Atque n.9 -2011

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  • lordinarietdellinatteso

    Alessandra Ambrosini, Graziella Berto, Enrico Castelli Gattinara, Paola Cavalieri, Felice Cimatti, Giovanni Foresti, Elena Gigante,

    Tonino Griffero, Mauro La Forgia, Maria Ilena Marozza, Ferdinando G. Menga, Giovanni Stanghellini

    a cura di Paola Cavalieri, Mauro La Forgia,

    Maria Ilena Marozza

  • 7Prefazione 9Paolo Francesco Pieri

    Introduzione 11Paola Cavalieri, Mauro La Forgia, Maria Ilena Marozza

    PARTE PRIMA FILOSOFIA

    Piccole grandi cose: fra ordinario e straordinario 19Enrico Castelli Gattinara

    Quanto fa 25x20? Per una logica del cambiamento psichico 41Felice Cimatti

    La cura della singolarit 63Graziella Berto

    Linatteso e il sottrarsi dellevento. Vie daccesso filosofiche fra domandare e rispondere 73Ferdinando G. Menga

    Alle strette. Latmosferico tra involontariet e superattese 101Tonino Griffero

    Nstoi inauditi. Dalla percezione sonora fetale allascolto analitico 129Elena Gigante

    SOMMARIO

  • PARTE SECONDA PSICOTERAPIA

    Dove la parola manca il segno. Negli interstizi trasformativi della talking cure 153Maria Ilena Marozza

    Fenomenologia e clinica dellordinario 177Mauro La Forgia

    Esperable uberty. Gli interventi clinici dellanalista come ipotesi di ricerca 197Giovanni Foresti

    Fenomenologia del primo incontro. Vissuti di estraneit e capacit di improvvisare del terapeuta 213Paola Cavalieri

    Karl Jaspers. Il progetto di chiarificazione dellesistenza: alle sorgenti della cura di s 225Giovanni Stanghellini, Alessandra Ambrosini

    Gli Autori 239

  • Paolo Francesco Pieri Prefazione

    Questo fascicolo di Atque ci immette in un dibattito della psicoterapia e insieme della filosofia, dove, confrontandosi vari modi del conoscere, e non solo del conoscere, si riflette sul tema dell' esperienza dello straordinario nel-la vita quotidiana.

    Dichiaro subito che qui mi intratterr brevemente a evidenziare ci che accompagna costantemente questo tema, e che, pur stando silenziosamente nello sfondo, permette di abbozzare un insieme di problematiche intorno a quello che lo specifico umano che emerge nella vita ordinaria, e quindi in-torno a qual il possibile senso dell'identit umana nell'incontro ordinario (straordinario) - con gli altri e con le cose.

    Nell'esigenza di venire, in qualche modo, a capo della costituzione dell'i-dentit umana, gi Jung accenn, d'altronde, al tema di un adattamento "creativo" all' esterno e all'interno, per cui parl di un processo di individua-zione come l'effetto di costanti scambi (differenziazione e integrazione tra uomo e mondo, e tra fattori individuali e collettivi) che si svolgono nella mente simbolica - e insieme ne danno luogo.

    Su questa questione cost' difficile, posso soltanto avviare il discorso. Cerco quindi di farlo sotto forma di brevi domande, che possono invitarci a pensare.

    Uomo e mondo sono due entit assolutamente distinte e non comunican-ti tra loro? Oppure sono il prodotto di una relazione, di un effettivo scambio, tra mente e ambiente, per cui mente e mondo - mostrando di coappartenersi ed evidenziandosi come inequivocabilmente intrecciati - finiscono con il loro costituire un sistema?

    Se, anche solo in qualche modo, fosse COSt: sarebbe sostenibile che l'uomo e il mondo sono, noi stessi e gli altri siamo, dispiegati da contestifenomeno-logici pregni - ogni volta - di implicazioni espressive, ma anche cognitive, e insieme emotive?

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  • Paolo Francesco Pieri

    E sarebbe, d'altro canto, ammissibile l'ipotesi che la coscienza (la quota psichica) non sta propriamente nella nostra testa, ma piuttosto espressione di quella soglia critica dove S e mondo si coappartengono, per cui, in un cer-to senso, rappresenta quella terra di confine tra individuo e ambiente - tal-ch bisogna finire con l'ammettere che la sua vita oltre che stare fuori della nostra testa, sta anche fuori della nostra mente?

    Per un altro verso, a partire dal fatto che la stessa percezione pu essere assunta come l'ambito paradigmatico dello scambio tra uomo e mondo, ha un qualche senso ammettere l'esistenza di un modello relazionale e interatti-vo negli eventi percettivi?

    E quindz; ha un qualche senso ammettere, da un lato, che l'oggettivit del mondo l'effetto dello scambio percettivo con il "fuori", per cui una mappat-tura e quindi una continua procedura elaborativa di addensamenti oggettualz; che pure hanno effetti sulla nostra mente? E ammettere, da un altro lato, che la nostra mente non si limita a raccogliere ed elaborare informazioni da ogget-ti che dall' esterno sollecitano la nostra sensazione? In altre parole, possibile pensare alla mente come a un qualcosa che, pur con tutti i suoi vincoli biologi-cz; continuamente gioca con, ed giocata da, un'attiva esplorazione dell'am-biente, ma contemporaneamente, per le sollecitazioni dei suoi organi sensoria-lz; ne modificata?

    Questa serie di domande, rinviano, d'altronde, a una tripla critica cui qui si intende accennare,

    La prima si rivolge alla prospettiva introspezionistica, radicalmente pura, e quindi soggettivistica, che sostiene, tra l'altro, l'idea che l'zdentit umana si d in modo puramente intrapsichico, talch la nostra mente simbolica possi-bile tout court avviarla o 'l'condurla a un quid originario e atemporale - co-me si ritiene in una psicologia del profondo ingenuamente assunta,

    La seconda si rivolge invece alla prospettiva cognitivistica, altrettanto ra-dicalmente, esternalista e quindi oggettivistica, quando vuole sostenere in modo forte l'idea che l'oggetto mondo si costituisce senza alcun concorso ela-borativo di tipo soggettivo e individuale, giacch la nostra soggettivit sareb-be soltanto quella serie di risonanze di stati emotivi e di risposte, altrettanto emotive, che ci deriva direttamente dai livelli di oggettivit con cui abbiamo un impatto percettivo,

    La terza si rivolge infine a certe considerazioni che vigono nell'ambito delle neuroscienze a proposito dei neuroni specchio allorch, nelle loro ricer-che, non tengono conto di quanto il fatto percettivo sia pregno di valenze an-che emotive che, come talz; non possono non interagire coi processi cognitivi,

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    1. Questo fascicolo di Atque nasce dallidea di indagare su quellefasi del lavoro psicoterapeutico nelle quali ci si affida allesperienzaordinaria, allimmediatezza dei vissuti e dei comportamenti, affran-candosi da forme di lettura dellaltro (e di s) trasmesse da teorie otradizioni di riferimento. nostra convinzione che questi luoghi diindagine abbiano da sempre segretamente caratterizzato ogni psico-terapia; che essi siano stati, e siano ancora, travolti da rappresenta-zioni e resoconti dogmaticamente fantasiosi di ci che avviene in unaseduta; che, viceversa, una maggiore attenzione a essi, e a ci che inessi si insinua o si produce, possa costituire la via rgia del contattocon quanto di sottilmente pervasivo e nascosto ci attraversa, ci legaagli altri e (nel rapporto con gli altri) ci costituisce.

    Riteniamo, in breve, che vada ampliata e posta in primo piano lapratica del sensibile, dellimmediato, dellafferrabile allinternodel dialogo: non ci sono plessi pi degni e produttivi di questi pergiungere allindividuazione di quanto permea la nostra presenza e lenostre relazioni, evitando ricorsi ideologici o semplicistici allincon-scio: riteniamo del resto che non ci sia aspetto pi nascosto e inat-teso di quello che ci coglie nel quotidiano, nella nostra stessa dimo-ra, come pure aveva intuito il Freud pi sensibile.

    Come usuale nella tradizione di Atque, la presentazione di que-ste prospettive terapeutiche avverr tenendo in mente le loro inter-sezioni con temi di natura squisitamente filosofica: la centralit deldialogo apre alla semiotica dei codici comunicativi, il tema dellordi-

    Paola Cavalieri, Mauro La Forgia, Maria Ilena Marozza

    IntroduzioneLordinariet dellinatteso: filosofia e psicoterapia

  • nario, alla complessa definizione di unesperienza comune, definizio-ne che, a sua volta, conduce al tema dellincessante ricerca di unmondo condiviso, e alle deviazioni subte nella realizzazione di unapresenza naturale che , insieme, costitutiva e inafferrabile.

    Occorrer quindi, come si detto, ripartire dai vissuti e dai com-portamenti.

    Con alcune precisazioni. Lattenzione ai vissuti non andr dispersa in una pratica psicolo-

    gistica convenzionale, di maniera, che dimentichi la natura intenzio-nale di ogni nostra relazione con cose e persone; il riferimento allog-getto colloca il vissuto in una ricchezza di prospettive che pari alleinfinite modalit con cui loggetto ci si offre; il carattere pi intimo erigoroso di ogni vissuto si esplica nella relazione con un oggetto che,a partire dalle molteplici forme della sua evidenza concreta, assumeinevitabilmente qualit trascendentali: nel riprodurre, nel rispecchia-re tali qualit. Se poi il vissuto vissuto dellaltro, la sua intima natu-ra trascendentale, per cos dire, si raddoppia, per il semplice fatto chelaltro un io per s stesso, un centro relativamente distinto di espe-rienza vivente: il contatto genera uno spazio radicalmente intersog-gettivo che diviene luogo privilegiato di elaborazione di emozioni, dicomportamenti, di parole, di pensieri; finalmente lo spazio delle-sperienza duale immediata, concreta ma in continua trasformazione,che evocavamo pocanzi come riferimento delle sequenze efficaci dellavoro psicoterapeutico.

    Nel comportamento rintracceremo altres la sorgente reale diquanto stato per decenni ascritto allineffabilit della dimensione in-conscia: esperienza quotidiana riscontrare unassenza di consapevo-lezza immediata nella postura, nellazione, nellimpulso, nella com-pulsione. O, anche, ritracciare automatismi nel pi umano e privile-giato dei comportamenti, quello linguistico: nella variazione dei codi-ci espressivi, nelluso delle pi svariate forme retoriche, nellassertivi-t come nella logica, nella dissimulazione, nella menzogna, nellironia(e quantaltro). Ovviamente, linconsapevolezza relativa allistantedi produzione di ogni comportamento: la coscienza ricostruisce otenta di ricostruire ex post il senso di quanto prodotto. Ecco qui unasimmetria inaspettata tra coscienza e cosiddetto inconscio: la gestio-ne di entrambe le dimensioni si affida a una ricostruzione storica di

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    Paola Cavalieri, Mauro La Forgia, Maria Ilena Marozza

  • quanto inafferrabile al momento: listantaneo produttivamenteoscuro; spetter allistante successivo ricostruirlo in un processo in-cessante di comprensione o spostare la spiegazione allindietro conunazione necessariamente ipotetica di ricostruzione del passato.

    Ma cos come risulter impensabile una coscienza lucida, piena,di quanto ci attraversa, cos come saremo sempre sconfitti, ma risor-genti, nella padronanza di noi stessi e del mondo, cos sar irrea-lizzabile una ricostruzione causale completa dellesistente in terminidi determinazioni passate o segrete.

