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NOZIONE E FUNZIONE DELL’ESECUZIONE FORZATA Il diritto processuale civile ha la funzione fondamentale di dare attuazione al diritto sostanziale quando manca la cooperazione del soggetto obbligato. Compito del diritto processuale civile non è solo prestare una tutela in favore del diritto sostanziale leso ma anche una tutela effettiva. Esistono una pluralità di forme di tutela che il nostro legislatore prevede per dare risposta, in termini di tutela effettiva, alle diverse possibili violazioni del diritto leso. Sarebbe molto semplice, infatti, apprestare una tutela effettiva se fosse sufficiente apprestare un processo unico per ogni situazione sostanziale ma è chiaro che così non è. A seconda del tipo di situazione che viene in rilievo, del tipo di diritto sostanziale che viene in rilievo è necessario che l’ordinamento appresti una pluralità di forme di tutela, quindi una pluralità di processi. Nell’ambito dell’effettività della tutela giurisdizionale si ascrive anche il fenomeno della Esecuzione Forzata. Questo perché anche qualora l’ordinamento preveda un processo a cognizione piena che a fronte della crisi di cooperazione stabilisca chi ha ragione e chi ha torto, ciò non è sufficiente perché un ordinamento appresti una tutela effettiva. A fronte di una crisi di cooperazione è necessario che l’ordinamento intervenga con un processo, quindi con il diritto processuale. Il diritto sostanziale risolve il conflitto, individuando l’interesse prevalente; il diritto processuale subentra quando il soggetto obbligato non adempie spontaneamente. Esempio: Io, prof Fabiani, ho il diritto al pagamento di 100, la vostra collega è obbligata a pagare 100 ma se non è disponibile a pagare l’ordinamento deve apprestare dei rimedi processuali per fare in modo che io posso ottenere il pagamento di 100. Primo rimedio è la tutela cognitiva: cioè la vostra collega può rivolgersi ad un giudice e far accertare il suo diritto ad ottenere 100, ma se a fronte di una sentenza resa all’esito del processo a cognizione piena il Prof Fabiani continua a non voler pagare 100 è necessario che l’ordinamento appresti un’ulteriore forma di tutela che consenta alla vostra collega di ottenere comunque quei 100.

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NOZIONE E FUNZIONE DELL’ESECUZIONE FORZATA

Il diritto processuale civile ha la funzione fondamentale di dare attuazione al diritto sostanziale quando manca la cooperazione del soggetto obbligato. Compito del diritto processuale civile non è solo prestare una tutela in favore del diritto sostanziale leso ma anche una tutela effettiva. Esistono una pluralità di forme di tutela che il nostro legislatore prevede per dare risposta, in termini di tutela effettiva, alle diverse possibili violazioni del diritto leso. Sarebbe molto semplice, infatti, apprestare una tutela effettiva se fosse sufficiente apprestare un processo unico per ogni situazione sostanziale ma è chiaro che così non è. A seconda del tipo di situazione che viene in rilievo, del tipo di diritto sostanziale che viene in rilievo è necessario che l’ordinamento appresti una pluralità di forme di tutela, quindi una pluralità di processi. Nell’ambito dell’effettività della tutela giurisdizionale si ascrive anche il fenomeno della Esecuzione Forzata. Questo perché anche qualora l’ordinamento preveda un processo a cognizione piena che a fronte della crisi di cooperazione stabilisca chi ha ragione e chi ha torto, ciò non è sufficiente perché un ordinamento appresti una tutela effettiva. A fronte di una crisi di cooperazione è necessario che l’ordinamento intervenga con un processo, quindi con il diritto processuale. Il diritto sostanziale risolve il conflitto, individuando l’interesse prevalente; il diritto processuale subentra quando il soggetto obbligato non adempie spontaneamente.

Esempio: Io, prof Fabiani, ho il diritto al pagamento di 100, la vostra collega è obbligata a pagare 100 ma se non è disponibile a pagare l’ordinamento deve apprestare dei rimedi processuali per fare in modo che io posso ottenere il pagamento di 100.

Primo rimedio è la tutela cognitiva: cioè la vostra collega può rivolgersi ad un giudice e far accertare il suo diritto ad ottenere 100, ma se a

fronte di una sentenza resa all’esito del processo a cognizione piena il Prof Fabiani continua a non voler pagare 100 è necessario che l’ordinamento appresti un’ulteriore forma di tutela che consenta alla vostra collega di ottenere comunque quei 100.

Questa forma di tutela è L’esecuzione forzata. Quindi la tutela cognitiva, non è di per sé indispensabile per apprestare una tutela piena per il soggetto leso perché anche quando il soggetto ha una sentenza passata in giudicato, che accerti il suo diritto ad ottenere il pagamento di 100, non ha una tutela effettiva ma ha un diritto indiscutibilmente accertato, perché nessuno potrà rimettere in discussione che la vostra collega ha diritto a 100. Tuttavia lei deve ottenere quel pagamento e può farlo con questo processo di esecuzione forzata.

Quindi, lo scopo fondamentale di questa esecuzione forzata è la rimozione di quegli ostacoli che non consentirebbero al titolare del diritto di ottenere quelle utilità assicurategli dalla legge sostanziale.

La legge sostanziale dice che la vostra collega ha il diritto ad ottenere 100, il processo di esecuzione forzata deve rimuovere tutti quegli ostacoli che si frappongono affinché lei possa ottenere 100.

Questo processo di esecuzione forzata, a sua volta, per raggiungere questo fondamentale obiettivo, avendo questo scopo, non può anch’esso atteggiarsi in un unico modo secondo le medesime modalità procedurali, sempre e comunque a prescindere dal tipo di obbligo che venga in rilievo.

Nell’ambito dell’esecuzione forzata vanno distinte una pluralità di tecniche diverse. Su tutte quella tra:

- Esecuzione processuale indiretta o misure coercitive;

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- Esecuzione forzata.

La prima bipartizione fondamentale è tra L’esecuzione forzata, di cui stiamo parlando, e L’esecuzione indiretta. La differenza fondamentale risiede nel fatto che L’esecuzione forzata è una tecnica che consente di realizzare lo scopo indicato solo ed esclusivamente quando viene in rilievo, per intendersi, una prestazione o un obbligo fungibile, perché è una tecnica che si concreta nella sostituzione del soggetto obbligato con un terzo, che pone in essere quella determinata attività a cui il proprietario del diritto aspira. Quindi, se la prestazione è FUNGIBILE la tecnica funziona, perché io sostituisco il soggetto obbligato con un terzo che pone in essere quella determinata attività.

Esempio: la distruzione di un’opera. La sentenza di condanna del convenuto a distruggere una determinata opera illegittimamente realizzata. Ora o il convenuto adempie spontaneamente oppure il processo di esecuzione forzata può benissimo, come tecnica, raggiungere il suo scopo potendosi sostituire al debitore un terzo che distrugge l’opera e poi agirà per il pagamento delle spese nei confronti del debitore.

QUESTA TECNICA PROCESSUALE è INSERVIBILE DOVE L’OBBLIGAZIONE è INFUNGIBILE, perché se l’obbligazione è infungibile l’unico soggetto che può soddisfare quel mio diritto è il soggetto obbligato.

Esempio: classica ipotesi del cantante che si è impegnato a fare il concerto, del pittore ecc ecc..

In tutte queste ipotesi la tecnica dell’Esecuzione Forzata, si dice, è inservibile, perché io non posso sostituire il debitore con un terzo

proprio perché infungibile. Solo quel debitore mi può dare la prestazione. Ecco che l’esecuzione indiretta (o misure coercitive) si traducono in una tecnica differente, ossia la tecnica che mira a far leva sulla volontà del soggetto obbligato spingendolo ad adempiere per il tramite di una minaccia di un male maggiore che questo debitore subirebbe a fronte dell’inadempimento. Ecco la logica delle misure coercitive: si cerca di spingere il soggetto obbligato ad adempiere spontaneamente a quella determinata prestazione. Quindi la prima, importante, bipartizione da tener presente è tra Esecuzione forzata ed Esecuzione indiretta.

Nell’ambito dell’Esecuzione forzata, così come individuata, vanno ulteriormente distinte una pluralità di ipotesi perché, anche qui, l’ordinamento non può intervenire con la medesima tecnica indipendentemente dall’obbligo da attuare. A seconda dell’obbligo da attuare, che viene in rilievo, deve predisporre delle differenti tecniche di tutela.

Nell’ambito dell’Esecuzione forzata(quindi di questa tecnica per il tramite della quale si sostituisce al debitore un terzo per far conseguire all’avente diritto quel determinato risultato) si distingue tra:

-Espropriazione forzata;

- Esecuzione Specifica.

Nell’ESPROPRIAZIONE FORZATA il dato caratterizzante è che l’obbligo che deve essere attuato in via coattiva, per il tramite del processo esecutivo, è l’obbligo al pagamento di una somma di denaro. Quindi, QUI la tecnica dell’Esecuzione forzata che si chiama Espropriazione forzata consiste nell’assoggettare i beni del debitore ad

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Espropriazione forzata, cioè i beni vengono venduti ad un terzo ed il creditore si soddisfa sul ricavato.

Esempio : il prof. Fabiani è titolare del credito di 100 nei confronti della vostra collega in forza di condanna di sentenza passata in giudicato. La vostra collega, nonostante la sentenza di condanna passata in giudicato, non ha la benché minima idea di adempiere spontaneamente. A questo punto il prof Fabiani non può che ricorrere al processo di Espropriazione forzata, tecnica che ricorre ad un terzo che si sostituisce al soggetto obbligato. Se l’obbligazione è il pagamento di una somma di denaro il risultato lo si può ottenere aggredendo un bene mobile o immobile di proprietà della vostra collega, lo faccio vendere e sul ricavato della vendita io, creditore, mi soddisfo. Quindi, se avevo un diritto a 100, aggredisco un bene immobile del valore di 150 e sul ricavato della vendita potrò veder soddisfatto il mio credito di 100. Questa è la logica dell’espropriazione forzata.

All’espropriazione forzata si contrappone l’Esecuzione Specifica dove oggetto di esecuzione non è l’obbligo al pagamento di una somma di denaro ma l’obbligo di fare, di non fare, di consegnare una cosa mobile o di rilasciare un bene immobile. Quindi L’esecuzione specifica, si diversifica dall’espropriazione forzata perché ha ad oggetto non il pagamento di una somma di denaro ma un fare, un disfare, un consegnare o un rilasciare.

Nell’ambito di queste due categorie (rispetto all’esecuzione forzata) che sarebbero Espropriazione forzata ed Esecuzione Specifica dobbiamo operare delle sottodistinzioni.

In particolare, nell’ambito dell’Espropriazione Forzata, a seconda di una serie di circostanze, si distingue fra:

1) ESPROPRIAZIONE MOBILIARE PRESSO IL DEBITORE;

2) ESPROPRIAZIONE IMMOBILIARE;

3) ESPROPRIAZIONE PRESSO I TERZI;

4) ESPROPRIAZIONE DI BENI INDIVISI;

5)ESPROPRIAZIONE CONTRO IL TERZO PROPRIETARIO.

Quindi, nell’ambito dell’espropriazione forzata ci stanno una serie di sottoipotesi, disciplinate testualmente dal codice. Il codice, si può notare, non si accontenta di disciplinare genericamente l’Espropriazione forzata e prevede tutte queste species di espropriazioni perché, evidentemente, deve fare i conti con la possibilità anzitutto che vengano in rilievo una diversa tipologia di beni. Quindi:

1) L’ Espropriazione mobiliare presso il debitore è quell’espropriazione che ha ad oggetto beni mobili di proprietà del debitore. Esempio: Io aggredisco dei beni mobili di proprietà del debitore, li vendo e mi soddisfo sul ricavato perché è sempre un’obbligazione al pagamento di una somma di denaro;

2) L’Espropriazione Immobiliare si diversifica dall’espropriazione mobiliare, in quanto ha ad oggetto non beni mobili ma beni Immobili. Esempio: Io aggredisco un bene immobile, lo vendo e mi soddisfo sul ricavato;

3) L’espropriazione presso terzi ha ad oggetto, invece, beni mobili del debitore che sono in possesso di terzi o crediti del debitore verso terzi. Qui, il legislatore predispone un apposito procedimento per l’ipotesi in cui, per esempio, io debba espropriare dei beni mobili che

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sono del mio debitore, ma sono in possesso di un terzo. Pertanto, si possono espropriare comunque, anche se il bene mobile di proprietà del debitore è nel possesso di un terzo. Inoltre, con questa modalità di espropriazione, si possono anche espropriare i crediti del debitore nei confronti di un terzo;

4) L’Espropriazione di beni Indivisi: qui la peculiarità risiede, ancora una volta, nel bene che viene in rilievo e cioè, nella specie: la quota ideale di un bene in comunione. Esempio: immaginate che il vostro debitore sia titolare di un bene, ma non titolare esclusivo ma sia titolare in comunione ad altri soggetti. Domanda : Posso espropriare quella quota del bene di cui è titolare il mio debitore? Si, con le modalità dell’ espropriazione di beni indivisi ( che, evidentemente, prevede: 1) la possibilità della c.d. Separazione della quota in natura, ove è possibile. Cioè: se io posso separare quella quota in natura del mio debitore, la separo in natura e poi aggredisco quel bene come se non fosse in comunione; oppure 2) di ordinare la vendita della quota, cioè : vedere se c’è un soggetto che vuole acquistare quella quota del bene e diviene,per intendersi, il nuovo comunista ossia il nuovo soggetto che acquista quella quota del bene in comunione con i soggetti originari; o infine, ultima possibilità 3) di ordinare la separazione del bene ove non sia possibile la separazione in natura). Quindi, in ragione del fatto che, qui, il bene da aggredire non è un bene di proprietà esclusiva del debitore ma in comunione, il codice deve dirci anzitutto se lo si può comunque espropriare e, se si, quali sono le strade (separazione in natura, vendita della quota o procedimento di divisione).

5) Ultima ipotesi di espropriazione disciplinata dal codice è la c.d. Espropriazione contro il terzo proprietario. “Espropriazione contro il terzo proprietario” significa che si aggredisce non, come l’espropriazione verso i terzi, un bene che è di proprietà del debitore ma nel possesso di un terzo, ma si aggredisce un bene che è di proprietà

del terzo. Quindi, domanda : Come è possibile che io per realizzare un credito che ho nei confronti della vostra collega aggredisco un bene che è di proprietà dell’altra vostra collega? Evidentemente l’ipotesi classica è quella del Pegno e dell’ Ipoteca. Cioè dell’ipotesi in cui la vostra collega ha dato a garanzia del debito un determinato bene immobile, non ha pagato il debito e io quindi, creditore, aggredisco il bene immobile di proprietà dell’altra vostra collega. Ecco il motivo per il quale io, per un debito che ho nei confronti di A, posso attivare il processo di espropriazione forzata nei confronti di B. E’ logico che c’è questo rapporto sottostante che legittima la possibilità di aggredire i beni di un terzo, altrimenti sarebbe palesemente illogico.

Per la casella Esecuzione Specifica, le sottoipotesi da indicare sono solo due:

1) L’ESECUZIONE PER CONSEGNA O RILASCIO;

2) l’ESECUZIONE FORZATA DI OBBLIGHI DI FARE O DI NON FARE.

Anche qui, il sottodistinguo è legato al peculiare obbligo che viene in rilievo. L’Esecuzione Specifica si diversifica dall’espropriazione forzata perché viene in rilievo una obbligazione specifica e non l’obbligazione al pagamento di una somma di denaro. Se questa obbligazione specifica è il consegnare un bene mobile, il rilasciare un bene immobile il procedimento cui bisogna far riferimento è l’esecuzione per consegna o rilascio. Se, invece, ha ad oggetto un fare o un disfare bisogna far riferimento all’esecuzione specifica per obblighi di fare o di non fare.

A questo punto appare evidente, dopo aver chiarito la funzione dell’esecuzione forzata, come il legislatore per conseguire questo

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obiettivo non è sufficiente che predisponga un unico processo di esecuzione forzata perché, necessariamente, deve predisporre una pluralità di procedimenti. Quindi: deve ricorrere all’esecuzione forzata o all’esecuzione indiretta, a seconda della fungibilità della prestazione e per l’ipotesi in cui la prestazione sia fungibile,a seconda dell’obbligo e/o del bene che deve essere aggredito, ricorrere all’espropriazione forzata o all’esecuzione specifica e con riferimento all’espropriazione forzata ad una delle varie ipotesi di espropriazione forzata, o ad una delle varie ipotesi di esecuzione specifica.

Questo quadro di riferimento trova un riscontro significativo anche nella sistematica del codice e in particolare nella sistematica del libro III del c. p.c. che si occupa,per l’appunto, del processo di esecuzione. Questo libro III si compone di titoli relativi a tematiche comuni a tutte le varie ipotesi di espropriazione e di titoli dedicati alle specifiche ipotesi di espropriazione o esecuzione specifica. Cioè: noi abbiamo il titolo I che si occupa del titolo esecutivo e del precetto; il titolo V che si occupa delle opposizione e il titolo VI che si occupa della sospensione e dell’estinzione. Sono tutti titoli che, in qualche modo, disciplinano dei fenomeni valevoli per tutte le varie species di espropriazione forzata ed esecuzione specifica. Poi, invece, abbiamo un titolo II dell’Espropriazione forzata che: nel capo primo si occupa dell’espropriazione forzata in generale; nel capo secondo dell’espropriazione mobiliare presso il debitore; nel capo terzo dell’espropriazione presso terzi; nel capo quarto espropriazione immobiliare; nel capo quinto dell’espropriazione di beni indivisi; nel capo sesto dell’espropriazione contro il terzo proprietario. Quindi, questa logica che, in qualche modo, è sottesa alla funzione di esecuzione ripercorre anche quella che è la sistematica del codice che, soprattutto nella prima fase, ha cura di individuare una serie di nozioni generali con riferimento al processo di espropriazione forzata che poi devono essere adattate alle singole forme di espropriazione. La sistematica del codice

non è ripetere, evidentemente, per ogni forma di espropriazione anche dei concetti che sono comuni, ma è molto più funzionale dare prima le nozioni comuni a tutte le forme di espropriazione e dettare per le singole forme di espropriazione solo quelle norme che sono specifiche per quella forma di espropriazione.

La sequenza del processo di espropriazione forzata si compone di:

1) atti preliminari all’espropriazione forzata che sono la notifica del titolo esecutivo e del precetto;

2) del pignoramento, che è il primo atto con cui inizia il processo di espropriazione forzata;

3) dell’intervento dei creditori;

4) della fase della vendita;

5) della fase della distribuzione.

Queste fasi, che sono le fondamentali del processo di espropriazione forzata, danno conto di come tale processo può raggiungere quello scopo. Infatti: il pignoramento pone un vincolo sul bene mobile o immobile che viene aggredito; la fase dell’intervento dei creditori è dedicata alla possibilità di intervenire di altri creditori nell’ambito dello stesso processo; la fase della vendita mira a trasformare quel bene mobile o immobile in una somma di denaro e la distribuzione della somma ricavata è quella fase ultima destinata a consentire al creditore di soddisfarsi o agli altri creditori sopravvenuti di soddisfarsi sulla somma ricavata.

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LE FONTI DELL’ESECUZIONE FORZATA : Le norme a cui bisogna far riferimento, per avere un quadro completo per la disciplina del processo di esecuzione forzata, non sono solo esclusivamente quelle dettate nel capo terzo che disciplinano specificamente il processo di espropriazione, perché la prima fonte di questo processo di esecuzione forzata ci è data dal libro I. Il libro I detta le disposizioni generali che debbono trovare applicazione, o che dovrebbero trovare applicazione, in tutti i processi (questo è il motivo per il quale ci si chiede se i principi fondamentali del processo civile, tipo il principio della domanda, il principio del contraddittorio trovano o meno applicazione anche con riferimento al processo di esecuzione forzata avendo come primo parametro di riferimento che le prime norme che vengono in rilievo sono le disposizioni generali e che se sono disposizioni generali sul processo civile si applicano non solo con riferimento alla cognizione ma anche all’esecuzione del processo esecutivo. Quanto meno, va fatta una valutazione di compatibilità con riferimento alla peculiare struttura del processo esecutivo). Non solo le norme del libro I, ci sono una serie di altre norme che per come sono strutturate necessariamente devono trovare applicazione o necessariamente sono in qualche modo strutturate per trovare applicazione con riferimento a tutto o almeno ad una pluralità di tipologie di processi. Esempi: l’art 125 cpc sul contenuto e la sottoscrizione degli atti di parte: riferendosi agli atti di parte, contenuto e sottoscrizione, non si vede perché dovrebbero disciplinare solo gli atti di parte del processo di cognizione e non anche del processo di esecuzione. Sono norme generali di riferimento;(così come) l’art 83 sulla procura alle liti, che tra l’altro richiama espressamente l’atto di precetto; l’art 96 sulla responsabilità aggravata, che tra l’altro richiama espressamente l’ipotesi in cui c’è già stata l’esecuzione. Quindi parametro di riferimento è anzitutto dato dal c.p.c, però non facciamo l’errore di pensare al c.p.c con riferimento alle sole norme sull’esecuzione forzata perché c’è il capo I e una serie di norme, formulate proprio in termini generali, che trovano applicazione proprio

con riferimento al processo di esecuzione. Quindi: le fonti del processo di esecuzione forzata non sono solamente circoscritte al codice di procedura civile, perché il Codice Civile contiene norme importantissime con riferimento all’esecuzione forzata e in particolare dagli art 2912 e ss (2912- 2928) disciplina gli effetti dei pignoramenti e gli effetti della vendita e dell’assegnazione. Reca, quindi, tutta una serie di norme di fondamentale importanza anche per la stabilità della vendita, cioè per la stabilità dei risultati cui approda il processo esecutivo. Quindi, questa vendita forzata trova sotto il profilo procedimentale il suo iter, la sua disciplina nel c.p.c., ma poi questa disciplina si completa con le norme del codice civile 2912 e ss che dettano tutta una serie di norme importanti, con riferimento oltre al pignoramento anche alla vendita forzata e,in particolare, con riferimento agli effetti della vendita forzata, alla stabilità della vendita forzata. Quindi guardiamo al codice di procedura civile più al codice civile, alle norme del c.p.c specificatamente dettate in riferimento all’esecuzione forzata e, in via più generale, dettate con riferimento al processo civile. Una norma del codice civile, invece, del tutto peculiare è l’art 2932 (sul contratto preliminare e il contratto definitivo) che è dettato tra le norme che dovrebbero riguardare l’esecuzione forzata ma è molto discusso. Ex art 2932: Esecuzione specifica (dell’obbligo di contrarre) soprattutto con riferimento al contratto preliminare: Se io stipulo un preliminare e la mia controparte non è disposta ad adempiere, ossia non è disponibile a recarsi dinanzi ad un notaio per stipulare il definitivo, io posso instaurare un processo a cognizione piena per ottenere una sentenza che mi dia gli stessi risultati della eventuale dichiarazione di volontà della parte. Questa ipotesi è di dubbia qualificazione; secondo i più pur rientrando tra le norme del codice civile dettate in materia di esecuzione forzata, non sarebbe un’ipotesi di esecuzione forzata ma sarebbe un’ipotesi di tutela costitutiva; secondo alcuni, invece, sarebbe una peculiare forma di esecuzione specifica la cui unica peculiarità sarebbe quella che ha ad

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oggetto non un consegnare o un rilasciare, non un fare o un disfare ma il rendere una dichiarazione di volontà. Sarebbe, così. Giustificato il suo inquadramento nell’ambito delle norme sull’esecuzione forzata. [ Ricapitolando: ci sono tutta una serie di norme del codice civile e si prenda subito atto che c’è una norma problematica, ossia l’art 2932 , perché secondo i più questa non sarebbe una forma i tutela esecutiva ma una forma di tutela costitutiva. Tra l’altro, è una delle poche ipotesi ove la sentenza resa all’esito del processo a cognizione piena è già in grado di soddisfare il bisogno di tutela dell’avente diritto. La peculiarità in questa situazione è che nel momento in cui la controparte non rende la dichiarazione di volontà, se si ha la sentenza, che tiene luogo della dichiarazione di volontà e quindi del contratto definitivo, si è già ottenuto il risultato. Non si ha bisogno di un processo di esecuzione forzata come per l’obbligazione al pagamento di una somma di denaro, come per la consegna o il rilascio. Questo perché, per esempio, nella consegna o nel rilascio la sentenza di condanna dice che la vostra collega deve rilasciare il bene immobile al prof. Fabiani, ma non è già soddisfacente del diritto di quest’ultimo perché il prof. Fabiani deve attivare un processo di esecuzione per ottenere la consegna del bene. Nella sentenza ex art 2932, mentre, una volta che il giudice ha emesso la sentenza il Prof Fabiani ha il contratto definitivo, non ha bisogno di altro; l’effetto traslativo che si sarebbe prodotto in forza del contratto definitivo si produce in forza della sentenza. Quindi, è una situazione del tutto peculiare quella dell’arte 2932 che giustifica questo tipo di dibattito.

STRUTTURA DEL PROCESSO DI ESECUZIONE FORZATA

Sul piano strutturale, la chiave di volta nell’ambito del processo di esecuzione forzata è la presenza del TITOLO ESECUTIVO.

La differenza radicale tra tutela cognitiva e tutela esecutiva sta nel fatto che la prima nasce per accertare se un diritto esiste o meno e si conclude con il mero accertamento di quel diritto, o con la condanna o con la tutela costitutiva, quale di più rispetto ad un accertamento che è il minimum che è sempre presente nella tutela cognitiva; la tutela esecutiva, al contrario, presuppone un accertamento ed il titolo esecutivo dovrebbe recare questo accertamento; ci sono titoli esecutivi giudiziali o stragiudiziali, ma se si pensa ai titoli giudiziali e in particolare alla sentenza di condanna, questa è l’esempio paradigmatico che consente di comprendere la differenza radicale che c’è tra la tutela cognitiva, che nasce per arrivare ad una sentenza di condanna, e la tutela esecutiva, che presuppone a monte l’esistenza di un titolo esecutivo, ossia la sentenza di condanna. Se così è, questa circostanza non può non essere di decisiva importanza sotto il profilo della struttura del processo e non può non influire sulla struttura del processo esecutivo tale da caratterizzarlo in un modo significativamente differente rispetto alla tutela cognitiva. Facendo sempre l’esempio della tutela di condanna, se la tutela cognitiva nasce per approdare ad una sentenza di condanna e la tutela esecutiva presuppone una sentenza di condanna, se del caso anche passata in giudicato, è chiaro che questo non può non influire sulla struttura del processo esecutivo. Se il dato è meno percepibile con riferimento ai titoli esecutivi stragiudiziali (l’atto pubblico, la cambiale) sicuramente è maggiormente percepibile per i titoli esecutivi giudiziali). Il processo di cognizione si basa sulla mera affermazione dell’avente diritto che propone la domanda e vuole che si accerti l’esistenza del suo diritto con una sentenza di mero accertamento , di condanna o costitutiva. Il soggetto che agisce in esecuzione forzata, se ha una sentenza di condanna, ha già ottenuto l’accertamento del suo diritto, se del caso passato in giudicato, e vuole che quel diritto, consacrato nel titolo, sia attuato in sede di esecuzione forzata. Quindi, il processo di esecuzione forzata nasce per attuare il comando contenuto nel titolo esecutivo, sia esso un titolo esecutivo giudiziale o stragiudiziale ;perché

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la maggiore o minore certezza dei titoli esecutivi - quelli giudiziali danno una maggiore certezza, quelli stragiudiziali minore - non refluisce assolutamente sulla struttura del processo di esecuzione forzata. La logica del legislatore (del codice del 1940) è di strutturare questo processo esecutivo come un processo che attua il comando del titolo esecutivo al quale dovrebbero essere, quanto meno tendenzialmente, estranee delle parentesi cognitive. Il processo esecutivo, cioè, non nasce per accertare diritti ma nasce per attuare diritti consacrati nel titolo. Se c’è necessità di accertare qualcosa questo non lo accerta il giudice dell’esecuzione, con il processo esecutivo, ma si accerta eventualmente nelle sedi oppositive (opposizione all’esecuzione, opposizione agli atti esecutivi, opposizione ai terzi dell’esecuzione). La logica qual è? Io ho un titolo esecutivo, il processo esecutivo serve ad attuare il comando. Se sono necessarie delle parentesi cognitive queste non sono l’essenza dell’esecuzione (l’esecuzione attua, non accerta), deve essere instaurato un processo a cognizione piena nelle forme dell’opposizione e il giudizio esecutivo attende l’eventuale esito di questi giudizi oppositivi. Il difficile baricentro tra opposizione e processo di esecuzione è dato dall’istituto della sospensione, cioè stabilire se, in attesa che si svolga il giudizio di opposizione, il processo di esecuzione debba essere sospeso o possa andare avanti, perché la scelta di campo è chiara: nell’ambito del processo esecutivo non si accerta, si attua il comando del titolo esecutivo. Se il debitore, o altri soggetti, hanno da far valere qualcosa lo devono fare nelle forme dell’opposizione che aprono dei processi cognitivi. A questo punto si tratta di valutare se, in attesa dell’accertamento di questi processi cognitivi, si deve sospendere il processo esecutivo o se tale processo può, contemporaneamente, andare avanti. Questa presenza del titolo esecutivo, influisce inevitabilmente sulla struttura del processo esecutivo, perché porta già in se, in qualche modo, una scelta del legislatore di strutturare questo processo esecutivo come un processo che da attuazione con una comando contenuto nel

tutolo esecutivo, un processo a cui è estraneo, di regola, ogni forma di accertamento (gli accertamenti sono meramente eventuali e sono subordinati all’iniziativa del debitore o di altro soggetto legittimato che deve far valere le sue doglianze in un autonomo processo di cognizione che si instaura nelle forme dell’opposizione all’esecuzione, degli atti esecutivi, dell’opposizione dei terzi all’esecuzione e, se del caso, dell’opposizioni distributive). Questo è il primo dato fondamentale che si deve aver presente se si vuole cogliere qual è l’essenza della differente struttura del processo esecutivo di fronte al processo cognitivo. Molte altre peculiarità strutturali sono, inevitabilmente, legate a questo dato di fondo. Esempio : si tende a dire che un’altra caratteristica del processo esecutivo, sul piano strutturale, è la posizione di disuguaglianza in cui si trovano le parti rispetto al processo di cognizione perché in tale processo le parti sono su un piano di perfetta parità perché è subordinato alla mera affermazione del diritto da parte dell’attore, quindi le parti non possono che essere su un piano paritario.-> Io, prof. Fabiani affermo di essere titolare di un determinato diritto e la vostra collega afferma che ciò non è assolutamente vero: le posizioni delle parti non possono che essere paritarie e il processo è deputato ad accertare se ho ragione io o la vostra collega, se è fondata la pretesa del prof. Fabiani o meno. Nel processo esecutivo se c’è già un titolo, se del caso giudiziale o dotato di una particolare certezza, la posizione delle parti non può essere paritaria in questo senso, perché il processo nasce per attuare il comando contenuto nel titolo esecutivo, quindi per attuare il diritto di una parte contro l’altra parte. Il soggetto che è portatore di un diritto, se del caso accertato con sentenza passata in giudicato, si trova in una posizione diversa, di diseguaglianza dal debitore. Non nel senso che il debitore non abbia diritto a tutte le garanzie processuali, ma nel senso che la stessa posizione del giudice è diversa, perché è chiamato ad attuare un diritto contro un altro soggetto e non accertare l’esistenza o l’inesistenza del diritto a fronte della mera affermazione di un soggetto contro un altro soggetto. La presenza del

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titolo ha una sua incidenza sulla posizione delle parti e sulla posizione del giudice, tanto che si è affermato e si ritiene che la terzietà del giudice risiede, con riferimento al processo esecutivo, nell’esigenza di far rispettare le regole di questo processo esecutivo, perché sul piano “ del diritto sostanziale” questo giudice deve anche attuare il comando contenuto nel titolo esecutivo a favore di una parte contro un’altra parte. Non a caso si sente dire che il debitore SUBISCE il processo di esecuzione forzata, E’ SOGGETTO AL PROCESSO DI ESECUZIONE FORZATA. Questo non significa che, il debitore, non abbia diritto a tutte le garanzie processuali, ma significa che la posizione delle parti è inevitabilmente influenzata dalla presenza di un titolo che è condicio sine qua non affinché si possa svolgere il processo esecutivo( che è un processo che non accerta ma attua il comando contenuto nel titolo esecutivo). Se volessimo schematizzare e approfondire questo discorso, dovremmo dire che il titolo esecutivo refluisce nell’ambito del processo di esecuzione forzata, in particolare sul ruolo dei diversi soggetti processuali (quindi : giudice, debitore, creditore ,ufficiale giudiziario, cancelliere ecc.) e sul peculiare atteggiarsi dei rapporti tra esecuzione e cognizione nell’ambito del processo esecutivo. Dove questa situazione di dislivello tra le parti sparisce?

(Si dice) nelle parentesi cognitive, cioè nei giudizi di opposizione (dove le parti tornano su una posizione pienamente paritaria, perché c’è un soggetto che afferma una determinata cosa e ci sarà un soggetto che contesta, quindi è un normale processo di cognizione che va coordinato con il processo esecutivo, ma le parti tornano su una posizione paritaria) e nell’ambito del giudizio cautelare, quindi nella sospensione dell’esecuzione. Quindi le uniche parentesi dove questa situazione di diseguaglianza non si presenta sono nei giudizi oppositivi e nella fase cautelare, la sospensione del processo esecutivo, dove ci si muove in una logica del tutto similare a quella del processo a cognizione: la tutela cautelare sarà una normale ipotesi di tutela cautelare; anche nella

sospensione, in relazione al processo esecutivo, andrà valutata con le peculiarità del caso l’esistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora (quindi è chiaro che le parti sono in una situazione di parità) e nell’ambito dei giudizi oppositivi, pur con le peculiarità dei processi oppositivi, sono dei processi a cognizione piena.

Quali peculiarità questa presenza del titolo esecutivo determina sul piano strutturale, avuto riguardo ai soggetti, ai rapporti tra cognizione ed esecuzione? Innanzitutto il processo esecutivo si caratterizza, sul piano strutturale, in ragione del fatto che taluni soggetti, presenti anche nel processo a cognizione piena, svolgono un diverso ruolo o comunque un ruolo ben più pregnante nell’ambito del processo di esecuzione forzata. Il riferimento, su tutti, è all’Ufficiale Giudiziario. Quindi i soggetti di questo processo, sono i medesimi soggetti già conosciuti (le parti, il giudice,l’ufficiale giudiziario, il cancelliere..) però in questo rinnovato contesto strutturale del processo esecutivo questi soggetti esercitano un ruolo leggermente differente. In particolare, per quanto riguarda il giudice noi siamo abituati a pensare ad un processo a cognizione piena dove la sua presenza è imprescindibile; non si può pensare ad un processo a cognizione piena dove non c’è un giudice. Ci sono, invece, processi esecutivi dove la presenza del giudice è meramente eventuale. Ad esempio: nel processo di esecuzione forzata in forma specifica, e più specificamente nell’esecuzione per consegna o rilascio, tutto il procedimento è nelle mani dell’ufficiale giudiziario che cura il rilascio dell’immobile, in particolare, e la presenza del giudice è meramente eventuale nel caso in cui insorgano delle difficoltà nel corso dell’esecuzione; quindi tra l’esecuzione per consegna o rilascio e il processo a cognizione piena questo ruolo del giudice è RADICALMENTE diverso. Nel processo a cognizione piena conduce tutto il giudice (è inimmaginabile un processo a cognizione piena senza il giudice), nel processo per consegna o rilascio il dominus della procedura è questo l’ufficiale giudiziario perché c’è già un titolo

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esecutivo nel quale si ordina il rilascio dell’immobile X. Quindi è chiaro che la procedura esecutiva può ben stare nelle mani di questo ufficiale giudiziario che si occupa del rilascio dell’immobile. Se sorgono delle difficoltà, quindi c’è la necessità di un’attività giurisdizionale in senso proprio, allora ci si rivolge al giudice, la cui presenza è meramente eventuale. Nell’esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare la presenza del giudice è più significativa ma sempre marginale, nel senso che non è meramente eventuale, è un passaggio obbligato perché il giudice deve determinare le modalità dell’esecuzione ma è chiaro che ha un ruolo ben più ridotto rispetto a quello che ha nel processo a cognizione piena o nei vari procedimenti speciali. Qui c’è già un titolo esecutivo ed il giudice deve solo determinare le modalità dell’esecuzione; c’è una sentenza di condanna che dice che l’opera va distrutta e il giudice dovrà determinare le modalità della distruzione; oppure va costruita, va realizzata una determinata attività ed il giudice le modalità di attuazione. Quindi ha un ruolo necessario, perché lo dovrà sempre fare, ma ben più circoscritto.

Il cancelliere, nell’ambito del processo esecutivo, ha delle competenze similari a quelle della cognizione piena e sono delle competenze tagliate sulle peculiarità del processo esecutivo, in particolare : la spedizione in forma esecutiva del titolo art 475 ; il rilascio in copia esecutiva art 476; la formazione del fascicolo dell’esecuzione; la conservazione del fascicolo; provvede alle comunicazioni relative al processo esecutivo e talvolta svolge anche funzione di custodia. Quindi non ha delle funzioni che sono radicalmente diverse a quelle che svolge nel processo a cognizione piena: la conservazione del fascicolo è un qualcosa che fa anche nell’ambito del processo a cognizione piena. Tuttavia gli sono affidate anche delle specifiche funzioni legate alle peculiarità del processo esecutivo: il rilascio in copia esecutiva; la spedizione del titolo in forma esecutiva sono attività che svolge solo in questo caso. Il soggetto dove si vede maggiormente la differente

funzione è l’Ufficiale Giudiziario. Abbiamo già visto come, nell’ambito del processo a cognizione piena rispetto all’esecuzione per consegna o rilascio svolge un ruolo del tutto marginale. Abbiamo conosciuto l’uff. giudiziario come il soggetto deputato a svolgere le attività di notificazione, non gli abbiamo visto svolgere altro ruolo nell’ambito del processo a cognizione piena. Nell’ambito del processo esecutivo, mentre, l’uff. giudiziario non svolge affatto una funzione marginale. Oltre che svolgere quelle funzioni che gli sono proprie con riferimento alla notifica degli atti processuali, che anche qui può venire in rilievo, l’uff. giudiziario svolge delle funzioni ben più significative. Nell’esecuzione per consegna o rilascio è il vero dominus della procedura; l’attività di rilascio è tutta gestita da questo ufficiale giudiziario. Nell’espropriazione mobiliare ricerca le cose da pignorare (nell’esecuzione immobiliare è il creditore che sceglie le cose da pignorare, nell’espropriazione mobiliare è l’ufficiale giudiziario che, nel rispetto delle norme del c. p.c., presso i luoghi appartenenti al debitore deve pignorare una serie di cose mobili che può trovare). L’uff. giudiziario, quindi, svolge un ruolo decisivo, di fondamentale importanza nell’ambito del pignoramento mobiliare o immobiliare, dove svolge comunque una funzione importante per l’intimazione del debitore. Nell’ambito dell’esecuzione (quantomeno nell’esecuzione specifica),rispetto al processo cognitivo possiamo avere una funzione molto più defilata del giudice e una molto più forte dell’uff. giudiziario. Quindi la struttura del processo esecutivo, che risente essenzialmente della presenza di un titolo esecutivo, ha una delle sue principali espressioni nella diversa funzione e nel diverso ruolo esercitato dai protagonisti di questo processo, che sono sempre il giudice, il cancelliere e l’ufficiale giudiziario che vengono però in rilevo con queste peculiarità.

L’altro peculiare atteggiarsi del processo esecutivo, sul piano strutturale, risiede nei rapporti tra cognizione ed esecuzione. [PASSAGGI

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FONDAMENTALI] -> Nella logica del legislatore del ’42, posto che il processo esecutivo ha a monte un titolo esecutivo, il processo esecutivo non accerta diritti, ma attua il comando contenuto nel titolo. Eventuali parentesi cognitive sono possibili, ma solo per il tramite di giudizi oppositivi. Quindi “peculiare atteggiarsi dei rapporti tra cognizione ed opposizione in questa sede processuale” significa che a differenza del processo a cognizione piena, il processo esecutivo non nasce per accertare diritti ma per ATTUARE determinati diritti. Quindi, secondo la concezione originale del codice del ’42 la dimensione cognitiva dovrebbe essere estranea al processo esecutivo in quanto si dice che questo accertamento dovrebbe precedere l’esecuzione o si dovrebbe inserire nell’esecuzione. Dovrebbe precederla: in quanto si è già svolta prima (esempio:processo a cognizione piena che conduce ad una sentenza di condanna) ;oppure si inserisce nel processo esecutivo con le parentesi cognitive rappresentate dall’opposizione. Quindi, pur avendo un titolo esecutivo, se ho qualcosa da accertare lo faccio nei giudizi oppositivi, quindi non c’è spazio per nessun accertamento nei processi esecutivi. Se c’è spazio per l’accertamento o si inserisce, ma sono delle parentesi, oppure è già stato fatto a monte ma dal processo a cognizione piena.

Tutto ciò sembra semplice, tuttavia questo tipo di concezione entra in crisi per vari motivi:

1) non è affatto vero che la cognizione precede sempre l’esecuzione, perché la struttura del processo esecutivo non è così semplice come sembrerebbe, perché il titolo esecutivo non è in realtà una figura omogenea, ma ingloba in sé delle figure differenti: si va dalla sentenza di condanna al titolo di credito. Quindi si va dai titoli esecutivi giudiziali a quelli stragiudiziali. Quindi si va da ipotesi dove EFFETTIVAMENTE l’accertamento precede l’esecutivo ad ipotesi dove nessun accertamento precede l’esecutivo. Per esempio : dove c’è

un atto pubblico, dove il legislatore in nome della certezza che accompagna l’atto pubblico, perché redatto da un pubblico ufficiale.., attribuisce la valenza di titolo esecutivo avrà questa certezza, ma non c’è un accertamento a monte di questo titolo esecutivo. Quindi non è vero che il processo esecutivo è sempre preceduto da un accertamento. Questo sarebbe vero se il titolo esecutivo fosse una figura omogenea, cioè se avessimo solo titoli esecutivi giudiziali;

2) non è affatto vero che il giudice, talvolta, non ponga in essere degli accertamenti; anzitutto anche il giudice dell’esecuzione spesso deve adottare dei provvedimenti, ad esempio: per stabilire se accogliere l’istanza di vendita del creditore deve valutare la documentazione ex art 567; quindi una qualche valutazione, al fine di adottare determinati provvedimenti, ordinatori o meno, la deve fare; un margine di accertamento, seppur non di accertamento in senso proprio, in alcuni momenti del processo esecutivo, viene in rilievo;

3) (inoltre) ci sono degli istituti peculiari, disciplinati dal codice, dove entra completamente in crisi la concezione del codice del ’42; Esempio : la conversione del pignoramento -> A fronte del pignoramento immobiliare, in particolare, il soggetto debitore che si è visto pignorare l’immobile, con determinate modalità, può chiedere la conversione del pignoramento. Può chiedere, cioè, che oggetto del pignoramento non sia più l’immobile ma una determinata somma di denaro perché, magari, l’immobile in questione è quello in cui abita e quindi ha tutto l’interesse a sottrarlo all’esecuzione forzata. Il giudice, in questo caso, per stabilire se accogliere la conversione del pignoramento e determinare la somma dovuta per liberare l’immobile dovrà, in qualche modo, farsi l’idea di quanti sono i creditori e quali sono i crediti da soddisfare. E’ chiaro che qui il giudice deve fare un accertamento vero e proprio. Il dato fondamentale, quindi, è che c’è una scelta di campo del codice del ’40 di escludere ogni fenomeno cognitivo dal processo esecutivo e dove le

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parentesi cognitive sono o a monte del processo esecutivo o si inseriscono per il tramite delle opposizione. Questo disegno entra in crisi in ragione del fatto che , come già accennato, non sempre il processo esecutivo è preceduto da un accertamento (si pensi ai titoli stragiudiziali) ma ci sono ipotesi, più o meno complesse, dove il giudice pone in essere delle attività latamente valutative o latamente accertative o di vero e proprio accertamento della posizione delle parti. Quindi il rapporto tra cognizione ed esecuzione, in linea di massima, è agevole ma in realtà ha anche momenti di criticità.

Quanto ai soggetti di questo processo esecutivo, tradizionalmente si distingue tra:

-PARTI NECESSARIE DEL PROCESSO ESECUTIVO: il debitore (colui che subisce l’esecuzione);il creditore (che in possesso del titolo esecutivo, esercita l’azione esecutiva);

-PARTI EVENTUALI: sono i c.d. i terzi creditori ( essendo il pignoramento un vincolo a porta aperta, si consente ad altri creditori, dello stesso debitore, di intervenire nel processo esecutivo ma questa è una mera eventualità);

-e si tenga presente sin d’ora che, sotto il profilo soggettivo, nel processo esecutivo si possono incontrare VARIE FIGURE DI TERZI (il terzo potrà essere presente come terzo che propone “opposizione di terzo all’esecuzione”,art 619 e quindi come soggetto che si oppone alla procedura esecutiva, contestandone la legittimità;come terzo che subisce l’esecuzione perché Responsabile per debito altrui,ad esempio l’espropriazione nei confronti del terzo proprietario; il terzo nell’espropriazione presso terzi; il terzo acquirente del bene pignorato.

LA NATURA DEL PROCESSO DI ESECUZIONE FORZATA

In passato ci si è chiesto se il processo esecutivo sia davvero giurisdizione o sia amministrazione. Nel distinguo tra attività giurisdizionale e attività amministrativa, il processo esecutivo lo incaselliamo nell’attività giurisdizionale o nell’attività amministrativa? Questa domanda viene posta in ragione di ciò che è stato già accennato sul piano strutturale. Questo perché se la logica del codice del ’40 viene portata all’estremo, se questo processo esecutivo non è altro che attuazione del comando contenuto nel titolo esecutivo e il vero soggetto principe di questo processo esecutivo è l’ufficiale giudiziario che attua il comando contenuto nel titolo esecutivo forse ci possiamo anche domandare se è attività giurisdizionale. Se, cioè, non c’è nulla da accertare dov’è lo ius dicere? Se si tratta solo di attività materiali, di rilasciare un immobile o ottenere la consegna di un bene mobile e può seguire ogni fase l’ufficiale giudiziario, perché dovrebbe essere un’attività giurisdizionale? Perché, ormai da lungo tempo, non si dubita più della NATURA GIURISDIZIONALE del processo di esecuzione forzata?

1) Il primo motivo fondamentale è legato al piano strutturale: non è corretto, cioè, accettabile ritenere che sia estranea ogni possibile attività cognitiva al processo esecutivo. Il giudice dell’esecuzione è chiamato, in una serie di momenti del processo esecutivo, ad effettuare una serie di valutazioni che sono espressioni dello ius dicere; anche se non deve risolvere un conflitto intersoggettivo,come nel processo a cognizione piena (esempio:stabilire se tizio è effettivamente proprietario dell’immobile x), è comunque chiamato ad effettuare accertamenti, un’attività dunque cognitiva (ci sono una serie di fasi, nel processo esecutivo, dove le parti fanno un’istanza ed il giudice effettua una serie di verifiche e adotta dei provvedimenti). Si dice, quindi, una COMPONENTE COGNITIVA è sempre presente nel processo esecutivo (bisognerà vedere, poi, se è una componente cognitiva di questo tipo o è un vero e proprio accertamento, come la

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conversione).Ciò che è sufficiente è che ormai pacifico che il procedimento esecutivo non può essere ridotto ad una serie di attività materiali che vengono condotte dall’ufficiale giudiziario in pura esecuzione del comando del titolo.

Quindi, non è amministrazione, è attività giurisdizionale; anzi, nella dottrina più recente, nell’ambito del processo esecutivo si distingue tra GIURISDIZIONE IN SENSO STRETTO e GIURISDIZIONE IN SENSO AMPIO (questo si ritroverà nella delega delle operazioni di vendita, della possibilità di delegare la vendita forzata ad un professionista, come l’avvocato, il notaio, il commercialista). Perché è importante distinguere tra ciò che è giurisdizione in senso stretto: ciò dove effettivamente il giudice deve fare delle valutazioni, degli accertamenti che solo lui, giudice, può fare e, dove ci sono attività di giurisdizioni c.d. in senso ampio: cioè una serie di attività che si inseriscono comunque nell’iter procedimentale e che, quindi in quanto tali, sono giurisdizionali per arrivare a conseguire quello che è lo scopo del processo esecutivo. L’attività di vendita, che è un sub procedimento, si compone di una serie di attività che sono di giurisdizione in senso ampio, perché si inseriscono in quell’iter del processo esecutivo che deve apportare a quello scopo : trasformare il bene immobile in una somma di denaro da distribuire tra i creditori. E’ quello lo scopo del processo esecutivo. Per raggiungere questo scopo, nel processo esecutivo, ci sono una serie di attività di ius dicere, di giurisdizione in senso stretto, che può fare solo il giudice e una serie di attività, di giurisdizione in senso lato, tipo la vendita forzata, che può svolgere anche un altro soggetto(notaio, avvocato, commercialista).

Per completare il discorso sulle fonti del processo di esecuzione forzata è bisogna chiedersi se i Principi generali del processo civile (il principio della domanda, della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, del contradditorio) devono trovare applicazione anche con riferimento al

processo esecutivo. Questa discorso va fatto ora essendo strettamente collegato alla struttura del processo esecutivo. La risposta è che questi principi devono, comunque, trovare applicazione essendo i principi generali del processo civile e il processo di esecuzione forzata , essendo attività giurisdizionale, come tutti i processi non può non rispettare i principi fondamentali del processo civile. Il processo di esecuzione forzata non è amministrazione ma è attività giurisdizionale, ciò significa che questi principi fondamentali non possono non trovare applicazione. Tuttavia, sul piano strutturale, questo processo esecutivo presenta delle sue peculiarità di cui non si può non tenere conto, anzitutto e fondamentalmente perché ha a monte il titolo esecutivo. Ciò significa che quei principi devono trovare applicazione ma devono fare i conti con la peculiare struttura del processo esecutivo.

Esempi: Trova applicazione il principio della domanda? Certo che trova applicazione, ma dobbiamo fare i conti con le peculiarità strutturali del processo di esecuzione forzata. Quindi: qual è la domanda nel processo di esecuzione forzata? Il primo parametro da prendere in considerazione, qui, è il precetto perché non abbiamo un atto di citazione, il primo atto che la parte fa è il precetto e qui chiede la somma di denaro per la quale agisce. Abbiamo, quindi, una componente sicura della domanda ( il soggetto intima alla controparte ad adempiere entro un determinato termine e a pagare la somma di x, quindi specificando quella che è una componente della domanda) però il titolo esecutivo ed il precetto non sono gli atti iniziali del processo esecutivo perché questo inizia con il pignoramento (titolo e precetto sono atti prodromici). Tuttavia dobbiamo individuare una serie di altri istituti, oltre al precetto con i quali dobbiamo fare i conti. Primo fra tutti è il pignoramento, perché Il processo esecutivo inizia con il pignoramento . Se la domanda è l’atto introduttivo di un processo e l’atto introduttivo del processo esecutivo è il Pignoramento, avremo una componente nel precetto e un ulteriore parametro di riferimento nel pignoramento,

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perché è l’atto con cui inizia il processo esecutivo. Un ultimo elemento da tenere in considerazione è L’intervento di altri creditori perché in questo processo esecutivo non c’è solo la domanda del creditore procedente ma degli altri creditori intervenuti, quindi da tenere in considerazione è L’atto di intervento. Quindi circa la peculiarità del processo esecutivo rispetto al principio domanda si tende a dire che si ha una sorta di FRAZIONAMENTO della domanda, con riferimento al processo esecutivo. Perché non si può individuare un unico atto, come nel processo di cognizione, che mi individua la domanda introduttiva individuabile da un punto di vista soggettivo o oggettivo perché per il tramite di tutti questi istituti mi riesco a ricavare quelli che sono gli elementi che compongono la domanda introduttiva.

Il principio del contraddittorio, ancora, trova applicazione con riferimento nel processo esecutivo? Se n’è dubitato per lungo tempo, ma nel momento in cui ci poniamo in una logica di un’attività giurisdizionale è un principio fondamentale del processo. Trova fondamento, quindi, ma deve essere adattato alle peculiarità del processo esecutivo, quindi le parti sono in una posizione di diseguaglianza. La peculiarità sta nel fatto che il debitore può far valere eventuali suoi rilievi ma non può farlo con l’eccezione, così come fa nel processo di cognizione, ma deve instaurare un processo di opposizione. Ma che il principio del contraddittorio è rispettato è un dato acquisito. Ciò risulta anche da alcune norme: art 485-> norma generale che parla dell’audizione dei soggetti interessati; e norme specifiche-> 483, 495, 496, 530,569, 572, 590, 591, 596; Sono tutti articoli del codice che, a titolo esemplificativo, danno conto di come nell’adottare una serie di provvedimenti, il giudice deve sentire i soggetti interessati e deve sentire anche il debitore e l’art 485 dà la regola generale. Quindi il principio del contraddittorio trova applicazione nel processo esecutivo ma con i dovuti adattamenti, sia perché ci sono una serie di norme che

ne danno contezza ma sarebbe, comunque, ineliminabile avendo rango costituzionale.

Per il diritto di azione non si dubita che una componente del diritto di azione, dotata anche di copertura costituzionale, sia anche il diritto all’esecuzione, in quanto la tutela deve essere effettiva. Se, ad esempio, ho una sentenza di condanna passata in giudicato ma non ho la tutela esecutiva, la sentenza non mi servirà a nulla. Il diritto all’esecuzione, pertanto, non può che essere una componente ineliminabile del diritto d’azione. Eventuali limitazioni di questo diritto all’esecuzione sono possibili solo in casi eccezionali. La Corte Costituzionale ha affermato che, in ogni caso, i limiti all’esercizio del diritto di azione non devono rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa. In linea, quindi, con quanto la Corte Costituzionale ha detto per il diritto di azione con riferimento alla tutela cognitiva, altrettanto ha fatto per la tutela esecutiva. I limiti possono esserci ma vanno valutati caso per caso e non devono mai determinare l’impossibilità di accesso alla tutela esecutiva ( ad esempio: l’azione esecutiva nei confronti della pubblica amministrazione può essere assoggettata a dei termini particolari, a delle modalità particolari, però non può essere totalmente negata).

Quanto al giusto processo esecutivo, come l’art 111 della Cost., si ritiene che trovi applicazione anche con riferimento al processo esecutivo pur dovendosi, anche in questo caso, adattare questi principi fondamentali del processo civile, il c.d. Giusto processo, alle peculiarità del processo esecutivo.

TITOLO ESECUTIVO : bisogna sottolineare l‘importanza di tale titolo esecutivo,perché la presenza di quest’ultimo influenza tutta la struttura del processo esecutivo. L’avere a monte un titolo esecutivo fa si che lo stesso processo esecutivo si caratterizzi per il nascere come

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processo diretto ad attuare il comando contenuto nel titolo e non come processo diretto ad un accertamento (come il processo di cognizione).

Le più recenti riforme (l’ultima del 2005) hanno inciso in maniera significativa sul titolo esecutivo e più specificamente sull’individuazione di quelli che sono i titoli esecutivi.

Riferimento normativo da cui occorre partire è l’art. 474 c.p.c. – titolo esecutivo : “l’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo,liquido ed esigibile. Sono titoli esecutivi…”.

Partiamo dal 1 comma che ci dà indicazioni in ordine alle caratteristiche che deve possedere un diritto contenuto nel titolo perché si possa avere un titolo esecutivo. Il diritto deve infatti essere ex art 474 c.p.c. certo , liquido ed esigibile.

- Il credito deve essere innanzitutto LIQUIDO , ossia determinato nel suo ammontare. Per aversi un titolo esecutivo il credito deve essere determinato nel suo ammontare: non posso avere un titolo esecutivo sulla cui base instaurare un processo esecutivo sulla base di una somma indeterminata.

- Altra caratteristica che deve possedere un titolo per essere esecutivo è l’ ESIGIBILITA’ : il credito contenuto nel titolo non deve essere soggetto a termine o a condizione sospensiva,ovvero il termine deve essere già scaduto o la condizione si deve essere già verificata.

Già sul piano della liquidità e della esigibilità si pone qualche problema. In realtà sulla esigibilità di meno perché il concetto è abbastanza semplice ma sul piano della liquidità il concetto è più complesso di quanto appaia.

Normalmente per dare l’idea di liquidità si rappresenta l’ipotesi in cui nei titoli giudiziali anziché determinare esattamente l’importo del credito a cui viene condannato un soggetto si indicano una serie di riferimenti,operazioni e di parametri sulla cui base la somma può essere individuata. Ciò accade molto spesso nelle sentenze in materia di lavoro per crediti previdenziali dove il giudice non individua la somma finale ma individua una serie di parametri sulla cui base si può arrivare a questa somma finale. Ci si è chiesti se in questi casi tali titoli posseggano il requisito della liquidità e vedremo anche della certezza. Si ritiene per lo più in giurisprudenza che la liquidità, la certezza del titolo esecutivo potrebbe sussistere anche quando la somma pur non essendo determinata nel suo ammontare può essere determinata con una serie di operazioni aritmetiche. Quindi non necessariamente il titolo deve indicare precisamente la somma ma è indispensabile che tale somma possa essere determinata con una serie di operazioni aritmetiche. Si parla di operazioni aritmetiche perché deve essere estranea ogni tipo di valutazione perché nel momento in cui dovesse subentrare un margine di valutazione non si può parlare di liquidità della somma,deve essere un operazione meccanica nel senso che il giudice ha indicato tutti i criteri ma non ha effettivamente effettuato l’operazione.

- Sulla CERTEZZA occorre invece fare un discorso più complesso in quanto occorre parlare anche di non omogeneità dei titoli esecutivi. Vedremo dall’elelencazione dell’art 474 c.p..c che ci sono dei titoli esecutivi che sono giudiziali (sentenza di condanna) e dei titoli esecutivi extragiudiziali (cambiale, titolo di credito, atto pubblico). Il grado di certezza dei titoli extragiudiziali è ovviamente minore rispetto ai titoli esecutivi giudiziali.

In relazione al requisito della certezza si dice quindi che la valutazione su quest’ultima è una valutazione rimessa al legislatore e non c’è un omogeneità dei titoli esecutivi sotto il profilo della certezza : è il

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legislatore che caso per caso valuta se è opportuno attribuire la valenza di titolo esecutivo a un determinato documento per svariati motivi. Ad esempio il motivo per i titoli esecutivi giudiziali è evidente in quanto hanno il massimo della certezza per altri titoli invece,ad esempio per l’atto pubblico la valutazione del legislatore è legata alla particolare affidabilità del soggetto,ossia il notaio o il pubblico ufficiale che redige questo atto pubblico. Quindi volta per volta possono esserci diversi motivi che spingono il legislatore nel fare questo tipo di valutazione. Si tratta in ogni caso di una valutazione molto delicata perché per la scelta effettuata dal legislatore in termini di certezza scatta la funzionalità del sistema : se il legislatore decide di attribuire la valenza di titolo esecutivo a un determinato atto , se quell’atto è veramente dotato di una certa certezza si ha un risparmio in termini di energie processuali perché se già si dà ad un determinato documento tipo l’atto pubblico, la valenza di titolo esecutivo, per poter ottenere la prestazione contenuta in quell’atto pubblico si può direttamente ricorrere al processo esecutivo. Se invece non attribuisco la valenza di titolo esecutivo a quell’atto pubblico è necessario prima un processo di cognizione. Nel caso in cui il legislatore non fa una valutazione corretta non si ottiene alcun vantaggio perché è chiaro che quella cognizione che non sta a monte deve stare a valle e quindi deve comunque rientrare per il tramite dei giudizi oppositivi,quindi ogni qualvolta si attribuisce la valenza di titolo esecutivo a un documento che non è propriamente dotato di questa certezza è molto probabile che non si eviti il passaggio della cognizione perché lo si ritrova per il tramite del giudizio oppositivo. Quindi sono delle valutazioni che il legislatore fa caso per caso: originariamente, fino alla riforma del 2005,era titolo esecutivo l’atto pubblico ma non era titolo esecutivo la scrittura privata autenticata. Con la riforma del 2005 è divenuto titolo esecutivo anche la scrittura privata autenticata a dimostrazione del fatto che il legislatore ha fatto una valutazione diversa nel corso del tempo. Prima riteneva che la scrittura privata autenticata non fosse dotata di quella sufficiente certezza tale da attribuirle la

valenza di titolo esecutivo e dal 2005 in poi ha fatto questo tipo di valutazione.

Inoltre, la certezza del titolo esecutivo non incide sulla possibilità o meno di attivare il processo di esecuzione forzata,una volta che ad un atto si attribuisce la valenza di titolo esecutivo -sia esso giudiziale o stragiudiziale- questo è idoneo ad attivare il processo di esecuzione forzata.

La minore o maggiore certezza di cui sono dotati i titoli esecutivi non è però del tutto irrilevante perché essa ha delle ricadute : a seconda che il titolo esecutivo sia giudiziale o stragiudiziale , nel diritto di opposizione si ha un margine di manovra più ampio o più ristretto. Se si tratta di un titolo esecutivo giudiziale e se del caso passato in giudicato ,si ha un margine di manovra limitatissimo dovuto al vincolo del giudicato o comunque anche se non passato in giudicato si ha il vincolo del principio della non permeabilità tra motivi di opposizione e motivi di appello:tutte le eventuali doglianze devono essere fatte valere con il giudizio di appello e non con il giudizio di opposizione. Quindi il margine di manovra che si ha in sede di opposizione all’esecuzione a fronte di un titolo giudiziale è molto limitato. Se si tratta di un titolo extragiudiziale non vi sono tutti questi limiti. Quindi la maggiore o minore certezza del titolo esecutivo non ha una sua ricaduta in termini di possibilità o meno di attivare il processo di esecuzione forzata ma ha delle ricadute significative nell’ambito di quelle parentesi cognitive , ossia il giudizio di opposizione, che si inseriscono nell’ambito del processo di esecuzione forzata.

Nel momento in cui il legislatore decide di attribuire la valenza di titolo esecutivo ad un determinato documento,se quel documento è dotato di maggior certezza, porta con se queste garanzie anche nell’unica parentesi cognitiva possibile che è il giudizio di opposizione; se non è

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dotato di quelle determinate garanzie, sconterà questa lacuna nell’unica parentesi cognitiva possibile ce è il giudizio di opposizione nell’ambito del processo di esecuzione forzata.

TITOLI ESECUTIVI IN FORZA ALL’ART.474 C.P.C. E PROBLEMATICHE INTERPRETATIVE.

L’art. 474 c.p.c. dice:“Sono titoli esecutivi:

1)  le  sentenze,  i  provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva;2) le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute, le cambiali, nonché gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia; (Numero così sostituito dall’art. 1 della legge 28 dicembre 2005, n. 263)3)  gli  atti  ricevuti  da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge  a  riceverli,[  o  le  scritture  private autenticate,  relativamente  alle  obbligazioni di somme di denaro in essi contenute] (Parole soppresse dall’art. 1 della legge 28 dicembre 2005, n. 263) ”

Al n.1) la norma parla genericamente di sentenze: è pacifico che le uniche sentenze che costituiscono titolo esecutivo sono le sentenze di condanna e non le sentenze di mero accertamento o costitutive. In merito ai i  provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva bisogna dire che l’inciso “gli altri atti” è legato alle recenti riforme il cui dato più significativo è che si ritiene pacificamente che in questi altri atti rientrino anche i verbali di conciliazione.

Al n.2) in forza delle più recenti riforme sono divenuti titoli esecutivi anche le scritture private autenticate che prima non costituivano titolo esecutivo,mentre erano già titolo esecutivo le cambiali e i titoli di credito.

In relazione alle scritture private autenticate il problema principale che si pone è se la valenza di titolo esecutivo sia da attribuire alla sola scrittura privata autenticata in modo più aderente alla lettera della norma o anche alle scritture private che divengono autenticate in forza del riconoscimento di cui all’art. 215 cpc. La scrittura privata autenticata trova infatti la sua efficacia probatoria nell’ambito del processo civile o in forza dell’autenticazione di un pubblico ufficiale che accerta la provenienza delle sottoscrizioni,o nell’ambito del processo in forza dell’art. 215 cpc : “la controparte ,cioè il soggetto nei cui confronti viene prodotta in giudizio una scrittura privata, ha l’onere disconoscerla nella prima difesa utile se non lo fa si dà per riconosciuta.”

