Attualità in senologia n°65

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POSTE ITALIANE S.P.A. SPED. ABB. POST. 70% - DCB/NOVARA/077/2005 anno XXII numero 65 quadrimestrale febbraio - maggio 2013 attualità in senologia Documento di Consenso “Breve” sulla Partial Breast Irradiation (PBI) Aggiornamento sulla Tomosintesi Le cellule staminali

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Periodico di Senologia

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POSTE ITALIANE S.P.A. SPED. ABB. POST. 70% - DCB/NOVARA/077/2005

anno XXII numero 65 quadrimestrale febbraio - maggio 2013

attualità in senologia

Documento di Consenso “Breve” sulla Partial Breast Irradiation (PBI)

Aggiornamento sulla Tomosintesi

Le cellule staminali

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attualità in senologia

S O M M A R I OS O M M A R I O

Segreteria di RedazioneElena Biff oliAnna Coff anoTel. 0322905665 (8,30-13)

Consiglio Scientifi coUmberto Veronesipresidente

Alberto Costavicepresidente

Dino AmadoriFranco BerrinoLuigi CataliottiGianpiero Ausili CefaroMaria Grazia DaidoneAndrea DecensiGiuseppe D’AiutoMario De LenaCosimo Di MaggioAlfonso FrigerioMarco GrecoMaria Antonietta NosenzoNereo SegnanPiero Sismondi

Fotografi eFoto di copertina Riccardo FaggianaAltre foto © Fotolia e iStock

Coordinamento grafi coe impaginazioneEleonora Fiumara

EditoreFaggiana Riccardo28805 Vogogna (VB)[email protected]

StampaPRESS GRAFICA s.r.l.28883 Gravellona T. (VB)

Registrazione pressoil tribunale di Verbania.Rivista “Attualità in Senologia” iscritta al n°2come da decretodel 04/02/2005

Attualità in SenologiaRivista della Scuola Italiana di Senologia: direttore Claudio Andreoli

Anno XXII - n. 65Febbraio - Maggio 2013

Organo uffi ciale diForza Operativa Nazionalesu Carcinoma Mammario (FONCaM)

Gruppo Italiano per lo Screening Mammografi co (GISMa)

Società Italiana di Senologia

In collaborazione conSocietà Italiana di Radiologia MedicaSezione di Senologia (SIRM)Europa Donna

DirettoriMarco Rosselli Del Turco (Responsabile)Claudio Andreoli

Redazione Rassegna della LetteraturaANATOMIA PATOLOGICA: Anna SapinoBIOLOGIA CLINICA E TERAPIA MEDICA: Paolo PronzatoCHIRURGIA: Roberta SimonciniCHIRURGIA PLASTICA : Maurizio NavaECOGRAFIA SENOLOGICA: Angela Maria GuerrieriEPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE: Eugenio PaciGENETICA: Maria Luisa BrandiIMMUNOLOGIA: Andrea BalsariLABORATORIO: Massimo GionMAMMOGRAFIA: Gian Marco GiuseppettiPATOLOGIA BENIGNA:Alfonso PluchinottaQUALITÀ DI VITA DISAGI E RELAZIONI: Gemma Martino RADIOTERAPIA: Laura Lozza

Redazione Scientifi caElsa CossuViviana GalimbertiMassimiliano GennaroMaria Piera ManoLorenza MarottiDaniela TerribileCorrado Tinterri

Copyright: le condizioni di utilizzo dei materiali contenuti in questa rivista sono concordate con i detentori. Se ciò non fosse stato possibile, l’editore si dichiara disposto a riconoscere tali diritti.

EDITORIALEEDITORIALE FORUMDocumento di Consenso "Breve" sulla Partial Breast Irradiation (PBI)

OBIETTIVO SUAggiornamento sulla Tomosintesi

RASSEGNA DELLA LETTERATURA

QUATTRO CHIACCHERE CONAngelo Paradiso

GISMaMa è veramente necessaria la biopsia del linfonodo sentinella? Studio SOUND

QUI CURANO COSÌA.O. San Giovanni - Addolorata di Roma

SPIEGHIAMO LA MEDICINALe cellule staminali

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Era il 4 maggio 2012 quando in un tragico incidente stradale abbiamo perso Stefano Ciatto, collega straordinario, amico generoso e leale e uomo dal grande fascino.

A distanza di un anno dalla sua scomparsa tutti noi di Attualità in Senologia sentiamo l’enorme vuoto che ci hai lasciato e vogliamo quindi qui ancora ricordarlo iniziando da un passo della cover-story a lui dedicata e pubblicata sul numero 56 della nostra rivista. Anna Coff ano in quell’articolo scriveva: “Se mi dovessero chiedere, oggi, come vorrei fosse mio fi glio da grande non avrei alcuna esitazione nel rispondere che mi piacerebbe assomigliasse a Stefano Ciatto, un uomo libero.” Questa frase rifl ette la sua personalità: un uomo intelligente e coraggioso tanto da opporsi a qual-siasi forma di abuso di potere e poter combattere facili conformismi. Stefano, nato in Firenze nel 1949, non è stato solo un medico tanto brillante quanto instancabile ma anche ricercatore acuto e geniale e, soprattutto, una persona aperta, generosa e dai mille interessi. Aveva una passione per la musica che da studente coltiva suonando il basso in un complesso amatoriale di amici e, ulti-mamente, suonando e recitando in un gruppo di volontariato per portare sollievo e un sorriso agli anziani ospiti di case di riposo.La sua carriera inizia 1973 come assistente nell’Istituto di Radioterapia, diretto dal prof. Giulio De Giule, dove consegue la specializzazione in Radiologia e Radioterapia Oncologica e viene nomina-to professore associato, uno dei più giovani in Italia. Poi il trasferimento al Centro per lo Studio e la Prevenzione Oncologica (CSPO oggi ISPO), per dedicarsi interamente alle attività di screening dei tumori e di studio e didattica in questo ambito. Oltre 300 pubblicazioni, una serie infi nita di partecipazione a congressi con contributi di grande rilevanza come quelli degli anni ’70 sulla inutilità di tecniche diagnostiche come la termografi a mammaria per arrivare fi no al 2012 con gli studi sulla Tomosintesi mammaria riteneva. E’ quindi con profonda emozione che pubblichiamo su questo numero della rivista l’ultimo contributo scientifi co che Stefano ci ha lasciato proprio incentrato su questa tecnica innovativa che riteneva veramente promettente per la diagnosi precoce del carcinoma mammario All’insegnamento dedicava tutto se stesso e non ha mai rifi utato un invito anche se spesso in sedi molto lontane e doveva viaggiare tutta la notte per raggiungerle (solo per la Scuola Italiana di Senologia ha realizzato più di 400 eventi). La maggior parte dei radiologi e degli specialisti in senologia italiani e molti di quelli europei sono stati formati da Stefano in qualche momento del loro percorso professionale.Abbiamo avuto la fortuna di lavorare con te, Stefano, per tanti anni e dobbiamo ringraziarti per quanto ci ha insegnato e per l’aiuto che ci ha sempre dato. Ci piace anche ricordarti per i tuoi talenti meno noti come quello di essere un ottimo disegnatore di caricature, un attore e uno scrit-tore e soprattutto perché la tua compagnia metteva una grande allegria. Ciao amico e un uomo libero, ci mancherai sempreLa Redazione

EDITORIALE

* Direttori AIS

Marco Rosselli Del Turco *

Claudio Andreoli *

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F O R U MF O R U M

Documento di Consenso “Breve” sulla Partial Breast Irradiation (PBI)

Comitato di Coordinamento: Roberto Orecchia (Milano) – Luigi Cataliotti (Firenze) - Lorenza Marotti (Firenze)

Gruppo di lavoro: Cynthia Aristei (Perugia), Filippo Bertoni (Modena), Simonetta Bianchi (Firenze), Gianfranco Brusadin (Aviano), Ines Cafaro (Cremona), Francesco Caruso (Catania), Donato Casella (Firenze), Federi-ca Cattani (Milano), Antonella Ciabattoni (Roma), Privato Fenaroli (Ber-gamo), Giovanni Frezza (Bellaria), Roberto Giardini (Cremona), Marina Guenzi (Genova), Gabriele Guidi (Modena), Andrea Guido (Milano), Maria Cristina Leonardi (Milano), Lorenzo Livi (Firenze), Alberto Luini (Milano), Livia Marrazzo (Firenze), Anna Morra (Milano), Iacopo Nori (Firenze), Paolo Rovea (Torino), Irene Salvador (Aviano), Francesco Sardanelli (Mi-lano), Giovanna Sartor (Aviano), Luigi Tomio (Trento), Marco Trovò (Avia-no), Giuseppe Viale (Milano), Vittorio Zanini (Pavia)

Comitato Consultivo: Rita Consorti (Roma), Lucio Fortunato (Roma), Gio-vanna Gritti (Bergamo), Giovanni Battista Ivaldi (Pavia), Laura Lozza (Mi-lano), Loris Menegotti (Trento), Renzo Moretti (Bergamo), Luigia Nardone (Roma), Federica Pediconi (Roma), Antonella Petrillo (Napoli), Assunta Petrucci (Roma), Marta Scorsetti (Rozzano), Chiara Zuiani (Udine)

La versione integrale del documento, inclusa la bibliografi a, è disponibile sul sito della Rivista, www.senologia.it

Introduzione

Nelle pazienti con diagnosi di carcinoma infi ltrante del-la mammella in stadio iniziale trattati con chirurgia

conservativa la radioterapia erogata al corpo ghiandolare residuo (WBI, Whole Breast Irradiation) è considerata il trattamento standard. Come documentato dai risultati delle periodiche metanalisi degli studi randomizzati, essa riduce il rischio di recidiva locale di un fattore 3, con un impatto positivo anche sulla sopravvivenza a lungo termine. Accanto agli aspetti positivi sono tuttavia presenti problematiche: la (durata) del trattamento, la necessità in molti casi di inte-grare la chemioterapia e la non sempre facile accessibilità ai centri di radioterapia. Queste diffi coltà possono indur-re molte pazienti a sottoporsi ad interventi di mastectomia non necessari, o a non eff ettuare il trattamento radiante, esponendosi a un maggior rischio di ricaduta locale. Questa premessa pone le basi per comprendere gli sforzi fatti negli

ultimi dieci anni per studiare soluzioni alternative, che con-sentano di eff ettuare il trattamento in tempi più brevi, con analoghi risultati. Queste nuove modalità rispondono anche alla esigenza di adattare la radioterapia al paradigma che re-gola la moderna oncologia, quello del minimo trattamento effi cace. Accanto ai nuovi schemi di ipofrazionamento, che si stanno estesamente studiando nel caso della WBI, è stata valutata anche una possibile riduzione del volume ghiando-lare da irradiare. Nasce così il concetto di irradiazione par-ziale della mammella (PBI, Partial Breast Irradiation). Scopo di questo documento è di esprimere, attraverso il giu-dizio di un comitato di esperti nazionali, alcune raccoman-dazioni nell’applicazione clinica di questo concetto, basan-dosi sui dati attualmente disponibili in letteratura.

Defi nizione e RazionaleSi intende per PBI l’irradiazione del letto tumorale con un margine di tessuto mammario circostante, sede a maggior rischio di ricaduta locale.I vantaggi della PBI sono prevalentemente di carattere tem-porale. Tutte le tecniche prevedono frazionamento forte-mente accelerato, riducendo di almeno tre settimane la du-rata del trattamento (APBI - Accelerated PBI). Tali schemi sono applicabili poiché viene irradiato un volume ridotto di parenchima mammario aumentando la tolleranza del tratta-mento stesso. La riduzione di volume consente anche di li-mitare l’irradiazione degli organi e tessuti (polmone e cuore in primo luogo). Quindi si può ipotizzare un vantaggio anche in termini di tollerabilità. Inoltre la riduzione della durata può rendere più agevole l’interazione con la terapia sistemica, consenten-do l’irradiazione prima dell’inizio di una eventuale chemio-terapia, evitando dilazioni che potrebbero avere negativo impatto sul controllo locale.

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IndicazioniLa scelta dei criteri di selezione delle pazienti rappresenta un punto cardine nella prospettiva di utilizzare la PBI al di fuori di studi controllati. Accanto agli studi randomizzati, molti dei quali ancora in corso o con dati non suffi cientemente maturi, esiste in letteratura una serie di pubblicazioni rife-rite a esperienze di singole istituzioni che, utilizzando tec-niche diff erenti, testimoniano la fattibilità e la tollerabilità a breve e medio termine della PBI, ma che non forniscono dati conclusivi in merito al controllo di malattia a lungo ter-mine. Per quanto attiene gli studi clinici randomizzati sono disponibili ad oggi i dati relativi a 258 pazienti trattati al National Institute of Oncology di Budapest tra il 1998 ed il 2004, e i dati relativi a 2232 pazienti dello studio TARGIT, coordinato da ricercatori inglesi, iniziato nel 2000 e condot-to da un gruppo di circa 20 centri in Europa, Stati Uniti ed Australia, ed i cui risultati sono stati pubblicati nel Luglio 2010. Entrambi hanno dato un risultato analogo in termini di equivalenza tra WBI e PBI.L’analisi dei dati disponibili tutt’ora limitati, ha tuttavia portato alla pubblicazione di due importanti documen-ti di consenso, nel 2009 da parte dell’ASTRO e nel 2010 del GEC-ESTRO. In entrambi i documenti sono stati se-lezionati i criteri secondo i quali le pazienti, suddivise per categorie di rischio, possono essere candidate ad eff ettuare un trattamento di PBI. Per alcuni fattori prognostici con-siderati, quali istologia infi ltrante, stato dei margini, grado, invasione linfovascolare (PVI), estesa componente intradut-tale (EIC), multicentricità, multifocalità, stato linfonodale, trattamenti neoadiuvanti, l’accordo è completo, per altri, quali età, dimensioni del tumore, stato dei recettori e mu-tazione BRCA1/2, non esiste piena concordanza. E’ stato individuato un gruppo di pazienti, “suitable” per ASTRO, e “low risk” per GEC-ESTRO, alle quali la PBI potrebbe essere proposta anche al di fuori di studi clinici.

Diagnostica per immagini Nella pratica clinica corrente la prima selezione delle pazien-ti eleggibili è ancora realizzata mediante la diagnostica con-venzionale, mammografi a digitale ed ecografi a bidimensio-nale con sonde ad alta frequenza, utili per escludere tumori multifocali o multicentrici. Alcuni studi hanno fornito una sostanziale evidenza in favore della RM a contrasto dinami-co nell’identifi care lesioni multifocali (3-4% dei casi), mul-ticentriche (4-5%) o controlaterali (1.5-2%), nelle pazienti candidate a PBI, con reperti falsi positivi intorno al 12%. E’ tuttavia opportuno segnalare anche i limiti di sensibili-tà della stessa nella defi nizione del volume tumorale preo-peratorio. Dati di letteratura riferiscono la presenza, dopo

escissione, di focolai tumorali istologicamente riscontrabili in oltre il 50% dei casi entro 10 mm e nel 25% entro 20 mm dal volume precedentemente defi nito, tanto da suggerire co-munque il mantenimento di un adeguato margine. Su questa base, le raccomandazioni EUSOMA del 2010 ipotizzavano che circa il 5-10% delle pazienti inizialmente considerate candidate alla PBI diventerebbero non eleggibili se sottoposte a RM. Questa ipotesi è stata confermata da un recente studio dell’Università di Bonn, nel quale su 113 candidate a PBI sulla base dell’ imaging convenzionale il 9% in realtà non lo era a causa di lesioni maligne addizionali.Si conferma quindi il ruolo della RM preoperatoria nelle pazienti potenzialmente eleggibili per PBI, in particolare nel caso di studi prospettici o in pazienti a più elevato rischio. Considerata la possibilità di falsi positivi, i reperti addizio-nali sospetti alla RM dovranno essere sottoposti a work-up di verifi ca.Un altro interessante aspetto riferibile all’imaging è quel-lo relativo al follow-up. Sono note le modifi cazioni della mammella irradiata, che, nel caso della PBI, hanno una distribuzione focalizzata, aspetto che complica il quadro mammografi co e/o ecografi co e può quindi porre problemi di diagnosi diff erenziale con la recidiva. Al fi ne di evitare inutili indagini di approfondimento o agobiopsie, è di fon-damentale importanza l’informazione off erta al radiologo sul tipo di trattamento radioterapico eff ettuato. Sono dispo-nibili dati sul riscontro di una più elevata incidenza di sero-ma al primo follow-up, spesso accompagnato da aumentata densità focale, edema cutaneo, distorsione e calcifi cazioni. Un fenomeno spesso osservabile nei casi di PBI praticata con brachiterapia o IORT è quello della liponecrosi focaliz-zata, con incidenza sino al 50% dei casi. Queste alterazioni si realizzano generalmente in una fase più precoce rispetto a quanto avviene con la radioterapia convenzionale, con pic-chi entro i 24 mesi e stabilizzazione sino a 3-4 anni degli aspetti mammografi ci, comportando quindi un maggiore ruolo dell’approfondimento ecografi co.

Anatomia patologica e fattori biomolecolariIl patologo deve off rire una valutazione accurata di quelle che sono le caratteristiche morfologiche e biologiche della neoplasia che concorrono a disegnare l’identikit delle pa-zienti. In uno scenario ideale, tutte le caratteristiche do-vrebbero essere note al momento della indicazione alla PBI, condizione che non si verifi ca appieno nel caso della IORT, quando alcune delle informazioni non sono disponibili.Nella previsione di IORT diventa pertanto essenziale rac-cogliere il maggior numero possibile di dati utili in un tem-po pre-operatorio mediante agobiopsia. Il prelievo bioptico

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consente di valutare tipo, grado ed assetto recettoriale della neoplasia, mentre la valutazione dello stato linfonodale può essere eff ettuata mediante biopsia del linfonodo sentinella. L’esame citologico per agoaspirazione non è altrettanto in-formativo, soprattutto perché non consente di discriminare tra neoplasie infi ltranti e non, e non permette una agevole valutazione del tipo istologico, del grado e dell’assetto recet-toriale.Per quanto concerne l’istotipo, a causa degli artefatti legati al traumatismo dell’ago, può essere di diffi cile determina-zione sulle agobiopsie mammarie, specialmente in caso di ago di calibro sottile. Laddove questa caratterizzazione fosse essenziale può essere di ausilio ricorrere alla determinazio-ne immunoistochimica della espressione di e-caderina, una proteina espressa dalle neoplasie duttali ma non da quelle lobulari. Anche la valutazione del grado può richiedere per le agobiopsie un approccio diverso da quello comunemen-te utilizzato. Infatti, nelle biopsie ottenute con ago sottile o quando la componente neoplastica è poco rappresentata, due dei tre parametri classici su cui si basa la determinazione del grado, cioè la percentuale di formazione di tubuli ed il numero di mitosi su 10 HPF alla periferia del tumore, non possono essere accuratamente valutati. In questi casi è op-portuno utilizzare il grado nucleare secondo Black o quello citologico secondo Hartveit od una combinazione dei due.Il materiale ottenuto da agobiopsia è invece perfettamente adeguato per la valutazione dell’assetto recettoriale, grazie al fatto che i campioni da agobiopsia vengono fi ssati più prontamente e per tempi più adeguati che non i campioni operatori, e pertanto i risultati delle reazioni immunoisto-chimiche sono più affi dabili. Ovviamente, l’esame della ago-biopsia dà solo occasionalmente la opportunità di valutare la presenza di PVI o di EIC. La multifocalità/multicentricità della neoplasia è uno dei parametri principali per la selezione delle pazienti. Le neo-plasie multicentriche (con foci neoplastici in quadranti di-versi, o distanti tra loro almeno 5 cm) rappresentano una

controindicazione, mentre la presenza di multifocalità non controindica la PBI se i focolai neoplastici rimangono con-fi nati ad una area di 2 cm. Per quanto attiene la valutazione dei margini le raccomandazioni internazionali consigliano di considerare eleggibili le pazienti la cui neoplasia dista al-meno 2 mm dai margini e di valutare con cautela quelle con neoplasia prossima ai margini. Compito del patologo è quindi quello di esaminarne con accuratezza lo stato, e di riportare nel referto la distanza minima tra neoplasia e margine chinato. Non esistono indicazioni assolute su quale sia la modalità più corretta di valutazione, essendo utilizzate due diverse procedure, quella che prevede il campionamento dei margini di resezione mediante prelievi perpendicolari ai margini stessi, e quella che impone lo “shaving” dei margini, con prelievi circonferenziali. La prima metodica è quella che più accuratamente consente di determinare la distanza mi-nima tra neoplasia e margine chinato soprattutto nei casi in cui essa sia in prossimità del margine stesso. In diversi centri è il chirurgo stesso ad eff ettuare la revisione della cavità ope-ratoria, con l’asportazione di ulteriori frammenti di tessuto là dove la neoplasia era più prossima al margine della prima resezione. In questo caso è necessario che il chirurgo invii questi ulteriori campioni marginali al patologo dopo averli opportunamente orientati.Per quanto riguarda la identifi cazione della PVI, questa va ricercata nel tessuto circostante, al di fuori della area neo-plastica, e la sua eff ettiva presenza deve essere accertata su base morfologica, eventualmente correlata a marcatori im-munoistochimici delle cellule endoteliali. Il semplice sospet-to di invasione vascolare, per la presenza di nidi di cellule neoplastiche in spazi che simulano vasi linfatici od ematici, non giustifi ca la diagnosi di PVI. Anche la identifi cazione di EIC deve essere basata su criteri istopatologici ben defi niti, quali quelli proposti da Rosen: la componente intraduttale deve rappresentare almeno il 25% della intera area neopla-stica, ed essere presente anche al di là della estensione della componente infi ltrante.

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La corretta valutazione dell’assetto recettoriale richiede la stretta aderenza alle raccomandazioni delle organizzazioni nazionali ed internazionali, e la partecipazione (spontanea) a programmi di valutazione esterna di qualità oggi disponi-bili (NEQAS, NordiQC). In assenza di tali requisiti, il ri-schio di una inaccurata valutazione dei recettori ormonali e di HER2 è particolarmente elevato, con risultati falsamente negativi per i recettori ormonali che possono raggiungere il 20% dei casi, e risultati falsamente positivi per HER2 fi no al 15%. Le raccomandazioni di ASCO/CAP off rono utili indicazioni sulla standardizzazione delle fasi pre-analitiche ed analitiche dei test immunoistochimici per i recettori or-monali e di HER2, e per l’amplifi cazione del gene HER2 mediante tecniche di ibridazione in situ. Di particolare im-portanza è la raccomandazione di considerare positive per i recettori ormonali tutte le neoplasie mammarie che espri-mano recettori per estrogeni o progesterone in almeno l’1% delle cellule neoplastiche.

La chirurgia conservativa e la PBI: problematiche tecni-che e modalità di esecuzione La chirurgia tradizionale (BCS) è in forte evoluzione, sem-pre più frequentemente si confronta con nuovi approcci di chirurgia oncoplastica (OPS), e l’utilizzo di queste tecniche deve essere attantemente valutato in caso di PBI.Nel caso di irradiazione parziale, l’individuazione del volu-me bersaglio è il fattore determinante per la buona riuscita del trattamento. Ai fi ni di una corretta defi nizione dei volu-mi di interesse radioterapico (Clinical Target Volume-CTV) si ritiene fondamentale la comunicazione e la collaborazione fra Chirurgo e Oncologo Radioterapista, nonchè fra tutte le fi gure coinvolte nella pianifi cazione terapeutica (Radiologo, Anatomo-patologo, Oncologo Medico). Tale cooperazione diventa fondamentale in caso di OPS. Nel primo caso ab-biamo spesso la corrispondenza tra sito dell’incisione e letto tumorale, nel secondo tale corrispondenza è occasionale. Il letto tumorale deve essere identifi cabile mediante clip po-

sizionate dal chirurgo in numero e sedi precedentemente concordate con l’Oncologo radioterapista. E’ comunque necessario tener conto di eventuali dislocazioni e migrazioni delle stesse. Un aspetto da defi nire in caso di OPS è come e dove posizionare le clip. Nelle mastoplastiche a peduncolo superiore, in quelle a peduncolo inferiore o nelle integrazio-ni volumetriche con lembo peduncolato di latissimus dorsi, la quantità di tessuto asportato può essere considerevole, e quindi, se si prevede di posizionare le clip ai quattro punti cardinali dell’exeresi, il volume bersaglio può risultare trop-po grande. Per ovviare a questo inconveniente l’operatore, caso per caso, dovrà valutare quale è il margine più vicino alla neoplasia, considerando la mastoplastica. In sintesi, nel caso di BCS sono raccomandate tre/quattro clip. Può esse-re omessa la clip quando il margine di exeresi raggiunge il bordo ghiandolare. Lo stesso approccio è consigliato nella mastoplastica secondo Benelli e rimodellamenti con lembi dermo ghiandolari scolpiti nel solco sottomammario. Nel-la mastoplastiche a peduncolo superiore o in quella a pe-duncolo inferiore è invece suffi ciente una clip sul margine macroscopicamente più vicino alla neoplasia, così come in caso di ricostruzione immediata con lembo di gran dorsale. Per quanto riguarda il posizionamento delle clip nel caso di quadrante supero-esterno, occorre tener conto della possibi-le sovrapposizione con le clip lasciate in ascella a scopo emo-statico. Esse devono quindi essere di dimensioni diverse. Se la PBI viene praticata con tecnica IORT le problema-tiche legate alla integrazione con la OPS variano al variare delle tecniche utilizzate. Nella IORT con ortovoltaggio oc-corre considerare i possibili danni a livello di cute e sotto-cute. Tradizionalmente l’exeresi si estende dal sottocute/cute alla fascia del muscolo grande pettorale: questo determina un rischio più elevato per le strutture nobili perché non si preserva una quantità anche minima di parenchima mam-mario su entrambi i fronti. Questa tecnica potrebbe essere quindi maggiormente indicata per neoplasie localizzate cen-tralmente nella ghiandola mammaria, o in mammelle di di-

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mensioni suffi cienti da poter preservare il tessuto ghiando-lare prefasciale e sottocutaneo. La IORT con elettroni può essere invece maggiormente indicata in tutti i casi in cui l’in-cisione cutanea consente il posizionamento del collimatore in posizione ortogonale rispetto alla sede della neoplasia. Una specifi ca problematica potrebbe essere legata alla sede dell’incisione e alla conseguente diffi coltà di attuazione della metodica, soprattutto in caso di mastoplastica secondo Be-nelli in pazienti con mammelle medio/piccole, o in caso di rimodellamento di quadranti periferici. La IORT potrebbe implicare un incremento dei tempi operatori, ma la buona coordinazione del team consente di mantenerli entro limiti ampiamente accettabili, in particolare nel caso di impegio di acceleratori dedicati, e con un apprendimento veloce. Sono comunque necessari la presenza di spazi e personale dedi-cato.La PBI mediante brachiterapia convenzionale o con Mam-mosite potrebbe essere impiegata sia in caso di BCS che di OPS. Le problematiche con la brachiterapia interstiziale riguardano in prima istanza la permanenza dei cateteri per un lungo periodo con un possibile aumentato rischio di in-fezioni e sanguinamenti, anchje se una adeguata profi lassi è in grado di prevenire tali eventi, mentre non si osserva alcun tipo di interferenza con le tecniche di OPS escluse le cica-trici di entrata/uscita dei cateteri che comunque cadono al di fuori delle cicatrici chirurgiche delle varie mastoplastiche. Per quanto attiene la brachiterapia con Mammosite occorre prestare molta attenzione alla distanza tra cavità e cute (an-che per i cateteri dell’interstiziale il CTV non deve essere superfi ciale), per cui la sua indicazione preferenziale è nelle exeresi molto limitate, in mammelle suffi cientamente volu-minose da consentire il corretto inserimento del dispositivo.