    La valenza produttiva ed etica di ogni psicoterapia (ma anche diogni esistenza aperta) si svolger allora nella corretta alternanzatra queste alternative; nellappercezione della mobile istantaneit diuna coscienza sensibile a ci che si presenta, ma anche in una laicae paziente disamina dei presupposti strutturali ed emotivi di quantoci accade.

    2. La pratica della talking cure in fondo unoccasione privilegia-ta per osservare e modulare quei fenomeni dellagire linguistico cheordinariamente caratterizzano qualunque relazione umana: non cdunque in essa niente di straordinario, se non unattenzione dedica-ta a quelle intersezioni, a quegli sfondi, a quelle atmosfere che dimo-strano come il nostro parlare non sia semplicemente un fatto comu-nicativo, ma un autentico fenomeno vitale. La questione sulla qualeci siamo voluti soffermare va dunque ben oltre la consueta meravi-glia sul fatto che le parole possano curare: non tanto interessantecontinuare a chiedersi come questo sia possibile, quanto rendersiconto fino in fondo del fatto che nel linguaggio venga a definirsi ilmodo pi specifico e completo di vivere lesistenza umana. Il cheimplica che esso non possa essere considerato n come un qualcosada attraversare per giungere altrove, n come un sistema autosuffi-ciente, capace di contenere in s tutte le proprie ragioni: si trattapiuttosto di considerare come il linguaggio sia profondamente inne-stato in una forma di vita, dalla quale trae alimento in uno scambioaperto e incessante con lesperienza sensibile.

    E dunque, le tematiche che diventano particolarmente interes-santi, e che attraversano tutti i saggi raccolti in questo fascicolo, han-no a che vedere con quelle specifiche intersezioni della capacit

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    Lordinariet dellinatteso: filosofia e psicoterapia

  • espressiva e della capacit comunicativa del linguaggio, della paticite della significazione, nella ricerca di quelle configurazioni dalle qua-li dipende il senso di ordinariet delle nostre esperienze. Ecco quin-di emergere linterrogativo sulla capacit del linguaggio di recepire edi curvarsi a esprimere quellindefinitezza che costituisce il fondodella nostra vita psichica, e che informa la qualit dellesperienza co-me un sentimento atmosferico, sfuggente ma altamente influente nel-lorientare la ricerca di un riconoscimento rappresentazionale. Infondo proprio su questa vaghezza, invisibile, indefinibile, ma forte-mente connotata da unaria di famiglia, diventa possibile strutturareil senso della nostra domesticit e riconoscere lappartenza di qual-cosa al nostro senso dellordinario. Cos come, sempre un senti-mento atmosferico, ma qualitativamente connotato dallestraneit,che inaugura lesperienza dellinatteso, allertando la nostra coscienzae provocandola a rispondere a esso.

    In questa dinamica tra atmosfere familiari ed estranee possiamocogliere un nodo essenziale delle riflessioni presentate in questo fa-scicolo, nonch compiere un passo decisivo nel tentativo di inten-dere in modo non ideologico alcuni concetti irrinunciabili della teo-ria psicoanalitica. Quella rappresentazione della soggettivit comeun io non padrone in casa propria, avvolto, ispirato o insidiato dauna presunta dimensione inconscia che, nella sua matrice pi pro-fonda, connotata dallarappresentazionalit, trova unespressionepi adeguata, ed esperienzialmente pi credibile, proprio se ci limi-tiamo a intenderla come un processo aperto e mai compiuto di sog-gettivizzazione: un processo che promana da quella zona germinale,di contatto tra interno ed esterno, tra s e mondo, in cui pren-de forma e si rimodula continuamente il confine tra proprio edestraneo. In questo senso, sono prevalentemente quegli inattesi,imprevedibili eventi che ci rendono esposti alla provocazione delle-straneit a costituire il pungolo che stimola una nuova apertura elinizio di una risposta.

    Una fenomenologia che riconosca nel sentimento dinquietanteestraneit il freudiano Unheimliche loperatore soggettivo in gra-do di attivare una risposta probabilmente la ricaduta pi pregnan-te, e non ideologica, per quel pensiero psicoanalitico che ha fattodella scissione del soggetto e del funzionamento asimmetrico delle

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    Paola Cavalieri, Mauro La Forgia, Maria Ilena Marozza

  • parti la sua principale caratteristica. Lesigenza della teoria psicoana-litica di pensare una dimensione inconscia talmente altra da doveressere definita attraverso il pronome neutro es, id o a, trova una ri-presa in quel carattere radicalmente inafferrabile, irrappresentabile,eppure influente, di unestraneit che, nella forma di un pathos origi-nario, ci colpisce sfidandoci, attraendoci o terrorizzandoci, in ognicaso dislocando ai nostri confini, nella sfida che linatteso continua-mente propone al nostro senso dellordinario, la formazione dellanostra soggettivit. E, nel sottolineare loriginariet di una rispostache arriva sempre in ritardo rispetto al turbamento patico, cogliamoancora una profonda affinit con il dispositivo freudiano della Nach-trglichkeit, come mantenimento di una differenza tra lirriducibilite limpossibilit di appropriazione del momento genetico, e la rispo-sta ritardata, rappresentazionale, a esso: una differenza che, se dinuovo ci presenta limpossibilit di risolvere nel dicibile linterocampo dellesperienza umana, ci impegna per nel tentativo di dis-piegare in esso le provocazioni dellestraneit.

    Ecco dunque che la nostra talking cure diviene un autentico ten-tativo di rappresentare e costituire nel linguaggio la complessit del-la nostra esperienza, per come essa ci si presenta, tra vissuti ordinaried eventi inattesi: perch, se accettiamo che la connotazione pi pro-fonda dellesperienza abbia a che fare con lesperienza negativa quella cio che, smentendo le nostre attese, ci confronta radicalmen-te con lestraneit resta comunque alla capacit terapeutica dellinguaggio il compito di recepire le sue provocazioni, trasformandolinquietudine che queste ultime introducono nella nostra ordinarie-t in una fonte di creativit.

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    Lordinariet dellinatteso: filosofia e psicoterapia

  • PARTE PRIMA

    FILOSOFIA

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    In una delle pi famose storie zen tratte da un sutra di Buddha, siparla di un uomo che, rincorso da una tigre, si getta in un precipizioafferrandosi alla radice di una vite per reggersi. La tigre lo fiuta dal-lalto, ma non lo pu prendere. Nel frattempo giunge una secondatigre che lo fiuta dal basso, aspettando di divorarlo. In quel momen-to luomo si accorge che due topi stanno rosicchiando la radice chelo regge, ma vede anche vicino a lui una bellissima fragola. Il brevis-simo racconto si conclude cos: Afferrandosi alla vite con una manosola, con laltra spicc la fragola. Comera dolce!.

    Si possono trovare molte morali in questa breve favola, molti si-gnificati stratificati fra loro, ma il messaggio che trasmette una sor-ta di ossimoro esistenziale fra la disperazione e la felicit: linfelicefelicit del sapore non risolve la tragedia, ma la sposta su un pianoche non ci si sarebbe aspettati. Cogli lattimo! avrebbe chiosatoOrazio, dove il verbo italiano in questo caso gioca sul suo duplice re-gistro semantico.

    Ordinariamente parlando, ci si trova in una situazione senzasbocchi: la straordinariet della vicenda diventa subito ordinaria eprevedibile. La tragicit costruita dalla narrazione la straordinariapresenza di due tigri a impedire ogni possibile fuga, insieme alla pre-senza inaspettata dei roditori che accelerano lesito fatale della vicen-da ci permette di avere la certezza di ci che accadr. Non ci sa-ranno sorprese (straordinarie) perch ormai lo svolgimento non la-scia scampo e la fine perfettamente prevedibile (quindi ordinaria).

    Enrico Castelli Gattinara

    Piccole grandi cose: fra ordinario e straordinario

  • Eppure la piccola storia proprio alla fine volge in tuttaltra direzio-ne. La vicenda si blocca e si sposta sulla fragola, un frutto dopo tuttopiuttosto ordinario, la cui dolcezza straordinaria lultima cosa checi viene raccontata. Nessun deus ex machina interviene a salvare ilpoveruomo, n la tragicit della fine dilazionata o evitata. Solo chelattenzione ecco la straordinaria conclusione della storiella non pi l dove lavremmo aspettata. Il gusto di una fragola, che in snon ha nulla di straordinario, rende straordinaria una storia tragicaperch non acconsente alla prevedibilit, ma spiazza lattesa versoun altrove che sembra non entrarci niente e che invece rivela les-senza del messaggio, il compimento cio di unaltra storia. La storiadi una fragola raccolta e assaporata con gusto.

    Il gusto della fragola, come il gusto della storia zen, non pernella separazione delle cose: non vero infatti che lo spostamentoviene operato verso qualcosa che non centra niente, perch ladolcezza finale viene esaltata dalla tragica fine che sappiamo inci-piente. Solo nella loro complessa connessione le cose prendono sen-so, e noi siamo quel senso. Levento straordinario a questo puntonon la tigre che insegue, n la seconda tigre che sopraggiunge eneppure, colmo della disgrazia, i due topi che rosicchiano la radice,ma la fragola matura l vicino. accorgersi di quella semplice frago-la, coglierla per assaporarla e poi effettivamente gustarla un gestoche quelluomo avr compiuto moltissime volte a rappresentare lostraordinario. Uno straordinario che nellordinario, e che pu esserclto quando lo straordinario diventa ordinario (le due tigri e i topiche rendono prevedibile la conclusione).

    da questo aspetto della storia zen che diventa possibile partireper confrontarsi con ci che questi due termini implicano nel lorointrico e nella loro reciprocit. Perch non c nulla di pi straordi-nario che lordinario; ma questa lezione dei grandi saggi di ogni epo-ca e di tutte le latitudini, sulla quale la nostra epoca presente fralaltro estremamente sensibile, non facile da ascoltare, n da vivere.

    La letteratura mondiale ha provato in molti casi a raccontarci lepiccole cose ordinarie, facendole diventare grandi, a volte grandissi-me. Il linguaggio poetico ha da sempre privilegiato lo straordinarioeffetto che parole ordinarie riescono ad avere se accostate in versi

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    Enrico Castelli Gattinara

  • che ne isolano il potenziale semantico arricchendolo con strategieretoriche, figure e ritmi particolari. La letteratura dellOttocento e lapoesia del Novecento hanno scelto di proposito il linguaggio ordina-rio per disseppellirne la grande efficacia non solo narrativa, ma an-che fonetica e simbolica. Comunque lo scrittore che pi di ogni altroha scelto la storia delle cose, o meglio le cose tout court, come ambi-to della propria attenzione narrativa, il francese Georges Perec: lecose infime, le pi ordinarie, le cose comuni che non degniamo dinessuna attenzione, di cui ci serviamo senza quasi rendercene conto(salvo per rimanere sorpresi quando si rompono, o non funzionanopi; e gi questo dovrebbe allertarci) sono state il suo campo dazio-ne poetico e politico.