Quindi si è posto il problema se anche queste scritture private che non sono state disconosciute ex art. 215 cpc costituiscano titolo esecutivo ex art 474cpc, o in aderenza alla lettera della norma sono titolo esecutivo solo quelle che sono state autenticate dal pubblico ufficiale. Ci si chiede cioè se l’equiparazione alla scrittura privata autenticata dell’art. 215 cpc sia limitata all’efficacia probatoria del processo a cognizione piena, o se gli si può dare una valenza maggiore tanto da far si ce diventi titolo esecutivo ex 474 cpc. Su tale punto non c’è una soluzione pacifica,ma la dottrina maggioritaria tende a dare un interpretazione restrittiva e a ritenere titolo esecutivo solo le scritture private autenticate. Altra parte della dottrina invece ritiene che anche il meccanismo di cui al 215 cpc consentirebbe alla scrittura privata la possibilità di avere titolo esecutivo.

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Al n. 3) l’atto pubblico era già considerato in passato titolo esecutivo,ma si sono avute anche a tale proposito novità.

Per cosa sono titoli esecutivi questi titoli?L’ultima parte della norma dice che non tutti questi documenti sono titolo esecutivo per tutte le forme di esecuzione forzata, espropriazione ed esecuzione specifica.

“L’esecuzione forzata per consegna o rilascio non può aver luogo che in virtù dei titoli esecutivi di cui ai numeri 1) e 3) del 2 comma” (per intenderci sentenze,altri provvedimenti ed atto pubblico). Quindi deduciamo che la scrittura privata autenticata è si divenuta titolo esecutivo in forza della riforma del 2005, ma solo per le obbligazioni al pagamento di una somma di denaro: sulla base di una scrittura privata autenticata si può attuare un processo di espropriazione forzata ma non di esecuzione specifica.

Anche l’atto pubblico ha avuto novità nel 2005 perché fino ad allora era titolo esecutivo esclusivamente per il pagamento di una somma di denaro,in forza dell’ultimo inciso sopra menzionato invece,anche l’atto pubblico (non solo la sentenza) è titolo esecutivo per l’esecuzione per consegna o rilascio,mentre non è titolo esecutivo per l’esecuzione di obblighi di fare o non fare.

LA SUCCESSIONE NEL DIRITTO CONTROVERSO , IL TITOLO ESECUTIVO E IL PROCESSO ESECUTIVO.

Per il TITOLO ESECUTIVO bisogna precisare che sotto il profilo soggettivo sia esso giudiziale o extragiudiziale si avrà un soggetto a favore del quale è prevista una determinata prestazione e un soggetto che è tenuto, è obbligato,a realizzare una determinata prestazione. Può però accadere che si verifichino delle modificazioni di ordine soggettivo proprio come si è visto nel caso di successione a titolo universale o a

titolo particolare nel processo a cognizione piena : è possibile che nella pendenza del processo cambi la titolarità del bene oggetto del processo e quindi gli artt.110 e 111 cpc dettano una disciplina per regolare tale fenomeno.

Questo problema può riguardare anzitutto il titolo esecutivo: cioè prima che inizi il processo esecutivo e dopo che già è stato emesso il titolo esecutivo, è possibile che si abbia una modificazione soggettiva sia dal lato attivo che passivo del rapporto; Gli artt. 475 e 477 cpc si occupano di questa tematica con riferimento al titolo esecutivo. Non c’è invece alcuna norma che si occupa di questa tematica con riferimento al processo esecutivo.

1 ipotesi ) il fenomeno successorio – a titolo universale o particolare – si verifica nel corso del processo di cognizione: il problema in questo caso è dei limiti soggettivi del titolo esecutivo, cioè della sentenza di condanna. La prima ipotesi successione riguarda il processo di cognizione che ha una disciplina espressa ex artt.110-111 cpc.

Il fenomeno della successione ,a titolo universale o particolare,nel diritto controverso può porsi come una successione che si verifica PRIMA del processo esecutivo, quindi nella pendenza del processo di cognizione: questo è solo un problema di limiti soggettivi del titolo esecutivo, perché il titolo esecutivo è la sentenza di condanna e si tratta di chiedersi quali siano il limiti soggettivi di questo titolo esecutivo. Ci si chiede cioè se il titolo esecutivo sentenza di condanna può essere utilizzato solo dai soggetti indicati nella sentenza di condanna o anche dai soggetti diversi che sono subentrati in quel determinato rapporto ,a titolo universale o particolare, guardandolo dal lato attivo del rapporto;dal lato passivo se quel titolo esecutivo sentenza di condanna

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può essere utilizzato contro soggetti diversi da quelli indicati nel titolo esecutivo , che potrebbero essere gli eredi nella successione a titolo universale , o dei soggetti subentrati a titolo particolare ad. Es. acquistando l’immobile oggetto di quella sentenza.

2 ipotesi ) Successione nel titolo esecutivo : il fenomeno successorio si verifica dopo che c’è già la sentenza di condanna quindi nel titolo esecutivo ma prima che si è instaurato il processo di esecuzione. Anche qui ci dobbiamo porre questo tipo di problema dal lato attivo e dal lato passivo del rapporto,perché la successione potrebbe riguardare la posizione attiva chi ha diritto ad ottenere la prestazione , o la posizione passiva chi è obbligato a tenere una determinata prestazione. Per quanto riguarda invece la 2 ipotesi,ovvero la successione nel titolo esecutivo abbiamo gli artt 475 e 477 cpc

3 ipotesi ) il fenomeno successorio –a titolo universale o a titolo particolare – si verifica nel corso del processo esecutivo che inizia con il pignoramento. In relazione alla 3 ipotesi , successione nel processo esecutivo , non abbiamo alcuna norma e dobbiamo chiederci come viene disciplinato tale fenomeno e se possiamo far applicazione e in quale misura degli artt 110-111 cpc che sono le uniche norme di cui disponiamo.

Stiamo discutendo a seconda delle varie ipotesi della possibilità di attivare o meno il processo di esecuzione forzata nei confronti di un soggetto diverso da quello indicato nel titolo,della possibilità o meno che un determinato soggetto utilizzi i rimedi oppositivi e se del caso quali. Se il fenomeno successorio si verifica nella pendenza del processo esecutivo il debitore originario è parte o è terzo? È parte il debitore originario o il soggetto che vi è subentrato? Perché se è parte deve utilizzare l’opposizione all’esecuzione o opposizione agli atti esecutivi, se è un terzo deve utilizzare l’opposizione di terzo.

2° IPOTESI:SUCCESSIONE NEL TITOLO ESECUTIVO artt. 475 e 477 cpc In linea generale si tratta di stabilire nel momento in cui ci sia una modificazione attiva o passiva del rapporto di cui al titolo esecutivo se l’esecuzione forzata possa comunque essere instaurata dal nuovo titolare del diritto o possa essere instaurata nei confronti del nuovo titolare del diritto. Si tratta quindi di ritenere se questo titolo esecutivo possa essere utilizzato o meno e se del caso con quali ricadute sul processo esecutivo.

Scelte del nostro legislatore in riferimento al processo esecutivo: il nostro ordinamento con riferimento al processo esecutivo , a differenza di altri ordinamenti tipo quello tedesco, ha fatto una scelta di campo nel senso di non prevedere nessuna forma di accertamento nella fase introduttiva all’instaurazione del processo di esecuzione forzata,nessuna verifica in ordine all’attualità dell’esistenza del diritto consacrato nel titolo esecutivo e questo vale ance per la titolarità soggettiva del rapporto. Anche con il titolo esecutivo certo , come una sentenza di condanna passata in giudicato che afferma ad esempio il diritto di un soggetto ad ottenere il pagamento di 100, non si avrà mai la certezza che il diritto consacrato nel titolo sia attuale perché non potrà mai dare garanzia in ordine a dei fatti sopravvenuti: il giudicato non può coprire i fatti sopravvenuti (es. se A ha una sentenza passata in giudicato che lo condanna al pagamento di 100 e B paga 50 , c’è un fatto sopravvenuto. In realtà si potrebbe procedere all’esecuzione forzata per 50 non per 100.). In relazione a questo tipo di problema l’ordinamento può optare o per una verifica in limine al processo esecutivo in ordine all’attualità della pretesa contenuta nel titolo come ha fatto a grandi linee l’ordinamento tedesco; l’ordinamento italiano ha fatto questa scelta: non prevede alcun accertamento preventivo, ma l’ha reso eventuale posticipandolo nell’eventuale sede dell’opposizione.

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Il nostro legislatore non effettua quindi alcuna verifica preliminare sull’attualità del comando contenuto nel titolo, ma se si attiva un titolo esecutivo non più “attuale” , sarà allora onere della controparte instaurare un giudizio di opposizione nel cui ambito contestare l’altrui diritto a procedere all’esecuzione forzata. La scelta di campo è o si fa la verifica preliminarmente per evitare di instaurare una esecuzione illegittima, o si rende meramente eventuale e la si rimette all’iniziativa del soggetto obbligato. Queste diverse scelte di campo rendono problematica la tematica di cui ci stiamo occupando in ordinamento che ha fatto una scelta come la nostra. Perche se l’ordinamento fa una scelta in limine litis dell’attualità del comando del titolo , questo controllo potrebbe riguardare non solo il profilo oggettivo del diritto ma anche quello soggettivo della titolarità e quindi la successione potrebbe essere oggetto della verifica. Nel nostro ordinamento , che non prevede questa sede processuale non ha nemmeno una sede dove possa essere fatta una verifica in ordine all’effettivo verificarsi di questo fenomeno successorio, anche questa finisce per essere una mera affermazione del titolare del diritto che afferma sulla base del titolo esecutivo di essere l’erede di tizio e di attuare il titolo o di essere il soggetto che è subentrato nella proprietà di quel determinato immobile. Non c’è quindi una fase deputata ad effettuare una verifica che possa essere estesa anche a questo passaggio. Quindi questo nell’impostazione prevalente.

Il dato fondamentale è che la problematica è molto delicata nell’assenza quantomeno in via espressa di una previsione codicistica in merito ad una verifica in ordine alla successione a titolo universale o particolare di un titolo esecutivo.

Le uniche norme che troviamo nel codice sono 475 e 477: è possibile utilizzare il titolo esecutivo nei confronti di un soggetto diverso da quello indicato nel titolo?

ART: 475 cpc – Spedizione in forma esecutiva – “Le sentenze e gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, per valere come titolo per l'esecuzione forzata, debbono essere muniti della formula esecutiva, salvo che la legge disponga altrimenti [disp. att. 153].”

“La spedizione del titolo in forma esecutiva può farsi soltanto a favore della parte alla quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l’obbligazione o ai suoi successori, con indicazione in calce della persona alla quale è spedita”

La norma disciplina un peculiare adempimento a cui devono essere assoggettati i titoli esecutivi perché possa essere attivato il processo di esecuzione forzata: devono essere spediti in forma esecutiva,ossia deve essere apposta la formula esecutiva

Quindi nel 475 cpc un riferimento ai successori c’è e fa riferimento ai soggetti “a favore dei quali” quindi si occupa sostanzialmente dell’ipotesi del lato attivo del rapporto e tale norma dice che la spedizione può essere fatta anche in favore dei successori ma non dice altro. E’ chiaro quindi che questa diviene una norma particolarmente delicata che apre questioni delicate in sede interpretativa: prima su tutte questa norma si applica anche alla successione a titolo particolare o solo alla successione universale? Sorgono questi dubbi perché l’art. 477 cpc che invece si occupa del lato passivo del rapporto non parla di successori ma parla di eredi,quindi è più semplice affermare per il 477 cpc che si riferisce alla successione a titolo universale. L’art 475 cpc che invece parla di successori lascia questo dubbio tant’è vero che parte della dottrina ritiene che nel 475 rientri anche la successione a titolo particolare ,non solo quella a titolo universale.

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ART. 477 cpc - Efficacia del titolo esecutivo contro gli eredi – “Il titolo esecutivo contro il defunto ha efficacia contro gli eredi, ma si può loro notificare il precetto soltanto dopo dieci giorni dalla notificazione del titolo. Entro un anno dalla morte, la notificazione può farsi agli eredi collettivamente e impersonalmente, nell’ultimo domicilio del defunto.”

Abbiamo due norme che seppur in modo stringato disciplinano questo fenomeno della successione nel titolo. Stiamo considerando in questa disamina la corrente dottrinale che ritiene che gli artt. 475-477 si riferiscano proprio all’ipotesi in cui la successione si è verificata nel titolo esecutivo e non nel processo di cognizione perché si potrebbe anche ritenere , come fa altra parte della dottrina, che in fondo queste due norme non sono altro che un completamento del 110e del 111 cpc continuando a disciplinare il fenomeno in cui la successione si sia verificata nel processo di cognizione e si limitano a dire che in quell’ipotesi di fenomeno di successione il titolo esecutivo può essere esperito anche nei confronti dei successori e il titolo esecutivo può essere utilizzato nei confronti degli eredi.

Quindi primo problema in relazione a queste norme è chiedersi se si riferiscano al fenomeno di successione nel processo di cognizione o alla successione nel titolo esecutivo: se si ritiene che si riferiscono all’ipotesi della successione nel titolo esecutivo si può anche ritenere risolto un problemino nel senso che stiamo ritenendo che esistono delle norme nel codice che disciplinano il fenomeno della successione nel titolo esecutivo,altrimenti dovremo concludere che neanche questo fenomeno è disciplinato. Anche se riteniamo di avere queste due norme si tratta comunque di norme formulate in modo stringato ed equivoco: la prima ci dice che il titolo può essere esperito anche a favore dei successori e la seconda ci dice che il titolo vale contro gli eredi (la seconda dà minori

problemi perché parlando di eredi circoscrive l’ambito di applicazione riferendosi alla successione a titolo universale).

Il primo grosso problema invece che pone la prima norma è se si riferisce anche alla successione a titolo particolare o solo a quella titolo universale:secondo i più (la questione è particolarmente controversa anche in giurisprudenza) si riferisce anche alla successione a titolo particolare.

A questo punto sorge questo problema:se si riferisce anche alla successione a titolo particolare ci si chiede se il pubblico ufficiale debba effettuare un controllo nel momento in cui effettua questa spedizione in ordine all’intervenuta successione o non debba fare alcun controllo. Anche qui c’è una norma nelle disposizioni d’attuazione che è l’art. 153 che sul rilascio del titolo esecutivo dice “ Il cancelliere rilascia la copia in forma esecutiva a norma dell'articolo 475 del codice quando la sentenza o il provvedimento del giudice è formalmente perfetto.” Quindi un controllo da parte del cancelliere è previsto ma non è certo il controllo relativo all’intervenuta successione,perché nel momento in cui parla di un provvedimento formalmente perfetto si riferisce alla veste formale della sentenza, quindi non abbiamo una norma che parla di un controllo sul punto o possa essere interpretata estensivamente.

Ciò nonostante,non manca in dottrina chi ritiene (come Capponi nel nostro testo) che il cancelliere dovrebbe comunque fare un controllo in ordine all’intervenuta successione,anche se la verifica effettuata dal cancelliere non avrebbe alcuna efficacia preclusiva. La posizione prevalente tende a ritenere che non debba essere fatto alcun controllo perché è una scelta del legislatore di non fare nessun controllo in limine litis e di posticipare anche questo tipo di controllo – così come ogni altro tipo di verifica in ordine alla legittimità del processo esecutivo – all’instaurazione di un giudizio di opposizione.

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Delle due norme quindi a dare maggiori problemi è il 475 cpc.

3°IPOTESI:SUCCESSIONE NEL DIRITTO CONTROVERSO –A TITOLO UNIVERSALE/PARTICOLARE- CHE SI VERIFICA NELLA PENDENZA DEL PROCESSO ESECUTIVO.

Si ha una successione o dal lato attivo o dal lato passivo del rapporto,cambia il titolare o il soggetto obbligato.

Anche questa è una problematica estremamente delicata perché , la soluzione che si accolga sul punto, ha delle ricadute pratiche molto importanti tanto in riferimento all’ipotesi di successione dal lato passivo che dal lato attivo del rapporto.

Bisogna sottolineare in questo caso la totale assenza di norme di riferimento ,possiamo far riferimento solo agli artt. 110-111 cpc che disciplinano la successione a titolo universale o a titolo particolare nel diritto controverso con riferimento al processo di cognizione. Da sempre la dottrina si interroga in ordine all’applicazione degli artt 110-111 con riferimento al processo esecutivo. L’impostazione che tende a prevalere, è che quelle norme possano trovare applicazione ma devono essere adattate necessariamente al processo esecutivo. E’ questo il grosso problema perché si tratta di intendersi sul concetto di “adattamento”.

Dal lato passivo del fenomeno (nella pendenza del processo esecutivo nel lato passivo del rapporto –debitore- si ha un fenomeno successorio),le uniche norme a cui possiamo far riferimento sono nel cod. civile e disciplinano gli effetti della vendita dal debitore ad un terzo ma disciplinano i soli effetti sostanziali della vendita non c’è alcuna norma che disciplina sul piano procedurale questo fenomeno. C’è una perpetuatio legitimationis, l’esecuzione prosegue nei confronti del

debitore? La parte del processo esecutivo continua ad essere il debitore,dopo che si è verificato il fenomeno successorio,o è il terzo?

La prima ricaduta importante in relazione a tale tema è stabilire quali sono i rimedi dei quali può avvalersi il terzo o il debitore. Se parte continua ad essere il debitore si può avvalere dei rimedi della parte e non del terzo, che sono l’opposizione all’esecuzione e l’opposizione agli atti esecutivi. Se invece è il terzo ad essere parte per effetto del fenomeno successorio si dovrà avvalere dei rimedi del terzo e non della parte,quindi dell’opposizione di terzo ex art. 619 cpc. Quando si vedranno i rimedi oppositivi si noterà che oltre che cambiare i rimedi cambiano anche i termini per proporli e cambiano anche le tipologie di vizi che si possono far valere. E’ quindi molto importante sapere se dopo la successione un soggetto deve essere considerato terzo o parte ,quindi se ad un soggetto spettano i poteri della parte o del terzo.

Prima ricaduta quindi molto importante è legata alla individuazione dei rimedi oppositivi di cui può disporre il soggetto.

Anche sotto questo profilo non esiste una soluzione univoca e dottrina e giurisprudenza sono divise: una sentenza della giurisprudenza del 1985 aveva ritenuto che il terzo acquirente assume la veste di successore a titolo particolare e quindi tale sentenza diceva che pur non trovando applicazione diretta il 111 operavano comunque i principi fondamentali a cui si ispira il 111 e quindi questo soggetto aveva la possibilità di proporre opposizione ex 615 e ex 617 ,quindi poteva proporre i rimedi oppositivi della parte subentrando nel processo e utilizzare l’opposizione agli atti esecutivi e l’opposizione all’esecuzione. Quindi la cassazione dice che pur non potendo trovare applicazione diretta il 111 che è dettato per il processo di cognizione si devono applicare i medesimi principi e quindi si tratta il soggetto acquirente come un successore a titolo particolare abilitato ad utilizzare i rimedi della parte.

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In più recente sentenza del 1993 e una del 2004 la Cassazione ha invece ritenuto che “ l’acquirente del bene pignorato non può intervenire neppure in via lesiva nell’espropriazione forzata essendogli preclusa ogni attività ex 617 –cioè ogni attività di opposizione agli atti esecutivi- di sindacato del processo esecutivo,e non può divenire parte , soggetto passivo dell’esecuzione. L’unico mezzo di tutela riconosciutogli è l’opposizione di terzo ex art.619 al fine di far valere l’originaria inesistenza o la nullità assoluta del vincolo originale e quindi di sottrarre il bene all’espropriazione. Al terzo acquirente del bene pignorato è riconosciuta solo la facoltà di partecipare alla distribuzione del prezzo che residua una volta che sia stato soddisfatto il creditore precedente che è intervenuto.” si tratta quindi di una posizione diametralmente opposta : a seconda della posizione che si accoglie è chiaro che cambia la posizione del debitore e dell’acquirente del bene pignorato. A seconda di chi si consideri parte del processo: se la parte è chi ha acquistato il bene pignorato allora questo dovrà disporre di tutti i poteri della parte accedendo ai rimedi oppositivi ex 615 e 617 come aveva fatto la cassazione nell’ 85; se invece si segue l’impostazione della Cassazione del 2004 occorre prendere atto che questo soggetto rimane un terzo e l’unico rimedio che potrà utilizzare è quello del terzo ossia l’opposizione di terzo all’esecuzione,parte continuerà ad essere il debitore che continuerà ad avere tutti i poteri della parte.

In dottrina –questa posizione è seguita anche da Capponi- si tende a ritenere che il 111 non può trovare applicazione diretta però si può applicare quello che è un principio fondamentale della disciplina del 111 ossia la perpetuatio legitimationis del debitore,nel senso che il giudizio prosegue nei confronti del debitore. Questa dottrina dice anche che in realtà per stabilire quali sono le parti del processo esecutivo bisognerebbe guardare al pignoramento perché si dice che quello è il momento che cristallizza la situazione e in quel momento appare chiaro chi è il debitore e chi è il creditore e quindi eventuali ulteriori

modificazioni delle posizioni soggettive non incidono sulla qualità di parte.

Questo guardando al lato passivo.

Consideriamo ora il lato attivo. Qui si ha una scorporazione tra ciò che risulta dal titolo esecutivo e la realtà materiale del rapporto e del fenomeno successorio.

Qui le ricadute fondamentali sono diverse: la più importante che è stata oggetto di una sentenza della cassazione è quella di chiedersi se il debitore esecutato sia legittimato o meno a proporre opposizione all’esecuzione ex art. 615 deducendo che colui sta procedendo nell’esecuzione forzata non è più il suo creditore. Quindi ci si chiede se a seguito di un fenomeno successorio è possibile che il debitore proponga opposizione ex 615 e che basi questa opposizione solo sul fatto che quel creditore non è più il creditore perché si è verificato un fenomeno successorio dal lato attivo.

Anche su questo punto non c’è uniformità di considerazioni.

Ci si chiede anche se il creditore non è più tale – perché si è avuto il fenomeno successorio- è legittimato a ricevere il pagamento in sede di distribuzione forzata o eventualmente in sede anticipata (come per la conversione del pignoramento) per un credito del quale non è più titolare (sempre a perché a causa del fenomeno successorio c’è un nuovo creditore.). Ci si chiede,in sostanza, se il pagamento fatto al “vecchio” creditore abbia un efficacia liberatoria.

La Cassazione ,in una sentenza del 2001,ha ritenuto che oggetto dell’opposizione potrebbe essere la mera titolarità del diritto,cioè l’essere attualmente creditore. Questa sentenza della Cassazione dice

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che il debitore può opporsi e può addurre a motivo di opposizione il semplice fatto che quel creditore non è più il suo effettivo creditore perché c’è un nuovo creditore. Questa sentenza è stata fortemente criticata da buona parte della dottrina che ha sostenuto una posizione opposta a questa basandosi su diverse argomentazioni. La corrente dottrinale del testo di Capponi- ha argomentato facendo leva sulle argomentazioni che abbiamo richiamato in precedenza, cioè facendo leva sul fatto che la cristallizzazione del rapporto si ha al momento del pignoramento dove appunto si va a stabilire chi è creditore e chi è debitore. Questa posizione fa buon gioco nel momento in cui si arriva a ritenere che non può essere legittimo motivo di opposizione ex art. 615 il fatto che si sia modificata la titolarità attiva del rapporto , cioè che ci sia un nuovo creditore, perché se il pignoramento cristallizza, quel creditore è un creditore che può portare avanti al procedura esecutiva (non si può proporre opposizione solo facendo leva sul fatto che un soggetto non è più il creditore , coerentemente il creditore che può avere le somme della distribuzione forzata è il creditore che può ricevere le somme in sede di conversione del pignoramento). Problematiche anche queste che sono state risolte in modo diametralmente opposto dalla giurisprudenza.

ATTIVITA’ PRELIMINARI RISPETTO AL PROCESSO DI ESECUZIONE FORZATA: NOTIFICAZIONE DEL TITOLO ESECUTIVO E PRECETTO.

ATTO DI PRECETTO :CONTENUTO

art. 480 – Forma del precetto : “Il precetto consiste nell'intimazione di adempiere l'obbligo risultante dal titolo esecutivo entro un termine non minore di dieci giorni, salva l'autorizzazione di cui all'articolo 482, con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà a esecuzione forzata. 

Il precetto deve contenere a pena di nullità l'indicazione delle parti, della data di notificazione del titolo esecutivo, se questa e' fatta separatamente, o la trascrizione integrale del titolo stesso, quando e' richiesta dalla legge. In quest'ultimo caso l'ufficiale giudiziario, prima della relazione di notificazione, deve certificare di avere riscontrato che la trascrizione corrisponde esattamente al titolo originale.Il precetto deve inoltre contenere la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione. In mancanza le opposizioni al precetto si propongono davanti al giudice del luogo in cui e' stato notificato, e le notificazioni alla parte istante si fanno presso la cancelleria del giudice stesso. Il precetto deve essere sottoscritto a norma dell'articolo 125 e notificato alla parte personalmente a norma degli articoli 137 e seguenti.”

Il comma 2 prevede che il precetto deve contenere a PENA DI NULLITA’ :l'indicazione delle parti , della data di notificazione del titolo esecutivo, se questa e' fatta separatamente, la trascrizione integrale del titolo stesso, quando e' richiesta dalla legge. Quindi se il precetto non contiene questi elementi è nullo.

Invece deve ANCHE contenere la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione (comma 3) :se non contiene questi elementi il precetto non sarà nullo ma la sanzione sarà che in mancanza le opposizioni al precetto si propongono davanti al giudice del luogo in cui e' stato notificato, e le notificazioni alla parte istante si fanno presso la cancelleria del giudice stesso. 

Il precetto deve quindi indicare :

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-le parti del rapporto (soggetto attivo e passivo);

-l’oggetto della prestazione contenuta nel titolo;

-l’intimazione ad adempiere entro un determinato termine (minimo 10 giorni salvo l’autorizzazione dell’art 482 che dice che per motivi di urgenza il presidente del tribunale può autorizzare a derogare al termine dei 10 gg e a procedere prima di quei 10 giorni. Quindi la regola sarebbe non prima dei 10 gg e vedremo che lo stesso codice di proc. Civile prevede anche un termine massimo che non deve eccedere i 90 giorni. Questo significa che il processo di esecuzione forzata non deve iniziare oltre 90 giorni altrimenti c’è la perdita di efficacia.);

-avvertimento al soggetto (l’avvertimento si colloca nella logica della funzione del precetto che in sostanza è quella di consentire al debitore di adempiere e quindi di evitare di subire il processo di esecuzione forzata e di avvertirlo che può al contempo proporre opposizione all’esecuzione se sussistono dei motivi.).

La struttura del precetto completa il discorso fatto precedentemente perché se la logica è che il processo di esecuzione ha a monte un titolo,che il titolo regge tutto il processo esecutivo, che le parentesi cognitive sono solo eventuali e che non c’è nessun accertamento in limine nel processo esecutivo logica vuole che con un atto introduttivo preliminare (che è il precetto) si possa intimare al debitore di pagare entro una determinata data o si darà inizio al processo di esecuzione forzata indicandogli che ha la possibilità di proporre opposizione al precetto. La logica è che si danno quei 10 giorni per evitare l’esecuzione forzata o per provocare quel processo a cognizione piena con l’opposizione al precetto che garantisce in qualche modo lo svolgimento di un processo cognitivo , un accertamento, prima che sia aggredita la sfera possessoria del soggetto obbligato. In fondo finchè non c’è il

pignoramento il soggetto non viene aggredito,non ha nessun danno, gli viene notificato il titolo esecutivo e il precetto: questa è anche la logica degli atti preliminari rispetto al processo di esecuzione forzata.

NATURA DELL’ATTO DI PRECETTO : è equivoca, nel senso che sotto il codice del 1865 non si dubitava del fatto che l’atto di precetto avesse natura processuale a tutti gli effetti,tant’è vero che l’atto di precetto,nel caso di esecuzione immobiliare, veniva trascritto nei registri immobiliari con effetti analoghi a quelli del pignoramento (quindi ha dignità di un atto processuale.).

Nel codice del 1940 poiché viene trascritto il pignoramento e il processo esecutivo inizia solo con il pignoramento, ci si interroga sulla natura dell’atto di precetto e se sia un atto di natura processuale. In realtà è un atto esterno al processo esecutivo perché quest’ultimo inizia con il pignoramento,però è un atto strettamente collegato al processo esecutivo perché si tratta di un atto prodromico rispetto al processo esecutivo ed è un atto che perde efficacia se entro 90 gg non si inizia il processo esecutivo con il pignoramento ( se si notifica un atto di precetto si ha questo spazio temporale non prima di 10 gg e poi si ha lo spazio di 90 gg per effettuare il pignoramento perché altrimenti il precetto perde efficacia).

NOTIFICAZIONE DEL TITOLO ESECUTIVO E DEL PRECETTO.Art. 479 cpc - Notificazione del titolo esecutivo e del precetto “Se la legge non dispone altrimenti, l'esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo in forma esecutiva e del precetto. La notificazione del titolo esecutivo deve essere fatta alla parte personalmente a norma degli artt. 137 e seguenti.

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Il precetto può essere redatto di seguito al titolo esecutivo ed essere notificato insieme con questo, purché la notificazione sia fatta alla parte personalmente.”Si tratta di individuare il rapporto che intercorre tra titolo esecutivo e precetto e quale disciplina li regola in relazione alla notificazione. Il codice prevede espressamente la possibilità che il precetto il titolo esecutivo siano notificati insieme ma in questo caso la notifica deve essere fatta alla parte personalmente. Il quadro viene definitivamente completato dagli artt. 481 e 482 che disciplinano la cessazione dell’efficacia del precetto e il termine per adempiere.

Art. 481 cpc - Cessazione dell'efficacia del precetto “Il precetto diventa inefficace, se nel termine di novanta giorni dalla sua notificazione non e' iniziata l'esecuzione. [NON è INIZIATO IL PIGNORAMENTO]Se contro il precetto e' proposta opposizione, il termine rimane sospeso e riprende a decorrere a norma dell'articolo 627.”

Art. 482 cpc- Termine ad adempiere “ Non si può iniziare l'esecuzione forzata prima che sia decorso il termine indicato nel precetto e in ogni caso non prima che siano decorsi dieci giorni dalla notificazione di esso;[salvo] ma il presidente del tribunale competente per l'esecuzione o un giudice da lui delegato, se vi e' pericolo nel ritardo, può autorizzare l'esecuzione immediata, con cauzione o senza[la logica qui è se questi 10 gg potrebbero pregiudicare il diritto e c’è assoluta urgenza – questo lo valuta il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato- il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato autorizza a pignorare anche prima dei 10 giorni eventualmente disponendo una cauzione. La cauzione viene utilizzata come contro cautela perché autorizzare con urgenza di pignorare un bene immobile se poi la richiesta è infondata potrebbe determinare un danno a carico della controparte]. L'autorizzazione e' data con decreto scritto in calce

al precetto e trascritto a cura dell'ufficiale giudiziario nella copia da notificarsi.”

ESPROPRIAZIONE FORZATA

Abbiamo individuato quelle che sono le varie tipologie di esecuzione che vengono in rilievo e cioè l’esecuzione forzata e l’esecuzione indiretta e rispetto all’esecuzione forzata le varie sottodistinzioni,inquadrando in prima battuta l’espropriazione forzata come peculiare species del processo di esecuzione forzata. Tutti i processi d’esecuzione sono preceduti da attività preliminare quali la notificazione del titolo esecutivo e del precetto, attività comuni a tutti i processi esecutivi.

E’ molto importante che nell’ambito del processo di espropriazione forzata si abbiano presenti le varie fasi in cui il processo si compone.

Il processo di espropriazione forzata non è un unicum,ma a sua volta si scinde in una pluralità di possibili procedimenti a seconda del tipo di bene che viene in rilievo,cioè beni mobili,immobili o crediti e del soggetto che io aggredisco,se è il debitore o un terzo.

Dato fondamentale da tener presente è la scansione del processo di espropriazione forzata che è rappresentata,in una sequenza immediatamente successiva agli atti preliminari,da: pignoramento,intervento dei creditori,vendita forzata e distribuzione del ricavato ; la struttura del processo di espropriazione forzata non potrebbe che essere questa, ,cioè ricorrere ad un terzo per ottenere l’attuazione di quell’obbligo che non si riesce ad ottenere per il tramite della cooperazione del soggetto obbligato e lo strumento utilizzato per ottenere questa finalità è sempre il medesimo:la vendita forzata di un bene per trasformarlo in una somma di danaro con la quale il creditore

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può soddisfarsi. Sistematica del codice: Il codice disciplina in via generale il pignoramento e detta delle discipline particolari con riferimento alle singole ipotesi di espropriazione.

E’ fondamentale tenere presente che nella sistematica del codice vi sono delle norme che regolano il pignoramento in generale e poi ci sono delle norme ad hoc che disciplinano le singole forme di pignoramento a seconda che si tratti di espropriazione mobiliare,di espropriazione immobiliare,di espropriazione contro il terzo proprietario o di espropriazione di crediti del debitore nei confronti di un terzo.

Il processo di espropriazione forzata trova il suo referente normativo negli articoli che vanno dal 483 al 604 del c.p.c.,nonché negli articoli dal 2910 al 2929 del c.c.

E’ un processo posto a garanzia del creditore che ha diritto al pagamento di una somma di danaro,quindi che tipo di situazione viene in rilievo nel processo di espropriazione forzata? L’obbligazione ad una somma di danaro,a differenza di quanto accade per l’esecuzione specifica.

Per cercare di cogliere la funzione e la struttura del processo di espropriazione forzata,che sono inscindibilmente collegate tra loro,le norme da porre in collegamento sono proprio l’art 2910 e 2740 del c.c.,perché?

Art.2910-Oggetto dell’espropriazione: “il creditore per conseguire quanto gli è dovuto può fare espropriare i beni del debitore secondo le regole stabilite dal c.p.c..Possono essere espropriati anche i beni di un terzo quando sono vincolati a garanzia del credito,quando sono oggetto di un atto che è stato revocato perché compiuto in pregiudizio del creditore”(quest’ultima è l’ipotesi dell’espropriazione contro il terzo proprietario,cioè un’ipotesi eccezionale in cui si può assoggettare ad

espropriazione forzata i beni di proprietà di un terzo e non del debitore,altrimenti la regola è quella del primo comma e cioè che oggetto di espropriazione forzata sono i beni del debitore che si espropriano in base all’iter procedurale disciplinato dal c.p.c.).

Perché l’art. 2910 deve essere posto in stretto collegamento con l’art.2740?

Art. 2740 -Responsabilità patrimoniale“il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”.

Art. 27411: “I creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore,salve le cause legittime di prelazione”.( principio della cd. par condicio creditorum).

Sono norme sostanziali che ci dicono che il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri,(è la responsabilità patrimoniale del debitore,)e che, per attuare l’obbligo al pagamento di una somma di danaro si possono espropriare i beni di cui è proprietario il debitore seguendo le regole del codice di procedura civile.

Quindi l’art. 2740 si combina con l’art. 2910 e ci dà la dimensione della struttura e della funzione del processo di espropriazione forzata,nonché l’ effettività della tutela:c’è un obbligo al pagamento di una somma di danaro, una norma sostanziale mi dice che il debitore risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri, un’altra norma sostanziale mi dice che i beni possono essere aggrediti rendendoli oggetto di espropriazione attraverso le norme del c.p.c.. La norma indica anche lo strumento per ottenere una tutela effettiva: diritto al pagamento di 100,posso

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espropriare i beni del mio debitore per trasformarli in una somma di danaro e mi posso soddisfare sul ricavato di questa determinata somma.

Oggetto di espropriazione forzata,ex 2910,possono essere solo ed esclusivamente i beni suscettibili di essere trasferiti,cioè che abbiamo un valore di scambio e non di mero godimento.Quindi l’uso,l’abitazione non posso essere oggetto di espropriazione forzata,mentre lo può essere il diritto di proprietà. Quindi posso assoggettare ad espropriazione forzata solo ed esclusivamente quei beni suscettibili di essere trasferiti e ciò viene meno ogniqualvolta vengano in rilievo dei diritti non quali il diritto di proprietà,ma quali l’uso,l’abitazione che fanno leva sul godimento o vengano in rilievo dei beni indisponibili,perché in questo caso l’espropriazione forzata incontra un suo limite,non può conseguire il suo obiettivo(cioè la vendita dei beni per ricavarne del denaro).

Regole del Codice di Procedura Civile: il processo di espropriazione forzata deve essere preceduto dalla notificazione del titolo esecutivo e del precetto.

L’ espropriazione forzata si realizza con modalità differenti a seconda del tipo di bene che viene in rilievo,tant’è che il nostro codice conosce:

- l’espropriazione mobiliare presso il debitore :quando ha ad oggetto dei beni mobili che si trovano presso il debitore;

-l’espropriazione presso terzi: quando ha ad oggetto dei crediti del debitore verso terzi,o beni mobili del debitore che siano in possesso di terzi;

-l’espropriazione immobiliare: quando ha ad oggetto dei beni immobili,

-l’espropriazione di beni indivisi: quando ha ad oggetto la quota indivisa di beni in comunione, (l’esser il bene non di titolarità esclusiva del debitore ma in comunione con altri soggetti non costituisce un ostacolo alla possibilità di avviare l’espropriazione forzata e il codice si preoccupa di dettare delle modalità specifiche in relazione a questo tipo di situazione: entro quale misura è possibile la separazione in natura,espropriare la quota indivisa o vendere questa quota ideale);

-espropriazione di beni di proprietà di terzi soggetti a responsabilità per debiti altrui:è l’ipotesi eccezionale in cui il codice consente di assoggettare ad espropriazione i beni di proprietà di un terzo e non del debitore.

La Competenza nel processo esecutivo è sempre del Tribunale;ormai dopo la soppressione delle preture non abbiamo problemi di competenza,per le espropriazioni non c’è competenza del giudice di pace,quindi si va sempre dinanzi ad Tribunale.

Alle disposizioni comuni al processo di espropriazione forzata che disciplinano il pignoramento,l’intervento dei creditori,la vendita forzata e la distribuzione,si affiancano delle disposizioni specifiche che dettano delle peculiarità in relazione ai singoli processi di espropriazione forzata.

Il processo di espropriazione forzata è sempre diretto da un giudice,cioè il giudice dell’esecuzione,che è immutabile per tutta la durata del processo di espropriazione e che esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento. Il giudice dell’esecuzione di regola deve sentire gli interessati,ex art 485,prima di adottare un provvedimento(si ritiene che operi il principio del contraddittorio anche nel processo esecutivo,di regola c’è il previo contraddittorio delle parti prima dell’adozione di un provvedimento).

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La forma dei provvedimenti del giudice dell’esecuzione di regola è l’ordinanza,ordinanza cui il giudice deve sempre ricorrere quando deve risolvere delle questione previa istanza delle parti;

il giudice dell’esecuzione deve sempre operare,anche d’ufficio,alcune verifiche in ordine alla sussistenza dei requisiti extraformali (giurisdizione,competenza,costituzione del giudice,legittimazione ad agire,capacità di essere parte,capacità processuale) e di taluni requisiti di forma-contenuto degli atti processuali del processo esecutivo.

Quindi il giudice dell’esecuzione dirige il procedimento, esercita ogni potere inteso al più sollecito e leale svolgimento del procedimento,risolve una serie di questioni d’ufficio,cioè la sussistenza dei requisiti extraformali e dei requisiti di forma-contenuto degli atti,altre volte,invece,è chiamato a risolvere delle questioni su istanza delle parti e in questo caso la forma del provvedimento è l’ordinanza,ordinanza soggetta all’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art.617 c.p.c..

Nella logica del processo esecutivo si danno al giudice una serie di poteri, il potere di fare una serie di verifiche, il potere di risolvere delle questioni su istanza delle parti ,ma comunque si prevedono delle parentesi cognitive,che sono i giudizi oppositivi,quali unica sede in cui di regola si dovrebbe svolgere un vero e proprio accertamento.

Sequenza:un soggetto che vuole iniziare un processo di espropriazione forzata deve,necessariamente,notificare il titolo esecutivo e il precetto.(art.479 cpc).

PIGNORAMENTO

Art. 491 c.p.c.: il pignoramento è l’atto con cui inizia il processo di espropriazione forzata.

Il processo di espropriazione forzata, e quello esecutivo in generale,non inizia con gli atti prodromici (notifica titolo esecutivo e precetto),ma solo con il pignoramento. La portata di questa affermazione non è meramente teorica,ma ha delle ricadute pratiche significative.

In cosa consiste il pignoramento?Quali sono le caratteristiche strutturali e funzionali dell’istituto del pignoramento? Struttura e funzione si compenetrano tra loro, perché il pignoramento consegue la sua funzione fondamentale proprio grazie alla sua struttura.

Sul piano STRUTTURALE possiamo dire che il pignoramento consiste in un COMPLESSO DI ATTIVITA’,diversamente concepite a seconda: della natura del bene che ne deve formare oggetto, dei soggetti coinvolti nel compimento di quell’atto al cui centro però il codice colloca sempre la formale ingiunzione al debitore esecutato ex art. 492(come anche ad altre norme del c.p.c.,in particolare 492,518,543 e 555).

Quindi dal punto di vista strutturale il pignoramento è un complesso di attività diversamente concepite a seconda della natura del bene che viene in rilievo,bene mobile,immobile e di credito,e a seconda dei soggetti coinvolti nel pignoramento,debitore e creditore;il creditore è tenuto in tutte le ipotesi di pignoramento all’ingiunzione al debitore esecutato(prevista in tutte le norme richiamate in precedenza),ingiunzione che impone al debitore di astenersi dal porre in essere atti che vanifichino la garanzia patrimoniale ex art. 2740cc.

Il pignoramento nella sua essenza ha sempre presente l’ingiunzione,che vedremo essere una componente essenziale,quindi necessaria,ma da sola non sufficiente a consentire che il pignoramento possa realizzare la sua

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funzione fondamentale; il pignoramento intanto può realizzare tale funzione,in quanto faccia i conti con il regime peculiare di circolazione dei beni che ha ad oggetto,beni mobili,immobili o un credito. Per realizzare quella funzione non basta solo l’ingiunzione al debitore,ma avremo bisogno di qualcos’altro e dovremo vedere caso per caso cos’è questo qualcos’altro. Ecco il motivo per il quale il pignoramento è un atto complesso.

La struttura del pignoramento è strettamente legata alla funzione del pignoramento. Qual è la FUNZIONE del pignoramento?

La funzione fondamentale del pignoramento è consentire al processo esecutivo di conseguire il suo obiettivo e, scopo del processo esecutivo è quello di consentire al soggetto titolare dell’obbligo al pagamento di una somma di danaro,quindi di un diritto di credito,di veder attuato questo suo diritto. Il pignoramento deve fare in modo che il processo esecutivo possa conseguire questo risultato,per evitare che durante il corso del processo esecutivo quella garanzia di cui al 2740 possa essere vanificata, e quindi evitare che il debitore nella pendenza del processo esecutivo si spogli dei beni di cui è titolare e vanifichi lo scopo fondamentale del processo di espropriazione forzata.

Come la raggiunge questa funzione?Qui non c’è un’unica soluzione. Il Codice del 1865 e il Codice del 1940 adottarono due soluzioni diverse,pur giungendo allo stesso obiettivo.

Il Codice del 1865 all’art.2085 prevedeva “il debitore non può alienare i beni pignorabili”,quindi avevamo un divieto di alienazione dei beni pignorabili sanzionato a pena di NULLITA’ dell’atto. Il Codice del 1865 per raggiungere l’obiettivo,per evitare che venisse vanificata la garanzia patrimoniale del 2740,poneva un divieto al debitore di alienare i beni pignorabili e la sanzione era la nullità dell’atto

di trasferimento. Il debitore poteva disporre del bene e porre in essere l’atto traslativo nei confronti di un terzo,però quell’atto era nullo,perché contrario al divieto dell’art. 2085.

Il Codice del 1940 ha fatto una scelta diversa e cioè non solo,conformentente al codice del 1865,non ha privato il debitore della disponibilità materiale del bene,che quindi può vendere,ma non ha neppure previsto il divieto di alienare i beni; il nostro codice prevede la possibilità che il debitore esecutato possa alienare a terzi il bene e che quest’atto di alienazione sia pienamente valido;non prevede la sanzione della nullità,ma ricorre all’INEFFICACIA/INOPPONIBILITA’,che significa? Significa che l’atto di alienazione del debitore esecutato in favore di un terzo è pienamente valido,ma è inefficace/inopponibile nei confronti del creditore procedente. A ben vedere raggiunge quel medesimo scopo che raggiungeva il legislatore del codice del 1865,però con una disposizione di più ridotta portata,perché in fondo per raggiungere quell’obiettivo non c’è bisogno di spazzare via dall’ordinamento giuridico l’atto di alienazione,è sufficiente rendere quell’atto inefficace/inopponibile nei confronti del creditore pignorante. (Io ho diritto di credito,pignoro il bene di proprietà di X,se X lo vende a Y l’atto di alienazione è inopponibile nei confronti del creditore procedente,non c’è bisogno di renderlo nullo,di privarlo totalmente di effetti nel mondo giuridico).

Sono due diverse scelte di campo che fa il legislatore ottenendo il medesimo scopo; ma sono identiche? C’è differenza e la differenza più importante tra codice del 1865 e codice del 1940 è che se si estingueva il processo esecutivo sotto il codice del 1865,l’atto nullo era e nullo rimaneva,quindi quell’atto di alienazione comunque non poteva produrre i suoi effetti. Sotto il codice vigente se si estingue il processo esecutivo,quell’atto valido era,valido rimane e continua a produrre pienamente i suoi effetti nei confronti del terzo,non subentrerà mai

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l’espropriazione e la vendita dei beni,quindi non ci sarà mai un creditore procedente che potrà prevalere sul terzo. Ecco il motivo per il quale nel nostro regime attuale chi compra un bene assoggettato ad espropriazione forzata,la cd. res pignorata,può farlo ma a suo rischio e pericolo,a condizione che l’acquisti al di fuori della procedura esecutiva,perché se lo acquista all’interno della procedura esecutiva per il tramite della vendita forzata sarà l’aggiudicatario,logicamente sarà il soggetto che beneficia di questo meccanismo. L’acquisto in sede di esecuzione forzata è l’acquisto a titolo derivativo,quindi l’aggiudicatario che acquista fa salvo il suo acquisto proprio grazie al fatto che quell’acquisto è inopponibile al creditore procedente,perché così come è inopponibile al creditore procedente sarà inopponibile all’aggiudicatario(altrimenti nessuno comprerebbe un bene nell’ambito dell’’esecuzione forzata). Un bene oggetto di esecuzione forzata lo potete comprare nell’ambito del processo esecutivo con la vendita forzata e siete tranquilli di acquistar bene nel momento in cui la procedura si svolge regolarmente,perché il vostro acquisto prevarrà su ogni eventuale atto alienativo del debitore verso terzi al di fuori del procedimento esecutivo,perché la trascrizione del pignoramento sarà sempre antecedente alla trascrizione dell’atto alienativo dal debitore al terzo. Se volete acquistare dal debitore fuori dalla procedura esecutiva,potete tranquillamente andare da un notaio,fare un atto pubblico e comprate la res pignorata a vostro rischio e pericolo,questo atto è pienamente valido,ma chi acquista lo fa a suo rischio e pericolo perché se la procedura esecutiva arriverà in fondo è chiaro che l’aggiudicatario prevarrà sul terzo che ha acquistato al di fuori della procedura esecutiva,perché? Perché la posizione dell’aggiudicatario si salda con quella del creditore procedente e qui il pignoramento ha FUNZIONE LATAMENTE PRENOTATIVA simile alla trascrizione della domanda giudiziale. Così come la trascrizione della domanda giudiziale si salda con la sentenza,il pignoramento si salda con il decreto di trasferimento,questo è il motivo per cui si dice che il pignoramento

ha una FUNZIONE LATAMENTE CAUTELARE,che è una funzione molto simile a quella del sequestro conservativo.

Non a caso il sequestro conservativo si converte in pignoramento,ma in entrambe i casi l’esigenza fondamentale è quella di evitare che la durata del processo possa andare a danno dell’attore che ha ragione. Così come nel processo a cognizione piena avete bisogno che eventuali alienazioni,pendente il processo,non pregiudichino la vostra posizione(sequestro conservativo),nel processo esecutivo avete bisogno che eventuali alienazioni del debitore della res pignorata non pregiudichino la vostra posizione. Il soggetto che beneficia di questa funzione latamente cautelare è in prima battuta il creditore procedente,ma in seconda battuta è l’aggiudicatario del bene nell’ambito del processo esecutivo.

A questo punto dovrebbe essere chiara la struttura e la funzione del pignoramento,che raggiunge la sua funzione sotto il codice del 1940 per il tramite,non della nullità dell’atto di alienazione,ma per il tramite dell’inefficacia relativa o inefficacia/inopponibilità.

Io pignoro e cosa creo?Il pignoramento crea un vincolo,non di indisponibilità assoluta,ma di indisponibilità relativa,di inefficacia,perché io posso tranquillamente alienare a terzi quel bene,ma l’atto di alienazione sarà inefficace/inopponibile al creditore procedente e anche all’aggiudicatario.

Qual è dunque la principale funzione del pignoramento? La principale funzione è di render specifica quella garanzia patrimoniale,che è generica,di cui all’art.2740. Con il 2740 il debitore risponde dei suoi debiti con tutto il suo patrimonio,il pignoramento nel momento in cui va a creare questo vincolo di inefficacia relativa,rende specifico quel tipo di vincolo,da garanzia generica su tutto il patrimonio,si specifica su un

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singolo bene appartenente al patrimonio del debitore; e come si specifica?Non impedendogli di alienare a terzi quel bene,ma rendendo inopponibile ogni eventuale atto dispositivo del debitore nei confronti del creditore pignoratizio. Quindi il creditore procedente prevarrà sempre sul terzo che abbia trascritto dopo del pignoramento.

Il pignoramento è un atto complesso perché deve necessariamente fare i conti con il regime di circolazione dei beni che ha ad oggetto la procedura espropriativa,beni mobili,immobili e crediti. Facciamo il caso dei beni immobili e di quelli mobili: se io voglio conseguire questo obiettivo fondamentale,cioè evitare che sia vanificato lo scopo del processo esecutivo,ottenere l’inefficacia relativa, non posso accontentarmi di una mera ingiunzione al debitore di non disporre di quel bene,se del caso anche penalmente sanzionato,perché se poi il debitore ne dispone andrà incontro alle conseguenze penali , ma io l’obiettivo non l’avrò conseguito.

Allora come ottengo questo effetto fondamentale dell’inefficacia relativa? Devo fare i conti con il regime di circolazione dei beni. Ciò significa che per i beni mobili devo fare i conti con l’art 1153cc,in base al quale “il possesso vale titolo”,che significa che per ottenere l’obiettivo fondamentale che il processo espropriativo si ripropone devo agire sulla disponibilità di quel determinato bene,sul possesso,nel senso che o devo sottrarre quel bene al possesso del debitore,nel senso che materialmente lo affido ad un altro soggetto,o se lo lascio al debitore questi lo deve possedere non come debitore,ma come custode. Ne deriva che per i beni mobili l’istituto che viene in rilievo è quello della custodia,perché per il tramite della custodia riesco ad ottenere questo obiettivo fondamentale,perché disinnesco l’operatività del 1153,dato che o gli sottraggo la disponibilità del bene e quindi vi potrà essere “ il possesso vale titolo”,o glielo lascio nella sua disponibilità,ma si ha interversione

del possesso,quindi non potrà mai maturare quell’acquisto a titolo originario di cui al 1153cc,che lo farebbe prevalere,in quanto acquisto a titolo originario,sull’aggiudicatario.

Per i beni immobili,invece,il regime di circolazione è inevitabilmente legato alla trascrizione nei registri immobiliari. Per il pignoramento immobiliare il tassello mancante è la trascrizione nei registri immobiliari,non basta l’ingiunzione al debitore,ma occorre anche la trascrizione del pignoramento nei registri immobiliari,perché quest’ultima mi consente di conseguire quella inopponibilità nei confronti del creditore pignorante:la trascrizione antecedente di un atto come il pignoramento,lo porta a prevalere(al creditore) sulla trascrizione di un atto successivo. Questo è il motivo per cui sul piano strutturale il pignoramento è un atto tendenzialmente complesso.

Discorso analogo va fatto per i crediti. Se io voglio pignorare il credito del debitore nei confronti di un terzo,perché non posso aggredire direttamente il terzo? Perché c’è un passaggio ineliminabile che manca e cioè l’accertamento dell’esistenza reale di quel diritto di credito. Quindi anche in questo caso la mera ingiunzione al debitore non è sufficiente, servirà la dichiarazione positiva del debitore o un apposito giudizio di accertamento volto a verificare che esista effettivamente quel diritto di credito.

PIGNORAMENTO IN GENERALE

La norma sul pignoramento in generale,l’art.492,è stata modificata dalla legge.80 e n.263 del 2005 e poi nuovamente modificata dalla legge n.52/2006. A cosa mirano tali interventi. Quali erano le problematiche particolarmente sentite dal legislatore che lo hanno spinto,in epoca recente,ad intervenire?

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Due erano le problematiche e infatti vi propongo due chiavi di lettura che corrispondono essenzialmente a due momenti di crisi del processo esecutivo;infatti le riforme del 2005 e del 2006 riscrivono il processo esecutivo nella logica di renderlo più funzionale;c’erano delle realtà in cui si erano instaurate delle prassi che avevano ottenuto degli ottimi risultati sotto il profilo della funzionalità del processo esecutivo e quindi il legislatore nel 2005/2006 ha preso spunto da queste prassi per riformare le norme del codice valorizzando tutta una serie di aspetti che erano venuti in rilievo nella prassi.

Per il pignoramento e in generale per il processo esecutivo,vi erano due momenti di crisi:

-il primo era legato alle possibili iniziative da parte del debitore o alle possibili resistenze da parte del debitore anzitutto sul piano della partecipazione al processo esecutivo. Esempio:se io aggredisco X perché ho diritto al pagamento di 100,la prima cosa che può fare X è cercare di vanificare la notificazione degli atti introduttivi del processo esecutivo e cioè cercare di sottrarsi alla notificazione. Questo era il primo ostacolo,perché un’eventuale invalidità degli atti introduttivi,o la grossa difficoltà di reperire il debitore,di individuare il luogo dove correttamente notificare gli atti esecutivi erano un ostacolo alla funzionalità del processo esecutivo e un ostacolo per il creditore.

-il secondo ostacolo era legato al fenomeno della cd. ricerca dei beni da pignorare perché il debitore nel momento in cui sa di avere una grossa esposizione debitoria cerca di far sparire i beni di cui è titolare.

Le risposte che ha cercato di dare il legislatore si dirigono in queste due direzioni:cercare di evitare che il debitore possa vanificare la funzionalità del processo esecutivo,sfuggendo alla regolare notificazione degli atti processuali,e in secondo luogo potenziare gli

strumenti volti a ricercare le cose da pignorare,perché se non si riescono a pignorare dei beni ogni discorso sulla funzionalità del processo esecutivo è destinato a cadere.

L’art.4921 è il nucleo fondamentale della norma ed è rimasto sostanzialmente immutato; ci dà riscontro che l’elemento necessario seppur non sufficiente (o comunque la componente ineliminabile) del pignoramento risiede nella ingiunzione al debitore;

Art. 4921-Forma del pignoramento “Salve le forme particolari previste nei capi seguenti, il pignoramento consiste in un’ingiunzione che l’ufficiale giudiziario fa al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano alla espropriazione e i frutti di essi”.

Quindi l’ingiunzione al debitore è l’essenza, ma lo stesso articolo ci dice “salve le forme particolari previste”; quindi, come vi dicevo, è una scelta del codice di disciplinare il pignoramento in questo modo: con una norma generale che ne indica l’essenza e rinviare alle norme particolari di cui alle singole forme di espropriazione le peculiarità di quelle forme di pignoramento.

Questa norma è stata integrata dalle Riforme per dare risposta a quei due momenti di criticità del processo esecutivo: cioè tentativi del debitore di sottrarsi alle comunicazioni o comunque mancata partecipazione del debitore al processo esecutivo, e ricerca dei beni da pignorare.

Come ha risolto il legislatore il primo problema? Prevedendo al l’art.4922 che “Il pignoramento deve altresì contenere l’invito rivolto al debitore ad effettuare presso la cancelleria del giudice di esecuzione la dichiarazione di residenza o la elezione di domicilio in uno dei comuni

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del circondario in cui ha sede il giudice dell’esecuzione, con l’avvertimento che, in mancanza ovvero in caso di irreperibilità presso gli indirizzi forniti, le successive notifiche e comunicazioni a lui dirette saranno effettuate presso la cancelleria dello stesso giudice”. La soluzione è particolarmente funzionale perché la sanzione è chiara.

Ben più complessa è la risoluzione del secondo problema: cioè quello della ricerca dei beni da pignorare. Il legislatore si è mosso in due direzioni:

1) far leva sullo stesso debitore: un invito rivolto ad esso ad indicare i beni ulteriormente pignorabili (un invito sanzionato penalmente in caso di omissione/falsità nella dichiarazione);

2) potenziamento dei poteri dell’ufficiale giudiziario per la ricerca dei beni da pignorare.

1)Art. 4944e5: “Quando per la soddisfazione del creditore procedente i beni assoggettati a pignoramento appaiono insufficienti ovvero appaia manifesta la lunga durata della loro liquidazione, l’ufficiale giudiziario invita il debitore ad indicare ulteriori beni pignorabili, i luoghi in cui si trovano, ovvero le generalità dei terzi debitori avvertendolo della sanzione prevista per l’omessa o falsa dichiarazione.

Della dichiarazione del debitore è redatto processo verbale che lui stesso sottoscrive. Se sono indicati beni mobili, queste dal momento stesso della dichiarazione sono considerate pignorate e l’ufficiale giudiziario provvede ad accedere al luogo in cui si trovano per gli adempimenti di cui all’art 520. Quando tale luogo è però compreso in altro circondario si trasmette copia del verbale all’ufficiale giudiziario territorialmente competente. Se sono indicati crediti o cose mobili in possesso di terzi, il pignoramento si considera perfezionato nei

confronti dell’esecutato dal momento della dichiarazione e questi è costituito custode della somma e della cosa anche agli effetti dell’art 388 comma 4 del codice penale. Se sono indicati beni immobili, il creditore procede ai sensi del 555 e seguenti.”

Qui cosa bisogna dire? È la prima ipotesi di cui abbiamo parlato, cioè far leva sulla posizione del debitore invitandolo a comunicare esso stesso i beni pignorabili.

Quali sono i presupposti per l’esercizio di questo potere da parte dell’ufficiale giudiziario? I

Il legislatore li ha definiti in modo preciso; prima si discuteva se la ricerca dei beni da pignorare potesse avvenire nell’ambito del processo esecutivo,a seguito del pignoramento,o anche precedentemente al pignoramento. Con le recenti riforme è pacifico che l’ufficiale giudiziario possa esercitare tali poteri solo a seguito del pignoramento. Per poter procedere con l’invito, infatti, è necessario che i beni già pignorati siano insufficienti o di complessa liquidazione.

Quando avviene il perfezionamento del “nuovo” pignoramento?

Una prima stesura dell’art 4925 prevedeva il cd. “pignoramento sulla parola” : “i beni si considerano pignorati dal momento della dichiarazione del debitore”;figura molto discussa in dottrina poiché doveva comunque fare i conti con il regime di circolazione dei beni.

Ci si chiedeva come poter considerare pignorato un bene immobile,a seguito della dichiarazione del debitore, se tale pignoramento non veniva trascritto? O se far decorrere il termine del pignoramento dalla dichiarazione del debitore e non dalla trascrizione nei registri immobiliari?

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In pratica questo quinto comma,vecchia stesura,prevedeva un meccanismo identico per tutte le ipotesi di pignoramento. Ecco il motivo per il quale nell’ultima stesura di questo comma, dopo le riforme 2005/2006, il legislatore prevede delle regole specifiche per ogni forma di pignoramento(mobiliare,immobiliare,di crediti).

Art 4926 :“Qualora, a seguito dell’intervento di altri creditori, il compendio pignorato sia divenuto insufficiente, il creditore procedente può richiedere all’ufficiale giudiziario di procedere ai fini dell’esercizio delle facoltà di cui al 499 comma 4”.

Si utilizza un istituto già presente nel codice, che però la riforma del 2005/2006 ha generalizzato.

Art 4994:“ Ai creditori chirografari, intervenuti tempestivamente, il creditore pignorante ha facoltà di indicare, con atto notificato o all'udienza in cui è disposta la vendita o l'assegnazione, l'esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili, e di invitarli ad estendere il pignoramento se sono forniti di titolo esecutivo o, altrimenti, ad anticipare le spese necessarie per l'estensione. Se i creditori intervenuti, senza giusto motivo, non estendono il pignoramento ai beni indicati ai sensi del primo periodo entro il termine di trenta giorni, il creditore pignorante ha diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione.”

Prima il codice conosceva un istituto che Andreolli chiamava “prelazione processuale”: un diritto di prelazione che si crea nel processo. Come si creava? La logica è: Il creditore procedente, aggredisce una serie di beni che una volta pignorati diventano pienamente soddisfacenti per il suo credito. Poiché il nostro ordinamento ammette l’intervento di altri creditori, è ben possibile che

quei beni originariamente capienti non lo siano più dopo il loro intervento.

Il creditore pignorante può indicare agli altri creditori, intervenuti tempestivamente, ulteriori beni del debitore utilmente pignorabili,invitandoli ad attivarsi nel pignoramento. Se non si attivano il creditore pignorante avrà diritto ad essere preferito in sede di distribuzione(sanzione ).

La logica è : favorire chi ha pignorato per primo davanti all’inerzia degli altri creditori nell’estendere il pignoramento ad altri beni. Si crea un diritto di prelazione, ma sul piano processuale: un creditore chirografario come tutti gli altri diviene creditore privilegiato.

2)Potenziamento dei poteri dell’ufficiale giudiziario. Come?

Gli ulteriori commi introdotti nel 2005/2006 estendono i poteri dell’ufficiale giudiziario:

Art 4927e8: In ogni caso l'ufficiale giudiziario, ai fini della ricerca delle cose e dei crediti da sottoporre ad esecuzione, quando non individua beni utilmente pignorabili oppure le cose e i crediti pignorati o indicati dal debitore appaiono insufficienti a soddisfare il creditore procedente e i creditori intervenuti, su richiesta del creditore procedente, rivolge richiesta ai soggetti gestori dell'anagrafe tributaria e di altre banche dati pubbliche. La richiesta, eventualmente riguardante più soggetti nei cui confronti procedere a pignoramento, deve indicare distintamente le complete generalità di ciascuno, nonché quelle dei creditori istanti. L'ufficiale giudiziario ha altresì facoltà di richiedere l'assistenza della forza pubblica, ove da lui ritenuto necessario.

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Se il debitore è un imprenditore commerciale l'ufficiale giudiziario, negli stessi casi di cui al settimo comma e previa istanza del creditore procedente, con spese a carico di questi, invita il debitore a indicare il luogo ove sono tenute le scritture contabili e nomina un commercialista o un avvocato ovvero un notaio iscritto nell'elenco di cui all'articolo 179-ter delle disposizioni per l'attuazione del presente codice per il loro esame al fine dell'individuazione di cose e crediti pignorabili. Il professionista nominato(sembra quasi un ausiliare dell’ufficiale giudiziario) può richiedere informazioni agli uffici finanziari sul luogo di tenuta nonché sulle modalità di conservazione, anche informatiche o telematiche, delle scritture contabili indicati nelle dichiarazioni fiscali del debitore e vi accede ovunque si trovi, richiedendo quando occorre l'assistenza dell'ufficiale giudiziario territorialmente competente. Il professionista trasmette apposita relazione con i risultati della verifica al creditore istante e all'ufficiale giudiziario che lo ha nominato, che provvede alla liquidazione delle spese e del compenso. Se dalla relazione risultano cose o crediti non oggetto della dichiarazione del debitore, le spese dell'accesso alle scritture contabili e della relazione sono liquidate con provvedimento che costituisce titolo esecutivo contro il debitore.