PBI: le tecniche7.1 Brachiterapia interstiziale La brachiterapia interstiziale è stata la prima tecnica utilizza-ta per eff ettuare trattamenti di PBI. Esiste, come già sottoli-neato, un unico studio clinico randomizzato che ha rivelato l’equivalenza di risultati in gruppo selezionato di pazienti.Impianti per la brachiterapia possono essere posizionati in-traoperatoriamente, subito dopo l’escissione della neopla-sia, o a distanza di 4-12 settimane, in fase postoperatoria. Mentre nel primo caso il radioterapista visualizza “in vivo” il volume da trattare e può confrontarsi con il chirurgo per meglio defi nire la geometria, nel secondo deve ricorrere a modalità di immagine per localizzare la sede di impianto. La presenza di clip ai bordi della cavità escissionale facilita il posizionamento dei cateteri sia sotto guida fl uoroscopia, sia mediante TC. Quest’ultima è attualmente ritenuta la mi-

gliore modalità di immagine per una precisa localizzazione pre-impianto della sede iniziale di malattia. La cavità escis-sionale lasciata aperta può essere ben visualizzata, anche se è stata descritta una certa variabilità tra osservatori diversi. L’impiego della TC consente inoltre la simulazione virtuale della geometria di impianto. Contornata la cavità escissio-nale o l’area delimitata dalle clip, questa viene espansa di 1-2 cm per ottenere il CTV che in brachiterapia corrisponde al PTV. L’entità di espansione dipende da diversi fattori, quali le dimensioni della mammella, la sede, la dimensione e la forma della cavità chirurgica, la distanza della neoplasia dai margini di resezione. La geometria virtuale dell’impianto viene defi nita in base alle dimensioni e alla forma del CTV, secondo diff erenti tecniche che per lo più dipendono dalle singole esperienze. Nel caso di impianto postoperatorio la procedura può essere eff ettuata in anestesia generale o locale, a preferenza degli operatori, ma condivisa con la paziente. Indipendentemente da questo, in corrispondenza dei reperi defi niti nella fase di simulazione virtuale, vengono inseriti gli aghi vettori. Il loro numero varia da 3 a 25, in media circa 15, e sono posizionati su due o più piani paralleli con una disposizione triangolata per ottimizzare la distribuzione spaziale della dose e irradiare adeguatamente anche volumi bersaglio di forma irregolare. Solitamente lo spazio tra gli aghi viene mantenuto costante attorno ai 15 mm. L’inserimento può avvenire utilizzando template come guida e/o a mano libera. Gli aghi vengono sostituiti da cateteri fl essibili che vengono fi ssati con bottoni alle due estremità e che rimangono in sede per tutta la dura-ta del trattamento per consentire il passaggio della sorgente di 192Ir. L’irradiazione avviene con tecnica afterloading. I trattamenti più frequentemente impiegati sono quelli ad alta intensità di dose, con ipofrazionamento accelerato (2 frazioni giornaliere, con intervallo di almeno 6 ore). Le dosi singole sono comprese tra 3,4 Gy e 4,3 Gy e le totali tra 34 Gy e 30.1 Gy. In una percentuale minore di casi 50 Gy ven-gono somministrati con modalità pulsata. La dose viene pre-scritta analogamente a quanto viene fatto con il sistema di Parigi: l’isodose di riferimento è all’85% della dose centrale media (MCD). Le posizioni delle sorgenti attive e i punti di dose sono defi niti individualmente su ogni catetere, e l’otti-mizzazione dei tempi di stazionamento è eff ettuata su punti di dose singola e/o in base a considerazioni geometriche. Le posizioni delle sorgenti attive più periferiche sono tenute a una distanza di 10-15 mm dalla cute per limitare la massima dose alla cute a non più del 60% della dose di prescrizione. Il vantaggio principale dell’impiego di brachiterapia ad alta intensità di dose è quello di non richiedere l’ospedalizzazio-ne della paziente. In questa sede si vuole sottolineare che

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realizzare un buon impianto di brachiterapia è premessa in-dispensabile per garantire una adeguata copertura del PTV, una elevata omogeneità di dose al suo interno e una ripida caduta di dose alla sua periferia. Sulle scansioni TC si rico-struiscono in 3D la posizione dei cateteri e le lunghezze, sia inattive che attive, delle sorgenti e si delineano gli organi a rischio di tossicità. La produzione di istogrammi dose-volume consente di ottenere una valutazione quantitativa e qualitativa del piano di cura. La brachiterapia interstiziale è fortemente operatore-dipen-dente. Questo aspetto, insieme alla riduzione, nel territorio nazionale, dell’impiego della brachiterapia, ha fatto sì che il suo utilizzo nela PBI sia limitato, nonostante i migliora-menti tecnologici abbiano reso la tecnica più riproducibile. Quando esista la suffi ciente esperienza, la brachiterapia può off rire vantaggi quali l’ottima conformazione della distri-buzione di dose, anche per volumi bersaglio irregolari, e il risparmio degli organi a rischio di tossicità, con la sola pro-babile eccezione della cute.

7.2 Brachiterapia endocavitaria : Mammosite®Per ovviare ad alcune problematiche tecniche della brachite-rapia classica è stato ideato un dispositivo, il MammoSite®, il cui utilizzo è stato approvato nel 2002 dalla FDA, e che oggi è la più diff usa metodica di PBI negli Stati Uniti. Il dispositivo consente l’irradiazione dei tessuti che costitui-scono la parete della cavità chirurgica residua dopo aspor-tazione della neoplasia. Esso è costituito da un catetere in silicone a doppia via, con un palloncino gonfi abile posto all’estremità distale, che consente l’inserimento della sor-gente radioattiva. E’ necessaria una attenta valutazione del volume mammario che deve essere suffi cientemente ampio da garantire l’inserimento del dispositivo, e della sede e la dimensione del nodulo, che devono essere tali da consentire una irradiazione con adeguato risparmio cutaneo. Quindi il trattamento con MammoSite® non è eseguibile in mam-melle piccole o con nodulo superfi ciale situato alla periferia

della mammella, in vicinanza del prolungamento ascellare, del solco sottomammario o al limite mediale del seno stesso. La procedura prevede il posizionamento del Mammosite® nella cavità chirurgica. L’inserimento avviene durante l’in-tervento chirurgico o, con modalità diff erita, entro le 10 set-timane successive sotto guida ecografi ca, purchè sia presente e raggiungibile una cavità chirurgica non organizzata e non siano state eseguite manovre di oncoplastica ricostruttiva. E’ sempre preferibile una via di inserimento laterale alla cica-trice chirurgica della tumorectomia allargata, e non l’utilizzo della stessa. Il palloncino, mediante una delle due vie, viene riempito con soluzione salina e mezzo di contrasto che ne consente la visualizzazione radiografi ca. Si crea con il pal-loncino espanso una compressione dei tessuti circostanti che costituiscono il letto tumoraleDevono essere valutati mediante scansioni TC i criteri di appropriatezza dell’impianto sono: la simmetria rispetto all’asse centrale del palloncino (è ammessa una diff erenza ≤ 4 mm), la conformità, cioè l’assenza di aria o fl uidi organici tra palloncino e cavità di resezione (è ammesso un rapporto Vfl uido/PTV ≤ 10% ), la distanza dalla cute, che deve essere di 7-10 mm. Sempre sulla base delle immagini TC viene pianifi cato il trattamento radiante. La dose prescritta è so-litamente di 34 Gy in 10 frazioni separate di almeno 6 ore, durante 5 giorni. L’isodose di riferimento è ad 1 cm dalla su-perfi cie del palloncino. In realtà, per la compressione tessu-tale creata dal palloncino, il volume sferico irradiato è mag-giore e la dose viene erogata ad uno spessore di parenchima di almeno 1,6 cm. La sorgente radio attiva viene inserita at-traverso la via principale del dispositivo fi no a raggiungere il centro del palloncino ogni volta che si esegue l’irradiazione (generalmente nella settimana successiva al posizionamento del MammoSite). Al termine della settimana dedicata all’ir-radiazione il palloncino viene svuotato e rimosso. Malgrado i soddisfacenti risultati sinora ottenuti la metodica presenta limitazioni correlate al classico dispositivo a lume singolo. Per ovviare a queste ne sono stati progettati altri con lumi

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multipli nell’unico palloncino (MammoSite ML e Contu-ra). Si inseriscono in modo analogo al MammoSite attraver-so una breccia cutanea adiacente alla sutura chirurgica.Un’ulteriore possibilità terapeutica è off erta dal SAVI: un dispositivo che consiste in un fascio di cateteri inseriti nella cavità chirurgica attraverso una breccia cutanea e successiva-mente espansi a conseguire una forma ellittica. L’utilizzo di dispositivi dotati di cateteri multipli consente una migliore distribuzione di dose ed un maggior risparmio della cute e degli altri organi a rischio e una maggiore aderenza alla morfologia della cavità chirurgica.

7.3 IORT con elettroni La IORT consente di erogare, durante un intervento chirur-gico, una dose terapeutica di radiazioni in una singola fra-zione direttamente sul bersaglio. Storicamente essa prevede lo spostamento del paziente, immediatamente dopo l’atto chirurgico, nel bunker in Radioterapia, all’interno del quale viene eff ettuata l’irradiazione mediante un acceleratore li-neare convenzionale. Oggi sono disponibili apparecchiature mobili dedicate che possono essere portate direttamente in sala operatoria, evitando così i problemi logistici e di sterilità legati al trasporto del paziente, e che sono in grado di pro-durre fasci di elettroni sino a 12 MeV. I vantaggi radiobiologici della somministrazione di una uni-ca dose elevata di radioterapia durante l’atto chirurgico sono diversi: i tessuti presentano una ricca vascolarizzazione, con metabolismo aerobio che li rende più sensibili all’irradiazio-ne; inoltre la radioterapia viene erogata prima che si avvii la proliferazione post chirurgica delle eventuali cellule residue nel letto tumorale e ancora l’unicità della somministrazione consente di eliminare il tempo intercorrente fra le diverse frazioni in un trattamento standard, con ulteriori potenziali vantaggi radiobiologici. Ovviamente sono descritte ipoteti-che limitazioni: la possibile presenza di cellele radioresistenti e l’impossibilità ad ottenere la sincronizzazione delle cellule in una fase maggiormente radiosensibile (Mitosi o G2).Tra le varie esperienze, da riportare lo studio randomizzato “ELIOT” avviato nel 2000 dopo una fase di “dose escala-tion” presso l’IEO di Milano, che ha messo a confronto lo schema standard di radioterapia adiuvante sull’intera mam-mella (50Gy in 25frazioni) con una dose unica di 21 Gy somministrata sul letto tumorale con un fascio di elettroni accelerati. I criteri di selezione includevano pazienti con età > 48 anni, istologia infi ltrante e con diametro inferiore a 2,5 cm, unifocalità evidenziata radiologicamente, assenza di comorbidità importanti. Lo studio ha reclutato oltre 1300 pazienti, ma i dati di non sono ad oggi ancora stati pubbli-cati. Una buona correlazione è invece stata dimostrata tra i

risultati su 1822 pazienti sottoposte a IORT esclusiva “out trial” e le classi di rischio defi nite dall’ASTRO. In merito agli eventi occorsi le recidive intramammarie a 5 anni sono progressivamente aumentate dal gruppo “suitable” (1,5%) a quello “cautionary” (4.4%) ed “unsuitable (8,8%), fornen-do un utile parametro per la corretta selezione delle pazienti.La tecnica chirurgica prevede, dopo l’asportazione del qua-drante mammario, lo scollamento della cute per circa 3-4 cm in ogni direzione (360°) e la mobilizzazione della ghiandola anche rispetto al piano muscolare profondo per un’esten-sione pari all’area che si vuole irradiare. Viene inserito al di sotto della ghiandola un disco metallico, di piombo ed alluminio, di diametro lievemente superiore rispetto al cam-po di irradiazione, per proteggere i tessuti sani sottostanti (piano costale, polmone, cuore). La ghiandola viene quindi ricostruita con una sutura provvisoria per ripristinare la con-tinuità del tessuto e viene misurato manualmente lo spesso-re ghiandolare per defi nire l’energia ottimale degli elettroni da utilizzare. Si posiziona infi ne il collimatore di dimensioni ed angolazione adeguate rispetto all’area da trattare, ponen-do particolare attenzione ad evitare l’erniazione dei tessu-ti nel collimatore poiché potrebbe creare disomogeneità e sovradosaggi. Infi ne l’acceleratore lineare viene avvicinato al letto operatorio e connesso al collimatore, mediante una procedura di aggancio defi nita “docking”.La IORT con elettroni richiede determinazioni dosimetri-che particolari e talvolta diff erenti rispetto a quelle necessa-rie per l’esecuzione dei trattamenti frazionati con fasci ester-ni: l’estensione e la profondità del CTV sono determinati in sala operatoria, visualizzando direttamente il letto tumorale e misurando con ago graduato lo spessore del tessuto ghian-dolare da trattare. In base a queste valutazioni vengono pertanto scelti sia la forma e le dimensioni dell’applicatore che l’energia e l’isodose di riferimento idonei ad assicurare la prescrizione terapeutica. Nell’impossibilità a realizzare un piano di trattamento utilizzando un sistema di calcolo com-puterizzato e disponendo di un tempo limitato per eff et-tuare i calcoli dosimetrici, è necessario che tutti i dati fi sici e geometrici, per ogni tipo di applicatore ed energia impie-gati, siano disponibili in un formato di rapida consultazio-ne e facile utilizzo. In particolare, i dati dosimetrici devono permettere il calcolo delle Unità Monitor (UM) necessarie. La IORT necessita di una dosimetria di fascio specifi ca. Un sistema ideale di dosimetria dovrebbe avere dimensioni ri-dotte, perturbazione del fascio trascurabile, risposta possibil-mente lineare nell’intervallo 10-25 Gy, assenza di dipenden-za dalla direzione di incidenza del fascio, dalla temperatura, dal rateo di dose e dall’energia del fascio, elevata riprodu-cibilità, possibilità di sterilizzazione o di inserimento in un

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involucro sterile sigillato, ed infi ne, facilità e immediatezza di lettura dei dati rilevati. Al momento, non esiste nessun sistema che possegga tutti i precedenti requisiti. I rivelatori di cui è riportato in letteratura l’impiego per misure in vivo sono quelli di tipo passivo, come le pellicole radiocromiche, l’alanina e i TLD (termolumiscenti). I sistemi dosimetrici attivi, quali piccole camere a ionizzazione, diodi, diamanti, scintillatori plastici e MOSFET, possono off rire il notevole vantaggio di consentire la determinazione immediata della dose e, quindi, la defi nizione di opportuni livelli di inter-vento sullo specifi co trattamento IORT in corso (correzione delle UM o controllo/modifi ca del setup). L’incertezza com-plessiva nella misura della dose in condizioni di riferimento con i sistemi sopra citati può essere stimata tra il 3% e il 5% per le dosi di interesse.

7.4 IORT con Intrabeam Il sistema Intrabeam è costituito da una sorgente miniatu-rizzata di fotoni X a bassa energia. Essa è composta da uno stativo mobile a 4 gradi di libertà, da una o più sorgenti di fasci X a bassa energia, da un controller ed una consolle computerizzata che gestisce i dati dosimetrici e di Quality Assurance delle sorgenti ed i dati di trattamento, da uno o più set di applicatori quasi totalmente sferici con diametri da 1,5 cm a 5 cm, a passi di 0,5 cm, ed infi ne da un set di strumenti per le prove di accettazione, di stato e di costanza. I fasci di raggi X di bassa energia, 30, 40 e 50 kV, 40 μA, sono prodotti da un tubo che utilizza un target a trasmis-sione in oro, situato alla fi ne di una sonda lunga 10 cm e di diametro 3 mm. La sorgente irradia quasi isotropicamente nello spazio e produce quindi una distribuzione di dose ten-denzialmente sferica. Essa viene unita ad applicatori di diverse misure, scelti in base alle dimensioni della cavità chirurgica, ma mai inferiori a 3 cm, che sono fatti aderire alla cavità stessa mediante la creazione di un particolare tipo di sutura, a borsa di tabac-co. La cute viene allontanata. Nel caso di irradiazione della mammella sinistra, viene interposta tra applicatore e musco-lo pettorale una gomma impregnata di tungsteno per pro-teggere il cuore. Prima dell’erogazione viene anche eseguita una copertura della superfi cie della mammella con la stessa gomma impregnata per ridurre l’irradiazione dell’ambiente. La dose assorbita diminuisce molto rapidamente, passando dal 100% alla superfi cie dell’applicatore a meno del 50 % a 1 cm. Ciò signifi ca che l’erogazione di una dose pari a 21 Gy alla superfi cie corrisponde all’erogazione di 5-7 Gy ad 1 cm di distanza dall’applicatore stesso. La distribuzione di dose ottenuta è quindi ad alto gradiente. La sicurezza e la tollerabilità della procedura con Intrabeam

è stata documentata in studi clinici di fase II, in cui la IORT è stata erogata da sola o come boost sul letto chirurgico, seguita da radioterapia standard a livello della mammella re-sidua. Tali studi hanno posto le basi per l’inizio dello studio Targit-A, in cui donne aff ette da carcinoma duttale infi ltran-te con età >45 anni sono state randomizzate a radioterapia convenzionale versus radioterapia intraoperatoria “targeted” (Targit) con Intrabeam. I criteri di inclusione prevedevano età >45 anni, diagnosi di carcinoma duttale infi ltrante in stadio clinico T1, T2 <3.5 cm, linfonodi ascellari clinica-mente negativi. La diagnosi postoperatoria di fattori predefi -niti come la presenza di carcinoma lobulare, di componente duttale in-situ estesa o di invasione linfovascolare estesa, o la necessità di riallargamento per margini di resezione positivi (o <2 mm) condizionava l’aggiunta della radioterapia post-operatoria estesa all’intera mammella, con una percentuale attesa del 15% circa. Sono state arruolate 2232 pazienti, ben bilanciate fra i due gruppi. A 4 anni di follow-up, sono state riportate 6 recidive locali nel gruppo Targit e 5 nel gruppo convenzionale, rispettivamente con un tasso di 1.2% (95% C.I 0.53-2.71) e 0.95% (95% C.I. 0.39-2.31), e con una diff erenza fra i due di 0.25% (p=0.41). Il 14% delle pa-zienti nel braccio sperimentale è stato sottoposto anche a radioterapia esterna, in linea con quanto previsto. Gli autori hanno anche riportato una frequenza di complicanze e di tossicità severa uguale nei due gruppi, con la sola eccezione dell’incidenza del seroma, maggiore nel braccio Targit. Ov-viamente tali dati sono da considerarsi ancora preliminari, stante la limitatezza del periodo di osservazione.Elementi di forza della tecnica Intrabeam sono la possibilità di completare il trattamento con radioterapia a fasci esterni sull’intera mammella nei casi in cui la diagnosi postoperato-ria documenti fattori prognostici sfavorevoli per recidiva lo-cale, la pragmaticità del protocollo che ha permesso a nume-rosi centri sparsi in tutto il mondo di partecipare e arruolare pazienti, con eccellente livello di riproducibilità, e la possi-bilità di eseguire la procedura in “post-pathology”. Queste considerazioni valgono per tutte le metodiche di PBILa sorgente di IntraBeam produce fasci di caratteristiche inusuali a confronto con i fasci classici e quindi gli strumen-ti normalmente usati per la dosimetria, inclusi i fantocci ad acqua, ed i relativi protocolli non sono adatti per l’uso spe-cifi co. Le prove di accettazione, di stato e di costanza pre-viste per IntraBeam utilizzano un set di strumenti, fornito con l’apparecchiatura, completo di dosimetro a camera a ionizzazione per fasci X a bassa energia. Il set fornito per-mette il controllo dell’allineamento della sonda, il control-lo dell’isotropia di emissione, ed il controllo del dose-rate della sorgente, eff ettuato in aria ad una distanza fi ssa dalla

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sorgente. Le prove di costanza forniscono risultati che sono registrati all’interno del programma di calcolo del tempo di trattamento, sito nella consolle computerizzata dell’ap-parecchiatura e che hanno una validità di 36 ore a partire dall’eff ettuazione delle prove stesse. Per quanto riguarda il commissioning, la possibilità di eseguire misure in loco è strettamente legata alla disponibilità di un piccolo fantoccio ad acqua utile per eff ettuare misure di dose-rate a distanze fi sse dalla sonda, ed il rispetto completo delle condizioni di riferimento raccomandate dai protocolli di dosimetria, problema però non facilmente risolvibile. Ogni sorgente ed ogni set di applicatori vengono comunque forniti con il set completo di dati dosimetrici necessari per il calcolo del tempo di trattamento, misurato dal fornitore, che viene aggiornato ad ogni manutenzione ordinaria e straordinaria.

