con-rlivirk.r r. (r. irr rcirltiì non condivideva) nessuno di quei pregiudizi in favo-rc rk'llir rlt'rrrocrazia ormai saldamente incorporati nella coscienza dellesor it'tiì libcrali. Egli sapeva bene che il dialogo fra uguali non offre di persc rrcssuna garunzia, e nemmeno alcuna favorevole precondizione, al rag-giungimento della verità. Platone vedeva una chiara dimostrazione diquesto fatto in alcuni importanti fenomeni culturali del suo tempo: lo svi-luppo della democrazia assembleare in Atene sullo scorcio del quintosecolo, il gusto fine a se stesso che i suoi concittadini provavano nel con-traddittorio giudiziario e nella diatriba sofistica, e che aveva investitoanche il teatro tragico (emblematico il caso di Euripide). Platone cor-regge questi modi di conversazione, a suo giudizio inconcludenti, con ildialogo fra disuguali, cioè tra qualcuno che sa e qualcuno che non sa.

Questo dialogo, in cui accade un cambiamento di opinione, in cui unodei due interlocutori matura una convinzione che lo porta a consentirecon l'opinione dell'altro (ne abbia o no avuta egli una in precedenza), èdefinito da Roochnik come "didactic persuasion, or simply istrrrction"65;egli esclude invece che si tratti di dialogo filosofico. Ma non è evidente-mente questa l'opinione di Platone.

Ho cercato di dimostrare altrove66 che nel dialogo platonico il sape-re del maestro non può dipendere, come vorrebbero gli studiosi dellascuola di Tubinga, dal possesso di una dottrina ultimativa comunicabilesolo oralmente. Tàle possesso contraddirebbe infatti I'aspetto più carat-teristico della metafisica platonica, cioè l'infinita differenza che esistefra I'immobile intemporalità del vero e la mobile, diveniente condizio-ne dell'uomo. Questa differenza era ben presente alla mente diPlatone. Cosicché, anche se egli giudicava desiderabile per l'uomo ilraggiungimento di una verità intemporale, pensare con Rorty che egliabbia tentato di "sottrarsi alla frnitezza e alla storia" è un giudizio com-pletamente sbagliato, per il fatto che Platone riteneva quesra sottrazio-ne del tutto impossibile (dunque non poteva essere tentata). Di conse-guenza, se pure non v'è luogo in Platone a un dialogo democratico trauguali, ma vi sono sempre maestri e discepoli, il sapere del maestro nonpuò tuttavia consistere nel felice possesso di una verità oggettiva eincontrovertibile. Thle sapere consiste invece nella matura e completapersuasione circa I'esistenza di una verità assoluta, anteriore all'espe-rienza mondana e ad essa sovraordinata. Questo sapere, non la visionedelle idee chiare e distinte, è ciò che fa la differen za tra 7l pragmatista eil platonico. Ma è una differenza non meno determinante.

os lvi, p. ta7.66 Scriuere nell'anirno.

RORTY E I-A VIOLENZA DELI-A METAFISIC,A

Una volta capito che questo è il vero senso del platonismo, è possi-bile tranciare alla radice la rinnovata controversia tra "sofisti" e "plato-nici", ora molto di moda in alcuni settori della cultura filosofica ame-ricanaoT e francese. Il pragmatista (americano) e il decostruzionista(francese) vorrebbero rimandare al mittente platonico l'accusa di rela-tivismo (ai sensi della confutazione di Protagora att,uata nel Teeteto)

dicendo che qualunque asserzione di verità, dunque anche quella delplatonico, è già fin dall'inizio storicamente, culturalmente e linguisti-camente determinata, e che nessuno può disporre di asserzioni asso-

lute, o pretendere di esporre il punto di vista di Dio (l'espressione è diHilary Putnam). Ma il platonico non coltiva affatto questa pretesa.Platone sapeva che la verità è sempre un affare dell'uomo, ed è dun-que sempre storicamente condizionata. Il platonico combatte il sofistanon perché questi si rifiuta di vedere la verità incondizionata, ma per-ché questi si rifiuta di ammettere che l'esistenza di una trama di signi-ficati universali, ancorché inaccessibile nella sua determitatezza allacoscienza finita dell'uomo, è presupposta in qualunque asserzione diverità e in qualunque dialogo in generale. Il platonico non dice disapere che cosa sia la giustizia, né crede di poter raggiungere un gior-no tale sapere, ma dice che un pragmatista o un sofista non possonodiscutere con altri su ciò che è giusto senza negare i presupposti fon-damentali della loro posizione: nell'atto in cui iniziano seriamente unadiscussione di questo genere, cessano di essere pragmatisti o sofisti ediventano platonici.

Il segno della presenza di un sapere anteriore alla conversazione è

offerto, per Platone, dall'inesausta capacità del maestro, modellato pertale aspetto sul Socrate dei dialoghi della maturità (Fedone e Repubhlicasoprattutto), di rispondere ad ogni nuova domanda in maniera soddi-sfacente. Se è vero che Platone sarebbe d'accordo con Vattimo (ci si

perdoni I'ardito accostamento) nel ritenere che la filosofia debba esse-

re aperta ad ogni ulteriore domanda, è anche vero che egli sarebbeassai meno disposto di lui ad accontentarsi delle domande soltanto.Platone va in cerca soprattutto delle risposte. Il dialogo fra ineguali è ilmodo scelto da Platone per articolare una risposta tenendo conto delfatto che la condizione umana non consente accesso a una verità irre-futabile. La verità si manifesta al filosofo come persuasione, e il dialogofra ineguali è il difficile tentativo di trasformare questa verità in ogget-to di insegnamento: tentativo difficile perché la verità non può essere

consegnata come un oggetto. Così il sapere filosofico deve rinunciareal sogno di costituirsi come scienza, e deve accomodarsi a diventare

67 Cfr. la recente raccolta di saggi Rhetoric, Sophistry, Pragmatism, ed by S.

Mailloux, Cambridge 1995.

Page 31: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTUALITA DI PI-{TONE

retorica. Dunque Ia filosofia di platone non ha nulla a che fare con laviolenza metafisica e la tecnica distruttiva che secondo alcuni contrad-distinguono la tradizione culturale dell'occidente: anche per platone ildestino della filosofia si consuma in un dialogo che non permette maila conoscenza, o peggio la visione, di verità extratemporulr. uu questodialogo non è riducibile alla conversazione edificanté di Rorty, perchéè consapevole che c'è-qualcosa di intemporale prima di qualunque con-versazioneos. E un dialogo vincolato necessariaÀente alla toll erinza, dalmomento che il discorso umano non è mai intemporale. Ma è anche undialogo che permette di intravedere la verità anteriore alla conversazio-ne, sia pure nei modi transitori e frammentari in cui essa si riflette nellastoria.

68 che tale sia la vera natura del pensiero pratonico è stato ben compreso,da vincenzo Mtiello, che spesso ricÀiama nei suoi saggi l'insegnu*..rt., a"tmaestro ateniese. Il fil.sofo, per platone, ripiega nel ai"alogo e"nella politicaperché sa di n.n poter dire ra parola che vorrebÈe dire, sa ché l'uno non si puòpredicare perché di css. ,rorr v'è esperienza, né conoscenza, né sensazione nénome. Ma sa lr,<'lrt: ch. da ciò non deriva che l'uno non c'è. Sa che c,è qual-cosa che n., J^rir «'sst'rr: ridotto a relazione ad altro [ho qui parafrasato alcrrneespressioni lrlr<' rla v. vitrello, "De Masstro", in Fitosofia b+,

" r. di G. vattimo,

Roma-Bari I1)1)1-r, pyr. l7-/t2 (in part. pp-.4Gb0)1.

Capitolo IIIPlatone, Rorty e la consolazione della filosofia*

1. Sofi,sti timidi e sofisti sfacciati

1. Rileggendo la tradizione della filosofia occidentale da Platonehno a Russell o giù di Iì, Rorty si propone di dimostrare la nascita e ilconsolidarsi di un paradigma epistemologico non solo infondato, ma

anche inutile e dannoso. Si tratta delf idea secondo la quale vi sarebbe

una essenziale diversità tra soggetto e oggetto, tra io e mondo, tra sche-

ma e contenuto (questi ultimi termini sono di Donald Davidson, unfìlosofo da cui Rorty prende esplicitamente le mosse). Tale diversità è

collegata alla persuasione che soggetto, io e schema abbiano la funzio-ne dirappresentare un oggetto, un mondo, un contenuto, che è altrodall'io in quanto ricopre un ruolo unicamente passivo. Il paradigmao.u .r-rrrr.i^to è espresso da Rorty con l'immagine di occhio della

mente, inteso .o*é tp...hio della natura, ed è ascritto a Platonel.Enormi sono le conseguenze che ne risultano riguardo la nozione cli

verità. A giudizio di Rorty la tradizione filosofica occidentale non si è

mai accontentata di una consapevolezz.a puramente descrittiva, opera-

zionale, del concetto di verità, ma ha sempre cercato di muovere oltre,verso una analisi ulteriore del suo significato' Ne sono nate due oppo-

ste concezioni. La prima, tipica del realismo , arralizza la verità in termi-ni di corrispondenza fra rappresentazione e mondo: più o meno ciò

che gli scolastici, semplifrcando forse al di là del lecito il pensiero diAristòtele, chiamavano adaequatio rei et intellcctus. La seconda, tipica del-

I'idealismo, consiste nell'accordo delle rappresentazioni fra di loro, sia

all'interno di un soggetto che fra un soggetto e un altro. Questa con-

cezione è tipica dell'idealismo appunto nella misura in cui I'idealismo

*Platone,Rortlelaconsolazionertellafilosofia,"ArteEstetica"S(1997),pP 3J-

52. Per gli scritti di Richard Rorty citati in questo studio utilizziamo le sigle

seguenti. FSN = Philosoqw antl the Mirror of Nature, Princeton 1979 (tr. it. Milano19É6); SFI = Objutiiity, Relatiuism and Tiuth. Philosophica,l Papers - Vol 1,

Cambridge 1991 (tr. it., Scrittifilosofiei, Vol. 1, Roma-Bari 1994);SF2 = EssaJs on

Heid,egget arul Othns Philosophical Papers, Vol. 2, Cambtidge 1991 (tr. it. Scrifiirtb-soflci,"Vol.1/, Roma-bari 1993); CIS = Contingenq, Ironl a,nd Solidanry, CambridgetÒAO 1tr. it., Lafilosofi,a dopo lafi.tosofia, Roma-Bari 7989); Asserzione= Le a,ssen-io-

ni sono pretese dlualfulità uniuersalà , in Filosolia '94, a c. di G. Vattimo, Roma Raeri

1995, pp.53-71. Trrtte le citazioni si riferiscono alle traduzioni italiane.I (llrc ralr. irrrrrrirgint' siir scorretta, ho cercato di mostrare in Platone, Rorty e

ht, "t,ùtl,en.zrr." rl.rlltt rtttltrf i.siro, itt .l'r'at.ica Filosofica, l0 (1996), pp. 175-197'

3

Page 32: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTUAIITA DI PI-ATONE

(m:r forse sarebbe meglio parlare di fenomenismo) ritiene che la realtàoggettiva sia sempre determinata in modo essenziale dal soggetto, e cheperciò una verifica sul tipo di quella proposta dai realisti sia del tuttoimpossibile. Il primo difetto, comune ad entrambe le posizioni, è perRorty il mantenimento dell'opposizione soggetto-oggetto, ossia dellamente come specchio della natura (né ha rTlevanza decisiva il fatto chela natura, all'interno della posizione fenomenista, è riflessa in modostmtturalmente insufficiente: la cosa in sé, per quanto inconoscibile, è

pur sempre una cosa distinta dal soggetto che a lei si rivolge). Il duali-smo soggetto-oggetto è a sua volta legato alla persuasione che esista unterzo punto di vista, estraneo sia al soggetto che all'oggetto, da cui giu-dicare luoi la comispondenza fra i due, I'uoi la coerenza delle rappre-sentazioni (è quello che Hilary Putnam ha chiamato il punto di vista diDio). L'inesistenza di questo punto di vista rende non solo inapplicabi-li entrambi i criteri di verità, ma rende del tutto fantasiosa la distinzio-ne fra soggetto e oggetto: lo sguardo che vede la realtà divisa fra io e

mondo, da quale regione proviene?2Se dunque la nozione di verità non è ulteriormente analizzabile

(Rorty sostiene che l'aggettivo "vero" è soltanto uno strumento di enco-mio), risulta evidente che non è più possibile confrontare fra di loro levarie credenze (o visoni del mondo) per stabilire qual è quella vera: ciòimplicherebbe infatti quello sguardo da nessun luogo, quel termine diriferimento fisso estraneo al nostro modo di metterci in rapporto con ilmondo. Molti critici del pensiero di Rorty hanno rimproverato a questaprospettiva di essere relativistica, e di lasciare tutto quel complesso diopzioni teorico-pratiche su cui si fonda la nostra civiltà completamenteindifeso di fronte ad opzioni di genere completamente diverso, e chenoi consideriamo indesiderabili (ad esempio il nazismo). Precisamentequesto è il problema che qui intendiamo discutere, con tutti i risvolti dicarattere etico e politico che gli sono collegati. Nelle osservazioni cheseguono il lettore riscontrerà molte coincidenze (segnaleremo di voltain volta le più importanti) con le critiche mosse recentemente a Rortyda Richard Bernsteins. Ma il discorso che qui intendo fare è indipen-dente nella p;enesi da quello di Bernstein, e i suoi obiettivi (come cer-cherò di mostrare) sono sensibilmente diversi.

Diciarno anzitutto che Rorty, per difendersi dall'accusa di relativi-smo, ha a sua disposizione una via molto comoda. Se consideriamo

2Intendo owiamente alludere al celebre titolo del libro in cui Th. Nagel haesposto il suo moderato ma netto realismo (The uiat from Nouhere, New York1986, tr. it. Uno sguard.o da nessun /zogo, Milano 19tì8).

3 R. Bernstein, The Naa Constellation, Cambridge (USA) 1991, in part. cap.8,9 (tr. it., da cui citiamo, Milano 1994).

RORTYE IA CONSOIAZIONE DELLA FILOSOFIA

come espressione classica del relativismo occidentale la tesi, attribuita

da Platone a Protagora, secondo cui ogni opinione (nei termini di

norty ".r.a.nza") è'vera, allora è chiaro che Rorty non intend€. soste-

nere nulla di simile. Per affermare che ogni opinione sia vera..bisogna

.o.rr...qr. credere in una specie di verità universale in cui si risolvono

,"ii" f.àpi"ioni; e bisognaà"tht credere che la tesi secondo cui ogni

ooinione è vera dowebbe essere vera in senso assoluto' a danno di tutte

É;t"i."t iiu..r. da essa, e dunque-in contraddizione con il suo stes-

,o .àr-rt..r.,to. È chiaro che nessuna di queste due posizioni può essere

.ioiU.ri,u a Rorty, dal momento che tgli 'int'tu

di assumere qualsiasi

p"",t ài vista metafilosifico: non esistà alcun asPetto della verità che

If"tg. ;f". le credenze concrete' II relativismo' più o meno scettico' è

una posizione che può predicare la sua verità soio in modo circolarea,

ma è owio che questo .i*ptoutto non si applica a chi ritiene che non

vi sia alcuna verità generale da predicare'-Birogru però an"che dire, in secondo luogo' che questo tipo di repli

ca è un po' tropPo comoda' Chi accusa Rorty di essere un. relativista

nonluoletantoaccusarlodiassumerequellaparticolareposizionefilo-sofica che è il relativismo, quanto di proporre una filosofia relativa, cioè

ir.upu.. di difendere con'il discorsà quella serie determinata di valori

che noi consideriamo privilegiati5' Noì si accusa Rorty di ritenere' in

ii""^ ai principio, che tutte È culture siano equivalenti (ivi compresa

l".ff" aèt fe.^ Reich), ma di concedere al discorso umano strumenti

iroppo detroli p.. por,..lu,e delle differenze di valore6' Rorty è in effet-

ti dà lontanoial ,r.gu.. queste differenze' Esponente di spicco di un

certo liberalismo ame".icurrà di sinistra erede diJohn Dewey (e dunque

awerso a teorie continentali forti come il marxismo) ' egli crede nella

bontà di un buon nlÌmero di valori, come la libertà' la tolleranza' il

rip.rai" della crudeltà, il rifiuto della violenza' ecc'7' Di conseguenza

4cfr.N'Urbinati,Illiberalismoetnocentricod,iRichartt-Rorfl,"RivistadiFilosofia,,46 (1991), pp' 399-425: pp' 408-409'

s cIs, p. 57; sF l, pp.27t-27r: cfr. F._Restaino, Filosofi.a e post-f,losofia in

Amerira. R)rry. Bnnstei'r.'firr, /nt1rr' Milano 1990' pp 139-140: G' Vattimo' Ollrr

l'interlnetazion, no*u-Éuti i sS+i p'114 s*''.Vattimà r'uole eviare Ia "metafisici-

tà dei relativismo" def,inisca l'intrascendibilità' delle interpretazioni come una

eredità storica, come un destino a cui (heideggerianamente) il nostro passato

e il nostro Presente ci consegnano'6 Oppoitrrr1u*ente I'Urbinalil "Rort/ respinge ta crltrga

{r-1;lativismo; tut-

tavia quando ai." .ftJt' f"giiti-"ig"" àti t'ostÉ principi Inorali dipende dal-

l,individuazione della nostà identità etnica, egli fà un'ésplicita professiorre di

..iuii.t-"", il libera,lisnto etnocentrico d'i Richard Rurty' p' 470'

7 RortI ha sintetizzato il suo "credo politico" in otto punti in 'l'hugs and

Theorists,.lPolitical Theory l5 (1987), pp' 56+580'

Page 33: Trabattoni, Attualità Di Platone

66 MTUALITA DI PI-ATONE

egli non esita a sostenere la superiorità di questi valori sul piano speci-ficamente morale, e a rivendicare il proprio diritto di indignarsi di fron-te a fenomeni come il totalitarismo o il razzismo. E chiaro però che que-sta preferenza e questa indignazione non possono più essere fondate sudeterminati valori generali, la cui verità o è evidente o può essere dimo-strata, per il buon motivo che per Rorty non esiste alcun tipo di concettio di verità generale. Si aprono dunque davanti a Rorty due fondamen-tali possibilità: 1) rinunciare a produrre qualunque tipo di giustifica-zione; 2) trovare delle giustificazioni che prescindano dalla dialetticaparticolare/universale (vero in "questo caso" perché vero "in genera-le"): dialettica che egli ha escluso poiché parte integrante della inutilee dannosa metafisica tradizionale.

Sembra che la posizione di Rorty a tratti inclini verso la prima possi-bilità, ma più spesso verso la secondas. A volte Rorty pare ammettereche il pragmatista possa giustificare i valori in cui crede solo in modocircolare, e tenta di difendersi sostenendo che anche il realista incorrenel medesimo inconvenienteg. Altre volte ancora rivendica con fran-chezza il diritto del pragmatista a non dare nessuna giustificazione filo-sofica, e a interrompere la comunicazione dove non si profila nessunapossibilità di intesa. Prendendo 1o spunto da Dewey e J. Rawls, Rortyscrive ad esempio che

la democrazia liberale può cavarsela senza presupposizionifilosofichelo.

O ancora. I principi dell'illuminismo occidentale in cui noi viviamoe crediamo ci spingono a credere 1) che tutti gli uomini sono uguali e2) che le tesi diverse da questa hanno dal punto di vista generale la stes-sa dignità. Allora che fare? Rorty suggerisce di chiudere la discussionesemplicemente dicendo che

Noi liberali occidentali crediamo ciò e tanto meglio per noil1.

Ma la strategia di gran lunga prevalente è quella contraria, che con-siste nel trovare giustificazioni alternative a quelle proposte dai filosofifautori dell'oggettivitàl2. La prospettiva generale secondo cui vengono

8 Cfr. Bernstein, \'he Nan Constellation, p. 240: Rorty slitta costantemente daun significato forte di giustificaziorre a uno più debole; e mentre rifiuta il primotipo di giustificazioni, fa ampio uso esli stesso delle seconde.

e CIS, p. 4, SF1, pp. 38, 39, 43. Cfr. Bernstein, The Nau Constellation, p. 231.10 SF1, p. z4t.I I sF l, p. 279.r? SFl, p. 44.

RORIYE I-A CONSOIAZIONE DELI-A FII,OSOFIA

allestite queste giustificazioni (che sono naturalmente giustificazronrfilosofiche, anche se non inerenti alla frlosofia oggettivistica) è ancoradi schietta marca protagorea, e consiste in primo luogo nel sostituire al"vero" l"'utile" (questa è la mossa di apertura di qualunque tipo di prag-matismo), e di ritenere, in secondo luogo, che la nozione di utile con-senta quel genere di approfondimenti che non sono leciti con la nozio-ne di vero. I pragmatisti

concepiscono la verità come ciò che ci è utile credere... con-cepiscono lo scarto fra verità e giustificazione... semplice-mente come lo scarto tra ciò che è attualmente utile e quan-to si potrà rivelare utile in futuro13.

In questo senso, precisa ulteriormente Rorty, trovare qualcosa di piùvero di ciò in cui crediamo oggi si riduce a trovare qualcosa che cre-diamo più utile; ed è anche possibile mostrare l'opportunità di modifi-care la nostra credenza mediante un certo genere di ragionamento,poiché, come testualmente egli scrive,

possono fare la loro comparsa nuove prove, nuove ipotesi, otutto un nuovo vocabolariol4.

Insomma. Una volta messo da parte il tentativo di trovare giustifica-zioni di carattere oggettivistico e universale, si apre un ampio terrenoper argomentazioni di ordine più debole, cosicché il rimpianto dellametafisica sarà consentito solo a chi desidera delle fondazioni dogmati-che e sbrigative, mentre tutti gli uomini normalmente ragionevoli nonavranno perso assolutamente nullal5.

Un altro genere di argomentazione usato da Rorff, che potrebbeessere definito kantiano per la sua affinità con lo schematismo del giu-dizio pratico in Kantl6, consiste nel mettere semplicemente a con-fronto gli effetti che deriverebbero da determinate opzioni etiche (se

tutti facessero così, che cosa ne risulterebbe? vivrei di preferenza in unmondo in cui tutti facessero così, o in un mondo in cui tutti si com-portassero diversamente?). Si tratta, sia detto ora per inciso, di quelloche J. Habermas ha chiamato il "principio-ponte che deve rendere

l3 sF1, p. 31.11 lbid. ll riferimento è alle note tesi di Th. Kuhn sulle rivoluzioni scientifi-

che.15 Cfr. SF1, p. 90.16 Kant a dire il vero parla di .tipica" del giudizio pratico, perché lo sche-

ma vero e proprio è possibile solo rncdiante f intuizione.

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ATTUALITA DI PI-AIONE

possibile il consenso"lT (anche in Habermas c'è un riferimento aKant).

2. La posizione di Rorty può essere sinteticamente riassunta in que-sti tre punti: 1): ogni volta che dico "vero", intendo dire "utile a cre-dersi" (per me o per noi); 2) quando dico che una certa credenza è piùutile, posso senza contraddizione accontentarmi di dire che è più utileper me o per noi, senza aggiungere altro; 3) oppure posso tentare dipersuadere un altro o un'altra comunità, con argomenti non oggettivi-stici né metafisici, che la credenza che a me pare utile potrebbe sem-brare utile anche a lui o a loro.

La posizione descritta con 2) è del tutto coerente, come detto, maeticamente difficile da sostenere. Chiameremo questa tesi "opinionedel sofista sfacciato". Sofrsta è anzitutto colui che non crede possibileconfrontare opinioni ed opzioni etico-politiche con il criterio di unaverità generale. Perciò il sofista è pragmatista per vocazione, poiché sedal punto di vista del vero qualunque cosa gli è indifferente, non è certocosì dal punto di vista pratico: il sofista riconosce che c'è differenza fraciò che si desidera e ciò che non si desidera, fra ciò che ci appare utilee ciò che non ci appare tale18. Tuttavia non può costruire una teoriadell'utile in generale, per la buona ragione che ciò che egli ha abolitofin dall'inizio è appunto l'idea che si possa mai dire qualcosa "in gene-rale". Cosicché deve accontentarsi di ammettere che l'unico significatolecito di "utile" è quello di "cosa che a me pare desiderabile". Ed eccoè nato il "sofista sfacciato", simile per il suo estremismo al Callicle delGorgta platonico. Vuole le cose perché le r,rrole e basta. Non ha bisognodi giustificarsi. Nei termini di Rorty:

Noi liberali occidentali crediamo ciò e tanto meglio per noile.

Precisiamo, in primo luogo, che fra I'acceso individualismo diCallicle e questa posizione di Rorty corre almeno una differenza. Rortyritiene, sulla scia di una tradizione ermeneutica che risale in ultima ana-lisi allo sprito oggettivo di Hegel, che la pretesa di parlare di una essen-za umana in generale fuori dalla comunità in cui l'uomo concretamen-te vive sia del tutto illusoria, e che perciò determinati valori siano giu-

17J. Habermas, Moralbauu$tein und hommunihatioe Handcln, Frankfurt a. M.1983 (tr. it. Etica dd discorso, Roma-Bari 1989, da cui citiamo), p. 71.

18 Cfr. ancora Habermas, Etica del discorso, p. 111. Cfr. in proposito anche E.Berti, Aristotele nel Nouecento, Roma-Bari 1992, pp. 239-242.

19 Urbinati ha parlato, a proposito di questa frase, di ocompiacimento nar-cisistico per l'appartenenza alla propria comunità. Ql liberalismo etnocentrico diRichard. Rorty, p. a2\.

RORTY E I-A CONSOI-AZIONE DELLA FILOSOFIA

stificabili non già a priori, con metodo trascendentale, ma come pro-

dotti in qualche modo necessitati dalla tradizione cui apparteniamo.Rorty ha chiamato questa sua tesi "etnocentrismo", o meglio, con unvirtuosismo verbale atto a conservare la fedeltà della sua posizione al

pensiero debole, "anti-antietnocentrismo". Schematizzando molto,qrl.rto verrebbe significare che c'è meno "sfacciataggine" nsl dils «mi

comporto così perché obbedisco a una tradizione in cui sono cresciuto,e all;interno della quale ammetto l'utilità di certi comportamenli», che

nel dire «mi comporto così perché io lo ritengo utile"zo. Ma sarebbe dif-ficile ritenere che su questo divario si giochi una differenza veramenteessenziale. Posto che questi siano i valori in cui io giustamente credocome appartenente a una certa comunità, il problema più grave è ineffetti quello di sapere quale comportamento io e la mia comunità dot>

biamo tenere con un individuo interno alla comunità stessa, o con unacomunità esterna, che non ritiene utile credere alle cose in cui credoio, e che accetta di entrare in un conflitto di interessi con me. Usandole stesse parole di Rorty potremmo infatti correttamente scrivere:

Noi nazisti tedeschi (integralisti islamici, comunisti totalitari,imperialisti americani, ecc.) crediamo ciò e tanto meglio Pernoi.

Perché mai queste comunità non dowebbero avere lo stesso diritto'se la nozione di verità si riduce a quella di "cosa in cui mi è utile cre-

dere"? Che i nazisti credessero utile per loro lo sterminio del popoloebraico è un dato storico fuori discussione. Ebbene, qualora i nazistidecidessero di entrare in conflitto con noi per far trionfare in manierapiù ampia possibile i "valori in cui ritengono utile credere", noi potrem-mo ...care di difendere i valori in cui "noi riteniamo utile credere" solo

con la forza.Tali sono le conseguenze cui un sofista sfacciato non puòassolutamente sottrarsi.

Ma Rorty non è un sofista sfacciato (come Callicle e Trasimaco). E

un "sohsta timido" come Protagora. Protagora, pur alfermando che inlinea di principio tutte le tesi sono equivalenti, sosteneva per meri moti-vi di utilità che la democrazia e I'ordinata vita civile sono superiori allatirannia e all'anarchia. Allo stesso modo Rorty ritiene che la sua prefe-renza per i valori propugnati dalle democrazie liberali non sia del tuttoarbitraria, perché esistono molti modi per affermare che sono miglioridi altri, per persuadere chi non vi crede della bontà di ciò in cui cre-

diamo noi.

20 Per una critica più ampia e puntuale dell"'etnocentrismo" di Rorty, conuna acuta semplificazione dei possibili risvolti pratici, v. Urbinati, Il liberalismo

etnocentrico di Richard. Rorty (in part. pp. 416 sgg.).

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i7t/t, ATTUALITA DI PI-{IONE

Ma il problema è quello di stabilire se si possa seguire una prospet-tiva di questo tipo senza cadere in contraddizione. Tentare di dimostra-re, in un modo qualsiasi, che un modo di vita è migliore di un altro,significa già ritenere che esiste una distinzione fra ciò che in generale èmigliore e peggiore, anche se non abbiamo a disposizione nessun con-cetto visibile di bene e di male. Per abbattere la metafisica (o meglio,tutto ciò che Rorty sommariamente indica con questo nome), cosìcome per difendere il praematismo, non è sufficiente dire che non esi-stono strutture universali conoscibili (o comunque concretamente rag-giungibili); occorre anche mostrare che l'esperienza umana puòsoprawivere senza alcun riferimento, nemmeno regolativo, all'univer-sale. In realtà se manca un riferimento all'universale non solo non è piùpossibile la dimostrazione, ma non sono possibili neppure la persuasio-ne e la conversazione. Ci rimane come unica opzione quella del sofistasfacciato, intollerante nei confronti di chiunque, perché guidato solodalla volontà di soddisfare i suoi desideri.

3. Possiamo verificare questa circostanza mediante gli stessi scritti diRorty. Quando egli scrive, in uno dei brani sopra citati, che è possibilemigliorare una determinata credenza mediante nuove prove e nuoveipotesi, ci si potrebbe chiedere che cosa è mai una prova o una ipotesise non un ragionamento che prende le mosse da un contesto poten-zialmente universale. Se tra ciò che mi torna utile credere v'è anche labontà del furto, quale prova potrei trovare per migliorare questa cre-denza se non un percorso che va dal particolare all'universale (perquanto debole e limitato), che va dalla mia credenza (o del mio grup-po etnico) a una credenza più generale, condivisa almeno da un altro oda un altro gruppo, per cui si afferma che il furto è per lo più (o inmolti casi) un male? Esiste forse un altro modo per trovare delle prove?

In altro brano già citato Rorty scarta esplicitamente la nozione di"prove" (evidentemente troppo forte, troppo metafisica)21, ma gli esem-pi che allega non riescono tuttavia a modificare la sostanza del discor-so. Tolta la nozione di prova, sostiene Rorry ci rimangono molti altrimodi per dibattere il problema delle nostre credenze. Per esempio, sipotrà parlare del problema del male. Ma come si fa a parlare del ciò cheè male se non partendo dalla persuasione secondo cui esistono un beneun male in generale (anche se, owiamente, nessuno ne ha una perce-zione chiara, cioè nessuno vede con gli occhi della mente quelle entitàmetafrsiche che sono il bene e il nralc) ? Si potrà parlare, continua Rorty,dell'effetto istupidente prodotto «lallir cultura religiosa sulla vita intel-

2I cfr. anche CIS p. 57, dovc Rorly utili.zza il termine "arsomento" ma subi-to dopo ne riconosce l'improprictr'r.

RORTY E LA CONSOI-AZIONE DELI-A FILOSOFIA

lettuale. Ma come si fa parlare di questo effetto, ancora, se non parten-do dalla persuasione che esista qualcosa che è "stupido" in generale?Come si fa a parlare dei pericoli della teocrazia, se non partendo dallapersuasione (anch'essa tipicamente platonica) che esiste qualcosa di"pericoloso" in generale?

Un discorso analogo si legge anche in Contingence, Irony o,nd

Sotidarity. Una volta scartata, con Davidson e Heidegger (sic), l'alter-nativa "razionale-irrazionale", esistono pur sempre molti modi perrisolvere l'apparente situazione di stallo tra l'illuminista che chiededelle ragioni, e il liberale ironico, che pur non volendo darne, non perquesto rinuncia a parlare. Tali modi, precisa Rorty, sono «tanti qrrantisono gli argomenti di conversazione"zz. Ma un breve elenco delle figu-re messe in sioco questa volta dà il medesimo, scoraggiante risultato diprima. Contrapporre diversi paradigmi di umanità (il poeta, il prete,ecc.), e domandarsi se la rinuncia a ogni pretesa "validità assoluta»può essere utile per diminuire la crudeltà e l'ingiustizia, si può fare sol-

tanto se esiste un terreno comune alf interno del quale i paradigmipossano venire confrontati, e solo se la crudeltà e l'ingiustizia sonoconcetti universali anteriori alle differenze di vocabolario23. Se rinun-ciamo all'ideale della validità assoluta, non facciamo in tempo a chie-derci se la crudeltà possa essere diminuita, perché non arriviamo nem-meno a stabilire che la crudeltà sia qualcosa per noi: non possiamoaflèrmare, insomma che esista un significato di crudeltà valido inter-soggettivamente24.

Per chiarire come il suo lavoro filosofico possa essere critico e pro-positivo ad un tempo (si parla di "progresso intellettuals"), in altri con-testi Rorty lo defrnisce come una attività di ridescrizione e di ritessitura.Il pragmatista (o it liberale ironico) risponderà alle critiche provando a

22 cIS, pp. 65-66.23 Come ha notato Ch. Taylor, "l'idea di inventare ex noao una distinzione

qualitativa non ha alcun senso. L'individuo, infatti, può adottaresoltanto distin-zloni che abbiano senso per lui all'interno del propri<-r orientamento di base"(Sources oJ' the Se$ Cambridge MA, 1989; citiamo dalla traduzione italiana, Ieradici dell'io, Milano 1993: p. 47). Non si può decidere di cambiare ciò che havalore per noi semplicemente decidendo di adottare un nuovo vocabolario. Cfr.

anche pp. 57, 61.2a Cfr. Urbinati, Il libnalismo etnocentrico di Richard Rorty, pp. 417-419' Se per

capire che cosa significa "cmdeltà" e che ciascuno deve impegnarsi per impe-diila è suffrciente indicare comc minimo comun denominatore umano l'essere

"suscettibili all'umiliazions", la condizione cosi indicata non è affatto tantodebole e innocua quanto vorrebbe Rorty: ". . .la definizione di persona - di sog-

getto morale - come "qualcosa che non può essere umiliato" non riproponenuovamente una ProsPettiva llìclast.()rica?" (p. 419).

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f,IaIATTUAIITA DI PI-ATONF,

mettere in cattiva luce il vocabolario in cui sono formulatequelle critiche, e così ... cambiare discorso invece che ...lasciare all'obiettore la scelta delle armi e del terreno rispon-dendo frontalmente alle sue critichez5.

Oppure tenterà "un'autodescrizione miglioro,26 (corsivo mio). Maancora. Per quanto Rorty si sforzi di eliminare qualunque parametroprelinguistico, la sua scelta in favore del discorso (o del vocabolario) locostringe a supporre un criterio, per quanto vago, che dal linguaggio siaindipendente. Se il discorso che lrrol fare Rorty consiste nel mettere in«cattiva luce" determinati vocabolari, nel tentare una descrizione

"migliore", ciò non può essere realizzato se non presupponendo alme-no la possibilità di un accordo intersoggettivo, posto su un piano ante-riore a quello dei linguaggi e dei vocabolàri, in cui venga stabilito ciòche in generale emana una buona luce e ciò che ne emana una cattiva,ciò che è peggiore e ciò che è migliore2T. Un esempio particolarmentepiccante di questa contraddizione lo troviamo in Asserzione. A p. 64Rorty sostiene, contro Wellmer, che il significato di un argomento risie-de solo nella sua capacità di convincere certe persone e non altre, e chenon sia di nessuna utilità chiamarlo un buon argomento. Che è quantodire che non vi sono argomenti buoni o cattivi, ma solo argomenti utili

25 CIS, p. 57.26 cIS, p. 67.27 Cfr. Bernstein, The Natt Constellation, pp. 235,236,241. llna obiezione

dello stesso tenore può essere rivolta a Gianni Vattimo, che ritiene possibileaprire per l'ermeneutica uno spazio argomentativo, fondato sulla "capacità didar luogo a un quadro coerente e condivisibile,' (Oltre l'intnpretazionl, p. 16).Posto che il vitalismo estetistico di Rorty o di Derrida è anch'esso una posizionein certo qual modo metafisica, che cosa rimane all'ermeneuta che non vogliatradire la propria origine (per cui, con Nietzsche, «tutto è interpretazione")? Sela "coerenza del quadro" facesse appello a un tipo generale di coerenza, la con-traddizione sarebbe inevitabile. Perciò Vattimo scarta questa possibilità, e sce-glie di appoggiare I'argomentazione a uno «storicismo non determinista". Malo storicismo, determinista o no, è pur sempre una metafisica della storia. Lacontraddizione performativa in cui si impigliano praticamente tutti gli erme-neuti contemporanei in realtà è sempre la stessa. Nel tentativo di evitare unacerta metafisica e gli "orrori" ad essa collegati, scelgono di credere che il pen-siero e il linguaggio non abbiano origine. Ma poi si accorgono che questo sem-plicemente non è vero, e si muovono freneticamente per trovare un'origine daqualche altra parte (purché non sia metafisica): la poesia in Heidegger, il vitali-smo pulsionale (con chiari riferimenti a Freud) in Rorty, la storia in Vattimo.Ma questa pretesa di dire l'origine è la peggior metafisica, tipologicamente nondiversa da quella che vorrebbero evitare. Il loro problema è che non si incon-trano mai con la buona metafisica, cioè la metafisica secondo cui l'origine esiste, ma non può essere detta.

RORTY E LA CONSOI-{ZIONE DELI-A FILOSOFIA

a certi scopi e argomenti utili ad altri scopi. Ma a p. 69 dello stesso sag-gio si legge che Dewey considerava la tensione tra fatticità e validità unaseparazione operata «senza alcuna buona (pratica) ragione».L'awertenza che si tratta di una ragione "pratica" non riesce a nascon-dere il fatto che anche il pragmatista ha bisogno di "buone ragioni".

Lo stesso tipo di rilievi si può applicare ugualmente bene, in terzoluogo, a quello che abbiamo chiamato I'argomento kantiano. Rortyritiene che un buon criterio di scelta fra le credenze consista nel rico-noscere che "nessuno tra coloro che abbiano sperimentato entrambe lesocietà preferirebbe il secondo tipo"28 (cioè la società totalitaria). Ora,o questo metodo si riduce a un rapporto diforza, per cui, in base all'ar-gomento che Socrate ayarrza contro Protagora fiel Tbeteto, tutto quantosi può dire sulla validità di una credenza si riassume nel contare ilnumero di coloro che la sostengono2e, oppure alla preponderanzanumerica è possibile aggiungere anche qualche conforto tratto dal di-scorso. Nel primo caso riappare (minaccia costante che ritorna in con-tinuazione, mai completamente esorcizzata, nelle analisi di Rorty) il«sofista sfacciato", ed afortimi la potenziale equivalenza di qualunquecredenza o visione societaria. Nel secondo caso, volendo attribuire aldiscorso un essenziale ruolo di rinforzo, che cosa potremmo dire a dife-sa della società liberale se non che, in generalz, una vita vissuta all'inse-gna della tolleranza è in generale migliore di una vita oppressa dal tota-litarismo e dallo stato di polizia? Che è poi quello che Rorty stesso ècostretto a fare, ogni volta che tenta di mettere in buona luce il model-lo politico e sociale da lui preferito. Come ha acutamente osseryatoBernstein, mentre ufficialmente Rorty denigra l'indagine relativa agliuniversali (parificandola acriticamente alla metafisica essenzialista)

il szo vocabolario dipende da ogni genere di asserzioni uni-versali opinabili, per esempio: noi tutti abbiamo la capacità diautocreazione, noi tutti dowemmo cercare di evitare la cru-deltà e di umiliare gli altri, noi tutti dowemmo impegnarci arrtforzare le istituzioni liberali e fare crescere la solidarietàumana3o.

Né si tratta di un problema puramente accademico, confinabile inuna serie di casi limite privi di risvolti pratici. Esiste un mucchio digente convinta che la società dominata dal ricco esteta, dal manager odal terapeuta non sia per nulla più desiderabile della società dominata

28 SFl, pp. 38-39.2e Tbeteto, l7o-771.30 The NaL., Constellation, p.241.

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74 ATTUALITA DI PI-ATONE

dal guerriero o dal prete3l. Che comportamento terremo nei confrontidi queste persone? Potremo tentare la via della persuasione o dovremoobbligatoriamente ricorrere alla forza? Non ha forse ragione Lyotard,quando contesta a Rorty che l'incommensurabilità dei discorsi finisceper togliere spazio alla tolleranza?

4. Il motivo per cui Rorty non accetta mai fino in fondo Ia posizionedel "sofista sfacciato" dipende dal fatto che egli coltiva una ben precisaserie di preferenze in rapporto a ciò che è "migliore". Da una parte que-ste preferenze sembrano muovere, in modo del tutto plausibile, versouna società in cui vi sia un minimo di violenza e un massimo di tolle-rar.za. D'altra parte però il significato di questa tolleranza non rimaneancorato nei limiti di una garanzia puramente negativa, ma si convertenella raccomandazione positiva in favore di una cultura in cui si creino

"prodotti sempre più diversi e variopinti"32. Gianni Vattimo ha parlatoa questo proposito di

esaltazione vitalistica della creatività, la sola che possa spiega-re perché è importante che "la conversazione continui"33.

Opportunamente Aldo Gargani ha notato che tale «presupposto vitali-stico»

per una volta è un rif'erimento a qualcosa che è vero in sé, chenon è...Ia semplice scelta di un vocabolario, ma che piuttostocostituisce la base tacita e implicita per accettarlo34.

Che questa base debba rimanere in Rorty "tacita e implicita" è deltutto ou/io, perché altrimenti vi sarebbe una troppo evidente contrad-dizione performativa. Ma il problema più grave di tutto questo discorsonon è probabilmente quello della sua fragilità argomentativa. Il proble-ma vero è che muovendo da da queste basi Rorty si priva della possibi-lità di escludere esiti chiaramente indesiderati. Quando leggiamo in unsuo scritto che

il progresso poetico, artistico, filosofico, scientifico o politico

31 SF2, p.212.32 CIS, p. 69.33 Oltre l'inte.rpretazione, p. 47. Cfr. anche Bernstein, The Nart Constellation, pp.

202 e 217. Sulla risposta tli Rorty t()rneremo più avanti.34 La c.onurrsaziorut fiktsofiltt lru metafora e argomentazione, Introduzione a SFII,

p. XIX.

RORTYE I-A CONSOI-AZIONE DEI-I-A FILOSOFIA

ha luogo quando un'ossessione privata coincide accidental-mente con un'esigenza pubblica35.

o che la speranza che merita di essere realizzata consiste nel far sì che

le possibilità di soddisfare le proprie fantasie personali diven-tino uguali per tutti36.

come possiamo ignorare il pericolo che qui si nasconde? Il nazismo nonfu per caso proprio .un'ossessione privata" che trovò condizioni acci-

dentali per diventare pubblica?37 I maniaci sessuali non sono forse indi-vidui che hanno delle fantasie personali a cui la morale o Ia società nonconcedono un diritto di soddisfazione pari ad altri progetti e fantasie?

Non dowemmo allora chiamare la liberazione di queste ossessioni e

fantasie, in mancanza di criteri più generali, come dei veri e propri pro-gressi? E opportuno notare, ancora una volta, che non si tratta di unaquestione meramente teorica o peggio linguistica. Come ha ben vistoRernstein

È una ben magra consolazione sentirsi dire che non c'è alcu-na connessione "necessaria" fra narcisismo privato e cinismopubblico, quando costantemente siamo testimoni di questaacontingente" congiunzione di atteggiamenti3s.

In realtà Rorty sembra sottovalutare completamente questo argo-mento, e accontentarsi del procedimento inverso. In concreto: Rorty è

pago quando riesce a dimostrare che possiamo e vogliamo essere demo-cratici, liberali3e e solidaristici

anche senza avere una risposta interessante da dare a Socratequando ci chiede perché desideriamo farlo...40

Ma il problema vero non è certo quello di giustificare teoricamenteIa bontà di chi è già buono; bensì quello di convincere a diventarebuono chi non lo è. Se la prospettiva teorica formulata da Rorty è com-patibile con qualunque genere di politica, ciò significa che è compati-

35 cIS, p. 49.36 cIS, p. 68.37 Cfr., in proposito, la valutazione che Rorf ha proposto dell'opera di

Freud. V. in particolare CIS , pp. 50-51; SF2, pp. 193-220.38 The Natt Constellation, p.257.3e cIS, p. 58.40 SF2, p. 268; cfr. anche, p. 180.

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ATTUALITADI PI-ATONE RORTYE I-A CONSOI-AZIONE DELLAFILOSOFIA76

bile anche con il nazismo, lo stalinismo e I'integralismo islamico. Ora,possiamo noi realmente tranquillizzarci dicendo semplicemente: perfortuna che noi, nonostante le nostre idee filosofiche siano compatibilicon qualunque posizione, non siamo nazisti ma liberali?

5. In realtà non è vero che questa società possa esistere anchepriva-ta di un quadro di riferimento filosofico mediamente uniforme. E veroinvece che questo quadro di riferimento non possiede I'aulico aspettodi una filosofia accademica, o di un paradigma epistemologico. In real-tà Rorty ha completamente sottovalutato il fatto che tra le spiegazionifilosofiche tradizionali (quelle che si possono far partire, grosso modo,dal concettualismo platonico) e le spiegazioni di cui ci serviamo ognigiorno nella vita pratica non v'è alcuna soluzione di continuità.Spezzando questa continuità, Rorty può consolarsi dicendo che il pro-blema dell'universale è solo un problema dei filosofi, e che può esseretranquillamente espulso senza che nulla della nostra vita normale vengacompromesso. Ma quando l'analisi entra nel particolare, appare chia-ramente vero il contrario. Le società liberali stanno in piedi mediante ilcomune senso "filosofico" delle persone che in esse abitano, le qualihanno una certa idea della giustizia e del bene in generaleat. Il princi-pio secondo cui deve esistere in generale una "giustizia" non è solo ilfrutto del millenario abbaglio dei filosofi platonizzanti, protesi a cerca-re una misura assoluta, a vedere con I'occhio della mente un immuta-bile oggetto, e poi subito pronti a strutturare, in base a questa visione,una prassi normativa illiberale e violenta. Il platonismo vero prende lemosse dalla domanda che Socrate rivolge Glaucone: "Credi tu che lagiustizia sia qualche cosa o nulla del tutto?"42, e rappresenta nella suaessenza la saldatura perfetta fra le domande della vita quotidiana e ledomande della filosofia43. L'esistenza di una giustizia è un grave pro-blema di vita quotidiana nella misura in cui ciascun uomo (o ciascungruppo), volendo vivere non all'insegna della violenza usata dal sofistasfacciato, ma all'insegna del discorso e della comunicazione, si sente

4l L'idea di Rorty secondo cui .un sacco di gente non ha mai al,uto molto ache fare con la filosofra» vale solo se si identifica la filosofia con .ciò che dico-no i professori di filosofia nelle loro lezioni", o "ciò che scrivono i filosofi neiloro libri". Ma per confutare questa tesi è sufficiente citare il noto argomentodel Protrettico aristotelico: anche per decidere di non fare filosofia, bisopJna farefilosofia.

42 La domanda socratica può essere elusa (cfr. SFz, p. 268) solo se ci si attie-ne al suo significato generalizzante, costruttivo, e non si riflette sulla sua natu-ra essenzialmente regressiva, sul suo richiamarsi a ciò che gli uomini effettiva-mente pensano e fanno.

a3 Questa insidenza della morale nci girrrlizi quotidiani è stata ben vistaanche da Habermas, Etica del discorso, p1t. |i,22-24.

spinto a giustificare i motivi delle sue scelte, a indicare in base a qualiprincipi potenzialmente universali (cioè che egli ritiene estensibilianche ad altri) distingue ciò che è bene da ciò che è male, ed even-tualmente a persuadere altri uomini ed altri gruppi.

Lo stesso dicasi della facile e seducente retorica con cui Rorty con-trappone alle costruzioni teoriche della metafisica, del marxismo, dellateoria critica, dell'heideggerismo (la filosofia prodotta dai "preti asce-

fi6i"), gli obiettivi minimi di eliminare la crudeltàaa, di alleggerire ildolore e di aumentare il piacere: e più in generale una società dove

ognuno è libero di fare quello che nrole a patto di non reca-re danno agli altri con le sue azioniaS.

Questi obiettivi minimi, che "tutti possono vedere,46, sfuggirebberosolo ai f,rlosofi sprezzantemente concentrati nei loro altezze universali.

Quello che Rorty non vede, o fa fìnta di non vedere, è che gli obiettiviminimi sopra enunciati si basano su una serie incredibile di presuppo-sti filosofici, che non sono resi meno filosofici dal fatto (ammesso cheveramente così sia) che tutti li vedonoaT: bisogna ritenere, in unadimensione intersoggettiva e dunque potenzialmente universale, che ilpiacere e il dolore siano qualcosa in generale, che sia qualcosa in gene-rale la crudeltàa8, qualcosa in generale provocare un danno, ecc.

44 Alla creazione di un ideale politico in cui non esistano "obiettivi socialipiù importanti di quello di impedire la crudeltà" Rorty allude in modo quasiossessivo in CIS (v. ad es; p.82, da cui è tolta questa citazione, e P. 4).

45 sFz, p.104.46 sF2, p.101.47 L'esistenza di un "lato relativamente semplice della morale" (SF2, p. 29a)

non signi{ica che questo ramo sia staccato dall'albero della filosofia. Rortyintende evidentemente la filosofia come qualcosa che non esiste se non nellaforma di una disciplina complicata ed astrusa, e priva di contatti con la vita con-creta.

a8 Sulle enormi implicazioni contenuto nell'invito di Rorty a rifiutare la cru-deltà cfr. Bernstein, The Nau Constellation, pp. 247-248: "Non ci n-role moltaimmaginazione per ridescrivere molte questioni politiche (forse quasi tutte) inuna socieLà liberale come conflitti sulla crudeltà" (p.247), cioè sul significatogenerale del termine. E' interessante notare che Rorty, rispondendo alle criti-che di Bernstein, si è limitato ad affermare che la sua utopia di una società nonfilosofica, fondata sulla tolleranza e sulla pluralità dei vocabolari, non escludeaffatto la necessità di agire "here and now» per promuovere la solidarietà o percombattere l'imperialismo (Thugs and Theorists, p.572). Ma in questo modo,una volta di più, la critica è aggirata e non affrontata. Quello che imPorta saPe-re è perché mai dovrebbe promlr()vcre la solidarietà o combattere l'imperiali-smo chi ritiene equivalenti tutti i vocabolari, ed auspica una loro indiscr:irnina-ta diffusione.

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ATTUAIITA DI PI,ATONF,

Questa non è una scoperta dei filosofi ma il sapere elementare dellagente (quel sapere che posizioni come quella di Rorry e gli annessi qua-dri sociali di riferimento, vorrebbero con allegra incoscienza far scom-parire), ed ha strettissime relazioni con la vita quotidiana. Lo si puòverificare constatando la natura squisitamente filosofica che assumonocerti fatti desunti dalla cronaca. Stabilire che è sempre auspicabile unaumento del piacere, non mi aiuta a stabilire quale atteggiamento tene-re nei confronti delle droghe. Esse sono indubbiamente delle fonti dipiacere, ma senza una valutazione teorica su che cosa sia il piacere ingenerale, e in quali casi sia lecito (di ciò si occupava la filosofia moraledi Platone e Aristotele), potremmo correre il rischio di trovarci prestoo tardi a vivere in una società molto distante dalle nostre aspettative diliberali occidentali.

6. Dunque è vcro che esiste un complesso di obiettivi minimi chetutti vedono. Ma questo appunto significa che v'è tra gli uomini ilcemento di una comunità prelinguistica. Il che non indica la fine dellafilosofia e I'inizio della letteratura, ma l'inizio della filosofia, come dia-logo volto a chiarifrcare le premesse universali che stanno alla base dellanostra possibilità di parlarci e di intenderci. Questa base comune, pre-linguistica, è l'unica condizione che permette la persuasione. Una voltaposta I'incommensurabilità dei vocabolari è probabilmente ancora pos-sibile, nella felice contingenza che i partecipanti al dialogo siano tolle-ranti come noi, awiare una conversazione "edificante", giocare giochilinguistici interessanti. Ma si tratterà di un dialogo puramente estetico,falsato della sua essenza dal fatto che non vi sono in questo gioco rego-le comuni, che i partecipanti alla conversazione hanno sempre la possi-bilità di non prendere sul serio quello che dicono, di rifugiarsi, di fron-te alla differenza, nell'incommensurabilità del vocabolario4e. È .o*-prensibile diffidare di un gioco a regole talmente forti da imporre allafine della partita, giocata in un tempo determinato, la sconfitta di qual-cuno e la vittoria di qualcun altro. Tale è il gioco violento della metafi-sica tradizionale. Ma non è il gioco della dialettica platonica. Questadialettica impone che il gioco abbia un significato anche se in un tempofinito non è possibile trovare né vinti né vincitori, anche se non esisto-no vinti e vincitori in maniera de-finitiva. Il gioco linguistico di cui parlaRorty è invece un gioco senza significato. Qualunque partecipante puògiocare stando seduto su un angolo della sedia, può alzarsi dal tavoloquando r'uole, può dichiarare che I'uole smettere di giocare o ancheche non accetta più quelle regole che fino al quel momento, per puroamore della conversazione, ha fatto mostra di voler riconoscere. Lafra.

49 Cfr. Bernstein, The Natt Constellation, p. 216.

RORTY E I-A CONSOI-AZIONE DELI-A FILOSOFIA

gilità e la debolezza di questi presupposti rende del tutto velleitarie leaffermazioni sulla persuasione. Se la persuasione è condizionata dal-I'accoglimento del gioco e delle sue regole, il suo raggiungimento è

non meno compromesso dalla possibilità di uscire dal gioco quando si

vuole che dal rifiuto iniziale di partecipare. Tàle è il modo della con-versazione rortiana, dialogo frivolo di persone che non hanno nessunpresupposto prelinguistico comune, e che perciò non si mettono vera-mente in gioco, per cui la persuasione diviene fatto esteriore, e finisceper risolversi nella tolleranza (quando c'è). Rorty infatti rivendica ildiritto di interrompere il dialogo quando i tentativi di trovare un terre-no comune sono falliti (ciò potrebbe succedere ad esempio conNietzsche e Loyola50). Ma riconoscere che esistono casi di questo gene-re equivale a togliere al dialogo qualunque significato.

La posizione di Rorqz è sbagliata poi anche per un altro motivo,meno etico e più sostanziale. Se chi partecipa al dialogo pretende persé la facoltà interromperlo quando crede, allora vuol dire che il dialo-go non è mai incominciato. Viceversa, se il dialogo è incominciato, que-sto significa che nella sua essenza non può mai essere interrotto. Omeglio: non esistono segnali, all'interno di un dialogo vero (che nonsia la frivola conversazione rortiana), capaci di indicare un momento incui il dialogo deve essere interrotto perché le possibilità di persuasionesono venute meno. Nessuno può dire come quando e perché ciò acca-da. Posso certo scegliere di non dialogare più, se lo credo; ma questarimane una mia scelta. L'atto di dichiarare che il dialogo è divenutoimpossibile o è il segnale della malafede di chi fin dall'inizio non hapartecipato al dialogo con serietà (e che dunque mostra il suo volto di"sofista sfacciato"), o è una pura e semplice asserzione metafisica.

Quello che Rorty non riesce a capire è che l'esistenza di un universaleprelinguistico (certo nella forma del materiale grezzo, e non in quelladelle idee chiare e distinte) non è l'ostacolo che sclerotizza la conver-sazione, ma il combustibile stesso di cui il dialogo si nutre, senza ilquale non sarebbe possibile né vero dialogo né persuasione, ma soltan-to una sterile conversazione.

7. Trovo assai pertinente una critica che a Rorty è stata rivolta a que-sto proposito da H. Putnam. Putnam si è chiesto se il dialogo di quiparla Rorty ha o non ha un termine ideale, per cui si possa dire che

c'è una vera concezione della razionalità, una moralità idea-le, anche se noi non abbiamo che le nostre concezioni diesse. . .

50 L'accostamento, per la verità piuttosto singolare, è dello stesso Ror§u: SFl,p. 250.

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Page 40: Trabattoni, Attualità Di Platone

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ATTUALITADI PLATONE

La risposta di Putnam è affermativa:

Il fatto stesso che parliamo delle nostre differenti concezionicome differenti concezioni della razionalità postula unGrmzbegriff, un concetto limite di verità ideale.

Qui Putnam ha colto in modo adeguato, anche se non era certo que-sta la sua intenzione, l'essenza della filosofia di Platone, la quale nonconsiste nel descrivere razionalmente quegli oggetti metafisici che sonole idee, ma nel mostrare appunto che l'esistenza di termini di riferi-mento comuni è condizione del nostro dialogare, anche se Ia storicità elimitatezza della condizione umana non saranno mai in grado di trova-re per quei termini formulazioni complete e definitive. Rorty dichiararipetutamente di ritenere inutile questa concezione, ma in realtà egli larifiuta perché la ritiene pericolosa. Rorty è convinto che un riferimen-to ai Grenzbegrilfe come quello di Putnam, o asserzioni come quelle diNagel riguardo l'universalità del discorso filosofico, e la sua ambizioneadlutilizzare fonti preverbali o preculturalist, si convertano automatica-mente nella presunzione che

prima o poi, verremo in contatto con la matrice vera, natura-le e astorica di ogni linguaggio e di ogni conoscenza possibi-1i52.

Ma non v'è nulla che giustifichi questa deduzione. Parlare di con-cetto - limite signiftca proprio escludere l'eventualità che Rorty paventa.Ancora più chiaro è Nagel laddove scrive che la verità non eterna e non-locale, cui mira la filosofia, è proprio ciò che sappiamo di non poterottenere53.

Allo stesso modo la tesi rortiana secondo cui

la nozione di "validità universale" e quella di «cs11i5r.r6.r-za a ùraa realtà indipendente" sono solidali5a.

Asserzione che egli crede di vedere verificata in Habermas55, è deltutto priva di fondamento. Diciamo che essa corrisponde a ciò che aRorty piacerebbe che fosse. A Rorty piacerebbe che la demolizione

51 SFI2, p. 29. Il richiamo a Nagel si riferisce ad The Viao from Nouhere, tr. it.p. 14.

52 SF2, p. 33.53 LIno sguard,o d,anessun tuogo,p. 12 (citato anche da Rorty, ed è singolare,

proprio in SF2, p.29).54 Assazione, p. 59.55 lbid., p. bB.

RORTYE I-4, CONSOI-AZIONE DELI.{ FILOSOFIA

della verità come corrispondenza trascinasse con sé anche I'elimina-zione dell'universale. Questo sarebbe vero solo se il significato dell'u-niversale fosse quello ristretto accolto da Rorty. Né si tratta di unarestrizione innocente. Rorty si comporta come certi illuministi o posi-tivisti che per diffondere l'ateismo si sforzavano anzitutto con ognimezzo di abbruttire le religioni. E magari non si accorgevano che neiloro stessi discorsi era ancora implicito un fondamento teologico.L'antipragmatista non dice, scioccamente, c}i,e può difendere vittorio-samente qualunque asserzione contro chiunque si faccia avanti; madice proprio che tenterà di difenderla contro chiunque si faccia avan-ti56. L'errore di Rorty consiste nel ritenere che la nozione di veritàuniversale sia implicita solo nella prima di queste tesi, mentre in real-tà essa è implicita anche nella seconda. Là dove due persone dialoga-no, conversano comprendendo quello che dicono, in quel luogo l'u-niversale è già presente.

E chiaro dunque che questi modi di universalismo moderato nonpossono per principio (cioè per la particolare maniera in cui vieneposto l'universale metastorico e metalinguistico) evocare il fantasma diuna metafìsica normativa5T. Assai più gravi sono i pericoli che si corro-no se si rinuncia a qualunque forma di universalizzazione. Pensandoche la postulazione del Grenzbegriffabbia in qualche modo lo scopo digiustificare teleologicamente la storia, Rorty straglia completamente ladirezione. La nostra azione non è quella di porre un Grenzbegriffperchélo troviamo utile ma quella di riconoscere che tale concetto è implicitoin certi nostri atti, che non potrebbero esistere altrimenti. Quello cheRorty chiama "l'impegno platonico alla possibilità di un accordo uni-versale>>58 non è la cambiale firmata in bianco di un filosofo un po'ingenuo, speranzoso in un utopistico awenire ideale in cui tutti gliuomini andranno d'accordo, ma la condizione stessa del dialogo. Anzi,è a condizione stessa della parola. Di consegrteoza, all'obiezione diRorty a Putnam secondo cui non è facile

capire che rilevanza abbia distinguere tra l'affermazione "vi èsolo il dialogo" e l'affermzzione "esiste anche ciò verso cui ildialogo converge"S9

si può replicare dicendo che se .c'è solo il dialogo" non c'è dialogoaffatto, perché mancano le condizioni che rendono il dialogo possibile.

56 Assenione, p. 60.57 p61 l'«6ssessione" antimetafisica e più in generale antifilosofica di Rorty

si veda Bernstein, The Nan Constcllation, pp. 20G220, passim.58 SF1, p.252.ro sFl, p. 37.

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83atrtrer-nÀ Dr pLAroNE

Questo principio potrebbe essere affermato nei termini di Habermas,secondo cui il dialogo e I'interpretazione presuppongono la f,rducia, daparte dei partecipanti, in certi comuni criteri di razionalità60. Ma nellaproposta di Habermas non c'è nulla che assomigli al concetto limite dicui parla Putnam, e anzi non vi sono concetti affatto, ma solo il puro e\ruoto momento formale (talché non senza ragione la teoria dell'agirecomunicativo appare ad alcuni critici priva di contenuto). Preferiscoperciò usare i termini di Putnam, che in fondo sono poi quelli diPlatone: noi non potremmo nemmeno incominciare un discorso intor-rro alla raziorraìitiì, se la razionalità non fosse almeno un concetto limite.

Questo discorso, al contrario di quanto Rorty r,,uole far credere, ha unaimportanza pratica decisiva. La convinzione che i Grenzbegriffe sianoimpliciti nel dialogo, rende l'accordo fra i partecipant.i in linea di prin-cipio sempre possibile, e non autorizzamai ad interrompere la conver-sazione come fa norrnalmente il sofista sfacciato, e il pragmatista quan-do è mcsso alle strette.

Poiché Rors non crede all'esistenza di questa struttura, nella suaprospettiva al liberalismo occidentale non resta che proporre la con-versazione, sperando che i nostri interlocutori si divertano così come cidivertiamo noi, e che nessuno arrivi mai a credere utile di interrompe-re questa conversazione o di esercitare qualche forma di violenza neinostri confronti.

2. E solo questione d,i prefaenza?

1. Abbiamo già accennato, nelle pagine precedenti, ai motivi chespingono il pragmatista ad assumere Lrna posizione epistemologica-mente così debole (o "vaga", secondo l'espressione dello stesso Rorty).Questi motivi consistono in senerale nella persuasione che la metafisi-ca tradizionale, f'ondata sui concetti universali e sulla rigida separazionedi soggetto e oggetto, possa produrre un indesiderabile "dogmatismomorale"61, cioè il punto di vista opposto a quello encorniato dalle socie-tà liberali. La critica a questa metafisica diviene così la critica di urra filo-sofia come disciplina

che coniuga il rigore argomental.ivo, fondato su un ricorso acriteri pubblicamente condivisi, con la capacità di pronun-ciarsi su questioni di suprema ilevanza per le nostre vite.L'immagine tradizionale della fìlosofia è quella di una disci

6{t !-fi1n del. discorso, p. 36.61 sFl, p. 77.