PIGNORAMENTO MOBILIARE

Esso si compone di un complesso di attività materiali (la ricerca, la scelta e l’apprensione dei beni) e di attività formali (su tutte, l’ingiunzione ex 492) che l’ufficiale giudiziario deve necessariamente documentare in un processo verbale richiesto ad substantiam. È l’unica forma di pignoramento in cui il creditore istante non ha l’onere di individuare i beni da pignorare: è l’ufficiale giudiziario ad individuarli, nel rispetto dei limiti fissati dal cpc secondo determinati criteri oggettivi di preferenza e intangibilità,privilegiando i beni di più pronta liquidazione. (Prima invece l’ufficiale giudiziario aveva l’obbligo di

preferire i beni indicati dallo stesso debitore, sempreché non ne derivasse pregiudizio per il creditore).

L’ufficiale giudiziario non deve svolgere alcuna forma di accertamento in ordine alla proprietà dei beni che assoggetta al pignoramento: semplicemente egli si reca nei luoghi di “appartenenza” del debitore e cerca dei beni da pignorare, senza curarsi della loro titolarità (semmai pignorasse però un bene che non è del debitore, ci sarà la possibilità di una successiva opposizione di terzo).

Dà atto delle cose che ha pignorato in un processo verbale che deve consegnare entro 24 ora presso la cancelleria competente territorialmente. Il cancelliere formerà il fascicolo d’ufficio e lo trasmetterà repentinamente al capo dell’ufficio affinché nomini il giudice dell’esecuzione.

Quindi l’inizio del processo di esecuzione è totalmente diverso da quello del processo di cognizione: ci si reca dall’ufficiale giudiziario con il titolo esecutivo e il precetto e si chiede il pignoramento mobiliare; l’ufficiale si reca nei luoghi nel debitore, pignora, redige un verbale e lo deposita. Il cancelliere informa il capi dell’ufficio e costui nomina il giudice dell’esecuzione.

Il procedimento d’esecuzione, dunque, comincia proprio col pignoramento.

Non basta però il solo verbale: è necessario che intervenga anche la custodia, che per il pignoramento mobiliare può essere in capo ad un terzo o allo stesso debitore. Infatti per questi beni mobili (per quanto già pignorati), il rischio è che, se non ci si preoccupa di sottrarli alla disponibilità del debitore oppure non si nomina quest’ultimo custode (così da avere un’interversione del possesso), si possa vanificare il fine

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stesso del pignoramento a causa del maturare di quelle condizioni che fanno sì che un terzo in possesso di quei beni oggetto della procedura esecutiva li possa acquistare. Il terzo prevarrebbe sempre sull’aggiudicatario perché ci sarebbe un acquisto a titolo originario e non derivato. Solo la custodia può quindi prevenire questo meccanismo!

Art. 513- “Ricerca delle cose da pignorare”: “L’ufficiale giudiziario, munito del titolo esecutivo e del precetto, può ricercare i beni da pignorare nella casa del debitore e negli altri luoghi a lui appartenenti”( Il concetto di “appartenenza” è peculiare, perché non fa riferimento alla proprietà o ad altre nozioni civilistiche;vi rientrano la casa e la dimora abituale, ma non luoghi dove ci si trova occasionalmente es. stanza d’albergo) .

“Può anche cercarle sulla persona del debitore, nel rispetto del suo decoro. Quando è necessario aprire porte, ripostigli, recipienti e vincere le resistenze opposte dal debitore o da terzi l’ufficiale giudiziario provvede secondo le circostanze, richiedendo quando occorre l’assistenza della forza pubblica”. “Il presidente del tribunale, o un giudice da lui delegato, su ricorso del creditore può autorizzare con decreto l’ufficiale giudiziario a pignorare cose determinate che non si trovano in luoghi appartenenti al debitore ma delle quali egli può direttamente disporre.

In ogni caso l’ufficiale giudiziario può sottoporre a pignoramento le cose del debitore che il terzo possessore consente di esibirgli”.

Gli artt. 514 e 515 hanno cura di indicare le cose mobili assolutamente impignorabili (es. cose sacre, anello nuziale, biancheria,letti)e le cose relativamente impignorabili( le cose che il proprietario di un fondo vi tiene per la cura del medesimo perché possono essere pignorate separatamente dall’immobile soltanto in mancanza di altri mobili).

Art.516- Cose pignorabili in particolari circostanze di tempo: I frutti non ancora raccolti o separati dal suolo non possono essere pignorati separatamente dall’immobile cui accedono se non nelle ultime sei settimane anteriori alla loro maturazione, tranne che il creditore pignorante si assuma le maggiori spese della custodia”. Similarmente altre ipotesi, la cui disciplina è sempre molto analitica.

Perciò l’ufficiale giudiziario incontra forti limiti nella scelta dei beni da pignorare. Altri limiti sono in merito al criterio di scelta dei beni.

Art. 517-Scelta delle cose da pignorare:“Il pignoramento dev’essere eseguito sulle cose che l’ufficiale ritiene di più pronta e facile liquidazione, nel limite di un presumibile valore di realizzo pari all’importo del credito precettato aumentato della metà.

In ogni caso l’ufficiale deve preferire il denaro contante, gli oggetti preziosi, i titoli di credito”.

Il primo comma di questa norma pone un problema: quando deve fermarsi l’ufficiale giudiziario? Qual è il limite quantitativo della sua attività?

Evidentemente deve tener conto del credito per il quale procede. Deve dunque procedere ad una stima intuitiva dei beni. L’importo del credito precettato aumentato della metà è il limite ,ben preciso,che il codice pone(artt.494 e 517).

Perché allora è molto dibattuta questa tematica?

Perché ci sono molte altre norme del codice :artt 483, 496, 510, 504,che fanno presumere la possibilità del cd. eccesso nel pignoramento ,cioè è

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insita nel sistema la possibilità che l’ufficiale giudiziario abbia pignorato beni per un valore superiore al credito per cui si procede.

Come conciliare allora queste norme?

La dottrina prevalente tende a ritenere che nella logica del sistema debba prevalere il criterio del 517 (contenuto anche nel 494 cpc),che deve essere il parametro di riferimento per l’ufficilae giudiziario.

Le altre norme citate come si giustificano? Si dice: può accadere per una serie di motivi che il valore dei beni pignorati sia maggiore rispetto al credito per il quale si procede, e con queste norme si trova un correttivo per le varie ipotesi.

Nella logica del sistema vi è la possibilità che vi sia un ECCESSO NEL PIGNORAMENTO cui danno risposta una serie di norme.

Domanda:La parte ha una possibilità di reazione all’ECCESSO NEL PIGNORAMENTO?Se il criterio è quello per cui l’ufficiale giudiziario deve parametrarsi al valore dei beni stimati più le spese,se c’è un eccesso nel pignoramento, c’è la possibilità di reagire?

Evidentemente si e i rimedi sono I RIMEDI OPPOSITIVI.

Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale riguarda i RIMEDI da poter utilizzare:

-secondo alcuni il rimedio utilizzabile sarebbe L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE ex art 215 c.p.c., perché si contesterebbe l’altrui diritto a procedere con l’esecuzione forzata,sia pure solo per la parte di somma eccedente;

-secondo altri sarebbe più corretto ricorrere ALL’OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI,perché sarebbe un problema non di AN dell’esecuzione ma di QUOMODO dell’esecuzione.

Il diritto ad agire in esecuzione forzata c’è per una determinata somma;l’eccesso di pignoramento lo “trattiamo” come un problema legato all’AN(quindi opposizione all’esecuzione) o legato al QUOMODO dell’esecuzione(quindi opposizione agli atti esecutivi)?Sul punto non esiste un’unica soluzione.

Art.518. Forma del pignoramento:L'ufficiale giudiziario redige delle sue operazioni processo verbale nel quale da' atto dell'ingiunzione di cui all'articolo 492(che è la componente ineliminabile di ogni pignoramento) e descrive le cose pignorate, nonché il loro stato, mediante rappresentazione fotografica ovvero altro mezzo di ripresa audiovisiva, determinandone approssimativamente il presumibile valore di realizzo con l'assistenza, se ritenuta utile o richiesta dal creditore, di un esperto stimatore da lui scelto(deve redigere il processo verbale,deve procedere all’intimazione ex art 492 e alla luce delle più recenti riforme del 2005-06 si prevede il ricorso ai mezzi audiovisivi o di rappresentazione fotografica). Se il pignoramento cade su frutti non ancora raccolti o separati dal suolo, l'ufficiale giudiziario ne descrive la natura, la qualità e l'ubicazione.

Quando ritiene opportuno differire le operazioni di stima l'ufficiale giudiziario redige un primo verbale di pignoramento, procedendo senza indugio e comunque entro il termine perentorio di trenta giorni alla definitiva individuazione dei beni da assoggettare al pignoramento sulla base dei valori indicati dall'esperto, al quale e' consentito in ogni caso accedere al luogo in cui i beni si trovano.(qui la fattispecie disciplinata è la possibilità di redigere verbale e differire la stima).

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Il giudice dell'esecuzione liquida le spese ed il compenso spettanti all'esperto, tenuto conto dei valori di effettiva vendita o assegnazione dei beni o, in qualunque altro caso, sulla base dei valori stimati.Nel processo verbale l'ufficiale giudiziario fa relazione delle disposizioni date per conservare le cose pignorate. Se il debitore non e' presente, l'ufficiale giudiziario rivolge l'ingiunzione alle persone indicate nell'articolo 139, secondo comma, e consegna loro un avviso dell'ingiunzione stessa per il debitore. In mancanza di dette persone affigge l'avviso alla porta dell'immobile in cui ha eseguito il pignoramento.(il codice si preoccupa di dirci come deve procedere l’ufficiale giudiziario se non è presente il debitore:come fare l’intimazione?o la fa ai soggetti presenti o l’affigge sulla porta.)Il processo verbale, il titolo esecutivo e il precetto devono essere depositati in cancelleria entro le ventiquattro ore dal compimento delle operazioni(ecco come nasce il Processo Esecutivo:vado dall’ufficiale giudiziario con il titolo esecutivo e il precetto,lui redige il processo verbale di pignoramento,entro 48 ore lo deve depositare in cancelleria). Il cancelliere al momento del deposito forma il fascicolo dell'esecuzione. L'ufficiale giudiziario trasmette copia del processo verbale al creditore e al debitore che lo richiedono a mezzo posta ordinaria, telefax o posta elettronica, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi. Su istanza del creditore, da depositare non oltre il termine per il deposito dell'istanza di vendita, il giudice, nominato uno stimatore quando appare opportuno, ordina l'integrazione del pignoramento se ritiene che il presumibile valore di realizzo dei beni pignorati sia inferiore a quello indicato nel primo comma. In tale caso l'ufficiale giudiziario riprende senza indugio le operazioni di ricerca dei beni(quest’ultimo comma riguarda la possibilità che si abbia un’integrazione del pignoramento ) .

Qui cosa accade:il creditore può fare istanza al giudice affinchè si abbia un’integrazione del pignoramento quando ritiene che il presumibile valore di realizzo dei beni pignorati sia inferiore a quello indicato nel primo comma. In tal caso l’ufficiale giudiziario riprende la ricerca dei beni.

La logica è quella di trovare la corrispondenza tra il credito per cui si procede e la stima dei beni che sono stati pignorati.

Art.519. Tempo del pignoramento Il pignoramento non può essere eseguito nei giorni festivi, ne' fuori delle ore indicate nell'articolo 147, salvo che ne sia data autorizzazione dal presidente del tribunale o un giudice da lui delegato. Il pignoramento iniziato nelle ore prescritte può essere proseguito fino al suo compimento.

Ultimo momento è la custodia:art 520 e 521 c.p.c.,affinchè il pignoramento mobiliare possa raggiungere il suo scopo fondamentale.

Art.520. Custodia dei mobili pignorati L'ufficiale giudiziario consegna al cancelliere del tribunale il danaro, i titoli di credito e gli oggetti preziosi colpiti dal pignoramento. Il danaro deve essere depositato dal cancelliere nelle forme dei depositi giudiziari, mentre i titoli di credito e gli oggetti preziosi sono custoditi nei modi che il giudice dell'esecuzione determina. Per la conservazione delle altre cose l'ufficiale giudiziario provvede, quando il creditore ne fa richiesta, trasportandole presso un luogo di pubblico deposito oppure affidandole a un custode diverso dal debitore; nei casi di urgenza l'ufficiale giudiziario affida la custodia agli istituti autorizzati di cui all'articolo 159 delle disposizioni per l'attuazione del presente codice (Quindi modalità di conservazione e di custodia dei beni mobili pignorati.)

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Art.521 .Nomina e obblighi del custode Non possono essere nominati custode il creditore o il suo coniuge senza il consenso del debitore, ne' il debitore o le persone della sua famiglia che convivono con lui senza il consenso del creditore.

Non si esclude la possibilità che custode sia o il creditore o il debitore ma è rilevante la volontà o del debitore o del creditore rispettivamente;nel momento in cui sia nominato custode il debitore si ha la INTERVERSIONE DEL POSSESSO,per questo motivo si disinnesca il meccanismo dell’art 1153* c.c..Se custode diviene un terzo è evidente che non ci sono i presupposti per applicare l’art 1153c.c.,ma non si applica anche se il custode è il debitore perché è evidente che in questo caso possiede il bene non come debitore ma come custode;quindi non maturano i requisiti ex art 283c.p.c. per l’acquisto a titolo originario di quel determinato bene nei confronti di qualsiasi terzo.

Il custode sottoscrive il processo verbale dal quale risulta la sua nomina. Al fine della conservazione delle cose pignorate, l'ufficiale giudiziario autorizza il custode a lasciarle nell'immobile appartenente al debitore o a trasportarle altrove. Il custode non può usare delle cose pignorate senza l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione e deve rendere il conto a norma dell'art. 593.Quando e' depositata l'istanza di vendita il giudice dispone la sostituzione del custode nominando l'istituto di cui al primo comma dell'articolo 534 che entro trenta giorni, previo invio di comunicazione contenente la data e l'orario approssimativo dell'accesso, provvede al trasporto dei beni pignorati presso la propria sede o altri locali nella propria disponibilità. Le persone incaricate dall'istituto, quando risulta

necessario per apprendere i beni, possono aprire porte, ripostigli e recipienti e richiedere l'assistenza della forza pubblica.

Qui importante è sottolineare la possibilità di nominare custode l’istituto in un determinato momento della procedura,cioè quando viene depositata l’istanza di vendita il giudice dispone la sostituzione del custode nominando l’istituto di cui al 1° comma. Nella logica del codice vi è la nomina immediata del custode quando vengono pignorati i beni,in una determinata fase della procedura,istanza di vendita,per la mobiliare si prevede che sia nominato custode l’istituto di cui al 1° comma del 534c.p.c.

Per i beni che risultano difficilmente trasportabili con l'impiego dei mezzi usualmente utilizzati l'istituto può chiedere di essere autorizzato a provvedere alla loro custodia nel luogo in cui si trovano.

* ART 1153:Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne acquista la proprietà  mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà.

La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede dell'acquirente.

Nello stesso modo si acquistano i diritti di usufrutto, di uso e di pegno

Art.522. Compenso del custode Il custode non ha diritto a compenso se non l'ha chiesto e se non gli e' stato riconosciuto dall'ufficiale giudiziario all'atto della nomina. Nessun compenso può attribuirsi alle persone indicate nel primo comma dell'articolo precedente

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Per concludere la trattazione del pignoramento mobiliare dobbiamo soffermarci su alcuni istituti disciplinati dal codice:

-UNIONE DEI PIGNORAMENTI art 523 c.p.c.,

-PIGNORAMENTO SUCCESIVO art 524 c.p.c..

Entrambi da tener distinti dal fenomeno dell’INTEGRAZIONE DEI PIGNORAMENTI ex art 540 bis c.p.c.

I° IPOTESI:Art. 523. Unione di pignoramenti L'ufficiale giudiziario, che trova un pignoramento già iniziato da altro ufficiale giudiziario, continua le operazioni insieme con lui. Essi redigono unico processo verbale.

Fattispecie:quando l’ufficiale giudiziario si reca in loco per effettuare il pignoramento e trova un altro ufficiale giudiziario che già sta pignorando determinati beni,avviene l’UNIONE DI PIGNORAMENTI,perché si redige un Unico Verbale di Pignoramento.

II° IPOTESI: Art 524. Pignoramento successivo L'ufficiale giudiziario, che trova un pignoramento già compiuto, ne da' atto nel processo verbale descrivendo i mobili precedentemente pignorati, e quindi procede al pignoramento degli altri beni o fa constare nel processo verbale che non ve ne sono.(in questo caso l’ufficiale giudiziario redige un Autonomo Processo Verbale di quali beni sono già stati pignorati,quali beni ha pignorato e del fatto che non c’è più niente da pignorare ). Il processo verbale e' depositato in cancelleria e inserito nel fascicolo formato in base al primo pignoramento, se quello successivo e' compiuto anteriormente alla udienza prevista nell'articolo 525 primo comma , ovvero alla presentazione del ricorso per l'assegnazione o la

vendita dei beni pignorati nella ipotesi prevista nel secondo comma dell'articolo 525. In tal caso il cancelliere ne da' notizia al creditore primo pignorante e l'esecuzione si svolge in unico processo.

(PASSAGGIO IMPORTANTE:questi due autonomi pignoramenti,uno successivo all’altro, confluiscono in un UNICO PROCEDIMENTO). Il pignoramento successivo, se e' compiuto dopo l'udienza di cui sopra ovvero dopo la presentazione del ricorso predetto, ha gli effetti di un intervento tardivo rispetto ai beni colpiti dal primo pignoramento. Se colpisce altri beni, per questi ha luogo separato processo.

PROBLEMA:bisogna capire in quale fase processuale avviene il PIGNORAMENTO SUCCESSIVO:

-se avviene entro la fase processuale(1° udienza) si hanno le conseguenze di cui al 2 comma dell’art.524 c.p.c.;

-se è compiuto oltre quella determinata udienza si converte in intervento tardivo,se ha ad oggetto gli stessi beni del primo pignoramento(perché se invece è tardivo ed ha ad oggetto beni diversi,viene meno il presupposto dell’unico procedimento, e darà luogo ad un separato procedimento).

Da queste due ipotesi va tenuta distinta l’ipotesi dell’art 540 bis c.p.c. INTEGRAZIONE DEL PIGNORAMENTO:Quando le cose pignorate risultano invendute a seguito del secondo o successivo esperimento ovvero quando la somma assegnata, ai sensi degli articoli 510, 541 e 542, non è sufficiente a soddisfare le ragioni dei creditori, il giudice, ad istanza di uno di questi, provvede a norma dell’ultimo comma dell’articolo 518. Se sono pignorate nuove cose, il giudice ne dispone la vendita senza che vi sia necessità di nuova istanza. In caso contrario,

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dichiara l’estinzione del procedimento, salvo che non siano da completare le operazioni di vendita.

Qui il fenomeno dell’integrazione del pignoramento viene richiamato in una fattispecie diversa. Le cose pignorate risultano invendute a seguito del secondo o successivo esperimento. In questo caso l’integrazione del pignoramento avviene in una fase successiva(rispetto alla fase iniziale del processo ex art 518 c.p.c.) perché il presupposto è che le cose pignorate risultano invendute .

L’integrazione del pignoramento ex art 540 bis non si riferisce alla fase iniziale del processo,ma alla fase successiva alla vendita,ovvero quando la somma impegnata non è sufficiente a soddisfare le esigenze dei creditori.

Quindi l’integrazione del pignoramento riguarda un fenomeno unitario, ma ha diverse implicazioni:a quello originario ex art 518 c.p.c.,le più recenti riforme(Legge 18 giugno 2009, n. 69 )hanno aggiunto l’art 540 bis c.p.c. che si applica in presenza di presupposti distinti dall’art. 518 c.p.c.:quando i due esperimenti di vendita risultano vani o la somma ricavata è incapiente rispetto ai creditori, su istanza dei creditori, si può procedere all’integrazione del pignoramento.

PIGNORAMENTO IMMOBILIARE

Quali sono le differenze fondamentali tra il pignoramento mobiliare e il pignoramento immobiliare?È un atto complesso che deve fare i conti con il regime di circolazione dei beni? Se per i beni mobili dobbiamo fare i conti con la custodia,per i beni immobili,quest’atto complesso com’è concepito? Come è disciplinato dal codice? A quali condizioni può conseguire quell’obiettivo fondamentale che è quello di garantire al processo esecutivo di raggiungere il suo risultato,che è quello di

consentire al creditore di soddisfarsi su determinati beni,di trasformarli in una somma di denaro?

Il pignoramento immobiliare trova la sua disciplina in parte nel codice di procedura civile e in parte nel codice civile. Come il pignoramento mobiliare anche il pignoramento immobiliare si coordina con l’art 2740 c.c. perché rende specifica quella garanzia patrimoniale generica di cui all’art 2740 c.c..Se per il pignoramento mobiliare la rendiamo specifica aggredendo alcuni beni mobili del patrimonio di cui all’art 2740 c.c.,per il pignoramento immobiliare la rendiamo specifica aggredendo un bene immobile. La funzione del pignoramento trova anche qui esplicazione e la garanzia,da generica su tutto il patrimonio del debitore, diventa specifica su un determinato bene immobile appartenente al patrimonio che si aggredisce.

Se l’oggetto di questo processo espropriativo è un bene immobile per ottenere l’obiettivo che si propone il processo esecutivo, dobbiamo fare i conti con il regime di circolazione dei beni immobili e quindi componente ineliminabile è il riferimento alla TRASCRIZIONE NEI REGISTRI IMMOBILIARI degli atti di acquisto dei beni immobili.

Art. 2914 n°1c.c. Alienazioni anteriori al pignoramentoNon hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell`esecuzione sebbene anteriori al pignoramento:1) le alienazioni di beni immobili o di beni mobili iscritti in pubblici registri ,che siano state trascritte successivamente al pignoramento;

Questo articolo applica al pignoramento immobiliare e al processo esecutivo le regole proprie di circolazione di beni immobili: ai fini di redimere il conflitto tra più aventi causa dal medesimo dante causa si guarda non al momento traslativo(chi ha acquistato per primo), ma al momento della trascrizione (chi ha trascritto per primo).

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Art. 2916 c.c. Ipoteche e privilegiNella distribuzione della somma ricavata dall`esecuzione non si tiene conto:1) delle ipoteche (2808 e seguenti), anche se giudiziali, iscritte dopo il pignoramento;2) dei privilegi per la cui efficacia e necessaria l`iscrizione (2762), se questa ha luogo dopo il pignoramento (2745);3) dei privilegi per crediti sorti dopo il pignoramento

L’art. 2916 c.c. sancisce l’inopponibilità al creditore pignorante e ai creditori intervenuti nell’esecuzione delle ipoteche anche se giudiziali, iscritte dopo la trascrizione del pignoramento, con la conseguenza che di esse non si deve tener conto nella distribuzione della somma ricavata. La logica è sempre quella della trascrizione: se è stato trascritto prima il pignoramento e poi le ipoteche , la prevalenza è data alla trascrizione del pignoramento.

Quali sono le peculiarità del pignoramento immobiliare sul piano della struttura ?

La prima peculiarità la cogliamo per differentiam rispetto al pignoramento mobiliare : in questo caso, nel pignoramento immobiliare all’individuazione dei beni da pignorare procede non l’ufficiale giudiziario ma lo stesso creditore che, avendo riguardo al patrimonio del debitore, decide quale bene immobile intende pignorare.

Seconda peculiarità: l’esecuzione del pignoramento non avviene in loco, ossia presso la casa del debitore o altri luoghi a lui appartenenti, ma per il tramite di un atto strutturalmente complesso che viene predisposto dal creditore precedente e che viene integrato dall’ufficiale giudiziario con l’ingiunzione ex art. 492 c.p.c. .

ITER PROCEDIMENTALE DEL PIGNORAMENTO IMMOBILIARE

È UN ITER COMPLESSO con una propria sequenza:

-1 INIZIATIVA CREDITORE PRECEDENTE ,il quale deve predisporre un atto scritto “nel quale deve individuare i beni immobiliari che si intendono sottoporre ad esecuzione”.

-2 ATTO INTEGRATO DA INGIUNZIONE EX ART. 492, che è un atto di provenienza dell’ufficiale giudiziario e non del debitore ( per questo motivo l’atto di pignoramento immobiliare è non solo oggettivamente complesso, ma anche SOGGETTIVAMENTE complesso, perché vengono in rilievo due soggetti distinti: l’ufficiale giudiziario e il debitore).

-3 NOTIFICA DELL’ATTO DA PARTE DELL’UFFICIALE GIUDIZIARIO AL DEBITORE .

-4 TRASCRIZIONE NEI REGISTRI IMMOBILIARI che deve avvenire immediatamente dopo la notificazione al debitore di regola da parte dell’ufficiale giudiziario,anche se il creditore può farsi autorizzare per procedere personalmente alla trascrizione.

A seguito della notificazione l’ufficiale giudiziario deve depositare in cancelleria l’atto corredato di relativa trascrizione;il cancelliere predispone il fascicolo dell’esecuzione e lo trasmette al capo dell’ufficio, il quale nomina il giudice dell’esecuzione.

Art.555 Forma del pignoramento Il pignoramento immobiliare si esegue mediante notificazione al debitore e successiva trascrizione di un atto nel quale gli si indicano esattamente, con gli estremi richiesti

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dal codice civile per l'individuazione dell'immobile ipotecato, i beni e i diritti immobiliari che si intendono sottoporre a esecuzione, e gli si fa l'ingiunzione prevista nell'articolo 492. Immediatamente dopo la notificazione l'ufficiale giudiziario consegna copia autentica dell'atto con le note di trascrizione al competente conservatore dei registri immobiliari, che trascrive l'atto e gli restituisce una delle note. Le attività previste nel comma precedente possono essere compiute anche dal creditore pignorante, al quale l'ufficiale giudiziario, se richiesto, deve consegnare gli atti di cui sopra.

Predisposizione atto di pignoramento: il creditore procedente deve procedere all’esatta INDIVIDUAZIONE DELL’IMMOBILE DA ASSOGGETTARE AD ESECUZIONE FORZATA.

L’individuazione dei beni immobili avviene a norma dell’art 555c.p.c. il quale rinvia all’art. 2826 c.c. ,norma che ci indica gli estremi per l’individuazione del bene immobile ipotecato.

Articolo 2826 Indicazione dell’immobile ipotecato. Nell’atto di concessione dell’ipoteca l’immobile deve essere specificamente designato con l’indicazione della sua natura, del comune in cui si trova, nonché dei dati di identificazione catastale; per i fabbricati in corso di costruzione devono essere indicati i dati di identificazione catastale del terreno su cui insistono.

Il creditore incontra dei VINCOLI nella sua scelta o può scegliere liberamente tra i beni immobili di proprietà del debitore?

Il creditore incontra un UNICO VINCOLO previsto dall’art. 2911 c.c. in forza del quale “non può pignorare altri immobili se non sottopone a pignoramento anche gli immobili gravati da ipoteca.” Questo vincolo

non si ha se il creditore non ha nessun diritto di ipoteca, quindi vale solo se si è creditori ipotecari.

Questa scelta del creditore è INSINDACABILE sia da parte dell’ufficiale giudiziario, sia da parte del conservatore dei registri immobiliari.

In base all’art. 170 delle disp.att.c.c. alla sottoscrizione dell’atto di pignoramento,deve procedere, prima della relazione di notificazione, il creditore pignorante a norma dell’art 125 c.p.c..

Art. 170 Atto di pignoramento immobiliare L’atto di pignoramento di beni immobili previsto nell’art. 555 del Codice deve essere sottoscritto, prima della relazione di notificazione, dal creditore pignorante a norma dell’art. 125 del Codice.

Che significa “sottoscrizione in base all’art. 125”? Questo è discusso. Ci si chiede: è sufficiente che l’atto sia sottoscritto dalla parte personalmente o invece in forza del richiamo al 125,è necessaria anche la sottoscrizione del difensore?

La giurisprudenza ritiene che l’atto di pignoramento debba essere sottoscritto da un difensore munito di procura rilasciata dal creditore pignorante.

Se manca la sottoscrizione del difensore, quali sono le conseguenze?

Le categorie dell’INVALIDITA’ potrebbero essere:

-inesistenza( vizio gravissimo)

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-nullità (CON RELATIVA SANATORIA)

-mera irregolarità

L’atto di pignoramento deve necessariamente contenere l’INGIUNZIONE AL DEBITORE ex art.. 492c.p.c.; è pacifico che l’ingiunzione sia un elemento costitutivo del pignoramento.

Parte della giurisprudenza ritiene che in assenza di ingiunzione si avrebbe l’inesistenza del pignoramento; secondo altri si avrebbe, invece, una nullità sanabile per effetto della mancata proposizione dell’ opposizione agli atti esecutivi nei termini di legge.

L’atto di pignoramento così confezionato deve essere notificato al debitore e la competenza esclusiva è dell’ufficiale giudiziario appartenente al tribunale del luogo in cui si trova il bene immobile. La giurisprudenza ritiene che questa notificazione possa essere effettuata anche dall’ufficiale giudiziario del luogo ove risiede il debitore, quando il debitore risiede in un luogo diverso da dove si trova il bene immobile.

Una volta notificato l’atto ,esso va trascritto nei registri immobiliari. La competenza è dell’ufficiale giudiziario, anche se il creditore può farsi autorizzare a procedere personalmente alla trascrizione. La trascrizione avviene presso l’ufficio della CONSERVATORIA DEI REGISTRI IMMOBILIARI NELLA CUI CIRCOSCRIZIONE E’ SITUATO L’IMMOBILE .

La trascrizione effettuata presso un ufficio territorialmente incompetente è PRIVA DI QUALSIASI EFFETTO.

Come va effettuata questo tipo di trascrizione? Va predisposta una nota di trascrizione , il cui contenuto è disciplinato dall’art. 2659c.c.,contenuto predeterminato dal codice che va però adattato all’atto di pignoramento.

Art.2659 Nota di trascrizione Chi domanda la trascrizione di un atto tra vivi deve presentare al conservatore dei registri immobiliari, insieme con la copia del titolo, una nota in doppio originale, nella quale devono essere indicati:1) il cognome ed il nome, il luogo e la data di nascita e il numero di codice fiscale delle parti, nonché il regime patrimoniale delle stesse, se coniugate, secondo quanto risulta da loro dichiarazione resa nel titolo o da certificato dell'ufficiale di stato civile, la denominazione o la ragione sociale, la sede e il numero di codice fiscale delle persone giuridiche, delle società previste dai capi II, III e IV del titolo V del libro quinto e delle associazioni non riconosciute, con l'indicazione, per queste ultime e per le società semplici, anche delle generalità delle persone che le rappresentano secondo l'atto costitutivo;2) il titolo di cui si chiede la trascrizione e la data del medesimo;3) il cognome e il nome del pubblico ufficiale che ha ricevuto l'atto o autenticato le firme, o l'autorità giudiziaria che ha pronunciato la sentenza;4) la natura e la situazione dei beni a cui si riferisce il titolo, con le indicazioni richieste dall'art. 2826.Se l'acquisto, la rinunzia o la modificazione del diritto sono sottoposti a termine o a condizione, se ne deve fare menzione nella nota di trascrizione (2665). Tale menzione non è necessaria se, al momento in cui l'atto si trascrive, la condizione sospensiva si è verificata o la condizione risolutiva è mancata ovvero il termine iniziale è scaduto.

La predisposizione della nota, se non effettuata in modo corretto può comportare l’invalidità della trascrizione in base all’art. 2841 Omissioni

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e inesattezze nei titoli o nelle note:l’omissione o l’inesattezza di alcune delle indicazioni nel titolo, in base al quale è presa l’iscrizione, o nella nota non nuoce alla validità dell’iscrizione, salvo che induca incertezza sulla persona del creditore o del debitore o sull’ammontare del credito ovvero sulla persona del proprietario del bene gravato, quando l’indicazione ne è necessaria, o sull’identità dei singoli beni gravati.

Nel caso di altre omissioni o inesattezze, si può ordinare la rettificazione a istanza e a spese della parte interessata.

L’atto di pignoramento deve fare i conti non solo con i requisiti di forma-contenuto , ma anche con i requisiti previsti per la trascrizione. La loro mancanza determina invalidità. Quindi accanto all’invalidità dell’atto di pignoramento potrebbe esserci anche l’invalidità della trascrizione.

Il grosso problema con relazione al pignoramento immobiliare è legato al momento del PERFEZIONAMENTO DEL PIGNORAMENTO IMMOBILIARE.

Il pignoramento è un atto complesso e si compone di una pluralità di atti, ma in quale momento della sequenza si perfeziona il pignoramento?

Bisogna stabilire se il parametro di riferimento per il perfezionamento sia rappresentato dall’INTIMAZIONE AL DEBITORE ex art. 492 c.p.c o sia rappresentato dalla TRASCRIZIONE NEI REGISTRI IMMOBILIARI. E’ un problema che ha delle ricadute pratiche e lo si intuisce dall’analisi di alcune norme:

Art.481. Cessazione dell'efficacia del precetto Il precetto diventa inefficace, se nel termine di novanta giorni dalla sua notificazione non e' iniziata l'esecuzione.

Se contro il precetto e' proposta opposizione, il termine rimane sospeso e riprende a decorrere a norma dell'articolo 627.

L’art. 481 disciplina la cosiddetta “perenzione del precetto”. Poiché l’esecuzione inizia con il pignoramento dobbiamo stabilire quando si è perfezionato questo pignoramento ai fini della perenzione del precetto.

Art.497. Cessazione dell'efficacia del pignoramento :Il pignoramento perde efficacia quando dal suo compimento sono trascorsi novanta giorni senza che sia stata richiesta l'assegnazione o la vendita.

Ma questi 90 giorni da quando decorrono? Quando può dirsi perfezionato il pignoramento?Decorrono già dall’intimazione, o decorrono solo dalla trascrizione nei registri immobiliari?

Art.501. Termine dilatorio del pignoramento :L'istanza di assegnazione o di vendita dei beni pignorati non può essere proposta se non decorsi dieci giorni dal pignoramento, tranne che per le cose deteriorabili, delle quali può essere disposta l'assegnazione o la vendita immediata.

Art. 567 comma 1, Istanza di vendita Decorso il termine di cui all'articolo 501, il creditore pignorante e ognuno dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo possono chiedere la vendita dell'immobile pignorato.

Anche ai fini di questa decorrenza bisogna sapere quando si è perfezionato il pignoramento.

Art.561. Pignoramento successivo Il conservatore dei registri immobiliari, se nel trascrivere un atto di pignoramento trova che sugli

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stessi beni e' stato eseguito un altro pignoramento, ne fa menzione nella nota di trascrizione che restituisce. L'atto di pignoramento con gli altri documenti indicati nell'articolo 557 e' depositato in cancelleria e inserito nel fascicolo formato in base al primo pignoramento, se quello successivo e' compiuto anteriormente all'udienza prevista nell'articolo 564. In tal caso l'esecuzione si svolge in unico processo. Se il pignoramento successivo e' compiuto dopo l'udienza di cui sopra, si applica l'articolo 524 ultimo comma.

Anche qui il problema che ci si pone è: come si fa a stabilire qual è il pignoramento precedente e quello successivo se non sappiamo quando si è perfezionato il pignoramento?

La problematica sul perfezionamento del pignoramento è molto discussa sia in dottrina sia in giurisprudenza e sono sostenute entrambe le posizioni. Il vero nodo fondamentale di questa problematica è il RUOLO da attribuirsi alla TRASCRIZIONE nell’ambito del pignoramento immobiliare.

Due TEORIE si contendono il campo ( TEORIA DEL PROCEDIMENTO O TEORIA DELLA FATTISPECIE A FORMAZIONE PROGRESSIVA), ma per semplificazione le chiameremo:

-1 TEORIA DELLA TRASCRIZIONE QUALE ELEMENTO INTEGRATIVO DELL’EFFICACIA DEL PIGNORAMENTO,che considera il pignoramento già perfetto con l’ingiunzione al debitore ex art 492 e la trascrizione sarebbe solo un elemento integrativo dell’efficacia del pignoramento. Nella logica di questa teoria bisogna distinguere tra EFFETTI PROCESSUALI del pignoramento nei confronti del debitore ,che si produrrebbero già per effetto della

notificazione dell’ingiunzione ex art. 492 , ed EFFETTI SOSTANZIALI del pignoramento nei confronti dei terzi,che si produrrebbero invece, solo in forza della trascrizione nei registri immobiliari. In questo tipo di logica la trascrizione del pignoramento avrebbe un’ efficacia MERAMENTE DICHIARATIVA(cioè la sua funzione tipica). (TEORIA DEL PROCEDIMENTO).

-2 TEORIA DELLA TRASCRIZIONE QUALE ELEMENTO COSTITUTIVO DEL PIGNORAMENTO,che considera il pignoramento una fattispecie non ancora perfetta perché il pignoramento si perfezionerebbe con la trascrizione. Questo significa che la trascrizione avrebbe, con riferimento al pignoramento immobiliare, la rilevanza di un vero e proprio ATTO ESECUTIVO la cui funzione non è quella di rendere opponibile ai terzi un pignoramento che si è già verificato, ma bensì consentire il perfezionarsi del pignoramento, atteggiandosi come elemento costitutivo del pignoramento stesso, per cui senza la trascrizione non si avrebbe pignoramento. In questo caso la trascrizione del pignoramento avrebbe un’efficacia COSTITUTIVA.(TEORIA DELLA FATTISPECIE A FORMAZIONE PROGRESSIVA).

Quale di queste due impostazioni prevale?Per la dottrina prevale la seconda teoria,per la giurisprudenza prevale la prima teoria.

Norme introdotte con la legge n.69 del 2009 nel codice civile che disciplinano l’INEFFICACIA DELLA TRASCRIZIONE NEL PIGNORAMENTO:

Art 2668bis Durata dell’efficacia della trascrizione della domanda giudiziale:La trascrizione della domanda giudiziale conserva il suo effetto per venti anni dalla sua data. L’effetto cessa se la trascrizione non e` rinnovata prima che scada detto termine.

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Per ottenere la rinnovazione si presenta al conservatore una nota in doppio originale conforme a quella della predente trascrizione, in cui si dichiara che si intende rinnovare la trascrizione originaria.In luogo del titolo si puo` presentare la nota precedente.Il conservatore deve osservare le disposizioni dell’articolo 2664.Se al tempo della rinnovazione gli immobili a cui si riferisce il titolo risultano dai registri delle trascrizioni passati agli eredi o aventi causa di colui contro il quale venne eseguita la formalità , la rinnovazione deve essere fatta anche nei confronti degli eredi o aventi causa e la nota deve contenere le indicazioni stabilite dall’articolo 2659 se queste risultano dai registri medesimi.

2668-terDurata dell’efficacia della trascrizione del pignoramento immobiliare e del sequestro conservativo sugli immobili Le disposizioni di cui all’articolo 2668-bis si applicano anche nel caso di trascrizione del pignoramento immobiliare e del sequestro conservativo sugli immobili.

Queste norme hanno esteso al pignoramento e al sequestro una logica che era già presente nel codice con riferimento all’ipoteca all’art 2847Durata dell’efficacia dell’iscrizione:

L’iscrizione conserva il suo effetto per venti anni dalla sua data. L’effetto cessa se l’iscrizione non è rinnovata prima che scada detto termine.

Con la medesima logica prevista per l’ipoteca, anche per il pignoramento, se la trascrizione non viene rinnovata nel termine di 20 anni perde la cd. “efficacia prenotativa”. La ratio sottesa a queste previsioni(artt.2668 bis e ter,2847) è quella di rendere più sicura ed agevole l’indagine effettuata dai terzi sui registri immobiliari. Le

indagini sui registri immobiliari dovrebbero essere effettuate risalendo al primo titolo anteriore al ventennio ( termine legato anche al fenomeno dell’usucapione).

Qual è la tecnica legislativa utilizzata dal legislatore per dare una risposta a questa problematica? La tecnica legislativa è quella del ricorso all’INEFFICACIA DELLA TRASCRIZIONE, cioè la trascrizione rimane valida per 20 anni , ma se voglio mantenerla valida, entro il ventennio, devo rinnovare la trascrizione.

L’INEFFICACIA DELLA TRASCRIZIONE è una figura nuova introdotta con la l.69/2009 perché prima esisteva solo l’inefficacia del pignoramento(artt 497 e 567 c.p.c).

Figura distinta è l’ESTINZIONE DEL PIGNORAMENTO che è una figura anomala che il nostro codice ha conosciuto pro tempore ed era prevista al terzo comma dell’art. 624 c.p.c.,ora modificato dalla l.69/2009. Art 624 comma 3 Nei casi di sospensione del processo disposta ai sensi del primo comma e non reclamata, nonché disposta o confermata in sede di reclamo, il giudice che ha disposto la sospensione dichiara con ordinanza non impugnabile l'estinzione del pignoramento, previa eventuale imposizione di cauzione e con salvezza degli atti compiuti, su istanza dell'opponente alternativa all'instaurazione del giudizio di merito sull'opposizione, fermo restando in tal caso il suo possibile promovimento da parte di ogni altro interessato; l'autorità dell'ordinanza di estinzione pronunciata ai sensi del presente comma non è invocabile in un diverso processo.

Qual e problematica ha aperto l’introduzione dell’inefficacia della trascrizione del pignoramento?

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Una problematica relativa ai rapporti tra inefficacia della trascrizione del pignoramento e processo esecutivo pendente.

Problema : quali sono le sorti del processo esecutivo una volta che la trascrizione diventa inefficace?

Tesi Prof. Fabiani :Si può trascrivere nuovamente il pignoramento e mantenere in piedi la procedura esecutiva, tenendo sempre conto della disciplina della trascrizione. A seguito dell’inefficacia della trascrizione non si ha una definitiva perdita di efficacia del pignoramento.

Secondo un’altra tesi, invece, l’inefficacia della trascrizione del pignoramento, determinerebbe l’estinzione del processo esecutivo.

Entrambe le teorie sono sostenute in dottrina.

PIGNORAMENTO PRESSO TERZI

OGGETTO: -Crediti del debitore presso terzi;

-Cose mobili del debitore che siano detenute da terzi.

STRUTTURA DEL PIGNORAMENTO PRESSO TERZI:con l’espropriazione presso terzi abbiamo la possibilità di espropriare dei crediti del debitore nei confronti del terzo e dei beni immobili che si trovano presso terzi.

Per quale motivo il legislatore non ci consente di attaccare immediatamente i beni presso il terzo??? e per quale motivo dobbiamo dirigere l’espropriazione nei confronti del debitore???

Per un motivo fondamentale: componente ineliminabile di questo iter procedimentale non può non essere L’ACCERTAMENTO DELL’ESISTENZA DI QUEL DIRITTO DI CREDITO,(intanto posso assoggettare ad espropriazione un credito del debitore nei confronti del terzo in quanto preventivamente io abbia in qualche modo accertato l’esistenza di quel diritto di credito).Ecco il motivo per il quale io non posso aggredire immediatamente il terzo ma devo rivolgere l’espropriazione nei confronti del debitore, espropriazione che deve interessare anche il terzo.

Come vi entra il terzo? Vi entra nella logica di un atto complesso;qui la complessità dell’ atto e la struttura del pignoramento risente della necessità di accertare il diritto di credito del debitore nei confronti del terzo e quindi deve fare i conti con questo accertamento, e come fa?

Lo fa prevedendo che io notifichi un atto al debitore che deve però contenere un qualcosa che riguardi inevitabilmente anche il terzo e questo atto introduttivo produrrà degli effetti tanto nei confronti del debitore tanto nei confronti del terzo.

Ultimo passaggio: questo pignoramento può perfezionarsi solo nel momento in cui avrò effettivamente accertato che esiste un diritto di credito del debitore nei confronti del terzo, come???

- o perché me lo dice il terzo che compare in udienza e rende dichiarazioni positiva;

- oppure per il tramite dell’accertamento giurisdizionale(con un processo a cognizione piena).

Riferimenti normativi:Artt 543 e ss cpc e 2914 n.2,2917-2918cc.

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Art. 543-Forma del pignoramento:Il pignoramento di crediti del debitore verso terzi o di cose del debitore che sono in possesso di terzi, si esegue mediante atto notificato personalmente al terzo e al debitore a norma degli articoli 137 e seguenti.( Quindi devo predisporre un unico atto da notificare al debitore e al terzo. Non posso andare dall’ufficiale giudiziario con il titolo e chiedere di assoggettare ad espropriazione il diritto di credito che assumo essere del debitore nei confronti del terzo;non è questa la scelta che fa il legislatore, perché bisogna passare necessariamente per l’accertamento di questo diritto di credito, mediante la predisposizione di un atto unico che deve essere notificato al debitore e al terzo e deve contenere oltre all’ingiunzione di cui al 492, elemento fondamentale di ogni forma di pignoramento, l’indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto, l’indicazione almeno generica delle cose , l’intimazione al terzo ecc).

L'atto deve contenere, oltre all'ingiunzione al debitore di cui all'articolo 492:1) l'indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto;2) l'indicazione, almeno generica, delle cose o delle somme dovute e l'intimazione al terzo di non disporne senza ordine di giudice;3) la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale competente; 4) la citazione del terzo e del debitore a comparire davanti al giudice del luogo di residenza del terzo, affinché questi faccia la dichiarazione di cui all'articolo 547 e il debitore sia presente alla dichiarazione e agli atti ulteriori, con invito al terzo a comparire quando il pignoramento riguarda i crediti di cui all'articolo 545, commi terzo e quarto, e negli altri casi a comunicare la dichiarazione di cui all'articolo 547 al creditore procedente entro dieci giorni a mezzo raccomandata.( E cioè la citazione del terzo a comparire dinanzi al giudice del luogo di residenza del terzo affinchè questo proceda alla dichiarazione di cui

all’art. 547. Questa, quindi, è la principale via attraverso cui il terzo può pervenire in prima battuta all’accertamento del credito e alla luce delle più recenti riforme è stato previsto che questo terzo può rendere una dichiarazione non solo comparendo in udienza ma anche per mezzo della raccomandata A.R. per semplificare ulteriormente l’iter procedimentale, ad esempio quando il terzo è una banca). Nell'indicare l'udienza di comparizione si deve rispettare il termine previsto nell'articolo 501.

L'ufficiale giudiziario, che ha proceduto alla notificazione dell'atto, è tenuto a depositare immediatamente l'originale nella cancelleria del tribunale per la formazione del fascicolo previsto nell'articolo 488. In tale fascicolo debbono essere inseriti il titolo esecutivo e il precetto che il creditore pignorante deve depositare in cancelleria al momento della costituzione prevista nell'articolo 314.

Primo dato fondamentale: l’inizio di questo processo presso terzi è diverso rispetto alle altre forme di espropriazione, in quanto non inizia con una richiesta all’ufficiale giudiziario di procedere al pignoramento consegnando il titolo esecutivo ed il precetto ma inizia con un atto introduttivo soggettivamente complesso nel suo contenuto diretto tanto al debitore che al terzo.

Quando il terzo riceve la notificazione dell’atto introduttivo che obblighi scattano???

Art. 546-Obblighi del terzo:Dal giorno in cui gli è notificato l'atto previsto nell'articolo 543, il terzo è soggetto, relativamente alle cose e alle somme da lui dovute e nei limiti dell'importo del credito precettato aumentato della metà ,agli obblighi che la legge impone al custode.

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Nel caso di pignoramento eseguito presso più terzi, il debitore può chiedere la riduzione proporzionale dei singoli pignoramenti a norma dell'articolo 496 ovvero la dichiarazione di inefficacia di taluno di essi; il giudice dell'esecuzione, convocate le parti, provvede con ordinanza non oltre venti giorni dall'istanza.

Dopo l’ingiunzione ex art. 492, cos’è che il debitore non può più fare?

Non può rendere opponibile degli atti di cessione di credito o di estinzione dello stesso, quindi dal momento in cui ha ricevuto la notificazione dell’atto, ogni eventuale cessione del credito o estinzione è inopponibile e altrettanto dicasi per la novazione o remissione del debito da parte del creditore.

E nei confronti del terzo? Tendenzialmente si dice che l’intimazione rivolta ad un terzo fa si che il terzo non possa più pagare con efficacia liberatoria, dal momento in cui riceve la notificazione di quest’atto, ed in ciò si esplica l’efficacia di obbligo di custodia di un diritto di credito. Inoltre anche se il terzo paga,il suo pagamento non avrà EFFICACIA LIBERATORIA.

Abbiamo detto che quest’atto contiene l’obbligo di comparire in udienza con il rispetto dei termini previsti; l’evoluzione del processo sarà diversa a seconda della dichiarazione del terzo:

-se il terzo rende una dichiarazione positiva il pignoramento si perfeziona;

- se il terzo non compare, rende una dichiarazione negativa o solleva delle contestazioni,il pignoramento non si perfeziona e si apre un processo a cognizione piena volto ad accertare l’esistenza o inesistenza

del diritto di credito ed il processo esecutivo rimane sospeso in attesa che si concluda il processo a cognizione piena.

Problematiche:

1. PRESTAZIONI PERIODICHE, ad esempio il pignoramento(presso terzi) di uno stipendio,nei limiti in cui è pignorabile. Fattore complicante è l’intervento di altri creditori poiché la somma iniziale che veniva detratta dallo stipendio non è più sufficiente a soddisfare tutti i creditori intervenuti.

La soluzione della Corte di Cassazione è quella di ritenere che si abbia una sorta di automatico adeguamento dell’oggetto dell’espropriazione al valore dei crediti effettivi richiesti nell’ambito del processo espropriativo e quindi che la somma iniziale venga proporzionalmente aumentata in relazione agli altri crediti che vengono fatti valere nell’ambito del processo espropriativo.

La Corte di Cassazione aveva affermato con una serie di pronunce conformi “che nel pignoramento presso terzi, oggetto del vincolo non è una quota pari al credito per il quale l’esecutante agisce ma una somma unitaria o frazionata nel tempo di cui il terzo è debitore”, per cui aveva aperto la possibilità di un adeguamento automatico.

Qual è il punto debole di questa impostazione? Nell’atto introduttivo del processo si richiede di indicare il credito per il quale si procede, in quanto l’oggetto del processo esecutivo deve essere individuato dall’atto introduttivo; pertanto non può procedersi ad un automatico aggiornamento dell’oggetto del processo, in relazione al numero dei creditori che intervengono, perché non essendo previsto dal sistema si scontrerebbe con la struttura stessa del processo esecutivo,in quanto nell’atto introduttivo già deve individuarsi l’oggetto dell’espropriazione.

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Il problema è parzialmente risolto dal legislatore nel nuovo art.546 :nei limiti dell’importo del credito precettato aumentato della metà.

2. Ulteriore problematica: il terzo ha la possibilità di rendere la dichiarazione in udienza o mediante raccomandata. Un problema delicato è quello relativo ai fatti sopravvenuti a seguito della raccomandata,ma precedenti all’udienza.

Dottrina e Giurisprudenza ritengono che il terzo abbia un onere di rendere una dichiarazione integrativa o di comparire in udienza.

3.Ultima problematica:PIGNORAMENTO ESEGUITO PRESSO PIU’ TERZI.

A seguito della l. 80/2005 e a norma dell’art. 546. “Nel caso di pignoramento eseguito presso più terzi, il debitore può chiedere la riduzione proporzionale dei singoli pignoramenti a norma dell'articolo 496 ovvero la dichiarazione di inefficacia di taluno di essi; il giudice dell'esecuzione, convocate le parti, provvede con ordinanza non oltre venti giorni dall'istanza”.

In Cassazione si è aperto il dibattito sull’ambito di applicazione della norma: “Non è chiaro se questo pignoramento eseguito presso più terzi presupponga che con un unico pignoramento possano essere chiamati, a rendere la dichiarazione,più terzi residenti in luoghi diversi oppure debba trovare applicazione solo nel caso in cui i terzi risiedano nella circoscrizione del giudice competente per le opposizioni.” Si tratta del dibattito,se alla luce delle riforme,si possa realizzare il simultaneus processus anche in sede di pignoramento presso terzi, in deroga ai principi di competenza richiesti dal c.p.c.

L’ESPROPRIAZIONE CONTRO IL TERZO PROPRIETARIO.

REFERENTI NORMATIVI:Artt 602- 604cpc.La fattispecie che viene in rilievo è un’ipotesi di responsabilità per debito altrui:un terzo ha dato a garanzia il proprio bene in relazione alla posizione debitoria di altro soggetto, il debitore non paga e il creditore che cosa fa?Attivando il diritto di garanzia non può che aggredire il terzo e, a differenza del pignoramento presso terzi, qui il terzo viene aggredito in via esecutiva, perché non abbiamo la necessità di accertare il diritto di credito, perché lui ha concesso l’ipoteca su un bene immobile di sua proprietà.

Questa posizione va distinta dalla posizione del terzo di cui al 619 cpc. In questo caso il terzo che viene aggredito in via esecutiva è un terzo che viene legittimamente aggredito perché ha concesso ipoteca su un bene di sua proprietà a garanzia di un determinato rapporto debito-credito. Nel caso dell’opposizione di terzo all’esecuzione, il terzo vede illegittimamente aggredita la sua sfera possessoria; l’opposizione di terzo è il rimedio dato al terzo proprio per sottrarre il bene immobile o mobile alla procedura esecutiva cui illegittimamente è stato coinvolto. Caso classico: due appartamenti stanno sullo stesso pianerottolo ed io accatasto erroneamente quello di X e non quello di Y mio effettivo debitore.

Art. 602 Modo dell’espropriazioneQuando oggetto dell’espropriazione e’ un bene gravato da pegno o da ipoteca per un debito altrui, oppure un bene la cui alienazione da parte del debitore e’ stata revocata per frode, si applicano le disposizioni contenute nei capi precedenti, in quanto non siano modificate dagli articoli che seguono.

Art. 603 Notificazione del titolo esecutivo e del precettoIl titolo esecutivo e il precetto debbono essere notificati anche al terzo.Nel precetto deve essere fatta espressa menzione del bene del terzo che si intende espropriare.

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Art. 604 Disposizioni particolariIl pignoramento e in generale gli atti d’espropriazione si compiono nei confronti del terzo, al quale si applicano tutte le disposizioni relative al debitore, tranne il divieto di cui all’articolo 579 primo comma.Ogni volta che a norma dei capi precedenti deve essere sentito il debitore, e’ sentito anche il terzo

Qual è il vero soggetto passivo di questa espropriazione? La dottrina è divisa:

-secondo alcuni è il debitore;

-secondo altri è il terzo,il quale viene aggredito in via esecutiva direttamente e al quale si applicano tutte le disposizioni relative al debitore eccetto l’art 579 cpc:divieto di poter acquistare il bene oggetto della procedura espropriativa

Quali sono gli ulteriori creditori che possono intervenire nel processo esecutivo? I creditori del debitore o quelli del terzo? È ammesso l’intervento solo dei creditori diretti del terzo che potranno soddisfarsi solo a seguito del soddisfacimento del creditore privilegiato.

ESPROPRIAZIONE DI BENI INDIVISI

Art. 599-Pignoramento: Possono essere pignorati i beni indivisi anche quando non tutti i comproprietari sono obbligati verso il creditore.

In tal caso del pignoramento è notificato avviso, a cura del creditore pignorante, anche agli altri comproprietari, ai quali è fatto divieto di lasciare separare dal debitore la sua parte delle cose comuni senza ordine di giudice.

Qual è la situazione peculiare? Oggetto dell’espropriazione è un bene di proprietà non in via esclusiva del debitore ma in comunione con altri soggetti, e la peculiarità sta nell’avviso agli altri comproprietari.

Funzione dell’avviso in merito ad altri oneri(es. trascrizione o custodia).

La dottrina si divide:

Secondo taluni questo avviso ai comproprietari avrebbe una efficacia meramente NOTIZIALE di un pignoramento già compiuto e perfezionato.

Altri, invece, sostengono che questo avviso avrebbe un’ efficacia COSTITUTIVA di un vero e proprio vincolo di un bene,che prima della divisione appartiene ad un soggetto diverso dall’esecutato.

La Tesi intermedia sostiene che bisognerebbe diversificare a seconda del tipo di espropriazione che viene in rilievo: avrebbe valore COSTITUTIVO nell’espropriazione mobiliare e di credito ove manca un regime di pubblicità legale per la circolazione giuridica del bene e un valore MERAMENTE NOTIZIALE nell’espropriazione immobiliare in cui un principio di circolazione dei beni c’è ed è legato sostanzialmente alla trascrizione .

Al di là della tesi da accogliere,la dottrina ritiene pacificamente che la funzione fondamentale di questo avviso sia sempre quella di non consentire agli altri comproprietari di disporre del bene senza l’ordine del giudice.

Finalità fondamentale della procedura:nell’ambito dell’espropriazione di beni indivisi il codice prevede che possa procedersi:

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-alla divisione in natura,ove possibile;

-alla vendita della quota indivisa,cercando un soggetto che voglia entrare in comunione,

-alla divisione giudiziale.

INVALIDITA’

Il processo civile si compone di una serie di atti che devono avere dei requisiti di forma-contenuto; il cpc onde consentire che il processo possa conseguire il suo scopo fondamentale prevede dei requisiti di forma contenuto per tutti gli atti e vuole che questi atti siano posti in essere da soggetti muniti di quei requisiti extraformali, tipo per il giudice giurisdizione e competenza, in modo tale che il processo possa arrivare al suo scopo a condizione che gli atti siano posti in essere nel rispetto di determinati requisiti di forma- contenuto da parte dei soggetti che siano legittimati a porli in essere.

Anche il processo esecutivo va inserito nell’ambito dei principi generali del processo civile; la prima fonte del processo esecutivo è il libro I del cpc sui principi generali. Quindi se abbiamo tradotto e riportato questo discorso al pignoramento, significa dire che il codice detta una disciplina estremamente analitica in ordine ai requisiti di forma-contenuto dell’atto pignoramento; è estremamente analitica nel momento in cui prevede dei requisiti o comunque una disciplina in ordine al pignoramento in generale, ex 492, ed una disciplina specifica per ogni singola tipologia di pignoramento. A seconda del bene che viene in rilievo o del fatto che venga aggredito il debitore o un terzo il pignoramento si atteggia in modo peculiare, con un atto che deve avere un determinato tipo di contenuto. Questo significa che ci si potrebbe attendere che a fronte di una disciplina così analitica dei requisiti di

forma contenuto dell’atto pignoramento il codice si preoccupi parallelamente di disciplinare in modo espresso l’invalidità dell’atto di pignoramento; ma così non è! Non esiste nessuna norma nel codice che disciplini espressamente l’invalidità del pignoramento. Questo significa che il primo passo fondamentale per ricavare insieme la disciplina dell’invalidità del pignoramento è quello di guardare ai principi generali; dobbiamo ricavare dai principi generali quella che può essere l’invalidità del pignoramento; il che significa che dobbiamo necessariamente guardare alla disciplina delle opposizioni, quali strumenti previsti in via generale dall’ordinamento per far valere i possibili vizi del processo esecutivo.

I rimedi oppositivi che conosce il processo esecutivo sono:

l’opposizione all’esecuzione, art 615, con la quale io contesto l’altrui diritto a procedere all’esecuzione forzata e che è sganciata da ogni termine;

l’opposizione agli atti esecutivi, art 617, (rimedio volutamente legato alla possibilità di far valere determinati vizi degli atti del processo esecutivo)con la quale io contesto la regolarità dei singoli atti della procedura esecutiva e che può invece essere proposta solo entro 20 giorni dal compimento di quel determinato atto; nella logica del legislatore questo termine vuole far si che per effetto della mancata proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi entro quel determinato termine, si sanano i vizi. Quindi l’opposizione agli atti esecutivi svolge una funzione straordinariamente importante sotto il profilo della sanatoria dei vizi del processo esecutivo e quindi sotto il profilo della stabilizzazione degli effetti del processo esecutivo.

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l’opposizione di terzo all’esecuzione che è il rimedio a disposizione non delle parti del processo esecutivo ma di un terzo che vede ingiustamente assoggettato ad espropriazione forzata un bene di sua proprietà.

I due rimedi che ci interessano per ricavare delle categorie utili ai fini della invalidità del pignoramento sono l’opposizione all’esecuzione ex 615 e l’opposizione agli atti esecutivi ex 617; nell’assenza di ogni indicazione espressa da parte del legislatore la presenza di due rimedi oppositivi, uno per far valere i vizi di merito e l’altro per far valere i vizi di legittimità della procedura esecutiva, mi consente già di individuare due possibili grosse categorie di invalidità del pignoramento in relazione al fatto che questi vizi possono essere vizi sostanziali o di merito la cui rilevabilità non è soggetta a termini di decadenza, opposizione ex 615 e vizi derivanti da inosservanza o carenza di requisiti di forma- contenuto che invece devono essere fatti valere con l’opposizione agli atti esecutivi ex 617 entro 20 giorni dalla conoscenza dell’atto, trascorsi i quali quel determinato vizio viene sanato.

Rispetto a questa operazione interpretativa che la dottrina ha posto in essere, cosa ha fatto la giurisprudenza? Si tratta di un’operazione che la giurisprudenza ha fatto in via generale ma che ha trovato particolare spazio nella disciplina dell’invalidità del pignoramento; da sempre tanto in dottrina che i giurisprudenza vi è la tendenza a non ritenere possibile che tutti i possibili vizi del pignoramento, anche i vizi più gravi, possano essere ricondotti nell’ambito della casella vizi formali che si possono far valere col 617. Cioè, questa bipartizione netta è sempre stata molto stretta tanto alla dottrina che alla giurisprudenza soprattutto con riferimento alla disciplina dell’invalidità del pignoramento; perché ci sono dei casi paradigmatici, pensiamo alla mancanza dell’ingiunzione, dove ricondurre questo vizio nel mero vizio formale che si sana per effetto della mancata proposizione dell’opposizione ex 617 entro 20 giorni, veniva avvertito come un rimedio insoddisfacente.

Quindi che ha fatto la giurisprudenza? Ha inventato sostanzialmente di sana pianta un’ulteriore terza casella, un’ulteriore categoria che è quella della nullità ASSOLUTA/INESISTENZA, che evidentemente si diversifica dalle altre due categorie ed in particolare è un vizio più grave del mero vizio di forma che si può far valere con l’opposizione ex 617; in cosa si diversifica?

Nel regime di rilevabilità perché sarebbe rilevabile d’ufficio in ogni momento dallo stesso giudice, quindi durante tutto il processo esecutivo, nonché dalla parte anche oltre il termine ex 617.

Quindi cambia il regime di rilevabilità del vizio e cambia tutto anche in termini di stabilità degli effetti della vendita forzata; perché una cosa è che il vizio lo possa far valere solo la parte e solo dalla conoscenza dell’atto e solo entro 20 giorni, e questo significa che il giudice non lo può rilevare d’ufficio e decorsi quei 20 giorni il vizio si sana; o invece significa fare i conti con questo vizio durante tutta la pendenza del processo esecutivo posto che il giudice lo può rilevare d’ufficio durante tutto il corso del giudizio e le parti lo possono far valere anche oltre il termine del 617.

Cerchiamo di capire ora cosa significa oltre il termine del 617; nel senso che nella logica del processo esecutivo da sempre nella giurisprudenza della cassazione ma anche nella dottrina vi è la logica della scansione di questo processo esecutivo in una pluralità di sub procedimenti, pluralità che è stata elaborata ed utilizzata molto spesso dalla dottrina e dalla giurisprudenza proprio per salvaguardare la stabilità degli effetti del processo esecutivo; perché qui il problema è che in forza dei principi generali in materia di nullità, la nullità di un atto si ripercuote su tutti gli atti dipendenti; quindi teoricamente la nullità di un atto iniziale potrebbe inficiare il decreto di trasferimento (che è l’ultimo atto con cui si conclude la vendita); quindi per scardinare questo meccanismo a catena

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di trasmigrazione delle nullità da un atto all’altro si è ritenuto che questo processo esecutivo si componga di una pluralità di sub procedimenti ognuno dei quali si conclude con un atto; e quindi l’invalidità non possa andare oltre al sub procedimento; nel senso che io o attacco l’atto direttamente viziato oppure la nullità derivata al più può ripercuotersi fino all’ultimo atto del sub procedimento, che io dovrei comunque attaccare altrimenti si sana.

Con questo tipo di meccanismo si è ridotta l’efficacia devastante del 159, cioè dell’invalidità derivata, perché al più questa invalidità potrà inficiare tutti gli atti dipendenti appartenenti al sub procedimento, ma non tutti gli atti dipendenti del processo esecutivo.