7.5 Radioterapia a fasci esterni: 3 DCRT Il primo studio randomizzato di radioterapia esterna posto-peratoria diretta sul solo letto tumorale fu condotto al Chri-stie Hospital di Manchester tra il 1982 e il 1987 ed i risultati furono negativi per la PBI, anche per l’inadeguatezza della tecnica e la scarsa selezione delle pazienti. Più recentemente al WBH di Detroit è stata messa a punto una tecnica di radioterapia conformazionale a fasci multipli non coplanari che prevede la somministrazione di una dose totale di 38.5 Gy in 10 frazioni biquotidiane durante 5 giorni. La dose totale e quella per frazione sono state determinate utilizzando il formalismo lineare quadratico che consente, al modifi carsi della dose per frazione, di determinare la dose totale isoequivalente, e cioè quella in grado di determina-re un uguale eff etto biologico. Il volume bersaglio è stato identifi cato con il “letto chirurgico”, e cioè quella porzio-ne di tessuti adiacenti all’area di exeresi, indicata dalle clip posizionate dal chirurgo sui margini di resezione, ampliato di 10-15 mm a costituire il CTV. Il PTV è ottenuto espan-dendo il CTV di altri 10 mm allo scopo di compensare pos-sibili variazioni nella posizione o a inaccuratezze nel set up quotidiano. I risultati estetici e il controllo locale apparivano soddisfacenti, per cui questo studio preliminare ha dato ori-gine ad uno studio di fase II dell’RTOG, i cui risultati, in termini di controllo locale sono risultati eccellenti (quasi il 99% a 4 anni), analogamente per quelli cosmetici. Purtrop-po in questi ed altri studi analoghi i criteri di selezione delle pazienti non sono defi niti con chiarezza, non è riportata con suffi ciente dettaglio la defi nizione del volume bersaglio, la dose totale e quella per frazione sono spesso diverse. Occorrerrà quindi attendere i risultati dei tre studi in cor-so di fase III, il RTOG 0413-NSABP B39, l’IRMA-01, e quello canadese RAPID-l. Tutti confrontano la radioterapia

standard con una PBI accelerata ed ipofrazionata eseguita nella maggior parte delle pazienti (in tutte nei trials cana-dese ed europeo, nella grande maggioranza di esse in quello statunitense) con tecnica 3D-CRT alla dose di 3850 cGy in 10 frazioni biquotidiane somministrate in 5 giorni. I criteri di selezione delle pazienti non sono completamente omo-genei per quanto riguarda l’età delle pazienti, le dimensioni del tumore ed il numero linfonodi positivi. L’endpoint prin-cipale comune è costituito dall’incidenza di recidive nella mammella omolaterale. Gli studi sono invece molto simili per ciò che riguarda la defi nizione del CTV ed i costraints di dose per gli organi critici. Stante la ancora mancante defi nizione di sicuri criteri di selezione, un programma di PBI dovrebbe comunque ri-spondere a precisi requisiti di appropriatezza del CTV me-diante il posizionamento di clip. Le dimensioni del volume da trattare sono ancora oggetto di discussione, anche se un margine di 10-20 mm intorno al letto chirurgico sembra adeguato. Allo stesso modo sembra opportuno mantenere il CTV ad almeno 5 mm dalla superfi cie cutanea allo scopo di ridurre il più possibile il rischio di eff etti secondari. Un altro punto essenziale è la defi nizione di una relazione defi nita tra CTV e volume mammario, per escludere le pazienti con mammelle molto piccole. Solitamente viene ritenuto accet-tabile un rapporto tra CTV e volume della mammella non superiore al 30-33%.I criteri relativi ai constraints di dose per gli organi a rischio, di omogeneità della distribuzione di dose, di defi nizione di un PTV tale da tenere nella dovuta considerazione le in-certezze quotidiane nel posizionamento della mammella, le possibili inaccuratezze del set up edi movimenti respiratori, l’implementazione di un programma di qualità e la verifi ca dei risultati sono comuni a qualsiasi buona pratica clinica in radioterapia. Le specifi cità riguardano alcuni aspetti fi -sici e dosimetrici di elevata complessità con l’introduzione di tecniche 3DCRT non planari, tipicamente utilizzate nel campo dei trattamenti di stereotassi e/o radiochirurgia. Dal punto di vista pratico le sedi di irradiazione risultano esse-re di dimensioni inferiori, per estensione, rispetto ai tratta-menti standard della mammella, con dosi erogate per sin-gola seduta pari a 385 cGy/frazione. A tale scopo alcune verifi che preliminari devono essere intraprese per assicurare la qualità del trattamento, in particolare per l’immobiliz-zazione e la verifi ca portale mediante EPID o Cone-Beam. Una particolare attenzione va dedicata alla modellizzazione degli acceleratori nei sistemi di calcolo delle dosi (TPS), in particolare, per i campi di dimensioni inferiori a 5 cm, con o meno la presenza di fi ltri (fi sici o virtuali). La presenza dei fi ltri potrebbe essere superfl ua se si utilizzano tecniche Field-

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In-Field (FIF). La dose per frazione e la bi-quotidianità del trattamento sono un ulteriore fattore di attenzione in mate-ria di calibrazione dosimetrica dell’acceleratore e di corretta modellizzazione della dose trasmessa o diff usa da MLC e Jaws. Un’approssimativa caratterizzazione di tali dati può rivelarsi controproducente nella valutazione delle basse dosi erogate alla mammella controlaterale ed alla tiroide, oltre al calcolo degli “hot-spot”, “cold-spot” o della dose in cute. I sistemi di calcolo moderni prevedono algoritmi Collap-sed Cone Convolution o Monte Carlo, che garantiscono la necessaria accuratezza in termini di disomogeneità tissutale alle interfacce. In ogni caso è suggerito di uniformarsi a ri-conosciuti programma di garanzia della qualità. Per quel che riguarda la pianifi cazione del trattamento, con la geometria di irradiazione a 4 campi non planari per la mammella destra, e 5 campi per la sinistra, è possibile otte-nere variando le geometrie degli angoli dei gantry, lettini e dei collimatori, irradiazioni e distribuzioni di dose adeguate al raggiungimento degli obiettivi clinici prescritti. L’ottimiz-zazione dei fi ltri e dei pesi dei singoli campi, consentirà poi di ottenere una maggior omogeneità delle dosi erogate. Non è però escluso il ricorso ad un numero maggiore di campi, o con presenza di segmenti multipli per campi e quindi l’uso di tecniche FIF o di Class Solution. Le maggiori diffi coltà ri-siedono tipicamente nei quadranti interni in prossimità del-la mammella controlaterale, quando le proiezioni dei campi possono irradiare porzioni di OARs altrimenti non evitabili e dove il vincolo di dose massima risulta essere molto restrit-tivo. Altro caso critico è la presenza di lesioni esterne e mam-mella concava, dove le rotazioni del lettino, la non planarità del fascio e la forma anatomica di taluni pazienti, possono ingenerare problemi relativi alle collisioni tra testata e letti-no o impedire il rispetto di vincoli quale il polmone, il cuore o la quantità di tessuto omolaterale mammario irradiato.

7.6 Radioterapia a fasci esterni: IMRT L’IMRT, basata su una tecnica di inverse-planning, ha come scopo principale quello di garantire l’omogeneità di dose al volume bersaglio in particolari condizioni anatomiche che renderebbero impossibile il trattamento convenzionale con i due campi tangenziali, ed in letteratura sono disponibili diversi studi che aff rontano le problematiche inerenti il suo utilizzo per il trattamento dell’intero corpo mammario. Allo stato attuale esistono anche studi di fase I e II che riguarda-no la PBI, e, in Italia, un unico studio di fase III, in corso a Firenze. I criteri di inclusione prevedono età ≥ 40 anni, di-mensioni del carcinoma infi ltrante o in situ ≤25 mm, mar-gini negativi (>5 mm), presenza di clip metalliche nel letto operatorio, stato linfonodale ascellari indiff erente, assenza

di estesa componente intraduttale (è ammessa componente intraduttale). Sono stati inoltre introdotte controindicazioni in caso di presenza di una cardiopatia ischemica o disfun-zione sistolica con frazione di eiezione inferiore al 50%, di un defi cit ventilatorio con FEV1 < ad 1 litro/minuto, od ancora, di un intervento di mastoplastica. Come si può os-servare i criteri adottati in questo studio non trovano sem-pre una corrispondenza con quelli adottati nelle linee guida ASTRO.Lo schema di trattamento prevede il confronto tra una ra-dioterapia postoperatoria classica ed una radioterapia ac-celerata sul solo quadrante mammario operato (600 cGy/frazione x 5 frazioni a giorni alterni, con dose totale di 30 Gy). Impiegando il modello lineare quadratico con un / di 3 Gy, questo regime di frazionamento corrisponde a 54 Gy in 27 frazioni standard da 2 Gy/frazione. Il CTV è stato disegnato con un margine uniforme di 1 cm attorno alle clip. Il CTV deve essere 3 mm all’interno della superfi cie cutanea e 3 mm dalla parete toracica. Un secondo margine tridimensionale uniforme è stato sommato al CTV per ot-tenere il PTV. E’ stata permessa un’estensione del PTV < 4 mm all’interno del polmone omolaterale e limitata a 3 mm dalla cute. Non vi sono state limitazioni alle estensioni del CTV e del PTV nella direzione craniocaudale. Lo studio TC per la pianifi cazione del trattamento dovrebbe essere eff ettuato con uno spessore di strato non superiore agli 0.3 cm e comprendere completamente le mammelle e i polmoni. Gli organi a rischio di interesse, da disegna-re secondo le raccomandazioni dell’ICRU 50/62, sono la mammella ipsilaterale e controlaterale, i polmoni, il cuore e il midollo. La tecnica prevede 4 fasci coplanari di fotoni da 6 MV, scegliendo opportunamente gli ingressi in modo da evitare la mammella controlaterale. Sono stati defi niti i vincoli impiegati in fase di ottimizzazione. Essi riguardano la copertura del PTV (100% del PTV riceve il 95% del-la dose di prescrizione), la dose massima al PTV ≤105%, la dose minima al PTV di 28 Gy, la dose alla mammella “uninvolved” (non più del 50% con dose ≥50% della dose di prescrizione), il polmone omolaterale (non più del 20% con dose ≥10 Gy), il polmone controlaterale (non più del 10% con dose ≥5 Gy), la mammella contro laterale (dose massima ≤ 1 Gy) ed il cuore, dove non più del 10% deve ricevere una dose ≥3 Gy. Allo scopo di uniformare le prescri-zioni, la documentazione e la registrazione dei dati relativi al trattamento, è opportuno attenersi alle raccomandazioni dell’ICRU83. Particolare attenzione deve essere posta alla garanzia di qualità dei parametri dosimetrici e geometrici relativi all’erogazione del trattamento. Deve essere stabilito un solido programma di assicurazione di qualità dei sistemi

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di pianifi cazione del trattamento (seguendo le indicazioni di report internazionali come ad esempio il Technical Report 430 IAEA) e di verifi ca di costanza e stabilità geometrica (in particolare per quanto riguarda il collimatore multilamel-lare e l’accuratezza di posizionamento delle lamelle in caso di IMRT statica, posizionamento e movimento in caso di IMRT dinamica) e dosimetrica (report AAPM TG 142). Un altro aspetto che merita attenzione riguarda la verifi ca del posizionamento del paziente, che deve essere particolarmen-te accurata trattandosi di un trattamento con frazionamento accelerato. A tale scopo è opportuno l’impiego dei sistemi di immagini portali o Cone Beam CT per tutte le frazioni di trattamento e magari, laddove disponibile, anche sistemi di gating respiratorio e tracking. Di tale studio sono disponibili ad oggi i soli dati di tossicità acuta che sono sovrapponibili nei due gruppi. Il livello di evidenza non è quindi ancora valutabile per cui l’utilizzo di questa metodica di trattamento è riservata a studi clinici.

ConclusioniLa PBI rappresenta un nuovo approccio destinato ad aff er-marsi in maniera sempre più solida in futuro. Ad oggi i dati disponibili non sono suffi cienti per determinarne con cer-tezza, ed in base alle regole della evidenza, le indicazioni. Appare quindi opportuno che la PBI sia ancora oggetto di studi che rispondano ai quesiti di appropriatezza necessa-ri prima di considerarla un trattamento standard. In attesa che i risultati attesi nei prossimi anni possano contribuire a questa chiarifi cazione, questo comitato di consenso è in grado di esprimere alcune raccomandazioni, che vengono di seguito riportate in una breve sinossi.

Sinossi delle raccomandazioni1. La PBI è da considerarsi una matodica non completa-mente consolidata per cui il suo impiego deve avvenire pre-feribilmente nell’ambito di studi clinici controllati.2. Linee guida americane ed europee hanno identifi cato alcuni sottogruppi di pazienti nelle quali la PBI potrebbe essere somministrata al di fuori di studi clinici. Tuttavia tali criteri non sono omogenei e si raccomanda quindi cautela nel proporre tale approccio in attesa di ulteriori dati clinici.3. Consistenti esperienze nazionali e monoistituzionali han-no allo stesso modo evidenziato alcune caratteristiche di “basso rischio” per gruppi di pazienti, per le quali, sulla base di uno specifi co consenso informato, la PBI potrebbe essere considerata. Si raccomanda comunque che i dati derivati da questi trattamenti siano registrati ed oggetto di comunica-zione scientifi ca. 4. L’imaging svolte un ruolo fondamentale nel defi nire la se-

lezione delle pazienti. Una forte raccomandazione è espressa per l’introduzione, almeno nell’ambito degli studi control-lati, della RM preoperatoria. 5. Il quadro radiologico nel follow-up delle pazienti sotto-poste a PBI presenta caratteristiche particolari, che richiedo-no una particolare competenza del diagnosta, il quale, a sua volta, deve essere messo a conoscenza della tecnica utilizzata.6. Il patologo svolge un ruolo altrettanto fondamentale ed è necessaria uniformità per quanto attiene la valutazione di parametri fondamentali ai fi ni dell’indicazione, quali il tipo istologico, il grado, l’espressione recettoriale, e, soprattutto, lo stato dei margini.7. Il chirurgo è una fi gura fondamentale nel processo del-la PBI, quindi il suo coinvolgimento iniziale e per tutti gli aggiornamenti successivi è indispensabile. Le tecniche chi-rurgiche devono essere defi nite in rapporto alle diff erenti modalità di esecuzione della PBI e quindi concordate. Par-ticolare attenzione deve essere posta alle recenti problema-tiche indotte dalla sempre più estesa applicazione della chi-rurgia oncoplastica. 8. Non esiste nessuna evidenza di superiorità di una tecnica di PBI rispetto ad un’altra. Emergono alcune indicazioni più specifi che per qualcuna di esse in rapporto a fattori morfolo-gici relativi alla mammella o al tumore. La raccomandazione è che per utilizzare qualsiasi tecnica sia necessaria una espe-rienza qualifi cata degli operatori, da sviluppare in ambito multidisciplinare.9. Ogni tecnica necessita di un ben preciso programma di garanzia della qualità per tutti gli aspetti da essa determinati ed in particolare relativamente alla formazione del personale coinvolto10. Si raccomanda la prosposta e la messa in atto di nuo-vi studi clinici controllati che tengano conto delle acquisite conoscenze in tema di PBI derivanti da più di 10 anni di esperienze, fi nalizzati a rispondere ai quesiti ancora aperti in termini di selezione delle pazienti, ruolo dell’imaging, pato-logia, chirurgia e tecniche.

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O B I E T T I V O S UO B I E T T I V O S U

Aggiornamento sulla Tomosintesi

S. CIATTO, D. MISTRANGELO, D. BERNARDI

U.O. Senologia Clinica e Screening Mammografi co, Dipartimento di

Radiodiagnostica, APSS, Trento.

Da qualche anno la tomosintesi (TS) si sta aff acciando sem-pre più prepotentemente alla ribalta della senologia dia-gnostica. In realtà non è sorprendente che l'introduzione di una metodologia, che possiamo defi nire 3D, comporti dei vantaggi rispetto alla tradizionale modalità analoga 2D. Il termine coniato per defi nire tale nuova metodica, “tomosin-tesi”, è certamente accattivante. Nonostante ciò il principio tecnico è lo stesso della ormai desueta “stratigrafi a” ideata dal Prof. Vallebona; chi ha avuto la sfortuna anagrafi ca di usare tale tecnica radiologica, ad esempio nella valutazione del mediastino, sa bene quali vantaggi diagnostici essa con-sentisse rispetto alla radiografi a del torace in due proiezioni. Nessuna sorpresa quindi che una valutazione mammogra-fi ca con tecnica 3D, che può aver ragione dell'eff etto ma-scherante o delle false immagini da sovrapposizione dovuti alle densità fi bro-ghiandolari, sia assolutamente vantaggiosa rispetto alla tradizionale 2D.Teorizzato ciò, e dopo averlo condito da dimostrazioni di eff etti speciali con casi eclatanti, è necessario dimostrare che i suddetti vantaggi diagnostici siano quantitativamen-te importanti, ripetibili e, soprattutto, costo-effi cienti, dal momento che la metodologia ha intrinsecamente dei costi, sia in termini economici che umani, al momento piuttosto elevati.

Impiego in clinica o screening?Dagli studi fi nora condotti la TS sembra trovare la sua rea-lizzazione migliore nella mammografi a di screening, spon-taneo od organizzato che sia, nella quale la percezione di piccole neoplasie può risultare particolarmente diffi coltosa per la concomitanza di densità mascheranti. In presenza di sintomi o nell'approfondimento di alterazioni sospette alla mammografi a 2D la TS non riveste un ruolo determinante,

rappresentando solo uno dei diversi presidi diagnostici che si possono impiegare in questi casi. Un possibile impiego della TS in ambito clinico, dove le casistiche limitate e la di-sponibilità di tempo consentono spesso o sistematicamente l’esecuzione dell’ecografi a in presenza di seno denso, potreb-be essere quello di evitare l’ecografi a, se studi comparativi dimostrassero l’equivalenza delle due metodiche.

Modalità di esecuzioneAl momento l’esame in TS si esegue nelle due proiezioni standard cranio-caudale (CC) ed obliqua medio-laterale (MLO). Analogamente a quanto è successo anni fa con la proiezione MLO, che gli svedesi avevano osannato come possibile unica proiezione (per poi ricredersi platealmente riconoscendo che essa, sia per eff etto mascherante che per “fuori campo”, perdeva un 5% di carcinomi), i tentativi di eseguire la TS in un’unica proiezione (per l’appunto la sola MLO) sono stati verifi cati essere insoddisfacenti.Per validare l’impiego della TS nello screening è necessario confrontare le diverse performance diagnostiche ottenute dall’impiego della sola mammografi a 2D e dall’associazione di mammografi a 2D+TS. L'uso della sola TS al momen-to non sembra trovare una collocazione pratica, in primo luogo perché la TS ha generato una nuova semeiotica (for-malmente la stessa della mammografi a 2D ma in una ver-sione “sfumata”) con la quale il Radiologo Senologo deve necessariamente prendere dimestichezza, in seconda istanza perché i dati preliminari degli studi tuttora in corso par-rebbero dimostrare che il massimo vantaggio in accuratezza diagnostica sia ottenuto dalla combinazione 2D + TS e non dalla sola TS.Gli studi, conclusi o in corso che siano, hanno evidenziato numerosi vantaggi off erti dalla metodica ma anche alcuni difetti della stessa. Tra i primi l’aumento in sensibilità nel riconoscimento di lesioni cancerose al quale si associa la riduzione dei richiami per sospetti alla 2D con conseguente aumento in specifi cità.

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di lettura (vedi oltre), è comunque un vantaggio di cui tene-re conto, sia sul piano economico, sia sul piano della ridu-zione del carico di lavoro dei tecnici di radiologia (TSRM) e radiologi addetti agli approfondimenti. Tempi di lavoro: TSRM e radiologiTra i difetti della metodica ad oggi emersi nell’impiego della metodica TS spiccano i tempi di lavoro, sia del personale tecnico che medico, l’aumento della dose somministrata alla paziente e, non ultimo, i costi della metodica. Se per i TSRM l'impegno nella conduzione dell’esame 2D o di quello 3D non è molto diverso (l'esame TS è acquisito contestualmente a quello tradizionale 2D, mediante un'uni-ca compressione), per il Radiologo Senologo invece le cose sono decisamente diverse. Un recente studio, condotto a Trento, dimostra come l'acquisizione di un esame 2D+3D rispetto all'esame 2D richieda al TSRM un tempo di lavoro aggiuntivo “da porta a porta” pari a circa il 10%. Pur considerando che questo studio è stato fatto con un ap-parecchio (Selenia Dimensions, Hologic) che al momento è quello che impiega il tempo di scansione più breve (4’’ per proiezione), l’impiego di mammografi con tempi di scansio-ne superiori non dovrebbe cambiare eccessivamente questo carico di lavoro. Tale osservazione ha implicazioni rassicu-ranti rispetto all'uso della TS in screening, dove l'effi cienza ed il carico di lavoro sono variabili assolutamente cruciali.Diversamente, la valutazione da parte del Radiologo Senolo-go dell’esame di TS (che consiste nel seguire un breve fi lmato nel quale i diversi piani della mammella scorrono in continuo con impossibilità di seguire il fi lmato in modo panoramico su tutta la mammella che quindi va valutata “a pezzi” in ogni singola proiezione) è inevitabilmente molto più lunga. Un recente studio condotto a Trento dimostra che il rapporto tra tempo di lettura 2D+TS e 2D è circa del doppio. Questo risultato, nell’ottica di un impiego di screening, è un fatto negativo perché il raddoppio dei tempi di lettura implica la necessità di avere anche il doppio dei radiologi addetti.

O B I E T T I V O S UO B I E T T I V O S U

Esperienze di screening: aumento della detection rateChe la TS consenta di identifi care carcinomi occulti alla 2D è ormai comprovato da centinaia di casi aneddotici. Quello che resta da dimostrare è quanto spesso ciò avvenga e quin-di quale il costo economico, ma non solo, ad essa legato. Tali informazioni sono diffi cilmente ricavabili dalla maggior parte delle esperienze pubblicate, che riferiscono di valuta-zioni di set artifi ciali di casi letti in simulazione da parte di Radiologi Senologi esperti. I primi risultati delle poche esperienze di uso corrente della TS in pratica di screening (uno studio in corso in UK-TOMMY-, uno in Norvegia, uno in Svezia ed uno studio in Italia nei centri di screening di Trento e Verona) sono molto favorevoli all’impiego del-la TS; in particolare i dati preliminari dell’unica esperien-za italiana di utilizzo della TS nell'ambito dello screening di popolazione, con doppia lettura sequenziale della 2D e della 2D+TS, sono molto incoraggianti, evidenziando un incremento diagnostico di circa il 25% che, analogamente a segnalazioni precedenti, non sembrerebbe realizzarsi solo in presenza di seno denso ma anche in casi di mammelle in involuzione fi bro-adiposa. Considerando che la detection rate dello screening (per lo più screening ripetuto) è bassa (intorno al 3-4‰), sarà necessaria una casistica numerosa per poter confermare questi primi risultati. I dati prelimina-ri riportati dagli studi di screening di Oslo e Malmoe all’ul-timo ESR di Vienna confermano un aumento consistente (15-35%) del tasso diagnostico di carcinoma grazie alla TS.

Esperienze di screening: riduzione dei richiamiLa riduzione dei richiami per approfondimento (specifi ci-tà) è indubbiamente l'altro aspetto favorevole della visione 3D, che dovrebbe consentire di risolvere false immagini de-terminate da incroci vascolo-stromali e da sommazione di densità. In tutti gli studi condotti risulta che la TS consente di risolvere dal 20 al 60% dei casi di dubbio diagnostico alla 2D. Un recente studio condotto a Trento ha evidenziato che l’impiego della TS consente la riduzione dei richiami per dubbi alla 2D in circa il 60% dei casi senza che ciò com-porti perdita di carcinomi (falsi negativi). Purtroppo, pur risolvendo molti dubbi della 2D, la TS genera essa stessa dei falsi positivi: ma, almeno dallo studio di screening di Trento-Verona, il bilancio sembra restare vantaggioso alla 3D, con una riduzione dei richiami 2D nell’ordine del 40%, un aumento dei richiami alla sola 3D circa del 20%, e una riduzione complessiva fi nale circa del 20%. Tale vantaggio sembra verifi carsi sia nei seni densi che in quelli a prevalente componente adiposa. Sebbene tale riduzione di richiami non vada certo a ripagare del tutto il costo dello strumento e dell'impegno aggiuntivo

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Dose di esposizioneAltra variabile che può condizionare l’impego della TS è la dose di esposizione che, in un esame 2D+TS, è quasi dop-pia rispetto alla 2D. Ciò ha ovviamente implicazioni radio-protezionistiche, specie in un impiego nello screening di po-polazione e, sebbene l'età delle donne coinvolte non sembra essere associata ad una particolare suscettibilità alla cancero-genesi radioindotta e nonostante uno studio condotto pres-so l’IST di Genova dimostri che la dose somministrata nella 2D+TS si sia sempre al di sotto dei limiti di consentiti per legge, il problema esiste. Una possibile soluzione potrebbe essere fornita dalla creazione di una proiezione 2D a partire dalle sole acquisizioni di TS (2D “sintetica”), attualmente in studio con primi risultati molto incoraggianti: se ciò fun-zionasse, non essendo più necessaria l'acquisizione 2D con-venzionale, si otterrebbe la riduzione della dose alla metà di quella attualmente somministrata.

CostiIl costo dell’apparecchiatura di TS è certamente ad oggi un ulteriore barriera alla sua diff usione. Nell’ottica di dover con-vertire tutto il parco macchine mammografi co, qualora si di-mostri l’effi cacia della metodica, è possibile che nel tempo i prezzi si abbassino. E’ necessario tenere presente che nelle realtà di screening le macchine sono ancora in parte analo-giche e che il processo di riduzione dei costi nel medicale è piuttosto lento. Un incentivo all’impiego della TS potrebbe essere rappresentato dalla possibilità di ovviare alla doppia lettura che rappresenta, a tutt’oggi, un notevole impegno per i Radiologi Senologi addetti allo screening, con costi e carichi di lavoro molto importanti e talora critici. Un ten-tativo di surrogare la doppia lettura è stato fatto in passato con CAD, ma la lettura singola+CAD risulta tuttora, negli studi controllati, inferiore alla doppia lettura convenzionale. L'idea che la lettura singola 2D+TS possa equivalere, quanto ad accuratezza diagnostica, alla doppia lettura è certamente allettante. Nello studio italiano di screening i risultati preli-

minari sono molto incoraggianti dal momento che la lettura singola 2D+ TS risulta essere moderatamente più sensibile e decisamente più specifi ca della doppia lettura convenzionale.

Uso in stadiazioneUn impiego decisamente secondario della TS, ma con possi-bili positive ricadute economiche, è quello in stadiazione. Dal momento che la TS sembra vedere di più e meglio della 2D è automatico pensare che essa possa stadiare meglio il carcino-ma, sia nel defi nirne l'estensione, sia identifi cando eventuali multifocalità occulte. Tale confronto dovrà essere necessaria-mente fatto anche con la RM, metodica per la quale i benefi ci diagnostici (upstaging) sembrano peraltro tradursi di fatto in un aumento delle mastectomie. Studi in corso in Italia (Mo-linette di Torino e Trento) dovrebbero poter fornire i primi risultati sul breve termine.

Curva di apprendimentoSempre nell’ottica di un bilancio economico è importante sot-tolineare che la TS non necessita di un particolare addestra-mento del Radiologo Senologo. Per un radiologo esperto di mammografi a è infatti facile e rapido imparare a manovrare la workstation di TS; la semeiotica, anche se un po' “fl ou”, è quella convenzionale e la curva di apprendimento non sembra essere molto lunga. In un recente studio condotto a Trento il tempi di lettura acquisiti sul breve termine (3 mesi) non va-riano dopo un periodo di pratica intensiva di ulteriori 6 mesi

ConclusioniPer concludere, la TS indubbiamente è metodica molto pro-mettente. E’ necessario ora vedere se l'evidenza scientifi ca di studi controllati ne confermi i possibili vantaggi. Per il momento una cosa è certa: dopo la miriade di mete-ore che ha solcato il cielo della diagnostica senologica senza lasciare alcuna traccia, dalla termografi a alla elastosonografi a, passando per la xeromammografi a, la termografi a e l'ecografi a con contrasto, questa sembra essere veramente la volta buona.