    Le cose abituali, quelle che non sappiamo neppure riconoscere,quelle che ci sono talmente vicine, talmente prossime da non essereneppure delle cose, effettivamente non ci sono (il loro qui ed ora ilci lo perdiamo, ed una perdita di cui spesso paghiamo inconsa-pevolmente conseguenze terribili). Perch ci aspettiamo tuttaltro.Ci lasciamo trascinare dal sorprendente, ci lasciamo avvincere dallospettacolare, dallo straordinario. Per questo Perec decide di scrivereun libro del tutto fuori dal comune, inaspettato e sconvolgente gidal titolo: Linfra-ordinario.1 O meglio: il libro decide di scriversi aprescindere da Perec, perch viene pubblicato ben 7 anni dopo lamorte dello scrittore (nel 1989), come a dire che dopotutto non loscrittore ci che conta, ma la scrittura che lo rende tale.

    Loggetto del libro labituale, il comune, linfraordinario ap-punto, tanto che alcuni pongono lespressione interrogare labitua-le come una sorta di sottotitolo del libro stesso. Nel maggio del2011 a Ginevra stato persino realizzato uno spettacolo teatraleispirato allinfraordinario di Perec e intitolato proprio Interrogarelabituale.2 In realt si tratta di otto capitoli, otto saggi o otto rifles-sioni scritte in occasioni ed epoche diverse e sempre volti a interro-garsi sulle cose, quelle infraordinarie, che stanno in mezzo allor-dinariet, semplicemente presenti e senza alcun rilievo. Piccole cose.Non ci si fa neppure caso. Oppure ci si fa caso, ma perdendone lacosalit (sovrinvestendole per esempio di simbolicit).

    Nel testo introduttivo, che in realt il primo capitolo, o il primosaggio del libro,3 Perec reclama la dimensione del quotidiano come

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    Piccole grandi cose: fra ordinario e straordinario

  • quella pi importante, mascherata dalla straordinariet di certi even-ti e nascosta dallappariscenza e dal frastuono delle notizie pi im-portanti, quelle che fanno audience, come diremmo oggi. Dietroogni evento capace di monopolizzare la nostra attenzione (e la no-stra attesa) ci deve essere uno scandalo, unincrinatura, un pericolo,come se la vita dovesse rivelarsi soltanto attraverso lo spettacolare,come se lesemplare, il significativo fosse sempre anormale.4 Perquesto le notizie devono essere strillate e gli eventi devono fare spet-tacolo. Ma questa realt diventa una droga, un oppio che cancellalessenza, la vita stessa, persino la verit.

    I maremoti, le eruzioni vulcaniche, i grattacieli che crollano, gliincendi boschivi, le gallerie che sprofondano, () Terribile! Mo-struoso! Scandaloso! Ma dov lo scandalo? Il vero scandalo? Ilgiornale non ci ha detto altro che: state tranquilli, ecco la prova chela vita esiste, con i suoi alti e bassi, ecco la prova che qualcosa succe-de pur sempre.5 In questo modo non ci si rende pi conto di quan-to succede effettivamente. Perch i giornali parlano di tutto, tranneche del giornaliero, del quotidiano, dellabituale, del solito: leventoordinario non fa notizia, non rilevante. La notizia straordinaria in-vece viene urlata e ripetuta, distruggendo il resto e imponendosi sututto. Anzi, qualcosa di peggio: anestetizzante. La nostra sensibi-lit viene drogata dalleccezionale a danno del normale.

    Ecco allora lo scrittore che invita a volgere altrove lo sguardo, fa-cendo della sua ottica una critica politica: Nella precipitazione cheabbiamo nel misurare lo storico, il rivelatore, non dimentichiamo pe-r lessenziale: ci che davvero intollerabile, veramente inammissi-bile: lo scandalo non il grisou, il lavoro nelle miniere. Il malcon-tento-sociale non preoccupante durante lo sciopero, intollera-bile ventiquattrore su ventiquattro, trecentossantacinque giorni al-lanno. Spiega quindi che per questo i giornali mi annoiano, i gior-nali non mi insegnano niente; quello che raccontano non mi riguarda,non mi interroga n tanto meno risponde alle domande che mi pongoo che vorrei porre. Quello che succede veramente, quello che vivia-mo, il resto, tutto il resto, dov? Quello che succede ogni giorno eche si ripete ogni giorno, il banale, il quotidiano, il comune, lordina-rio, linfra-ordinario, il rumore di fondo, labituale, in che modo ren-derne conto, in che modo interrogarlo, in che modo descriverlo?.6

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    Enrico Castelli Gattinara

  • Nel suo libro pi famoso, La vita, istruzioni per luso7 Perec haprovato a farlo partendo dallarte del puzzle, come aveva provato ginel suo primo libro, il cui titolo era appunto Le cose:8 cominciare da-gli spazi pi banali, e per questo pi comuni, come le scale di un pa-lazzo dappartamenti, per esempio, e poi legare insieme i pezzi, tro-vare le combinazioni adatte, incastrare le cose in maniera tale che sene manca anche una sola, lintera figura collassa e non tiene. Il pipiccolo e insignificante tassello contribuisce a tenere linsieme. Cer-to, ce ne accorgiamo con rammarico proprio quando risulta lui ilpezzo mancante, cio quando diventa eccezione, particolarit, irre-golarit mentre prima non lo degnavamo della minima attenzione,o lo davamo per scontato.

    La scrittura di Perec cos come tutta la sua attivit creativa-mente provocatoria con le lettere dellalfabeto messe in gioco du-rante la sua frenetica partecipazione da protagonista alle attivitdellOulipo, il famoso laboratorio di letteratura potenziale fonda-to da Queneau e da Le Lionnais9 cerca appunto ci che nessunoguarda, quasi sviluppando la trovata narrativa di E.A. Poe nel suoracconto La lettera rubata.10

    Interrogare labituale. Ma per lappunto ci siamo abituati. Nonlo interroghiamo, non ci interroga, non ci sembra costituire un pro-blema, lo viviamo senza pensarci, come se non contenesse n do-mande n risposte, come se non trasportasse nessuna informazione.Non neanche pi un condizionamento, lanestesia. Dormiamo lanostra vita di un sonno senza sogni. Ma dov la nostra vita? Dov ilnostro corpo? Dov il nostro spazio?.11 Il doppio gioco fra lordi-nario e lo straordinario si svolge in questo interrogativo. Un proble-ma che diventa troppo spesso il problema, perch alla base di ciche nel bene e nel male ci determina: la vita (con i suoi tempi), il cor-po, lo spazio. Lanestesia anaffettiva nei confronti delle cose comunici allontana da noi stessi proiettandoci nelleccezionale, nel modello,nel simbolo di cui la pubblicit e la propaganda sanno servirsi conterribile competenza. E tutto il resto scompare, non centra pi,affoga nellinsignificante e nellirrilevante.

    Per cambiare di prospettiva occorre secondo Perec fare attenzionea non cadere nella trappola dellinversione, vale a dire nella trappolache renderebbe straordinario lordinario, asservendolo cos alla stessa

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    Piccole grandi cose: fra ordinario e straordinario

  • legge di prima. Bisogna chiedersi allora come parlare di queste cosecomuni, o meglio, come braccarle, come stanarle, come liberarle dal-le scorie nelle quali restano invischiate; come dar loro un senso, unalingua: che possano finalmente parlare di quello che , di quel che sia-mo.12 Fondare una nuova antropologia capace di porre attenzionenon pi allesotico, ma allendotico,13 interrogando quello che cisembra talmente evidente da averne dimenticata lorigine.14 Ritrovan-do quindi quello stesso stupore per le cose che avevamo quando le ab-biamo viste o scoperte per la prima volta, la sorpresa e la meravigliaper una bellezza di fronte alla quale siamo diventati insensibili. Pro-vandone il gusto e scoprendone le altre storie possibili.

    Ecco allora che il capitolo introduttivo si conclude con la propostadi un metodo e di unepistemologia del quotidiano e dellordinariocapaci di inoltrarsi negli aspetti pi inapparenti della nostra esistenzae del nostro mondo, infra-ordinari: Ci che dobbiamo interrogare,sono i mattoni, il cemento, il vetro, le nostre maniere a tavola, i nostriutensili, i nostri strumenti, i nostri orari, i nostri ritmi. Interrogare ciche sembra aver smesso per sempre di stupirci. Viviamo, certo, respi-riamo, certo; camminiamo, apriamo porte, scendiamo scale, ci sedia-mo intorno a un tavolo per mangiare, ci corichiamo in un letto perdormire. Come? Dove? Quando? Perch? Descrivete la vostra strada.Descrivetene unaltra. Fate il confronto. Fate linventario delle vostretasche, della vostra borsa. Interrogatevi sulla provenienza, luso e il di-venire di ogni oggetto che ne estraete. Esaminate i vostri cucchiaini.Cosa c sotto la carta da parati? Quanti gesti occorrono per compor-re un numero telefonico? Perch?. 15

    Questo per il metodo, naturalmente. Invece per lepistemologia,valgano queste righe finali: Poco mimporta che queste domandesiano frammentarie, appena indicative di un metodo, al massimo diun progetto. Molto mimporta, invece, che sembrino triviali e futili: precisamente questo che le rende altrettanto, se non addiritturapi essenziali, di tante altre attraverso le quali abbiamo tentato inva-no di afferrare la nostra verit.16 Perch la verit ha molti aspetti,fra i quali appunto lordinariet, la banalit, ma un problema di cuitroppo spesso persino la filosofia che della verit si occupata alungo stata incapace di rendere conto, distratta forse dalla rela-zione complessa, apparentemente ovvia e invece fortemente proble-

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    Enrico Castelli Gattinara

  • matica, fra verit e realt. La verit tragica della tigre e la verit dolcedella fragola sono due storie diverse e due verit inassimilabili fra lo-ro: non lasciamoci anestetizzare nei confronti di una di queste, sem-bra insegnarci Perec.

    Il filosofo tedesco Martin Heidegger ha indagato a fondo lordi-nario e il quotidiano, definendo la loro conoscenza con lappellati-vo di inautentica.17 Lontologia tradizionale (la metafisica), con-fondendo il piano ontico con quello ontologico (vale a dire il pianodelle cose, degli oggetti, con quello di quella cosa assai particolareche lessere umano pensante e capace di interrogarsi sulle cose,detto Esserci), non ha saputo distinguere lautenticit dallinautenti-cit, e ha creduto che lesistenza delle cose fosse la stessa di quelladellEsserci. Ci ha creato lillusione che le cose fossero in ultimaistanza riducibili alla loro semplice-presenza (Vorhandenheit),modo dessere fondamentale e primario, base di partenza per ognianalisi fenomenologia o esistenziale: semplice presenza comune einefficace nella profondit dellessere, meramente data, oggetto sen-za soggetto, sempre gi l. Un paio di scarpe logore per luso, unabrocca, una sedia, un atomo didrogeno: semplici cose ordinarie, iso-late nella loro presunta realt obiettiva. Heidegger lo chiamava lentein quanto ente, meramente ontico. In qualche modo, superficiale.Ma non nel senso che diceva Nietzsche a proposito dei Greci, cheerano superficiali per profondit. Per Heidegger era la cosa me-ramente cosale, senza nesso alcuno con nulla, senza senso n signifi-cato, senza scopo e senza ragione. La cosa prima della cosa. Il fattodella cosa. Essenzialmente inaccessibile. Neppure una verit, ma suaimmagine non autentica.