RORTY E L{ CONSOLAZIONE DELIA FILOSOFIA

plina che (un giorno) produrrà 1t"l-1t1"t"t"ntestabili in rela-

zione a questioni di supremo interesse"-'

Per sconfiggere questa immagine' e soprattutto per evitare i suoi

,,.g;iui risvoliipoliri.i, '-'o'-' è urilà nessuna onzione intermedia' nessun

indcbolimenro parziale della rrozione di ver'irà, ma solo la "r'aghezza"

estrema propugnata dal pragmatismo:

Cosa comporterebbe essere meno vaghi e Pt"li":l1l'^?Secondo me significherebbe divenire Jnello soctevolr' tolle-

ranti, di larghe r"aii" L ft[ibilisti di quanto non siamo ora63'

L'esito di questa "vaghezza",come abbiamo cercato di dimostrare' è

una conversazione ,.,7u àiur"go, in cui nessuno è più autorizzaio ad

esercitare la critica ,o.tutitt' òo"'e ht icasticamente osservato Nadia

U;i;;, P;r Rorty r'.*it" À"ao possibile per difendere l'umanità dal

;.u[; ;t ha ucciso Socrare è rinunciare à Socrateoa. Poiché la filoso-

fiaèpericolosa,enoiliberaliironicisiamocontrariallaviolenza'invi-tiamocaldamentetuttiarinunciareallafilosofia.Tuttaviapotfe[lmob., .fti.a.rci: qual è la filosofia a cui Rorty allude? ?1 d"Yt ha tratto

l'immagine della filosofia da lui descritta nei primo d-.ei braniche abbia-

-" .i*?"1 A me sembra indubbiamcnte vero che la filosofia ha sempre

;;;** di «pronunciarsi su questioni di notevole.rl'":?"'" ltt.lt^1"t"'vigs, (vorrei dire che qt"'tt è quasi una tautologia) ' Ma non mi sembra

fàì ,,ì.n,. vero che .ift"3 in generale a.lla [ilosofia come a ttna scien-

za fondata ,, .,,, ,r.aoào rigorolo, né tantomeno che la si ritenga capa-

..iip."a"rre un giorno àisultati incontestabili"' Mi pare invece che

ta più diffusa rappresentazione della filosofia' se consideriamo solo chi

la guarda .on U.,.uoit"'u, 'iu quella di una disciplina che produce

punti di lT sta sul mondo, tutti vaiiamente argomentabili e falsificabili'

*:r--ir,ri prowisti di qualche cosa di i,teressanre da dire sulla nostra

vita. Il metodo .igoroJo e la definitività dei risultati sono normalmente

attribuitiallascienza,nonallaflrlosofia.Perciòsihaspessol'impressio-ne che Rorty combatta contro un nemico che non c'è (o non c'è pitì)'

U. lr..,i s'ecoli la .otti""'u euroPea ha perso la suafclucia in una

."già". filosofica rrormativa? Quando mai argomenti filosohcamente

cogenti hanno veramente a\'-ud il potere di determinare la vita degli

uomini? L'esigenza ;;;;;;';a gran voce da alcuni anni' condivisa sia da

Àt.rron amerifani che contineitali' secondo cui la ltlosofia deve essere

(;2 SFI . p. lol.r;l 51'1, p. li7.t;4 ll lilnxtlr:tttrt t'lttrxt ttltttrt tlt liithrtnl /Ìorl1' 1r' '121-r'

Page 42: Trabattoni, Attualità Di Platone

MTUALITADI PI-AIONE

debole, il più debole possibile65, suona come un grido d'allarme grot-tesco, per il buon motivo che la filosofia, anche quando si pretendeva«forte» dal punto vista teoretico, non è mai stata forte dal punto di vistapratico: non ha mai ar,rrto a disposizione un braccio secolare, non hamai istruito processi inquisitorioo.

Questo dovrebbe essere tanto più evidente nel nostro tempo, in cuiesistono filosofie non disposte a negare ogni razionalità eccedente il lin-guaggio e le pratiche individuali e sociali, e tuttavia ben lontane dallametafisica. Si pensie ad esempio ad Habermas, con cui Rorty ha awiatoda tempo un serrato dibattito. Habermas ritiene che alle spalle dellaconversazione o discorso vi siano necessariamente dei presuppostiimpliciti, "che attestano la presenza di un'istanzadirazionalità comunea tutti i parlanti in genere"67. Questa razionalità implicita è documen-tata dalla «prassi comunicativa euotidiana" che .rende possibile un'in-tesa orientata verso pretese di validità". L'intesa fra gli uomini si realiz-za infati in base a ragioni contestabili ma argomentate, che .ci costrin-gono a prendere posizione con un sì o con un no». Perciò, contraria-mente a quanto pensa Rorty, v'è un effettivo interesse filosofico a

"vedere nelle nostre pratiche sociali di giustificazione qualcosa di piùche queste sole pratichs" (la frase è di Rorty)08. Questo riferimento aciò che sta prima delle pratiche linguistiche o sociali è implicito, sem-pre a parere di Habermas, nell'ermeneutica stessa. I partecipanti a quel-le che Habermas chiama «azioni comunicative ... accettano per princi-pio il medesimo status di coloro le cui espressioni essi vogliono com-prendere"6o. Il che significa che la parrecipazione al dialogo presuppo-ne un luogo comune grazie al quale l'accordo diviene per principiopossibile (per Habermas un specie di sapere non proposizionale).

65 SF2, p. 11 e n. 6.66 Cfr. R. Nozick, PhilosophicalExplanations, Cambridge (Mass.), 1981 (tr. it.,

Milano 1987, p. 18): "Ma anche se la filosofia viene applicata come attività coer-citiva, la pena che i filosofi possono infliggere, in fin dei conti, è abbastanza leg-gera". In fondo Rorty queste cose le sa molto bene. In effetti coesistono in lui,sia pure diversamente distribuite nella sua evoluzione speculativa, due posizio-ni difficilmente compatibili. Da un lato c'è una accesa polemica contro ,rncerto modo di fare filosofia, che in generate ha dominato la tradizione occi-dentale, interamente riconducibile a una certa forma di metafisica (si vedasoprattutto Lafilosofla e lo specchio fulla natura). D'altro lato c'è Ia constatazioneche iI mondo non è stato mai prodotto né trasformato dai filosofi, e che perciòIa "metafisica» non deve essere presa troppo sul serio, e deve essere più "rniri-mizzaa,, che "superata» o «smascherata" Cfr. ad es. SFZ, p.234.

67 Così sintetizza il pensiero di Habermas E. Agazzi, in Habermas, Etica deldiscorso, p. XXIII.

68 Cfi. Habermas, Etica del discorso, p.23.6o Ivi., p. 31.

RORTYE I-A CONSOI-AZIONE DELI-A FILOSOFIA

La natura di questa implicazione è stata illustrata da Habermas, sullascia delle ricerche svolte da K. O. Apel, attraverso il concetto della con-traddizione performativa. Brevemente: chi partecipa al dialogo, accetta

implicitamente dei presupposti non proposizionali che gli impedisconodi sostenere senza contraddizione I'autarchia del linguaggio. A menoche le pretese di validità non siano delle pure pretese di potere, che

contraddire abbia solamente il senso di "voler essere diverso"?O, il dia-logante deve assumersi l'onere dell'argomentazione. Altrimenti è comese il dialogo non vi fosse affatto. Chi poi si rifiuta esplicitamente di par-tecipare al dialogo riesce a schivare la contraddizione logica, ma non lacontraddizione, se così si può dire, esistenziale (o pragmatica).Habermas ha utilizzato, per chiarire questo punto, la terminologiahegeliana. Chi si rifiuta di partecipare al dialogo

può negare la moralità, ma non I'eticità dei rapporti vitali,entro i quali per così dire ha la sua fissa dimora. Altrimentidowebbe cercare rifugio nel suicidio o in una grave malattiamentaleTl.

La differenza tra Rorty e Habermas è dunque chiara. Mentre inRorty chi entra in dialogo lo fa o per il suo buon cuore, o perché la sua

coscienza etnocentrica lo spinge in questa direzione , o perché si diver-te nella conversazione (senza che per questo la libertà e la tolleranzaappaiano troppo debolmente difese), per Habermas gli uomini sono

convocati nel dialogo praticamente per forza (tale convocazione è

implicita nel loro esistere), e ugualmente per forza devono partecipar-vi mediante argomentazioni razionali (essendo l'argomentazione razio-nale implicita nel dialogo stesso). Questo residuo di scientismo esponeHabermas, a parere di Rorty, alle obiezioni dei suoi critici francesi, e

trattiene la sua posizione sul terreno della metafìsica. Tali critici fran-cesi, d'altra parte, sono intellettualmente troppo schizzinosi per opera-re delle scelte teoriche e politiche sul tipo di quelle che Rorty apptezzain Habermas. L'ideale a cui Rorty aspira, in conclusione, è quello di unintellettuale decostruzionista e radicalmente antifondazionalista comeDerrida o Foucault (contro Habermas), in cui però tali direttive nonsiano occasione di disimpegno, di rinuncia all'affermazione e alla dife-sa di alcuni valori di fondo della civiltà occidentale (con Habermas).

Il caso di Habermas ha un valore emblematico. Le critiche avarazate

da Rorty nei suoi confronti dimostrano che il suo obiettivo non è tanto

70 Cfr. Habermas, Der philosophische Diskurs d,er Moderne. Zwiilf Vorlesungen,

Frankfurt a. M. 1985 (tr. it. Il discorso filosofico della modemitit, da cui citiamo,Roma-Bari 1987) pp. 727-128.

71 Habermas, Etiea del tliscorso, p. I I l.

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ATTUALITA DI PI-ATONI,

quello di eliminare la metafisica, ma quello di negare ogni sapere prc-linguistico o prepragmatico (dunque ogni criterio per valutare prarich(.e linguaggi), e di mostrare che un sapere di questo genere è già di persé metafrsica, qualunque cosa ne dicano i suoi promotoriT2. Il fatto èche se c'è qualcosa prima dell'azione e della comunicazione, per Rortyquesto qualcosa è sempre in predicato di essere identificato con Dio,con l'assoluto, con la trascendenza, con il Concetto. In effetti, come haacutamente osseryato Derrida a proposito di Lévinas,

è solo in Dio che Ia parola, come presenza, come origine eorizzonte della scrittura, si adempie senza scadimentiT3.

Perciò, a parere di Rorty, solo un pragmatismo assolutamente radi-cale può difendere I'uomo dalla violenza metafisica implicita in qua-lunque tentativo, anche minimo, di fondazione: cederc qualcosa, signi-fica già cedere tutto. Ma è una posizione accettabile? Solo a patto diammettere una grave contraddizione performativa. Se Ia debolezzadella metafrsica tradizionale consiste nella sua pretesa di imporsi connecessità, uguale "metaJisica" debolezza è anche in coloro che reputa-no la metafisica necessariamente impossibileT+.

Questa contraddizione non è evidentemente per Rorty di nessun dis-turbo. Come ha acutamente scritto Aldo Gargani:

72 V. in proposito FSN, pp. 292-294; in CIS, p. 102, Habermas viene defini-to "metafisico" poiché ritiene che «per salvag'uardare Ie libertà politiche libe-rali ci deve essere consenso su ciò che è da considerarsi universalmenteumano». Cfr. anche p.224: il consenso fra gli uomini non ha (paceHabermas)un londamento aslorico.

73J. Derrida, L'écriture et la diffhence, Paris 1967 (tr. italiana, da cui citiamo,Torino 1971), p. 130.

74 Non sembra un caso che, a parere di Vattimo, anche Rorty non sia immu-ne dalle ricadute metafisiche che egli rimprovera a Nietzsche: "se infatti è pos-sibile - contro le intenzioni esplicite degli autori - considerare il sistemà diHegel e le filosofie di Nietzsche e di Heidegger come pure ridescrizioni lette-rarie, rispetto alle quali non ci si pone nemmeno un problema di validirà, talepossibilità è aperta solo da una implicita metzrfisica dell'eterno ritorno dell'u-guale o comunque da un pensiero che, sulla base di uno svelamento della verastruttura delle cose, smentisca la possibilità stessa di un discorso filosofico chenon sia semplice ridescrizione letteraria...Rorty può ridurre Ia filosofia a ungenere letterario e a ridescrizione solo perché presuppone (a mio parere anco-ra metafisicamente) che il mondo altro non sla che gioco di interpretazioni" (1/paradigma e l'arcano, in Filosofia'93, a cura di G. Vattimo e M. Ferraris, Roma-Bari 1994, pp.247-2a\. Così il gioco degli anti-metafisici det nostro secolo, ag<>nisticamente impegnati ad "assicurarsi la posizione di primo antiplatonico rade-cakde\la storia" (come ironizza lo stesso Rortyin sF2, p. 12g), assume conno-

RORTYE I-A CONSOI-AZIONE DELI-A FILOSOFIA

Alla fine si capisce che è il fronte anti-metafisico, che i candi-dati prescelti hanno condiviso, a costituire la linea discrimi-nantè lungo la quale Rorty assesta le sue analisi storico-criti-che75.

Ma, come nota sempre Gargani, dal momento che ogni vocabolario

può indifferentementtarricchire la cultura, è questa una discriminan-te del tutto ingiustificata.

2. Aile spalle del discorso di Rorty agisce perciò soltanto una prefe-

renza, comè credo egli stesso ammetterebbe senza scandalo, nei con-

fronti di una certa immagine dell'uomo: liberale in politica, antimeta-

fisico ed antifondazionista in filosofia. Quali sono i motivi di questa pre-

ferenza? Lasciamo da parte le tradizionali ragioni della modernità, che

Rorty ha in comune con tanta altra parte del pensiero novecentesco. La

metafisica è per Rorty una forma di consolazione pagata al trop-po caro

pfezzo di asservire qualcosa che si suppone essere una "mente" a qual-

cosa che si supponè essere un insieme oggettivo di valori (eventual-

mente sintetiziibili in Dio). Che la riduzione di tutto ciò che è metafi-

sica a questo schema sia un errore, si può constatare dal fatto che le

domanàe meta{isiche esistono e vengono poste anche nella filosofia a

buon mercato e nella conversazione quotidiana, che nulla sanno del-

I'occhio della mente e del punto di vista di Dio. Né si tratta di un erro-

re innocente. È anzi un errore funzionale all'esigenza di presentare

anche la sua filosofra come consolatoria, anzi come I'unica possibile

consolazioneTo. Rorty non tollera ciò che Nietzsche (e soprattutto il suo

Zarathustra) avevano ben capito, cioè che il crollo della metafrsica

come scienza e come risposta ci lascia il difhcile dono dell'ambiguità e

dell'inquietudine; non \"uole accettare che rimanga una differenza fra

essere èd .nt. anche se l'essere non è Dio, che la scrittura continui a

rimanere seconda anche se non c'è nulla che viene prima di lei77. Ecco

perché Rorty, sia pure a prescindere da contesti specificamente metafi-

sici, scarta anche-la mera possibilità che l'agire comunicativo non sia

l,intero: perché partendo da questa possibilità la hlosofia non può piùessere fonte di cònsolazione. Se la metafisica è la consolazione del pen-

siero puerile, il pragmatismo di Rorty costituisce un caso del medesimo

tati francamente grotteschi. Questa rincorsa fallimentare (almeno stando all'e-

pigono immediatàmente succèssivo) verso un pensiero semPre più debole non

àiiro.t u ftrrse che v'è nel concetto di metafisica una provocazione ineludibile?75 sF2, x\III-xIx.7o sF1, p. 41.77;. Derrida, L'écriture et kr, dif fit'rru:e, p. 130.

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ATTUAIITA DI PI-ATONE

fenomeno, sia pure di segno opposto. Essa costituisce l'ennesimo ten-tativo di eliminare le domande esistenziali, e l'inquietudine che esseproducono, semplicemente dicendo che non v'è nulla che possa esserené una domanda né una risposta di questo genere: tolto il contestooggettivistico-eidetico della metafisica tradizionale, dovrebbero auto-maticamente sparire anche le domande. E invece queste domande,come sa bene chiunque si limiti anche solo pragmaticamente ad analiz-zare "ciò che gli uomini fanno", non sembrano destinate a sparire: tantoil senso comune quanto le coscienze colte continuano, tutti i giorni, adinterrogarsi sul significato della morte, e sulla poca corrispondenza fraciò che ciascuno ritiene eticamente desiderabile e ciò che effettiva-mente accade78. E si può iporjzzare che nessun cambiamento di voca-bolario, almeno se non vogliamo ritenere auspicabile l'assunzione delvocabolario di un alienato, privo della coscienza vigile che caratterizzagli uomini in condizioni normali, (la pianta di Aristotele, il folle diHabermas) potrebbe dissolvere questo genere di problemi. In quel par-ticolare tipo di consolazione che è il pragmatismo di Rorty i problemipiù importanti dell'esister,za e della filosofia vengono ridotti alla pacifi-ca e liberale ritessitura di atteggiamenti che corrispondono ai nuovi sti-moli. Così la vita dell'uomo può finalmente assomigliare ad un amenoe rasserenante d,éjeuner sur l'herbe, dove ciascuno, con amichevole spiritodi tolleranza, partecipa creativamente alla conversazione inventand.osempre nuovi e fantastici giochi linguisticiTo. Il fatto che ciascun gioca-tore, a turni inesorabili, sia costretto a smettere di giocare, non deve tur-bare né interrompere il gioco, e soprattutto non deve costituire motivosufficiente per far sorgere nei giocatori rimasti il sospetto che vi siano almondo delle attività più serie del gioco stesso. E chiaro che il tipo diconsolazione proposto da Rorty è una consolazione d.ebole, più o menocome era debole la consolazione proposta da Epicuro contro quellaproposta da Platone. Ma ciò non toglie che di consolazione si tratti. Ladebolezza della consolazione è utile a conferire a questo genere di ipo-tesi un aspetto rispettabile e sobrio, praticamente quasi-scientifico, sulgenere di chi raccomanda le proprie idee perché "non racconta favole",e non immagina fantasiosi paradisi o universi come quelli proposti dai"consolatori forti" (metafisici, preti e profeti millenaristi di vario gene-re). Ciò non toglie, ancora, che la consolazione neopragmatista sia sem-pre e ancora né più né meno che la materializzazione del desiderio: ildesiderio che I'angoscia di esistere possa dissolversi, sia pure nel modomeno pretenzioso e più moderato possibile. Ma questo è appunto ciòche l'uomo moderno non può avere.

78 Cfr. Nagel, IJno sguardo da nessun luogo, pp. lZ-14.7e Cfr. Bernstein, The Neu Constell.ation, pp.202,217,2gg.

RORTY E I-4. CONSOI-AZIONE DEI,I-A FILOSOFIA

3. Né si può dire che questa impossibilità sia sfuggita allo sguardoindubbiamente acuto dello stesso Rorty. Si veda ad esempio là dove egliscrive che una cultura in cui "la poesia avesse pubblicamente ed esplicitamente trionfato sulla filosofia,, .che avesse accettato come defrni-zione della verità il riconoscimento della contingenza, e non dellanecessità», e dove ..lafrnitezza non awebbe pathos", è probabilmenteuna cultura impossibile" ("quel pathos è ineliminabile»)ao. Il motivo diquesta impossibilità consiste nel fatto che

qualunque tentativo di ridescrivere il mondo e il passato, qua-lunque tentativo di creare se stessi imponendo le propriemetafore, non può che essere marginale e parassitario8l.

Non può esistere un linguaggio che sia tutto una metafora per ilbuon motivo, aggiunge Rorty, che anche se i linguaggi

non sono rnezzi di rappresentazione o espressione, rimango-no pur sempre mezzi di comunicazione, strumenti di intera-zione sociale, modi di mettersi alla prova in rapporto aglialtri82.

Dunque anche a parere di Rorty non possiamo fare a meno della"filosofia", di un linguaggio che vada in qualche modo oltre la puradescrizione. Ma tutto ciò in fondo equivale a dire, come si evince dal-l'ultima frase che abbiamo citato, che gti uomini rimangono pur sem-pre soggetti padroni del linguaggio anche se questo soggetto non è piùun occhio che si fa specchio della natura; che è l'uomo ad usare il lin-guaggio come strumento e non è il linguaggio che si serve di lui.Insieme alla frlosofia, torna così in campo il soggetto. Se il linguaggio èun modo di mettersi in rapporto con gli altri, come è possibile esclu-dere dalla conversazione una ricerca sui significati generali che rendo-no possibile tale rapporto, sui quali si sviluppano consenso e dissenso?Né questo basta. Se è vero che la frnitezza non è mai senza pathos, comesi può immaginare che l'uomo scelga di concentrare la propria atten-zione sulla frnitezza e sulla contingenza, e non invece proprio su quelpathos che costituisce l'unica vera differenza, e dunque l'unico motivodi interesse e di cura? La conversazione, messa a confronto con questaricerca, non può che essere tempo perso. Ciò che Rorty finisce per con-cedere, anche se a lui o ad altri può sembrare poco, è già sufficiente perrimettere interamente in gioco l'atteggiamento di Socrate, per cui non

80 CIS, p. 53.8t lbid.82 lbid.

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ATTUAI_ITA DI PT.ATONE I RORTYE LA CONSOIéZIONE DELI-A. FILOSOFIA 9190

v'è impegno o interesse degno dell'uomo se non in quel luogo, ampioo stretto che appaia, dove la contingenza è negata. Ma naturalmentenon è questa la conclusione di Rorty. L'apertura al superamento dellametafora, il riconoscimento che la contingenza assoluta è un'ipotesicontraddittoria, ha come unico effetto quello di trasmettere il marchiodella contingenza a tutta la costruzione rortiana. ll pathos che accom-pagna lafinitezza non deve rappresentare l'angoscia della mancanza,ladelusione di chi domanda senza ottenere risposta; ma più semplice-mente

la consapevolezzadel fatto che ad un certo punto si deve con-fidare nella buona volontiì di chi vivrà una vita diversa e scri-verà altre poesie.

Si tratta, se così si può dire, di una accettazione della contingenzapriva del riconoscimento che di contingenza si tratta, per impedire cheda qui si sviluppi una esigenza, per quanto debole, di necessità. Perciòritengo che Vattimo, quando rimprovera a Rorty una specie di "ricadu-ta metafisica», nella misura in cui egli muoverebbe dal presupposto che

"la vera struttura delle cose" smentisce "la possibilità stessa di un dis-corso filosofico che non sia semplice ridescrizione letteraria»83, nondica giusto, perché la pagina che abbiamo sopra commentato affermaesplicitamente il contrario. E vi è anche, in quella pagina, una parallelariduzione della "metafisica" nietzscheana84, che viene incontro proprioall'obiezione di Vattimo, secondo cui rendere assoluta la contingenzaequivale ad accettare ipotesi metafisiche sul tipo di quella dell'eternoritorno.

Ciò non toglie, però, che la filosofia di Rorty rimanga consolatoria.Dopo avere invano sperato che la poesia possa sostituire la filosofia, chela contingenza non tolleri dubbiose aperture, che la frnitezza sia senzapathos, che il soggetto possa essere tolto di rr.ezzo senza rimpianti, Rortydeve pur riconoscere che così non stanno le cose. E una scoperta preoc-cupante. Perciò Rorty si impegna, visto che non può eliminare la diffe-renza, almeno a ridurla nei minimi termini, fino a che diventi quantiténégligeable. E infine ci invita semplicemente a non preoccuparcene. Maè troppo chiaro che se la differenza c'è, al pensiero non filisteo interes-sa solo la differenza. O i giochi linguistici esauriscono tutto quello che

83 Il paradigma e l'arcano, pp. 241-42.84,,...iI superuomo non potrebbe fare un'affermazione più forte di questa:

che la sua diversità rispetto al passato, per quanto mareinale o minore che essasia, entrerà nondimeno a far parte del futuro...che le sue ridescrizioni metafo-riche di alcuni pezzetti del passato saranno nel repertorio futuro delle verità let-terali" (CIS, p. 55).

esiste (e allora non ci resta altro che giocare), o esiste qualcosa rispettoal quale i giochi linguistici sono solo giochi da bambini (e allora siamoin qualche modo costretti a fare qualche cosa di più serio che giocare).Di tutto quello di cui potevano disporre Adamo ed Eva nel giardinodell'Eden, a loro interessava naturalmente solo la mela.

L'opera di Rorry dimostra ancora una volta, in ultima analisi, quan-to poco sia praticabile una filosofia puramente consolatoria. Come hascritto Klaus Heinrich sulla scia di Paul Tillich85, il problema luteranodella giustificazione del peccato si è oggi convertito nel problema dellagiustificazione del dubbio. Ciò significa che l'uomo contemporaneo(sono ancora parole di Heinrich) deve riconoscere l'impossibilità diassicurarsi dell'Incondizionato, di sclerotizzare il mobile dinamismo discelte impegnative, di domande inquietanti e di risposte ambigue, nel-l'edificio monolitico di un essere (Parmenide) o di un Dio (Giona)capaci di dissolvere qualunque dubbio. Bisogna accettare il fatto cheI'ambiguità e I'inquietudine sono destinate a restare. Ma ciò vale anchenella direzione opposta: se la vita non può essere elevata a una fiducio-sa attesa del paradiso, non può nemmeno essere ridotta al piacere epi-cureo della conversaziorre.

85 K. Heinrich , Parmenides und,.fr»tu.,I,-r'unk{ìrr1 a

mo, Napoli l98B). p. 126.M. 1982 (tr. it., da cui citia-

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Capitolo IVLa filosofia è una cosa seria?*

1. Qua e là, nel panorama filosofrco contemPoraneo, si sente anco-ra qualche eco della polemica sull'adesione di Heidegger al nazismol,e sui possibili rapporti tra il suo pensiero e l'ideologia nazionalsociali-staz. Che questo problema continui a suscitare interesse non è certo sor-prendente. Non si tratta infatti solo di sapere f,rno a che punto un intel-lettuale si è compromesso praticamente con il nazismo. Ben più pun-gente della questione biografica è la questione filosofica. Heideggernon è un filosofo qualunque, per quanto grande. Heidegger è il filoso-fo che molti hanno preso a modello per la loro denuncia della violen-za della ragione, delle distorsioni prodotte dall'uso aberrante delle tec-

nologie, di cui Auschwitz è l'esempio di gran lunga più orribile. EppureHeidegger non ha mai pronunciato sulla Shoà una parola chiara3. Einoltre. Oggi si pone molto spesso la questione su che cosa significapensare, fare filosofra dopo Auschwitz; ci si chiede se un evento imma-ne come quello non ci costringa a modificare radicalmente i nostriparametri, a cambiare almeno alcuni dei nostri metri di giudizioa- Ma

*LaPlosofia è una cosa sana?,"Rivista di storia della frlosofia" 52 (1997), pp.

597-610.1 V. ad esempio F. Fédier, Il rispetto che d,obbiamo a Hddeggur, <<aut aut» 260-261

(1994), pp. 109-149.2 Ricordiamo, tra le pubblicazioni più recenti, la raccolta degli atti del con-

vegno tenuto a Roma dal titolo L'eredità di Heidegger (Goethe-Institut, 29-31 mag-glò tOaO;: AAYY, Heidegger in discusssione, a cura di Franco Bianco, Milano 1992(contributi di Apel, Held,Jacob, Lugarini, Luporini, Orth, Ott, Pòggeler, Renaut,Reiter, Ricoeur, Riedel, Ruggenini, SchùBler, Semerari, Volpi, Wisser).

3 Assai deludente, in particolare, f intervista pubblicata Postuma su "DerSpiegel" nel 1976 [ora in AAW, Antuort. Martin Heiilcgger im C,espriich, hrsg. v. G.

Neske u. E. Kettering, Neske, Pfùllingen 1988 (tr. it. di C. Tatasciore in Risposta.

A colloquio con Martin Heidcggr, Napoli 1992, pp. 107-137)1. In questo volume si

trova inoltre una interessante racconta di interventi, alcuni molto autorevoli,sul problema dei rapporti di Heidegger con la politica, il nazismo, efc' Gli stu-

diosi e gti osservatori sono sostanzialmente unanimi nel giudicare il silenzio diHeidegger dopo il 1945 ben più sconcertante della sua adesione al nazismonegli anni '30. Cfr., in Heid.egger i,n disansione, gli interventi di F. Bianco(Introd,uzione, p. 14), C. Luporini (Con Heidegger 1931-1933- Alcune riJkssioni,

oggi, trafi.tosofia e politica, p. 49), O. Pòggeler (Heidegger e lapolitica, p. 65).4 Possiamo limitarci a citare, per brevità, il recente studio di Silvia Benso,

Pensare dopo Auschwitz, Napoli 1992, con ampia bibliografra'

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AITUALITA DI PI-ATONI.]

Heidt'ggt'r; il lìl,s.lir clrt' lr:r visto una vocazione violenta in tutta la st«>rirr <lt'll'«rct irl«'nr«', r'lrt'1rcr zrlcuni atteggiamenti teorici può essere acco-strrt«r :rll'f lrrsscrl <lt:lla KnSei e al Freud del Disa,gio nella ciailtà, non sol<rir st.ato r:.lpcv<llrnemente antisemita nel 1933, ma non ha ricavato daAuschwitz lo stimolo a ripensare a fondo nessuna delle sue tesi. Non c'eìin questi fatti qualcosa di strano? o forse qualcosa di troppo chiaro, tal-mente chiaro che non 1o si riesce o si r,.r"role vedere?

Prenderemo le mosse da un recente saggio di Richard Bernstein, dapoco tradotto anche in italiano5 A parere di Bernstein c,è una piena ccomprensibile congruenza tra il silenzio di Heidegger (dopo la secon-da guerra mondiale) sul tema della shoà, il suo rifiuto di riconosccrein qualche modo la colpa sua e del popolo tedesco, e l'essenza più inti-ma della sua filosofia. Per dimostrare questa congruenza Bérnsteinanalizza alcuni passi della Lettera sull'umanismd e soprattutto la confe-renza sulla Questione della tecnicù, giungendo d interessanti conclusio-ni (che esponiamo qui di seguito, non senza qualche nostra sottoli-neatura). Poiché per Heidegger il significato della tecnica non è quel-lo corrente, cioè quello di cosa neutra utilizzabile bene o male, maquello provocato e destinato dal Ge-stell (l'impianto, o imposizione),cioè da altri che non sia I'uomo, l'uomo non ha a disposizione nessu-no strumento efficace per contrastarne progettualmente e fattivamen-te il dominio. Questo significa (per il buon moriv, che egli è solo lacausa occasionale del loro sviluppo, e non il loro principio creatore,come vorrebbe il pensiero tecnico-metafisico) che l'uomo è irrimedia-bilmente in balia del destino, che non può fare nulla contro le poten-ze da lui evocate? No, perché in tal modo si confonderebbero fato edestino. Al fato come causa determinante l'uomo non può aggiungerenulla, ma al destino come invio e come chiamata egli è provocato arispondere. Ora, questa risposta può essere duplice: 1) [,uomo puòaccollarsi senza deflettere tutte le conseguenze del Ge-stell, e svilupparesenza freno e senza riflessione la volontà di potenza che si dispieganella tecnica; 2) oppure può tenrare di risalire (rammemoranaì; itsignificato originario della tecnica, che è la disvelatezza, e imparare a

_^^:f! silenzio di Heidegqer? Ethos e tecnica, i..'fhe New Constellation, Cambridee1991 (tr. it., La nuoua costellazione, di S. Cremaschi, Milano 1994, da cui citiamo,pp.7B-130).

6 Ùher den Humanismus, Klostermann, Frankfurt a. M. lg8l (tr. it. di F.Yolpi, Lettera sull'"umanismo", in Segnaaia, Milano 1987, pp. 267-Z7b; oraanche in edizione monografica, Milano 1995, con una notalàtroduttiva di F.Volpi).

. 7. Di: ryaC: nach tJn Tbchnih, in Vortrrige untl Aufscitze, Neske, pfùllingen lgtì5(tr. it. di G. vattimo, La questione della tecnica, in saggrl e discorsi, Milan"o, numerrose edizioni).

LA FILOSOFIA E UNA COSA SERIA?

pensare l'essere in questa dimensione. In altre parole, I'uomo non puòfare nulla di concreto e diretto contro I'impeto trasformatore e distrut-tivo della tecnica, perché questo impeto non deriva da lui bensì dal Ge-

schich (inio e destino). Ma può imparare a pensare il senso di questodestino; può imparare a pensare che la tecnica nella sua essenza è

lasciar essere le cose nella loro disvelatezza (secondo il detto diHòlderlin: "dove c'è il pericolo, cresce anche ciò che 521v2..."8), cioèqualcosa di ben diverso di ciò in cui consiste la tecnica nell'età moder-na. Si può immaginare che Heidegger si attendesse da questo pensie-ro rammemorante una svolta capace di correggere il nichilismo dell'e-ra contemporanea. Ma poiché tale svolta è consegnata al pensiero e

non alla volontà, e intende inscriversi nel contesto di un destino di cuiè parte, perdono automaticamente significato tutti i criteri di valuta-zione antropomorfici ed assiologici. La dialettica di bene/male, diinnocenza/colpa, c pcrfino di verità,/errore, viene sostituita dalla dia-lettica autentico/inautentico (questo già in Essere e Tempo), e poi piùdeterminatamente da pensare e non pensareg. Tàle contesto vorrebbeper Heidegger essere più originario di qualunque etica. Poteva sem-brare in effetti che dopo Essere e TbmpoHeideeger dovesse scrivere un'e-tica (come gli suggerì un giovane lettorelo), ma solo a chi abbia lettoquel libro in maniera superficiale. In realtà in Essere e Tbmpol'analisi esi-stenziale di Heidegger evita sistematicamente, con continui e quasiossessivi awertimenti, di tradurre le questioni e le antinomie che lì ven-gono poste in termini etici (emblematico il caso di autentico/inauten-tico11), e altrettanto sistematicamente è evitata qualunque forma dideontologia di tipo assiologicolz. Detto nei termini di Bernstein,Heidegger non riesce a vedere una possibile via di salvezza dal Ge-stell

compiuta mediante la phronesis e la praxis (il pensiero progettante edagente in base a valori), ma considera solo l'alternativa della parolapoetica (cioè del «pensiero» che non soggettivizza, che non è né tec-nico né metafisico). Ci si salva dal nichilismo del produrre e deldistruggere non con un diverso modo di progettare (che è impossibi-le), ma con un diverso modo di pensare, quello che lascia essere.

Questo ordine di considerazioni ha come conseguenza aberrante, a

parere di Bernstein, quella di mettere sullo stesso piano del Ge-stelltutto

8 Patmos, rv. 3-4, citati da Heidegger in La questione della tecnica, (tr. it., p. 22e 26).

9 V. ad es. la conferenza Was heiJlt Denken? (tr. it. in Saggi e Discor.si, pp. 108) ,

dove Heidegger afferma di continuo che noi non sappiamo ancora pensare.l0 Cfr. Lettera sull.'runo,n,istno (tr. it. in Segnaaia, p. 30a).ttCIr:G.Vrllirrro, lralttutll.utedcll.rt.d,i.f-f'erenza,Milanol9B0,p.57.l2 Urra irrr:rlisi cst'rrryrliliclrtir';r rli <lrrt'stir Prrr<r'<hrt'a i: irr P. Ricoerv, Il froblc-

trt.rt eLitrt r.rr "1,*scrr'('t( nrl)(),,, il lltitltgl|t'r in tli.strt:;,siortt, PP. 1-r0-(i2.

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ATTUALITA DI pt"{roNE I-4. FILoSoFIA È uNa cose snnral 97

t'iir «'hc è tecnica, ad esempio togliere ogni differenza essenziale tra Iarteccanizzazione dell'agricoltura e le camere a gas dei nazistil3. Qui lescelte politiche di Heidegger (soprattutto quelle compiute dopo laguerra) si incontrano con la sua filosofia. Quello che è in gioco, a mioparere, è il rifiuto aprioristico della valutazione etica, visibile fin daEssere e Tbmpo. Il significato normale di tecnica come stnrmento neutroaperto agli usi buoni e cattivi si dimostra come un significato non origi-nario, derivato, non vero. La tecnica si è wiluppata come imposizione(Gestell), in un contesto preassiologico in cui non vi sono valori comebene e il male, e di conseguenza non vi è neppure nulla che possa esse-

re neutro rispetto a questi valoril4. E precisamente in tale mondo senzavalori che lo sterminio degli ebrei può essere paragonato alla mecca-nizzazione dell'agricoltura. Bernstein si chiede quale mai possa essercIa natura di un pensiero che non è str-utturalmente antorizzato a vede-re questa differenza; un pensiero che parla spesso di autentico e supre-mo pericolo, e tuttavia non vede questo pericolo in eventi come la Shoà;un pensiero che parla tanto spesso di domande e risposte decisive, maper il quale

veramente importante e appropriata è la risposta alla silen-ziosa chiamata dell'Essere, non alle silenziose grida dei nostrisimili15.

Le osservazioni di Bernstein sono indubbiamente di grande effettoe, all'apparenza, inoppugnabili (tanto più che lasciano sospettare inHeidegger il subdolo tentativo di giustificare i suoi errori attraverscrl'arrogante serietà di una profonda filosofia). Ma a ben guardare la

13 Come è noto, nel manoscritto non pubblicato della conferenza del 1949sulla questione della tecnica si trovava una frase, che poi non compare nell'e-dizione della stessa conferenza in Vortrrige und Aufstitze, in cui si dice che l'agri-coltura, ora che è diventata industria meccanizzata dell'alimentazione, è «essen-

zialmente la stessa cosa della produzione industrializzata di cadaveri nelle camc-re a gas e nei campi di sterminio, la stessa cosa del blocco e l'affamamento dipaesi, la stessa cosa della produzione delle bombe all'idrogeno" (cito da R.Bernstein, La nuoua costellazione, p. 125).

14 È noto che Heidegger disprezzava la cosiddetta ofilosofia dei valori, cor-rente ai suoi tempi. Ricorda a questo proposito Max Mùller: "Gli piaceva dire:"Questa è I'ultima decadenza della borghesia. Chi può impegnarsi ed entusia-smarsi per dei valori? Ci si può entusiasmare per determinati compiti. I compi-ti sono compiti creativi, e la creazione è l'opera. Di fronte alla filosofia del valo-ri (Wertphilosophi.e) deve nascere una filosofia delle opere (Werhphilosophia). Sol<rciò che è concreto impegna, i valori non impegnano mai."" (in Antwm\ tr. it.pp. 2i9-220).

15 La nuoua costellazione, p. l2B.

questione è molto più complessa. Io credo che molti filosofi d'ogginon prendano troppo sul serio la svolta operata nella filosofia con-temporanea dal pensiero di Nietzsche, una svolta che indubbiamenteesercitò una enorme efficacia almeno in un pensatore comeHeidegger, che aveva meditato a fondo la filosofia di Nietzsche, e chene aveva fatto proprie molte istanze. Il "platonismo rovesciato» diNietzsche16 in fondo significa che non v'è più la possibilità di un pen-siero etico orientato ai valori distinti e superiori alla prassi, o comun-que sufficientemente individuati per mettere in moto la dialettica pra-tica di conoscenza ed azione. Quello che Nietzsche ha tolto di mezzoè proprio la possibilità della phronesis, cioè di orientarsi nell'universodei mezzi e dei fini operando le opportune distinzioni teoriche e lescelte pratiche conseguenti. In altre parole: ciascuno si scandalizza delfatto che Heidegger abbia messo sullo stesso piano la meccanizzazionedell'agricoltura e lo sterminio degli ebrei, cioè qualcosa che apparecome un bene (perché migliora l'alimentazione degli uomini) e qual-cosa che è certamente male, e male dei più terribili. Ma quanti sono ifilosofi del '900 dawero prowisti dei rnezzi teorici per attuare la distin-zione tra ciò che è bene, ciò che è male e ciò che è neutro? Chi è d'ac-cordo con Heidegger sul necessario smantellamento del "platonismo",sia pure nella forma debole definita sopra, può consentire a questevalutazioni solo con un colpo di reni della volontà; oppure con unamossa retorica valida al livello elementare del consensus gentium, dellachiacchiera e del "si dl6s" (cioè, in termini heideggeriani, con un per-sistere nella sfera inautentica del man). Orbene, Heidegger era certod'accordo con Nietzsche sulla necessità di rovesciare il platonismo.Fatto questo, che cosa rimane? Restano la volontà di potenza e l'eter-no ritorno; la libertà si identifica con l'accettazione del fato (che assor-be in sé il destino), e I'uomo non ha più difese contro 1l Ge-stell (e con-tro le camere a gas). Io credo che solo Heidegger abbia visto tutte leconseguenze che derivano dal "destinato" rovesciamento del platoni-smo, e si sia reso conto del drammatico pericolo che ne deriva. Lamaggior parte di coloro che criticano le sue scelte politiche ed ideolo-giche non si sono accorti di nulla. Un buon numero di questi filosofisi professano nietscheani e heideggerriani, ma si rifiutano di accettarele conseguenze che tale posizione comporta. Pur avendo fatto proprienon solo la morte di Dio e la caduta della metafisica in senso forte, ma

16 Heidegger ha citato e commentato questa espressione nietscheana nel('orso su Nietzsche del 1936/37 dal titolo La uolantà di potenza come arte. I corsisu Nietzsche sono stati pubblicati per Ia prima volta da Heidegger stesso(Pfùllingen 1961), e poi ripubblicati nel vol. 66 della Gesamtsausgabe- Il passo al«;uale ci riferiamo si trova a p. 15 della traduzione italiana di Franco Volpi(Nietzsche, Milano 1994).

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999ti ATTIIAI,ITA DI PLATONE

anche la drammatica constatazione che non vi sono più valori e signi-fìcati riconoscibili e almeno parzialmente invarianti, essi continuano a

scandalizzarsi di fronte all'ipocrisia e alla violenza, a provare orroretTper ciò che è "male". Continuano a pensare e ad agire come se talivalori e significati ci fossero.

Heidegger, come è noto, non accettò Ie conclusioni di Nietzsche, enon le accettò nell'unico modo che per lui era ancora accettabile dopoNietzsche (cioè dopo aver fatto suo quanto del pensiero di Nietzsche glisembrava inoppugnabile): non sul piano etico, cioè sul piano "platoni-co" della visione e del riconoscimento dei valori; ma sul piano della dia-lettica autentico/inautentico, intendendo la volontà di potenza e l'e-terno ritorno come l'ultimo atto del pensiero metafisico, come il gradosupremo e più elevato di imposizione (Ge-stell), dove sono venute a

mancare persino le condizioni in base alle quali si impone. Ma conte-stualmente questo rifiuto degli esiti del pensiero nietzscheano apreanche una via di salvezza. C'è un modo non metafisico e non impositi-vo (dunque non violento) di pensare l'essere (poesia, rammemorazio-ne, ecc.). Questo modo può apparire vuoto, ed è stato anche da pitìparti messo in ridicolo. Ma è necessario andare oltre a questo giudizio,e risalire al motivo per cui la via di salvezza proposta da Heidegger appa-re così ostinatamente priva di contenuti etici riconoscibili. Il motivo è

l'acuta consapevolezza di Heidegger di quanto sia difficile avar.zareun'etica dopo il rovesciamenlo dsl "platonismo", quanto lontano biso-gna andare dall'etica propriamente detta per poter conquistare clellenuove basi, e di quanta spregiudicatezza bisogna dar prova. Questa dif:ficoltà non è percepita aflatto da molti suoi critici e seguaci, che resta-no legati a una specie di etica del senso comune pur non credendo piùnella possibilità di elaborare un'etica filosofica, e così facendo separanoimplicitamente I'etica dalla filosofia, la prassi dalla teoria.

2. Sto pensando in particolare a Richard Rorty, che pur collocando-si consapevolmente sulla scia di Nietzsche e di Heidegger, e accettan-done con entusiasmo temi come lo smontaggio genealogico e il decro-struzionismo, l,uole però conservare il diritto di dire che la crudeltà è ilpeggiore dei malil8. Il prezzo di questa operazione consiste però, comedetto, nel considerare l'etica e la politica pure questioni di prefèrenze(o di ossessioni private), che nulla hanno a che fare con la filosofia. Così

17 È l'orrore come esperienza e fatto universale, di cui parla Luporini conaccenti drammatici nell'intervento sopra citato (p. 49).

18 Come è noto, I'idea che la cmdeltà sia il male peggiore e l'invito rivoltoa tutti gli uomini affinché la evitino è t\ Leitmotia di molte pagine rortiane finparticolare in Contingence, Ironl antl Solida'rity, 1989, Cambridge (tr. it. di G.Boringhieri, La Jilosof,a dopo la filosofia,. Roma-Bari 1989) l.

I-4. FILOSOFIA E UNA COSA SERIA?

Rorty scagiona la filosofìa di Heidegger dalle accuse per la stessa ragio-ne per cui la logica di Frege è indipendente dall'ideologia antisemitadel suo inventorele. Ma non è la stessa cosa, perché la logica di Fregepuò anche essere indifferente sotto il profilo etico, mentre Ia filosofradi Nietzsche ed Heidegger sicuramente no. Certo, Rorty ha ragione nelnegare che il filosofo debba per forza possedere, in quanto filosofo,«sapienza e bontà, intuito e urbanità" 20. Ma qui non si tratta della que-stione, peraltro assai triviale, di stabilire se un filosofo è stato o nocoerente con le sue idee. Si tratta di stabilire se la filosofia ha o non haun rapporto con l'etica, se essa ha o non ha la funzione di fare chia-rezza sulle scelte concrete che l'uomo ha da compiere (anche se non dideterminarle). Ebbene, proprio questo è quello che Rorty nega. PerRorty la filosofia si riduce al testo scritto dai filosofi, e il compito dei filo-sofi non è altro che quello di produrre e leguere descrizioni semprediverse della nostra esperienza. Per Rorty il carattere della filosofia insenso tradizionale e metafisico - quel carattere che appunto oggi a suoparere non può più essere accettato - coniuga la forza dell'argomenta-zione con la pretesa di pronunciarsi su questioni di estremo interesseper la vita2l; ed egli apparentemente vede questi due aspetti come reci-procamente implicantisi, perché la caduta dell'uno (la rinuncia allapretesa del rigore argomentativo) comporta anche la caduta dell'altro:se la filosofia non può essere forte sotto il profilo epistemologico, deveanche rinunciare alla pretesa di dire cose importanti riguardo la vitadell'uomo. Ma tra Ie due cose non v'è alcun nesso. Prova ne sia la filo-sofia di Socrate, in cui convivono una accentuata debolezza epistemo-logica (si pensi ad esempio al tema dell'ignoranza) con una estremavicinanza ai problemi più delicati dell'esistenza. Se dunque non si puòpretendere di ricavare giudizi sulla filosofìa di Heidegger partendodalla sua vita (o viceversa), è però lecito chiedersi se in Heidegger I'a-desione a una filosofia così ricca di conseguenze, immediate e mediate,sul piano dell'etica, non abbia.ar,'uto qualche peso nel determinare certisuoi comportamenti pratici. E lecito chiedersi se tali comportamentinon derivino in parte anche dal fatto che egli riteneva compito dellafrlosofia "pronunciarsi su questioni di estremo interesse per la vita".

Tutto sta dunque nel capire se la filosofia deve essere presa sul serio

ls Tithing Philosphy Seriously, in "The New Republic" l l, aprile 1988, pp. 31-34 (tr. it. di P. Kobau, Prende.re sul serio lafilosofia, «aut-aur» 226-227 (1988), pp.133-140).

20 lbid., p. 138.21 Pragmatismo senza metodo, in Ohjectiuism, Relatiuism and Tiuth. Philosophical

Papers- I/old Cambridge, 1991 (tr. ir. di M. Marraffa, ScrittiflosoJici, uolume I,acura di A. Gargani, Roma-Bari (1994), da cui citiamo (qui p. 101).

Page 50: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTUALITA DI PI-ATONI]

o no. Nella parte frnale del Fedro, dove il Socrate platonico avanza le suecelebri critiche nei confionti della scrittura, c'è una descrizione del di-scorso scritto che ricorda da vicino, nella sua leggerezza, la riduzionerortiana della filosofra a testo dilettoso e ricreativo:

Questi giardini di lettere, a quanto pare, verranno seminati escritti per puro diletto. Posto poi che li scriva, si tratterà di fartesoro di appr.rnti, qualora giunga la vecchiaia, vittima dell'o-blio, per sé e per chiunque procede sulle medesime orme.Egli proverà diletto nell'ammirarne la delicata fioritura; e

quando gli altri si daranno ad altre forme di piacere, abbeve-randosi di conviti e di tutti gli altri divertimenti analoghi aquesti, egli allora, verosimilmente, respingerà tali passatempi,ma rallegrerà la sua esistenza con le soddisfazioni delle qualiio parlo (276d-e).

C'è un preciso rapporto tra la riduzione di un testo a scrittura e lasua leggerezza. Il testo scritto è trasformato in oggetto fruibile, consu-mabile, che si può aprire e chiudere a piacere, che parla solo quandonoi vogliamo farlo parlare, che può essere utìlizzato solo nei limiti incui procura diletto: che naturalmente non dice nulla di importante perla nostra vita. E precisamente nello stesso spirito che Rorty consiglia dileggere i libri di Heidegger: -in un momento tranquillo, con curiositàe con mentalità aperta e tollerante"2z. Possiamo immaginare una tran-quilla serata d'autunno, davanti al camino e con un bicchiere dibrandy in mano, dopo che sono state sbrigate le difficili e serie fac-cende dell'esistenza. A questo punto si chiude la porta della vita e si

gioca alla filosofra.Sembrerebbe perciò di poter dire che qui sono messi a confronto

due modi diversi di intendere la frlosofia: due modelli globali, tra loroincommensurabili, incapaci di confutarsi a vicenda, la cui scelta dipen-de solo dall'indole di ciascuno. E invece così non è, perché Rorty no-nostante tutto \uole conservare il diritto di dire che, "come essere

umano, Heidegger era un esemplare molto scadente: vigliacco e bugiar-do, e molto, fino all'ultimo" 23; che Wagner, Milton e Newton nonerano .brave persone», shs "Frege era vizioso, antisemita e protonazi-s62», ecc.24 Evidentemente si illude che questi giudizi possano essere sti-lati stando al di fuori della filosofia. E chiaro invece che le valutazionimorali sopra citate presuppongono una discussione filosofica sul tipo diquella condotta da Socrate con Callicle nel Gor§a; presuppongono la

22 Prendere sul serio laf.losoJia, p. 140.23 lbid., p. 136.24 lbid., p. 137.

I-4, FILOSOFIA E UNA COSA SERIA?

soluzione del problema etico a favore della verità e contro la menzo-grra, a favore del rispetto degli altri e conto l'uso strumentale preconiz-zato dal «superuomo" di Callicle, presuppongono che noi sappiamo,per averlo in qualche modo stabilito, chi è una brava persona e chi no,che cosa è bene e che cosa no. Presuppongono che sia stata fatta unacerta indagine filosofica intorno a come bisogna vivere, e che questaindagine sia stata presa sul serio. Insomma, si arriva sempre troppotardi a fissare il punto in cui inizia la filosofia, perché questo punto si

trova in un luogo indeterminato dietro le nostre spalle; purché si vivada uomini, si è sempre dentro la filosofia (come hanno ben vistoAristotele ed Hegel): mai prima o dopo di essa25.

3. È molto probabile che Heidegger abbia preso sul serio la filoso-fia. Di formazione scolastica, fin dall'inizio della sua carriera egli si èinterrogato sul senso dell'essere, e non ha mai cessato per tutta la vitadi porsi questa domanda. Ma ben presto si è accorto che la tradizionescolastica trascurava tutta una serie di caratteristiche essenziali dell'es-sere, cosicché il problema dell'essere non poteva più essere affiontatosenza passare attraverso l'Esserci. In questo orientamento confluivanomotivi diversi come lo storicismo di Dilthey (il problema della vita), l'e-sistenzialismo di Kierkegaard, la frlosofia di Nietzsche, la teologia lute-rana e infine lo stesso Husserl del precategoriale e del mondo della vita.

Questo significa che per Heidegger la filosofia, nel suo tentativo di chia-rificare il signifìcato dell'essere, deve mettere in primo piano il sensodell'esistere. Tale carattere è del tutto evidente nella fase che possiamochiamare esistenzialista del pensiero di Heideggeg in particolare inEssere e tem.po, dove il tema del rapporto tra esistenza autentica ed inau-tentica ha un amplissimo rilievo. La centralità di queste tematiche è

appunto una testimonianza del fatto che per Heidegger la filosofìa hail compito di dire qualcosa di importante, o addirittura di decisivo, sulsenso della vita.

È alla luce di queste premesse che devono essere valutate le scelteteoriche e pratiche di Heidegger, e in particolare le possibili connes-sioni fra Ie due. Ora, alcune delle ascendenze cui abbiamo sopra accen-nato (soprattutto Nietzsche) trasmettono ad Heidegger il tema del

25 Tra i vari «post» che caratterizzerebbero il mondo contemporaneo(primo fra tutti il post-moderno), da molte parti si tende oggi anche ad anno-verare una "posterità" in rapporto alla filosofia. Si veda ad esempio il volumecollettaneo dal titolo After Philosopb (ed. by K. Baynes, Cambridge USA 1987),con saggi di Rorry Foucault, Derrida, Habermas, Davidson, Dummet e Putnam.Né è certo un caso che il titolo del volume di Rorty del 1989 (Contingencl, Ironyand Solidarity) sia stato modilìcato nclla traduzione italiana rn Lafilosofia dopo la

filosofia.

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6

l

Page 51: Trabattoni, Attualità Di Platone

I02

I

II!i:

103AITUAIITA Dt PI.{IONI.

rovesciamento del platonismo e del tramonto della metafisica (cosicchéil senso dell'essere può ormai essere precisato, a suo parere, solo allaluce di questi punti fermi). Qui possiamo porre Ia questione cruciale. Il"platonismo" e la .metafisica" sono tramontati dawero o per scherzo?Se la filosofia è un gioco di parole, la vita non ne risulta né modificatané interessata. La morte di dio, l'eclissi del senso, la genealogia dellamorale, restano senza conseguenze. Si continua ad essere non violentie gentili, si continua a considerare questo comportamento come l'uni-co naturale e owio. Ma se la filosofia fosse una cosa seria? Per gli hei-deggerriani à la Rorty non Io è, e dunque il crollo della metafisica aprcl'ameno universo delle differenze, delle narrazioni e dei giochi lingui-stici. Ma, per chi ritenga la filosofia una cosa seria, la liberazione del lin-guaggio e il crollo della metafisica non sono affatto le note preliminaridi una giuliva festa danzante; sono eventi che non possono essere sot-tovalutati, perché in essi si nasconde un enorme pericolo: il pericoloche il crollo dei valori si traduca in una esistenza dove in linea di prin-cipio i confini fra il lecito e l'illecito dileguano. Da questo pericolo, perHeideggeq bisogna trovare una via di salvezza.

A ben guardare, tutta la filosofia di Heidegger è cupamente domi-nata dallo spettro del pericolo e dalla ricerca affannosa di una salvez-za, ed è difficile non riconoscere in questo affanno un interesse etico.Tuttavia questa dimensione etica, corne ha notato Paul Ricoeur a pro-posito di Essere tempdo non si wiluppa mai in una morale, perché sem-pre di volta in volta coperta dall'intonazione prevalente dell'opera,cioè quella ontologica. Perciò Ricoeur ha visto nel discorso svolto daHeidegger nel suo libro del 1927 la compresenza di fona etica e dicarenza morale. Come uscire da questa impassà Come tradurre in ter-mini morali l'ontologia di Essere e tempo, che «quanto all'orientamentonell'azione [...] si astiene da qualsiasi proposta»?z7 Per fare questosarebbe necessario ricollegare "lo stadio della moralità, nel senso del-l'obbligazione, dell'interdizione" al suo "fondo etico - strutturato sul-l'aspirazione al vivere "bene" con e per gli altri all'interno di istituzio-ni giuste"Zll. Se ho ben capito I'opinione del filosofo francese, si trattadi completare i motivi ontologico-esistenziali come I'ingiunzione conun bene e un giusto in senso sostantivo. cui l'ingiunzione si riferisce:

Se diciamo, infatti: vivere "bene» con e per gli altri all'inter-no di istituzioni giuste, ci salviamo dalla indeterminazione

26 Il problema etico in essere e ternpo, p. 47.27 lbid., p. 6t.28 lbid,.

I-A. FILOSOFIA È UNIE COSE STRAI

della chiamata alle possibilità più proprie dell'Esserci edanche dall'indeterminazione della decisione2e.

È aifncite però essere d'accordo con Ricoeur nel ritenere che lamancanza di questo completamento derivi, in Heidegger, dalla sua dif-fidenza "rispetto alla filosofia pratica di Kant ed alla filosofra dei valo-ri di Max Scheler"30. In realtà quella che Ricoeur chiama «carenzamorale" è una caratteristica strutturale di una filosofia, come quella diHeidegger, indelebilmente segnata dal rovesciamento del platonismodi Nietzsche (e anche dall'antiplatonismo di pensatori come Dilthey).L'insistenza di Heidegger sull'ontologia, insistenza che in particolarein Essere e tempo sconcerta il lettore, al quale sembra di aver che fare conanalisi esistenziali à /a Kierkegaard molto più che con una ricerca sul-l'essere di stampo aristotelico, ha radici e motivazioni ben chiare nellastrlrttura della filosofia heideggeriana. Corne detto sopra, il problemache occupò Heidegger fin dall'inizio fu la Seinsfrage, cioè l'ontologia.Ma il fatto è che la Seinsfrage, dopo Kierkegaard, Nietzsche e Dilthey,non poteva più essere risolta né nel dualismo classico immanenza-tra-scendenza (che sbocca nella teologia), né nel dualismo kantiano eneokantiano esperienza-trascendentale. Non solo la prima, in efletti,ma anche la seconda è per Heidegger una forma di metafisica31, chein quanto tale si lascia sfuggire il senso dell'essere nella sua determi-natezza, tutta interna all'essere stesso; nella sua intrinseca vitalità omotilità (come si legge già nel Natorp-Berichr del 192232). È questo lostesso motivo per cui Heiclegger, nel suo tormentato confronto conl'ontologia di Aristotele, finì per mettere in primo piano la Fisica, e in

ze lbid., p.62.30 lbid.31 Cfr. l'Introduzione a Kant und das Problem dn Metaphysik, Klostermann,

Franklurt a. M. 1991 (tr. it. Kant e il problema della metafisica, di M.E. Reina, a c.di V. Verra, Roma-Bari 1981, pp. I l-25) e Wenuindung der Metaphysik, ir Vortràgeunrl Aufsritze, Neske, Pfùllingen 1957 (tr. italiana di G. Vattimo, Oltrepassamentodella metaftsica, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1976, pp. 45-65; il passo che quiinteressa è a p. 48 di questa traduzione).

32 È qrr.rto il titoìo con cui si suole abbreviare il testo che nell'autunno clel1922 Heidegger inviò a Natorp, pubblicato col titolo PhtinomenologischeInterpretationen zu Aristoteles (Anzeige der hermcneutische Situation), per la primavolta in "Dilthey-fahrbuch", 6 (1989), pp.237-269, con introduzione di Gada-mer (Heidzggers "theolo§sche Jugendschrift", ibid., pp. 228-234), e tradotto in ita-liano da V. Vitiello e G. Cammarota in .Filosofia e te<>krgia" 4 (1990), pp. 489-532. La problematica della vita è della "motilità" è tr2ìttata soprattutto nell'in-troduzione, che ha per titolo specifico Pro.spetto delkt sihutzion,e ermln.cutica (pp.49G516 della traduzione italiana).

Page 52: Trabattoni, Attualità Di Platone

I04 AITUALITA DI PLATC)NI.

particolare il concetto dinamico di enugeia\s. L'orientamento crriabbiamo ora accennato è antitetico a qualunque tentativo di riproporre il dualismo vita/valore, ed è in un certo senso destinalo a sfociare n<'lvitalismo astratto della Entschlos.senheit, o decisione: inclinazione chcdel resto fu comune a tarìta parte della cultura europea nei primi qu:r-rant'anni di questo secolo, con le torbide corrispondenze politiche chr'tutti conoscono.

L'apparente insipidità etica della filosofia di Heidegger è "destinrr-ta», d'altra parte, nella stessa misura in cui tale filosofia è una filosofi;rdel destino (Geschick). Qui si fanno evidenti gli agganci con Hegel,agganci che la critica ha da tempo messo in luce (anche se forse norrsono ancora stati indagati a fondo). L'ambizione di cogliere I'essere ue I

suo divenire è comune ad entrambi. Ma quando il divenire, la vita (o l:rmotilità) vengono posti al centro dell'essere, come sua essenza, vient'anche meno qualunque dialettica tra particolare e universale, e ancht'qualsiasi tentativo di porre un diafrarnma tra fatti e norme, di giudica-re l'esperienza in base a criteri indipendenti. La differenza tra Hegel <'

Heidegger è che il primo conforma il destino del divenire alle astrattt'leggi del logos, alla luce di una necessità che dor,rebbe essere in grado diesibire le sue ragioni; il secondo, invece, sta piuttosto dalla parte cliNietzsche, per cui il destino è la perentorielà esistenziale di quello chceffettivamente ci è, e che la frlosofia ha il compito di descrivere (non didedurre). E se pure nell'analitica esistenziale di Heidegger vi sono ana-logie con l'a priori e I'a posteriori kantiani, quello che in Heidegger è apriori è la visione ambientale preveggente3a, nella quale già da sempresiamo come «gettati». Allo stesso modo, l'unica possibile trascendenta-lità è quella dell'Esserci35, cioè di quell'essere che noi da sempre siamo:non l'universale, né la forma, l'idea o il valore. L'antiumanismo è per-ciò una conseguenza a cui non si può sfuggire. Che le analisi esistenzialidi Heidegger risultino intraducibili in termini irnmediatanìente etici è

un dato strutturale implicito nell'indole più autentica del suo pensiero.Cosicché un loro recupero immediato in chiave etica si può fare solodecidendo consapevolmente contro Heidegger, in direzione di quel-I'antr:opologia che egli ha sempre giudicato negativamente.

Io credo che Heidegger, consapevole di questa impossibilità, abbiatentato di raggiungere I'etica in modo meno immediato, percorrendouna strada molto più lunga; anche a rischio di apparire cieco cli fron-

33 Cfr. in proposito E. Berti, Aistotek nel Noaecento, Roma-Bari 1993, pp. 9fì-111.

34 Essen e tem.po, § 16 e sgg.35 Cfr. a questo proposito soprattutto Wom We.sen des Gnmda, tr. it. di F.

Volpi, Dcll'essenza delfond,amento,it Segnaria, Milano l9fl7, pp. 79-l 31.

t,A. FlLosoFIA È uua cosa srm'q; I 05

te all'eviden za.DaLele premesse da cui partiva' era un rischio che non

si poteva evitare, se si voleva veramente andare al nocciolo del pro-

il,ffi .

