Attualità LeScuolediAlpinismoeScialpinismo delCAIpassato ...

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TRIMESTRALE DELLA SEZIONE DI GORIZIA DEL CLUB ALPINO ITALIANO, FONDATA NEL 1883 ANNO XLVII - N. 1 - GENNAIO-MARZO 2013 “Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento Postale - 70% - DCB/Gorizia” In caso di mancato recapito restituire a CAI Gorizia, Via Rossini 13, 34170 Gorizia Attualità Le Scuole di Alpinismo e Scialpinismo del CAI passato, presente e... futuro? di EDOARDO FIORETTI Buinz e Puartate. N ell’ambito del Club Alpino Italiano, è nota a tutti i Soci l’attività didattica svolta dalle Scuole di Alpinismo e Sci Alpinismo delle proprie Sezioni. Moltissimi, nell’arco degli anni, hanno partecipato con entusiasmo e soddisfazione ai Corsi proposti. Parallelamente, tanti altri hanno contri- buito, nel ruolo di Istruttori, a trasferire le proprie competenze ed esperienze ai futuri alpinisti; ripagati dalla sola e pura soddisfa- zione di fare qualcosa di utile e bello. Forse anche nel tentativo di offrire ad altri ciò che in precedenza avevano ricevuto, ma so- prattutto nella convinzione che “la preven- zione costituisca l’unico rimedio efficace contro gli incidenti”. Le Scuole sono parte integrante ed in- tegrata delle Sezioni e di tutto il CAI, tanto che ad ogni livello la loro presenza è data per certa, se non per scontata. Tutti i Soci sanno che il 2013 sarà l’anno del 150° anniversario della fondazione del nostro Club. Pochi Soci sanno però che nel 2012 vi è stata la ricorrenza dei 75 anni di attività della struttura didattica del CAI: metà della vita del nostro Club, dedicata allo studio della mon- tagna, delle tecniche ed all’insegnamento dell’alpinismo, nelle sue varie forme… non poco! Era infatti il 1937 quando il Consiglio Centrale del CAI decise di istituire la Com- missione di coordinamento e controllo delle Scuole di Alpinismo. Ciò con lo scopo pri- mario di sviluppare la prevenzione degli in- cidenti in montagna. Purtroppo il conflitto bellico, oltre a tanti lutti e disastri, causò anche un fermo nel- l’attività alpinistica in generale e della Com- missione in particolare. Successivamente, con il ritorno ad una vita più serena, tornò anche la voglia di montagna e con essa la Commissione di coordinamento riprese la propria attività, diretta dall’Accademico Carlo Negri. Essa venne trasformata nella nuova Commissione Nazionale Scuole di Al- pinismo e dotata di un proprio statuto. Furono quindi definiti il Regolamento della Commissione ed il profilo della figura dell’Istruttore Nazionale di Alpinismo, che prevedeva: “capacità alpinistica di assoluto rilievo; curriculum alpinistico assai ampio e svolto su tutti i terreni; rilevante predisposi- zione alla didattica; profonda cultura su tutte le materie riguardanti l’alpinismo; dedizione all’attività didattico-alpinistica; personalità di sicuro rilievo; sufficiente umiltà; coraggio e spirito di sacrificio”. Come prima conseguenza di tutto ciò, rampicata in costante evoluzione, di sele- zionarli, adottarli e poi di divulgare i risultati di queste ricerche, riassunti in dispense. Lo Sci Alpinismo continuava intanto, parallelamente all’Alpinismo, la propria cre- scita e diffusione tra i Soci, tanto che sem- pre più emerse la necessità di dare vita ai Corsi Nazionali per Direttori di gite Sci Alpi- nistiche, oltre che ai convegni per i Direttori delle Scuole di Sci Alpinismo. Nel 1966, su proposta di “Bepi” Gra- zian, Istruttore Nazionale della Sezione di Padova, che per tanti anni si impegnò a fa- vore della didattica nel CAI, la Commissione Nazionale approvò lo svolgimento speri- mentale di un 1° Corso Regionale Veneto per Istruttori Sezionali, esempio poi ripreso da tutte le altre Regioni, con l’obiettivo di allar- gare la base degli insegnanti in grado di col- laborare, con competenza e preparazione, con gli Istruttori Nazionali e di iniziare una graduale preparazione di quanti si sareb- bero presentati ai successivi Corsi per Istrut- tori Nazionali. Finalmente, nel 1967 anche la disciplina dello sci alpinismo iniziò a strutturarsi al pari nel 1948 venne tenuto il 1° Corso per Istrut- tori Nazionali di Alpinismo, diretto dalla Guida Alpina Piero Mazzorana. Poi, nel 1951, Riccardo Cassin venne nominato Presidente della Commissione… Nello stesso anno venne svolto anche il 5° Corso per Istruttori Nazionali di Alpini- smo, al termine del quale Cassin stesso scrisse le seguenti parole al Consiglio Cen- trale del CAI: “…con ciò la CNSA è convinta di aver fatto del suo meglio per tendere al raggiungimento di quello scopo che si è ri- velato di importanza fondamentale, alla luce della situazione dell’Alpinismo in Italia e fuori: la preparazione individuale dei giovani attraverso l’unificazione della base tecnica e dei metodi per il suo insegnamento…”. Con riferimento agli obiettivi primari de- finiti dalla Commissione, la necessità di sta- bilire i migliori metodi per l’assicurazione al- pinistica da adottare nei Corsi determinò anche le basi per la nascita del futuro Cen- tro Studi e Ricerche, che rappresentò in se- guito uno dei compiti più importanti della CNSA. Successivamente, tale organo si tra- sformò nella Commissione Nazionale Mate- riali e Tecniche e poi nel Centro Studi Mate- riali e Tecniche. Ritorniamo però agli inizi degli anni ’50: furono, questi, anni in cui anche lo sci alpi- nismo iniziava ad espandersi ed evolversi. Ricordiamo che già allora alcune Sezioni proponevano Corsi di Sci Alpinismo ed At- tività sci alpinistiche. Come conseguenza di questa crescita d’interesse, nel 1953 venne nominata la prima Commissione Nazionale Scuole di Sci Alpinismo con Presidente Massimo Lago- stena, consigliere Centrale del CAI. Tale Commissione seguiva l’attività delle Sezioni e lo sviluppo dei “Rally Sci Al- pinistici”, monitorandone le varie situazioni e studiandone le evoluzioni; inoltre essa provvide a redigere e pubblicare il manua- letto Elementi di sci alpinismo, che fu in- viato a tutte le Sezioni del CAI. Nel 1963 nacque anche la Scuola Na- zionale Centrale, sotto il diretto controllo della Commissione, con l’incarico di prov- vedere alla realizzazione dei Corsi per Istrut- tori Nazionali di Alpinismo, oltre che di stu- diare le nuove tecniche ed i materiali d’ar-

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TRIMESTRALE DELLA SEZIONE DI GORIZIADEL CLUB ALPINO ITALIANO, FONDATA NEL 1883

ANNO XLVII - N. 1 - GENNAIO-MARZO 2013

“Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento Postale - 70% - DCB/Gorizia”

In caso di mancato recapito restituire a CAI Gorizia, Via Rossini 13, 34170 Gorizia

Attualità

Le Scuole di Alpinismo e Scialpinismodel CAI passato, presente e... futuro?di EDOARDO FIORETTI

Buinz e Puartate.

N ell’ambito del Club Alpino Italiano, ènota a tutti i Soci l’attività didatticasvolta dalle Scuole di Alpinismo eSci Alpinismo delle proprie Sezioni.

Moltissimi, nell’arco degli anni, hannopartecipato con entusiasmo e soddisfazioneai Corsi proposti.

Parallelamente, tanti altri hanno contri-buito, nel ruolo di Istruttori, a trasferire leproprie competenze ed esperienze ai futurialpinisti; ripagati dalla sola e pura soddisfa-zione di fare qualcosa di utile e bello. Forseanche nel tentativo di offrire ad altri ciò chein precedenza avevano ricevuto, ma so-prattutto nella convinzione che “la preven-zione costituisca l’unico rimedio efficacecontro gli incidenti”.

Le Scuole sono parte integrante ed in-tegrata delle Sezioni e di tutto il CAI, tantoche ad ogni livello la loro presenza è dataper certa, se non per scontata.

Tutti i Soci sanno che il 2013 sarà l’annodel 150° anniversario della fondazione delnostro Club.

Pochi Soci sanno però che nel 2012 vi èstata la ricorrenza dei 75 anni di attività dellastruttura didattica del CAI: metà della vita delnostro Club, dedicata allo studio della mon-tagna, delle tecniche ed all’insegnamentodell’alpinismo, nelle sue varie forme… nonpoco!

Era infatti il 1937 quando il ConsiglioCentrale del CAI decise di istituire la Com-missione di coordinamento e controllo delleScuole di Alpinismo. Ciò con lo scopo pri-mario di sviluppare la prevenzione degli in-cidenti in montagna.

Purtroppo il conflitto bellico, oltre a tantilutti e disastri, causò anche un fermo nel-l’attività alpinistica in generale e della Com-missione in particolare. Successivamente,con il ritorno ad una vita più serena, tornòanche la voglia di montagna e con essa laCommissione di coordinamento riprese lapropria attività, diretta dall’AccademicoCarlo Negri. Essa venne trasformata nellanuova Commissione Nazionale Scuole di Al-pinismo e dotata di un proprio statuto.

Furono quindi definiti il Regolamentodella Commissione ed il profilo della figuradell’Istruttore Nazionale di Alpinismo, cheprevedeva: “capacità alpinistica di assolutorilievo; curriculum alpinistico assai ampio esvolto su tutti i terreni; rilevante predisposi-zione alla didattica; profonda cultura su tuttele materie riguardanti l’alpinismo; dedizioneall’attività didattico-alpinistica; personalitàdi sicuro rilievo; sufficiente umiltà; coraggioe spirito di sacrificio”.

Come prima conseguenza di tutto ciò,

rampicata in costante evoluzione, di sele-zionarli, adottarli e poi di divulgare i risultatidi queste ricerche, riassunti in dispense.

Lo Sci Alpinismo continuava intanto,parallelamente all’Alpinismo, la propria cre-scita e diffusione tra i Soci, tanto che sem-pre più emerse la necessità di dare vita aiCorsi Nazionali per Direttori di gite Sci Alpi-nistiche, oltre che ai convegni per i Direttoridelle Scuole di Sci Alpinismo.

Nel 1966, su proposta di “Bepi” Gra-zian, Istruttore Nazionale della Sezione diPadova, che per tanti anni si impegnò a fa-vore della didattica nel CAI, la CommissioneNazionale approvò lo svolgimento speri-mentale di un 1° Corso Regionale Veneto perIstruttori Sezionali, esempio poi ripreso datutte le altre Regioni, con l’obiettivo di allar-gare la base degli insegnanti in grado di col-laborare, con competenza e preparazione,con gli Istruttori Nazionali e di iniziare unagraduale preparazione di quanti si sareb-bero presentati ai successivi Corsi per Istrut-tori Nazionali.

Finalmente, nel 1967 anche la disciplinadello sci alpinismo iniziò a strutturarsi al pari

nel 1948 venne tenuto il 1° Corso per Istrut-tori Nazionali di Alpinismo, diretto dallaGuida Alpina Piero Mazzorana.

Poi, nel 1951, Riccardo Cassin vennenominato Presidente della Commissione…

Nello stesso anno venne svolto anche il5° Corso per Istruttori Nazionali di Alpini-smo, al termine del quale Cassin stessoscrisse le seguenti parole al Consiglio Cen-trale del CAI: “…con ciò la CNSA è convintadi aver fatto del suo meglio per tendere alraggiungimento di quello scopo che si è ri-velato di importanza fondamentale, alla lucedella situazione dell’Alpinismo in Italia efuori: la preparazione individuale dei giovaniattraverso l’unificazione della base tecnica edei metodi per il suo insegnamento…”.

Con riferimento agli obiettivi primari de-finiti dalla Commissione, la necessità di sta-bilire i migliori metodi per l’assicurazione al-pinistica da adottare nei Corsi determinòanche le basi per la nascita del futuro Cen-tro Studi e Ricerche, che rappresentò in se-guito uno dei compiti più importanti dellaCNSA. Successivamente, tale organo si tra-sformò nella Commissione Nazionale Mate-

riali e Tecniche e poi nel Centro Studi Mate-riali e Tecniche.

Ritorniamo però agli inizi degli anni ’50:furono, questi, anni in cui anche lo sci alpi-nismo iniziava ad espandersi ed evolversi.Ricordiamo che già allora alcune Sezioniproponevano Corsi di Sci Alpinismo ed At-tività sci alpinistiche.

Come conseguenza di questa crescitad’interesse, nel 1953 venne nominata laprima Commissione Nazionale Scuole di SciAlpinismo con Presidente Massimo Lago-stena, consigliere Centrale del CAI.

Tale Commissione seguiva l’attivitàdelle Sezioni e lo sviluppo dei “Rally Sci Al-pinistici”, monitorandone le varie situazionie studiandone le evoluzioni; inoltre essaprovvide a redigere e pubblicare il manua-letto Elementi di sci alpinismo, che fu in-viato a tutte le Sezioni del CAI.

Nel 1963 nacque anche la Scuola Na-zionale Centrale, sotto il diretto controllodella Commissione, con l’incarico di prov-vedere alla realizzazione dei Corsi per Istrut-tori Nazionali di Alpinismo, oltre che di stu-diare le nuove tecniche ed i materiali d’ar-

2 Alpinismo goriziano - 1/2013

di quella dell’alpinismo: in quell’anno sisvolse il 3° Convegno dei Direttori delleScuole, fu approvato il Regolamento per leScuole di Sci Alpinismo ed emerse la ne-cessità di dare inizio alla formazione di unCorpo Istruttori Nazionali di Sci Alpinismo at-traverso l’organizzazione di Corsi Nazionali.Ed infatti, l’anno successivo si svolse il 1°Corso per Istruttori Nazionali di Sci Alpini-smo. Nello stesso anno il titolo di IstruttoreNazionale di Alpinismo (INA), in precedenzasuddiviso in Alpi Orientali (dove vi eranoprevalentemente rocciatori puri) ed Occi-dentali (dove invece vi erano prevalente-mente ghiacciatori e arrampicatori su mi-sto), venne unificato, facendo sì che per ac-cedere ai Corsi fosse necessaria una pre-parazione alpinistica globale (roccia, ghiac-cio, misto), come tuttora richiesto.

Negli anni ‘70 si costituirono le primeCommissioni Regionali e Interregionali che,di fatto, anticiparono di molto l’attuale strut-tura organizzativa del CAI basata sui GruppiRegionali.

Nel 1977 nacque la Scuola Centrale diSci Alpinismo, cosa che rese la struttura di-dattica dello Sci Alpinismo del tutto simile aquella dell’Alpinismo.

Nel 1978 le Commissioni Regionali edInterregionali attivarono i Corsi di forma-zione per la figura di Istruttore Regionale ela Commissione Nazionale di Sci Alpinismoprovvide a regolamentare i propri Corsi. Inol-tre, entrambe le Commissioni Nazionali ini-ziarono un iter molto impegnativo che portò,nel 1985, ad ottenere il riconoscimento giu-ridico della figura di Istruttore Nazionale, av-venuto con la promulgazione della Legge 24dicembre 1985 n. 776. Il CAI venne investitoufficialmente di vere e proprie competenzeesclusive in materia.