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Rassegna della letteratura

ANATOMIA PATOLOGICARECENSIONE A CURA DI I. CASTELLANO E A. SAPINO

Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana,

Università di Torino

In studi precedenti (vedi Cheang MC et al. J Natl Cancer Inst. 2009 May 20;101(10):736-50) è stato dimostra-

to che attraverso la determinazione recettoriale, lo stato di HER2 e l’indice proliferativo, si può ottenere una classifi ca-zione dei carcinomi mammari che è in grado di rispecchiare le rispettive categorie molecolari, Luminali A-B, Basali ed HER2+ ed il loro andamento prognostico. Questa traslazio-ne di dati dalla biologia molecolare alla clinica ha acquisito una grande importanza durante l’ultimo consensus meeting di San Gallen, avvenuto lo scorso marzo 2011, in cui è stato stabilito che il trattamento del carcinoma mammario deve basarsi proprio sulle categorie molecolari, ottenute median-te l’assetto immunofenotipico. Questo tipo di approccio può tuttavia causare una man-canza di attenzione nei confronti del referto anatomo-pa-tologico, in particolare può trascurare informazioni impor-tanti riguardanti l’istotipo. Ad esempio l’insieme dei tumori basal-like (recettori ormonali negativi ed HER2 negativi), caratterizzarti da una cattiva prognosi, viene facilmente confuso con quello dei tripli negativi, dove esistono specifi ci istotipi ad andamento clinico indolente (come ad esempio il carcinoma adenoideo-cistico-ADC). Ugualmente, anche nei tumori Luminali (positivi al recettore estrogenico-ER), curabili in genere con la sola ormonoterapia e caratterizzati da una buona prognosi, sono però compresi carcinomi dif-ferenti dal punto di vista morfologico.I due studi di seguito riportati si propongono di indagare il potenziale prognostico di specifi ci istotipi nell’ambito del-la categoria dei carcinomi Luminali e dei carcinomi Basal-Like.

Colleoni M, Rotmensz N et alOutcome of special types of luminal breast cancer Annals of Oncology 2011; October 29

In questo studio sono stati esaminati 7372 casi di carcinoma mammario operati tra il 1997 ed il 2005, con un follow up medio di 5.8 anni, classifi cati dal punto di vista immu-noistochimico come Luminali A (ER-positivi HER2 non amplifi cato e con basso indice proliferativo (Ki67<14%) o Luminali B (ER, HER2 negativo e Ki-67>14% oppure ER-positivo ed HER2 amplifi cato o overespresso). Il 76% di questi tumori è risultato un carcinoma duttale infi ltrante (CDI) nas, l’11.4% un carcinoma lobulare infi ltrante (CLI), il 3% un carcinoma cribriforme, il 2% un carcinoma muci-noso e l’1.1% un carcinoma tubulare. Il CDI-nas più fre-quentemente ha un alto grado istologico rispetto agli altri istotipi, ma il CLI è una neoplasia più estesa e coinvolge più frequentemente i linfonodi ascellari. Al contrario il cribri-forme ed il tubulare sono in genere tumori più piccoli e con linfonodi negativi. Per quanto riguarda il follow up, la disea-se free survival (DFS) è risultata signifi cativamente migliore nel carcinoma cribriforme e nel carcinoma tubulare rispetto al CDI-nas. L’istotipo mucinoso non presenta diff erenze si-gnifi cative rispetto al CDI-nas, mentre paragonando il CDI con il CLI è emersa una prognosi peggiore di quest’ultimo (5 anni-DFS 86.8% versus 87.4%; HR = 1.27; P = 0.01). In base a questi dati, gli autori concludono che nel gruppo dei carcinomi Luminali dovrebbero essere considerati i singoli istotipi, a causa del loro diverso impatto prognostico, per evitare un over-trattamento di tumori a prognosi indolente come il carcinoma tubulare ed il carcinoma cribriforme o un trattamento insuffi ciente come nel caso del CLI.

Wetterskog D, Lopez-Garcia MA, Lambros MBAdenoid cystic carcinomas constitute a genomically distinct sub-group of triple-negative and basal-like breast cancersJ Pathol 2012 Jan ; 226(1): 84-96

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

Il carcinoma ADC della mammella possiede la caratteristica di essere un tumore triplo-negativo-basal like, ma con un comportamento clinico indolente. Recentemente è stato di-mostrato che in questo istotipo, presente anche a livello del-le ghiandole salivari, è ricorrente una specifi ca traslocazio-ne cromosomiale, che conduce alla formazione del gene di fusione MYB-NFIB. Questa particolarità genetica potrebbe spiegare il diff erente comportamento biologico di questa neoplasia rispetto al CDI- nas triplo negativo. Lo scopo di questo lavoro è stato quindi determinare la prevalenza del gene di fusione MYB-NFIB in 14 casi di carcinoma ade-noideo-cistico della mammella e valutare se questo istotipo avesse delle caratteristiche genomiche diverse da un CDI tri-plo negativo di ugual grado istologico. Grazie a metodiche FISH e di RT-PCR e di CGH gli autori hanno constatato che il gene di fusione MYB-NFIB era presente in tutti i casi di tumore ADC tranne uno (97%). Inoltre, ADC presen-ta alterazioni cromosomiali diverse ed esprime geni come MYC e BRCA1 a livelli signifi cativamente più alti rispetto al CDI-nas. Gli autori concludono quindi sottolineando l’importanza della valutazione dell’istotipo nell’insieme dei tumori basal-like triplo negativo, dimostrando che l’ADC è una lesione distinta rispetto al CDI-nas triplo negativo e che verosimilmente si sviluppa anche attraverso distinti patways genetici. La classifi cazione molecolare del carcinoma della mammel-la, ottenuta sulla base di studi di gene expression profi ling ha suggerito l’ipotesi che il fenotipo del tumore possa rifl et-tere l’origine della neoplasia; in altri termini un tumore clas-sifi cato come luminale, esprimendo geni tipici dell’epitelio luminale, origina dalla trasformazione neoplastica di pro-genitori di cellule luminali ER-positive, mentre il tumore basal-like, esprimendo geni caratteristici dello strato basale/mioepiteliale del dotto mammario, origina da cellule stami-nali ER-negative. Tuttavia, in uno studio recente è stato dimostrato che la maggior parte dei tumori basali derivano da progenitori lu-

minali (vedi Molyneux G, et al. BRCA1 basal-like breast cancers originate from luminal epithelial progenitors and not from basal stem cells. Cell Stem Cell 2010; 7: 403–417).Lo studio di seguito riportato si propone di valutare se il car-cinoma metaplastico della mammella, un particolare istotipo di tumore appartenente alla categoria dei tumori basal-like, e comprendente sotto il suo nome, un’ampia eterogeneità di neoplasie diff erenti dal punto di vista istologico, derivi da una de-diff erenziazione delle cellule neoplastiche che lo compongono nel corso della cancerogenesi o sia il risultato di una trasformazione neoplastica di cellule staminali a fe-notipo basale.

Van Deurzen CH, Lee AH, Gill MS et al Metaplastic breast carcinoma: tumour histogenesis or dediff e-rentiation? J Pathol 2011; 224: 434-437

Il lavoro è stato formulato sulla base di uno studio morfolo-gico, al microscopio ottico, di 24 casi di carcinomi invasivi metaplastici puri o con una componente metaplastica, as-sociati o meno ad un carcinoma in situ metaplastico o con-venzionale e comprendenti o meno metastasi linfonodali. Gli autori, confrontando il fenotipo delle cellule tumorali presenti nella componente in situ, nella componente inva-siva e nelle metastasi linfonodali e sostenendo alcuni studi molecolari già presenti in letteratura, dimostrano come il fe-notipo tumorale non rifl etta sempre in modo inequivocabile l’istogenesi della lesione. In particolare, dall’osservazione di alcuni carcinomi invasivi senza caratteristiche metaplastiche e che metastatizzano con fenotipo metaplastico, gli autori supportano il concetto che questo istotipo può essere dovu-to ad una de-diff erenziazione nelle tappe più avanzate della carcinogenesi piuttosto che derivare da cellule staminali di tipo basale. Il risvolto clinico di questa teoria potrebbe quin-di avere una certa importanza nello sviluppo di nuove stra-tegie terapeutiche mirate verso le reali cellule progenitrici di questo tumore.Il carcinoma metaplastico è costituito da una commistione di cellule epiteliali e di cellule fusate, squamose, talvolta con diff erenziazione ossea o cartilaginea. Nello studio di seguito riportato gli autori ipotizzano che questo tumore, nella sua eterogeneità morfologica, da aree meglio diff erenziate di tipo ghiandolare ad aree più meta-plastiche di tipo mesenchimale, possa rappresentare il feno-meno dell’“epithelial to mesenchymal transition ” (EMT)

Kleer CGMetaplastic breast carcinomas are enriched in markers of tu-

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

mor-initiating cells and epithelial to mesenchymal transitionMod Pathol 2012 Feb; 25(2): 178-1884

Vengono analizzati 27 carcinomi metaplastici su cui è stata valutata la presenza di markers tipici della EMT come ZEB1 ed E-Caderina e la presenza di marcatori di cellule staminali (di cui è nota la correlazione con EMT), quali aldeide dei-drogenasi 1, CD44 e CD24. I risultati ottenuti dimostra-no che in questo tumore, le aree meno ghiandolari e con caratteristiche più metaplastiche comprendono cellule che esprimono i marcatori staminali, non esprimono la Cade-rina-E e in quasi la metà dei casi overesprimono ZEB1. Gli autori concludono che le aree meno diff erenziate di questa neoplasia possano rappresentare un buon modello di studio per il fenomeno dell’“epithelial to mesenchymal transition” (EMT)

BIOLOGIA CLINICA E TERAPIA MEDICARECENSIONE A CURA DI C. BIGHIN E P. PRONZATO

Oncologia Medica A, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova

JM Bliss, LS Kilburn, RE Coleman, et al Disease-Related Outcomes With Long-Term Follow-Up: An Updated Analysis of the Intergroup Exemestane StudyJournal of Clinical Oncology 2012; Vol 30 n 7, March 1: 709-717

H Jin, D Tu, N Zhao, et alLonger-Term Outcomes of Letrozole Versus Placebo After 5 Ye-ars of Tamoxifen in the NCIC CTG MA.17 Trial: Analyses Adjusting for Treatment CrossoverJournal of Clinical Oncology 2012; Vol 30 n 7, March 1:718-721

NL Henry, F Azzouz, Z Desta, et alPredictors of Aromatase Inhibitor Discontinuation as a Result of Treatment-Emergent Symptoms in Early-Stage Breast CancerJournal of Clinical Oncology 2012: Vol 30 n 9, March 20 2012

Gli inibitori dell’aromatasi (AI) sono i farmaci di pri-ma scelta nel trattamento endocrino delle paziente in

post-menopausa con carcinoma della mammella endocrino-responsivo (ER-positivo e/o PgR-positivo). La modalità di trattamento prevede la monoterapia per 5 anni oppure la

sequenza per 3-2 anni dopo tamoxifene somministrato per 2-3 anni.Due studi di fase III randomizzati sulla strategia cosiddet-ta “upfront” hanno confrontato AI per 5 anni (anastrozolo nello studio ATAC e letrozolo nello studio BIG 1-98) verso tamoxifene per 5 anni.Lo studio ATAC ha dimostrato un vantaggio assoluto in sopravvivenza libera da malattia (SLM) ad un follow-up mediano di 100 mesi del 2.4% ma nessun vantaggio signifi -cativo in sopravvivenza globale (SG).Lo studio BIG 1-98 ha evidenziato un vantaggio assoluto in SLM ad un follow up mediano di 76 mesi del 2.3% ed un vantaggio signifi cativo in SG ma solo escludendo le pazienti (il 25.2% della casistica) che dopo la prima analisi ad inte-rim hanno avuto la possibilità di cambiare il trattamento da tamoxifene a letrozolo.I dati dello studio ATAC e dello studio BIG 1-98 sono sta-ti raccolti in una metanalisi (9856 pazienti). Complessiva-mente viene confermato un benefi cio assoluto in SLM ad un follow up mediano di 5 e 8 anni del 2.9% e del 3.9% rispettivamente (p<0.00001), senza vantaggio né in SG né in mortalità da carcinoma mammario1.Cinque studi randomizzati hanno confrontato tamoxifene per 5 anni con una strategia sequenziale di tamoxifene per 2-3 anni seguito da AI per 3-2 anni (IES ABCSG-8, ARNO 95, N-SAS BC-03, ITA). Per quanto riguarda i risultati in termini di SLM, il vantaggio assoluto è risultato sempre si-gnifi cativo, ad esclusione dello studio N-SAS BC 03, con valori variabili da 1.9% a 4.4%. Un vantaggio signifi cativo in SG (2.6% assoluto) è stato os-servato nello studio ARNO. Un vantaggio è stato osservato anche nello studio IES2 (studio con exemestane sequenzia-le), nell’ultima analisi pubblicata nel 2007 ad un follow-up di circa 55 mesi. In un recente articolo del Journal of Clinical Oncology è stata pubblicata da Bliss et al un’ulteriore analisi ad un follow-up mediano di circa 91 mesi dello studio IES. In questo artico-

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

lo, oltre all’analisi sulla SG, è stata condotta anche un’analisi sulla sopravvivenza libera da eventi correlati al carcinoma mammario (BCFS) nelle pazienti con recettori per gli estro-geni positivi o sconosciuti (4052 donne).In totale si sono verifi cati 930 BCFS (423 nel gruppo con exemestane e 507 nel gruppo con solo tamoxifene) con un hazard ratio di 0.8 (95% CI, 0.71 to 0.92; P<.001) a favore dell’exemestane. L’aumento nella sopravvivenza globale è stato confermato anche in quest’analisi con 352 morti nel gruppo con exe-mestane verso le 405 morti nel gruppo con solo tamoxifene (HR, 0.86; 95% CI, 0.75 to 0.99; P <.04). Questa ulteriore analisi conferma i risultati della metanalisi1 di tutti gli studi (ad esclusione dello studio NSAS BC-03) con strategia sequenziale che aveva dimostrato un vantaggio in SLM a 5 e 8 anni statisticamente signifi cativo del 1.1% e del 2.2% rispettivamente.Tre studi hanno valutato il prolungamento della terapia or-monale con AI dopo 5 anni di trattamento con tamoxifene (MA-17, ABCSG 6a, NSABP-B33).Nello studio MA-17 la somministrazione di letrozolo per 5 anni dopo 4.5-6 anni di terapia adiuvante con tamoxifene rispetto al placebo ad un follow-up di 30 mesi ha determi-nato un vantaggio assoluto in SLM del 4.6% a favore del letrozolo. Letrozolo ha determinato anche una riduzione nel rischio di morte ma solo nel gruppo di pazienti con linfono-di ascellari positivi3.Alle pazienti randomizzate nel braccio con placebo è stata off erta la possibilità di assumere letrozolo. Il trattamento è stato scelto dai due terzi delle pazienti con un intervallo me-diano dal termine della terapia con tamoxifene di 2.8 anni. Ad un follow-up mediano di 5.3 anni le pazienti trattate con letrozolo hanno ottenuto un miglioramento signifi ca-tivo della SLM4.Su un numero recente del Journal of Clinical Oncology è stata pubblicata da Jin et al una ulteriore analisi dello stu-dio MA-17 con un maggiore follow-up e con l’utilizzo di

due approcci statistici per aggiustare l’eff etto potenziale del crossover del trattamento. Ad un follow-up mediano di 64 mesi, il letrozolo rispetto al placebo, con entrambi i metodi statistici (2 diversi modelli di Cox), è risultato essere signi-fi cativamente superiore in sopravvivenza libera da malattia, in sopravvivenza libera da metastasi ed in sopravvivenza glo-bale.Quindi, gli AI risultano essere fondamentali per le pazienti in post-menopausa con carcinoma mammario ormono-re-sponsivo sia nel migliorare la sopravvivenza libera da ma-lattia sia, per alcuni di essi, nel migliorare la sopravvivenza globale. Sebbene gli studi registrativi non avessero evidenziato una tossicità tale da portare a sospensioni anticipate del tratta-mento con tali farmaci, negli studi successivi e nell’espe-rienza clinica una buona parte delle pazienti interrompe la terapia con AI per eff etti collaterali quali soprattutto i sinto-mi muscolo-scheletrici5.Un recente articolo pubblicato da Henry et al sull’ultimo Journal of Clinical Oncology mostra l’entità di queste so-spensioni e gli eventuali suggerimenti per evitarle all’interno di uno studio randomizzato che confronta letrozolo verso exemestane in terapia adiuvante.In questo studio , su 503 donne arruolate, il 32.4% delle pa-zienti ha sospeso il trattamento iniziale con AI entro i 2 anni a causa degli eff etti collaterali; il 24.3% in particolare lo ha sospeso per i sintomi muscolo-scheletrici. Il tempo mediano alla sospensione è stato di 6.1 mesi (range 0.1 - 21.2 mesi) ed è stato signifi cativamente più corto nelle pazienti che as-sumevano exemestane (HR 1.5, p<0.02). La più giovane età e la chemioterapia precedente contenente taxani sono risul-tati essere due fattori associati ad una maggiore tendenza alla sospensione. Nelle 83 pazienti che hanno scelto di passare all’altro AI, il 38.6% lo ha continuato per una mediana di circa 14 mesi.Quindi, la sospensione anticipata degli AI è un signifi cativo problema e si devono trovare soluzioni effi caci per evitare che le pazienti arrivino a sospendere una terapia fondamen-tale. Una delle possibili soluzioni suggerite da questo studio è quella di cambiare il farmaco responsabile alla comparsa della tossicità e di sostituirlo con un AI diverso.

Selezione Bibliografi caDowsett M, Cuzick J, Ingle J, et al. Meta-analysis of breast cancer outcomes in adjuvant trials of aromatase inhibitors versus tamoxifen. J Clin Oncol 2010; 28: 509-518.2 Coombes RC, Kilburn LS, Snowdon CF, et al: Survival and safety of exemestane versus tamoxifen after 2-3 years’ tamoxifen treatment (Intergroup Exemestane Study): A ran-

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domised controlled trial. Lancet 369:559-570, 20073 Goss PE, Ingle JN, Martino S, et al: Randomized trial of letrozole following tamoxifen as extended adjuvant therapy in receptor-positive breast cancer: Updated fi ndings from NCIC CTG MA.17. J Natl Cancer Inst 97:1262-1271, 20054 Goss PE, Ingle JN, Pater JL, et al: Late extended adjuvant treatment with letrozole improves outcome in women with early-stage breast cancer who complete 5 years of tamoxifen. J Clin Oncol 26:1948-1955, 20085 Henry NL, Giles JT, Stearns V: Aromatase inhibitor-as-sociated musculoskeletal symptoms: Etiology and strategies for management. Oncology (Williston Park) 22:1401-1408, 2008

CHIRURGIARECENSIONE A CURA DI D. CASELLA , R. SIMONCINI, V. CRISCEN-

TI, F. BELLUCCI

Breast Unit AOU Careggi-Firenze

Cordeiro PG, Snell L, Heerdt A, McCarthy CImmediate Tissue Expander/Implant Breast Reconstruction af-ter Salvage Mastectomy for Cancer Recurrence following Lum-pectomy/IrradiationPlast Reconstr Surg; 2012 Feb;129(2): 341-350

Il carcinoma mammario è una neoplasia che richiede, nel suo iter clinico, l’intervento di più competenze speciali-

stiche, al fi ne di consentire un risultato terapeutico ottimale, sia in termini di sopravvivenza che in termini di qualità di vita. Il trattamento radioterapico costituisce, dopo quello chirurgico e farmacologico, il terzo componente della tera-pia multimodale delle neoplasie della mammella.Numerosi studi randomizzati hanno dimostrato che la chi-rurgia conservativa del tumore della mammella è associata al 30-35% di recidive neoplastiche qualora non si associ la radioterapia sulla mammella residua; l’incidenza di recidive locali si riduce invece al 4-7% se l’intervento chirurgico con-servativo è seguito dal trattamento radiante. Durante il trattamento radiante o nelle settimane imme-diatamente successive si possono manifestare alcuni eff etti collaterali, in genere di scarsa entità se la radioterapia è stata eseguita correttamente.In fase acuta è frequente la comparsa di eritema cutaneo e l’edema del tessuto mammario residuo, più evidente se la mammella è voluminosa. Tali complicanze minori sono in

genere transitorie e destinate a risolversi nell’arco di poche settimane.Tra le complicanze tardive, la possibile comparsa di danni miocardici post-irradiazione è sicuramente, seppur rara, una delle più temibili.Il trattamento radioterapico del carcinoma mammario com-porta comunemente l’insorgenza di una fi brosi tissutale più o meno marcata a carico dei tessuti compresi nel volume di irradiazione. A maggior rischio, secondo alcuni studi, sono le pazienti precedentemente trattate con chemioterapia adiuvante Se la radioterapia è stata eseguita tecnicamente in modo corretto il grado di fi brosi è comunque in genere modesto.La fi brosi del sottocute e della porzione di ghiandola mam-maria residuata all’intervento conservativo è ben visibile ai controlli mammografi ci, che evidenziano ispessimento del rivestimento cutaneo, retrazioni cicatriziali e distorsioni del parenchima mammario.Tali modifi cazioni sono clinicamente importanti soprattut-to perché possono ostacolare la diagnosi clinico-mammo-grafi ca di recidive neoplastiche locali o di seconde neopla-sie. Sarebbe quindi importante una precisa defi nizione (con mammografi a eseguita a distanza di sei mesi dal termine del trattamento) dei cambiamenti tissutali indotti dalla radiote-rapia sulla mammella interessata, al fi ne di poter valutare nel follow-up eventuali ulteriori modifi cazioni che possano far sospettare recidive neoplastiche.In considerazione di tutto ciò non esiste attualmente uni-formità di orientamento in letteratura sull’opportunità, in rapporto alla terapia radiante, di un intervento chirurgico ricostruttivo immediato con espansore/protesi in casi di ma-stectomia eseguita per recidiva post QUART.Gil Autori analizzano in questo studio le complicanze pre-coci e tardive delle pazienti sottoposte a mastectomia di sal-vataggio e ricostruzione immediata con espansore/protesi per recidiva loco-regionale dopo terapia conservativa (lum-pectomy/irradiation).

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Storicamente la ricostruzione immediata con presidi pro-tesici in caso di mastectomia post QUART è sempre stata considerata una procedura controversa per l’alto tasso di complicanze (circa 70%) e per gli scadenti risultati esteti-ci. Tuttavia queste considerazioni sono maturate valutando piccoli studi (range pazienti arruolati: 3-35).In questo lavoro sono analizzate 2 coorti di pazienti sottopo-ste a mastectomia tra il 1997 ed il 2008; la prima costituita da donne sottoposte a mastectomia di salvataggio per reci-diva dopo chirurgia conservativa (121) la seconda a mastec-tomia senza storia clinica di precedenti trattamenti radianti (1578). Per ogni coorte sono analizzate le complicanze pre-coci e tardive. Per complicanze sono intese: necrosi del fl ap cutaneo, ematoma, infezione, sieroma, mancata cicatrizza-zione, fallimento dell’epansione tissutale. Sono considerate precoci quelle insorte entro il primo anno dall’intervento. A 12 mesi dal primo step ricostruttivo (posizionamento dell’espansore) sono valutate inoltre: contrattura capsulare, eventuali procedure chirurgiche di revisione, risultato esteti-co e soddisfazione delle pazienti.Tutti i dati sono stati registrati in un data base.Tutte le pazienti sottoposte a ricostruzione hanno ricevuto una mastectomia skin-sparing.L’espansione postoperatoria e’ stata eseguita in accordo con la qualita’ dei tessuti irradiati e in base alla loro tolleranza allo stress meccanico. In assenza di complicanze l’espansione totale veniva raggiunta entro la 14 giornata postoperatoria (l’espansione fi nale era pari al 20% in più del valore consi-gliato). Al secondo intervento veniva eff ettuata rimozione dell’espansore, capsulectomia totale, ricostruzione del solco sottomammario e posizionamento della protesi defi nitiva.Nel gruppo delle pazienti irradiate è risultato più alto (p _ 0.001; chi-square test) il tasso delle complicanze (29.8% Vs 15.5%). La necrosi del fl ap cutaneo è risultata essere la complicanza piu’ frequente in entrambe le coorti; nel grup-po delle pazienti irradiate era pari al 18% nelle non irradiate 7.7% (p_ 0.001). Le altre complicanze analizzate non mo-

stravano una incidenza signifi cativamente diversa nei due gruppi. Il Follow-up medio era di circa 45 mesi.Nell’outcome complessivo del risultato estetico il primo pa-rametro analizzato è stato la contrattura capsulare. Il gruppo delle pazienti con recidiva mostrava nel complesso un tasso maggiore di contratture capsulari, ma analizzando quelle di grado III/IV (scala di Baker) che sono le sole clinicamente rilevanti e le sole che incidono sulla qualià di vita e sul risul-tato estetico, emerge che il tasso nelle pazienti con pregressa terapia conservativa è solo lievemente più alto ma comun-que in maniera non statisticamente signifi cativa (6.3%; p _ 0.2, Fisher’s exact test). Anche la valutazione del risultato estetico mostra come non esistano tra i due gruppi diff e-renze signifi cative relativamente alla percentuale dei risultati defi niti come buoni o eccellenti anche se nel gruppo delle non irradiate la proporzione dei risultati eccellenti era su-periore in maniera signifi cativa (p _ 0.039, Mann-Whitney U test). Nell’analisi statistica non esistono diff erenze relative alla percentuali di interventi di salvataggio con latissimus dorsi fl ap o rectus abdominis musculocutaneous fl ap e addirittura risulta lievemente piu’ alto il tasso dei reinterventi nel grup-po delle non irradiate per ottimizzare il risultato estetico dopo impianto di protesi defi nitiva. Nel complesso l’84% delle pazienti irradiate ed il 90% delle non irradiate sono rimaste soddisfatte del risultato estetico ed il 92% ed il 95% di esse, rispettivamente, si sottoporrebbe ancora allo stesso tipo di iter chirurgico ricostruttivo. Considerando i risultati di queste due serie di pazienti l’Au-tore conclude che in pazienti ben selezionati l’opzione ri-costruttiva con espansore/protesi puo’ essere proposta an-che in caso di pregressi trattamenti radianti avendo cura di valutare nel preoperatorio la qualità dei tessuti irradiati, il tempo intercorso dal trattamento radioterapico, l’estensione delle cicatrici e fattori di rischio generici come fumo, dia-bete e vasculopatie. Cordeiro sottolinea come debba essere prospettato a questa pazienti precedentemente sottoposte a lumpectomy un risultato estetico lievemente peggiore ri-spetto alla coorte delle non irradiate.Queste conclusioni sono in netto contrasto con quanto riportato fi no ad oggi in letteratura, ma come precedente-mente accennato dobbiamo considerare che gli studi pre-cedenti avevano un numero molto modesto di pazienti arruolati, non risultavano omogenei per criteri di selezione (cicatrici, fumo, diabete, qualità dei tessuti, dosaggi radio-terapici), avevano un follow-up più breve ed erano relativi a casi irradiati con tecnologie diverse da quelle disponibili a partire dalla metà degli anni novanta.Alcune considerazioni sono certamente stimolate dall’espe-

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rienza del Dr Cordeiro e Colleghi.La prima è che sarebbe stato molto interessante confrontare i 121 casi delle pazienti irradiate con una coorte di pazienti con la stessa problematica oncologica ma sottoposte a rico-struzione con tessuti autologhi peduncolati (LDF, TRAM). Ad oggi, infatti, tale approccio ricostruttivo sembra essere il più adatto a garantire un buon risultato nelle donne candi-date a mastectomia post QUART.Da una casistica così consistente avremmo desiderato anche una valutazione riguardo al ruolo dell’innesto del tessuto adiposo in sede periprotesica ad esempio confrontando i gruppi delle due coorti con contrattura capsulare di tipo III/IV sottoposti o no a tale procedura.L’ultima considerazione riguarda la non chiara metodologia di valutazione della soddisfazione delle pazienti ed in par-ticolare vari lavori presenti in letteratura hanno mostrato come il giudizio delle pazienti interrogate riguardo all’out-come ricostruttivo in presenza del chirurgo sono portate ad esprimere giudizi molto migliori rispetto al giudizio espresso in assenza dell’operatore.Per quello che riguarda le prospettive future sarà importante valutare nuove metodiche ricostruttive che a nostro avviso avranno un ruolo nel migliorare ulteriormente la soddisfa-zione delle pazienti mastectomizzate dopo RT e ricostruite con protesi e ci riferiamo all’uso delle mesh biologiche, sin-tetiche e le matrici dermiche acellulari.