-il ;;;i.; r,.,a.gÉ..runu. l, tesi dell'oblio dell'essere' dipen-

dono più di quanto t"i!i creda da questa esigenza'etic*u-t 9:'Y ttOt

oersonaìe di Heidegger' che si è trovato privo degli sLrumentl-neces-

[n #iJ;;;;;;ìi;;-o "' male' Questa c|isi tron è pero stara

:firr:r.,,.}-ì'.r.",ra"rì" ì"^p"riri".i chè riteneva ormai da molto

tempo definitivame"*1"pti"e' Avrebbe Dotuto dawero tornare a

parlare, in modo ';;;;;;d aurorale'-di'b"t't e male' di colpa e

innocenza? xo,' tu"bttLt" un ritorno alla cotrcezione dell'essere

come semplice presenza' owero un ritorno alla tanto deprecata frlo-

sofra dei valori37, .uo^i.ri p., cui -esistono-"99tt'i :"l:t.:t:l'l

tnt t'

pensiero d.l ,o-ggttro t"gfit t clehnisce? Htidtggtt sentì che la sua

filosolìa non gll ton""ì"t'i" di farlo3s' e non lo tece' Sarebbe stato

36Noncistlnomotiviseriperdtrbitarede,llasinceritàcliHeideggerquando,,erla Lettera,utt'u*ont'lì'i;t5È-;;if;'",J'il u"t"'*anismo di Essu'e e Tbmpo:'

oQuesta opposizione ;; tù;Tì:1 che 11,:^P:nsiero

si schieri contro l'umano

e propugni l'inumano' aife-naa l'inumanità t, 'u'futi la rlignirà dell'uomo' Si

nensa conlro lumiìnrslno perche esso non P()ne I'human'itas del]^u1r1o a un

iiveilo abbastu,,ru.r"uàt.,- (p.283y. euesto-concerro, d'altra parte.è ripetulo

ill;;",";;;;;.:Ir{Jliil*r.,ffi'",1}H j.::::t'g';:,113ffi ll,T;:;vo, cui variatnenle sl alluoe rlerra Lrrr,ur u-(l'i-^ìi-,,,.*,i^

-oralÉ in ttna (auto-

l'etica: ricerca nttt't"tiu' ptt non trasftrrtnare il eiudizio morale in ttn

losia, o net r,,uoro ."rlì1;#"'.* .iail. ì:.,i.u ,tiu ir".itira dell'encomi, o del

bilsimo privi di *"diJi';'i''"c;,;ù; 111z'!fu"Ia tesi secondo cui solo il

pensiero che pensa la verità dell'esseie raggiunge 9na' 11{f3tr,ta-11flcielte ee1

.,.,-,.u." l'etica in mod;;;;;"';osì dai;stitùirsi addirittura come «etlca orr-

ffi#;:,'(ili.'i"-§'g"'"i', in particolare pp' -304308)

'

3T Cfr. n. 14 e tutta la polemica contro r valori pre§ente r,ella Lettera su'll'u-

manismo, (tr. it. in Segnaaia' pp' 299 sgg')'

38 Si veda ad esernpio qoo"*' Heidegger scrive sulla colpa nel § 58 di Èisere

e rempo @. a20d'tl'"H;;"'Ht;;ì;;Tl'g#''dllla t'ad"iione di P' chiodi):

nl'idea di colpa ^"'"t;;;";;-*tit"ti al-dominio del prendersi cura calco-

lante [potrem*o tni'il'"trJìr'à'-inio dclta p'i'o'ui'' '' à' t' ì' ma deve anche

essere ici.rlta d'l tift;i;;;ionido"t" e alla legge' vi,land-o i quali si incorre-

rebbe in tr, tolp^' ' tu rl"ip'" t-tuL", in tal cair"un a' mar,caflza' una defrcie n-

za, una forrna di nt)n Jitt(.'''tl scnso del semplicernenle Presenre' I\4a in guan-

to tale non si può applicare all'esisterza' peiché ad essa "non può mancare

assohrtamenre,,ulla.'rio, perché essa sia.or,,rj.ju. ma pelché il carattere del

suo essere è trer rrrrto àìv:I*;;'q;;iiJ"ìrr.à-otl." p,r.."nru'. Il che nuova-

rnente implicu, ." t" i"*pl"ìf"-". d"ll'.r.... iome'semplice presenza e la

met.afisica cht: lC i' collcgatit ilPParteng()1ìo a trtt modo di esistere inautentrco' e

sc lì()n sr»,.,,.1ri:rr.r.lri,.ì:..i,..*i 1n,r,',,i'1r.,r..hor.,,r" il l*nario' rl.n c'è dawero

rrr()rivt»,ri n,,,1,,,.,,,r,:,.i',i,.i',r,,,,,.'tr,'n,'i,r,'lg('r'lr)il abbia ntai fatto alcuna

:rrrrrrrissi,rr.,ti,,,tl'.,',,,.ì'ì,.,ìì,,.,u,,tg,,,..,.1.ì-t.',nliD('(*v()lgare- è parola di

ìiì'i;i;';*..,' ' lr' 'i l';',1i' tt.ll't srt ss;t p:rgitrrr)'

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Page 53: Trabattoni, Attualità Di Platone

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ATTUi\LITA DI PL{TONI'

conle (per citare una formula di Nietzsche cara a Vattimo) tentare disognare sapendo di sognare.

Io credo perciò che si possa imparare molto dall'esperienza cliHeidegger: soprattutto nella misura in cui noi ìa giudichiamo una espe-rienza negativa, e drammaticamelìte segnata dall'errore. Heideggerinsegna che se il pensiero ci porta dauuero, e rìon per gioco, al di là delbene e del male, il giudizio con cui rifìutiamo Ia crudeltà sono paroletolte dal sogno di un uomo che sa di sognare. Se viceversa non siamodisposti a rinunciare alla verità di questo giudizio etico, ed ancheamrìÌettiamo, corìtro i debolisti, che I'etica non può essere separatadalla filosofia, allora vuol dire che possediamo un criterio di orienta-mento obbligato: non certo capace di costringere l'uomo sulla via diuna veritzì incolltrovertibile, ma almeno capace di dire che certi orien-tamenti filosofici non possono essere veri. L'errore di Heidegger è statoqr.rello di non accorgersi che alla prova dei fatti la sua fìkrsofìa non puc)e non deve essere vera: perché non può essere vera una fìlosofia chenon ha più nulla da opporre, in quanto filosofia, all'ortore3e delle cirme-re a gas. Qualunque cosa si voglia dire della «salvezza» proposta diHeidegger, rimane vero che si tratta di una salyezza inserita nel circolodi un destino, che non ha titolo per opporre valore a valore, che nonpuò costituirsi come progetto, che si limita alla disvelatezza (Entberyung)e all'abbandono (Gelnssenheit).E una salvezza antimetafisica e antitec-nica solo nel senso che "lascia essere». Anche Auschwitz. Prova ne è Iastessa Lettera sull'uma,nismo. L'azione dell'ontologia, o etica fondarnen-tale, consiste nel lasciar essere l'essere4o, cioè nella rinuncia a qualun-que forma di soegettivismo. Soggettivistica è in generale la pretesa chesia il pensiero a creare la casa dell'essere+I, e in particolare che sia I'uo-mo respolÌsabile del male che accade nell'esperienza: I'essenza del malenon consiste "nella sernplice cattiveria clell'agire umano, ma nella mal-vagità dell'ostile"az. Ciò significa che il "nientificare dispiega la suaessenza» (così Franco Volpi traduce l'heideggeriano zrresl) nell'esserestesso, e non nell'esserci dell'uomoa3. E chiaro perciò che Heideggernel 1946, alla luce della sua filosofia, vedeva l'opera nientificante delnazismo corne inscritta nell'essere e colìle non dipendente dall'essercidell'uomo. In verità io non saprei dire dove la filosofia di Heideggerpuò arrivare, e dove è effettivarnente arrivata, muovendo da queste basi.

Quello di cui sor-ro certo, è che muovendo da queste basi I'etica non la

rìe 6L. 1'. Luporini, Con Heid,egger lD1-1%3, p. 49.40 ln .\egrttruia, p. 309.4t lbid., p. 310.12 lbid.a:t lbid.. p. 310.

si raggiunge mai. Se il compito clella filosofra è quello di insediarsi strl

terreno dell'.etica originaiia,, questo 'r'rrol dire che non è conlpitcr

della filosofia occuparsi di etica.

Mi pare perciò urgente che certi filosofi italiani di oggi invece di

.ondividere ìu ."q.r.rr"ru hei<leggerriana, scandalosamente superfi ciale

e priva clelle più elementari distinzioni critiche, che fa derivare

Auschwitz dallaìnetafisica e clalla tecnica; invece di assolvere la filosofia

di Heidegger dalle sue compromissi«tni con il nazism<1, in base alla sup-

posizionJ"ermeDeuticamer-rte debolissima che si tratterebbe di auto-

irairrtendirnento4'1; invece di cercare proprio nella filosofia di

Heidegger una certa forma di salvezza dagli abissi che mjnacciano la

societiiontemporanea; farebbero meglio a pensare se è accettabile

una deriva filosofica, da Nietzsche ad Heideggeq che non ha più in

mano gli strumenti per dare una semplice valutazione eticadei campi di

sterrniiio; e se è accittabile la frlosofia 6i chi, per aver preso sul serio la

filosofia, Per aver ritenuto che i suoi pensieri dovessero rimanere gli

stessi piiÀa e dopo il *cas.' Auschwitz, non ha mai potuto ritrattare

.or, .Èiur.rra il suo antisemitismo. Se anche noi oggi dovessimo accet-

tare Io stesso destino cui Heideguer ha ritenllto necessario attenersi,

allora bisognerebbe arnmettere d-awero che I'uomo è irnpotente, e che

solo un diàlo può salvare45. Non sarebbe invece P1utt9t " il.caso' dopo

l'orgia bacchùa dei tramo.ti, dei superamenti (Llberwindung(rl o

Verriindungrn che siano), delle decostruzioni e dei postmodernismi' di

ripetrsare "atla filosofia come cosa seria, come riflessione che nasce

aa Questi temi sono presenri in molti degli scritti di vattimo dalla fine degli

an,i ,fò ad oggi (numei.si e ben noti, in parte ar.rche al di fuori della cerchia

degli specialisil torto che sarebbe inurile menzionarli qui). Ricordiamo soltan-

to,-per'l'esplicita nrenzio,e di Auschwitz, Metafisica, ttiolc:nza e secolarizzazione' in

niìt"fi" '8à, a cuu:a di G. Vattin.ro, Roma-Bari f 987, pp' 71-9a'

4à C.r.r-r" è noto, questa è la conclusione clell'intervista di Heidegger a "DerSpiegel,(sopracitata)'edèpoil'ultirnaparoladell.itinerariospeculativohei-aigg-..iur'r.r. Vale Ia pena cli

-citare a que'sto proposito utra frase :ly:llY ^Ul

Vuiti--o, .f)a questo purlto di vista si potrebbero rileggere anc.hc th.scrrttr e r

discorsi politici dell'epoca del rettorato, mettendo in luce che la posizione nei

confronti clel nazismo come .destino», con tutta la sua equivocità' è forse solo

il riconoscillrento di qtlesto necessrtio prevaler-e delle dimensioni sociopolitiche

.ì, q".rr" individuali nell'esperienza.dell,uorno. che Heidegger r.ìon si oppon-

gaaqueste«Potenze»rourup..,o.,uliinnomediesigenzeevalori"esisfenziali-Ll.i,, I personalistici, cioè in nor.e clel singolo kiekegaarrlja,o, non costituiscc

un limiie ma anzi il vero elemento positivo e "profetico» del suo pensiero, che

.i up." alla comprensiorre delle ,.'..ou" . ancora igrrote dìmensiclni dell'espe-

ri.riza, (Le uuaettture dalkt d,iffnvnza, p. 6l ) ' Il riferiurento a Kierkegaard. qui non

tl esse,iialc. Flsst.rrziirle a, ir"ru".. ii rifèrimento ai val.ri. L'uorno viene q.i<k:st.r.itto <.orrrr' < olrri < lr<. tton hit valoli da opporre alla necessifà storica' In tal

I-A. FILOSOFL\ È UNE COS,{ SERIA?

Page 54: Trabattoni, Attualità Di Platone

IOtJ AITUAUTA DI PI-ATONE

socraticamente dalle istanzc pirì semplici e più inderogabili dell'esi-stenza? Non sarebbe il caso di arnrnettere con franchezza clr'e vi è anco-ra oggi tra gli uomini, all'insaputa dell'uomo comune che non si credefrlosofo e con buona pace del filosofo che crede separabile l'etica dallafilosofra, una macroscopica uniformità f,losof,ca, che ha resistito agliattacchi di tutte le genealogie e di tutti i prospettivismi, Ia quale consi-ste nel distinguere ciò che è bene da ciò che è male, nel dire che il benedovrebbe essere perseguito e il male evitato? E se siamo d'accordo neldire che Auschwitz fu male, che la crudeltà è male, non sono forse que-sti giudizi abbastanza forti per costringerci sulla strada di una frlosofiadawero capace di pensare il bene e il male (e non collocata al di là diessi), di argomentare in favore del primo e contro il secondo, di con-vocare su questo terreno tutti gli uomini che hanno rispetto della pro-pria umanità?

modo risulta affetto da una doppia impotenza: anche se disponesse dei valori,non potrebbe combattere contro la necessità, e anche se la necessità non cifosse, non awebbe valori da proporre. Che cosa ci sia di «positivo e profetico.in questa posizione, e quali siano le possibilità che lascia aperte per l'uomo, èper me impossibile da capire. Quello che è invece è del tutto chiaro è che perl'Heidegger qui encomiato (per usare un'espression e cara a Rorty) da Vattimo,l'evento di Auschwitz appartiene a un destino storico a cui I'uomo non pu<)opporsi con argomenti sernplicemente morali. Cornc si vcrlt., t:sistono forme direvisionismo anche mr>lto sottili, e accuratanlcntc nr:rsch cr':r lr'.

Capitolo V

L'interpretazione heideggeriana della dottrinadelle idee e le sue premesse. Alcune osservazionix

Se si legge l'unico testo che Heidegger ha pubblicato su Platonedurante la sua vita, cioè la conferenza che ha per titolo La dottrina pla-tonica della aerità (apparsa per la prima volta nel 7942r e poi compresanella raccolta Wegmarkenz), sarebbe facile concludere che il confrontopluriennale con la filosofra di Platone ha in ultima analisi prodotto unrisultato del tutto negativo. Infatti, come è ben noto, in questo testoHeidegger ha accusato Platone di aver occultato il signifrcato originariodella nozione di verità, intesa cone Unuerborgenheit (svelatezza). In talmodo Plalone awebbe inaugurato un percorso sul quale si è in seguitoincamminata tutta la tradizione filosofrca occidentale (ossia la metafisi-ca): per dirla in breve, questa tradizione accetterebbe concordementel'idea che la verità non è un attributo dell'essere, ma del pensiero, deldiscorso, della proposizione.

Tuttavia - e ciò appare sempre più evidente mano a mano che ven-gono pubblicati nella GA i corsi universitari tenuti da Heidegger tra glianni '20 e'40 - l'atteggiamento di Heidegger di fronte alla hlosofia diPlatone è tutt'altro che univoco. Con questo voglio dire non solo che ilgiudizio di Heidegger nei confronti del pensiero platonico non ha sem-

pre assunto l'aspetto di un rifiuto, ma soprattutto che il filosofo diFriburgo ha per lungo tempo pensato di trovare in Platone un precur-sore della sua concezione dell'essere e della verità. Ma anche questo,ormai, è ben noto3. Cosi come è ben noto, almeno dopo la pubblica-zione nel 1988 nella GA del corso tenuto nel semestre invernale

* Traduzione italiana di un intervento tenuto in francese al colloquio"Platon et Heitleggd', Nizza,5-6 febbraio 2008, in corso di pubblicazione negliatti del convegno.

I Platons Lehre uon der Wahrheit, "Geistige Uberlieferung. Die zweite

.fahrbuch", pp.9Gl24.2 Frankfurt a.M. 1976. '[r. it Segnauia, da cui citiamo, Milano 1987.3 Accurate esposizioni dello sviluppo e dell'evoluzione che ha subito nel

corso degli anni il contionto di Heidegger con Platone si trovano sia in A.Routot, Heideggr et I'ktton. l,e proltlàme du n.ihilisme, Paris l9B7 (v. in part. PP. 40,

t49-150, dovt'si sotlolittr':t cht'l'lllt'ggiiìlrlcnl() di I'lcidttgger non è semprestato rì(ì1{ativo) si:r irr A. l,r'Moli, llridtggrt t l'lahne. lissmt lùtkuirtnt l)ifftre'n.za,

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,i]I

111110 ATTUALITA DI PLATONI.] HEIDEGGER E I-A. DOTTRINA DELLE IDEE

l93l/32, pubblicato con il titolo vom wesen der wahrhei#, che il punt()di rottura con la nozione platonica di verità passa attraverso la diffc-rente interpretazione del mito della caverna che Heidegger ha pr.opo_sto, in rapporto al testo che abbiamo ora citato, nella confer.rr- p.rb-blicata nel 1942. ci sono delle buone ragioni per sospettare, e non solcrin forza della concomitanza cronologica, che questà rottura abbia unlegame particolarmente stretto con ciò che Heid.egger stesso ha chia-mato la Kehré, al punto che si potrebbe persino vedere al fondo di que-sta svolta una specie di renuersement du (tlatonisme o, più precisamente,un rifiuto, da parte di Heidegger, della componente platonica (unacomponente, ben inteso, che si può chiamare platonica solo se si accet-ta l'interpretazione di Platone proposta da Heidegger) che era più omeno consapevolmente attiva nel suo pensiero.

Nelle pagine che seguono mi occuperò marginalmente anche diquesto problema, ma non si tratta del mio obiettivo principale. Il com-pito che mi propongo di assolvere, in effetti, è quello di mostrare che ilmodificato atteggiamento di Heidegger nei confronti di platone nondipende in primo luogo dal fatto che egli awebbe mutato la sua inrer-pretazione dei fondamenti della filosofia platonica, ma piuttosto clalfatto che egli, nei dieci anni cruciali tra il 1g30 e il 1940, si è sempre piùreso conto che la srra immagine di Platone, e in particolare delfepiste-mologia e dell'ontologia platonica, era in ultima analisi incompatibilecon il ruolo che in precedenza egli aveva creduto cli poter attribuire adesse all'interno del proprio percorso speculativo. più precisamente, lamia tesi è che Heidegger ha interpretato fin dal principio la filosofia diPlatone alla luce di modelli esegetici, quali quelli che ricavava daAristoteleo e da Husserl, sulla base clei quali non era in realtà possibileconsiderare la teoria platonica dei principi (cioè le idee e lìdea delbene) come una valida prefigurazione della dimensione trascendentalerappresentata, nella filosofia dello stesso Heidegger, dal Dasein (anteKehre) o dall'essere (po* Kehr).

2. Iniziamo la nostra analisi con l'interpretazione del mito della

Milano 2002. Una lista di studi recenti pubblicati sul problema platone-Heidegger si trova in A. caputo, vent'anni d,i recezione heideg§eriana (rg7g-l9gg).Una hibliograJ'ta, Milano 2001, pp. 235-237.

4 Frankfurt a.M. 1988, tr. it., L'essenza deLla,nità,da c.i citiamo, Milano 1997.5 E' questa la tesi, ottimamente argomenrata, di p. Ciccarelli, il platone rti

Heidegger Dalla "differenzo, ontokt§ca" alla "suolta", Bologna 2002.6 Sulla deformazione aristotelica dell'interpretazione di platone proposta da

Heidegger ha scritto pagirre nr.lt. interessa.ti S. Rosen, The q,uestion of Being. AReuersal of Heideggn, Nt:w I Iirvt:n-l,ondon 1983, pp. 1-3b.

caverna compresa nel corso del semestre invernale 7937/32.Heidegger, esattamente come poi farà ne La dottrina platonica della ueri-

fà, divide il testo platonico in quattro sezioni: 1) la situazione dell'uo-mo nella caverna, 2) Ia prima liberazione dell'uomo, che awiene anco-ra all'interno della caverna, 3) la vera liberazione dell'uomo, che awie-ne quando egli può uscire dalla caverna e vedere la luce originale, 4) ladiscesa nella caverna del prigioniero liberato. Ciò che qui ci interessa è

il terzo stadio. Il problema principale consiste nel comprendere checosa significa il soggiorno del prigioniero f'uori della caverna, ossia ilsuo abitare nel luogo supraceleste che è anche il luogo delle idee, e cheè a sua volta illuminato dalla luce generata dall'idea suprema, ossia f i-dea del bene7. In questo nuovo soggiorno l'uomo è finalmente in gradodi conoscere non più le ombre, ma delle realtà completamente diverse,cioè le idee. A proposito di queste idee Heidegger afferma qui che esse

sono altro rispetto all'ente8.Prima di vedere in dettaglio le caratteristiche dell'interpretazione

heideggeriana del testo platonico, in particolare a proposito della natu-ra delle idee e del modo in cui è possibile conoscerle (un problema su

cui torneremo più avanti), consideriamo ora da un punto di vista gene-rale la situazione che si produce con il completamento del terzo stadio.L'idea, in questo punto del testo, non è tanto un oggetto che è visto, mapiuttosto ,.la ued,uta (Anblick) dell' "in quanto che cosal'qualcosa che è si

presenta»e; ciò significa che l'idea è il mezzo nel quale "noi scorgiamo(erblicken uir) che cosa og.ni ente è e come esso è, in breve: l'essere del-l'.rt.,ru. In altri termini, la funzione fondamentale dell'idea è "essen-za della luce e del chiaro, la penetrabilità al vedere (Durchlàssenheit fùrdas Sehen)"rt. Ancora: "Ciò che è awistato nell'idea, e in quanto idea",non è l'idea stessa, ma .l'essere...dell'ente"; "l'idea ci fa vedere (sehen)

che cosa l'ente ò perché non è possibile vedere I'ente se non laddoveI'essere è già preliminarmente compreso. L'idea, allora, può essere assi-

milata all'essere stesso, nella misura in cui è, esattamente come la luce,ciò che "lascia passare (Durchlassen)". Insomma, "la funzione fonda-me ntale ( Grundle) stun g) dell' idea è l' essenza fondamen tale ( Gru dw e s en)

dellu lrce,,tz.Tutte queste qualificazioni, come si può facilmente vedere, defini-

scono l'idea come una specie di condizione trascendentale che rende

7 L'essenza della aerità, p. 68.s Ivi, p. 73.o Ivi, p. 76.lo Ivi, p. 77.ll lvi, p. lì2.tz lltid.

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MTUALITADI PT-{TONE

possibile Ia comprensione dell'essere (o, meglio, dell'essere dell'ente).Più avanti nel testo Heidegger precisa in maniera ancora più chiara chele idee in quanto tali "non sono niente "in sé", non sono mai oggetti".Infatti "le idee non sono...affatto oggetti presenti, nascosti da qualcheparte, che si potrebbero scovare per mezzo di qualche incantesimo".Ciò non significa, d'altra parte, che esse siano qualcosa di totalmentesoggettivo, perché «non sono né cose, oggettivamente, né solo alcunchédi escogitato, di soggettivo»13. 1r, conclusione, le idee rappresentano I'a-pertura trascendentale e preliminare dell'essere in quanto tale, meta-forizzata attraverso f immagine della luce, che rende possibile qualun-que comprensione dell'ente, e che, per tale motivo, non sta né dallaparte dell'oggetto né dalla parte del soggetto.

3. È tuttavia ben possibile intravedere, nel testo heideggeriano, unatendenza evidente a "umanizzare"14 questa condizione trascendentale,awicinandola alle strutture fondamentali del Dasein e ai dati tolti dal-I'analitica esistenziale di Sein und Zeit. Notiamo, in primo luogo, che lenozioni di idea e di luce sono, fin dalf inizio dell'analisi del terzo stadio,associate alle nozioni di libertà e di liberazione (nel senso dell'atto diliberarsi, Frei-we.rden). A prima vista ciò pare del tutto owio, dal momen-to che la storia raccontata e commentata da Heidegger è appunto la sto-ria della liberazione dei prigionieri dalla loro cattività sotterranea. Ma ilproblema è che questa llberazione/ libertà, di cui parla Platone nel mitodella caverna, è una llberazione/libertà intesa come proprietà degliuomini, i quali pervengono, durante il loro difficile cammino di risali-ta, a liberarsi dalle loro catene. Di conseguenza, l'interpretazione hei-deggeriana del testo platonico sembra descrivere uno schema esegericosegnato da una fondamentale ambiguità. Da un lato il fine dichiaratodell'analisi di Heidegger è mettere in rilievo un orizzonte ontologicotrascendentale, che coincide con l'apertura originaria dell'essere erende possibile il dispiegamento di ogni verità relativa all'essere del-l'ente, includendo nello stesso tempo il mondo, gli uomini e tutta lanatura non umana. D'altro lato, questo orizzonte sembra strettamentelegato a, o meglio dipendente da, le strutture esistenziali del Dasein: inparticolare la libertà, I'attività progettante, o addirittura la decisionedell'uomo.

Non è diflìcile rinvenire nel testo che stiamo esaminando le traccedi questa seconda prospettiva, ossia di questa specie di umanizzazionedell'orizzonte trascendentale. Heidegser non ritiene, beninteso, che la

t3 Ivi, p. {t7.l4 Srr <ltrcsto tcrna tlell' "trrrriurizzazione" cfr. P. Ciccarelli, il Platone di

I l(ulp{gtt (irr p:rrt. p1r. 47-l I I ).

HEIDECGER E LA DOTTRINA DEI,I,E IDEE

nozione di libertà significhi soltanto una volontà di cui l'uomo ha unaproprietà assoluta. Si tratta, in effetti, di una "liberazione", di "rtn ain-colarsi progettante (ein entwerfendes Sich-binden)". E tuttavia si tratta diuna attività liberatrice messa in opera dall'azione del soggetto che ne èil protagonista, che ha il compito di "abituare progressivamente losguardo dal buio al chiaro"15. Qualche pagina dopo Heidegger, piùchiaramente ancora, dichiara:

Divenire liberi significa comprendere l'essere in quanto talee soltanto questa comprensione fa essere l'ente in quantoente. Che l'ente diventi più o meno ente dipende dunquedalla liberrà dell'uomo...l 6

Questa utnanizzazione della libertà trova il suo corrispettivo, inprimo luogo, nell'attività progettante per mezzo della quale essa mani-festa la sua essenza. Secondo Heidegger

Comprendere l'essne significa: progettare anticipatamente lalegalità e la struttura essenziali dell'ente. Divenire liberi perl'ente, vedere-nella-luce, significa compiere il progetto d'es-sere in cui viene pro-gettata e tenuta davanti una vedutalAnblickl (immagine Ulildl) dell'ente...r 7

In secondo luogo, la prospettiva umanizzante determina anche lanatura dello "scorgere" che è appropriato alle idee: scorgere le ideenon significa semplicemente trovare qualcosa davanti a sé per mezzodello sguardo, ma significa

un guardare (Blicken) nel senso dello scorgere (Er-blicken),vale a dire del formare anzitutto attraverso il guardare e nelguardare ciò che viene scorto (la veduta lAnblickl) - formar-1o an ticipatam ente, pre-formarlo (u or-bilden) 18.

In effetti Ie idee, come abbiamo già visto, non sono nulla in quantotali: "le idee", prosegue Heidegger, "essendo qualcosa di awistato(Gesichtetes), sono solo (se rnai possiamo dire così) in questo vedere chescorge (in diesem Erbkickend,en Sehen)"t9. Non è dunque senza ragioneche un recente commentatore, al quale dobbiamo una parte delle

15 L'essenza della uerità, p. 84.t6 Ivi, p. 86.t7 lhid,.l8 Ivi, p. 97.te lbid.

u3112

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llirll4 AITUALITA DI PI-{TONE HEIDEGGER E I-A DOTTRINA DEI-I-E IDEE

riflessioni esposte fin qui, ha potuto scrivere che l'iòeìv fonda ontologi-camente le idee2o.

La conclusione di questo lungo raeionamento di Heidegger è che lacapacità di svelare, in fondo, è «un accadere - un accadimento cheriguarda l'uomo,,zl. Durante questo evento, è importante aggiungere,ciò che accade all'uomo è una sorta di decisione (Entscheidung),mediante la quale l'uomo diviene "ciò che può essere secondo Ie possi-bilità che gli sono accessibili,22. Per dirlo in termini un po' brutàli, lastoria che Heidegger racconta commentando il mito della caverna èsemplicemente la storia di una conversione, la storia della decisione del-l'uomo di rivolsere Io sguardo verso la luce e I'essere, per mezzo di unascelta spontanea che coincide con Ia sua libertà, cioè la libertà di farsilegare dai legami della verità dell'essere. È come se l'uomo non incon-trasse l'orizzonte trascendentale, che rende possibile la verità dell'esse-re, in quanto stmttura che appartiene all'essere come tale, ma in quan-to è la vera essenza del Do,sein, che in altre parole non è altra cosa chelui stesso. L'uomo, ossia il Dasein, scopre la trascendentalità dell'esserecome struttura essenziale e purificata (questa purificazione coincideappunto con il percorso che conduce il prigioniero dal fondo dellacaverna alla luce del sole) di se stesso: tale struttura, infatti, si esprimecome lo sguardo (Gesicht) dell'uomo, come la libertà/liberazione(Be.freiung/Prei-werden) dell'uomo, come I'attività pro-gettante (Vor-uer-

fen) e pre-figurante (Vob-bilden) dell'uomo, come una decisione(Ents cheidung) dell'uomo.

E vero che Heidegger nega cor:' forza, nel nostro testo, l'interpreta-zione umanizzante, soggettiva, o addirittura relativista, del percorso cheha esposto. Quando dice, in effetti, che la capacità di svelare è un even-to che concerne I'uomo, è ben consapevole del pericolo che ciò potreb-be comportare: ossia che la verità, una volta ridotta a qualcosa di pura-mente umano, sia di conseguenza ridotta semplicemente a nulla23. Larisposta heideggeriana a questa possibile obiezione consiste nel mostra-re che nell'affermazione secondo la quale la verità è qualcosa di umanonon si deve intendere la nozione di uomo (e, più generalmente, lanozione di umanità) in un senso immediato e superflciale. Infatti il per-corso corretto non va dalla conoscenza dell'uomo alla conoscenza del-l'essenza della verità, ma, proprio al contrario, dall'essenza della veritàalla conoscenza dell'uomo: si comprende l'uomo, secondo Heidegger,a partire dall'essenza della verità, e non viceversa. In effetti, a ben guar-

20 P. Ciccarelli, Il Ptntone di Heidegqer, p. 103.2t La dottrina platonica della uuità, p.99.zzrvi, p. to2.23 Ivi, p. 99.

dare, c'è qui la stessa situazione che troviamo nell'analisi esistenziale diSein und 'Zeit, dove, benché Heidegger si sia sforzato di sottolineareesplicitamente la natura ontologica del suo lavoro e di distinguere accu-ratamente tra la nozione di uomo e la nozione di Dasein, la colorituraesistenziale/antropologica può difficilmente essere trascurata. È .o-.se l'accesso alla dimensione della verità, cioè alla syelatezza, fosse sospe-so a una scelta esistenziale molto vicina alla decisione che, in Sein undZeit, segna la differenza tra la condizione inautentica e la condizioneautentica del Dasein.

4. Questa prospettiva, che con una certa approssimazione potrem-mo chiamare "umanistica", è all'opera anche nella frequente utilizza-zione, fatta da Heidegger nel periodo di cui ora ci stiamo occupando,di un'altra importante nozione della filosofia platonica, owero l'ideadel beneza. Nello stesso corso del 1937 / 32 egli dedica a questo tema unintero capitolo. L'orientamento generale della sua lettura si fonda sulpresupposto che l'idea del bene possiede, benché notevolmente ampli-ficate, le stesse caratteristiche delle altre idee: "l'idea somma attendenel modo più originario e più proprio a quello che comunque è già ilcompito dell'idea" E questo compito consiste evidentemente nel "ren-dere possibile essere e svelatezza (etwas uie Sein und Unuerborgenheit mit-erntòglicht)". L'idea, in altre parole, è ciò che «conferisce all'essere e allasvelatezza, in quanto tali,il potere di essere ciò che sono,25. Affinché l'i-dea del bene, così chiaramente segnata in senso assiologico, possa real-mente assolvere questo compito, Heidegger precisa che non la si deveintendere nel suo significato etico, ma secondo il significato greco dellaparola: non si tratta del bene morale, ma di "ciò che è idoneo a qual-cosa e rende idoneo qualcos'altro (was etwas taugt und anderes tauglichmacht) con cui si possa iniziare qualcosa"26. In questo senso l'idea delbene, proprio come tutte le altre idee, non è una cosa o un oggetto,benché trascendente, ma piuttosto un trascendentale, un principio chenon cade sotto la categoria dell'ente ma sotto la categoria della dynamis.Si potrebbe anche aggiungere che è proprio questa connotazione delbene, che segna la natura dell'ente supremo, ciò che dà alle idee ingenerale la caratteristica trascendentale di dynamis, di essere ciò cherende possibile (Ermachtigurg).In altre parole, I'idea del bene rappre-senta, per Heidegger, al grado più alto, la nozione contratta di finalità,di "in vista di" (umwillen o worumwillez), dello sguardo pre-figurante e

pro-gettante che individua la differenza tra il puro ente e la dimensio-

24 V. in proposito l'ottima sintesi di A. Boutot, Heid,egger et Platon, pp.15+181.2s La dottrina platonica della uerità, p. ì 26.2o Ivi, p. 133.

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ATTUALITA DI PI.{IONIi

ne trascendentale della verità, della libertà e dell'essere. Ma allo stessrr

tempo questo primato della nozione di bene, nel senso greco del ter-mine, ha anche l'effetto di rendere in qualche modo inevitabile I'in-flessione antropologica della differenza ontologica, per la buona ragio-ne che è propriamente l'uomo colui che esercita la libertà, che si libe-ra, che inizia a fare qualcosa, che pensa e vive in vista di qualche cosa ('

- in generale - in maniera pre-figurante e pro-gettante. In effetti, a con*clusione della parte del suo corso dedicata al mito della caverna, e subi-to dopo l'analisi dell'idea del bene, Heidegger ripete ancora una voltaciò che si potrebbe considerare come il vero risultato del suo lavoro: "ladomanda sull'essenza della verità è la domanda sulla storia dell'essenza(Wesengeschicàrl) dell'uomo - e viceve1s2". Qualche pagina più avanti,dove Heidegger sintetizza le sue conclusioni, si legge ancora più chia-ramente che

la svelatezza dell'ente e la trasformazione (Wandlung) di que-sta svelatezza sono connesse all'essenza dell'uomo, nella sualiberazione in vista di se stesso, anzi...non sono nient'altro senon il carattere di accadimento che è proprio di questa libe-razione (Geschehenscharakter d,ieser Befreiung)27 .

Non si potrebbe mettere meglio in rilievo I'andatura fondamental-mente antropologica del cammino percorso da Heidegger nel testo chcr

abbiamo studiato.L'importanza che Heidegger, a un certo punto della sua carriera

speculativa, ha concesso all'idea del bene (segnata dai tratti teleologicie antropologici che abbiamo sottolineato) al fine di connotare le sueproprie nozioni di essere e di verità, è chiaramente messa in luce daÌgrande numero di occorrenze di tale principio nei testi che circondanola redazione di Sein und 7-zit. Nel corso del semestre estivo del 1928 (l'ul-timo tenuto da Heidegger a Marburgo, pubblicato nella GA col titoloPrincipi metafisici d,ella logica2a) si legge per esempio che nell'idea delbene bisogna vedere ciò che Platone e Aristotele designano come lo oùévero, cioè

L' lòeo toO oyoOo0, che è ancora oltre l'ente e il regno delleidee, è l'in-vista-di - il che significa: è la determinazioneautentica che trascende la totalità delle idee e le organizzanello stesso tempo come un interoZ9.

27 Ivi, p. 146.28 Metaphysische Anfangsgrùnde der Logtk, GA Bd.26, Frankfurt a.M. 1978 (tr.

it., da cui citiamo, Genova 1990).2e P.219.

HEIDEGGER E I-A DOTTRINA DELLE IDEE

Troviamo la stessa determinazione dell'idea del bene come o0 évertre come l' "in vista di" in un saggio che risale anch'esso al 1928, L'essenza

del fondo.menfdo (poi inserito in Wegmarken), dove Heidegger precisainoltre che essa è "la sorgente della possibilità come tale"3l. Ma è anco-ra più interessante notare che in questo stesso testo Heidegger stabili-sce un nesso assai chiaro tra l'idea del bene e il Dasein:

Nella frase di Platone ènérervo rfrg oùoiog si parla espressa-mente della trascendenza. Ma è possibile interpretare l'o1o-06v come trascendenza dell'esserci? Uno sguardo sia purefugace al contesto in cui Platone discute la questione dell'o-yo06v dovrebbe dissipare ogni perplessità. Il problema del-I'oyo06v è soltanto il punto culminante della questione cen-trale e concreta relativa alla possibilità fondamentale dell'esi-stenza dell'esserci nella noLrg32.

Questa affermazione ci rinvia a un corso tenuto pochissimo tempoprima, ossia durante il semestre estivo del 1927, pubblicato nella GA

con il titolo I problemi fondamentali della fenomenologiass.In questo testotroviamo, dopo un breve riassunto dell'interpretazione del mito dellacaverna più ampiamente esposta nel corso del l93l/32, una afferma-zione molto significativa: "l'ènéretvo tflg oòoiaq è ciò su cui bisognainterrogarsi, posto che I'essere deve divenire oggetto della conoscen-za"3a. Quello che colpisce. in questa citazione, è che qui I'eneretvo tfrqoòoioq, cioè l'idea del bene, ha esattamente lo stesso ruolo che, in Sein

und kit, era appannaggio del Dasein. E ciò sembra sottolineare, ancorauna volta, l'inflessione umanistica dell'ontologia che Heidegger cerca-va di elaborare a cavallo tra gli anni '20 e'30.

5. Tlrtto ciò è in qualche modo confermato dal fatto che la Kehre

degli anni '30, almeno secondo una interpretazione molto diffusa, con-siste proprio in una modificazione decisiva della differenza ontologica:questa differenza, dopo la Kehre, non passa più tra la dimensione tra-scendentale del Dasein e la dimensione ontica dell'ente non umano, matra l'essere e l'ente in generale, dove è chiaro che il vero trascendenta-

30 Vom Wesen des Grund,es,..Jahrbuch fùr Philosophie und phàmenonologi-sche Forschung", l0 (1929), pp. 71-110. Tr. italiana, Segnauia, pp. 79-131.

31 Segnauia, p. 117.

" Irri, p. 116 (ho legeermente rimaneggiato la traduzione).33 Die (hund|roblzme dn Phrinomenologre, GAB,d.24, Frankfurt a.M. 1975 (tr.

italiana, da cui citiamo, Genova 1999).Y tw, p.273.

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Page 59: Trabattoni, Attualità Di Platone

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erruelnÀ Dr pt-aroNli HETDEGGER E r-A DorrRrNA DELLE rDEE

le coincide ora c()rì urì "r'sst.r'r''' rlcl tutto impersonale, mentre la dimen-sione umana vicrr<' r'r'lcg:rtrr rrt:lla zona inferiore della dicotomia. In que-sta prospettiva l:r À,r/r, s.r'cbbe allora una presa di distanza dagli ele-menti antrrrpologizzirnti che persistevano, malgrado Ie stesse intenzionidi Heirlcggcr, sia nelle analisi esistenziali di Sein und lkit, sia nella filo-sofìa di Platone, quale egli la interpretava nella stessa stagione specuÌa-tiva. Ci sarebbe, in fin dei conri, una plausibile (ancorché parziale) rap-presentazione della Kehre come un rifìuto del platonismo.

E tuttavia lecito domandarsi in che senso la filosofra di platorre, especialmente la teoria delle idee che è al centro dell'interpretazioneheideggeriana, possa essere letta alla luce di una preminenza antr.olro-logica. In effetti, se si prende la teoria delle idee in quanto tale senzaaggiungervi troppe frnezze interpretative, pare piuttosto che essa stabi-lisca il primato assoluto clell'oggetto sul soggetto: le idee corrispondo-no infatti all'essere vero, eterno e immutabile, superiore alla dimensio-ne umana, che stabilisce le regole oggettive della verità, della cono-scenza e dell'azione (etica e politica). Se questo è vero, è abbastanza evi-dente che la proposizione heideggeriana secondo la quale Io svelamen-to, o più semplicemente la verità, è un evento che concerne l'uomo,non concorda assolutamente con il platonismo. In Platone, in effetti,sembra piuttosto che l'essere e la verità abbiano un primato e una auto-nomia assoluti, e che l'uomo sia soltanto quell'ente il quale, a certe con-dizioni, può eventualmente prenderwi parte. In realtà è abbastanzacurioso che nel momento in cui, nel corso del 19Zl/22, Heideggercerca di ribattere la possibile accusa di aver ridotto la verità a un sem-plice attributo dell'uomo, è come se si trattasse di esorcizzare una sortadi relativismo protagoreo: «Qhs cos'è l'uomo per poter diventare lamisura di ogni cosa?"35. Il problema che dobbiamo porci ora è dunquequello di capire quali sono le particolarità dell'interpretazione heideg-geriana di Platone che potrebbero far confondere la sua filosofia, omeglio la sua ontologia e la sua epistemologia, con il loro nemico piùpericoloso, ossia il protagorismo.

6. Per rispondere a questa domanda bisogna anzitutto chiedersi checosa accade quando Heideguer cessa di considerare le idee platoniche(e specialmente l'idea del bene) un interessante equivalente della tra-scendenza del Dasein, e inizia a pensare che è proprio la dottrina plato-nica la fonte principale dell'occultamento tanto della nozione origina-ria di verità quanto della differenza ontolosica (che, almeno in un certosenso, ne dipende). Nel corso del 193I/32 non mancano, per la veritaosservazioni critiche che ci permettono di capire che, secondo Heides-

35 L'essenza detla aerità, p.99.

geq Platone non aveva colto in modo del tutto soddisfacente la nozro-ne originaria di verità, owero che nella sua trattazione del problemaerano già presenti i germi di una trasformazione errata del suo signifi-cato. D'altra parte, nella conferenza La dottrina platonica della uerità(dove Heidegger prende nettamente le distanze da Platone) l'analisidel mito della caverna è più o meno identica a quella esposta nel corsodel 19311232: il mito racconta la conquista progressiva, da parte dei pri-gionieri, della dimensione di una verità intesa come svelatezza, mentrele idee, e in primo luogo l'idea del bene, hanno ancora lo stesso ruolotrascendentale che conosciamo. Secondo Heidegger, infatti, per lacomprensione del mito non bisogna limitarsi a ciò che Platone esplici-tamente dice, ma è invece necessario (come egli fa notare fin dall'ini-zio) appellarsi al "non detto", cioè a ciò che resta non formulato neltesto, e che tuttavia è alla base del cambiamento che si verifìca a pro-posito della nozione di verità. In altri termini, Heidegger ora vede nellepagine di Platone una ambiguità inevitabile, che si rende manifesta

per il fatto che Platone, mentre tratta e discute dell'o).f0eto,nondimeno pensa e assume come determinante l'òp06tr1q, e

tutto questo nel corso dello stesso pensiero36.

Il mito, secondo questa nuova interpretazione, «5i fonda sul proces-so non detto attraverso cui l'iòeo diviene padrona dell'o),(0eto"37. Piùprecisamente

Se omnque in ogni comportarsi in rapporto all'ente ci«ì cheimporta è l'iòeiv dell'iòeo, la visione dell' "e-videnza", alloraogni sforzo deve concentrarsi anzitutto nel rendere possibiletrn tale vedere38.

Il passo ora citato è decisivo, a mio awiso, per capire le ragioni pro-fbnde del cambiamento di atteggiamento di Heidegger nei confronti diPlatone: un cambiamento che, nel testo stesso di Heidegger, ha piutto-sto il carattere del non detto che quello dell'espressione manifesta.

L'idea platonica, secondo Heidegger, perde la sua connotazione tra-scendentale precisamente quando ci si accorge che anch'essa appartie-ne al dominio degli oggetti. Infatti l'idea platonica rappresenta la real-tà obiettiva che è vista, evidentemente tramite uno sguardo intellettua-le, da un soggetto che rivolge ad essa la sua attenzione. Non abbiamo

36 Segnauia, p. l86.37 tvi, p. 1B+.38 Ivi, p. 185.

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120 ATTUALITA DI PI-{TONF,

più dunque a che fare, in tal modo, c()n una dottrina che pone i f<ln-damenti di una comprensione trascendentale dell'essere, ma con i datiprimitivi di qualunque ontologia rnetafìsica: un soggetto puramenteintellettualc c un ()ggett() prlrlÌltìclìte intelligibile, e la conoscenza dellarealtà intesa c()Ìrì(ì :t(:('()r'(ì() t.rit i (lue.

Ora, la mia tesi è, in prirno luogo che questa interpretazione tradi-zionalmente metafìsica della teoria platonica delle idee, benchéHeidegger sia stato probabilmente influenzato anche dalla lettura tra-scendentale di Paul Natorp, è presente in tutti i testi in cui il filosofo diFriburgo si occupa di Platone, anche in quelli appartenenti al periodoin cui egli dimostrava, verso il filosofo ateniese, una atteggiamento piut-tosto compiacente; e, in secondo luogo, che Heidegger è stato profon-damente influenzato, a questo proposito, dalle analogie che egli crede-va di vedere tra la conoscenza delle idee in Platone e la nozione di intui-zione categoriale messa a punto da Husserl nella W Ricerca Logica.

7.lniziarno dal primo punto. Nella prima parte del corso del seme-stre estivo 1924/25, dedicato al Sofistazs Heidegger si propone espressa-mente di interpretare la filosofia di Platone a partire da quella diAristoteleao. Ora, questa scelta esegetica ha l'effetto, fra gli altri, di assi-milare I'epistemologia di Platone a quella di Aristotele, e in particolaredi stabilire che c'è, in Platone, la stessa corrispondenza perfetta tra real-tà e logos, ossia tra realtà, pensiero e parola, che troviamo nelle primerighe del de interpretatione aristotelico. Ma questo significa che la possi-bilità di attribuire all'idea platonica la funzione di orizzonte trascen-dentale, e dunque essenzialmente non oggettivabile, è compromessa findal principio. In effetti, nel corso del medesimo testo, Heidegger giun-ge a dire che in Platone uno dei significati fondamentali del l"6yoq

"manifesta la sua identità con l'eìEoq"+t Di conseguenza, come si puòfacilmente vedere, l'idea e il ),6yoq (che, a sua volta, nell'interpretazio-ne di Heidegger significa anche il vo0q+z; intrattengono fra di loro unrapporto puramente e perfettamente speculare, che elimina qualunqueeccedenza trascendentale e fonda la nozione di verità come corrispon-denza (òp06tnq).

Se poi passiamo al corso del I93l /32 possiamo scoprire che il retro-terra esegetico di Heidegger non è mutato a sufficienza per permetter-gli di dare una interpretazione coerentemente trascendentale della dot-trina platonica delle idee. Più volte in questo testo Heidegger scrive che

3e I'laton: Sophistes, GA Bd. 19, Frankfurt a.M. 1992.+o Ivi, pp. 11-12.4l Ivi, p. 201.a2lvi, p.202.

HEIDEGGER E I-A DOTTRINA DELLE IDEE

le idee sono ciò che è "awistato" (Gesehene, Gesichtete), e questo valeanche per l'idea del bene. Questa tesi si accorda evidentemente conl'interpretazione metafisica, ossia aristotelizzante, del pensiero platoni-co. Ma si accorda assai male con la nuova prospettiva trascendentaleche Heidegger mette in rilievo in questo testo. Tutto ciò appare conmolta chiarezzar,ella forte ambiguità che vi si trova a proposito dei rap-porti tra I'idea e la visione: l'idea è allo stesso tempo ciò che è visto (oscorto, awistato) e la condizione trascendentale che rende possibile lavisione (e che, in questo senso, non è né un oggetto né qualcosa di"visto"). Heidegger, è vero, precisa in proposito che

il problema delle idee può essere posto su nuove basi solo se

viene inteso a partire dall'originaria unità che lega assiemeciò che scorge e ciò che viene scorto (Etblichenden undErbkchten)4?.

Ma egli è anche del tutto consapevole, già nel corso del 1937/32,che questo significa andare "al di là di Platone", e che è dunque pro-prio a partire da Platone che "l'intero problema dell'idea è statosospinto a forza in una direzione che ha condotto al suo fraintendi-mento,44. In effetti, tutta l'interpretazione heideggeriana della dottri-na delle idee cade, dall'inizio alla fine, sotto il giogo (come potremmodire utilizzando un'espressione dello stesso Heidegger) della letturaaristotelica del l,6yog e del principio secondo il quale le idee sono l'og-getto proprio awistato dallo sguardo intellettuale del soggetto (un sog-getto che, per parte sua, crede che questo Ldyoq possa arrivare a riflet-tere fedelmente la natura dell'essere). Ma è evidente, allora, che l'u-nica nozione di verità compatibile con questo schema è quella dell'òp-06o1g, e che non può esservi spazio alcuno per la differenza ontologi-ca: in questo modo la dottrina platonica delle idee, lungi dallo stabili-re una differenza e una trascendenza insormontabili, sanziona il domi-nio dell'identità assoluta.

Sarebbe troppo pretenzioso tentare di determinare la ragione pre-cisa per la quale Heidegger non ha mai abbandonato, circa la dottrinaplatonica delle idee, le premesse esegetiche che gli impedivano di faredi Platone un compagno di viaggio nella sua ricerca di una ontologiatrascendentale, persino quando, negli anni che circondano Sein undZ.eit, perseguiva molto seriamente questo obiettivo. Si potrebbe dire, inprimo luogo, che Heidegger aveva forse un po' troppa conf,rdenza nellasua capacità di cogliere in modo intuitivo ciò che signifìca "pensare allagreca". Un esempio di questa fiducia eccessiva è la sua insistenza nello

43 L'essenza della ueritri, p.96.44 lbid.

Page 61: Trabattoni, Attualità Di Platone

123122

stabilire un rapporto immediato tra la storia etimologica di un termince il suo significato concettuale. Egli era convinto, per esempio, che itrtutte le parole in cui compare la radice *id (quali iòeo, eiòoq, ecc.) ilgreco percepisse direttamente un rapporto con la visione, quando inve-ce l'uso corrente aveva già caricato queste parole di significati indipen-denti. Si può vedere, ad esempio, ciò che Heidegeer dice, nello stessocorso del l93l/32, a proposito dell'espressione di Tbetetol84d3. Socratesta parlando di una certa idea unitaria (piov rivo iòeov) responsabiledei processi percettivi, che alla fine si rivela essere l'anima. Ora,Heidegger cerca di mostrare che anche qui si ha a che fare con il feno-meno della visione, al punto di definire l'anima come un «ambito u/zi-lario di apprendibilità che ci circonda, più precisamente: questo a!vi-stato nel suo essere awistato,4r,. Non c'è dubbio che si tratti di un malin-teso, dal momento che Ia parola iòeo ha qui soltanto il significato di"specie". Ma io credo che in senerale, e in particolare nel corso del7931/32, Heidegger abbia forzato la mano ai dati testuali, per giungerepoi a una sorta di interpretazione "panottica" dell'epistemologia plato-nica, ossia centrata sulla visione.

8. La mia ipotesi, come ho detto sopra, è che questa prospettiva siastata influenzata dalla nozione husserliana di intuizione categoriale. Enoto che Heidegger ha spesso richiamato l'impressione profoncla chehanno esercitato su di lui le Ricerche Logiche, e in particolare Ia sesta(non solo per I'intuizione categoriale, ma anche per la nozione ante-predicativa della verità). Questa influenza è del tutto evidente nellepagine che egli dedica all'intuizione categoriale nel corso del semestreestivo del 1925 (pubblicato nelle GA col titolo Prokgomeni alla storiadella nozione di tempé6), ma è confermata anche dalla visione restro-spettiva che Heidegger ha dato del suo pensiero nel 1963a7. Quello cheè interessante per il nostro problema è constatare che ci sono delleconnessioni precise tra l'analisi di certi passi del Tbeteto, tolti dallaseconda parte dello stesso corso dell93l/32, e ciò che Husserl scrivenella VI Ricerco, Logica a proposito dell'intuizione categoriale.Prendiamo in considerazione la sezione in cui Heidegger commenta lecelebri pagine del dialoso laddove Socrate espone a Teeteto l'ultimcrargomento in fbrza del quale la conoscenza non può essere ridotta allapercezione sensibile: persino nell'esercizio della percezione, in effetti,

4s Ivi, p. 206.46 I'rolcgomena zur Geschicltte des 7-eitsbegriffs, GA Bd. 20, Frankfurt a.M. 1979

(tr. it. Genova 1991). Su questo tema vedi D. O. Dahlstrom, Heidegqer's Conceptof Tntth, Cambridee 2001.

47 Zur Sache des Denkens, Tiibingen 1969 (tr. it. col titolo TbmNto ed l)ssere,Napoli l9B0).

ATTUAT-ITA DI PI,ATONI,] HEIDEGGER E I-A DOTTRINA DELLE IDEE

si vede all'opera una conoscenza che ha come oggetto dei dati astrat-ti, quali l'essere, il non essere, il simile, il dissimile, ecc. Ora, il puntosul quale Heidegger concentra la sua attenzione è l'apprensione diconnettivi quali la congiunzions "s"; «percependo il suono e il coloreapprendiamo anche dell'altro: I"'è""48. Questa osservazione ci condu-ce direttamente alla \4 Ricerca Logica, e in particolare al § 40, doveHusserl stila una lista di connettivi, tra i quali troviamo anche la con-giunzione "e". Per Husserl l'evidenza fenomenologica di questi con-nettivi costituisce il presupposto necessario e suffìciente per decretareI'esistenza, a fianco dell'intuizione sensibile, di una intuizione catego-riale. E Heidegger, che evidentemente segue Husserl su questo punto,considera il passo del Teeteto che sta commentando come una specie dianticipazione dell'analisi husserliana.

Ma questo anche significa, allo stesso tempo, che Heidegger trasfe-risce semplicemente le caratteristiche dell'intuizione caregoriale hus-serliana all'interno dell'ontologia e dell'epistemologia platoniche.Quello che qui ci interessa è che Husserl, benché sia consapevole delfatto che I'intuizione categoriale è in certa misura differente da quellasensibile (e che sono proporzionalmente differenti le modalità di riem-pimento). non puo tuttavia rinunciare neppure in queslo caso allanozione di "oggetto" (sia pure inlesa in senso largo). Ecco che cosa scri-ve nel § 45 della W Ritm'u:

Di queste parole [sc. "oggetto" e "percezione"], il cui sensoampliato è naturalmente manifesto, non possiamo fare ameno. In che altro modo mai potremmo infatti designare ilcorrelato di una rappresentazione-di-soggetto non sensibile oche contenga forme non sensibili se ci è preclusa Ia parolaoggetto; in che modo potremmo chiamare il suo attuale«essere dato" o il suo manifestarsi come "dato" se ci è pre-clusa la parola percezione? Così i sistemi, le molteplicità inde-terminate, le totalità, i numeri, le disgiunzioni, i predicati(l'essere giusto), gli stati di cose diventano - in un discorso lacui validità d'uso è generale - "oggetti", mentre gli atti attra-verso i quali essi si presentano come dati, diventano perce-zioni49.

Si sarà facilmente riconosciuto, nella lista di oggetti redatta daHusserl, un ampio insieme di nozioni astratte e generali, in cui le ideeplatoniche sono indubbiamente comprese (si vedano soprattutto i pre-dicati come l'essere giusto). Se si applica, come ha evidentemente fatto

48 L'essenza della aerità, p. 211.49 Cidamo dalla traduzione italiana, Milano l96tì, pp. 415-446.

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ATTUALITA DI PI.{IONI. HEIDEGGER E I.A. DOTTRINA DELLE IDEE 125t24

Heidegger, la dottrina husserliana dell'intuizione categoriale alla teor.i:rplatonica delle idee, se ne ricava che le idee sono degli oggetti visti(scorti) dal soggetto. Le frequenti affermazioni heideggeriane, conrt.nute nel corso del 1937/32, secondo le quali non si deve pensare alk'idee come a degli oggetti, restano dunque lettera morta, dal momentoche la loro natura di oggetti è necessariamente implicita nel fatto ch«.esse sono qualcosa di visto, qualcosa che è preso di mira da un'intui-zione intellettuale. Tutto questo, in realtà, è già pienamente sufficienrcper tagliare la strada all'interpretazione trascendentale e perciò per-decretare la vittoria della lettura metafisica/ aristotelizzante. Non è dun-que necessario, per rinvenire nella riflessione heideggeriana Ie tracce diquesto quadro interpretativo, attendere né i cambiamenti prodotti dall:rKehre né la presa di posizione esplicita contenuta ne La dottrina platoni-ca d.ella aerità. Infatti, come abbiamo visto, questo testo non presen[ìnovirà significative in rapporto al corso del 1937/32: la tesi secondo Ìzr

quale ciò che conta è la visione dell'idea non è altro, a ben guardare,che Ia conseguenza diretta del fatto che le idee sono, in primo luogo,ciò che è awistato; e su questo punto la posizione di Heidegger è sem-pre rimasta la stessa. Ma in questa tesi sono anche impliciti, pratica-mente in modo analitico, tutti i rilievi critici che Heidegger ha in segui-to indirizzato a Platone, a partire dalla riduzione dell'essere all'ente(nella misura in cui l'essere si identifrca con quell'ente determinato chcè l'idea) fino alla concezione dell'essere come pura presenza (l'idea èprecisamente ciò che è pensato come presente dallo sguardo intellet-tuale diretto verso di lei). Ci limiteremo, a questo proposito, a citareuna sola frase, tolta da un corso su Nietzsche, che riassume in modomolto chiaro questa prospettiva: "L'iòeo, I'aspetto visto, connota I'esse-re, e precisamente per quella specie di vedere che riconosce in ciò chevede, in quanto tale, la pura presenza"50.

Si capisce molto bene, di conseguenza, che il tentativo messo inopera da Heidegger verso la fine degli anni '20 e l'inizio degli anni '30di rinvenire nella teoria delle idee di Platone un corrispettivo del suoprogetto trascendentale era compromesso fin dal principio, e dunqueinevitabilmente destinato a fallire. AfIìnché tale progetto potesse averequalche possibilità di riuscita, Heidegger avrebbe dol.lrto interpretare Iadottrina platonica delle idee limitando fortemente, se non semplice-mente togliendo, il carattere visivo/intuitivo della conoscenza noerica,e dunque rinunciando a leggerla sotto la lente husserliana.

9. Tiriamo ora qualche conclusione. Ci siamo chiesti come sia pos-sibile che Heidegger, in un certo momento della sua carriera, abbia

50 Nietzsche, Pfullingen 1961 (tr. it., dacui citiamo, Milano 1gg4, p. 168).

sentito il bisogno di difendere la filosofra di Platone da una obiezioneantirelativista, e antiumanista, che sarebbe stato più corretto sollevarecontro un Protagora. Ora siamo in grado, forse, di dare una risposta.Negli anni che contornano la redazione di Sein und Zeit, quando erasulle tracce di una ontologia trascendentale al cui centro stava lanozione di Dasein, Heidegger ha pensato di trovare una interessanteprefigurazione di ciò nella nozione platonica di idea, e in particolarenell'idea del bene. Questo orizzonte trascendentale era pensato daHeidegger, che anche in questo caso seguiva alcuni suggerimenti hus-serliani, come indipendente e anteriore in rapporto alla distinzionetra soggetto e oggetto. Tuttavia, il primato accordato al Dasein, alme-no in un certa misura, tratteneva il progetto heideggeriano all'inter-no di una dimensione antropologica, o addirittura umanistica, e unodei significati più evidenti della Kehre è proprio il rifruto di questadimensione fortemente soggettiva. Con questo rifiuto, Heidegger harifiutato nello stesso tempo il platonismo, poiché il suo sfnrttamentoteoretico era strettamente legato al progetto di raggiungere un oriz-zonte trascendentale dove gli evidenti caratteri umanizzanti fosseroassorbiti, proprio come nel caso del Dasein, in una prospettiva ontolo-gica più ampia. Le cause per le quali, d'altra parte, Heidegger non è

riuscito a liberare il platonismo da questa dimensione urr,ar.izzarrte,risiedono nell'interpretazione metafisica della dottrina delle idee, cheegli non ha smesso di sostenere dall'inizio alla frne del suo percorsospeculativo. Se si identifrcano le idee con il trascendentale, come a uncerto punto Heidegger ha cercato di fare, I'umanismo presente inesse non è che residuale, dal momento che secondo questa concezio-ne le idee sono pensate come anteriori e indipendenti in rapporto alladistinzione soggetto/oggetto. Ma se Heidegger, alla fine, ha abbando-nato questa ipotesi appunto perché non poteva accettare nepPurequesto umanismo residuale, a più forte ragione era obbligato a rifiu-tare una concezione delle idee in cui i tratti umantizzanti erano deltutto evidenti, in quanto la differenza soggetto/oggetto vi è chiara-mente implicata. Inoltre, è tipicamente heideggeriano vedere nel-l'ammissione esplicita di questa differenza in quanto dato originariodel reale la pura e semplice posizione del primato del soggetto, chediviene così padrone e signore dell'essere e della verità. Come si leggene La dottrina platonica della uerità, con la sostituzione dell' òp06tr1g all'ol"riOer"o la verità "diventa una caratteristica del comportarsi dell'uo-mo in rapporto ull'.r,."u'. E questa svolta segna al medesimo tempo,per Heidegger, I'inizio della metafisica nel pensiero di Platone e quel-lo dell'umanismo nella cultura occidentale5z. Non potremo mai indo-

5l P. l8b.52 Cfr. ivi, p. 190.

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126 ATTUALITA DI PI,AToNI.

vinare che direzione avrebbe preso Ia hlosofia di Heidegger se egliavesse a\uto una concezione diversa del pensiero platonicos3; se av(ìsse adottato, ad esempio, la concezione a mio ar,viso ben più correfl:relaborata dal suo grande allievo Hans Georg Gadamer54.

53 V. in proposito R. J. Dostal, Bqond Bdng: Heùlegger's Plato, ,,lo:urnal of theHistory of Philosophy" 23 (1985), pp. 71-98. L'autore di questo studio muovcdal presupposto che la reale posizione di Platone sia in realtà assai prossima a

quella dello stesso Heidegger, e arralizza le cause per qui quest'ultimo non èpervenuto a riconoscerlo. Alla base di questo mancato riconiscimento ci sareb-be, da parte di Heidegger, una errata "episternologizzazione" del pensiero pla-tonico. Un suggerimento analogo era già stato avanzato da S. Rosen,Heirlegger'Inte$retation of Plato, in Essals in Metaphlsics, Pennsylvania 1970, pp.127-217 (v. in part. p. 140).

54 Per una accurata disamina del modo in cui la diffèrente lettura cli Platoneabbia indirizzato la riflessione di Gadamer verso esiti assi diversi da quelli rag-giunti da Heidegger cfr. F. Renaud, Die fusokratisierung Platons. Die platonischeHermeneutik Hans-Georg Gadamers, Sankt Ausustin 1999 e B. Wachterhauser,Bqond, Being. Oadamers's Post-Platonic Herme.neutical Ontologl, Evanston lggg.

Capitolo W

Dialettica, ontologiaL'interpretazione di

ed etica nel Filebo

Hans Georg Gadamer*

1. Lo scopo di questo saggio è quello di mettere a fuoco il rapportotra ontologia ed etica in alcuni luoghi dell'opera di Gadarner PlatosDiakktische Ethikt, nonché di formulare su questa base alcune domandesul valore e sul significato dell'immagine complessiva da lui propostadella filosofia di Platone.

Analizzando il passo in cui Socrate, r,el lbdone, pone il problemadella causaz, Gadamer spiega che le cause fisico-naturali non possonocostituire il fondamento richiesto, in quanto non sono immutabili3.Dopodiché accenna alla delusione provata da Socrate nei confronti delnous di Anassagora, come se il problema fosse rimasto esattamente ilmedesimo. In realtà il testo del lbdone presenta qui uno scarto tra quel-la che potremmo chiamare la causa formale, che risponde ai problemidel tipo: "per quale causa una cosa è più grande di un'altra?", e quellache potremmo chiamare la causa fìnale, che risponde invece a doman-de del tipo «per quale causa Socrate è in carcere?"". Il problema dellecause finali nel l-edone resta non indagato, ma riemergerà più avanti, inparte nel Filebo e in parte nel Timeo (dove sarà risolto, rispettivamente,con la causa della mescolanza e con il demiuruo).