    Per questo Heidegger divideva lontico dallontologico: il primo,limitandosi alla considerazione degli enti come enti, non capace diindagarne lessere che ne al fondamento n il modo particolare diessere che ha rispetto al quel particolare ente che lEsserci dellu-mano: la semplice presenza dellente come tale un paio di scarpeche sono semplicemente l, a portata di mano non il suo mododessere primario; lo invece innanzitutto e per lo pi la sua utiliz-zabilit (Zuhandenheit) (tanto vero che i Greci chiamavano le co-se pragmata).18 Il primo essere dellente questa utilizzabilit, ci

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  • per cui lente qualcosa rispetto al nostro modo di essere nei suoiconfronti, che inizialmente la banalit quotidiana, il nostro com-mercio con le cose, e poi pi esistenzialmente il prendersi cura:lutilizzabilit non qualcosa che si aggiunge allente, per Heideg-ger, ma il suo essere in s.19 Il conoscere permette poi di andare ol-tre lutilizzabilit dellente, della cosa, per coglierne la semplice-presenza come il suo fondamento: una costruzione, e non una fat-ticit. il lavoro della scienza, in particolare della cosiddetta scienzaoggettiva, quello di astrarre dalla cosa, dalloggetto, tutti i suoi riferi-menti per, le sue reti di relazioni, per cercare di coglierne lin s: ma,in questo modo, anche loperare scientifico pur sempre un opera-re, un cercare unutilizzabilit (o una strumentalit), fosse anche solola pura utilizzabilit astratta del puro oggetto sperimentale.

    Il paio di scarpe entra in relazione con noi, potremmo dire sem-plificando, innanzitutto come utilizzabile; anche il cuoio di cui sonofatte, la colla e lo spago per cucirle, i lacci e gli anelli di metallo delleasole sono innanzitutto dei mezzi per, delle disponibilit.

    Le diverse maniere del per come lutilit, la contribuibilit, limpiegabilit, lamanipolabilit, costituiscono una totalit di mezzi. Nella struttura del per implicito un rimando di qualcosa a qualcosa (). Il mezzo, corrispondenteal suo essere mezzo per, tale sempre a partire dalla sua appartenenza ad al-tri mezzi. Mezzi per scrivere, penna, inchiostro, carta, scrittoio, tavola, lam-pada, mobili, finestre, porte, camera. Queste cose non si manifestano maiinnanzitutto come tali per s, n per riempire successivamente una stanza co-me somma di reali. Ci che si manifesta per primo () la camera, e questa,di nuovo, non come ci che delimitato da quattro pareti in un senso spa-ziale geometrico, ma invece come mezzo di abitazione.20

    Le cose, in altri termini, sono relazioni (non solo relazioni di sen-so, ma relazioni reali): certo, queste relazioni si fondano sulla loropresenza, ma la semplice presenza non permette di coglierle, perchle presenta come isolate. Le presenta cio come cose che sussistonoindipendentemente dal loro per, come se fossero altro o altrove ri-spetto al soggetto conoscente. Per questo la semplice-presenza unaspecie di risultato, e mai un punto di partenza, nel senso che una-strazione e non una realt ( la depurazione delle cose dal loro es-

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    Enrico Castelli Gattinara

  • sere innanzitutto per). La prospettiva fenomenologica heideggerianadellanalitica esistenziale cerca invece di articolare le cose e luomosenza separarne gli ambiti rispettivi (il soggetto della conoscenza dauna parte e il mondo delle cose dallaltra), ma integrandoli in unostesso spazio di possibilit: Heidegger chiama apertura questospazio che non ha nulla di geometrico, e tuttavia sempre situato. situato nellapertura delle relazioni possibili, dove la possibilit dellarelazione la condizione stessa delle cose.

    Quando parla di possibilit e di apertura per Heidegger si spo-sta dal piano ontico a quello ontologico. Le cose, sempre ridotte al-linautenticit strumentale del loro essere semplici-presenze per (cioo meri strumenti, o meri oggetti), nello spazio relazionale dellaper-tura possono presentarsi (o meglio presentificarsi) anche altrimenti:proprio in quanto mezzi per, possono aprire ed aprirsi a possibilitche la loro semplice strumentalit non lascia trasparire. Noi non dia-mo alcuna considerazione al paio di scarpe usate quotidianamente,perch la loro strumentalit le esaurisce per noi completamente. Pe-r quando la suola si apre o il tacco si rompe, ecco che le scarpe atti-rano subito la nostra attenzione. Unattenzione certamente ancorastrumentale, ma la relazione fra noi e le scarpe (o fra le scarpe e ilterreno) cambiata: si sono aperte altre possibilit, che noi, riparan-do la scarpa, chiudiamo immediatamente.

    Gettando via le scarpe nellimmondizia, invece, apriamo unaltrarelazione, non prevista dalla strumentalit delle scarpe. Ne siamo in-fastiditi e sorpresi, spesso, soprattutto quando lesser mezzo per diuna scarpa ancora efficace (quella che non si rotta, ma che rima-ne spaiata). La cosa-scarpa impone allora la sua cosalit come aper-tura di qualcosa che non possiamo determinare, che non predeter-minato, e che ci sbrighiamo a cancellare nella sua meravigliosa e sor-prendente potenzialit gettando via questapertura.

    Heidegger, quando molti anni dopo ha parlato dellopera dar-te,21 ha cercato di capire a fondo questa apertura delle cose renden-dosi conto che lanalisi della strumentalit e della semplice-presenzanon risolveva nulla. Un paio di scarpe da contadina quello rappre-sentato in un quadro di Van Gogh attira lattenzione non pi solocome oggetto (di uno studio scientifico, per esempio) o come stru-mento (per la loro usabilit), ma perch si apre in un mondo in cui

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    Piccole grandi cose: fra ordinario e straordinario

  • siamo gi da sempre, ma di cui non possiamo mai determinare defi-nitivamente le aperture possibili: le scarpe, in quanto scarpe, si apro-no altrimenti. E rivelano una potenzialit intrinseca che ci sorpren-de: Ci che si presenta come naturale non che labituale di unalunga abitudine che ha dimenticato il disabituale da cui deriva. Queldisabituale ha tuttavia, un giorno, clto luomo di sorpresa comequalcosa di straordinario, ed ha riempito il pensiero di meraviglia.22

    Marcel Duchamp aveva potenziato in maniera radicale questoaspetto dellopera darte, rendendo arte le cose pi comuni (che luichiamava ready made): una ruota di bicicletta, una pala per la neve,uno scolabottiglie o un orinatoio.23 La rete di relazioni aperte dalla co-sa comune di cui stata rivelata lapertura diventa potenzialmente in-finita, e nella sua indeterminazione permette di capire che le cose nonsono n del tutto esterne, n del tutto interne al nostro esserci, alla no-stra situazione di fronte a loro. Quando facciamo attenzione al loroproprio esser-cose questo limportante pensiero di Heidegger anti-cipato da Duchamp non possiamo pi pensarle come inerti o chiusein un mondo che gli abbiamo costruito intorno (mondo di utilizzabili-t e di significati determinati), n le possiamo considerare come ap-partenenti a un mondo di cui siamo osservatori esterni (la natura): co-me opere darte, le cose mettono in relazione e ci mettono in relazionecon possibilit che aprono altri significati, altri mondi, altre storie.

    Heidegger per ha privilegiato il linguaggio poetico per pensarelapertura nella sua profondit, perch solo questo ci permetterebbedi accedere direttamente allessere, che la casa del linguaggio: lar-te della poesia, essendo puramente linguistica, la via privilegiata perpensare in maniera non metafisica ci che deve ancora essere pensato.In questo modo il filosofo ha rinunciato a pensare ci che aveva luistesso aperto e che Duchamp aveva mostrato: che le cose, tutte le cose(persino quelle particolarissime cose che sono le parole), non si esau-riscono l dove abitualmente e ordinariamente noi crediamo di esau-rirle (soprattutto nel loro uso convenzionale, sia sotto laspetto del lo-ro valore duso che sotto quello del loro valore di scambio).

    Le cose, le piccole cose, possono diventare molto importanti,possono aprire un mondo e mettere in luce una terra, ma possonoanche sconvolgere il mondo cui credevamo appartenessero definiti-vamente e rivelare linesauribilit della terra di cui sono fatte, la ma-

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  • teria che continua a sorprenderci perch sa combinarsi in relazionidi senso per noi sempre nuove. Poich mondo e terra per usare itermini di Heidegger , vale a dire la rete dei sensi possibili storica-mente determinati e la materia di cui inevitabilmente sono composti,compresa la leggerissima materia del linguaggio, non possono e nondevono essere separati.

    Le storie che ci affascinano ce lo dicono in continuazione (e perquesto esiste la letteratura, per questo si continuano a scrivere milio-ni di romanzi, per questo ci raccontiamo e vogliamo che gli altri siraccontino: perch la materia delle storie unendosi al senso non pufinire mai). Ma ce lo dicono anche le cose, nella misura in cui lecomprendiamo come opere darte.

    questa la lezione di Duchamp ripresa inconsapevolmente daHeidegger. Ed questa la scommessa, lapertura di possibilit, incui si sono lasciati chiamare alcuni artisti del nostro presente. Ri-prendendo Perec, inoltrandosi nellinfraordinario e mettendo indiscussione laura dellopera darte, hanno saputo spostare latten-zione sullinatteso.

    Lapologia dellinfraordinario dettata da Perec e lattenzione allecose su cui arte e filosofia avevano insistito gi dai primi decenni delNovecento erano state infatti prese sul serio gi dalla Pop art neglianni 60, quando artisti come Hamilton, Warhol, Blake, Rauschen-berg, Schifano, Oldenburg, Lichtenstein, ecc. hanno cominciato aesporre beni di consumo, piccole cose normali, inserendole nei loroquadri fino a farne il soggetto unico e principale delle loro opere.Con buona pace di Heidegger, che non li degnava della minima con-siderazione, hanno usato tecniche al di fuori di quelle canonizzatedalle accademie darte ma comunemente usate dai mezzi di comuni-cazione di massa per costruire altre immagini del mondo. Hanno in-collato bottiglie di plastica, pacchetti di sigarette, tubetti del denti-fricio, frammenti di fotografie, fumetti, cartelloni pubblicitari, im-mondizia sulle tele e le hanno coperte di vernice. Hanno inscatolatocose e rappresentato in serie volti rendendo larte una realt, e nonsolo una sua rappresentazione. Una realt ordinaria come quella ditutti i giorni, compreso il mercato e la mercificazione che determinail valore delle cose.

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  • Altri artisti per hanno pi di recente provato a trattare le picco-le cose senza inserirle nelle loro opere o sulla tela, ma mostrandoneimmediatamente la grandezza: una grandezza non tracotante, nonesaltata, minore. Quella particolare delle cose che rimangono picco-le nella loro intensit, come il sapore della fragola non viene dimi-nuito dalle dimensioni del frutto. Non pi solo un orinatoio rove-sciato, uno scolabottiglie o una ruota di bicicletta montata su unosgabello, e neppure pi le scarpe da contadina dipinte su una tela: ilprocesso delle piccole cose avanza oltre la sua consacrazione artisti-ca e filosofica, oltre quindi il museo e il libro, lesposizione e la teo-rizzazione o la lezione, e, oltraggiosamente e rivoluzionariamente,persino oltre il mercato e la mercificazione.

    Fate linventario delle vostre tasche, suggeriva Perec, invitandoa cercare cosa ci fosse sotto la carta da parati, o a prestare attenzioneai cucchiaini, oppure ancora mettendosi a elencare dettagliatamentetutto ci che vedeva passare per un incrocio importante di Parigi.