Nel 1989 le due Commissioni (CNSSA eCNSA), che collaboravano strettamente giàda molti anni, si fusero, sotto la direzionedell’Istruttore Nazionale Giancarlo Dal Zotto,pordenonese di nascita e milanese di ado-zione. Nacque così la Commissione Nazio-nale Scuole di Alpinismo e Sci Alpinismo(CNSASA), il cui ambito si estese poi ancheall’Arrampicata Libera e, più recentemente,allo Sci Escursionismo (ex Sci di FondoEscursionistico).

Nello stesso anno, in occasione dell’e-laborazione della Legge 2 gennaio 1989 n. 6sull’ ”Ordinamento della professione diGuida Alpina”, il Club Alpino Italiano e laCNSASA, d’intesa con il Direttivo Nazionaledelle Guide Alpine, al fine di rimuovere defi-nitivamente ogni possibile incertezza e dichiarire i rapporti e le competenze delle ri-spettive categorie, introdussero una normaspecifica, l’art. 20 intitolato “Scuole ed Istrut-tori del CAI”, che recita quanto segue:

“1. Il Club Alpino Italiano, ai sensi dellelettere d) ed e) dell’art. 2 della legge 26 gen-naio 1963 n. 91, come sostituito dall’art. 2della legge 24 dicembre 1985 n. 776, con-serva la facoltà di organizzare Scuole e Corsidi addestramento a carattere non profes-sionale per le attività alpinistiche, sci alpini-stiche, escursionistiche, speleologiche, na-turalistiche e per la formazione dei relativiIstruttori;

2. Gli Istruttori del CAI svolgono la loroopera a carattere non professionale e nonpossono ricevere retribuzioni;

3. Le attività degli Istruttori e delleScuole del CAI sono disciplinate dai regola-menti del Club Alpino Italiano;

4. Al di fuori di quanto previsto dallapresente legge, le altre attività didatticheper le finalità di cui al comma 1 non possonoessere denominate “Scuole di Alpinismo” o“di Sci Alpinismo” e i relativi Istruttori nonpossono ricevere compensi a nessun titolo.”

Nel 1990 venne indetto il 1° Corso perIstruttori di Arrampicata Libera, sotto la di-rezione di Fabrizio Antonioli. Il termine “li-bera” fu adottato per richiamare la tradi-zione dell’arrampicata libera in alpinismo,riportando quindi i Corsi di Arrampicata al-l’interno della visione etica globale dellamontagna propria del nostro Sodalizio.

Nel 1991 uscì, a cura della Commis-sione Nazionale Scuole di Alpinismo e SciAlpinismo, il fascicolo “Documenti e Rego-lamenti”, successivamente aggiornato nel1993, con l’intento di “…richiamare l’atten-zione di tutti gli Istruttori e di tutte le Scuolesugli ulteriori documenti e sui completati re-golamenti in esso contenuti. I contenuti, daconsiderarsi attualmente basilari ed essen-ziali, vogliono costituire anche un contributo

per la realizzazione delle normative comuniad altri Organi Tecnici Centrali e Periferici eduno stimolo per il conseguimento del pro-getto in atto nel Club Alpino Italiano, riguar-dante la creazione di un punto di conver-genza in tema di didattica”.

Nel medesimo anno venne promulgatala Legge 8 marzo 1991 n. 81 “Sulla profes-sione di maestro di sci”.

Nel frattempo, la preparazione degliIstruttori della CNSASA arrivò ad essere ri-

conosciuta anche a livello internazionale,tanto che l’UIAA (l’Unione Internazionaledelle Associazioni Alpinistiche), tramite laMountaineering Commission, il suo organotecnico competente, rilasciò sin dagli anni‘90 i tre “training standard” di “High Moun-tain”, “Ski Mountaineering” e “Sport Clim-bing” rispettivamente per gli Istruttori di Al-pinismo, Sci Alpinismo e Arrampicata Li-bera afferenti alla CNSASA.

Tali certificazioni, tuttora in essere edequiparabili ai ben noti label UIAA su mate-riali e attrezzature d’alpinismo, sono un ri-conoscimento ufficiale non solo delle com-petenze tecniche possedute dagli Istruttori,ma anche e soprattutto della qualità e coe-renza del sistema formativo attuato dallaCNSASA, il quale è stato adottato dall’UIAAstessa che, proprio sulla base della figuradell’Istruttore Regionale, ne ha definito lecompetenze minime. A seguito ed a dimo-strazione di ciò, i tesserini degli Istruttori ti-tolati (Istruttori Regionali ed Istruttori Nazio-nali del Club Alpino Italiano) riportano inbuona evidenza il logo dell’UIAA.

La struttura didattica, basata sul volon-tariato, offerta dalla CNSASA è dunque con-siderata a tutt’oggi, a livello internazionale,la più organizzata nel settore alpinistico etale da offrire profili tecnici eccellenti.

Nel 2006, a seguito di un’indagine sullapratica dello snowboard e dopo un periododi sperimentazione, la Commissione Nazio-nale definì la figura di Istruttore di Snow-board Alpinismo (ISBA), del tutto simile aquella dell’Istruttore Regionale di Sci Alpini-smo (ISA).

Nel 2009 la Commissione Nazionale Scidi Fondo Escursionismo (CoNSFE) confluìnella Commissione Nazionale Scuole di Al-

Corsi Sezionali di Arrampicata rivolti a ra-gazzi di età compresa tra i 6 ed i 15 anni;inoltre, attraverso un Corso di Specializza-zione, iniziò a formare la nuova figura diIstruttore di Arrampicata per Soggetti in EtàEvolutiva.

Il “sistema” delle Scuole di Alpinismo,Sci alpinismo e Arrampicata libera è benstrutturato, regolamentato e ramificato sulterritorio, tanto chemolte Sezioni del CAI di-spongono di una propria Scuola.

I compiti dei vari organi sui quali sifonda tale “sistema” si differenziano in atti-vità di orientamento e coordinamento ed at-tività tecniche, e sono suddivisi nel modo se-guente:• La Commissione Nazionale Scuole di Al-pinismo e Sci Alpinismo (CNSASA) deter-mina gli orientamenti di tutta l’attività didat-tica, produce svariata documentazione tra-mite le Scuole Centrali (manuali, dispense,video…), gestisce l’organico degli Istruttori,coordina i corsi per Istruttori Nazionali e Re-gionali, definisce i regolamenti ed i contenutidei Corsi a tutti i livelli e segue l’attività delleScuole Sezionali.I suoi componenti sono eletti dal ConsiglioCentrale del CAI sulla base delle candidatureespresse dal Congresso degli Istruttori Na-zionali.• La Commissione Interregionale Scuole diAlpinismo e Sci Alpinismo (CISASA)14 agiscesul territorio in accordo con le direttive dellaCNSASA, verificando costantemente l’atti-vità delle Scuole Sezionali mediante il rila-scio dei Nulla Osta e la verifica delle Rela-zioni di fine Corso. Coordina inoltre l’attivitàdidattica della Scuola Interregionale, rivoltaessenzialmente a supporto delle Scuole Se-zionali (Corsi Propedeutici di vario tipo per

pinismo e Sci Alpinismo; lo Sci Escursioni-smo riprese così, a tutti gli effetti, ad essereun’attività alpinistica praticata nell’ambientealpino invernale su terreno non battuto.

Nel 2010 la CNSASA, in sintonia conl’impegno profuso dal CAI nei confronti deiminori, presentò un progetto per la promo-zione a livello sezionale di Corsi di Arrampi-cata per i Giovani. Ottenuta l’autorizzazioneda parte del Comitato Direttivo di Controllodel CAI, organizzò così in via sperimentale

Istruttori Sezionali), ai Corsi-esame perIstruttori Regionali, agli aggiornamenti degliIstruttori Regionali e, sumandato della Com-missione Nazionale, anche degli IstruttoriNazionali.I suoi componenti sono eletti dal CDR (Co-mitato Direttivo Regionale) sulla base dellecandidature espresse dai Congressi Regio-nali/Interregionali di competenza.• Le Scuole Centrali di Alpinismo e di Sci Al-pinismo (SCA-SCSA) costituiscono l’organooperativo della Commissione Nazionale. De-finiscono i contenuti tecnici dei Corsi, svi-luppano i manuali, svolgono aggiornamentisui vari argomenti di competenza i quali poi,conseguentemente, raggiungeranno leScuole Interregionali e le Scuole Sezionali;svolgono inoltre i Corsi per Istruttori Nazio-nali.I componenti di Scuola Centrale fanno partedelle Scuole Interregionali e ne dirigono iCorsi per Istruttori Regionali; possono inol-tre dirigere la Scuola Interregionale stessa.Le nuove candidature sono presentate aicomponenti della Scuola Centrale da partedegli Istruttori del medesimo Convegno du-rante la riunione annuale della Scuola, die-tro presentazione di un profilo personale edel curriculum alpinistico/sci-alpinistico edidattico. Le candidature vengono accet-tate dietro votazione dei componenti dellaScuola Centrale stessa e comunicati allaCNSASA ed al Consiglio Centrale per la ra-tifica. Fanno parte delle Scuole Centrali an-che Istruttori Nazionali che hanno al con-tempo il titolo di Guida Alpina, di Accade-mico, di Soccorritore, di Istruttore Militare(Scuola Militare Alpina), di Istruttore e Soc-corritore della Guardia di Finanza: le rap-presentanze di tutte le strutture del CAI, enon solo, sono di fatto compresenti da sem-pre e la collaborazione è paritetica ed otti-male.• La Scuola Interregionale di Alpinismo e SciAlpinismo (SIASA) costituisce l’organo ope-rativo della propria Commissione Interre-gionale. Organizza per tutti gli Istruttori Re-gionali aggiornamenti, sia teorici che pratici,sui vari argomenti, i quali poi, conseguente-mente, raggiungeranno le Scuole Sezionali;svolge i Corsi-esame per Istruttori Regionalied i Corsi Propedeutici (ghiaccio-alta mon-tagna, ghiaccio verticale, arrampicata libera,snowboard alpinismo...). I componenti diScuola Interregionale fanno parte delleScuole Sezionali e spesso ne sono Direttori.La Scuola è diretta da un componente diScuola Centrale, coadiuvato da un ConsiglioDirettivo.Nel nostro Convegno VFG (Veneto-Friuli Ve-nezia Giulia) possono far parte della ScuolaInterregionale tutti gli Istruttori Nazionali chene facciano richiesta. Nella Scuola vengonoinoltre garantiti dei posti per Istruttori Re-gionali delle Scuole Sezionali (massimo treper Sezione), di ogni specialità, che pos-sono partecipare a tutta l’attività dellaScuola, con esclusione dei Corsi-esame perIstruttori: ciò al fine di garantire, nell’ambitodella struttura didattica del CAI, un contattoancor più diretto con le Scuole Sezionali, ol-tre a facilitare e velocizzare la divulgazionedei nuovi contributi per la didattica e la si-curezza.• Le Scuole Sezionali, che possono esseremonosettoriali o plurisettoriali, sono diretteda un Istruttore Nazionale, il quale viene no-minato direttore dall’assemblea della Scuolastessa. La nomina deve essere sottoposta aratifica della Commissione InterregionaleScuole di Alpinismo e Sci Alpinismo e delConsiglio Direttivo della Sezione. La Scuola,per poter sussistere, deve avere, oltre al Di-rettore, almeno tre Istruttori di specialità. IlDirettore ha funzioni tecniche e risponde neiconfronti della CNSASA e del Consiglio Di-rettivo della Sezione sul buon funziona-mento della Scuola e la corretta conduzionedei Corsi.• Gli Aspiranti Istruttori fanno parte dell’or-ganico della Scuola Sezionale o Intersezio-nale. Sono di varie specialità e, una voltaammessi nella Scuola da parte della Dire-zione, sono tenuti a svolgere un iter forma-tivo, presso la Scuola stessa, della durata dialmeno un anno, certificato dalla data di in-serimento del nominativo nel portale dellaCNSASA. Tali dati sono supervisionati dallaCommissione Interregionale di competenza.Una volta raggiunto il livello di formazionedefinito dai regolamenti, gli Aspiranti Istrut-tori possono essere nominati Istruttori Se-zionali. È richiesto un periodo minimo di al-

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Rustici e prati abbandonati a Pusti Gost, val Resia.

meno un anno di attività per il passaggio alla“qualifica” di Istruttore Sezionale.• Gli Istruttori Sezionali sono di varie spe-cialità (roccia, alpinismo, arrampicata libera,sci alpinismo di base, sci alpinismo, snow-board alpinismo di base, snowboard alpini-smo) e per la nomina devono essere segna-lati alla Commissione Interregionale com-petente da parte del Direttore della ScuolaSezionale. La Commissione notifica la qua-lifica di Istruttore Sezionale al Presidentedella Sezione di appartenenza, il quale ha lafacoltà di ratificarne o meno la nomina.L’Albo dei Sezionali viene aggiornato a curadella Commissione Interregionale. L’Istrut-tore Sezionale è tenuto ad operare secondole direttive degli Istruttori titolati ed ha sulcampo la responsabilità diretta degli allievia lui affidati. È richiesto un periodo minimodi almeno tre anni di attività per il passaggioalla “qualifica” di Istruttore Regionale.• Gli Istruttori Regionali sono di varie spe-cialità e devono superare un Corso-esameteorico e pratico tenuto dalla Scuola Inter-regionale. La candidatura, completa di uncurriculum alpinistico/sci alpinistico e di-dattico, deve essere controfirmata sia dal Di-rettore della Scuola che dal Presidente dellaSezione. Il Direttore del Corso-esame co-munica gli esiti del Corso alla CommissioneInterregionale la quale, a sua volta, proponei candidati promossi al titolo di IstruttoreRegionale alla CNSASA. Il Presidente Ge-nerale ratifica poi la nomina ad Istruttore. L’I-struttore Regionale ha la responsabilità deiCorsi da lui diretti. È richiesto un periodomi-nimo di almeno due anni di attività per ilpassaggio alla “qualifica” di Istruttore Na-zionale.

tività alpinistica, sia didattica sia individuale,la quale deve essere riportata sul librettopersonale per la vidimazione triennale. Inassenza di quest’ultima, la sospensione del-l’Istruttore avviene d’ufficio.

I regolamenti emanati dalla CNSASAdefiniscono in modo dettagliato le varie ti-pologie dei Corsi, i relativi contenuti ed il ti-tolo necessario per svolgerne la direzione.Ciò a garanzia dell’uniformità, della qualità edella sicurezza dei Corsi su tutto il territorionazionale.

È dunque evidente, dal punto di vista siaformale che operativo, la stretta relazioneesistente tra Scuole e Sezioni espressa dallacondivisione di programmi e di scelta deicandidati ad assumere ruoli ufficiali nelleScuole stesse. È altresì evidente la serietàdell’intera struttura didattica afferente allaCNSASA che, per formare un nuovo Istrut-tore Nazionale, impone un tempominimo diattività certificata all’interno delle Scuolepari ad almeno 7 anni, oltre ad un’adeguataattività alpinistica/sci alpinistica.

È altrettanto evidente la mole di lavorosvolta nell’ambito delle Scuole del CAI: unlavoro silenzioso e costante, che mira all’e-ducazione, alla prevenzione degli incidenti,all’andare in montagna in modo consape-vole e, perché no, allo stare insieme condi-videndo una passione meravigliosa. È unlavoro che, come lo stillicidio dell’acqua,porta alla lunga a risultati importanti: un la-voro poco reclamizzato, perché non è nelloscalpore che si riconosce colui che ama lamontagna, ma deve essere svolto con con-tinuità nella consapevolezza che la preven-zione dagli incidenti si ottenga attraverso laformazione graduale ed approfondita e con

scopo dichiarato di tale articolo, infatti, con-siste nel dare “un’informazione puntuale atutto il corpo sociale sulle finalità e l’impo-stazione di questo importante progetto incorso di attuazione”.