Gadamer ritiene che questo accada già nel Fedone, dove si annunciauna dialettica tra uno e molteplice che sarebbe in grado già di per sé diprodurre il valore solo e semplicemente esercitandosi come dialettica.La domanda intorno alla vera causa per cui a un determinato oggettopuò essere attribuito un determinato attributo (la domanda che chie-de, come nell'esempio citato sopra, «perché una certa cosa è grande?")produce come risposta la scoperta dell'eidos, tale risposta, a sua volta,apre la strada alla dialettica del Parmenide, del Sof,sta (succintamente

* Intervento tenuto durante The WI Slmposium of the International Plato Society,

Dublino, 23-28 luglio 2007, in via di pubblicazione.I Il titolo completo è Platos dialtktische Ethik. Phoenomenologische Interpreta-

tionen zum "Philebus". Si tratta dell'Habilitationschrift di Gadamer, presentata aMarburg nel 1929, e poi pubblicata nel 1931 (Leipzig). Questo lavoro è stam-pato, con brevi aggiunte nel vol. V delle Gl4z (Tùbingen l9B5), pp. 5-163.Tiaduzione italiana, da cui citiamo, it't Studi Platonici l, Casale Monferrato 1983,pp. 17-184.

2 96a sgg.3 Studi Platonici 1, p. 59.

à

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l2r.r AITUALITA DI PI-dI'oNI (}ADAMER EIL FIIEBO 129

rìe, se occorre istituirle, e da preservare con Ia loro difesa quelle già esi-

stenti,4. Da questo passo risulta con chiarezza clte il bene "quaggiù"rron è immediatamente realizzato dalla sua causa o modello razionale(l'idea), ma ha bisogno del concorso di un soggetto attivo (il filosofo)«:he prima conosca questa causa o modello, e poi proweda a struttura-re la realtà in base ad esso. Tradotto nei termini del Fedone, questo di-scorso indica quali sono le condizioni "formali" per cui una cosa, ove

sia buona, è tale; ossia la sua conformità al modello. Ma per individua-re le cause finali per cui la cosa buona si è effettivamente prodotta, oltreal modello occorre introdurre l'esistenza di una causa attiva altrettantobuona, che ha deciso di porre in atto il bene. In altre parole: se le ideedevono essere anche cause finali oltre alle idee medesime si richiede unsoggetto che agisca "in vista di".

Ecco il motivo per cui la razionalità della cosa, diversamente da

quanto scrive Gadamer, per Platone non coincide immediatamente conla sua bontà. Tutto ciò che esiste, in quanto esiste, ha evidentemente lasua ragione formale nel modello corrispondente. Ma ciò non significa,evidentemente, che tutto ciò che esiste sia buono. Questo è del tuttopacifico sul piano etico e politico: esistono, come si evince da un altroIuogo della Rcpubbtica (472c), sia uomini ingiusti sia il modello corri-spondente dell'ingiustizia. Se la causa finale, come si legge esplicita-mente nel Fedone, ha lo scopo preciso di spiegare perché è meglio che

una cosa sia disposta in un modo piuttosto che in altro (99b-c), allorala causa formale non può bastare: l'eidos dell'ingiustizia fornisce laragione per cui un uomo è ingiusto, ma questa ragione non coincidecerto con la bontà di quest'uomo (non può owiamente costituire laspiegazione del fatto che è meglio che quest'uomo sia ingiusto).

Qui c'è molto probabilmente un problema strutturale interno allastessa teoria delle idee di Platone. Dal punto di vista dell'eidos devonoesistere universali separati per tutti gli insiemi di enti sensibili che mani-festano caratteri simili; ma questo significa che le idee, in quanto cause

formali, rendono ragione tanto di ciò che è bene quanto di ciò che nonlo è, e questo sembra in contrasto con I'indubbia connotazione assiolo-gica che Platone attribuisce al mondo ideale nel suo complesso. Ora,per introdurre un possibile correttivo in questo apparente squilibrionon ci sono che due alternative: 1) attestarsi sul punto di vista dell' eidos

e delle sue leggi di formazione, senza introdurre alcuna causa integra-tiva, e dichiarare semplicemente (al rnodo di Hegel) che tutto ciò che

è reale è razionale (e dunque buono). In questo caso la causa finale e

quella formale sono semplicemente la stessa cosa, e lo stesso uomoingiusto è "buono", poiché la ragione stessa del suo essere (l'idea di

4 IÙ:y,. lx l, rl, tr. Vt gctti.

analizzati nel libro di Gadamer) e der Fitebo (a cui è dedicata la sec.rrr r.rparte del lavoro). Gadamer sovrappone a questa domanda la domirrrrr.rrelativa alla finalità (che nel rbttoÀi emerse solo in un secondo morì(.,to, attraverso la critica ad Anassagora), e prowede di conseguenza:rrlidentificare I'eido.s (insieme all'esercizio diàtettico che ne deriva) c.,,,,.l'oggetto che risponde, nel medesimo tempo, ad entrambe. Leggiar.,,.per sincerarcene, quanto Gadamer scrive i p. b9:

Se ora Anassagora presenta il nous come causa, ciò suscita inlui [sc. socrate] l'aspetrativa. se infatti una reartà spirituale , laragione, def,rnisce le cose nel loro essere, ciò significa chedalla ragione, che le definisce, deriva la loro razìonalità. labontà di ciò che è (e quindi l,essere di ciò che è buono).

L'aspettativa che suscita jn Socrate la proposta di Anassagora consisrt..el fatto che essa ha individuato come ciusi ultima, corretàmente, ur:rrealtà spirituale, owero la ragione. subito dopo Gadamer enuncia r«.motivazioni per cui questa scoperta è rimasta in Anassagora inefficace, t.al_tempo stesso anche le condizioni per cui una realià spirituale prr,,adempiere al ruolo di causa che è chiàmata a svolgere. La prima conrlizione, come si evince_dalle righe che abbiamo citato, è cÉe la ragiorrr.definisca le cose nel loro essere. euesto compito definitorio coinciclt.precisamente con il ruolo che Gadamer, nelle pagine successive del saegio, attribuisce alla dialettica. Ma nella medesimifrase Gadamer spieu:ranche che definire le cose nel loro essere significa mostrarn e ra razi<t-nalità, e che questa razionalità si identifica a sua volta con la bontà. L,cc<rdunque il punto: se Gadamer può sostenere che la dialettica è ir,mt,diatamente anche etica, ciò si deve al fatto che la dialettica non p,irmostrare le cose nel loro essere (la loro razionalità) se non mostrand(>ne la bontà, perché evidentemente bontà e razionarità coincidono._- si assiste in questo modo a una contrazione del modello tecnico (daPlatone pervasivamente applicato in vari campi, dall'etica alla cosmo-gonia) che ha come risultato la riduzione ad uno di due elementi ch.nella versione platonica sono invece tenuti distinti. per platone la cono-scenza della cosa ha come sua condizione fondamentale la conoscenzirdell'idea. ora, per quanto l'idea in quanto tale rappresenti un livelr<rsuperiore alla realtà sensibile anche dal punto di visia assiologico, no.per questo si può dire che il bene sia immediatamente prodJtto, tant.a livello etico quanto a livello cosmologico, dall,idea i, quanto tal.,owero dalla conoscenza deil'idea in (rarto "buona". Èer quant.riguarda il livello etico basrerà citare I'inizio del libro \lI dellaR,pubblica, ladd.ve Socratc spiega che la conoscenza delle cose ch.sono funge da rnodcll., guardando al quale il filosofo sarà in graclo cli"istituire anche qtraggitì, le norme relative alle cose belle e giust'e e bu,,-

§

Page 65: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTUAIITA DI PI-AIoNI.

ingiustizia) è immediatamente anche la sua bontà; 2) attestarsi srrl

punto di vista del valore, introdurre differenziazioni assiologiche rrr'lseno stesso degli eide, e aggiungere come causa un soggetto in grado rlioperare delle scelte.

Ora, mentre Gadamer sembra attenersi alla prima alternativa (l:r

conoscenza dell'eidos rivela la bontà della cosa, e,/o la dialettica coirrr i

de immediatamente con l'etica), Platone pare aver scelto la seconda. Sr'

da un punto di vista ontologico ed epistemologico tutto ciò che esistt' rr

livello ideale è superiore a tutto ciò che esiste a livello sensibile, quesl:rsuperiorità "di valore" non è però traducibile immediatamente srrl

piano etico. Sul terreno etico e politico l'effettiva realizzazione dell:rfinalità buona non potrà prodursi solo e semplicemente in seguito all:rcausalità delle idee (che, come abbiamo visto, non sono solo causa <li

cose buone), ma awà bisogno di un soggetto buono che sceglie, all'irrterno del modello ideale, Ie forme da applicare "quaggiù" in vista clt'lbene che r,,uole attuare: questo soggetto, ad esempio, sceglierà di applicare, tra i modelli che conosce, quello della giustizia e non quello dclI'ingiustizia. Lo stesso dicasi a livello cosmologico: la bipartizione turcosmo sensibile e mondo delle idee non garantisce di per sé che le cosr'siano come devono essere (ossia, per dirla nei termini del Fedones, chccielo e terra siano disposti nel modo migliore); è necessaria l'opera diun soggetto buono (il demiurgo) il quale anzitutto sappia individuart'qual è il modello migliore, e poi Io applichi alla realtà materiale.

In tal modo si profila in Platone un'etica che rimane distinta dal-l'indagine razionale. Mentre Gadamer sembra supporre che la finalitrbuona sia raggiunta nel momento stesso in cui l'analisi razionale è con-clusa (mostrare le ragioni di una cosa significa al tempo stesso mostrar-ne la sua bontà), per Platone pare che I'azione etica entri in gioc<,immediatamente dopo, sulla base del modello tecnico di cui abbiamodetto sopra: l'artigiano/demiurgo, che agisce in vista del bene, selezio-na il modello migliore, e poi lo applica alla realtà. Nel caso di Gadamer,viceversa, è come se il bene fosse già twtto realizzato, e la conoscenzarazionale della cosa ha l'effetto immediato di metterlo in evidenza.

2. È interessante osservare, a questo proposito, che il moclello tecni-co introduce nella filosofia di Platone una metafisica di carattere "onti-co" piuttosto marcata, e sostanzialmente estranea sia a Gadamer sia aipunti di .riferimento teorici di cui egli si serviva per interpretarePlatone. E noto infatti che Gadamer ha sempre sostanzialmente nega-to, o ridotto a metafora, il dualismo metafisico presente in dialoghi pla-tonici come il Fedone o il Fedro (e contestualmente ha imputato alla

5 99b-c.

GADAMER EIL FILEBO

deformazione di Aristotele l'interpretaziorae delle idee come realmen-te "separate" dal mondo sensibile6). Ma è chiaro, per converso, che ilmodello tecnico come lo abbiamo presentato sopra implica una fortepregiudiziale dualistica, owero la possibilità di una interazione oggetti-va tra due mondi che esistono indipendentemente I'uno dall'altro. Losguardo del filosofo, e del demiurgo, deve alternativamente rivolgersiall'uno e all'altro, per cui il cosmo ideale non può essere semplice-mente ridotto alla struttura teorica, immanente nella realtà, in cui simanifestano la razionalità e la bontà delle cose: la razionalità e la bontà,infatti, in questo caso, non possono essere semplicemente bontà e

razionalità delle cose, ma devono essere anzitutto una bontà e una razio-nalità altre dalk cose, e proprio a causa di questa alterità (così Platone)possono essere applicate alle cose. E probabile che questo atteggia-mento di Gadamer sia stato in qualche modo influenzato sia dalla let-tura di Platone offerta da Hegel (centrata sulla dialettica come struttu-ra razionale immanente) e da Natorp (ne parleremo più avanti).

Ma ancora più importante, in proposito, è stata I'influenza diHeidegger. Come dichiarato apertamente dall'autore medesimo, il sag-gio sull'etica dialettica è stato scritto sotto il potente influsso di Essere e

Tbmpù (che, ricordiamolo, era stato pubblicato solo quattro anniprima). Ciò, del resto, è ben visibile in gran parte dell'opera, in cuiGadamer lutllizza e fa sue le analisi esistenziali dell'Esserci proposte inEssere e Tbmpo, nonché tutta la strumentazione linguistica e concettualeadottata da Heidegger in quel libro. Qui ci interessa, in particolare, unparagrafo di tono decisamente heideggeriano, compreso nella primaparte, che ha per titolo 1/ dialogo e il logo§. Quivi Gadamer espone sin-teticamente alcuni temi heideggeriani relativi all'analitica dell'esserci,alla priorità ontologica della nozione di "utilizzabile", alla struttura dell'"in vista di". In breve, Gadamer accoglie l'idea di Heidegger secondocui i fenomeni della finalità e della cura pratica non sono da collegarsia un contesto etico, in cui esistono differenze nette tra un soggetto cheprogetta, una finalità che esso persegue e i valori a cui esso si ispira, madevono piuttosto essere intesi come parti costituenti di una ontologia

6 Cfr., ad es., Die ldee des Guten zwischen Plato und Aristoteles, Heidelberg 1978.

Questo testo è ripubblicato nel vol. \{I delle GW, pp.728-227 e tradotto in ita-liano in Studi Platonici 2 (Casale Monferrato 1984, pp. 149-261). Nel primocapitolo di questo saggio (pp. 155-l 71) Gadamer argomenta in vari modi con-tro la posizione tradizionale secondo cui vi sarebbe in Platone una "dottrina deidue mondi" e contro le def'orrnazit-rni aristoteliche. V. in proposito F. Renaud,Die Resohratisierung Plalons, Sankt Arrgustin 1999, pp. 12-13.

7 Sndi Platonici. 1, p. 4. Qrrivi ò ric<>nosciuto anche il debito nei confronti diNatorp.

8 Ivi, pp. 27-31.

IItii

131130

Page 66: Trabattoni, Attualità Di Platone

132 ATTUALITADI PI-{I'oNI

(ossia quella che Heidegger aveva a suo tempo chiamato "ontologr.r

della fatticità"). Gadamer sembra, in effetti, muoversi completantt'rrt,all'interno della prospettiva heideggeriana (confermata, come è rìo1,,.

ancora molti anni dopo, con la Lettera sull'umanismo) secondo cui l't'trca non è un fenomeno indipendente, ma quasi una proiezione so(()rr

daria dell'ontologia. Se dunque Gadamer legge Platone sulla scol't:r (lr

queste posizioni di Heidegger, ben si capisce perché sia così propt'rrs.ad identificare la finalità con la ragion d'essere della cosa: la trascrizr,,ne hedeggeriana delle strutture pratiche in una ontologia piuttosto t lr,in un'etica fa sì che anche in Gadamer il punto di vista teoretico, r lr,ha per oggetto l'essere della cosa, domini ed assorba dentro di st rl

punto di vista etico, che invece dowebbe avere per oggetto il valol' (,

ben si sa quanto Heidegger fosse sarcastico contro la cosiddetta "fìL rs,,

fia dei valori"). Se si l'uole capire Platone da quello che altt,,t,Heidegger chiamava il punto di vista "greco" la domanda fondamt'rrt.rle che ci si deve porre verte non già sul bene, ma sull'essere della t os,r

dove è chiaro, per il suo discepolo Gadamer, che poi si troverà ant lrt rl

bene, perché il bene è compreso nell'orizzonte dell'essere (e <L ll.r

ragione che lo manifesta), e non il contrario.

3. L'influsso di Heidegger si [a l-ortemente sentire, a mio:tvvi',,anche su un terreno molto più specifico (e particolarmente adatto :rll,

tematiche discusse nel lìlebo), ossia riguardo il problema del bertt' (,,

dell'idea del bene). Notiamo subito che Ia nozione di "idea del lrt rr,potrebbe essere risolutiva riguardo al problema che qui ci intettss.rossia quello di una possibile identifrcazione di etica e dialettica. Se irrl.rt

ti fosse possibile dire che il cosmo ideale di Platone trova non solo il srr,,

culmine , ma in un certo senso la sua sintesi, nell'idea del bene, nc ( ( )n

seguirebbe immediatamente che l'oggetto della dialettica (l'iclt'rr) ',r

identifica senza residui con l'oggetto dell'etica (il bene). In questo t .r., '

l'interferenza tra piano dell'essere (e dunque delle cause razion:rlr ) ,

piano dei valori, di cui abbiamo detto sopra, sarebbe tolta, per< lrt rl

grado supremo della realtà viene a coincidere con il grado suprerto r l, I

valore.Mi rendo conto che parlare dell'idea del bene come "grado stt;,r,

mo della realtà" coinvolge il problema di interpretare il celebre p:rs',,della fupubblicain cui si dice che il bene è ereretvc tqrq, ouoioq. l\1.,

ol,viamente non è questa la sede per farlo. Basterà qui osservart' , 1,,

proprio questa sua condizione "al di là dell'essere" costituisce ulìo rllmotivi per cui Heidegger, prima di risolversi definitivamente a in<[ir .rr,

in Platone il primo responsabile della riduzione dell'essere ad <'trl,

tentò di sfruttare il bene platonico come figura della differeoza ottl,1,,gica. Nel corso del 1927 pubblicato nella G,4 col titolo I problemi fittr,l,,

(}ADAMER ETL FII-EBO

mentali della fenomenologiae, con riferimento al passo della R$tubbliru a

cui abbiamo accennato, Heidegger scrive:

La comprensione dell'essere si fonda sul progetto di un ene-rervo tfrq oòoioq. Qui Platone s'imbatte in qualcosa che chia-ma .ciò che s'eleva al di sopra dell'essere". Esso ha Ia funzio-ne della luce, dell'illuminazione, in ogni disvelamento del-I'ente o, in questo caso, nella comprensione dello stesso esse-relo.

Perciò, prosegue Heidegger poche pagine più avanti, "Diviene ...<:hiaro che lo aTraKetvo rflq oùoioq è ciò su cui bisogna interrogarsi, postot'he l'essere deve divenire oggetto della conoscenza,ll. Poiché però nel1927 la differenza ontologica è ancora pensata nel quadro delle deter-rninazioni fenomenologiche di Essere e Tbmpo, l'idea del bene ha unimmediato riferimento non tanto all'essere al di Ià dell'ente, quanto

l)iuttosto all'Esserci, inteso come ciò che deve essere interrogato pervcnire in chiaro dell'essere in quanto tale. In questo senso nell'idea delllene si rende manifesta «la comprensione dell'essere propria dell'anti-«'hità, la sua origine nella produzione"t2. L'idea del bene, in altre paro-lc, è qui la determinazione ontologica dell "in vista di", al punto cheI leidegger si risolve senz'altro a identificarla con "il òqprupydq, il pro-«luttore per eccellenza. Questo fa già vedere che la iòeo oyoOoO si ricol-It'ga al rolelv, alla np&(rq e alla té1vq nel senso più largo del termine"l3(qui, evidentemente, è in gioco il signifrcato ontologico del termine oyo-06v, inteso più come "buono a" che come valore etico in quanto tale).

Lo stesso tema viene poi ripreso nel saggio, pubblicato per la primav«rlta nel 1929, Dell'essenza del Fondamentor4. Quivi Heidegger collega inrnodo assai preciso la trascendenza di quel bene che è enerervo cflq où-ofoq con Ia trascendenza dell'Esserci. Ecco che cosa scrive testualmente:

Il problema dell'o1o06v è soltanto il punto culminante dellaquestione centrale e concreta relativa alla possibilità fonda-men tale d,ell' esistenza dell' e s s erci nella n6l,rq1 5.

9 Dic Grundproblcme del Phànomenologie, GA Bd. 24, Frankfurt a.M. 1975 (tr. it.I problzmi fondamentali della fenomenol.o§a, da cui citiamo, Genova 1999).

to lvi, p.272.Lt tvi, p.273.t2lvi, p.274.t3 lbid.t4 Vom Wesen d,es Chundes, ,,Jahrbuch fùr Philosophie und phàenonologische

lirlschung,>, 1929, pp. 7l-110. Il saggio è stato poi inserito in Wegmarken,Frank-lrrlt a.M. 1976. Tr. it Segnaria, da cui citiamo, Milano 1987, pp. 79-737.

ts Ivi, p. 116.

Page 67: Trabattoni, Attualità Di Platone

134 ATTUALITA DI Pl-{T()Nl' (}ADAMER EtL FIIÀBO 135

Solo in quanto è determinata nel proprio rapporto unamescolanza è determinata in ciò che è e deve essere, nel suoessere e nella sua bontàlg.

Solo la dialettica perviene alle archai dell'ente, e, alla fine,all'idea del bene, vale a dire: a ciò per cui ogni ente va vistocome stabile nel proprio essere. Essa rappresenta il saperepiù sicuro, in quanto il suo oggetto viene pienamente messoin luce per quello che è. Ciò che è compreso come buono, ècompreso in ciò che lo fa quello che è e deve esserezo.

La "verità", in quanto momento costitutivo della bontà, deno-ta in sé la svelatezza [Gadamer in questo saggio interpreta laverità esattamente come Heidegger, cfr. p. 1371, quindi, larazionalità del rapporto di mescolanzaZI.

Dalla penultima citazione risulta con chiarezza il nesso tra la dialet-tica e il bene (dunque l'etica): se la dialettica ha il compito di rivelare iprincipi dell'essere, e questi principi coincidono in ultima analisi con ilbene, la coincidenza tra dialettica ed etica può darsi per dimostrata. Maquesta coincidenza, in concreto, attraverso quali mediazioni si produ-ce? Anzitutto rappresenta la piena identità tra ciò che è (oggetto delladialettica) e ciò che deve essere (oggetto dell'etica). Tale identità è sve-lata dalle strutture matematico,/estetiche che manifestano l'ente perquello che determinatamente è: limite, misura, proporzione, armonia,ecc. E proprio nella sowapposizione semantica. attiva in questi termini.tra punto di vista matematico e punto di vista estetico che si radica lapossibilità di far coincidere la razionalità dialettica in cui si manifestal'essenza delle cose con la determinazione di valore. Infatti, da un latole strutture matematiche e di calcolo costituiscono l'essenza di quell"opopdq (e dell'attività di ),oyi"(eo0ot in cui esso si esprime) che è ilmotore ultimo della razionalità dialettica; dall'altro la bellezza che ledeterminazioni matematiche mettono in luce si identifica con Ia lorobontà (come osserva Gadamer in uno dei passi sopra citati, bello e benesono per Platone la stessa cosa), che a sua volta coglie, nell'oggetto, lasua conformità a un fine, owero il fatto che tale oggetto è precisamen-te come dovrebbe essere.

In questo modo il bene del Fikbo, che è ad un tempo proporzione,misura e verità, offre la possibilità di dare una risposta unica alle duedomande che si poneva il Socrate del Fedone, cioè quella relativa alla

le Irri, pp. llB-I19.zo Ivi, p. t7tt.21 Ivi, p. 176.

Il motivo per cui l'idea del bene può essere interpretata in qu(ìsl()modo è il nesso che intercorre tra oyo06v e o0 iiveKo:

L'essenza dell'oyo0ov sta nell'essere potenza che disponedi se stessa in quanto où éverco; in quanto "in vista di" essoè la sorgente della possibilità come tale. Siccome poi il pos-sibile dimora più in alto del reale, f1 toO oyoOoO é(rq è lasorgente essenziale della possibilità, per(6vog flpr1rsovlResP.509vlta.

L'idea platonica del bene si ricollega dunque all'Esserci di Essur ,

Tbm.po, perché essenza dell'Esserci è proprio la progettualità, I'agire irr

vista di, il prendersi cura.Ora, tanto l'analisi della struttura dell'Esserci ir Essen e Tbmpo quan

to la particolare interpretazione dell'idea del bene offerta da Heideggt'rin quegli anni costituiscono il retroterra ben facilmente individuabilt'dello scritto gadameriano. L'idea del bene non rappresenta quel purooggetto del conoscere a cui il soggetto "buono" deve guardare per pot('lrealizzare il bene nell'uomo, nella polis e nel cosmo. In questo caso,

infatti, Ia progettualità e la finalità sarebbero collegate al soggetto clrt'agisce, il quale è determinatamente diverso dal modello conosciuto. Alcentro delle considerazioni di Heidegger, infatti, c'è il principio secon-do cui essere, valore e progettualità sono indissolubilmente fuse insir'me nella stessa idea del bene: non esistono un filosofo, o un demiurgo,che agiscono "in vista di", perché il bene stesso è l' "in vista di cui", ilbene stesso è il demiurgo. Quello che ne risulta è che la conoscenza dcl-l'essere della cosa si identifica senza residui con la conoscenza dell:rstruttura progettuale che costituisce la sua essenza ontologica, e dtrtt-que che I'essere (l'oggetto di conoscenza) e ll bene (il fine della prr>gettualità etica) frniscono per identifi carsi.

Tirtto ciò trova puntuale coincidenza sia nell'assimilazione gadamt'riana di dialettica e etica sia nel modo in cui egli tratta, nel saggio di crriparliamo, del bene (e dell'idea del bene). Ecco alcuni esempi:

Il "concetto teleologico del bene" è il concetto fondamentaledell'ontologia platonica. Essere buono ed essere determina-to, in fondo, significano la stessa cosa17.

Questo carattere Isc. Ia conformità alla misura] costituiscel'essenza sia del bene sia del bello. "Bello" e "buono" è ciò acui non manca nulla e a cui nulla deve essere aggiuntol8.

16 Ivi, p. 117.t7 Studi Platonici 1, p. 1 16Itì Ivi, p. 117.

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AITUALITA DI PI-ATONI. GADAMER E IL FIIEBO t37r36

causa formale e quella relativa alla causa finale: la struttura formalr'della realtà manifestata dall'eid,os (e, al suo livello eminente, dall'id<'rrdel bene) è al tempo stesso la sua ragion d'essere finale. Per trovare I'"in vista di", in altre parole, non occorre individuare qualcosa che stirral di fuori dalla razionalità dialettica, ad esso immanente, dell'enl(.medesimo, perché non è possibile rendere ragione di questo ente p(.1

come è se non dicendo anche le condizioni che fanno sì che esso sirr

esattamente come dowebbe essere. Il risultato, come abbiamo anticiprrto sopra, è che il modello tecnico attivo nell'etica platonica viene serrr-plificato mediante l'appiattimento di due termini l'uno sull'altro (ilmodello formale e il soggetto che agisce secondo fini). Nulla potrebbt'esprimere più chiaramente questa modifica che la frase di Heideggercitata sopra, secondo cui I'idea del bene è il demiurgo, ossia il produt,tore per eccellenza. Posto che l'idea del bene risolve in sé l'essere e ilvalore, la forma e il fine, non c'è più bisogno (né nella polis né ndcosmo) di un produttore a cui l'esecuzione del bene sia affidata comt.sua propria responsabilità.

4. Ma, owiamente, potremmo chiederci se sia dawero corretto iden-tificare I'idea del bene con il demiurgo; oppure, per stare al Fikbo, se norìè forse vero che la causa della mescolanza introduce un principio diver-so dal bene (sia esso da individuare nel limite, o, come vorrebbt.Gadamer, nel limitato), e non identificabile con esso. In una paginaimportante del libro lo stesso Gadamer sembra riconoscere che le cost'stanno appunto così. Quando viene a parlare della causa della mescolan-za Gadamer tenta di mostrare perché questo quarto genere è necessariocome gli altri tre. I1 nerbo della sua argomentazione consiste nel distin-guere, all'interno dei quattro, ciò che vale solo come principio ontoloei-co e ciò che invece ha una determinatezza or,tica. Se capisco bene cher

cosa Gadamer luol dire in questa pagina, la qualifica di "ontologico" si

riferisce a principi generali dell'essere, mentre quella di ontico a realtàeffettivamente esistenti. Se si può dire, di conseguenza, che I'indetermi-nato, il determinato e la stessa mescolanza hanno carattere ontologico, si

deve però dire che il misto (owero il risultato di questa mescolanza) hacarattere ontico. Natorp non ha saputo offrire una spiegazione adeguatadel terzo genere proprio perché non ha riconosciuto l'incidenza, neiquattro generi, di ciò che è ontico. Egli, in particolare, «nel terzo generescorgeva unicamente il senso ontologico della legge", quando invece -sempre che io capisca correttamente l'osservazione di Gadamer - essomanifesta anche Ia natura ontica (intesa come realtà concretamente esi-stente) del misto che ne deriva. Ora, è appunto questa onticità del mistoil motivo per cui si rende necessario introdurre una causa della mesco-lanza (che dunque avrà un carattere ugualmente ontico):

Questa unione di indeterminato e determinazione è insiemela determinatezza di un rapporto ontico. Mediante la deter-minazione dell'indeterminato viene realizzatz I'unità di real-tà (Vorhandcnr-m) opposte. Il determinato non è, perciò, prin-cipio, ma risultato dell'unione. In quanto però così realizzato(Hegerstelltes) esso rimanda a un realizzante (Her*ell,endes),che lo precede, a qualcosa che non è nel causato, ma al con-trario deve preesistere perché il causato possa essere22.

Poco più avanti, poi, prosegue:

Per quanto sia vero che Ia misura determinante "trasforma"l'indeterminato in determinato, è certo che non riveste ilcarattere della causa...ll realizzando (Herzustellendas) deveessere uislo (gesehen) come qualcosa da realizzare, da mesco-lare in un determinato rapporto quantitativo23.

Ora, se questo è vero sembra tornare in causa il modello tecnico intutta la sua forza. Se I'incontro dei generi opposti deve avere per risul-tato un Vorhandenes (si noti il termine heideggeriano), ossia qualcosache ha una determinatezza ontica, allora i principi ontologici non sonocause sufficienti. Nei termini di una celebre critica che Aristotele hamosso contro le idee di Platone, le idee in quanto forme non possonoessere causa sufficiente della produzione effettiva delle cose, poichénon possono essere principi di movimento: è un uomo che genera unuomo, non la sua forma. Gadameq argomentando contro l'interpreta-zione puramente trascendentale della dottrina platonica delle idee,sembra qui riconoscere proprio questa necessità: affinché la cosa effet-tivamente si produca (e insieme alla cosa, owiamente, la sua bontà),occorre un produttore il quale veda l'oggetto da realizzare come cosa

buona. Eccoci dunque di nuovo in presenza, come abbiamo detto, diun modello tecnico prowisto di tutte le sue componenti, e in partico-lare di un soggetto che agisce "in vista di". Ne risulta, se questo è vero,che il demiu.go .ron può più essere identificato con l'idea del bene. Èaltresì molto plausibile, anche alla luce della letteratura secondaria sul-l'argomento, che la causa della mescolanza del Filcbo debba essere inter-pretata proprio in questa chiave: in quanto voOq, essa anticipa e prefi-gura con una certa chiarezza la natura ed il ruolo che il demiurgo svol-gerà nel Timeo; wn demiurgo che, come è noto, è accuratamente distin-to dal modello a cui egli si ispira.

Nel libro di Gadamer, tutl"avia, questa linea tematica resta senza svi-

22 Ivi, p. 119.23 Ivi, p. 120.

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I

AITUALITA DI PI-ATONI.] GADAMER E IL FILtsBO t:t1)l3tl

luppo. Subito dopo Ie righe che abbiamo riportato, infatti, Gadamer'sembra propenso a interpretare la causa della mescolanza più come utìprincipio di intelligibilità del reale che come il principio responsabilt'della sua effettiva realizzazione:

Il eenere della causa...è il momento in cui soltanto viene vera-mente in luce il senso dell'essere: l'essere di un ente non stanell'incontro tra una misura determinata e una materia deter-minata, bensì nel fatto che I'ente venga concepito come unitàin virtù di questa determinazione quantitativa, che vengacompreso, sia enunciabile e, quindi, rea\zzablle come identi-co. Soltanto l'enunciabilità del rapporto di una mescolanza è

ciò che fa sì che un ente sia questo e quello. I rapporti dimescolanza non enunciabili, pur non stando accanto aglienunciabili, non hanno il carattere della determinatezza edell'essere. La loro realizzazior,e manca di lbndamento stabi-le. Alla determinatezza appartiene sostanzialmente la lorosv elatezza ed enunciabilitàz4.

Ora, è vero che in questo passo I'enunciabilità non esclude l'atto delrealizzare, perché in un certo senso ne costituisce il presupposto. PerriGadamer, in realtà, non tornerà più, nel corso del suo saggio, a trattarela causa della mescolanza alla luce del rapporto ontico tra realizzante,realizzando e realizzato, ma ne parlerà soprattutto dal punto di vistaontologico. Si legge ad esempio, parecchie pagine dopo:

Ne risulta cl:.e 1l nous non viene preso in considerazione izquanto causa, bensi come conformità della mescolanza allaragione, come noi diciamo: "che c'è intelligenza nella cosa".

Qui pertanto 7l nous è una determinazione oggettiaa. Di qui lavicinanza di nous e "verità", stabilita quasi per gioco in 66b6.La verità è il correlato oggettivo del nous. Anzi, ciò che vamescolato è qui, come là, 1l nou§25.

Come ben si vede, qui il nous non solo è principio di razionalità e diintelligibilità della cosa (e dunque di enunciabilità), ma è altresì unprincipio oggettivo interno ad essa: coincide con la verità immanente diquesta cosa, che in quanto tale non può esserne distinta. La sua funzio-ne di causa della mescolanza non viene quindi assolta dall'esterno, daun principio ontico che ha la funzione di produrre il misto tramite lamescolanza medesima, ma da una causa che è essa stessa mescolata. Maciò determina, di nuovo, l'eclissi del modello tecnico: se il nous è parte

24 lbidem.25 Ivi, p. 179.

della mescolanza, 7l nous è semplice metafora della verità. Perciò ilruolo del soggetto attivo buono che agisce "in vista di" rimane deserto,e il demiurgo torna a identificarsi con f idea del bene.

5. Nel corso dei suoi successivi studi platonici Gadamer manterrànel complesso la medesima posizione, che del resto è ben coerente conil suo rifruto di prendere sul serio il dualismo metafisico di Platone. Daquesto punto di vista azzarderei a dire che Gadamer ha continuato a

leggere la dottrina platonica dei principi alla luce del neokantismo diNatorp. Ciò non significa, naturalmente, che Gadamer accettasse in toto

la lettura di Platone offerta da Natorp. La linea di continuità consistenel fatto che Gadamer ha di norma interpretato le istanze dualistiche e

metafisiche presenti nei testi platonici non già come un controfattocapace di mettere in crisi l'interpretazione trascendentale, ma piuttostocome stimolo ad articolare e complicare la stessa interpretazione tra-scendentale per permetterle di comprendere dentro di sé quelle istan-ze, una volta private della loro coloritura metahsica. Un esempio effi-cace di questa procedura è offerto proprio dal trattamento della causa

della mescolanza, o nous, proposto nel saggio sul Filebo.

Vorrei soffermarmi, per finire, su alcune conseguenze di caratteregenerale collegabili a tale atteggiamento. La prima chiama in causa, dinuovo, Heidegger. La traduzione della finalità in termini ontologici, lariduzione del valore all'essere e l'appiattimento dell'attività demiurgica(sia essa cosmica o politica) sull'idea del bene ha conseguenze teorichedi vasta portata. Se la determinazione del vero essere della cosa è in paritempo la determinazione della sua piena e perfetta conformità al suo

fine, I'unica conclusione possibile è che tutto ciò che esiste è già esat-

tamente come dowebbe essere. In Heidegger mi sembra del tutto evi-

dente che I'assorbimento della progettualità etica all'interno dell'onto-logia prefigura il carattere destinale dell'Esserci e l'interpretazione deldivenire come evento. Non c'è nulla che l'uomo possa fare in vista delbene, né nel cosmo né nella polis, perché la progettualità non è appan-naggio della libera spontaneità del soggetto (inteso come soggetto "tec-

nico"), ma è inscritta nella struttura stessa dell'essere: se Ia causa è laverità stessa, se il demiurgo è il bene, il corso degli eventi è determina-to sempre e solo dalla natura progettuale dell'essere, e l'uomo non viha parte alcuna. Ne derivano, a mio awiso, sia l'insofferenza cheHeidegger ha sempre dimostrato nei confronti dell'etica, sia il conser-vatorismo di marca lontanamente hegeliana che grava inevitabilmentesia sugli studi platonici di Gadamer sia sull'ontologia ermeneutica nelsuo complesso.

Qui però si apre uno scenario troppo ampio, che non può essereintrodotto in questa secle. Più pertinente al nostro tema è chiederci

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ATTUALITA DI PI-A.TONF,

quale ruolo giochi, all'interno dell'immagine di Platone proposta daGadamer, la riduzione della causa della mescolanza in termini di razio-nalità e di enunciabilità. La possibilità di individuare in Platone, sullabase del Filcbo, wa eventuale identità tra ontologia, dialettica ed eticadipende dalla fondatezza di questa interpretazione: occorre decidere,in altre parole, se è vero che ciò che in Platone rimane uguale a se stes-so, e dunque ha funzione di principio ultimo della realtà, possa dawe-ro essere inteso in termini di linguaggio, ossia di un intelletto ridotto acondizione di comprensibilità e di enunciabilità (un nozs mescolato enon separato). La risposta a questa domanda è decisiva per valutare l'in-terpretazione "antidualistica" (e dunque neokantiana nella sostanza)che Gadamer dà di Platone.

Capitolo WI

Jacques Derrida e le origini grechedel logocentrismo (Platone, Aristotele) *

1. Come ha scritto sinteticamente Gianni Vattimo, "il programmadecostruttivo derridiano...è un programma di oltrepassamento dellametafisica analogo a quello di Heidegger ma anche caratterizzato daalcune specifiche connotazioni"; in particolare "l'identificazione dellametafisica con il fono-logo-centrismo della cultura occidentale"l. Quellache in Heidegger si configura come metafisica della presenza in Derridaappare contrassegnata dalla centralità della voce, della parola parlata chesi illude di poter realizzare la piena presenza del soggitto a ie stesso. Èper tale motivo che la metafisica e l'ontologia dominanti nella storiadella cultura occidentale hanno dovuto allontanare ed esorcizzare Iascrittura, perché essa è caratterizzata dalla dialettica del rinvio, dell'alte-rità, della dislocazione: in poche parole, da una d,eformazione originaria(cioè da sempre in atto, e non derivata da alcuna forma) che fa apparirela realtà, strutturalmente, come differenza e non come presenza.

Uno dei testi chiave in cui Derrida espone questo rapporto, ad untempo conservativo ed innovativo, con Heidegger, è indubbiamenteDella grammatologia. Citiamo qualche passo significativo. La scrittura,ossia la vittima dell'esorcismo metafisico, sarebbe Ia

traduttrice di una parola piena e pienamente presente (pre-sente a sé, al suo significato, all'altro, condizione stessa deltema della presenza in generale), tecnica al servizio del lin-guaggio, porta-uoce, interprete di una parola originaria a suavolta sottratta all' interpretazione2.

Ne deriva che ... .il fonocentrismo si confonde con la determinazio-ne istoriale del senso dell'essere in generale corne presenzs,'3, ed in que-sto è solidale, come abbiamo letto nella citazione di Vattimo, con illogocentrismo:

* Jacques Derrida e le origini greche d.el lagocentrismo (Platone, Aristotele), "lrrde.

Filosofia e discussione pubblica", 17 (2004), pp. 547-568.I Denida e l'oltrepassamento d,ella meturtsica, in.f . Derricla, La scrittura e la dilfe-

renza,Torino 1990. p. XI.2J. Derrida, De la Grammatologie,Paris t9tì7 (tr. il. (li (;. l)almasso, Milano

1998, d'ora in poi G, da cui citiamo; qrri p. 25).s G, p. 31.

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ATTUAI,ITA DI PI-AIONI., DERRIDA E IL LOGOCENTRISMO t43142

Tutte le determinazioni metafisiche di verità [cioè tutto quan-to si può riassumere come metafisica della presenza] ...sonopiù o meno immediatamente inseparabili dall'istanza dellogos o da una ragione pensata nella discendenza dal logos...l'essenza della phone sarebbe immediatamente vicina a ciòche nel "pensiero" come logo.r è in rapporto col "senso", loproduce, lo riceve, lo dice, lo raccoglie"4.

Stando così le cose, Derrida può affermare:

La storia della metafisica, ad onta di ogni differenza, e rronsolo da Platone a Hegel (passando pure per Leibniz) maanche, al di fuori dei suoi limiti apparenti, dai presocratici aHeidegger, ha sempre assegnato al logcts l'origine della veritàin generale5.

Ed è appunto per tale motivo che la tradizione metaJìsica ha dol,utodisinnescare la minaccia della scrittura, promuovendo la sua rimozioneal di fuori della parola "piens"o.

Tralasciamo, in questo lavoro, di discutere alcuni presupposti assaiawenturosi su cui si fonda I'analisi di Derrida (e in parte già quella diHeidegger): che si possa parlare dcllametafisi.2T; che la storia filosoficadell'occidente sia la storia della mctafisica; che siffatta metafisica si con-figuri come metafisica della presenza e come ontoteologia8; che (lo spc-cifico derridiano) la metafisica occidentale abbia tentato di esorcizzarela scrittura. Non ne parleremo, come detto, anche se a parere di chiscrive tutti questi presupposti sono piuttosto falsi che veri: e ciò sarebbegià sufficiente per ridurre a quantité négligeablz tutta una certa koiné filo-sofica che va da Heidegger a Derrida e oltre (si tratta precisamente diquella parte della hoiné ermeneutica, per citare ancora Vattimoe, alter-nativa in rapporto a Gadamerlo).

a G, p.29.5 G, p. 20.6 Ivi.7 Cfr. In proposito E. Berti, Introtluzione alla metafisica, Torino 1993.8 L'ontoteologia, propriamente parlando, dovrebbe indicare quella posizio-

ne filosofica in cui Dio àl'essere (la cosiddetta "metafisica dell'Esodo"). Ma inquesto caso è del tutto errato attribuirla a tutta (o anche solo a gran parte) dellatradizione filosofica occidentale. Quello che è certo, in ogni caso, che Platonee Aristotele non hanno nulla a che fare con essa.

e Cfr. G. Vattimo, Ermeneutica come koinè oAur-Aur, 217-278 (1987), pp. 3-11.10 oAccanto ai tentativi di lasciarsi alle spalle il "linguaggio della metafisica"

con l'aiuto del linguaggio poetico di Hòlderlin, solo due vie mi sembrano per-corribili, e sono state percorse per mostrare, contro l'addomesticamento onto-

Nella s/ona della metafisica così intesa si presentano in scena trediversi protagonisti: la parola (phonel ,11 logos e la scrittura (11 gramma-owero, con una sowadeterminazione semantica di cui diremo più avan-

ti, la traccia). Ora, se è facile dire che cosa sono la phone e 7l gramma,meno facile è capire che cos'è il logos. Nel passo derridiano citato pocosopra il lagos si pretende come un pensiero che è immediatamente inrapporto col senso (e che troverebbe nella voce una rappresentazioneall'apparenza fedele, non dislocante e differenziante come la scrittura) .

Dunque la metafisica suppone la presenza di un senso o una verità ori-ginari, fondativi, immobili, e ad essi correla la presenza ditrn logos/pen-siero capace di cogliere questo senso/verità senza dis-trazioni, rimandi,differenze o rinvii.

Ma dal testo di Derrida subito salta agli occhi un problema: 11 logos

crea il senso o 1o riceve? e se lo riceve, lo riceve da chi? La pagina der-ridiana non aiuta a operare la distinzione; piuttosto, identifica - o trat-ta come indifferenti - le due cose. Parlando di ciò che nel pensierocome logo.r è in rapporto col senso Derrida scrive: "lo produce, lo rice-ve, lo dice, lo raccoglie". E dunque? il senso si produce nel /ogos, o illogoslo riceve da altro, lo raccoglie da altro, lo dice perché (forse) l'haudito? Sono domande tutt'altro che irrilevanti: se infatti il logos "riceve"il senso, allora non si può dire che sia "l'origine della verità in genera-te" (p. 20), e viene così messa in forse la consistenza dell'opposizionederridiana tra gramma e logos.Un logos che riceve il senso, e non 1o pro-duce, non sarebbe con questo ancora identico alla traccia derridiana,che è traccia senza origine; ma aprirebbe la possibilità che anche il /ogos

sia traccia. Se così fosse, la battaglia antimetafisica del mezzo emisferoermeneutico a cui accennavamo sopra si troverebbe privata del bersa-glio più grosso, appunto 1l logos: nella "metafisica della presenza" il logos

brilla per la sua assenza; non è ma ha, non fa ma riceve.

Quanto abbiamo ipotizzato sopra ci basta, al momento, per intro-durre un sospetto. La voce, per Derrida, è maschera meno visibile dellametafisica della presenza. Ma che ragioni si hanno per dire che il logos

sta dalla parte della presenza (non della assenza) e dell'identità (nondella differenza)? In altre parole: come si passa dal fonocentrismo allogocentrismo? Perché la metafisica della presenza coincide con il logo-centrismo?

logico che è proprio della dialettica, un cammino che conduca all'aperto. Unaè la via che dalla dialettica risale al dialogo e al colloquio. Ho cercato io stesso

di percorrere questa via con Ia mia ermeneuLica filosofica. L'altra, che è statamostrara soprattutto da Derrida, è stata la strada della decostm2l6ns", H.G.Gadamer, Distruzione e Decostruzione, in Wahrheit und Methorle 2, Tiibingen1986/1993 (rr. ir. di R. Dottori, Milano 1995, pp. 329-330).

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745744 ATTUALITA DI PI.{TONI., DERRIDA E IL LOGOCENTRISMO

Verifichiamo questo passaggio su alcuni testi di Derrida, iniziand<rdalla Ctrammatologia. In un luogo che abbiamo già riportato si legge:

Si comincia dunque a presentire che il fonocentrismo si con-fonde con la determinazione istoriale del senso dell'essere ingenerale come presenzall.

Poche righe sotto si legge invece:

Il logocentrismo sarebbe dunque solidale con la determina-zione dell'essere dell'ente come presenzal2.

È du *.,ppo.re che le righe intermed.ie tra le due frasi contengano l('ragioni del passaggio dal fonocentrismo al logocentrismo. In realtà tro-viamo soltanto, tra parentesi quadre, una serie di indicatori asintotica-mente connessi:

lpresenza della cosa allo sguardo come eidos, presenza comesostanza/essenza/esisten zz (ousia), presenza temporale comepunta (stigma) dell'adesso o dell'istante (nun), presenza a sé

del cogito, coscienza, soggettività, con-presenza dell'altro e disé, intersoggettività come fenomeno intenzionale dell'ego,ecc'l 13'

Non è difficile rinvenire in queste parole un rapido sunto diacroni-co della "metafisica occidentale" da Platone a Husserl, passando perAristotele, Cartesio, Kant (e forse anche il neoplatonismo e I'ideali-smo).

Soffermiamoci sul primo degli indicatori tra parentesi quadra: "pre-senza della cosa allo sguardo come eidol'.Il riferimento, ga aa sans dire,è Platone, ritenuto l'iniziatore della "metafisica della presenza": I'esserein senso eminente (ontos on) è eidos, ed è accessibile allo sguardo comeuna cosa presente. Ma questo non è ancora logocentrismo, poiché losguardo è cosa ben diversa dal logos (ci può essere uno sguardo senzalogos). La "presenza della cosa allo sguardo come e)do§' indica piuttostoun "videocentrismo": ossia un pensiero che 1) intende l'essere comepresenza e 2) ritiene conoscibile questo essere mediante uno sguardo,una visione, una intuizione intellettuale, una forma qualunque di men-

tal grasp. Se c'è anche /ogog oltre a questo, per ora non sappiamo.Perché 1o sguardo sull'essere sia indice di logocentrismo occorre evo-

tl G, p. 31.12 lbidem.tz lbidem.

care una terza proposizione: 3) lo sguardo interiore è riproducibilefedelmente da un logos, da una parola/voce interiore. Senza questaterza proposizione, 1l logos (e il logocentrismo) non entrano in gioco.

Il rapporto tra fonocentrismo e logocentrism o è analizzato in detta-glio da Derrida ne La aoce e il fenomeno.In questo saggio il filosofo fran-cese, prendendo in considerazione soprattutto la Prima Ricerca Logica diHusserl, vuole dimostrare che Ia fenomenologia si trova ancora all'in-terno della metafisica della presenza e del logocentrismo. A parere diDerrida, in effetti, per Husserl la condizione conoscitiva originariasarebbe il monologo interiore, in cui il linguaggio gode di una espres-sività pura, mentre senso e significato sono immediatamente presenti alsoggetto; la scrittura, per contro, rappresenterebbe l'impurità del"fuori", che introduce Ia differenza, la ripetizione, la dislocazione.L'intenzione di Derrida è quella di mostrare che una simile contrap-posizione non sussiste, perché qualunque espressione linguistica, nonimporta se esterna od interna, inaugura

una catena di ripetizione che precede e supera la...intenzio-ne di significato, la altera costitutivamente, la devia da se stes-sa14.

Non c'è, dunque, una reale differenza tra monologo interiore e lin-guaggio esterno, tra intenzione rappresentativa e intenzione comuni-cativa: laddove c'è linguaggio, lì sono già all'opera la ripetizione, ladecostruzione, la differenza.

L'idea che il monologo interiore sia il luogo dell'espressione pura(o integrale) deriva, per Derrida, dal fatto che si suppone "un legameessenziale tra I'espressi one e la phonà'l5. Ma in realtà la superiorità deltavoce è solo apparente. Tale apparenzadipende dal fatto che, nel rrlezzovocale,

il "corpo" fenomenologico del significante sembra cancellar-si nel momento stesso in cui è prodotto. Sembra appartenerefin d'ora all'elemento dell'idealità. Esso stesso si riduce feno-menologicamente, trasforma in pura diafanità l'opacità mon-dana del suo corpo. Questa eliminazione del corpo sensibilee della sua esteriorità è per la coscienzalaforma stessa della pre-senza immediata del significato16.

la C. De Martino, Oltre il segno. Denid,a e tesperienza, tlellimpo.ssibite. Milan<r2001, p. 89.

15 La uoix et le phénomèna, Paris 1967 (tr. italiana cli (1. [):tlrn:rsso, Milirno1968, d'ora in poi \IF, da cui citiamo: qui p. 111).

16 \T', p. t 12.

Page 73: Trabattoni, Attualità Di Platone

I*l

t47146 ATTUALITA DI PT-{TONI, DERRIDA E IL LOGOCENTRISMO

Dunque la voce ("ncl senso fènomenologico e non nel senso rlisonorità intramondana l7) è quella particolare materia espressiva ca[)iìce di nascondere accuratamente se stessa, di apparire come trasparent('e nulla, e dare così alla coscienza l'illusione di avere il significato conrcimmediatamente presente.

Ma non è tutto. Per Derrida gli elementi distintivi che caratterizzantttla voce non sono semplicemente correlati, in modo estrinseco, allrrmetafisica della presenza. Essi,. al contrario, costituiscono I'origine clt.lconcetto stesso di "presenza". È l. vo.e ciò che istituisce I'esseie conrt.presenza (e la conoscenza come presenza immediata a sé del signifir:l-to), perché la sua azione ha I'effetto di occultare la differenza, e lìusembrare che originaria sia l'identità, quando invece lo è la differenzlr(che, al di fuori dell'illusione, in realtà affetta anche la voce).

L'illusorietà tipica della voce dà origine al logos. Ma di quale logr.,s si

tratta? E wn " logos assoluto...unito in modo immediato" a una "faccia rlipura intelligibilità", a un

significato che può "aver luogo", nella sua intelligibilità,prima della sua "caduta", prima di ogni espulsione nell'este-riorità del quaggiù sensibilels.

Derrida non è molto generoso di spiegazioni sul genere di logos cht.qui si annuncia e sulla conoscenza che gli sarebbe correlata.Utilizzeremo perciò un efficace commento di Di Martino:

Sul primato della voce si fonda I'autorità del logos, di uncerto logos, inteso ora (da Derrida) non come linguaggio odiscorso, ma come pensiero, o meglio, platonicamente, comepensiero puro e presente a sé nell'interiorità dell'anima,come signif,rcato che in ultima istanza sfugge al gioco deisignificanti, come ragione originariamente autonoma e autar-chica.l9

In che cosa consiste questo genere di logos? In una sorta di linguag-gio che si illude della sua purezza, quale sarebbe wa Ursprache, :::i.lin-guaggio di Dio? Oppure in un pensiero non linguistico, cioè in unasorta di intuizione o di visione interiore (lo sguardo che vede I'eidoscome presente)? Così sembra intendere Di Martino ("non come lin-guaggio o discorso"). Ma allora perché chiamarlo logos? Non è forse illogos, essenzialmente, linguaggio? Ma c'è anche una terza possibilità,

17 \T, p. 111.tB G., p. 32.re olbe il segno, p. 77.

ossia che si tratti di un linguaggio che si pretende puro perché capacedi rispecchiare fedelmente la visione interiore, la visione dell'eùloscome presente. Il suo vantaggio sarebbe appunto quello di essere inter-no, e come tale vicino alla visione interiore, mentre esterni, dunquesegnati dalla differenza e dall'impurità, sarebbero sia il linguaggiocome "sonorità intramondana", sia il gramma. A me pare che Derrida,almeno nella discussione con Husserl che compare ne La aoce e ilfeno-meno, inclini verso quest'ultima soluzione. A suo parere l'intenzione diHusserl sarebbe quella di individuare un"'espressione integrale" il cui"telos...è la restituzione, nella forma della presenza, della totalità di unsenso dato attualmente all'intuizione"20.

Se questo è vero, però, la metafisica della presenza rton è connessastrutturalmente al logocentrismo, ma dipende in modo essenziale dal-I'assunzione che la conoscenza sia, al suo fondo, intuizione immediata.L'ipotesi che esista un genere innocente di linguaggio capace di ridur-re a zero l'effetto della mediazione sul contenuto intuito (il logos di uncerto tipo, interiore), per converso, non le è essenziale, ma è semplice-mente giustapposta. Non a caso possiamo leggere (sempre ne La uoce eil fenomeno) che "il concetto husserliano di linguaggio è diretto da unateoria intuizionista della conoscerl,za"2T. Ecco dunque qual è il motivoper cui anche Husserl, a parere di Derrida, appartiene alla tradizionemetafisica occidentale: rton tanto e non solo perché in Husserl è man-tenuta la centralità del logos, ma perché la sua concezione del linguag-gio è "diretta" da una gnoseologia di carattere intuizionista. Senza ilpresupposto intuizionistico, infatti, non c'è metafisica della presenza,perché in tal caso nulla sarebbe dato, nella sua presenza, all'intuizione,e nulla potrebbe essere restituito da un logos ad essa adeguato. Per rin-venire le tracce, nella storia della filosofia occidentale, della metafisicadella presenza, r.ott è dunque utile cercare le tracce del logocentrismo.E utile e necessario, invece, cercare i documenti e le tracce della gno-seologia intuizionista, e qualificare come logocentrismo metafisico soloquel genere di logocentrismo che da tale gnoseologia risulta "diretto".Sono infatti pensabili sia una metafisica della presenza senza logocen-trismo sia un logocentrismo senza correlazioni con la metafisica dellapresenza. Chi dunque ritiene necessario abbandonare la metafisicadella presenza, non ha con questo ancora dimostrato la necessità delladecostruzione. Qui emerge una delle caratteristiche strutturali deimoderni oppositori della "tradizione metafisica occidentale". Essi lavo-rano sulla base del presupposto c!i,e tertium non d,atur. O la metafisica, ola decostruzione; o la verità come rispecchiamento, o la verità come

2n VF, pp. 108-109.21 \T, p. 129.

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148 ATTUALITA DI PI.{TONI

evento; o il /ogos o la differenza, ecc. Nel caso nostro, tra il /ogos corrrt'

specchio dell'intuizione eidetica e la decostruzione 1l tertium è rappl'sentato, di nuovo, dal logos dialettico (e dialogico) in uso nella secort<lrr

metà della tradizione ermeneutica (quella gadameriana).

2. Negli scritti di Derrida (mi riferisco in particolare a l)cll,r(hammatologia e a La uoce e il fenomeno) 1l nesso tra metafisica della pr «'

senza e /ogos non mi risulta che sia stato esplicitamente tematizzal<t.

Sembra piuttosto che su questo motivo Derrida abbia accolto quel fortr'legame di implicazione reciproca suggerito da Heidegger. Dalle leziorrisul Sofista di Platone del semestre invernale 7924/192522, in t rrr

Heidegger dichiara esplicitamente di interpretare Platone alla luce «li

Aristotele23, si evince che a suo parere tanto in Platone quanto irr

Aristotele c'è un senso in cui il logos risulta identic o all' eidos. I greci cor r

cepivano l'essere come ciò che nel tempo occupa il luogo del presetrl,'e Ia verità come attributo del giudizio che percepisce appunto corrr('

presente ciò su cui esso si esercita. Da Platone in poi questo essere pr'('

sente è 1' eidos, mentre lo strumento del giudizio che ad esso pienamt'rrte si accorda è il logos. Così Heidegger può affermare nel corso citrtl,,che in Platone uno dei sensi del logos manifesta la sua identità con l'r'rdos24 e che in Aristotele (qui Heidegger sta commentando un passo rlt l

De partibus animalium) /ogos significa legein, cioè render Preselìl('mediante la parola, mentre 1l "logos in quanto legomenon (cioè "detto","proferito") è l' cidos"2l.

Abbiamo così trovato il collegamento tra 1l logos e la presenza. I1 lolirrpresentifica I'essere, ossia entra in gioco solo per segnalare il fatto < lrr'

qualcosa è presente. Significativamente Heidegger chiude la par tr'

introduttiva (dedicata ad Aristotele) del suo corso sul Sof,sta con lt'seguenti parole:

Questa irruzione del l,6yoq, del logico in questo senso stretta-mente greco, in questa interrogazione riguardo l'òv, è moti-vata dal fatto che 1'6v, l'essere dell'essente stesso, è interpre-tato in modo primario come presenza, e il l,61oq è il modo incui io, primariamente, rendo presente a me qualcosa (ciòappunto di cui parlo)26.

Che ne è, alla luce di queste asserzioni heideggeriane, del rapp()l

22 Platon: Sophistes (1925 / 1925) , GA XIX.23 Ivi, p. 11.2a Ivi, p. 201.25 P. 4b.26 P.225.

DERRIDA E IL LOGOCENTRISMO

to tra logos e intuizione? Se l'eidos coincide con il logos, e se I'eidos èanzitutto ciò che è visto o awistato (un tema sul quale Heidegger insi-ste a più ripresezT), allora il logos risulta identico all'intuizion e.Il logos,dunque, è al tempo visione e discorso: das Ausgesprochene o tlasBesprechendes.

Ma in queste equivalenze non c'è nulla di necessario, e dunque nonc'è nessun legame di implicazione tra 1l logos e la metafisica della pre-senza. Che una concezione dell'essere come presenza, ad esempiocome presenzaalla mente (psychQ dell'essenza o forma (eidos), si sposiall'idea che questa presenza dell'essere si manifesti nella sua evidenzain un /ogos, è un fatto semplicemente possibile, eventuale, contingente.Anche ammesso che questo collegamento si possa riscontrare in uno opiù autori, o in determinate correnti di pensiero, non vi è tuttavia alcunmotivo per ritenere che in esso risieda una str-uttura necessaria e inelu-dibile del pensiero meta.fisico. ll logos, in altre parole, può essere pen-sato come qualcosa che non ha alcun rapporto necessario con la pre-senza e la visione dell'eidos.

È facile constatare, in effetti, che tra metafisica della presenza elogos, non che esservi un nesso logico, vi è piuttosto una opposizione.Lo possiamo verificare mediante una diversa applicazione delle stesseanalisi di Derrida. La tradizione metafisica occidentale, così come vienedescritta nella koiné decostruzionista, crederebbe fermamente nellaforza del logos. Ora, se questa forza consistesse nella "restituzione, nellaforma della presenza, della totalità di un senso dato attualmente alf in-tuizione", allora il logos 91à frn da subito, all'interno della stessa tradi-zione metafisica, si manifesterebbe come profondamente segnato dallacontraddizione, dalla différance derridiana. Infarti 1l logos è tanto piùforte quanto meno esiste, quanto meno è visibile, quanto meno agisce.Se il suo obiettivo è quello di lasciar essere l'intuizione nella sua purez-za, allora il logos deve semplicemente sparire, perché la sua azionesarebbe comunque (de)fbrmante; e se pure riesce ad esistere senzadeformare, si tratta in ogni caso di un'esistenza tollerata finché inno-cua, eventualmente nociva, utile in nessun caso.

Il metafisico in senso deteriore, in realtà, non è affatto logocentri-co. Al contrario egli diffida molto del logos, perché esso corre sempreil rischio di inquinare la visione perentoria, assoluta, inquestionabiledella sua mente. Corre il rischio di costringere la verità apparsa (a lui)nell'intuizione a giustificarsi in base al ragionamento, dunque sotto-

27 Cfr. in particolare il corso del semestre invernale lggT/lgZZ (VomWesatd,er Wahrheit. Zu Platon Hi)lmgleichnis und Theritet, GA XXXry tr. it. Milano 1997)e il saggio Platons Lehre aon der Wahrheit (in Wegmarhen, GA IX, rr. it. Milarr<r1987).

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ATTUAIITA DI PI-{I'()NI DERRIDA E II, LOGOCENTRISMO t5t150

porsi al dialogo, al dubbio, all'obiezione, alla confutazione. In m«rtl,,

del tutto simmetrico, chi è convinto dell'inaggirabilità del logos, lrcrr

difficilmente sarà fautore della metafisica della presenza. Perchti il/ogos per sua natura intrinseca è ciò che "rinvia a giudizio" (proprio rrcl

senso del rinvio derridiano), che sottomette a prova, che sospendt'l,rverità della presenza, prende tempo, suscita la discussione, conv()( :r

interlocutori, testimoni, obiettori. Il logos è per sua natura intersoss('ltivo, comunicabile, aperto alla comprensione e alla persuasione; t'ss,,

mette fin da subito fuori gioco f intuizione, la visione di ciò che è pr«'

sente alla mente: perché questa presenza non entra in circolo, rcsl;r

del soggetto, non può tradursi in un /ogosche esiste solo come porrlt'tra più soggetti.

Tirtto questo è in realtà piuttosto owio. Tuttavia rimane incompn'rrsibilmente oscurato sia nella concezione heideggeriana del logos sia rrt'llogocentrismo derridiano. Ma l'operazione derridiana ha in più trrr:r

sua propria singolarità. Apparentemente Derrida mette in questiont' r'aggredisce il nesso heideggeriano tra presenza e logos, così da far pt'rrsare che abbia smascherato l'infelice connubio inscenato da Heideggt'r,e si accinga dunque rivendicare la funzione di schermo, differenziarrtr'e dislocante, del logos. In realtà rimane totalmente all'interno dei prt'supposti heideggeriani, e in particolare della sua interpretazione dcll;rstoria della filosof,ra e della metafisica occidentali. In effetti Dertjtlrsmantella e sottrae alla metafrsica della presenza alcuni pezzi del logts.

come la scrittura e la voce stessa, ma lascia il logos nelle braccia della strrr

indesiderata concubina. La scrittura manifesta la differenza, e la stess:r

voce si illude soltanto, complice la volatilità del mezzo, di dire l'identico. Il logos, invece, continua stranamente da solo, senza voce, senza scrittùra, a dire l'identico.

Ma che cosa rimane, al logos, una volta che la scrittura e la voce soÌì()

state collocate tra le cose che esprimono la differenza? Che cos'è qut'sto /ogos residuo? È il ...rto dato nell'intuizione? Ma se è intuizione, perr'

ché parlare di logos? E forse allora il logos trasparente, diaframma null«r,

che lascia essere I'intuizione? E il linguaggio, il discorso interiore cht'restituisce con esattezza il dato intuito? Ma se esiste un linguaggio intt'-riore capace di tradurre in parole l'intuizione, un interfaccia non di-storcente tra la visione dell' eidos e la sua espressione linguistica (logos) ,

perché mai questo linguaggio interiore non potrebbe riprodursi iden-tico nei ntezzi, altrettanto linguistici, della voce e nella scrittura? Perchrimai solo la parola scritta, dovrebbe essere il luogo in cui si manifesta lrrdifferenza, mentre il pensiero, che pure ha natura linguistica, sarebbt'il portatore violento della metafisica della presenza? Insomma, dellt'due l'una: o il pensiero ha caratterie intuitivo, e allora la tradiziont'meta"fisica non si configura come un logocentrismo; oppure il pensielt,

ha carattere discorsivo, e allora pensiero e scrittura sono i mezzi indif-ferenti che possono farsi portatori degli stessi significati, delle stessepresenze come degli stessi rinvii, perché in tal caso fra i due mezzi norrsussiste alcuna differenza "significativa".