    Fausto Delle Chiaie oggi un artista di strada, per cos dire; valea dire un artista che ha scelto la strada come museo allaria aperta: illuogo pi comune, il luogo del passaggio per eccellenza, il luogo me-no museale che ci sia, il pi ordinario possibile. Ogni giorno questoartista si reca a piazza Augusto Imperatore una piazza al centro diRoma, che tuttavia non una piazza centrale e comincia a operare.Fa arte. Il suo operare lopera stessa, e cos facendo crea delle ope-re che si svincolano dal suo operare, mantenendone per tutto ilsenso. Il suo spazio non quello consacrato del museo, e neppurequello della galleria darte: quello libero e contaminatissimo delpassaggio/passeggio. quello stratificato e complesso di una piazzache contiene in s, semiabbandonato, un mausoleo dellet imperialeromana, chiese tardo barocche, strade asfaltate, ringhiere di ferro ar-rugginite, edifici degli anni 60, negozi nuovissimi, ristoranti alla mo-da, gatti randagi, turisti, automobili, divieti di sosta, vigili urbani e,pi recente, il nuovo contenitore dellAra pacis ideato dallarchistarRichard Meier. Un crocevia di epoche e di realt che sintrecciano inmaniera quasi casuale, del tutto privo di un disegno di fondo, di unprogetto, di un piano: ogni storia e ogni epoca hanno lasciato l unaloro traccia spesso senza curarsi del resto. In questo luogo lartistaosserva, cerca, raccoglie e poi rielabora e ridistribuisce oggetti qual-

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  • siasi, comuni, di scarto. Anche lui una traccia, una stratificazione,unincrespatura passeggera e instabile come le cose che passano, lecose buttate per terra e le persone in transito.

    Delle Chiaie raccoglie ci che trova rifiuti, oggetti abbandonatiper terra, pezzi di cose, frasi di passanti e li rielabora con arte epoesia disponendoli tuttintorno, dandogli un tocco di colore, scri-vendoci sopra una frase, aggregandoli fra loro e posizionandoli inmaniera tale da far risaltare una crepa sullasfalto, una ringhiera, labase di un lampione, un cestino per limmondizia. Gli oggetti riela-borati e riaggregati non perdono la loro identit originaria, ma, ve-nendo disseminati in uno spazio anche di duecento o trecento metri,stabiliscono un percorso a ostacoli che spezza la consuetudine dellecose gettate a caso per terra, costruisce un percorso poetico curiosoe insensato, disorientante eppure coerente, vlto a mettere artistica-mente insieme con saggio umorismo cose che il caso aveva lasciatonel caos. Tutto viene incluso nel suo operare. Anche lui stesso, chesta l a osservare le reazioni dei passanti, a correggere in continuazio-ne la disposizione delle cose in funzione delle reazioni o delle nonreazioni di alcuni, a rispondere alle domande, a cogliere le battutesorprese di chi capita in quello spazio, a scrivere o dipingere una fac-cia su una scheggia di legno o un pezzo di carta lasciato l, a costrui-re una figura con una bottiglietta dellacqua schiacciata, un sasso, unbrandello di straccio, due stecchini usati di gelato, un bicchiere dicarta portato dal vento. Piccole cose. Cose da nulla. Semplici pre-senze la cui utilizzabilit stata rifiutata o si esaurita, e che pureviene da lui ripresa in un modo del tutto inatteso.

    Loperazione artistica sullordinario questa inattesa sorpresache non snatura le cose, ma ne rivela la potenzialit inesauribile. Lospazio espositivo travalicato e tracima nello spazio comune. Il mu-seo diventato, secondo la proposta di un gruppo di artisti italianidegli ultimissimi anni, un museo in esilio, libero e aperto:24 un mu-seo senza luogo, senza consacrazione, virtualmente presente ovun-que ed escluso da tutto.

    Cesare Pietroiusti, artista romano, uno degli ideatori del museoin esilio, stato forse colui che pi di ogni altro ha saputo tradurrein pratica artistica contemporanea i propositi di Georges Perec sul-linfraordinario. Nella sua opera Pensieri non funzionali25 scrive una

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  • serie di ricette per operazioni artistiche, fra le quali possibile trova-re propositi come Osserva attentamente e cataloga quello che lepersone che incroci per strada hanno in mano, oppure Cerca didare un senso ai frammenti di discorsi della gente che incroci perstrada o Raccogli le tovaglie di carta scarabocchiate dagli avvento-ri di un ristorante. Leco perechiana evidente, e spesso questesuggestioni sono state realizzate da lui stesso o da altri artisti (certevolte anche insieme).

    Si tratta di permettere non solo la percezione insolita e sorpren-dente di oggetti comuni o luoghi quotidiani, ma anche di capire co-me la ricchezza dellordinario possa nutrire la nostra quotidianit re-spingendo lanestesia che circonda il quotidiano. Pietroiusti nonvuole criticare il comune e il quotidiano, ed ben lungi dal dis-prezzarlo: vuole semplicemente mostrarne la grandezza discreta, lastraordinariet latente, la valenza dirompente. Per farlo, gli bastasemplicemente accostare cose e situazioni fra loro apparentementeincoerenti, come quando progetta di mettersi seduto su una comunesedia da casa, vestito elegantemente, nel mezzo di un marciapiedemolto frequentato, ascoltando e annotando mentalmente gli spezzo-ni percepibili dei commenti dei passanti.

    La rilevanza dellordinario la chiave per entrare nel mondo eprovocarne il senso, la consuetudine del senso, non con linsensatez-za (che effettivamente appare, ma come reazione di chi appuntotroppo costretto nella convenzione del senso acquisito, comune) macon lalterazione di alcune variabili. il caso che racconta a proposi-to di una delle sue prime esperienze dartista:

    Lopera che volevo realizzare, allorch sono stato invitato per la prima voltaa fare una mostra personale, era riempire una stanza di oggetti qualunque.Riempirla, al massimo della capienza, di oggetti del tutto qualsiasi, non sceltiper alcun motivo n estetico, n pratico. Ovviamente si trattava di un para-dosso inattuabile (avrei dovuto scegliere senza scegliere) e quindi non sapevocome fare. Sergio Lombardo mi sugger di lasciare la stanza cos comera.Tutto ci che cera dentro era infatti qualunque: la polvere, le finestre, leprese e i fili dellelettricit, le porte, le mattonelle del pavimento. Questa so-luzione mi parve geniale e la adottai. Lopera si intitolava Materia identica.Tutti gli oggetti contenuti in questa stanza.26

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  • Il tema dominante del lavoro dellartista diventa il qualunque,anzi il valore di ogni qualunque, perch questo non pu e non de-ve essere determinato esclusivamente dallo scambio monetizzato sta-bilito da un certo tipo di mercato. Il valore delle cose ordinarie perun io o per un noi sicuramente altro che per un tu, un voio un loro. Il valore stabilito dalle convenzioni culturali non maistabile per sempre, e varia da individuo a individuo. Ma soprattut-to un differenziale di valore quello che Pietroiusti cerca di mostraree di cui prova a fare esperienza: la ricerca di quelli che chiama glieffetti collaterali e cio la potenzialit straordinariamente grandeche si cela nellordinario, nel qualunque, nel quotidiano, il cui valoreesula e trascende quello che siamo abituati a chiamare tale.

    Per questo lartista cerca altre strade senza per abbandonare lestrade comuni, anzi percorrendole e utilizzandole come DelleChiaie, analizzandole e catalogandone la quotidianit ordinaria co-me faceva Perec, ricombinandole come fanno molti altri artisti. Lepiccole cose hanno questa discreta, ma inesorabile e potente gran-dezza: che non si lasciano mai schiacciare del tutto dalle leggi impo-ste di un valore aggiunto dal mercato. Nessuno magari le nota, nes-suno le considera, nessuno le valorizza, ma ci non toglie nulla allaloro potenzialit. Basta un artista a farle vibrare altrimenti. Bastauno scrittore capace di raccontarne altre storie. Non a farle diventa-re altre, si badi, non a modificarle per nobilitarle, ma per mostrarnelapertura a una poeticit intrinseca che d un altro valore alla lorostessa piccolezza. Cose semplici, gesti quotidiani e minuziosi, detta-gli qualsiasi si aprono a realt mai del tutto considerate.

    I piccoli dettagli scarnificati dalla scrittura dellindiana Arundha-ti Roy permettono alla narrazione di scivolare dietro lapparenza del-le cose, delle piccole cose, per rivelarne ora la meraviglia, ora la cata-strofica insignificanza. Le pagine del quotidiano si rivelano sensoriacutissimi di una vita destinata alloblio, alla sconfitta e allindiffe-renza. Oppure alla catastrofe.

    Nel suo libro Il dio delle piccole cose la storia non una storia,perch si moltiplica nelle storie dei diversi attori, ognuno con il suoparticolarissimo punto di vista volto a comporre inconsapevolmenteuna storia che non ha unit. La storia di un disastro, di una sconfitta

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  • ma anche di una vittoria, di un incontro e di uno scontro, dove le li-nee della narrazione sintrecciano con quelle vissute dai protagonistie ne sconvolgono i tempi, rovesciando il prima e il dopo. La Roy sce-glie di proposito di narrare la fine prima dellinizio e il durante dopoil dopo, che a sua volta sintreccia al prima spezzando una continuitche renderebbe la storia una storia.

    La storia, come tutte le storie, unordinaria storia di amore emorte, di caste e separazione, di incomprensioni e pregiudizi, diviolenza e di tenerezza. La giovane madre di due gemelli, colta e re-lativamente emancipata, costretta dopo la separazione dal maritoa tornare a casa dei genitori, produttori benestanti di religione si-riaco-ortodossa in unIndia moderna ma incapace di superare se-gregazione, miseria e divisione sociale. Laltezzosa, ipocrita e ben-pensante famiglia disprezza la donna e vive concentrata sul fratellodi lei, il primogenito maschio, ambizioso e fallito, comunista, coltoe incoerente, del tutto incurante dei problemi altrui e fondamental-mente egoista, divorziato da una ex moglie inglese rimasta in In-ghilterra con la loro bambina. La vita di unIndia provinciale, bi-gotta e disgraziata, traversata dalla sua grande storia, viene vista da-gli occhi dei due gemelli bambini di sei-sette anni, poi giovani adul-ti devastati dagli eventi.