Purtroppo, sia la collocazione (un “im-portante progetto” relegato alla terz’ultimapagina…), sia il modo con cui vengono pre-sentati i contenuti (a mio parere di difficileaccesso per la maggior parte dei Soci, in-clusi quelli che partecipano attivamente allavita delle Scuole o che compongono gli or-gani direttivi delle Sezioni stesse), denotanoil tentativo di imporre l’attuazione di un pro-getto nella realtà non compreso e non con-diviso.

La generalizzazione di dubbie esigenze;la prospettiva di decisivi miglioramenti “ovvi”e “necessari” (il marketing crea “necessità”anche dove queste non ci sono…); l’utilizzodi un gergo tipico da legislatore nazionale;l’uso di sigle ed abbreviazioni (OTCO –OTTO – UNICAI – CC – CdC – OTC – GR) lacui comprensione è riservata “agli addetti ailavori”; il porre in evidenza criticità ed even-tuali aspettative, che in realtà richiedereb-bero verifiche, valutazioni e spiegazioni at-tente, puntuali ed approfondite per i Socitutti… Questi aspetti, nella loro totalità, de-notano una scarsa trasparenza di fondo edaccentuano una sgradevole sensazione didistanza tra “vertici” e “base”. Certamente,ogni progetto ed ogni regolamento vienevotato alle Assemblee dei Delegati, anchedai nostri Presidenti di Sezione, ma senza unvero dibattito con chi dovrà vivere in primapersona le conseguenze di tali decisioni.

In tutto ciò, la componente di rappre-sentanza delle Scuole è poco presente, non

la qualità dei contenuti. Un lavoro che non sirivolge ai “grandi numeri”, ma che nel tempoi “grandi numeri” li fa.

Da qualche anno l’argomento “Scuole”ha cominciato tuttavia ad essere trattato inmodo particolare nell’ambito dei vertici delnostro Club, purtroppo non per i meriti con-seguiti sul campo, o per il gradimentoespresso dai Soci, bensì, nel tentativo di ri-solvere una serie di problemi pertinenti adaltre strutture e per il desiderio di ridurrequell’autonomia operativa che ne ha garan-tito la crescita nell’arco di molti anni.

Ad esempio, nel numero di settembre2012 della nostra rivista sociale “Montagne360”, in terz’ultima pagina, è stato pubbli-cato, a cura del Comitato Centrale di Indi-rizzo e Controllo, un articolo intitolato: “Sulprogetto di riassetto degli OTCO del CAI”(che invito tutti a leggere con attenzione). Unprogetto che da alcuni anni si sta cercandodi sviluppare e di rendere condiviso tra iSoci trasmettendone loro i contenuti. Lo

• Gli Istruttori Nazionali sono di varie spe-cialità (alpinismo, arrampicata libera, sci al-pinismo) e devono superare un Corso-esame teorico e pratico tenuto dalla ScuolaCentrale. La candidatura, completa di uncurriculum alpinistico/sci alpinistico e di-dattico adeguato al titolo, deve essere con-trofirmata sia dal Direttore della Scuola chedal Presidente della Sezione. Il Direttore delCorso-esame comunica gli esiti del Corsoalla Commissione Nazionale. Il presidenteGenerale ratifica poi la nomina ad IstruttoreNazionale. L’Istruttore Nazionale ha la re-sponsabilità dei Corsi Avanzati e delleScuole da lui diretti.

Tutti gli Istruttori titolati costituisconoun “patrimonio” della Sezione di apparte-nenza e, per poter svolgere la propria attivitàdidattica, devono risultare inseriti nell’orga-nico di una Scuola.

Ogni Istruttore, per poter mantenere ilproprio titolo, è tenuto ad essere in regolacon il tesseramento annuale, a svolgere at-

certo per disinteresse, ma per inclinazionepersonale degli stessi Istruttori, dediti piùalla pratica che alla dialettica, convinti che ilproprio ruolo richieda l’operatività sul campopiuttosto che nelle sale-conferenze o nei ri-storanti, e che la propria azione non debbaessere né giustificata né difesa all’interno delnostro Sodalizio, ma semmai sostenuta edapprezzata da tutti.

Quanta differenza si riscontra tra chivive l’alpinismo con passione e ritiene che“andare in montagna sia un atto dell’anima”e chi invece cerca di “imbrigliarlo” con re-golamenti e codici non condivisi!

Di fatto, vi è il tentativo di portare nel-l’ambito del nostro Club la logica aziendaledei grandi numeri, senza considerare che ilvolontariato non può e non deve essere ri-dotto a sudditanza lavorativa, vincolato nonin cordata, intesa nel senso alpinistico, mada legacci burocratici sempre più stretti e di-scutibili. Con questi progetti e regolamenti sista cercando di modificare radicalmente,

nella propria struttura, l’organo didattico dicui il CAI dispone: forse dimenticando o,peggio, ignorando che cosa siano le Scuole,chi siano gli Istruttori e quale sia la loro sto-ria.

Nel succitato articolo si legge: “chiave divolta (dell’intera proposta di riordino) è ilconcetto di base culturale e tecnica comuneper i Titolati del CAI di tutte le discipline…” ;tale affermazione appare quasi ingenua, pernon dire ridicola, nella sua presunzione di in-novazione, se messa a confronto conquanto scrisse Riccardo Cassin già nel lon-tano 1951: “…con ciò la CNSA è convinta diaver fatto del suomeglio per tendere al rag-giungimento di quello scopo che si è rivelatodi importanza fondamentale: la preparazioneindividuale dei giovani attraverso l’unifica-zione della base tecnica e dei metodi per ilsuo insegnamento”.

Sono passati 61 anni da allora…È facile nascondersi dietro affermazioni

scontate, del tipo “tutti hanno qualcosa dainsegnare, tutti hanno qualcosa da impa-rare”; mamettere tutto nelle mani di tutti nonè garanzia di alcun risultato.

A fronte di dati tangibili e certificati dal-l’UIAA.

Il volontariato deve trovare nell’anima laspinta per svolgere il proprio ruolo ed intanti anni ha saputo daremolto più di quantosi possa immaginare; nel volontariato siamocresciuti ed in esso, tramite chi ci ha prece-duti, abbiamo ricevuto gran parte del nostrosapere in ambito alpinistico, e non solo.

Tutti siamo consapevoli dell’entusiasmoe dell’impegno profusi in questa struttura,ben organizzata, ma al contempo sufficien-temente libera da concedere spazio a chiabbia la volontà e la capacità di usarlo almeglio.

Abbiamo sperimentato e sviluppato unsistema che tante soddisfazioni ha dato ainostri allievi, al CAI ed a noi stessi, ma chesoprattutto sta portando ad enormi risultatiin termini di sicurezza.

Rappresentati da figure di elevato spes-sore umano ed alpinistico, ricche di espe-rienza e di intelligenza, che hanno semprecondiviso le nostre attività sul terreno, nonsulle cattedre, siamo riusciti ad essere noistessi, non le pedine di qualcuno che non ciconosce. Ci siamo sentiti per molti anni unaparte integrante ed apprezzata della grandefamiglia del CAI. Abbiamo goduto della li-bertà che ci veniva concessa, ricambiandotale fiducia con grandi risultati ed operandosempre al meglio e nel pieno rispetto del no-stro Club. Ci siamo regolamentati e struttu-rati. Abbiamo organizzato congressi che, dalunga data, sono la dimostrazione della tra-sparenza e del dialogo che ci hanno semprecaratterizzati. Siamo stati disponibili ad ope-rare a favore di ogni realtà che ne espri-messe il bisogno o l’interesse, anche ester-namente all’ambito del CAI.

Ogni cosa in essere, dall’organizzazionedelle attività alla più semplice manovra cheinsegniamo, deriva dal confronto, dalla ve-rifica, dalla condivisione e dal continuo svi-luppo di sempre nuovi progetti.

Un’esperienza di 75 anni che ci ha con-sentito di evolverci, adeguandoci ai tempiche cambiano, in piena libertà ed in sintoniacon i nostri consoci, all’interno del CAI.

La nostra Commissione Nazionale, a di-scapito dei propri compiti istituzionali, già daalcuni anni è purtroppo costretta a combat-tere una battaglia dialettica impari nel ten-tativo di difendere la propria storia e la pro-pria identità, nella consapevolezza del pro-prio potenziale, di quanto ottenuto sino adora e di quanto ancora si dovrebbe e po-trebbe fare; sicuramente non in difesa diprivilegi inesistenti.

Auguriamoci, quindi, che la Commis-sione Nazionale Scuole di Alpinismo e SciAlpinismo possa riprendere ad occuparsipienamente, con impegno ed autonomia,dei campi di propria pertinenza, supportatacome lo fu in passato. Perché così sarebbegiusto; e tanto le sarebbe dovuto: per ri-spetto, riconoscenza e correttezza morale.

Permettiamole dunque di guardare alfuturo con serenità, fiducia ed ottimismo,come ebbe la fortuna di poter fare, allora, laCommissione guidata da Riccardo Cassin…

4 Alpinismo goriziano - 1/2013

A lla fine di dicembre dello scorsoanno quattro goriziani, ElisabettaPertovt, Michele Persoglia, Da-niele Luis e Fabiano Pellizzari,

più il bergamasco Gianluca Merola, in al-legra compagnia d'amici sono in viaggiodalla capitale argentina Buenos Airesalla volta della quarta provincia più po-polosa del vasto paese sudamericano,Mendoza, 1.700.000 abitanti, ai confinidelle Ande. Proprio dal capoluogo diquella provincia, famoso nel mondo perla qualità dei vini che vi vengono pro-dotti, parte il trekking, tre tappe a coprirei 43 chilometri, che ci porterà a Plaza Ar-gentina, il campo base per la salita al-l'Aconcagua, 6962 metri, il monte piùalto del continente americano.

Il percorso si svolge tra i paesaggilunari dai colori fortemente contrastanticon il blu profondo e luminoso di un lim-pidissimo cielo della Valle de las Vacas,risalendo l'omonimo fiume.

Le condizioni meteo sulla SentinellaBianca, il nome in lingua Quechua del-l'Aconcagua, nei giorni precedenti al no-stro arrivo non erano state rassicuranti:sulla vetta venti fino a 150 kmh e tem-perature a -40°.

Fortunatamente una volta giunti alcampo base la situazione è nettamentemigliorata. Anche se il vento non è maicalato del tutto, rivelandosi nel corsodell'intera salita come il sesto compo-nente del nostro gruppo.

A Plaza Argentina, prima di intra-prendere la salita, gli alpinisti sono ob-bligati a sottoporsi ad un controllo me-dico.

Esperita anche questa prassi ed ot-tenuto il benestare, ci siamo organizzatidal punto di vista logistico ed abbiamopotuto iniziare a programmare la nostraascensione.

La via di salita che avevamo sceltoera la Diretta dei polacchi. Purtroppo leinformazioni raccolte al campo base cihanno fatto cambiare itinerario: condi-zioni della via proibitive tanto da provo-care, in quegli stessi giorni, la morte didue alpinisti statunitensi. Abbiamo cosìoptato per l'ascesa lungo il versantenord-est della montagna, attraversandoil Campo 1 a quota 5000, il Campo 3Guanaco a 5600 ed il Campo Colera a6000 metri. Da qui è partito il nostro ul-timo sforzo verso la vetta.

Purtroppo due componenti delgruppo, nonostante la preparazione fi-sica accurata, hanno risentito dell'altitu-dine e hanno dovuto abbandonare la sa-lita a quota 6000. Così la squadra si è ri-dotta a tre componenti.

A soli 200 metri dalla vetta le difficilicondizioni, il vento, le basse tempera-ture, gli sforzi fatti hanno consigliato adaltri due dei componenti la spedizione diinterrompere la salita per aver modo digestire con un certo margine di sicu-rezza il rientro al Campo Colera.

Alle 13 e 15 del 4 gennaio 2013 lavetta dell'Aconcagua è stata calcata dalsolo Michele Persoglia, dopo cinque oree mezza di ascesa. Veniva così ideal-mente accesa la prima candelina sullatorta che lungo tutto quest'anno festeg-gerà i 130 anni dalla fondazione dellasezione del Club Alpino Italiano di Gori-zia. Si creava contemporaneamente unlegame con i festeggiamenti del cente-nario attraverso il Cerro Mercedario, chespuntava in lontananza, salito da unaspedizione goriziana giusto trenta anni fa

attraverso una via nuova che percorre ladifficile cresta sud-ovest.

Dopo una sosta ristoratrice a 6000metri e il rientro al campo base la spedi-zione è rientrata a Penitentes, località divilleggiatura e punto di partenza del

trekking verso la vetta del Sud America.Rimanevano ancora un po’ di giorni

da sfruttare per turismo. Una visita allacittà di Mendoza, accolti dal signor Clau-dio Gerin segretario del locale FogolarFurlan, e poi via verso Buenos Aires, la

capitale argentina, ricca di storia e sug-gestioni: il bario del Caminito; lo stadiodella Bombonera, legato indissolubil-mente al mito di Diego Maradona; Plazade Mayo, celebre per ben altre e tristi vi-cende; il tango, vero marchio di fabbricadella capitale.

A questo punto il tempo a nostra di-sposizione era terminato e non ci rima-neva che il volo di rientro in Italia, con unnotevole bagaglio di esperienza alpini-stica, tanta stanchezza e con in mentenuove sfide da intraprendere sulle mon-tagne del mondo.

Versante meridionale del gruppo del M. Canin - sullo sfondo lo Jalovec (Slo).

In cima alle Americhedi FABIANO PELLIZZARI

Organi tecnici

La nuova Commissione InterregionaleScuole di Alpinismo e Scialpinismo delVeneto e del Friuli Venezia Giulia

N el mese di dicembre 2012 si è in-sediata la nuova CommissioneInterregionale Scuole di Alpini-smo e Sci-Alpinismo del Veneto

e Friuli Venezia Giulia.La nuova Commissione, appena

nominata, che rimarrà in carica per ladurata di tre anni, è formata dai se-guenti componenti, tutti Istruttori titola-ti: Presidente Gabriele Remondi(Pordenone), Vicepresidente Rinaldo

Dell’Eva (Belluno), Segretario SilvanoLocatello (Mestre), Franco Gallo(Vicenza), Claudio Pellin (Treviso), LucaPerenzin (Feltre), Alessandro Zanetti(Bassano del Grappa) e AlessandroFattori (Trieste).

La Commissione interregionale è unOrgano Tecnico Territoriale Operativo(OTTO) del Club Alpino Italiano che,con le modalità e gli indirizzi stabilitidalla rispettiva Commissione Nazionale

(OTCO), provvede alla formazione e al-l’aggiornamento degli Istruttori regio-nali mediante la gestione della propriaScuola interregionale, composta daIstruttori nazionali, e sovrintende con leproprie specifiche competenze tecni-che all’attività delle numerose Scuole dialpinismo sci-alpinismo e arrampicatalibera che operano nelle numeroseSezioni del CAI presenti sul territorio.

Alpinismo goriziano - 1/2013 5

Nell’imbuto (foto Leo Comelli).

zucchero a velo delle fiere piuttostoche le dita scheletriche e nude delloscorso inverno. Fa freddo.

Veloci e silenziosi ci spostiamo aSella Nevea. Dalla caserma dellaGuardia di Finanza cominciamo salire,passo svelto: la temperatura è questoche comanda.

Saliamo a buon ritmo, regolari, e inpoco più di due ore raggiungiamo forcaDisteis. Osserviamo e studiamo la lineapiù sicura da seguire in salita, è questoil momento che più mi preoccupava.Negli scorsi giorni il vento ha lavoratomolto il manto nevoso, a queste quotepoi il sole non ha scaldato abbastanzada consolidare alla perfezione i varistrati; dobbiamo procedere con cautelaevitando di tagliare quei pendii dove gliaccumuli sono più instabili.