Questo fa si che la decorrenza di questo termine del 617, ritiene la giurisprudenza, sia sostanzialmente ad intermittenza come ha detto in modo efficace una parte della dottrina, perché io potrei attaccare quel determinato atto entro 20 giorni oppure potrei attaccare l’atto derivato entro 20 giorni dall’atto derivato oppure potrei attaccare l’ulteriore atto entro 20 giorni; quindi il regime in realtà, secondo la giurisprudenza di questa nullità assoluta/inesistenza, sarebbe una corrente continua per il giudice che lo può sempre rilevare d’ufficio durante tutto il processo esecutivo ed una corrente alternata per la parte che è sganciata dal termine di 20 giorni ma non la potrebbe proporre sempre perché lo dovrebbe proporre nei confronti dell’atto immediatamente viziato ,nei confronti dell’atto derivato entro 20 giorni, nei confronti dell’ulteriore atto entro 20 giorni, nei limiti della logica di quel sub procedimento.

Una parte della dottrina dice che una volta che si è individuata la categoria della nullità/inesistenza, e quindi si è sganciata l’opposizione ex 617 dal termine di 20 giorni, a questo punto non ha più senso immaginare la promuovibilità ad intermittenza ma si dovrebbe coerentemente aprire ad un’opposizione ex 617 senza termine durante

tutto il processo esecutivo; perché ha poco senso, nel momento in cui si individua una categoria nuova e dire che quell’atto è inesistente, dire che poi la parte lo possa attaccare ad intermittenza durante il corso del processo esecutivo; se è inesistente, a questo punto lo posso attaccare in ogni momento del processo esecutivo a prescindere dal venire in rilievo dei 20 giorni agganciati all’atto immediatamente successivo affetto da nullità derivata.

Quindi noi abbiamo un regime chiarissimo che è quello dei vizi di merito o di sostanza, opposizione ex 615 senza termine; un regime che è chiarissimo che è quello dei vizi di forma, dei 20 giorni dalla conoscenza dell’atto ex 617; sono delle categorie che noi ricaviamo dal cpc e quindi non abbiamo grossi dubbi; sul 617 vedremo che il grosso dubbio è la decorrenza del termine di 20 giorni, compimento dell’atto o conoscenza dell’atto. Questa categoria che è stata creata dalla giurisprudenza e seguita da una parte della dottrina è stata creata ex novo, quindi abbiamo dei grossi problemi nel ricostruirla; e quindi nel ricostruirla il primo passaggio fondamentale è aprire alla rilevabilità d’ufficio da parte del giudice durante tutto il corso del giudizio; poi abbiamo problemi nel ritenere che per forza ci dobbiamo sganciare dai 20 giorni ex 617 altrimenti sotto il profilo della parte non ci sarebbe nessuna differenza rispetto ai vizi formali; come ci sganciamo? O come dice la giurisprudenza, ad intermittenza, facendo leva sulla nullità derivata; o come dice la dottrina, cosa che ha una sua logica perché la logica della nullità derivata vale per le nullità relative; nel momento in cui un atto è radicalmente inesistente diventa difficile estendergli la logica della nullità derivata; quindi questa dottrina dice che lo dovrei attaccare con l’opposizione ex 617 sganciato dal termine dei 20 giorni; quindi rilevabilità d’ufficio o ad istanza di parte ex 617 durante tutto il corso del giudizio.

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Se è chiaro questo discorso abbiamo chiare le tre caselle rispetto alle quali possiamo provare ad incasellare le varie possibili invalidità del pignoramento. In realtà c’è da fare un altro piccolo passo nel senso che dovrebbe essere chiaro come poi la dottrina si è divisa nel tentativo di creare delle elaborazioni ad hoc con riferimento al pignoramento; c’è una parte della dottrina che ha cercato di individuare della apposite categorie con riferimento all’invalidità del pignoramento;

in particolare si parla di illegittimità oggettiva, illegittimità formale o illegittimità/nullità assoluta; distinguendo varie fasi dell’iter procedimentale del pignoramento si è cercato di individuare delle categorie formali in relazione alle varie fasi del pignoramento; altra parte della dottrina invece molto più semplicemente anziché elaborare delle categorie autonome in relazione al pignoramento e alla teoria del pignoramento-procedimento che come avrebbe delle ricadute sotto il profilo dell’invalidità, ha esteso quelle categorie, quel ragionamento generale al pignoramento.

Quindi molto più facilmente possiamo dire che anche per il pignoramento le categorie di riferimento sono:

-vizi di sostanza o di merito che si possono far valere con l’opposizione ex 615 senza termine;

- vizi di forma che si possono far valere col 617 entro 20 giorni dalla conoscenza dell’atto;

-la categoria della nullità assoluta/inesistenza dell’atto, creata dalla giurisprudenza con quel regime di rilevabilità d’ufficio o ad istanza di parte indicato in precedenza.

Muovendoci in questa logica dobbiamo solo fare un ulteriore sforzo per cercare di incasellare in queste tre categorie le varie possibili ipotesi di invalidità che vengono in rilievo, perché nella casistica giurisprudenziale si presentano con maggior frequenza determinate ipotesi. Sul punto non esiste uniformità di vedute. Vedremo quali sono le ipotesi classiche che rientrano nell’una o nell’altra categoria e poi da un’indagine giurisprudenziale effettuata cercheremo di indicare le ipotesi che per lo più la giurisprudenza riconduce in una di queste tre caselle.

NULLITÀ SOSTANZIALE DEDUCIBILE CON L’OPPOSIZIONE EX 615 PER VIZI DI MERITO; qual è l’ipotesi classica paradigmatica che rientra in questo caso?

Il pignoramento di beni impignorabili ex art 514 cpc; nell’esaminare l’espropriazione mobiliare abbiamo visto che ci sono beni relativamente pignorabili e beni assolutamente impignorabili; quindi se io pignoro un bene che non poteva essere pignorato, questo è un vizio di merito. Qual è il rimedio col quale lo può far valere la parte? L’opposizione ex 615, sganciata da ogni termine.

Il discorso diventa molto meno certo nel momento in cui si passa dai beni impignorabili ai beni relativamente impignorabili, nel senso che sul punto dottrina e giurisprudenza si dividono; secondo taluna dottrina i beni relativamente pignorabili andrebbero trattati come i beni impignorabili, quindi nullità sostanziale e vizio sostanziale ed opposizione ex 615; secondo altra dottrina, invece, la pignorabilità relativa importerebbe soltanto una particolare disciplina del pignoramento dei beni stessi e quindi tende a ricondurli più nei vizi formali che nell’ambito dei vizi sostanziali. La giurisprudenza sul punto ha cura di sottolineare come la disciplina sottesa all’impignorabilità non è una disciplina di ordine pubblicistico perché tutela sempre e

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comunque l’interesse del debitore e quindi da questo punto di vista tende ad escludere la rilevabilità d’ufficio e ad ammettere solo la possibilità del debitore di farla valere col 615; quindi la giurisprudenza si pone un altro problema: è corretto che questo vizio sia rilevabile d’ufficio da parte del giudice o solo ad istanza di parte ex 615? Qui l’unica posizione tutelata è quella del debitore, non un interesse pubblicistico; se ci pensiamo sono dei beni che sono impignorabili per motivi affettivi, religiosi, ecc… ; quindi in questo tipo di logica unico legittimato è il debitore col 615; in dottrina invece addirittura c’è qualcuno che immagina di trattare i beni relativamente pignorabili in modo completamente diverso dai beni impignorabili.

La cd. ingiustizia del pignoramento; un esempio secondo parte della dottrina e della giurisprudenza sarebbe l’opposizione ex 615 per eccessività della pretesa esecutiva del creditore procedente; quindi quali sono le possibili reazioni del debitore all’eccesso nel pignoramento? Secondo alcuni il rimedio utilizzabile sarebbe il 615, perché sarebbe un’ipotesi di ingiustizia nel pignoramento; è un’ipotesi un po’ a limite perché il diritto non esiste, ma esclusivamente per l’eccesso; in realtà il diritto di agire in via d’esecuzione forzata c’è! Quindi bisogna capire se il fatto che io abbia agito eccedendo lo possa incasellare nell’insussistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata ex 615 o lo possa trattare come una mera irregolarità della procedura ex 617.

NULLITÀ FORMALE RELATIVA, EX 617; l’ingiunzione è l’ipotesi più discussa. Abbiamo detto che il 492 prevede un elemento ineliminabile, se manca l’ingiunzione è un vizio da trattare con la massima gravità; è discusso in dottrina e in giurisprudenza quali siano le conseguenze della mancanza dell’ingiunzione ex art 492. Parte della dottrina ed anche parte della giurisprudenza hanno ritenuto che l’omessa ingiunzione all’esecutato non importi una nullità insanabile, e quindi sarebbe incasellabile nella nullità formale relativa e non nella nullità

assoluta inesistenza di cui parleremo tra poco. altra parte della dottrina e della giurisprudenza è dell’opinione esattamente opposta; e poi c’è la tesi intermedia che afferma che è impossibile una soluzione unitaria ma la soluzione va diversificata a seconda del tipo di espropriazione che viene in rilievo; perché, non in tutte le forme di espropriazione, l’ingiunzione ex 492 ha la stessa rilevanza; in particolare dipende dalla singola ipotesi di pignoramento che viene in rilievo posto che l’ingiunzione non produce sempre i medesimi effetti; in particolare nel pignoramento mobiliare l’ingiunzione non avrebbe una rilevanza così centrale, laddove comunque il bene sia stato affidato in custodia ad un terzo o al debitore con l’interversione del possesso; nel pignoramento immobiliare e nel pignoramento presso terzi invece l’ingiunzione produrrebbe comunque degli effetti preliminari che potrebbero risultare essenziali per il raggiungimento dello scopo dell’atto; quindi c’è chi dice che è una mera nullità formale, chi dice che dovrebbe rientrare nella nullità assoluta inesistenza e chi diversifica a seconda che venga in rilievo un’espropriazione immobiliare, mobiliare o presso terzi.

Da una casistica giurisprudenziale altre ipotesi di nullità formale sono: incompetenza dell’ufficiale giudiziario che ha operato il pignoramento (chiedo il pignoramento ma ad un ufficiale giudiziario incompetente; la competenza nel processo esecutivo si atteggia in modo peculiare tanto da tradursi in un vizio dell’atto introduttivo, qual è l’atto introduttivo? Il pignoramento! Per il pignoramento mobiliare, devo andare col titolo esecutivo e il precetto dall’ufficiale giudiziario, ma non da qualsiasi ufficiale giudiziario sul territorio nazionale, devo rivolgermi all’ufficiale giudiziario che sia competente, appartenente a quell’ufficio giudiziario che è competente a procedere all’esecuzione; se lo chiedo ad un ufficiale giudiziario incompetente, che vizio si configura?

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Secondo la giurisprudenza è riconducibile nella nullità formale relativa); -omessa indicazione degli estremi del titolo esecutivo nell’atto di pignoramento presso terzi;

-mancanza degli estremi richiesti dall’art 555, comma 1, nel pignoramento immobiliare, purché tale incompletezza non si traduca nella assoluta incertezza nell’individuazione del bene.( Per il pignoramento immobiliare come va individuato il bene? Con i requisiti indicati nel c.c. per l’ipoteca; li la disciplina è la stessa del c.c., se c’è assoluta incertezza c’è invalidità; questa giurisprudenza dice che se c’è un errore tale da non determinare assoluta incertezza, non è totalmente irrilevante, ma è una nullità formale che può essere fatta valere ex 617, se invece c’è assoluta incertezza, subentra quella norma del c.c.);

- mancanza nell’atto di pignoramento immobiliare della sottoscrizione del difensore munito della procura ( è discusso il richiamo alle norme del cpc, se debba essere sottoscritto anche dal difensore munito di procura e sono discusse le conseguenze; in questo modo vediamo che secondo parte della giurisprudenza la mancata sottoscrizione dal difensore munito di procura integrerebbe un vizio formale);

-pignoramento immediato compiuto in forza di autorizzazione concessa da giudice incompetente (non si può procedere al pignoramento prima di 10 giorni dalla notificazione del termine indicato nel precetto, salvo che il tribunale dia l’autorizzazione; se ci facciamo dare l’autorizzazione da un giudice incompetente la conseguenza è il vizio ex 617);

- omesso compimento del pignoramento nei confronti del terzo pignorato.

NULLITA’ ASSOLUTA/INESISTENZA; Quali sono i casi principali ricondotti dalla giurisprudenza in tale categoria?

Pignoramento eseguito prima del decorso del termine di 10 giorni dalla notificazione del precetto senza nessuna autorizzazione;

pignoramento eseguito nelle forme stabilite per un tipo diverso da quello che si vuole realizzare ( immaginiamo di non rispettare in toto le forme previste per il pignoramento mobiliare o immobiliare; è difficile immaginare un vizio più grave di questo);

pignoramento eseguito da un messo di conciliazione o da un addetto all’ufficio anziché da un ufficiale giudiziario( quindi da un soggetto che non sia proprio ufficiale giudiziario;

mentre prima abbiamo visto l’ipotesi dell’ufficiale giudiziario incompetente ed era un vizio meno grave, ora si tratta di un soggetto che non è proprio ufficiale giudiziario e quindi è più grave, inesistenza!);

secondo parte della dottrina ( non ci sono precedenti giurisprudenziali) rientrerebbe nella nullità assoluta/inesistenza la mancata redazione del verbale da parte dell’ufficiale giudiziario nel pignoramento mobiliare.

COMPETENZA NEL PROCESSO ESECUTIVO

La prima peculiarità di questa competenza con riferimento al processo esecutivo è che più che essere una competenza del giudice dell’esecuzione è una competenza dell’ufficio giudiziario nel suo complesso; perché lo stesso ruolo dell’ufficiale giudiziario è un ruolo ben più pregnante; ed abbiamo visto che lo stesso processo esecutivo in generale si caratterizza perché inizia con la notificazione del titolo esecutivo e del precetto che vengono consegnati all’ufficiale giudiziario che fa il pignoramento e poi deposita in cancelleria. Quindi, non abbiamo un atto di citazione che si indirizza ad un giudice competente,

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ma ci rivolgiamo all’ufficiale giudiziario; perciò dobbiamo guardare la competenza dell’ufficio giudiziario.

Da quando sono state abrogate le preture non abbiamo più un problema di competenza per materia perché ormai si va sempre dinanzi al tribunale; per quanto riguarda la competenza per territorio,gli artt 26, 27 e 28 cpc ci danno i criteri di competenza: per i beni mobili ed immobili, luogo in cui si trova la cosa; per l’espropriazione di crediti, luogo in cui risiede il terzo debitor debitoris; per l’esecuzione forzata di obblighi di fare e non fare, luogo in cui l’obbligo deve essere adempiuto.

La disciplina della competenza, ai fini di individuare il giudice competente, di suo non ci da grossi problemi; prima c’erano vari problemi perché bisognava stabilire se era competente il pretore o il tribunale; ormai è sempre competente il tribunale, quindi di logica, ci sono solo problemi di territorio che sono tendenzialmente legati al luogo in cui si trova il bene mobile o immobile, al luogo in cui risiede il terzo debitor debitoris nell’espropriazione di crediti ed al luogo in cui l’obbligo deve essere adempiuto nell’esecuzione di obblighi di fare o non fare.

Dove sono i problemi? I problemi sono innanzitutto sul regime dell’incompetenza.

Sappiamo che una questione complessa per il processo a cognizione è il regime dell’incompetenza di cui all’art 38 cpc; si tratta di una disciplina articolata(cosa può essere fatto in comparsa, cosa può fare la parte, cosa può fare il giudice, cosa va fatto entro al prima udienza, entro quali limiti e con quali possibilità si verifica la trasmigrazione del processo dal giudice incompetente al giudice competente); quindi per il processo di cognizione c’è una disciplina analitica in ordine al regime di rilevabilità del vizio ad opera della parte o del giudice, entro quale

termine va rilevato e con quali modalità il processo trasmigra dal giudice incompetente a quello competente.

Nel processo esecutivo non c’è questa disciplina, non esiste un corrispondente articolo 38. Quindi si applica l’articolo 38 con riferimento al processo esecutivo? La risposta della Cassazione è positiva! Ciò che è importante comunque, è come questo tipo di discorso impone inevitabilmente di adattare la disciplina dell’incompetenza alle peculiarità del processo esecutivo e quindi di fare un inevitabile collegamento tra peculiare atteggiarsi dell’incompetenza nel processo esecutivo e possibilità che l’incompetenza nel processo esecutivo si traduca in un vizio dell’atto introduttivo e quindi in una invalidità del pignoramento; questo è uno dei principali motivi per cui è difficile ritenere pienamente applicabile l’art 38 con riferimento al processo esecutivo.

È competenza non del giudice dell’esecuzione ma dell’ufficio giudiziario nel suo complesso; questo significa che il primo dato di cui tener conto è che lo stesso ufficiale giudiziario in prima battuta potrebbe ritenersi incompetente; noi gli portiamo il titolo esecutivo ed il precetto e lui si ritiene incompetente; quindi dobbiamo fare i conti con un possibile diniego da parte dell’ufficiale giudiziario che non trova nessuna disciplina espressa.

Ora guardiamo allo stesso fenomeno, immaginando di essere avvocato della parte, però in questo caso l’ufficiale giudiziario si prende gli atti ma sono le parti in causa, in particolare la nostra controparte a ritenere che vi sia una incompetenza e quindi nella logica della controparte il rimedio utilizzabile è l’opposizione ex 617.

Quindi nel processo di esecuzione forzata la competenza diventa un requisito di validità degli atti dell’ufficio esecutivo nel suo complesso, e

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quindi in prima battuta dell’ufficiale giudiziario che per primo potrà ritenersi incompetente o, nel momento in cui abbia posto in essere il pignoramento, la parte che ha ragione di dolersene potrebbe impugnare questo atto anche per incompetenza dell’ufficiale giudiziario che lo ha posto in essere.

La Cassazione nel 2000 ha detto che questo art 38 sarebbe applicabile anche al processo esecutivo con i dovuti adattamenti e che dunque noi dovremmo immaginare che il giudice dell’esecuzione che dichiara l’incompetenza individua anche quale sia il giudice competente e che quindi il processo trasmigri da un giudice dell’esecuzione ad un altro giudice.

Al di la di quello che dice la Cassazione dobbiamo rilevare che abbiamo degli ostacoli fondamentali ad applicare questo art 38 in ragione delle peculiarità di questo processo esecutivo, perché l’incompetenza si traduce in un vizio dell’atto che da inizio al processo di esecuzione forzata; quindi la particolarità dell’esecuzione risiede nel fatto che questo vizio di incompetenza riguarda in prima battuta un atto dell’ufficiale giudiziario, che potremmo attaccare col 617 e che si potrebbe anche sanare e che solo in seconda battuta si può tradurre in una incompetenza del giudice dell’esecuzione. Quindi la vera difficoltà non è tanto nell’adattare la disciplina dell’art 38 al processo esecutivo (quindi ad es se il termine ultimo è la prima udienza, qual è la prima udienza per il processo esecutivo? prima difficoltà: per ogni processo esecutivo dovremmo individuare qual è la prima udienza) quanto poi adattare questo tipo di disciplina ad una logica della competenza che è completamente diversa, perché è la struttura del processo esecutivo che è diversa. Quindi inevitabilmente bisogna sempre aver a che fare non solo con un problema di competenza ma anche con un problema di invalidità dell’atto introduttivo; e quindi la disciplina del vizio della competenza inevitabilmente viene sempre in rilievo in modo molto

stretto unitamente alla possibile invalidità del pignoramento. Tant’è vero che anche chi abbraccia la tesi della proseguibilità del processo esecutivo dinanzi al giudice indicato come competente, finisce per riconoscere che è dubbia la salvezza dell’originario pignoramento affetto da nullità.

C’è chi come la cassazione dice che il processo può trasmigrare dal giudice incompetente a quello competente; e c’è chi dice invece che non ci sono le condizioni per applicare il 38 a questo tipo di disciplina. Però una cosa è sicura: inevitabilmente per il processo esecutivo dobbiamo fare i conti con l’invalidità del pignoramento; tant’è vero che anche chi ammette la trasmigrazione del processo, mette in dubbio che possa rimanere salvo l’atto di pignoramento.

Quindi un grosso problema è la lacuna del codice in ordine al regime dell’incompetenza per il processo esecutivo, un problema che impone di chiedersi se il 38 si applichi o meno al processo esecutivo; secondo la cassazione si può estendere il 38 con i dovuti adattamenti; secondo buona parte della dottrina ciò non sarebbe possibile in ragione delle peculiarità del processo esecutivo, ma la cosa importante è che in qualunque modo risolviamo questa problematica, la peculiare struttura del processo esecutivo porta con se che il problema della incompetenza non possa essere visto solo a se stante, perché non è un problema di incompetenza del giudice ma è un problema di incompetenza dell’ufficio nel suo complesso; e per il modo in cui inizia il processo esecutivo, non può non essere trattato congiuntamente e non può non tenersi conto del fatto che bisogna sempre fare i conti con un problema di invalidità dell’atto introduttivo del processo esecutivo che è il pignoramento (che è l’atto che in prima battuta chiediamo all’ufficiale giudiziario). Ecco perché non è un problema di competenza solo del giudice; in prima battuta è un problema di competenza dell’ufficiale giudiziario che di suo potrebbe ritenersi incompetente o che potrebbe

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essere contestato ex 617, che in seconda battuta diventa un problema di competenza del giudice dell’esecuzione che comunque sia deve fare i conti con la disciplina dell’invalidità del pignoramento.

VICENDE PROCESSUALI DEL PIGNORAMENTO

Cosa può fare il debitore che si vede aggredito in via esecutiva?.

La norma cui occorre fare riferimento è l’art. 494 cpc. Norma la quale prevede, anzitutto, un ventaglio di possibilità: la prima possibilità che si apre al debitore che si vede aggredito in via esecutiva, è quella evidentemente di pagare all’ufficiale giudiziario, ma, pagare al fine proprio di evitare il processo di esecuzione forzata. Quindi la prima possibilità che ha il debitore è quella di evitare in extremis il pignoramento, di evitare di vedersi pignorati determinati beni pagando all’ufficiale giudiziario, versando nelle mani dell’ufficiale giudiziario, la somma per la quale si procede e l’importo delle spese. Questo pagamento, evidentemente, non è un pagamento fatto all’ufficiale giudiziario, nella logica di un deposito delle somme, ma un pagamento vero e proprio, nel senso che si danno le somme all’ufficiale giudiziario perché le consegni al creditore, in modo tale da chiudere, da evitare che si abbia una procedura esecutiva, che non inizi proprio la procedura esecutiva. Vi ricordate, la notificazione del titolo esecutivo e il precetto ha, tra le sue funzioni, quella di dare la possibilità anche al debitore di pagare e di evitare la procedura esecutiva; lui può pagare autonomamente dal contesto esecutivo, ed evitare di trovarsi l’ufficiale giudiziario che gli va a bussare a casa, oppure potrebbe in extremis evitare il pignoramento, e dunque anche l’inizio del processo esecutivo, consegnando una somma di danaro, ci dice il primo comma del 494, all’ufficiale giudiziario per il credito per cui si procede e per le spese.

Art. 4941: “Il debitore può evitare il pignoramento versando nelle mani dell'ufficiale giudiziario la somma per cui si procede e l'importo delle spese, con l'incarico di consegnarli al creditore”

Con espresso incarico all’ufficiale giudiziario di consegnarli al creditore, quindi di pagare.

Diversa ipotesi, diversa possibilità, è quella di cui al terzo comma dell’art. 494

Art. 4943: “Può altresì evitare il pignoramento di cose, depositando nelle mani dell'ufficiale giudiziario, in luogo di esse, come oggetto di pignoramento, una somma di denaro eguale all'importo del credito o dei crediti per cui si procede e delle spese, aumentato di due decimi”

Quindi attenzione, dov’è la fondamentale differenza rispetto all’ipotesi precedente? Che in questo caso, non evita il pignoramento, evita il pignoramento di cose. Vuole evitare che il pignoramento si concentri su determinati beni mobili o immobili. E come lo fa? Consegnando all’ufficiale giudiziario una somma di danaro, NON per darla al creditore, e quindi per pagare, MA per assoggettare a pignoramento quella somma di danaro.

Quindi, nella prima ipotesi del 494, consegna una somma di danaro per pagare direttamente il creditore ed evitare il pignoramento, non si avrà proprio un processo esecutivo. Nel terzo comma del 494 si avrà un processo esecutivo, che inizierà con un pignoramento, il cui oggetto sarà presentato, non nei beni immobili o mobili che l’ufficiale giudiziario avrebbe potuto pignorare, ma da quelle somme di danaro che il debitore consegna all’ufficiale giudiziario. Quindi, in questo caso, non evita il pignoramento, ma evita il pignoramento di cose; questa è la logica del 494.

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Se avete compreso la logica del 494 terzo comma, non sarà difficile comprendere la logica della conversione del pignoramento, perché la conversione di pignoramento, in fondo, non è che la stessa possibilità data al debitore, non ex ante, ma ex post, non prima che si proceda al pignoramento delle cose, ma ex post, di CONVERTIRE il pignoramento.

Far sì che il pignoramento, che aveva ad oggetto un determinato bene mobile o un determinato bene immobile, liberi dal vincolo quel bene, e si trasferisca sostanzialmente su una somma di danaro.

È logico che, ve ne rendete conto da voi, qualora ci si pone nella logica ex post, l’istituto non può che essere molto, ma molto più complesso, perché ex ante, prima ancora che inizi la procedura esecutiva è tutto più semplice: io consegno una somma di danaro (terzo comma) proporzionata ai crediti per i quali si procede e risolvo sostanzialmente il problema.

Diverso sarà, vedremo per quali motivi, il discorso ex post, perché già pende una procedura esecutiva, già c’è un pignoramento su determinati beni, già ci sono dei creditori che presumibilmente sono intervenuti, quindi occorre coordinare questa possibilità per il debitore di sottrarre il bene immobile o mobile al processo esecutivo, con la posizione dei creditori che sono già presenti nel processo esecutivo, e con la salvaguardia eventualmente anche dei diritti del potenziale aggiudicatario, qualora la procedura esecutiva sia già arrivata ad una fase così avanzata da avere già aggiudicato il bene ad un terzo.

Quindi, prima possibilità art. 4941 si può evitare in extremis il pignoramento pagando all’ufficiale giudiziario; 4933 si può evitare il pignoramento di un bene, facendo si che il pignoramento ricada, anziché

sul bene mobile o immobile, sul danaro che viene consegnato all’ufficiale giudiziario;

ipotesi analoga, ex post, si chiama conversione del pignoramento è disciplinata dall’art. 495;

infine il 496 disciplina, invece, l’ipotesi della riduzione del pignoramento, cioè l’ipotesi in cui, il valore dei beni pignorati è superiore all’importo per il quale si procede e le spese. Quindi, se l’ufficiale giudiziario ha pignorato dei beni di valore di gran lunga superiore in relazione dell’importo per il quale si procede e le spese, l’ordinamento deve immaginare un rimedio per ridurre questo pignoramento.

CONVERSIONE DEL PIGNORAMENTO

Riferimento normativo è l’articolo 495 cpc.

Altro dato, che dovrebbe portarvi a riflettere, è che questo istituto è stato fatto oggetto di modifica da parte del legislatore nel 1976, nel 1990, nel 1998 e nel 2005.

Cerchiamo di interrogarci su quali sono gli interessi sottesi a questo tipo di istituto, e per quale motivo, nel corso del tempo, il legislatore si è imposto di intervenire varie volte.

Quali sono le scelte che si possono fare?

Quali sono gli interessi in gioco?

La logica dell’istituto dovrebbe essere chiara: io non mi sono avvalso di quella possibilità del 4943, quindi ho fatto si che un bene immobile o

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bene mobile, venisse pignorato dall’ufficiale giudiziario. Ipotesi classica, alla quale si deve immaginare, è che il pignoramento abbia colpito l’immobile, e magari immaginiamo pure che abbia colpito il bene unico di proprietà di questo debitore, che è l’immobile in cui abita. Quindi mettetevi nei panni di questo debitore, e avrete tutto l’interesse, nei limiti del possibile, a sottrarre alla procedura esecutiva quel bene immobile, possibilmente, facendo in modo che la procedura esecutiva abbia invece ad oggetto una somma di danaro; in questo modo salvate il bene immobile di vostra proprietà. Indubbiamente c’è un interesse del debitore forte sotteso a questo istituto.

Con quale tipo di altri interessi può entrare in conflitto nell’ambito della procedura?

Chiaramente con gli interessi dei creditori, che hanno interesse il prima possibile a monetizzare il loro credito, e cioè a trasformare il bene immobile in una somma di danaro, rivendendolo, nell’ambito della vendita forzata, ed ottenendo la distribuzione della somma ricavata.

Quindi, c’è il debitore da una parte, che vuole rallentare il più possibile il processo esecutivo per salvare il suo immobile, e ci sono i creditori che vogliono, che il prima possibile la procedura esecutiva arrivi in fondo, e quindi che l’immobile di proprietà del debitore sia venduto per realizzare una somma di danaro.

Sarebbe molto semplice se il discorso fosse limitato solamente a questi due soggetti. Il discorso, invece, è più complesso, perché bisogna tenere conto anche della posizione soggettiva dell’interesse di un terzo soggetto, che sostanzialmente subentra nel processo esecutivo, ed è il soggetto che acquista il bene immobile dalla procedura esecutiva, e quindi il potenziale aggiudicatario.

Il potenziale aggiudicatario perché il soggetto, che a sua volta ritiene appetibile quell’immobile che viene venduto dalla procedura esecutiva, e quindi che ha tutto l’interesse ad acquistare questo bene immobile; ed è quindi chiaro che anche questo interesse dell’aggiudicatario si colloca in conflitto rispetto a quello del debitore e, parallelamente, rispetto a quello dei creditori. I creditori vogliono quanto prima vendere, l’aggiudicatario vorrebbe acquistare, col realizzo; gli interessi sono pienamente compatibili. L’interesse confliggente è quello del debitore, perché vuole rallentare la procedura e vuole sottrarre alla procedura esecutiva il bene immobile, e l’aggiudicatario che lo vuole acquistare, o che magari se lo è già aggiudicato, si trova in una posizione confliggente.

La vendita forzata, non avviene nell’ambito del processo esecutivo uno acto, cioè in un unico momento, come se fosse una vendita privata che si realizza dinanzi ad un notaio con un atto pubblico, ma è una vendita che si realizza per il tramite di un sub procedimento, quindi ha una sua sequenza procedimentale. Sequenza procedimentale, che prevede in particolare una aggiudicazione provvisoria ed una aggiudicazione definitiva; quindi dovremmo avere a che fare in questo tipo di problematica con un aggiudicatario provvisorio, cioè con un soggetto che provvisoriamente si è reso l’aggiudicatario dell’immobile e che potrebbe divenirne l’aggiudicatario definitivo.

Il grosso del problema è che questi interessi in conflitto li dobbiamo gestire nell’ambito, non di un unico momento, ma di un iter procedimentale che ha una sua sequenza e una sua durata, e che prevede che si passi per una aggiudicazione provvisoria e per una aggiudicazione definitiva.

Per intenderci: se c’è stata una aggiudicazione provvisoria, chi prevale?

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Il debitore, che vuole ottenere la conversione del pignoramento e quindi vuole sottrarre l’immobile alla procedura esecutiva, o l’aggiudicatario provvisorio, che magari ha già fatto un mutuo in banca e che si è aggiudicato quell’immobile, sia pure in via provvisoria?

Va fatta una scelta di campo, tenendo conto che la vendita forzata è un subprocedimento, ha un suo iter di svolgimento, quindi non avviene in un unico momento, quindi è ben possibile che a seconda del momento in cui si inserisce questa istanza di conversione del pignoramento, in questo iter procedimentale, si crei un problema di questo tipo.

Altro momento di criticità che si inserisce in questo tipo di logica, è strettamente connesso alla sospensione del processo di esecuzione forzata. Vi rendete conte che qui, questi interessi in gioco, trovano un loro momento di riscontro importante nella disciplina della sospensione.

La proposizione dell’istanza di conversione da parte del debitore, determina una sospensione automatica del processo esecutivo o no?

Uno dei motivi fondamentali per i quali questo istituto è stato fatto oggetto di tutti questi interventi da parte del legislatore, è proprio il fatto che veniva strumentalizzato dal debitore per dilazionare la vendita. Ogni qualvolta che si avvicinava la vendita, il creditore faceva un’istanza di conversione del pignoramento, anche se magari non ce ne erano le condizioni reali per ottenere l’accoglimento, per ottenere la sospensione automatica del processo esecutivo, in modo da dilazionare la vendita. È un istituto che si prestava a forti strumentalizzazioni; quindi momento di criticità ulteriore è rappresentato sostanzialmente dalla sospensione del procedimento.

Per comprendere ulteriormente questo istituto della conversione del pignoramento, bisogna tener presente che nella logica dell’istituto, è

necessario un doppio passaggio, una doppia valutazione del giudice. Immaginiamo una prima valutazione, legata alla proponibilità dell’istanza di conversione, e una seconda valutazione legata all’accoglimento di questa stessa istanza. Il legislatore ci deve dire a quali condizioni posso presentare una istanza di conversione; qui un primo filtro va fatto, in ordine alla serietà di questa istanza di conversione (es. ci deve dire se il debitore deve versare un anticipo di una somma).

A quali condizioni è subordinata la proponibilità di questa istanza? (primo filtro).

Che parametro di riferimento ha la proposizione di questa istanza? Avrà un parametro di riferimento, in linea di massima, legato alla somma per la quale si procede?

Importante, è che ci sono due valutazioni completamente distinte: una cosa è il filtro di accesso, le condizioni per la proponibilità dell’istanza, il parametro di riferimento della somma. Un passaggio completamente diverso, invece, è relativo alla valutazione cui è subordinata l’accoglimento dell’istanza di conversione; cioè quel provvedimento del giudice che stabilirà che, effettivamente, se quell’istanza di conversione può essere accolta, e dunque che il processo esecutivo avrà ad oggetto una somma di danaro e non più quel determinato bene immobile.

Inevitabilmente, questo diventa un momento di crisi di quella logica, sottesa al cpc del ’42, che voleva completamente estraneo ogni possibile accertamento al processo esecutivo. Se alla prima valutazione, può essere estraneo ogni momento di accertamento, per stabilire, poi, se il giudice deve accogliere o meno questa istanza di conversione, dovrò stabilire quali sono i crediti per i quali si procede. Deve verificare se Tizio, che è intervenuto nel processo esecutivo, ha effettivamente diritto

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ad ottenere il pagamento di quella somma, altrimenti, il giudice, come fa a stabilire qual è la somma che si deve versare, per soddisfare tutti i creditori?

Per stabilire qual è la somma complessiva, è un momento di accertamento di questa posizione, sia pure in via sommaria, diventa un momento ineliminabile. La prima ipotesi, dove non si può ritenere che sia completamente estranea all’esecuzione un momento di accertamento, e che soprattutto che nella logica, come quella del ’42, ogni forma di accertamento sia legata alla fase della distribuzione per effetto delle opposizione in serie distributiva ex art.512.

La logica del codice del ’42, era: esiste un titolo esecutivo, compito del processo esecutivo, non è accertare, ma attuare il comando contenuto nel titolo esecutivo. Le eventuali parentesi cognitive, sono relegate ai giudizi oppositivi (opposizione ex art. 615; opposizione ex art.617; opposizione ex art.619), e per quanto riguarda i crediti, rinvio tutto alla fase della distribuzione: una volta che avrò venduto e avrò una determinata somma, stabilirò se e come distribuire a determinati creditori, e avrò una parentesi cognitiva di accertamento, che è l’opposizione in sede distributiva ex art.512.

Questo tipo di logica entra in crisi con l’istituto della conversione del pignoramento, che impone al giudice di adottare un provvedimento, lautamente decisorio, in una fase antecedente del processo esecutivo rispetto alla distribuzione. Se lui deve decidere se accogliere l’istanza di conversione, per accogliere l’istanza di conversione, dovrà stabilire quale somma deve essere versata dal debitore, e per stabilirlo, non deve fare una valutazione in ordine ai creditori che sono intervenuti nel processo esecutivo?

Vedremo che possono intervenire creditori titolati, o non titolati. Per i creditori titolati, la valutazione potrà essere più agevole, per i creditori non titolati è meno agevole; ma un margine di accertamento, sia pure sommario, lui lo deve porre in essere. Quindi c’è un primo istituto fondamentale che mette in crisi questo tipo di logica; è un istituto molto complesso anche perché impone di dare una risposta anche a questo tipo di quesito.

Art. 495 cpc ( testo attuale). Conversione del pignoramento.

Art. 4951: “Prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione a norma degli articoli 530, 552 e 569, il debitore può chiedere di sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro pari, oltre alle spese di esecuzione, all'importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese”

C’è un termine ultimo entro cui può essere proposta istanza di conversione, e indica su cosa consiste questa istanza (può chiedere di sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro…).

Art. 4952: “Unitamente all'istanza deve essere depositata in cancelleria, a pena di inammissibilità, una somma non inferiore ad un quinto dell'importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento e dei crediti dei creditori intervenuti indicati nei rispettivi atti di intervento, dedotti i versamenti effettuati di cui deve essere data prova documentale. La somma è depositata dal cancelliere presso un istituto di credito indicato dal giudice”

La prima valutazione che ha fatto il legislatore alla luce di queste varie riforme, è di cercare di correlare anche la proponibilità dell’istanza di conversione e, in qualche modo, a determinati requisiti che ne assicurino la serietà. Che non è sufficiente che io chieda la conversione, condizione

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imprescindibile perché possa essere accolta una istanza di conversione, è che io depositi una quota della somma che verrà eventualmente determinata in via definitiva dal giudice. Si deve far riferimento al pignorante ed agli eventuali creditori intervenuti.

Art. 4953: “La somma da sostituire al bene pignorato è determinata con ordinanza dal giudice dell'esecuzione, sentite le parti  in udienza non oltre trenta giorni dal deposito dell'istanza di conversione”

Ci sono, a questo punto, due momenti completamente diversi, due parametri di riferimento: una cosa è la somma cui è parametrata il deposito dell’istanza di conversione, altra cosa, ben diversa, è la somma definitiva che il giudice determinerà per consentire la sostituzione del bene con la somma di danaro.

Art. 4954: “Qualora le cose pignorate siano costituite da beni immobili - quindi per la conversione di beni immobili la disciplina è più rigida, come potete immaginare - il giudice con la stessa ordinanza può disporre, se ricorrono giustificati motivi, che il debitore versi con rateizzazioni mensili entro il termine massimo di diciotto mesi – possibilità dell’immobile dove il valore è maggiore della rateizzazione, ma limite della rateizzazione nel massimo di diciotto mesi - la somma determinata a norma del comma 3, maggiorata degli interessi scalari al tasso convenzionale pattuito ovvero, in difetto, al tasso legale”

Nell’espropriazione mobiliare normalmente il valore è più ridotto, per la immobiliare, è più difficile per il debitore depositare questa somma, quindi si ammette la rateizzazione, ma entro determinati limiti. Limite temporale che è quello di diciotto mesi.

Art. 4955: - si è inasprita la disciplina proprio per evitare delle strumentalizzazioni dell’effetto nel corso del tempo – “Qualora il

debitore ometta il versamento dell'importo determinato dal giudice ai sensi del comma 3, ovvero ometta o ritardi di oltre quindici giorni il versamento anche di una sola delle rate previste nel comma 4, le somme versate formano parte dei beni pignorati”

Quindi, qual è la logica?

Io giudice determino la somma, ti consento di versarla in modo rateizzato, perché probabilmente, essendo un bene immobile sarà una somma elevata, però la rateizzazione non può andare oltre i diciotto mesi; se anche non versi una rata, tutto quello che ha eventualmente versato il debitore viene inglobato nel pignoramento; a testimonianza della serietà di evitare la speculazione.

Qual è la speculazione? Secondo la disciplina originaria, automaticamente scattava la sospensione, l’istanza di conversione non era subordinata al deposito di nessuna somma, il giudice, pur avendo determinato le somme, una volta che non venivano versate, non c’era nessuna conseguenza negativa per il debitore.

Nella logica di scoraggiare strumentalizzazioni, che molte se ne erano avute nella conversione del pignoramento, il legislatore è andato ad incidere su una serie di fattori (la necessità che l’istanza sia correlata dal deposito di determinate somme entro una determinata entità, la possibilità della rateizzazione entro limiti temporali, e una sanzione: nel momento in cui hai ottenuto la conversione, e non versi tutte le rate, o ritardi anche il deposito di una rata, quelle somme che hai già versato vengono acquisite al pignoramento).

Art. 4956: “Con l'ordinanza che ammette la sostituzione, il giudice dispone che le cose pignorate siano liberate dal pignoramento e che la

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somma versata vi sia sottoposta in loro vece. I beni immobili sono liberati dal pignoramento con il versamento dell'intera somma”

Art. 4957: ”L'istanza può essere avanzata una sola volta, a pena di inammissibilità”

Significa, che, in fondo, la conversione del pignoramento, qualora sia accolta, determina uno svolgimento, un iter successivo del processo esecutivo diverso da quello normale. È la stessa parentesi distributiva che finisce per essere pregiudicata nella sua dimensione originaria.

È come se, per farvi capire, nel momento in cui si apre l’istanza di conversione del pignoramento, il debitore giocasse una partita singola contro ognuno dei singoli creditori; si perde un po’ la prospettiva concorsuale.

Nella logica dell’espropriazione forzata, arrivo alla fase distributiva e io debitore, ho interesse a contestare, con le opposizioni distributive, la posizione di ogni singolo creditore, perché:1) il residuo, cioè quello che dovesse sopravanzare dopo la distribuzione, mi viene restituito. Quindi ho interesse in una prospettiva concorsuale, di contestare le varie posizioni, perché quanto più avanza, più mi viene restituito. Così come tra i vari creditori, chirografari o privilegiati, nella logica concorsuale si innesca un meccanismo di questo tipo.

2) nella logica della conversione, la partita, è tra il singolo creditore e il singolo debitore. Perché ogni singolo creditore vanta un determinato credito, e vuole che il giudice, in via sommaria, gli riconosca quel determinato credito. Se vengono appostaste quelle determinate somme di ogni singolo creditore e viene determinata la somma complessiva,

una volta che il debitore versa quella somma complessiva, ogni singolo creditore dovrà avere quella determinata somma.

Quindi, cambia la logica del processo esecutivo. L’istanza di conversione del pignoramento finisce, qualora dovesse essere accolta, per incidere anche sull’iter di svolgimento del processo esecutivo nella sua fase conclusiva. Cambia la prospettiva.

Come, a questo punto, nell’attuale dimensione codicistica, possiamo dire che siano risolte, se sono state risolte, le problematiche segnalate?

Alla luce della norma che abbiamo letto, sicuramente qualche problematica ci viene risolta, ma non tutte.Nella logica di evitare che ci siano delle strumentalizzazioni, vi ho segnalato come una serie di passi significativi il legislatore li fa.

Prima riforma importante di questa norma è legata proprio al primo inciso dell’art. 495: qual è il termine ultimo entro cui può essere disposta l’istanza di conversione del pignoramento? L’attuale testo della norma dice “prima che sia disposta la vendita”.

È logico che, comprendendo la ratio dell’istituto, più dilazionate nel corso della procedura esecutiva il termine ultimo per presentare l’istanza di conversione, più date importanza all’interesse del debitore; più anticipate al massimo il termine per presentare questa istanza, più salvaguardate la posizione del aggiudicatario, perché se voi l’anticipate al massimo, è logico che l’istanza non potrà proprio essere presentata in quella fase della procedura esecutiva in cui si può avere l’aggiudicazione provvisoria.

Se voi dilazionate questo termine, vi dovete porre questo problema.

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Ante ultime riforme del 495, questa norma non recava l’inciso “prima che sia disposta la vendita”, ma per indicare il termine ultimo entro cui poteva essere disposta l’istanza di conversione del pignoramento, faceva generico riferimento alla vendita.

Siccome noi sappiamo che la vendita forzata è un subprocedimento (un subprocedimento non si esaurisce in un iter), era molto acceso il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, volto a stabilire che cosa aveva inteso stabilire il legislatore nel richiamare genericamente la vendita.

Perché, se vendita è un subprocedimento, astrattamente il legislatore avrebbe potuto riferirsi all’inizio del subprocedimento, l’istanza di vendita, o alla fine del subprocedimento, il decreto di trasferimento.

La vendita è un subprocedimento che va dall’istanza di vendita, depositata dal creditore, e che passa per una serie di momenti, che sono: la vendita del bene con l’aggiudicazione provvisoria; la fase eventuale di aumento dell’aggiudicazione definitiva; l’emissione del decreto di trasferimento, cui è legato, secondo l’impostazione prevalente, l’effetto traslativo.

Teoricamente il momento ultimo poteva essere: l’istanza di vendita che è l’inizio del procedimento, o il decreto di trasferimento che è il momento ultimo.

Quindi, se ritenete che il momento ultimo per presentare l’istanza di conversione, è l’istanza di vendita, il problema con il conflitto con l’aggiudicatario provvisorio non esiste, non ci può essere un aggiudicatario provvisorio in conflitto; perché se l’ha presentata prima dell’istanza di vendita, allora il giudice la deve valutare prima che si attivi l’iter della vendita, se l’ha presentata dopo, è tardiva, quindi non ammissibile.

Se ritenete che il momento ultimo, sia sostanzialmente il decreto di trasferimento, i problemi esistono, perché è possibile che dopo che ci sia stata già una aggiudicazione provvisoria, il debitore, presenta l’istanza di conversione, e quindi si deve stabilire se quell’istanza di conversione è tempestiva o meno, se è accoglibile o meno.

Se ritenete che non sia accoglibile, privilegiate la posizione dell’aggiudicatario provvisorio, se ritenete che sia accoglibile, privilegiate la posizione del debitore e sacrificate la posizione dell’aggiudicatario provvisorio.

Nell’espropriazione immobiliare, questo aggiudicatario normalmente, non ha tutte le disponibilità economiche per acquistare l’immobile, quindi questo aggiudicatario provvisorio si preoccupa anche di fare, eventualmente, un mutuo (non a caso sono state stipulate delle convenzioni in tutta Italia, per prevedere dei mutui con determinate particolarità in relazione proprio alle procedure esecutive). La posizione dell’aggiudicatario provvisorio, è comunque la posizione di un soggetto che si è “scomodato” a fare un’offerta, a vedersi aggiudicato, a partecipare alla procedura esecutiva. Quindi bisogna mettere sul piatto della bilancia, il debitore, che vuole sottrarre il bene immobile (magari la casa in cui abita) alla procedura esecutiva, e l’aggiudicatario provvisorio che magari ha già partecipato ad un’asta ed ha già preso una serie di impegni.

Sintetizzando: questo dibattito, era molto acceso, e vedeva divise la dottrina e la giurisprudenza, a fronte del testo equivoco del 495, che faceva genericamente riferimento alla vendita: la giurisprudenza tendeva più a salvaguardare la posizione del debitore, e quindi ad ammettere un’istanza di conversione in una fase anche avanzata del processo esecutivo; invece, una parte significativa della dottrina, era molto critica di fronte a questa posizione giurisprudenziale, ritenendo

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che questa posizione dell’aggiudicatario provvisorio, ne venisse fortemente, e in modo ingiustificato, sacrificata.

Nella logica di questa costruzione dottrinale, non solo bisognava ridisciplinare in toto la disciplina della conversione in modo da evitare strumentalizzazioni, ma bisognava anche fare in modo che il termine per la presentazione dell’istanza, fosse collocata in una fase iniziale della procedura esecutiva, proprio per evitare in radice la possibilità che ci potesse essere questo conflitto, per salvaguardare al massimo la posizione dell’aggiudicatario provvisorio.

È quello che ha fatto il legislatore con le più recenti riforme, perché, se fate attenzione, l’attuale credito del 495, non parla più genericamente di vendita, ma dice “prima che sia disposta la vendita”; disposta la vendita, mi fa pensare alla fase iniziale del processo esecutivo, quando a fronte dell’istanza, il giudice dispone la vendita. Quindi ora abbiamo un dato normativo testuale, che individua qual è il termine ultimo per presentare l’istanza nel “prima che sia disposta la vendita”; non è immaginabile questa istanza di conversione in una fase del processo avanzata, e che quindi possa pregiudicare la posizione dell’aggiudicatario provvisorio.

Tanto è vero che, il nuovo primo comma del 495, deve essere letto in stretta aderenza con quanto attualmente disposto dal 187bis delle disp att.

Art.187bis disp. att., -intangibilità nei confronti dei terzi degli effetti degli atti esecutivi compiuti :“In ogni caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo avvenuta dopo l'aggiudicazione, anche provvisoria, o l'assegnazione, restano fermi nei confronti dei terzi aggiudicatari o assegnatari, in forza dell'articolo 632, secondo comma, del codice, gli effetti di tali atti. Dopo il compimento degli stessi atti, l'istanza di cui all'articolo 495 del codice non è più procedibile”

È una norma che tende a salvaguardare la posizione dell’aggiudicatario provvisorio, ma il legislatore non ha mancato nel 187bis di dire espressamente che dopo il compimento di questi atti, l’istanza del 495 non è più procedibile. Quindi, mettendo insieme questa disposizione con il 495, ci si rende conto di come sostanzialmente, il legislatore abbia voluto fare una scelta di campo precisa; una scelta di campo in favore dell’aggiudicatario provvisorio e contro la posizione del debitore. Il debitore ha la possibilità di fare istanza di conversione, ma la deve fare nella prima fase del processo esecutivo; questa istanza deve essere corredata da tutta una serie di requisiti, e con il rischio di perdere quelle somme, eventualmente versate.

L’art 495 va collegato anche con l’art. 4922.

Art. 4922: ”Il pignoramento deve anche contenere l'avvertimento che il debitore, ai sensi dell'articolo 495, può chiedere di sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro pari all'importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese, oltre che delle spese di esecuzione, sempre che, a pena di inammissibilità, sia da lui depositata in cancelleria, prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione a norma degli articoli 530, 552 e 569, la relativa istanza unitamente ad una somma non inferiore ad un quinto dell'importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento e dei crediti dei creditori intervenuti indicati nei rispettivi atti di intervento, dedotti i versamenti effettuati di cui deve essere data prova documentale”

Questo comma completa la disciplina del 495, ma come contraltare della maggiore rigidità della disciplina nei confronti del debitore, si è prevista la necessità dell’avvertimento del pignoramento.

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Il pignoramento deve anche contenere l’avvertimento al debitore, nel senso di dire che può fare questa istanza di conversione, ma a determinate condizioni, con determinate modalità.

È una logica simile a quella dell’atto di citazione, in cui si deve avvertire il convenuto delle decadenze a cui va incontro se non si costituisce tempestivamente.

Un primo problema il legislatore ce lo ha risolto. Ma questo non è l’unico problema.

L’altro grosso problema che si poneva, era quello legato alle possibili strumentalizzazioni, che il debitore incentrasse, soprattutto sulla sospensione automatica. Sul punto, non troviamo la riposta da parte del legislatore. Questo perché, il problema era già stato risolto dalla giurisprudenza in un modo che il legislatore, evidentemente, ha ritenuto soddisfacente.

Cosa aveva previsto la giurisprudenza per risolvere questo tipo di problema?

Aveva affermato che la sospensione non era automatica, ma era subordinata ad una valutazione de giudice. Una valutazione del giudice molto delicata, in ordine ad un eventuale pregiudizio che ne potesse derivare ai creditori, dalla sospensione del processo esecutivo per effetti della proposizione di questa istanza.

Non sospensione automatica, ma apertura ad una valutazione del giudice molto delicata, che mette sul piatto della bilancia, da una parte, l’interesse del debitore a sottrarre alla procedura esecutiva questo bene immobile, e dall’altra parte, l’interesse dei creditori a veder soddisfatto il loro credito.

La valutazione è delicata, eliminare l’automaticità della sospensione era inevitabile. La delicatezza della valutazione, dovrebbe comunque dare lo spazio al giudice per non concedere la sospensione del processo esecutivo, ogni qual volta si dovesse rendere conto che questa istanza sia pretestuosa, o che, in qualche modo, la sospensione del processo esecutivo, possa pregiudicare, irrimediabilmente, in modo significativo, questi creditori.

Un primo problema lo ha risolto il legislatore con il 495 espressamente; un altro problema, non ce lo ha risolto il legislatore, ma la giurisprudenza, e il legislatore lo ha fatto proprio.

L’altro problema, forse il più delicato, ossia quello di carattere esecutivo, ovvero di accertamento dell’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione determina il complesso dei crediti alla cui integrale soddisfazione è condizionata la liberazione del bene pignorato.

Il problema di fondo è nella necessità o meno della componente accertativa nell’ambito del processo esecutivo, al fine di stabilire qual è la somma complessiva cui è condizionata la liberazione del bene immobile.

Il problema più delicato, è che nella logica del codice del ’42, non c’è spazio per un accertamento del genere; ma come fa il giudice, che non fa nessun accertamento sui crediti che sono intervenuti, a stabilire la somma complessiva?

Per cercare di capire queste problematiche, calatevi nel ruolo del soggetto che le dovrebbe risolvere. Immaginatevi di essere voi il giudice dell’esecuzione: il debitore vi fa un’istanza di conversione, e ci sono altri dieci creditori che sono intervenuti, ci sono dei creditori titolati, che hanno una sentenza di condanna, e dei creditori non titolati. Dovete

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stabilire se accogliere o meno questa istanza di conversione, e soprattutto, per stabilire se accoglierla, dovete stabilire qual è la somma complessiva che deve versare questo debitore per soddisfare tutti i vari creditori. Per stabilire se i creditori sono soddisfatti, o non sono soddisfatti, di questa somma complessiva, dovete stabilire se Tizio, Caio o Sempronio, ha effettivamente un diritto di credito nei confronti del debitore. Non avete, come nel processo di cognizione, un processo che vi consente di fare un accertamento. Nella logica codicistica, il giudice dell’esecuzione non deve fare nessun accertamento.

Come si risolve questo tipo di problema?

Si deve prendere atto, di come questa è la prima ipotesi fondamentale, che mette in crisi la concezione codicistica, e si deve ritenere che un accertamento, sia pur sommario del giudice di esecuzione, in relazione a questi crediti, ci sia. Altrimenti, non si vede come il giudice potrebbe, con questa ordinanza, determinare questa somma complessiva cui è subordinata la sostituzione del bene immobile con una somma di danaro.

Su questa tematica, una qualche incidenza, sia pur minima, la riforma l’ha avuta.

Come è stata risolta questo tipo di problematica da parte della giurisprudenza?

La giurisprudenza, sostanzialmente, si è arrangiata con gli strumenti che aveva. Si è mossa nella logica secondo cui il credito di eventuali creditori titolati, io debitore lo posso sempre contestare con l’opposizione ex 615; per i creditori non titolati, un problema molto delicato che si è posto in giurisprudenza, è quello di stabilire, in qualche modo, se la loro legittimazione di intervenire nel processo esecutivo,

fosse subordinata o meno a qualcosa, e più specificamente, ad una prova documentale del loro credito.

Qui la giurisprudenza non ha potuto non far ricorso ad un rimedio oppositivo che è quello di cui ex 617. Ha piegato l’opposizione ax art 617, anche a questo tipo di utilità. La giurisprudenza ha ritenuto che il debitore potesse utilizzare l’opposizione ex 617, per contestare la legittimità di un determinato creditore a intervenire nella procedura esecutiva; perché il credito era meramente affermato ed era sfornito di una prova documentale. Una sedes degli accertamenti si è ricavata, per i creditori, facendo leva sulle opposizioni ex 615 ed ex 617 nella dimensione di verifica della legittimazione a intervenire nel processo esecutivo.

A prescindere da questo tipo di passaggio, la giurisprudenza ha ritenuto che il giudice dell’esecuzione, inevitabilmente, deve procedere ad un accertamento sommario; è sulla base di questo accertamento (la difficoltà è che non ha veri e propri mezzi di prova, è una cognizione sommaria basata sulla prova documentale dell’esistenza di eventuali crediti) che conduce all’emissione di un’ordinanza (ex 495) sempre impugnabile con l’opposizione ex 617. C’è un accertamento sommario a monte, che è controllabile con una parentesi cognitiva vera e propria, ex post, e in via eventuale, per effetto della impugnazione di questa ordinanza.

Il giudice deve comunque fare un accertamento sommario, perché, non si può immaginare che si basi solamente sulle mere somme affermate dai creditori, altrimenti perderemmo quella dimensione di distinguo tra richiesta ed accoglimento dell’istanza, cioè condizioni cui è subordinata la proposizione dell’istanza, e quindi somma cui deve essere parametrata originariamente l’istanza, e somma che deve essere, invece,

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versata dal debitore per liberare il bene immobile, così come stabilita dal giudice.

Questa, inevitabilmente, richiede un accertamento del giudice, inevitabilmente sarà sommario, inevitabilmente si dovrà far leva sulle prove documentali, perché non abbiamo dei mezzi di prova, c’è però la garanzia che l’ordinanza, che è il nesso di questa cognizione sommaria, sarà sempre suscettibile di opposizione. Quindi, ex post, mi recupero una parentesi cognitiva, che mi consente di effettuare una verifica su questo accertamento del giudice.

La riforma ha previsto un diverso iter di svolgimento del giudizio oppositivo ex 512.

Ante riforma del 2005, la giurisprudenza era costretta a dire che il giudice dell’esecuzione poneva in essere un accertamento, che, in quanto tale, non era legittimato a conoscere delle posizioni sostanziali, ma che ne conosceva, in via sommaria, solo ai fini della conversione del pignoramento, non poteva non dare al giudice di esecuzione un potere di accertamento in via sommaria, e allo stesso tempo non poteva dire che il giudice dell’esecuzione conosce delle posizioni sostanziali, cosa che potrà fare solo il giudice in sede di opposizione distributiva.

L’opposizione distributiva ex 512, ante riforma, si svolgevano nelle forme della cognizione piena. Quella era la sedes dove ci sarebbe stato un vero e proprio accertamento della posizione sostanziale del diritto di credito.

Il giudice dell’esecuzione può solo accertare, in via sommaria, ai fini della conversione; un accertamento della situazione sostanziale del diritto di credito, sarà possibile solo nella sede delle opposizioni

distributive, che si svolgono a cognizione piena, e che hanno un’autonoma previsione da parte del codice.

La riforma del 2005 ha modificato queste opposizioni distributive, e ha previsto che il giudice dell’esecuzione, in quanto tale, possa conoscere delle controversie distributive, e che le risolva con ordinanza; ordinanza soggetta all’opposizione ex art. 617, con una sospensione che non è più una sospensione ex lege.

Sono cambiati di molto i parametri di riferimento.

L’importante è avere chiaro che, tutto questo il discorso sull’accertamento del giudice dell’esecuzione, si riferisce all’accertamento che si conclude con ordinanza per liberare il bene immobile oggetto di espropriazione.

Importante per capire altri istituti che vengono in rilievo nelle vicende processuali del pignoramento, che le determinazioni che rilevano ai fini del 495, in realtà sono due: una prima, è quella preliminare per l’accesso al relativo beneficio, e qui si deve aver riguardo alle spese anticipate, all’importo dovuto al creditore pignorante, nonché a quelli dovuti ai creditori intervenuti, secondo quanto è indicato nei rispettivi ricorsi.

Questa prima possibilità non prevede nessuna forma di accertamento reale, perché si fa riferimento, per determinare questa prima somma, relativa all’accesso al relativo beneficio, ai crediti che sono indicati dal creditore pignorante, dai creditori intervenuti nei loro rispettivi ricorsi.

Dove emerge realmente una dimensione accertativa? Con riferimento al secondo momento.

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La seconda determinazione è che il giudice dell’esecuzione, sentite le parti, opera ai fini della definitiva individuazione dell’importo da versare per la liberazione del bene pignorato (4953). Ed è questa l’ipotesi dove il giudice adotta l’ordinanza, fa la cognizione formale etc etc…

PIGNORAMENTO SU ISTANZA DI PIU’ CREDITORI

Altra vicenda processuale è il pignoramento su istanza di più creditori. Qui il riferimento normativo è l’art. 4931 - cumulo iniziale -, lo distinguiamo dall’ipotesi del 4932, che disciplina invece, un cumulo successivo.

Art. 4931: ”Più creditori possono con unico pignoramento colpire il medesimo bene”

La logica, normalmente, qual è? Un creditore da solo pignora, e gli altri possono intervenire. Qui invece, più creditori, con un unico pignoramento colpiscono il medesimo bene. Si dice, tecnicamente, che è un vero e proprio atto concorsuale, nel senso che è posto in essere da una pluralità di soggetti, da una pluralità di creditori.

Qual è la ratio?

Perché il codice prevede che in fondo c’è sempre la possibilità di intervenire per gli altri creditori?

Perché è prevista la possibilità di procedere ad un unico pignoramento a più creditori insieme? Anzitutto, per evitare l’insorgere di diverse procedure esecutive aventi ad oggetto il medesimo bene, quindi per fare in modo che si abbia un’unica procedura esecutiva, e non eventualmente più procedure. Cosa ancora più significativa, per comprendere la ratio dell’istituto, per fare in modo che sin dall’inizio, il pignoramento possa

avere un’estensione, tale da garantire la soddisfazione di tutti pignoranti concorsuali in base al principio di adeguatezza.

Se più creditori insieme, fanno un unico atto di pignoramento, sin dall’inizio noi avremo una somma maggiore.

In questo tipo di logica, l’atto concorsuale, si dice, mette a riparo tutti i precedenti anche dall’adozione di eventuali provvedimenti limitativi dell’espropriazione.

Con riferimento all’espropriazione presso terzi, si segnala che quella necessità di adeguamento, in talune ipotesi, lo facevamo per le prestazioni periodiche, dell’oggetto dell’espropriazione forzata, quale individuato originariamente nell’atto introduttivo, è il suo adeguamento nel corso del processo esecutivo alla luce degli altri creditori.

Esempio: il creditore procedente procede per 100, si pignora un bene di valore 100; se poi intervengono tutta una serie di creditori, facendo valere una serie di crediti, in realtà la somma per la quale si procede, non è più 100, ma magari sarà 200.

C’è una problematica di fondo, legata ad una necessità di adeguamento dell’oggetto originario del processo esecutivo, in relazione al fatto che siano intervenuti determinati creditori, in modo che ci sia una proporzionalità, non solo ab origine quando si pignora, ma durante tutto il corso del giudizio. In questo tipo di logica, il pignorare tutti insieme (quindi pignorare subito per 200, anziché per 100) pone al riparo dall’eventuale adozione di provvedimenti limitativi. Il debitore può reagire all’eccesso dell’espropriazione.

Doppia ratio:

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1) evitare una pluralità di procedimenti;

2) e, ab origine, parametrare, l’entità effettiva dei crediti, di quella procedura, nei limiti del possibile, all’oggetto effettivo dell’espropriazione.

Attenzione: è un atto concorsuale, si ritiene però, che nonostante sia concorsuale, il pignoramento possa essere giustificato anche dalla persistenza di una sola delle azioni cumulate.

Immaginate che rispetto alla pluralità dei creditori, che hanno pignorato con un unico atto, il debitore faccia opposizione all’esecuzione, contestando solo contro alcuni dei creditori.

Se questo è un atto concorsuale, se viene accolta l’opposizione del debitore, cade l’atto nel suo complesso, oppure rimane in piedi la procedura esecutiva, basta che rimanga in piedi la posizione di uno dei creditori pignoranti?

Si ritiene che, nonostante la natura concorsuale dell’atto, anche una sola azione esecutiva, sottesa anche ad un’unica posizione creditoria, possa reggere la procedura esecutiva. Altrimenti sarebbe grave la conseguenza, il beneficio sarebbe vanificato, perché nessuno se la sentirebbe di legare il suo credito al credito di un altro soggetto. Se viene accolta un’opposizione di esecuzione nei confronti di uno della pluralità dei creditori concorsuali, che hanno posto in essere l’unico atto di pignoramento, il processo esecutivo rimane comunque in piedi, purché ci sia un unico creditore pignorante, la cui posizione sia legittima e valida.

Distinta dall’ipotesi del primo comma del 493, è l’ipotesi del secondo comma, che individua non più un cumolo originario, ma un cumolo

successivo. Si parla di riunione di pignoramenti, o di pignoramento successivo.

Per analogia, guardiamo prima all’ipotesi dell’unione di pignoramenti di cui all’art. 523 cpc, ipotesi analoga a quella del primo comma del 493. A suo tempo, abbiamo visto che il 523, con riferimento all’espropriazione mobiliare, dice: unione di pignoramenti

Art. 523: ”L'ufficiale giudiziario, che trova un pignoramento già iniziato da altro ufficiale giudiziario, continua le operazioni insieme con lui. Essi redigono unico processo verbale”

Questa ipotesi è molto vicina a quella del 4931. Al pignoramento su istanza di più creditori, può essere parificata questa ipotesi dell’unione di pignoramenti, che in fondo, anche in questo caso, ne viene fuori un unico atto di pignoramento con più creditori.