    Una volta adulta, la gemellina femmina, Rahel, sopravvissuta alladisperazione, viene descritta cos:

    () a met strada tra lindifferenza e la disperazione. () In certi posti, co-me quello da cui veniva Rahel, diversi tipi di disperazione si contendevano ilprimato. E () la disperazione personale non poteva mai essere disperataabbastanza. () Qualcosa accadeva quando il tumulto dentro una persona siabbandonava sfinito davanti al tempio del vasto, violento, volteggiante, incal-zante, ridicolo, pazzo, velleitario tumulto generale di una nazione. () IlGrande Dio ululava come il vento rovente ed esigeva adorazione. E allora ilPiccolo Dio (accogliente e modesto, privato e limitato) se ne fuggiva via scot-tato (). Assuefatto alla continua conferma della sua irrilevanza, diventavaflessibile e indifferente. Niente contava molto. Molto contava niente.27

    Per i gemelli piccole cose ridicole e banali costellano uninfanziarischiarata tuttavia dalla loro grande libert di pensiero e di azione

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  • protetta e garantita dalla madre: la loro amicizia innocente con unparia, un intoccabile al servizio della famiglia, le loro perlustra-zioni del territorio, gli stessi conflitti con la madre, finch la vitanon presenter con indifferenza una serie di circostanze che si con-cateneranno in maniera catastrofica. La loro cugina inglese insiemeallex moglie dello zio che vengono a trovarli in India, il nervosismodella madre che le fa dire frasi ingigantite dalla sensibilit affettivatormentata dei gemelli, la mobilitazione isterica della famiglia perpreparare unaccoglienza volta solo a far bella figura con gli expadroni coloniali una serie di banali circostanze del tutto ordina-rie descritte pianamente e con saggezza dalla Roy, sotto le quali pe-r trapela la tensione, la follia, lo scontro, la difficolt, lamarezzadel mondo adulto e soprattutto la tremenda possibilit che tutto sa-rebbe potuto andare altrimenti. Ogni momento normale pu diven-tare anormale, ogni istante banale pu trasformarsi in catastrofe, espesso queste trasformazioni vengono clte solo da chi le subisce,mentre tutti gli altri restano indifferenti e ignari. E sullo sfondo re-sta il respiro pesante della grande Storia, quella passata delle dis-criminazioni fra le caste, quella presente delle lotte politiche senzasbocco, e in mezzo la vita delle persone schiacciata dalle consuetu-dini. Il gemellino maschio verr per esempio molestato sessualmen-te in un cinema senza che la madre se ne renda conto e senza che luiabbia il coraggio di dirglielo, in una situazione di nauseante e squal-lidissima normalit. Lo stesso giorno arriva la cuginetta inglese,mentre nella madre dei gemelli scocca la scintilla di un amore neiconfronti del servitore intoccabile quando lo vede cos teneramentein confidenza con i suoi figli.

    Le parole esasperate ma comuni della madre snervata ai figli, laloro estrema sensibilit, poi lamore tenero e sorprendente fra lei elintoccabile, una fuga pianificata, delle condizioni atmosferiche ec-cezionali, un fiume, una barca troppo piccola, una polizia tropposolerte. Piccole cose, ripete pi volte la Roy, come per esempiolimmagine di un uccello in volo riflessa nelle pupille di un vecchiocane, il trauma di un ragazzino troppo piccolo per capire la storia,la disperazione di una donna sconfitta dal destino, una bambinache muore affogata. Ma fra queste piccole cose sorge tremenda laconsapevolezza

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  • che tutto pu cambiare in un giorno. Che poche manciate di ore possonocondizionare lesito di vite intere. E quando lo fanno, quelle poche manciatedi ore, come i resti tratti in salvo da una casa incendiata () vanno dissep-pellite dalle rovine ed esaminate. Conservate. Spiegate. Cose normali, piccolifatti, sventrati e ricostruiti. Impregnati di significati nuovi. Tutto a un trattodiventano lo scheletro sbiancato di una storia.28

    Le piccole cose, quelle dimenticate da tutti (o quelle trascurate datutti, come diceva Perec), cio niente di cui il mondo avrebbe senti-to la mancanza29 diventano proprio quelle attraverso cui la storia,anzi le storie si dipanano nella dolcezza estrema e nel dolore pi atro-ce. Gli occhi innocenti dei bambini perdono ingenuit e infanzia per-ch le piccole cose, con il loro piccolo dio, non li proteggono e non lipossono riparare dalla micidiale alleanza fra la grande Storia (gli inte-ressi, i pregiudizi, le convenzioni e le convenienze) e le circostanze.

    cos che lamore segreto e sincero fra un uomo e una donna dicaste diverse che nei suoi dolcissimi momenti rubati alle conven-zioni cominciava appena a riparare il dolore di una madre ancoragiovane viene scoperto e schiacciato senza piet, come una piccolae insignificante cosa che non ha senso e non deve essere. Lamoreappena scoperto, che agli occhi di lei era come il dono e la promessadi un uomo che era il dio delle piccole cose, diventa per gli altri unoscandalo banale da schiacciare sotto la suola di uno stivale da poli-ziotto. Perch le piccole cose non contano niente.

    Ma sono sempre le piccole cose a essere al tempo stesso divine emortali. Sono loro a cambiare la vita di qualcuno in modo inappa-rente, a dargli speranza ma anche a dargli disperazione: dipendedallincontro di queste piccole cose con le grandi cose della Storia.Lamarezza che chiude il libro della Roy non deve far dimenticare labellezza delle tante piccole cose che possono cambiare tutto, la lorograndezza: certo, le storie raccontate nel libro parlano di sconfitte,disperazione e morte. Sono le due tigri dellapologo raccontato inapertura, con i topolini che rosicchiano il tralcio di vite. Ma le paro-le restano nella scrittura a rivendicare ugualmente la pi grandedelle ingiustizie: quella di aver lasciato che le piccole cose tornasse-ro piccole e insignificanti, quando avevano appena cominciato abrillare della loro intima grandezza. La fragola stata colta e assa-

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  • porata; poi per le cose, piccole e grandi, sono andate avanti. Ma lafragola resta nella sua potenza sorprendente, e la sua dolcezza chiu-de anche questo romanzo.

    Ecco infatti come la Roy racconta nelle ultimissime righe il fragileamore sbocciato dopo la prima notte fra i due amanti clandestini allavita e alle usanze:

    Anche dopo, nelle tredici notti che seguirono la prima, per istinto si aggrap-parono alle Piccole Cose. Le Grandi Cose stavano acquattate dentro. Sape-vano che non cera posto dove potessero andare. Non avevano niente. Nonavevano futuro. Perci si aggrapparono alle piccole cose. Ridevano delle for-miche che gli pizzicavano il sedere. Dei bruchi impacciati che scivolavanodal bordo delle foglie, degli scarafaggi rovesciati che non riuscivano a rad-drizzarsi. Di una coppia di pesciolini () di una mantide religiosa particolar-mente devota. Di un ragno minuscolo (). Lavevano scelto perch sapeva-no di dover riporre la loro fiducia nella fragilit. Attaccarsi alla piccolezza.Tutte le volte che si separavano, pretendevano luno dallaltro solo una pic-cola promessa. Domani? Domani .30

    Una piccola promessa fra le piccole cose che la grande Storiaignorer e seppellir senza riguardo, uccidendo e rendendo rifiuti,immondizia, scarto fastidioso tutti i protagonisti del libro: eppure illibro stato scritto in nome di questi rifiuti, di questa disperazioneche rivela dentro di s la potenza di una poesia, di un amore, di unasensibilit che le piccole cose continuano e continueranno per sem-pre ad avere, anche se nessuno vuole saperlo. In attesa di qualcunocapace di coglierne la dolcezza.

    Note

    1 G. Perec, Linfra-ordinario (1989), trad. it. Boringhieri, Milano 1994.2 Regia di Erika von Rosen.3 Il titolo Approches de quoi?, ed un testo del 1973.4 G. Perec, Linfra-ordinario, cit. p. 115 Ibidem.6 G. Perec, op. cit., pp. 9-10.

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    Piccole grandi cose: fra ordinario e straordinario

  • 7 G. Perec, La vita, istruzioni per luso (1978), trad. it. Rizzoli, Milano 1984.8 G. Perec, Le cose (1965), trad. it. Einaudi, Torino 2011.9 Nel 1960, Perec vi entra a far parte 1967. Il romanzo La scomparsa (1969),

    trad. it. Guida, Napoli 1995, tutto costruito senza luso della vocale e chein francese in assoluto la pi usata; e poi il romanzo Les revenentes, Juillard, Paris 1972, che usa allopposto esclusivamente parole contenenti so-lo la vocale e, ad esclusione di tutte le altre, sono anchessi il frutto del suolavoro sulle cose pi abituali nei confronti delle quali non si presta pi alcu-na attenzione.

    10 E.A. Poe, La lettera rubata (1845), trad. it. Mursia, Milano 2009.11 G. Perec, op. cit., p. 14.12 Ivi, p. 12-13.13 Ibidem.14 Ibidem.15 Ivi, p. 14.16 Perec, Linfra-ordinario, cit., pp. 11-14.17 M. Heidegger, Essere e tempo (1927), trad. it. Bocca, Milano 1953, pp. 54 e

    56-57.18 Ivi, p. 81.19 Ivi. p. 82.20 Ibidem.21 M. Heidegger, Sentieri interrotti (1950), trad. it. Nuova Italia, Firenze 1968.22 Ivi, p. 10.23 Su questo rapporto Heidegger-Duchamp mi permetto di rinviare al mio Pen-

    sare limpensato, Meltemi, Roma 2004, pp. 161-182.24 C. Pietroiusti, artista romano, in Intervista, Klat Magazine, 5/2/2011, af-

    ferma: Il Museo in esilio nasce da un forte senso dinsoddisfazione generalenei confronti della produzione artistica contemporanea in Italia, che condi-zionata, oggi ancor pi di ieri, dai meccanismi del mercato dellarte (creareper vendere) e dal gusto popolare, che spesso limitano la creativit e lorigi-nalit dellartista, il quale si adatta a un certo stile per non restare anonimo.Questa insoddisfazione presenta sfumature, tonalit differenti, che sono allabase del progetto: da una parte si tratta di motivazioni di natura socio-politi-ca che pongono il Museo in esilio in una posizione di netto contrasto rispettoal sistema artistico pi convenzionale. Ma il Museo in esilio non solo ribel-lione, anche uno strumento di ricerca basato sulla curiosit, sulla novit,sulla conoscenza di originali esperienze artistiche intese come alternative al-lodierna produzione nazionale. Ricerca, quindi, di prodotti artistici inediti,

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    Enrico Castelli Gattinara

  • mai visti, presi dai luoghi pi marginali e sconosciuti, localit provinciali,paesini, e realizzati da personalit eccentriche, bizzarre, da artisti non eti-chettabili, estranei alle normative del sistema dellarte, i quali hanno sceltovolontariamente di non appartenere a questo universo politico.

    25 C. Pietroiusti, Pensieri non funzionali, Morra, Napoli 1997.26 A. Titolo, C. Pietroiusti, Darsi un compito, Aperture. Punti di vista a tema,

    14-15, 2003, p. 61.27 A. Roy, Il dio delle piccole cose, trad. it. Guanda, Parma 1997, pp. 29-30.28 Ivi, p. 43.29 Ivi, p. 139.30 Ivi, p. 356.

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    Piccole grandi cose: fra ordinario e straordinario

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    molto difficile descrivere sentieri con-cettuali l dove sono gi stati tracciatimolti solchi tuoi o di unaltra persona e non imbattersi in una delle carreggiategi tracciate. difficile deviare anche sol-tanto di poco da un vecchio corso di idee.

    L. Wittgenstein1

    Talking cure

    La psicoanalisi una cura, prima che una particolare teoria dellamente o una specie di filosofia. E una cura efficace se cambia, inmeglio, lo stato del paziente, altrimenti non una cura. Siccome lapsicoanalisi una cura fondamentalmente basata sul linguaggio ilproblema capire come possa, qualcosa di intrinsecamente linguisti-co (diversamente, a esempio, da una molecola che agisce direttamen-te sui neurotrasmettitori) cambiare lo stato complessivo di un essereumano. Asserendo che la psicoanalisi basata sul linguaggio nonstiamo sostenendo che gli altri elementi dellanalisi, a esempio set-ting, transfert e controtransfert, empatia, emozioni e cos via, nonabbiano un ruolo molto importante nellanalisi; il punto che men-tre una talking cure2 senza questi elementi si pu ancora considerareuna psicoanalisi, non vale il contrario. Pertanto del linguaggio sol-tanto ci occuperemo in queste note. In questo senso, inoltre, quellache ci interessa una logica del cambiamento psichico: non ci inte-

    Felice CimattiQuanto fa 25 x 20?