Una placca da vento sui 45° gradi cifa palpitare per qualche momento giu-sto prima di imboccare il canalino checi porta in forcella. Entrati nel canale lepaure cessano, ma la progressione si fapiù faticosa, la neve è leggera e profon-da e per battere traccia siamo costrettia dare fondo alle nostre energie, d’al-tronde la neve profonda e leggera eraproprio ciò che ci aspettavamo.

Finalmente raggiungiamo la forca,stretto intaglio tra due pareti di grigiocalcare, il vento gelido e la rigida tem-peratura (-20°/25°) ci fanno affrettare le

una capriola e poi anche lui di nuovo inpiedi.

In breve arriviamo alle piste dafondo e poi alla macchina, quando mistacco gli sci al parcheggio, capiscoche è fatta, che è finita.

Quella linea che ho desiderato peranni ora è mia, la discesa più entusia-smante che abbia sciato, qualcosa diincredibile, qualcosa che in parte è riu-scita a riempire quel vuoto. Non laodierò, anzi la amerò per sempre.

cora finita, abbiamo ancora un salto dasuperare, forse con una breve doppia,forse in qualche altra maniera..

A 1500 metri di quota una zona diripide pareti e cascate azzurre ci sbarrala strada, stiamo meditando di attrezza-re una doppia su di un larice quandoscorgo un passaggio: uno stretto cana-letto che sembra portaci a più dolcipendii, è fatta, penso! Pensiero quantomai sbagliato. Niente, bisogna fareun'altra doppia, ma non ci sto, guardoLeo e gli dico che saltiamo, sono 4-5metri verticali, ma l’atterraggio è buonoe sembra morbido, vado.

Un momento interminabile finquando non mi ritrovo in un metro dineve leggerissima, le punte degli sci siinfossano, ma dopo poco mi ritrovo inpiedi. Anche Leo senza troppi pensierisalta, anche a lui le punte si infossano,

manovre di rito: togli i ramponi, togli lepelli, vestiti, tazza di thè caldo, metti glisci, blocca gli sci, scarponi, su la levadegli attacchini. Non facciamo in tempoa renderci conto del budello che preci-pita 1500 metri più in basso in Spragnasotto i nostri sci, che le muffole inpiuma assumono un aspetto cartonato,

giornate da non dimenticare.Venerdì sera squilla il cellulare, è

Leo. Gli annuncio subito le mie inten-zioni, non esita un attimo.

Sabato, 7.30, val Saisera, -13°.Lasciamo un’auto in alta Saisera,

che ci servirà per il rientro. La neve haovattato la valle, gli alberi ricordano lo

M i sono innamorato di lei dalprimo momento in cui l’ho vi-sta. L’ho desiderata da quelpreciso istante. Era il 17 marzo

del 2007, le 4 del pomeriggio circa,avevo appena imboccato la Spragna chelei comparve lì, alla mia destra, una lineaincredibile pensai. Non avevo idea diche cosa fosse, feci una foto e proseguiiper la mia strada, il bivacco Mazzeni,l’indomani da solo avrei dato inizio a unaperversione per il ripido scendendo ilcanalone Huda Paliza.

Un anno più tardi scoprii che cosaquella superba linea fosse. Il canaloneComici alla forca Berdo. Lo scoprii gra-zie al libro/diario di Mauro Rumez, e loscoprii grazie a mio padre.

Mio padre che accompagnò apiedi, due anni dopo la prima discesa,chi ne compì la prima (e molto proba-bilmente unica) ripetizione (CarloGasparini, n.d.r.). Era il 1988.

La stessa persona mi insegnò lanobile arte dello sciare in neve profon-da e mi consigliò su come e dove muo-vere i primi passi sul ripido, ma ognivolta che gli chiesi qualcosa su quelladiscesa finiva per storcere il naso.L’aveva desiderata e amata, infinedopo averla percorsa la odiò.

Da quel 17 marzo del 2007 sonopassati quasi sei anni, ed ogni annocome un pellegrino ho portato i miei scisu uno dei fantastici percorsi che l’altaval Saisera e la Spragna offrono, ognivolta però l’occhio ricadeva su quellaperfetta linea bianca. Col passare dellestagioni la mia convinzione di poterlascendere aumentava al pari delle miecapacità. Un paio di volte sono stato vi-cino al sogno, ma non sono stato capa-ce di cavalcarlo fino in fondo.

Poi un giorno di novembre del 2011,chi cavalcò quel sogno se andò, la-sciandomi dentro un grande vuoto, unsenso di incompiuto. Ho cercato diriempirlo sempre più con ascensioni suroccia e su ghiaccio, ma l’inverno scor-so non mi ha permesso di riempirlo conl’elemento a cui era e sono più affezio-nato. La neve. Anche l’inverno e le no-stre montagne ne sono rimaste vuote.

Ho aspettato che passasse l’estatee i primi freddi di autunno. Ho aspetta-to e la neve è finalmente tornata, tantae leggera a coprire le cime e a riempirei canali, anche i più stretti, anche la“mia” linea bianca.

Dopo incredibili giornate passate ariemergere da una curva e dall’altra inneve profonda, nei boschetti da sognodel Tarvisiano, i tempi mi sono sembra-ti maturi. L’incertezza che caratterizza ilprologo a queste discese però è sem-pre tanta: sarà buona la neve, sarà ab-bastanza, forse troppa? Forse troppopericoloso, il bollettino dice pur sempretre…ma ho sciato, ho girato, osservatoe studiato, avevo la certezza che lecondizioni fossero perfette, ma ancoraun dubbio mi si insinuava nella testa.

Questa volta avevo bisogno diqualcuno con il giusto entusiasmo e lagiusta spensieratezza: per lasciare queldubbio a casa, chi se non Leo (Leonar-do Comelli), conosciuto appena qual-che mese prima ma con il ho passato

i baffi e la barba si ricoprono di ghiac-cioli. È meglio partire. L’ansia da primacurva oggi non c’è. Ho aspettato trop-po tempo per vivere questo momentoche l’ansia non trova posto nella miamente.

Inizio a scendere con leggerezza, laneve è buona, ma la pendenza moltoaccentuata, scendo 50 metri e facciosegnale a Leo di raggiungermi, di fareattenzione a quel punto dove c’è un po’di ghiaccio. Con questa modalità dacordata, scendiamo i primi 300 metri dicanale; ogni tanto mi fermo a misurarel’inclinazione del pendio, siamo semprelì tra 52° e 57°, finché non raggiungiamola cascata che blocca il passaggio.Aggiungiamo un cordino in kevlar allasosta e ci caliamo.

Finalmente il canale inizia ad addol-cirsi e un ultimo passaggio largo quan-to gli sci ci porta in una zona più ampia.

Ora, con la pendenza sensibilmentediminuita (45°), possiamo cominciare alasciar andare gli sci, curvoni semprepiù lunghi, sempre più veloci, la neve lopermette. Ad ogni curva un po’ di nevepolverosa insegue le code dei miei sci,con tanti cagnolini che cercano di mor-dermi raggiungo l’uscita del canale, unurlo e uno sguardo in alto mi stampanoun gran sorriso in faccia. Quando Leomi raggiunge la sua espressione non ètanto diversa dalla mia…ma non è an-

Sogni di polvereLa discesa del canalone Comicida forca Berdodi ENRICO MOSETTI

6 Alpinismo goriziano - 1/2013

V ulcani, sempre e solo vulcani, perfortuna spenti. Anche l’immensoArarat, visibile più omeno da tuttal’Armenia (forse per dispetto, visto

che non è più armeno pur essendone ilsimbolo) è un vulcano, ma non si vede,coperto com’è da una risplendente ca-lotta di neve.

Per noi “alpinisti” non èmale, la salitaè più dolce, ma il terreno è molto più in-fido e non c’è la minima “saldezza dipiede”: e se anche i colori sono spessomolto vivaci, la polvere rossa o nera èdappertutto. In compenso è più leggera ladiscesa, quando incontri le ghiaie, sonopiù morbide di quelle delle Dolomiti evieni giù anche meglio… Se invece in-contri i “gandoni” allora stai attento: an-che se sono enormi, sono più mobili diquelli delle Alpi! Oltretutto sembra di cam-minare sulla terracotta, anche se il ru-more sordo che senti sotto i piedi noncorrisponde quasi mai alla fragilità.

Visto che l’Ararat non è raggiungibiledall’Armenia, ci si accontenta dell’Ara-gats: non è sicuro un premio di consola-zione, si tratta pur sempre di un quattro-mila; e si possono salire anche altre cimeinteressanti, come l’Ajdahak o l‘Arai Ler,dal profilo che ricorda un volto umanodal naso aquilino, cosa che naturalmenteha alimentato leggende. O ancora ilVajots Sar, altro vulcano spento, ma chea memoria d’uomo sembra sia stato l’ul-timo in attività, nel X secolo della nostraera.

L’Ajdahak (o Azhdahak) è un bellis-simo monte di 3600 metri, che si saleprendendolo da lontano in mezzo ad im-mense mandrie di bovini e greggi di pe-core, pastori a cavallo e cani agguerriti: imalgari abitano in grandi tende militari,riunite a gruppi di due o tre, dove pas-sano tutta l’estate. Si tratta di pastori no-madi Yazidi, una minoranza etnica pre-sente da secoli in Armenia, che parla undialetto curdo ed ha una sua religione, evive completamente per conto propriocon il suo bestiame da cui trae tutto il suosostentamento; d’inverno calano daglialti pascoli nella grande pianura a norddell’Aragats.

Da una parte, dunque, questo pae-saggio bucolico: dall’altra rocce rotte instrane forme di lava solidificata, in mezzouna ripida salita che porta sull’orlo delcratere e alla sorpresa finale: un azzurris-simo lago al suo interno. Le tracce di pas-saggio sono poche, in cima un piccolo re-cinto e all’interno un’icona e un pugno dicandeline da accendere, ma solo per iltempo che si resta su: il vento non le la-scerebbe ardere per un minuto in più. Ladiscesa dall’altro versante offre anche lasorpresa di un residuo di neve, pur in sta-gione avanzata; il panorama è splendido,distese di pascoli ondulati a perdita d’oc-chio e… null’altro, in fondo azzurrissimala distesa del lago Sevan, l‘unica vasta di-stesa d‘acqua armena, e poi prati alternatia distese di basalto nero, è invitante sa-lire e scendere le varie cime che si pre-sentano agli occhi; sembra un gioco, an-che se non sempre agevole!

A metà strada, presso le tende deipastori, c’è il Paytasar, una collina aforma di ferro di cavallo, dove un vastocampo di incisioni rupestri ci sorprende inquesto luogo remoto, segno che antica-mente di gente se ne vedeva molta dipiù, o forse erano anche allora davveropochi quelli che si avventuravano cosìlontano dai villaggi per rendere omaggioa qualche dio della montagna o del fuoco.Secondo gli Yazidi, infatti, sul monte abi-terebbe unmalefico drago che ogni tantosi sveglierebbe per vomitare fuoco: e sullependici del monte ci sono le cosiddette“pietre di drago”, naturalmente lava soli-dificata che doveva avere una grande im-portanza nei riti pagani.

Il monte più alto dell’Armenia di oggiinvece è l’Aragats, che con i suoi 4090metri di altezza presenta un altro tipo diapproccio, oltre ad un’altra morfologia eprobabilmente un’altra composizionedelle rocce. L’Armenia storica aveva

come vetta più imponente l’Ararat, di1200 metri più alto, che anche oggi ri-mane il simbolo agognato e indubitabil-mente più bello, ma che si trova in Tur-chia, dopo le terribili vicende politiche eumane vissute da questi due paesi negliultimi cent’anni.

L’Aragats, dunque, dall’aspetto di undente cariato, con l’immenso cratere con-tornato dalle varie cime più o menoaguzze. Fino a 2800 metri dal versantemeridionale ci arriva anche una strada esulle rive del Kari Lych c’è addirittura unosservatorio sismologico con tanto diostello, ma per raggiungere la cima poi bi-sogna ridiscendere nell’antico cratere etutto il bello del “facile avvicinamento”va completamente perso… Così rimanebellissimo e terribilmente solitario (trannele immancabili mandrie con relativi pastorinelle tende e numerosi enormi cani perfortuna molto obbedienti ai padroni) ilversante orientale, la gola di Ghegarot(Gola bella), direzione verso la quale ilcratere si è distrutto e la lava si è rove-sciata inesorabile verso valle: i torrenticon le loro cascate hanno eroso la teneraroccia e ne sono usciti i minerali di tuttele sfumature dal verde al giallo, accantoa pascoli erbosi che si innalzano fino ai

3000metri per poi diradarsi sotto le ghiaierosse e nere. Secondo la leggenda, S.Gregorio l’Illuminatore, la prima autoritàsuprema della chiesa Apostolica Armena,pregava qui, presso le tre cascate for-mate dalle acque vulcaniche, alla lucedella misteriosa «lampada dell’Illumina-tore» che miracolosamente risplendevanella notte.

Appena una traccia di sentiero, qual-che ometto, e si sale a vista. L’ultima ri-pida salita è decisamente infida e antipa-tica, i sassi rotolano sotto i piedi, simuove tutto, bisogna salire velocementema il fiato un po’ manca… e poi ecco lacima, un mucchietto di pietre, una botti-glia di plastica che contiene un paio dicarte con i nomi dei pochi che sono arri-vati fin qui.

La salita da questo versante è certa-

che spicca sulla cresta del monte puòrassomigliare al profilo di un naso aqui-lino, ci vuole un po’ di fantasia e la vogliaappassionata di trovare il perché alleforme della natura…

Ma anche per salire questo monte (di2800 metri soltanto) bisogna fare i conticon i vasti pascoli stepposi che lo cir-condano e che salgono lentamente fino a2300metri per poi prendere finalmente unandamento un po’ più deciso verso l’alto.Resti abbandonati di insediamenti dell’e-poca sovietica accompagnano all’inizio lasalita, abbeveratoi per il bestiame, murettia secco per contenere la terra, e poi piùsu boschetti di sorbi e roverelle, nei val-loncelli ben protetti dal vento. La monta-gnamostra una gran varietà di strati geo-logici, formazioni rocciose di basalto sulpendio orientale e campi di “grandine di

arrivata anche qui. Una volta saliti, meritaperò fare un’incursione verso il fondo delcratere, proprio lì dove si dovrebbe tro-vare la bocca di fuoco, e qui si scopronole rovine di una cappellina: romitaggio?Oppure solo la speranza di placare le po-tenze distruttive del fuoco? In lontananzaverso sud si scorgono le rovine di un vil-laggio distrutto interamente da un’eru-zione dimenticata.

Resterebbe ancora l’Ararat: troppobello e troppo lontano, oltretutto in un al-tro Paese dove dall’Armenia non c’è pos-sibilità di entrare. Bisogna andarci daun’altra parte. E allora vedremo con unpo’ di nostalgia tutti i “nostri” monti chesembreranno da lassù piccoli piccoli,come da qua ci sembrano così alti e so-litari.

mente molto lunga, (quattro o cinque orecomeminimo), e si dorme in tenda perchénon c’è alcun’altra possibilità; ma èmoltoremunerativa, per la varietà dei paesaggie del panorama, per l’impressione di lon-tananza da tutto e soprattutto per l’asso-luta casualità del percorso: se ci fossestata la nebbia…

Da quassù si ammira tutta intera la“cintura di fuoco”, sono tutti in fila i montidi chiara origine vulcanica della catena diGeghama, che trae il nome da Gegham,il pronipote di Noè, e si estende per unalunghezza di 70 km; sono monti che sipossono salire con estrema facilità,hanno un’altezza media di 2500 m, ma sideve avere a disposizione molto tempo,a causa dei lunghissimi avvicinamenti.