3. Nella tradizione che considera la storia della filosofia occidentalecome metafisica della presenza e/o come logocentrismo il principaleresponsabile di tale deriva è identificato, come detto sopra, in Platone.Abbiamo visto però come Heideggeq che può considerarsi il fondaroredi questo orientamento, scelga esplicitamente di leggere Platone attra-verso il filtro di Aristotele. E poiché questo approccio è riscontrabileanche in Derridaz8, risulterà utile prendere le mosse proprio daAristotele. Nella pagina della Orammatologia, già citata, in cui Derridacollega 1l logos alla metafìsica della presenza, si leege la sesuente cita-zione tolta da De interpretatione aristotelico:

E come neppure le lettere dell'alfabeto .sono le stesse pertutti, non sono le stesse neppure le voci. E certo però che lecose prime di cui queste sono segni, sono affezioni dell'ani-ma uguali per tutti, e ciò di cui queste affezioni sono somi-glianze sono le cose, che sono già uguali (De int. 16a5-8).

In questo passo sono nominati quattro elementi: le cose, Le affezio-ni dell'anima che ad esse somigliano, le voci che esprimono queste affe-zioni e infine i segni linguistici che riproducono le voci. Più avantiAristotele scriverà anche che "i discorsi sono veri allo stesso modo incui sono vere le cose" (19a33).

Derrida ha dunque ragione nel dire che per Aristotele il significan-te, in particolare quello scritto (ma ancora: perché questa differenza?)è "sempre tecnico e rappresentativo. Esso non avrebbe alcun sensocostituito"2e. Possiamo dunque dire che la concezione del logos, in par-ticolare di quel /ogos rappresentato dalla scrittura, come mezzo assoluta-mente trasparente che lascia essere la cosa nella sua pùrezza, sempreidentica a sé nella sua presenza (tale da suscitare nell'anima di ciascu-no affezioni altrettanto identiche), sarebbe propria almeno diAristotele, che così diventerebbe uno dei padri della metafisica dellapresenza e del logocentrismo.

Ma che ne è, in Aristotele, dell'altro elemento che abbiamo visto

28 Cfr. anche, per un approccio analogo, C. Sini, Platon et I origine de ktmétaphlsique, in M. Dixsaut (éd.)Contre Platon 2. Renuerse.r lc plttbnisme, l,arigi1995, pp. 293-304.

2e c., Bo.

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153152 ATTUALITA DI PI-AT{)NI, DERRIDA E IL LOGOCENTRISMO

esser(ì (()stitutiv() della metafrsica della presenza, cioè dell'intuiziorrt'intellettuale, "della presenza della cosa allo sguardo come eidos"? l.;rquestione, presso gli interpreti di Aristotele, è controversa. Pur esscndoci nel corpus aristotelicumdei passi apparentemente favorevoli a un'<'pistemologia intuizionis6230, nella stragrande maggioranza dei clsiAristotele sembra ritenere che la conoscenza dell'essenza di una c«rs:r

(l'ousia) si ottenga per mezzo della definizione, cioè mediante qualc()sa che ha necessariamente bisogno del logos. Ma allora in che sensr r

Aristotele può essere inserito tra i fondatori della "metafisica della prt'-senza"? Non manca forse un elemento essenziale?

La ragione consiste proprio nel fatto che Aristotele interpreta il logtin senso tecnico (e forte) come "discorso definitorio". La de-finiziont',infatti, è un discorso capace di cogliere la cosa così come essa è, dc-finendola e delimitandola in modo completo e de-finitivo. Essa rappm-senta dunque un logos che non rimanda e non rinvia, che non si fa vei-colo della differenza ma al contrario manifesta solo l'identità, identifì-candosi perfettamente con la cosa. È u..o che manca, in questo caso, lapresenza allo sguardo della cosa che il logos riproduce, ma qui il logos ò

in grado di sostituirsi a questa presenza. Ciò che l'anima ha presente,come sua affezione, quando conosce l'essenza di una cosa, è precisa-mente la sua definizione. Si potrebbe anche dire che I'assenza dellavisione rrtforzl anziché indebolire, la concezione dell'essere come pre-senza, perché il duplice concorso divisione e logos apre in ogni caso lapossibilità, sia pure teorica, che vi sia tra la cosa "vista" e la cosa ripro-dotta dal logosuna differenza irriducibile, e dunque anche la possibilitàche il logos sia pensato come veicolo della differenza (o anche della dif-ferenza). Se il logos, definendo, coglie compiutamente l'essenza di ciòche si manifesta all'intelletto come presenza, allora la differenza non hapiù nessuno che la possa rappresentare.

E tuttavia I'assenza della visione, da un'altra prospettiva, ha anchedegli effetti dislocanti e ritardanti, tali da indebolire, invece che rafforza-re, la "metafisica della presenza". La definizione espressa dal logos è infat-ti il punto di arrivo di una ricerca che prende tempo, che deve superaretutte le aporie, che si sviluppa mediante un metodo induttivo, che passaattraverso la sensazione, Ia memoria e l'esperienza3r.ln questo senso lemanca quella serie di caratteristiche che Derrida, nella scansione diacro-nica che abbiamo visto sopra, ha chiamato "presenza comesostanza/essenza/esistenza (ousia), presenza temporale come punta(stigme) dell'adesso o dell'istante (nun), presenza a sé del cogito, coscien-za, soggettività....". L' ousia, per Aristotele non si impone all'intelletto gra-

30 Cfr, ad es., Metaph. X 1051b22-28, AnPo.lI,100b5-17.3t An. Po. II,99b341oobb.

zie all'evidenza puntuale del suo essere presente, ma viene trovatamediante una ricerca che al contrario ha lo scopo di rendere presente (e

manifestare nella definizione) ciò che in quanto tale non lo sarebbe.Da tutto ciò si capisce perché i fustigatori della metafisica della pre-

senza, pur indugiando volentieri anche su Aristotele, finiscano poi sem-pre per spostare indietro il bersaglio grosso, e puntare su Platone: per-ché da un lato gli occhiali aristotelici sono loro utili per interpretarePlatone in un certo modo (come meglio vedremo fra poco), dall'altroin Platone sembra potersi trovare nella sua forma più esplicita tutto I'ar-mamentario concettuale tipico della metafisica della presenza: lo sguar-do che vede l'eidos come presente e il /ogos che lo riproduce accurata-mente nella defrnizione.

In realtà questa tesi è tutt'altro che scontata. Se non è facile ricava-re dai testi platonici riferimenti precisi ad una intuizione intellettualedawero disponibile all'uomo nella sua condizione mortale3z, ancorapiù difficile è attribuirgli una concezione del logos come trasparenterispecchiamento dell'intuizione eidetica. La testimonianza più esplicitaa quest'ultimo proposito è il luogo del Fedone sulla cosiddetta "secondanavigazione" (96a-100a) - passo tanto famoso quanto spesso frainteso.Socrate racconta di aver cercato da giovane le cause della generazionee della corruzione rivolgendosi anzitutto ai frlosofi naturalisti, ma diesserne rimasto ben presto deluso. Perciò decise di modificare il suometodo di indagine e di rifugiarsi nei logoi. Questa fuga nei logoi èdescritta appunto come "seconda navigazione", che è l'espressione concui i greci indicavano la navigazione a remi, più faticosa di quella a vela,a cui i naviganti dovevano accomodarsi per mancanza di vento. Lametafora, dunque, indica che il ricorso ai logoi è un procedimento"secondo", una specie di second best a cui si deve attenere in mancanzadel primo (la metafora della seconda navigazione è usata, sempre peresprimere vicarietà, in altri due luoghi del corpusplatonico33). La prima

32 Non posso che rinviare in proposito al mio Il sapere d,el filosofo, in M.Vegetti (a cura di), Platone. La tupuhhlica, vol. V, Iibri \rI-MI, Napoli 2003, pp.151-186. Cfr. anche P. Stemmer, Platons Dialzhtih. Dfu fri)hen und mittle.ren Dialoge,Berlin-New York 1992, pp.21{225. Ciò che in questi studi viene messo in que-stione è che sia possibile ricavare, da alcuni passi cruciali della Rzpubblica, "laprésence d'une vision suprasensible" (C. Sini, Platon et l'origine de la métaphysi-

que, p.294). Non si intende mettere in dubbio il fatto che, in Platone, esista unaconoscenza intellettuale distinta dalla conoscenza sensibile, ma si r,"uole esclu-dere che Ia conoscenza intellettuale sia da interpretare corne trna .visione».

33 Politico 300c7, Fikbo 19c3. Per un'interpretazionc tt:sttralmente e storica-mente cor-retta della "seconda navigazione" vedi ora S. Martinclli Tempesta, Szlsignif,cato delòeircpoc,n),oic, nelEedone di I'lalone, in l'. 'li:rlrattoni - M. Bonazzi,(a cura dl), Platone e la tradizione platonicu. Shuli di.fiktsol:itt tt,rt.t.ir:a, Milanxt 2003, pp.89-125.

Page 77: Trabattoni, Attualità Di Platone

155l5,l ATTUAI.ITA l)l l'1.,\ lo',r I)U,RRIDA E IL LOGOCENTRISMO

navigazione non è owiamente, in questo caso, il metoclo niìtrrr.:rrrsrrr,,che cerca le cause denrro la realtà iensibile; ma il metoio-.ìrì,-1,,..,,,,de di trovare quello che cerca mecliante un procedimento direal, , , ,r,,,quello attuato dei sensi; cioè il metodo di chi vorrebbe co.osr.t.rr. r,, ,,

senza.delle cose per mezzo delro sguardo intelrettuale nello stcss< » r r r,r r, ,il ,:"i gli oggetti sensibili sono lolti direttamente, immediatirìrì(.rrr,dalla vista. ciò da cui la seconda navigazione ripiega non è artr.:r r,,.,.rdunque, che quello sguardo r.,pportJ capace di vedere la cosir <,,rrr,eitlos.

Tlrtto ciò è rinforzato, sempre nello stesso passo del Fedone, c'r r r r r ..

r Itra metafora. L'uso dei logoi, spiega Socrate, e smite all,uso ài'r1r.,. t,, ,schermi di cui si servono, p". ,r,r, essere abbagliati (e perciÀ ,à, ,,,., t,re nulla) coloro che voghòno guardare il sole'àurante't,ecnsJ ii[.t , rDunque i logoifanno da schermo e da filtro, permettono sì di vt,rlt.r,..ma solo attraverso un diaframma che istituis.è.,rru clistanza e,,:r rrrrfere nza' ?erciò, se pure i logoi sono lo strumento migliore per corì( )s( (.re la realtà nella sua essenza, in essi si manifesta r.rip.., J-p..,r,,,,,,.,anche la differenza.

sopra abbiamo visto che il logocentrismo non è strutturalmente <..r rnesso a una dottrina della visione intellettuale. ora vediamo chr.rrrfatto, in Platone, la sussistenz a der rogos,la ragion suflìciente del su. «.srstere, consiste al contrario neila diffèrenza .É" .rro istituisce. se il s.r.(l'essenza) potesse essere visto senza filtro, allora il logosnon seJrebr,..Dynque 1l logos 2 il filtro. poiché l'identico si puòLanifestare, rr.il:rmisura in cui si manifesta, solo attraverso una certa dose di differerrz:r.il logos rappresenta lo strumento che permette di far passare il massirrr,,possibile di identità attraverso il minimo possibile crì diff..errra; è t i.che permette a ciò che è strutturalmente lontano ai .rr... fres.,,,r,.quanto possibile, pur sapendo che questo render relativamenté p..r..,,te non toglie la lontananzasl.

t :":,:,g1" di questa interpretazione si possono citare i numerosipassi dqi dialoghi in cui platonè fa capire che la conoscenza intellettir,:rsi basa esclusivamente su-l /ogoq sur tagismòs (cioè ragionu-..iàj-. ,,,1l'attività di dialegesthal a lorò collegaà*. eui voghJm., p..J .ipo.,n,,.

-- 34

Qrresta vicarietà del /agos è confermata anche rlal|exczrsz.s fìlosofico deil;rW I Lct t rro ( 3.42a7 -34 4d2) l add,ove pl a r o n e pr rt n a i-a"f,o i ;r;; ;;i' ;;;;,' i Jr .,,,.nendo che la conoscenza debba .o-rr-rqi " passare attraverso glì stadi dellrrconoscenza discorsivo-proposizionale.

35 Le descrizioni deila conoscenza inteletiva in termini di d,iaregesthai, <ri"dare e ricevere discorso" sono frequentissime soprattutto nei libri centralidella-Repubbtica (cfr. ad es. b24e5-6,'bzbd6li, sgtaz-es, szz"o, siiis,'àss.z,534b3-6, 534d8-10 ) . Ma v. anche Fedone zìcil79ab, Fe,,ro z49bz-ct, iiiiiolas ,d, Parmenide 130a2, ecc.

un esempio forse meno noto, tolto dal Politico. Durante l'analisi miran-te a scoprire la natura del vero uomo politico lo Straniero di Elea (con-duttore della discussione) introduce a pirì riprese osseruazioni di carat-tere metodologico sul procedimento dialettico e sulla filosofìa in gene-rale. In una di queste (285d-286a) si legge che esistono due generi direaltà: la prima consta di quelle cose sulle quali è facile dare spiegazio-ni in base alle somiglianze sensibili, senza bisogno di utilizzare ll logos;

la seconda riguarda realtà più nobili ed elevate, di cui non esistonoimmagini, e che pertanto possono essere indagate solo col logo.s, cioècon un metodo più faticoso e meno immediato. Viene qui espressa,come si vede, la stessa natura vicaria del logos che abbiamo visto nelFedone le realtà immediate e sensibili si possono cogliere facilmente inmodo diretto; le realtà intelligibili più elevate, viceversa, non si presen-tano come eidos alla percezione della vista interiore. ma possono esserestudiate solo mediante il faticoso procedimento del logos, cioè del ragio-namento così come si configura nella prassi dialettica del dare e rice-vere discorso (286a45).

Si potrebbe tuttavia pensare che Platone sia riconducibile all'inter-no della metafisica della presenza alla maniera aristotelica, cioèmostrando che anche per lui I'obiettivo del /ogos è la def,rnizione.

Questa idea è in effetti una parte importante di quella costruzione fan-tastica a cui si dà il nome di metafisica della presenza, spacciandola perla filosof,ra di Platone. Anzitutto si assume senz'altro per vera l'ipotesiche la conoscenza intellettuale, in Platone, abbia natura intuizionistica,e si intende che questo sia il contributo specificamente platonico allametafisica della presenza. Poi, per evitare che la concezione platonicadel /ogal faccia apparire (come realmente accade) la differenza tra laconoscenza intesa come visione immediata dell'eidos e Ia conoscerrzaintesa come rinvio, come esercizio vicario del ragionamento e della dia-lettica, si applica a Platone la concezione aristotelica del logos come defi-nizione (ecco perché è così utile, come è evidente soprattutto inHeidegger, interpretare Platone attraverso Aristotele!). Ora il mostro èfatto e frnito: sommando un intuizionismo che non è platonico alla con-cezione aristotelica del /ogos36 come definizione nasce la "filosofra diPlatone" (?) intesa come metafisica della presenza, come "oblio dell'es-sere che ha condotto il pensiero metafisico occidentale a identificarel'essere con gli oggetti della conoscenza scientifica e della manipola-zione tecnologica"3T.

36 Cfr. ancora C. Sini, Platon et l'ori§ne d,e la métaph1.sique, p.295, in cui la con-cezione platonica del logos è senz'altro assimilata a quella aristotelica.

37 G. Vattimo, Cent'anni di G.rtdamer, in lru:ontri con I !urt..s-(horg ()adamer (ed.italiana, a c. di G. Girgenti, di Begegnungen mit llun.sO«»g Oa.dumc1 StÌrttgart2000), Milano 2000, pp. 68-69.

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156 AITUALITA DI PI"{I'oNI

Per dimostrare che il logos, in Platone, non si può esaurire nella rk'lrnizione, si renderebbero necessarie analisi specialistiche. Devo dutlrpr,limitarmi di nuovo a poche indicazioni. Inizieremo osservando clrt' rl

termine tecnico usato da Aristotele per la definizione, cioè horistrr,''.

compare decine di volte nel corpus aristotelico, nemmeno una in qtt«'11,,

platonico. Questo può semplicemente significare che si tratta (li rrrr

conio linguistico aristotelico. Ma il problema dell'origine investt' rr,

realtà anche il concetto. Per Aristotele si può parlare di definizionc ltcrché esiste un procedimento capace di cogliere l'essenza di una tt,s.r

sulla base di un genere prossimo e di poche differenze specificht'. lrr

Platone, al contrario, la corretta mescolanza dei generi di cui si p:rrl.r

nei dialoghi dialettici (in particolare Sofista, Politico e Filcbo) non pr('\r('

de queste articolazioni (genere,/specie) e limitazioni (un nunt<'t,'ristretto di differenze specifiche). In più luoghi dei dialoghi sopra rrr('rr

z\onati si legge, al contrario, che il dialettico dovrebbe essere in gr:trl,,di identificare lo spettro completo dei rapporti che legano un dato <:orr

cetto ad un altro38. Ma in tal modo la frnitezza del logos aristotelir :r

mente inteso come de-finizione lascia il posto all'in-frnità dell'esert izr,,

dialettico, che corrisponde perfettamente alla vicarietà del /ogos car.;rt

teristica della concezione platonica. Il logos, inteso come filtro e «li;r

framma che nel momento stesso in cui manifesta necessariamelll('anche nasconde, naturalmente non si presta a farsi veicolo di corroscenze definitive, e questo si sposa perfettamente con l'idea che I't'ssenza potrebbe essere colta in modo definitivo non già per mez'zo tlr

poche differenze specihche (come l'uole Aristotele), ma solo mediarrtt'l'individuazione degli infrniti rapporti che legano ciascuna essenza c()rr

tutte le altre. L'impossibilità di defrnire le idee platoniche, del restr,, ,

confermata dallo stesso Aristotele, a parere del quale non è possibilr'definire gli enti eterni, e ciò è dimostrato - egli osserva - da ciò clrr'

fanno gli stessi platonici, nessuno dei quali tenta di defrnire le id<'t'

( Met ap h. l./Il, l0 40a27 -b 4) .

A queste considerazioni si deve aggiungere anche il fatto che rrt i

luoghi platonici in cui si parla del metodo dialettico normalmente n«rtt

compare solo il momento astratto ed oggettivo della mescolanza d<'i

concetti, dei rapporti di inclusione ed esclusione. Vi si trova spess()

anche un riferimento alla concreta attività del "dare e ricevere discolso", e ciò dimostra che l'esercizio del /ogos non è in Platone mai separ':r

to dal movimento effettivo con cui un certo /ogos passa da un soggettoad un altro, stimolandone la persuasione.

Anche qui, come si vede, si manifesta un ripiego, un indebolimento,una struttura vicaria. Se infatti la definizione ha il compito di restituir.'

38 Parmenidc 1 36b-d, Sofi sta 2b4c-d, Poktico. 285a-b, Fi.l.ebo 19b.

DERRIDA E IL LOGOCENTRISMO

I'essenza della cosa come presente, il rinvio reiterato della definizioneproprio di un /ogos che necessariamente anche nasconde suppone chela cosa sia destinata a restare, almeno da qualche punto di vista, nasco-sta ed assente. Questo parziale restar nascosto della cosa sottrae allaconoscenza il criterio dell'evidenza, impedisce di pensare alla veritàcome ostensione inquestionabile di ciò che è presente. Si rompe così loschema de! De interpretationa aristotelico, in cui dalla cosa uguale pertutti si passa alle affezioni dell'anima (anch'esse uguali per tutti) e poial logos def,rnitorio, convenzionale nell'uso dei segni ma identico in ciòche significa. Tàle schema suppone la possibilità di raggiungere un'evi-denza e una presenza prime, oggettivamente tali per tutti, su cui poiarticolare dimostrazioni cogenti. Ma poiché in Platone ciò che è revo-cato in dubbio è proprio questa presenza, il logos non può essere solo lospecchio dell'oggettiva determinazione della cosa. Esso, al contrario,deve concedere una parte essenziale alla persuasione. per poter suppli-re allo scarto tra presente e lontano, tra evidente e nascosto, tra ogget-tivo e soggettivo. Il /ogos platonico deve poter riguadagnare in capacitàpersuasiva ciò che perde nell'atto in cui, manifestando, nasconde.

4. La icarietà del logos, che abbiamo visto all'opera arralizzandoalcuni aspetti della filosofia di Platone, è il motivo per cui riteniamo,contro Derrida, che metafisica della presenza e logocentrismo possanoe debbano essere separati; e che lo debbano essere, anzitutto, proprioe soprattutto nel pensiero platonico. Questa separazione è ben eviden-te nel dialogo di Platone che Derrida ha sottoposto ad indagine piùaccurata, e cioè il Fedro. Tuttavia qui l'analisi di Derrida appare singo-larmente ambigua. Da un lato, infatti, egli sembra ritenere che il logos

sia pensato da Platone come lo specchio fedele dell'origine, e che per-tanto il veicolo della differenza, il pharmakon da esorcizzare, sia la scrit-tura. Dall'altro sembra anche ammettere che la filosofra (la dialettica)sia anch'essa pharmakon che si oppote a pharmakonse e che dunque lostesso logos, molto prima della scrittura, costituisca una struttura di sup-plenza.

Esaminiamo questi due motivi con un po' più di attenzione. La scrit-tura, scrive Derrida nella Farmacia di Platone, è parente del mito, e inquanto tale si oppone al "sapere e in particolare al sapere che uno puòattingere da se stesso". La parentela della scrittura col mito istituisce, inaltre parole, la distanza tra parola scritta, che ospita la differenza, e il

39 La pharmacie d,e Platon, in La disséminati.on, Paris 1972 (tr. it. a c. di S.

Petrosino, Milano 1989, pp. 101-195, d'ora in avanti F, da cui citiamo: qui p.150). Cfr. F. Wolff, Tiios. Delzuze, Derrida, Foucault, hi.storiens du platonisme, in B.Cassin (éd.) Nos C,recs et lturs mod,erne-s, Paris 1992, pp. 232-247 (lul pO. 238-240in particolare).

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159158 ATTUALITA I)I I,I,.\II I t I)ERRIDAEILLOGOCENTRISMO

complesso logos-dialettica, in nome del quale Socrate nellbdro lrttr, r.r I'sua requisitoria contro la scrittura40. Derrida non r'rrole dire, r'orr ,1",

sto, che ll logos sia l'origine (oppure, utilizzando le metafore cl<:l li,lt,,,della fupubblica,llpadre-sole-capitale). E infatti "l'origine del lnp'rrr r' .,,r, '

padre":

A differenza della scrittura, il logos vivente è vivente per il fatt< »

di avere un padre vivente (mentre l'orfano è mezzo mort()),un padre che sta presente, in piedi accanto a lui, dietro di lui,in lui, sostenendolo con la sua rettitudine, assistendolo di pt:r.sona e nel proprio nome4l.

La preminenza del /ogos sulla scrittura deriva dunque dal lìrttr, ,l',quello, a differenza di questa, ha accesso diretto alla fonte: "Il bt'rr, trlpadre, il sole, il capitale) è dunque la fonte nascosta, illuminantt-- «' :r, , ,

cante, del logol'+2. E ancora:

Il logos è dunque la risorsa, bisogna volgersi verso di esso, (ì

non solo quando la sorgente solare è presente...bisogna rivol-gersi verso il logos anche quando il sole sembra assentarsinella sua eclisse43.

Già qui è ben visibile l'ambiguità di cui abbiamo detto soprrr. I.rfonte (padre, capitale, bene "ordine e valore degli enti visibili") i' rrrr.,

cosa di cui "non si può parlare semplicemente o direttamente"'l 1. l\l.r

allora, è assente o presente? E se è la fonte è nascosta, come può t'sscr,

la fonte accecante e illuminante del logos? Come illumina, come z.cCe( ir r r.che è nascosto? E se il logos è già secondo rispetto alla fonte, perclrt' l.r

differenza non si annuncia già nel logos, n:,a solo nella scrittura?

Questa ambiguità deriva in parte dal fatto che Derrida, nel monrcrrto in cui individua nel Fedrola differenza essenziale nel divario che sr'1,.r

ra la scrittura dalla parola e dal logos, nomina qualcosa che non è csst n

ziale. L'opposizione fbndamentale di cui parla il Fbdropassa attrAv<'rs,,1l logos, comprensivo di pensiero parola e scrittura, da un lato, e il slpr're dell'anima dall'altro. Il discorso orale, nel Fedro, è superiore a qrrcll,,scritto perché ha una maggiore capacità persuasiva (e abbiamo vist,,sopra come la persuasione diventi importante, in Platone, propric'r pcr

ché il logos è vicario), non perché sia ritenuto più vicino all'oriuirr,

ao F p. 112.a1 B p. ll+.42 F p. 119.a3 E p. 120.aa E p. ttB.

(lome ha acutamente osservato Y Rinon, il distacco del logos dal padreawiene molto prima della scrittura: "The moment the /ogos is prou-nounced, the moment it is uttered, it is disconnected from the livingand speaking subject-father"45. Non solo, insomma, non si capisce ingenerale perché proprio la scrittura dowebbe essere la sede privilegia-ta della differenza, na il Fedro platonico non offie alcun appiglio perquesta ipotesi. La vera differenza è quella che intercorre tra il /ogos, contutti i suoi modi espressivi, e ciò che viene prima di lui.

Ora, che cosa viene prima del logo.s - se pur c'è qualcosa che vieneprima? Prima del /ogos non può esserci altro che l'intuizione pura, cioèla visione che vede l'eidos cotne presente. Al di sotto di questa visione,reale o fittizia che sia, vi sono per Platone le tre forme del logos, cioè ilpensiero, la parola e la scrittura, che stanno tutte allo stesso livello disecondarietà (o vicarietà) rispetto alla fonte. Tia parola e scrittura vi è,come detto, una differenza, ma non essenziale sotto questo profilo. Trapensiero e parola, invece, non vi è alcuna differenza in generale, comerisulta da quel celebre passo del Sofista in cui lo Straniero di Elea diceche

il pensiero eil logos sono Ia stessa cosa, con la sola differenzache quel lagos c}:.e awiene all'interno dell'anima, fatto dall'a-nima con se stessa, senza voce. proprio questo fu denomina-to da noi pensiero (263e).

Qui si mostra che il pensiero, per Platone, ha natura dialogica, dun-que linguistica e discorsiva, esattamente come la parola pronunciata, e

che dunque in entrambi si rende evidente la differenza dall'origine,dalla visione immediata dell' eidos.

Se dunque il pensiero è invariabilmente logos, e 1l logos è necessaria-mente vicario rispetto alla visione dell'eidos, allora il /ogos platonico,comprensivo delle sue tre specie, è fin dall'inizio segnato dalla diffe-renz;à e dalla dislocazione. Tutto ciò può essere visto, di nuovo, all'ope-ra nel Fedro. A parere di Derrida il senso della scrittura sarebbe gover-nato dall'opposizione tra mnéme e hypomnesis. L'hypomnesis, nel Fedro, èla rammemorazione offerta dalla scrittura, mediante la quale può esse-re riattivata la memoria (mnéme) vera e propria (vedo scritta una certafrase e mi ricordo di ciò che so in proposito). La mnéme è dunque ilsapere, il logos interiore dell'anima che dice l'identico, che nomina l'el-dos presente? No. La mnéme è Ia reminiscenza (andmnesis), che a suavolta è traccia di una visione assente (la visione diretta delle idee offer-ta alle anime prima della loro incarnazione in un corpo). Se dunque

45 Y Rinon, The Rhetoric af Jacques Denida 11: Phaedrus, "Review of Meta-physics" 46 (1993), pp. 537-558: qui p. 543, n. 18.

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ATTUALITA DI PI-AToNI' DERRIDA E IL LOGOCENTRISMO 161160

l' hypomnesis è traccia, lo è anche la mnéme. La mnéme, cioè il ricordo dt'l L '

idee viste dall'anima prima di nascere, si configura necessariamentt' informa di logos, ed in questo senso è traccia dell'origine assente. Ncll:rmnéme l'essenza si presenta dislocata, allontanata, filtrata, segnata dirll:rdifferenza: aperta e nascosta al tempo stesso. Perciò, se è vero che l'o1rposizione tra mnéme e hypomnesis governa il senso della scrittura, bisognrrdire ancora una volta che non è questa I'opposizione che contirL'opposizione che conta corre tra hypomnesis/mnéme e il sapere, tr:r illogos (attivo sia nella scrittura sia in quel pensiero interiore che è c«rstr

tuito dalla rammemorazione) e I'essenza, tra I'assente e il presente, trril linguaggio e I'intuizione.

Qui si fa interessante un confronto con Aristotele. A parere di Sini ilpasso del De Interpretatione citato sopra costituisce una "summa" rk'lSofista, perché sia nel dialogo platonico sia nel testo aristotelico si istituisce una comparazione tra i pathemata dell'anima e le cose fuori rlr

noi, prodotta dalla mediazione dei segnia6. In realtà le due prospetti\'('sono sostanzialmente diverse, perché diversa nei due casi è la natura rlr'lluogo dove appare la verità (l'anima). In Aristotele le affezioni dell':rnima replicano un mondo uguale per tutte perché questo mondo è potutte sempre presente, e la memoria, con la sua facoltà di reiterare I'identico senza residui, è uno dei mezzi che porta alla scoperta dell'r'ssenza e della definizione che la diceaT. Poiché per Platone, al contrarir,,la memoria è reminiscenza, la presenza della cosa è confinata nel luog< r

mitico in cui l'anima abita prima di entrare in un corpo. Quando l'anima è incarnata, dunque, le sue affezioni non sono più identiche, pt'rché diversi sono i ricordi del mondo assente, e non c'è (più) il corrfronto con una presenza oggettiva che possa togliere la differenzrr.Perciò il logos, quando entra in gioco, è già segnato da uno scarto e rl:runa differenza ineludibili.

È singolare constatare, come detto, che questa differenza sia scgrr:rlata dallo stesso Derrida:

L'invisibilità assoluta dell'origine del visibile, del bene-sole-padre-capitale, il sottrarsi alla forma della presenza o dell'en-tità, tutto quell'eccesso che Platone designa come epéheina tès

ustas (al di là dell'entità o della presenza) dà luogo, se così sipuò ancora dire, ad una struttura di supplenza tale che tuttele presenze saranno i supplementi sostituiti all'origine assen-te e tutte le differenze saranno, nel sistema delle presenze,l'effetto irriducibile di ciò che resta epéheina tès usia{8.

4tì Sini, Platon et l'origine de la métaphysi.que, p. 303.a7 An. Po. II, 1ooa3-6.48 E p. t92.

Dunque, contrariamente in ciò che si legge nella C,rammatologia,

almeno per il Platone del Fedro non è vero che "il /ogos è l'origine dellaverità in generale". Se in Platone l'entità e la presenza si sottraggono,se tutte le presenze (a partire dal logos) sono sostituite da supplementi,che ragioni ci sono per considerare Platone come l'iniziatore dellametafisìca della presenza? (e per per lasciare la diflferenza alla sola scrit-tura? ).

Questo problema potrebbe essere affrontato a partire da una frasedi Deleuze spesso citata, e cioè che "Platon le premier indiquàt cettedirection du renversement du platonisme"ae. Così come per Deleuze,anche per Derrida Platone è quello che edifica e rovescia, che mette etoglie allo stesso tempo. E tuttavia: quali motivi abbiamo per attribui-re a Platone questa natura contorta, questo ripiegamento che si rivol-ge contro se stesso per smantellare tutto quello che edifica? Perchémai il duplice concorso, in Platone, di presenza ed assenza, di vicino e

lontano, di identità e differenza, di svelare e nascondere, diviene ilsegno di instabilità e di contrasto, diviene il luogo in cui è obbligato-rio prendere una decisione? Che è poi, per come sia Derrida siaDeleuze interpretano Platone, la decisione in favore del presente, del-l'eidos, dell'identico, contro la differenza e il simulacro? SecondoDerrida, in effetti, Platone tenterebbe di occultare il più possibile lanecessità del rinvio appunto perché ha deciso di affermare a ognicosto la presenza (la critica alla scrittura che compare nel Fedro costi-tuirebbe un momento essenziale di questa strategia50). Ma perché ilduplice concorso di presenza ed assenza non potrebbe essere, comesembra più logico, I'indicatore di un rapporto dialettico organico e

coerente, non conflittuale né contraddittorio - dunque non obbligatoa decidere (a tagliare, a interrompere, a inaugurare, a iniziare la sta-

gione dell'oblio dell'essere)?Il fondamento di questa coerenza non conflittuale, il piedistallo che

regge in Platone I'ambigua alternanza di presenza e di assenza, è l'ideache il rimando e il rinvio non possano essere pensati come assoluti. Se

1l l.ogos è filtro, dunque parzialmente nasconde, allora l'uol dire cheanche parzialmente rivela; se mostra la differenza, allora necessaria-mente mostra anche l'identico; se allude a ciò che è lontano, con ciòstesso include il lontano in un orizzonte per cui il lontano, da un altropunto di vista, deve potere apparire come (relativamente) vicino. Maper Derrida questi rapporti di coimplicazione possono e devono essere

49 G. Deleuze, Logique du sens, Paris 1969, p. 295.50 Cfr. la lettura della Fannacia proposta da C. H. Zuckert in Posttnod,nn

Platos: Nietzsehe, Heideggu Gad,amer, Strauss, Derrid,a, Chicago-London 1996, pp.27G225.

Page 81: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTUALITA DI PI.{IONI, DERRIDA E IL LOGOCENTRISMO 163162

rotti. Per quanto parziale sia l'identico che passa o permane, esso fttttg,da moltiplicatore per tutto I'insieme di cui esso fa parte, per cui ttrtl,,I'insieme diventa presenza, blocco monolitico di essenza, sostarìz:r,

intelletto, pensiero, logos. Per salvare la differenza, occorre scioglicllldalla sua connessione con I'identico, e parlare di differenza pura, di tlilferenza assoluta (espressioni di questo genere si trovano nel prirrr,,importante lavoro filosofico di Derrida, cioè l' Introduzione a L'orig,'itt,dell,a, geometria di Husserlsl). In questo senso, cioè in quanto assoluta, l:r

differenza non può coincidere nemmeno col trascendentale5Z. Ma irrrealtà la differenza assoluta, come hanno ben visto Eraclito ed Heg«'I,non è più differenza: è la stessa cosa delf identità.

Derrida oppone ad Husserl il fatto che la presenza deriva dalla ript'tizione, il senso dal segno e non viceversa. Ma se il segno è originali;rmente ripetizione, questo significa già che l'identico precede il divers<,Se l'identico non esistesse già, nulla potrebbe essere ripetuto. L':rttrrripetitivo con cui si ritiene che la memoria costruisca l'universale, irr

realtà presuppone l'universale esistente prima che la memoria si mettrra costruirlo, come condizione di possibilità del fatto che la memot i;r

possa funzionare come ripetizione, cioè come 7l mezzo in cui l'univt'rsale (l'identico che permane nella ripetizione) si mostra ed appare. Ilche non comporta che l'universale sia presente (ecco il significato dell:rreminisccnza). Anzi, 1l logos "rinvia a giudizio" (,logon did,onai) proprio lcausa della sua assenza.

Da questo gioco di assenza/presenza, da questo versante costruttivoe ricostruttivo del logcrs, che coincide a mio awiso sia con l'essenza dt'lplatonismo sia con I'emisfero gadameriano dell'ermeneutica53, non c'i'pensiero che possa evadere; se non - beninteso - ricorrendo alla solitrrillusione ottica delle false opposizioni. Se l'oggettività non è presentt',ciò ancora non obbliga ad accomodarsi sul versante opposto, e dichiir-rare l'oggettività "un effetto della differertza"s4. L'oggettività è condi-

51 Cfr. De Martino, Oltre il segto, pp. 119-120.52 Sul problema del "trascendentalismo" in Derrida cfr. M. Vergani,.lacqut.s

Demida, Milano 2000, pp. 4445 (e la bibliografia segnalata alla n. 38).53 Dire che il particolare esiste solo in rapporto all'universale, che il diffi'

rente esiste solo in rapporto all'identico, significa anche dire che il comprcn-dere (l'intendersi, la platonica homologhia) è anteriore aI dissenso, al frainterrdimento, al conflitto delle interpretazioni. E tutto questo, come giustamente hirscritto Gadamer (Und dennoch: Macht des guten Will.ens, in Ph. Forset (Hrsg.),Tbxt und Interpretation, Mùnchen 1984; tr. it. di M. Ravera, "Aut-Aut" 217-218(1987), pp. 6l-63, qui p. 62), "non significa fare alcuna metafisica". Se c'ò real-mente dialogo, insomma, allora l'intendersi, e I'identità che esso Presuppone,sono necessariamentge a priori. Ho affrontato questo tema in L'argomentuziotr,'platonica, "flpopl,fipoto,, 1 (2001 ), pp. 7-38.

54.f. Derrida, Positions, Paris 1972 (tr. it. Verona 1999, p. 38).

zione di possibilità della differerrza ad onta della sua assenza. Nella dif-ferenza si manifesta la traccia di una origine assente, di una oggettivitàvirtuale, anteriore, persa e dimenticata. Questa oggettività è sempre inazione, pur non essendo presente, nel costituire la differenza, che èpensabile solo come variabile dell'identico . E l'orizzonte virtuale senzadi cui la differenza non potrebbe aver luogo. Si arriva sempre troppotardi a nominare la differenza, perché nominando /a differenza sinomina, già fin dall'inizio, anche I'identico.

Page 82: Trabattoni, Attualità Di Platone

Capitolo WII

Ernst Cassirer e l'"estetica platonica". Introduzionealla lettura di Eidos und Eidolon*

1. Ha scritto Nathalie Janz che per farsi un'idea della lettura cassrre-riana di Platone bisognerebbe avere la pazienza di un collezionistal.Nonostante in effetti che per Cassirer, così come per gli altri esponentidella scuola di Marburgo, Platone rappresenti un punto di riferimentoessenziale, egli non gli ha dedicato alcuna -o.rog.r-fiu (così come hannofatto, invece, sia Cohen sia Natorp). In attesa delle Lezioni sullafi.losof,aanti,cadi prossima pubblicazione (fanno parte dei manoscritti diYale2),per il momento possediamo solo le pagine dedicate a Platone nellaGeschichte der Philosophie (d'ora in poi TP3) curata da M. Dessoir, un sag-gio su Platone e Goethe (d'ora in poi Ga) la conferenza Eidos ed Eidolon.Il problema del bello e dell'arte nei dialoghi di Platone (d'ora in poi EEr). Ma ilconfronto con Platone percorre, tra il detto e il non detto, gran partedella produzione cassireriana: dal libro su Leibniz del 1901, all'ampiaricerca storica sul problema della conoscenza in filosofia, fino a investirein più modi anche la stessa Filosofia delle forme simboliche, e proseguire poi

* Ernst Cassirer e l"'estetica platoni611"", in Ernst Cassirer, Eòdos e eidol.on. Il Wble-ma d,el bello e dell'arte nei dial.oghi di Platone. Postille di Mauro Carbone, Renato Pet-toello, Franco Trabattoni, Edizioni Libreria Cortina, Milano 1998, pp. 103-134.

1 NathalieJanz, Cassirer, double lccteur dc Platon? L'histori,ut fu la phi;tnsophie et

l'épistémologue, in Images d.e Platon et l.ectures d,e ses uuares. Les interprétations de

Platon a traaers les siècks, édité par Ada Neschke-Hentschke avec la collaborationde Alexandre Etienne, Louvain-Paris 1997, pp. 477-433, qui p. 417.

2 Nel piano dell'opera previsto per I'edizione del Nachlar| queste lezionifigurano nella terza sezione (Scritti di storia dzlla filosofia), come tredicesimovolume della serie, col titolo Lectures on Crreek Phil.osoph,y. Cfr. in propositoJ. M.Krois, I,e carte inedite di Ernest Cassirer e l'ed,izione za Nachgelassene Manuskripteund Texte, "Rivista di Storia della Filosofia,,, 50 (1995), pp. 871-888.

3 Dic Philosophie d,er Griechen uon d,en Anfangm bis Platon, h Die Geschichte derPhilosophit, a cura di M. Dessoir, vol.l (Die Geschichte derAntihe Phi;losophie),Berlir,1925 (tr. it. a cura di G. A. De Toni, con titolo Da 'falzte a Platone, Roma-Bari19922, da cui citiamo).

4 Goethe und Platon, in Goethe und, die geschichtliche Welt. Drei Aufsatze, Be/rin1932 (tr. it. e introduzione di R. Pettoello, Brescia 1995).

5 Eidos und Eidolon. Das Probl"em dcs Schiinm un d,er Kunst in Platons Dialogen, in«Vortrag del Bibliotek Warburg" 2 (1922-23), parte I, Teubner, Leipzig-Berlin1924, pp. 1-27. Traduzione italiana a c. di A. Pinotti, Milano 1998, da cui citiamo.Per una prima collocazione di questo saggio all'interno dell'opera cassireriana v.

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166

fino agli scritti politici del periodo americanoG. Ben si capisce pcrri,quanto sia difficile (se non impossibile) organizzare una esauriente prr,spettiva di insieme. Ma per fortuna in questa sede possiamo limitarci :rrl

un compito più modesto, cioè ad indicare in modo sommario le motir':rzioni di fondo dell'interesse di Cassirer per Platone, con lo scopo di rt rr

dere più intelligibile il testo che presentiamo.La breve storia del pensiero greco fino a Platone che Cassirer ci lr:r

lasciato può essere considerata in vari modi esemplare. Ragionando <l;r

filosofo più che da storico, Cassirer articola le figure e le dottrine c:lrr'

prende in considerazione entro un quadro ben definito di migliorrrmento teoretico. Da Tàlete a Platone la filosofia affina progressivamt'nte i suoi metodi e individua oggetti sempre più adatti alla sua natur':r.Sembra di leggere, stilizzati in un tipo ideale, tutti i più nobili luoclricomuni della nostra tradizione manualistica. Né c'è da stupirsi. Gli st<r

rici del pensiero prearistotelico difficilmente possono restare insensilrili al modello che già lo stesso Aristotele ha inaugurato nel primo librrrdella Metafisica?. Sarebbe certo troppo facile sottolineare ancora ulì:ìvolta i difetti di acribia storica tipici di queste forme di storicismo. Anzi,è ormai forse il caso di ayar.zare qualche argomento a difesa: purché si

ammetta, come la stessa opera di Cassirer dimostra, che l'approccio st<r

rico può anche essere un modo del tutto plausibile per fare della fikrsofia in senso teoretico.

In accordo con il principio di wiluppo che abbiamo ora indicat<,,Cassirer indMdua il progresso decisivo del pensiero di Platone n«'lmodo in cui questi ha trattato il problema dell'essere. Di conseguenza,anche qui in linea con un'interpretazione che in tutto questo secolo hlsempre trovato nuovi sostenitori, uno dei dialoghi decisivi per capire ilpensiero di Platone è tl Sofista. Che Platone sia stato il fondatore del-I'ontologia occidentale era anche opinione di Heidegger (che non u

caso ha dedicato al Sofista un ponderoso corso universitarios). Ma subi-to dopo questo inizio le prospettive divergono. Secondo HeideggerPlatone ha posto per primo Ia domanda sull'essere, ma poi ha subitoperso la strada, perché, rispondendo che l'essere è idea, ha ridotto l'es-sere ad ente, ed ha così awiato la millenaria deriva della filosofia e della

Massimo Ferrari, Ernst Cassirer e la 'Bibliothek Warburg', "Giornale critico della fik>sofìa italiana", 68 (1986), pp. 91-130 (in part. pp. 112-114).

6 Cfr. A. Zadro, Platone nel Nouecento, Rorna-Bari 1987, pp. 57-62.7 È da n,-rtare, in ogni caso, che il referente più immediato di Cassirer norr

è tanto Aristotele, quanto f idea di una storia filosofica della filosofia, che affon-da Ie sue radici negli scritti postumi di Kant, ed ha poi trovato più larga espres-sione nelle due scuole neokantiane di Marburgo e del Baden (cfr. in propositoG. Raio, Introduzione a Cassirn, Roma-Bari 1991, pp. 5-6).

8 Platon: Sophistes, Gesamtausgabe vol. 19, Frankfurt a. M. 1992.

ATTTUALITA DI PI-AI,ONI, (]ASSIRER E L,"ESTETICA PI-ATONICA" ltii

civiltà occidentale. Per Heidegger, in altre parole, Platone non ò r'irrur-sto abbastanza fedele alla domanda ontologica da cui aveva preso lemosse, in un contesto in cui si dà per scontato che la filosofia coincidecon l'ontologia in senso proprio. In Cassirer questo discorso assume svi-luppi del tutto diversi. Mentre i presocratici si sono interrogati su checosa sia l'essere, e ne hanno dato ciascuno una risposta specifica(acqua, aria, numeri, ecc.), Platone per primo ha posto la domandarelativa al significato. Nella domanda socratica infatti non si «trattavadell'esistenza di determinati contenuti, ma della definizione del senso

univoco dei concetti"9. Questo trapasso dall'esistenza al senso mostraperché, in Cassirer, alla domanda platonica riguardo I'essere non devenecessariamente conseguire una ontologia: "Il vero inizio della dottri-na platonica originale si può dire consista nel fatto che gli si sposta ilrapporto fra il problema dell'essere e il problema del significato: il pro-blema del significato gli diviene la vera opXq, il punto iniziale del filo-sofare, mentre il concetto dell'essere appare solo un risultato derivato,la conseguenza risultante da tale cominciamento"I0. L'indagine che quisi inaugura risulta in quanto tale incommensurabile con le dottrine deipresocratici (come mostra ll lbdone), perché tali dottrine sono relative auna domanda solo apparentemente identica ("che cosa è l'essere").

Quando in effetti ci si chiede che cosa è I'essere. viene spontaneo pas-sare dall'essere all'ente (come direbbe Heidegeer), e indicare quellacosa che è l'essere in senso eminentell. Se viceversa vogliamo che ladomanda indugi proprio sull'essere e non slitti verso una certa cosa (unente), la risposta non trova più I'essere ma il significato. Parlare del-I'essere, insomma, significa in prima istanza passare dal piano ontolo-gico a quello semantico, perché dal punto di vista ontologico I'esserenon esiste. Si risponde dawero alla domanda sull'essere solo quando cisi chiede "che cosa significa la determinazione,la predicazione, la posi-zione dell'essere in quanto tale"t2. Come spesso succede, anche in que-sto caso l'interpretazione di Platone si fa mediatrice di un contrastofilosofico più generale, come quello tra la sensibilità neokantiana e

marburghese ai problemi del conoscere e l'ossessione ontologica diHeidegger. In effetti la preminenza del problema del significato è owia-mente da ricondursi al platonismo dei neokantiani, che derivavano l'i-dea platonica soprattutto dall'esigenza che f intelletto possa contare suconcetti o significati stabili cui riferirsi. Indicativo in proposito è il col-loquio awenuto nel 1929 a Davos tra Heidegger e Cassireq in cui, men-

e TP, P. 103.ro TP, p. lo4.It G, p.l38.12 lbid., corsivo mio.

Page 84: Trabattoni, Attualità Di Platone

AITTUALITA DI PI-AII )NI

tre Heidegger ribadisce la sua fedeltà alla domanda "di Platone" srrll'essere, Cassirer spiega che tale domanda, dopo Kant, non è più la srcssa, perché.I'essere nella nuova metafisica... non è più l'essere di rrrr,,sostanza, ma I'essere che viene da una moltepticità di significati c rlrdeterminazioni funzionali" I3.

Per Cassirer il trapasso dall'essere al significato corrisponde al rr.rpasso, in Platone, dalla frlosofia presocratica a quella di §6612ts; «Nr.rconfronti della domanda socratica la natura resta muta; non può irrs,.gnare nulla al nuovo bisogno di sapere che qui si è destato"l4. Ma qrr..llo che si sviluppa con Socrate è molto di più di un semplice sposl:rmento di campo. Nel domandare e nell'argomentare socratico, inlìrrrr.non c'è solo l'apertura di un nuovo ambito di ricerca. C'è anche la t.orrstatazione iniziale che una certa comprensione è già accaduta, cht: rrncerto signifrcato è già noto. Come si ricava da un celebre passo rL.lSofi.sta, per Platone pensare da soli non è altro che un discorrere dcll':rnima con se stessa (263e). Perciò I'essere a cui mira la domanda sor.r ;r

tica è "quell'essere che si esplicita nella forma del discorso e che rrorrpuò rivelarsi in altra for*u,,u. Sottolineo questa frase con soddisfazione, soprattutto perché è invalsa da più parti I'idea che il punto pirì t'lr.vato del conoscere secondo Platone sia un sapere non proposizionalt'l',Ma Cassirer aveva visto giusto, come si può constatare anche da un arr:rlogo passo del TbetetorT.

Ora, il fatto che l'essere si possa esprimere solo nel discorso è gnrvido di conseguenze importanti, di schietto sapore neokantiano. ScrivcCassirer che "Platone non domanda né come siano possibili le cosr.nello spazio e nel tempo, né da quali cause siano nate, ma da quali forr riscaturisca l'intendere, I'intendersi rrll. .ose,,ts. L'accadere delle cos<..in effetti, può divenire oggetto di domanda solo se si passa dalle cose rridiscorsi, dagli enti ai significati. Ma a questo punto sono già comparsi ildialogo e il miracolo dell'intendersi. La domanda è parte di un dialogo, di un discorso significativo. Io non posso domandarmi "che cosa t.un elefante" senza pormi la domanda circa il signifrcato della parol:r"elefante", perché l'elefante di cui parlo non è una cosa, ma appurìl()un significato: tanto che, se la domanda mi fosse stata fatta in una lirr,

13 Il colloquio è stato pubblicato in Appendice a Kant und d,as problem tbrMetaphysik, Frankfurt am Main 1973 (tr. it. di V. Verra, Roma-Bari 1g81). II pass,,qui citato si trova a p. 234 della traduzione italiana.

t+ :Il, p. 106.t5 TP, p. 107.16 Ho discusso questo problema in Scriune nell'anima. Verità, dialettico e lttr

suasione in Platone, Firenze 1 994, pp. 21,7 -218, 24G249.l7 189e -190a.ta :fe, p. 107.

CA,SSIRER E L, "ESTETICA PI-AIONICé."

gua che non conosco, io non l'awei capita. Chiedere che cosa è unacosa, insomma, signifrca né più né meno che chiedersi il significatodelle parole che usiamo. Potremmo uscire da questo cerchio solo se

possedessimo un discorso senza parole, capace di riferirsi direttamentealle cose. In questo caso la mediazione del linguaggio non ci servireb-be e non awemmo bisogno né di dialogo né di dialettica.

Sarebbe d'altra parte un classico errore considerare il diaframmadella parola solo come un ostacolo: perché il diaframma ha anche ilmerito di procurare, kantianamente, una certa specie di a primi.L'indagine muta del pensiero non discorsivo si muoverebbe al buio,senza possibilità di dialogo né di verifica. L'esame dei significati che si

attua per mezzo dei discorsi offre fin dall'inizio il terreno sicuro delleintese che già esistono, e che sono condizioni preliminari affinché si svi-

luppi un discorso in generale. L'essere di cui andiamo in cerca è perciò

"quell'essere di cui ci rendiamo conto a vicenda nel domandare e

rispondere"19. Tale ricerca si sviluppa secondo la prospettiva kantianadelle "condizioni di possibilità". Così come in Kant l'explicandum sono igiudizi sintetici a priori, e di essi bisogna trovare le condizioni di possi-

bilità, così per il Platone di Cassirer l'explicandum è l'intesa di cui attra-verso Ia parola già disponiamo nell'atto stesso in cui inizia I'indagine, Ia

cui possibilità deve essere spiegata in modo analogo.Così arriviamo alle idee di Platone, che costituiscono apPunto le

condizioni di possibilità dell'intesa. Da un certo punto di vista l'inter-pretazione cassireriana di Platone appare perciò assai vicina a quelladei marburghesi, che a vario titolo vedevano nell'idea platonica soprat-tutto una garanzia epistemologica. Ma i tratti caratteristici di Cassirersono soverchianti. In primo luogo, come abbiamo aPpena visto, I'ideadi Platone appare a Cassirer non tanto come essenza ideale oggetto diintuizione pura, ma piuttosto come punto di convergenza del dialogoche si instaura tra le persone mediante le parole. In secondo luogo, l'in-dagine cassireriana evita di prendere direttamente in considerazione ilproblema più delicato in rapporto alla dottrina platonica delle idee:cioè il problema di stabilire se le idee sono oggetti o concetti. Parequasi che egli intendesse con il termine "significato" ulraterza possibi-lità capace di dimostrare che le due proposte tradizionali sono solo fal-samente contraddittorie. Per Cassirer l'idea platonica rappresenta, intutti i campi in cui essa svolge la sua funzione, non solo e non tanto l'u-nità relativa al molteplice, ma soprattutto la condizione che spiega ladeterminatezza delle cose; che risponde alla domanda di "trovare dicontro a un relativo, un assoluto; di contro a un condizionato, unincondizionato; di contro all'indeterminato illimitato, un determina-

l1)'f t', 1r. lo7 (rrr:r «lrri (ìassirer traduce Platone, Fedon,eTB c.).

169

Page 85: Trabattoni, Attualità Di Platone

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AITTUALITA DI PI,A I 0I.,I

to»20. L''dea, ancora, è ciò che dà consistenza alla "realtà effettrrrrl.come sua misura, come «verità che stia ferma in se stessa, imnrut:rl»1,perché valida incondizionatamente, "essa stessa in se stessa" (...), r lr,

costituisca la base per tutti sli enunciati sull'essere relativo, empiri< o. 't

Naturalmente la contrapposizione tra mobile e immobile richiarrr:r 1.,

contraddizione "ontologica" tra il divenire delle cose materiali e l:r .t.rbilità sostanziale dell'essere, ed una delle ragioni che impongono I't :rstenza delle idee è appunto l'impossibilità che l'essere si riducir :rll.,mobile materia sensibile. Ma per il Platone di Cassirer il divenire r:r;,presenta il limite della conoscer.za?z, non il limite che individua il st.rr.re inferiore delle cose. Oltre il limite segnato dal divenire e dalla srr.r

prigione, c'è il mondo della conoscenza e dei significati. Come ha grrrstamente scritto Attilio Zadro (a proposito del libro di Classirr:r''rrLeibniz), "11 chorismòs passa così tra la funzione e i suoi argom€rti, r i,rgli oggetti sui quali si eserciLe e che, per così dire, la verificano,,'rFunzione è qui quello che altrove Cassirer chiama significato. L'irk.rplatonica è infatti ciò che «conferisce al particolare un determitìirr,,.significato Lrniversalmente valido, al di là e al di sopra del suo asszyri irrrlividuale, del suo esistere in questo o quel plrnto della serie spazial(. (.

temporale empirica"24.

Questo ennesimo riferimento al significato ci fa capire che cos:t <lilferenzi la posizione di Cassirer da quella che tradizionalmente si oplrr r

ne al sostanzialismo, ossia la posizione concettualista. È vero clr,.Cassirer, per designare le idee di Platone, usa spesso il termine "t'orrcetto" (Begnfl). Ma si tratta appunto di un concetto che ha il compito rlisignificare. Identificare le idee con i significati conferisce loro Ltn cal rr(

tere forzatamente relazionale, perché il significato ha per rìatlrra il corrrpito di significare qualcosa, di rapportarsi a qualcosa. Per tale rìoliv'non si identifica semplicemente con il concetto, appunto perchti ilsignilicato vive solo nella sua relazione con ciò che significa, ossia rrcll'uso che gli uomini ne fanno quando vogliono significare qualcosa ('()nle parole. Per Cassirer l'intento primario della dottrina platonica dt.llt.

20 EE, p. 17.2r TP, pp. 110-111.22 G, p. 137.23 Platone nel Notecento, p. 59.24 TR pp. 119-120. Mi è impossibile in questa sede discutere le varie rrrorl;r

lità medi':rnte le quali Cassirer rinviene nell'idea platonica un precedcnre sigrrificativo di ciò che egli chiamerà di volta in volta "funzione" (con valt:nza sopr':rltutto matematica), forma e simbolo. Ma ho I'impressione chc sar«rblrt'possilrilt.ripercorrere le tracce del suo intinerario speculirtivo arr<h<' prt'rr<k'rr<kr rorrrr'punto di rilèrimento la maniera in cui egli approlirrr<[is< r' r' svilrrlrp:r il srro irrlr'resse per la nozione platonica di eidos.

C.\SSIRER E L".ESTETIC,A PI,AIONICA' I7I

idee non era clunque né quello di p-ropo.rre un nìondo di cosep^ertètte

separate da quelle '""*ìuìi' "e q"àuo'di."ubilirc rrn cosmo noetico di

;'#:r#J;;; l.;;-o deve sforzarsi di contemplare per raggrunf4e-

re un pert'et,o ,up"t"'^t^"futti per il Platone-di Cassirer "ciò che caratte-

rizzalacorìoscenza ;;;t;'t"'*e (ale non è"' il sapere portato a-terrni-

ne, ma solo l'aspira*' t"i" il progredile dal ploblenra'alla soluzlone e

dalla soluzion" ai ,,uoul""r ftir'iÈ*^"lt lt piogtesso del sape.e è reso

possibile' a sua volta' dalla tunzione attiva deì sigrlilicare che le idee rap-

Presentano' rr- :r^,- ri D.lat^nc .he notremmo defini-Questa interpretazione delle idee di Platc-rne' che potremmo (

re semantico-fi,goi'titu,-J gtuuidu di conseguenze interessanti' Lì

primo luogo (questo-t i'''po"unte. soprattutto in sede di critica plato-

nica) si apre la po,.tuifiia ài considerare del rutto naturale il passaggio

dai diatoghi d.Ih *;;;;;;i cosidde tti dialo ghi djale ttici' "ql1l*t"t'impacciato sia dalla;;;;i""t sostanzialisto tiu du quella concettuali

sta (come dimostra i'";;t'";;?t59tI Parmenirle)' Pèr Cassirer le dot-

trine esposte nel t'a'mtr'itte' nel Filebo' nel So/isla e nel Polilico rron tra-

dis c o n o I a n atura Jfi i.'- ;:y,l*:: I #:,'f ::i,f ; :l; ;:,:::"

mento che qui è introdotto «espnme un

diversità che viene resa possibile e richiesta quando rn:uti ll,punto d'i nfe-

rimento--- Il concetto "à'-' 'i può porre^coàt to'-tt"tto determinato'

come questo " q,tri", "" 'u

[n'r- in tale forma del porlo sia già presen-

te un'opposizione, '""u che unicamente il suo semplice esser cosl

esprima un essere d";sf,;;tc, ad esso'26' Da qtresti passi' che hanno

un vago sentore ht;;i;^;": emerg€ la consapevolezza che t]1:^ o'i:;nic.a si determina 'àio ""ttu

ttlaJio"e' Così' è soprattutto attraverso r

dialoghi dialettici.À"-ri pr".i.a lanatura funzionile clell'idea; nel con-

tempo il rigiclo a"ii'*J che sernbrava c^rattetizzare la dottritra nelle

sue prime formulazioni viene superato dall'intern-o' nt'.^T:,T""'" t"

cui la nat.ura..*urii*^. ."turiorrut. dell'idea si mostra in azione. con

questo la sepa"zioie" '"" e negata; Piuttosto emerge alla luce il fatto

che la separazlone non è tanto una caratteristica ontologica' ma la con-

dizione di invarianz;;h.;";tte all'iclea di ricoprire una funzione

significativa in diversi contàsti: dove però è chiaro cÀe sarebbe illusorio

pretendere .,to tono"t"u dell'ideà in sé e per sé' al di fuori di ogni

contesto e delle specifiche relazioni che la riguardano'

Queste linee interpretadve corrispondo"A it' btto"u parte ad istan-

ze teoretich. ptoprit tltllo stesso Cassirer' in.cui da un^l1t^o-o,ccuPa un

posto centrale la clialettica tra forma e materia' tra ttnione e divisione'

tra analisi c sintesi, e rlall'altro agisce una esigenza di unità orsanica e

25 l |. 1y. | !r(r.

2(i [ 1,, I, l t'o

Page 86: Trabattoni, Attualità Di Platone

AITTUALITA DI PT.{'I\ )NI

articolata, aliena da rigide fratture e dualismi insuperabili. Questo s1,r,

ga anche perché, come vedremo meglio più avanti, Cassirer abbia 1r.rrticolarrnente sottolineato il principio della partecipazione delle irlt,alle cose (methexis) ed abbia attribuito particolare importanza al'l:ù1,',,.dove la separazione tra mondo ideale e mondo sensibile è attenrr:rt.rdalla presenza delle fìgure geometriche nel cuore stesso della mal(.u,rE spiega anche perché egli abbia potuto paragonare la forma Iì€l sr.nsodi Goethe, che non va al di là del fenomeno, alla forrna platonica, rrorrostante le profonde evidenze in contrario da lui stesso sottolineate. N( )r I

è il caso di chiedersi in questa sede fino a che punto la prospettiva <:rs

sireriana rispetti la reale natlrra del pensiero platonico. Quanto melr() ('

lecito dire che si tratta di una prospettiva interessante, sia pure da assrr

mere e analizzare più con occhio teoretico che storiografico. Ma anclr,da questo secondo punto di vista può valere come utile antidoto, corrr.eflicace principio regolativo contro le troppo facili schematizzaz.i<>rtiA-llo storico sempre assalito dal dubbio che la dottrina delle idee lat < i.r

apparire il mondo sensibile privo di valore o significato, Cassirer corrr,'minimo insegna che si può compiere un buon tratto di strada nr.ll:rdirezione contraria, e che esistono modi plausibili di intendere il du:rlismo platonico non già come una fuga dal mondo, ma come l'urrir,,firezzo possibile per conferire al mondo un significato.

2. Questa esigenza di unità armoniosa ed organica, pur nella diak'tticità delle differenze, è anche il punto di partenza di Eidos und. Eidohtn.Platone appare a Cassirer il filosofo dialettico per eccellenza, in cui si

accordano perfettamente, in feconda unita di contrasti, volere e corr()scere, mito e ragione. La vivente armonia dell'insieme è fecondata dallrrrichiesta incessante di rendere ragione, che tutto sa articolare nelle srrr.

differenze specifiche e poi ricomprendere con uno sguardo complessi.vo, in un moto pendolare di analisi e sintesi, finché il tutto e le parriappaiano trasparenti all'occhio della ragione. Scrive Cassirer che pt'rPlatone vale più che per altri quelìa frase di Goethe, secondo la quak.«ogni elemento isolato è da rigettar6,27: propria degli spiriti granrli.quali sono Goethe e Platone, è appunto la caratteristica di essere "pt'r'sone capaci", in grado di concepire e di sentire la totalità dei problcrnidel mondo e della vita in modo a loro congenialez8.

Sta di fatto però che nel pensiero platonico c'è come un punto rlirottura, un contrasto che pare talmente insanabile da non poter- ess()11'

padroneggiato dalla doppia azione equilibratrice di analisi e sintt'si:Platone è riuscito a fondere mediante la dialettica l'etica, la religionr. r.

z7 EF-, p. 12.28 G, p. 165.