Diversamente il secondo comma del 493.

Art. 4932: ”Il bene sul quale è stato compiuto un pignoramento può essere pignorato successivamente su istanza di uno o più creditori”

Ecco il cumolo successivo. Non è che ab origine, tutti insieme, decidono di fare un unico pignoramento, qui c’è già un pignoramento sul bene e c’è un altro soggetto che procede successivamente ad un ulteriore pignoramento.

La disciplina di diritto positivo, ci è data da varie norme in relazione alle singole espropriazioni; più specificamente sono: art. 524; art. 550; art. 561.

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Art. 5241: ”L'ufficiale giudiziario, che trova un pignoramento già compiuto, ne dà atto nel processo verbale descrivendo i mobili precedentemente pignorati, e quindi procede al pignoramento degli altri beni o fa constare nel processo verbale che non ve ne sono”

Art. 5242: “Il processo verbale è depositato in cancelleria e inserito nel fascicolo formato in base al primo pignoramento, se quello successivo è compiuto anteriormente alla udienza prevista nell'articolo 525, primo comma, ovvero alla presentazione del ricorso per l'assegnazione o la vendita dei beni pignorati nella ipotesi prevista nel secondo comma dell'articolo 525 (1). In tal caso il cancelliere ne dà notizia al creditore primo pignorante e l'esecuzione si svolge in unico processo”

Art. 5243: “Il pignoramento successivo, se è compiuto dopo l'udienza di cui sopra ovvero dopo la presentazione del ricorso predetto, ha gli effetti di un intervento tardivo  rispetto ai beni colpiti dal primo pignoramento. Se colpisce altri beni, per questi ha luogo separato processo”

Il dato di fondo qual è?

Per individuare la disciplina del pignoramento successivo, si mutua la disciplina dell’intervento, e vedremo che i creditori intervenuti, si possono distinguere, in creditori tempestivi e creditori tardivi. Analogamente, a seconda del momento del processo, cui è intervenuto questo pignoramento

successivo, il pignorante successivo, viene trattato come un interventore tempestivo, o come un interventore tardivo.

Nel caso in cui interviene l’interventore tempestivo, e quindi se il pignoramento viene parificato ad intervento tempestivo, il creditore

chirografario concorre sul ricavato, in ragione del suo diritto, insieme a tutti gli altri creditori chirografari. Se viene parificato al creditore tardivo, solo nell’ipotesi in cui ha un credito privilegiato, mantiene il suo privilegio, altrimenti come creditore chirografario, sarà soddisfatto solo dopo che sono stati soddisfatti gli altri creditori intervenuti tempestivamente.

Importante è registrare l’analogia che la disciplina del pignoramento successivo sul piano processuale, viene mutuata dall’intervento, e che quindi il pignorante successivo viene trattato come un creditore intervenuto, e, a seconda del momento del processo, in cui si realizza questo pignoramento successivo, viene trattato come un creditore tempestivo o come un creditore tardivo.

Fino a che punto possiamo spingere questo parallelismo tra pignorante successivo e creditore intervenuto?

Una differenza fondamentale è che il creditore intervenuto, è sempre dipendente dalla volontà del creditore pignorante, ossia dal creditore che ha posto in essere quell’atto iniziale della procedura esecutiva. Mentre, il pignoramento successivo, rende indipendente il pignorante successivo dal primo pignorante.

La parificazione non può arrivare fino a trattarlo come un vero e proprio creditore pignorante.

Nella disciplina dell’intervento, l’interventore è appeso all’esistenza dell’atto iniziale; l’atto iniziale lo ha posto in essere il creditore pignorante. Nel pignoramento successivo, c’è un altro pignoramento che può reggere la procedura esecutiva, quindi ha una indipendenza il pignorante successivo che il creditore intervenuto non ha.

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Questo discorso, non è che può essere portato fino all’estremo, nel senso di ritenere che il pignorante successivo non ha nessun interesse alla validità del primo pignoramento.

Perché? Sostanzialmente è indipendente dal primo pignoramento, nel senso che se cade il pignoramento iniziale, il creditore ne subisce le conseguenze, il pignorante successivo non ne subisce le conseguenze in termini di procedura esecutiva, perché comunque, la procedura esecutiva, ha un pignoramento su cui si può reggere.

Tuttavia, il pignorante successivo, un interesse al ché rimanga in piedi il primo pignoramento ce l’ha, non è completamente indifferente al fatto che rimanga in piedi il primo pignoramento.

Perché? Perché prende data dal primo pignoramento, quindi è vero che lui, se medio tempore nessuno ha trascritto prima di lui, non ha problemi, la procedura esecutiva rimane in piedi e lui prevale sempre rispetto ai terzi. Se medio tempore, tra il primo pignoramento e il pignoramento successivo c’è la trascrizione di atto relativo a terzi, il pignorante successivo ha interesse della validità del primo pignoramento, perché: se rimane in piedi il primo pignoramento lui sta in quella procedura esecutiva legata al primo pignoramento e la procedura esecutiva va in fondo, perché il primo pignoramento prevale sul terzo; se il primo pignoramento è invalido, in base alle norme sulla trascrizione, l’atto di trascrizione del terzo prevale sul pignoramento successivo.

ESTENSIONE DEL PIGNORAMENTO

Altra vicenda processuale è l’estensione del pignoramento.

Già nel codice del 1865, si denunciava di non aver previsto degli strumenti per adeguare l’oggetto dell’espropriazione al valore complessivo dei crediti presenti nel processo.

C’è, nell’ambito dell’ordinamento, uno strumento che consente al processo esecutivo un’operazione di adeguamento.

Estensione del pignoramento significa che il processo esecutivo deve avere un suo meccanismo per fare in modo che, se è partito con 100, e nel corso del processo esecutivo intervengono altri creditori, e questo oggetto non è più legato ai valore complessivo dei crediti presenti nel processo, allora si deve poter estendere il pignoramento.

Nel codice del ’40 compare un istituto di questo tipo, ma non compare come un istituto generale, generalizzato, relativo all’espropriazione forzata, ma vi è solo una fattispecie prevista con riferimento all’espropriazione mobiliare. È la fattispecie di cui all’art. 527; ora nel codice è abrogato, perché sono intervenute le recenti riforme. Nell’originaria dimensione codicistica il 527 prevedeva:

Art. 5271: ”Ai creditori intervenuti a norma dell'articolo 525, secondo e terzo comma il creditore pignorante ha facoltà di indicare, alla udienza o con atto notificato e, in ogni caso, non oltre i cinque giorni successivi alla comunicazione fattagli dal cancelliere, l'esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili, e di invitarli ad estendere il pignoramento se sono forniti di titolo esecutivo  o, altrimenti, ad anticipare le spese necessarie per l'estensione”

Art. 5272: ”Se i creditori intervenuti non si giovano, senza giusto motivo, delle indicazioni loro fatte o non rispondono all'invito entro il termine di dieci giorni, il creditore pignorante ha diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione”

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Solo con riferimento alla espropriazione mobiliare, si immaginava questo tipo di meccanismo: io creditore pignorante, ho pignorato una serie di beni, e in base ai meccanismi della procedura esecutiva, sono proporzionati per la somma per la quale si procede. Intervengono una serie di altri creditori, a questo punto l’oggetto del processo esecutivo, non è più proporzionato all’entità dei crediti presenti nella procedura esecutiva.

I creditori, se sono muniti di titolo esecutivo, possono procedere all’estensione del pignoramento, altrimenti devono anticipare le spese, perché è necessario un titolo per procedere.

Sanzione: in caso contrario, nasce un diritto di prelazione di natura processuale (Andrioli), ossia il creditore pignorante sarà preferito in sede di distribuzione.

Questa logica era presente solo nell’espropriazione mobiliare, non c’erano particolari problemi sull’ambito di estensione, si riteneva pacificamente che potesse operare esclusivamente con riferimento a beni della medesima natura.

Nel momento in cui si parla di estensione del pignoramento, se siamo nell’espropriazione mobiliare, stiamo parlando solo di altri beni mobili, o possiamo estenderla a beni di diversa natura, e quindi possiamo immaginare di cumulare nell’ambito dello stesso processo un’espropriazione mobiliare, immobiliare o presso crediti?

Qui, siccome era previsto solo nella mobiliare, era pacifico che l’estensione potesse riguardare altri beni mobili e che quindi si rimanesse nella logica dell’espropriazione mobiliare.

Dove sorgeva il problema?

Il problema era di capire quali rimedi aveva questo debitore per reagire a questa estensione del pignoramento, nel momento in cui la riteneva illegittima.

Per l’ipotesi in cui all’estensione provvedevano i creditori titolati, è facile, perché si utilizzava il 615, si contestava l’altrui diritto a procedere all’esecuzione forzata.

I dubbi erano legati all’ipotesi in cui l’estensione era relativa a creditori non titolati, e quindi all’estensione procedeva il pignorante, con l’anticipazione delle spese.

Qui il dubbio era: come può contestare il debitore? Che cosa può contestare? L’ulteriore esercizio dell’azione esecutiva da parte del pignorante (se così è, il rimedio sarà il 615), oppure contesta la sussistenza della legittimazione dei creditori non titolati ad intervenire (se così è il rimedio dovrebbe essere il 617)?

La giurisprudenza tendeva ad ammettere entrambi i rimedi, mentre la dottrina era divisa; a seconda che riteniate che venga in contestazione l’ulteriore possibilità di esercitare l’azione esecutiva da parte del pignorante, o i requisiti per poter intervenire nel processo esecutivo da parte dei creditori non titolati, opposizione ex 615 e opposizione ex 617.

Post riforma, che cosa ha fatto il legislatore per dare una risposta significativa a questa estensione del pignoramento?

Il legislatore ha introdotto due distinti meccanismi di estensione del pignoramento, e in secondo luogo ha proceduto ad una generalizzazione di questi meccanismi a tutte le procedure espropriative. Si va dalla sola espropriazione mobiliare, a tutte le procedure espropriative, e poi

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compare, accanto all’originario meccanismo di estensione, un nuovo meccanismo di estensione.

Infatti l’art. 4924 dice: ”Quando per la soddisfazione del creditore procedente i beni assoggettati a pignoramento appaiono insufficienti ovvero per essi appare manifesta la lunga durata della liquidazione l'ufficiale giudiziario invita il debitore ad indicare ulteriori beni utilmente pignorabili, i luoghi in cui si trovano ovvero le generalità dei terzi debitori, avvertendolo della sanzione prevista per l'omessa o falsa dichiarazione”

È un nuovo meccanismo di estensione. Facendo il parallelo con il 527, quello del 527 viene, sostanzialmente, generalizzato, per effetto della previsione di cui al 4926, e di cui al 4994.

Se facciamo il raffronto con il 4924, ci rendiamo conto che è diverso. È diverso perché sono diversi i presupposti; lo strumento utilizzato, non è più la prelazione processuale del 527, ma sono i poteri dell’ufficiale giudiziario ex 492.

Si fa leva sulla nuova posizione dell’ufficiale giudiziario, e si fa leva sulla dichiarazione del debitore, è lo stesso debitore che ci deve indicare altri beni pignorabili, o altri soggetti debitori.

Conclusione: due meccanismi di estensione: quello del 4994, quello del 4922, diversi per presupposti e per modo di operare; l’uno fa leva sulla prelazione processuale, l’altro fa leva sulla dichiarazione del debitore; e generalizzazione di questi meccanismi di estensione.

Quale problema ci ha aperto questo tipo di riforma?

Il problema importante è che, nella vigenza del vecchio codice era pacifica che questa estensione del pignoramento, riguardasse solo beni della stessa natura e beni che si trovavano nella medesima circoscrizione del tribunale. Non era immaginabile che l’estensione del pignoramento potesse portare ad un simultaneus processus, in cui venivano a confluire un’espropriazione mobiliare, una immobiliare e una verso terzi. Perché buona parte della dottrina dice che con questo tipo di modifiche, il legislatore, al di la di generalizzare il rimedio, in realtà ha introdotto una modifica di maggior portata; tanto che taluna dottrina è arrivata a dire che per l’effetto si è passati dall’espropriazione di un singolo oggetto del debitore ad un’espropriazione allargata quasi al patrimonio del debitore.

Se noi leggiamo il 4923, ci dice che il debitore deve dichiarare le generalità dei terzi debitori, e la dottrina quindi diceva che dichiarare le generalità significava fare riferimento all’espropriazione presso terzi; quindi sta ipotizzando che l’estensione del pignoramento non riguarda soltanto beni della stessa natura, ma anche beni di diversa natura, che si possa avere l’estensione di un pignoramento originariamente immobiliare, a dei beni mobili, o di crediti.

Altra argomentazione decisiva, la troviamo nella nuova figura del pignoramento sulla dichiarazione, perché l’art. 492 non distingue la natura dei beni. La dottrina ritiene che questa riforma dell’estensione del pignoramento, sia una riforma che abbia una portata e delle ricadute ancora più ampie, perché mira ad aprire alla possibile realizzazione di un simultaneus processus esecutivo, che abbia ad oggetto beni che non si trovino necessariamente nella circoscrizione territoriale dello stesso tribunale, e che siano beni di diversa natura.

Ha ipotizzato che si sia passati da un processo sul bene, ad un processo sul patrimonio del debitore.

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RIMEDI AVVERSO L’ECCESSIVITA’ DEL PIGNORAMENTO E DELL’ESECUZIONE:

Il codice prevede una serie di rimedi contro l’eccesso di pignoramento. Eccesso di pignoramento che si ritiene non sia di per sé invalido,proprio perché ci sono una serie di rimedi attraverso i quali la parte lo può contrastare. Quali sono questi rimedi? Anzitutto la riduzione del pignoramento (che era l’ultima delle ipotesi cui facevamo riferimento,quando vi ho detto:”Che può fare il debitore quando l’ufficiale giudiziario si presenta per il pignoramento? Può pagare e quindi evitare in toto il pignoramento e il processo esecutivo,o consegnare una somma di denaro perché oggetto del pignoramento sia questa somma di denaro e non beni mobili o immobili e può fare la stessa cosa non ex ante ma ex post che si chiama conversione del pignoramento,oppure può ex art. 496 chiedere la riduzione del pignoramento).

La RIDUZIONE DEL PIGNORAMENTO è il primo strumento apprestato dall’ordinamento per rimediare all’eventuale eccessività del pignoramento. Quindi pignoramento eccessivo-riduzione del vincolo.

Art.496cpc:“Su istanza del debitore o anche di ufficio,quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo delle spese e dei crediti di cui all’art. precedente, il giudice, sentiti il creditore pignorante e i creditori intervenuti, può disporre la riduzione del pignoramento”.

Logica: c’è un unico procedimento esecutivo,c’è un’eccessività nel pignoramento, il debitore si attiva e fa un’istanza per ottenere la riduzione;bisogna distinguere l’art. 496 dall’art. 483, il limite nel cumulo delle espropriazioni,che invece presuppone una pluralità di procedimenti. Sono dunque due rimedi apprestati per giungere al

medesimo obiettivo, cioè rimediare all’eccessività del pignoramento, ma qual è la differenza fondamentale?

Nella riduzione del pignoramento ci troviamo di fronte ad un unico procedimento esecutivo,nell’art. 483:“ il creditore può valersi cumulativamente dei diversi mezzi di espropriazione forzata previsti dalla legge ma su opposizione del debitore, il giudice dell’esecuzione con ordinanza non impugnabile può limitare l’espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o, in mancanza, a quello che il giudice stesso determina”.

Dunque la riduzione del pignoramento ex art.496 a differenza del’art. 483 si riferisce all’ipotesi in cui sia pendente un unico procedimento esecutivo.

Qual è il nodo maggiormente problematico dell’interpretazione dell’art. 496 e come interpretiamo l’inciso “quando il valore dei beni pignorabili è superiore all’importo delle spese e dei crediti di cui all’art. precedente”?

Si rinvia all’art 495 sulla conversione del pignoramento,che significa?

Nella conversione del pignoramento vi è una prima determinazione che è quella preliminare per l’accesso al relativo beneficio che ci impone di guardare alle spese anticipate,all’importo dovuto al creditore pignorante e agli interventori secondo quanto indicato nei rispettivi ricorsi. Quindi la prima valutazione preliminare per l’accesso al beneficio si basa non su una valutazione del giudice ma sugli importi indicati dai creditori nei rispettivi ricorsi e poi c’è una seconda determinazione che è quella che fa il giudice con ordinanza sentite le parti.

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Art.495: “il giudice, sentite le parti, opera ai fini della definitiva individuazione dell’importo da versare per la liberazione del bene pignorato.”

Quindi la prima determinazione per l’accesso al beneficio non presuppone una valutazione del giudice (un accertamento dei crediti) ma si basa sui crediti indicati nei rispettivi ricorsi introduttivi. Una seconda valutazione con ordinanza del G.E.,sentite le parti, presuppone invece un accertamento del giudice per stabilire qual è la somma che deve essere versata per accordare la conversione del pignoramento,quindi per sostituire al bene immobile quella determinata somma di denaro.

Il problema qui qual è?

Poiché il rinvio è all’art 495 genericamente e poiché l’art 495 prevede due diverse valutazioni si tratta di stabilire se,con questo rinvio al 495,il 496 voglia far riferimento alla prima determinazione (cioè quella che non presuppone un accertamento del giudice e che si basa su ricorsi introduttivi dei creditori) o alla seconda determinazione che presuppone un accertamento del G.E.

Sul punto c’è d’aiuto la giurisprudenza la quale ritiene che il 496 nel richiamare il 495 faccia riferimento alla seconda delle due valutazioni e dunque a quella determinazione che presuppone la valutazione e l’accertamento da parte del G.E. e che viene effettuata al fine di determinare la somma richiesta perché possa essere liberato l’immobile pignorato.

Attenzione a non confondere la riduzione del pignoramento con la conversione del pignoramento perché in parte il 496 rinvia ai presupposti del 495 però la prima precisazione da fare è che il 495 a differenza del 496 presuppone due determinazioni mentre il 496 fa

riferimento soltanto a una determinazione e abbiamo detto è la seconda delle determinazione che è quella effettuata dal giudice con ordinanza e poi la più importante differenza è che ci troviamo di fronte a due istituti che hanno una funzione completamente diversa :

a) la conversione del pignoramento serve a liberare l’immobile pignorato sostituendo a quell’immobile una somma di denaro;

b) nella riduzione del pignoramento non abbiamo assolutamente un fenomeno di questo tipo ma assistiamo esclusivamente ad una limitazione del vincolo che sussiste sul bene pignorato (cioè nella riduzione del pignoramento non è che viene liberato il bene immobile, ma si ha una riduzione da quel punto di vista del vincolo).

Altra problematica discussa con riferimento all’istituto di cui all’art.496 è l’individuazione del TERMINE ULTIMO entro cui può essere adottato il provvedimento di riduzione. Più specificamente ci si chiede, in dottrina e in giurisprudenza, se questo provvedimento di riduzione può essere adottato subito dopo il pignoramento o invece si debba necessariamente attendere che siano tempestivamente intervenuti i creditori (quando studieremo l’intervento dei creditori vedremo che la prima udienza è lo sbarramento per l’intervento tempestivo). C’è una diversa logica di fondo e non a caso la dottrina e la giurisprudenza sul punto sono divise, cioè esistono due posizioni:

-secondo una parte della dottrina non dovrebbe poter essere adottato questo provvedimento di riduzione in una fase iniziale e quindi bisognerebbe attendere quanto meno che sia decorso il termine per l’intervento tempestivo dei creditori in modo tale che la riduzione sia valutata anche alla luce dei crediti fatti valere da questi soggetti che sono intervenuti tempestivamente.

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- la giurisprudenza più recente,invece, ( Cassazione 1999) ci dice che la riduzione sarebbe possibile anche subito dopo il pignoramento.

È chiaro che scegliere l’una o l’altra impostazione sottende una diversa logica e una diversa ricostruzione anche dell’istituto della riduzione e un diverso bilanciamento degli interessi in gioco,da una parte l’interesse del debitore ad evitare una espropriazione che possa essere eccessiva, e dall’altra parte l’interesse dei creditori ad ottenere un effettivo realizzo all’esito della distribuzione. Quindi sul piatto della bilancia come al solito ci sono gli interessi configgenti.

NATURA DELLA SCELTA EFFETTUATA DAL GIUDICE:Ultima problematica da segnalare con riferimento a questo 496 è la natura della scelta effettuata dal giudice, cioè la natura latamente discrezionale dei poteri attribuiti al giudice dal 496 che dice “può disporre la riduzione del pignoramento”, che tipo di valutazione deve fare questo giudice?

Si dice: è una valutazione latamente discrezionale,quindi lo sforzo della dottrina e di una parte della giurisprudenza è quello di individuare dei criteri sulla cui base debba essere fatta questa valutazione e si tende a dire che il giudice deve effettuare una valutazione complessiva in cui si tenga conto di una serie di circostanze tra cui su tutte l’entità dei crediti che vengono fatti valere e il presumibile rendimento della vendita forzata ecc..quindi ci sono una serie di fattori che la giurisprudenza e la dottrina cercano di individuare per cercare di circoscrivere questo potere discrezionale del GE nell’assenza di un’indicazione normativa chiara e certa.

È chiaro che nel momento in cui il 496 rinvia al 495 e lo interpretiamo nel senso che il rinvio sia non alla determinazione delle somme sulla base dei crediti indicati nel ricorso, ma alla determinazione delle somme quali risultante sulla base delle valutazione effettuata dal GE,abbiamo

evidentemente individuato un’altra ipotesi accanto alla conversione del pignoramento che mette in crisi quell’impianto di cui al codice del 1942 che voleva estranei al processo espropriativo degli accertamenti del GE, perché è chiaro che la prima ipotesi principe che entra in crisi in questo meccanismo è la conversione del pignoramento.

Come fa il giudice a stabilire queste somme per convertire? Quindi se noi interpretassimo il 496 nel senso che si riferisce al 495 senza l’accertamento del giudice non avremmo questo problema, ma se gli estendiamo lo stesso accertamento del 495 abbiamo chiaramente individuato un’altra ipotesi che mette in crisi l’impianto del codice del 1942,abbiamo individuato un’altra ipotesi in cui l’accertamento dei crediti non può essere posticipata in fase di distribuzione perché il giudice ai fini di adottare il provvedimento previsto dalla legge di conversione del pignoramento o di riduzione del pignoramento deve effettuare un accertamento sommario nei termini che vi segnalavo.

LIMITAZIONE DEL CUMULO DELLE EPROPRIAZIONI.

Art. 483:“Il creditore può valersi cumulativamente dei diversi mezzi di espropriazione forzata previsti dalla legge (qui qual è il principio affermato da questa norma e la fattispecie sottesa a questo tipo di previsione?La possibilità che il creditore utilizzi il medesimo titolo esecutivo per attivare una pluralità di processi espropriativi.), ma su opposizione del debitore, il giudice dell’esecuzione, con ordinanza non impugnabile,può limitare l’espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o, in mancanza, a quello che il giudice stesso determina.”

L’ordinamento consente con uno stesso titolo di attivare una pluralità di processi esecutivi, per realizzare al massimo il credito (perché magari i beni immobili non sono sufficienti a soddisfare il credito) e parallelamente di attivare più procedure esecutive;dall’altra parte deve

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garantire al debitore dall’eccesso nel ricorso al pignoramento e al processo esecutivo,per ottenere la riduzione.

A differenza del 496 però in questo caso non ci muoviamo nella logica di un unico procedimento esecutivo che è eccessivo, ma di un eccesso nel ricorso alla pluralità di mezzi di espropriazione. Quindi l’art. 483 presuppone una pluralità di procedimenti a differenza del 496 .

Il 483 ci dice: “ Se è iniziata anche l’esecuzione immobiliare, l’ordinanza è pronunciata dal giudice di quest’ultima.”

Quindi qual è la disciplina espressa dal 483?Io posso attivare una pluralità di processi esecutivi sulla base del medesimo titolo,il debitore può fare opposizione. Con il termine opposizione non si fa riferimento all’opposizione all’esecuzione ex 615, perché qui non c’è una contestazione dell’altrui diritto a procedere all’ esecuzione;secondo alcuni il riferimento all’opposizione è ex 617 e secondo altri, i più direi, il termine è utilizzato in senso atecnico perché fa riferimento alla possibilità del debitore di opporsi nell’ambito della procedura esecutiva a questo tipo di scelta del creditore senza proporre un apposito rimedio oppositivo (neanche il 617).

“Il giudice può limitare l’espropriazione al mezzo scelto dal creditore o in assenza a un mezzo scelto da lui. L’ultimo comma dice anche che il provvedimento è assunto con ordinanza non impugnabile” ( quindi non opponibile).

Se investito dell’esecuzione forzata la competenza è del giudice dell’esecuzione immobiliare. Se tra le varie forme di procedura espropriativa c’è un’esecuzione immobiliare provvede il giudice dell’esecuzione immobiliare. Opposizione del debitore, giudice che decide con ordinanza non impugnabile scegliendo qual è il mezzo sulla

base dell’indicazione del creditore o, in assenza di un’indicazione del creditore, d’ufficio.

Qual è il profilo più delicato di questo istituto? È legato all’ambito di applicazione. Ci si chiede se l’art. 483 possa trovare applicazione nel caso di una pluralità di espropriazioni della stessa natura;è sicuro che trova applicazione nel caso di pluralità di espropriazioni di diversa natura perché ce lo dice la norma. Quando non sia scattato o non possa scattare il meccanismo della riunione dei pignoramenti ovvero allorché le espropriazioni pendano dinanzi a giudici di circoscrizioni diverse perché non può operare il 496. Sono 2 meccanismi che non a caso esaminiamo insieme. Se può operare la riunione diventano un unico procedimento allora non rientra nell’ambito di applicazione del 496. Se non può operare il 496 abbiamo una norma che è il 483 che disciplina il cumulo dei mezzi di espropriazione diversi. Qual è il vuoto di tutela che rimane e che dobbiamo colmare? L’ipotesi in cui si abbiano una pluralità di mezzi di espropriazione dello stesso tipo che non rientrano però nel 496 perché non sono un unico procedimento. Ecco il motivo per cui nonostante la lettera della norma sia palesemente contraria, perché la lettera della norma deporrebbe nel senso dell’applicabilità del 483 solo nel caso di mezzi di espropriazione diversi,parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che il 483 si possa applicare anche nel caso di concorso di espropriazioni della stessa natura quando non è possibile la riunione dei procedimenti e dunque non è possibile che trovi applicazione il 496 c.p.c.

Quindi eccesso nell’espropriazione nell’ambito di un unico procedimento c’è il 496;eccesso nel ricorso ad una pluralità di processi esecutivi di diverso tipo abbiamo il 483;c’è un vuoto di tutela pluralità di processi esecutivi dello stesso tipo o lo risolvete con la riunione del procedimento dove possibile, dove non ostano i criteri di competenza del giudice dell’esecuzione e allora diventa un unico procedimento e

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quindi lo risolvete con il 496 altrimenti come fa una parte della dottrina e della giurisprudenza dovete forzare la lettera del 483 e ritenere che questo sia applicabile anche nell’ipotesi in cui l’eccesso nel ricorso ai mezzi di espropriazione non sia un eccesso nel ricorso ad una pluralità di mezzi di espropriazione diversi ma ad una pluralità di mezzi espropriazione dello stesso tipo.

RIDUZIONE O INEFFICACIA DEL PIGNORAMENTO

Sempre tra questi rimedi avverso l’eccesso nel pignoramento e nell’espropriazione si inquadra la riduzione o l’inefficacia del pignoramento di cui all’art. 543 eseguito presso più terzi quindi stiamo parlando dell’espropriazione presso terzi.

Art 546:“ Nel caso di pignoramento eseguito presso più terzi, il debitore può chiedere la riduzione proporzionale dei singoli pignoramenti a norma dell’art. 496 ovvero la dichiarazione di inefficacia di taluno di essi; il giudice dell’esecuzione, convocate le parti, provvede con ordinanza non oltre 20 giorni dall’istanza.”

Problema: qual è l’ambito di applicazione del 546 secondo comma? Si tende a ritenere che nell’ambito dell’espropriazione presso terzi il 496,ossia la riduzione del pignoramento, non possa operare perché quando ci siamo occupati dell’espropriazione presso terzi abbiamo detto che lo stesso legislatore ha indicato lui stesso il limite massimo aumentato della metà. Quindi se già lui ha individuato il limite massimo,il meccanismo del 496 nella logica dell’unico procedimento, non può operare,quindi questo 546 secondo comma quando richiama il 496 a quali ipotesi fa riferimento?

Fa riferimento all’ipotesi in cui l’espropriazione presso terzi sia promossa presso “più” terzi. Quindi qui non viene in rilievo

l’espropriazione presso terzi come unico terzo,ma viene in rilievo l’ipotesi in cui nell’ambito del procedimento ci siano più terzi.

E quindi il 546 secondo comma si porrebbe in un rapporto di specialità rispetto al 496.

Il 496 non potrebbe operare nell’espropriazione presso terzi perché c’è già il limite predeterminato dal legislatore; nel caso in cui ci siano una pluralità di terzi,non ci sia un unico terzo debitore,subentra l’art. 546 secondo comma che consente al debitore di chiedere la riduzione. Nonostante questo passaggio sia abbastanza pacifico,l’ambito di applicazione del 546 rimane comunque dubbio perché secondo alcuni questa norma sarebbe applicabile soltanto nelle procedure per crediti dinanzi allo stesso ufficio giudiziario vuoi perché derivanti da un unico pignoramento eseguito presso terzi, vuoi perché relativo a diversi pignoramenti successivamente riuniti dinanzi allo stesso ufficio;mentre secondo altri questa norma avrebbe un ambito di applicazione ben più esteso in quanto potrebbe regolare anche gli abusi che possono verificarsi nelle procedure pendenti dinanzi ad uffici giudiziari diversi.

Primo passaggio: in che rapporti stanno il 546 secondo comma e il 496?Secondo la lettura che vi ho proposto in un rapporto di specialità nel senso che il 496 non potrebbe de plano trovare applicazione nell’espropriazione presso terzi posto che un limite massimo è già posto dal legislatore aumentato della metà. A questo punto dobbiamo trovare un ambito di applicazione del 496 che è quello di far riferimento alle ipotesi in cui l’espropriazione presso terzi abbia più terzi coinvolti in questa procedura esecutiva . Domanda ulteriore,quella più discussa sull’ambito di applicazione della norma: ma solo ed esclusivamente quando queste più procedure esecutive presso terzi pendono presso lo stesso ufficio giudiziario o anche quando pendono dinanzi ad uffici giudiziari diversi? Anche qui vengono in gioco la possibilità o meno di

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superare una serie di criteri di competenza per territorio del giudice dell’esecuzione ma soprattutto viene in gioco l’effettiva portata dell’istituto perché,siccome questo è stato in qualche modo predisposto dal legislatore per rimediare a possibili abusi, se ne date una lettura più restrittiva potrà rimediare a possibili abusi solo per le procedure esecutive pendenti dinanzi allo stesso ufficio giudiziario,se ne date un’interpretazione estensiva può rimediare a dei possibili abusi anche qualora la pluralità delle procedure esecutive pendano dinanzi a uffici giudiziari diversi.

CESSAZIONE DELLA VENDITA FORZATA .

Norma di riferimento è l’art. 504 cpc che va poi collegato con il 558 in tema di esecuzione immobiliare.

Art. 504 : “Se la vendita è fatta in più volte o in più lotti, deve cessare quando il prezzo già ottenuto raggiunge l’importo delle spese e dei crediti menzionati nell’art. 495 comma 1.”

Ancora una volta un rinvio al 495. Il primo dato da segnalare : qual è la differenza fondamentale di questo istituto rispetto ai precedenti che abbiamo sinora esaminato?

Anch’esso è da ascrivere nel quadro della possibilità di rimediare per il debitore ad un eccesso della espropriazione. La differenza fondamentale è la fase in cui interviene questo rimedio perché qui non siamo più di fronte a rimedi che si collocano nella fase espropriativa, ma siamo dinanzi ad un rimedio che mira sempre a rimediare a quegli eccessi però non ex ante (fase espropriativa),ma nella fase liquidativa ,stiamo parlando di cessazione della vendita forzata. Non si tratta di una mera differenza di forma,ci sono delle ricadute anche a livello di applicazione dell’istituto. Quindi la ratio di quest’istituto è comune a quella degli altri

istituti sinora esaminati,cioè ci stiamo ponendo nella logica di tutti i rimedi che mirano a rimediare all’eventuale eccesso del pignoramento e dell’espropriazione. Qual è la differenza pur nella ratio comune? Nell’ un caso ci troviamo di fronte a dei rimedi che operano nella fase espropriativa, in questo caso,invece, abbiamo un rimedio che opera ex post direttamente nella fase liquidativa,cioè qui quando si sta vendendo, siccome si vende a lotti, si vuole che non si proceda alla vendita degli ulteriori lotti quando quelle vendite dei lotti già effettuati riescono,ci dice il 504 , a coprire l’importo delle spese e dei crediti di cui al 4951.

Ma perché il legislatore ha previsto anche un rimedio successivo? Perché questo rimedio successivo potrà operare quando c’è stato un iniziale eccesso nel pignoramento che non è stato corretto con i rimedi che abbiamo esaminato in precedenza,quindi non è stato corretto con i rimedi preventivi,quantomeno lo correggiamo con un rimedio successivo;oppure, questo istituto ha anche un suo ambito di applicazione autonomo perché ben potrebbe venire in rilievo quando questo eccesso non c’era nella fase iniziale della procedura espropriativa,ma c’è nella fase successiva.

Basti pensare ad es. alla rinuncia agli atti di esecuzione operata da taluni creditori e quindi magari la proporzione nella fase introduttiva del processo esecutivo c’era perché c’erano alcuni creditori,poi viene meno qualche creditore perché magari,pendente la procedura esecutiva, un credito è stato pagato e quella proporzione non c’è più. Quindi la logica del sistema è di mantenere una proporzione durante tutto il procedimento esecutivo,tanto espropriativo,quanto liquidativo con dei rimedi preventivi e dei rimedi successivi. Rimedio successivo è quello della cessazione della vendita forzata,può operare nel caso di vendita a lotti e può operare sia per rimediare a delle eccessività che non sono state corrette e che c’erano dall’inizio ma non sono state corrette con dei rimedi preventivi,sia come suo ambito di applicazione autonomo

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quando pur non essendoci stato un eccesso iniziale,per circostanze sopravvenute nella procedura esecutiva, questo eccesso si sia verificato.

La cessazione della vendita forzata è inevitabilmente un’altra ipotesi in cui il GE deve procedere ad un accertamento ben poco compatibile con la struttura del codice del 1942,perché anche in questo caso questo GE per stabilire se deve arrestarsi e chiudere la procedura esecutiva o invece deve procedere alla vendita degli ulteriori lotti deve fare un accertamento in ordine ai crediti presenti nella procedura esecutiva. Quindi questa è una ulteriore ipotesi che mette in discussione l’impianto del codice del 1942 e che richiama la necessità di un accertamento sommario da parte del GE nella pendenza della procedura esecutiva,nella fase liquidativa e non espropriativa; ma la logica di fondo rimane la medesima.

Questo accertamento del GE ha una qualche sua peculiarità rispetto agli altri accertamenti che deve fare il GE nelle ipotesi che abbiamo esaminato in precedenza? Direi di si nel senso che più che altro questa osservazione che sto per fare la comprenderete meglio quando parleremo dell’intervento dei creditori, però è un dato che è già opportuno sottoporre alla vostra attenzione. Quando esamineremo l’intervento del creditore vedremo che ai sensi del nuovo 499 il legislatore ha immaginato un accertamento endoprocessuale che è basato tutto sul possibile riconoscimento del credito da parte del debitore e vedremo che c’è un’udienza dove il debitore per i crediti non titolati può rendere una dichiarazione nella quale riconosce o non riconosce l’esistenza di un determinato credito. In questa fase iniziale del processo esecutivo c’è un’udienza deputata proprio all’accertamento endoprocedimentale non basato su un accertamento del GE sommario,ma basato su una dichiarazione che fa il debitore che potrebbe riconoscere il credito di alcuni creditori e non riconoscere il credito di altri creditori.

Poi vedremo come funziona questo meccanismo, però questo ve lo dico,perché è chiaro che ai fini dell’accertamento che deve fare il GE una differenza c’è a seconda che quest’accertamento lo debba fare nella fase liquidativa o nella fase espropriativa,perché nella fase liquidativa si troverà a monte ad aver già effettuato questo accertamento ex 499 che poggia su un possibile riconoscimento espresso o tacito da parte del debitore.

Fino a quale momento ultimo il giudice può disporre ex 504 questa cessazione della vendita forzata?La dottrina e la giurisprudenza prevalente ritengono che il provvedimento di cessazione presuppone che la vendita del lotto non sia ancora iniziata. Se,invece,è iniziata la vendita del lotto,anche qualora dovesse sussistere quella sproporzione nella logica di questa impostazione dottrinale e giurisprudenziale, io non posso più disporre la cessazione della vendita a lotti,perché si pone un problema di tutela dell’aggiudicatario.

Quale aggiudicatario? Provvisorio. Perché così come per la conversione del pignoramento abbiamo ipotizzato che se l’istanza è proponibile fino al decreto di trasferimento, la posizione del debitore entra in conflitto con quella dell’aggiudicatario,così si deve immaginare che per quel singolo lotto se già è iniziata la vendita ci può essere un aggiudicatario provvisorio. Quindi se si vuole tutelare la posizione dell’aggiudicatario provvisorio bisogna ritenere che una volta che è iniziata la vendita del lotto io non posso più disporre la cessazione della vendita perché la posizione dell’aggiudicatario prevale su quella del debitore,perché a rigore io con questa valutazione di sproporzione dovrei disporre la cessazione della vendita di quel lotto perché ho raggiunto quella somma ( argomento ex art. 187 bis delle disposizioni di attuazione,norma che abbiamo letto quando ci siamo occupati della conversione del pignoramento).

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Quanto agli effetti, questo provvedimento comporta la liberazione del bene che ne forma oggetto. Quindi effetto fondamentale che produce la cessazione della vendita forzata è l’ estinzione del processo esecutivo. Io ho venduto una serie di lotti,ho le somme per soddisfare i creditori presenti nella procedura,cesso dalla vendita quindi non vendo gli ulteriori lotti che avevo programmato di vendere, si estingue la procedura esecutiva nel termine.

INEFFICACIA DEL PIGNORAMENTO.

È una vicenda di tipo non statico ma dinamico che può riguardare il pignoramento. L’abbiamo già incontrata e abbiamo detto che l’inefficacia del pignoramento è disciplinata da specifiche disposizioni del c.p.c. quali il 497 e il 567.

Art. 497 : “Il pignoramento perde efficacia quando dal suo compimento sono trascorsi 90 giorni senza che sia stata chiesta l’assegnazione o la vendita.”

Quindi avete 90 giorni di tempo da quando avete effettuato il pignoramento per fare un’istanza di assegnazione o di vendita altrimenti il pignoramento diventa inefficace.

Analogamente il 567 con riferimento all’espropriazione immobiliare prevede l’ulteriore ipotesi di inefficacia del pignoramento avuto riguardo alla documentazione che deve essere presentata:

“Il creditore che richiede la vendita deve provvedere ,entro 120 giorni dal deposito del ricorso,ad allegare allo stesso l’estratto del catasto nonché i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile pignorato effettuate nei 20 anni anteriori alla trascrizione del

pignoramento;tale documentazione può essere sostituita da un certificato notarile”.

Quindi esiste una documentazione che deve essere depositata nell’espropriazione immobiliare nel momento in cui si propone l’istanza di vendita. Vedremo che c’è una disciplina molto articolata nel senso che prevede il 567 la possibilità di una proroga da parte del giudice del termine per il deposito di questa documentazione.

E lo stesso art. 567 prevede che : “Se la proroga non è richiesta o non è concessa,oppure se la documentazione non è integrata nel termine assegnato ai sensi di quanto previsto nel periodo precedente, il giudice dell’esecuzione,anche d’ufficio, dichiara l’inefficacia del pignoramento relativamente all’immobile per il quale non è stata depositata la prescritta documentazione.”

Quindi c’è una disposizione generale e ci sono anche delle disposizioni specifiche su tutto il 567 che disciplina l’inefficacia del pignoramento immobiliare in relazione alla documentazione da depositare unitamente all’istanza.

Il codice si occupa anche della inefficacia del pignoramento avuto riguardo ai rapporti che intercorrono tra inefficacia del pignoramento ed estinzione della procedura esecutiva; in particolare le norme che vengono in rilievo sono l’art. 562, l’art. 632 e l’art 172 delle disposizioni di attuazione del c.p.c.. La logica qual è? Che se si estingue il processo esecutivo il pignoramento perde effetti.

L’inefficacia del pignoramento va mantenuta nettamente distinta dalla inefficacia della trascrizione del pignoramento di cui ci siamo già occupati( ipotesi nuova introdotta dalla riforma del 2009 introducendo apposita norma nel c.p.c.) e va tenuta anche distinta dalla estinzione del

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pignoramento che è una figura veramente anomala che il nostro ordinamento ha conosciuto pro tempore per effetto delle riforme 2005-2006 e poi è stata eliminata nel 2009 (quindi è stata introdotta per un lasso temporale estremamente ridotto e trovava la sua disciplina nell’art. 6243:

“Nei casi di sospensione del processo disposta ai sensi del primo comma e non reclamata, nonché disposta o confermata in sede di reclamo, il giudice che ha disposto la sospensione dichiara con ordinanza non impugnabile l’estinzione del pignoramento,previa eventuale imposizione di cauzione e con salvezza degli atti compiuti, su istanza dell’opponente alternativa all’instaurazione del giudizio di merito sull’opposizione, fermo restando in tal caso il suo possibile promovimento da parte di ogni altro interessato; l’autorità di ordinanza di estinzione pronunciata ai sensi del presente comma non è invocabile in un diverso processo.”Quando ci occuperemo dell’estinzione del processo esecutivo ci faremo riferimento in modo più esteso,per ora prendiamo atto che,pro tempore,alla luce delle più recenti riforme il nostro legislatore aveva anche immaginato questa figura anomala della estinzione del pignoramento da non confondere con l’inefficacia del pignoramento perché l’inefficacia del pignoramento è una figura che è sempre esistita,che ha una sua logica e una sua ragion d’essere;l’estinzione del pignoramento avrà una logica che difficilmente è percepibile tanto è vero che lo stesso legislatore è tornato sui suoi passi perché semmai è il processo esecutivo che si estingue e non il pignoramento.)

EFFETTI SOSTANZIALI DEL PIGNORAMENTO: Artt 2912 ss. C.c.

La norma centrale è l’art. 2913 codice civile che disciplina l’inefficacia del pignoramento. Partiamo dall’art. 2912, non vi fate ingannare dalla rubrica “estensione del pignoramento” e quindi non fate confusione con

l’estensione del pignoramento di cui ci siamo già occupati che è un istituto processuale, mentre questo è un qualcosa di completamente diverso per ciò che riguarda l’oggetto del pignoramento e che opera sul piano del diritto sostanziale, basta leggere la norma per capire che sono due istituti completamente diversi.

Art.2912 “Il pignoramento, comprende gli accessori, le pertinenze e i frutti della cosa pignorata”.

Quindi questa estensione del pignoramento attiene alla delimitazione dell’oggetto del pignoramento, non è un istituto processuale ma opera solo sul piano del diritto sostanziale. Il codice civile precisa che oggetto del pignoramento nel momento in cui vi si procede sono anche gli accessori, le pertinenze e i frutti.

L’unico problema reale che si pone in relazione a questa norma riguarda la possibilità che l’espropriazione venga utilizzata con riferimento all’azienda, cioè che possa costituire oggetto della procedura espropriativa l’azienda. Siccome questa norma si occupa dell’oggetto del processo esecutivo, ci si chiede: ma l’azienda può essere assoggettata ad espropriazione individuale?

E’ chiaro che l’azienda può essere assoggettata ad espropriazione concorsuale o fallimento. Questo raffronto è importante perché da sempre ci si interroga su questa possibilità e la si vede come una sorta di lacuna del codice di procedura civile nel senso che a fronte dell’assenza di una norma espressa che preveda la possibilità di espropriare, assoggettare ad espropriazione individuale anche l’azienda. La dottrina si è per lungo tempo affannata per cercare di sostenere la possibilità di assoggettare ad espropriazione individuale anche l’azienda. Il motivo per cui è largamente pacifica la posizione giurisprudenziale e dottrinale che ritiene che l’azienda non sia suscettibile di espropriazione

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individuale è l’assenza di strumenti idonei nel c.p.c. per assoggettare ad espropriazione l’azienda. Se volessimo sinteticamente individuare questi tre ostacoli alla possibilità che l’azienda sia assoggettata all’espropriazione individuale sono:

1) impossibilità che siano assoggettate ad un’unica procedura esecutiva tutti i beni di cui si compone l’azienda quindi (impossibilità che io possa espropriare con un’unica procedura esecutiva beni immobili, mobili e crediti,nonostante una serie di sforzi, una parte della dottrina sostiene che questo tipo di risultato non lo riesco ad ottenere);

2) secondo ostacolo è l’impossibilità di assoggettare ad espropriazione l’avviamento che è una componente significativa dell’azienda;

3) ultimo ostacolo (il più significativo) è l’assenza nel c.p.c. di strumenti che consentano di provvedere alla gestione provvisoria dell’azienda cosa che è possibile in una logica fallimentare e che non è possibile in una logica dell’espropriazione individuale.

L’art. 2913 è norma centrale nell’ambito degli effetti del pignoramento perché è la norma che segna la scelta che fa il codice del 1940 rispetto al previgente codice sotto il profilo del modo di configurazione del vincolo pignoramento.

Sotto il codice del 1865, esisteva una norma che è l’art.2085 che prevedeva espressamente che dalla data della trascrizione del precetto (perché allora si trascriveva il precetto e non il pignoramento) il debitore non potesse alienare i beni pignorati né i frutti e ne rimaneva in possesso come sequestratario.

Quindi nella logica vi era la previsione espressa di un divieto di alienazione da parte del debitore;ma da quale momento? Dalla data della trascrizione del precetto.

Secondo i più, posto che la norma prevedeva un divieto espresso di alienazione, la sanzione era la nullità. Una scelta di campo molto forte perché si voleva evitare che la procedura esecutiva potesse essere vanificata da atti di disposizione da parte del debitore nella pendenza della procedura stessa e il codice del 1865 risolveva questo problema affermando il divieto di alienazione del bene immobile, e la dottrina riteneva,posto il divieto espresso,che la sanzione fosse rappresentata dalla nullità;dunque l’atto era nullo anche qualora veniva meno la procedura esecutiva: l’atto nullo era e nullo rimaneva. Questo era ciò che sosteneva la dottrina prevalente, ma la norma si limitava a prevedere esclusivamente il divieto di alienazione quindi non è che non ci fossero altre impostazioni minoritarie che ritenevano che l’atto fosse semplicemente inefficace, altri lo ritenevano annullabile ,altri ancora dicevano l’atto è perfettamente valido ma trasferisce il bene con onere suo, ossia col vincolo di destinazione alle finalità esecutive, che nasce dal pignoramento.

Nella logica di questa dottrina si creava un parallelismo tra la res pignorata e la res litigiosa ex art 111: quando viene alienata la res pignorata il debitore prosegue il processo esecutivo ma come sostituto dell’acquirente del bene pignorato quindi analogamente al 111 dove il processo prosegue tra le parti originarie ma produce effetti nei confronti del terzo. Quindi si faceva questo parallelo tra res pignorata e res litigiosa.

Che scelta fa il nostro codice nel 2913?

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La scelta è della inefficacia, leggendo l’art.2913 la rubrica è “Inefficacia delle alienazioni del bene pignorato” : “Non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento salvo gli effetti del possesso di buona fede per i mobili iscritti nei pubblici registri.”

Questa norma fa una scelta di campo rispetto al pregresso codice,non pone un divieto di alienazione ma prevede l’inefficacia dell’alienazione del bene pignorato;questo significa che la res pignorata può essere tranquillamente venduta ma gli atti di alienazione sono inefficaci rispetto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti.

Quindi attenzione si è abbandonata anche la logica di quella impostazione dottrinale minoritaria che poneva il parallelo tra la res pignorata e la res litigiosa perché nella logica dell’art.2913 il debitore rimane in giudizio come debitore e non come sostituto dell’acquirente.

Il nostro legislatore ha ritenuto la scelta del codice 1865 una scelta eccessiva rispetto all’obiettivo che si voleva realizzare e quindi ha fatto applicazione del principio del minimo mezzo cioè se l’obiettivo che voglio raggiungere è quello di non vanificare i risultati della procedura espropriativa non c’è bisogno di prevedere un divieto di alienazione è sufficiente prevedere l’inefficacia, inefficacia nei confronti del creditore procedente e dei creditori intervenuti con la sostanziale differenza rispetto al regime pregresso che se si estingue la procedura esecutiva quell’atto era semplicemente inefficace e ben potrà produrre in tutto e per tutto i suoi effetti.

Nella logica del 2913 non è necessario che l’inefficacia debba essere dichiarata con processo a cognizione piena poiché l’atto è di suo inefficace, se poi la procedura esecutiva arriva in fondo, quell’atto è

inefficace rispetto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti che prevarranno. Se la procedura esecutiva non arriva in fondo quell’atto inefficace diviene pienamente efficace; quindi è un meccanismo che funziona da sé non c’è bisogno di un accertamento de plano che volta per volta stabilisca se è o meno inefficace.

Quali sono le problematiche interpretative che pone 2913?

Pone ,non dei problemi di ricostruzione del sistema per cui è ormai pacifico quello che sancisce a livello di principio, ma di ambito di applicazione ,nel senso che ci si chiede nel 2913 cosa si debba intendere per alienazione, per atti di alienazione: sono solo quelli a titolo oneroso o anche quelli a titolo gratuito, solo gli atti di alienazione in senso stretto o anche qualsivoglia atto di disposizione di quel determinato bene?

Ne derivano delle differenze significative sotto il profilo dell’ ambito di applicazione della norma. Se dovessimo interpretarlo come solo atti di alienazione in senso stretto avrebbe un ambito ben circoscritto, ma non è questa la strada scelta dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti.

L’inciso “alienazione” è interpretato in senso estensivo e quindi non esclusivamente come ricomprensivo degli atti di alienazione in senso stretto e conseguentemente si fanno rientrare nell’ambito di applicazione del 2913, anche se non sono atti di alienazione in senso stretto,la costituzione dei diritti reali di godimento e di garanzia, la transazione nella misura in cui sia pregiudizievole per le ragioni del creditore, il conferimento di beni in società, associazioni o consorzi, il legato se l’apertura del testamento e quindi il trasferimento della proprietà avviene dopo il pignoramento, il contratto estimatorio, si ritiene rientrino anche gli atti a titolo gratuito tipo la donazione secondo una parte della dottrina (ma questo è più discusso) vi rientrerebbero anche i

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rapporti di natura obbligatoria l’esempio classico è la locazione perché secondo questa dottrina la stipulazione del contratto di locazione finirebbe per ridurre il valore del bene (una cosa è che io venda nell’ambito della procedura espropriativa un bene libero e una cosa è che io lo venda locato).

Dobbiamo stabilire cosa significa l’ultimo inciso del 2913 che ci dice “salvi gli effetti del possesso di buona fede per i mobili non iscritti in pubblici registri” .

Nella logica del 2913 il legislatore ha ritenuto opportuno fare salvo quello che è il principio fondamentale in tema di circolazione dei beni mobili che è quello legato al possesso in buona fede; salvo l’operare del possesso di buona fede significa che opera in toto e in pieno anche nell’ipotesi di bene mobile assoggettato a procedura espropriativa il meccanismo di cui al 1153 che è un modo di acquisto a titolo originario e non derivativo e dunque se si perfeziona il meccanismo di acquisto ex 1153, l’acquirente prevale sul creditore procedente e sugli altri creditori intervenuti. Questo significa salvo gli effetti del possesso di buona fede per i mobili non iscritti nei pubblici registri. Tra un acquisto a titolo originario e una acquisto a titolo derivativo,quell’acquisto a titolo originario non può non prevalere sul creditore procedente e il creditore pignorante.

Quest’ultimo inciso del 2913 lo possiamo coordinare con il 2914 per i beni mobili.

Il 2914 al numero 4 dice “Le alienazioni di beni mobili di cui non sia stato trasmesso il possesso anteriormente al pignoramento ,salvo che risultino da atto avente data certa”.

Non hanno effetto nei confronti del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione,sebbene anteriori al pignoramento,le alienazione di beni mobili di cui non sia stato trasmesso il possesso anteriormente al pignoramento, salvo che risultino da atto avente data certa. Problema: come si dirime il conflitto tra più aventi causa nel caso in cui vengano in rilievo dei beni mobili? Il 29144 dice che qui non possiamo solo tener conto di due fattori cioè il pignoramento e il possesso di buona fede, ma anche di un terzo fattore che è la data certa. Per i beni immobili abbiamo la trascrizione, per i beni mobili ciò che normalmente viene in rilievo per dirimere il conflitto tra più aventi causa è la data certa. Come allora lo spieghiamo questo inciso del 2914?

Dal momento che noi dobbiamo tener conto che possono venire in rilievo il pignoramento, il possesso di buona fede e la data certa? Per semplificare al massimo questo inciso si può dire che con la previsione del 29144 cosa si ipotizza?

Dovete schematicamente immaginare due possibili ipotesi:

Prima ipotesi: atti avente data certa anteriore al pignoramento. Qui significa che chi ha acquistato in forza di atto avente data certa anteriore al pignoramento potrà proporre opposizione ex 619 per far valere la sua posizione prevalente rispetto al creditore pignorante. C’è una procedura esecutiva, c’è un pignoramento su un bene immobile ma quel bene immobile è stato alienato ad un terzo che ha acquistato con atto avente data certa anteriore al pignoramento, quindi quel soggetto è il terzo proprietario che prevale e quindi può proporre opposizione di terzo all’esecuzione.

Per spiegare l’ultimo inciso del 2913 e 2914 dobbiamo fare anche un’altra ipotesi, dobbiamo anche ipotizzare il caso in cui il terzo è entrato in possesso in buona fede del bene prima del pignoramento ma

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con atto avente data certa successiva al pignoramento. Quindi la sequenza qual è? Entra in possesso in buona fede prima del pignoramento però l’atto di acquisto avente data certa è successivo al pignoramento. Quindi in base al criterio pignoramento-atto di data certa prevale il pignoramento,però abbiamo detto che il 2913 fa salvo il possesso di buona fede perciò in questa ipotesi dobbiamo ipotizzare la necessità di un’ apposita azione volta a far dichiarare inefficace quella alienazione e conseguentemente a recuperare il possesso del bene, perché il terzo possessore si potrà ben difendere deducendo di essere il vero proprietario poiché il suo acquisto è stato in buona fede mentre nessuna rilevanza sarà riconosciuta in questo caso alla data dell’alienazione.

Quindi tre sono i fattori che vengono in rilievo: pignoramento, atto avente data certa e possesso di buona fede. Se l’atto avente data certa è anteriore al pignoramento, in base al criterio di risoluzione del conflitto, prevale il soggetto che ha acquistato in forza di atto avente data certa antecedente. Se l’atto di acquisto avente data certa è successivo al pignoramento dovrebbe prevalere il pignoramento se gli unici due fattori che vengono in rilievo sono questi,siccome però salvo il possesso di buona fede, dovete sempre far salva la possibilità che questo terzo in forza del possesso di buona fede possa avere acquistato quindi bisognerà, nell’ambito di un apposito processo,accertare se si sono o meno perfezionati i presupposti per cui lui abbia realizzato un acquisto in forza del possesso di buona fede o se viceversa deve prevalere il creditore pignorante perché quel meccanismo di acquisto non si è realizzato perché non era in buona fede, perché mancavano altri requisiti richiesti dalla legge perché potesse divenire proprietario.

Il 2914 non è norma complessa nel senso che non è una norma che innova ma è una norma che non fa che confermare le regole di

circolazione dei beni anche per l’ipotesi in cui venga in rilievo il pignoramento.

Art. 2914 “Alienazione anteriore al pignoramento” (l’unico dato innovativo è relativo all’universalità di beni mobili per il resto è una norma che non fa che ribadire con riferimento con riferimento al processo esecutivo quelle che sono le regole generali in tema di circolazione di beni). Infatti ci dice: “ Non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione, sebbene anteriori al pignoramento:

1) le alienazioni di beni immobili o di beni mobili iscritti in pubblici registri, che siano state trascritte successivamente al pignoramento;

2) le cessioni di crediti che siano state notificate al debitore ceduto o accettate dal medesimo successivamente al pignoramento;

3) le alienazioni di universalità di mobili che non abbiano data certa;

4) le alienazioni di beni mobili di cui non sia stato trasmesso il possesso anteriormente al pignoramento, salvo che risultino da atto avente data certa”.

Tralasciando il numero 3, per gli altri numeri questa norma vi sta dicendo che in questo caso il conflitto non può essere basato esclusivamente sull’anteriorità o posteriorità del pignoramento rispetto all’atto di acquisto perché se così fosse innoverebbe radicalmente la disciplina della circolazione dei beni nel caso in cui venga in rilievo il pignoramento. Invece il legislatore con il 2914 dice l’esatto contrario e quelle che sono le regole di circolazione dei bene trovano pienamente applicazione anche in questo caso.

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Quali sono le regole di circolazione dei beni? Per i beni immobili che il conflitto viene ad essere basato sulla trascrizione, per i beni mobili sulla data certa, per le cessioni dei crediti che siano state notificate al debitore ceduto o accettate dal medesimo successivamente al pignoramento (quindi la notificazione o l’accettazione della cessione del credito).

Questi stessi criteri si applicano anche nel caso in cui venga in rilievo un pignoramento.

Se viene in rilievo un conflitto tra più aventi causa dal medesimo dante causa in relazione ad un bene immobile io non lo posso risolvere in base all’anteriorità dell’acquisto rispetto al pignoramento,ma lo devo risolvere in base all’anteriorità della trascrizione dell’acquisto rispetto alla trascrizione del pignoramento perché il regime di circolazione di beni immobili vuole che il conflitto sia risolto non dall’anteriorità dell’atto ma dall’anteriorità della trascrizione. L’atto di alienazione e il mero consenso produce l’effetto traslativo ma una cosa è l’effetto traslativo tra le parti, altra cosa è l’opponibilità rispetto ai terzi. Ai fini dell’opponibilità e quindi per dirimere l’eventuale conflitto tra più aventi causa dal medesimo dante causa il legislatore utilizza diversi meccanismi di risoluzione del conflitto tra i quali la trascrizione, la data certa e la notificazione della cessione del credito o l’accettazione della cessione del credito.

Gli stessi criteri devono essere trasposti con riferimento al pignoramento.

L’unico profilo innovativo si ha rispetto all’universalità di beni mobili cioè il numero 3 il quale prevede che per le alienazioni di universalità di beni mobili che non abbiano data certa, si richiede per la opponibilità la data certa e ciò, non risulta dal sistema , ma viene espressamente

previsto dal 2914,che rafforza rispetto al sistema la tutela del creditore pignorante e dei creditori intervenuti.

Per il 2915 bisogna tenere distinto il primo comma e il secondo comma perché il primo comma è agevole da comprendere mentre il secondo comma è un po’ meno agevole.

Art.2915 1 comma “Non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che

intervengono nell’esecuzione gli atti che importano vincoli di indisponibilità, se non sono stati trascritti prima del pignoramento, quando hanno per oggetto beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri e, negli altri casi, se non hanno data certa anteriore al pignoramento”.

Quindi il 1 comma si occupa di questi vincoli di indisponibilità e per i beni mobili ed immobili non fa altro che far leva sulla trascrizione e sulla data certa.

Questi vincoli di indisponibilità sono opponibili alla procedura esecutiva solo a determinate condizioni:

-se hanno ad oggetto beni immobili se sono trascritti prima del pignoramento;

- se hanno ad oggetto beni mobili se hanno data certa anteriore al pignoramento.

L’unico profilo che viene in rilievo è quello di estendere le regole ex 2914 anche ai vincoli di indisponibilità.

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Si ritiene per lo più che rientrino nell’ambito di applicazione del 2915 1 comma la cessione dei beni al creditore ex art. 1977del c.c., la liquidazione dell’eredità beneficiata 506 1 comma e 498 3 comma del c.c. e il pegno di crediti;non vi rientra sicuramente il pegno di beni mobili art. 2784 e 2786 del c.c. perché ai sensi di quanto previsto dall’art. 2787 questo tipo di prelazione si può far valere solo a condizione che la cosa data in pegno non è rimasta in possesso del creditore o presso il terzo designato dalle parti (quindi il meccanismo di operare di questo pegno di crediti è incompatibile con la logica di cui al 2915 1 comma perché questo tipo di condizione non può ricorrere nel caso del pignoramento).

Il 2 comma del 2915 è norma ben più complessa: “ Non hanno del pari effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione gli atti e le domande per la cui efficacia rispetto ai terzi acquirenti la legge richiede la trascrizione, se sono trascritti successivamente al pignoramento”.

Gli artt. 2652 e 2653 prevedono la trascrizione della domanda giudiziale in tutta una serie di ipotesi con efficacia prenotativa perché si salda con la sentenza e si muove nella logica tale per cui la durata del processo non deve andare a danno dell’attore che ha ragione.

Quindi la logica della trascrizione della domanda giudiziale è di salvaguardare la posizione dell’attore perché l’efficacia prenotativa della domanda giudiziale si salda con la sentenza e quindi la trascrizione medio tempore del terzo è in qualche modo pregiudicata dalla trascrizione della domanda giudiziale.

La logica della trascrizione della domanda giudiziale non si muove esclusivamente nella dimensione dell’anteriorità della trascrizione perché c’è un elenco di domande dove (ad es. il num. 4 in materia di

simulazioni o ancora di più per la nullità o l’annullabilità di un atto) la disciplina immaginata dalle norme del codice è molto più complessa, cioè l’effetto prenotativo si produce a condizione che si realizzino tutti gli elementi di una fattispecie complessa.

Alla luce della disciplina della trascrizione della domanda giudiziale qual è la domanda di fondo che pone l’art. 2915 2 comma?

O questa è una norma come tutte le altre conservativa del sistema, nel senso che non va presa alla lettera ma in realtà va completata con la disciplina della trascrizione delle domande giudiziali o è una delle norme più dirompenti che possiamo immaginare nel senso che al contrario di tutte le altre norme che abbiamo letto sinora compreso il 2914, lungi dal confermare le regole sulla circolazione dei beni, le sovverte completamente perché il 2915 dice se sono trascritti successivamente al pignoramento.

Il 29152 comma mi da un’unica regola l’anteriorità della trascrizione rispetto al pignoramento,ma così dicendo ha voluto innovare?

Nel senso che nel caso del pignoramento è sufficiente la trascrizione anteriore del pignoramento perché io prevalga indipendentemente da quello che prevedono il 2652 e il 2653,cioè indipendentemente dal tipo di domanda che viene in rilievo? Se è così il 29152 innova in toto per il pignoramento abbiamo un regime di circolazione dei beni,nel caso di conflitto con la trascrizione della domanda giudiziale,completamente diverso da quello previsto dal c.c.;oppure come ritengono i più,nonostante la lettere del 29152 ,anche questo 29152 va letto nella logica confermativa della disciplina di circolazione dei beni e dunque al di là di quello che prevede la lettera,dobbiamo ritenere che il 2 comma di volta in volta si completa con il 2652 e il 2653,cioè che anche qui la trascrizione del pignoramento viene trattata come tutte le altre ipotesi

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previste dall’ordinamento. Quindi il creditore pignorante viene trattato come qualsiasi terzo che entra in conflitto con uno dei soggetti che ha trascritto una domanda giudiziale ex 2652 e 2653.