Ed ecco laggiù l‘Arai Ler (il monteAra), inconfondibile per il suo “naso” dibasalto nero: la leggenda dice che c’eranell’Armenia di tanto tempo fa il principeAra Geghetsik (Ara il bello), così bello dafar innamorare la regina assira Semira-mide che lo volle per sé; al suo rifiuto, laregina fece un malefico incantesimo edecco sorgere il monte Ara, che ripete fe-delmente le fattezze dell’eroe, sdraiatonel sonno eterno in attesa del risveglio.Effettivamente, il blocco di basalto nero

pietra“, cioè spruzzi di lava solidificati. Ilpaesaggio stepposo che caratterizzatutta l’area non è tuttavia sinonimo di ari-dità: l’acqua scorre e anche abbondante,dicono che è un’acqua buonissima eforse per questo i monasteri e gli eremipiù isolati che sono riusciti a sopravvivereper secoli sorgono sempre in posti ca-ratterizzati da sorgenti perenni e abbon-danti.

Anche il Vayots Sar (2581m.) si ergein mezzo ad un territorio di pascoli e in-sediamenti rurali o veri e propri paesi,che ci sembrano terribilmente isolati purse uniti da una strada non propriamenteagevole: antico vulcano oggi estinto, lacui ultima attività come già notato si fa ri-salire al X secolo, offre dalla sua cimaperfettamente circolare un bellissimo pa-norama su un altopiano disseminato dipietre vulcaniche rosse e grigie, oltre chenaturalmente sui pascoli dove stavoltadominano i cavalli in mezzo ad una di-stesa cangiante nei suoi colori di erbeche si muovono al vento. Un sentiero bentracciato mostra che deve essere unameta abbastanza frequentata, nono-stante la lontananza da insediamenti opaesi, ma ci sono addirittura tracce diruote, magari la moda dei fuoristrada è

Altri monti

Aragats e gli altridi LUISA NESBEDA

FFoorrmmaazziioonnii bbaassaallttiicchhee ssuullll’’AArraaggaattss ((ffoottoo FFaabbiioo SSmmuunnddiinn))..

Alpinismo goriziano - 1/2013 7

“Bepo” al fronte sul Robon.

Corrispondenza dalla prigionia di Bepo ai famigliari.

Uno dei collages.

della Croce Rossa inviate ai familiari pro-fughi a Fano, ricorre con insistenza la ri-chiesta di invio di pacchi viveri. Ed è statointeressante trovare tra gli oggetti ripor-tati dalla prigionia anche un rudimentalebilancino di legno usato per la suddivi-sione in parti uguali della razione giorna-liera del pane destinato a più persone.

Ho conosciuto il caporale Bepo allafine degli anni '50. Era rimasto "alpino"nello spirito ed anche da anziano parte-cipava con entusiasmo a tutte le adunatedell'ANA col suo vecchio cappello. Nonl'ho mai sentito parlare di guerra e tantomeno della Prima e, seppur vissuto pertanti anni nell'Alto Canal del Ferro non eramai ritornato sulla montagna della "sua"guerra.

È scomparso nel 1976 ed ha portatocon se tante storie mai dette e forse tantiricordi tristi della sua giovinezza.

Oggi, come ho già accennato, sistanno organizzando grandi celebrazionie festeggiamenti per la ricorrenza del2014 ma non ho sentito parlare dei tan-tissimi caduti che dovrebbero essere ri-cordati per primi e degnamente comme-morati oltre la ricorrenza della data sto-rica…ma sarebbe doverosa anche unaseria riflessione sull'impressionante sa-crificio di tante vite!

Immagino a tal proposito che po-trebbe essere una dimostrazione di ri-spetto ricordare tutti i caduti su questeterre semplicemente con una solenneS.S. Messa nel Santuario del M. Lussari,per qualche momento di profondo rac-coglimento e di preghiera in loro onore,lassù, nella pace dei monti. Penso che ilvero ricordo abbia bisogno di intima esincera meditazione e non di retorici di-scorsi!

Ricordi della Grande Guerra

L’alpino Bepo... dal Robon aWitkowitz in Moraviadi CARLO TAVAGNUTTI - GISM

È in atto, da qualche anno, unastraordinaria produzione editorialesulla Grande Guerra con ricostru-zioni storiche sempre più detta-

gliate e nuove interpretazioni di avveni-menti sui quali i vari autori cercano difare definitive chiarezza! Ed in questocontesto, all'avvicinarsi del centenariodall'inizio del conflitto, c'è una meticolosaricerca di "nuovo materiale" riguardantequelle tragiche giornate che sconvolseroanche le nostre terre provocando tantesofferenze, inaudite atrocità ed una infi-nità di vittime.

Hanno rivisto così la luce, dopo annidi oblio, riaffiorando da scatole dimenti-cate, importanti documenti, diari inediti,foto ricordo, "piccole vere storie" che iltempo aveva relegato nel dimenticatoiodelle nostre memorie.

È avvenuto così anche curiosandotra i ricordi di famiglia del signor GiovanniBattista detto "Bepo".

Nativo di Moggio Udinese, classe1891, all'inizio delle ostilità venne arruo-lato nel 8° Reggimento Alpini con matri-cola n° 37257 ed inviato al fronte sul-l'arco alpino orientale.

Da alcuni documenti ed oggetti origi-nali conservati con cura e dalle notizie ri-ferite ai familiari nel corso degli anni si èpotuto ricostruire, per sommi capi, le suevicissitudini in quel triste periodo pas-sato dalla prima linea sulle Giulie alla pri-gionia in Boemia.

Da qualche lontano ricordo dei figli,Bepo con il suo reparto avrebbe operatoinizialmente, per brevi periodi, nei settoridi Passo Monte Croce Carnico ed inquello di Val Dogna sui monti di Malbor-ghetto, ma di essere stato poi dislocatostabilmente, con la 269a Comp. del Btg."Val Fella", a presidiare la zona del MonteRobon nel settore di Sella Nevea.

Lassù, a differenza del quasi omo-nimo e non lontano Monte Rombon, tea-tro di sanguinosi combattimenti, le ope-razioni assunsero il carattere prevalentedi "guerra di posizione" con rari cruentiscontri ravvicinati ma con attività orien-tata piuttosto al mantenimento e raffor-zamento delle posizioni raggiunte dalleforze contrapposte.

Non per questo la zona poteva con-siderarsi tranquilla e senza pericoli; oltread imprevedibili azioni isolate di pattuglienemiche che si muovevano a ridossodelle nostre trincee ed alle pericolose fu-cilate dei cecchini, c'era la snervante econtinua attività dell'artiglieria che bat-teva, anche con grossi calibri, gli obiettivitattici sia in prima linea che nelle retrovie,causando non poche vittime e disagi trale truppe schierate sull'ampio ed artico-lato settore di Nevea.

Sul tratto di fronte assegnato alla269a Comp., che comprendeva ilM.Robon con la sella omonima e zone la-terali adiacenti; su quelle rocce impervie,raccontava "l'alpino", furono eseguiti im-ponenti lavori per il trinceramento, il rico-vero e la viabilità che impegnarono dura-mente tutti gli uomini della Compagnia equelli di altri reparti aggregati, tra i qualiil genio minatori, per realizzare un effi-ciente complesso difensivo e contrastareil vicino munitissimo caposaldo austriacodella Mogenza Piccola.

Il presidio di quel tratto di fronte com-portava continuo impegno e non pochi di-sagi per tutti gli uomini ai quali rimane-

vano rari momenti di vero riposo. Bepo havissuto tra quelle trincee, in quei ricoveriper quasi due anni e di quel periodo haconservato, e riportato dal Robon, unasola foto che lo ritrae col fucile in posi-zione di puntamento e diverse cartolinepostali decorate con simpatici collages dicarte colorate e composizioni con fiorialpini secchi.

Poi, alla fine d'ottobre del 1917 i fattidi Caporetto e la conseguente dramma-tica ritirata di tutte le forze del settorelungo la stretta Val Raccolana sulla diret-trice Tolmezzo-Canale di San Francescoove confluivano anche tutti i reparti schie-rati sul fronte "Fella-Giulie" e moltissimicivili, intere famiglie che abbandonavanole loro case!

Tristissime e concitate giornatequelle vissute dalle truppe, tra marce for-zate, perdita di collegamento con le unitàdi riferimento e le molte incertezze sulfuturo.

Ed a peggiorare il quadro degli avve-nimenti le avverse condizioni atmosferi-che con neve in quota e pioggia battentein pianura.

La 269a Comp. si riunì alla periferia diVerzegnis e là, assieme ad altri reparti, fuorganizzato un tentativo di resistenza alle

avanguardie nemiche che incalzavano lenostre retroguardie…ma nuovamente inmarcia lungo il Canale di San Francescoe verso la località di Pielungo ove le no-stre ultime unità in ripiegamento senzacoordinamento dei Comandi e supportologistico non riuscirono ad aprirsi una viaverso il Piave e, nonostante singole valo-rose azioni offensive vincenti, dovetterocedere alle forze austriache risalite daClauzetto a sbarrare la ritirata ai nostri re-parti. E fu la prigionia per centinaia disoldati.

Era il 6 novembre e anche il nostroalpino seguì la stessa sorte e con nume-rosi commilitoni, dopo una lunghissimaodissea fatta di estenuanti marce di tra-sferimento ed un avventuroso viaggio intreno merci che durarono molte giornate,approdò finalmente nel campo di prigio-nia nella cittadina di Marchtrenk (Alta Au-stria) e quindi nella lontana Moravia aWitkowitz.

Lavorò per molto tempo,fino al no-vembre 1918, in uno stabilimento side-rurgico che produceva materiale bellico.Di quel periodo i suoi ricordi ricorrenti siriferivano sempre alla fame patita in queilunghi mesi di permanenza in quella terralontana. Infatti nelle numerose cartoline

8 Alpinismo goriziano - 1/2013

Un po’ di geologia

Eppur si muove... ovvero lavera storia della Val Bordagliadi FULVIO IADAROLA

Q uante volte, percorrendo i sentieridelle nostre montagne, abbiamoincontrato strati rocciosi inclinatio addirittura verticali? È la norma.

Eppure gli strati rocciosi, derivati per lopiù dal deposito per gravità di sedimentitrasportati da fiumi o dal vento nel re-cettore finale che solitamente è un ba-cino marino, in origine erano orizzontalie, appunto, posti sotto il livello del mare.Quindi qualcosa ha inclinato, deformatoe portato ad emergere quei sedimenti equesto qualcosa dev’essere estrema-mente potente, tanto da coinvolgeresempre amplissimi territori e legato almovimento reciproco tra le zolle cro-stali.

Riprendiamo il “racconto” dalle pre-cedenti puntate mettendo sotto la lenteil settore più nordoccidentale della no-stra regione. Abbiamo già visto nellepuntate precedenti come si fossero ac-cumulati, nell’area che poi diventerà laregione carnica, 4000 m di sedimenti in150 milioni d’anni (Ma), dall’Ordovicianoal Carbonifero e come nel Carbonifero,circa 310 Ma fa, la sedimentazione s’in-terruppe bruscamente, geologicamenteparlando. Le terre emerse da cui prove-nivano i sedimenti si trovavano a Nord ea NordOvest dell’area carnica (Tirolo,Cadore, Lombardia settentrionale) che aquei tempi era ancora ricoperta dalmare; queste regioni erano emerse per-ché già inserite nel processo orogene-tico (= formazione delle montagne) cheaveva portato al sollevamento di unaparte dell’Europa settentrionale (l’oro-genesi ercinica o varisica) e che proce-deva incessantemente verso Sud e Su-dEst. All’epoca, le due Americhe eranoancora unite tra loro e quella meridionaleformava un tutt’uno con il continenteafricano mentre il territorio carnico eraposto ai margini, sul bordo dell’oceano.

Quando le deformazioni raggiunseroil territorio carnico era il Carbonifero,310 Ma fa, e si manifestarono con in-tense sollecitazioni sismiche, ben supe-riori a quelle del sisma friulano del 1976.Le forze compressive ebbero nella no-stra regione una componente principalediretta verso NordEst che interruppe ladeposizione del Flysch ercinico e causòl’inarcamento degli strati rocciosi a for-mare inizialmente gigantesche pieghe asviluppo chilometrico (stile a macro-pie-ghe asimmetriche), che poi si accavalla-rono una sull’altra verso SudOvest,lungo piani di scollamento a media in-clinazione (stile a scaglie tettoniche em-briciate); tutto ciò produsse un raccor-ciamento del territorio carnico che si ri-dusse a un quinto dell’originale, vale adire che quello che prima era distribuitosu 80 km ora era compresso in 16!!

Tutta l’alta Carnia (e la Carinzia), dalM. Coglians alla Cima Avostanis, al Zer-mula, al M. Cavallo, al M. Cocco e a Sudal M. Crostis, porta con sé le testimo-nianze dell’orogenesi ercinica. Il gruppodel Coglians, ad esempio, è un’evidentepiega, cui l’attuale Vallone delle Chiane-vate rappresenta l’asse mentre i depositiinclinati del Flysch ercinico, erbosi, siadagiano sui suoi fianchi. Anche il Pizzoe la Creta di Timau sono i fianchi di unamacro-piega, divisa in blocchi dalla suc-cessiva orogenesi alpina.

Quasi al termine delle spinte oroge-netiche erciniche, l’intensità degli sforzicondusse all’attivazione della più impor-tante faglia di tutto il complesso alpino,la Linea (o faglia) Insubrica che coincidecon la vallata della Gail-Pusteria; è im-portante perché separa due blocchi cro-stali, l’australpino o zolla europea a Norde le Alpi Meridionali a Sud, appartenentialla zolla africana. Lungo la Linea Insu-brica si produsse un movimento per lopiù orizzontale (trascorrenza) che con-sentì lo scorrimento verso Ovest delblocco crostale meridionale il quale peròincontrò il grosso ostacolo costituitodalle rocce intensamente deformate e ri-cristallizzate (metamorfosate) del settorecadorino, presenti fino al Monte Avanza

e a Fleons. L’intensificarsi delle spinteorogeniche produsse su questo frontedapprima la formazione di pieghe sem-pre più compresse e poi, superato il li-mite di rottura, una importante frattura abassa inclinazione ad andamento Nor-dEst-SudOvest che divenne piano discorrimento lungo il quale il settore orien-tale (carnico), con le sue rocce sedimen-tarie, si infilò letteralmente sotto quelloveneto metamorfico, che lo ricoprì; que-sta fascia di frattura e “accavallamento“coincide con la Val Bordaglia, posta aNord di Forni Avoltri, e da essa prende ilnome (faglia, o meglio, faglie della ValBordaglia), che si estende anche fuoriregione, a Nord fino alla Gail e a Sud finoa Pieve di Cadore e oltre. Si pensi che èin tal modo scomparsa una porzione diterritorio “carnico” di circa una decinadi chilometri formata da rocce ordovi-ciane-devoniane-carbonifere, i cui ultimilembi, poco deformati in confronto al set-tore veneto, li incontriamo ora subito aEst della valle. Salendo infatti alla Ca-sera di Bordaglia di Sopra si camminasulla fascia di dislocazione; a destra (Est)c’è la porzione di rocce sedimentarie delpaleozoico carnico e del Trias inferiore,che formano il Massiccio del Volaia, diCima Ombladet, del Coglians ecc., in cuiè perfettamente distinguibile la stratifi-cazione delle rocce mentre sulla sinistra(a Ovest e a Nord) quelle metamorfiche,di composizione in origine simile alle pre-cedenti ma ricristallizzate a temperaturadi almeno 400 °C, tanto da formare“marmi” e “filladi” in cui la stratificazioneè assente o visibile con estrema diffi-coltà; compongono la Creta di Borda-glia, il Navagiust, il Navastolt, e ancora ilMonte Avanza, il Chiadenis e il Peralba.