CASSIRER E L'"ESTETICA PI-ATONICA' 173

la matemati ca, firada questa armonia pare irrimediabilmente esclusa

1'estetica. Benché cu"itt parli qui deli' "artista" Platone' rammentan-

do in propo,it" il t.;;;; il;{'Èi; ::1"i1" it quale egli avrebbe bru-

ciato le sue compos"iot'i pottithe' rron si tratta affatto di contrappor-

re irr modo psicologistico ìl Pluto" poeta al Platone hlosofo' Ben più

importante è il fatto tilt t*fi"it"ria delle idee di Platone non sembra

in senerale ,rorut 'pu'io un'estedca come scienza autonoma' I1 ripudio

'j:rr:#;;*;*i.' jàn, i-perfe rta. armorua delta costruzione platonica,

non a caso è po"o au iu'sirer in collegamento con la dottrina delle

idee. Perché ,. t'''"'ià ;;;;t;tlla liiosofia di Platone è raggiunta

grazie auna concezione dàll'idea come sffumento funzionale alla com-

prensione significadva del mondo' capace rli sanare i dualismi in una

sintesi superiore, f 'u''nJiu"'"nto dell'estetica è a P.ti:u yttlil^segnale

che l'operarlor. t'o''iit"t' t che il duali"tto ài fondo persiste' In

effetti l,esteti.u.ig.ru'.'Ji,"^p.;" sensibile delle cose, e la profonda dif-

fidenza di Platone ";'g";; induce il.so:petto

che pe.r lui le cose sen-

ilii;;;;g;r1o ut roìao inintelligibili.-Può essere utile a questo pro-

oosito rammenrare iitì!"ffit'ì" ttit nulu paroìa in I{ant ltl :: t:lt:

Hil; ìil;i;;;riu-.z""r..nza sensibire). cassirer naturalmente .e

consapevole di usare il termine in una accezione più ristretta' E tuttavta

idrd;ililtta a. u' "tit

tica non può non.costituire ugualmente'un osta-

colo alla .o-pt.tt"à"ì^ati À"Àao sensibile' quasi che non esista (per

usare ancoru ,r, ,.lrri.r. Lantiano) alcurro'schematismo efficace per

rrassare dall'intelletto al senso' lnsomma' se dawero'fidea'è''lo stru-

ffi#.;:';;'t's*ì;; al mondo <lella realtà percepibile' t' u t''t]::l':che non sia riuscita àJu*otuttt la sua funzione' oppure' aI contrano'

il ripudio a"tt'..t.tiia i"itlnnt :"t-1-"^'],,tintomo tÉt l'interpretazione

funzionale d"ll'id";ii;;o platonico merita di essere riconsiderata'

Naturalmente Per Cassirer questl è l'ipotesi da scongiurare' Un

importante i,,ai'io If" tosì '-'on'è

è dato dtt futto che da nessrrn'altra

dottrina filosolrca t;;"-;;;ii' platonica' nonostante la sua negazione

dell'estetica, «sono derivati rlflrtti estetici più forti t piy:*Y:ji quelli

scaturiti au qrt"o 'iit,,,'"''ile suffragio di qtresta tèsi Cassirer abboz-

z^ tltasintetica wi;;;; ;t g"' h k hte che.-da Plotino e Agostino' attraverso

il platonismo ti"u*i-"-'.'ìale di Marsilio Ficino e Mùhelangelo' arriva

fino a Goethe, Wi;;;il;"n e Schelling' Un discorso til:q"' ry:essere fatto anche ptì f" storia della scienza' come dirnostrano r casr

eclatanti di Galilei é Keplero, che hanno adottato il paradigma platoni-

co nella loro interprttu"io"t della natttra' Ma nel cà"tpo specifrco del-

l'arte questa "'iatlit-'iÀ"ità di ispirazione e di metodo è sempre sog-

getta zrl pericolo til-uu'if"ut'i r-teila massima lontananza' a causa del-

',"r 1,,1;,, P ltt.

Page 87: Trabattoni, Attualità Di Platone

CASSIRER E L.'"ESTETICA Pt {TONIC,A,

una vera e propria contraddizione. Tali ambiti sono costituiti dalla natu-

ra e dall'arte, e nella parte restante del suo saggio Cassirer cerca didimostrare in quale misura anche la natura e l'arte, nella filosofia pla-

tonica, possano essere riscattate alla luce dell'eidos.Torneremo fra poco sugli aspetti interessanti di questa operazione'

Ma non possiamo lasciare la prospettiva delineata senza commento'Osserviamo in primo luogo che è del tutto evidente, forse anche al di1à delle intenzioni dell'autore, il carattere kantiano dello schema che

Cassirer :utilizza. Sembra di trovarsi di fronte a un'opera di restauro diPlatone alla luce di Kant. Mentre nell'ambito della matematica e del-

I'etica la kantianizzazione di Platone è pienamente riuscita, si tratta ora

d,i compiere una analoga operazione a proposito della scienza dellanatura e dell'arte: se la Critica della ragione pratica di Platone è già com-

piuta, bisogna completare alcune parti della Critica della ragione pura e

icrivere per intero la Critica del Giudizio. Ma anche le determinazioniconcettuali che Cassirer :utrlizza nei diversi ambiti risentono profonda-mente del modello kantiano. Già abbiamo notato come la nozione diestetica per Cassirer non sia del tutto indipendente dal significato che

le attribuiva Kant; e questo si nota in particolare nel fatto che Cassirer

considera l'estetica platonica soprattutto come articolazione delmomento conoscitivo, privilegiando il significato e le connessioni epistemologiche nei confronti di tutte le altre possibili relazioni. Notiamo,in secondo luogo, che gli stessi concetti di puro sapere e di puro vole-

re sono sostanzialmente estranei al pensiero platonico. Sottolineandoin Platone soprattutto la ricerca della "forma", Cassirer hnisce perappaiare questa tensione alla ricerca kantiana di ciò che è puramenteformale (ittiva in vari modi in tutte e tre le critiche), minimizzando ilfatto che l'obiettivo di fondo della filosofia platonica è quello di indivi-duare le condizioni teoriche per la realizzazione del bene (inteso come

eud,aimonia, cioè benessere e felicità). Infine lo stesso concetto di vole-

re, che Cassirer utilizzaper identificare l'impulso iniziale di Platone alla

filosof,ra, non è né socratico né platonico (e in generale non è stato pre-

cisamente determinato dal pensiero antico), ma è anch'esso, come ben

si vede, di estrazione kantiana.

Questo stato di cose non aiuta Cassirer a cogliere con precisionequal è il motivo di fondo per cui in Platone c'è un grave contrasto traeìtetica e filosofia. Il preteso conflitto psicologico tra il pensatore e I'ar-tista non è una spiegazione, perché resta poi ancora da spiegare da dove

esso nasca. Esso nasce in realtà dal conflitto che si instaura in Platone

tra estetica ed etica. Cassirer sceglie invece di privilegiare le motivazioniepistemologiche esposte nel libro X della fupubblica, dove l'opera d'ar-té è definita come il terzo grado del conoscere, cioè imitazione delle

cose sensibili così come tali cose sono imitazioni delle idee. Non è que-

17 ltt74 ATTTUALITA DI PL{II )NI

l'ambiguità caratteristica del concetto platonico di forma. se infatti «l,run lato la forma è il presupposto implicito di tutte le possibili estetir.lrr.di stampo platonico, dall'altro costituisce per l'arte anche la più grlr'r,minaccia, perché "sforzandosi di universalizzare e di depuraie il r.«rrrcetto di forma proprio dell'arte, [la filosofia platonica] in verità lo s.1rprime»3O. Questo intreccio dialettico di massima affinità e di massirrr:rdifferenza è plasticamente raffigurato dai due concetti eid,os e eid,olort. r

quali, pur derivanti da una medesima radice che significa "vedere", .r1rpresentano I'uno il coglimento della forma che si sviluppa con urr iìrr.spirituale, l'altro la sua immagine depotenziata, ossia il momento passrvo della percezione sensibile. Tale esito travalica di molto il problerrr:rcircoscritto dell'arte, poiché è intrinsecamente connesso alla natru.rrspecifica della filosofia di Platone e ai meccanismi della sua genesi. L;rcomprensione della realtà che si sviluppa mediante I'uso del pensier,, ,.della parola costringe l'indagine a muovere verso le condizioni di qu<.sto comprendere, cioè verso il mondo delle forme e dei significati pirr i,insensibili alle variazioni di tempo e di luogo. Tuttavia, univolta imb.<cata decisamente questa strada, c'è il rischio che non si possa più t,rnare indietro, e che la forma appaia un oggetto tanto rarèfatto ed urriversale da perdere la sua funzione esplicativa, così da ridurre il monrl,sensibile a puro eid,olon del mondo ideale. In questo modo I'unità dt.l-I'universo speculativo platonico andrebbe perduta.

La strategia che cassirer adotta per risolvere questo problema è chi,-ra e schematica. In primo luogo egli riprende il tema della genesi dcl-I'idea platonica come superamento della speculazione presolcratica: irrPlatone si compie il passaggio dall'essere alla forma, ,r.l ,.rr.o che dal_l'essere variopinto dei frlosofi presocratici si passa a una comprensiont.dell'essere priva di raffigurazioni sensibili, e perciò inteso .ò*. pr.r,,forma, come realtà assoluta e incondizionata. Òassirer peraltro si rendt.conto che questo schema di sviluppo ha un carattere esclusivament.epistemologico, e sembra escludere lo stimolo decisivo offerto a platont.dall'impulso etico di socrate. Perciò egli osserva, sottolineandolo più diuna volta, che l'esigenza di incondizionatezza fu inizialmente concepi-ta da Platone sul versante socratico del volere. Dalla doppia riflessioir.sul sapere e sul volere scaturiscono da un lato la matematica, dall'altr«rl'etica3l. ora, mentre questi due ambiti sono dominati dalla determi-ttatezza e compiutezza della pura forma (del volere in un caso, del sapc-re nell'altro), esistono altri due ambiti in cui questa determinatezza i.carente, al punto da essere ridotti allo stato di immagin e (eùlolon),secondo una differenza che corre sempre il rischio di tiasformarsi in

30 EE, p. 14.3l Cfr. EE, p. 20.

Page 88: Trabattoni, Attualità Di Platone

C,ASSIRER E L' "ESTETICA PI-ATONICA" 177ATTTUALITA DI PI-A I'()N I

sta la sede per dis('ut('lt' il <lillìr:ile problema del rapporto, in platr»rr,.,tra valutazion<' t'tit::r c v:rlrrtilzione epistemologica dell'arte. possiirrrr,,però almeno dirc che la valutazione epistemologica, per quanto brrss,,sia il grado in cui viene inserita Ia forma artistica, non è mai sufficit.rrrrper instaurare una vera contraddizione tra estetica e filosofia, perch(' r l.run lato rimane aperta la possibilità che l'arte abbia una funziòne divr.rsa ed autonoma da quella conoscitiva e frlosofica (questo percors() r.

abbozzato nello lon&z), dall'altro la produzione artistica potiebbe st.r,pre costituire un modus minor per accostare l'anima alla verità filosol ir : r.

che a tratti può risultare utile o addirittura necessario. Anche tale nì()rrvo è segnalato più di una volta nell'opera platonica, ed in fondo è dirrr,,strato dallo stesso saggio cassireriano di cui ci stiamo occupando qui.

Come meglio vedrerro più avanti, Cassirer tenta di promuovert, irrPlatone un riscatto epistemologico dell'arte, ed ha molte buone ragi,,ni per farlo. se infatti consideriamo l'opera platonica nella sua globrrlità, comprendendovi in particolare i dialoghi dialettici, 1l Tinuo t: lcLeggi, I'episodio del libro X della Rcpubblica perde progressivamerrr..rilievo, e si dimostra profondamente legato al contesto del dialog, i,,cui è stato scritto, mentre per converso si fanno strada valutazioni rlr.lI'arte assai differenti: si pensi ad esempio alle Leggi, dove l'imitazi.rr,.non è più svalutata in quanto tale, ma più semplicemente articolata irrimitazioni buone e imitazioni catrive (668 B), o dove, addiritrura, in rrrra.ltro luogo si dice che a volte ai poeti è dato di cogliere parti della vt.r i

tà (682 A)-. Ma quando pure siamo riusciti a togliere il cònflitto ,,episrr.

mologico", rimane intatto il conflitto tra estetica ed etica, che norr rr

caso viene ribadito anche nelle Leggi sia a livello teorico sia a livello rlilegislazione politica. come ho detto sopra, cassirer non era nella p,sizione migliore per dare il giusto peso a tale conflitto, perché interpn'tava l'etica socratico-platonica come un'etica tendente in senso kanti;rno alla pura forma del volere, e in questa prospettiva in effetti non sivede come possa nascere un contrasto con l'estetica. Muovendo <llrlprincipio del volere, cassirer interpreta l'etica socratico-platonica corrr«'se il suo scopo fosse quello kantiano di trovare una norma stabile dr.ll'agire (la. forma) in opposizione alla "molteplicità di singole aziorricasuali" (la materia). Per il Platone di cassirer la forma è regola clt'lmorale, perché "vi è un ordine riposante in se stesso del moialc, rrrrinterno canone dei rapporti volitivi, che si può paragonare secondo I:rsua condizione e la sua validità ai puri rapporti di misura matici,,:r'r.così si colpleta la perfetta armonia tra ordine teoretico e ordine prrr.tico, perché l'obiettivo di entrambi è quello di raggiungere la pur.:r

32 Cfr. E. Ttabattoni, Sul signifi,eato deilo Jone platonico, ,'Sandalion", lJ-1|

(1e85-86), pp.27-57.33 EE, p. 18.

forma nei rispettivi ambiti. E appena il caso di notare che tutto ciò nonha molto a che fare con l'etica platonica, e con l'etica antica in gene-

rale. Principio di fondo dell'etica di Socrate e di Platone (ma poi anchedi quella di Aristotele) è l'incoercibile tendenza dell'uomo al bene,

inteso come la sua felicità. Ora, poiché questo obiettivo è per Platonecogente nella maniera più forte possibile, è necessario dichiarare inuti-le ò dannoso tutto ciò che è indifferente allo scopo o addirittura ad esso

contrario. Così, se il bene e la felicità dell'uomo sono il suo obiettivoultimo, e risiedono nell'esercizio della virtù, allora per Platone è con-

seguentemente necessario proibire I'arte che istiga al vizio. Perciò nonè vero che Platone rifiuti per principio un'estetica autonoma o neghiun'idea indipendente di bellezza. E vero che l'estetica entra troppospesso in conflitto con I'etica, e che in questi casi la scelta deve privile-giare ciò che conta di più. Quando ciò accade sembra che la conside-

iazione della bellezza scompaia semplicemente perché il bello diPlatone e dei greci è carico di pregnanza etica, cosicché ciò che non è

anche buono non può essere detto dauuerobello.

3. Ma ora è venuto il momento di riprendere il filo delle argomen-tazioni di Cassirer. Per Platone la natura è soggetta all'eterno diveniredi cui parlava Eraclito, e perciò non può essere compresa in modo sta-

bile e rigoroso: così a quello che il mobilismo eracliteo rappresenta dal

punto di vista ontologico si affianca il relativismo sofistico dal punto divista della dottrina della conoscenza. Platone è rimasto fedele a questa

visione, precisa Cassirer, per lunga parte della sua vita, almeno fino al

*o*.rrò in cui il moto (rivqotg) diventa «un concetto sistematico fon-damentale della togica platonica"34 (Cassirer sta pensando evidente-mente ai dialoghi dialettici, e in particolare al sofista). Questo stato dicose è documéntato in maniera esemplare dal modo in cui Platonevaluta la scienza astronomica nella Rzpubblica: I'astronomia merita diessere coltivata, spiega Socrate, come scienza puramente matematica,perché con il suo elevato grado di astrazione prepara l'anima.alla cono-i...rru delle essenze ideali, e per questo deve essere considerata inmaniera separata dai fenomeni che descrive. In tal modo si compie lapiena dissoàiazione la tra scienza pura, rappresentata dalle forme idea-

ii d.ttu matematica, e la scienza applicata alla comprensione degli even-

ti mondani, che fa uso della forma sensibile, in un contrasto tra eid'os e

eid.olon che appare a prima vista insanabile. Ma così non è, perchéaccanto alla separazione c'è anche la partecipazione. In effetti, perquanto un fenomeno sia soltanto fenomeno, esso fa in ogni caso Partedell'essere, e in quanto tale deve contenere una sia pur minima dose di

34 EE, p. 20.

Page 89: Trabattoni, Attualità Di Platone

l7tì ATTTUALITÀ DI PI-AToN I,

forma e stabilità. Questa stabilità è data dalle forme della matematir':r,le quali, se è vero come è vero che appaiono alla considerazione cosrrrtiva dello scienziato della natura, devono appartenere alle cose nel lor <,

interno, e costituirne in certo modo la forma ultima. Qui è evidente clrcCassirer legge la 'fisica' platonica più alla luce di Galileo che di Kanr,come dimostra il fatto che il suo termine di riferimento principale tì ilTimeo.La dottrina esposta nel Timeo è definita dal conduttore del diakr.go all'inizio della sua esposizione come un discorso ragionevole (eiAr).r:

29 D). A Cassirer non sfugge la promettente fecondità della nozione rlieikòs, cJae diviene utile per gettare un ponte tra eid,os e eidolon, perché irressa «tanto si sottolinea 1l contrasto rispetto alla pura verità... [in quest<rsenso la natura appartiene al regno imitativo degli eidola,l quanto siafferma il riferimento ad essa [in questo senso è attiva nella natura I'azi()-ne dell'eid,os.l"35.

Per spiegare come questo awenga in Platone, Cassirer fa un prevedi-bile riferimento alla teoria dei quattro elementi d.el Timeo: aria acqua,terra e luoco non possono costituire il più elementare stato di aggrega-zione della materia, perché in tal caso non si potrebbe spiegare la confì-gurazione geometrico-matematica della natura. Perciò Platone immaginaper ciascuno dei quattro elementi una struttura atomica composta clasolidi regolari, che se da un lato permette il libero divenire delle cose,dall'altro garantisce alla natura «una certa forma interna... una condizio-ne necessaria" almeno analoga alla .determinatezza dell'idea pura»36. Aproposito del mondo fisico la mediazione tra eidos e eidolon sembra dun-que avere successo. E questo non tanto perché Platone awebbe col pas-sare del tempo preso le distanze dal suo dualismo iniziale, ma perchél'accentuazione della differenza è un passo fondamentale per stabilireI'analogia. Benché Cassirer si esprima in modo da far pensare a una certaevoluzione, dal Fedone alla Rzpubblica al 'Iimeo, verso la restituzione allafilosofia di un mondo di forme sensibili che pareva perduto, in realtà lastruttura portante è sempre la stessa. Nel Fedone e nella fupubblicaPlatonel'uole mostrare che una scienza della natura fondata empiricamente sullanatura medesima è fallimentare. A tale scopo deve stabilire in tutta la suapiena determinatezza la scienza delle forme pure (matematiche in parti-colare), e questo non si può fare se non mostrando la loro irriducibilealterità, se non vera e propria opposizione, in rapporto al mondo sensi-bile. A questo punto sorge naturale la tentazione di stabilire l'opposizio-ne come definitiva, e di vedere in essa lo scopo ultimo per cui platone siè mosso alla ricerca delle pure essenze: per trovare altrove che nelmondo sensibile quelle norme di essere e conoscibilità che esso non puòrispettare. Ma sarebbe una tentazione ingannevole: 1o scopo per cui la

35 EE, p. 24.36 EE, p. 26.

CASSIRER E L' "ESTETICA PLAIONIC.A."

forma è purificata ed opposta alla realtà materiale consiste nel fatto chesolo così Ia forma possiede quelle caratteristiche di universalità e di asso-

lutezza che la rendono utilizzabile per conoscere Ia realtà sensibile intutte le sue espressioni. L'immagine di Platone che ne deriva, seducenteda più punti di vista, andrebbe verificata anche al di fuori del contestoepistemologico (l'unico che dawero interessava a Cassirer in questa fase

del suo percorso speculativo). Ma alla luce delle ricerche che conduco dadiversi anni sul pensiero platonico, mi sento senz'altro di dire che ha unaforte dose di probabilità.

Risolto il problema della natura, rimane però ancora il problemadel bello; che è indubbiamente il più difficile dei due. In effetti tra laforma che appare nella natura e la forma artistica ci sono delle diffe-renze essenziali. Mentre la prima subisce il vincolo della realtà cuiappartiene, pur nel suo scorrere, nella seconda dominano sovrani lasoggettività e l'arbitrio dell'opinare. Qrresta condizione di massimalibertà, che caratterizza in generale ogni facitore di immagini, fa appa-rire l'artista esattamente come un sofista, con tutta la sua capacità diprodurre apparenze senza sottostare a una regola, e perciò ben al disotto dell'artigiano, che può operare solo imitando la forma determi-nata dell'oggetto da costruire. E questo il punto, spiega Cassireq in cui

"il cammino di Platone e quello della successiva teoria dell'arte che perlo più ne deriva si separano nel modo più netto"37. Né Cassirer ritieneattuabile il progetto moderno di riscattare l'estetica di Platone, a dispet-to delle sue stesse convinzioni, mediante la sostituzione dell'ideale all'i-dea. In effetti, come dimostra il tentativo in questa direzione promossoda KarlJusti, così si suppone che l'idea derivi da una generalizzaz,ionedella percezione estetica. Quello che non va in questa ipotesi è che essa

colloca l'idea platonica alla fine di un percorso induttivo, che è il meto-do esattamente contrario a quello adottato da Platone. Se è vero infat-ti che l'ideale estetico comporta un necessario riferimento alla realtàsensibile, non può però arrestarsi a questo livello, perché né la sempli-ce pluralità delle percezioni né lo "scorrere di immagini... numerose e

meramente sensibili" può mai produrre, per Platone, la pura forma38.

Bisogna dunque rassegnarsi a ritenere il dissidio insanabile? Altri ten-tativi di risolvere questo problema, per quanto seducenti a prima vista, si

rivelano fallimentari. Si potrebbe ad esempio mostrare che anche nel-I'ambito dell'arte, così come in quello della natura, alla separazione si

affianca la partecipazione. Anche in questo caso il medium è la matemati-ca, perché per Platone (così come, possiamo aggiungere, per gran partedell'estetica antica, imbel'uta di pitagorismo) nogni bello... in ultima ana-

Iisi riposa su pure determinazioni numeriche e di misura»3e. potrà n,rt -

e7 EE, p. 31.38 EE, p. 83.

Page 90: Trabattoni, Attualità Di Platone

181

ATTIUALITA DI PI.ATON I.

que accadere che I'arte, anclì('s(' ilr irrrt'rliabilmente lontana dall'idea, nr'sappia offrire un'esprt:ssionc sirrrlrolicu, appunto per mezzo di quel cotr-cetto di misura r:ht' r'ostilrris('(' uurr specie di ponte tra la verità e la bel-lezza. ln altr-e 1>irlolt', l:r lrir<lrrziorrc della bellezza nella determinatezt^rdella matt:rrurlir';r c rlt'llrr rnisrrra salva l'arte dal libero e casuale gioc('delle apparcnzc, <l:rll'inccssalrte riproduzione della realtà fenomenica, ('

la costrintr;e a rrnir regol:r, Ia annoda a qualcosa che ha un rapporto necessario con Ia stabilità della dimensione ideale. Ma in realtà questo succes-so è soltanto illusorio. Così facendo si è forse riusciti a salvare l'esteticrr,ma non l'arte. Che da un lato la dotrina platonica delle idee sia collega-ta a concetti matematici come ordine, armonia, unità, misura, ecc., e chcdall'altro per Platone la bellezza abbia a che fare proprio con la matt'matica, sono due fatti innegabili. Ma così si dimostra soltanto che la dot-trina delle idee ha anche una valenza estetica (cioè ha rapporto colbello). Nulla di positivo ne risulta invece per l'arte come fenomeno imitativo (ad esempio l'arte di Omero, dei tragici o dei pittori). Al contrario,la sua condanna si fa ancora più drastica e immedicabile. L'artista, irreffetti, imita le cose così come appaiono, ed è ben lontano dal persegui-re l'unico ideale estetico che per Platone è prowisto di valenza filosofica.cioè quello delle matematiche. Se ne deduce perciò, con rinnovata chiir-rezza, c.he il dialettico e il mimetico fanno cose diverse e si rivolgono u

mondi diversi (secondo quanto si legge nella metafora della linea e uclmito della caverna narrati nella Rtpubblica). Si consuma in tal modo unirdissociazione che non ha cessato di stupire nei secoli i lettori dell'operirdi Platone, e che pure è tipicamente sua: cioè la dissociazione tra arte ('bellezza. Cassirer menziona in proposito il secondo discorso di Socratr'nel Fedro Qaba-257b) e la scaln o.rnsris descritta in un celebre passo dt:lSimposi,o (210a-21ld) dove "la contemplazione della forma sensibile, irrcrti l'artista si immerge, è sì un primo gradino e un punto di transito nel-l'ascesa verso il mondo del bello; ma essa deve essere solo, e non pui,essere niente di più che, un tale punto di transito,40. Da ciò egli conchr-de che un'unica determinazione di pensiero e un'unica opposiziont'costruita in modo sisternatico determinano in Platone tutti i giudizi sul-l'arte e sul belloai, rendendo così il contrasto tra arte e filosofia appa-rentemente insanabile.

questa deduzione lascia però adito a più di un dubbio. È r..o che nr'lSim,posio e nel Fedro la bellezza sensibile e l'arte rappresentano solo urrgradino sulla strada che porta al raggiungimerìto della verità e delk'essenze ideali. Ma in entrambi i casi si tratta di un mornento importantc,addirittura per certi versi essenziaìe. Socrate spiega nel Fedro che di tuttc

3e EE, p. 3b.40 EE, p. 39.+r EE, p. 40.

le idee la sola bellezza è quella che lascia trapelare f immagine di sé nel

mondo sensitrile, per cui issa vietre a trovarsi in una posizione assoluta-

;;;;. privitegiata anche dal punlo {i vista fìlosoficoaz' AlIo stesso modo'n

t- Srrirporlo ion solo il desiderio della bellezza rappresenta il primo

iÀp"lt,iverso la filosofìa, ma quando S9:tu.lt afferma che il fine dell'e-

ros ltlosofico consiste ,'.i ptotttute nel bello' la produzione poetica è

citata come uno dei modieminenti in cui questo obiettivo può essere

realizzato (209d). Come abbiamo già detto sopra' nonostante Ie .appa-

renze contrarie in realtà non è l'aàbito epistemologico il luogo in cui

nrrò essere dawero riscontrato l'atteggiamento negalivo di Platone nei

I""f-"ii à.fi'a.te. Cassirer evidenteÀente cerca e non trova in Platone

,n'uppr.rrumentodellabellezzaedell'arteinquanto-tali'chepossadarroro'rà dignità di discipline auronome.accanto alla lìlosofia. Il minimo

.h. ,i po.!u dire a questo proposito è che tale problema non interessava

oer nulla a Platone. Platoàe patla '"*pte dal punto di vista della,filoso-

fr;: ;;;. .t.1'.ti., e deila politicà che le sono strettamente legate,

p.. ."f le sue valutazioni dell'arte sono sempre stilate-in funzione del-

l,utilitàedeldannocheessapuòfareneiconfrontidell'ambitofilosofi-."i,i." e politico. così può accade.e che-il bello sensibile o artistico sia

visto a volte come un frào che trattiene I'anima nel mondo sensibile e

""" f. permette di salire alle idee, altre volte come un mezzo utile per

comoiere proprio quello stesso percorso da cui nel primo caso.§embrava

airiJgii.t.i si'po,rèbb. dimostiare altresì' come ho cercato di spiegare

i" "fr?i

lavorias, che la contraddizione tra qtresti due diversi atteggiamen-

,ì-Jt"f" aPparente. Ciò può essere anche. tìptttto in un mo.do conforme

a q.retlo cÈ Cassi.er Btiizzaper caratteri zzare ladottrina platonica delle

idèe. Se dawero c,è mediaziÀne, in natura, tra eidos e eidol,on, allora que-

sto significa che l'opposizione tra mondo sensibile e mondo ideale è indi-

,p."t-"nif. p.oprio pe' fa' sì che il secondo sia una spiegazione del

orimo. Perciò il passaggio dal montlo sensibile al mondo ideale è sempre

;;;iltl. fpr.Jrre tiiii it metodo giusto): cosi come è sempre in aggua-

to l.errore di conlinare le nostre pàcezioni e volizioni nel mondo sensi-

iià, q.,u.tao si crede che il sapere umano non conosca altro luogo che

or.rello. come ben si vede si tr;tta in entrambi i casi di valutazioni filoso-

;;;, ;;ì;*i^"" ir problema estetico rlel tutto impregiudicato' Perciò

;ipu; dire che in phàne non c'è un'esretica semplicemente perché egli

non pa.la mai da un punto di vista estetico'

Del resto anche t"L,ttit"o passo che compie Cassirer nel suo saggio è

42 250b. Questo Passo, come fra poco vedrenro' è menzionato dallo stesso

Cassirer nel suo saggio'-- 43 (ìfì: ,\tri.tu,rcì,ìil ,rrr;-o,in partic.'larc pp' 260-261; Plitl.rrt:, /-rrr1r,' a c' di F'

T., Mifirrrrr l'l)1)5, /zr.r.sirn; l'kt'k»t'e.R<trtt;r l1)1)É' irr l)irrl' l)l)' 167-177'

C,\SSIRER E L' "ESTETICA PI-ATONI(ìA"

Page 91: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTTUALITA DI PI,A I()I.]I

compreso all'inte rno <li qrresta prospettiva. C'è un'ultima possibilir:r p,, r

mediare il contrasto, in arnbito estetico, tra eidos e eidolon, ed è qtrcll;r ,lrdimostrare che la lìlosofia è pur sempre affetta da una debolezz:r r,,rrgenita (l'uomo, conre si legge nel Simposio, può essere al meglio liL,s,,fo, perché sophòisctno solo gli dei), cosicché si trova costretta ad:rssrrmere forma artistica, a ripiegare sull'eiclolon per l'impossibilità strtrrrrrrale dell'uomo, dei suoi mezzi conoscitivi e linguistici, di acceder-c :rll',,dos direttamente e con sicurezza.

Cassirer osserva anzitutto che in Platone il reiterato antmoninr('nt,,contro le seduzioni dell'arte si accompagna spesso, a volte addirittulrr rrr I

medesimo luogo, a uno stile di esposizione particolarmente sensibik. .rr

valori estetici. Potremmo citare, a questo proposito, il caso singolart'rl, l

libro X della Repubblica, dove al netto ripudio, metafisico e gnoseolouir ,,,della poesia, che compare nella prima parte, si accompagna nelle plrgirr,finali lo straordinario mito di Er, che è una delle cosrruzioni poeticht.rlrPlatone meglio riuscite. Cassirer sceglie invece come esempio 1l Fednt. itrcui Platone dichiara, come già abbiamo visto, che tra tutte le idec rrrrscendenti I'unica che si lasci intravedere anche nel mondo sensibilt. t

proprio quella della bellezza: al punto che, nonostante in questo dial«rg,,egli ribadisca cor.forza che solo la ragione può contemplare I'idea, rrr:ucome qui Platone si è attardato a descrivere la bellezza setrsibile dt'll:rnatura. Nella suegestiva ambientazione con cui il dialogo si apre, spir.g:rCassirer, si conciliano di fatto i contrasti introdotti dalla dottrina dt.llr.idee. Il ripndio della piprlorg stabilito nella Rtpubblica non impedisct' :r

Platone, qui come nel Timeo, di produrre un'arte che sarebbe riduttivointendere solo come imitativa, e che per Cassirer, sempre con un occlrirralle istanze teoretiche che hanno suscitato il suo interesse nei confr()ntidelle idee platoniche, «conforma in senso proprio,4a (gestaltenSt ci<»t.l'arte del discorso mitico, che anche in questo caso può trovare nel vcr()simile (eiÀòs) un punto medio tra eidos e eidolon.

Per una corretta comprensione di questo punto non bisogna lalsiingannare dall'illusione psicologistica, che vede nel ripiegamento rliPlatone sull'arte solo l'effetto inconsapevole di una contraddizione nuririsolta. Al contrario, come ora apparirà con sempre rnaggiore chiarezn.esso corrisponde ad istanze vitali per la natura stessa del pensiero plat(»nico. Con un evidente riferimento ai gradi del conoscere fissati nellrrfupubblica, Cassirer dimostra che per Platone l'uso dell'immagine intr.ressa da vicino anche la conoscenza matematica, la quale, pur essend()«orientata puramente alle idee nella loro permanenza ed eternità, nclloro puro In-Sé, non può in alcun modo evitare gti aiuti e gli appoegi scrr-sibili,,+r. Ma neppure questo ulteriore gradino raggiunge il culmine. Firr«»

aaF-E, p. 42.

CASSIRER E L''ESTETICIA PI-AfONICA" lfì:ì

a questo punto si potrebbe infatti pur sempre supPorre che la poesia' il

mito e le raffiguraziorrl -ut.-uticire costiiuiscano in un certo senso gli

strumenti di servizio i.Uu nto'nf'a' utili solo in certi casi e Pel determi-

nati scopi, lnentre t^ ìlt t^t'tra della filosofia in quanto tale sarebbe

quella dell'intuizio". p;;; del pensiero deduttivo' capace di cogliere il

vero senza alcun diafr;nma. lnvèce la presenza del diaframrìla è strutttl-

rale, ed è attiva ftn aui *o*ento in t"i il diul"ttico 'intraprende il ten-

tativo di esprimere in parolellrisultato di questa visione allo scopo di dar

vira a una dottrina . ai f"nr"nicarra16. rn effetti la paro_ra- e qui cassirer

cira con pertinenza il;"1;;;; exclffsusfilosohco d''la WI l,ettrra - costitui-

sce sempre ,rro -.dil,i""t, t come tale è inadeguata all'oggetto che

,"ì".Jrà esprimere. Dunque la condizione del dialettico appare sesnata

aJi'ia".tti.à tragicità che ìrrforrna la condizione dell'artista'*'a;i i;irt,.rpi.,urione di Cassirer tocca il grado più alto della sua

.upi.ìta mediàtrice. P"ttoppo però non trova lo slancio per giungere

al traguardo del percorso èh" ...,. stessa ha indicato. Infatti cassirer

allalinemostrap.....*p,.diritenerecheilriscattodellapoesianonvada oltre una mediatez;a strumentale e contingente' poig]re il,pregio

dell'arte rimane ir, "g"i tut" quello di costituire \urro stadio preliminare

ilartp."*Uile per laiuprema tgl":t::'3filosofica"a7' Ma se così stan-

no le cose, che ne a'itfìtìttgiciÈ della filosoha? Per Cassirer essa evi-

dentemente riguarda sol,ur-r,o"l. comu,icaziorre che si wiluppa tramite

f. f.."f., non"la conoscenza' Se però a questo punto gli fosse venuto

in mente q.,.t pu,,ti ii i*"it che.citerà .." T:"-,.1"Io^in Die

Philosophie a* Col'*nun, Jout 'i*o'tra che l'essere non può rivelarsi in

altra forma che in q.,.ffu del discorso (logos)aa' o i numerosi luoghi dei

dialoghi i, .ri upputt lon chiarez'u ù'r la conoscenza filosofica per

Platone.l.u.pu.,u..attraversoilogol(primofratuttiilcelebrepassodel Fed,one dove è irrooaottu Ia co"siddètta "seconda navigazione"ae),

p.obufif*..tt. ,i ,uttt't" accorto che il diaframma delle parole osta-

cola allo .a..ro *Jo tanto la comunicaziorìe quanto il pensiero. E

avrebbe potuto lr"a.*, in base ai suoi stessi presupposti' che non esi-

stono nel pensiero di Platone dei sottofonii nascòst' irriducibili ai

modi della .o-.r.i.u'iottt' e Utt' guardare' in effetti' tutta la filosofìa

platorrica appare t.;;;;;t ""a cltfrtite e opposta tensione' Da un lato

platone non si ,tarEa di iDdicare e descrivere un rneiodo di conoscen-

za adeguato atta .eJtà ultima e perfetta che tale conoscere ha per

45 EE, p. 43.16F8,p.44.17 F-E, PP. 4+45'a8 263e. Come si ricorderà, irbbiamo già esposto sopra la lettura casstrerla-

niì di questo Plìsso'10 qq('.

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Page 92: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTTUALITA DI PI-{]'o N I

oggetto. Dall'altro si nota con estrema evidenza che questo metodo tronviene mai eseguito, e che al suo posto la scena è totalmente occuplt:rdagli strumenti più deboli, come il dialogo e l'invenzione poetica chr. si

esprime nel mito: ossia la parola dialettico-dimostrativa e la parola par «'

netico-edificante. Lo scarto che c'è tra la pura conoscenza noetica c l;r

parola è in effetti puramente teorico, perché la noesi indica il culmirrr.di un cammino che si potrebbe compiere solo in una dimensione m(ìllfisica, mentre I'uomo, almeno fino i che resta nella sua condizione t«'r

rena, non ha niente di meglio della parola. Per questo non può win< <r

larsi dalla tragicità che è ad essa inerente, che è poi la tragicità del legrrme dell'uomo al tempo e alla storia50.

In ogni caso, sia come sia di questo problema, la sua soluziorrt.riguarda la natura della filosofia e non I'estetica in quanto tale: la ricorrciliazione tra eidos e eidolon awiene solo perché I'eidolon slfa surrogat<rdell'eido* Cassirer può così concludere che "il sistema platonico irrquanto tale non conosce un'estetica filosofica, non ne ammette nealìche la possibilità"5l. Tale conclusione appare accettabile, come giiabbiamo visto, solo se con essa si intende che per Platone l'estetica norrfa parte della filosofia. Sarebbe invece scorretta se volesse dire ch<'Platone non riconosceva alcun valore autonomo alla creazione artistica.Al contrario, è proprio l'ammissione di questo valore, e della piacevoliseduzioni che ne derivano, ad imporre al legislatore, nella Repubblico, t'nelle Leggi, i severi prowedimenti censorii che tutti conoscono. Platoncnon dice che il bello artistico non esiste (anzi, egli ammette tranquilla-mente I'opposto); quello che dice è che il bello artistico deve essereregolato affinché sia sempre in accordo con il bello in senso etico, e vie-tato quando ciò non accade. La struttura dominante che in Platoneassorbe il bello dentro di sé, finendo per annullarlo, non è l'eidos inquanto norma superiore di conoscenza, ma il bene; owero I'eidos seinteso come depositario in primo luogo di una eccellenza assiologica:quell'eidos che non a caso, come si ricava da un celebre luogo dellafupubblica, trova la sua espressione più elevata nell'idea del bene.

Questo genere di problemi aveva già suscitato il profondo interesse delmaestro di Cassirer, cioè di Hermann Cohen. Ma le ricerche del suodiscepolo puntavano decisamente altrove.

50 Per una approfondimento di questa "immagine" di Platone non possoche rimandare ai miei lavori citati alla n. 43.

51 EE, p. 46.

Capitolo IX

Leo Strauss e l"'esoterismo" platonico

1. Le ricerche platoniche di Leo Straussl hanno vissuto e continua-no a vivere, nella ricezione critica da parte degli studi specializzati, unostrano destino. Da un lato propongono un approccio dialogico raffina-to, che costituisce una formidabile alternativa ai metodi praticati daglistudiosi di estrazione analitica. Leo Strauss ha il grande merito di averproposto, in anni in cui la recente rivalutazione degli aspetti letterari e

dialogici dell'opera platonica era ancora ben al di là da venire, unaserie di procedure esegetiche attente alla natura del testo in quantotale, alle strategie di comunicazione messe in atto dall'autore, alle sfu-mature di carattere letterario, ai contesti testuali e intertestuali, ai pos-sibili rimandi interni, siano essi espliciti o sottaciuti, ecc. Insomma,Strauss appare ben consapevole della particolarissima natura dell'og-getto a cui ci si trova davanti quando si legge Platone. Se si pensa che ilgrande antichista inglese F. MacDonald Cornford, nella sua traduzionedella Repubblicacornparsa in prima edizione nel 1941, si è sentito tran-quillamente in diritto di omettere «tnany of the formal expressions ofassent interjected by Gkaucon and Adeimantus, and thus allowingSocrates to advance one step in his argument in a single connectedspeech"2, la differenza a vantaggio di Strauss (e del suo metodo in uncerto modo pionieristico) salta clamorosamente agli occhi. Come bensi vede anche dalla citazione di Cornford, presso molti interpreti diPlatone I'interesse principale del lettore consiste nel ricostruire corret-tamente gli argumenta del conduttore del dialogo (nella Repubblica, dlurr-

que, Socrate). Ora, non è che questo non sia legittimo, o che non sia

addirittura assolutamente naturale. In fondo la filosofia, almeno nel-I'accezione più largamente diffusa, ha a che fare con l'argomentazione.E se c'è una cosa in particolare per cui il magistero dei frlosofi Greci hawiluppato nella storia dell'Occidente un'influenza decisiva, questa cosa

è appunto l'esercizio del logos, ossia dell'argomentazione. Ma il proble-ma è che Ia struttura argomentativa e la natura del testo che la ospitanon sono reciprocamente indifferenti. Nel caso dei dialoghi platonici,

1 Per una bibliografia indicativa sulla letteratura secondaria sull'argomentocfr. C. Altini, Ilfilnsofo e il legislatore. Leo Strauss lettore di Platone, in L. Strauss, Ze

"Leggi" di Platone, Soveria Mannelli 2006, pp. IX-X, n. 3.2 The Republic of Plato, London 1941, p. \/II.

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ATTUALITA DI PL{I'oNI LEO STRAUSS E L'"ESOTERISMO" PLAIONICO 187186

di cui qui stiamo parlando, l'intersezione di questi due elementi irn;,,,ne che la stessa ricostruzione dei supposti "argomenti" di Platone s('11u.,

una via complessa ed obliqua, capace di tenere conto di tutti gli cl,menti che abbiamo menzionato sopra. Solo in questo modo, irrl:rtrrdiviene possibile leggere i dialoghi di Platone con I'obiettivo di inrp:rr.rre dawero qualcosa da lui: quando invece troppo spesso capita <li l, r,

gere saggi, in genere di stretta osservanza analitica, in cui l'autore crcrl,di avere qualcosa da insegnare a Platone3. Ma anche al di là dcl r;r.,,'assolutamente specifico presentato dal testo platonico, il metork, ,',,getico adottato da Leo Strauss si raccomanda più in generale pcr l'.',curata sensibilità storica che manifesta. Che è appunto ciò che pcr 1,,

più fa difetto agli interpreti di estrazione analitica. I quali, per rit.rr,una frase paradossale ma non del tutto irrealistica di Pierre Harlot, ,r

direbbe quasi che si stupiscano del fatto che, stranamente, Arislot, l,

abbia ienorato i Principia Mathematica di Russell e Witheheacl"a.Di tutto questo, però, c'è anche un importante rovescio. Leo Sl r . r r l

ha interpretato molti autori o testi di cui si è occupato, e in parti< ol.rr,Platone, alla luce della coppia di concetti esoterico/esrolsdcl;, .qrl,,r

tando una strategia di lettura secondo la quale il ricco contest() rli irr,lrcatori letterari a cui abbiamo accennato sopra sarebbe in genen' g,,r, ,

nato dall'intenzione da parte dell'autore di selezionare le cost'rl:r ,lrr,e quelle da non dire, alla luce di una ben precisa concezione s('r:u( llca dell'intelligenza e del sapere del possibile lettore: i testi in ()g!ì( r,'in altre parole, vorrebbero a suo parere avere un significato erlilir .rnr,

per chi si trova in "piccioletta barca", mentre sarebbero in gra<lo rlr l ',

intravedere ben più inquietanti retroscena a coloro che hanrro rrr,,.,intellettuali adeguati a sopportare il peso della verità. Ora, qrrt'slo ;,.rrticolare tipo di esoterismo (ben diverso, come poivedremo, <lrr r1rr, ll,,fatto proprio dalla cosiddetta scuola di Tùbingen-Milano), norr i' r ru ,, ,

to a imporsi nel contesto degli studi platonici. Ciò vale in brrorr;r ;,,,,t,anche per il uruppo di platonisti di marca latamente straussian:r (r;rrr rrr,

limito a citare Stanley Rosen, Charles Griswold, Drew Hylan<l r' l).rrr,lRoochnik). Vorrei dire subito che, a mio awiso, il gruppo di lrrl,r r ,,r ,

menzionato è riuscito a mettere in atto una formidabile corrrrrrrrt.r '1,ricerca, traendo frutto proprio dai suggerimenti metorlolol,lr r ,1,

Strauss (a cui sopra ho accennato, e che più avanti elencherir (,n rpr ,l

che dettaglio), senza tuttavia concedere uno spazio decisir,o (.rlrrr, r',,

3 Cfr. T. Penner, Desire and Power in Socrates: the argurnent o'fGorgi:rs lrt',t tr. .i

that orators and tyrants haue no power in te city, "Apeiron", 14 (1991), l)l' I lr{ 'rr

(v. p. 200).4 Laphiloso|hie comme maniire d.euiare, Paris 2001 (tr. it. Torino')(x)li. ,lr , '.'

citiamo, p. 102).

per come la vedo io) alla contrapposizione straussiana tra esoterico edessoterico. Quello che ne risulta, sempre owiamente a mio parere, è

che gli esiti più interessanti del metodo inaugurato da Strauss, almenoper quanto riguarda gli studi platonici, sono stati raggiunti non tantoda lui stesso, quanto dai suoi allievi di prima e seconda generazione. Mispingerei anzi a dire che questo genere di ricerche ha costituito, e costi-tuisce tuttora,ùrra forte e feconda provocazione in un contesto di studiplatonici, come quello angloamericano, Iargamente dominato dallemetodologie di taglio analitico, e che in un certo senso ha preparato ilterreno per gli "approcci dialogici" oggi così di moda.

2. Ma è venuto il momento di esporre un po' più diffusamente gliaspetti, a mio parere tutti positivi, del metodo di lettura del testo plato-nico proposto da Strauss. Strauss è stato fra i primi a porre seriamentein gioco la questione dell'anonimato di Platone, e dunque a indicareche la corretta metodologia di approccio a questo genere di testi nonconsiste nel leggerli come se fossero dei trattati, ma nell'adottare glistessi accorgimenti che si usano con i testi drammatici (Strauss, in par-ticolare, ha messo in luce le tangenze con il teatro comico). In secondoIuogo, Strauss ha fortemente sottolineato la necessità di ricostruire il(ì()ntenuto delf insegnamento di Platone (ove, ben inteso, si ritenga chevc ne sia uno) attraverso l'analisi del dialogo in quanto dialogo, e deirrrolteplici fattori che vi sono all'opera: ad esempio la scelta del titolo,lit scelta del personaggi, il particolare svolgimento dell'intreccio, ecc.l.'idea di fondo è che in un dialogo di Platone I'autore parli al lettoren()n tanto e non solo attraverso i suoi personaggi (Socrate o altri con-rlrrttori), ma attraverso la struttura compositiva dell'opera, che devet'ssere in qualche modo decifrata. Alla base di questa persuasione vi è ilprincipio, oggi accettato da buona parte della critica, secondo cui in unrlialogo platonico nulla sia casuale, e che dunque sia possibile rintrac-liirre informazioni significative anche laddove il testo non presenta unarliretta esposizione delle tesi e degli argomenti. Connessa a questa ideavi è quella che Strauss chiama la necessità di leggere i discorsi (dil'lrttone) alla luce dei fatti (deeds). Ecco che cosa scrive esplicitamenteStrauss in proposito:

to understand the speeches in the light of the deeds means tosee how the philosophic treatment of the philosophic themeis modified by the particular or individual or transformedinto a rhetorical or poetic treatment or to recover the impli-cit philosophic treatment from the explicit rhetorical or poe-tic treatment5.

s 'l'he CiU and Man, Chicago-London 1964, p. 60.

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Page 94: Trabattoni, Attualità Di Platone

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AITUALITA DI PT-{ToNI

Altro motivo saliente del metodo di Strauss è it principio seconrL,cui la forma dialogica di Platone non solo intende imitare l'adattabilir:rdel discorso orale (così da permettere di dire cose diverse a diversrinterlocutori), ma, diversamente da quanto ritengono i tubinghr:si,riesce anche nell'impresa di curare completamente i difetti della scr ittura6.

Come awà ben capito chi ha qualche conoscenza del dibattito reccrrte sul problema della forma dialogica in Platone, Strauss accetta irlmodo convinto l'unità di forma e di contenuto fatta valere a suo tempo.per la prima volta in modo esplicito e netto nel dibattito critico corr-temporaneo, da Friederich Schleiermacher. E in effetti in uno scrìttrrdel 1939 (ma pubblicato postumo) dal titolo Exoteric TbachingT, Straussriconosce che Schleiermacher

fece cinque o sei osservazioni estremamente importanti evere sugli artifici letterari di cui si awale Platone, rimaste atutt'oggi insuperate...per la finezza e l'acume che denotano.

Subito dopo pero egli aggiunge:

Eppure, Schleiermacher non era riuscito a cogliere la que-stione cruciale. Egli infatti asserisce che vi è un solo insegna-mento platonico, vale a dire quello presentato nei dialoghi,sebbene vi siano, per così dire, infiniti livelli di comprensionedi tale insegnamento che il principiante comprende inmaniera inadeguata e che solo lo studioso di Platone perfet-tamente allenato può comprendere adeguatamenteS.

Schleiermacher, secondo Strauss, awebbe dunque interpretato lacaratteristica tipica del dialogo platonico, ossia quella di dire cose diver-se a persone diverse, nel senso che Platone offrirebbe diversi gradi dielaborazione della stessa materia; quando invece andrebbe interpretatanel senso che il testo platonico, rtilizzando strategie di scrittura che lostesso Strauss ha teorizzato in Persecution and Art of Writinge, dice cosequalitativamente diverse a interlocutori qualitativamente diversi: comesono diversi qualitativamente, ossia sia sul piano intellettuale sia su quel-lo morale, i frlosofi e i non filosofi.

6 lvi, pp. 52-53.7

"Interpretation, 1 (1986), pp. 51-59, tr. it., da cui citiamo, in Cerusalmmee Atenc. Studi sul pensiero politico dell'Occidente, Torino 1998, pp. Zg+Z\b (q"i pzee).

8 lbid.9 Glencoe 1952.

LEO STRAUSS E L'"ESOTERISMO" PI-AIONIC]O

Lo scrittore di cose filosofiche, quale fu lo stesso Platone, si trove-rebbe di conseguenza nella necessità di tacere determinate verità f,rlo-sofiche pericolose, sia per I'individuo sia per la comunità, mentredichiarerà espressamente (nell'aspetto essoterico della sua scrittura) diaccettare alcune opinioni comunemente diffuse che egli non ammettecome verità certe, ma al massimo come eventuali. Il pensiero filosofico,infatti, ha il compito strutturale di criticare, e di porsi costantemente aldi là di tutte le opinioni largamente diffuse, per cui se il filosofo nonadottasse il gioco esoterico/essoterico come misura di prudenza, eglicorrerebbe dei gravi rischi.

La differenza tra esoterico ed essoterico sembra dunque riguardare,rispettivamente, la differenza tra le verità (scomode) che il filosofodecide di celare e le opinioni (accettabili dai non filosofi) che il frloso-fo finge di approvare.

3. Sulla base di queste pùr.tualizzazioni, torniamo ora al "caso" diPlatone, e in particolare della Rtpubblica. Nel saggio che Strauss dedicaa questo dialogo il principio metodologico che afferma la distinzionetra comunicazione esoterica e comunicazione essoterica è profilato inmodo piuttosto leggero. Nelle pagine introduttive si legge che

the proper work of writing is truly to talk, or to reveal truth,to some while leading others to salutar opinions; the properwork of writing is to arouse to thinking those who are by natu-re fit for itIo.

Tuttavia, analizzando concretamente il dialogo, Strauss è singolar-mente parco di informazioni sia su quali sarebbero queste verità chePlatone farebbe intravedere al lettore adatto, sia su quali sarebbero leopinioni edifrcanti che egli vorrebbe instillare in coloro che non sonoin grado di assimilare le prime.

Una indicazione interessante potrebbe venire da quel passo dellafupubblica (415c-d) in cui Socrate, per convincere i cittadini della futu-ra Kallipolis ad accettare la divisione in classi sancita dal mito esiodeo,ricorre all'espediente della "nobile menzogna". Strauss si sofferma piùvolte su questo passo in 'l'he City and Man. La sua conclusione è che "thegood city is not possible...without a fundamental falsehood. It cannotexist in the element of truth, of nature"ll. Questo stesso passo è anchettllizzato da Strauss nella polemica antischleiermacheriana di cui dice-vamo sopra: per sanzionare la differenza tra insegnamento esoterico ed

to The Cit, and Man, p.54.lllvi, p. 102.

Page 95: Trabattoni, Attualità Di Platone

191

190 ATTUALITÀ DÌ l'l ' \ lr I I LEo STRAUSS E L'"ESorERISMO" Pl-{roNI(x)

insegnamento essoterico egli affèrma infatti che l'insegnzrìeDt() r'ss,r,rico coincide proprio con queste "nobili menzogne".

Ma qui viene subito alla luce una prima debolezza, per oru rnr, r

mente formale, della tesi straussiana. Socrate si farebbe portalort'. rr' I

passo citato, della tesi platonica secondo cui occorre distinguelc rr., ,r',insegnamento esoterico e un insegnamento essoterico. Ma se così 1,,.,.,

Platone in questo modo rivelerebbe pubblicamente il suo gioco, (' l:r ',r, ,

pretesa ambizione di scrivere un testo capace dire la verità al lt'lr,,r,accorto e di ingannare quello sproweduto non potrebbe avere sn( (, .,

so. Anche il lettore pitì sproweduto, qualora legga in un testo Iìkrsolr, , ,

che il filosofo inganna a fin di bene, è imrnediatamente indotto ;r rlrllrdare del testo che legge, e dunque non può in alcun caso caderc rr, ll.rrete edificante che la comunicazione essoterica awebbe preparlrt() l', r

lui. E se la tessitura di questa rete fosse uno desli scopi per cui Plrrl,'r',ha costruito il suo testo, egli evidentemente si guarderebbe bent'rl,rll,,svelare il trucco.

Considerazioni analoghe possono essere fatte anche per quel p:rs.,,,

della RQubblica, tgualmente citato da Strauss in The City and Mrttr t1'54), in cui Socrate dice che delle cose più importanti si può p&rlart' s, ,1, ,

tra amici (450d-e). Owiamente nepplrre questo passo può essert' irrr,,cato a dimostraziolìe dell'esoterismo implicito (o interdialogico) rli , rlparla Strauss. Chi infatti legge questo brano, che è contenuto irr rru

testo filosofico di larga diffusione in quanto è scritto, ove ritenessc r lr,ciò che Socrate sta qui dicendo corrisponda perfettamente all'opirri,,rr,di Platone, sarebbe owiamente indotto a pensare che lo scritto r lr,legge non parli affatto delle questioni più importanti. Se un fìkrs,,l,,dice, in Lrn testo scritto, che la verità può essere detta solo fra prx lrr

amici, or,rriamente sta anche dicendo che in questo scritto non si tr',,r.rla verità (in quanto lo scritto si rivolge a tutti).

Questo problema mette in questione il particolare tipo di esoterisr r r, ,

straussiano, che - a differenza di quello proposto dalla scuolu rlrTùbingen-Milanol2 - è interamente interdialogico, e non riman<l;r ,r

dottrine orali esterne ai all'opera scritta. Lo scritto platonico, secorrrlo r

tubinghesi, ha lo scopo (fra gli altri) di far sapere al lettore che t'sisrlun insegnamento esoterico. Se viceversa, corne r,,uole Strauss, il (r'slo

platonico avesse Io scopo di tenere celata l'esistenza di una veriLì strlrr'riore ai lettori sproweduti, allora sarebbe del tutto assurdo che qtrt.sr,medesinro testo scoprisse da solo il suo gioco. Il che significa chc I'r's,,terismo straussiano, al contrario di quello dei tubinghesi, non prrir irrvocare a suo vantaggio alcuna autotestimonianza.

12 Sulle differenze che intercorrono tra i due esoterismi, cfi: A. l't'tit, 1rlStrauss et l'ésoteri.sme platonicicn, in t,..faffio, R. Frydrnan, E. (ìattin, A. I't'tit, 1.,r,

Strauss: art d'écrirc, politique, lthilosophie, Paris 2001 , pp. I 3 l- I 4t;.

Ma la questione è in realtà ancora pitì conrpless''ì' perché l'autote-

stimonianza sarebbe ';ììi;;;1" se vaìt'se la cosìddetta "teoria del por-

tavoce": ossia la,"otiui"totdo la quale-è-possibile esffarre dai dialoghi

le argomeutazio,li t tt"f,ìffilll'ì",:"frcÉ; di Platone facendo esclusi-

vo riferimento al conduttore della discussione (Socrate o chi per lui)'

Ciò non costituisce pt;;;;;;tt i tubi'gh.esi' che non hanno partico-

lari diffidenze verso q;; ;Ài'ione; m"a-lo è invece per Strauss' che

mostra invece ai ,o"Jiàtt tLpftotti".dialogico: .ssia' come abbiamrr

r.rsto sopra. l'ipotesi 'itt;;;t;fft"to"ao cui"per capire il pensiero di

pralolìe occorre decifrar.e con at(enzione, e pltrrarità.di metodi. la. strut-

i.r.a diulogi.o_lerteraria del testo. E infatti Strauss scrive, appunto a que-

sto proposito, che "*;;;;; ascribe to Plato any trtterance of any of

his characters without having taken.great precautiorrs""'.y:r rytL:righe sopra ,r.tto 't""u

pugf;'u leggìàmo. una frase che dimosffa ur

modo palmare r. i"it'::rà?ittoriEla del metodo da lui adottato:

oAccording to Plato' S"tt"ttt' we woulcl then have to say that Pl:rto con-

ceals himselr.ornpr.lJty i" r'it dialogue'' È v"ro che subito dopo que-

sta asserzione viene; ;;;t; ridimi.nsionata' Ma la contracldizione

rimane. -L, troppo o*'io-ol'"t'are che il Socrate personaggi.o ai fU^t111

"à.Jf"o -otà.lutrlr.rrie dire nulla del suo autore' Se perciò supPonra-

mo che questo S".t;ì;; qttortoto di Platone' è chiaro che partiamo

dal presupposto che Socrate iia il portavoce di Platone' Ma se questo è

vero, allora ro, è u"to che Platone si nasconde dentro i suoi dialoghi:

sarà necessa.i" u--;;;;;, i"ru,,i, che egli si rivela attraverso le parole

le suo portavoce S"it"it' nttto in altri termini' p*t:t9^t:,t^d]":1ii1:

re, come strumento per attribuire a Platone una strategia esposltrva

secondo cui egli 'lo'putlu attraverso un personaggio inteso come por-

tavoce, le parole di u'no di questi personaggi' è lÉi^tamtrtte contrad-

dittorio.I rilievi formali che siamo venuti svolgendo portano semplicernente

a dire che l'.rot..i'tà i'ltttahf"$co diiui parla Strauss.non può esse-

re strffragato ao a<:t"lo it'ti-o"ià'' za.; " chi dunque' laddove egli pre-

tende di rintracciare queste autotestlmonianze' in realtà non fa altra

cosa che applicare *tàtttttu*tnte il metodo dialogico da lui stesso

enunciato. Si potrebbe però anche osservare che ciò non sarebbc molto

rilevante, se la struttura esoterica del testo platonico potesse essere

mostrata per altra;;' M" ;ilardo.a Platone' e con particolare riferi

mento alla Rcpubblica*,i'p"tJ-i che l'uso scorretto del metodo sia stato

in qualche .rroao atti'i'}o pt' strffragare l'interPretazione esoterica è

assai forte, perché nel cor'àreto la sua applicazione si mostra'partrco-

larmentc ;rr.,a' S;;;t' h" maturato lu 'La

co"cezione esoterir:a della

t\ 'l'lr, Oilt rrtrrl Akrtt, P' lt\)

Page 96: Trabattoni, Attualità Di Platone

193192 ATTUALITA DI PI-{T0NI. LEO STRAUSS E L'"ESOTERISMO" PI-{TONICO

scrittura sulla base di Lessing, non di Platone (a cui I'ha applicata in rrrr

secondo tempo), e già abbiamo detto che nel saggio sulla Repubbli,,rcontenuto in The City and Man questa concezione è debolmente eslrlicitata (forse non a caso). Proviamo allora ad applicare a questo tcst()straussiano la distinzione esoterico,/essoterico tracciata nello scritto (l('l1939. Se lo schema funziona, dovremmo rintracciare nell'interpretazi,,ne straussiana di questo dialogo un complesso di "verità" manifestatc ir r

modo coperto agli intelligenti insieme a una serie di dottrirre edificrrrrti, coerenti con il pensiero comune, esposte a beneficio della maggioranza.

4. Dopo aver esposto per capi generali la sua interpretaziorrt'Repubblica Strauss sembra voler dire quanto segue. Apparentementt' ildialogo ha lo scopo di proporre in modo realistico un modello di surt,,e di vita buono, quando invece il suo obiettivo recondito è quello <li

mostrare l'irrealizzabilità cli uno stato del genere, dol,uta all'inevitabil.incompatibilità di politica e filosofia. Il contenuto esoterico del dialogo,se questo è vero, sarebbe dunque questo secondo, e Platone 1o renrllrebbe chiaro attraverso una serie di indizi che i lettori più intelligt'rrrisarebbero in grado cli decifrare. Strauss enumera tutta una seric tlrincongrr.renze più o meno minute (come i problemi concreti che sr»r

gerebbero ove il "salto di classe" fosse realmente possibile), che pt'l,fanno capo in uìtima analisi ad alcune omissioni importanti, e segna(iìmente l'omissione della natura e dell'eros: mentre al lettore spro\a('duto sembra semplicemente di assistere alla descrizione dello stlrt,,migliore che ci sia, il lettore accorto dovrebbe capire tra le righe « lrr'Platone voleva dire ben altro: ossia che lo sforzo di adattare la ragiorr.'filosofica alla realtà concreta è del tutto vano, data l'incompatibilità <:lr<'

esiste fra le due cose, e che dunque I'unica possibile realizzazione de ll;rfilosofia è la vita contemplativala.

Non è tutta\.ia difficile accorgersi che lo schema non funziona «l:r

nessuno dei due lati, ossia né da quello essoterico né da quello esot('r i

co. Iniziamo dal primo. Dove sarebbero, nelle dottrine esposte n('ll:rfupubblica, "le opinioni convenute>>, owero "le dottrine 611sd655s", r'lrr'Platone affermerebbe senza credervi realmente, solo per edificar.r' i

più? Owero quelle dottrine che egli mostrerebbe di accettare sokr pcrprudenza pratica, per non incorrere nei pericoli a cui vanno di solitoincontro i filosofi? Lo schema prevede infatti che il contenuto dell'irrsegnamento essoterico sia non solo edificante, ma anche end,oxon., rt<trr

paradoxon. Al contrario quanto esposto nella Repubblica, per qllirnl()abbia sicuramente un carattere educativo-normativo, è anche largrr

14 L'insegnamento essoterico, p. 296.

mente paradossale. Basti pensare alle tre ondate, e ai commenti sbigot-

titi degli interlocutori di Socrate di fronte alle tesi socratiche come l'u-guaglianza tra i sessi, la comunanza delle donne, il governo ai filosofi(per tacere delle sferzanti critiche aristoteliche, basate spesso sul com'

mon sense). Nulla compare di meno, nella Rqubbl;ica, c}i,e principi dibuon senso pacificamente edificanti. Si può anzi dire che tutto l'im-pianto del dialogo, che consiste nel dimostrare che il giusto è felice, si

scontri fin da subito con le contrarie osservazioni del senso comuneesposte da Glaucone e Adimanto, e che riprendono nella sostanza iltour d,efmcetentato da Socrate, nel Gorgia, con Callicle: dove l'opinionecomune è evidentemente con Callicle, non con Socrate.

Quanto al fatto che si tratti di tesi edifrcanti, su questo non c'è dub-bio. Ma il lìlcro dell'operazione platonica consiste proprio nel mostra-

re che dar.rrero edificante (nel senso di educativo, forrnativo) è propriociò che alla maggioranza appare paradossale. Di conseguenza il pro-getto della Katlipolis può essere promosso, nella sua verità e tealizzabi'lità, solo a prezzo di sottili argomentazioni filosofiche. E ciò porta ad

escludere del tutto che I'aspetto dichiaratamente propositivo dellafupubblica, ossia la costruzione del modello ideale di stato, costituiscauna nobile menzogna, coerente con le «opinioni convenute" e le "dottrine ortodosse», a beneficio dei meno intelligenti.