Art. 2652 “Domande riguardanti atti soggetti a trascrizione. Effetti delle relative trascrizioni rispetto ai terzi.”.: “Si devono trascrivere qualora si riferiscano ai diritti menzionati nell’art. 2643,le domande giudiziali indicate dai num. seguenti, agli effetti per ciascuna di esse previsti: 1) domande di risoluzione dei contratti e quelle indicate dal 2 comma dell’art. 648 e dall’ultimo comma dell’art. 793 ,le domande di rescissione,le domande di revocazione delle donazioni,nonché quelle indicate dall’art. 524”. [Prendete ad esempio la domanda di risoluzione qual è la regola qui? Le sentenze che accolgono tali domande non pregiudicano i diritti acquistati dai terzi ma parla di un atto trascritto e iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda quindi il criterio per dirimere il conflitto rispetto al terzo è l’anteriorità della trascrizione della domanda rispetto alla trascrizione del terzo. Ci sono delle ipotesi ben più complesse dove l’effetto prenotativo o l’effetto della trascrizione della domanda giudiziale non è subordinato solo alla trascrizione della domanda ma è subordinato ad una fattispecie ben più complessa. ]

Per esempio la simulazione numero 4) “Le domande dirette all’accertamento della simulazione di atti soggetti a trascrizione. La sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda”. [Cioè introduce un ulteriore componente,non basta che uno abbia trascritto prima ma deve essere anche in buona fede, quell’effetto è subordinato non più ad una fattispecie costituita solo della trascrizione ma è costituita da anteriorità della trascrizione + buona fede].

Allora queste norme sugli effetti del pignoramento possono risultare estremamente complesse o più agevoli a seconda che voi abbiate chiara la disciplina del regime di circolazione dei beni: crediti, mobili ed immobili. Perché queste norme del codice civile tendenzialmente, anzi pressoché esclusivamente, non fanno che estendere al pignoramento le regole sulla circolazione dei singoli beni e quindi il pignorante tendenzialmente viene equiparato al terzo acquirente in tutto e per tutto. Avendo chiaro quel regime si tratta solo di registrare le piccole differenze, se non si ha chiaro quel regime il discorso diventa complicatissimo e me ne rendo conto. Però in questo caso non è legato assolutamente al pignoramento, alle tematiche del processo esecutivo. La prova provata di quanto vi dicevo la si ha soprattutto con l’art. 2915 secondo comma che è la norma forse più delicata a livello interpretativo perché, nel momento in cui fa riferimento al solo criterio temporale della priorità della trascrizione l’art. 2915, apre un dilemma fondamentale dello stabilire se è norma innovativa rispetto al sistema o confermativa rispetto al sistema.

Se interpretata alla lettera è innovativa, dirompente per il sistema, perché attribuisce al pignorante un regime completamente diverso da quello del terzo acquirente, perché sostanzialmente regola i conflitti tra il pignorante ed eventuali altri soggetti solo sulla base dell’anteriorità della trascrizione.

Invece se interpretiamo questa norma come fa la dottrina prevalente, e si ritiene che si debba andare al di la della lettera della norma, e che dunque anche questa norma debba essere inserita nel sistema e deve essere contemperata con le previsioni in tema di trascrizione delle domande giudiziali di cui agli artt. 2952 e 2953. Problema estremamente delicato perché queste norme se in talune ipotesi sono confermative della lettera dell’art.2915, cioè si limitano a risolvere il conflitto solo sulla base dell’anteriorità della trascrizione, in altre ipotesi invece

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prevedono la risoluzione del conflitto sulla base di fattispecie estremamente più complesse. Le altre norme che vengono in rilievo e restano da esaminare sono l’art. 2916 c.c., norma che si occupa delle ipoteche e dei privilegi e sancisce:

“Nella distribuzione della somma ricavata dall'esecuzione non si tiene conto:1) delle ipoteche, anche se giudiziali, iscritte dopo il pignoramento;2) dei privilegi per la cui efficacia è necessaria l'iscrizione, se questa ha luogo dopo il pignoramento;3) dei privilegi per crediti sorti dopo il pignoramento.”

Quindi anche qui sostanzialmente tale norma prevede una regola che si inserisce a pieno nel sistema.

Tale norma per quanto ci dice “non si tiene conto”, in realtà vuole rimarcare l’inefficacia che discende dalla trascrizione del pignoramento o comunque dal pignoramento; l’inefficacia di una serie di atti che potrebbero venire in pregiudizio al creditore pignorante e dunque anche delle ipoteche e dei privilegi. Sostanzialmente ci dice che se io iscrivo l’ipoteca dopo la trascrizione del pignoramento allora questa ipoteca non può andare a pregiudicare sicuramente il creditore pignorante ma non deve neanche pregiudicare i creditori intervenuti. Significa che io non ne devo tenere conto in sede di distribuzione della somma ricavata; ne potrò tenere conto solo se c’è un residuo ed a quel punto quel residuo anziché restituirlo al debitore io potrò darlo a chi ha iscritto l’ipoteca dopo il pignoramento. Quindi pensiamo agli immobili, pensiamo alla trascrizione del pignoramento e iscrizione di ipoteca successiva. A questo punto questa iscrizione ipotecaria non può pregiudicare né il creditore pignorante né quelli intervenuti che beneficiano di quel vincolo. Questo significa che di quell’iscrizione ipotecaria io non ne posso tenere conto neanche in sede di distribuzione della somma

ricavata tra i creditori. Ma ne posso tener conto e ci dice sostanzialmente questa norma (non lo dice espressamente ma si deve ritenere) solo esclusivamente qualora ci dovesse essere un residuo ed a questo punto anziché restituirlo al debitore io lo potrei dare al pignorante.

Se questa è la fattispecie delineata dalla norma quale è il suo ambito di applicazione?

La norma dice espressamente che vi rientrano anche le ipoteche giudiziali, quindi non solo l’ipoteca volontaria ma anche quelle giudiziali ovviamente iscritte dopo il pignoramento e vi rientrano anche i privilegi per la cui efficacia è necessaria l'iscrizione, se questa ha luogo dopo il pignoramento; dei privilegi per crediti sorti dopo il pignoramento;

Per i privilegi va precisato che non tutti i privilegi risultano da pubblici registri e questo è un grosso problema per i privilegi.

In linea di massima possiamo dire che rientrano nell’ambito di applicazione di questa norma sia i privilegi generali che i privilegi speciali.

Si ritiene invece che non rientrino nell’ambito di applicazione di questa norma i privilegi di cui agli art. 2755 e art. 2770 perché si dice che i privilegi di cui all’art.2755 sono relativi ad atti anteriori alla conversione del sequestro in pignoramento e quindi non può trovare applicazione la logica di cui all’art 2916 che fa riferimento alla posteriorità rispetto alla trascrizione del pignoramento, e i privilegi di cui all’art. 2770 che sono connessi non un credito in senso proprio ma ad un onere che grava sulla massa ed in quanto onere che grava sulla massa non potrebbe trovare applicazione la regola di cui all’art. 2916.

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Anche qui non si fa che estendere in fondo le regole generali che abbiamo visto operare con riferimento ad altre ipotesi con le seguenti precisazioni a livello di ambito di applicazione: ipoteca volontaria ed ipoteca giudiziale ed a livello di privilegi, privilegi generali e privilegi speciali, salvo le ipotesi che vi ho richiamato testualmente per i motivi appena indicati.

Art. 2917 Estinzione del credito pignorato: “Se oggetto del pignoramento è un credito, l'estinzione di esso per cause verificatesi in epoca successiva al pignoramento non ha effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione”. .

Questo art. 2917 lo dobbiamo sostanzialmente raccordare con il discorso che abbiamo fatto a suo tempo sull’art. 543 (espropriazione presso terzi). Anche qui è una norma che chiaramente detta un principio in linea con il sistema e in linea con l’inefficacia sancita dall’art. 2913 c.c. e si ritiene che questo art. 2917 copra ogni fatto estintivo (pagamento, novazione, remissione, compensazione, prescrizione, confusione, dazio in solutum, condizione risolutiva: sono tutte ipotesi che si ritiene rientrino nell’ambito di applicazione dell’art.2917).

Quale è la questione un po’ delicata dell’art. 2917 ed il raccordo che dobbiamo fare con la previsione di cui all’art. 543?e cioè ci dobbiamo chiedere a questo punto quale è il momento in cui il pignoramento di crediti può ritenersi compiuto?

Abbiamo visto a suo tempo che per il pignoramento di crediti viene in rilievo una fattispecie estremamente complessa. Abbiamo detto che pignoramento di crediti e pignoramento mobiliare sono le fattispecie maggiormente complesse. In questa fattispecie complessa del pignoramento di crediti entra in gioco l’accertamento del credito. A suo tempo abbiamo detto come mai non si può aggredire direttamente il

terzo creditore? perché dobbiamo prima accertare il credito; come si accerta il credito? o facendo leva sulla dichiarazione del creditore stesso o sospendendo il processo esecutivo ed accertarlo attraverso un processo a cognizione piena. Anche questa bene o male è una fattispecie complessa.

Potremmo anche immaginare il pignoramento come una fattispecie a formazione progressiva. E anche in questo caso ci dobbiamo chiedere necessariamente quando è che si perfeziona questa fattispecie e quando è che si produce questo effetto di cui all’art 2917 ? Quando si produce? Quali sono i momenti che potrebbero venire astrattamente in rilievo? Si potrebbe dire si produce già dall’ingiunzione ex art. 492 che è una componente ineliminabile di ogni pignoramento Quindi già dall’ingiunzione ex art. 492 si produce l’effetto oppure all’opposto potremmo ritenere che esso si produce solo dopo che si è avuto il positivo accertamento dell’esistenza del credito quindi o per effetto della dichiarazione del terzo o per effetto dell’accertamento in sede giurisdizionale possibile tesi intermedia potremmo ritenere che questo effetto si verifica dal momento della notifica al terzo dell’atto di pignoramento, di quell’atto introduttivo dell’espropriazione presso terzi ed è proprio questa la tesi che tende a prevalere e non a caso a suo tempo vi ho detto, quindi ecco il raccordo con l’art. 543, che tale norma utilizza una dizione poco felice perché parla di obblighi del custode con riferimento ad un credito. Quindi ci siamo chiesti che significa che scattano gli obblighi del custode rispetto ad un credito nei confronti di questo terzo??. Vi ho detto sostanzialmente che l’effetto che si verifica è proprio quello di cui all’art. 2917; cioè dal momento della notifica al terzo dell’atto di pignoramento ogni atto di disposizione in senso lato di questo credito da parte del terzo non può andare in pregiudizio del creditore pignorante.

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Quindi da quale momento di verifica questo effetto di cui all’art. 2917?? Secondo la tesi prevalente non sin dall’ingiunzione ex art. 492, non bisogna attendere necessariamente l’accertamento del credito per effetto della dichiarazione del terzo o per effetto dell’accertamento in sede giurisdizionale ma si verifica per effetto della notificazione dell’atto introduttivo al terzo perché l’effetto che si produce nei confronti del terzo ex art. 543 dal momento in cui scattano gli obblighi della custodia è proprio quello di non consentirgli da quel momento di potersi liberare o di poter porre in essere qualsivoglia atto o meglio benissimo li può porre in essere questi atti ma nella logica dell’inefficacia del pignoramento tutti questi atti non potranno mai pregiudicare il creditore pignorante ed i creditori intervenuti.

Ultima norma che viene in rilievo non da luogo a problemi perché si limita ad affermare principi ormai ben noti con riferimento a pigioni e fitti.

Art. 2918 Cessioni e liberazioni di pigioni e di fitti. “Le cessioni e le liberazioni di pigioni e di fitti non ancora scaduti per un periodo eccedente i tre anni non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione, se non sono trascritte anteriormente al pignoramento. Le cessioni e le liberazioni per un tempo inferiore ai tre anni e le cessioni e le liberazioni superiori ai tre anni non trascritte non hanno effetto, se non hanno data certa anteriore al pignoramento e, in ogni caso, non oltre il termine di un anno dalla data del pignoramento.”

Quindi al di la dei limiti temporali non fa altro che, in riferimento a queste ipotesi, riprendere i criteri della trascrizione e della data certa.

INTERVENTO DEI CREDITORI

Le riforme del 2005 e del 2006 sono pesantemente intervenute su questo istituto dell’intervento dei creditori.

Primo obiettivo fondamentale è inquadrare questa tematica dell’intervento dei creditori nell’ambito della più ampia tematica della par condicio creditorum. E qui le norme di riferimento sono gli artt. 2740 e 2741 c.c.. Norme che devono essere messe in raffronto con l’art. 2910 c.c. perché l’art. 2740 è relativo alla responsabilità patrimoniale, l’art. 2910 rappresenta la proiezione dinamica di questa responsabilità patrimoniale perché ci dice come attuare il principio enunciato dall’art. 2740 e l’art. 2741 ci indica una regola fondamentale che devo rispettare nell’attuare ex art. 2910 questo principio enunciato dall’art. 2740.

Art. 2740 Responsabilità patrimoniale “Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.

Enuncia quindi un principio fondamentale in forza del quale il debitore risponde per l’adempimento delle sue obbligazioni con tutti i beni presenti e futuri. Quindi responsabilità patrimoniale. Enuncia il principio generale. Allora io so in forza di questo principio generale che il debitore risponde delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni. Deve avere una proiezione dinamica questo principio. Cioè io devo sapere come faccio ad attuare questa responsabilità patrimoniale?. La proiezione dinamica di questo principio enunciato in modo statico dall’art. 2740 è enunciato dall’art. 2910 c.c..

Art. 2910 Oggetto dell’espropriazione. “Il creditore, per conseguire quanto gli é dovuto, può fare espropriare i beni del debitore, secondo le regole stabilite dal codice di procedura civile” .

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Quindi ho un principio che a livello statico mi dice: il debitore risponde delle sue obbligazioni con tutti i beni appartenenti al suo patrimonio. Ma io come faccio ad aggredire questi beni? Come faccio a dare attuazione a questa responsabilità patrimoniale? Con il processo di esecuzione forzata e questo ce lo dice l’art. 2910 in proiezione dinamica del principio enunciato dall’art. 2740.

Nell’utilizzare il processo di espropriazione forzata incontro, al di la delle regole dettate dal c.p.c. che ci dice come fare l’espropriazione forzata, e nella proiezione dinamica ex art. 2910 del principio enunciato dall’art. 2740, io incontro dei limiti? L’art. 2741 ci dice che abbiamo un grandissimo limite.

Art. 2741 Concorso dei creditori e cause di prelazione“I creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione. Sono cause legittime di prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche.”

Evidentemente ci dice che c’è questo principio della par condicio creditorum, enunciato dall’art.2741, con il quale il creditore deve necessariamente fare i conti. Questo principio della par condicio creditorum non è un principio nuovo. Non è che ci si confronta con il codice del 1940 e prima non esisteva. Le norme di quell’art. 2740 e art. 2741 trovavano un loro referente immediato a livello storico nei previdenti art. 1948 e art. 1949 nel codice del 1865; norme che a loro volta trovavano il loro corrispondente negli art. 2092 e art. 2093 del codice Napoleonico. Quindi questi non sono principi nuovi ma principi che praticamente esistono da sempre; principi con cui da sempre dobbiamo fare i conti.

E quale è l’impostazione tradizionale (posto che esistono da sempre e la dottrina ci si confronta da tantissimo tempo) in ordine a questi principi?

L’impostazione tradizionale è quella che ritiene che gli artt. 2740, 2741 e 2910 affermano il pari trattamento dei creditori come principio che rileva anzitutto sul piano sostanziale e conseguentemente anche in sede processuale (posto che la sede processuale è la proiezione dinamica di quella sostanziale). Su queste basi si tende da tantissimo tempo ad affermare che l’unico strumento idoneo ad alterare la regola generale della par condicio creditorum sarebbe il riconoscimento di prelazioni di ordine sostanziale che si giustificano in base alla particolare causa del credito (es crediti di lavoro, crediti di mantenimento etc..). Quindi impostazione tradizionale più risalente è un principio che affonda le sue radici nel diritto sostanziale. Il diritto processuale non è che una proiezione dinamica del diritto sostanziale e quindi deve essere rispettato anche in sede processuale. Le eccezioni sono previste dallo stesso art. 2741, operano sul piano del diritto sostanziale e sono i diritti di prelazione, giustificati dalla particolare causa del credito (es. crediti di lavoro, crediti di mantenimento).

Ma quale è il fondamento di questo principio? E ha un fondamento costituzionale?

Oltre che chiederci quale è la reale dimensione di questo principio ci dobbiamo anche chiedere se ha una copertura costituzionale. Perché se ha una copertura costituzionale a livello di legislazione ordinaria possiamo fare poco; se invece non ha una copertura costituzionale questo legislatore ordinario, e quindi anche il legislatore processuale, può fare quello che ritiene più opportuno. E’ molto discusso quale sia il fondamento del principio della par condicio creditorum e soprattutto se sia un fondamento di rango costituzionale o meno. E’ discusso se questa par condicio creditorum può trovare fondamento ed un radicamento costituzionale nell’art. 3 cost., nel principio di uguaglianza, che è il primo principio che in qualche modo potremmo richiamare. Le impostazioni dottrinali che nel tempo sono state sostenute sul punto

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sono talmente tanto variegate che si è andati dal ritenere che questo sarebbe un principio superiore e pregiuridico, immanente nel sistema e appartenente al diritto naturale, fino ad arrivare invece all’esatto opposto e ritenere che questo sarebbe un principio meramente tecnico e che quindi in particolare in sede processuale il legislatore lo potrebbe in qualche modo adattare all’esigenze del processo esecutivo. Una tesi intermedia invece sostiene che si tratterebbe di un principio di diritto sostanziale, di un principio di carattere generale che si radica nel diritto sostanziale, deve essere rispettato anche dal diritto processuale e le uniche possibile deroghe sono previste dall’art. 2741.

QUADRO DI RIFERIMENTO:Questa problematica del rispetto della par condicio creditorum riguarda il processo di esecuzione forzata nel suo complesso. Noi ora ce lo poniamo con riferimento al processo di espropriazione forzata perché è lì che si pone con maggiore delicatezza. Nel senso che non è che mancano autori o non se ne sia discusso con riferimento all’esecuzione specifica, però ora per i motivi che vi dirò rapidamente è più agevole ritenere che questo problema non si ponga o quantomeno possa essere più agevolmente risolto con riferimento all’esecuzione specifica; mentre è un problema che si pone in modo ben più significativo ed incisivo con riferimento all’esecuzione forzata.

Per qual motivo si dice che in riferimento all’esecuzione specifica che il problema si pone ma può essere agevolmente risolto? Qualcuno ha ritenuto in epoca risalente che siccome nell’esecuzione specifica non è consentito l’intervento dei creditori allora qui proprio in queste procedure vi sarebbe connaturato il rischio di soddisfare l’avente diritto in via privilegiata rispetto agli altri creditori del comune debitore e quindi ci sarebbe una palese violazione del principio della par condicio creditorum.Qualcuno ha detto che (potrebbe anche sembrare in prima battuta convincente) l’esecuzione specifica, non consentendo l’intervento, consente in qualche modo ad un creditore di soddisfarsi in

via preferenziale rispetto ad altri creditori che non possono partecipare a questo processo esecutivo.

Attenzione però. Si è replicato che nell’esecuzione per consegna o rilascio, l’oggetto del processo esecutivo sono sempre dei beni che sono già fuoriusciti dal patrimonio del debitore e che non fanno parte della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 e quindi a ben vedere qui non c’è nessuna violazione della par condicio creditorum nel momento in cui si tratta di beni già fuoriusciti dal patrimonio perché non possono più appartenere a quella responsabilità patrimoniale ex art.2740. In realtà c’è una vera ipotesi dove è a rischio in qualche modo questo principio della par condicio creditorum, ma non a caso è l’unica ipotesi che il legislatore si preoccupa di disciplinare espressamente nell’art 607 c.p.c..

Art. 607 Cose pignorate“Se le cose da consegnare sono pignorate, la consegna non può avere luogo, e la parte istante deve fare valere le sue ragioni mediante opposizione a norma degli articoli 619 e seguenti.”

Quindi qui si che ci sarebbe un rischio sostanzialmente di violare la par condicio creditorum perché le cose sono pignorate e quindi sono già destinate in qualche modo ad entrare in un processo di espropriazione forzata e quindi questo soggetto che vorrebbe ottenere la consegna od il rilascio della cosa qualora la potesse effettivamente ottenere la sottrarrebbe al processo esecutivo e quindi alla par condicio creditorum. Li ci sarebbe una violazione. Ma non a caso il legislatore ci dice che se le cose da consegnare sono pignorate il terzo non può far valere la consegna ma deve far valere le sue ragioni ex art. 619, cioè deve proporre un’opposizione di terzo all’esecuzione e se effettivamente la sua posizione è prevalente rispetto a quella del creditore pignorante e degli altri soggetti allora potrà ottenere la cosa, ma non potrà ottenere la

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mera consegna della cosa sottraendola a quel meccanismo di par condicio creditorum di cui al processo di espropriazione forzata.

Nell’esecuzione degli obblighi di fare o non fare, cioè di fare qualcosa o di disfare quanto si è illegittimamente realizzato, cioè l’obbligo di demolire una costruzione illegittimamente realizzata, qui si dice che le spese dell’esecuzione dell’opera da realizzare sono anticipate dal creditore. Ai fini della realizzazione di una determinata opera la cui realizzazione è indicata nel titolo esecutivo è lo stesso creditore procedente che deve anticipare le spese e poi le recupera dal debitore.

Come le recupera? Se il debitore paga spontaneamente le recupera spontaneamente; se il debitore non paga spontaneamente dovrà fare un processo di espropriazione forzata e quindi anche in questo caso non potrà che passare per l’esecuzione forzata. Nel caso in cui venga invece in rilievo un’opera illegittimamente eseguita in violazione di un obbligo originario di non fare (ipotesi diversa), la dottrina ci dice che quest’opera, in quanto illegittimamente eseguita in violazione di un obbligo originario di non fare, non fa legittimamente parte del patrimonio del debitore e quindi della responsabilità patrimoniale. E’ stata realizzata in modo illegittimo, deve essere distrutta ed in quanto opera illegittima non si può ritenere che faccia parte della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 e quindi neanche in questo caso non c’è una violazione della par condicio creditorum.

Quindi il problema della par condicio creditorum si pone effettivamente con grossa drammaticità con riferimento all’espropriazione forzata. Per l’esecuzione specifica, tanto per l’esecuzione per consegna o rilascio quanto per l’esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare, il problema lo risolviamo. Qualora poi dovessero venire in rilievo delle ipotesi di esecuzione specifica per l’attuazione di obblighi a contenuto e funzione non patrimoniale a quel punto non ci sarebbe nessuno scandalo

se venisse sacrificata questa par condicio creditorum in nome del rango sostanzialmente dei diritti che vengono in rilievo.

A questo punto dobbiamo concentrarci, per i motivi detti, sul processo di espropriazione forzata e vedere se esso viola questo principio della par condicio creditorum.

Se questa è la dimensione originaria del principio della par condicio creditorum occorre chiedersi sostanzialmente in quale misura può dirsi rispettato questo principio della par condicio creditorum a fronte di scelte legislative che mirino a diversificare la posizione dei creditori nell’ambito del processo esecutivo. Se questo è il principio enunciato in generale nella dimensione di un processo esecutivo entro quali limiti il legislatore può diversificare la posizione dei creditori nell’ambito del processo esecutivo? Non ha nessun margine? O ha un margine di diversificazione dei creditori? E se si entro quali limiti?

Dobbiamo tenere presente che come avviene in altri ordinamenti il nostro legislatore potrebbe anzitutto considerare il pignoramento come un accaparramento esclusivo, come un accaparramento a favore di quel bene solo del creditore procedente non ammettendo proprio l’intervento di altri creditori. Esistono altri ordinamenti che hanno fatto una scelta di questo tipo. Quindi il primo passaggio ulteriore è di porci questa domanda nella logica scelta dal nostro legislatore e quindi di configurare il pignoramento non come un vincolo a porta chiusa, ma come un vincolo a porta aperta. E quindi di chiederci che limiti incontra questo legislatore nella diversificazione dei creditori dal momento che ha fatto la scelta di configurare il pignoramento non come un vincolo a porta chiusa, a favore del solo creditore (perchè questo semplificherebbe di molto questa problematica), ma se è un vincolo a porta aperta e quindi se possono entrare nel processo esecutivo altri creditori ci dobbiamo chiedere se il legislatore può diversificare il trattamento di questi

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creditori o no? Come li potrebbe diversificare? E’ legittima una possibile diversificazione dei creditori anzitutto circoscrivendo la possibilità di intervento dei creditori esclusivamente alla fase liquidativa o meglio distributiva? Cioè consentire ai creditori di intervenire non nella fase espropriativa ma solo nella fase di distribuzione della somma del ricavato? E’ possibile questo? Già li diversifica perché il procedente da avvio al processo esecutivo e consente che gli altri creditori entrino non nella fase espropriativa ma nella fase satisfattiva. Questa è una soluzione scelta dal codice del 1865.

Non è questa la scelta, però, fatta dal nostro legislatore che ammette, invece, l’intervento già nella fase espropriativa. Nel momento in cui ci si ponga nella logica del legislatore del 1940, il pignoramento è un vincolo a porta aperta, i creditori possono intervenire non nella fase distributiva ma già nella fase espropriativa, allora ci dobbiamo a questo punto chiedere se in questa fase espropriativa il legislatore può diversificare la posizione dei vari creditori. E può diversificarla a livello di condizioni cui è subordinata la possibilità di intervenire nel processo esecutivo ad esempio intervento consentito ai soli creditori muniti di titolo esecutivo o a tutti i creditori muniti di una prova scritta oppure ai creditori che siano anche sprovvisti di una determinata prova? Può diversificare la posizione dei creditori anzitutto sul piano delle condizioni cui è subordinata la possibilità di intervenire nel processo esecutivo? Può diversificarli creando delle prelazioni di ordine non sostanziale, cioè legate alla causa del credito, ma di ordine processuale ad esempio sostanzialmente meccanismi legati alla tempestività o meno dell’intervento, al fatto che siano intervenuti tempestivamente o tardivamente.

A questo punto io mi devo chiedere con forza se questo legislatore può legittimamente diversificare la posizione dei creditori nell’ambito del processo esecutivo.

Il problema sarebbe meno drammatico qualora io facessi una scelta, come quella fatta dal legislatore del 1865, di ammettere un intervento solo nella fase satisfattiva, distributiva. Il problema invece è molto più grave ed ha una usa dimensione molto più significativa qualora lo si affronti nel contesto del processo esecutivo come quello del codice del 1940 dove si apre all’intervento dei creditori già nella fase espropriativa. Quindi, posto che nel processo esecutivo partecipano una pluralità di creditori, posto che possono partecipare già nella fase espropriativa, è legittimo che il legislatore diversifichi la posizione di questi creditori ad es. diversificando in base alle condizioni di accesso per l’intervento (titolo esecutivo, prova scritta etc...), o in base a motivi processuali (prelazioni processuali, la tempestività dell’intervento) ? E’ legittimo questo? E’ conforme al principio della par condicio creditorum? Ovviamente dipende da come intendiamo tale principio. Questo non è un problema che nasce oggi, ma è un problema che la dottrina ha affrontato più volte nel tempo. E’ un problema che la dottrina ha affrontato sotto il codice del 1940 anzitutto perché esistono nel codice del 1940 tutta una serie di istituti, collocati nella fase espropriativa, che per motivi di ordine processuale diversificano la posizione dei creditori (si pensi alla differenza tra creditori tempestivi e creditori tardivi o alla necessità o meno di una prova scritta per intervenire nell’ambito del processo esecutivo) Ed è una tematica con la quale la dottrina si è confrontata soprattutto in una logica non solo de iure condito ma anche de iure condendo, quando ci si è interrogati in ordine alla legittimità/possibilità di poter circoscrivere de iure condendo la possibilità di intervenire nel processo esecutivo ai soli creditori titolati. Quindi la dottrina si interroga sul fatto che il codice del 1940 diversifica la posizione dei creditori, perché distingue tra creditori tempestivi e creditori tardivi e perché sostanzialmente, secondo la giurisprudenza prevalente da lunghissimo tempo, per intervenire nel processo esecutivo condizione era avere una prova scritta. La dottrina si chiede se sono legittime queste diversificazioni tra creditori? E de iure condendo

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qualora io volessi modificare il processo esecutivo e volessi consentire l’intervento ai soli creditori muniti di titolo esecutivo lo potrei fare? O andrei ad impattare con il principio della par condicio creditorum? E soprattutto questo principio della par condicio creditorum ha una dimensione costituzionale? E quindi mi impedisce di farlo? Questi problemi sono di importanza madornale perché hanno delle ricadute su tutta la strutturazione del processo esecutivo perché fare una scelta di campo nel senso che possono intervenire nel processo esecutivo i soli creditori titolati significa avere delle ricadute sul piano del processo esecutivo enormi perché non mi porto dietro tutti quei problemi di accertamento della posizione dei creditori non titolati; invece aprire ai creditori non titolati significa portarsi dietro nel processo esecutivo tutta una serie di problemi di accertamento dei creditori non muniti di un titolo.

Quale è l’impostazione oggi prevalente nella dottrina processual - civilistica che si è occupata di questa tematica della par condicio creditorum nella logica del processo esecutivo?

Direi che l’impostazione prevalente è nel senso che questo principio è un principio fondamentalmente di tecnica processuale e pur non essendovi dunque una uniformità di vedute sugli esatti confini, sui limiti che il legislatore incontra in forza della par condicio creditorum, ormai c’è un’impostazione largamente prevalente tra i processualisti che tende a ridimensionare la portata di questo principio della par condicio creditorum e dargli quindi una dimensione di mera tecnica processuale e quindi dando un grosso margine di manovra al legislatore in sede di disciplina dell’intervento dei creditori nell’ambito del processo esecutivo ed in particolare in un’ottica de iure condito si sono ritenute pienamente legittime le scelte effettuate dal legislatore del 1940 ed in via più generale delle scelte tendenti a diversificare la posizione dei creditori in ragione della tempestività o meno dell’intervento, della

richiesta di determinate condizioni per poter intervenire nel processo esecutivo come la necessità di una prova scritta; e de iure condendo si è ritenuto ad opera della dottrina processual-civilistica che sarebbe pienamente legittima una scelta del legislatore ordinario che decidesse di limitare l’intervento dei creditori ad i soli creditori titolati e ha sostenuto questa dottrina, che per lo più è Oriani, che non ci sarebbe nessuna violazione, in realtà, dell’art. 3 e cioè del principio di uguaglianza, e che una riforma di questo tipo non incontrerebbe ostacoli a livello costituzionale, perché non si avrebbe, in realtà, nessuna alterazione del principio del pari trattamento dei creditori. In fondo l’articolo 3, questa parità di trattamento, mi impone di trattare nello stesso modo, ex. art. 3 principio di eguaglianza, delle situazione uguali ma io non violo l’art. 3 se tratto sostanzialmente in modo diverso situazioni diverse, ed un creditore titolato e un creditore non titolato non si trovano nella stessa posizione.

Quindi fondamentalmente ne viene fuori nella logica di questa dottrina processual-civilistica un principio della par condicio creditorum ridimensionato nella sua portata originaria di quella dottrina tradizionale, un principio che si atteggia per lo più a principio di tecnica processuale, un principio che lascia un margine di manovra estremamente ampio al legislatore ordinario che può, quindi, legittimamente diversificare la posizione dei creditori o sul piano processuale tra creditori tempestivi o tardivi o sotto il profilo della possibilità di intervenire nel processo esecutivo. Ed in fondo quindi la reale dimensione di questo principio della par condicio creditorum sarebbe quella di dover rispettare il fatto che il prezzo dei beni sia distribuito secondo la rigorosa logica concorsuale.

Ci dice, quindi, questa dottrina processualistica più recente che la vera dimensione e collocazione del principio della par condicio creditorum è nella fase distributiva della somma ricavata e quindi da questo punto di

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vista è molto significativo il parallelo con il vecchio codice che consentiva l’intervento solo nella fase distributiva, perché in tale fase questo principio della par condicio creditorum impone per l’appunto che il prezzo dei beni sia distribuito secondo la rigorosa logica concorsuale e quindi sostanzialmente che io debba rispettare anche in questa sede quelle eventuali prelazioni di diritto sostanziale che sono previste dal codice.

Quindi grossa evoluzione, ridimensionamento della portata del principio della par condicio creditorum nel suo fondamento ma anche nella sua reale dimensione perché viene spostato dalla fase espropriativa dove il legislatore avrebbe un grosso margine di manovra alla fase distributiva dove l’unico vincolo che incontrerebbe in sede di distribuzione sostanzialmente è quello di rispettare le prelazioni sostanziali.

Ma allora non abbiamo nessun problema di legittimità costituzionale o di par condicio nell’ambito del processo esecutivo nella logica di cui a questa dottrina processual-civilistica più recente?

I problemi ce li abbiamo e ce li ha dati il legislatore del 2005/2006. I problemi ce li ha dati ma in una logica differente nel senso che il fatto che il legislatore abbia questo ampio margine di manovra non significa che non possa andare incontro all’illegittimità costituzionale se diversifico in modo ingiustificato la posizione di determinati creditori. Una cosa è dire che non incontro il vincolo della par condicio creditorum perché posso diversificare i creditori ma devo operare delle diversificazioni che possono essere giustificate; cioè se io tratto due posizioni sostanziali in modo differente senza una giustificazione valida è chiaro che io posso andare incontro a problemi di legittimità costituzionale e posso andare ad impattare anche con l’art.3 della Costituzione.

Questo non diventa più un problema di par condicio creditorum, cosi come l’abbiamo ricostruita secondo la tesi tradizionale, ma diventa sostanzialmente un problema di rispetto dell’art.3 della Costituzione.

Facciamo degli esempi significativi per capire la differenza.

Con la riforma del 2005/2006 la scelta importante del legislatore è di circoscrivere la cerchia dei soggetti legittimati ad intervenire nel processo esecutivo. In prima battuta la scelta sembrava nel senso di circoscriverla ai soli creditori titolati poi con la legge n.263 si è allargata ad altre categorie di soggetti: in particolare possono intervenire nel processo esecutivo i creditori titolati, i creditori muniti di un diritto di prelazione risultante da pubblici registri, i creditori che hanno già ottenuto un sequestro al momento del pignoramento e poi per effetto della legge n. 263 si è allargato anche ai creditori i cui crediti risultino da scritture contabili.

E qui sono sorti i problemi di legittimità costituzionale. Facciamo esempi di alcuni dubbi sollevati dalla dottrina. Sono stati ammessi a concorso i creditori titolari di un credito risultante da una scrittura contabile obbligatoria ma non sono stati ammessi i creditori titolari di un credito risultante da una scrittura privata autenticata. E’ costituzionalmente legittimo diversificare questi creditori? Perché i creditori i cui crediti risultino da una scrittura contabile obbligatoria possono intervenire nel processo esecutivo ed, invece, i creditori i cui crediti risultino da una scrittura privata autenticata non possono intervenire? E’ legittimo? Sono stati ammessi i creditori la cui prelazione risulti da pubblici registri ma non anche quelli pur privilegiati il cui diritto non risulti da un adeguato sistema di pubblicità. Il grosso problema è che non tutti i privilegi risultano da pubblici registri, questo è un problema soprattutto per l’avviso ex. art.498. Per l’effetto purgativo della vendita forzata devo avvisare tutti i creditori che hanno

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un diritto di prelazione perché o intervengono nella procedura esecutiva o poi in forza di questo effetto purgativo della vendita forzata possono perdere questo loro diritto di prelazione. Il grosso problema ce lo abbiamo per i privilegi che non risultano da pubblici registri perché se due creditori sono tutti e due privilegiati, se uno risulta da pubblici registri può intervenire, se uno non risulta da pubblici registri non può intervenire. E’ legittima questa diversificazione tra due creditori entrambi privilegiati? “Lascio a voi la valutazione” .

Ancora è stato ammesso l’intervento del creditore sequestrante il cui credito è per definizione sub iudice; ma non è stato ammesso il creditore pignoratizio per un credito condizionato sottoposto a termine. Quindi il creditore sequestrante si, anche se è comunque sub iudice, non è una situazione definitiva. Non è invece possibile per il creditore pignoratizio di un credito sottoposto a condizione o a termine. In fondo non sono due situazioni così diverse. E’ legittima questa diversificazione?

Ancora non sono stati ammessi creditori per prestazioni di lavoro subordinato ove siano sforniti di un titolo esecutivo mentre sono garantiti i crediti degli imprenditori commerciali tenuti dalla legge alle scritture contabili (ipotesi precedente). E’ legittima questa diversificazione?

Sostanzialmente ci sono una serie di esempi significativi dove il problema di legittimità costituzionale si può porre, un problema di legittimità costituzionale di pari trattamento dei creditori ex. art. 3 della costituzione che è cosa ben diversa da un problema di par condicio creditorum così come originariamente inteso dalla dottrina civilistica tradizionale Alla luce della riforma 2005/2006 abbiamo dei problemi di par condicio creditorum, ma dei problemi così intesi; in realtà abbiamo dei problemi di parità di trattamento dei creditori e le posizioni che sostanzialmente pongono dei problemi sono legate alla previsione

espressa della possibilità di intervenire in relazione a quei crediti che risultino da scritture contabili obbligatorie e creditori muniti di prelazioni che risultino da pubblici registri. L’aver il legislatore allargato a queste categorie ha aperto una serie di problemi di legittimità costituzionale perché oggi come oggi ci si interroga in ordine al rispetto o meno del pari trattamento dei creditori ex. art. 3 in una dimensione completamente diversa da quella originaria della par condicio creditorum.

Vediamo ora quali scelte hanno fatto il codice del 1865 e del 1940.

Sia il codice del 1865 che il codice del 1940 hanno fatto la scelta di una espropriazione forzata singolare e non concorsuale. Questo significa che è possibile che si abbia l’intervento dei creditori ma non necessariamente si avrà un concorso di più creditori nel processo espropriativo. E’ un’espropriazione singolare aperta all’intervento di possibili creditori; quindi il concorso non è un evento necessitato come in un’espropriazione concorsuale tipo il fallimento, ma è un evento eventuale (prima scelta di campo).

Pur nella comune scelta di fondo di cui sopra il codice del 1865 e il codice del 1940 si diversificano fondamentalmente anzitutto per aver consentito il codice del 1865 l’intervento solo nella fase satisfattiva o distributiva; mentre il codice del 1940 di consentirlo nella fase già espropriativa.

A seconda delle scelte effettuate in tema di intervento sia dal codice del 1865 sia dal codice del 1940 si hanno delle ricadute in via generale sul piano della strutturazione del processo esecutivo.

Nel codice del 1865 l’espropriazione forzata era un’attività processuale condotta esclusivamente dal creditore procedente che doveva

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necessariamente essere in possesso del titolo esecutivo. Questo processo esecutivo era portato avanti esclusivamente dal creditore procedente munito di titolo esecutivo fino alla fase distributiva o satisfattiva. Questo creditore era come se assumesse de iure la rappresentanza di tutti gli aventi diritto fino alla fase della distribuzione. Questi altri creditori potevano intervenire nella fase distributiva sia se erano in possesso del titolo sia se non erano in possesso del titolo e potevano fare l’opposizione sul prezzo della vendita ricavata nell’ambito del processo esecutivo. Nel dettaglio era un processo individuale fino all’esaurimento della fase di liquidazione dei beni. Per tutta la fase distributiva e liquidativa era un processo individuale condotto esclusivamente da un unico creditore, il creditore procedente munito di titolo esecutivo e che agiva sostanzialmente quasi fosse in rappresentanza di tutti i possibili creditori. Gli altri creditori potevano intervenire solo esclusivamente nella fase distributiva anche se non fossero titolati. Questa azione dei creditori che potevano intervenire esclusivamente nella fase distributiva si atteggiava nei termini di opposizione al prezzo, opposizione al che il ricavato della vendita venisse assegnato al solo creditore procedente.

La logica del codice del 1865 è una logica che viene significativamente modificata dal codice del 1940. Il codice del 1940 apre anzitutto all’espropriazione individuale (il vincolo del pignoramento è un vincolo a porta aperta) e quindi vi è la possibilità di intervento dei creditori, come nel codice del 1865, ma già dalla fase espropriativa. I creditori nel codice del 1940 non intervengono nel processo esecutivo solo nella fase distributiva nella forma dell’opposizione sul prezzo, ma intervengono già nella fase espropriativa e propongono domanda di partecipazione alla distribuzione della somma ricavata. Quindi vi è una diversa fase e una diversa modalità di ingresso. Non fase distributiva (opposizione sul prezzo) ma già fase espropriativa (nella forma della domanda di partecipazione alla distribuzione sul prezzo, distribuzione della somma ricavata).

Altro passaggio fondamentale è la possibilità di intervento nel processo esecutivo non subordinata al possesso di un titolo esecutivo. Possono intervenire quindi anche i creditori non titolati. Il codice del 1940 ante riforma 2005/2006 non diceva però chiaramente in positivo a quali condizioni il creditore non titolato potesse intervenire e cioè, più specificamente, non diceva espressamente se l’intervento dei creditori non titolati era o meno subordinato ad una prova scritta del credito.

Il codice del 1940 si limitava a richiedere che il diritto di credito fatto valere dal creditore fosse certo e, per l’espropriazione mobiliare richiedeva che fosse certo, liquido ed esigibile. Le norme di riferimento sono gli art. 525, 551 e 563. Per l’espropriazione immobiliare il codice si limita a parlare di diritto di credito certo; per quella mobiliare di credito certo, liquido ed esigibile. Bisognava però stabilire, a questo punto, in via interpretativa che cosa si deve intendere per un diritto di credito certo. Cioè diritto di credito certo significa che il creditore può intervenire sulla sola base della mera affermazione di essere creditore di una determinata somma nei confronti del debitore nei cui confronti si procede in sede esecutiva o invece è necessaria che io abbia anche una prova scritta del credito e se del caso di che tipo?

Primo passaggio: possono intervenire i creditori già nella fase espropriativa;

Secondo passaggio: possono intervenire anche i creditori non titolati.

Grosso problema di fondo: che significa diritto di credito certo.

Il codice del 1940, cioè, non specificava espressamente quali fossero i requisiti per poter intervenire per i creditori evidentemente non titolati. E ‘ evidente che si apre un dibattito sul punto in dottrina e soprattutto interviene più volte la giurisprudenza, anche della Corte di Cassazione,

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per dare una risposta a questo quesito di fondo, un problema particolarmente delicato e sentito.

Per lunghissimo tempo, ossia fino al 1999, prevale nell’indirizzo della Corte di Cassazione la tesi secondo cui il creditore non titolato per intervenire nel processo esecutivo non deve essere necessariamente munito di una prova scritta del suo credito. Si allargano, quindi, al massimo le maglie dell’intervento dei creditori non titolati perché si finisce per consentire l’intervento del creditore non titolato anche sulla sola base della mera affermazione sostanzialmente del suo diritto di credito. Questo indirizzo rimane fermo fino al 1999, quando la Corte di Cassazione, invece, lo modifica e richiede ai fini di poter intervenire nel processo esecutivo una prova scritta. Quindi, secondo la Corte di Cassazione, non è più sufficiente un mero riferimento nell’atto di intervento alla causa giustificatrice dell’azione di questo diritto di credito, cioè la mera affermazione del creditore, ma è necessaria la prova scritta.

Abbiamo un regime abbastanza aperto nei confronti della possibilità di intervento perché si consente l’intervento anche dei creditori non titolati. E per lungo tempo era apertissimo perché addirittura bastava la mera affermazione del creditore per intervenire. Dopo l’intervento della Corte di Cassazione del 1999 rimane, per quanto ci voglia una prova scritta, una disciplina dell’intervento dei creditori estremamente aperta. Ricordo che una delle prospettive de iure condendo ipotizzate da una parte della dottrina era di circoscrivere l’intervento ad i soli creditori titolati e si era detto che, in base a questa impostazione dottrinale, era anche costituzionalmente legittima una scelta di questo tipo. Rispetto a quel panorama, quindi, abbiamo una soluzione di scelta del codice particolarmente aperta.

Il problema è che questa scelta effettuata dal legislatore del 1940 in tema di intervento si scontra con altre scelte di campo fatte dal legislatore del 1940 ed in particolare si scontra con la scelta di escludere ogni accertamento da parte del giudice dell’esecutivo prima della fase distributiva; perché sostanzialmente nel momento in cui inizio a chiedere una prova scritta di questo credito per poter intervenire, ci dovrà essere qualcuno che eventualmente accerti se effettivamente il creditore può intervenire o non intervenire. In questo tipo di logica il problema c’era comunque. Ma molto probabilmente la logica della giurisprudenza originaria della Corte di Cassazione poteva essere criticabile ma era maggiormente conforme all’impostazione originaria del codice che era quella di posticipare ogni accertamento del diritto di credito alla fase distributiva con le opposizioni ex art.512.

Cioè nella fase espropriativa e liquidativa il giudice dell’esecuzione non accerta nulla, fa intervenire i creditori, vende il bene, individua la somma da distribuire e poi in fase di distribuzione se ci sono delle opposizioni da parte dei creditori con le opposizioni ex. art. 512 risolve tutte le controversie in sede distributiva.

Cioè nella logica del 1940 vi era la dimensione secondo cui il giudice dell’esecuzione non avrà mai la necessità di dover conoscere, di dover accertare dei crediti prima della fase distributiva.

Abbiamo visto che questo tipo di logica entra in crisi già con la conversione del pignoramento, la riduzione del pignoramento, la cessazione della vendita a lotti perché sono tutte ipotesi in cui il giudice per stabilire la norma per autorizzare la conversione, per stabilire se ridurre il pignoramento, per stabilire se arrestare la vendita forzata e non vendere gli ulteriori lotti deve accertare, sia pure in via sommaria, quali sono i crediti presenti nella procedura. Se no come fa a stabilire quale è la somma da versare per convertire? Come fa a stabilire se ci sono i

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presupposti per accogliere l’istanza di riduzione del pignoramento? Come fa a stabilire se deve chiudere la procedura esecutiva e non vendere gli ulteriori lotti o deve vendere altri lotti per soddisfare altri creditori? Questo medesimo tipo di problematica si pone con riferimento all’accertamento dei crediti dei creditori non titolati. Ecco quindi che la giurisprudenza si deve inventare di sana pianta una soluzione per consentire a questo giudice dell’esecuzione di procedere all’accertamento dei crediti prima della fase distributiva. La soluzione che individua la giurisprudenza è la stessa identica soluzione tanto per la conversione del pignoramento, per la riduzione del pignoramento, per la cessazione della vendita a lotti, tanto per l’accertamento della posizione dei creditori non titolati in quanto tali.

In fondo i due problemi sono strettamente connessi. Se ammetto che possono intervenire i creditori non titolati e poi c’è un’istanza di conversione del pignoramento, il giudice dell’esecuzione dovrà necessariamente accertare se esistono o non esistono questi crediti. Come lo dovrà fare? In quale fase del processo? In forma sommaria? Con quale forma di provvedimento potrà decidere? Questo provvedimento sarà impugnabile o no? Nel codice non c’è traccia di questo perché il legislatore del codice del 1940 non si è posto questo problema. Si era posto nella logica di dire che prima della fase distributiva questo problema non sussisteva. Non è immaginabile un accertamento del giudice esecutivo nella fase espropriativa o liquidativa perché per il codice del 1940 c’è un titolo esecutivo, il giudice deve attuare il comando del titolo esecutivo, deve trasformare il bene immobile o mobile in una somma di denaro, quando poi si deve distribuire la somma di denaro nella fase distributiva dovrà stabilire a chi dare 100, 50 e 35 ed in quella sede dovrà stabilire se esiste il diritto di credito di Tizio, Caio e Sempronio e se esiste in quale misura.

E lo farà ancora una volta non nella logica di un accertamento del giudice esecutivo nella fase di distribuzione ma nella parentesi cognitiva che si viene a realizzare per effetto di un giudizio oppositivo quale l’opposizione in sede di distribuzione ex art. 512.

Scopriamo invece che non è così, che ci sono una serie di ipotesi in cui il giudice esecutivo deve fare l’accertamento. Come lo fa?

Vediamo a questo punto quale è la soluzione che si è inventata di sana pianta la giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Primo passaggio fondamentale: chi accerta? Accerta il giudice dell’esecuzione. Il giudice dell’esecuzione in una fase antecedente alla distribuzione deve procedere a questo accertamento. Ma di cosa conosce però questo giudice dell’esecuzione? Qui la giurisprudenza ci dice che conosce non dell’esistenza e dell’ammontare del credito dei creditori intervenuti ma solo dell’ammissibilità del loro intervento. Questo significa che l’accertamento del giudice dell’esecuzione non pregiudica in nessuna misura quell’accertamento del diritto di credito che eventualmente si farà nella fase distributiva con quello che originariamente era un processo a cognizione piena (perché poi vedremo che la riforma è andata ad incidere anche lì). Parte della dottrina diceva che il giudice di esecuzione verifica soltanto la situazione legittimante, cioè il diritto al concorso. Quindi pone in essere un accertamento, accerta in realtà l’esistenza di un diritto di credito ma non il diritto di credito in quanto tale, per stabilire se effettivamente con il processo a cognizione piena Tizio è creditore nei confronti di Caio di 100. No. Esso è il giudice dell’esecuzione, non può fare nessun processo a cognizione piena, non può accertare nessun diritto di credito in questi termini, ma può solo stabilire con questo tipo di verifica se quel creditore può o meno intervenire. Quindi verifica sostanzialmente l’esistenza di un diritto al concorso. Gli si è data quindi una veste giuridica.

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Ai fini dell’ammissibilità dell’intervento questo creditore, secondo la Cassazione nell’indirizzo più recente, doveva fornire una prova lato sensu documentale del credito e del suo ammontare. Quindi una prova documentale in senso lato, si ammetteva una nozione di prova documentale estremamente ampia dalla quale risultasse l’esistenza di questo credito. Immaginiamo il giudice dell’esecuzione che a questo punto faceva un accertamento sommario e faceva un’istruttoria completamente documentale. Non è che aveva il consulente tecnico, la prova testimoniale come nel processo a cognizione piena; faceva una verifica meramente documentale. Vedeva se dal documento prodotto dal creditore interveniente doveva ritenersi ammissibile o meno questo intervento del creditore.

Quindi verifica in via sommaria, non accerta l’esistenza del diritto di credito ma il diritto al concorso, decide con un provvedimento che ha la forma dell’ordinanza (non emette pertanto sentenza, ma ordinanza) e, come le varie ordinanze del processo esecutivo, tale ordinanza è impugnabile con l’opposizione ex. art. 617. La logica quindi è che in prima battuta il giudice accerta l’esistenza di questo diritto al concorso, lo accerta in via sommaria con un’istruttoria limitata ad un accertamento documentale, decide con ordinanza e poi vi è la parentesi cognitiva del giudizio di opposizione ex art.617. si recupera quanto meno in sede opposizione questa parentesi cognitiva. Ma in sede di opposizione ex. art 617 il giudice, diceva la giurisprudenza, conoscerà dell’esistenza e dell’ammontare dei crediti dei creditori intervenuti solo incidenter tantum e cioè solo ai fini di stabilire quale è la somma di denaro da versare per la conversione del pignoramento, per la cessazione della vendita a lotti, per la riduzione del pignoramento. E quindi se ne conosce incidenter tantum solo ai fini di determinare quella somma, l’accertamento in sede di opposizione ex. art. 617 non pregiudicherà mai il debitore nella successiva fase di distribuzione, dove nella dimensione

originaria del codice vi sarebbe stato un accertamento a cognizione piena sull’esistenza e sull’ammontare dei diritti di credito.

La logica quale è? Troviamo una soluzione per un accertamento da parte del giudice esecutivo nella fase espropriativa ma cerchiamo, però, di mantenere ferma la logica originaria del codice di cui alla fase distributiva, dove abbiamo la possibilità di un processo a cognizione piena che si instaura nelle forme dell’opposizione ex. art. 512 dirette ad accertare se esiste o non esiste un diritto di credito.

Quindi dobbiamo fare due passaggi: prima stabilire se il giudice fa l’accertamento e come lo fa. E questo lo abbiamo visto. Lo fa in via sommaria, sulla base di un’istruttoria documentale e decide con ordinanza. Nel momento in cui la riteniamo impugnabile ex. art. 617 dobbiamo vedere quale è l’oggetto di questo giudizio ex. art. 617 di opposizione e quali sono i rapporti con l’eventuale fase distributiva perché astrattamente potremmo ritenere che una volta che si apre il giudizio ex. art. 617, l’accertamento ex. art. 617 preclude ogni possibilità del debitore nella fase distributiva. Ma abbiamo detto che la giurisprudenza della Cassazione non ha fatto questa scelta perché sempre nella logica dell’accertamento del diritto ad intervenire e non del diritto di credito dice che anche nel giudizio oppositivo conosco del diritto di credito e dell’ammontare del credito ma non come oggetto del giudizio, ma solo incidenter tantum ai fini di stabilire quale è la somma ai fini della conversione del pignoramento, della riduzione del pignoramento, della cessazione della vendita a lotti. E siccome li conosco, sia pure a cognizione piena, incidenter tantum questo non pregiudica mai la posizione sostanzialmente del debitore in sede di distribuzione, dove in quella sede oggetto del processo a cognizione piena sarà effettivamente il diritto di credito.

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Possibilità di intervento anche dei creditori non titolati subordinato secondo la più recente giurisprudenza alla presenza di una prova scritta del credito, grosso problema di compatibilità tra l’impianto originario del codice del 1942 e la necessità di procedere all’accertamento dei crediti dei creditori non titolati soprattutto con riferimento alle ipotesi della conversione del pignoramento, della cessazione della vendita a lotti etc…

Nella dimensione originaria del codice del 1942 l’ultimo tassello da inserire è il seguente e cioè il fatto che il codice del 1942 aprisse all’intervento dei creditori, aprisse nella fase espropriativa, aprisse ai creditori non titolati, non significa affatto che poi non diversificasse le varie posizioni dei creditori ed in particolare il codice del 1942 introduceva sostanzialmente un triplice ordine di distinzioni tra i creditori che queste distinzioni talvolta si intersecano anche tra loro.

Le distinzioni si hanno tra :

Creditori muniti e non muniti di titolo esecutivo; il codice del 1940 apriva l’intervento ai creditori non muniti di titolo esecutivo, ma non trattava nello stesso modo i creditori muniti e non muniti di titolo esecutivo.

Creditori tempestivi e creditori tardivi;

Creditori chirografari e creditori muniti di un diritto di prelazione

A) Possono intervenire anche i creditori non muniti di titolo esecutivo. Hanno un pari trattamento nell’ambito del processo esecutivo? No. In cosa si diversifica la posizione dei creditori muniti e non muniti di titolo esecutivo? La diversificazione si coglie se si tiene presente il distinguo tra fase espropriativa e satisfattiva. Questo perché nella fase

espropriativa solo i creditori muniti di titolo esecutivo hanno pienezza di potere; mentre nella fase satisfattiva tutti i creditori hanno pari poteri. Che significa che nella fase espropriativa solo i creditori muniti di titolo esecutivo hanno pienezza di poteri? Significa che nella fase espropriativa solo i creditori muniti di titolo esecutivo possono provocare la vendita forzata, quindi hanno il potere di impulso alla procedura esecutiva. Per procedere alla vendita forzata ci vuole un’istanza di vendita, bisogna dare impulso, la procedura non va d’ufficio. Chi ha il potere? Sicuramente il creditore procedente; ma anche i creditori muniti di titolo esecutivo nella fase espropriativa possono dare impulso alla procedura esecutiva, possono provocare la vendita forzata, devono prestare il loro consenso per l’estinzione della procedura per rinuncia agli atti, e possono evitare l’estinzione del processo esecutivo per inattività delle parti. Per intenderci solo i creditori munititi di titolo esecutivo hanno pienezza di poteri nella fase espropriativa nel senso che possono farla andare avanti provocando la vendita forzata o possono impedire che venga meno la procedura esecutiva perché debbono prestare il loro consenso per l’estinzione per rinuncia agli atti e possono impedire l’estinzione per inattività delle parti. Hanno un potere pieno, perché come il creditore procedente, possono dare impulso alla procedura esecutiva o impedire che questa si estingua.

Nella fase satisfattiva tutti i creditori hanno pienezza di poteri nel senso che tutti i creditori hanno diritto ad ottenere la distribuzione della somma ricavata. Quindi questo distinguo tra creditori muniti di titolo esecutivo e non muniti di titolo esecutivo si ha solo nella fase espropriativa.

B) Ancora distingue tra creditori tempestivi e creditori tardivi. Innanzitutto dobbiamo stabilire quando è che un creditore è tempestivo o quando un creditore è tardivo. Qui un principio generale c’è, nel

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senso che in linea di massima lo sbarramento è dato dalla prima udienza del processo esecutivo. Salvo l’eccezione importante della cosiddetta piccola espropriazioni mobiliare, di valore non superiore a 20.000 euro, perché il termine per l’intervento tempestivo è anticipato all’istanza di assegnazione o di vendita. Quindi salvo questa ipotesi particolarmente significativa il termine temporale è dato dalla prima udienza. Se intervengo entro la prima udienza sono tempestivo; se intervengo oltre questa prima udienza sono tardivo. Che conseguenze ne ho a seconda che sia tempestivo o tardivo? Per ottenere la risposta dobbiamo completare questo secondo distinguo con l’ultimo distinguo, cioè tra creditori chirografari e creditori muniti di diritto di prelazione,C), nel senso che talvolta si combinano tra loro, perché sostanzialmente la regola fondamentale è che se il creditore è munito di diritto di prelazione anche se interviene tardivamente in sede di distribuzione questo suo diritto di prelazione non viene meno, va rispettato; se invece è un creditore chirografario ed interviene tardivamente allora ha diritto a partecipare alla distribuzione della somma ricavata dopo che si sono soddisfatti i creditori tempestivi. Quindi la tempestività o meno dell’intervento ha delle conseguenze significative in fase di distribuzione qualora il creditore sia un creditore chirografario. Se si tratta di creditori muniti di prelazione non si hanno conseguenze negative; se invece si tratta di creditori chirografari intervenuti tardivamente, in sede di distribuzione rischiano di non prendere nulla perché difficilmente la procedura esecutiva arriva ad ottenere un realizzo tanto sostanzioso da soddisfare tutti i possibili creditori.

C) Ultimo distinguo tra creditori chirografari e creditori muniti di un diritto di prelazione. Distinguo espressamente collegato con l’effetto purgativo della vendita forzata e quindi questo distinguo deve essere necessariamente collegato con l’art. 498 c.p.c. Ai sensi di tale norma i creditori muniti di prelazione devono essere avvisati.

Art. 498 Avviso ai creditori iscritti“I. Debbono essere avvertiti dell'espropriazione i creditori che sui beni pignorati hanno un diritto di prelazione risultante da pubblici registri.

II. A tal fine è notificato a ciascuno di essi, a cura del creditore pignorante ed entro cinque giorni dal pignoramento, un avviso contenente l'indicazione del creditore pignorante, del credito per il quale si procede, del titolo e delle cose pignorate.

III. In mancanza della prova di tale notificazione, il giudice non può provvedere sull'istanza di assegnazione o di vendita”

Sia se si tratta di creditore procedente o di creditore munito di titolo esecutivo, per dare impulso alla procedura esecutiva per vendere, c’è bisogno di notificare l’avviso ex. art. 498 ai creditori muniti di diritti di prelazione risultanti da pubblici registri. Dicevamo che per l’ipoteca non ci sono problemi in quanto risulta da pubblici registri. Grossi problemi possono esserci per i creditori privilegiati perché non tutti i privilegi sono iscritti in pubblici registri. La logica del codice però quale è? Se risulta un diritto di prelazione da un pubblico registro io devo dare l’avviso ex. art. 498. Perché devo dare tale avviso? Perché la vendita forzata produce, quale fondamentale effetto, l’effetto cosiddetto purgativo, nel senso che il bene lo acquisto in sede di vendita forzata pulito da eventuali gravami. E quindi la logica quale deve essere? Se il bene è gravato da ipoteca devo dare l’avviso al creditore ipotecario in modo tale da informarlo che sto espropriando tale bene e consentirgli di intervenire nella procedura esecutiva per soddisfarsi sul ricavato della vendita. Ma se non interviene in forza dell’effetto purgativo della vendita forzata la sua ipoteca non può rimanere in piedi perché nella logica di chi acquista è chiaro che chi acquista non può acquistare il bene ipotecato.

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Ognuno di questi creditori può prendere la sua iniziativa ma per i creditori muniti di un diritto di prelazione ci vuole un meccanismo ad hoc che non può non essere quello dell’avviso. Dal momento in cui ho notificato l’avviso quel creditore o interviene nella procedura esecutiva o rischia di incorrere nelle conseguenze negative di cui all’effetto purgativo. Questo è anche il motivo per cui l’ultimo comma dell’art. 498 ci dice espressamente che se non c’è prova della notificazione il giudice non può ordinare la vendita. Cioè finché il giudice non è sicuro che i creditori muniti di un diritto di prelazione siano stati avvisati e quindi non intervengono nel processo esecutivo per una loro scelta e non perché non hanno conoscenza del processo esecutivo, non può ordinare la vendita perché altrimenti travolgerebbe la posizione del creditore ipotecario in modo ingiustificato, perché questo soggetto non è stato avvisato e vede travolto il suo diritto ipotecario senza aver avuto la possibilità effettiva di partecipare al processo esecutivo.

Per completare il nostro percorso dobbiamo guardare ai passaggi più recenti che fa il nostro legislatore ed in particolare a cosa è successo sotto la vigenza del codice del 1940 a livello di progetti di riforma e a cosa è andato effettivamente in porto con la riforma del 2009.

Posto che il quadro del codice del 1940 è stato ritenuto da più parti insoddisfacente non sono mancati nel corso del tempo,sotto la vigenza del codice del 1940,una serie di proposte di riforma su una tematica estremamente delicato dove sussistono non soltanto valutazioni di carattere tecnico ma anche vi sono degli interessi contrastanti che vanno soppesati:

-da una parte l’interesse dei creditori muniti di titolo esecutivo che vorrebbero arrivare alla soddisfazione del loro credito il prima possibile e vorrebbero dunque che il processo esecutivo fosse celere per soddisfare il loro diritto di credito;

-dall’altra parte l’interesse del debitore di chiedere un accertamento preventivo dell’effettiva esistenza del credito fatto valere nei suoi confronti qualora il creditore sia sfornito di titolo. Dunque il debitore ha interesse a provocare degli accertamenti non solo nei confronti dei creditori titolati (nel qual caso se sono in giudizio solo questi abbiamo visto che la contestazione avviene attraverso l’opposizione ex art. 615),ma anche nei confronti dei creditori non titolati.

Nel tempo si sono avute varie proposte di riforma:

-una a cavallo degli anni ’80 che prevedeva la subordinazione della possibilità di intervenire alla sussistenza di una prova scritta documentale del credito per un importo determinato. Tale proposta di riforma si inserisce nell’ambito di quei provvedimenti urgenti che poi hanno portato alla novella del ’90;

-un’altra proposta di riforma ascrivibile ad Oriani era invece tesa a limitare l’intervento dei creditori ai soli creditori titolati.

Entrambe le predette proposte sono state oggetto di critiche. In particolare a fronte di queste proposte taluni hanno ritenuto che esse non erano percorribili in quanto si riteneva incorressero in una violazione della par condicio creditorum.

Altra parte della dottrina riteneva invece tali proposte pienamente legittime, ad esempio lo stesso Oriani,che aveva proposto la limitazione dell’intervento ai soli creditori titolati, sottolineava come questo tipo di intervento non avrebbe determinato nessuna violazione dell’ art. 3 della Costituzione atteso che ex art. 3 Cost. devono essere trattate in modo eguale delle situazioni eguali ma in questo caso il creditore titolato e il creditore non titolato non hanno una posizione eguale e perciò se diversifico tali situazioni non vado incontro a nessuna violazione

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dell’art. 3 Cost., ammesso e non concesso che il principio della par condicio creditorum possa trovare il suo fondamento costituzionale e che questo fondamento costituzionale sia dato dall’art. 3.

Questo è il retroterra in cui si inseriscono i più recenti interventi del legislatore in materia di processo civile e, soprattutto, nel 2005-2006, in materia di esecuzione forzata.

La riforma significativa in materia di intervento dei creditori avviene in Italia con la riforma del 2005-2006 con la legge n.80/2005 e la legge 263/2005. Nel 2006 è intervenuta la legge n.52 avente ad oggetto la sola espropriazione.

Con la legge 80/2005 e la successiva legge 263/2005 il legislatore riforma:

-la legittimazione ad intervenire nel processo esecutivo circoscrivendo la cerchia dei soggetti legittimati ad intervenire nel processo esecutivo;

-la modalità di accertamento dei crediti prima che si arrivi alla distribuzione;

-la modalità di accertamento dei crediti in fase di distribuzione.