L’orogenesi ercinica durò una de-cina di milioni d’anni, pochissimi se-condo l’orologio geologico, ma deformòin modo intenso tutto il settore nordoc-cidentale della nostra regione; poi siesaurì e alla fine del Carbonifero la sto-ria deposizionale riprese, formando altriambienti e altri scenari. Movimenti verti-cali produssero lo sprofondamento delsettore di Forni Avoltri che venne invasodalle acque e dai materiali solidi che leacque trasportavano dalle terre emersecircostanti, sempre presenti a Nord e aNordOvest.

Per 250 Ma tornò una calma relativa,

Bordaglia che si mossero per lo più oriz-zontalmente (movimento trascorrente)consentendo lo spostamento del set-tore a oriente della faglia di decine dichilometri verso Nord, producendodeformazioni e sollevamenti delle for-mazioni rocciose presenti e sovrappo-nendosi in parte ai piegamenti ercinici.

Attenzione: più a valle, dalla catenacarnica all’attuale fascia pedemontana,la compressione alpina ha provocatosollevamenti, pieghe e accavallamentiche si propagavano (e si propagano)verso Sud, favorendo la formazione didorsali montuose e valli con il caratteri-stico sviluppo Est-Ovest prevalente.Tale stile tettonico lo si ritrova anche aldi sotto della pianura, con i fronti piùavanzati nella Bassa Pianura e nel Golfodi Trieste.

Nel Pliocene, circa 5 Ma fa, le dire-zioni di spinta cambiarono e divenneroSudEst-NordOvest, quindi perpendico-lari all’andamento delle faglie della ValBordaglia le quali vengono riattivatecome faglie di compressione; il movi-mento portò alla chiusura definitiva delbacino marino di Forni Avoltri e alla ul-teriore deformazione e allo spostamentodelle aree contermini.

Ma da lì a poco, qualche chilometropiù a Sud, le spinte alpine produsseroqualcosa che cambiò profondamente ilterritorio settentrionale della regione;una delle grandi pieghe a sviluppo Est-Ovest cominciò a fratturarsi e a trasfor-marsi in sovrascorrimento, che non pro-dusse grandi sollevamenti ma fu capacedi scorrere e di ricoprire in tal modo 20km di territorio! È la faglia di Sauris, chesi sviluppa tra Sauris, Ovaro e ArtaTerme. Essa generò, a Nord, una se-conda faglia, sempre a sviluppo Est-Ovest, che congiunge Comeglians, Pa-luzza e Paularo e per questo chiamataLinea Comeglians-Ravascletto; questasì che produsse un sollevamento, tantoelevato da traslare le antiche rocce pa-

con “normale” deposizione di circa 7000m (!) di nuovi sedimenti; finché, circa 50Ma fa, iniziarono ad accentuarsi nuovespinte crostali, sempre più potenti, chediedero inizio ad un nuovo periodo pa-rossistico, l’orogenesi alpina, che hasconvolto profondamente tutta la re-gione, coinvolgendo tutte le formazionirocciose esistenti, ed è tuttora in corso.

L’orogenesi alpina ha la caratteri-stica di avere conosciuto, lungo la sualunga storia (50 Ma rispetto ai 10 Madella orogenesi ercinica), almeno tre va-riazioni delle direzioni di spinta crostali,da quelle SudEst-NordOvest all’inizio aquelle SudOvest-NordEst nelle fasi piùrecenti, passando per quelle intermediecon direzione Nord-Sud, le più potenti,avvenute nel Miocene, circa 20 Ma fa.

Sia le pieghe che le faglie sono zonedi debolezza della meccanica e tali ri-mangono; ciò vuol dire che le nuove

spinte crostali “scaricano“ la loro ener-gia preferibilmente sulle stesse fasce aminore resistenza, riattivando quindi lestesse faglie. Nel Miocene, infatti lespinte compressive dirette verso Nordriattivarono proprio le faglie della Val

leozoiche poste in profondità su quellemesozoiche e consentire all’erosione diportare a giorno la Catena Paleocarnicacome noi oggi la osserviamo.

E poi i marinai dicono “scendiamosulla terra ferma”...

FFiillllaaddii,, rrooccccee mmeettaammoorrffiicchhee ddii bbaassssoo ggrraaddoo cchhee ssii oosssseerrvvaannoo iinn bblloocccchhii ssppaarrssii nneell ffoonnddoovvaalllleepprreessssoo llaa ssoorrggeennttee ddii FFlleeoonnss.. (foto archivio F. Iadarola).

IIll LLaaggoo ddii BBoorrddaagglliiaa vviissttoo ddaall sseennttiieerroo 114422 aallllaa bbaassee ddeellllaa CCrreettaa ddii BBoorrddaagglliiaa;; ssuullllaa ddeessttrraa ((NNoorrdd))ddeell llaaggoo aaffffiioorraannoo rrooccccee mmeettaammoorrffiicchhee mmeennttrree ssuullllaa ssiinniissttrraa ((SSuudd)) qquueellllee sseeddiimmeennttaarriiee ddeellDDeevvoonniiaannoo ee ddeell TTrriiaassss.. (foto archivio F. Iadarola).

Alpinismo goriziano - 1/2013 9

zare un “incontro a due voci”, traCecotti e gli “slow trekkers” del CAI.L'incontro si è svolto il 3 ottobre 2012,nella sala conferenze, messa a dispo-sizione dalla Fondazione Cassa diRisparmio di Gorizia.

Numerosi gli spunti di conoscenzaemersi, ma mi piace ricordare alcunipoco noti:

ad indicare il confine traRepubblica di Venezia (a ovest) eImpero d'Austria (ad est) intorno al1750, oltre al famoso cippo diFogliano, c'è un altro a Livek, sopraCaporetto, sul Kolovrat; e un terzo c'èin val Rio del Lago, vicino a SellaNevea e questo stesso cippo ha conti-nuato ad indicare vari confini neglianni successivi, fino a quello dal 1866al 1919 tra Regno d'Italia e ImperoAustro-ungarico;

tra il 1945 ed 1947 la Venezia Giuliaè stata divisa in zona A (prevalente-mente italiana) e zona B (prevalente-mente slovena), lungo la cosiddettalinea Morgan, sotto il Governo MilitareAlleato; dopo il 1947 la zona B ed unpezzo della zona A (con Plezzo,Caporetto, Comeno) è passata sotto laJugoslavia; per questo motivo aGorizia, Trieste e Monfalcone non si èpotuto votare per il Referendum istitu-zionale del 2 giugno 1946;

dal 1947 al 1954 è stato istituito ilTerritorio Libero di Trieste, suddivisoin zona A (rimasta poi all'Italia) e zonaB (rimasta poi alla Jugoslavia); ricordidel confine tra Italia e zona A sono vi-sibili al Museo del Villaggio delPescatore, insediamento nato proprioin quell'epoca per ospitare una partedegli esuli dall'Istria;

infine una curiosità su uno dei con-fini più stabili: il confine attuale Italo-Sloveno (cioè dal 1947), nel tratto cheva circa dal monte Canin fino aMernicco, passando per il Matajur elungo l'alto Judrio, è lo stesso chec'era tra il 1866 ed il 1919 tra Regnod'Italia e Impero austro-ungarico; ed inparte anche prima, tra RepubblicaVeneta e Regno d'Austria.

I l 27 gennaio 1983 alle ore 17,45 localila spedizione goriziana della nostrasezione raggiungeva la vetta del CerroMercedario (6770 m) nelle Ande Ar-

gentine lungo una nuova via di salita chepercorre la cresta sud-ovest. Sono passati30 anni da quella bella avventura dei nostrialpinisti e gli echi di quegli avvenimentioramai lontani rimangono tra i nostri ri-cordi più cari. Per rivivere quell'importanteimpresa trascriviamo, per gentile conces-sione, alcuni brani dal volume VientoBlanco dato alle stampe nel 2010 dal no-stro socio e componente di quella spedi-zione Rudi Vittori - GISM (C.T.).

La ricerca dei grandi silenzi, deglispazi incontaminati, della natura selvaggia,sono alcune delle componenti essenzialiche l'uomo va cercando nell'alpinismo. Ilsilenzio dei grandi spazi non coinvolti neimutamenti ecologici, l'essenziale ritornoalla natura procurato da un esasperantetecnicismo che ci fagocita e nel quale riu-sciamo sempre meno a trovare spazi perrealizzare i nostri bisogni più naturali, sonoi principali motivi del ritorno dell'uomo allagrande montagna.

Ma questi spazi sulle nostre Alpi sistanno sempre più restringendo, il terrenodi gioco sta per essere lentamente ma ine-sorabilmente soffocato da un sempremaggior sfruttamento turistico delle vallialpine con costruzione di funivie, strade,alberghi, da una parte, e da un boom veroe proprio dell’arrampicata su roccia, ri-dotta a semplice attività atletico-sportiva,sempre grazie alle moderne strutture chepermettono rapidi avvicinamenti alle paretie, molto spesso, comodi rientri in funivia.

L'alpinista classico, quindi, cerca diricrearsi le situazioni dello scorso secolo,prova a rivivere nell'età pionieristica delleAlpi, e per farlo se ne va alla ricerca divalli sconosciute ed inesplorate in terrelontane.

Questo è stato anche il nostro caso,nove amici che, chi con più chi con menocapacità alpinistiche, se ne sono andatialla ricerca di una cima dove sia ancorapossibile sostare ascoltando l'eterno si-lenzio dei monti.

…..(Dal diario di Fabio Algadeni)Siamo seduti all'aeroporto di Fiumi-

cino a Roma durante la snervante attesadell'aereo che dovrà portarci a casa. Al-l'aeroporto di Ronchi saranno in molti adattenderci, forse più gente ancora di quellache è venuta ad accompagnarci alla par-tenza. Siamo giunti a Roma alle 11 e 30

dell'undici febbraio, sono le venti, noveore di lunga attesa.

Molti sono i pensieri che si accavallanoin questi momenti, molte le idee. Ma megliodi me lo ha saputo fare, ancora, Fabio:

"Questo lungo viaggio attraversomezzo mondo è stato anche un viaggiolungo all'interno di me stesso e dei mieisentimenti.

Mi sembra comunque di esserneuscito bene.

Pulito e psicologicamente integro,forse anche rinato.

Spero di aver mantenuto e guada-gnato la stima delle persone con cui hovissuto questi giorni.

È stata sinceramente una grossaesperienza, nostra, fuori dal giro dei pos-sibili viaggi organizzati e quindi irripetibile.Momento forzatamente unico e non foto-copiabile, con i suoi errori e con i momentidi splendore e gioia.

Debbo confessare che ho riso anchemolto in questa spedizione, di gusto, comenon mi accadeva da molto tempo.

L'avventura si conclude oggi e già sicolora delle sfumate immagini del ricordo,di quello che è stato. Forse anche per il ca-rattere di eccezionalità che tutto riveste.

Tutto è stato così normale ma anchecosì strano al tempo stesso.

Sapevamo più o meno consciamenteo consapevolmente di vivere una vicendacon connotazioni epiche od eroiche, robache altri hanno descritto nei libri di alpini-smo, nella storia delle spedizioni.

Ma in fondo tutto è passato, conditodal nostro dialetto e dalla nostra amicizia,fluidificato dal nostro affiatamento.

Non c'è stata nemmeno una lite degnadi questo nome tra di noi e anche questoè anormale per le spedizioni.

La nostra è stata una spedizione arti-gianale, fatta in casa da nove persone, tral'incredulità generale, e portata a compi-mento con pieno successo e in modo chedefinirei brillante.

Partita in sordina, probabilmente,adesso che è andato tutto bene, parecchisi butteranno sopra per dividersi bricioledei meriti prima inesistenti.

Per me l'esperienza è stata vissuta,l'importante è esservi stato, innanzituttoaver avuto il coraggio di partire, aver avutoil fegato di iniziare una simile storia, conspirito di avventura, per mettere piede in-sieme sopra ad una piccola parzione dimondo che finora non era mai stata cal-pestata da piede umano.

- Doctor Livingstone, I suppose -".

D ove stavano esattamente i con-fini tra Italia e Jugoslavia primadella seconda guerra mon-diale? E dove stavano prima

della prima guerra mondiale tra Regnod'Italia e Impero austro-ungarico? Edove stavano ancor prima, nell'Otto-cento ed all'epoca della Repubblica diVenezia? La tal località stava di qua o dilà? Non è semplice scoprirlo anche per-ché sui libri i nomi sono citati talvolta intedesco, piuttosto che in italiano o insloveno, senza traduzione, e le vecchiedenominazioni cadono spesso in di-suso. Inoltre i libri di storia narrano fatti,eventi e località senza capire bene dovequeste località si trovano nella realtà,oggi.

A queste lacune e curiosità rispon-de egregiamente un ponderoso studiodel prof. Franco Cecotti, dal titolo Iltempo dei confini - Atlante storicodell'Adriatico nord-orientale nel conte-sto europeo e mediterraneo 1748-2008, pubblicato nel novembre 2010dal IRSML, l'Istituto Regionale per gliStudi del Movimento di Liberazionedel Friuli Venezia Giulia.

A questo punto si dirà: con questoargomento cosa c'entrano gli escur-sionisti seniores del CAI goriziano?

La risposta è semplice! Durantepoco meno di due anni di attivitàescursionistica nei nostri territori cisiamo spesso imbattuti i numerosi“segni” o “testimonianze” dei confininelle varie epoche storiche. Cippi, ga-ritte, caserme diroccate, insediamentimontani abbandonati, cappellette, la-pidi ricordo ecc. Nasce così sponta-nea la curiosità di capire a quali fatti, aquale periodo storico questi “segni” siriferiscono. Da ciò emerge automaticoil collegamento col testo di Cecotti,con le sue mappe dettagliate e le tra-duzioni dei toponimi nelle varie lingue,inquadrate nei vari contesti storici.

Per mettere a disposizione di tutti,anche all'esterno dell'ambito CAI,questi documenti e le foto dei repertiincontrati “sul campo”durante leescursioni, abbiamo deciso di organiz-

I componenti della spedizione al campo base. Da sinistra: Mario Tavagnutti, Mauro Collini,Cristina Tavano, Sergio Fighel, Fabio Algadeni, Enzo Collini, Vittorio Zuppel, VittorioAglialoro, Rudi Vittori.

Cerro Mercedario versante S.O. (acquerello di Franco Dugo).

“Viento Blanco”... a trent’anni dalla spedizioneal Cerro Mercedario

Gli escursionisti seniores ed i confinidi ELIO CANDUSSI

10 Alpinismo goriziano - 1/2013

nomi, dei sentieri e degli itinerari.Solamente i toponimi sono oltre 7000,ai quali vanno aggiunti 250 tra sentieri eitinerari.

La carta diventa così uno "strumen-to di lavoro" per l'escursionista sulcampo ma, prima ancora, nella como-dità della propria casa, un libro apertosul territorio e le mille (o 7000 e oltre)storie, interessi e curiosità che questooffre.

Se un appunto si può fare a questacarta è solamente sulle dimensioni, ve-ramente notevoli. Né però poteva esse-re altrimenti. Misure che la rende un po’scomoda per l'uso sul campo. Ma que-sto è un pegno ben piccolo da pagarein cambio dei dettagli e delle informa-zioni che offre.