Selezione Bibliografi ca- Endress R, Choi MS, Lee GK. Use of fetal bovine acellular dermal xenograft with tissue expansion for staged breast re-construction. Ann Plast Surg. 2012 Apr;68(4):338-41.- Romics L Jr, Chew BK, Weiler-Mithoff E, Doughty JC, Brown IM, Stallard S, Wilson CR, Mallon EA, George WD. Ten-year follow-up of skin-sparing mastectomy followed by immediate breast reconstruction. Br J Surg. 2012 Feb 24. doi: 10.1002/bjs.8704. - Zurrida S, Bassi F, Arnone P, Martella S, Del Castillo A, Ribeiro Martini R, Semenkiw ME, Caldarella P. Th e Chan-ging Face of Mastectomy (from Mutilation to Aid to Breast Reconstruction). Int J Surg Oncol. 2011;2011:980158. - Carlson GW. Technical advances in skin sparing mastec-tomy. Int J Surg Oncol. 2011;2011:396901. Epub 2011 Apr 28.

CHIRURGIA PLASTICARECENSIONE A CURA DI M.B. NAVA E J. OTTOLENGHI

Struttura Complessa di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva

Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano

Singh K A, Losken AAdditional Benefi ts of Reduction Mammaplasty: A Systematic Review of the Literature Plastic & Reconstructive Surgery March 2012; 129(3): 562-570

La mastoplastica riduttiva è un intervento molto diff u-so (sono stati circa 80.000 gli interventi eff ettuati negli

USA durante il 2009). Gli autori hanno compiuto una re-visione sistematica della letteratura sugli articoli pubblicati tra il 1977 ed il 2010 che valutassero il miglioramento dei sintomi fi sici e psicologici ed il miglioramento della qualità della vita, attraverso l’uso di questionari validati.Per quanto riguarda i sintomi fi sici le pazienti sottoposte a mastoplastica riduttiva hanno presentato:- importante riduzione del dolore lombare, cervicale e alle spalle; miglioramento della funzione dei muscoli romboide e trapezio; miglioramento della mobilità di testa e collo;- riduzione dei sintomi di cefalea cronica ed emicrania, mi-glioramento della nevralgia occipitale presente quasi nel 90% delle pazienti aff ette da macromastia;miglioramento della funzione polmonare, del picco di fl usso espiratorio ed inspiratorio; miglioramento dei disturbi del sonno con ampi benefi ci per la salute delle pazienti;- miglioramento della sorveglianza oncologica; dopo gli in-terventi le pazienti hanno ritenuto più facile eseguire l’au-topalpazione; la mastoplastica riduttiva riducendo la massa di tessuto potrebbe comportare una riduzione del rischio di malattia o addirittura la asportazione dei lesioni pre-mali-gne o maligne occulte, come è stato rivelato in alcuni casi dall’esame istologico compiuto sui tessuti asportati.

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

Per quanto riguarda gli eff etti sul peso, sull’esercizio fi sico e sul comportamento alimentare si è osservato che la masto-plastica riduttiva:- ha rappresentato uno stimolo per la perdita di peso;- ha reso più facile e conseguentemente più regolare la pra-tica di esercizio fi sico;- ha contribuito a ridurre ed in molti casi ad eliminare i disordini alimentari conseguenti o legati alla presenza di macromastia (alcune pazienti si sovraalimentano nel tentati-vo di mascherare un seno troppo grande o riducono la loro alimentazione nel tentativo di ridurre le dimensioni del loro seno).Numerosi sono stati anche i benefi ci psicologici osservati:- miglioramento dei sintomi spesso presenti di ansia e di depressione;- notevole aumento dell’autostima (osservabile già nei primi mesi post intervento);- miglioramento generale della qualità di vita; in molti casi il miglioramento dei dolori e del disagio legati alla macroma-stia, dopo l’intervento, hanno portato eff etti positivi sulla pratica di esercizio fi sico, sulla salute e sulla sensazione di benessere, sulla fi ducia in se stessi, con un miglioramento della qualità di vita in generale ed in particolare della fem-minilità, con una maggiore facilità di relazioni interpersona-li e minori occasioni di disagio in situazioni sociali o intime;- miglioramento della funzione sessuale.Si può concludere che la mastoplastica riduttiva non com-porti solo un miglioramento estetico, ma anche numerosi benefi ci di diversa natura.

A cellular Dermal Matrices in Breast SurgeryClinics in Plastic Surgery April 2012; Vol 39, No. 2: 103-220

L’ultimo numero di Clinics in Plastic Surgery è interamen-te dedicato all’uso delle matrici di derma acellulare (ADM) in chirurgia della mammella, che risulta essere sempre più diff uso. In presenza di protesi, può rappresentare una solu-

zione unica ai vari problemi derivanti da una insuffi cienza di tessuto di copertura o di sostegno. Il concetto di un reg-giseno interno naturale è una idea molto interessante sia per i chirurghi che per le pazienti. Problemi quali il rippling, la dislocazione protesica e la contrattura capsulare hanno trovato una soluzione potenziale nell’ ADM. Estendendo queste possibilità alla chirurgia ricostruttiva l’ADM può permettere ricostruzioni immediate in un solo tempo con aspetto naturale anche in situazioni in cui precedentemente si doveva ricorrere alla ricostruzione in due tempi. Come per tutte le novità alcuni aspetti sono ancora controversi, man-cano indicazioni defi nite rigorosamente per ogni potenziale indicazione nonostante l’utilità dimostrata da una ampia esperienza clinica; mentre i dati degli studi clinici, quando presenti, mancano di una precisa defi nizione dei criteri di inclusione ed esclusione e di una follow-up sul lungo ter-mine. Questa monografi a si propone di illustrare lo stato dell’arte dell’uso di ADM in chirurgia della mammella e po-trebbe rappresentare una guida per i futuri sviluppi clinico scientifi ci a tale riguardo.

Paraskevas A & Sabri EA simple and easy technique to correct inverted nipple deformitiesEur J Plast Surg Online First™, 28 February 2012

Il capezzolo introfl esso è una condizione abbastanza fre-quente dovuta principalmente alla presenza di dotti galat-tofori troppo corti associati talvolta a fi brosi periduttale e defi cit di tessuti molli al di sotto della base del capezzolo. Numerose sono le tecniche descritte per correggere questa si-tuazione. L’ultima, in ordine cronologico, è stata pubblicata online il 28 febbraio 2012 dallo European Journal of Plastic Surgery. In anestesia locale, il capezzolo viene sollevato con un uncino, quindi attraverso sei piccole incisioni distribuite sulla circonferenza alla base del capezzolo, con delle piccole forbici si libera il tessuto fi broso al di sotto del capezzolo; una sutura a borsa di tabacco in PDS condotta attraverso le piccole incisioni ha la funzione di chiudere lo spazio morto al di sotto del capezzolo e mantenere la ritrovata proiezione. Gli autori ritengono fondamentale la medicazione eff ettuata con l’uso della guarnizione in gomma, bucata al centro, di una siringa da 60 cc. che permette di mantenere il capezzolo estrofl esso con un punto in seta 2-0, da non rimuovere per almeno due settimane.

Selezione Bibliografi caNava MB, Pennati AE, Lozza L et alOutcome of Diff erent Timings of Radiotherapy in Implant-Based Breast Reconstructions

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

Plastic & Reconstructive Surgery. 128(2):353-359, August 2011.

Spear SL, Willey SC, Feldman Ed et alNipple-Sparing Mastectomy for Prophylactic and Th era-peutic Indications Plastic & Reconstructive Surgery November 2011; 128(5): 1005-1014

ECOGRAFIA SENOLOGICARECENSIONE A CURA DI A.M GUERRIERI*, F. MUSCARNERI**

*Servizio Autonomo di Radiologia ad Indirizzo Senologico - SARIS

Centro di Riferimento Regione Puglia - A.O.U. Policlinico di Bari

**Istituto di Radiologia Univ - A.O.U. Policlinico di Palermo

Crouzet C, Gangloff D, Chaput B, Grolleau JL, Garrido IBilan à 18 mois du retrait du marchè des prostheses Poly Im-plant Prothèse. Expérience d’un centre anticancéreuxAnn Chir Plast Esthet 2012 Feb; 57 (1): 9-15

Carillon MA, Giard S, Emmanuelli V, Houpeau JL, Ceu-gnart L, Chauvet MPAlerte sanitaire et implants mammaires PIP: experience du cen-tre regional de lutte contre le cancer de Lille Bull Cancer 2012; 99:147-53

L’impianto chirurgico di protesi composte da materiale non conforme agli standard internazionali, è argomen-

to controverso e di grande interesse da parte della comunità scientifi ca internazionale e delle istituzioni sanitarie prepo-ste al controllo.All'inizio del 2010 l'Agenzia francese di sicurezza sanitaria dei prodotti sanitari (AFSSAP) allertava con una pubblica-zione e decideva di sospendere la distribuzione e l'utilizza-zione di impianti protesici mammari al gel di silicone fab-bricato dalla società Poly Implant Prothese (PIP); ciò dopo aver verifi cato un aumento percentuale di rottura di parete dell'impianto più frequente rispetto ad altre aziende pro-duttrici.Non sono stati riscontrati eff etti citotossici sui tessuti e pro-ve di maggior rischio di cancerogenicità, ma viene descritto rispetto ad altri impianti un potere irritante del gel PIP con conseguenti reazioni infi ammatorie.In seguito a tali contestazioni in Francia è stato raccomanda-to il richiamo e lo studio di tutte le pazienti con protesi PIP

e da aprile 2011, dopo un anno dal ritiro dal commercio del prodotto, si invitano le pazienti che non si sottopongono alla sostituzione dell'impianto ad eff ettuare un esame clinico ed ecografi co semestrale. In Italia il Ministero della Salute già nell’aprile del 2010 di-sponeva il ritiro delle PIP ed il Consiglio Superiore di Sanità nel dicembre 2011 esprimeva parere sui relativi rischi per la salute raccomandando ai centri dove sono stati eseguiti gli impianti di essere parte attiva nel richiamare le pazienti e specifi cava che il SSN si farà carico degli interventi medico/ chirurgici in casi con indicazione clinica specifi ca.Ciò premesso segnaliamo due studi retrospettivi, condotti in Francia su donne con protesi PIP, la cui lettura è occasione utile a cogliere alcuni interessanti spunti di rifl essione sugli aspetti clinici, le problematiche diagnostiche, il trattamento chirurgico ed il management di queste pazienti.Particolarmente attenta l'analisi condotta presso il Diparti-mento di Senologia del Centre Oscar-Lambert di Lille, pur su una serie limitata di casi: 33 protesi PIP (4% del tota-le) impiantate in 31 pazienti tra il Maggio 2006 e il Marzo 2010. Su 29 donne rispondenti al richiamo, dopo il con-sulto il 66% ha optato per una sorveglianza e 34% per la sostituzione. Di 8 protesi espiantate, 3 (37,5%) mostravano la rottura. Ispessimento periprotesico e il riscontro di falda liquida pe-riprotesica, sono i segni ecografi ci descritti da considerarsi non specifi ci in caso di rottura dell'impianto (1-3) e relativi ad una maggiore permeabilità del gel attraverso la parete per le pazienti in sorveglianza (2/18) sottoposte anche ad RM per conferma della integrità di parete.Gli Autori riportano un utile confronto dei valori di accura-tezza delle diverse metodiche diagnostiche: ecografi a, mam-mografi a, RM, in particolare è interessante osservare che la sensibiltà dell'ecografi a (metodica di prima scelta nello stu-dio della complicanza) è relativa al tipo di rottura dell'im-pianto: extra o intracapsulare e ciò condiziona i diff erenti risultati ottenuti da diversi Autori negli studi citati e ad oggi

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pubblicati.Il fenomeno della trasudazione di silicone attraverso la pa-rete di una protesi PIP intatta, riferita dai diff erenti centri francesi e osservata solo dopo l'espianto, sarebbe la plau-sibile giustifi cazione di un fenomeno considerato precoce (entro 3 anni dall'impianto) e pertanto di diffi cile diagnosi clinico-strumentale.Per questo motivo nel 2011 l'AFSSAPS raccomandava dei prelievi istologici e immunoistochimici sul guscio protesico nei casi di evidente infi ammazione del tessuto periprotesico durante l'espianto di PIP.In considerazione delle esperienze francesi riportate in letteratura, da cui emergono comunque degli interroga-tivi sul protocollo di sorveglianza e sulla raccomandazio-ne all’espianto delle protesi PIP, riteniamo sia certamente auspicabile un sollecito confronto tra diff erenti studi i cui risultati consentano di personalizzare le raccomandazioni alla pazienti con PIP in base alle diff erenti esigenze cliniche evitando così di suggerire, solo a scopo precauzionale, tratta-menti invasivi e di ricorrere ad una medicina esclusivamente difensiva.

Selezione bibliografi caCho JJ, Lee JH, Kang BJ et al Clinical and imaging characteristics of Polymplant Prosthe-sis hydrogel breast implantsJ Comput Assist Tomogr 2010 May- June; 34 (3) 449-55

EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONERECENSIONE A CURA DI D. PULITI, M. ZAPPA

SC Epidemiologia Clinica e Descrittiva, ISPO, Firenze

Jorgensen KJ, Zahl PH, Gotzsche PCBreast cancer mortality in organized mammography screening in Denmark: comparative studyBMJ 2010 Mar 23; 340: c1241

Autier P, Boniol M, Gavin A, Vatten LJBreast cancer mortality in neighbouring European countries with diff erent levels of screening but similar access to treatment: trend analysis of WHO mortality database.BMJ 2011 Jul 28; 343: d4411

L’effi cacia dei programmi di screening mammografi co, nel ridurre la mortalità per tumore della mammella, è

stata recentemente messa in discussione in seguito alla pub-blicazione di alcuni studi osservazionali che analizzano l’an-damento dei trend di mortalità per tumore della mammella. Nel primo studio (Jorgensen, 2010), viene analizzato l’anda-mento dei tassi di mortalità per tumore della mammella in Danimarca, confrontando la variazione percentuale annua osservata nelle aree dove è attivo un programma di screening mammografi co (Copenhagen and Funen) con quella osser-vata nelle aree senza un programma di screening (il resto della Danimarca). Gli autori osservano una simile riduzione temporale della mortalità per tumore della mammella nelle aree con e senza screening e concludono che la riduzione di mortalità osservata è da attribuire più probabilmente al cambiamento dei fattori di rischio e/o ad un miglioramento del trattamento piuttosto che allo screening mammografi co. Autier e colleghi (2011) hanno confrontato i trend di mor-talità per tumore della mammella in tre coppie di paesi li-mitrofi (Svezia e Norvegia; Irlanda del Nord e Repubblica Irlandese; Belgio e Paesi Bassi); ciascun confronto include un paese che ha introdotto lo screening mammografi co al-cuni anni prima dell’altro paese. Analizzando i tassi di mortalità tra il 1989 e il 2006, gli autori osservano un simile trend di riduzione della morta-lità per tumore della mammella in ciascuna coppia di paesi e concludono che l’andamento dei tassi di mortalità è più probabilmente infl uenzato dai miglioramenti terapeutici che dallo screening mammografi co.Entrambi questi studi sono di tipo osservazionale che ana-lizzano la correlazione temporale tra due aggregati statisti-ci. Questo è un tipo di approccio debole per mettere in evidenza un’eventuale relazione causale tra il programma di screening e l’andamento dei tassi di mortalità. Inoltre essi confrontano aree molto grandi e molto eterogenee. E’ importante notare che un eff etto sulla mortalità è stato osservato quando si confrontano piccole aree omogenee tra loro. Per esempio, confrontando l’andamento dei tassi di

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

mortalità in due aree della provincia di Firenze, dove il pro-gramma di screening è stato implementato in tempi diversi (in un’area all’inizio degli anni Settanta e nell’altra all’inizio degli anni Novanta), è stato dimostrato che la riduzione di mortalità attribuibile all’attivazione del programma di scre-ening è di circa il 30%1. Le analisi dei trend di tumore della mammella eff ettuate su aree molto ampie non sono “convincenti” a causa di una lunga serie di carenze metodologiche che discuteremo di se-guito. Primo, gli autori non distinguono le morti per tumore della mammella attribuibili ad una diagnosi precedente l’introdu-zione dello screening dalle morti attribuibili ad una diagnosi successiva allo screening. E’ ovvio che lo screening non può avere un eff etto di riduzione della mortalità sulle donne che avevano già una diagnosi di tumore al momento dell’in-troduzione del programma. Il modo corretto di eff ettuare l’analisi è utilizzare il metodo della “incidence-based morta-lity”, che considera solo le morti per tumore della mammella in donne con una diagnosi successiva alla data del primo invito del programma di screening. Secondo, essi non tengono in considerazione il fatto che solo una parte delle donne residenti nell’area di screening sono realmente “screenate”. Infatti, non tutte le donne del-la popolazione target sono realmente invitate (per esempio durante la fase di implementazione del programma di scre-ening) e solo una proporzione di donne invitate eff ettua un test di screening (in accordo alla compliance). Per ottenere una stima attendibile dell’eff etto sulla mortalità, è necessario conoscere la storia individuale di screening di ciascuna don-na in modo da poter classifi care correttamente l’esposizione. Inoltre, anche se il confronto tra il gruppo “screenato” e “non screenato” è fatto correttamente, l’interpretazione dei trend di mortalità rimane una questione molto complessa. Com’è noto, infatti, i tassi di mortalità dipendono sia dall’incidenza che dalla sopravvivenza. Qualsiasi cambiamento nel tempo dei tassi di incidenza di carcinoma mammario infl uenzerà la mortalità causa-specifi ca dei successivi anni. Il secondo determinante della mortalità, la sopravvivenza per carcino-ma mammario, può essere a sua volta modifi cata in due di-versi modi: l’anticipazione della diagnosi attraverso un test di screening ed il miglioramento della terapia. Tutti questi fattori (variazioni dell’incidenza, dello stadio alla diagnosi e del regime terapeutico) interagiscono tra di loro e modifi ca-no i tassi di mortalità degli anni successivi. La sfi da è riuscire a stimare il contributo relativo di ciascuno di questi fattori nella riduzione della mortalità per carcinoma mammario.Dati tutti questi limiti metodologici degli studi di correla-zione temporale, l’interpretazione dei trend dei tassi di mor-

talità per carcinoma mammario come predizione dell’im-patto dello screening mammografi co sulla mortalità deve essere fatta con grande cautela.

ConclusioneIn conclusione, nonostante i tassi di incidenza per tumore della mammella siano in aumento, stiamo osservando un declino della mortalità causa-specifi ca. Quando appropria-ti approcci metodologici sono stati utliizzati (studi caso-controllo2 o studi di coorte “incidence-based mortality”3-4, è risultato evidente che la diagnosi precoce ed i programmi di screening organizzati hanno contribuito sostanzialmen-te a questa riduzione. L’analisi dei trend di mortalità è un buon metodo statistico per descrivere quello che sta succe-dendo ma non può essere usata per studiare relazioni di tipo causale. Infatti, date tutte le carenze metodologiche discus-se, risulta evidente che l’analisi dei trend non è in grado di mettere in evidenza l’eff etto indotto da un programma di screening sulla mortalità e pertanto non può essere usata per dimostrare l’assenza di effi cacia.

Bibliografi a1 Gorini G, Zappa M, Miccinesi G, Paci E, Costantini AS. Breast cancer mortality trends in two areas of the province of Florence, Italy, where screening programmes started in the 1970s and 1990s. Br J Cancer 2004; 90(9):1780-3.2 Paap E, Verbeek AL, Puliti D, Paci E, Broeders MJ. Breast cancer screening case-control study design: impact on breast cancer mortality. Ann Oncol 2011, 22: 863-9. 3 Paci E, Duff y SW, Giorgi D, Zappa M, Crocetti E, Vezzo-si V, Bianchi S, del Turco MR. Quantifi cation of the eff ect of mammographic screening on fatal breast cancers: Th e Florence Programme 1990-96. Br J Cancer 2002, 87: 65-9.4 Olsen AH, Njor SH, Lynge E. Estimating the benefi ts of mammography screening: the impact of study design. Epi-demiology 2007, 18: 487-92.

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N. 65 - 2013 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 29

R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

GENETICARECENSIONE A CURA DI M.L. BRANDI

Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Firenze

Heyn H, Engelmann M, Schreek S, et al MicroRNA miR-335 is crucial for the BRCA1 regulatory ca-scade in breast cancer developmentInt J Cancer 2011 Dec 15;129(12): 2797-806

I microRNA (miRNA) sono RNA non codifi canti che regolano negativamente, a livello post-trascrizionale,

l’espressione di numerosi geni. I miRNA regolano nu-merosi ed importanti processi biologici, quali il ciclo cellulare e la diff erenziazione. Una deregolazione della normale espressione dei miRNA nella cellula è stata as-sociata allo sviluppo di tumori in numerosi tessuti, nei quali i miRNA possono agire sia come onco-soppressosi che come oncogeni, modifi cando la funzionalità di nu-merose vie molecolari.Il tumore mammario origina dalla deregolazione di una cellula epiteliale duttale tramite un processo multistep in cui lo stimolo deregolativo iniziale e le varie fasi di svi-luppo del tumore sono entrambi ancora poco conosciuti. Il tumore mammario si presenta in due forme distinte: una forma ereditaria (caratterizzata da mutazioni germi-nali dei geni BRCA1 e BRCA2) ed una forma sporadica, molto più comune, raramente associata a mutazioni del gene BRCA1 ma nella quale è stata comunque spesso ri-scontrata una riduzione dell’espressione di BRCA1 stesso. Una delle ipotesi avanzate dagli scienziati e che i miRNA possano essere responsabili della regolazione dell’espres-sione di BRCA1 e/o di altri fattori importanti nelle vie regolatorie, controllate da BRCA1. In conseguenza di

ciò, questi piccoli RNA non codifi canti potrebbero esse-re fondamentali per il mantenimento dell’omeostasi cel-lulare nel tessuto mammario, ed una loro deregolazione risulterebbe associata allo sviluppo ed alla progressione tumorale.In partcolare, questo studio ha analizzato il ruolo del miR-335 nello sviluppo di tumore mammario sporadico ed il suo possibile coinvolgimento nella regolazione delle vie molecolari regolate dall’onco-soppressore BRCA1.L’importanza del miR-335 nello sviluppo del tumore mammario sporadico è stata, in primis, confermata dal fatto che in campioni di tumori primari sporadici mam-mari l’espressione del miR-335 sia risultata notevolmente ridotta rispetto ai corrispettivi controlli sani. E’ interessante notare che i livelli di espressione di miR-335 correlano positivamente con i livelli di BRCA1, e quindi miR-355 agisce da onco-soppressore andando a bloccare diversi fattori coinvolti nella cascata regolativa di BRCA1. Questo studio ha dimostrato, mediante tra-sfezione in specifi ci modelli cellulari di tumore mamma-rio, che una over-espressione di miR-355 porta ad una ridotta crescita cellulare ed ad un incremento dell’apop-tosi, riducendo il rischio tumorale e suggerendo un’azio-ne onco-protettiva di questo fattore.I risultati di questo studio confermano il ruolo crucia-le svolto dai miRNA nei processi tumorali, indicandoli come possibili fattori prognostici della patologia e del suo grado di sviluppo, ma anche come potenziali bersagli molecolari per mirate terapie geniche e farmacologiche.