Occorre segnalare sin d’ora che anche in materia di distribuzione interviene una modifica molto importante perché vi ho detto che nella logica del codice del 1940 si posticipava ogni accertamento delle posizioni creditorie in sede di distribuzione attraverso la logica delle opposizioni distributive ex art. 512 la cui peculiarità era quella di determinare la sospensione automatica del processo esecutivo in attesa che si procedesse ad un accertamento di questo diritto di credito con un processo a cognizione piena. Il legislatore della riforma 2005/2006

elimina la sospensione automatica e prevede una sospensione facoltativa cioè rimessa ad una valutazione del giudice e soprattutto consente al giudice dell’esecuzione in quanto tale di conoscere delle controversie distributive risolvendole con un’ordinanza che è soggetta all’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617.

Per quanto concerne l’intervento riguardante la cerchia dei soggetti legittimati va osservato che il legislatore della legge 80 fa una scelta più restrittiva rispetto a quella effettuata dal legislatore delle legge 263 . Infatti il legislatore della legge 80 non se la sente di aderire a quella proposta di una parte della dottrina di circoscrivere la possibilità di intervenire ai soli creditori titolati ma circoscrive comunque la cerchia dei creditori legittimati ad intervenire:

ai soli creditori che al momento del pignoramento avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati;

ed ai creditori che avevano un diritto di prelazione risultante da pubblici registri o un diritto di pegno.

Quindi il legislatore modifica l’art. 499 e prevede che possano intervenire i creditori titolati ed anche i creditori che al momento del pignoramento avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati ed i creditori che avevano un diritto di prelazione risultante da pubblici registri o un diritto di pegno. Si entra così nella logica dell’individuazione tassativa delle categorie di creditori che possono intervenire e si abbandona la logica del vecchio codice che consentiva a tutti i creditori di intervenire .

Con la legge 263/2005 il legislatore ritenendo di aver fatto una scelta eccessivamente restrittiva allarga la cerchia dei soggetti legittimati ad

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intervenire anche ai creditori di somme di denaro risultanti da scritture contabili obbligatorie previste dall’art.2214 c.c.

Ecco così spiegato l’attuale testo dell’art. 499 il quale al primo comma dice:“Possono intervenire nell'esecuzione i creditori che nei confronti del debitore hanno un credito fondato su titolo esecutivo, nonché i creditori che, al momento del pignoramento, avevano eseguito un sequestro. sui beni pignorati ovvero avevano un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante da pubblici registri ovvero erano titolari di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all'articolo 2214 del codice civile.”

Il legislatore della legge 263/2005, in stretta aderenza all’allargamento della cerchia dei soggetti legittimati ad intervenire ai creditori di somme di denaro risultanti da scritture contabili obbligatorie previste dall’art.2214 c.c.,introduce un meccanismo di accertamento del credito antecedente rispetto alla distribuzione: è un meccanismo originale di cui non se ne trova traccia in precedenti progetti di riforma e che si basa su una dichiarazione del debitore. Preliminarmente occorre precisare con riferimento al tema della par condicio creditorum che alla luce di quanto affermato dalla dottrina più avanzata non si pone più un problema di violazione della par condicio creditorum se il legislatore processuale fa una serie di scelte diversificando i creditori. Infatti i veri problemi oggi sono di legittimità costituzionale sotto il profilo della diversificazione delle categorie di alcuni creditori.

Come ha disciplinato il legislatore questa modalità di accertamento endoprocessuale? Leggiamo l’art.499 commi 2,3,5,6:“Il ricorso deve essere depositato prima che sia tenuta l'udienza in cui e' disposta la vendita o l'assegnazione ai sensi degli articoli 530, 552 e 569, deve contenere l'indicazione del credito e quella del titolo di esso, la domanda per partecipare alla distribuzione della somma ricavata e la

dichiarazione di residenza o la elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione. Se l'intervento ha luogo per un credito di somma di denaro risultante dalle scritture di cui al primo comma, al ricorso deve essere allegato, a pena di inammissibilità, l'estratto autentico notarile delle medesime scritture rilasciato a norma delle vigenti disposizioni.Il creditore privo di titolo esecutivo che interviene nell'esecuzione deve notificare al debitore, entro i dieci giorni successivi al deposito, copia del ricorso, nonché copia dell'estratto autentico notarile attestante il credito se l'intervento nell'esecuzione ha luogo in forza di essa.

Con l'ordinanza con cui e' disposta la vendita o l'assegnazione ai sensi degli articoli 530, 552 e 569 il giudice fissa, altresì, udienza di comparizione davanti a sé del debitore e dei creditori intervenuti privi di titolo esecutivo, disponendone la notifica a cura di una delle parti. Tra la data dell'ordinanza e la data fissata per l'udienza non possono decorrere più di sessanta giorni.All'udienza di comparizione il debitore deve dichiarare quali dei crediti per i quali hanno avuto luogo gli interventi egli intenda riconoscere in tutto o in parte, specificando in quest'ultimo caso la relativa misura. Se il debitore non compare, si intendono riconosciuti tutti i crediti per i quali hanno avuto luogo interventi in assenza di titolo esecutivo. In tutti i casi il riconoscimento rileva comunque ai soli effetti dell'esecuzione. I creditori intervenuti i cui crediti siano stati riconosciuti da parte del debitore partecipano alla distribuzione della somma ricavata per l'intero ovvero limitatamente alla parte del credito per la quale vi sia stato riconoscimento parziale. 1 creditori intervenuti i cui crediti siano stati viceversa disconosciuti dal debitore hanno diritto, ai sensi dell'articolo 510, terzo comma, all'accantonamento delle somme che ad essi spetterebbero, sempre che ne facciano istanza e dimostrino di avere proposto, nei trenta giorni successivi all'udienza di cui al presente

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comma, l'azione necessaria affinché essi possano munirsi del titolo esecutivo.

Il primo dato caratterizzante è l’individuazione tassativa delle categorie di creditori legittimate ad intervenire nel processo esecutivo. Il secondo passaggio è la diversa disciplina delle modalità attraverso cui viene esercitato questo intervento. Il terzo passaggio riguarda se volete l’introduzione di un apposito meccanismo endoprocessuale per l’accertamento dei crediti.

Quanto al secondo passaggio va osservato come il secondo e terzo comma dell’art. 499 debbano essere raffrontati con la disciplina previgente e cioè chiederci,rispetto alla disciplina previgente, in che cosa innovano questi due commi? Abbiamo visto come secondo la più recente giurisprudenza della Cassazione l’intervento non era più subordinato al deposito di una prova documentale,di un documento scritto. Secondo la giurisprudenza più risalente per poter intervenire io dovevo avere la prova documentale del credito. Ciò significa che raffrontando la vecchia disciplina con la nuova disciplina emerge che la prima novità attiene all’allargamento della cerchia dei soggetti legittimati,mentre la seconda novità riguarda le modalità per intervenire. Ci si chiede se post riforma sia necessario che l’intervento sia supportato da una prova documentale. La risposta è che dipende dal tipo di creditore che prendiamo in considerazione perché se per alcuni creditori non è prevista la prova documentale invece per l’ultima categoria di creditori introdotta dalla legge 263/2005 è prevista la prova documentale. L’art. 499 stabilisce espressamente che se l'intervento ha luogo per un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all'articolo 2214 del codice civile, al ricorso deve essere allegato, a pena di inammissibilità, l'estratto autentico notarile delle medesime scritture rilasciato a norma delle vigenti disposizioni. Ne

consegue che le modalità di intervento mutano a seconda della categoria di creditori che viene in rilievo.

La novità più significativa è però la creazione di un meccanismo endoprocessuale di accertamento. Questo meccanismo endoprocessuale di accertamento si colloca in una fase antecedente rispetto alla distribuzione e si poggia su una dichiarazione del debitore. Infatti il codice prevede che il giudice debba fissare un’udienza alla quale devono partecipare il debitore e i creditori non muniti di titolo. Una volta che il legislatore ha scelto di aprire ai creditori non titolati e, soprattutto anche alla categoria avulsa dei creditori muniti di scritture contabili, ha anche previsto la possibilità che si arrivi ad un accertamento del credito prima della fase della distribuzione sulla base di un riconoscimento espresso o tacito del debitore. Quindi il codice prevede che il giudice debba fissare un’udienza alla quale devono partecipare il debitore ed i creditori non titolati. Il debitore se compare a questa udienza può riconoscere(cd. riconoscimento espresso) o disconoscere questi crediti oppure può non comparire nel qual caso si danno per riconosciuti quei determinati crediti (cd. riconoscimento tacito).

Qual è l’effetto di questo riconoscimento del credito da parte del debitore?

Se sono riconosciuti quei crediti vanno direttamente a distribuzione come accade per i creditori titolati. Se invece i crediti sono disconosciuti i creditori maturano soltanto un diritto all’accantonamento delle somme per un periodo massimo di due anni in attesa che si procurino un titolo esecutivo.

La logica del legislatore è quella di consentire di intervenire sia ai creditori titolati che ai creditori non titolati. In particolare con

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riferimento ai creditori non titolati il legislatore ha detto no sia al sistema del codice del 1940 che prevedeva la posticipazione dell’intervento in fase di distribuzione, sia alla creazione giurisprudenziale di un accertamento da parte del GE in una fase antecedente alla distribuzione. Il legislatore ha dunque inventato un meccanismo endoprocessuale di accertamento che si colloca in una fase antecedente rispetto alla distribuzione e si poggia su una dichiarazione del debitore. Tale sistema che si poggia sulla dichiarazione del debitore si potrebbe prestare a delle strumentalizzazioni atteso che il debitore potrebbe riconoscere il credito di Tizio,di Caio e di Sempronio per motivi estranei alla reale esistenza del credito.

Vediamo ora quali problematiche ha posto questa disciplina introdotta dal legislatore della riforma 2005/2006.

Quanto all’ambito di applicazione di questa disciplina va osservato che, per come è formulata la norma che ruota tutta intorno al riconoscimento del credito o meno da parte del debitore, ci si è chiesti se essa si applichi a tutti i creditori sine titulo o se si applichi ai soli creditori i cui crediti sono sorretti da scritture contabili obbligatorie. L’impostazione prevalente tende a ritenere che il meccanismo si riferisca a tutti i creditori non titolati.

Ci si è chiesto anche se questa fattispecie dell’intervento dei creditori muniti di scritture contabili obbligatorie si perfezioni solo attraverso il mero deposito in cancelleria dell’esecuzione oppure se sia necessaria la notificazione al debitore. Tendenzialmente si ritiene che anche rispetto a questa ipotesi non si sia voluto innovare rispetto al passato e,pertanto, l’intervento si perfeziona mediante il mero deposito del ricorso. Quindi la notificazione al debitore di cui al 499 non è condizione per cui si perfezioni l’intervento.

Con riferimento all’udienza fissata per l’accertamento endoprocessuale ci si è chiesto se siano parti necessarie soltanto il creditore intervenuto ed il debitore ovvero tutte le parti del processo e,dunque, anche i creditori muniti di titolo. L’impostazione prevalente ritiene che i creditori titolati non siano parti necessarie. Tale tesi si fonda sul fatto che in questa fase di accertamento endoprocessuale il debitore debba riconoscere o disconoscere il credito del singolo creditore. Facendo leva su questa argomentazione si sostiene che non sia necessaria la partecipazione di tutti i creditori a questa udienza.

Il problema più delicato di tutti è legato alla difficoltà di collocare questo meccanismo di accertamento endoprocessuale nel sistema pregresso del 1940. Nella logica del codice del 1940 vi era la posticipazione dell’accertamento in sede di distribuzione però la giurisprudenza della Cassazione aveva evidenziato come fosse necessario un accertamento prima di arrivare alla distribuzione,accertamento che si caratterizzava per il fatto che era un accertamento del GE, a cognizione sommaria e che si concludeva con ordinanza suscettibile di opposizione agli atti esecutivi. Come coordiniamo questo nuovo meccanismo endoprocessuale che fa leva sulla dichiarazione del debitore con la situazione pregressa?

In particolare ci si è chiesti che ne è degli interventi non titolati tardivi?

Noi sappiamo che i creditori tempestivi intervengono ed i creditori non titolati devono partecipare all’udienza ove o si vedono riconosciuto il credito o se lo vedono disconosciuto tacitamente o espressamente. Tuttavia noi sappiamo che il creditore può essere tempestivo o tardivo e il creditore tardivo potrebbe essere un creditore non titolato .Classici esempi sono:

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-il soggetto che interviene sulla scorta di scritture contabili obbligatorie ma facendo valere un credito successivo al compimento del pignoramento;

-l’interventore che abbia sequestrato il bene non prima ma dopo il pignoramento.

Rispetto ai creditori tardivi non titolati ci si chiede se il giudice debba fissare una nuova udienza dove si ripete il meccanismo di accertamento endoprocessuale ovvero se la loro sorte sia automaticamente l’accantonamento.

Posto che entrambe le posizioni sono state sostenute va osservato che secondo l’impostazione che tende a prevalere il giudice non dovrebbe più fissare una nuova udienza per l’accertamento endoprocessuale. Pertanto o i creditori non titolati intervengono tempestivamente ed in tal caso hanno la speranza che il debitore possa riconoscere il loro credito,oppure se intervengono tardivamente,siccome quella è l’unica fase processuale in cui si può avere quel’accertamento,maturano solo un diritto all’accantonamento.

Il problema più delicato di collocazione di questo accertamento endoprocessuale attiene al modo in cui si atteggiano i rapporti tra questo accertamento che fa leva sulla dichiarazione del debitore introdotto dalla riforma del 2005/2006 e l’accertamento preventivo alla distribuzione che aveva costruito la giurisprudenza della Cassazione.

In particolare ci si chiede se, a seguito dell’introduzione da parte del legislatore di un accertamento che fa leva sulla dichiarazione del debitore, sopravvive la possibilità di accertamento da parte del giudice dell’esecuzione con le modalità disciplinate dalla Cassazione. Ci si chiede inoltre se l’accertamento endoprocessuale che si basa sulla

dichiarazione del debitore vincoli l’eventuale accertamento successivo posto dal ge. Inoltre ci si chiede se,nel caso in cui si sia svolto prima l’accertamento da parte del ge, questo prevalga o meno rispetto all’accertamento endoprocessuale successivo.

L’impostazione che tende a prevalere che anche dopo la riforma del 499 ci sia spazio per gli accertamenti da parte del giudice dell’esecuzione preventivi rispetto alla fase della distribuzione. Tale tesi si fonda sui seguenti motivi:

1)si tende a ritenere che questo accertamento endoprocessuale di cui all’art.499 sia un accertamento finalizzato esclusivamente alla successiva fase della distribuzione (non a caso se il debitore riconosce il credito si va automaticamente in distribuzione mentre se non riconosce si ha diritto all’accantonamento delle somme). Posto che si tratta di un meccanismo funzionalizzato nella logica della distribuzione, è evidente che diverse logiche tipo quella sottesa alla conversione del pignoramento, quella sottesa alla cessazione della vendita a lotti che rispondono ad esigenze diverse rimarrebbero ferme. Rimarrebbe ferma dunque l’esigenza che il GE conosca a cognizione sommaria dei crediti esistenti per stabilire qual è la somma che deve essere versata per la conversione del pignoramento ovvero per stabilire se si è raggiunta una determinata somma per ordinare la cessazione della vendita a lotti ed analogamente anche per la riduzione del pignoramento.

2)Un secondo argomento a sostegno della predetta tesi è quello della irragionevolezza della soluzione opposta. Infatti se si dovesse ritenere all’opposto che per effetto della riforma del 2005/2006 non vi sia più spazio per gli accertamenti del GE, si arriverebbe a ritenere che il GE dinanzi ad un creditore che esibisce anche una prova documentale attendibile non potrebbe fare niente in questa serie di istituti(es.conversione del pignoramento) e, invece, dovrebbe prendere

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per buone le risultanze dell’accertamento endoprocessuale basato sula dichiarazione del debitore. Pertanto il GE dovrebbe prendere per buona la dichiarazione del debitore senza poter verificare nulla anche laddove si rendesse conto che quel credito non esiste. Inoltre il GE non potrebbe nemmeno dar rilevanza a dei creditori il cui credito probabilmente esiste perché,ad esempio, sono assistiti da una prova documentale particolarmente significativa.

3)Un’altra argomentazione è legata alla modifica della fase della distribuzione,all’accertamento in fase di distribuzione. Infatti si diceva se nel sistema previgente, dove in sede di distribuzione l’accertamento avveniva non da parte del GE,ma a cognizione piena e con sentenza impugnabile, la giurisprudenza aveva ritenuto possibili degli accertamenti sommari da parte del GE, è impensabile che, ora che in sede di distribuzione esiste un meccanismo molto simile a quello immaginato dalla giurisprudenza (l’accertamento avviene a cognizione sommaria da parte del GE e con ordinanza suscettibile di opposizione agli atti esecutivi) , si escluda che siano possibili questi accertamenti.

Se riteniamo, come ritiene la dottrina prevalente che nonostante la riforma del 2005/2006 vi sia ancora oggi spazio per un accertamento preventivo da parte del GE, a cognizione sommaria e con ordinanza impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi prima della fase della distribuzione, in che termini si atteggiano i rapporti tra questo accertamento e l’accertamento endoprocessuale ex art.499?

Se l’intervento del GE interviene in una fase successiva a quell’udienza in cui si è già svolto l’accertamento endoprocessuale che fa leva sulla dichiarazione del debitore,il giudice è vincolato alla risultanza della dichiarazione del debitore? La legge ci dice espressamente che il soggetto ha diritto alla distribuzione e quindi il giudice è vincolato in sede esecutiva a questa dichiarazione del debitore.

Se invece si è svolto prima l’accertamento sommario del GE esso è vincolante, ha delle ricadute con riferimento all’udienza che si dovrà poi svolgere in cui il debitore dovrà rendere la dichiarazione? In tal caso la risposta è meno pacifica, ma si tende a ritenere che valga la stessa regola e che pertanto l’esito dell’accertamento sommario del GE intervenuto prima dell’udienza non possa essere ribaltato da una diversa dichiarazione del debitore resa nell’udienza ex art. 499.

FASE DELLA VENDITA

Il processo di esecuzione forzata, a differenza del processo di cognizione, non inizia con un’udienza indicata dall’attore che notifica l’atto introduttivo. Infatti salvo l’espropriazione presso terzi dove vi è un atto introduttive che ha delle late similitudini con l’atto introduttivo del processo di cognizione,in tutte le altre ipotesi vi è una marcata differenza con il processo a cognizione piena perché il primo contatto che ha il creditore procedente è con il titolo esecutivo e il precetto.

Quindi notifica del titolo esecutivo e del precetto quali atti preliminari rispetto ad un processo di esecuzione forzata che inizia con il pignoramento. Il pignoramento vede come suo protagonista l’ufficiale giudiziario: quindi il primo contatto il creditore lo ha con l’ufficiale giudiziario. Il creditore si rivolge all’ufficiale giudiziario perché provveda al pignoramento. Avvenuto il pignoramento il relativo verbale deve essere depositato entro 24 ore nella cancelleria del giudice competente insieme al titolo esecutivo ed al precetto. Entro 2 giorni il cancelliere forma il fascicolo dell’esecuzione che presenta al capo dell’ufficio giudiziario( vale a dire il presidente del tribunale) affinché quest’ultimo designi il giudice dell’esecuzione.

A questo punto non prima di 10 gg (art.501 c.p.c) e non oltre 90 gg dal pignoramento (art.497 c.p.c) il creditore pignorante o un creditore

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intervenuto munito di titolo esecutivo devono presentare al giudice dell’esecuzione istanza di assegnazione o di vendita. Il processo esecutivo non procede d’ufficio atteso che è necessaria un’istanza di vendita,un atto di impulso.

A seguito della presentazione dell’istanza di vendita il giudice dell’esecuzione fissa un’udienza per l’audizione delle parti e per disporre con ordinanza le modalità della vendita o l’assegnazione . Questa udienza è quella in cui avviene il primo contatto tra le parti.

La vendita forzata è una fase eventuale del processo di espropriazione forzata , la cui funzione è quella di trasformare il bene pignorato in una somma di danaro. Nella logica del processo di espropriazione forzata sapete che si pignora un bene mobile o immobile per trasformarlo in una somma di denaro sulla quale si soddisfano il creditore procedente e i creditori intervenuti. E’ una fase eventuale in quanto esistono una serie di istituti processuali in forza dei quali ben può non svolgersi la vendita. Si pensi alla conversione del pignoramento o al caso in cui il pignoramento abbia ad oggetto direttamente una somma di denaro soluzione quest’ultima che l’ufficiale giudiziario deve privilegiare.

La vendita forzata è un subprocedimento del processo di esecuzione forzata. Infatti essa non si esaurisce in unico atto ma in una serie di atti concatenati tra loro.

Una premessa va fatta in ordine alla pubblicità dell’avviso di vendita che è disciplinata dall’art.490 c.p.c. .L’art.490 è una norma che è stata modificata più volte.

Perché tale norma è stata modificata più volte?

Nella versione originale del codice si prevedeva la pubblicità cd. obbligatoria e la pubblicità facoltativa . La pubblicità obbligatoria si chiamava obbligatoria perché era prevista direttamente dalla legge e non trovava il suo fondamento in provvedimento del giudice.

La pubblicità facoltativa era rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice.

Vi era dunque una pubblicità necessitata e già ancora al primo comma si prevede un avviso contenente tutti i dati, che possono interessare il pubblico,che deve essere affisso per tre giorni continui nell'albo dell'ufficio giudiziario davanti al quale si svolge il procedimento esecutivo. Accanto a questa pubblicità obbligatoria dell’albo c’era il cd. FAL (foglio degli annunci legali). Il giudice poteva poi disporre un’ulteriore pubblicità se del caso sui quotidiani (pubblicità facoltativa).

Quindi come pubblicità obbligatoria c’era ben poco visto che il foglio degli annunci legali dava poca conoscibilità ai terzi della vendita forzata.

A fronte della scarsa funzionalità del processo esecutivo si affermarono le cd. prassi virtuose (dalle quali ha attinto la riforma del 2005/2006) instauratesi presso alcuni tribunali. In particolare uno dei fattori sui quali avevano fatto leva taluni tribunali era quella della pubblicità. Infatti in un momento di crisi del processo esecutivo, rispetto alla quale nemmeno la novella del ’90 aveva previsto alcuna forma di intervento, una serie di tribunali (si pensi in particolare ai tribunali di Bologna e di Monza) si erano attivati per attivare una serie di prassi e per dimostrare che con tutto una serie di correttivi si poteva vendere.

In particolare si affermava che per ottenere un realizzo nella vendita forzata bisogna raggiungere un numero di terzi,di potenziali acquirenti

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ben più significativo e pertanto ciò si poteva fare soltanto attraverso una pubblicità effettiva. Tali tribunali prevedevano una pubblicità che ricorresse sistematicamente:

1) ai quotidiani e, se del caso, alla stampa locale;

2) ad internet.

Se adesso andate a leggere il 490 alla luce delle varie modifiche intervenute nel corso del tempo noi abbiamo al primo comma:

“Quando la legge dispone che di un atto esecutivo sia data pubblica notizia, un avviso contenente tutti i dati, che possono interessare il pubblico, deve essere affisso per tre giorni continui nell'albo dell'ufficio giudiziario davanti al quale si svolge il procedimento esecutivo. Quindi rimane l’obbligo di inserire l’avviso di vendita nell’albo.

In caso di espropriazione di beni mobili registrati, per un valore superiore a 25.000 euro, e di beni immobili(quindi se i beni sono di maggior valore), lo stesso avviso, unitamente a copia dell'ordinanza del giudice e della relazione di stima redatta ai sensi dell'articolo 173-bis delle disposizioni di attuazione del presente codice, e' altresì inserito in appositi siti internet almeno quarantacinque giorni prima del termine per la presentazione delle offerte o della data dell'incanto.Il giudice dispone inoltre che l'avviso sia inserito almeno quarantacinque giorni prima del termine per la presentazione delle offerte o della data dell'incanto una o più volte sui quotidiani di informazione locali aventi maggiore diffusione nella zona interessata o, quando opportuno, sui quotidiani di informazione nazionale e, quando occorre, che sia divulgato con le forme della pubblicità commerciale. La divulgazione degli avvisi con altri mezzi diversi dai quotidiani di informazione deve intendersi complementare e non alternativa.

Sono equiparati ai quotidiani, i giornali di informazione locale, multisettimanali o settimanali editi da soggetti iscritti al Registro operatori della comunicazione (ROC) e aventi caratteristiche editoriali analoghe a quelle dei quotidiani che garantiscono la maggior diffusione nella zona interessata. Nell'avviso e' omessa l'indicazione del debitore” (quest’ultimo inciso è stato un adeguamento al rispetto del cd. codice della privacy perché nella versione originaria del codice questa previsione non c’era e si era posto il problema se era legittimo o se invece violava la privacy del debitore inserirne il nominativo nell’avviso, Il codice ha risolto il problema dicendo che nell’avviso è omessa l’indicazione del debitore).

Per il resto il legislatore ha valorizzato le prassi virtuose passando da una disciplina originaria in cui la pubblicità aveva un contenuto pressoché inconsistente ad una pubblicità che fa leva su tutti i principali fattori valorizzati da queste prassi.

Tali fattori sono i seguenti:

si fa leva sulle modalità di pubblicazione perché si fa leva sulla pubblicazione a livello nazionale,sulla stampa locale e su internet;

si ampia il contenuto della pubblicità perché si pubblicizza non solo l’avviso ma anche l’ordinanza del giudice e la relazione di stima dell’esperto di cui all’art.173 bis disp.att.;

Infine si prevede un termine minimo di inserimento in siti internet di almeno 45 gg prima del termine per la presentazione dell’offerta. Per una pubblicità effettiva non solo devo utilizzare degli strumenti adeguati, non solo devo far leva sul contenuto della pubblicità pubblicizzando tutte quelle informazioni che interessano al terzo ma

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anche devo far modo che tra il momento in cui avviene la pubblicità e il momento in cui si offre vi sia un tempo di esposizione congruo.

Art. 173-bis. Contenuto della relazione di stima e compiti dell'esperto “L'esperto provvede alla redazione della relazione di stima dalla quale devono risultare:1) l'identificazione del bene, comprensiva dei confini e dei dati catastali;2) una sommaria descrizione del bene;3) lo stato di possesso del bene, con l'indicazione, se occupato da terzi, del titolo in base al quale è occupato, con particolare riferimento alla esistenza di contratti registrati in data antecedente al pignoramento;4) l'esistenza di formalità, vincoli o oneri, anche di natura condominiale, gravanti sul bene che resteranno a carico dell'acquirente, ivi compresi i vincoli derivanti da contratti incidenti sulla attitudine edificatoria dello stesso o i vincoli connessi con il suo carattere storico-artistico;5) l'esistenza di formalità, vincoli e oneri, anche di natura condominiale, che saranno cancellati o che comunque risulteranno non opponibili all'acquirente;6) la verifica della regolarità edilizia e urbanistica del bene nonché l'esistenza della dichiarazione di agibilità dello stesso previa acquisizione o aggiornamento del certificato di destinazione urbanistica previsto dalla vigente normativa.L'esperto, prima di ogni attività, controlla la completezza dei documenti di cui all'articolo 567, secondo comma, del codice, segnalando immediatamente al giudice quelli mancanti o inidonei.

Quindi primo passaggio fondamentale è la pubblicità che fa leva anche sulla pubblicizzazione della relazione dell’esperto. Nelle funzioni dell’esperto vi sono tutte una serie di verifiche che sono funzionali ad un buon esito della procedura esecutiva atteso che tali informazioni sono

fondamentali non solo per il terzo che vuole acquistare il bene, ma anche per il giudice che lo mette in vendita ed anche ai fini della determinazione del valore del bene.

Il primo momento di questa vendita è rappresentato dall’istanza di vendita e vedremo come si inserisce in questo contesto questa relazione dell’esperto. E’ chiaro che questo discorso si può fare parallelamente per l’espropriazione mobiliare e per l’espropriazione immobiliare. Con riferimento all’istanza di vendita le norme di riferimento sono l’art. 501 e l’art.529 per l’espropriazione mobiliare e l’art. 567 per l’espropriazione immobiliare.

Art. 567. Istanza di vendita“Decorso il termine di cui all'articolo 501, il creditore pignorante e ognuno dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo possono chiedere la vendita dell'immobile pignorato.Il creditore che richiede la vendita deve provvedere, entro centoventi giorni dal deposito del ricorso, ad allegare allo stesso l'estratto del catasto, nonché i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all'immobile pignorato effettuate nei venti anni anteriori alla trascrizione del pignoramento; tale documentazione puo' essere sostituita da un certificato notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari.Il termine di cui al secondo comma puo' essere prorogato una sola volta su istanza dei creditori o dell'esecutato, per giusti motivi e per una durata non superiore ad ulteriori centoventi giorni. Un termine di centoventi giorni e' inoltre assegnato al creditore dal giudice, quando lo stesso ritiene che la documentazione da questi depositata debba essere completata. Se la proroga non e' richiesta o non e' concessa, oppure se la documentazione non e' integrata nel termine assegnato ai sensi di quanto previsto nel periodo precedente, il giudice dell'esecuzione, anche d'ufficio, dichiara l'inefficacia del pignoramento relativamente all'immobile per il quale non e' stata depositata la prescritta

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documentazione. L'inefficacia e' dichiarata con ordinanza, sentite le parti. Il giudice, con l'ordinanza, dispone la cancellazione della trascrizione del pignoramento. Si applica l'articolo 562, secondo comma. Il giudice dichiara altresi' l'estinzione del processo esecutivo se non vi sono altri beni pignorati.”

Primo dato di fondo: l’art.567 vi indica un termine entro cui voi potete depositare l’istanza di vendita e,soprattutto, vi dice che questa istanza di vendita per l’espropriazione immobiliare deve essere corredata di una documentazione particolarmente significativa.

Tale norma è stata modificata tante volte perché nella dimensione originaria del codice del 1940 non prevedeva dei requisiti stringenti e non prevedeva neanche la sanzione dell’estinzione del processo esecutivo. Tali requisiti e la sanzione dell’estinzione del processo esecutivo sono stati introdotti dalla legge 302/1998. Tali introduzione dipende dal fatto che alcune delle criticità del processo esecutivo erano da individuarsi in una scelta di campo effettuata dal codice del 1940 di lasciare il potere di impulso in ordine al processo esecutivo esclusivamente nelle mani del creditore procedente e dei creditori muniti di titolo esecutivo ,cioè di non dare disciplina stringente(come avviene in questo caso a pena di estinzione) o dei poteri di impulso significativi al giudice dell’esecuzione. Tale situazione determinava delle lungaggini del processo esecutivo. Inoltre il fatto che il potere di impulso era attribuito solo al creditore procedente ed al creditore munito di titolo esecutivo faceva si che se questi non davano l’impulso la procedura esecutiva rimaneva appesa.

Quindi cosa succedeva? Succedeva che il creditore pignorante ed il creditore munito di titolo utilizzavano il processo esecutivo come strumento per premere sula volontà del debitore per ottenere dei pagamenti al di fuori del processo esecutivo ritardando la vendita. Ecco

il motivo per il quale il legislatore del ‘98 con la legge 302 introduce una disciplina molto stringente prevedendo nell’art.657:un termine di 60 gg per il deposito di una documentazione non limitata ai certificati delle iscrizioni e delle trascrizioni e all’estratto del catasto ma estesa anche alle mappe censuarie e al certificato di destinazione urbanistica. Quindi si richiedevano tutta una serie di documenti da depositare entro 60 gg senza nessuna possibilità di proroga a pena di estinzione del processo esecutivo. Si passava così da un eccesso all’altro e cioè, dalla non necessità di depositare una determinata documentazione senza la sanzione dell’estinzione alla previsione di un termine di 60 gg per il deposito di una documentazione particolarmente ricca perché comprensiva anche delle mappe censuarie e del certificato di destinazione urbanistica. Vi erano problemi grossi di legittimità costituzionale e problemi legati al fatto che gli uffici che dovevano rilasciare queste documentazioni non erano spesso in grado di farlo con questa tempistica. Inoltre la possibilità di sostituire tale documentazione con il certificato notarile non era estesa a tutti documenti previsti dalla norma: ecco il motivo per il quale viene sollevata questa questione di legittimità costituzionale.

La Corte costituzionale accoglie questa questione. In particolare la Corte Costituzionale accoglie l’impostazione dottrinale che ritiene necessario distinguere, avuto riguardo per tutta la documentazione richiesta, tra quella effettivamente funzionale,indispensabile per disporre la vendita e quella che non è tale. Tale dottrina, che ha ricevuto l’avallo della Consulta con la sentenza n.379/2005,riteneva che non fossero indispensabili le mappe censuarie e il certificato di destinazione urbanistica. Con tale operazione della dottrina e della Corte costituzionale si circoscrive la portata dell’estinzione perché si dice che anche se è vero che si deve depositare tutta questa documentazione ma a pena di estinzione del processo esecutivo ed entro 60 gg io non devo depositare anche le mappe censuarie ed il certificato di destinazione

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urbanistica. Tale soluzione non fu ritenuta soddisfacente dal legislatore delle più recenti riforme e questo è il motivo fondamentale per cui l’attuale testo dell’art.567 è un testo che :

allunga il termine .Non è un caso che oggi il termine è di 120 gg;

Inoltre si prevede la possibilità di proroga del termine di 120 gg da parte del giudice.

Peraltro vengono espunte dal contenuto della norma le mappe censuarie e il certificato di destinazione urbanistica. Ciò in quanto mentre la richiesta di certificati delle iscrizioni e delle trascrizioni relative all’immobile pignorato è funzionale alla vendita perché io devo verificare se nel ventennio vi è una trascrizione pregiudizievole ,per le altre certificazioni la sanzione dell’estinzione era eccessiva. Quindi l’estinzione era limitata soltanto a parte della documentazione originariamente prevista dal 567.

Inoltre si prevede anche non subito l’estinzione della procedura esecutiva . Infatti la norma era formulata con maggiore attenzione in quanto ci si era posto il problema che magari di più beni pignorati la documentazione mancava con riferimento ad alcuni beni e non con riferimento ad altri ed in tal caso dichiarare l’estinzione del processo esecutivo era un po’ d’opera perché per alcuni beni la procedura esecutiva magari rimaneva in piedi. Ecco il motivo per il quale se adesso leggete la norma vedete come il giudice dichiara l'inefficacia del pignoramento relativamente all'immobile per il quale non e' stata depositata la prescritta documentazione. Il giudice dichiara altresì l'estinzione del processo esecutivo se non vi sono altri beni pignorati. Quindi la sanzione è l’inefficacia soltanto del pignoramento per i beni in relazione ai quali non vi è la documentazione ,non è stata depositata nei termini oppure non è stata richiesta la proroga oppure è stata

richiesta la proroga ma non è stato rispettato il termine fissato con la proroga. Se poi non ci sono altri beni immobili cade tutta la procedura esecutiva altrimenti il processo esecutivo non si estingue e si avrà un processo esecutivo che avrà ad oggetto solo i beni in relazione ai quali si ha la documentazione.

Quindi il legislatore delle più recenti riforme ha di nuovo modificato l’art.567 che aveva già subito modifiche con la legge n. 302/1998.

In particolare il legislatore delle più recenti riforme incide :

a) su un termine più lungo;

b) sulla possibilità di proroga;

c) sulla riduzione della tipologia di documentazione che deve essere depositata a pena inefficacia del pignoramento/estinzione del processo esecutivo;

d) sulla migliore specificazione della sanzione prevista che è quella dell’inefficacia del pignoramento e solo eventualmente dell’estinzione del processo esecutivo (ecco trovata un’ipotesi di inefficacia del pignoramento!).

Sulla base di questa istanza di vendita corredata di tutta questa documentazione, se è rispettata la previsione di cui al’art.567, il giudice dovrà provvedere e fissare questa prima udienza. Qui la norma di riferimento è la norma di cui all’art.569. tuttavia per comprendere la portata di tale norma è necessario tener presenti quegli ulteriori commi sulla figura dell’esperto e la disposizione di cui al’art.568 rubricato “Determinazione del valore dell’immobile”.

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Art. 569. Provvedimento per l'autorizzazione della venditaA seguito dell'istanza di cui all'articolo 567 il giudice dell'esecuzione, entro trenta giorni dal deposito della documentazione di cui al secondo comma dell'articolo 567, nomina l'esperto convocandolo davanti a se' per prestare il giuramento e fissa l'udienza per la comparizione delle parti e dei creditori di cui all'articolo 498 che non siano intervenuti. Tra la data del provvedimento e la data fissata per l'udienza non possono decorrere più di centoventi giorni.All'udienza le parti possono fare osservazioni circa il tempo e le modalità della vendita, e debbono proporre, a pena di decadenza, le opposizioni agli atti esecutivi, se non sono gia' decadute dal diritto di proporle.

Se ora andiamo a leggere gli ultimi commi dell’art.173 bis disp. att. vediamo che:

“L'esperto, prima di ogni attività, controlla la completezza dei documenti di cui all'articolo 567, secondo comma, del codice, segnalando immediatamente al giudice quelli mancanti o inidonei.”

Quindi il giudice nel 569 dovrà fissare l’udienza ma prima ancora di fissare l’udienza nomina l’esperto e tutte le attività relative alle funzioni svolte dall’esperto si svolgono prima che si arrivi alla prima udienza . Anche in tal caso il legislatore ha fatto tesoro dell’esperienza delle prassi virtuose che esistevano presso i tribunali:si tenne conto delle storture cui portava la dimensione originaria del codice. Perché che cosa succedeva?

Istanza di vendita-fissazione dell’udienza e alla prima udienza la prima attività che veniva fatta era di far giurare l’esperto(il cd.ctu) ed effettuare la relazione. A questo punto era necessario rinviare il

processo ad una successiva udienza per il deposito della perizia e si perdeva del tempo.

Quindi la logica ora è che fisso l’udienza ma la fisso in un lasso temporale tale per cui nel frattempo nomino l’esperto che depositerà la perizia. Pertanto quando si arriva alla prima udienza già abbiamo effettuato tutte quelle operazioni legate all’attività dell’esperto. Ecco il motivo per il quale entro 30 gg dal deposito della documentazione nomino l’esperto lo faccio giurare.

L’esperto prima di ogni attività controlla la completezza dei documenti di cui al 567 segnalando immediatamente al giudice quelli mancanti o inidonei.

L'esperto, terminata la relazione, ne invia copia ai creditori procedenti o intervenuti e al debitore, anche se non costituito, almeno quarantacinque giorni prima dell'udienza fissata ai sensi dell'articolo 569 del codice,a mezzo di posta ordinaria o elettronica. Quindi almeno 45 gg prima del’udienza l’esperto deve inviare questa relazione a mezzo di posta ordinaria o di posta elettronica. Perché deve inviare questa relazione? Perché le parti possono depositare all'udienza note alla relazione purché abbiano provveduto, almeno quindici giorni prima, ad inviare le predette note al perito, secondo le modalità fissate al terzo comma; in tale caso l'esperto interviene all'udienza per rendere i chiarimenti.

Quindi 45 gg prima dell’udienza io perito devo inviare la relazione,mentre se le parti vogliono fare delle osservazioni 15 gg prima devono comunicare delle note al perito che poi depositano all’udienza;in tal caso l’esperto interviene all’udienza per rendere i chiarimenti. Ecco trovato il modo per il quale non abbiamo bisogno di udienza intermedia in quanto arriviamo alla prima udienza quando abbiamo già svolto tutte

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le attività legate alla perizia e non dobbiamo neanche rinviare l’udienza per convocare il perito a rendere dei chiarimenti.

Quindi ai sensi dell’art.569 il giudice deve prima preoccuparsi di nominare l’esperto con questi termini assicurando che si possa svolgere tutta questa fase preliminare rispetto alla prima udienza e poi analogamente alle norme in tema di espropriazione mobiliare il 569 vi dice cosa succede a questa prima udienza, cosa possono fare le parti e cosa può fare il giudice.

“All'udienza le parti possono fare osservazioni circa il tempo e le modalità della vendita, e debbono proporre, a pena di decadenza, le opposizioni agli atti esecutivi, se non sono già decadute dal diritto di proporle. Se non vi sono opposizioni o se su di esse si raggiunge l'accordo delle parti comparse, il giudice dispone con ordinanza la vendita, fissando un termine non inferiore a novanta giorni, e non superiore a centoventi, entro il quale possono essere proposte offerte d'acquisto ai sensi dell'articolo 571 (disposizione relativa alla vendita senza incanto). Il giudice con la medesima ordinanza stabilisce le modalità con cui deve essere prestata la cauzione, fissa, al giorno successivo alla scadenza del termine, l'udienza per la deliberazione sull'offerta e per la gara tra gli offerenti di cui all'articolo 573 e provvede ai sensi dell'articolo 576, per il caso in cui non siano proposte offerte d'acquisto entro il termine stabilito, ovvero per il caso in cui le stesse non siano efficaci ai sensi dell'articolo 571, ovvero per il caso in cui si verifichi una delle circostanze previste dall'articolo 572, terzo comma, ovvero per il caso, infine, in cui la vendita senza incanto non abbia luogo per qualsiasi altra ragione.Con la stessa ordinanza, il giudice può stabilire che il versamento della cauzione, la presentazione delle offerte, lo svolgimento della gara tra gli offerenti e, nei casi previsti, l'incanto, nonché il pagamento del prezzo, siano effettuati con modalità telematiche.

Se vi sono opposizioni il tribunale le decide con sentenza e quindi il giudice dell'esecuzione dispone la vendita con ordinanza.Con la medesima ordinanza il giudice fissa il termine entro il quale essa deve essere notificata, a cura del creditore che ha chiesto la vendita o di un altro autorizzato, ai creditori di cui all'articolo 498 che non sono comparsi.”

La logica qual è? Al di là della fase preliminare deputata allo svolgimento di tutte le attività connesse alla nomina dell’esperto io giudice devo poi vedere anzitutto se le parti hanno da fare una serie di rilievi,osservazioni sulla vendita ovvero se hanno da proporre delle opposizioni.

Se hanno da proporre delle opposizioni il tribunale le decide con sentenza e quindi dice il giudice dell’esecuzione dispone la vendita con ordinanza.

Se invece non sono proposte opposizioni o invece si raggiunge l’accordo il giudice può disporre subito la vendita e deve fare ai sensi del nuovo 569 quello che si chiama il programma della vendita.

Per effetto della riforma la novità assoluta è che i giudice non può più scegliere fra due diverse modalità di vendita (vendita con incanto e vendita senza incanto), ma deve necessariamente passare prima per la vendita senza incanto e poi per la vendita con incanto.

Si è creata una sequenza necessitata:vendita senza incanto e per le ipotesi,previste dal codice, in cui la vendita senza incanto non si concluda con l’aggiudicazione definitiva del bene si dovrà ricorrere alla vendita con incanto. Questo meccanismo è stato criticato da una parte della dottrina perché si dice che disincentiva la dinamica della vendita.

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Nonostante la lettera della norma parte della dottrina dice che il giudice potrebbe fare il programma della vendita senza incanto e poi in un secondo momento integrarlo con la vendita con incanto. Però la scelta del codice è di passare necessariamente per la vendita senza incanto e poi passaggio per la vendita con incanto.

VENDITA SENZA INCANTO

Per quale motivo la scelta del legislatore è stata nel senso di favorire la vendita senza incanto? Cioè, di non mettere più sullo stesso piano la vendita con incanto e la vendita senza incanto?

Perché si era fatta leva soprattutto sulla vendita senza incanto per una serie di benefici che la vendita senza incanto ha rispetto alla vendita con incanto. In particolare, la irrevocabilità delle offerte nella vendita senza incanto e poi lo stimolo che la vendita senza incanto dà alla parte ad offrire subito la massima somma che vuole offrire e, ancora, perché la vendita con incanto si prestava al grosso problema delle cd. turbative d’asta.

Qual è la differenza fondamentale tra vendita con incanto e vendita senza incanto?

I tratti essenziali sono: la vendita senza incanto è una vendita che avviene con la formulazione di offerte irrevocabili in busta chiusa che si depositano in cancelleria o, eventualmente, presso l’ufficio del delegato alle operazioni di vendita. È chiaro che, a questo punto, non sapendo quanto offriranno gli altri soggetti, io sono portato a mettere in busta direttamente l’offerta massima cui voglio arrivare. È chiaro che ognuno voglia aggiudicarsi il bene immobile o il bene mobile al prezzo più basso possibile, però se corro il rischio che un altro faccia un’offerta più alta, rischio di perdere quel bene. La vendita all’incanto è un incanto,

dove si vendono all’asta determinati beni. Nella vendita all’asta c’è una pluralità di persone che si trovano in un unico contesto temporale, nel caso di specie presso il tribunale, che in un determinato giorno aspettano delle offerte al rialzo, finché ci sarà un soggetto che effettua un’offerta più alta e si aggiudica, in via provvisoria, all’incanto quel determinato bene.

Questi sono i motivi fondamentali che hanno portato il legislatore a preferire la vendita senza incanto, perché si evita il problema delle turbative d’asta in quanto ognuno offre in cancelleria in busta chiusa. Mentre, invece, sapendo prima la data in cui si sarebbero dovuti recare in tribunale determinati soggetti per offrire, poteva capitare che alcuni soggetti potessero essere scoraggiati dal partecipare a quella determinata asta e dall’offrire in quel determinato giorno. Fenomeno ancor più delicato quando si è iniziato a delegare l’operazione di vendita, perché queste pressioni non c’era neanche necessità di andare a farle in tribunale, ma si potevano fare presso gli studi professionali, per cui era una situazione alquanto delicata. Quindi, la vendita con incanto presentava una serie di inconvenienti. Non è che è stata eliminata, ma le è stata preferita la vendita senza incanto.

I riferimenti normativi: la vendita senza incanto è disciplinata dagli artt. 570 ss e la vendita con incanto dagli artt.576 ss; sono anche speculari, quindi mettendoli a raffronto si colgono anche le differenze.

Immaginiamo che il giudice deve passare alla vendita senza incanto, cosa fa? Nell’ordinanza ex art 569 predetermina questo iter e fissa una serie di date; a questo punto si parte con la vendita senza incanto.

Art 570 “Dell’ordine di vendita è dato al cancelliere, a norma dell’art 490 (la pubblicità), pubblico avviso contenente l’indicazione degli estremi previsti nell’art 555 (pignoramento), del valore dell’immobile

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determinato a norma dell’art 568, del sito Internet sul quale e pubblicata la relativa relazione di stima, del nome e del recapito telefonico del custode nominato in sostituzione del debitore, con l’avvertimento che maggiori informazioni anche relative alle generalità del debitore, possono essere fornite dalla cancelleria del tribunale a chiunque vi abbia interesse.”

Quindi, innanzitutto l’avviso di vendita: si vende il seguente bene immobile con tutta una serie di indicazioni corredato alla pubblicità, perché io devo raggiungere i terzi; devo far sapere ai terzi se si vende un bene immobile con determinate caratteristiche. Quindi, pubblico, ex art 490, l’avviso, ma non solo l’avviso, bensì anche la relazione di stima; perché si è potenziata la pubblicità, non solo sotto il profilo dei mezzi di pubblicità ma anche sotto il profilo dei contenuti. Quindi, si parte con la possibilità dei terzi di formulare delle offerte: i terzi sono stati raggiunti dalla pubblicità, hanno visto che si vende un immobile che ha una serie di caratteristiche, vedendo anche tramite Internet dalla relazione dell’esperto quali sono le caratteristiche dell’immobile ( e, ormai, nella logica della valorizzazione dell’istituto della custodia, possono anche accedere all’immobile, possono visionare l’immobile, perché questo custode è il loro referente anche per avere tutta una serie di informazioni sull’immobile per poterlo visionare ).

Art 571 “Ognuno, tranne il debitore, è ammesso a offrire per l’acquisto dell’immobile pignorato personalmente o a mezzo di procuratore legale anche a norma dell’art 579, ultimo comma. L’offerente deve presentare nella cancelleria dichiarazione contenente l’indicazione del prezzo, del tempo e modo del pagamento e ogni altro elemento utile alla valutazione dell’offerta.

L’offerta non è efficace se perviene oltre il termine stabilito ai sensi dell’articolo 569, terzo comma, se è inferiore al prezzo determinato a

norma dell’articolo 568 o se l’offerente non presta cauzione, con le modalità stabilite nell’ordinanza di vendita, in misura non inferiore al decimo del prezzo da lui proposto.”

Io, in busta chiusa, preparo la mia offerta e dico: “per acquistare quest’immobile, io offro la somma X”. Questo non è sufficiente perché, oltre ad indicare la somma, dice “del tempo e del modo di pagamento e di ogni altro elemento utile alla valutazione dell’offerta”. Questo è importante perché la valutazione del giudice molto spesso non è una valutazione semplicissima, nel senso che non dovete pensare solo all’ipotesi semplice in cui Tizio offre 100, Sempronio offre 110, è chiaro che preferisco 110. Molte volte entrano in gioco anche le modalità di pagamento: io metto 100 ma le pago subito, un altro offre 110 ma con modalità di pagamento dilazionate nel tempo; qui il giudice che deve preferire: 100 subito o 110 dilazionati nel tempo? Questo significa dover indicare nell’offerta anche il tempo, il modo di pagamento e ogni altro elemento utile ai fini della valutazione dell’offerta.

Io devo depositare in busta chiusa quest’offerta entro il termine previsto dal 569 e per una somma non inferiore al valore determinato ex 568, perché altrimenti l’offerta non è efficace, non viene proprio prese in considerazione. Devo anche depositare la cauzione, che è un altro istituto sul quale le più recenti riforme hanno inciso in modo significativo, per fare in modo che il soggetto partecipi alla vendita solo quando seriamente vuole acquistare; quindi, per disincentivare delle partecipazioni alla vendita senza un serio interesse ad acquistare l’immobile. Quindi, si è previsto che debba essere depositata una cauzione in misura non inferiore al decimo del prezzo da lui proposto e, al contempo, si è previsto che se il soggetto, senza giustificato motivo, non partecipa alla fase della vendita, può perdere questa cauzione.

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L’offerta è irrevocabile: uno dei dati favorevoli della vendita senza incanto è l’irrevocabilità dell’offerta, salvo che il giudice ordini l’incanto (perché, a questo punto, se si passa all’incanto si va col regime dell’incanto), siano decorsi 120 giorni dalla sua presentazioni ed essa non sia stata accolta. Quindi, va bene l’irrevocabilità dell’offerta ma per un lasso di tempo predeterminato dal legislatore in 120 giorni, perché altrimenti se ho fatto un’offerta a delle determinate somme, devo tenere ferme quelle somme, se irrevocabile è l’offerta.

“L’offerta deve essere depositata in busta chiusa all’esterno della quale sono annotati, a cura del cancelliere ricevente, il nome, previa identificazione di chi materialmente provvede al deposito.” Quindi, non il nome di chi offre, ma il nome di chi provvede al deposito. Quindi, in busta chiusa, viene assicurata anche l’anonimato di chi offre.

“Il nome del giudice dell’esecuzione o del professionista delegato ai sensi dell’articolo 591bis e la data dell’udienza fissata per l’esame dell’offerta.”

Se l’espropriazione non è delegata, non ho necessità di indicare altro; se, invece, l’espropriazione è delegata devo anche indicare sulla busta il nome del delegato alle operazioni di vendita e devo anche indicare la data dell’udienza fissata per l’esame. Quindi, immaginate una serie di buste chiuse, dove è indicato il nominativo del soggetto che ha depositato quell’offerta e, se del caso, il nominativo del delegato e l’udienza alla quale è stata rinviata quella procedura esecutiva ex 569.

“Se è stabilito che la cauzione è da versare mediante assegno circolare, lo stesso deve essere inserito nella busta. Le buste sono aperte all’udienza fissata per l’esame delle offerte alla presenza degli offerenti.”

Ognuno offre in busta chiusa, l’udienza è fissata ex 569, vengono aperte tutte le buste in presenza dei vari offerenti per vedere chi ha offerto di più o quanto hanno offerto.

Art 572 “Sull’offerta il giudice dell’esecuzione sente le parti e i creditori iscritti non intervenuti. Se l’offerta è superiore al valore dell’immobile determinato a norma dell’articolo 568, aumentato di un quinto, la stessa è senz’altro accolta.”

In questo caso, quindi, non c’è nessun margine discrezionale per il giudice. Egli non ha nulla da valutare, non ha da avere l’assenso da parte dei creditori, perché ci troviamo dinanzi ad un’offerta particolarmente alta. Perché, rispetto al prezzo determinato ex 568, è aumentato di un quinto. Quindi, l’accoglie senza nessuna valutazione discrezionale su questo tipo di offerta.

“Se l’offerta è inferiore a tale valore, il giudice non può far luogo alla vendita se vi è il dissenso del creditore procedente, ovvero se il giudice ritiene che vi è seria possibilità di migliore vendita con il sistema dell’incanto.”

Qui entra in gioco la valutazione del giudice e il parere dei creditori. Cioè, se la somma offerta non è così elevata, allora il giudice non può far luogo alla vendita se vi è il dissenso del creditore procedente, quindi non può accettare quell’offerta se il creditore procedente non è d’accordo; oppure se lui valuta che si può ottenere una somma maggiore provando a vendere con l’incanto, con la vendita all’incanto. Qui subentra la valutazione del giudice.

“In tali casi lo stesso ha senz’altro luogo alle condizioni e con i termini fissati con l’ordinanza pronunciata ai sensi dell’articolo 569.”

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Nessuno offre una somma di un quinto superiore a quella ex 568, il giudice ritiene che con la vendita all’incanto può riuscire ad ottenere una somma maggiore e procede alla vendita con incanto. Con quali termini, con quali modalità? Con quelli che già fissato con l’ordinanza ex 569. Si applicano le disposizioni della vendita con incanto.

Art 573 “Se vi sono più offerte (quindi,bisogna sempre raccordare il 572 col 573: se c’è un’unica offerta o se vi sono più offerte. Se vi sono più offerte, bisogna sempre guardare al 573) il giudice dell’esecuzione invita gli offerenti a una gara sull’offerta più alta”. Vedete la logica del processo: si cerca sempre di ottenere la somma più alta. Quindi, tutti offrono l’offerta in busta chiusa una determinata somma. Se poi ci sono più offerte, invito gli offerenti ad una gara sull’offerta più alta.

“Se la gara non può aver luogo per mancanza di adesione degli offerenti, il giudice può disporre la vendita a favore del maggiore offerente oppure ordinare l’incanto.”

Quindi, c’è sempre quest’ulteriore possibilità.

Art 574 “Il giudice dell’esecuzione, quando fa luogo alla vendita, dispone con decreto il modo del versamento del prezzo e il termine, dalla comunicazione del decreto, entro il quale il versamento deve farsi, e, quando è avvenuto, pronuncia il decreto previsto nell’art. 586.”Quindi, aggiudicazione, versamento del prezzo, emissione del decreto di trasferimento (sequenza procedimentale). Si applica anche a questa forma di vendita l’art 583.

Se il prezzo non è depositato a norma del decreto di cui al primo comma, il giudice applica il 587. Il 587 (la logica non cambia per la vendita con incanto) disciplina l’inadempienza dell’aggiudicatario, bisogna che il codice disciplini e prenda in esame anche l’ipotesi in cui

l’aggiudicatario si aggiudica questo determinato bene in via definitiva, ma poi non versa il credito.

A questo punto: art 587 “Se il prezzo non è depositato nel termine stabilito, il giudice dell’esecuzione con decreto dichiara la decadenza dell’aggiudicatario, pronuncia la perdita della cauzione a titolo di multa e quindi dispone un nuovo incanto.” Si inizia daccapo.

“Per il nuovo incanto si procede a norma degli articoli 576 e seguenti (quindi, si riparte dalla vendita con incanto).

VENDITA CON INCANTO

Ipotesi in cui non si arriva all’aggiudicazione definitiva con la vendita senza incanto e, quindi, il giudice passa alla vendita con incanto.

Art 576 “Il giudice dell’esecuzione, quando ordina l’incanto, stabilisce, sentito quando occorre un esperto:Se la vendita si deve fare in uno o più lotti;Il prezzo base dell’incanto determinato a norma dell’art.568;Il giorno e l’ora dell’incanto;Il termine che deve decorrere tra il compimento delle forme di pubblicità e l’incanto, nonché le eventuali forme di pubblicità straordinaria; L’ammontare della cauzione in misura non superiore al decimo del prezzo base d’asta e il termine entro il quale tale ammontare deve essere prestato dagli offerenti;La misura minima dell’aumento da apportarsi alle offerte;Il termine, non superiore a sessanta giorni dall’aggiudicazione, entro il quale il prezzo deve essere depositato e le modalità del deposito.”

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Questo provvedimento relativo alla vendita con incanto deve essere tarato sulle modalità della vendita con incanto. Ecco il motivo per il quale deve, innanzitutto, stabilire se venderà in uno o più lotti, cioè se nell’udienza fissata in cui si farà l’incanto, l’incanto avrà ad oggetto un solo lotto o, invece, avrà ad oggetto tutti i beni oggetto della procedura esecutiva.

Tutti devono sapere:

-che in quel giorno si troveranno in tribunale per offrire e che il prezzo base da cui si parte è X;

-il termine che deve decorrere tra il compimento delle forme di pubblicità e l’incanto (quindi, dalla pubblicità al giorno in cui si offrirà all’incanto);

-l’ammontare della cauzione che deve essere versata per poter partecipare alla vendita all’incanto;

-la misura minima delle offerte, nel senso che in un incanto si deve determinare di quanto si può andare al rialzo. Perché, altrimenti, uno potrebbe offrire la somma al rialzo di un centesimo. Quindi, il giudice deve indicare qual è il minimum per fare un’offerta in rialzo di incanto;

-il termine, non superiore a sessanta giorni dall’aggiudicazione, entro il quale il prezzo deve essere depositato e le modalità del deposito, in modo tale che uno sa che da questo provvedimento iniziale, il giorno in cui si dovrà recare in tribunale, qual è il prezzo base da cui si parte, come si svolgerà questo incanto a livello di rialzo e con quali modalità ed entro quali termini, se si aggiudica il bene, dovrà versare quel determinato prezzo.

Anche in questo caso, il legislatore precisa che: art 579 “ognuno, eccetto il debitore, è ammesso a fare offerte all’incanto.Le offerte devono essere fatte personalmente o a mezzo di mandatario munito di procura speciale. I procuratori legali possono fare offerte per persone da nominare.”Anche in questo caso deve essere versata una cauzione. Con quali modalità?

Art 580 “Per offrire all’incanto è necessario avere prestato la cauzione a norma dell’ordinanza di cui all’articolo 576.Se l’offerente non diviene aggiudicatario , la cauzione è immediatamente restituita dopo la chiusura dell’incanto, salvo che lo stesso non abbia omesso di partecipare al medesimo, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, senza documentato e giustificato motivo.” Qui si vuole la serietà nel momento in cui uno dice di voler partecipare all’incanto, che poi partecipi effettivamente alla vendita all’incanto. Questo è un problema peculiare della vendita all’incanto. Ecco perché si è previsto che se, senza giustificato motivo, poi tu non partecipi alla vendita con incanto, perdi la cauzione.“In tale caso la cauzione è restituita solo nella misura dei nove decimi dell’intero e le restante parte è trattenuta come somma rinveniente a tutti gli effetti dall’esecuzione.”

Parte della cauzione è trattenuta come somma a tutti gli effetti rinveniente nell’esecuzione.

Si arriva poi a quest’udienza di incanto: art 581 “L’incanto ha luogo davanti al giudice dell’esecuzione, nella sala delle udienze pubbliche.Le offerte non sono efficaci se non superano il prezzo base o l’offerta precedente nella misura indicata nelle condizioni di vendita.

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Quindi, le offerte devono essere superiori al prezzo del 578, ma non sono efficaci neanche se non rispettano quella misura che ha predeterminato il giudice ex 576.

“Allorché siano trascorsi tre minuti dall’ultima offerta senza che ne segua un’altra maggiore, l’immobile è aggiudicato all’ultimo offerente.”

Ognuno fa l’offerta, dopo tre minuti quell’offerta diventa definitiva; immaginate una vendita all’asta: la vendita all’incanto è una vendita all’asta. Entro tre minuti, ognuno può offrire al rialzo; se non offre, l’ultima offerta diventa quella definitiva, dell’aggiudicatario che si aggiudica il bene. Ma il soggetto che si aggiudica il bene diventa un aggiudicatario provvisorio, perché da sempre la vendita all’incanto è caratterizzata da una fase ulteriore, la cd fase di aumento. Una volta si chiamava aumento di sesto, ora si chiama aumento di quinto, perché la riforma ha modificato l’art 584, modificando proprio l’importo minimo di questi effetti in aumento. Cosa prevede qui il legislatore? Prima si fa la vendita all’incanto e si individua un aggiudicatario provvisorio.

Art 584“ Avvenuto l’incanto, possono essere fatte ancora delle offerte di acquisto entro il termini perentorio di 10 giorni,” (ecco perché quello è un aggiudicatario provvisorio e non definitivo)ma esse non sono efficaci se il prezzo offerto non supera di un quinto quello raggiunto dall’incanto.” Quindi all’incanto segue la fase di aumento di quinto.

Entro 10 giorni, dopo l’incanto, ognuno può offrire per cercare di aggiudicarsi l’immobile, purché faccia un’offerta superiore di un quinto a quello sulla base del quale il soggetto si è aggiudicato, in sede di incanto, quel determinato immobile.

“Le offerte di cui al primo comma si fanno mediante deposito in cancelleria nelle forme di cui all’art.571, prestando cauzione per una somma pari al doppio della cauzione versata ai sensi dell’articolo 580.Il giudice, verificata la regolarità delle offerte, indice la gara, della quale il cancelliere dà pubblico avviso a norma dell’articolo 570 e comunicazione all’aggiudicatario, fissando il termine perentorio entro il quale possono essere fatte ulteriori offerte a norma del secondo comma.”Quali sono i soggetti legittimati a partecipare alla fase di aumento? Al fine di sciogliere i dubbi, l’articolo dice:“Alla gara possono partecipare, oltre gli offerenti in aumento di cui ai commi precedenti e l’aggiudicatario, anche gli offerenti al precedente incanto che, entro il termine fissato dal giudice, abbiano integrato la cauzione nella misura di cui al secondo comma.”

Si fa una gara aperta, non una gara chiusa all’aggiudicatario e solo ai soggetti che hanno effettuato un offerta in aumento di prezzo, ma si apre la gara anche ai precedenti offerenti della fase dell’incanto, perché questi oggetti potrebbero sempre in questa sede offrire una somma nella logica di arrivare alla somma più alta possibile per la procedura esecutiva. Non è da escludersi, quindi, che un soggetto che in sede di incanto non aveva fatto un’offerta così alta, non è detto che, in sede di aumento, non faccia lui l’offerta più alta e si aggiudichi il bene.

“Se nessuno degli offerenti in aumento partecipa alla gara indetta a norma del terzo comma, l’aggiudicazione diventa definitiva (qui l’aggiudicazione diventa definitiva), ed il giudice pronuncia a carico degli offerenti di cui al primo comma, salvo che ricorra un documentato e giustificati motivo, la perdita della cauzione, il cui importo è trattenuto come rinveniente a tutti gli effetti dall’esecuzione.”

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Quindi, vendita senza incanto con possibilità che non si abbia una vendita con incanto, o vendita senza incanto che sia seguita da una vendita con incanto. La vendita con incanto è un iter procedimentale complesso, perché passa per un primo incanto e per una fase di aumento; quindi passa, inevitabilmente, per un’aggiudicazione provvisoria e per un’aggiudicazione definitiva.

Questo iter procedimentale della vendita è complesso: parte dall’istanza di vendita, passa per l’ordinanza ex 569, per la vendita senza incanto, eventualmente per la vendita con incanto e, dunque, per un’aggiudicazione provvisoria e per un’aggiudicazione definitiva; quando siamo arrivati all’aggiudicazione definitiva, c’è la necessità di regolamentare il versamento del prezzo e, alla fine, si arriva al momento conclusivo di questo sub-procedimento di vendita che è segnato dall’emissione del decreto di trasferimento.

Art 585 “L’aggiudicatario deve versare il prezzo nel termine nel modo fissati dall’ordinanza che dispone la vendita a norma dell’articolo 576, e consegnare al cancelliere il documento comprovante l’avvenuto versamento.”

L’ultimo comma è molto significativo perché anch’esso è stato introdotto dalle più recenti riforme:

“Se il versamento del prezzo avviene con l’erogazione a seguito di contratto di finanziamento che preveda il versamento diretto della somme erogate in favore della procedura e la garanzia ipotecaria di primo grado sul medesimo immobile oggetto di vendita, nel decreto di trasferimento deve essere indicato tale atto ed il conservatore dei registri immobiliari non può eseguire la trascrizione del decreto se non unitamente all’iscrizione dell’ipoteca concessa dalla parte finanziata.”