Ma c'è un grave problema anche sull'altro versante, ossia quello eso-

terico. Se l'atteggiamento esoterico del filosofo dipende dall'esigenzadi tacere alcune veritàl5 ciò significa che il filosofo queste verità le deve

possedere. Ma se la filosofia, come ritiene Strauss, è una sorta di ricer-ca infinita alla rrraniera di Socrate, owero è una scepsi zetetica che nonproduce nessuna conclusione, e che deve continuamente torlÌare e

riformulare le domandeto, quali sono le verità che il filosofo dowebbetacere? Se la filosofia, socraticamente, è ricerca, il tacere del filosofonon è reticenza; è solo I'effetto del suo imperfetto sapere, del suo esse-

re philo-sophos e non sophos.

È inte.essante rilevare, a questo proposito, che l'esoterismo indivi-duato in Platone da Strauss è esattamente I'opposto di quello che cre-

dono di rinvenirwi gli esponenti della scuola di Tùbingen-Milano.Muovendo dal punto di vista, a mio parere corretto, che si può parla-re di reticenza solo in presenza <li una scelta di tacere deliberata e con-sapevole, giustamente costoro osseryano che può essere reticente solochi sa. Se dunque si accetta l'esistenza, in Platone, di un dualismo eso-

terico,/essoterico, sembra logico supporre che esso abbia lo scopo di

l5 Ivi, p. 298.l6 Per qrresti temi straussiani rni limito qrri a rinviitrc :t M. Farnesi

(larrrt'll<rrrt', i ]iu..sti.zin e Skria,. Sagqio su I'eo Strauss, M ilano ?t)07 (v. a«l t:s. p. I 79) .

Page 97: Trabattoni, Attualità Di Platone

I04 AITUALITÀ DI PI,A'Ii )NI LEo STR,{USS E L,"ESOTERISMo. PI-ATONICo 195

poli, solo apparentemente opposti, dello scetticismo e del dogmatrsmoin Platone. O meglio, sarebbe ancora più corretto dire che non servealcuna conciliazione, perché Platone non è né scettico né dogmatico.Lo stato descritto da Platone nella R@ubblica è chiaramente irrealizza-bile nella realtà; e lo è in gran parte proprio per la ragioni addotte daStrauss (in primo luogo la ragione di fondo indicata sopra, owero l'im-possibilità si spazializzare e temporalizzare l'idea). Ma non è questo ilmessaggio filosofico cl:.ela Repubblicawtole comunicare, né tanto menosi tratta di una tesi esoterica, che Platone alrebbe voluto sottrarre aipiù. E, infatti, la conseguenza più owia e palmare di tutta la metafisicaplatonica.

Se la tesi alternativa a quella di Strauss fosse quella secondo cuiPlatone, scrivendo la Repubblica, si prefiggesse di mostrare come I'ideadi giustizia possa prendere concretamente corpo nella storia, allora lalettura esoterica sarebbe una tentazione quasi irresistibile. La sua inten-zione, viceversa, non era tanto quella di sostenere la piena congruenzatra modello e copia, quasi che il divenire storico potesse solidificarsinella presenza dell'idea, ma quella di affermare la necessità del model-1o20. Platone rimane a metà tra scetticismo e dogmatismo perché da unlato nega la perfetta conoscibilità e realizzabTlità del modello, dall'altroafferma che il modello può essere parzialmente conosciuto, e dunqueparzialmente imitato; dove è inteso che è sempre possibile una cono-scenza migliore del modello e una sua imitazione più adeguata. Se

Platone fosse uno scettico, con tutto il pessimismo politico che ne deri-va, probabilmente l'interpretazione esoterica sarebbe quella più fun-zionale, perché l'idea di costruire un modello politico edificante si gio-verebbe proprio del fatto che questo scetticismo e questo pessimismorimangono nascosti ai più, quando invece la loro pubblica manifesta-zione comprometterebbe decisamen te la r ealizzabilità dell' impresa. Inquesto caso il dogmatismo (con l'ottimismo politico che ne deriva) nonsarebbe altro che la menzogna edificante a cui i filosofi non possonoprestar fede. Dunque l'alternativa esoterismo/essoterismo, in Strauss, è

strettamente collegata alla sua incapacità di trovare una via d'uscita teo-rica tra scetticismo e dogmatismo: per cui la soluzione di questo (appa-rente) conflitto è rinviata a livello di strategie della comunicazione. Manon si tratta certo di una via d'uscita obbligata. Si potrebbe infatti osser-vare, come abbiamo detto sopra, che la moderata e fallibile approssi-mazione al vero e al bene è Io sfondo ultimo a cui chiunque può fareriferimento, sia pure secondo diverse modalità2l: non offende l'intelli-genza"zetetica" del filosofo e non scoraggia né spaventa I'esigenza pra-

2{'t 1',1,.. 11,:tr,. 17lc-472d.2l ( llì. l,'. Sr lrlt'iclrrlrclr<'r, lrtl,rorltnir»lr a, l'lulunt, Iìx'scia l{)1)4, p. 7tì.

celare, per dirla con Giovanni Reale, una sapienza segretarT. Ma rirr,,si potrebbe dire che ra verità taciuta dal filosàfo a uppirto t,inevir:rr,ir,tà della scepsi, la constatazione che la filosotia è ricerca continuir ( rr(torna sempre su se stessa senza trovare mai una via d,uscita defirritir.,rIn q're51o caso l'aspetto essoterico, edificante, sarebbe quelro con«.rrrsrvo e dogmatico, quello per cui platone dichiara che cosa sono il bt.rrr. ,il giu.sto' e dunque coniretizza quesro sapere in una proposta poriri,.r.conchrsiva, dogmatica - dunque non filoàfrcal8. In q.i.r,à -oal, 1r..,,,il problemasi allarga, anzichè restringersi. perché un numero assai r.rrsiderevole di scritti platonici mostra" in atto proprio questo atreugr,rmento zetetico, se non proprio scettico: e lo mostra ao, tul. chia*.zz,rche difficilmente potrebb. èr.... scambiato per un,infòrmazione u.t rrratamente dissimulata, e comprensibile solo à pochi.

5. Con questo abbiamo toccato, per così dire, il cuore di tutt, ilnostro problema. strauss ha ottimi màtivi per dichiarare la natura z«.r,.tica della filosofia ,i platone. Ne fa fecle .ria pagina molto importlìrt(.!: Tl, City and Man (p.l2l), dove egli osservà .h. ,on solo èimp,,*r,bil,e f2 giustizia in quanto tale, ma è"anche impossibile ra rearizzazi<»r,.dello.staro giusro -"9:llr-," sull'esempio dell,iàea di giustizia. ia ragi,,ne di questa impossibilirà risiecle rr.i .ro.. stesso della metafisic:r <lrPlatone, ossia nella teoria delle idee: poiché le idee sono assol.,t...,rintemporali, I'ideale non può mai rearizzarsi compiutamente nel reirrr.ciò che socrare intende-nera fupubbrica con idàa di giustizia, s..irr.Strauss, "transcendes everything r"'hl.h men ever a.hierr.,rg.

stando così le cose, strauss ,ror-r t.ouu artro mezzo fer giustifica*. irrealismo politico che pratone sembra adottare netta nepuittrica, ow<.rt,l'apparente conclusiva dogmaticità delre sue proposte, se non scaricrrrr.questo dogrnatismo sul lato essoterico ed ediàcante delra comunicazir rne filosofica: solo il filosofo, colui che cledica consapevolm.rri. t, ,,,,,vita alla pura attività di.ricerca, p-uò sopportare il peso della scepsi; glialtri uomini, impegnati neila pàriticu, ,r.ttu morare, nella costruzi,.r.della vita buona, hanno bisogno di verità edificanti, ai pr.i"r. u.rgi., .riverità salde a cui appoggiarsi; hanno bisogno che verrga loro spacci,rr,,pervero ciò che al filosofo appare come e"ventuare, e òhe soro il fìl,rr,,fo può sopportare proprio ,"rèliu ,ru natura di eventuale.

Nasce così un platone, rovesciando il celebre giudizio che al«:rrrriantichi hanno dato di Arcesilao, scettico in segreto e dogmatico in Prrrrblic.o. Ma-questa ipotesi - che, come abbiamò visto, è pìuttost. i.vt.r.r,simile - dipende solo dal fatto che strauss non è riuscito a co.ciri,rr. i

17 Cfr. G. Reale, Platone. Alla ricctca della sapienza segreta, Milan<» 2004.l8 Cfr. Farnesi Camellone, Giustizia e storia,p. 192.te The City antl Man, p. 120.

Page 98: Trabattoni, Attualità Di Platone

t97r96 ATTUAIITA DI PI,A'IT )NI

tica della gente comune. E non c'è alcun bisogno, in questo casr», rlrinvocare la differenza esoterico/essoterico.

6. Per comprendere come questa alternativa sia realmente possilrilr,,occorre prendere sul serio l'orientamento metafisico della filosoli:r rlrPlatone (quello, tanto per intenderci, che si concreizzanellateori:r rL l

due mondi) e la dottrina della reminiscenza che le è colleg:rr.rAll'interno di questo contesto troviamo che la conoscenza piena c pt.rfetta della realtà ideale è collocata da Platone nello spazio mitico/olrr,.mondano abitato dall'anima disincarnata, mentre all'uomo nella su.rcondizione temporale e mondana è riservato un accesso alla veritiì rlrtipo approssimativo e indiretto, tramite la rivitalizzazione parzialc rk.rricordi presenti nell'anima e la loro articolazione attraverso il dialog,,.I'attMtà di domandare e rispondere, I'esercizio discorsivo della dialt'lica. In tal modo il momento dogmatico del conoscere è confinato in urr:rdimensione regolativa realisticamente inaccessibile all'uomo nella srr:rdimensione presente, senza per questo che egli, all'interno di qut,sr:rmedesima dimensione, debba rassegnarsi allo scetticismo, dal mom(.nto che Ia reminiscenza sancisce un collegamento con la verità origirrrrria mai completamente interrotto.

A mio awiso una delle cause più influenti che hanno determin:rlol'incomprensione della struttura di fondo della filosofia di platone, rr.rrsolo con riferimento a strauss ma anche ad orientamenti critici c,rrtemporanei assai agguerriti e consolidati nella letteratura, è propr.ioI'arbitraria negazione dello sfondo metafisico di cui abbiamo dètro.All'interno dell'ambito tematico di cui ci occupiamo in questo studio sisviluppa, in particolare, la serie seguente di false alternative:

a) Platone è scettico (non esiste nessuna verità);b) Platone è dogmatico (la verità è disponibile in forma conclusivrr

qui ed ora);c) Platone è scettico e dogmatico al tempo stesso (visto che nei sut,i

dialoghi si trovano in abbondanzaindizi in entrambi i sensi). Di const,guenza, o Platone è contraddittorio, owero in uno dei due casi non I'rr

sul serio: cioè si deve intendere che Platone metta consapevolmentt'all'opera una strategia comunicativa in cui la parola esoterica si corrtrappone a quella essoterica:

cl: esoterismo della scuola di Tùbingen-Milano: Platone è scettico irrpubblico (dialoghi) e dogmatico in segreto (dottrine orali);

c2: Strauss: Platone è dogmatico in pubblico (insegnamento essotc-rico) e scettico in segreto (insegnamento esoterico).

Se viceversa viene valorizzata e conseryata la struttura metafisica <licui abbiamo detto, tutto questo ginepraio di varianti, per varie ragiont.tutte insoddisfacenti, viene tagliato alla radice: molto semplicemt:ntr.

I,E,O STRAUSS E L'"ESOTERISMO" PT.AIONICO

Platone ammetteva la possibilità di accedere in modo approssimativo e

asinrorico alla verità. É se è owio che i soggetti privilegiati in grado di

godere di questo accesso sono i filosofi, ciò dipende dalle loro superio-

i aoti naturali, che anche tutti gli altri uomini sono in qualche modo

costretti ad ammettere. I filosofi sono consapevoli sia di essere più

sapienti degli altri sia di non essere infallibili. A questo stato,di cose

dÉr. .**..."dara, per platone, la più ampia pubblicità, affinché.le per-

sone comuni si convincano che affidare il governo dello stato ai filoso-

fi è conforme anzitutto al loro proprio interesse' Dunque non c'è nulla

da nascondere a nessuno: non c'è nessuna sapienza Segreta e nessuno

scetticismo esoterico.

Page 99: Trabattoni, Attualità Di Platone

Capitolo X

Platone, Martha Nussbaum, e le passioni*

1. Nel suo celebre libro del 1986 (The l'ragility of Goodnesst) MarthaNussbaum dedica alcuni importanti capitoli al pensiero di Platone.

Questi capitoli, benché si occupino in rnoclo specifico solo di alcuni dia-loghi di Platone o di alcune sezioni di tali dialoghi, presi nel loro com-plesso costituiscono ulì sorta di rnonografia dedicata all'etica platonica,o pitì precisamente aìla concezione pl:rtonica della vita buona e alla teo-ria dei valori che le è connessa. Le opere prese in considerazione sono,nell'ordine, 1l Protagora, la Repubblica, il Simposio e 1l Fedro. A parere del-I'autrice è possibile rintracciare in questo percorso una sorta di evolu-zione, che condurrebbe Platone via via a ritrattare, in parte già nelSimposio ma soprattutto r:.el Fedro, alcuni aspetti unilaterali della sue eticae della sua psicologizr, che sono emblematicamente focahz.zai proprionel Protagora e nella Repubblica. Per quanto riguarda il Protagora Nus-sbaum prende in considerazione soprattutto la parte fìnale, in cui So-crate espone la sua techne metretica capace di misrtrare e valutare corret-tamente piaceri e dolori. Secondo I'autrice in questo pzrsso viene in luceI'idea che I'etica sia assimilabile a una specie di procedimento matema-tico, in cui il conflitto tra le diverse finirlità può sempre essere risolto me-diante una accorta misurazione del peso qu.ìntitativo di ciascuna di esse

in rapporto al bene che si vuole conseS;uire (ossia la felicità). Questa pc-rs-

sibilità si foncla, a sua volta, sul presupposto che i vari beni siano omolo-gabili in una tipologia unitaria, e dunque il conflitto sia riducibile a unapura e semplice differenza quantitativa. Contro tale ipotesi Nussbaum os-serva che, r,iceversa, la fiducia nella piena commisurabilità di tutti i nostrivalori è ingiustilìcata; o, almeno, è giustificata solo dal desiderio di poterprogrammare la vita etica in modo ragionevole e non conflittuale, sem-plicemente dichiarando che gli impulsi irrazionali non omologabili intermini quantitativi costituiscono trna specie di malattia di cui è necessa-rio liberarsi. La razior.alizz.azione dell'etica a cui ambisce Platone, inaltre parole, è secondo Nussbaum una mistificazione dell'esperienza ef-fettiva dettata dall'esigenza di controllare ciò che ci sfugge: "Noi voglia-mo il punto di vista della scienza perché ne :rbbiarno bisosno"2.

* Pl,atone, Martha Nus.sbaum, e le pas.sioni, in G. Giardina (cur. ) , Le emozioni sec-

ondo i filosoli antie.hi, Atti del corìvegno nazionale, Siracrrsa l0-11 maggio 2007,CLIE(lM Catania 2008, pp. 39-61.

| 'l'ltr litrgilil.y o{'Ooulne.;.r. Lttrh und. lìt.lt.ir.t i.n ()reeh 'liugvll util I'hiktsoph."'t,(ìirrrrlrrrrlgc l1)t{(i; tr'.it., l.u.fntg'il.i.l.ri.dr'l ltntr,<l:r<rri <'ili:rrrrr», lìr»logn:r l1)1Xi.

:'l\i, l, :llt7.

Page 100: Trabattoni, Attualità Di Platone

200 ATTUAIITA I)I I'I ,\ II I I

Questo primato etico della ragione, sempre secondo Nrrssl,.rrr,,,viene ripreso e consolidato nella fupubblica:

La fupubblica...sviluppa una teoria del valore nella quale norrpredominano singoli elementi, ma dove la purezza,la stabili-tà e la verità ordinano gli oggetti e Ie attività che costiruisco-no la vita. Il dialogo ribadisce la scelta di questi criteri di valcre affermando che un essere umano fornito di un'esperienzrcompleta e posto nel punto di vista .alto" sceglie la vita basa-ta su questi valori e non sui loro opposti3.

In sintesi, I'esigenza di attribuire in etica tutto il potere alla nrgi,,rr,provoca una selezione, nell'ambito dei beni, a favore di quelli ,lr,hanno carattere di stabilità di omogeneità, perché solo questi vrrl'rrsono tecnicamente governabili da una ragione etica fondata (colrrt. rrr I

Protagora) sulla valutazione e sulla misurazione. Ne consegue I'act lnrt.,difesa di uno stile di vita "che non è solo filosofico, ma anche àsceti« . I

In tal modo, tuttavia,

la Rtpubblica sottovaluta gravemente la complessità dellanostra natura appetitiva quando [in quanto] ignora il latoestetico dell'attività appetitiva e le profonde connessioni traquesta attività e gli altri fini dotati di valore.L

Abbiamo, in altre parole, due diverse descrizioni della vita etica lr.rloro concorrenziali: da un lato c'è I'idea che il complesso dei beni c rk.rvalori costituisca un insieme omogeneo dove ogni singolo elemen(o t.

relativizzabile e ordinabile nell'insieme medesimo, per opera dcll:rragione, in modo tale da ridurre ogni possibile conflitto all'esito di rrrr

ragionamento sbagliato (di una applicazione scorretta della ragiorrr');dall'altro c'è l'idea, a parere di Nussbaum ben più realistica, che la 1«.rr

sione verso i vari beni abbia un carattere fondamentalmente irraziorr;rle, per cui ciascuno di essi ha un significato particolare e una natura il r i

ducibilmente qualitativa, che in quanto tale non consente quell'arti( (,

lazione verticale di livelli capace di espellere il conflitto. Platone, resosiconto che un quadro di questo secondo tipo non è governabile dall:rragione, avrebbe nella Repubblica dehberatamente optato per il prirrro,e così facendo awebbe gravernerìte amputato I'esperienza umilna rlialcuni aspetti fondamentali:

Egli ha offuscato alcune distinzioni che noi consideriamomolto importanti e ha negato la presenza del valore intrinse-co dove noi lo vediamoo.

s Ivi, p. 298.a lvi, p. 304.5 Ivi, p. 305.6Ivi, p. 307.

La scorretta semplifrcazione della vita etica che Nussbaum attritrui-

sce a Platone si può chiaramente veclere mediante un confronto con

l'Antigone sofoclea, opt'u uttu quale l'autrice dedica un importante

capitolo del suo ru,otà''1" q"t'à tragedia' come è noto' si wiluppa un

acuto contrasto tra la posizìone del re Creonte' che ha imposto per

legge di lasciare i,,.p5;';i;"tp" air traditore Polinice' e quella di

Antigone (sorella a.itnàttol' che ritiene necessario obbedire prima

alla legge degli dei th;;;;ji;;;g[ uomini' anche a rischio subire la

oena di morte comminaia da Creonte ai trasgresso'1: Y" terzo Perso-

H:#;',ffi;;, ilgl; di creonte ' p'o-"'oiposo di Antigone' In un

drammatico coll,-,quiJ;;ù;d; e figlio' creonte tenta di persuadere

Emone della malvagiia^ai Ltig"ne'"e dimostrargli dunqu'e che 'il

suo

matrinronio con una donna del genere sarebbe dileterio sia per lui sia

oer la sua casas' Ed è appunto questa sua convinzione ciò che lo avevaP,fi.[:* i" i""agà precedente a'uto con Ismene' a dire che Emone

avrebbe potuto ,."r-Ji;;;litiiùiit""' dal momento che ci sono "altri

campi da arare"e' h tì;;;;ini' poiché.a Darere di Creonte Antigone

è una donna malvagia, tale da rendere infllice la vita di chi la sposa'

Emone dowebbe cleporre il suo amore particolare per leì' per non

sacrificare la propria felicità con un matrimonio incàuto' Secondo la

Nussbaum Creonte dimostrerebbe in questo modo di avere una conce-

zione della felicità ittti"'iut ed unitaria' che non lascia alcuno spazio

alla pluralità a.i r"tiìi f"ttiUift conflitto che ne deriva' Affinché la

straàgia di Creonte funzioni

il fine deve offrire sPontaneamente una moneta comune' a

cui possano "tt"tt tta"tti tutti gli ellettivi interessi e tutti i

valori dell'agentelo'

LaconcezionediCreonte,checontemplaunsolofine,gliimpedi-sce di avere ,lr,u tot"'* visione della ciità' la quale' nella pienezza

delle sue relazioni, no"trnUtu manifestare un unico bene11'

Le idee . il .o*po'iuÀt"o di Creonte' ili"1n*1sono fi8rrra delle

ideeedelcomportamentodiPlatone'conriferimentoprecrsoaquan-to abbiamo uppt"'u*J'io'l:lJ flotogo'oe della Repubblica' Ernblematico'

per evidenzir.. r'u"uiogiu tot' il"primo tu'o' è I'atteggiamento che

PT-{IONE, MARIHA NUSSBAUM, E I'E PASSIONI

7 Ivi, pp. 133-190.8 Anr. 639-680.e Ivi, 570.10 La fragtlità rlel bene, P' 146'

1l Ivi, p. 149.

Page 101: Trabattoni, Attualità Di Platone

203

ATTIIAI.ITÀ DI lrl '^ I ( ):'l PLAToNE' MARTHA NUSSBAUM' E LE PASSIoNI202

Creonte vorrebbe vedere assunto da suo figlio: un atteggiamerrto r lr,

rispecchia il principio, enunciato nel Protagora, secondo cui il cortst'rirrrmento della felicità sembra essere prodotto sernplicemente da rrrr r.rlcolo relativo dei beni e dei mali. Emone, insomma, se ragionass('( ()nìl

Creonte,/Platone dowebbe capire 1) che l'unico fine della suavi(:r c rl

conseguimento della felicità, 2) che il nratrimonio con Antigonc rr,,r,

permette di realizzarlo, e di conseguenza dowebbe perdere ogni irrt,resse per quella persona. In tal modo, secondo Ia Nussbrrtrrrr.Creonte/Platone mostrerebbero di non vedere che certi beni (<orrr,

Antigone per Emone) sono amati nella loro particolarità e singol:rr it.'.e non possono essere relativizzati o sostituiti dal alcun bene (suppostotmaggiore; né è possibile, sempre secondo Nussbaum, eliminare la lìrr z,r

delle passioni (o delle emozioni) sulla semplice base di un rirsiorr.rmento che le dimostra incompatibili con la felicità (anche eualorir tlrrt'sto ragionamento fosse corretto).

Su un piano politico più generale, invece, Creonte è figura di trrr,r

semplificazione analoga a quella operata dai filosofi-governanti n('ll.rRepubblica. La ragione etica impone che esista un unico bene somnro. ilquale costituisce l'unico criterio per determinare il valore, relatiro ,,

assoluto, di tutti sli altri beni. Creonte non solo identifica con siculczza questo bene nelle leggi della città, rna mostra di non voler deflettt'r r'

in alcun modo dalla sua scelta. Questo suo atteggianìento non diperrrl< ,

conre {brse potrebbe sembrare, dall'ostinazione patologica del pcrsonaggio, ma dalla necessità che egli awerte di restare fedele a ttn quarlr,,teorico irrinunciabile, in mancanza del quale si produrrebbe sicrrrrmente la distruzione della città. Se deve essere rintracciabile, infatti.una condizione a priori che elimina alla radice I'eventualità che ncll:rcittà si sviluppino conflitti insanabili, questa condizione è che il bent- si:r

unico. Nella Repubblicallrigido governo dei filosofi che ordinano e sel«'-

zionano il desiderio in base al criterio del buono assoluto sembra obbr-dire allo stesso principio; né certo è un caso che in tutte le grandi opt:x'politiche di Platone si senta I'esigenza di offrire un antidoto a qucllrrche a suo awiso era il più grande dei mali per una comunità politicrr:ossia la stasis, la guerra civile, dei cui effetti Platone era stato preoccu-pato testimone sullo scorcio del secolo V.

E opinione della Nussbaum che Platone, tuttavia, abbia successiv:r.

mente modificato questa sua posizione. Le prime arvisaglie di qr-restocambiamento si possono trovare nel Simposio, che Nussbaum leggr'dando particolare rilievo agli spunti "irrazionalistici" mediati dall'irrrr-zione di Alcibiade ubriaco nella terza sezione del dialogo. Ma la partt'più consistente della ritrattazione sarebbe offerta dal Fedro. Seconrl<»l'autrice:

tl Lbdropresenta una nuova concezione rlel molo che il senti-

Inerìto, l'"mo'io'lt "' in moclo particolare' l'amore devono

avere nella vita buona"' 12'

l\l Fed'rofè un'opera nella quale egli [sr' Platone] ammette di

essere stato .,"t o', Ai''ìt.t i'o"t"pito le onoosizioni in modo

troppo rigiclo; d;;;gli ;;";u' to^tt ru 'itr'ìia'iottt e con I'au-

tocritica, al g,,uJug"lre un nllovo punto di vistat3'

Infatti nel FetlroPlatone ammetterebbe che le passioni e i desideri

umani (e l'eros in particolare, che in un certo moào I sintetizza tutti)

abbianouncaratteret""a"*t"*lmenteirrazionale'dicuiènecessariotenere conto. x. a.rirru iiimpossibilità di inttividuare la via migliore per

il conseguim..rto a"tiu ittitita semplicemente sulla base di un calcolo

razionale, come se tutti i desideri fossero parti omeomere di quell'uni-

co desiderio .h. e 'i'olto alia felicità' Quésta novità sarebbe introdotta

,irfiir"i"primo luogo mecliante la clefinizione di eros come una sorta

d\ 'mattia(o pazzia), Jù-to*t tale non si lascia mettere da parte dalla

ragione neppure ,-r.l ta'o in cui la ragione medesima fosse in grado di

dimostrare che essa,o" pt"a"tt qt't(:ilu felicità che gli uomini si aspet-

tano dalla soddisfazione dei loro desidetr'

Sempre secondo Nt"'but'*' nel Fedro Platone intende deliberata-

mente mettere in scena questa sua ritrattazione proprio. pe.r 'me

della stessa ,,r.r,,.,tu tht gt"t'u la composizione letteraria del dialo-

;;.^ N; ;irtsumo breve"t"t"tt il corìtesto' Il giovane Fedro legge a

Socrate un discorso al l-l'lu in cui questi cerca di dimostrare che per un

giovane è pirì conve'lit"tt concedire i suoi favori a trna persona che

non lo ama piuttosto.ttt " Llna persona che lo ama' Socrate si impegna

con Feclro, sr.rbito aoià, oa tfudo'ut" egli stesso un discorso analogo a

quello di Lisia, i,, .t'i, muovenclo dal fatto che I'amore è una forma di

pazzia, giunge , .";;;;;"ze simili:.o meglio' arriva a -::"t::^:]':non è conveniente loi..d..ri a chi ama, appunto perché questr e

p..a^ a"li.'p.r,i"' rài ft'à pto"..,'-"ia anche uìa ritrattazione' fonda-

ta su questo p.tr.rpiot'il discorso prece<lente sarebbe adeguato se la

ntanialbsse sernpre un male; ma siccome esistono forrne buorre di

mania,ne consegue che l'irrazionale non è di per té ttttu:o::'negativa'

e che a'zi p.ra aff,o..àrrenza essere sfruttato ir-t .,r-ro prospettiva filos.-

fica. Ed è questo tpnt"tto il caso dell'eros' ove sia correttamente inteso

come impulr" .d .l"t;;;t l';;l;^ verso la virtù e la conoscenza dell'in-

telligibile, . ,or-t u"Ào la soddisfazione dei desideri più bassi'

Ora, secondo la Nussbaum la ritrattazione di Soirate (analoga' nel

dialogo, alla palinoJla ii Stt'itoro' che aveva incautamente biasimato

t2 Ivi, p. 391.l:ì I'i, l).'ì(),1.

Page 102: Trabattoni, Attualità Di Platone

I

ATTUALITA I)I I'I \ II I' I

Elena) sarebbe figura della ritrattazione di Platone : così corne Str.si, ,,r,,per recuperare la vista che gli era stata tolta dai Dioscuri, dichirrr o N,,non è vero questo discorso"l4, allo stesso modo Platone avrebb(ì (()srrrrtoil Fed,ro con lo scopo di comunicare ai lettori che egli ormai girrrlrr.rr r

falso quanto aveva scritto nel Protagora e nella Rtpubblicatt.

2. Su quanto sia improbabile ed ingenuo questo modo di leggt.r c I ,,pera di Platone (così come quella di molti altri filosofi) non viìl<. l,,r.,,più nemmeno la pena di insistere. La filosofia di Platone parte clallrr r r .r

listica constatazione della complessità dell'esperienza umana, b('n , ,,r'sapevole della presenza, al suo interno, di tensioni o conflitti fra L »r , , r lcontrasto, o addirittura apparentemente contraddittori. La sua :rrrrl'rzione teorica, di fronte a questa oggettiva complessità, è quella rli r l.rborare modelli esplicativi abbastanza ampi ed elastici per ricompor r,. r l

conflitto, ed anzi capaci di mostrare che le ragioni di una possibilt' r .rrciliazione sono presenti in modo particolare proprio laddove i conllrrrrsembrano manifestarsi nella maniera più acuta. Così, ?d eserrrpi,,.Platone può dimostrare con il Fedone e con la fu.pubblica che il fikrsol,,ha una naturale vocazione politica proprio in ra§one d,elle sue tendenzc ttt,,tiche, e non in opposizione ad essel6; può mostrare, nei dialoghi apor r'tici e in quelli conclusivi, che le provocazioni scettiche inerenti ai t(.ut.rtivi dell'uomo di conseguire la conoscenza non sono un ostacolo vr.rs,il raggiungimento della verità, ma sono al contrario il materiale t' 1,,

strumento che rendono questo raggiungimento, almeno parzialnìcr ì l(.,possibile; può infine mostrare (ed è questo che ora precisamenl(' ( r

interessa) che un adeguato riconoscimento della natura irraziorrrrlt.degli impulsi e dei desideri umani non costituisce un'obiezione de« isr

va al primato della ragione, ma offre al contrario la base su cui Ia ragi,,ne si sviluppa, per poi giungere in ultimo ad esercitare il suo ruolo rrormativo. Ove, come troppo spesso accade, tale ambizione teorica non si;r

percepita (e dunque sfugga l'esistenza di questi modelli) si genera rrrrinsieme sistematico di false opposizioni: c'è un Platone ascetico divcrs,,da un Platone politico, un Platone scettico diverso da un Platone <krgmatico, un Platone che esalta la ragione diverso dal Platone che esall:rle passioni (un Platone poeta e un Platone che brucia le sue poesie 1lt'r-ché convertito allafilosofia). Dopodiché è del tutto naturale che chi,:rcausa della prclpria miopia o ristrettezza di vedute, si arresta sul piirrrrr

\a Phaedr.243a.ts La Vagilità dtl bene, pp. 391-392.16 Cfr. F. Tiabattoni, Si può parlarc di "unità" della psicologia pkrtonirrt? lì.vuttr rlt

un caso significatiuo (Fedone, 68b-69e), in M. Migliori, L. Napt>litano Val«lir:rra, A.Fermani (curr.), Interiorità e anima. la psychè in Plutone, Milarro 2(X)7, pp. lìt)7-320.

PLATONE, MARIHANUSSBAUM' E LE PASSION' 205

di queste opposizioni unilaterali' sia cos'trctto a giustificare lasua posi-

zione dicendo che Phì;;;:;;';;ttt" dialogo iquest'altro' da questa

fase del suo pensier"-' it*tt'aL'"^".:1Tl*:'ìutu' o - peggio - ha

uf, à'a *' "'''"' 1 1:i:"]: iI.. xJ,'.T3#:['J:.?h ote s, i n l+R

o rt ] lr..#::fi f .1;#l',',T;:ili"',"ì'-"il'.:::"1"'""13,ì[:'l#,ì""'tuirebbe Ia novità tili;;;;'del Fedro',-rale da giustil-rcare I'ipotest

della ritratra'io"t taàatl'ie \l pnmumttu rJugi"ni {nnpuultno)' ora il

;;;ì;'{,:;,"-::f :""Xì;;*::5:',.';.:}::l?.".:i::[,"'.T['[dovremmo rrntraccliun'opposiziottt i"*#ìritl i* at'ia"tio e'ragione' mentre negli altri

dialoghi la ragione ;ttilt ; gì'a" ai iugoEitutt completamente gli

istinti e ìe pulsionr ;;;""^ii' ftu to'ì '-'oi a' Platone in realtà è sem-

Dre coerenle ',',et

a"tttminare la natura umana come uno stato Peren'-

ne di deside'io' o aiìttttioìt' utt'o utl [-rne che generica]nente sl puo

Jà,, o-i nu," ie I i c i tàl lzliH? :4 ; I fl;l;l :, Tiil:"Ti;,'J ;Til3:tìr. "

.r,l""alizzabile' perché è sempltcet il qua-

fonclamentart, att"q'"t"ittu'i"nale' àa cui è necessario partrre:

dro etico .ht sott# tt;;;;;io'u"t àri"it ',ell'

Eutid'emo prende le

*o,,.darc1ato'"à.irii'#;':*":,'"15lll'.ff .:iJt'i',3i:1;',1;

**":*,:Tx;".:i'ilffi :,?31 #gi1i Itiu'i"' ben e q uesr o P *''3

;

Se si chiede "o '"ì:;5 i*|i?-att'ae-ra il belto ed il buorto' questr

:T.:',f1'Jti'i?ffi tff d;-J,:.1'ijiìl,rl;:;'-'-i!"'.tr'":l';puo piu p'ot"at'3'lf it to'-' l'indagine tu'io"'t""in quanto non ha

ll.o,-,r.,"o'r'i'al'""1"q',i;;;;'o.'?*;X.X1';:'Ji::i1;:il'T'ì;J.." ar telicità, drrnoue' è un dato trrazt gere che

natura urnana i" ;'l;;;e' Né sarebbe necessario aggrutr

tale quadro u ^tt*T;;;;.['t"ptttut o n"..iu nop"bblica'ii crti non solo

lo scopo tornprt"i'i ati ài"r"gt ttr'"tti'u pu"titt dal secondo libro)

è oue,o ai .'or,.u.J;;; É.hé l, "i;ì; ! solo qtrella' renda felici'

*u lu r,.*'u f"'dJ";d;tiJ"uto iaturt'iu cui è sospesa Ia'possibilità

di realizzare ,^ *;;i;;; ptt"q9 t*i"ì., pti*o lt'ogo dai bisogni' In

oroposito o""*u''i*l;;J"* (il riferimeàto è al cor§a' ma il conte-

L i.".it" è del tutto analogo):

Non possiamo Isi inten.de' secondo Plaronel' dunque' deter-

m i " aic i I' ;;;"1' ; ; ;'q

"r t' "'1,^ :'-Yf :f :l:*:'ila;;'.""tf ::*.X;;:iì'T:Tlil H i'1"'li';;;; ù"'g' i c h e i osa d esi-

deri' Dobbiamo guardare 'lt" 'ttiiA in *" *"t""t e chiederci

s(Ì esse siancl buonetT'

t7 l,,t lrrtl'ilità dil lwre' p' 292'

Page 103: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTUAIITA DI PI,A'I( INI

In questa sintetica descrizione della dottrina platonica del valor c t ,

a ben guardare, più di un elemento mistificante. Osserviamo in prirr,,,luogo che l'esigenza di determinare il contenuto della vita consirk'r:rrrdo non solamente i desideri che le persone o i gruppi effettivarrrcrrtrmanifestano, o hanno manifestato in passato, è una condizione rrrirrrmale che certamente non possono trascurare neppure etiche assi rìr<'rr,,

arnbiziose di quella platonica: altrimenti dowemmo prendert' ;,, r

buoni i bisogni, e Ie relative soddisfazioni, di nazisti, pedofili e ter.rl)nsti. Se dunque è inevitabile - corne evidentemente la Nussbaum rir( ( (,manda di fare - prendere le mosse dai desideri reali, è anche venr « lr,

si tratta solo del primo passo: se non vogliamo ammettere la legittirrrir.rdi etiche francamente improponibili, dobbiamo anche ammetterc ( lr('non tutti i desideri sono leciti, e che dunque è necessario operart: rr, r

confronti dei medesimi un lavoro di valutazione e di selezione non tr'()l)po diversr-r, almeno quanto al genere , da quello intentato da Platonc. Irr

secondo luogo, quando Nussbaum scrive che (secondo Platone), oltrr'ai desideri reali occorre tenere conto di ciò che è bene in sé, introdrrcr'nella posizione platonica (forse sotto l'influsso delle celebri critichc rliAristotele) una differenza inesistente. Ciò che è bene in se stesso, p<'r

Platone, non vale in quanto bene secondo un ordine di priorità chc t'indifferente alla natura del desiderio. Esso vale in quanto bene propli,,e solo perché è pensato come l'unico mezzo in grado di soddisfax' ildesiderio, una volta ammesso che l'universo dei desideri non può essr'

re acriticamente accolto nella sua superficiale evidenza, ma va riors:rnizzato e rielaborato in modo da far emergere ciò che è daaaen desirlt'-rabile.

Qui, in effetti, non sembrano proprio esservi scappatoie. Mettianro« i

pure, come la Nussbaum, dal punto di vista dell'etica antica, che pren-de le mosse dai desideri (non da cose come il dovere) e si prefigge l«r

scopo di produrre la vita buona (e non, ad esernpio, il rispetto di certt'leggi). Ora, se non esiste nessurì criterio per ordinare e valutare conì-parativamente i desideri, non sussiste piu nessuna elica, se non travesti-ta sotto i panni improbabili di una pedissequa descrizione dei desiderimedesimi. Se, viceversa, questo criterio esiste, in linea di principio norrci sono limiti alla sua applicazione. Non si vede come limitare la sua eflì-cacia, ad esempio, alla distinzione desideri leciti ed illeciti, e impedirglidi rimanere attivo anche all'interno dei desideri leciti, per stabilir«'quali finalità sono più desiderabili di altre, e tentare in questo modo clilimitare il conflitto. Ma questa, evidentemente, è già la strada su crricamminano Creonte (si intende, il Creonte della Nussbaum) e Platone.L'unica accortezza che si deve avere è che il bene sia inteso non siiìcome cìò che trascende il desiderio o che si oppone ad esso, ma preci-samente come quell'unica cosa che lo soddisfa: il vero bene (non tutto

PLATONE, MARTI]A NUSSBAUM, E I-E PASSIONI 2O7

ciò che la gente ritiene superficialmente. buono) è ciò che è dawero

desiderabile, ciò che soddisfa quanto possramo veramente definire desi-

derio (che non coincide con tutto quanto la gente superficialmente

desidera).È owio, beninteso, che l'indagine di Platone può essere scorretta' o

può essere consideruta tale'. Chiulq": ql:- ritenere che Platone abbia

ordinatoeselezionatoidesider.iinntattieraerronea.echedunqrresiaperventrto . .rr-ru "o'"io'lt

att bene altrettanto sbagliata' Ma nessuno

ouò corretlamen(e atfetmare che Platone girrnga'l b:1t^t:.:ia partire

Hid;i.l"ri"rrr. aei desider.i. e senza passare arrraverso un'analisi' a

tratd anche -orto upitoìo"àitu' ua t:ssi rèlativa' Si prendano' ad esem-

pa.ì. ..f"U.i pogitttiti tinto \4 della tupubbtica in cui Socrate accen-

na all,iclea d,el bene, e dove, anche per o_pera delle critiche di Aristotele'

;;;;"à.r.I'impressione che il b::t plut:"ico sia ricavato corì Lrn per-

corso astratto e sost;nzialmente distante dal mondo dei bisogni e dei

desideri. q.,iul So"ttt'p"'ft aaf iaea def bene (o meslio "l'idea del

buono", .o-. totit;#;;tt -;;uàott

ttlutio Vegettila) nel modo

seguente:

certo hai settlito spesso che I'idea del buono è la massima

conoscenza, t: tÀ" [t-lt alla relazione con essa le cose giuste

c così via di,"ngo't"' utili e van^tagg'""1:10:?t::;"t"ffi:tt:yilvetor)"'se non la conosctamo'- s(

sapessimo r-r"r "iàaà-'tigii"1t n"tt-ip1e tutto il resto' sai bene

che non tot"Ut'" di- alcun giovamento (orlòèv qÉv

òqe)'oq)...1e.

Poi, poche pagine più avanti' Socrate aggiunge:

E non è chiaro che per ciò che concerne le cose giuste i p-iù

sceglierebbeto aifuti"' di possedere' di far credere le cose che

paiono tali, anche '" "o'-t lo sono' quanto alle

'cose buo-1;'

invece, .'".,..,.'., si accontenta di possederrre di apparentl,

bensì tutti tii"ttutto quelle che lo sono dawero' e su questo

punto chiutìque disprezza l'opinione?2o

Dal primo dei due passi si ricava.con chiarezza che il bene ha una

relazione .r..n'i'll fol ciò che è utile o giovcvole: gli uomini:..::t:::

ciò che è utile e giovevole per loro' per il bisogno che tutti li sptnge a

procurarsi t, ptop'iu f"licià (v' Euilàemo)' e possono soddisfare questo

bisogno propno ';;;t;;;;" l'idea del buono' che è né più r.ré meno

l8 Platone, I'a Reptùblica'Milano 200ti (<la t'rri citiarno)'

t|t 11,'.t1,.505a2-7.

"''tt Iirlt SoSrl5-{)'

Page 104: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTI IALITA DI PI ,A I () N I

che il criterio in base al quale si può stabilire I'utile e il giovevole <li t r r r t,

le altre cose. Il secondo passo, a sua volta, mostra l'evidente conn('risr(,ne di ciò che è buono con la soddisfazione di desideri e bisogni. Pt'r r lr,gli uomini potrebbero, all'occorrenza, accontentarsi di possed('ll l.r

giustizia in apparenza, ma nessuno si accontenta di possedere « r,s,

buone in apparenza? Perché la giustizia apparente può essere irrtcs.rcome un mezzo per procurarsi la soddisfazione del desiderio nat\lr:rl(di felicità, mentre chi rinuncia alle cose buone rinuncia semplicernt'rrte a soddisfare tale desiderio, rispetto al quale l'apparenza della sorklrsfazione non offre evidentemente alcun compenso. Del resto, tutto r r.collima perfettamente con il passo del Simposio che citavamo soprrr, irr

cui il desiderio (il dato di partenza irrazionale qui figurato dall'eros) sr

realizza nel possesso di ciò che è buono, e questo a sua volta è fin:rlizzato al conseguimento della felicità: raggiunta la quale, il desideri<-r st.rrr

plicemente cessa.Stando così le cose, non si dà mai in Platone né il caso in cui la na(rr

ra umana sia identificata semplicemente con la razionalità, né il caso ir r

cui I'esercizio della ragione costituisca un obiettivo indipendente dir, r'in contrasto con, il soddisfacimento dei desideri irrazionali. Nella cosirldetta scala amoris che si trova nel Simposidl Diotirna cerca di mostl-ar('non già che l'uomo debba sostituire l'esercizio della ragione al desitk.rio irrazionale del bello, rna che l'uso della ragione è il solo ed unit omezzo tramite il quale il desiderio irrazionale di felicità può essere so«l

disfatto. E lo stesso desiderio irrazionale, in altre parole, che si convcr'te in razionalità (se convenientemente educato), minimizzando al nras-simo grado ogni possibile opposizione. Che la faccenda stia in questitermini lo si deduce anche da un passo del libro IX della Rtpubblitlt(582a), in cui Socrate prende in considerazione tre tipi di vita (o di desi-derio): la vita dedita al piacere, quella dedita all'onore e quella deditrralla conoscenza. Socrate owiamente opta per quest'ultima, ma con unamotivazione assai interessante. Egli non arriva a questa conclusiont'dicendo, come farà invece Aristotele nell'Etica Nicomachea, che I'uomo È.

per essenza un essere razionale. Egli osserva molto più concretament('che solo il filosofo è buon giudice dei desideri e delle relative soddisla-zioni, perché è l'unico ad aver provato tutti tre i tipi di piaceri. Con ciòsi dimostra, ancora una volta, che per Platone la ragione etica non ha ilcornpito di identificare in astratto che cosa si dowebbe fare, ma quelkldi stabilire qual è il modo migliore per portare a compimento il desi-derio naturale di felicità.

Dunque, per riassumere, se si ammette che l'etica ha il compito disoddisfare il desiderio oggettivo e irrazionale di felicità, lavorando comt'

21 $orlr.2l0e-212a.

PL\IONE, MARTHA NUSSBAUM' E LE PASSIONI 209

principio di organizzazione e di selezione' il bene di cui parla Platone è

inteso a tutti i tiveffi co1ie it -mezzomediante il quale talé desiderio può

essere soddisfatto: sia-nei ;t;; Àt la felicità io"'istt nel possesso di

cose buone, sia ne,.t;;;;;l'idea <lel b'o"o è il criterio in base al

ouaìe una cosa Puo;;;;;t de[ìnita buona (utile' giovevole)' E chiaro

.ir,-,or. che per Pl"t;;;'i Ju'oì"u'i""ale del desiderio e la determr

.rarione razionale di ciò che è buono non individY": 1Ì:':dini di

realtà distinti e separJ(;iiÉt cui il bene diviene la negazione o l'o-

bliterazione del desiderio) ' ma rappresentano' rispettivamente' il-punto

di partenza. ir p"'ià aì'arrivo dtllo 'tt"o pcrcorso: il buono colto e

selezionato aattu tugìoit-tupp"t3."* lu'oddi'futione del desiderio

naturale " ,-,orr.urioii.iiii.it.ira) comune a tutti gli uomini'

3. una volta stabilito questo principio, non si può dI5 tuttavia che

la posizione platonica (ci riferiamo a quella criticata dalla Nussbaum

nei Prolagorae nella fuiubblica) sia stata.ancora cotrvenientemenle dife-

sa. ln primo rt'ogo ti-;;ittun" t"ttt l'obiezione di merito che abbia-

mo già sollevato' *itil:;;;'*-trt" tu tugi""t abhia- il compito di

selezionare u..o.,u-""r"r. .ia .n. è dawero" desiderabile si potrebtle

comunque .it."t" Jnt riutt'" ,1bbia compiuto questa selezione in

maniera scorretta, tttiii"ttao ttt"imrnugi"e iell' uomo ulmente intel-

lettualistica .a ^r..à.^ àì^rir"fiur" irreafistica e poco compatibile con

l'esperienza. Contro questa obiezione per ora osserveremo soltanto

.he essa non esclude-' td ut''i in un certomodo conferma' I'approccio

metodologico ai pf'ìo'I';; tht ci sarebbe di sbagliato sarebbe solo la

scelta specifica del criterio unificante' non la necessità di trovarne uno'

Quanto poi al rne'i."ii q*t:"".triterio' ossia alla valutazione dell'etica

di Platone come d;;;to'"t"Ùtu' irreutittitu ed andmondan'a' mi sia

consenriro riro..ru.,ri*ro'ù" pri *"".r. più urgente. per ora, è chiedersi

se noIì sia proprio l:;;;;;;;" metodologico"ad essére sbagliato' Siamo

sicuri che 'u

nuto*1lut#J;à;tit'Etptti"tt'a umana tolleri non

solo un pit' o Intttoo;;;;;I" h""to ai 'Li't'ione

dei clesideri' ma addi-

rittura r.t",'lir"u'ìor,J;;;l;; sotto 1'egida di un^solo criterio' come

;;;; ;t;;;. in Platone (e nel suo t'pPSlto altn eso creonte)i

Qui intervre"t':;;';;;;t'q'" i" Platone' uno di quei modelli teo-

rici elastici " di ';;;ì;p""-tr']t

per lo più i critici }::-Yt^ "i-facciare. Le opzioni di massima "o"-"pb"tentano

pra[icamente mar'

in Platone, l" t";;;#;;;"tt; attt'o'gi'tto a cui vorreblcero rirerir-

si. Sostenere it principio' tanto per t'tui-t""' esempio tolto dal Fedone'

che iI filosofo desideà morire' non significa che per Platone' esista rea-

listicamente una figura di fiIosofo it <:"i t'tnito t 'à'o desiderio è quello

di essere morto' fale principio' infattr' enuncia il modello di una presa

di tlis(rrnza dai beni del corpo o t'' 't-nlosofìr' se è veramente tale'

Page 105: Trabattoni, Attualità Di Platone

211210 ATTUAIITA DI PI-{IONI. PLATONE, MARTI{A NUSSBAUM, E LE PASSIONI

dovrebbe tendere come sua misura ideare, dove è però evidente che I:rperfetta realizzazione del modello sottrarrebbe al filosofo la sua stessrrumanità. La piena realizzazione del modello, in altre parole, ha I'ef1èt-to immediato di annullare la differenza che separa il modello stess<rdalle realtà inferiori che lo imitano, che ipso faito cesserebbero di esi-stere come imitazioni. In questo senso è impossibile, ontologicamentt.parlando, che il modello sia realizzato, perché in questo moao verreb-be meno quella differenza tra mondo reale e mondo ideale che costi-tuisce il cuore di trrtta la metafisica di platone. Tuttavia questo norlimpedisce che il modello sia oggetto di imitazione, più o *Ào appros-simativa. La necessaria approssimazione di ciò che imita garandsèe lasua esistenza indipendente da ciò che è imitato, garantisce lesistenza diun mondo sensibile accanto a un mondo intelligibile, di una città diuomini accanto alla città degli dei, di una comunità di filosofi accant()alla comunità dei sophoi (che, poi, sono ancora gli dei).

Questo discorso, tradotto nei termini dell'argomento cli cui stiamoparlando ora, significa che nel mondo umano I'unificazione sotto l,egi-da del bene non è e non può essere mai completa,na solo e sempreapprossimativa: dunque che è impossibile eliminare definitivamentetutti i conflitti. La posizione platonica non ha come suo tratto essenzia-le, contrariamente a quanto la Nussbaum lascia intendere, una perfettariduzione dei conflitti all'unità di una sora via d'uscita (quìsi cheEmone - per tornare al nostro esempio - ove gli convenisse rinunciaread Antigone non provasse per questo alcunisofferenza), ma la lororiduzione al minimo, intesa come progressiva e mai perfettamente com-piuta approssimazione all'unità. se infatti non fosse possibile in nessunmodo compiere un'operazione di questo genere - r., i., altre parole, ilconflitto tra i vari beni non fosse neppure approssimativameite com-ponibile - l'uomo non avrebbe alcuna speranra di conseguire Ia fèlicità,neppure in modo parziale. euesta parzialità, d,altra paite, è al tempostesso il limite e la possibilità entro cui il rapporto imitazione-modeilocircoscrive l'esperienza umana. L'esistenzi àel modello chiarisce altempo stesso che l'imitazione è possibile ma è anche destinata a rima-nere imperfetta. Il modello dell'unificazione completa, ove posto com-piutamente in atro, re.alizzerebbe la piena e perfeita felicità. Ma quesrapiena e perfetta felicità sanzionerebbe l'awenuta trasformazione del-l'uomo in dio, ossia la perdita di quella tensione desiderante che costi-tuisce la cifra della condizione umana in quanto tale (e che la distingueda quella divina).

Qui si rivelano, a mio parere, tutte le difficoltà inerenti alle immagi-ni massimaliste, o in vari modi estreme, dell'antropologia platonica.che per Platone sia presente nell'.omo una fondim."t"t. tensioneall'autosuperamento credo che non possa essere messo in dubbio. Ma

se non si presta attenzione alle infinite manovre retrograde che il testo

platonico ci offre, ai numerosi e vari contesti in cui questo autosupera-

-.rto si conhgura come un'idea-limite valida soprattutto in-quanto cri-

terio per ordiiare e strutturare la vita presente, la spinta all'autosupe-

.u*..rto finisce per configurare una siiuazione in cui l'uomo raggiun-

ge un'esiste.rru àd.grruta al suo concetto solo quando ha perduto ifaratteri distintivi della sua umanità: solo quando l'uomo, in altre paro-

le, non c'è più22. Quello che ne risulta è che la filosofia di Platone' non

importa ,. ii .ortfo.ri ciò come un pregio o come un difetto' diviene

aniiumanistica nella sua essenza: il còmpimento dell'etica e della poli-

tica di Platone trascende, e perciò nega, la dimensione umana'

Dunque, se esistono per l'uomoin quanto uomo un'etica e una politi-

ca pràticabili, non porrorro essere un'etica e una politica platoniche' E

tuttavia, quando cisi accinge a costruire un'etica e una politica della

vita buonà ci si accorge beripresto che, senza una certa dose di "plato-

nismo minimo" (che-poi, a àio awiso, coincide semplicemente con ilplatonismo toul rourl), nessuna etica e nessuna politica di questo tipo'sono possibili. Se il supposto "platonismo massimo" prevede la piena

unificàzione del bene e dei desideri, è però anche vero che nessuna

etica può essere edifrcata senza un ordinàmento gerarchico. dei deside-

ri, pei quanto approssimativo, condotto sulla base di un criterio ,nita-

rio^(anch,esso approssimativo). In caso contrario, infatti, non restereb-

be aìtra etica chè quella denominata da McIntyT e come "emotivismo":

L,emotivismoèladottrinasecondocuituttiigiudizidivalo.re, e più specificamente tutti i giudizi morali, non sono altro che

22 Ha scritto in propositoJ. Annas: "Becoming like God. orassimilating one-

self to Good, is not mèant aJ an alternative to tÈe idea that virtue is sufficient

for happiness; it is just a specification olw!a1 happiness is'.Moreover' the idea

is also^not intended u, ur, àlt".r-ru,ive to the idea tÈat virtue is sufficient for hap-

fi".*, for it is explicated, in many of the passages in which it -occurs'

by the

lhorgtlr that becoming like Cod is what becomiÀg virtuous.is''.Ma questo sie-

,rifi.i upp.rrrro, come Ànnas mette chiaramente in luce poche righe dopo' che

.we seeirn here to have the idea that virtue turns a human life into something

different in kirrd. (Platonic Ethics, Old antl Nan,Ithaca and London' 1999' p' 53) '

In effetti non è troppo diffrcile mostrare, in Platone, I'incidenza del telos colto

dalla formula òpoiòàtq geQ (cfr. S. Lavecchia, LIna uia che conduce al d.iaino. La,,homoiosis theo,,nellafilosofia di Platone, Milano 2006). Se tuttavia si trascura ilfutto ch. questa assiÀilaiione a dio rappresenta soprattutto il modello regola-

tivo che aoi."rrt. al filosofo di vivere correttamente nel mondo' e non una real-

istica trasfigurazione che 1o lo allontana e lo separa definitivamente da esso, ne

.i..,lt^ .,r1'irlìmagine della fiIosofia di Platone sostanzialmente distorta. E tale

rimane anche sàsi tratta, indubbiamente, di una disorsione nobilitata da una

Iunga e ricca tradizione (dal medio al neoplatonismo e oltre)'

Page 106: Trabattoni, Attualità Di Platone

213

212 ATTUALITA DI PLAToNI.

espressioni di una preferenza, espressioni di un atteggiamen-to o di un sentimento, e appunto in questo consiste il lorocarattere di giudizi morali o di valore23.

L'etica di Platone, al contrario, ha lo scopo preciso di evitare gli scogli opposti di un'etica umana che non è più umana, perché fondatrrsulla piena realizzazione dell'ideale unificantepromosso da una ragiorrt'ignara di emozioni e passioni, e di un'etica umalta che non è più eti«t.,perché incapace di ordinare e limitare in un modo qualsiasi l'indeter-minata molteplicità conflittuale dei desideri e delle emozioni. Lo strtr-mento pel. realizzare questo obiettivo consiste nel mantenere aperta l:r

tensione ineliminabile tra reale (rnolteplice) e ideale (uno), una terì-sione in cui l'ideale non è mai abbastanza forte per assorbire iI realt'dentro di sé fino a negare l'autonomia del reale, e il reale non è maiabbastanza autonomo per negare l'esigenza di una progressiva razionirlizzazione di ciò che è reale alla luce di un modello ideale imitabile.

4. Questo accorto bilanciamento di reale è ideale è visibile in varimodi in tutta I'opera di Platone, e non certo solo nel Fed,ro (come vctr-rebbe la Nussbaum). A suo parere ll Fedro mostrerebbe qualcosa comcla resipiscenza di un vecchio Platone, che finalmente vi riconoscereb-be le ragioni della realtà. La novità enunciata da questo dialogo, osser-va la Nussbaurn, consisterebbe nel fatto che qui "gli elementi norrintellettuali sono fonti necessarie di energia motivazionale" (p. 409).Platone riconoscerebbe, in altre parole, che la ragione da sola nonbasta a fornire I'impulso verso la vita virtuosa e filosofica, e che al con-trario essa ha bisogno dell'energia passionale che sono in grado di for-nirle solo gli elementi non intellettuali. Qrrello che si può riconosce-re alla filosofa americana è nessuno degli altri dialoghi platonici sem-bra riservare un ruolo così importante alla mania. Ma ciò non basta disicuro ad istituire una differenza così decisiva come quella che viriscontra Ia Nussbaum. Già abbiamo visto che in altri dialoghi, (comel'Eutidemo e 1l Simposio) Platone non solo riconosce il carattere fonda-mentalmente irrazionale del desiderio, ma anche ammette che questostato di desiderio costituisce la natura essenziale dell'essere umano. Sepoi passiamo ai grandi progetti educativi della Repubblica e delle Leg§,ben si vede fino a che punto Platone fosse persuaso che l'eserciziodella ragione da solo non basta a sviluppare nell'individuo, e nellecomunità, la vita buona. Si può anche aggiungere che questa tesiviene portata alle sue estreme conseguenze nelle ultime pagine del

23 A. Mc Intyre, Aftcr Virtue. A Study in Moral Theory, Norre f)ame 19t11 (tr. it.Roma 20072, p. 4l).

PI-AIONE, MARTHANUSSBAUM, E I'E PASSIONI

Timeo, incrri il con<luttore del dialogo si spinge sino ad affermare che

la cattiva condotta morale di un uomo può e"ssere prodotta anche da

una cattiva conformazione fisica2a'

Ma quello che torse è ancora Più-glT.t è che la Nussbaum non dà

alcuna spiegazione .itg;;;t'f.t** Platone awebbe sentito il biso-

gno di sostenere f u ,uu [toposta filosofìca con [onti di energia tolte dal-

I'irrazionale. secondo'lu ,',,u analisi si rratterebbe solo di una lelice

eccezione, documentat a dal Fed'ro' all'interno di un razionalismo perva-

sivo e quasi ,otfo.a,,t"' Ut tt Ia faccenda è messa in questo modo non

si capisce urrol.rtu*.t"t "it"ttt se Ia cifra fondamentale della filosofia

di Platone fosse il ,urio,'uti'^o di cuì si è detto' come si spiega l'ecce-

zione del Fedro? O- ancora peggio: se avesse ragione Nussbaum' il Fedro

non costitui.ebbe fbrse t"i tJtiu di confutazione del platonismo pro-

dotta dallo stesso Platone?

In effetti .ori .,ot'llÉt per Platone la filosofia.è Più o meno :*l-gutu, a aroat solo nel Fed'ro, a rtcorrere a motivazioni di carattere ffra'zro'

nale, cio dipende auiiu't'ut"tu metafisica del suo oggetto (che la

Nussbaum, viceversa, non vede e dunque non prende in'considerazio-

ne). La Parte accattluut'tt e moderna del lbd'ro' ossia quella in crri si fa

iil" -d;t" utt'ir.u,io,,utt,alle emozioni e alle passioni' non può esse-

re isolata dalla sua parte più atcaicae meno attuale' in cui Socrate trat-

;;i;i; ,.t.-u, .i" f*"t "tlla veste irunagrnilca del. mito-',di una

metafisica irr.q.,iuo.utr'ilmente dualistica' Quù si legge' in particollJ:'

;;;h ;g.tti di cui il frlosofo vorrebbe venire a conoscenza sono ple-

namente.ai..ttu-..'t.visibilisoloall,animadisincarnata,perchéapparterìgono a un ;;;;"

'tp^rato

e diverso.da quello t" :11:t *"'u

a vivere il composto unrano dicorpo e anima' Ecto dtt"qttt :p]:Cu* lu

debolezza della rrtosoi'a, t iu t"u nlcessità di ricorrere all'energia offer-

ta dagli stimoli """.^al""iirf...he il frlosofo non è sapiente (sophos)

come gli d,ei25, e dunque a nLlta perpetua condizione di aspirare in

eterno a ciò che ,,;';;;; ;;i pàtttàtre in maniera completa' se è

vero, come ,i t.ggt "à Simposio" ctre il sapiente è precisamente colu'

.t "

ir. Sfa soddiliatto pet intero il suo desiderio (e dunque non e plu

filosofo, non è più tà'""tt del sapere)' allora è anche vero che il filo-

sofo deve supplire al suo imperfetto sapere con una passione irraziona-

le, e indel'essa, a conseguirlo' Se il flòsofo è colui che aspira a cono-

scere oggetti, com.e lt àtt, che appartengono a un'altra dimensione'

quanta passrone .t o"'olt afr'nctté iàntinuT per tutta la vita a- dedicarsi

ad una impresa così difficile? Perché' stando così le cose' non si dedica

alla ricerca ai q.,or.o* ài pit facile da conseguire (come il piacere o

24 'I'im. B6tÌ87b.Ztt pirrrr7r.Z78d (cfi. anche lls' 2l8a' Symp' 204a) '

Page 107: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTUALITA DI PI-4TONF

I'onore) ? Per la forza, del tutto irrazionale, del suo amore per il sapere.Se il filosofo non fosse soccorso dalla passione per l'oggetto che desi-dera, essendo questo oggetto talmente lontano dalla vita di tutti i gior-ni che gli uomini comuni ne negano persino I'esistenza26, probabil-mente abbandonerebbe presto I'impresa. Se, al contrario, l'oggetto chedesidera fosse facilmente disponibile nella vita presente, la filosofia nonavrebbe affatto bisogno dell'energia irrazionale di cui parla laNussbaum. Il filosofo, in questo caso, sarebbe semplicemente un uomoche trova regolarmente quello che cerca, e potrebbe vivere tutta la suavita come tranquillo e pacato uso della ragione, senza alcun bisogno diricorrere all'irrazionale, alla mania, all'eros.

La natura metafisica, dunque separata, dell'oggetto proprio dellaconoscenza filosofica fa sì che l'impresa della filosofia sia sempre perl'uomo una sorta di "seconda navigazione", ossia - chiarendo una meta-fora che Platone usa tre volte nei suoi dialoghi2T - un tentativo di trova-re una soluzione approssimativamente accettabile, nella consap evolezzache la soluzione defìnitiva non è mai disponibile. Se la prima naviga-zione è la perfetta conoscenza delle idee accessibile solo all'anima di-sincarnata, la seconda navigazione, disponibile all'uomo nella sua con-dizione mortale, è una conoscenza approssimativa e fallibile delle idee,conseguita grazie soprattutto alla forza di una passione incapace diaccontentarsi, nonostante la difficoltà dell'impresa, di obiettivi piùbassi28.

Questa metafora potrebbe essere applicata, forse con qwalc}:e azzar-do, anche all'ultima parte del secondo discorso di Socrate r'el Feilro.

Quivi Socrate descrive la forma perfetta di amore, inattaccabile dalleseduzioni corporee, come la via migliore per condurre I'anima al recu-pero delle ali e dunque alla visione dell'intelligibile:

Si verifichi ora la condizione che prevalgano gli elementi piùeletti dell'anima, quelli che portano a una norma di vita ordi-nata e all'amore per la sapienza. In tal caso, con perfetta feli-cità e concordia essi trascorrono la vita su questa terra(poropr.6v pèv roi òpovorltrrdv tov evOriòe Biov òroyoorv),attuando il dominio di sé e I'armonia interiore, perché hannosoggiogato i fattori che determinavano il sorgere della malva-gità dell'anima e affrancati invece quelli che suscitavano la

26 Cfr. Resp. 478e-479a, Parm.734e-135b.27 Phaed.99c, Pol. 300c, Phil.79c.28 Per il corretto significato della metafora "seconda navigazione" cfr. S.