    Per una logica del cambiamento psichico

  • ressano, a esempio, le pre-condizioni soggettive di una psicoanalisiriuscita; al contrario, ci interessano proprio quelle che non dipendo-no dalle variabili psicologiche. La logica (anche se non nel senso del-la logica formale) si occupa delle condizioni generali che presiedonoal funzionamento del linguaggio. In questo senso anche la psicoana-lisi (come ogni psicoterapia) ha a che fare con la logica.

    Significato e uso

    Cominciamo con la strana domanda del titolo, quanto fa 25 x 20?La risposta (se conosciamo le regole della moltiplicazione) sconta-ta, 500. Ma che significa questo numero, o meglio, questa combina-zione di caratteri grafici? Lavere effettuato il calcolo secondo lalgo-ritmo della moltiplicazione non risponde a questa domanda. Pro-priamente qui non corretto nemmeno parlare di calcolo. Lo mostraWittgenstein ponendosi questa domanda: calcola la macchina cal-colatrice?.3 Una macchina calcolatrice certamente in grado di ap-plicare lalgoritmo della moltiplicazione, ma questo sufficiente perconsiderarlo effettivamente un calcolo?

    Immagina che una macchina calcolatrice sia nata per caso; ora qualcuno pre-me i suoi tasti per caso (oppure un animale cammina su essi), ed essa esegueil prodotto 25 x 20. Voglio dire, essenziale alla matematica che i suoi segnivengano impiegati anche in borghese. luso che se ne fa fuori della matema-tica, e dunque il significato dei segni, che trasforma in matematica il giocodei segni. Allo stesso modo, anche, che non si trae uninferenza logica quan-do si trasforma una configurazione in unaltra (una disposizione di sedie inuna disposizione diversa), se queste disposizioni non hanno un uso linguisti-co fuori di queste trasformazioni.4

    Un gatto curioso si avventura sulla tastiera di una macchina cal-colatrice, e per puro caso con le zampe batte 25 x 20 = 500. Oltre algatto e alla macchina calcolatrice non c nessun altro. Questo, ci ri-corda Wittgenstein, non un calcolo, perch non significa nulla,non ha alcuna funzione, non ci si fa nulla; di per s soltanto unaconfigurazione di segni qualunque. Con questo curioso esperi-

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    Felice Cimatti

  • mento mentale Wittgenstein ci vuole mostrare che il significato diogni linguaggio non contenuto allinterno di quello stesso linguag-gio. I segni significano qualcosa solo se escono da s: il modo in cuiuna parola si capisce, questo le parole da sole non lo dicono (Teolo-gia).5 Per capire una parola (e vale lo stesso per un calcolo) occorretenere conto di quello che si fa con quella parola e del luogo in cuiviene usata. Per questa ragione si tratta di una nota di Teologia,perch riguarda ci che rende parola una sequenza fonica, e questoqualcosa non sta dentro quella sequenza. Perch il problema del si-gnificato dei segni riguarda quello che nella proposizione c di vi-vente.6 Appunto, cosa rende viva una di per s inerte combinazionedi segni, cio una proposizione? Il problema non grammaticale,non nel linguaggio, ma fuori di esso.

    Torniamo a 25 x 20 = 500. Qualcuno, un po frettolosamente, di-r che, siccome si tratta di segni, allora il loro significato coincide coni pensieri che vi corrispondono: il segno, come si dice, rimanda aqualcosa, appunto a un oggetto o a un pensiero. Non cos che lapensa Wittgenstein: non riusciamo a sbarazzarci dellidea che il sen-so della proposizione accompagni la proposizione; stia accanto allaproposizione.7 Proviamo infatti a prendere sul serio questa idea (uno dei modi migliori per valutare la bont di unidea, vedere le sueconseguenze). C un uomo, sdraiato su un lettino, che dice a unal-tra persona, che si trova alle sue spalle: questa notte ho fatto un so-gno cos e cos . La proposizione questa notte ho fatto un sognocos e cos la chiameremo, per semplicit, p. Che significa p? Se p un segno, allora deve rimandare a un pensiero, che si trova nella testadella persona che dice p: chiameremo questo pensiero interno P. Al-lora, per capire p bisogna afferrare P. Poniamo che luomo seduto al-le spalle del sognatore sia riuscito proprio a afferrare P. Ci accorgia-mo subito che non abbiamo affatto risolto il problema da cui erava-mo partiti, perch si pone ora una nuova domanda: che significa P?Anche il pensiero P deve infatti essere compreso. Torniamo a p, perun momento: una combinazione di segni linguistici, pertantop (= p1 + p2 + p3 + pn). Se a p corrisponde (nella testa di chi provaa comprenderne il significato) P, ci ritroviamo infine con questa nuo-va combinazione: P (= P1 + P2 + P3 + Pn). Come si vede nel pas-saggio da p a P abbiamo soltanto spostato il problema, senza risolver-

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    Quanto fa 25 x 20? Per una logica del cambiamento psichico

  • lo. Un problema che non pu certo essere risolto supponendo cheesista un ulteriore Pp a cui P rimanda (cos come p rimandava a P).Perch anche per Pp (= Pp1 + Pp2 + Pp3 + Ppn) si porr questo stessoproblema, e cos via di seguito. Lidea cos semplice, allinizio, dellaproposizione come segno di qualcosaltro in realt si dimostra com-pletamente impraticabile. Il significato di p, come quello di 25 x 20,non pu consistere in qualcosa nascosto al suo interno, per nemme-no nel rimando a qualche ulteriore pensiero. Per questa ragione, perWittgenstein, rovesciando il luogo comune, si potrebbe immaginareuna malattia mentale, in cui un tizio pu usare e capire un nome sol-tanto in presenza del suo portatore.8 Una malattia che impedisce dicomprendere come realmente funzioni il linguaggio; che costringe apensare il linguaggio soltanto come mezzo (di comunicazione), e noncome esperienza completa in senso proprio. Il punto, anche e soprat-tutto per la talking cure, che il linguaggio efficace esattamentequando non un insieme di segni/rimandi. Vedere il linguaggio co-me fenomeno quotidiano e vitale, questa la posta in gioco. E cos,per capire che significhino i segni (matematici) 25 x 20 occorre chevengano impiegati anche in borghese9. Ossia, nella vita di tutti igiorni, alla luce del sole, nellesperienza ordinaria appunto.

    Musica e linguaggio

    Torniamo ora alluomo sdraiato sul lettino, che dice alla personaalle sue spalle questa notte ho fatto un sogno cos e cos. Il suo caso,apparentemente, non diverso da quello del gatto che pasticciandocon le zampe batte sulla tastiera 25 x 20. Come, di per s, questa an-cora soltanto una configurazione fisica priva di senso, esattamente lostesso vale per le vibrazioni sonore prodotte dallapparato fonatoriodel sognatore. Un suono linguistico prima di tutto un rumore, chepoi, eventualmente, pu essere considerato anche un suono linguisti-co, cio unentit dotata di significato: se sentiamo parlare un cinesesiamo portati a prendere le sue parole per un gorgoglio inarticolato.Chi capisce il cinese vi riconoscer invece il linguaggio.10 In questepagine ci interessano propriamente le condizioni (logiche) che per-mettono questo passaggio, dal gorgoglio al linguaggio, in modo

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    Felice Cimatti

  • da, come continua nella stessa proposizione Wittgenstein, riconosce-re luomo nelluomo. Perch una terapia analitica pu essere curativasoltanto quando si realizza questo passaggio. Altrimenti non si va oltrequello che succede fra il gatto e la sequenza 25 x 20. Il problema rendere vivente il linguaggio, perch solo se la parola viva capacedi cambiare lo stato psichico del paziente, e quindi aiutarlo a guarire.

    Torniamo a p, di nuovo. Il nostro problema spiegare in checonsista il suo senso. Abbiamo scartato due soluzioni, finora: quellache ritiene che il senso di p sia al suo interno, e quella che ritiene checonsista nel rimando a qualcosaltro (un oggetto, un pensiero). Ri-mane una strada, quella in cui il senso di p si determina in un parti-colare ambiente spazio-temporale. In questo caso il senso di p non n dentro di s n al suo esterno; il senso di p coincide con quelloche accade fra p e le persone, il luogo e il momento in cui lo stesso pviene impiegato. Per immaginare questa possibilit Wittgenstein ri-corre al paragone con quello che succede nella musica. Contraria-mente a un altro luogo comune, non che la musica sia una specie dicomunicazione (non linguistica), piuttosto lesperienza linguistica simile a quella musicale:11

    il comprendere una proposizione del linguaggio molto pi affine al com-prendere un tema musicale di quanto forse non si creda. Ma io la intendo co-s: ch il comprendere la proposizione del linguaggio pi vicino di quantonon si pensi a ci che di solito si chiama comprendere il tema musicale. Per-ch il colorito e il tempo devono muoversi proprio secondo questa linea? Sivorrebbe dire: Perch io so che cosa voglia dire tutto questo. Ma che cosavuol dire? Non saprei dirlo. Per darne una spiegazione potrei paragonareil tema a qualcosaltro che ha lo stesso ritmo (voglio dire, la stessa linea). (Sidice: Non vedi? Qui come se si fosse tratta una conclusione oppure:Questo come una parentesi, ecc. Come si giustificano questi paragoni? Qui ci sono giustificazioni di generi molto diversi).12

    Il senso di un brano musicale non ricostruibile a partire dalli-dea del segno come rimando, perch nel caso della musica questaipotesi non sembra proprio potersi applicare. Quale sarebbe, infatti,il senso di una nota? A che rimanda una frase musicale? La solita ri-sposta secondo cui la musica esprime emozioni non affatto una ri-

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    Quanto fa 25 x 20? Per una logica del cambiamento psichico

  • sposta, una analogia con una idea inappropriata (come abbiamoappena visto) del linguaggio.13 Se cade questa idea del linguaggio an-cora di pi deve cadere questa idea della musica. Non che la musi-ca non un linguaggio, piuttosto il linguaggio non interpretabilecome un sistema di comunicazione. Il punto non cosa esprime lamusica, o il linguaggio, quanto: che succede quando si partecipa aun evento musicale? Wittgenstein descrive la comprensione di unbrano musicale come una operazione non (direttamente o prevalen-temente) cognitiva. Ascolto un brano musicale, ne seguo landamen-to, implicitamente lo confronto con un altro brano che risuona conquello che sto ascoltando, ma posso anche desiderare un andamentodiverso. Qui non si tratta di spiegare che sia la musica cio ripor-tarlo a qualcosaltro bens di rimanere al suo interno, e muoversifra i suoi stessi elementi, ora assecondandoli ora contrastandoli. La-scolto musicale immanente, tutto nella musica. Questo non signi-fica lasciarsi ciecamente trascinare dal flusso sonoro, perch allorasarebbe improprio parlare di comprensione di un brano musicale: comprensione, questa, perch chi ascolta deve comunque prendereposizione rispetto a quanto sta ascoltando.