Selezione bibliograficaElsarraj HS, Stecklein SR, Valdez K, Behbod F. Emer-ging Functions of microRNA-146a/b in Development and Breast Cancer : MicroRNA-146a/b in Development and Breast Cancer. J Mammary Gland Biol Neoplasia. 2012 Feb 19.

Piao HL, Ma L. Non-Coding RNAs as Regulators of Mammary Development and Breast Cancer. J Mamma-ry Gland Biol Neoplasia. 2012 Feb 17. [Epub ahead of print]

Zhang S, Kim K, Jin UH, Pfent C, Cao H, Amendt B, Liu X, Wilson-Robles H, Safe S. Aryl hydrocarbon recep-tor agonists induce microRNA-335 expression and inhi-bit lung metastasis of estrogen receptor negative breast cancer cells. Mol Cancer Th er. 2012 Jan;11(1):108-18.

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

IMMUNOLOGIARECENSIONE A CURA DI A. BALSARI

SC Biologia Molecolare, Dip. Di Oncologia Sperimentale, Fondazione

IRCCS, Istituto Nazionale dei Tumori, Milano

Martin-Padura I, Gregato G, Marighetti P et al Th e white adipose tissues used in lipotransfer procedures is a rich reservoir of CD34+ progenitors able to promote cancer progressionCancer Res 2012; Jan 1; 72(1): 325-334

In questo lavoro si evidenzia la presenza di cellule stami-nali endoteliali anche nel tessuto adiposo bianco (WAT),

anzi in questo tessuto rispetto al tessuto midollare, queste cellule sono molto più numerose ed esprimono livelli più elevati di geni implicati nell’angiogenesi e del gene FAP-alfa, implicato nella soppressione della risposta immunitaria antitumorale. In topi immunodefi cienti l’inoculo di queste cellule staminali endoteliali ottenute dal tessuto adiposo insieme a cellule tumorali determina un incremento della vascolarizzazione, della crescita e della metastatizzazione tu-morale. Questi dati, pur con il limite di essere stati ottenuti in un modello sperimentale immunodefi ciente, indicano la necessità di studi approfondi sul ruolo delle diverse cellule presenti nel WAT, per defi nire quali possano essere utilizzate senza rischi per la ricostruzione del seno nei pazienti con carcinoma mammario.

Faget J, Biota C, Bachelot T et alEarly detection of tumor cells by innate immune cells leads to Treg recruitment through CCL22 production by tumor cells Cancer Research 2011; Oct 1. 71(19): 6143-6152

Le cellule tumorali sfuggono all’attacco del sistema immu-nitario attivando meccanismi diversi che determinano uno spegnimento della risposta immune anti-tumore. In questo studio, condotto in linee di carcinoma mammario e in cam-pioni di tessuto tumorale mammario umano, viene eviden-ziato come le cellule tumorali producendo la chemochina CCL22 in risposta a segnali infi ammatori, inducano un re-clutamento di linfociti T regolatori ad attività soppressiva.Lo studio descrive come siano le cellule immunitarie attiva-te per contrastare la crescita tumorale negli stadi iniziali di tumorigenesi ad indurre la produzione di CCL22. Infatti, le cellule NK riconoscendo le cellule epiteliali mammarie rilasciano IFN-gamma, che a sua volta porta al rilascio di IL-1beta e TNF-alfa da parte dei monociti e macrofagi re-

sidenti. Queste citochine infi ammatorie inducono la pro-duzione di CCL22 da parte del tumore, che porta ad un reclutamento dal sangue di linfociti T regolatori. L’ambiente tollerogenico così ottenuto consente l’evasione del tumore dall’ iniziale risposta immunitaria protettiva.

Hubert P, Heitzmann A, Viel S et alAntibody-dependent cell cytotoxicity synapses form in mice du-ring tumor-specifi c antibodyimmunotherapy Cancer Research 2011; 71(15): 5134-5143

L’ADCC si attua quando un anticorpo riconosce un an-tigene sulla membrana di una cellula e reagisce con essa, lasciando libera la sua frazione Fc. Le cellule con capacità citotossica e recettori per Fc, come le cellule NK ed i ma-crofagi, si uniscono al Fc del anticorpo e producono fattori citotossici per la cellula bersaglio. Nel presente lavoro si fa luce proprio su questo processo studiando l’eff etto biologico di un anticorpo monoclonale diretto contro un glicopeptide denominato “Tn” espresso da numerosi tumori. Gli autori dimostrano che l’effi cacia di questo anticorpo risiede uni-camente nella sua capacità di mediare ADCC. Attraverso esperimenti di microscopia vengono descritte le interazioni che intercorrono tra la cellula neoplastica e le cellule del mi-croambiente tumorale. L’interazione tra le cellule infi ltranti e il tumore determina la formazione di particolari struttu-re denominate “ADCC synapses” che ricordano le sinapsi immunologiche descritte per i linfociti, in questo modo il sistema immunitario prende diretto contatto con la cellula tumorale e può esercitare la sua funzione citotossica. Ciò che maggiormente sorprende è che in questo modello il contributo sostanziale all’eff etto terapeutico viene apportato non dalle cellule NK, ma dai macrofagi, i granulociti e i lin-fociti B. Infi ne viene osservato che, benchè questo anticor-po non sia particolarmente effi cace come singolo agente in vivo, quando è combinato con la ciclofosfamide determina una incremento. La spiegazione di ciò potrebbe risiedere nel

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

fatto che la ciclofosfamide è in grado di esercitare importan-ti eff etti a livello del sistema immunitario come il rilascio di citochine da parte del midollo osseo che potrebbero attivare i macrofagi e i granulociti. Questo lavoro aggiunge quindi nuove informazioni sui meccanismi molecolari che governa-no il cross-talk tra sistema immunitario e tumore.

LABORATORIORECENSIONE A CURA DI M. GION*, M.G. DAIDONE**,

M. DE BORTOLI***, A. PARADISO****

* Centro Regionale Specializzato Biomarcatori/Consorzio Istituto

Oncologico Veneto IRCCS - Dipartimento di Patologia Clinica, Azienda

ULSS 12 - Venezia

** Dipartimento di Oncologia Sperimentale e Medicina Molecolare

Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori - Milano

*** Centro Interdipartimentale Sistemi Complessi in Biologia e

Medicina Molecolare SysBioM - Università degli Studi di Torino

**** Direzione Scientifi ca e Unità Operativa Laboratorio di Oncologia

Sperimentale Clinica - Istituto Tumori “Giovanni Paolo II” IRCCS - Bari

GENE EXPRESSION PROFILING

Hall PS, McCabe C, Stein RC, Cameron DEconomic evaluation of genomic test-directed chemotherapy for early-stage lymph node-positive breast cancer.J Natl Cancer Inst 2012 Jan 4;104(1): 56-66 Epub 2011 Dec 2

Kondo M, Hoshi SL, Yamanaka T, Ishiguro H, Toi MEconomic evaluation of the 21-gene signature (Oncotype DX) in lymph node-negative/positive, hormone receptor-positive early-stage breast cancer based on Japanese validation study (JBCRG-TR03) 150

Breast cancer research and treatment 2011; 127(3)

Ademuyiwa FO, Miller A, O'Connor T, et alTh e eff ects of oncotype DX recurrence scores on chemotherapy utilization in a multi-institutional breast cancer cohortBreast Cancer Research & Treatment 2011; 126(3)

La rassegna di questo numero vuole portare l’attenzione su numerosa letteratura apparsa in questi ultimi mesi fi naliz-zata a fare il punto sul gene expression profi ling del tumore della mammella in un’ottica particolarmente attenta al rap-porto costo/effi cacia nell’introduzione routinaria di questo tipo di test diagnostici.Alcune delle evidenze riportate nella selezione bibliografi -ca testimoniano senz’altro l’effi cacia della caratterizzazione genica ai fi ni più accurata selezione terapeutica su base in-dividuale. Ademuyiwa et al, riportano che la determinazio-ne del Oncotype Dx (ODX) comporta una variazione del piano terapeutico nel 38% delle donne. Oratz et al, in un censimento della pratica clinica rilevano che l’uso del test ha comportano un cambiamento nelle decisioni terapeutiche nel 51% dei casi; in particolare nel 33% delle donne l’in-tensità del trattamento è stata ridotta da chemioterapia più ormonoterapia a sola ormonoterapia.Abbiamo tuttavia in particolare selezionato tre articoli che hanno analizzato il problema del costo-effi cacia secondo di-verse prospettive nazionali. Lo studio di Hall et al. ripor-ta l’esperienza del Regno Unito. Gli autori, partendo dal presupposto che l’uso del test Oncotype DX 21-geni può ridurre la somministrazione di chemioterapia non necessa-ria, analizzano il costo della chemioterapia guidata dal test genetico nei confronti del costo della chemioterapia sommi-nistrata a tutti i casi elegibili di carcinoma mammario ini-ziale con linfonodi negativi e recettori per estrogeni positivi. L’esito primario dello studio, rappresentato del rapporto costo-effi cacia incrementale, espresso come costo per anno di vita pesato per qualità di vita (QALY), è risultato di US$ 8852, con una probabilità che il trattamento guidato dal test sia costo-effi cace di 0.60 data una disponibilità ad ac-cettare una soglia di US$ 48 000 per QALY. Gli autori con-cludono che c’è una sostanziale incertezza sul costo-effi cacia della selezione delle pazienti da sottoporre a chemioterapia sulla base di questo test.Lo studio di Kondo et al riporta invece l’analisi costo-effi ca-cia secondo la prospettiva del sistema sanitario giapponese, con lo scopo di verifi care la possibile rimborsabilità del test. Anche lo studio giapponese considera come endpoint il rap-porto costo-effi cacia incrementale, espresso come costo per QALY. Lo studio include i casi con carcinoma mammario

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iniziale con recettori per estrogeni positivi, ma linfonodi sia negativi che positivi. Lo studio dimostra un costo-effi cacia incrementale complessivo di US$ 5685 per QALY e di US$ 3848 per QALY nelle donne con linfonodi negativi. Secon-do lo studio giapponese in entrambi i casi il vantaggio è evi-dente data una disponibilità in Giappone ad accettare una soglia di US$ 50000/QALY nella scelta di introdurre un in-tervento medico innovativo. Diff erentemente dallo studio condotto nel Regno Unito, lo studio giapponese conclude quindi che la inclusione del test è vantaggiosa nel sistema as-sicurativo giapponese sia nelle donne con linfonodi negativi che in quelle con linfonodi positivi.Il terzo studio selezionato (Vanderlaan et al) analizza il rap-porto costo-effi cacia nello scenario sanitario degli USA.Lo studio prende in considerazione le donne con tumore mammario iniziale (fi no a 3 linfonodi positivi, ER positivi e HER2 negativi) e dimostra che le pazienti sottoposte al test avrebbero un guadagno di 0.127 QALY con un risparmio di US$ 4359 per anno dovuto a minor somministrazione di chemioterapia, riduzione di eventi avversi, minor necessità di terapie di supporto e riduzione di neoplasie secondarie. Anche lo studio statunitense conclude che l’uso del test nella tipologia di pazienti valutate, migliora gli esiti sulla salute senza indurre costi addizionali.Dagli studi riportati sembra di poter concludere che una decisione circa l’opportunità di introdurre il test nella pra-tica clinica non possa prescindere da una analisi condotta all’interno della cornice di riferimento nazionale, nella quale si tenga conto di bisogni, criteri di valutazione di effi cacia e risorse, defi nendo in modo preciso la o le sottocategorie di pazienti nelle quali il benefi cio del test sia certo. Inoltre, sempre in una prospettiva di applicazione clinica, è neces-sario considerare i vantaggi addizionali realmente forniti dal nuovo test quando confrontatolo con i test già disponibili (vedere il lavoro di Cuzick et al, 2011 riportato in selezione) e valutarne accuratamente le performance analitiche e l’ac-curatezza diagnostica in relazione ai test standard di riferi-mento per singolo analita (vedere al proposito il vedere il la-voro di Dabbs et al, 2011 riportato in selezione). In sintesi, i test di espressione multigenica dovrebbero essere sottoposti ad un percorso di Health Th ecnology Assesment prima di essere raccomandati per la pratica clinica.

Selezione Bibliografi ca

GENE EXPRESSION PROFILIG

Lee JJ, Shen JIs the Oncotype DX assay necessary in strongly estrogen receptor-

positive breast cancers?Am Surg 2011 Oct; 77(10): 1364-1367

Oratz R, Kim B, Chao C, Skrzypczak S, Ory C, Bugarini R et alPhysician survey of the eff ect of the 21-gene recurrence score assay results on treatment recommendations for patients with lymph node-positive, estrogen receptor-positive breast cancerJournal of oncology practice/American Society of Clinical On-cology 2011; 7(2)

Tang G, Shak S, Paik S et alComparison of the prognostic and predictive utilities of the 21-gene Recurrence Score assay and Adjuvant! for women with node-negative, ER-positive breast cancer: results from NSABP B-14 and NSABP B-20Breast Cancer Research & Treatment 2011; 127(1)

Cuzick J, Dowsett M, Pineda S et alPrognostic value of a combined estrogen receptor, progesterone receptor, Ki-67, and human epidermal growth factor receptor 2 immunohistochemical score and comparison with the Genomic Health recurrence score in early breast cancerJournal of Clinical Oncology 2011 Nov 10; 9(32): 4273-4288

Dabbs DJ, Klein ME, Mohsin SK, Tubbs RR, Shuai Y, Bhargava RHigh false-negative rate of HER2 quantitative reverse tran-scription polymerase chain reaction of the Oncotype DX test: an independent quality assurance studyJournal of Clinical Oncology 2011 Nov 10; 29(32):4279-4285

Reis-Filho JS, Pusztai LGene expression profi ling in breast cancer: classifi cation, pro-gnostication, and prediction. [Review]

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

Lancet 2011 Nov 19; 378(9805): 1812-1823

BIOMARCATORI DI MECCANISMO

Eljuga D, Razumovic JJ, Bulic K, Petrovecki M, Draca N, Bulic SOPrognostic importance of PAI-1 in node negative breast cancer patients-results after 10 years of follow upPathology, Research & Practice 2011; 207(5)

Kantelhardt EJ, Vetter M, Schmidt M, et alProspective evaluation of prognostic factors uPA/PAI-1 in node-negative breast cancer: phase III NNBC3-Europe trial (AGO, GBG, EORTC-PBG) comparing 6xFEC versus 3xFEC/3xDocetaxel.BMC Cancer 2011; 11

Schmitt M, Harbeck N, Brunner N, et alCancer therapy trials employing level-of-evidence-1 disease fore-cast cancer biomarkers uPA and its inhibitor PAI-1. Expert Review of Molecular Diagnostics 2011; 11(6)

Pectasides D, Papaxoinis G, Kotoula V, et alExpression of angiogenic markers in the peripheral blood of docetaxel-treated advanced breast cancer patients: a Hellenic Cooperative Oncology Group (HeCOG) study.Oncol Rep 2012 Jan; 27(1): 216-224. doi: 10.3892/or.2011.1504. Epub 2011 Oct 13

Dave H, Shah M, Trivedi S, Shukla SPrognostic utility of circulating transforming growth factor beta 1 in breast cancer patients.Int J Biol Markers. 2012 Jan;27(1):53-9. doi: 10.5301/JBM.2011.8736.

Han Y, Mao F, Wu Y, Fu, et alPrognostic role of C-reactive protein in breast cancer: a systema-

tic review and meta-analysis.International Journal of Biological Markers 2011 Oct; 26(4): 209-215

BIOMARCATORI DI RISCHIO

Becker MA, Hou X, Harrington SC, et alIGFBP Ratio Confers Resistance to IGF Targeting and Cor-relates with Increased Invasion and Poor Outcome in Breast TumorsClin Cancer Res 2012 Mar 15; 18(6):1808-1817. Epub 2012 Jan 27

Secreto G, Meneghini E, Venturelli, et alCirculating sex hormones and tumor characteristics in postme-nopausal breast cancer patients. A cross-sectional study.Int J Biol Markers 2011 Oct-Dec; 26(4): 241-246. doi: 10.5301/JBM.2011.8883

BIOMARCATORI DI ESTENSIONE

Evangelista L, Cervino AR, Ghiotto C, Al-Nahhas A, Ru-bello D, Muzzio PCTumor Marker-Guided PET in Breast Cancer Patients-A Re-cipe for a Perfect Wedding: A Systematic Literature Review and Meta-AnalysisClin Nucl Med 2012 May; 37(5):467-474

Hewala TI, Abd El-Monaim NA, Anwar M, Ebied SATh e Clinical Signifi cance of Serum Soluble Fas and p53 Pro-tein in Breast Cancer Patients: Comparison with Serum CA 15-3Pathol Oncol Res 2012 Mar 17;

CELLULE TUMORALI CIRCOLANTI

Bidard FC, Hajage D, Bachelot T, et alAssessment of circulating tumor cells and serum markers for progression-free survival prediction in metastatic breast cancer: a prospective observational studyBreast Cancer Res 2012 Feb 13; 14(1):R29.

Kasimir-Bauer S, Hoff mann O, Wallwiener D, Kimmig R, Fehm TExpression of stem cell and epithelial-mesenchymal transition markers in primary breast cancer patients with circulating tu-mor cellsBreast Cancer Res. 2012 Jan 20;14(1):R15.

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34 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 2013 - N. 65

R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

Mayer JA, Pham T, Wong KL, et alFISH-based determination of HER2 status in circulating tu-mor cells isolated with the microfl uidic EE™ platformCancer Genet 2011 Nov; 204(11): 589-595

Consoli F, Grisanti S, Amoroso V, et alCirculating tumor cells as predictors of prognosis in metastatic breast cancer: clinical application outside a clinical trialTumori 2011 Nov-Dec; 97(6): 737-742. doi: 10.1700/1018.11090.

Ali AM, Ueno T, Tanaka S et alDetermining circulating endothelial cells using CellSearch sy-stem during preoperative systemic chemotherapy in breast can-cer patientsEuropean Journal of Cancer 2011 Oct ; 47(15): 2265-2272

MAMMOGRAFIARECENSIONE A CURA DI G.M. GIUSEPPETTI*, C. LANZA**

UO di Radiologia Clinica, A.O.U, Ospedali Riuniti Umberto Primo - Ancona

Juanpere S, Perez E, Huc O et alImaging of breast implants-a pictorial reviewInsights imaging 2011; 2: 653-670

Il numero delle donne portatrici di protesi al seno, a scopo estetico o ricostruttivo dopo mastectomia, è in crescente

aumento. La rottura dell’impianto è la causa maggiore di rimozione delle protesi. La maggior parte delle rotture delle protesi avviene dai 10 ai 15 anni dopo l’impianto e nella maggior parte dei casi è spontanea e non traumatica. Data la scarsità della clinica la diagnosi in genere è posta dal radiologo sulla base dell’imaging. È pertanto importante per conoscere non solo l’imaging delle protesi ma anche i diversi tipi di impianti. Attualmente la maggior parte delle protesi sono retro pettorali o retro ghiandolari; in genere sono a camera singola ma possono essere anche a doppia camera. La Risonanza Magnetica (MRI) è una metodica estremamente sensibile (80-90%) e specifi ca (90-97%) nella identifi cazione delle rotture protesiche in quanto è in grado di sopprimere o enfatizzare il segnale dell’acqua, del grasso e del silicone. A meno che non si vogliano studiare recidive tumorali o lesioni sospette, l’uso del contrasto paramagnetico è sconsigliato per lo studio dell’integrità della protesi. Uno

studio ottimale prevede l’utilizzo di un magnete di almeno 1.5 T e l’uso della bobina dedicata per il seno.La rottura della protesi può essere intracapsulare o extracapsulare. La rottura intracapsulare è defi nita come una rottura del margine dell’impianto senza stravaso del silicone oltre la capsula fi brosa che si crea naturalmente in tutte le donne intorno alla protesi. In questo tipo di rottura alla MRI si osservano multiple immagini curvilinee a bassa intensità di segnale all’interno di un’area di iperintensità dovuta al silicone (“linguine sign”). Le immagini curvilinee sono dovute ai margini dell’impianto collassato che fl uttuano nel silicone. Tale segno non è presente se l’impianto non collassa. Nella rottura senza collasso la MRI mostra silicone libero fuori dal margine dell’impianto ma ancora all’interno della capsula fi brosa (“teardrop sign”). Per rottura extracapsulare si intende la doppia rottura sia della capsula protesica che di quella fi brosa, con silicone al di fuori della capsula fi brosa, nei tessuti molli adiacenti alla protesi. Non bisogna però scambiare le pieghe radiali che ci sono normalmente nelle protesi con un segno di rottura, così come il versamento peri-protesico che è una risposta infi ammatoria e non un segno di rottura.La mammografi a non ha un gran valore per lo studio dell’integrità dell’impianto, ma è utile per lo studio del tessuto mammario circostante. Alcuni segni mammografi ci di rottura, anche se non specifi ci, sono: bande dense periprotesiche, calcifi cazioni periprotesiche, asimmetria di posizionamento o del profi lo della protesi.Un segno specifi co di rottura è l’evidenza di stravaso di silicone fuori dalla capsula protesica (rottura extracapsulare). Per lo studio della mammella con protesi è utile la tecnica di Eklund. L’ecografi a è una metodica utile per lo studio delle protesi, priva di radiazioni ionizzanti, ma operatore dipendente. Un esame ecografi co completamente negativo depone fortemente per l’integrità dell’impianto, limitando l’indicazione alla MRI. Un limite dell’ecografi a è la diffi cile valutazione del margine profondo della protesi e

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

del tessuto posteriore ad esso per l’attenuazione del fascio ultrasonografi co da parte del silicone. Le bande radiali presenti nelle protesi integre che si estendono dalla periferia verso l’interno della protesi non sono da confondere con un segno di rottura. Nella rottura extracapsulare all’ecografi a avremo piccole aree iperecogene di silicone all’interno del tessuto mammario (“snowstorm”) mentre nella rottura intracapsulare avremo una serie di linee dritte o curvilinee orizzontali, in genere parallele che attraversano trasversalmente l’impianto (“stepladder sign”).Non bisogna dimenticare che le donne con impianti protesici hanno la stessa probabilità di ammalare di tumore che il resto della popolazione, pertanto oltre all’integrità dell’impianto è fondamentale escludere la presenza di lesioni neoformative. Poiché la sensitività della mammografi a e dell’ecografi a nella detection tumorale potrebbe ridursi nelle donne con protesi è utile, nel dubbio, ricorrere alla MRI.

Wojcinski S , Farrokh A, Hille U et alTh e Automated Breast Volume Scanner (ABVS): initial experiences in lesion detection compared with conventional B-mode ultrasound: a pilot study of 50 casesIternational Journal of Women’s Health 2011; 3: 337-346

Nonostante la comprovata utilità dell’ecografi a nelle lesioni mammarie radiologicamente o clinicamente sospette, attualmente l’esame ecografi co non ha un ruolo nei programmi di screening anche se ha dimostrato un vantaggio diagnostico nello screening nelle donne asintomatiche.L’esame ecografi co manuale (HHUS) è un esame operatore dipendente che impegna il medico in prima persona per tutta la durata dell’esecuzione. L’ecografi a mammaria automatica (ABVS) può essere eff ettuata da un tecnico o da un assistente e acquisisce una serie di immagini consecutive B-mode dell’intero volume della mammella e le ricostruisce

in 3D in una separata workstation dove vengono analizzate indipendentemente dallo specialista. L’intero volume mammario può quindi essere studiato sia nelle scansioni assiali che in quelle coronali e sagittali permettendo uno studio ottimale dell’anatomia mammaria, in particolare del sistema duttale.In questo lavoro si valuta la capacità dell’ABVS di identifi care e classifi care correttamente lesioni mammarie precedentemente identifi cate all’ecografi a convenzionale. 50 pazienti con lesioni mammarie classifi cate come BI-RADS 1,2 e 5 (sono state escluse le lesioni dubbie e quindi quelle BI-RADS 3 e 4) all’ecografi a convenzionale sono state sottoposte ad ABVS da un esaminatore indipendente, in cieco rispetto ai risultati dell’ ecografi a convenzionale. Al termine sono stati confrontati i risultati dell’ABVS (metodo sperimentale) con l’HHUS (gold standard). Il primo esaminatore ha eff ettuato l’esame clinico-anamnestico e l’ecografi a manuale classifi cando le lesioni con il metodo BI-RADS.Il secondo esaminatore ha analizzato le immagini 3D in cieco rispetto alla storia clinica e ai risultati dell’eco-mammografi a e ha classifi cato le lesioni in BI-RADS 1, 2 e 5 sapendo che nello studio erano state eliminate lesioni dubbie (3 e 4).Il secondo esaminatore poteva richiedere un second-look ecografi co: se la lesione risultava poi essere benigna il risultato dell’ ABVS veniva classifi cato come non concordante e quindi falso positivo; se invece risultava maligna veniva classifi cato come vero positivo. I risultati dello studio hanno mostrato una elevata sensitività dell’ABVS nella detection delle lesioni maligne (range variabile da 73.2 a 100%).Tutti i 14 tumori sono stati correttamente diagnosticati dall’ABVS. L’accuratezza della metodica è stata del 66.0 % (CI 95%). La specifi cità è risultata piuttosto bassa (52.8%) infatti c’è stato un elevato numero di richieste di second-look (62%) ecografi ci risultati poi essere falsi positivi. Limite dello studio è l’esiguo numero di pazienti esaminati, non rappresentativo dell’intera popolazione.