Diventerà così davvero arduo perl'escursionista, anche il più sbadato,smarrire la retta via. Viceversa, proprionella tranquillità della propria casa, puòdiventare uno strumento per perdersi,piacevolmente e in tutta sicurezza, trale infinite informazioni, notizie, sugge-stioni. E, alla fine, ritrovarsi più ricchi.

Vero scidi MARKO MOSETTI

D a almeno un decennio stiamoassistendo ad un grande ritornodel "vero sci" su tutto l'arco al-pino. Piste sempre meglio pre-

parate, battute, tirate come tavole da bi-liardo, impianti di risalita veloci e di altacapacità, un après ski che porta alle altequote i vezzi e i vizi delle città, se da unaparte hanno richiamato sempre più neo-fiti nel contempo hanno contribuito nonpoco ad allontanare, indirizzandoli adaltre discipline, i puristi dello sci.

Lo sci ludico, sportivo, nasce e sisviluppa cercando di mantenere un col-legamento, un rapporto tra lo sciatore el'ambiente naturale. Da un certo mo-mento in avanti questo rapporto si fasempre più sottile, labile, effimero, finoa poter essere completamente dimenti-cato. Come spiegare altrimenti le garedi slalom su discesa artificiale in centrocittà a Mosca, o quella progettata alCirco Massimo a Roma, o le piste co-perte all'interno dei centri commercialianche in pieno deserto saudita.

Sempre più pistaioli pentiti hannocosì rinunciato a skipass e impianti per

convertirsi alle pelli di foca e al fuoripi-sta.

L'area della montagna dolomitica èstata all'avanguardia in Italia nello svi-luppo dello sci da pista e del turismo adesso collegato, nel bene e nel male. Equindi, nella stessa maniera tra quellemontagne si sviluppa e prende vigoreproprio questa nouvelle vague delloscialpinismo.

Ne sono ben consci EnricoBaccanti e Francesco Tremolada,Guide Alpine della Val Badia, tanto damandare in libreria Scialpinismo inDolomiti, una nuova raccolta di itinerariscialpinistici. Tremolada è già noto agliappassionati per essere l'autore diun'altra guida Freeride in Dolomiti chein breve è giunta alla seconda edizione.

Nella nuova selezione gli itinerariscialpinistici nei principali gruppi dellezone centrali e settentrionali delleDolomiti compresi tra il passo SanPellegrino, il lago di Braies, l'Antelao ele Odle, sono illustrati e descritti in unavarietà di impegno piuttosto ampia. Siva da gite di livello elementare, percor-si classici e conosciuti, ma in alcunicasi proposti con soluzioni alternative,fino a quelle destinate a scialpinisti do-tati di un notevole bagaglio di esperien-za e capacità tecniche. Ai classici itine-rari scialpinistici gli Autori hanno volutoaffiancarne altri, più in linea con le ten-denze più attuali, che privilegiano il pia-cere della discesa.

Diverse sono le cime e le gite note,per le quali sono stati descritti itinerarinuovi o diversi da quelli di salita inmodo da creare, anche per la discesa,la suggestione della scoperta.Un'interpretazione evoluta dello scialpi-nismo che trova nelle Dolomiti il suocampo applicativo d'elezione.

Ogni itinerario è descritto compiu-tamente e accompagnato dalla relativamappa e da una scheda di simboli chene riassume le caratteristiche tecnichee le difficoltà. Ampio e spettacolarel'apparato iconografico, ricco di fotod'azione ma, soprattutto, di quelle con itracciati di salita e discesa.

Ciliegina sulla torta la proposta dialcune traversate di due o tre giorni conpernottamento in rifugio o in albergolungo il percorso. La possibilità di tro-vare anche nelle Dolomiti, percorrendoesclusivamente con gli sci intere areemontane, il fascino delle Haute Routedelle Alpi.

Alpinismo orrizzontaledi ANTONIO ARMELLINI

Q uesto è un libro speciale. Non èsolo un’altra guida di montagna.Certo, vi si trova la descrizioneaccurata e meticolosamente veri-

ficata di ben 56 itinerari (ma le cengesono molte di più) nelle Dolomiti e nelleGiulie che hanno, come cuore del lorosvolgersi, una cengia. E le molte foto-grafie che li corredano sono di per séuna vera festa per gli occhi.

Cenge, dunque: queste strutturegeologiche sono tipiche delle nostremontagne di origine sedimentaria, astrati sovrapposti e quindi spesso sfal-sati a formare questi gradini ora ampi oraappena accennati, da sempre utilizzatisia dagli animali sia dagli uomini, sianoessi pastori, boscaioli, soldati, contrab-bandieri, cacciatori e solo da ultimoescursionisti, che li hanno quasi sempretrascurati a favore di percorsi più verti-cali.

Cenge, ma anche viàz, stavài, sé-mide e molti altri termini locali, per nonparlare delle centinaia di nomi propri atestimoniare la straordinaria importanza,in un passato poco lontano, di queste vienaturali.

Quelle qui descritte sono a volte benconosciute e anche segnalate, piùspesso però sono poco note e ancormeno percorse, talora quasi leggendarie.Possono essere dolci e solari, alla por-tata dei più, come impegnative, ovveroaeree cornici incise su pareti e gole im-pressionanti, altre ancora, per la lorocomplessità, asprezza ed esposizione,riservate a pochi iniziati. Ad esempio lecenge di Pala Alta, Pala Bassa e Zéngiade l’Adriano nel Gruppo della Schiara, lecenge del Burèl, il Cenglòn di CengleFornezze nel Gruppo Caserine-Corna-get, la Sémide dai Agnéi nel SottogruppoMonte Cimone-Gruppo dello Jôf di Mon-tasio, oppure la Cengia degli Dei nelGruppo dello Jôf Fuart, quella che a di-ritto si può considerare la cengia dellecenge. Tutte però con una caratteristicache le accomuna: la bellezza.

E questa è, secondo me, la più au-tentica chiave di lettura del libro: offrirebellezza attraverso la riscoperta di que-sti passaggi immersi in una natura an-cora autenticamente incontaminata e alcospetto di scenari maestosi e affasci-nanti, come salvezza e ristoro per il no-stro animo in tempi di carestia spirituale.Raggiungerli vuol dire fatica, solitudine,silenzi profondi, poi pace e contempla-zione: valori poco alla moda, ma cheaiutano a vivere, specie oggi, quandonessuno pare aver più tempo per nulla,neppure per meravigliarsi.

Per concludere, ancora da liceale holetto la frase seguente, che in tutti questianni – ora ne ho 57 – ho continuato a ri-petere a me stesso ma di cui solo dapoco, quindi dopo decenni di escursionisui monti, ho compreso il significato:“Non troverai il sentiero, se prima non di-venti sentiero tu stesso”. Questo libro viaiuterà non poco ad avvicinarvi a quelloche sta dietro a queste parole; e quando,dopo l’ultima pagina, vorrete aggiungernevoi stessi delle altre con sopra il titolo“Le mie cenge”, sono certo che potretedire anche voi: “Ho capito”. Per questo èun libro speciale; come del resto il suo au-tore, Vittorino Mason, alpinista, scrittore,autore di libri di viaggio, guide e libri dimontagna che in questo lavoro non haproposto solo la scoperta o riscopertadelle cenge, ma per ogni itinerario ancheuna riflessione in forma poetica ispiratadai luoghi e dalle emozioni vissute. Un li-bro imperdibile per gli amanti della mon-tagna, non fosse altro perché un librodelle cenge ancora non c’era.

Carta raccontadi MARKO MOSETTI

A pparentemente è una carta to-pografica l'ultimo lavoro che l'e-ditrice Transalpina di Trieste of-fre agli escursionisti. In realtà

quella del Carso triestino, goriziano esloveno è molto di più, verrebbe da diredi oltre. Frutto di un impegno di ricercae realizzazione lungo oltre due anni, ri-sulta essere la più completa e detta-gliata mappa del Carso, di qua e di là delconfine, mai pubblicata.

Scala 1:25.000, abbraccia il territo-rio compreso tra Gradisca, Dobravlje,Dutovlje e l'isola della Cona su un lato.Sull'altro i vertici sono il porto diCapodistria/Koper, Grignano,Senoæeœe e Markovøœina.

Le informazioni che la carta offrecoprono la totalità degli interessi che ilbuon escursionista può esprimere,dalla viabilità ordinaria con la corrispet-tiva numerazione a quella secondaria,monti, colli, quote, punti trigonometrici,doline con indicazione della profondità,boschi e riserve naturali, orti botanici,parchi, zone pedonali, monumenti, fe-nomeni naturali, punti panoramici, ve-dette e torri d'osservazione, valichi,cippi confinari, cimiteri, compresi quellidi guerra, ruderi, castelli e castellieri,"casite", siti archeologici, laghi, stagni,fonti, pozzi. Tutta la rete sentieristica èstata mappata, dai sentieri europei aquelli marcati CAI, PZS, SPDT, e tutti glialtri segnati, senza dimenticare altri iti-nerari, tracce di sentieri, percorsi dedi-cati alla Grande Guerra, quelli per cicli-sti sia su asfalto sia fuori strada, quelliper la corsa a piedi e quelli riservati aicavalli. Non manca l'indicazione dellegrotte, dalle turistiche a quelle riservateagli speleologi, delle falesie attrezzateper l'arrampicata, dei siti dedicati alvolo a vela, degli agriturismi, campeggi,info-point, fino alle cantine vinicole e leosmize. L'elenco delle indicazioni ripor-tate su questa carta è lunghissimo e,abbracciando un territorio di confine edi incontro di genti, lingue e culture di-verse, quello che alcuni autori localihanno felicemente definito come " laterra del sì, del ja, del da", multilingue.

I toponimi, a seconda della zona,sono riportati anche nella loro denomi-nazione rispettivamente friulana, slove-na, bisiaca, dialettale triestina. Per rac-capezzarsi in tanta messe d'informa-zioni gli autori, Alessandro Ambrosi eClaudio Oretti, hanno pensato bene diallegare alla carta un indispensabile li-bretto di 64 pagine con l'indice dei

In libreria

Guide e letture

Alpinismo goriziano - 1/2013 11

Alessandro Ambrosi, Claudio Oretti -CCAARRSSOO TTRREESSTTIINNOO GGOORRIIZZIIAANNOO EE SSLLOOVVEE--NNOO - CCaarrttaa ttooppooggrraaffiiccaa ppeerr eessccuurrssiioonniissttii 11::2255000000 - ed. Transalpina - € 15,00

Enrico Baccanti, Francesco Tremolada -SSCCIIAALLPPIINNIISSMMOO IINN DDOOLLOOMMIITTII - edizionebilingue (italiano-inglese) - ed. Versantesud - pag. 336 - € 31,00

Vittorino Mason - IILL LLIIBBRROO DDEELLLLEE CCEENNGGEE,,5566 VVIIEE OORRIIZZZZOONNTTAALLII NNEELLLLEE DDOOLLOOMMIITTII -Casa Editrice Panorama - 14 x 20,5 cm -303 pagine - ill. a colori, brossura - € 32,00

Mario Sertori - GGHHIIAACCCCIIOO SSVVIIZZZZEERROO --CCaassccaattee ddii gghhiiaacccciioo iinn CCaannttoonn TTiicciinnoo eeGGrriiggiioonnii - ed. Versante sud - pag. 288 - €28,50

Francesca Negri - LLAA CCUUCCIINNAA DDII MMOONNTTAA--GGNNAA -- TTuuttttaa ll''IIttaalliiaa dd''aallttaa qquuoottaa iinn 331155 rrii--cceettttee ddeellllaa ttrraaddiizziioonnee - ed. Ponte alleGrazie - pag. 218 - € 16,00

Jochen Hemmleb - NNAANNGGAA PPAARRBBAATT 11997700- ed. Versante sud - pag. 209 - € 19,00

Resistere in cucinadi MARKO MOSETTI

È un paradosso che già moltihanno segnalato ma che vale lapena di essere ulteriormente sot-tolineato: mai come di questi

tempi siamo stati letteralmente som-mersi da trasmissioni televisive e con-temporaneamente da pubblicazioni de-dicate alla cucina. Chef grandi e pic-coli, aspiranti cuochi, improbabili spa-dellatori ci piombano in casa da ogni ca-nale e ci fanno l'occhiolino da ogni ve-trina di libreria. Contestualmente peròmai come oggi in casa si dedica cosìpoco tempo alla cucina. Addirittura inquesto momento economico così buiogli unici prodotti alimentari che incre-mentano le vendite sono i piatti precottie, incredibile, le non proprio economi-cissime (e non particolarmente ardueda preparare) insalate pronte, già lavatee tagliate.

In un panorama così sconfortantecosa può spingerci ad interessarci aduna nuova, ennesima, pubblicazione de-dicata alla cucina? Fondamentalmenteil fatto che Francesca Negri nel suo Lacucina di montagna ripropone oltre 300ricette della tradizione delle terre altedi ogni regione italiana.

Circa l'80% del territorio nazionale èoccupato da montagne ed è stato pro-prio qui che nei secoli si è sviluppatauna cucina sicuramente povera nellematerie prime, dettata da situazioni am-bientali difficili, ma certamente non privadi fantasia e di una certa qual raffina-tezza.

Merito dell'Autrice è di proporre inun momento economicamente così dif-ficile una cucina che per necessità econdizioni ambientali è fatta di prodottistrettamente legati al territorio, econo-mici, semplici da trovare e da lavorare,ricchi di sostanza. Il lavoro di FrancescaNegri non è stato solamente quello dellaricerca e del recupero delle tradizioniculinarie delle massaie valligiane ma, intanta messe di materiale, ha dovuto fareanche un' opera di cernita e selezione.

Una particolare attenzione è stataprestata a quelle popolazioni minoritarieche hanno trovato proprio nell'isola-mento delle valli della montagna italianail loro terreno di resistenza e sopravvi-venza sia fisica che delle loro culture etradizioni. Sono proprio le minoranzelinguistiche presenti da secoli tra le no-stre montagne che principalmentehanno mantenuto e salvato anche le tra-dizioni gastronomiche della montagna.Occitani, Walser, Cimbri, Mocheni, La-dini, Friulani, Carinziani, Sloveni sonogli ultimi e più fedeli custodi dell'alpe edelle sue tradizioni.

In Svizzera, al freddodi MARKO MOSETTI

M ario Sertori, Guida Alpina con lapassione per la ricerca e l'e-splorazione: di nuovi terreni digioco su roccia e ghiaccio, non

solamente sulle Alpi ma anche nei Pirenei,Scozia, Islanda, Norvegia, Canada, StatiUniti, ha affiancato all'azione anche la di-vulgazione. Di lui ricordiamo Solo granitoin collaborazione con Guido Lisignoli e,solo un paio di stagioni fa, Alpine Ice - Le600 più belle cascate delle Alpi. Sonoproprio le colate ghiacciate ad attirarlomaggiormente, ed è questo il terreno digioco che predilige. Tanta dedizione hadato un altro prezioso frutto: GhiaccioSvizzero - Cascate di ghiaccio in CantonTicino e Grigioni.

L'area presa in esame è piuttosto va-sta e, data la conformazione, piuttostoricca di occasioni per i ghiacciatori. Lepossibilità, in annate favorevoli, diven-tano praticamente infinite, presentandoformazioni e percorsi per ogni tipo di esi-genza, gusto, difficoltà, lunghezza e im-pegno desiderati.