    La difficolt qui consiste nel fatto che il luogo comune del lin-guaggio come comunicazione sempre di nuovo ci costringe a cercareda qualche parte un contenuto che i segni musicali dovrebberoesprimere/comunicare. Mentre qui non c niente da raggiungere ol-tre levento musicale, qui il significato dellevento coincide con le-vento stesso: se un tema, una frase [musicale] ti dice improvvisa-mente qualcosa, non necessario che tu sia in grado di spiegartelo.Semplicemente, tutto dun tratto ti diventato accessibile anchequesto gesto.14 Cominciamo forse a capire a che sta pensando Witt-genstein; comprendere un tema musicale significa che tutto duntratto ci diventa accessibile un nuovo gesto. La differenza fra ilgesto e il segno radicale: il gesto significativo di per s, il gestocio intrinsecamente espressivo; il segno, invece, un mezzo, qualcosa che rimanda a altro. Il gesto annulla la differenza fraespressione e contenuto, il segno al contrario lesemplificazione diquesta differenza. Il paragone di Wittgenstein fra musica e linguag-gio va proprio in questa direzione, vedere nelle parole delle espe-rienze in senso pieno: il linguaggio deve parlar per s stesso.15

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    Felice Cimatti

  • Ma come fanno delle semplici parole a avere questo potere? Qui lesempio iniziale del calcolo 25 x 20 ad aiutarci. Queste tracce gra-fiche possono diventare un calcolo quando sono impiegate in bor-ghese, cio nella vita di tutti i giorni: a esempio per calcolare la su-perficie di una stanza, oppure quanti bicchieri entrano in cassetteche ne possono contenere ciascuna 25, o ancora quante persone pos-sono entrare nella platea di un teatro. In contesti come questi, 25 x20 diventa realmente un calcolo: il suo significato coincide allora conun certo ambiente duso:

    il tema [musicale] non indica qualcosa al di l di s stesso? Oh s. Ma questovuol dire: limpressione che mi fa dipende da certe cose nel suo ambiente. Per esempio dal nostro linguaggio e dalla sua intonazione, e dunque dallin-tero campo dei nostri giochi linguistici. Se dico, per esempio: come se quisi fosse tratta una conclusione, o come se qui si fosse confermato qualcosa,oppure come se questo fosse una risposta a quello che si detto prima, lamia comprensione presuppone appunto la famigliarit con inferenze, confer-me, risposte.16

    Ascolto una proposizione. Le parole che la compongono si colle-gano con altre parole, altri gesti, e altri ambienti ancora: le paroledi un poeta possono trafiggerci. E questo, naturalmente, dipendecausalmente dalluso che queste parole hanno nella nostra vita. E di-pende anche dal fatto che noi, conformemente a questuso, lasciamoche i nostri pensieri vaghino qua e l, nellambiente famigliare delleparole;17 questa trama di relazioni la comprensione di quella pro-posizione. In questo senso comprendere una proposizione significaapprendere un nuovo gesto, cio una nuova possibilit di azione al-linterno dellinsieme dei giochi linguistici; la comprensione ciouna forma di azione: comprendere una proposizione sapere cheaccada se essa vera. (Dunque, una proposizione la si pu compren-dere senza sapere se essa vera).18 Ascolto p, e comprendo p se socome dovrebbe essere il mondo perch p fosse vera, fosse cio realiz-zata. Comprendere p significa allora sapere quello che bisognerebbefare per realizzare p al mondo, appunto perch le parole sono azio-ni.19 Il linguaggio, insiste Wittgenstein, non comunicazione npensiero, il linguaggio non venuto fuori da un ragionamento.20

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    Quanto fa 25 x 20? Per una logica del cambiamento psichico

  • Il paragone fra linguaggio e musica porta in evidenza il fatto che illinguaggio in primo luogo una forma di azione, un gesto: il sape-re non viene tradotto in parole, quando si manifesta. Le parole nonsono la traduzione di unaltra cosa, che era gi l prima di loro.21

    Contro il luogo comune che vede nel linguaggio solo un veicolo, oc-corre cominciare a pensare al linguaggio come una prassi immanente,una prassi cio che ha senso proprio in quanto prassi, non perch co-munichi qualcosa, ma perch incarna un certo modo di vivere:

    cos, vorrei dire, le parole Oh, come vorrei che arrivasse! sono cariche delmio desiderio. E le parole possono erompere da noi come un grido. Le pa-role possono essere difficili da pronunciare: tali sono, per esempio, le parolecon quali esprimiamo una rinuncia, o confessiamo una debolezza. (Le parolesono anche azioni [Taten]).22

    Per capire la logica del cambiamento terapeutico occorre partireda qui, da questo modo inconsueto di rappresentare il linguaggio.La talking cure non cura perch spiega al malato perch malato, operch gli permette di svelare i meccanismi della sua malattia, curapiuttosto perch porta con s la possibilit di agire in un nuovo mo-do. Leffetto della talking cure pi simile a quello di aver imparatoa ballare una nuova danza che a quello di aver raggiunto la consape-volezza intellettuale della propria nevrosi. La talking cure si collocaallora oltre ogni vetusto dualismo di mente e corpo: parla al corpoperch il corpo pensi e agisca in un modo nuovo, libero, imprevisto.

    Listerico soffre per lo pi di reminiscenze

    Prima di concentrarci sul meccanismo della cura, occorre percapire di che si ammali lanimale che parla. Qui importante il tipodi ricerca che stiamo per intraprendere. Abbiamo scritto allinizioche ci interessa la logica del cambiamento, e cos ora ci interessa lalogica della malattia. Ci sono molte cause organiche dei malanniumani, che ne compromettono la fisiologia. Non di queste, evidente-mente, ci occuperemo. Qui invece conta il modo specificamenteumano di ammalarsi dellanimale umano, un modo che legato pro-

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    Felice Cimatti

  • prio al linguaggio. Partiamo dal punto finale della sezione preceden-te: le parole vanno intese come azioni. Conoscere e parlare una lin-gua significa, allora, saper fare alcune cose, ma non altre. Tutti glianimali, tutti i viventi in realt, sono in grado di agire in modi assaidiversi e con scopi diversi. Non serve il linguaggio, pertanto, per agi-re. Il punto che gli umani agiscono anche nel e con il linguaggio. Inquesto senso possiamo pensare a una lingua come a un repertorio diazioni possibili; ma anche, e correlativamente, come a un repertorioancora pi ampio, di azioni impossibili, quelle che quella lingua nonammette. La lingua smette di essere uno strumento trasparente alservizio della comunicazione; ora diventa un modo di agire, di op-portunit ma anche di impedimenti. Per questa ragione possiamoparlare di una logica della malattia, perch il malanno tipicamenteumano non dipende da un accidente sfortunato, da un virus che ungiorno potr essere debellato; il malanno tipicamente umano quel-lo causato dalla sua stessa costituzione, dal fatto che agisce con e nel-le parole. E siccome non possiamo rinunciare a questa caratteristica,perch Homo sapiens significa appunto animale che parla, non pos-siamo nemmeno rinunciare alla malattia. In questo senso il linguag-gio stesso la nostra malattia.23

    Ma che significa che lumano si ammala nel e del linguaggio? Inrealt una osservazione molto semplice, oscurata solo dal modotradizionale di pensare al linguaggio semplicemente come comunica-zione. Prendiamo come esempio laffermazione con cui, di fatto, na-sce la psicoanalisi: chi soffre di disturbi mentali soffre per lo pi direminescenze.24 Possiamo intendere questa parola, reminescen-ze, in due modi molto diversi, a seconda di cosa pensiamo sia il lin-guaggio. Se per noi il linguaggio un mezzo per la trasmissione deipensieri, allora una reminescenza un qualche contenuto della no-stra testa che se ne sta gi l, e che talvolta raccontiamo a qualcuno.La parola rende noto agli altri un pensiero, un ricordo, che esistevaprima della sua traduzione linguistica. Non si capisce, per, perchraccontare un ricordo dovrebbe avere un valore terapeutico. Breuere Freud, infatti, scoprono (e in questa scoperta c lessenza della tal-king cure) che quando infine il paziente riesce a mettere in parole lereminescenze si ottiene la sua guarigione:

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    Quanto fa 25 x 20? Per una logica del cambiamento psichico

  • trovammo infatti, in principio con nostra grandissima sorpresa, che i singolisintomi isterici scomparivano subito e in modo definitivo quando si era riuscitia ridestare con piena chiarezza il ricordo dellevento determinante, risveglian-do insieme anche laffetto che laveva accompagnato, e quando il malato de-scriveva levento nel modo pi completo possibile esprimendo verbalmente ilproprio affetto.25

    Perch per il semplice raccontare un ricordo dovrebbe averequesto effetto? Perch raccontandolo si supererebbe la rimozioneche lo bloccava nellinconscio, questa la risposta consueta. Forse cos, ma se ci atteniamo a quello che effettivamente succede, trovia-mo qualcosa di diverso. Breuer e Freud non ci dicono infatti che ilpaziente descrive uno stato interno (un ricordo), bens che il pazientesta vivendo, attraverso le sue parole, una nuova esperienza: infatti ilricordo privo di elementi affettivi quasi sempre del tutto inefficien-te.26 Il racconto delle reminescenze non una esperienza cogniti-va, non la neutrale trasmissione mediante il medium delle parole diun contenuto mnemonico; il processo psichico svoltosi in originedeve ripetersi con la maggiore vivacit possibile, deve essere riporta-to nello status nascendi e deve poi essere espresso in parole.27

    Qui occorre attenersi a quello che Breuer e Freud realmente descri-vono, non alla loro spiegazione di quello che stanno osservando (ilprocesso psichico svoltosi in origine, lo status nascendi): quelloa cui assistiamo che il paziente guarisce attraverso una esperienzalinguistica. Non si tratta semplicemente di mettere in parole un con-tenuto mnestico, piuttosto di inscenare una sorta di rappresentazio-ne linguistica del proprio disagio. Qui si mostra pienamente alla luceil mondo mentale del malato, e attraverso questo processo quellostesso mondo mentale pu essere finalmente superato. Proprio inquesta azione consiste labreazione: nella parola luomo trova unsurrogato dellazione, e con laiuto della parola laffetto pu essereabreagito in misura quasi uguale. In altri casi il parlare di per sil riflesso adeguato, nel lamento e nel liberarsi dal peso di un segreto(confessione).28 Qui la parola non affatto comunicazione, ma ap-punto direttamente azione. E non un caso che Breuer e Freud fac-ciano lesempio della confessione, che un atto linguistico nel sensodi Austin:29 cio un dire che coincide con un fare. La confessione

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    Felice Cimatti

  • cattolica, a esempio, estingue il peccato, cio una azione che assol-ve da altre precedenti azioni. In questo senso un perfetto esempiodi performativo, appunto un atto linguistico che fa qualcosa proprioin quanto linguistico.

    Se intendiamo il linguaggio, con Wittgenstein, come una formadi azione, le reminiscenze di cui soffre il malato di mente assumo-no pertanto un significato diverso: quando il paziente, grazie alla tal-king cure, mette in scena il suo mondo mentale, non sta riportandoalla luce dei ricordi rimossi, piuttosto prova una nuova esperienzache gli rende finalmente pensabile la possibilit di vivere in modo di-verso. Solo quando una modalit desistenza ci appare davanti agliocchi in piena evidenza possiamo, se ne abbiamo la forza e il deside-rio, provare a cambiarla. La talking cure mette in scena la possibilitdel cambiamento.

    Torniamo ora a Breuer e Freud, che significa propriamente, cheil malato soffre di reminiscenze? In che senso un pensiero/azione(non pensato e non agito) pu ammalare? Nelle Osservazioni filosofi-che Wittgenstein osserva che non possibile credere in qualcosache