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

PATOLOGIA BENIGNARECENSIONE A CURA DI A. PLUCHINOTTA E B. GNOCATO

UF Senologia Chirurgica - Chirurgia Mammaria Radioguidata

Policlinico Abano Terme (PD)

Genc V, Genc A, Ustuner E et alIs there an association between mastalgia and fi bromyalgia? Com-paring prevalence and symptom severityBreast 2011 Aug; 20(4): 314-318

Nelle pazienti che accusano dolori alla mammella, i sintomi locali vengono talora sopravvalutati senza porre la neces-

saria attenzione al fatto che coesistenti dolori diff usi potrebbe-ro piuttosto essere riconducibili a una fi bromialgia. Al tempo stesso potrebbero essere trascurate negli ambulatori chirurgici talora aff ollati (neglected in a busy surgery clinic) donne con do-lori alla mammella associati a sintomi cronici, che trarrebbero vantaggio da una consulenza reumatologica. Il lavoro è quindi interessante perché si presta a diverse con-siderazioni cliniche sulla possibile coesistenza di patologie di recente identifi cazione e che colpiscono soprattutto la donna giovane, come la fi bromialgia,Gli Aa. si prefi ggono di indagare la coesistenza, e di confron-tare i modelli di dolore, in caso di mastalgia o di fi bromialgia (FM ), considerate singolarmente o in combinazione tra loro. In quest’ultimo caso, cercano di stabilire la percentuale di pre-valenza della mastalgia nelle donne con FM e viceversa. Cin-quanta pazienti consecutive con mastalgia e 50 con FM sono state valutate ed esaminate sia per l'esistenza che per la gravità della mastalgia e della FM. Un'alta percentuale di pazienti con mastalgia (36%) soddisfacevano i criteri per la FM, mentre nel gruppo della FM la mastalgia era presente nel 42% dei casi. Le pazienti con mastalgia o FM debbono quindi essere accurata-

mente interrogate e, per quanto si tratti di patologie coesistenti in oltre un terzo dei casi, debbono essere tenute distinte per dare una spiegazione a sintomi altrimenti indefi nibili, ma so-prattutto per stabilire quelle terapie combinate che potrebbero implementare i risultati terapeutici. Dua SM, Gray RJ, Keshtgar MStrategies for localisation of impalpable breast lesionsBreast. 2011 Jun; 20(3): 246-253

Aydogan F, Ozben V, Yilmaz MH et alSimultaneous excision of ipsilateral nonpalpable multiple breast lesions using radioguided occult lesion localizationBreast. 2011 Jun; 20(3): 241-245

Arentz C, Baxter K, Boneti C et alTen-year experience with hematoma-directed ultrasound-guided (HUG) breastlumpectomyAnn Surg Oncol. 2010 Oct; 17 Suppl 3: 378-383

Il lavoro di Dua et al. è una buona sintesi delle tecniche di loca-lizzazione, con una prevalente attenzione (e predilezione) per le localizzazioni con uncino metallico, ma senza addentrarsi nelle tecniche più complesse, come ad esempio quelle che prevedono l’impiego simultaneo di più reperi.Il lavoro di Aydogan et al., al contrario, è invece incentrato sulla fattibilità e sui vantaggi della localizzazione radioguidata soprattutto per quanto riguarda situazioni di molteplicità e ne-cessaria accuratezza dello stato dei margini.Con l’occasione abbiamo voluto riportare anche un lavoro meno recente in cui Arentz e coll. esordiscono elencando (a loro dire) i numerosi inconvenienti della localizzazione con uncino metallico soprattutto per quanto riguarda i disagi della paziente (dolore, intolleranza, sintomi vaso-vagali). In conside-razione di tali inconvenienti sostengono che nei casi che aveva-no avuto una recente agobiopsia mirata sotto guida ecografi ca

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

o radiostereotassica e che sarebbero stati sottoposti a biopsia chirurgica mirata, il centramento preoperatorio poteva essere effi cacemente eff ettuato utilizzando l’immagine ecografi ca con-seguente all’ematoma provocato dal precedente prelievo. Uti-lizzando tale metodica (hematoma-directed ultrasound-guided, HUG) il centramento era risultato effi cace e ben tollerato nel 100% della loro decennale casistica di 329 pazienti.

Gouveri E, Papanas N, Maltezos ETh e female breast and diabetes Breast 2011 Jun; 20(3): 205-211

Pantanowitz L, Sen S, Crisi GM, Makari-Judson G, Garb J, Skiest DSpectrum of breast disease encountered in HIV-positive patients at a community teaching hospital.Breast 2011 Aug; 20(4):303-338

Richter-Ehrenstein C, Tombokan F, Fallenberg EM, Schnei-der A, Denkert CIntraductal papillomas of the breast: Diagnosis and management of 151 patientsBreast 2011 Dec; 20(6):501-504

NiMhurchadha S, Hughes J, Nduka C, Harcourt DMen’s experiences of gynaecomastia and corrective surgery: A qua-litative reportBreast 2012 Feb; 21(1):108

Una letter to the editor sulle motivazioni estetiche e psicologiche per cui gli uomini ricorrono alla chirurgia della ginecomastia molto più frequentemente che nel passato, salvo poi essere re-stare insoddisfatti dei risultati dell’intervento. Occorre quindi eff ettuare una maggiore selezione dei casi chirurgici, soprattut-to di quelli che usufruiscono del SSN, e ricorrere più spesso al sostegno psicologico nei casi con forti motivazioni identitarie senza consistenti motivazioni chirurgiche.

QUALITÀ DI VITADISAGI E RELAZIONIRECENSIONE A CURA DI A. COLA E G. MARTINO

METIS Centro Studi in Oncologia, Formazione e Terapia - Milano

Petit JY, Veronesi U, Lohsiriwat V et al Nipple-sparing mastectomy-is it worth the risk?

Nature Reviews Clinical Oncology 2011; 8(12): 742-747

LA nipple-sparing mastectomy (NSM) viene utilizzata per ottenere un risultato estetico più naturale e un im-

patto psicologico meno invalidante. D’altra parte vi sono dubbi che questa tecnica possa essere legata a maggiori re-cidive locali. Per ridurre questo rischio sono state propo-ste la restrizione dei criteri di inclusione e una radioterapia localizzata. Attualmente la percentuale di recidive locali a 5 anni dopo MSN si assesta tra il 3 e il 6%, valore assolu-tamente simile a quello che si osserva dopo mastectomia tradizionale.Commento: Ipse dixit !

Horgan O, Holcombe C, Salmon PExperiencing positive change after a diagnosis of breast cancer: a grounded theory analysisPsycho-Oncology 2011 Oct; 20(10): 1116-1125

Lo studio valuta se la diagnosi di cancro al seno può pro-durre positivi cambiamenti nella vita delle donne. La mag-gior parte delle donne mette in evidenza che dopo l’espe-rienza di cancro sono modifi cate le loro priorità nella vita e è aumentata la loro empatia verso gli altri. Hanno anche evidenziato un aumento dell’autostima in relazione a come hanno aff rontato l’esperienza del cancro al seno.Commento: come la convinzione dei ricercatori e il modo di porre la domanda condizioni la risposta.

Joly F, Rigal O, Noal S, Giff ard BCognitive dysfunction and cancer: which consequences in terms of disease management?Psycho-Oncology 2011 Dec; 20(12): 1251-1258

Revisione degli articoli pubblicati dal 2000 in poi sui di-sturbi cognitivi conseguenti al cancro. La chemioterapia è correlata con defi cit di memoria, concentrazione e velocità

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

di elaborazione delle informazioni. Tratti depressivi sono fattori di rischio accertati.

Den Heijer M, Seynaeve C, Vanheusden K et alPsychological distress in women at risk for hereditary breast cancer: the role of family communication and perceived social supportPsycho-Oncology 2011 Dec; 20(12):1317-1323

Questo studio vuole valutare - all’interno di un gruppo di 222 donne a rischio di tumore al seno ereditario - la relazione tra lo stress correlato con il rischio e la comunicazione all’interno della famiglia. I risultati evidenziano che nelle famiglie in cui si parla apertamente del rischio di cancro ereditario il livello specifi co di stress è più basso. Anche una più alta percezione di supporto da familiari e amici abbassa il livello di stress.

Frost MH, Hoskin TL, Hartmann LC, Degnim AC, Johnson JL, Boughey JCContralateral prophylactic mastectomy: long-term consistency of satisfaction and adverse eff ects and the signifi cance of informed decision-making, quality of life, and personality traitsAnnals of Surgical Oncology 2011 Oct; 18(11):3110-3116

Valutazione a lungo termine della soddisfazione dopo inter-vento di mastectomia controlaterale profi lattica (CPM). Dopo circa 10 anni dalla CPM circa il 90% delle donne risulta essere soddisfatta dell’intervento. Gli aspetti negativi più frequenti sono l’aspetto corporeo (31%), la diminuzione della femmi-nilità (24%) e i disturbi sessuali (23%). Il 93% delle donne dichiara di essere stata correttamente informata sull’intervento.

Wasteson E, Sandelin K, Brandberg Y, Wickman M, Arver BHigh satisfaction rate ten years after bilateral prophylactic mastec-tomy - a longitudinal studyEuropean Journal of Cancer Care 2011 Jul; 20(4): 508-513

Al Karolinska University Hospital dal 1990 le donne con alto rischio familiare di cancro al seno vengono sottoposte a ma-stectomia bilaterale profi lattica (BPM). Nello studio vengono valutati gli esiti fi sici e psicologici a dieci anni di distanza dalla BPM. In generale le donne sono risultate soddisfatte della scel-ta fatta e avevano una percezione di avere un rischio minimo di ammalarsi di cancro al seno. Poche donne hanno evidenzia-to un peggioramento della relazione con il partner. Il risultato estetico è risultato quasi sempre positivo.

David N, Schlenker P, Prudlo U, Larbig WOnline counseling via e-mail for breast cancer patients on the German internet: preliminary results of a psychoeduca-

tional interventionPsycho-Social Medicine 2011; 8: Doc05

Questo studio evidenzia che un approccio di assistenza psico-logica attraverso il web (internet e email) può raggiungere per-sone che hanno necessità non soddisfatte di trattamento ma sottolinea anche che questo tipo di approccio presenta dei li-miti. Forse questo strumento può essere utile per incoraggiare e indirizzare i pazienti verso servizi di assistenza classici.

Bergouignan L, Lefranc JP, Chupin M, Morel N, Spano JP, Fossati PBreast cancer aff ects both the hippocampus volume and the episodic autobiographical memory retrievalPLoS ONE [Electronic Resource]. 6(10):e25349, 2011

16 donne operate e trattate per cancro al seno in remissione da 18 mesi e che non presentavano disordini da stress post trau-matico sono state sottoposte a risonanza magnetica e confron-tate con un campione di 21 donne sane. Le donne operate al seno hanno dimostrato di avere un’atrofi a del lobo posterio-re dell’ippocampo con un conseguente defi cit della memoria episodica autobiografi ca. La parte posteriore dell’ippocampo è intimamente correlata con la capacità di ricordare eventi auto-biografi ci negativi.

RADIOTERAPIARECENSIONI A CURA DI L. LOZZA SC RT1 Radioterapia Fondazione IRCCS Istituto

Nazionale Tumori di Milano

Shah C, Antonucci JV, Wilkinson JB et al Twelve-year clinical outcomes and patterns of failure with ac-celerated partial breast irradiation versus whole –breast irra-diation: results of a matched-pair analysisRadiotherapy and Oncology 2011; 100; 210-214

La irradiazione parziale della mammella (PBI) nei tumori a basso rischio di ricaduta locale ha recentemente trova-

to sempre maggiore consenso, grazie alla pubblicazione dei risultati a 5-10 anni dei diversi studi condotti nel mondo.La fattibilità dei trattamenti con tecniche diff erenti (intrao-peratoria, brachiterapia interstiziale o con Mammosite, fasci esterni conformati) è stata ampiamente confermata e i dati di controllo locale e di esito cosmetico sono soddisfacenti.E’ ancora in corso lo studio di fase III del National Surgical

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R A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R AR A S S E G N A D E L L A L E T T E R A T U R A

Adjuvant Breast and Bowel Project (NSABP) B-39/ Radia-tion Th erapy Oncology Group (RTOG) che confronterà i risultati della radioterapia convenzionale sulla mammella in toto (WBI) versus PBI in pazienti operate conservativamente per neoplasie mammarie in situ o infi ltranti (stadio I-II).Ad oggi sono però disponibili i dati a 12 anni di un’analisi preliminare condotta su 199 coppie pazienti (WBI vs PBI), le cui caratteristiche di età, dimensioni della neoplasia, stato linfonodale e recettoriale fossero simili.A 12 anni di follow up non sono state rilevate diff erenze si-gnifi cative di incidenza di recidive locali (3.8% per WBI e 5% per PBI) e loco regionali (0% vs 1.1%), così come per la sopravvivenza globale (78% vs 71%) e la sopravvivenza libera da malattia (87% vs 91%).In entrambe i gruppi, la recidiva locale è signifi cativamente correlata alla giovane età.Questi risultati dimostrano l’equivalenza dell’effi cacia del-la PBI quando confrontata con WBI in situazioni cliniche sovrapponibili e non sono evidenziati pattern diff erenti di ricaduta nei due gruppi, supportando così l’applicazione dell’irradiazione parziale per le pazienti i cui requisiti clini-ci/patologici rispondano ai ben codifi cati criteri di selezione pubblicati nei documenti di consenso delle società america-na ed europea di radioterapia oncologica (ASTRO e GEC-ESTRO).

Kauer-Dorner D, Potter R, Resch A et alPartial breast irradiation for locally recurrent breast cancer wi-thin a second breast conserving treatment: alternative to mastec-tomy? Results from a prospective trialRadiotherapy and Oncology 2012; 102; 96-101

Le recidive locali dopo trattamento conservativo delle neo-plasie mammarie in stadio iniziale sono stimate in circa 1% /anno e, in assenza di localizzazioni a distanza, sono spesso trattate con mastectomia ottenendo tassi di successivo con-trollo loco regionale del 90%.

Questo approccio è sempre più discusso, soprattutto quando la ricaduta è di piccole dimensioni, potenzialmente suscetti-bile di chirurgia limitata che preservi un risultato cosmetico ancora soddisfacente.Non è indicato un secondo trattamento di radioterapia sull’intera mammella per le prevedibili e importanti tossicità attese e i dati in letteratura riferiti alla sola chirurgia conser-vativa dimostrano l’esposizione delle pazienti nel 7-50% dei casi ad una successiva recidiva locale.Il crescente interesse per l’irradiazione parziale della mam-mella, l’affi namento delle tecniche e il supporto dei dati ri-guardanti la sua effi cacia hanno permesso di considerarne l’applicazione anche nell’ambito delle recidive intramamma-rie dopo primo intervento conservativo seguito da radiotera-pia convenzionale.Gli Autori hanno trattato con brachiterapia interstiziale sul letto tumorale 39 pazienti sottoposte a chirurgia limitata di recidive locali (anni 1999-2006).Nel 93% delle pazienti si è ottenuto controllo locale ad un follow up mediano di 57 mesi.La sopravvivenza globale e libera da malattia a 5 anni sono risultate dell’87 e 77%, rispettivamente.Gli eff etti collaterali sono stati limitati (consistente reazione fi brotica nel 4% dei casi e mastodinia nel 13%), con risultato cosmetico valutato come buono-eccellente nel 76% dei casi.Saranno necessarie ulteriori esperienze che esplorino la PBI dopo chirurgia conservativa quale alternativa alla mastecto-mia per il trattamento di recidive locali selezionate per po-terne validare il ruolo.

Selezione bibliografi ca

Hennequin C, Azria DTh e future of breast cancer radiotherapy: from one size fi ts all to taylor-made treatmentCancer Radiotherapie 15; 455-459, 2011

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40 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 2013 - N. 65

Q U A T T R O C H I A C C H E R E C O NQ U A T T R O C H I A C C H E R E C O N

Angelo Paradiso

A CURA DI A. COFFANO

Angelo Paradiso si laurea a Bari in medicina nel 1980 e si specializza in Oncologia nel 1985 ed in Farmacologia nel 1989. Subito dopo la laurea inizia a frequentare l’allora Ospedale Oncologico di Bari per il quale, proprio in quei tempi, era stato elaborato un piano strategico di medio-lun-go respiro che doveva condurlo al riconoscimento di Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifi co. E’ stato quindi lì, nella vecchia struttura dell’Ospedale Oncologico che, neo-laureato, ha appreso prima di tutto a fare l’oncologo medico costantemente vicino all’uomo che di quel processo di svi-luppo clinico-scientifi co della struttura si era fatto garante, il Dr. Mario De Lena. La sua storia professionale e culturale si intreccia così fortemente con il percorso del dr. De Lena a Bari; diviene il primo direttore scientifi co dell’IRCCS Ospe-dale Oncologico di Bari nel 1985; attiva il primo laboratorio sperimentale “Laboratorio di Cinetica Cellulare e Recettori Ormonali” appena dopo; indirizza la sua formazione, questa volta laboratoristica, presso i laboratori milanesi della Prof Silvestrini. Poi per il dott. Paradiso: dieci anni in oncolo-gia medica, dieci anni nei laboratori sperimentali, 5 anni di vice-direzione scientifi ca, 5 di direzione scientifi ca. Tutti, fatti salvo la formazione all’estero, nell’oggi diventato Istitu-to Tumori IRCCS G. Paolo II di Bari; tutti, eccettuato gli ultimi, a contatto quotidiano con il dr De Lena; tutti per una struttura,fi nalmente oggi, dopo un pellegrinaggio di un ventennio in sedi provvisorie, nella propria sede defi nitiva fornita di tutte le più nuove tecnologie, (Sale Operatorie Ibride, Laboratori GMP, Biobanca Regionale, Laboratori Sperimentali, etc).

Lei è noto per essere un medico particolarmente attento alla ricerca di laboratorio, convinto che solo da questa si possono fare passi avanti nella cura dei tumori, in parti-colare per il carcinoma mammario. In questi 30 anni di carriera ritieni che le aspettative siano state soddisfatte o

che i progressi ottenuti dalle nuove acquisizioni scienti-fi che tardino a dare immediati risultati clinici per le pa-zienti?Negli ultimi trenta anni, i progressi sono stati enormi da vari punti di vista. Dal punto di vista socio-sanitario con lo sviluppo soprattutto di informazioni epidemiologiche e programmi di screening; dal punto di vista tecnologico con l’utilizzo di macchine più performanti sia in fase di diagnosi che di terapia. Ma il vero salto culturale è stato compiuto nella ricerca laboratoristica, con la defi nizione ed interpre-tazione dei più fi ni meccanismi fi sio-patologici cellulari re-sponsabili della genesi e progressione del tumore. Sono que-ste ultime le vere conoscenze che permettono oggi di parlare di prevenzione a livello molecolare, di bio-imaging, di far-maci molecular-targeting. Come ricercatore, sono quindi assolutamente entusiasta dei risultati ottenuti in quest’ulti-mo trentennio; per molti versi, ormai il cancro è un proces-so biologicamente interpretabile e l’esempio del carcinoma della mammella è eloquente. Sin dalla suscettibilità genetica verso questa malattia fi no al suo trattamento palliativo, lo scenario è mutato nel suo complesso ed il miglioramento dell’andamento delle curve di mortalità lo dimostrano chia-ramente. La “guarigione” è ormai a portata di mano per la grande maggioranza delle donne aff ette da questo tumore.Ma questo chiaramente non ci basta e soprattutto non può

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Q U A T T R O C H I A C C H E R E C O NQ U A T T R O C H I A C C H E R E C O N

bastare alle pazienti che nutrono ulteriori grandi aspettative verso quelle che vengono presentate da un certo giornalismo come pietre d’angolo nel processo di controllo della malat-tia: chip, array, profi li, etc. Purtroppo, la verifi ca clinica di questi complessi approcci laboratoristici risultano partico-larmente impegnativi dal punto di vista fi nanziario ma an-che gestionale. L’esempio dello studio europeo MINDACT è sotto gli occhi di tutti: un budget di decine di milioni di euro per la validazione prospettica di Mammaprint.Forse, questi grandi e dispendiosi studi stanno in qualche modo ostacolando lo sviluppo di studi Fase II randomiz-zati ed adeguati nelle dimensioni del campione, che ormai vengono ritenuti l’approccio più logico per la validazione clinica preliminare dei Biomarkers in oncologia.

Dedicarsi alla ricerca e meno alla attività clinica, Le è costato anche qualche sacrifi cio?Da giovane medico, vivevo gli insuccessi della mia pratica oncologica medica come veri insuccessi personali con un carico emotivo anche importante e quindi direi che è stato automatico sin dall’inizio pensare di capirne un po’ di più di questa malattia trasferendo le domande alla ricerca di la-boratorio. A questo aspetto, si aggiungeva sin dall’inizio il vivo interesse che ho sempre avuto e che continuo ad avere, per tutto quello che è da organizzare, costruire ex novo; ed il settore della ricerca laboratoristica oncologica negli anni 80’ in un Istituto in cui era tutto da realizzare era per una persona come me una occasione bellissima. Quindi, no! All’inizio non mi è costato, anzi! Naturalmente, esulano da questi miei commenti i risvolti economici –penalizzanti- conseguenti al mio dedicarmi prevalentemente agli aspetti laboratoristici che all’epoca qualche perplessità mi hanno comunque creato. Ora, la mia posizione è profondamente cambiata Mi ac-corgo che la visione d’insieme della malattia, della organiz-zazione che per il suo trattamento è necessario, delle pro-

spettive che è lecito attendersi dalla ricerca che forse ora mi sono proprie, possono essere quotidianamente di grande ausilio per i pazienti che mi si rivolgono con aspettativa. Ora sicuramente mi costa non poter dedicare più tempo a loro, ai pazienti, più tempo per un rapporto diretto con i loro bisogni più immediati, più tempo per seguirli nel loro percorso. Sullo sfondo, comunque, sempre l’Istituto di cui vedo continuamente aspetti migliorabili.

Quali le opportunità e le diffi coltà che Le ha off erto l’Istituto Scientifi co per l’oncologia di Bari da te diret-to?Come si intende da tutto quello già detto, L’Istituto di Bari ha rappresentato per un medico con la mia visione una grande opportunità. Mi ha permesso di capire e seguire nel tempo il processo di sviluppo di una struttura sanitaria deputata alla ricerca, di spaziare dalla clinica alla laborato-ristica alla programmazione clinico-scientifi ca con estrema naturalezza e secondo un processo logico continuo. Parten-do da un microsistema come un laboratorio ad un sistema complesso come un Istituto di Ricerca, scopri come la dia-lettica e le relazioni tra persone siano gli elementi cruciali per la buona ricerca, la buona assistenza, la qualità della vita sul posto di lavoro.Inoltre, il confronto quotidiano con professionalità diverse (chirurghi, radioterapista, fi sici, amministrativi) senz’altro mi arricchisce e grandemente. Far ragionare secondo lo-giche comuni e di sistema un Team, credetemi non è cosa facile. Diffi coltà? Tante! Prima di tutto di costi personali in ter-mini spiccioli di orari giornalieri e di intensità di impegno richiesto. Come è facile intendere, un Istituto di ricerca ha mille potenzialità e mille problemi davanti: comunicazione con l’esterno, qualità-innovazione delle prestazioni, pro-gettualità interna, regionale, nazionale, internazionale. E se sei in una posizione che tutto questo ti permette di vede-re, ti ritrovi solo a decidere e dosare l’impegno quotidiano. Lasciare l’Istituto ogni sera implica un piccolo quotidiano atto di violenza verso la mia stessa persona che sa comun-que di lasciare cose incompiute e che invece “andrebbero assolutamente fatte”. “Domani, farò di più”, mi dico.Ma la principale diffi coltà (ahimè!) è ancora una volta avere a che fare spesso con operatori e strutture che proprio il rapporto tra innovazione e qualità del sistema non lo col-gono. La ricerca, è sempre un lusso, prima viene il prelievo, il bisturi, la fl ebo, il CUP, l’intra-moenia, l’art 104, il CCS-SNN. Si è vero ma in un IRCCS non dovrebbe essere un po’ diverso? Per fortuna che c’è un direttore scientifi co, mi dico (si coglie l’autoironia???!!!!). E raddoppio l’impegno!

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42 ATTUALITÀ IN SENOLOGIA 2013 - N. 65

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G I S M aG I S M a

News dai convegni del GISMa (Gruppo Italiano Screening Mammografi co)

A CURA DI DANIELA GIORGI E LIVIA GIORDANO

Il seminario nazionale “Gestire la complessità per guadagnare

in salute” svoltosi a Perugia è sta-to dedicato a due temi di grande interesse per lo screening mam-mografi co, i cancri di intervallo e i richiami precoci.