Il lavoro di Sertori non si è limitato alcensimento e alla descrizione delle già in-numerevoli vie esistenti, ma è anche il ri-sultato di ulteriori esplorazioni, ricerche,salite in zone nascoste, poco note o igno-rate dai ghiacciatori. Ne risulta così unaguida per veri appassionati ed estima-tori, per chi non si accontenta dell'itine-rario stranoto e iperfrequentato perchéparte dalla strada ed è comodo da rag-giungere, ma è prodiga di suggerimentiper quelli che sono disposti anche ad av-vicinamenti tormentati e difficili, compli-cati dalle condizioni invernali e d'inneva-mento pur di cogliere delle primizie e dimettere le picche e i ramponi là dove po-chi li han piantati.

L'Autore ha fatto un grande uso dellafotografia, il volume ne è particolarmentericco, ma più in funzione descrittiva dellavia che come elemento di mera spetta-colarizzazione. A tutto vantaggio dell'u-tente che ha modo così di orientarsi rapi-damente nella maniera più facile e intui-tiva.

Come già apprezzato in precedentivolumi della stessa collana, alla descri-zione degli itinerari anche con l'uso diuna chiara simbologia, e alle note intro-duttive, tecniche e storiche sull'originedella scalata su ghiaccio nella zona de-scritta, si è ben pensato di aggiungerebrevi racconti, corredati dalle sintetichenote biografiche degli autori, che riguar-dano vie e zone descritte nella guida. Unintelligente compendio a mitigare il freddo(e in questa occasione è proprio il caso didirlo) tecnicismo.

Sarà ben una raccolta di itinerari manon di sola azione si vive, anche lo spiritoe il cervello hanno bisogno di almeno unpo’ di nutrimento.

Le 315 ricette che l'Autrice ha sele-zionato e che ci ammannisce non si fer-mano però sul solo arco alpino ma per-corrono anche la parte forse più dimen-ticata e isolata della montagna nazio-nale, la dorsale appenninica. Risco-priamo così i piatti della tradizione delleregioni dell'Italia centrale e meridionale,quelli meno noti o non affatto cono-sciuti, giacimenti gastronomici e di cul-tura popolare che rischiano seriamentedi andare perduti. E nemmeno le isolesono dimenticate.

È un lavoro importante questo diFrancesca Negri, tanto più oggi quandoforte è il desiderio e la necessità di rial-lacciare i contatti con il territorio che cicirconda, di ritrovare delle radici forti,vere, antiche, che ci tengano legati allarealtà del momento. Le tradizioni, e lacucina, il cibo e le ricette sono la più no-bile e vera delle tradizioni, che ci hannopermesso di arrivare fin qui e che sonoin grado di accompagnarci per moltastrada ancora. Dobbiamo solamente, econ poco o nessuno sforzo, trasformarciin tanti piccoli resistenti con gesti minimicome il cucinarci il cibo. Lo strumento,l'arma, ce l'ha fornito l'Autrice con il suolibro. Per usarlo bene non servono com-petenze particolari tanto è semplice lacucina delle terre alte, basta la volontà,la buona volontà. Ma questa dobbiamomettercela noi.

La storia infinitadi MARKO MOSETTI

L a vicenda è ampiamente nota,perfino al grande pubblico, quelloche di alpinismo s'interessa so-lamente nel caso delle grandi im-

prese o, più frequentemente e morbo-samente, delle tragedie. Sono più di 40anni che si continua a parlare della salitadei fratelli Messner alla vetta del NangaParbat, la "montagna del destino " pergenerazioni di alpinisti germanofoni, edella discussa e discutibile decisione discendere dal versante opposto a quellodella salita, realizzandone così la primatraversata. Decisione che però fu fatalea Günther, scomparso nel corso delladiscesa. Reinhold, sopravvissuto astento, fu accusato di aver abbandonatoe sacrificato il fratello sull'ara della suaambizione, contravvenendo agli accordie agli ordini del capospedizione.

A poco o nulla sono servite le valan-ghe di parole pronunciate sulla vicenda,i giudizi dei tribunali, i volumi e gli articolipubblicati, i film realizzati sulla vicenda.Almeno sino al ritrovamento, a quasi 40anni di distanza dai fatti, dei resti diGünther, restituiti dalla montagna làdove il fratello sopravvissuto aveva con-

tinuato ad affermare che fosse scom-parso. Ma anche questo fatto non hamesso la parola definitiva sulla vicenda.

La morte di Günther Messner è peròsolamente la scena finale di un drammache inizia molto prima e che vede coin-volta una moltitudine d'attori.

Jochen Hemmleb nel suo NangaParbat 1970, forte del fatto di non esseredirettamente coinvolto nella vicenda, laanalizza con spirito d'investigatore.L'Autore, per la prima volta, mette a con-fronto i partecipanti a quella spedizione.Ricostruisce e analizza i fatti cercando dimantenersi distaccato e obiettivo. Il ma-teriale sul quale lavora sono gli scritti, idiari, le pubblicazioni, le interviste e le te-stimonianze dei protagonisti, molti deiquali oggi scomparsi.

Particolarmente importanti e signifi-cative sono le risposte fornite alle suedomande dal noto regista e produttoredi film di montagna Gerhard Baur, com-ponente anch'egli della spedizione del1970 e ultimo a parlare con GüntherMessner prima che questi raggiungesseil fratello sulla via della vetta.

È una disamina minuziosa, circo-stanziata, pedante come un'indagine po-liziesca. Il confronto delle testimonianzemette in luce le diverse prospettive d'os-servazione e di percezione dei fatti cherimangono sì immutabili ma assumonoper ciascuno dei testimoni valenze di-verse, distinte.

La storia in fondo potrebbe essereabbastanza comune se letta solamentecome un fatto di montagna: due com-pagni di cordata si trovano nelle condi-zioni di dover prendere delle decisionidalle quali dipenderanno le loro vite. Il ri-sultato di quella scelta fu la morte di unodei due.

È di questo che si discute da qua-rant'anni nell'ambiente alpinistico e nonsolo. Si valutano e, purtroppo, si giudi-cano le decisioni prese dai due dal puntodi vista alpinistico. Non è una novità. Disimili esempi se ne possono trovare inquantità. La peculiarità del dramma èche la cordata è composta da due fratellie che quello che continua a vivere forseproprio da quella tragedia riceverà laspinta a diventare uno se non l'alpinistapiù noto al mondo.

Polemiche, interviste, libri, film, uncirco mediatico che si ingigantisce adogni impresa. Marchiato, spinto, in partealimentato da quel vizio originario, in-nescato proprio da chi non ha potutoaltro che sopravvivere.

Ma chi siamo noi per giudicare?Intanto possiamo informarci e Jo-

chen Hemmleb ci fornisce un valido stru-mento per farlo.

12 Alpinismo goriziano - 1/2013

Lettera ai Soci

Centocinquanta Centotrentadi MAURIZIO QUAGLIA

I seniores del CAI di Miranoincontrano i goriziani

Cari lettori e cari soci

E ccoci quà a festeggiare questoimportante traguardo. Cometutti voi sapete, il 2013 è l’annoin cui il Club Alpino Italiano fe-

steggia i 150 anni di fondazione, ma èanche l’anno in cui la nostra sezionecompie 130 anni.

Devo essere sincero, questa ri-correnza la vorrei festeggiare degna-mente perché sono fermamente con-vinto che solo conoscendo la nostrastoria e le nostre radici possiamopensare di crescere. Grazie al lavorofatto dai nostri predecessori, la sezio-ne si è costruita una riconoscibilità alivello non solo regionale, ma ancheinternazionale e sta a noi mantenerlo.

In queste poche righe vorrei ricor-darvi solamente ciò che è stato fattodalla sezione nel secolo passato: l’i-deazione e la realizzazione deI con-vegno Alpi Giulie che nel 2014 cele-brerà i suoi primi cinquant’anni divita. Per chi non lo sapesse, ilConvegno Alpi Giulie è l’incontro an-nuale con le sezioni di Slovenia eAustria.

Questo incontro è nato quando lasituazione politica era molto diversaed i confini non così aperti; posso af-fermare che la nostra sezione ha per-corso i tempi, vista l’unione che ab-biamo raggiunto con questi paesi a li-vello nazionale.

Sempre rimanendo alle collabora-zioni con le sezioni estere, quest’an-no siamo arrivati al decimo anniver-sario della nascita dell’incontro“Monte Sabotino”; è il ritrovo con lesezioni di oltre confine e giustamenteha preso il nome del monte di Goriziasu quale per anni è stato impossibilesalire.

Ancora una cosa vorrei segnalar-vi: in questi ultimi anni il nome diJulius Kugy è diventato noto per gliaddetti ai lavori: in tutta la regionesono nate diverse manifestazioni incui Kugy la fa da padrone, ma vorreiricordare a tutti quanti che chi hascoperto, o riscoperto, questa figuradi botanico, musicista, poeta, scritto-re e … alpinista, è stata la nostra se-zione pubblicando i suoi scritti neglianni 60… In tempi non sospetti.

È un semplice dato di fatto che lasezione di Gorizia è stata fondamen-tale per la crescita della cultura mon-tana, mi permetto di dirlo, in regione,e sta a noi continuare a farlo. Risultaabbastanza ovvio che per seguirecerte idee ci vuole la materia prima: isoci. Come già accennato nella scor-sa lettera e anche in assemblea loscorso novembre abbiamo avuto unforte calo degli iscritti. Questo calo,che probabilmente continuerà anchenel 2013, ci sta condizionando forte-mente per due motivi: il primo di na-tura fisica in quanto mancano sociche ci possono aiutare nelle moltepli-ci attività sezionali; il secondo di na-

tura economica in quanto una parteseppur piccola del bollino resta intasca alla sezione. Purtroppo i tempisono cambiati e la vita associazioni-stica non è al primo posto in un’even-tuale classifica di gradimento. Inoltrenon so quanto sia insito nel singolosocio la parola associazionismo o,meglio, far gruppo attorno ad unapassione qual è la nostra e cioè l’an-dare in montagna. Ritengo che il pro-blema sia proprio il fatto che lo spiri-to di gruppo, l’aggregazione per con-dividere le fatiche, ma anche le sod-disfazioni dell’effettuazione di unaescursione insieme, manchi, mentrevince lo spirito individualistico o ilpiccolo gruppo selezionato dovetutto è già confermato. Si cerca di la-vorare su questo versante ma risultaessere molto difficile e avremmo bi-sogno dell’aiuto di tutti i soci. Infatti,la situazione economica attuale edanche futura non aiuta di certo la ge-stione della sezione e gli annunciatitagli di contributi da parte delle am-ministrazioni regionali e di quelle co-munali o provinciali si stanno avve-rando. Comunque per tornare alle no-stre celebrazioni, seppur contenutevisto il momento, qualche idea e pro-gramma il consiglio direttivo ce l’ha elo vedrete dopo la pausa estiva.

Venendo poi alla consueta seque-la di attività svolte in questa primaparte dell’anno possiamo riferire delbuon esito del corso di fondo, orga-nizzato dalla sezione sotto la cura diBruno Del Zotto e la buona partecipa-zione a tutte le gite sociali del grupposeniores e di montikids. Anche laparte culturale funziona, in quanto inqueste prime serate la partecipazionedei soci è stata massiccia, ma soprat-tutto variegata e ciò fa ben sperareper il prosieguo. Un breve accenno albel lavoro che stanno facendo le duescuole di alpinismo e di speleologiache quest’anno organizzeranno laprima il corso di arrampicata libera eil corso di speleologia la seconda.Ultima, ma non meno importante,Casa Cadorna che al consiglio diretti-vo sta molto a cuore. Stiamo conti-nuando a gestire domenicalmente ilnostro punto di appoggio e possodirvi che il passaggio delle personelungo i sentieri del Carso anche inquesto periodo invernale è abbastan-za sostenuto. Faccio appello ai sociche vorrebbero alternarsi ai consiglie-ri nel custodire la Casa Cadorna difarsi avanti: una bella giornata passa-ta in un paesaggio così unico puòsolo che far bene.

Con la speranza di non avervi te-diato troppo, vi do appuntamento al-l’assemblea di fine marzo dove potre-te consigliare, suggerire e, perché no,anche lamentarvi con il consiglio di-rettivo in quanto solamente il dialogotra soci appassionati della montagnapuò portare la nostra sezione a mi-gliorare.

AAllppiinniissmmoo ggoorriizziiaannooEEddiittoorree:: Club Alpino Italiano, Sezione diGorizia, Via Rossini 13, 34170 Gorizia.Fax: 0481.82505Cod. fisc.: 80000410318 - P. IVA 00339680316E-mail: [email protected]

DDiirreettttoorree RReessppoonnssaabbiillee:: Fulvio Mosetti.

SSeerrvviizzii ffoottooggrraaffiiccii:: Carlo Tavagnutti - GISM.

SSttaammppaa:: Grafica Goriziana - Gorizia 2013.

Autorizzazione del Tribunale di Gorizia n. 102 del 24-2-1975.

LLAA RRIIPPRROODDUUZZIIOONNEE DDII QQUUAALLSSIIAASSII AARRTTIICCOOLLOO ÈÈ CCOONN--SSEENNTTIITTAA,, SSEENNZZAA NNEECCEESSSSIITTÀÀ DDII AAUUTTOORRIIZZZZAAZZIIOONNEE,,CCIITTAANNDDOO LL’’AAUUTTOORREE EE LLAA RRIIVVIISSTTAA..

VVIIEETTAATTAA LLAA RRIIPPRROODDUUZZIIOONNEE DDEELLLLEE IIMMMMAAGGIINNII SSEENNZZAALL’’AAUUTTOORRIIZZZZAAZZIIOONNEE DDEELLLL’’AAUUTTOORREE..

D urante uno dei periodici incontridegli escursionisti seniores delTriveneto, gli amici seniores delCAI di Mirano ci avevano chie-

sto di aiutarli ad organizzare per lorouna escursione di due giorni dalle partedi Caporetto. Detto e fatto, abbiamocoinvolto l'amico Joøko che ha concor-dato l'itinerario ed il pernottamento (èstato aperto per loro il rifugio di malgaKuhinja per una notte).

Martedì 11 settembre li abbiamoaccolti a Caporetto e, con un bel soleed uno splendido panorama, siamo sa-liti sul Kolovrat, dove abbiamo girova-gato per le trincee della prima guerramondiale e lungo la cresta, zigzagandosulla linea di confine tra Klabuk e din-torni. Nel pomeriggio il gruppo (sempreguidato da Joøko) è salito sul Mrzli Vrh,visitando anche la chiesetta ungherese.L'indomani è seguita un'escursionenella valle del Kozjak e infine, causal'arrivo puntuale della pioggia, è saltata

la prevista visita a Gorizia e così la co-mitiva ha ripiegato per la visita alMuseo della Guerra di Caporetto, co-munque molto interessante. Arrivedercialla prossima occasione! (E.C.)

Assemblea generale ordinaria

L’Assemblea generale ordinaria dei soci è convocata in primaconvocazione per mercoledì 27 marzo 2013 alle ore 21.00 pres-so la Sede sociale di via Rossini 13 ed in seconda convocazio-ne per giovedì 28 marzo 2013 alle ore 21.00 presso la stessaSede, per discutere il seguente ordine del giorno:

1. NOMINA DEL PRESIDENTE E DEL SEGRETARIO DELL’AS-SEMBLEA;

2. LETTURA ED APPROVAZIONE DEL VERBALE DELL’ASSEM-BLEA DEL 29 NOVEMBRE 2012;

3. RELAZIONE DEL PRESIDENTE SEZIONALE;4. BILANCIO CONSUNTIVO 2012;5. NOMINA DEI DELEGATI SEZIONALI PER IL 2013;6. VARIE ED EVENTUALI.

Si prevede che l’Assemblea si riunisca in seconda convocazione.

Il Presidente