Martinelli Tempesta, Sul significato de òeritepog rtr oOq zel Fedon e di Platone, in M.Bonazzi - F. Tiabattoni 2003 (curr.) Platone e la trad,izione platonica. Studi difi.losof.a antica, Mllano 2003, pp. 89-125. Per il suo uso filosofico in Platone cfì'.F. Trabattoni, Platone, Roma 1998, pp. 136-138.

PI-ATONE, MARTHA NUSSBAUM, E LE PASSIONI

virtù. Eccoli giunti al termine: divenuti alati e leggt:r'i, tlt'llt'tre lotte veramente olimpiche, una ne hanno vinta e ncssttlrbene maggiore di questo l'umana saggezza o la divina maniapossono offrire all'uomo2g.

Queste parole, a ben vedere, dowebbero suggellare in modo con-clusivo tutto il discorso che il dialogo ha svolto sin dalla lettura del di-scorso di Lisia. All'amore di segno negativo di cui si parlava sia in queldiscorso sia nel prirno discorso di Socrate, si è passati a una oPposta valu-tazione dell'eros e della mania cli.e ne costituisce la sostanza: l'eros, se

correttamente inteso e condotto, produce una perfetta felicità, unasituazione assolutamente statica di esercizio della virtù e di ripulsa delvizio che prepara senza più sussulti o mutamenti il passaggio dell'animaa miglior vita. E tuttavia il discorso di Socrate non finisce qui, ma prose-gue fino a descrivere anche l'opposta condizione, quella di chi si ispira

a un tenore di vita meno elevato, bramoso non di saggezza madi onori: in questa eventualità i cavalli ribelli di entrambi [sc.l'amante e l'amato], sottoposti al giogo, riescono forse a sor-prendere in qualche modo gli animi incustoditi nell'abban-dono dell'ebbrezza o di qualche altra negligenza e, tratti insie-me alla stessa meta, afferrano quel partito che a giudizio dellamoltitudine appare invidiabile e 10 portano a compimentoso.

Abbiamo qui a che fare, in altre parole, con l'amore che non sem-

pre riesce a rimanere all'altezza dei puri valori dell'anima, ma devia diquando in quando (sempre meno, con il passare del tempo) verso lesoddisfazioni corporee. Ebbene, anche il risultato di questo amore nonè disprezzabile; anche in questo caso i due contraenti possono essere

detti amici, sia pure di grado inferiore ai primi. Né è loro affatto pre-cluso il raggiungimento della meta finale:

E al termine della vita, se non alati, almeno dopo aver aspira-to a divenirlo (òppqr6cqg òè ntepo0o0ot), abbandonano ilcorpo, cosicché non mediocre è il premio che dall'amorosamania essi riportano, poiché non più verso I'oscurità e versoil sentiero sotterraneo è legge che muovano coloro chehanno già iniziato il cammino che si svolge sotto il cielo (tÒigKoxqpTpevorq riòn tnq ònoupoviou topeioq). Essi devono, alcontrario, nel corso di una splendida esistenza, raggiungerela felicità procedendo I'uno accanto all'altro, e divenire alatiinsieme, per virtù d'amore, quando dovranno esserlo3l.

29 Phaedr.256a7-b7 (qui, e anche nei passi successivi, riportiamo latraduzione di Linda lJntersteiner Candia).

30 Phaedr.256b7-c5.3r Phaedr.256d3-e2.

Page 108: Trabattoni, Attualità Di Platone

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ATTUALITA DI PI-AIoNI

Dunque Socrate ha parole di comprensione anche per l,eros che rlitanto in tanto traligna, che in qualche caso non riesce a restare al livt'llo perfetto dell'amore purissimo, totalmente ed esclusivamente filosolìco. Il giro, in questo caso, è più lungo, ma può comunque condurre all;rstessa meta. Q"i, u ben vedere, ciò che è primo dal punto di vista dell,ideale diviene secondo dal punto di vista della realtà (e viceversa), pt:rché I'effettiva condizione umana è assai più simile a questa che all'aitr-rr.L'amore perfetto designa la vita statica di chi ha già,realizzato tutto ilsuo desiderio, quasi una prefigurazione qui sulla terra della divinirifutura che attende I'uomo dopo la morte. E tuttavia, come dirà nel vsecolo d. c. il lontanissimo discepolo di Platone Damascio, coloro clrt.un giorno diventeranno dei prima devono essere uomini32; ed è incrente alla condizione imperfetta dell'essere umano la possibilità delllcaduta e del fallimento. come recita tutta la sapienza greca, fin di mitipiù antichi e dalle più venerate sentenze, l'umanità dell'uomo e la divi-nità di dio non possono mai essere ridotte alla stessa cosa: fino a chr.I'uomo è uomo, la differenza in rapporto al divino è la cifra delra suirumanità. Ma la perfetta realizzazione dell'amore segnerebbe, appunt.,l'eclissarsi di quella differenza, e darebbe così origine a una siiuàzio.t'contraddittoria. Tàle contraddizione è accuratamente segnalata dirPlatone in una delle frasi che abbiamo citato. Se la perfeìta felicitiì(poropr6qq) è la contromarca distintiva degli dei, comè potrebbe esse-re possibile che sia portipr"ov già tov ev0oEe Biov? Non è possibile, t:Platone, ancora una volta, lo sottolinea: il grande discorso di Socratcnon si chiude con I'esaltazione della vita perfetta (come quella degli deie dei sophoi), ma con un ragionevole apprezzamento della vita che hainiziato il suo cammino verso la direzione giusta (come quelra degriuomini che, p;razie al corretto uso dell'eros, riescono a diventare phib-sophoi), della vita che non ha ancora realizzato il bene, ma se ne Lasciaguidare come da un modello imitabile sempre e solo nei limiti dellepossibilità e delle debolezze umane. come si legge in un celebre passcrdel Filzbo, nella gara per la felicità l'uomo concorre solo per il secondoposto33: perché si porta dietro sempre, fino a che è uomo, tutte le sueemozioni e tutti i suoi desideri, insieme al mai totalmente azzerabTlecarico di instabilità e di inquietudine che la loro presenza comporta.

Capitolo XI

Sulle tracce dell'armonia: Enzo Paci, 1l telos

e i Greci*

32 Vita Isidnri 292, &11(phot. 8p.,242,227).33 PhiL zzc-e.

Devo confessare che la prima volta che sono entrato, come docente,

nell'aula 211 dell'Università Statale di Milano, non ho potuto trattenere

una certa emozione. Lì avevo ascoltato, ancora studente liceale, alcune

lezioni di Mario Dal Pra. Poi, iscritto come matricola di filosofra all'anno

accademico 7975-1976, in quella stessa aula avevo a\uto la fortuna di assi-

stere all'ultimo corso universitario di Enzo Paci. Il miei ricordi sono per

la verità abbastanza confusi, sia perché frequentavo le lezioni in modo

saltuario, sia perché Paci appariva ormai piuttosto affaticato, e non era

sempre limpiào nel suo *odo di esprimersi. Ma mi è rimasto particolar-

-.rrt. i-pie.so il meditato e costruttivo ottimismo che emanava dalle

sue parole. certo non è un caso che la prima parte del suo-ultimo corso

fossè dedicata proprio a Leibniz, il filosofo secondo il quale 'Dio.avevafatto sì che I'accorào potesse essere possibile e che se c'è un fine di tutte

le entelechie, questo irne sarà appr.rto I'armonia. Si comincia bene e si

finisce meglio iel bene...,1. E ;n ottimismo analogo traspariva anche

dalla seconda serie di lezioni, dedicate a Husserl, ma centrate soprattut-

to sull'idea di w telos che idealmente si ricongiunge all'armonia leibni-

zian*: wn telos che Paci ripetutamente, con un'insistenza che aveva a un

tempo qualcosa di ingenuo e di commovente, sintetizzava con la formu-

la oun mondo in cui tutti sono soggetti e nessuno oggetto»'

Ricordo bene che questo suo ottimismo non mi convinceva molto.

Dai rari commenti chs ho rinvenuto su quella vecchia dispensa risulta

che 1l telos di cui Paci parlava era a mio awiso troppo povero di conte-

nuto per costituirsi .o--. ,r., chiaro e definito obiettivo da perseguire.

che mondo è il mondo in cui tutti gli uomini sono soggetto e nessuno

oggetto? È il mondo in cui ciascuno è libero di perseguire i propri finieìn cui nessuno, secondo la celebre formula kantiana, è ridotto amezzo

" Sulle tracce dell,armonia. Enzo Paci, il telos e it Ctreci., in E. RenziG. Scara-

rnlrzza (acura di), Omaggio a Paci. II. Incontri, Cuem, Milano 2006' pp' 219-237 '

1 Enzo Paci, It probtema della monadolo§a da Lei.bniz a Husserl per una concaiu

ne scientifica, u*oào dclla società. Lezioni delt anno accademico 1975-'75' a cura di

Silvana Merati, Milano 1976, P. 16'2 Scrive Paci che Husserl, proprio in riferimento all'intersoggettMtà, dopo

il r.ir.lri:rrrr<r a Cartesio clelle lViertinzioni Cartesia,ne "sente Più tardi il bisogno di

lili'r'irsi rr L<'ilrrriz" (ivi, p- tì).

Page 109: Trabattoni, Attualità Di Platone

2I8

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ATTUALITA DI PI.{IT )NI ENZO PACI. IL TELOSE I GRE(]I

gli autori del cosiddetto pensicr«r l)r'('s()( rrlit o. r' porrlrr,lo rlr r,rll.t ttr

volta l'accento sulle figure che gli làct:vlttto itttr.rvcrllr( rul,r \r,r rl'r!r lt.r

da questa inconcludente dialettica (cotnt' Zcttonr', l'',trt1rcrl,,, 1,. ,\tt,rrsagora, Gorgia e Prodico). Il suo problcrtrlr i'tlrcllo tlt ltot'ttr tttt,tìnediazione capace non solo di far progredirc: la tt'r»r i:r c l:r slotr,r ,rl rlr l,r

della pura e semplice contraddizione, ma anche di «'otts«'t v:tt t' itt rlttlrt.tidea di progresso I'apertura verso il nuovo o il non iul('()r'ir l('rrl;tlr) un.rapertura che sia in grado di preservare, pur nella cauta 1;tt'sttttztottt' rllottimismo, la drammatica ambiguirà dell'esistenza umalta e tlttt'llrt < r,rrponente di rischio che vi è inevitabilmente conllessa. In questo s<:ttso, l:t

mediazione di cui Paci andava alla ricerca non poteva acquetarsi irr

alcun modo in una sintesi di tipo hegeliano. Gli studi di filosofia anti(a,praticamente i soli che chi scrive queste pagine può dire di conoscere,depongono a favore del fatto che Paci non abbia mai smesso del tuttoI'abito teorico dell'esistenzialista, poiché se è vero che la configurazionedi un telos impone l'emergere di un'eccedenza trascendentale della teo-ria (o almeno di una certa teoria) sulla prassi, è anche vero che le cate-gorie della libertà, della possibilità, della responsabilità, della scelta (odella decisione, per dirla con Kierkegaard) vi svolgono in ogni caso unruolo insostituibile.

Se così stanno le cose, il terrtativo sopra descritto potrebbe facil-mente apparire come una sorta cli impossibile quadratura del cerchio.Come ricavare dalla mediazione tra uno e molteplice, tra ideale e reale,tra comunità e individuo l'indicazione di un progetto volto al futuro,senza imporre in qualche rnodo la superiorità dell'uno sui molti, dell'i-deale sul reale, <lella comunità sull'individuo? Se dall'opposizione devesvilupparsi un dinamisrno intrinseco in vista ditrn telos comune, e dun-que in un certo senso universale, come potrà questo universale rispet-tare il disordine e la casualità che sono prerogative del molteplice, Ia

concretezza empirica e particolare che è prerogativa del reale, Ia liber-tà e il diritto all'errore che sono prerogativa irrinunciabile dell'indivi-duo? Se c'è un telo.s, come impedire che questo lz.los assuma l'aspetto diuna "essenza" (per quallto puramente ideale) che assorbe dentro di sé

l'esistenza? Questo, a rnio awiso, è l/ problema che si deve tentare inogni modo di risolvere. Grande merito di Paci è quello di aver ricono-sciuto che ci può essere una risposta sensata solo se entrarnbi i corrtidell'opposizione vengono conservati, solo se non si tenta una sintesi incui le inderogabili prerogative dell'uno o dell'altro ven[Jolìo illanguidi-te, o ridotte al ruolo di mera apparenza.

Potremmo descrivere questo problema come l'obbligo di salvaguar-dare la verità del traoico, anche qualora l'irrevocabilità dell'evento, ben

per rearizzare i lini cri altl'i? Ma ra facortà di scegliere liberamente i 1rr,pri lìni co.re orrò assicura'e,h. ifi;; ì;crividrrari si armonizzirro ri.;r rrrloro? Non rurà for" necessario, a questo scopo. ir supporro mer:rrisir.del dio lcibniziano. ir quare' .,.u.,aàlìrr-ouia prestabirita, ha insr:rrrr.rto il bene fin dall,iniziò, e dunque gu.urrrir.. a priori che la libert:ì rl<.isoggetti possa convergere verso ,n b.n....o-une? E l.intersoggettivir:rhusserliana' che è erià,enr.*.n,. pJva'di quer suppor.ro. come corrr rbuisce alla bontà crel tero-s? co-..rl."ìi..,.i che riparrencro dar nìorrrrr,della vita sia dal-r,'ero possibile ,,,p.ru..^ìu Krz.,zi? so.o tutte doma.(l(.che avrei vole,tieri pàsto dirett#;,;. ar ,,mio professore,,, ma ra srrrrnorte prematura rni impedì di confrontarmi con lui anche solo in st.<rr.d'esame' sospettavo - e sospetto ancora - che il suo progetto cri sposirrr.fenomenologia e marxis-o d.riuurr. ìr-, oua. proprio darÌa consape'r,let'za di quesro senere di probre-i'orril .rr. ir marxismo r^rrngesse irrqualche modo da ,uccedaieo ,l ,rppÀ.ìo teologico, come strume.r.per idenrificare orrer bene, ideare . i.lt.'ol ,.,npl .,..*, .n.",.rrp()r.irlit'zale relaziorri i'ntersoggettive orienta.dore verso un firre da persegtri.re' Ma d.bito, .,r-. tut-riiultri han,o Àia ..r", ben maggiore a.torev()_lezza, che il rnarxisn

Naturarmen,"",il.x1,;:.11ffi ."r"T1ffi ;.?fi I;*?.,o,_.,,,n,,,percorso che aveva condotro paci a quell'ottimismo lù?'Ài"ipp".ir. _inserruamente: - ingenuo. Ne potevà ,,r.p",,ur. l.enorme complessitidei probtemi rirosofici di ."i ;gii;;;;";;'.."," di 'enir.e raricosime,rt,.a capo' Ripartiamo, nel tentatiio di ri,trzcciare u, filo .orrà,rà.., a,,quel concetro di,,armo.ia,, che p".i ;;;;;;;";;'1:-il':::,rieclel.o..,orsÀ-ià.rlrirerir,er,,;il;;1.";T:fl1,ì:'*"ti:t'"i,i-J;

cui ivi si parla. Ma spcro di no, essere r,oop. corrivo se dico che turt.il Iavoro specutativo di p..i ;;;;;;; *r",1,: ,,,,.no da un ..rìo p,,n,.,di vista, come una incessantè ricerca dell,armonia. Non si tratta eviden_temente, come i, Leibniz, di una u.morriu prestabilita, né tanto merr<rdi,na armonia statica. paci i,tencle .ir..i..r infatti a. un armonia aina_mica. intesa come rrlo;.lo q1.5s,,1.", ;;;;,.. in rrrra prosperriva infirri_ta: ossia pirì come misura limità .rr" .oJ. rearistica prefigurazio.e criun prìnto di approdo definitivo.Il pensiero di paci è pervaso da,'i,cessante terìtativo cli meaiare trattna lunga serie di oopoiizio.i, .o*" ..r".. e divenire, .rrro . À,it,.ptice, fi,ito e i,f ito, vita e morte, reale e icleale, sosgetto e oggetto, esse_re e valore, individuo e comunità, Iibertà e legge, comico e trapic', ecc.L^L lela7ione tra questi termini ;;;";; io,",'gr,.u.ri, a suo parere, nécome alternativa statica o ciclica, né co-e ,rro.,o ide,tità di due fbrnrcopposte solo in apparenza, ma in realrà icle.tiche. p".i ,ffi;;;;a qr.,_ste alte,rative esarni,anao.o, puri",ri,ììrr. su'libro der 1957:. tutri

3 Sbia d,el pensiero presocratico,Torino lgF7.

Page 110: Trabattoni, Attualità Di Platone

220 AT:|UAI-I]'A I)l rl \ l' ' r

definito nello spazio e nel tempo, in cui accadono il dololt't'l.r,l, ;,,razione non escluda il passaggio (o la metabole su questo colì( ('l t. r lr * r,mo ritornare) ad una armonia futura. Per i teologi cristiani (lu('\r,' 1,,,,blema si configura come l'esigenza di salvaguardare la veritiì rk'll,r , r , ,, ,

senza che laverità della risurrezione la degradi ad apparenzl, l:rrrr.r',rrr r

opinione. È per certi versi il problema uguale e coirtrario a <1rrcll,, , ,, i

efficacemente esposto nel brano del Grande Inquisitore dei Krtr,r,,t,, ,',non si tratta di trovare il modo in cui la redenzione possa arrrrrrll.rr, rl

dolore innocente, dissolvendo la sua cruda e concreta tempor':rlir.r .rll ,

luce immateriale dello spirito; si tratta, proprio all'opposto, di s;rlr'.r r , Ldignità dell'esperienza e del dolore dell'uomo, che non desirk'r,r rrr, ,

redenzione (o una armonia) che pregiudichi la verità del tenrpo t. r h 1,lr

eventi che hanno segnato la sua vita. Paci, attento lettore di drrc gr .rr r trtragici dell'epoca moderna come Fèdor Dostoevskij e Thomas I\4:rrrrr. r

questo problema era particolarmente sensibile. Così I'assunto rl:r r is1,, r

tare risulta chiaramente delineato: trovare il passaggio verso I'rrrnr,,r,,,,salvando la realtà del tragico, dove la diflicoltà già di per sé error rrrr' ,lrraggiungere il primo obiettivo è cospicuamente accresciuta dall'r»lrlrlrli, '

di conseguire anche I'altro, che ad esso pare contraddittorio.Inizieremo dal tragico, ripercorrendo a questo fine le pagirrc r lr,

Paci, nella Storia del pensiao presocratico citata sopra, ha dedicat«r:ri rr,grandi protagonisti della tragedia attica. Prima però è necessario tlrr,qualcosa di questo lavoro, che non è certo tra i più noti della prorlrrzione paciana. Paci lo scrisse in se guito a una serie di trasmissic,»ri r':rt li, 'foniche il cui argomento era appunto il pensiero presocratico (il clr«. , r

fa rimpiangere, una volta di più, la Rai di altri tempi). Awerte Paci rr«.ll.rPrefazionedi aver non solo rielaborato il testo radiofonico per la staurl):r,ma anche di averlo arricchito ponendolo in relazione «con la st()ri.rdella letteratura, della religione, della scienza, della tecnica, dell'rrr rt.,

delle vicende politiche, di tutta intera la civiltà greca». Il che rrorrannacqua, peraltro, la "filosoficità" del lavoro, perché questo arnpli:rmento di orizzonte, come ricorda ancora l'A., corrisponde a una su:r

intima convinzione, secondo la quale non è possibile "una storia dt.ll;rfilosofia separata dalla storia della cultura e della civiltà"a. Dire chc r1rrt.

st'opera sia un libro "storico-filosofico" sarebbe, peraltro, troppo e tr()l)po poco al tempo stesso. Come si desume dalle note bibliograficht. «'

dagli autori citati nel testo, Paci dimostra una discreta conoscenzir <lt.iprincipali studiosi allora di riferimento: tra gli stranieri menzioniarrr,,Cherniss, Cornford, Dupréel, Farrington, Th. Gomperz, Jacgt'r',Kérenyi, Murray, Nestle, Stenzel, e Zeller, mentre tra gli italiani carrr-peggiano (per citare solo gli storici della filosofia propriamente dr:lr:r)

+ tvi, p.7.

ENZO PACI, I TÀZOSE I GRECI 221

i nomi di Bignone' Calogero' ?uO*': Maddalena' Mondolfo'

U n te rsl e i n e r ( c h e'"." " ; i ì gran di'f1"1-*';: ,fl,,:f f; :?,'.".5il

iHi ri::rx[:J,':"ilL':Tx' it'§J;ì;" ;il;;" i pitr com un

m anuali ai cor aO.. *à*UI ^"i I .f . *, i irrfo,-t à;i s te re o tipi i torio grahci

(valga per tutti l'idea àuit*po t**o'"ut' Jittt' Eracliio "frlosofo del

divenire"): opera atctir.^e 'ipà'ti'lo"i mediate ed impegnative (come

quella di rrattare Fu"il;; #ìl;i llior,i.o pitagoii'mo); sceglie di

ts ::;;* flT:*. :ff n*i:l**'":: n :;*il; Igfl#:{f#

;' *;i': àr'T: :: ; T:i:X,'J:.1,T$ff i ;;; ; c ri,i c a pi ù a ggi orn a-

cliano l'uomo non (

ta ha ben ,ito'o"ii'ò' Ciot'o'o"u"tt'-Puii svilrrppa un cotnplesso

lavoro filosofico af it'tttno di ciascun ptr"uto" - in parte seguendo il

filo c o nduttore dei "ìi ìrr" " "1 * :':ltì ;;rffi *:::"àt;*t "T;t-

i::,1*"::"1lll',,,il,1:T'fr 3l!':'ff lt;;'.;ì;;1",'-'equi'^solo qualche caso' t""ltì"'f" ai purrnft'idt (identificato' in modo

abbastanza itp'ouìàiit' tà*t il fìlosofo della contraddizione' per cur

*il contradditto'io'i* iull'i"i'io' a "tt'Joltio alla verità's) o quello di

E r n pe d ocle r "" u'o

" u ;' ; ; ;;i'i' : ::l"r'il:il*: : il

"t, ::l' iili i'i"*g1.,ì"r

e di Anassagora jtrecolllt:::;,ì#;."bI"-t ; lavoro diinrenzione,,,r.,u*u, Ei sofiermarmj .srr

questi ?:"b]Tt: ::,.Yripensament" nr"*ri"itgrì ""itt'i noil a in linea principio illecito'

soprattutto quando - com::n questo t* - gli esiti di un tale lavoro

*;ffJr"l:.T::iilTTi::il[t II qen;r;ro tragico' come è ùbasta,.za

owio, si ro"au'u II';' it ;1;; t;;raddizione Iche almeno aPparente-

mente sembra i"uilùft' In Eschilo' "to"ao Paci' i termini della con-

traddizione """'#i"it';;.t'-* ::::"aii"it" e infinito: la colpa

umana, simbolizzata it'* 'oltu ptt tt"tt'aiia colpa'di ol"tl"l è quella

di "esistere l:ltl f;:t":i: àì'*tltttr a'['ì"n"it" L di tadett nelf inde-

terminato'6(qui Paci si riferisce t'p""u*ì"ì" ua e"uttimandro)' Nel

Prometeo,invece' J;;f;;il "deilà zt* tttnilto si prof,rla I'antinomia

filosofica ttt ''t"Jtft ìi;;;-t Se Zet's è I'essere assoluto' tirannrco

di Parmenidt, Pt;;;i'^ '"gi""t ai tiutiu*i ed il vero dio sarà allo-

ra prometeo . .#?'.;i.?i"?".tit"I1ìtt' ' questo proposito' che per

paci parmenid. |J

fi';;rorl- J.u'.rrita1 iaentita asìoluta dell'essere'

che rifiuta p.*i.1..'#Ii.ìg"l,ip" di me<liazione' E appunto per que-

s 1ri, p. 67.o 1,r1, p. 184.7 lvi, Ir. l9o.

Page 111: Trabattoni, Attualità Di Platone

222 ATTUALITA DI PI-AIONI.

sto motivo, come abbiamo visto sopra, che a parere di Paci la sua filo-sofia deve accogliere la contraddizione: perché la contraddizione è lrr

necessaria conseguenza dell'atto con cui Parmenide a un temp()ammette I'opposizione (tra verità e d,oxa) e si rifiuta di mediarla. È chia-ro dunque che chi dopo Parmenide lavora in favore della mediaziont'(owero della riconciliazione o dell'armonia) non può non essere per'principio antieleatico (e ciò, come poi vedremo, vale per lo stess«,Platone). Anche in Eschilo, a parere di Paci, la mediazione è possibilt'.Egli rifiuta decisamente, ad esempio, la tesi diffusa secondo cui irrEschilo sarebbe impossibile una teodicea8 (owero che Eschilo non corì-segue a questo proposito l'obiettivo che si era prefissato). Al prezll,tperò di attribuire alla teodicea connotati più laici che religiosi: infarriessa si attua, mediante un accordo tra Zeus e Prometeo, nella fornr:rdella p olis democratica.

Con questo siamo tornati nel bel mezzo del problema da cui sianrrrpartiti. Zeus non è più il corrispettivo mitico dell'essere parmenidc<»perché è "dialettica», perché «non è l'essere ma la legge del divenire r.

la redenzione del divenire, il processo del divenire diretto verso il bent',verso la religiosità della polis..."e. Detto in altre parole, Zeus può affrarrcarsi dall'inutile (e contraddittoria) immobilità dell'essere parmenidt.<rperché decade dalla sua assolutezza, diviene relazione, entra a contatt()col divenire e si fa motore del suo processo, concreLizzamdosi nella polr.r.La polis dMene così il luogo in cui Prometeo e Zeus, l'umano e il divi-no, la società e la religione (potremmo anche aggiungere: l'immanerrza ela trascendenza), vengono a coincidere. Paci sintetizza questo con-cetto dicendo che lo scontro tra la libertà di Prometeo e la legge di Zerrsnon si conclude né contro la libertà né contro la legge, <<ma con la leggr.che è libertà"Io. Ed è appunto in tale concordia tra legge e libertà cht'si produce, a parere di Paci, il «processo del divenire diretto verso ilb..."". In questo processo non è difficile riconoscere lo stesso ottirìri-smo che animerà, circa venti anni dopo, il corso dell'anno accadenricrr1975-76 le sue figure sono l'armonia leibniziana, per cui «si cominci:rbene e si finisce meglio del bene", e il telos rappresentato da un mond<rdi soli soggetti, in cui convergono la monadologia di Leibniz e I'intcr.soguettività di Husserl. Ma il vero problema è: da dove nasce il bent.lL'essere (parmenideo) si fa relazione e scende a patti col mondo dcldivenire (Prometeo) per dare origine alla realtà dinamica della poli.s.

Allo stesso modo l'uno di Parmenide, nel dialogo platonico che p()r'llquesto nome, scende a patti con il molteplice e accetta di assoggettlrrsi

a Ivi, p. tB7.e Iri, pp. 190-191.to Ivi, p. 191.tl lbid.

223ENZO PA(]I, IL,l]il,OSE I GRE(]I

alla relazione. Ma la relazione, in quanto relazione, è capace di pro-durre il bene, di promuovere 1l telosin cui tutti gli uomini saranno sog-

getto e nessuno oggetto? come mostrare che nel trapasso dall'essere

àila relazione accade la nascita del valore? Se Zeus scende a patti con

Prometeo, ciò significa che il dio e l'uomo, la legge e la libertà, sono

posti, nel patto, sullo stesso piano. Zeus, rinunciando a rappresentare

i'.rr..., rinuncia al tempo stesso ad essere un dio, ed è appunto grazie

a quesra rinuncia che lalibertà (dell'uomo) è salva. Ma la salvezza della

hbèrtà umana è anche l'espressione della verità del tragico. La libertàin quanto tale è indifferente al valore, per cui nessuno può dire se la

rappresentazione che l'uomo sta recitando avrà esito tragico o comico(neì senso preciso in cui è "commedia" il poema di Dante). Nella misu-

ra in cui si salva la libertà, nella stessa misura il bene non può essere

determinato in anticipo, e non c'è motivo Per supporre che la dinami-ca del divenire umano si muova dar,vero verso un telosbwono.

Lo stesso Paci ne è perfèttamente consapevole. Nelle Eumenidi

eschilee Oreste è giudicato democraticamente da una giuria cittadina,e i voti che lo .ordurrrrut ., risultano esattamente uguali a quelli che lo

assolvono. Dunque, 'non c'è dimostrazione assoluta della via da sce-

gliere: non c'è una dimostrazione teoretica, garantita, del bene"l2'Òreste viene assolto, nella tragedia, perché Atena interviene a suo

favore, votando per la sua salvezza. Dunque .agli stessi Ateniesi la libe-razione dalla colpa di oreste non è garantita, perché i voti sono

pari»13. II che significa: la rinuncia di Zeus alle sue prerogative divine,iu rrru accemazione del patto che dà origine alla polis democratica e

salva la libertà umana, consolida nella realtà la minaccia immedicabiledell'incertezza; se l'essere si fa relazione, non c'è più forma capace diorientare Ia materia, non c'è più legge capace di orientare la libertà,non c,è più valore in grado muovere il divenire verso il bene (armonia,

relos). Scrive Paci che.la scelta è positiva, ed oreste si salva, perché

interviene la dea Atena, dea della polis Ateniese e sua incarnazione".Ma questo probabilmente è troppo. Se la dea incarnasse dawero lapolis atetiese, sarebbe segnata anch'essa dalla legge dell'incertezza e

della libertà.Non deve ingannare il fatto che la dea vota anch'essa, ponendosi

apparentemente sullo stesso piano dei cittadini-giudici. Le du9 serie digi"al.i che votano a favore e contro Oreste sono paragonabili alle due

Jerie di punti che, uniti insieme, rappresentano, per i pitagorici, inumeri pari. Ma i numeri pari sono sesnati dall'illimitato e dall'indefi-niro, e dunque dal negativo (o dal male). se raffiguriamo infatti le due

t2 Ivi, p. 193.t3 lhid.

Page 112: Trabattoni, Attualità Di Platone

9) -1 ATTUAIITÀ DI PI-A T )NI,

metà di cui si compone. ogni,numero pari con due file di punti corì\(.1genti verso l'alto come i rati di un triangolo, notiamo subito che ir rr.i:rrrgolo che ne risulra è incompleto e illimltato (nel senso di "p;; di rirrrite") ' Tra i due punti più alti corre infatti uno spazio vuoto, Éhe p.rò ,,r.,.re colmato solo da un. altro punto, comune ad entrambe le serir., ilquale definisca lo spazio non finito e conferisca .o..rpt.t.r^ e p., t,.zione al,disegno. Ma questo punto è figura di ciò che in tutta la ffrrrlizione p.ita.qorica e neopitagorica antiia (platone ."_p;r;, è , .,,,tempo il Limite (l'Uno) o.il Bene. Solo apparentemente questo puut()è-un punto come gli altri, che agli altri'si aggiunge. f".'-i-pilg.,, i, il'Uno non :y né pari né dispari, ira superioriia &t.u_ut, iàicnt ,r,entrambi è il principio generarivo (aggiungendo una unità ,.. ,.,u,..tg p?! si genera un numero dispari, à r,icevi.sa). Il punto/unità è inlìrrti è il Limite-Bene che governa àall'arto Ia realtà morteplice . rtiì-i,,,,,,,

è bontà essenziale che conferisce alle cose la bontà cteiivata .rellr. ,oi.,,ra precisa in cui ciascuna di esse è capace cri riceverla; è la forma ch«.impartisce l'ordine ala materia. Nelia stessa filosofia di platone r:rmediazione tra uno (limite) e morteprice (illimitato), salva i diritti crr.rmolteplice (contro ra minaccia di annullamento da parte clell,Uno-ess(!re parmenideo), ma ::1:.*u al tempo stesso la superiorità dell,unolimite-forma. La poris di pratone .rur.. duilu conformazione delra matt.ria a un ordine che la trascende; perciò non nasce da Lln patto tra l,ur»mo e dio, nulla viene messo ai votì, e l'unica vera relazionà (sia essa dia-le-ttica, dialogo, o dibattito politico) si sviluppa sempre . ,,oi, uru,Ungleichenr+. La quantità di.lèi. che appare a'ài..ttuÀ.r,. froporri,,.nale alla misura delro squilibrio che ,ì p.odr.. all'interno i.liu ..t,,-zio,e, e inversamente proporzionale alia libertà degti uomi; che viprendono parte.

Qualcosa di mort. simile accade con ir voto di Atena: la quarc. primlrdi essere personificazione di Atene, è simboro d.l t;;;;.';;;inan.rt.che discende direttamente da Zeus. La dea, infatti, agis'ce ,"p*'jrno,

"può determinare la scelta positiva proprio e solo pérché *.,ip..u t"caratteristiche dell'essere, del dio, àe[;uno, della legge . a.iii'ro.-udismesse_* sempre secondo |interpretazione di pu.i"- dallo Zeus crerPrometeo. Votando a favore dell,assoluzione, la dea agisce ,oÀr-àru, ,*machina che si sottrae alla rerazione: in tal modo frantuma dall,alto adun tempo I'isonomia d,eila potis (alterando la parità dei voti) . tu-hu"r_tà dell'uomo. L'uomo che rivenclica ra realtà del suo essere libero ha

14 È l'espressione con cui rh. A. szrez*kha descritto Ia strutrtrra del diarog<rtra il Socrate platonico e i suoi interlocutori: Gespriiche urri fingk;;rr. Zu,)r::!:r_,, und

-Zieketzung tter platonischen Dialoge,,,Àntike ""a aU"ìàiura" :f.t(1988). pp.99-116.

ENZO PACI, IL TEI,OS E I GRECI 225

diritto di conservare la propria incertezza, rnentre l'intervento dir,rnoimpone al clivenire quel telos che l'uomo, da.solo con la sua libertà, nonsarebbe in grado di trovare: f,rno a che egli si attiene alla relazione eglinon sa dire quali siano le scelte che conclucono, rispettivamente, albene e al male. La poli,s democratica è stata fondata, infatti, con il con-corso di un dio che ha pattuito di rispettare la libertà. Ma quando poila dea marca e segnala la direzione corretta, la relazione è persa, e lalibertà si mostra come rnera apparenza.

Lo stesso problema di Eschilo è affrontato, per Paci, anche daSofocle. Ma è reso pirì acuto da una più profonda consapevolezza esi-stenziale, ed anche la soluzione che egli intravide è di più arnpio respi-ro. Sofocle è "è il poeta clella duplicità esistenziale, dell'ambiguitàdrammatica della situazione umana»ls, e questo, prosegue Paci, "è ilproblerna dell'incarnazione dell'eterno nel tempo, il problema dellarelazione tra il divenire e l'essere, tra l"'occasione" e la divinità, tra lamolteplicità e l'unità..."16. Qrresta ambiguità e duplicità dell'esistenza

"si rivela alla fine, in Sofocle, come duplicità del male e del bene"t7. PerSofocle, a differenza di Eschilo, tale problema può tuttavia essere risol-to solo trovando un punto di arrivo che superi Ia dimensione dellacittà1S. L'obiettivo è quello di perwenire alla "attuazione dell'armonia,come pienezza dell'arrrore, come terpsis"t9. Si tratta, sempre second<rPaci, di una "visione classica dell'armoniz", intesa come "il valore piiralto della paideia classica"2O. Essa si configura da un lato come «arrnoniadelle azioni ì.rmane in accordo con la terra e il .i.Io",,, come «armoniadell'urnano e del divino che all'uomo si rivela solo alla ftne"22: infatti,

"soltanto la visione di una possibile e divina armonia dà un senso allalotta del bene contro il male e permette, nel labirinto dell'esistenza, lascelta"z:. Dall'altro asstrme I'aspetto di «una concezione orgirnica dellanatura e della vita, verso una relazione che congiunge ogni particolarein un'armonia che si pone all'uomo come idea limite, corne moclelloideale, come visione formatrice della vita e della storia, corne paideia"2a.Per Sofocle infatti, secondo Paci, il teatro, "dimostrando l'autodistru-

ls lvi, p. 196.16 Ivi, p. lg7.r7 h.i, p. 202.t8 lbid.to tvi, p.204.20 lbid.z1 Ivi, p. 208.22 rvi, p. zl7.23 lri, p.202.24 Ivi, p. 209.

Page 113: Trabattoni, Attualità Di Platone

226 AITL]ALITA DI PIA'I oNI

zione dei personaggi e la negatività delle situazioni unilaterali, rapl)r('sentando le conseguenze dell'assolutizzazione di questa o quella p,,rrzione, libera l'uomo dal dogmatismo e lo purifica dall'errore"25, or icrrtandolo appunto verso quella concezione relazionista di cui abbilrrrr,,detto.

Così incontriamo di nuovo, sia pure tradotta dal livello politit«r.rquello cosmico, la stessa questione che abbiamo sollevato a proposit,,della lettura paciana di Eschilo. Parlando cli Sofocle Paci nominrr inmodo esplicito l'alternativa tra bene e male, e la necessità di trovare, rr<'l

labirinto dell'esistenza, la strada che conduce al prirno e non al sec«rrr

do. Questa strada è anche vista, al tempo stesso, come Lln cammino <li

purificazione dall'errore, capace dunque di indirizzare l'uomo verso l:rverità. Nel contesto dell'arnronia tra divini ed umani, ossia nel cuox'stesso della relazione, si profila perciò una scansione di natura asirnnr<'trica, in cui non tutti i termini della relazione sono equipollenti. C'è clil-ferenza, infatti, tra il male ed il falso, da un lato, e il bene ed il vero, dirll'altro, e l'armonia che si manifèsta nella relazione dowebbe essere irr

grado di promuovere questo scarto. Tuttavia, esattamente come ac(:2r-

deva nell'accordo tra Zeus e Prometeo che abbiarno visto ir-r Eschilo, lparere di Paci l'origine di questa asimmetria non deve e non può essere cercata in un supposto significato determinante, o direttivo, attribtri-bile al contraente clir.ino. L'accordo lia l'uorno e dio fa comparire ilbene ed il vero non a causa di una supposta superiorità normativa clt'lcontributo divino che entra in gioco nell'accordo; ma in forza dell'ar-cordo medesimo, perché in esso divini ed umani si pongono in relazio-ne su un piano cli parità. Paci scrive infatti che l'errore, la negatir.ità (t'dunque il male) consefJuono non già da una fonte connotata all'orici-ne in termini di valore, ma dal coerente sviluppo delle procedure rela-zionali: l'errore deriva dalle "situazioni unilaterali", dall'"assolutizz:r-zione di questa o quella posizione", dal "dogmatismo". Il teatro, luogopubblico e "democratico" un cui le varie posizioni sono poste a con-fronto, è pertanto simbolo eccellente di questa armonia realizzata attra-verso la relattizzazione di qualunque posizione unilaterale (fosse purequella di un dio). Ed è appunto attraverso questa relatiizzazione chedovrebbe essere possibile intravedere la strada verso il vero ed il bene.

E lecito chiedersi, tuttar.ia, in che modo il valore possa sgorgare dalsemplice esercizio della relazione, dalla messa in scena di diversi, nratutti ugualmente leciti, punti di vista. Gli studiosi platonici più radicalirrel sosterrere il cosiddetto d.iala§cal «pproach leggono i dialoghi precisa-mente alla h-rce di questa dimensione teatrale: I'autore, ossia Platone,nega al lettor-e la sua valutazione e il suo giudizio, e si accontenta di p«rr-

25 Ivi, pp. 208-209.

ENZO PACI, IL I'ELOSE I (;I{E( ]I

tare sulla scena il teatro della filosofìa' N(l^sstttt ()tit'ttlrtttttttlr r "1tl'tlil ttl

a"': j p"Jarcavare da questa rapPresentazionc' pctt'lrtr l:t t',r (' 'trrl.r r'r

le è assente, . a,-,,,q.ttììii r" [é"qt* l'ago deila bilarT'i^ irr lrt',t. rlt

qualcosa che abbia.le ffit"Jt a.'1,t:: :-O'buono' E' urt (t':ttt. r lrr'

mostra, ma rlon orrenti''Trrtto ciò è tuttavia chiaramente a nlal P:r|titt'

con l'esigenru putio"ì ai-i'aitu" Lrn telos' Nel "teatro" di Eschilo t:

Solocle, così come a'tiit"t'ì" J' puti' la presenza determinante in

favore clel bene e del vero dovrebbe essere q'iella di dio' perché I'uomo

ècondannatoalla"'ulibtttà'Maildioentranell'accordoprecisamen-te rinunciando alle ;; p;tt"g"tive divi'e' È :"t U]" 1t-Pllj^ ?ltillt;.""" ii p."nlo clell'orientameito al valore' nella stessa misura ln cul e

debole e assente, "tif it"ttpttLazione sopra citata' I'autore del teatro

della filosofia, che si cancelia dietro a suoi personaggi' Eliminato l'au-

tore, vuoi nella tbrma à.f aio che stabilisce a priori il-lelos dell'armorìia

a cui dà origine, """iÀ;*piente che modella il dialogrr distribuendo'

in moclo m'agari impticito' torto e ragione' bene e male' vero e falso'

rinrane solo la ..ft'i"rrt' 'irrru'lgo'-to"gti uomini' con la loro libertà' i

loro punti di vista, iilo.o sentiÀento-clra,rmatico e dubbioso dell'esi-

stelìza.Conre,unavoltascontatetuttequesteriduzioni'sipotràancoraoarlare di rrn felos?n"';;;;;ì;

rr""a; ai" si rrasforma in pura e semplice assenza,.se non

addirittura ,r.ttu roo.tl di dio, nell'ultimo clei gran<li poeti tragici' cioè

Euripide. Anche u"'ifla', '"'": '.p:ù 1l-T"ltt3 ":t-"*;-l'"1a estre-

mamente sensibile alriambiguità esistenziar s,,26.La sua tragica scoperta

è "il legame strettissimo ch! egh sente tra il divino e il demoniaco' tra

la moralità . f,i-*"ì"iià,,.u'fu luce e le tenebre, tra il "solare" e il*rr.u.."," Infatti q"it,.i"-Uiguità esistenziale si lega in Euripide con

il senso del divenirfl-iu ,rur*i,azione di tutte le còse, con il mutarsi

della luce .r.uu tJ"lUt'- " a ogni forma in ogni altra forma"28'

Purtroppo, p"'a, "Ztt" '-'o" 1"'Jgorantire all'uomo' con un taglio

netto, la r.pu.urio,Jì* r" ttgà"t t"llfolliu' t11il lene-e il.male' tra il

reale e l'irreale,;;;;tÉmorte»ze' Euripide si trovaqui t*'l"::t:-

sa linea ai e,otugo'a, ^ p'*l:j:l ::i'" ;,T,iT:Tff :: :l'i."ffi:

e su ciò che è non essere>> ormar non e

porta la condanna à;i;tt;; parmenideo' di ur-r essere già stabilito e

compiutt-t. Oall'uomo alpt'"at itq:nt è e cio che non è" l'uomo à respon'

sabile d,ell'ess-, L.o"i'o ài Pacil"lo Infatti' 'Zeus come punto fermo'

26 lvi, p. 216.21 L"i,p.274.zs Ivi, p. 223.zq Ivi, p. 219'30 lvi, p. 220.

Page 114: Trabattoni, Attualità Di Platone

9rqAITUALITA DI PI,A'II )NI ENZO PACI, II, TELOSE I GRECI

Zeus come essere prestabilito non c'è più"31 (la morte di dio?). I)rrrrrlrr,l'ambiguità originaria della condizione umana può essere superarlr s.l,,con una scelta, per la quale tuttavia «sembra che non ci siano irrrlir.rzioni":z'

Questo non significa, però, che non ci sia alcuna via di uscita. Il [:rrr,,stesso che l'uomo "è l'insieme di tutte le facoltà iche sono ambistr. r..lmodo in cui abbiamo detto] e non può rinunciare a nessuna di css. s,.luol essere uomo» già di per sé è in grado di delineare un obiettiv.:

La sua mèta sarà dunque I'organicità e l'arrnonia delle facol-tà, mèta ideale consona allo spirito ellenico da pindaro aPlatone, mèta che Sofocle proietta nel futuro e nella sua cittàceleste, ma mèta che non può essere concepita senza la liber-tà umana, senza la condizione rischiosa dell'uomo che appa-re spesso in Euripide posto tra l'ambiguità delle forze teliuri-che dionisiache e il responso sempre duplice dell,oracoÌodivino, di Apollo::.

Sempre e di nuovo (non a caso usiamo l' immer wied,u.husserliano «.lrt.Paci citava tanto spesso), a dispetto dell'inevitabile eclissi clel divino c rlitutti suoi succedanei che abbiano l'ambizione di presentarsi come pr.i.cipi direttivi ed informatori, dell'immedicabile ambiguità, libertiì r.responsabilità che domina la vita umana, rispunta indomita la prospt.r,tiva di una meta, di un /alos, di un ideale:

L'ideale deve essere realizzato nel mondo ed è ideale di orga-nicità e di arrnonia, ma lascia aperta ogni possibilità negativapur indicando la direzione verso un valore positivo, veiso lapossibilità della giustizia...Alla fine la trascenden za diZeus,l,i-deale della giustizia e dell'armonia, e non il preordinato e giàconcluso essere parmenideo, pur essendo un compito ine-sauribile, coincide con la gioia immanente nella natuia orien-tata verso il piacere (la terpsis di Sofocle ) , di cui il senso è que_sto orientamento anche se esso, nell'ambiguità dell,esistenzae della libertà, può sempre trasformarsi in dolore, come l,a-more può trasformarsi in odio e la vita in morte34.

Dunque, nonostante l'intrascendibilità della relazione, owero I'ob-bligo inevitabile di accomodarsi a un mondo in cui esistono solo sog-

31 lbid.32 lbid.33 tvj., p.2T..34 Ivi, pp. 232-233.

getti liberi, non garantiti nelle loro scelte _ qìresta stessa relazione rn

[.,urr,o tale proàuce dal suo seno uno squilibrio' un orientamento

à.ro tu gi.rstiria ed il bene: uno squilibrio che deve scontare a sua volta

il difnciie equilibrio di muoversi còme sulla lama di un coltello. Il bene

e il male non sono uguahnente possibili' Nell'esistenza degli uomini è

iscritto w telos ideale-che è poisibile in misura maggiore del male; ma

,,o.' ut punto da divenire ne^cessario, perché in tal caso sparirebtle la

,t.rru pàrri5ilità del male, che invece dtut tttttt preservata' Solo così'

infatti,sisalvaeconseryal,ambiguitàintrascendibiledellacondizioneumana.

Le figure che rappresentano tale squilibrio non possono dunque

.rr.r., "[p.rrr,o

p.. iu p...urietà di cui abbiamo detto' né l'essere "pre-

costituito" di parmeniàe, né un dio in carne ed ossa che impone dal-

ialto agli uomini le sue regole, né una verità realizzata o 'eale.

La tra-

scendenza di Zeus coincidle con la trascendenza ideale di giustizia e

armonia,trascendenteappuntosoloperchémaireale.Circadieciannidopo Paci scriverà a questo proposito:

Da un lato diciamo che la verità è sempre rrr. telos' un fine a

cui l'uomo tende, per cui vive, per cui ìavora' per cru puo

essere d'acco.do, ma anche in disaccordo con gli altri uomi-

ni. Dall,altro diciamo che la verità non è reale o, più precisa-

mente, non è I'oggetto reale' Se fosse un oggetto. reale' nel

senso con il qualJilcuni credono che lo siano le idee plato-

niche, si tratierebbe di una superiore realtà' invec" ["'] !averitÀ, proprio perché ineale, è quella cui tutti tendiamo ["']'L'irrealtà della verità agisce dunque sulla vita e agisce proprio

perché non è reale3s.

In questo modo Paci ha dunque conseguito t? sua-:qla,qratura del

cerchio,,.Maqualisonolesuecondizionidipossibilità?Eg]i'quiriper-corre le tracce, owiamente sulla base delle sue personali rielaborazioni,

diPlatone,diAnassagora,diLeibnizeinfinediHusserl'Platoneèanco-ra quello del libro giovanile sul Parmenide36 con particolare riferimen-

i" .'1r..terza ipotesi"" discussa da Socrate nella seconda parte di tale dia-

logo, a cui Paci fa spesso e volentieri riferimento nelle sue opere suc-

ceisive. Così anche nel capitolo su Euripide del suo libro sui presocra-

tici. Quivi l'orientamento positivo del telos è colto ad esempio nella

3s L, encicttùedia fenomenologi.ca e il telos d.elt umanitit', it Iilee per una enciclope-

dia fenomenologrro, tutiturro tSiZ (ma questo saggio è stato Pubblicato per la

prima r.olta nel 1968), P. 36.36 il signif.cato del Pirmenid e nelta f1osofi, d,i Platone, Messina-Milano 1938

(ristampa Milano 1988).

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230 ATTUALITA DI PI,ATONF

"direzione della vita, ambigua e metamorfotica, ma pur sempre tale dapotersi dirigere verso un valore positivo, non garantito, valore presentesia nel sensibile che nell'idea, e che il sensibile congiunge all'idea, cosìcome l'eros congiunge alla possibilità armonica dell'apollineo e dellagiustizi2"37. Platone, insomma, è visto da Paci non già come il filosofbdella trascendenza reale delle idee sulla realtà sensibile, ma come il filo-sofo della mediazione possibile tra reale e ideale: possibile proprio per-ché I'ideale è solo ideale (nel senso precisato sopra), non un reale sepa-rato e diverso dalla realtà sensibile, e nemmeno una verità reale che siimpone da adesso, come reale, alla doxa, e al libero arbitrio degli uomi-ni38. Figura di questa mediazione è, poi,

il punto di incontro tra apparenza e realtà, tra vita e morte,nel quale la vita attraverso la morte ritorna vita, in Lrrra meta-bolé inarrestabile che è conservazione e rinnovamento. passa-to che nel presente si fa futuro, legame e liberazione, perma-nenza e ricreazione, amplesso fecondo dell'elemento femmi-nile e dell'elemento maschile dell'universo; il centro, infine,reale e possibile, condizionato e libero, storico e ideale, tem-porale ed eterno come l'istante di cui parla Platone nelParmenide3g.

Platone interessa a Paci perché da un lato è il filosofo che ha artico-lato in modi infiniti l'ambiguo dualismo che caratterizza la realtàaO (egià abbiamo visto come Paci fosse sensibile a questo tema), e dall'altroè anche il frlosofo che ha individuato il paradigma di ogni possibilemediazione. L'istante è il luogo in cui reale e ideale si congiungono. Seil reale e I'ideale fossero due realtà diverse, I'una nel tempo e l'altrafuori dal tempo, la mediazione sarebbe impossibile. Le cose strabberoprecisamente in questo modo se la qualità del margine estremo dellarealtà temporale fosse anch'essa univocamente temporale: questa real-tà sarebbe destinata a rimanere statica, inesorabilmente chiusa in se

stessa, priva di meta e di telos. Ma quel margine estremo è temporale edeterno, reale e ideale al tempo stesso, cosicché I'uomo può trovareall'interno della stessa dimensione finita in cui vive, priva di qualunquegaranzia teologica, una fenditura (un anello che non tiene). Attraversoil punto di passaggio dell'istante viene dunque in chiaro, per Paci, che

lz Ivi, p. 233.38 In questo modo di intendere l'idea platonica si percepisce l'eco dell'in-

terpretazione neokantiana, che Paci aveva conosciuto e apprezzato in gioventù.39 Sturia del pensino N»esocratico, p.233.40 Cfr. H. Thesleff, Studies in Plato'sTwuLeuel Moful, Helsinky 1999.

l'orientamento verso w telos ideale ed eterno è già potenz^ialmente

iscritto nella realtà temporale. È appunto attraverso questa fendit.ura

che I'umanità si può mettere in cammino'T[rttoquestostainpiedi,comeormaidovrebbeesserechiaro'a

pat; di admettere che ij reale e temporale non è talmente reale e tem-

po.ul. da impedire un orientamento verso un telos ideale ed eterno' e

I'ideale ed eterno non è a tal punto ideale ed eterno da apparire inat-

tingibile da qualsiasi progetto di tealizzazione Alcuni anni dopo Paci

scriverà che ii progr-o-à abbozzato nella terza ipotesi del Parm'p'nide

sarà poi realiziato"da Husserl, poiché questi 'riconduce l'empirismo

gìà pi.."ttituito ad una analisi originatii e non pregiudtcata.della tloxa

E .iàoru l, eid,os nella d,oxa cosi comè ritrova la doxa :nell' eidos"+t . Secondo

questa interpretazione Ia proposta di. Platone decade dunque a proget-

à ai f.orrr. alla realizzarìo.tà to*piuta da Husserl' Qui Paci sembra

voler dire che la mediazione tra témporale ed eterno (o tta d'oxa ed

eidos) inPlatone non poteva essere perfezionata, perché-solo Yl1 ana-

lisi radicale dell'esperìenza come quella compiuta da Husserl (in cui

nonc'èalcurrempirismoprecostituito)puòmostrarecomel'eidossiagia pr.r.rr,. nella d,oxa. I motivi che rendono possibile q"t-t? "sintesii.rà^".rologica, sono offerti dall'intuizione eidetica e dal "fonda-

-..r,o p...ui.go.iule spaziale e temporale "42'Daun lato' infatti' "Eidos

. p....'rio.r. ,àrro ineàrabilmente iongiunti: ogni percezione è. nello

stàsso tempo I'intuizione di w eid,os e ogni intuizione è ritorno alla per-

cezione e al precategoriale"43. Dall'altro,

I'incontro tral'eid'os, il tempo e lo spazio, come nel Parmenid'e

e nel Timect, è possibile perché awiene nell'istante (p-er

Husserl .rel tempà allargato delle modalità temporali) e nella

chora (per Hussàrl in tùtte le modalità spaziali) e awiene in

modo Lle da ridr.rrre la struttura soggetto-oggetto' intesa

come struttura conoscente-conosciuto, a struttura temporale

spaziale empirica e precategoriale nella quale.it soggetto si

costituisce con gli aliri soggètti e con il mondo44'

ConlafenomenologiadiHusserlsiproducedunqueunincontrotrail reale, determinato in.-modo spazio-temporale, e l'ideale (che assume

qui la figura dell'eid,os) non solo rigoroso nella sua fondazione' ma

ar Attualiiit, tli Hu.ssd, it ltlet lnr u,na encicloped,ia fenomenologicrt', (Ia prima

pubblicazione del saggio risalt' p«'r'ir al l9(ì5), p' l7'42 lbid.43 Ivi, pp' 1o-t7.44 Ivi, p. 17.

ENZO PACI, ILT]ELOSF., I GRECì

t*

Page 116: Trabattoni, Attualità Di Platone

232 ATTLTALITÀ DI PI-{TONI

anche capace di allargare la sfera ideale al tema dell'intersoggettivitrì. l,

inutile augiungere quanto questo allargamento sia importanre per l;r

concezione del telos che Paci elabora nell'ultima parte della sua parirbola speculativa.

Ed è appunto del telos che dobbiamo ora tornare a parlare. La lincrrdi sviluppo che abbiarno brevernente tratteggiato, dall'istante platorrir,,all'intuizione eidetica e al precateuoriale di Husserl, quali prouressi lrrrconsentito di fare alla nostra ricerca? Abbiamo visto sopra che parlanrk r

di Eschilo e Sofocle Paci non evita di menzionare conCetti ,p.iturll.,,r..etici, come bene e giustizia. Ebbene, il passaggio da reale a ideale rcs<rpossibile dall'istante, così come la presenza dell'eidos già nel monrlodella percezione evidenziate dall'intuizione eidetica e dal precategori:rle, come possono assumere una valenza etica? Che ragioni ci sono pr.r'ipotizzare che I'eidos inscritto nella realtà percepibile, di per sé assiol<»gicarnerìte norì connotatoas, preliguri la meta dell'armonia, del benc r.

della giustizia, olero (per dirla con il Paci del suo ultimo corso) rrrrmondo in cui tutti solto soggetti e nessuno oggetto?

Per compiere questo passo ulteriore risulta a mio awiso pitì prodrrt-tivo abbandonare l'istante, e prendere le mosse dall'intersoggettività: siconfigura in questo modo una linea teorica che raggiunge Husserl par-tendo non dalla terza ipotesi del Parmenide platonico, ma rlrrAnassaeora, passando attraverso Ia decisiva mediazione di Leibniz. Pt:rAnassagora, a parere di Paci,

l'uomo non riuscirà mai [...] a possedere la piena conoscen-za della rnoltitudine delle cose. E tuttavia egli può, sia purlimitatamente, conoscere e può conoscere in virttì di un prin-cipio che è fondamentale per la filosofia di Anassagora comelo sarà per la filosofia di Leibniz. Espresso con le stesse paro-le di cui si serve Anassagora il principio è il seguente: "in tuttoc'è tutto: nulla può essere isolato e tutto partecipa di tutto"a6.

Il riferimento diviene chiaro se aggiungiamo che Paci, con unuinterpretazione del passo anassagoreo che per Ia verità non oserei deli-nire inoppugnabile, ritiene che "in base a questo principio, in linea te«r-rica generale, in ogni parte dell'universo, per quanto piccola, è presen-te tutto l'universo"47. Nel capitolo su Euripide, poi, Paci collega il tenrametamorfotico presente nella sua opera alla

visione di un universo nel quale ogni forma è legata alle altre

a5 Ciò non vale, in realtà, per Platone (vi accenneremo nelle righc fìnirli <liquesto studio).

46 Storia del pensiero presocratico, p. 107.17 hid..

ENZO PACI, IL TEI,OSEI GREC]I 233

perché potenzialrnente in sé le contiene' pyp11" to'".:=ollit*.omeria di Anassagora Porta irr sé tutle le altre e puo tra-

sfbrmarsi i" ,""-**i" if""''U"u simpatia cosmica collega le

forrne de1 tutto ed ogni lbrma conuene l'infinità delle altreas'

Questa simpatia universale è retta a sua volta da un ordine il quale'

esattamente come l'Intelletto di Anassagora' "è nel mondt'.,.u.t al di 1à

del mondo,4e. quer; i;.1i.,," è hosàos (con i pitagorici)' aidos (con

Platone e Husserl) .;; (tr>" Husserl e Paci)' ideaÉ immanente nel

rnondo che "disting";;^;;; separa»50' Fsso prefigura l'armonia (o

-^i*pi i^ ""iue.salei

p.. .,"u serie di -::1T che Paci v.e$: :T l::: tttto

tamente connessl: ,!ni o*"omeria contiene in sé l'intero uDrverso;

ogni monade riflette in sé lo stesso mondo' sia pure da un diverso

punto di vista; ogrri ,oggttto si costituisce,come taleìulla base della rela-

zione intersoggettiva :;; uit'i 'ogg"tti' -che

hanno in comune il fouda-

mento precategorial.-t lu mtdtllma Umuett' M1"che 1L1i.-'::""" t"

cornulle gli osservatori e che cosa dovranno vedere sempre ln comu-

ne»?51

Detto in greco è l"'eiilos tes arete§' [sir] ' Ossia' I'intuizione del-

l'essenz.a è l'";;JJi tiJ tn" t'è di "o'"' radice greca che

vuole dire ,ttttott 'ttt "'mo di cio che è.Perf11to, tt?':l:

unisce, ciò che si accorda' ciò che è arrnonico' clo cne c e (u

essenziale ""ltt;;; ; la descrizione dell'essenza è ciò che a

noi appare qout-ta" abbiarno tolto trttti i pregiudizi'

Questa frase riporta una delle ultime parole di Paci sul nostro argo-

mento. Il passaggio itu t't"t" e il valorè' tra la relazione e il bene' è

mediato du tr, .o""tto straordinariamente amtriguo come.la parola

greca aretà,che accoglie al suo interno un signific"?. T"Tl:,llel senso

di "virtù") ".,r-,

,ig'if"at'o rìon morale ineÉenso di "capacità di")' La

faticadellamecliazioneè,ancorainquestafrase'tuttalìdavedere:per-ché mai la visione a.fi*tt"u p'iva ài pregiudizi (concetti assiologica-

menre neurri) dor..bb. upp.,,àu." a q.ralàsa di "arnrorrico" e di "per-

fetto" (concetti assiologicalììente comrotati)? Non sembra forse' anche

questo, .rr-, p..g.,Ji,l;l ìttrr pregiudizio ottimista)? oggi' trent'anni

dopo il {ugace incrt'cit' tt" tttit' *ìi'clt:'''tt: al suo primo anno di corso e

un professore al strcl ttltitttrl itttrtrl <li itrscgtlamento, questo pregiudizio

ottimista nri sembra rnollr» rrrcrr() iUbiti,tri., cli allt-rra: anche perché

+s lvi, p. 229.+e Ivi, p. 221.5t) 1ui,,r. ,,'r.''l ll ltulilr'rtrrt drlltt rttttrrnlohgirr. p' I2J

Page 117: Trabattoni, Attualità Di Platone

ATTT IAI,ITA DI PI -A.TON}

adesso mi è chiaro che lo stesso ottimismo e lo stesso pregiudizio costi-tuiscono l'ossatura remota di tanta parte della filosofia antica, e di quel-la di Platone in particolare (come Paci aveva ben visto). Per Platone esi-ste in natura un dinamismo intrinseco tra particolare e universale, chesi manifesta nell'uomo philo-sophos come tensione infinita (come aros)

verso la dimensione ideale della sophia. La sophia, a sua volta, è l'idea-limite di un sapere che ha per oggetto l'ei:,dos. Ma l'obiettivo di questatensione non è il sapere in quanto tale. Lungo il percorso che porta dalparticolare all'universale, dal sensibile all'eid,os, si assiste infatti allanascita del valore. L' eidos non è solo l'universale ontologico e logico chesta a fondamento della realtà; esso rappresenta anche, e soprattutto, unideale di perfezione non dissimile da quello di cui parla Paci. lnPlatone, non a caso, in cima al cosmo noetico non ci sono né dio né l'es-sere, ma il bene (eventualmente rappresentato come Uno-Bene), e glieide a ati egli rivolge quasi tutta la sua attenzione sono quelli del bene,del bello e del giusto. E non a caso, ancora, l'unica via di cui I'uomo dis-pone per tradurre in reale f ideale, nella misura in cui ciò è consentitodalla storicità dell'essere umano e dall'inguaribile pluralità. delle doxai,è il progetto politico di una città in cui Ie differenze individuali si dis-tribuiscano ordinatamente nell'armonia dell'insieme. Questa città, d'al-tra parte, è ciò a cui tutti gli uomini tendono proprio perché ineale.

INDICE DELT-A MAIERIA TRAITATA

Introduzione

Capitolo IL' argomentazione platonica

Capitolo IIPlatone, Rorty e la violenza della metafisica

Capitolo IIIPlatone, Rorty e la consolazione della frlosofia

Capitolo IVLa frlosofia è una cosa seria?

Capitolo VL'interpretazione heideggeriana della dottrina delle idee e le

,.r. p..*.tte. Alcune osservazioni 109

Capitolo WDialettica, ontologia ed etica nel Filebo. L'interpretazione diHans Georg Gadàher 127

Capitolo WI

Jacques Derrida e le origini greche del logocentrismolelutor., Aristotele) 141

Capitolo VIIIErnst Cassirer c l'.estetica platonica". Introduzione alla letturadi Eirtos uru1liidoktn 165

13

39

63

93

Capitolo IXLeo Strauss e l"'esot.t't'islrro" 1rllttonico

Capitolo XPlatone, Martha Ntrsslritttttt, t' lt' pltssioni

Capùolo XISulle tracce dell'armonilt: I'lttzo I':rt i, il lrlrr.r «: i Greci

185

199

217