Cancri di intervallo (CI)I CI sono dei tumori che insorgo-no dopo un passaggio di screening negativo e prima dell’invito di

screening successivo (o entro 2 anni se la donna esce dallo screening). Sono un indice della sensibilità del programma

e forniscono informazioni sull’impatto che questo ha nella popolazione a cui è rivolto. In accordo con le linee guida europee, la dizione di CI spetta sia alle forme tumorali in-vasive che a quelle in situ. Delle misure utilizzate per la va-lutazione dei CI (tasso dei CI, rapporto fra casi screen detec-ted (SD) e (SD+CI), incidenza proporzionale), l’incidenza proporzionale è indicata come la misura più convincente, anche se con dei limiti legati alla necessità di calcolare l’in-cidenza attesa nelle varie aree. I risultati disponibili in Italia (pubblicati su riviste recensi-te o presentati in convegni) sono soddisfacenti. L’inciden-za proporzionale rispetta nella maggior parte dei casi gli standard defi niti dalle linee guida europee (< 30% al primo anno, <50% al secondo anno, fi gura 1) ed anche i casi at-tribuibili ad “errori di screening” dalla revisione radiologica delle mammografi e rispetta i valori raccomandati ( ≤ 20%).

Figura 1 - Incidenza proporzionale (%) dei CI al 1° e 2° anno - dati pubblicati

Note: = pubblicazioni su riviste scientifi che; = pubblicati su Tumori 2011, derivano da poster o comunicazioni orali; = poster GISMa 2010-11

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G I S M a G I S M a

Da un’indagine nazionale, promossa nel 2011 dal GISMa, risulta che oltre il 60% della popolazione del centro-nord Italia invitata nel 2009 ad eff ettuare una mammografi a di screening è stata poi sottoposta ad un follow up per la ricer-ca dei CI. La valutazione dell’incidenza proporzionale in questi programmi è complessivamente soddisfacente ed in linea con i dati pubblicati.

Tra le modalità di revisione radiologica quella cieca è quel-la considerata più accreditata e garantista anche in caso di questioni medico-legali. Gli interventi fi nali di un medico legale e di un anatomo-patologo hanno permesso di approfondire ulteriormen-te l’argomento. Il primo ha esaminato i vari aspetti della

medicina difensiva e le sue implicazioni in relazione al fe-nomeno dei CI suggerendo alcuni rimedi, tra cui un mag-gior sviluppo del governo clinico del rischio e un ripristino delle dimensioni virtuose dell’alleanza con la persona ma-lata. L’anatomo-patologo ha messo in luce invece quanto sia estremamente dibattuta l’aggressività biologica dei CI rispetto ai cancri screen-detected. Sembra comunque che

i CI siano più aggressivi rispetto a quelli screen-detected, ma meno aggressivi rispetto ai cancri diagnosticati in don-ne non sottoposte ad indagini di screening. I CI correlano con la densità ghiandolare e questa correla con tumori di dimensioni più estese e a fenotipo più aggressivo. Vista l’importanza del monitoraggio dei CI sia come aspet-

Figura 2 – Incidenza proporzionale (%) dei CI al 1° e 2° anno – survey 2012 GISMa

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to qualifi cante dei programmi di screening organizzato, sia come opportunità per il controllo di qualità e la formazione, è stata proposta la raccolta periodica dei dati sui CI all’in-terno della survey GISMa. Considerando comunque l’im-pegno oneroso che richiede la raccolta dei CI, è emersa da più parti la proposta di valutare anche un altro indicatore - la quota di cancri T2+ ai passaggi successivi di screening - più facilmente calcolabile da parte dei programmi.

Richiami precoci (early recall-early rescreen)Richiamare le donne secondo un protocollo diverso dalla norma dovrebbe costituire una procedura da utilizzare in un numero molto limitato di situazioni in quanto può masche-rare inadeguatezza o insuffi ciente training degli operatori. La conoscenza del numero dei richiami precoci è fonda-mentale per la valutazione del processo clinico-diagnostico dello screening. Le Linee guida europee indicano che non è considerata buona pratica eff ettuare un richiamo inter-medio dopo il I livello (early rescreen), mentre può essere considerato standard accettabile (ma non desiderabile) un valore <1% di richiami intermedi per eff ettuare una seduta di approfondimento (early recall). Uno dei principali obiet-tivi del richiamo anticipato è quello di ridurre il numero di biopsie chirurgiche benigne senza ridurre la capacità di in-dividuare precocemente il tumore ma per contro numerosi studi hanno dimostrato come l’eff ettuazione di esami non necessari possa tradursi in un aumento dei test falsi positivi, ansia per le donne e un costo aggiuntivo per il programma. Il workshop di Perugia si è aperto con un’introduzione te-

orica all’argomento alla quale è seguita la presentazione dei risultati di un’indagine eff ettuata per conoscere l’andamen-to di questo fenomeno all’interno delle realtà italiane. Al questionario, inviato ad inizio 2012, hanno risposto 57 pro-grammi attivi nel nord-centro Italia. Dai dati raccolti, rife-riti al 2007-2008, è emerso che la metà di questi programmi raccomanda delle mammografi e intermedie solo dopo il II livello mentre l’altra metà lo fa sia dopo il test di I che di II livello. Gli eventuali tumori evidenziati vengono conside-rati come screen-detected dal 90% dei programmi mentre per il 5% dei programmi sono dei cancri di intervallo. I principali motivi di richiamo riguardano l’incertezza dia-gnostica o la presenza di un seno denso. Esistono poi del-le condizioni, come la familiarità o un precedente tumore mammario, in cui i programmi adottano dei formali pro-tocolli di richiamo/re-invito anticipato. Il tasso di richiami intermedi è del 2% dopo il I livello e dell’1.3% dopo il II livello. In entrambi gli scenari la variabilità tra program-mi è molto ampia, soprattutto dopo il I livello (standard raccomandato=0%) mentre dopo il II livello (standard rac-comandato <1%) la situazione migliora. Considerando le mammografi e intermedie nel loro complesso, la maggior parte dei programmi richiama ad un intervallo tra 6 e 12-15 mesi dal precedente contatto di screening e solo l’8% richia-ma prima dei 6 mesi. Se si confrontano questi tassi con quelli di richiamo ad ef-fettuare un approfondimento, si ha un quadro fortemente eterogeneo con realtà in cui, ad un basso tasso di richiami per approfondimento, corrisponde un alto tasso di mam-

Figura 3- Mammografi e intermedie dopo I e II livello (attività 2007-2008) per programmi rispondenti e livello medio italiano

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mografi e intermedie ed altre in cui entrambi gli indicatori sono sopra i livelli standard. Ambedue questi estremi pos-sono essere lo specchio di situazioni critiche che necessitano di approfondimenti. Sono poi seguite le presentazioni di due esperienze più strutturate delle regioni Emilia Romagna e Veneto. Un’analisi secondaria dei dati raccolti per lo studio sull’in-cidenza dei cancri d’intervallo nel programma di screening mammografi co della Regione Emilia-Romagna ha permes-so di approfondire la conoscenza sui richiami anticipati (RES) sia in termini di cause inducenti (in maggioranza radiologiche) che di prevalenza dei richiami (1,33% nei cen-tri dove è prevista la possibilità di richiami anticipati) di au-mentata associazione con il tasso di richiami nello screening successivo, il detection rate e l’incidenza proporzionale di cancri intervallo. Quest’indagine ha proposto una visione dei RES come una possibile soluzione per gestire mammo-grafi e anormali o problematiche.

Lo studio veneto ha messo in evidenza invece come un mo-nitoraggio costante delle mammografi e intermedie ed un piano formativo possano portare ad un netto miglioramen-to dei tassi che passano dal 13% nel 2007 (media regiona-le, prima dell’intervento) a 1,8% (media regionale nel 2010 dopo l’intervento).L’ultima parte della sessione è stata dedicata all’approfondi-mento delle criticità legate agli early recall. Sono intervenuti alcuni radiologi e uno psicologo che hanno rifl ettuto sul fenomeno sottolineandone alcuni aspetti come la diffi coltà nella reportistica del dato, talvolta anche a causa dell’ina-deguatezza del software gestionale, la problematicità degli aspetti comunicativi e le implicazioni psicologiche che de-terminano sia nell’operatore che nella donna.Il convegno si è concluso con una tavola rotonda per la di-scussione e valutazione della gestione e dell'analisi epide-miologica degli early recall e la proposta di inserimento del-la raccolta routinaria dell'indicatore nella survey GISMa.

Figura 4- Periodismo delle mammografi e intermedie totali (attività 2007-2008 - primi esami ed esami successivi )-

Figura 5-Tasso di mammografi e intermedie totali I e di II livello e tasso di richiami per approfondimenti (attività 2007-

2008 - primi esami ed esami successivi)

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Q U I C U R A N O C O S ÌQ U I C U R A N O C O S Ì

Da ormai 12 anni l’Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addolorata di Roma ha accolto il valore dell’irreversi-

bile innovazione che tutti stiamo vivendo in campo seno-logico, sviluppando spazi e professionalità in tutti i settori ad esso connessi. L’AO è un’Istituzione di rilevanza nazio-nale e di alta specializzazione localizzata al centro della cit-tà, pertanto con un’importante accessibilità in una città grande e dispersiva come Roma, e con un bacino di utenza di circa 800.000 persone; è dislocata su diversi presidi e permette quindi spazi importanti per l’utenza; si è recente-mente dotata di una nuova Radioterapia con l’acquisto di una Tomoterapia e sta aspettando il prossimo arrivo di due nuovi acceleratori lineari. Il Gruppo Senologico, iniziato come Unità Dipartimentale chirurgica nel 2000, si avvale oggi non solo di 5 chirurghi dedicati che eff ettuano oltre 340 interventi su patologia neoplastica all’anno, ma anche di 5 radiologi dedicati ed organizzati in una Unità dipartimentale di radiologia seno-logica, due patologi, due oncologi, due radioterapisti, due chirurghi plastici, oltre a personale dedicato infermieristi-co (con due caposale), per la riabilitazione e per la consu-lenza psicologica.Il momento centrale che ha compattato il Gruppo è stato rappresentato dall’istituzione della Conferenza Multidisci-plinare da noi denominata “Interbreast”, inizialmente orga-nizzata con cadenza bisettimanale e con discussione di casi selezionati. Questo momento è progressivamente diventa-to il fulcro centrale della discussione, della condivisione, del confronto, della programmazione tra i vari elementi del Gruppo, promossi sul campo da membri a protagoni-sti. Le pazienti non solo gradiscono questo atteggiamento di condivisione, ma apprezzano il fatto che il proprio caso sia analizzato collegialmente, e che raccomandazioni uffi -ciali vengano emanate dalla Conferenza. Quest’anno, ini-zieremo l’uffi cializzazione dei crediti formativi della Con-ferenza con l’inserimento di un Guest Speaker ogni due settimane, per allargare l’orizzonte dell’approfondimento.

Azienda Ospedaliera San Giovanni - Addolorata Roma

L’iniziativa ha recentemente ricevuto 31 crediti ECM per l’anno in corso a partire dal 14 Maggio 2012.Noi siamo convinti che una Breast Unit moderna debba essere organizzata come un “Open Space”: poco ospeda-le, molto accesso, molto supporto, poca burocrazia, molta organizzazione, sobrietà. Le nostre pazienti ricevono, per quanto possibile, un trattamento informale, sono accom-pagnate da un professionista all’altro in maniera diretta, ricevono una Brochure illustrativa sulle opzioni di tratta-mento, le prospettive di guarigione, la riabilitazione, i di-ritti delle pazienti con tumore. Da questo punto di vista la collaborazione con le Asso-ciazioni riveste sempre di più un’importanza strategica, e da anni collaboriamo con l’Associazione Domina e con la Fondazione Prometeus, ONLUS, supportando molte ini-ziative a favore delle utenti.Una tra queste è denominata “l’Altra faccia della Medaglia”, ha cadenza mensile, e tocca argomenti non convenzionali che diffi cilmente vengono trattati in ambiente ospedaliero, quali la dieta, la riabilitazione, il sostegno psicologico, la fi sioterapia, l’omeopatia, l’agopuntura.Inoltre, da oltre due anni le pazienti che devono eff ettuare chemioterapia neoadiuvante o adiuvante hanno la possibi-lità di partecipare a corsi di make-up gratuiti organizzati in collaborazione con l’Associazione “La Forza ed il Sorriso” presso la sede della Fondazione Prometeus. Oltre 150 pa-zienti hanno fi nora partecipato a questa iniziativa sotto la direzione di un’estetista e di uno psicologo.Non vogliamo tralasciare l’importante collaborazione con lo Screening della ASL Roma G (Primario Dr.ssa Tufi ) che è ormai attivo da oltre sei anni, perché la simbiosi tra cen-tri di screening e gruppi specializzati e di qualità di senolo-gia sono una necessità incontrovertibile. L’off erta integrata di professionisti dei vari settori è il valo-re aggiunto della senologia moderna. Per questo stiamo la-vorando per raggiungere la Certifi cazione di qualità. Pen-siamo che intraprendere con senso di responsabilità questo

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Q U I C U R A N O C O S ÌQ U I C U R A N O C O S Ì

processo porterà ai singoli professionisti una motivazione, ed un obiettivo da raggiungere, all’Azienda, già oggi 3 Bol-lini Rosa, un valore di eccellenza riconosciuto e qualifi -cante, ed alle nostre pazienti un servizio sempre migliore.

SERVIZIOspedale Azienda ospedaliera SanGiovanni-Addolorata Via dell’Amba Radam 9, 00184 Roma

DIAGNOSTICA RADIOLOGICA

Primario: dott.ssa Elena SantiniTelefono: 06.77055113E-mail: [email protected]

ATTIVITÀ PER PATOLOGIA MAMMARIA

Ore/settimana dedicate 130

Attività di screening NO

Mammografi e eseguite nello scorso anno 8.000

Giorni attesa (in media) 240

Apparecchiatura in dotazione

- mammografi Selenia Hologic e Amulet Fuji - ecotomografi Toshiba Xario e Toshiba Aplio

Controlli di qualità periodici SI, secondo linee guida europee di qualità EUREFRadiografi e del pezzo operatorio in tutti i reperimenti preoperatori NO

ANATOMIA PATOLOGICA

Primario: dott. Marco GiordanoRiferimento: dott. Leopoldo CastarelliTelefono: 06.77055431E-mail: [email protected]

ATTIVITÀ PER PATOLOGIA MAMMARIA

Ore dedicate (settimana) 40

Esami refertati nello scorso anno

- istologici 530

- citologici 400

- microistologici 90

La classifi cazione istologica codifi cata SI

In tutti i casi vengono valutati

- grading SI

- recettori ormonali SI

- indici di proliferazione SI

I pezzi operatori sono orientati SI

Viene effettuata la marcatura dei limiti di sezione chirurgica ? SIDisponibilità della radiografi a di controllo del pezzo operatorio al momento dell’esame? SI

L’esame estemporaneo viene effettuato- sulle microcalcifi cazioni NO- sui tumori inferiori ad 1 cm SI - sui margini di sezione chirurgica in caso di intervento conservativo NO

CHIRURGIA

Direttore: dott. Renato AndrichResponsabile U.O. Senologia: dott. Lucio FortunatoTelefono: 06.770556832Fax 06.770555114E-mail: [email protected] [email protected]

ATTIVITÀ PER PATOLOGIA MAMMARIA

Numero totale di nuovi casi/anno 2007 - Benigni 99- In situ 41- Carcinomi invasivi 305

Attesa (gg) media per lesione maligna dalla indicazione all’intervento 25

Giorni di degenza media 3

Disponibilità di sessioni di sala operatoria alla patologia mammaria? SI

Letti di degenza dedicati SI, 6

Disponibilità di ricostruzione immediata e/o collaborazione di un chirurgo plastico SI Si utilizza la tecnica del linfonodo sentinella SI

Se occorre terapia adiuvante la paziente viene inviata alle oncologie

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Q U I C U R A N O C O S ÌQ U I C U R A N O C O S Ì

RADIOTERAPIA

Primario: prof. Ugo de Paula Telefono: 06.770554295E-mail: [email protected]

ATTIVITÀ PER PATOLOGIA MAMMARIA

Ore dedicate (settimana) 20

Numero totale di nuovi casi / anno 300

Procedure standardizzate di controllo di qualità in atto SI

Tempo di attesa medio (n. giorni) 35

ONCOLOGIA

Primario: dott.ssa Maria MauriRiferimento: dott.ssa Paola ScavinaTelefono: 06.770554443Fax 06.770554274E-mail: [email protected]

ATTIVITÀ PER PATOLOGIA MAMMARIA

Ore dedicate (settimana) 30

Numero totale di nuovi casi/anno 225

Tipologia dei trattamenti eseguiti ultimo anno- chemioterapia neoadiuvante: 17- chemioterapia adiuvante: 116

- chemioterapia per riprese di malattia 20

Vengono effettuati incontri multidisciplinari (con presenza almeno del radiologo,

patologo e chirurgo) per la discussione dei casi clinici? Si, con frequenza bisettimanale

Negli ultimi tre anni avete inserito pazienti di carcinoma mammario in studi clinici? SI

MEDICINA NUCLEARE

Primario: dott.ssa Gabriella GiulianoRiferimento: dott. Giovanni D’Errico

ATTIVITÀ PER PATOLOGIA MAMMARIA

Ore dedicate (settimana) 10

N° annuo di linfonodi sentinella eseguiti 200

Da quanti anni viene eseguito

di routine la tecnica del linfonodo sentinella? 8

N° annuo di scintigrafi e ossee eseguite

per patologia mammaria 2000

E’ disponibile PET o TAC/PET NO

Si eseguono trattamenti radiometabolici

loco-regionali o sistemici NO

FOLLOW - UP

Primario: dott.ssa Gabriella GiulianoRiferimento: dott. Giovanni D’Errico

ATTIVITÀ PER PATOLOGIA MAMMARIA

Presso quale ambulatorio si svolge chirurgia, radioterapia e oncologia Se più servizi sono coinvolti nel FU, la paziente si rivolge ad uno solo di questi per le visite e questo le gestisce in collegamento tra i Servizi interessati (cioè il follow up dei pazienti è svolto in modo coordinato tra i Servizi) SI

Il follow -up è modulato in base a: tempo intercorso dal trattamento, esame clinico e tutti gli esami di routine

Esiste un servizio per la riabilitazione

funzionale di riferimento per le pazienti SI, servizio di Fisiatria (dott.ssa Adriana Antonacci).

Disponibilità di:- trattamenti per linfedema SI- consulenza psicologica SI

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Le cellule staminali

DOTT.SSA GIUSEPPINA BONIZZI

IEO Biobank and Biomolecular Resource Infrastructure (IBBRI) Coordinator; Molecular Medicine Program for cure Department

of Experimental Oncology; IEO Milano

L’omeostasi tissutale si deve ad una piccola frazione di cellule, le cellule staminali, che garantiscono il continuo

rinnovamento tissutale e costituiscono sia l’origine della com-plessa varietà che caratterizza ogni organismo a partire dallo sviluppo embrionale, sia un inestinguibile serbatoio per la ri-generazione dei tessuti negli individui adulti , provvedendo in alcuni casi a ripararli e sostituirli se danneggiati. Data la loro singolare capacità rigenerativa, le cellule stami-nali off rono enormi possibilità per il trattamento di malattie tuttora incurabili, dal diabete al morbo di Parkinson.Le cellule staminali sono cellule primitive, non specializzate, capaci di dare origine, a partire dall’embrione e per tutta la durata della vita di ogni individuo, ai numerosi diversi tipi cellulari che formano l’organismo. Nella maggior parte dei tessuti, le cellule staminali rappresentano una frazione esigua della popolazione cellulare (1-2%), con le altre cellule destina-te al diff erenziamento e alla senescenza. Negli ultimi 15 anni, varie evidenze sperimentali hanno portato all’ipotesi che, an-che i tumori abbiano una gerarchia cellulare con le cellule staminali tumorali che danno origine alle cellule più diff e-renziate che formano la massa tumorale. In eff etti, cellule con proprietà staminali sono state trovate in molti tumori, a par-tire dalle leucemia mieloide acuta (1997), seguite dal tumore alla mammella (2003) e dai tumori cerebrali (2003). Que-ste ultime scoperte hanno aperto la strada all’identifi cazione di cellule staminali anche in altri tumori solidi come quelli dell’intestino, del pancreas, della testa/collo, della prostata, del polmone, della tiroide, dello stomaco, del rene, dell’ovaio e della vescica. Le cellule staminali di un tessuto normale, si dividono asim-metricamente (vedi fi gura 1), autorinnovandosi e dando origi-ne a progenitori cellulari che, dopo un numero limitato di di-

visioni, producono le cellule diff erenziate tessuto-specifi che, non più in grado di dividersi. Recentemente, due gruppi di ricerca dell’Istituto Europeo d’Oncologia di Milano, diretti dal Prof. PG. Pelicci e Prof. PP. Di Fiore, hanno scoperto che la divisione delle staminali del cancro della mammella, seguo-no un percorso diverso denominato “divisione simmetrica” generando due cellule fi glie entrambe staminali che invece di maturare e iniziare a svolgere un ruolo utile nel tessuto, continuano a replicarsi alimentando il tumore (vedi fi gura 1). Uno dei geni responsabili della divisione simmetrica è il gene p53, noto anche come "il guardiano del genoma" per il suo ruolo di preservazione della stabilità genomica attraverso la prevenzione delle mutazioni. La mutazione del gene p53 è una delle più frequenti modifi cazioni genetiche evidenziate nelle cellule cancerogene. In aggiunta alle mutazioni che via via emergono durante la crescita e lo sviluppo dell'individuo (mutazioni sporadiche), ci sono anche forme di cancro asso-

S P I E G H I A M O L A M E D I C I N AS P I E G H I A M O L A M E D I C I N A

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S P I E G H I A M O L A M E D I C I N AS P I E G H I A M O L A M E D I C I N A

ciate a versioni mutate del gene p53 di derivazione ereditaria. Basti citare per esempio, la sindrome familiare del tumore di Li- Fraumeni che è associata ad una vasta varietà di tumori. Inoltre, tantissimi virus hanno sviluppato la capacità di inat-tivare la proteina p53. A causa del ruolo centrale che gioca tale proteina nella regolazione della divisione cellulare, molti ricercatori sono impegnati nello studio di possibili metodi per restituire al gene p53 la propria funzione. Recentemente sem-pre gli stessi gruppi di ricerca dello IEO, tramite l’utilizzo del composto chimico Nutlin-3, che determina un accumulo di p53 inibendone la sua degradazione, sono stati in grado di far cessare la divisione simmetrica e riportare le staminali sulla strada della divisione asimmetrica, ripristinando il fenotipo normale di queste cellule mammarie. Questa scoperta scientifi ca potrebbe rivelarsi di fondamen-tale importanza nella cura del tumore mammario, in quanto supporta l’ipotesi che revertendo il modo di crescita delle sta-minali tumorali da simmetrico ad asimmetrico sia possible fermare la crescita del tumore senza bisogno di bersagliare l’intero organismo. Distruggere le cellule staminali tumorali è una delle sfi de piu’ grandi per gli scienziati che fanno ricerca sul cancro. Una sfi -da che da un lato permetterebbe di curare in modo piu’ effi -cace I tumori, dall’altro deve ancora superare molti ostacoli. L’ostacolo principale è rappresentato dalla somiglianza fra le cellule staminali tumorali e le cellule staminali normali.

Questa somiglianza è stata scoperta grazie alla possibilità di coltivare in vitro, come sferoidi (mammosfere), le cellule sta-minali mammarie provenienti da pazienti sani o con tumo-re mammario operati presso il nostro Istituto. Avvalendoci della capacità delle staminali di rimanere quiscenti dopo la divisione asimmetrica, le cellule epitheliali sono state colora-te con un colorante lipofi lico che s’inserisce nella membrana cellulare e e viene diluito durante le varie divisioni cellulari: in questo modo le cellule che all’interno della mammosfera replicano poco (cellule quiescenti) trattengono il colorante, mentre la maggior parte delle cellule hanno perso la colora-zione con i vari cicli di divisione cellulare.Grazie a questa metodica, i ricercatori hanno mostrato che, la regolazione dell’autorinnovamento cellulare, operativo nelle cellule staminali normali, è del tutto alterata nelle cellule sta-minali tumorali e l’identifi cazione delle alterazioni molecolari che lo sostengono viene ad essere cruciale per l’identifi cazione di bersagli molecolari per effi caci interventi terapeutici.Se le cellule staminali tumorali sono molto simili alle cellule staminali normali, è molto probabile che una nuova terapia anticancro diretta contro le staminali tumorali fi nisca per di-struggere anche le staminali normali portando alla morte del paziente, quindi una terapia che comporta questo rischio non sarebbe accettabile.Per risolvere questo problema è necessario imparare a distin-guere con sicurezza, le cellule staminali tumorali dalle stami-nali normali. Un modo per poterlo fare è agire sulla diff erenza nel tipo di divisione della staminale stessa, in modo da svilup-pare terapie che colpiscano selettivamente le staminali tumo-rali. Tuttavia, considerato che le staminali normali sono poco numerose e per lo più ancora sconosciute (con l’eccezione del-le staminali del sangue, cervello e della mammella), la strada che porta in questa direzione è ancora tutta da percorrere.Un’altra caratteristica delle cellule staminali tumorali e’ legata al fatto di essere particolarmente resistenti alla chemioterapia e alla radioterapia. La riduzione della massa tumorale, attual-mente considerata indicatore di risposta clinica ovvero di so-pravvivenza del paziente, può lasciare inalterata la frazione di cellule staminali tumorali, in grado quindi di proliferare e rigenerare la neoplasia con la sua ricomparsa a livello locale, o con nuove manifestazioni a distanza. Per l’eradicazione del tumore è quindi necessario bersagliare direttamente la cellula staminale tumorale/progenitore tumorigenico.La ricerca sulle cellule staminali resta comunque una delle aree più aff ascinanti della biologia contemporanea e, pur sol-levando numerose questioni etiche, rappresenta una delle più promettenti sfi de per il genere umano.

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