Si vuole, in qualche modo, che le banche che hanno concesso il finanziamento siano immediatamente garantite con l’iscrizione ipotecaria. Nella logica del funzionamento del processo esecutivo, c’è anche la logica di spingere le banche a concedere questi finanziamenti, perché se un soggetto non ottiene il finanziamento non è un potenziale acquirente. Quindi, le banche concedono finanziamenti se io riesco a creare un meccanismo di garanzia pieno, in modo tale che, nel momento che consento alla banca di poter immediatamente iscrivere un’ipoteca sull’immobile a garanzia delle somme che ho dato all’aggiudicatario. Perché , altrimenti, ci sarebbe il rischio che questo aggiudicatario si fa dare le somme dalla banca, si aggiudica il bene immobile e potrebbe alienarlo prima che la banca possa iscrivere l’ipoteca e, quindi, la banca potrebbe essere pregiudicata. Il legislatore ha cercato di individuare un meccanismo che consenta alle banche di essere garantite: di concedere il finanziamento, di avere subito l’iscrizione dell’ipoteca, in modo tale che, se le banche concedono i finanziamenti, ci sono dei terzi acquirenti, più i potenziali terzi acquirenti e la vendita forzata può, con maggiore possibilità, ottenere un maggior risultato.

Quindi è un iter estremamente complesso quello del procedimento di vendita che va dall’istanza di vendita alla emissione del decreto di trasferimento e che passa per una serie di fasi, rappresentate dall’ordinanza ex 569 e dalla vendita in senso stretto, senza incanto e con incanto, all’aggiudicazione provvisoria, all’aggiudicazione definitiva, al pagamento del prezzo e all’emissione del decreto di trasferimento.

DELEGA DELLE OPERAZIONI DI VENDITA

L’istituto della delega delle operazioni di vendita è un istituto che ha avuto una significativa evoluzione nel corso del tempo. Questa evoluzione affonda le sue radici nella profonda crisi in cui versava il

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processo di espropriazione forzata già al momento della novella del 1990. La novella del 1990 e’ una delle riforme più significative del processo civile perché ne tocca tantissimi istituti però lascia a desiderare sotto il profilo del processo di esecuzione forzata.

Dal 1990 nasce un movimento che possiamo chiamare di ordine giurisprudenziale, cioè i tentativi da parte di alcuni tribunali di innestare quelle che si chiamano “prassi virtuose”, soprattutto Bologna e Monza, dove sostanzialmente c’e’ tutta una serie di correttivi e andando anche al di là delle previsioni codicistiche si cerca di rendere funzionale questo processo di esecuzione forzata e le più recenti riforme del 2005 e 2006 non fanno che riprendere in buona parte queste prassi virtuose.

Al contempo a cavallo degli anni ’90 anche la dottrina non e’ stata a guardare, in particolare autorevole dottrina, nella specie Proto Pisani, fece una proposta particolarmente significativa e cioè sostanzialmente disse: ma in fondo, per cercare di andare incontro a questa crisi del processo esecutivo, perché non ipotizziamo di delegare le operazioni di vendita ad un notaio.

Vediamo di capire che ragionamento ha fatto questo autore: e’ partito da un dato di fondo cioè la cosiddetta degiurisdizionalizzazione della fase liquidativa del processo. A suo tempo abbiamo visto come nel processo esecutivo non ci siano più dubbi che sia attività giurisdizionale e non amministrativa, anzi la più recente dottrina nell’ambito del processo esecutivo distingue tra giurisdizione in senso stretto e giurisdizione in senso ampio. Cioè un più attento esame del processo esecutivo ha condotto la dottrina a notare come ci siano attività di giurisdizione in senso stretto ossia di ius dicere come nel processo di cognizione e attività di giurisdizione in senso ampio cioè che pur non componendosi di un’attivita’ di ius dicere in senso stretto si inseriscono comunque in

quell’iter procedimentale quindi giurisdizionale di cui si compone il processo di esecuzione forzata.

Ad es. l’attivita’ di vendita e’ un’attività di giurisdizione in senso ampio perché non si traduce in un’attività del giudice di ius dicere, , però si inserisce in quell’iter procedimentale di cui si compone il processo di esecuzione forzata.

Quindi si distingue tra giurisdizione in senso stretto quale momento in cui il giudice esercita effettivamente un potere giurisdizionale in senso proprio e giurisdizione in senso ampio. Ecco la cosiddetta degiurisdizionalizzazione della fase liquidativa della vendita perché in questa logica parte della dottrina ha iniziato ad ipotizzare che non essendo attività di ius dicere in senso stretto non necessariamente la deve fare un giudice. In fondo perché un soggetto diverso dal giudice non potrebbe in qualche modo occuparsi di una parte di questo processo esecutivo in modo da sgravare il giudice dell’ esecuzione di un carico e quindi cercare di velocizzare questa procedura esecutiva perché se non la deve fare il giudice in prima persona, il giudice stesso potrà essere impegnato a fare qualcos’altro ma nel frattempo la procedura esecutiva va avanti perché le operazioni di vendita le svolgerà un altro soggetto.

Quindi parte dalla degiurisdizionalizzazione della attività liquidativa del processo di esecuzione forzata e guarda al notaio e non casualmente ma perché l’art. 68 c.p.c. disciplina gli ausiliari del giudice e tra il primo e il secondo comma introduce un importante distinguo tra ausiliario e sostituto del giudice. Al secondo comma ci dice “il giudice può commettere ad un notaio il compimento di determinati atti nei casi previsti dalla legge”. Quindi si ipotizza in dottrina che il notaio non sia un mero ausiliario del giudice ma possa essere un sostituto perché nel primo comma il giudice si fa aiutare nel compimento di alcune attività da determinati soggetti, nel secondo comma quel “può commettere” ci

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dice che il giudice può farsi sostituire nel compimento di determinati atti.

Combinando insieme la degiurisdizionalizzazione della fase liquidativa della vendita con l’art. 68 l’idea e’ stata: perché non deleghiamo le operazioni di vendita ad un notaio?

In particolare questa dottrina ipotizzava una soluzione più restrittiva e una soluzione più estensiva. Diceva la soluzione più restrittiva: deleghiamogli solo le operazioni di vendita in senso stretto, oppure diceva estensivamente: in fondo possiamo benissimo ipotizzare di delegare al notaio anche l’acquisizione della documentazione ex art. 567, la determinazione del valore dell’immobile ex art. 568 con l’ausilio dell’esperto e anche la determinazione di buona parte se non di tutto il contenuto del bando dell’avviso di cui al 576. Quindi questa dottrina diceva: degiurisdizionalizzazione, guardiamo al notaio e delega delle operazioni di vendita.

Quale vendita? La vendita con incanto, perché la vendita senza incanto ha alcuni momenti dove una valutazione del giudice, anche delicata, subentra. Ma la vendita con incanto in senso stretto non ci crea alcun problema di questo tipo.

Reazioni della dottrina e della giurisprudenza, qualcuno disse: operazione impossibile!Non possiamo immaginare di delegare parte dell’attività espropriativa sostanzialmente ad un soggetto, questo creerebbe una serie di problematiche.

Altra parte della dottrina fu invece più aperta a questo tipo di soluzione e iniziò a ragionare sulla percorribilità di questa ipotesi pur facendo presente come c’erano una serie di difficoltà, su tutte, come disciplinare i rapporti tra notaio e giudice? Cioè quando il notaio incontra una

difficoltà se la risolve lui? Oppure si deve fermare automaticamente e deve chiedere al giudice?

I provvedimenti del notaio sono impugnabili? Se si, con quali strumenti? Con l’opposizione agli atti esecutivi? Quella del giudice?

Due logiche diverse, di chiusura o di apertura sia pur in termini problematici.

La giurisprudenza che fa? Parte della giurisprudenza recepisce questa indicazione dottrinale e inizia a delegare.

Dunque la delega delle operazioni di vendita nasce non con la legge 302 /1998, che sarà la normativa che la introdurrà per la prima volta, ma per la prima volta in sede giurisprudenziale perché alcuni tribunali e in particolare quello di Prato, Lucca e Livorno iniziano a delegare sistematicamente al notaio il compimento delle operazioni della vendita con incanto in sede di espropriazione immobiliare.

La proposta di Proto Pisani era una proposta de iure condito e de iure condendo. Lui disse: già abbiamo delle norme tipo l’art. 68 e un bagaglio dottrinale tipo la degiurisdizionalizzazione della funzione liquidativa che ci consente già da adesso di andare in questo senso. Bene sarebbe che de iure condendo noi disciplinassimo questa ipotesi.

Parte della giurisprudenza recepisce questa indicazione e inizia a delegare. Ben presto (relativamente) anche il legislatore con la legge 302 nel 1998 recepisce questo tipo di idea e introduce per la prima volta nel nostro ordinamento la delega delle operazioni di vendita.

In quale misura viene introdotta questa delega?

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Anzitutto, sia per la espropriazione mobiliare che per la espropriazione immobiliare, le norme sono l’art. 534 bis per i beni mobili iscritti nei pubblici registri e l’art. 591 bis per i beni immobili. Secondo passaggio: a chi si rivolge la delega? e quale tipo di vendita prende in rilievo? Solo la vendita con incanto e solo il notaio.

Quindi come era stato originariamente proposto da proto pisani e così come facevano quei tribunali prima indicati, si delegano solo le operazioni di vendita con incanto, solo ed esclusivamente al notaio tanto per l’espropriazione dei beni mobili registrati che per i beni immobili.

Che tipo di soluzione sceglie il legislatore? Il legislatore a livello di attività delegabili va al di là di quella che era la proposta più ampia di Proto Pisani perché sostanzialmente, ex vecchio art. 591 bis, consente di delegare al professionista delegato anche una serie di attività come:la predisposizione del decreto di trasferimento, le attività di registrazione, trascrizione ecc….

“il giudice dell’esecuzione con l’ordinanza con la quale provvede sull’istanza di vendita ex 569…” quindi quell’ordinanza ex art. 569 può diventare anche la sede ove si delega ad un professionista, al notaio nella specie, il compimento delle operazioni di vendita. “… può sentiti gli interessati, delegare ad un notaio avente sede nel circondario il compimento delle operazioni di vendita con incanto, di cui agli articoli 576 e seguenti”. Quindi, solo vendita con incanto, solo notaio, in sede di ordinanza ex 569.

Ma cosa si può delegare al notaio? “… il notaio delegato provvede:

1)alla determinazione del valore dell’immobile a norma dell’art. 568 terzo comma, anche tramite l’ausilio di un esperto nominato dal

giudice”, quindi il giudice nomina l’esperto che fa da ausiliare al delegato, al notaio.

2) ad autorizzare l’assunzione dei debiti da parte dell’aggiudicatario o dell’assegnatario a norma del 508;

3) sulle offerte dopo l’incanto a norma del 584 e sul versamento del prezzo nella ipotesi di cui al 585;

4) alla fissazione degli ulteriori incanti o sull’istanza di assegnazione ai sensi del 587,590,591;

5) alla esecuzione delle formalità di registrazione, trascrizione e voltura catastale del decreto di trasferimento, alla comunicazione dello stesso a pubbliche amministrazioni, all’espletamento delle formalità di cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie” quindi tutte le attività legate alle trascrizione, volturazione del decreto di trasferimento e anche alle cancellazioni. In fondo chi meglio del notaio può occuparsi di questo tipo di attività?

6) a ricevere o autenticare la dichiarazione di nomina di cui al 583;

7) alla formazione del progetto di distribuzione (questo non era stato neanche ipotizzato dalla dottrina) ed alla sua trasmissione al giudice dell’ esecuzione che, dopo avervi apportato le eventuali variazioni, provvede ai sensi del 596”. Quindi predispone il progetto di distribuzione, lo manda al giudice dell’esecuzione ma la parola definitiva sul progetto di distribuzione spetta comunque al giudice dell’esecuzione, e’ lui che lo approva. “… in caso di delega al notaio delle operazioni di vendita con incanto, il notaio provvede alla redazione dell’avviso avente il contenuto di cui all’art. 576 primo comma, alla sua notificazione ai creditori di cui all’art. 498 non

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intervenuti, nonché a tutti gli altri adempimenti previsti dagli articoli 576 e seguenti. Il notaio provvede altresì alla redazione del verbale d’incanto. avvenuto il versamento del prezzo ai sensi degli articoli 585 e 590 terzo comma, il notaio predispone il decreto di trasferimento e trasmette senza indugio al giudice dell’esecuzione il fascicolo”.

Il legislatore risponde anche ad un’altra domanda della dottrina: come vengono disciplinati i rapporti tra il notaio delegato e il giudice dell’esecuzione?

Il notaio delegato può risolvere autonomamente le difficoltà o invece deve sempre arrestarsi e chiedere al giudice? e se può risolvere le difficoltà, o comunque dovendo adottare degli atti che a questo punto entrano nel processo esecutivo, gli atti del notaio sono impugnabili con che cosa? con i rimedi che noi conosciamo per i provvedimenti del giudice, quindi con l’opposizione agli atti esecutivi fondamentalmente?

Il legislatore introduce una norma ad hoc l’art 591 ter che e’ rimasto praticamente invariato dopo la riforma del 2005-2006.

Tale originario articolo dice: “quando, nel corso delle operazioni di vendita con incanto insorgono difficoltà, il notaio delegato può rivolgersi al giudice dell’esecuzione”.

Quando insorgono difficoltà può rivolgersi al giudice. Che significa?

Prima scelta di campo: il notaio e’ abilitato a risolvere da solo le difficoltà che insorgono nel corso della procedura esecutiva, ma se ritiene, può rivolgersi al giudice. Quindi a questo punto diventa una valutazione delicata che deve fare il notaio e va individuato un criterio che stabilisca in quali ipotesi e’ opportuno che risolva lui le difficoltà e in quali ipotesi e’ opportuno che si rivolga al giudice.

La scelta del legislatore e’ chiara, e’ una scelta sensata. Non si vuole comunque rallentare la procedura esecutiva perché se a fronte di ogni difficoltà il notaio deve rivolgersi al giudice, alla fine questa semplificazione, questo ausilio del notaio nelle operazioni di vendita non e’ poi così efficace. Se ogni volta si deve fermare e chiedere al giudice, tanto vale che se ne occupi direttamente il giudice! Quindi, diamogli il potere di risolvere le difficoltà, però in alcune situazioni più delicate ha la possibilità di far decidere la cosa direttamente al giudice.

Attenzione perché la cosa non e’ indifferente perché la scelta che fa il legislatore nell’introdurre questa norma e’ di non assoggettare gli atti del delegato e gli atti del giudice al medesimo regime di impugnazione, infatti l’art. 591 ter prosegue dicendo “ il quale provvede con decreto”.

Dunque, se il notaio si rivolge al giudice, il giudice con decreto scioglie queste difficoltà. Quindi abbiamo un provvedimento del giudice e il regime e’ quello dei provvedimenti del giudice. Ancora l’art. ci dice: “le parti e gli interessati possono proporre reclamo avverso il predetto decreto nonché avverso gli atti del notaio delegato con ricorso allo stesso giudice, il quale provvede con ordinanza; il ricorso non sospende le operazioni di vendita salvo che il giudice, concorrendo gravi motivi, disponga la sospensione. restano ferme le disposizioni di cui all’art. 617”.

Il legislatore fa qui un doppio passaggio:

1.Introduce come rimedio il reclamo ex art. 591 ter, che è utilizzabile per gli atti posti in essere dal notaio ma anche per il decreto del giudice con il quale risolve le difficoltà del notaio.

Art 591 ter “…il quale provvede con decreto. Le parti e gli interessati possono proporre reclamo avverso il predetto decreto”. Il regime di

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impugnazione del decreto del giudice è il medesimo avverso gli atti del notaio.

2.Attenzione: avverso il reclamo proposto nei confronti degli atti del notaio delegato il giudice provvede con ordinanza e l’articolo prosegue dicendo :“restano ferme le disposizioni di cui al 617”,dunque l’opposizione ex 617.

Questo tipo di riforma apre una serie di problematiche. Si apre il problema dell’inquadramento della figura del notaio delegato nell’ambito di questo processo esecutivo e connesse all’inquadramento/qualificazione della figura del notaio delegato vi sono tutta una serie di problematiche specifiche, che finiscono per essere risolte in un modo o nell’altro.

Per intendersi, la dottrina ha iniziato a dire: come lo qualifichiamo giuridicamente questo notaio? e’ un ausiliario del giudice? e’ un sostituto? Dibattiti: alcuni dicono trattasi di ausiliario del giudice, altri dicono che non e’ ausiliario del giudice perché si diversifica dagli ausiliari del giudice per tutta una serie di motivi, in realtà e’ più vicino a un sostituto ma non e’ un vero e proprio sostituto e qualcuno dice sarebbe un ausiliario sui generis, qualche altro fa il salto e dice no, qui ci troviamo di fronte ad un vero e proprio sostituto del giudice.

Quindi 1° problema: come lo qualifichiamo, ausiliario o sostituto? Problema questo non meramente teorico ma con delle ricadute pratiche molto significative collegate parallelamente all’altro grosso problema che si apre e cioè : ma il notaio quando fa il delegato delle operazioni di vendita continua a fare il notaio o no? il che significa dire, gli si continua ad applicare la legge notarile o no? Questo diventa un problema molto delicato perché se ne hanno conseguenze molto importanti sul piano della responsabilità, se e’ un ausiliario valgono le

norme sulla responsabilità degli ausiliari del giudice, se e’ un notaio dobbiamo far riferimento alla responsabilità professionale perché continua a fare il notaio ed e’ un professionista.

Ancora, se e’ un notaio e si applica la legge notarile dobbiamo immaginare ad es. che così come il notaio può farsi sostituire da un coadiutore per un determinato periodo nell’attività’ notarile così si fa sostituire nella delega delle operazioni di vendita , se invece non fa il notaio la figura del coadiutore non può funzionare.

Ancora, siccome deve redigere il verbale d’incanto, tale verbale e’ un atto processuale o e’ un atto notarile? Perché se e’ un atto processuale viene conservato nel fascicolo d’ufficio come tutti gli atti processuali, se e’ un atto notarile lo deve conservare il notaio, va a raccolta col regime di conservazione degli atti notarili.

Si apre un dibattito che ha un suo interesse teorico perché la qualificazione di questa figura nuova nell’ambito del processo che chiaramente non e’ incasellabile de plano nella figura degli ausiliari del giudice perché alla fine sostanzialmente questi ausiliari del giudice altrimenti finirebbero per perdere di reale significatività a livello di categoria perché andiamo sostanzialmente dal fabbro che fa da ausilio all’ufficiale giudiziario per cambiare la serratura nell’ambito dell’esecuzione forzata fino al notaio che sostituisce il giudice nella delega delle operazioni di vendita. La categoria e’ posta in crisi, però c’e’ comunque chi ancora sostiene che qui ci troviamo dinanzi ad un ausiliario del giudice. Poi lo chiamiamo ausiliario sui generis, lo chiamiamo sostituto, questo potrebbe essere un problema teorico ma stabilire al contempo se e’ un sostituto e se al contempo svolge l’attività notarile ha ricadute importanti.

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Parte della dottrina ritiene che il notaio e’ un sostituto del giudice e nel momento in cui svolge tale attività continua contemporaneamente a svolgere l’attività notarile. Perché? Perché si dice da sempre che nella funzione notarile e’ presente una componente anche lautamente processuale. Siccome qui non viene in rilievo un’attività di giurisdizione in senso stretto non c’e’ nessuna incompatibilità col dire che questo soggetto al contempo svolge un’attività che si inserisce nel processo esecutivo ma continua a svolgere l’attività che e’ propriamente notarile perché non c’e’ nessuna componente di giurisdizione in senso stretto che mi crea un problema.

Quindi, giurisdizione in senso ampio. Il notaio si dice da sempre che svolge anzitutto una funzione anti-processuale perché svolgendo bene la sua attività evita che una serie di situazioni finiscano per sfociare in una controversia giudiziale. In generale nella funzione notarile rientra questa funzione, il compimento di una serie di attività, si pensi ad es. alla giurisdizione volontaria che si inserisce nel concetto di giurisdizione in senso ampio. Questo significa che, secondo parte della dottrina, sul piano della responsabilità bisognava fare i conti con la responsabilità professionale, quindi non si applicava de plano la responsabilità sugli ausiliari del giudice; che si poteva far ricorso alla figura del coadiutore; che il verbale d’incanto era un atto che aveva al contempo una natura processuale e una natura sostanzialmente di atto notarile e nasce in concreto anche la prassi del doppio originale, un originale che viene conservato dal notaio e un originale che viene conservato nel fascicolo della procedura. Quindi si fa strada sempre di più questo tipo di idea.

In questo contesto si inseriscono le riforme del 2005/2006 che rinnovano in modo significativo anche l’istituto della delega delle operazioni di vendita e lo rinnovano tanto sotto il profilo soggettivo cioè del soggetto che esercita queste attività di delega, cui sono delegabili le

operazioni di vendita, tanto sotto il profilo oggettivo cioè delle attività delegabili.

Sotto il profilo soggettivo l’istituto della delega delle operazioni di vendita viene allargato dai notai anche ai commercialisti e agli avvocati. Oggi le operazioni di vendita sono delegabili non più solo ai notai ma anche ai commercialisti e agli avvocati.

Per il profilo oggettivo vi è un allargamento delle attività delegabili: occorre leggere il nuovo 591 bis in dettaglio e vedere come si estende la delega delle operazioni di vendita non solo alla vendita con incanto ma anche alla vendita senza incanto.

Ciò è nella logica per cui se la vendita senza incanto diventa un passaggio obbligato della vendita con incanto forse allora a questo punto non possiamo non allargare la delega delle operazioni di vendita anche ad essa. Ma hanno poteri significativi anche sotto il profilo delle cauzioni nel senso che, e’ discusso allo stato ma secondo parte della dottrina sarebbe stato dato al delegato anche il potere di pronunciare la perdita della cauzione, abbiamo visto quando si perde la cauzione, quando non si partecipa all’incanto senza giustificato motivo. Questa valutazione e’ stata riservata al giudice o e’ stata attribuita al delegato? E’ discusso, così come e’ discusso, ma forse questo non dovrebbe esserlo (secondo il parere del prof.), che sia stata allargata la delega anche sostanzialmente alla possibilità per il delegato di approvare il progetto di distribuzione e questo perché sono stati modificati gli articoli 596 e 598 c.p.c. ora si dice: se non si può provvedere a norma del 510 1° c., il giudice dell’esecuzione o il professionista delegato a norma del 591 bis, non più tardi di 30 gg dal versamento del prezzo, provvede a formare un progetto di distribuzione contenente la graduazione ecc. ecc… approvazione del progetto, art 598: se il progetto e’ approvato o si raggiunge l’accordo tra tutte le parti, se ne da’ atto nel processo verbale

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e il giudice dell’esecuzione o professionista delegato a norma del 591 bis ordina il pagamento delle singole quote, altrimenti si applica l’art 512.

Dunque, avendo accostato semplicemente al giudice dell’esecuzione la parola professionista delegato sembrerebbe che la grossa novità sia che il professionista delegato non debba solo limitarsi alla predisposizione del progetto di distribuzione ma gli sia stato dato anche il potere di fissare l’udienza e di approvare il progetto di distribuzione.

Secondo parte della dottrina alla luce di questa riforma significativa della delega delle operazioni di vendita oggi come oggi quella impostazione che era prevalente sotto la legge 302/1998 non può essere più sostenuta. Sicuramente, a maggior ragione ora, il professionista delegato sarà un sostituto e non un mero ausiliario. Però non si può più sostenere che questo soggetto continui a fare il notaio nello svolgimento di queste attività perché anzitutto dal punto di vista soggettivo non e’ più il solo soggetto che svolge queste attività( quindi dovremmo immaginare che poi l’avvocato continui a fare l’avvocato e il commercialista il commercialista. Si potrebbero porre anche dei problemi di legittimità costituzionale ex art 3. le regole devono essere le medesime quale che sia il soggetto che viene delegato perché altrimenti la procedura esecutiva rischia di prendere, se non a livello procedurale, sotto il profilo ad es. del regime della responsabilità ,strade diverse.)

Abbiamo perso la dimensione originaria della delega contenuta della giurisdizione in senso ampio e diamo a questo professionista delegato anche delle attività di giurisdizione in senso stretto. Allora dobbiamo fare degli sforzi molto difficili che la dottrina ha tentato di fare per cercare di inquadrare ex novo tutti questi professionisti delegati, non potendo ritenere sostanzialmente che il notaio continui a fare il notaio. Conseguentemente tutte quelle problematiche sul coadiutore, sulla

predisposizione del verbale d’incanto, dovranno essere risolte in modo a questo punto differente. Considerare quell’atto un atto meramente processuale e non un atto notarile, non consentire che il notaio possa avvalersi di un coadiutore ecc. ecc.

EFFETTI DELLA VENDITA FORZATA

La vendita forzata produce degli effetti che noi già conosciamo che sono:

-un effetto traslativo perché ci troviamo di fronte ad una vendita per cui un effetto traslativo non può che prodursi, ne vedremo poi la natura, se a titolo originario o derivativo, comunque trattasi di effetto traslativo;

-un effetto purgativo, cioè il bene viene trasmesso all’acquirente libero da ogni peso-vincolo derivante da iscrizioni e trascrizioni in pubblici registri, si ricordi la ratio del 498; un effetto di retrodatazione degli effetti che e’ in qualche modo legato a quel pignoramento a suo tempo esaminato, cioè sostanzialmente il bene viene venduto al terzo nella situazione giuridica e di fatto in cui si trovava al momento del pignoramento, questo significa retrodatazione degli effetti.

Quando parliamo di effetti della vendita forzata facciamo riferimento agli artt. 2920 e 2921 c.c.

Per comprendere quali problematiche mirano a risolvere questi artt. 2920-2921 occorre a monte anzitutto aver presente che tipo di acquisto determina questa vendita forzata.

La vendita forzata determina l’acquisto a titolo derivativo e non a titolo originario. Acquisto a titolo derivativo significa anzitutto che io acquisto un bene e lo acquisto dal reale proprietario perché non e’ un acquisto a

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titolo originario tipo l’usucapione, e l’aggiudicatario quindi non diviene proprietario del bene espropriato in forza dell’ordinanza di aggiudicazione e del decreto di trasferimento indipendentemente dal se il debitore fosse il proprietario o meno del bene, ma in tanto diviene proprietario del bene in quanto il debitore fosse il proprietario del bene stesso al momento del pignoramento, nella logica della retrodatazione degli effetti.

Questa derivatività dell’acquisto in sede di esecuzione forzata non e’ però priva di peculiarità. Non e’ un acquisto a titolo derivativo come tutti gli altri, e’ un acquisto a titolo derivativo la cui prima peculiarità ex 2919 e’ che all’aggiudicatario non sono opponibili, ci dice la norma, i diritti acquistati dai terzi sulla cosa, se i diritti stessi non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nell’esecuzione. Cioè qui dobbiamo fare i conti con il fatto che esiste il pignoramento, che il pignoramento ha una funzione cautelare e che ciò che dirime il conflitto rispetto ai terzi e’ il pignoramento.

Il normale acquisto a titolo derivativo che io vado a fare dal notaio con un atto pubblico produce immediatamente l’effetto traslativo, poi viene trascritto e si dirime il conflitto rispetto ai terzi. Questa e’ la logica normale.

Questa particolare derivatività deve fare i conti col fatto che ha a monte il pignoramento, quindi per intendersi, noi ci interrogheremo su: da quale momento si produce questo effetto traslativo? Poiché e’ un sub-procedimento, astrattamente l’effetto traslativo si potrebbe produrre al momento della aggiudicazione provvisoria, al momento dell’aggiudicazione definitiva, al momento del versamento del prezzo, al momento del decreto di trasferimento, quindi dobbiamo stabilire in quale momento si determina questo effetto traslativo ma a prescindere dall’effetto traslativo noi trascriveremo il decreto di trasferimento, ma il

conflitto rispetto ai terzi non lo risolve la trascrizione del decreto di trasferimento ma lo risolve la trascrizione del pignoramento, questa e’ una peculiarità.

Da questo punto di vista si può accostare il fenomeno pignoramento-decreto di trasferimento al fenomeno trascrizione della domanda giudiziale-trascrizione della sentenza. Ecco la peculiarità di questo acquisto a titolo derivativo perché occorre fare i conti con la sussistenza di questo fenomeno della presenza del pignoramento e della funzione cautelare del pignoramento.

In secondo luogo l’ulteriore peculiarità di questo acquisto a titolo derivativo e’ legata all’art. 586 e quindi all’effetto purgativo, cioè i diritti di prelazione anche con diritto di seguito, che gravano sul bene pignorato, vengono travolti dall’ effetto purgativo della vendita forzata, a condizione che i titolari di questi diritti siano stati avvertiti ex 498.

Attenzione, questa regola della derivativita’ dell’acquisto in sede di vendita forzata deve essere raccordata con il meccanismo di cui all’art. 1153. La regola prevede un acquisto a titolo derivativo; esiste però un’ipotesi in cui può venire in rilievo un acquisto a titolo originario e cioè quando si tratta di beni mobili e quando la vendita forzata non e’ che una componente della più complessa fattispecie acquisitiva di cui all’art. 1153. Si tratta sempre di acquisto a titolo derivativo,però il possesso di buona fede per i beni mobili ex art 1153 integra un acquisto a titolo originario e in tale fattispecie acquisitiva potrebbe aversi un acquisto in sede di esecuzione forzata. Nel caso di acquisto in sede di esecuzione forzata, se si perfezionano tutte le condizioni ex art 1153(e solo in tal caso),l’acquisto è a titolo originario e non a titolo derivativo. Questa peculiarità vale ,non per tutti i beni mobili ma ,solo per l’acquisto di un bene mobile quando si verificano tutte le condizioni previste dall’art. 1153.

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Da ciò derivano due ordini di problemi cui danno risposta gli artt. 2920 e 2921.

1°Problema:tutela del terzo proprietario del bene mobile acquistato a titolo originario dall’aggiudicatario in forza dell’art. 1153. Se l’acquisto in sede di esecuzione forzata e’ un acquisto a titolo originario perché si perfeziona la fattispecie ex art.1153, la posizione dell’originario proprietario del bene mobile che lo perde perché prevale l’acquirente a titolo originario, come e’ tutelata dal codice civile? La risposta è nell’art. 2920 c.c.: Diritti di terzi sulla cosa mobile venduta: “se oggetto della vendita e’ una cosa mobile, coloro che avevano la proprietà o altri diritti reali su di essa, ma non hanno fatto valere le loro ragioni sulla somma ricavata dall’esecuzione, non possono farle valere nei confronti dell’acquirente di buona fede, ne’ possono ripetere dai creditori la somma distribuita. resta ferma la responsabilità del creditore procedente di mala fede per i danni e per le spese”.

Come si tutela il terzo? La disciplina specifica che il terzo deve far valere i suoi diritti prima che sia distribuita la somma ricavata altrimenti non potrà chiedere la ripetizione delle somme né all’aggiudicatario in buona fede che ha acquistato ex 1153 a titolo originario né ai creditori intervenuti.

La disciplina è particolare:con riferimento all’impossibilità di ripetere le somme dall’aggiudicatario è conforme alla disciplina codicistica; con riferimento all’impossibilità di ripetere dai creditori se ne discosta poiché è una disciplina non conforme all’ingiustificato arricchimento in quanto i creditori conseguono un vantaggio.

La ratio di tale disciplina è legata all’esigenza di assicurare la stabilità dei risultati del procedimento di esecuzione forzata.

2° Problema:se l’acquisto a titolo derivativo in sede di esecuzione forzata,cioè dal debitore-proprietario del bene,non si perfeziona,si pone il problema della evizione?Si applicano le norme del codice civile previste per una normale vendita o ci sono delle peculiarità poiché si tratta di una vendita forzata? Ci sono delle peculiarità disciplinate dall’art. 2921 che disciplina l’evizione e dall’art. 2922 che disciplina i vizi della cosa.

Art. 2921 c.c. Evizione “l’acquirente della cosa espropriata, se ne subisce l’evizione, può ripetere il prezzo non ancora distribuito, dedotte le spese, e, se la distribuzione e’ già avvenuta, può ripeterne da ciascun creditore la parte che ha riscossa e dal debitore l’eventuale residuo, salva la responsabilità del creditore procedente per i danni e per le spese”.

La disciplina è diversa da quella prevista dall’art. 2920 poiché in tal caso è prevista la possibilità di ripetere le somme anche dopo la distribuzione nei confronti dei creditori ed è diversa anche dalla disciplina della compravendita ex art. 1488 perché in questo caso l’aggiudicatario ha diritto solo alla restituzione del prezzo dedotte le spese e non anche ai danni, se non nei confronti del creditore procedente in mala fede.

Art 2922 c.c. Vizi della cosa: “Nella vendita forzata non ha luogo la garanzia per i vizi della cosa. Essa non può essere impugnata per causa di lesione”.

Disciplina l’ipotesi in cui il bene oggetto di vendita sia affetto da vizi o il caso in cui il vizio si talmente grave da integrare la fattispecie dell’aliud pro alio. Diversamente dalla vendita meramente privatistica non opera la disciplina dei vizi.

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Attenzione:la giurisprudenza della Corte di Cassazione ritiene che l’art.2922 non integri anche l’ipotesi di aliud pro alio e ha ritenuto:“che l’esclusione della garanzia per vizi dalla cosa prevista dall’art. 2922 (questa e’ la massima) in riferimento alla vendita forzata compiuta nell’ambito dei procedimenti esecutivi si riferisce alle fattispecie previste dagli artt. 1490-1497 e cioè ai vizi della cosa e alla mancanza di qualità, non riguarda l’ipotesi di aliud pro alio tra il bene oggetto dell’ordinanza e quello oggetto dell’aggiudicazione deducibile anche rispetto alla vendita forzata con conseguente annullamento della vendita.”

LA NATURA E LA STABILITA’ DELLA VENDITA FORZATA

La vendita forzata è un sub-procedimento che si compone in una serie di atti che vanno dall’istanza di vendita al decreto di trasferimento, passando per un’aggiudicazione provvisoria, un’aggiudicazione definitiva e il pagamento del prezzo.

Sotto il profilo della natura della vendita forzata si è assistito ad un’evoluzione molto lenta; il dubbio era quello di comprendere se essa aveva natura pubblicistica o privatistica.

Il primo parametro di riferimento della vendita forzata è sicuramente la vendita privata. L’evoluzione, infatti, è andata nel senso di passare da una natura privatistica della vendita forzata ad una pubblicistica. In particolare:

- in un primo momento, c’è stata una sostanziale equiparazione tra la vendita forzata e vendita di diritto privato. In questa originaria concezione privatistica si cerca di ricostruire in toto la vendita forzata con le categorie civilistiche al punto da considerare il creditore una sorta di mandatario ex lege del debitore;

- successivamente, si è cercato di attribuire maggiore rilevanza alla componente pubblicistica della vendita forzata ma relegando tale componente più nei presupposti dell’istituto che nella sua ricostruzione. Infatti, sempre utilizzando le categorie privatistiche, la dottrina si limita ad affermare che l’organo pubblico, concludendo il contratto di vendita, esercita il potere di disposizione espropriato al debitore oppure che l’organo esecutivo agisce quale rappresentante legale del debitore ormai divenuto incapace. Quindi, ci si allontana un po’ dalla configurazione originaria: non è più il creditore il mandatario ex lege e compare la figura dell’organo pubblico quale rappresentante del debitore o quale soggetto che utilizza il potere di disposizione che fa capo la debitore, potere mutuato in ragione dell’espropriazio-ne. L’intento è comunque quello di sottolineare che non è il debitore a vendere ma il creditore, nella prima impostazione, l’organo pubblico, nella seconda;

- infine, l’evoluzione più recente ha dato maggiore spazio alla componente pubblicistica della vendita forzata facendo leva sulla circostanza che alla base di tale vendita si pone un provvedimento giurisdizionale (il decreto di trasferimento). Per effetto di questo ulteriore passaggio, la vendita forzata viene incasellata dell’ambito dei c.d. trasferimenti coattivi. Ciò, tuttavia, non implica un totale ripudio di ogni componente privatistica della vendita forzata; infatti, pur ricostruendo la vendita forzata in un’ottica pubblicistica, permangono delle aree nelle quali la dimensione privatistica continua a conservare una qualche rilevanza. Si pensi, ad es., all’offerta di acquisto che continuerebbe ad essere regolata dalla disciplina privatistica.

Sinteticamente, la tesi attualmente prevalente ritiene che la vendita forzata non è un atto negoziale, soggetto alla disciplina privatistica, bensì un trasferimento coattivo (si tratta di un istituto a connotazione pubblicistica cui vanno ricondotti anche il fallimento e l’espro-priazione per pubblica utilità. Sul punto, ci si è chiesto se la vendita forzata possa

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essere utilizzata quale modello cui far riferimento per disciplinare tutti i trasferimenti coattivi. La risposta è per lo più negativa in quanto la categoria dei trasferimenti coattivi è fortemente eterogenea) che si realizza mediante un complesso procedimento che va dall’istanza di vendita al decreto di trasferimento. Conseguentemente, non si applicano, né all’offerta di acquisto né a quella di vendita, le regole civilistiche sull’interpretazione dei contratti e dei vizi della volontà e non trovano applicazione nemmeno i rimedi civilistici in tema di invalidità della compravendita contrattuale perché, posto che la conclusione del procedimento è dato da un provvedimento del giudice, i rimedi utilizzabili sono quelli di natura processuale. Inoltre, anche se da un lato il procedimento di vendita si fonda su atti di iniziativa di soggetti privati (istanza di vendita, offerta di acquisto da parte del terzo), dall’altro, vengono in rilievo anche provvedimenti del giudice, si pensi al provvedimento finale: il decreto di trasferimento cui è riconducibile l’effetto traslativo. Quella dell’effetto traslativo è una problematica strettamente connessa a quella della natura della vendita forzata. Posto che la vendita forzata è un sub-procedimento composto da diversi momenti, aggiudicazione provvisoria, aggiudicazione definitiva, pagamento del prezzo e decreto di straferimento, ci si chiede a quali di questi momenti debba essere ricondotto l’effetto traslativo. Diverse sono le state le impostazioni ma quella oggi prevalente, come dicevamo, riconduce l’effetto traslativo al decreto di trasferimento, quale momento conclusivo del sub-procedimento.

La ricostruzione della natura della vendita forzata in termini pubblicistici, quale trasferimento coattivo, ha delle ricadute sui rimedi utilizzabili, i quali non possono essere di carattere privatistico ma processuale; ciò determina delle conseguenze importanti sotto il profilo della stabilità della vendita forzata.

Infatti, se la natura della vendita forzata è quella di un trasferimento coattivo, nel caso di illegittimità dovranno essere utilizzati i rimedi processuali e non, ad es., un’actio nullitatis. Al riguardo, il discorso è analogo a quello realizzato in relazione al principio di conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione (art. 161 c.p.c.): se non esistesse tale principio la stessa essenza dei risultati cui approda un processo civile sarebbe grandemente vanificata perché in ogni momento, con un’actio nullitatis, si potrebbero annullare tali risultati; tale principio, pertanto, assicura la stabilità dei risultati del processo in quanto o si fanno valere i vizi con le impugnazioni o, decorso inutilmente il temine per impugnare, i vizi si sanano.

Tali considerazioni, trasposte nel processo esecutivo, comportano che i rimedi processuali, e non quelli civilistici, utilizzabili al riguardo, tendono a salvaguardare la stabilità della vendita. Ciò, tuttavia, non risolve tutti i problemi perché accanto all’art. 161 c’è un’altra norma, l’art. 159, il quale afferma che possono venire in rilievo, non solo atti viziati da vizi propri, ma anche atti viziati da una c.d. nullità derivata – la nullità di un atto trasmigra ad un successivo atto, dipendente da quello nullo. Questa previsione, applicabile anche al processo esecutivo, potrebbe minare la stabilità della vendita. Qui, la soluzione è data, in parte dalla dottrina e dalla giurisprudenza, in parte, dal legislatore.

Innanzitutto, la giurisprudenza della Cassazione ha ritenuto che il processo di esecuzione possa essere scomposto in una serie di sub-procedimenti ottenendo, quale risultato molto importante sul piano della stabilità, di isolare o comunque ridurre la portata dell’art. 159, nel senso che la Corte ha affermato che è ben possibile che venga in rilievo la nullità derivata di un atto ma la trasmigrazione della nullità di un atto a quello successivo e dipendente può avvenire esclusivamente fino all’ultimo atto del sub-procedimento; ultimo atto che deve essere impugnato con l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, entro un

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determinato termine, pena la sanatoria della nullità. Ciò garantisce la stabilità in quanto non potrà accadere che una nullità, prodottasi nella fase espropriativa, possa inficiare il decreto di trasferimento proprio perché l’atto conclusivo di un sub-procedimento segna il momento ultimo oltre il quale non potrà propagarsi la nullità derivata ex art. 159.

Quindi, i primi due pilastri su cui si fonda la stabilità della vendita forzata sono l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, da proporsi entro 20 giorni, pena la sanatoria della nullità e la scansione in sub-procedimenti che argina l’operatività del meccanismo ex art. 159.

I problemi non sono del tutto risolti perché oggetto di opposizione agli atti esecutivi possono essere, non solo le nullità formali che attengono ai requisiti forma-contenuto degli atti processuali, ma anche i requisiti extraformali (giurisdizione, competenza, legittimazione) per i quali però non opera il termine di 20 giorni. Quindi, i vizi riguardanti i requisiti extraformali possono essere fatti valere con l’opposizione ex art. 617 ma essi possono essere rilevati d’ufficio dal giudice o dalle parti anche oltre il termine di 20 giorni. Sotto questo punto di vista ben potrà venire in rilievo un decreto di trasferimento affetto da nullità derivata.

Al riguardo è opportuno tener presente l’ART. 2929 c.c. il quale, in materia di “Nullità del processo esecutivo” afferma che “La nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l'assegnazione non ha effetto riguardo all'acquirente o all'assegnatario, salvo il caso di collusione con il creditore procedente. Gli altri creditori non sono in nessun caso tenuti a restituire quanto hanno ricevuto per effetto dell'esecuzione”. La norma pone alcuni dubbi interpretativi. Innanzitutto, bisogna capire cosa deve intendersi per “atti esecutivi”; secondo l’impostazione prevalente bisogna distinguere nettamente tra nullità della vendita e nullità che precedono la vendita perché quest’ultime non hanno effetto nei confronti dell’acquirente, quindi non

possono pregiudicare l’aggiudicatario mettendo a rischio la stabilità della vendita, mentre quelle che riguardano la vendita in senso stretto hanno effetto nei suoi confronti. La ratio sta nel fatto che l’aggiudicatario può sopportare le nullità della fase cui partecipa perché, in tal caso, è perfettamente in condizione di accorgersi dell’inva-lidità ponendovi eventualmente rimedio. Il secondo dubbio attiene, invece, alle “nullità degli atti esecutivi”; cioè ci si chiede se tali vizi facciano riferimento solo ai vizi formali, che possono essere fatti valere con l’opposizione ex art. 617, o anche ai vizi sostanziali, che invece possono essere fatti valere con l’opposizione ex art. 615. Più specificamente, se aderiamo ad un’impostazione restrittiva vengono in rilievo solo i vizi di forma-contenuto che possono essere fatti valere con l’opposizione ex art. 617; se, al contrario, interpretiamo estensivamente la norma, l’art. 2929 dovrebbe essere letto nel senso che esso tutela l’ag-giudicatario, non solo contro un’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, ma anche contro un eventuale accoglimento successivo alla vendita di un’opposizione all’esecuzione ex art. 615 (che, ovviamente, presuppone che il processo non sia stato sospeso ed è arrivato fino alla vendita).

La stabilità ultima della vendita si può comunque ottenere con l’impugnabilità del decreto di trasferimento con l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617. È ormai pacifico che, come gli altri atti esecutivi, anche il decreto di trasferimento, sia suscettibile di opposizione ex art. 617. È discusso, tuttavia, da quando decorre il termine di 20 giorni; la dottrina più recente fa leva sulla trascrizione nei pubblici registri del decreto di trasferimento che assicurerebbe la conoscibilità dell’atto. Si tratta dell’applicazione di un principio generale secondo cui i termini non cominciano a decorrere dal compimento o emanazione dell’atto da impugnare o attaccare ma dalla conoscenza o conoscibilità dello stesso.

L’ultimo dato da segnalare è che, essendo la forma del provvedimento di trasferimento quella di decreto, esso è revocabile o modificabile dal

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giudice finché non abbia avuto esecuzione. Sul quando il decreto abbia “esecuzione” si contendono il campo due teorie: secondo l’opinione minoritaria, il decreto di trasferimento ha esecuzione con la semplice emanazione; mentre, l’impostazione prevalente, fa leva sulla trascrizione nei pubblici registri. Quindi, secondo quest’ultima tesi, una stabilità totale del provvedimento si ha solo con la trascrizione del decreto, che segna il momento ultimo entro cui il giudice può modificarlo o revocarlo, e col decorso dei 20 giorni per la proposizione dell’opposizione ex art. 617.

In sintesi, assicurare la stabilità della vendita significa garantire la funzionalità del processo di esecuzione perché è ovvio che nessuno acquisterebbe se ci fosse la possibilità di porre nel nulla il trasferimento sine die o comunque per vizi antecedenti alla vendita.

ASSEGNAZIONE

L’assegnazione si pone quale alternativa della vendita forzata anche se ha un’importanza più marginale. Essa consiste nell’assegnare, appunto, ad uno dei creditori il bene o uno dei beni oggetto della procedura esecutiva. Sotto il profilo della definizione è necessario fare una precisazione perché accanto alla figura dell’assegnazione c.d. satisfattiva abbiamo la figura dell’assegnazione-vendita. L’assegnazione c.d. satisfattiva è l’ipotesi classica che, sostanzialmente, consiste in una datio in solutum per cui il creditore accetta, in luogo della somma di denaro cui avrebbe diritto, che gli venga trasferita la proprietà del bene o di taluno dei beni pignorati, eventualmente pagando un conguaglio in danaro quando l’importo del suo credito sia inferiore al valore del bene. Una sottospecie dell’assegnazione satisfattiva la ritroviamo nell’espropriazione presso terzi ed è l’assegnazione del credito pignorato. L’assegnazione-vendita, invece, è una figura diversa perché si prevede il pagamento del valore del bene da parte del creditore

assegnatario e, dunque, si risolve in una sorta di aggiudicazione per un prezzo predeterminato. Questo prezzo, ai sensi dell’art. 506 c.p.c., non può essere inferiore “alle spese di esecuzione e ai crediti aventi diritto di prelazione anteriore a quello dell'offerente” poiché con la somma pagata dall’assegnatario devono quantomeno essere soddisfatti tutti i creditori a lui anteposti.

L’istituto dell’assegnazione è di minore importanza rispetto a quello della vendita forzata in quanto è lo stesso c.p.c. che gli attribuisce una funzione residuale rispetto a quest’ultima. Il motivo risiede in una sorta di disfavore, di sfiducia del legislatore nei confronti dell’asse-gnazione perché tramite essa il bene può essere attribuito al creditore per un valore inferiore al prezzo che si potrebbe ricavare procedendo alla vendita forzata; l’assegnazione, quindi, non consente di ottenere il massimo realizzo dalla procedura. Questa idea di fondo si evince da diversi indici di diritto positivo:

- innanzitutto, si prevede che il bene non può mai essere assegnato al creditore per un valore inferiore a quello di stima (art. 568 c.p.c.);

- in secondo luogo, sia nell’espropriazione mobiliare sia in quella immobiliare, l’assegnazio-ne forzata può aver luogo solo all’esito negativo della vendita con incanto, prima che si proceda ad un nuovo incanto; inoltre, per l’espropriazione mobiliare è ammessa qualsiasi offerta mentre per quella immobiliare il prezzo base dell’incanto è di 1/5 inferiore al valore di stima (art. 591 c.p.c.);

- in terzo luogo, se sono intervenuti altri creditori ai fini dell’assegnazione è necessario, per procedere ad essa, l’accordo di tutti i creditori (art. 505, 2°co., c.p.c.);

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- infine, se c’è l’intervento di altri creditori, l’assegnazione può essere fatta solo per un valore non inferiore alle spese di esecuzione e ai crediti aventi diritto di prelazione anteriore a quello dell’offerente (art. 506 c.p.c.).

Tali regole generali vengono meno solo in ipotesi eccezionali, espressamente previste dal legislatore, nelle quali i creditori possono chiedere l’asse-gnazione immediatamente, senza dover attendere l’esito negativo dell’incanto:

- la prima riguarda l’espropriazione di crediti esigibili entro 90 giorni: in tal caso i crediti sono assegnati in pagamento, salvo esazione, ai creditori concorrenti (art. 553 c.p.c.);

- la seconda riguarda l’espropriazione mobiliare di titoli di credito o di altre cose il cui valore risulta dal listino di borsa o di mercato (art. 529 c.p.c.);

- l’ultima attiene all’espropriazione mobiliare di oggetti d’oro o d’argento, i quali “non possono in nessun caso essere venduti per un prezzo inferiore al valore intrinseco” e “se restano invenduti, sono assegnati per tale valore ai creditori” (art. 539 c.p.c.).

Le tre eccezioni si spiegano in relazione al fatto che qui non viene in rilievo il problema di assegnare il bene per un valore inferiore a quello che si otterrebbe con la vendita perché si tratta, nella 1°e nella 2°ipotesi, di beni che hanno un valore certo e non fluttuante e, nella 3°ipotesi, di beni che hanno un valore intrinseco certo.

La forma del provvedimento con cui è disposta l’assegnazione è quella dell’ordinanza (art. 507 c.p.c.). Tale ordinanza di assegnazione pone alcune questioni. Innanzitutto, si pone il problema della sua

impugnabilità; al riguardo la giurisprudenza tende ad escludere che essa abbia carattere decisorio e, pertanto, esclude la sua impugnabilità con ricorso per Cass. ex art. 111 Cost. Essa, risulta impugnabile secondo questa impostazione solo con opposizione agli atti esecutivi ex art. 617. Un altro problema riguarda la possibilità di configurare tale ordinanza come titolo esecutivo. Al riguardo non c’è uniformità di vedute: la parte maggioritaria della dottrina propende per una soluzione positiva ed equipara questo provvedimento con una sentenza di condanna; altra parte della dottrina, invece, nell’assenza di una previsione normativa espressa, ritiene che l’ordinanza di assegnazione non costituisce titolo esecutivo; altra parte della dottrina, infine, tende ad arginare il problema affermando che in tal caso non è necessario il titolo esecutivo perché il terzo è custode e, quindi, deve rispettare gli ordini de giudice.

L’assegnazione, come la vendita, viene ricondotta all’ambito dei trasferimenti coattivi ed anche gli effetti sostanziali dell’assegnazione, come quelli della vendita, sono disciplinati dal c.c. In linea di massima, c’è un richiamo agli effetti sostanziali della vendita forzata, ed infatti l’ART. 2925 c.c. afferma che “Le norme concernenti la vendita forzata si applicano anche all'assegnazione forzata, salvo quanto è disposto negli articoli seguenti” quindi, gli ARTT. 2926-2928 c.c. introducono, per l’assegnazione, talune peculiarità.

In particolare, ai sensi dell’ART. 2926, in ipotesi di assegnazione forzata di beni mobili, che non siano di proprietà del debitore, la buona fede del creditore assegnatario, unita all’acquisto del possesso e all’esistenza di un titolo astrattamente idoneo, fa salvo l’effetto acquisitivo a favore dell’assegnatario ma non l’effetto satisfattivo dell’assegnazione. Quindi, il terzo ex proprietario, entro 60 giorni all’assegnazione, può rivolgersi all’assegnatario in buona fede allo scopo di ripetere la somma rispondente al suo credito soddisfatto con l’assegnazione. Si ritiene che tale norma si applichi solo nei casi di

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assegnazione satisfattiva. Ai sensi dell’ART. 2927, invece, se l’assegnatario subisce l’evizione ha diritto di ripetere quanto pagato agli altri creditori. Infine, ai sensi dell’ART. 2928, se oggetto dell’asse-gnazione è un credito, l’assegnazione avviene salvo esazione. Pertanto, il diritto dell'assegnatario verso il debitore che ha subito l'espropriazione non si estingue che con la riscossione del credito assegnato. C’è, quindi, una cessione del credito pro solvendo e non pro soluto.

LA FASE DELLA DISTRIBUZIONE DELLA SOMMA RICAVATA

Una fase ulteriore del processo esecutivo è quella della distribuzione della somma ricavata; essa trova i suoi referenti normativi generali negli artt. 509-512 c.p.c.; referenti normativi specifici sono gli artt. 541-542 c.p.c. per l’espropriazione mobiliare e artt. 596-598 c.p.c. per l’espropriazione immobiliare.

La funzione della distribuzione forzata deve essere guardata sotto un duplice punto di vista:

- un punto di vista pratico e qui è facilmente comprensibile: la distribuzione permette al processo esecutivo di realizzare il suo obiettivo, ossia quello di soddisfare i creditori – il bene espropriato viene venduto/assegnato e la somma ricavata viene distribuita ai creditori. È opportuno tener presente, tuttavia, che la distribuzione della somma ricavata non è una fase necessaria del processo di espropriazione anzi ci sono delle ipotesi in cui la distribuzione è l’unica fase del processo esecutivo e ci sono delle ipotesi in cui, invece, non c’è proprio. Si pensi all’ipotesi in cui il debitore, per sottrarre un proprio bene alla procedura espropriativa, consegna all’ufficiale giudiziario una somma di denaro o all’ipotesi in cui il pignoramento ha oggetto denaro. In tal caso la distribuzione è l’unica fase che viene in rilievo. Al contrario, quale fattispecie in cui non viene in rilievo la fase della distribuzione, si pensi

alla conversione del pignoramento: in questo caso le somme di denaro che verranno date ai creditori sono quelle predeterminate dal giudice dell’esecuzione con l’accertamento incidentale, finalizzato a determinare la somma che deve essere versata per liberare il bene immobile pignorato. Quindi, non ci sarà una fase della distribuzione diretta a stabilire chi deve avere che cosa tra i vari creditori.

- un punto di vista sistematico bisogna tener presente sia la logica sottesa al codice del ’40 sia le modifiche intervenute nel 2005/06. Quanto al codice del ’40, la scelta del legislatore è stata:

- innanzitutto, quella di consentire un accertamento del credito solo nella fase distributiva perché lì si pone il problema di stabilire quanto spetta e quanto, quindi, deve essere distribuito, a ciascun creditore;

- in secondo luogo, si è affermata l’irrilevanza del possesso del titolo nella fase distributiva. Infatti, il possesso del titolo, pur non essendo condizione per intervenire, nella fase espropriativa consente al creditore titolato che interviene di dare impulso alla procedura ma nella fase distributiva tutti i creditori tornano su un piano di perfetta parità;

- infine, si diversificano i creditori nella fase distributiva sulla base diversi ed ulteriori diversi al possesso del titolo, quali le prelazioni sostanziali (es. pegno, ipoteca) e le prelazioni processuali (es. tempestività nell’intervento).

Questo meccanismo entra però in crisi perché, nel nostro ordinamento, esistono una pluralità di ipotesi che impongono al g.e. di accertare l’entità dei crediti, sia pure in modo sommario, in una fase antecedente a quella della distribuzione. Si è resa, quindi, necessaria una modifica, attuata con le riforme del 2005/06. Sul piano sistematico, la prima novità introdotta attiene al fatto che il possesso del titolo non è più un

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fattore irrilevante nella fase distributiva. Al riguardo va fatto un collegamento con l’istituto dell’intervento dei creditori: rispetto ad esso, il legislatore ha ristretto la cerchia dei soggetti legittimati ad intervenire ma non solo ai creditori titolati bensì anche ad altri. Ora, i creditori muniti di titolo esecutivo partecipano direttamente alla fase della distribuzione mentre gli altri, non muniti del titolo esecutivo, devono passare per un accertamento c.d. endoprocessuale incentrato su una dichiarazione del debitore. Con tale dichiarazione, il debitore può riconoscere espressamente o tacitamente, quando non compare in udienza, un determinato diritto di credito. Se il credito del creditore non munito di titolo esecutivo viene riconosciuto, anch’egli partecipa direttamente alla distribuzione; in caso contrario, matura nei suoi confronti solo un diritto all’accantonamento per un tempo massimo di 3 anni. Qui la ricaduta sotto il profilo della distribuzione è che i creditori muniti e non muniti di titolo esecutivo non possono essere più posti sullo stesso piano: i creditori titolati o quelli il cui credito è stato riconosciuto partecipano direttamente alla fase della distribuzione mentre i creditori non titolati il cui credito non è stato riconosciuto maturano solo un diritto all’accantonamento. Addirittura, parte della dottrina ha operato al riguardo una differenziazione con riferimento al tipo di azione esercitata dai creditori titolati e non titolati distinguendo tra azione propriamente esecutiva, esercitata dai creditori titolati, e azione “conservativa”o lato sensu cautelare, esercitata invece dai creditori non titolati che mira a conseguire un mero accantonamento delle somme in attesa che tali creditori si procurino un titolo.

La fase della distribuzione, nel parallelo con quella dell’intervento dei creditori, si ritiene che sia la vera sedes in cui trova applicazione il principio della par condicio creditorum.

Nell’analizzare la distribuzione della somma ricavata, la prima norma che viene in rilievo è l’ART. 509 c.p.c. che individua gli elementi che

compongono la massa attiva, cioè quello che deve essere distribuito. Si afferma, al riguardo, che “La somma da distribuire è formata:

- da quanto proviene a titolo di prezzo o conguaglio delle cose vendute o assegnate;

- di rendita o provento delle cose pignorate;

- di multa e risarcimento di danno da parte dell'aggiudicatario – artt. 587(aggiudicatario inadempiente), 540-574”. Alla luce delle più recenti riforme, si ritiene facciano parte della massa attiva anche le cauzioni perse dai soggetti che non hanno partecipato, senza giustificato motivo, alla vendita con incanto.

Una volta individuata la massa attiva da distribuire, possono venire in rilievo due diverse strade a seconda che ci sia un solo creditore o più creditori.

La prima ipotesi, più semplice, si ha quando c’è un solo creditore cui distribuire la somma ricavata; ai sensi dell’ART. 510 c.p.c. “Se vi è un solo creditore pignorante senza intervento di altri creditori, il giudice dell'esecuzione, sentito il debitore, dispone a favore del creditore pignorante il pagamento di quanto gli spetta per capitale, interessi e spese. …”. Al riguardo si discute in dottrina sulla qualificazione stessa della fattispecie; infatti, non verrebbe in rilievo, posta l’assenza di un concorso di creditori, una vera e propria ipotesi di “distribuzione” quanto piuttosto una fattispecie di “assegnazione” o “attribuzione”delle somme all’unico creditore.

Pur essendo molto semplice la procedura in presenza di un solo creditore, vengono comunque in rilievo taluni problemi per lo più connessi ai rimedi utilizzabili dal debitore. Sicuramente può utilizzare le

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opposizioni distributive ex art. 512 mentre molto più discussa è l’utilizzazione dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615. Secondo alcuni, il debitore potrebbe utilizzare sia l’opposizione ex art. 512, al fine di contestare la pretesa dell’unico creditore procedente, sia l’opposizione ex art. 615, con la quale si contesta l’altrui diritto a procedere all’esecuzione forzata. Secondo un’altra impostazione, non vi sarebbe spazio per l’opposizione ex art. 615 in sede distributiva e, quindi, il debitore potrebbe reagire solo per il tramite dell’opposizione in sede di distribuzione. Non si tratta, ovviamente, di problemi meramente teorici posto che le due norme introducono discipline sostanzialmente diverse; anzi ante-riforma il problema era molto più sentito perché l’opposizione ex art. 512, a differenza di quella ex art. 615, determinava la sospensione automatica del processo esecutivo.

Volendo indagare sulle ragioni sottese alle diverse impostazioni possiamo ritenere che la dottrina che apre ad entrambe le soluzioni (opposizione ex art. 512 e opposizione ex art. 615), tende a far leva sulla circostanza che i due istituti si fondano su presupposti completamente diversi; pertanto, se la parte deve contestare solo l’altrui diritto di credito può utilizzare l’art. 512 mentre quando vuole contestare l’altrui diritto a procedere all’esecuzione forzata deve utilizzare l’art. 615. Sul piano logico, questa impostazione ritiene che se c’è spazio per l’opposizione distributiva vuol dire che a monte c’è l’altrui diritto a procedere all’esecuzione e, per converso, se si vuole contestare l’altrui diritto a procedere all’esecu-zione forzata non c’è spazio per le controversie distributive.

Parte della dottrina, come Proto Pisani, ritiene altresì applicabile, a fronte dell’ordinanza che dispone il pagamento in favore dell’unico creditore affetta da nullità, l’opposizione ex art. 617.

Nella logica dei rimedi utilizzabili va considerata anche l’ipotesi in cui il debitore abbia già utilizzato determinati rimedi nella fase espropriativa ma, non avendo ottenuto la sospensione, la procedura esecutiva è arrivata alla distribuzione. In particolare, parte della dottrina ritiene che se nella fase espropriativa il debitore ha utilizzato l’opposizione ex art. 615 e, non avendo ottenuto la sospensione, è arrivato alla distribuzione bisogna distinguere: se l’opposizione è fondata su motivi di rito, l’unica possibilità è quella di far proseguire il giudizio di opposizione solo per far accertare la responsabilità del creditore procedente ex art. 96 c.p.c. (responsabilità aggravata) che ha proceduto all’espropriazione senza averne diritto; se, invece, l’opposizione ex art. 615 è fondata su motivi di merito, l’opposizione si trasformerebbe da opposizione ex art. 615 ad opposizione ex art. 512.

Ipotesi più complessa è quella in cui vi sia una pluralità di creditori. Le norme di riferimento sono le seguenti:-espropriazione mobiliare artt. 541- 542 cpc-espropriazione immobiliare artt. 596-597-598.

Art. 541 cpc Distribuzione amichevole:“Se i creditori concorrenti chiedono la distribuzione della somma ricavata secondo un piano concordato, il giudice dell’ esecuzione, sentito il debitore, provvede in conformità.”Art. 542 cpc Distribuzione giudiziale:“Se i creditori non raggiungono l’ accordo di cui all’art. precedente o il giudice dell’ esecuzione non l’ approva, ognuno di essi può chiedere che si proceda alla distribuzione della somma ricavata.Il giudice dell’ esecuzione sentite le parti, distribuisce la somma ricavata a norma degli art. 510 e seguenti e ordina il pagamento delle singole quote”

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Art. 596 Formazione del progetto di distribuzione.“Se non si può provvedere a norma dell’ art. 510 primo comma, il giudice dell’ esecuzione o il professionista delegato a norma dell’ art. 591 bis, non più tardi di trenta giorni dal versamento del prezzo provvede a formare un progetto di distribuzione contenente la graduazione dei creditori che vi partecipano e lo deposita in cancelleria affinché possa essere consultato dai creditori e dal debitore fissando l’ udienza per la loro audizione. Tra la comunicazione dell’ invito e l’ udienza devono intercorrere almeno dieci giorni”Art. 597 Mancata comparizione:“La mancata comparizione alla prima udienza e in quella fissata a norma dell’ art. 458 ultimo comma, importa approvazione del progetto per gli effetti di cui all’ art. seguente”

Art. 598 Approvazione del progetto:“Se il progetto è approvato o si raggiunge l’ accordo tra tutte le parti , se ne dà atto nel processo verbale e il giudice dell’ esecuzione o professionista delegato a norma del 591 bis orina il pagamento delle singole quote, altrimenti si applica la disposizione dell’ art. 512.”

MOBILIARE:

Il primo dato che è possibile cogliere è che per l’ espropriazione mobiliare c’ è una distribuzione amichevole(distribuzione concordata: l’ iniziativa parte dai creditori e si conclude con un accordo degli stessi)e una giudiziale. ATTENZIONE: la diversità tra distribuzione concordata e giudiziale ha riguardo alla predisposizione del progetto di distribuzione, al modo in cui si instaura l’ iter procedimentale. Ciò in

quanto anche la distribuzione concordata ex art. 541 DEVE ESSERE APPROVATA DAL GIUDICE.( L’ACCORDO DEVE ESSER APPROVATO DAL GIUDICE).

Analizziamo l’ art. 541:A differenza dell’ espropriazione immobiliare, nella mobiliare c’ è un’ istanza ad opera di uno o più creditori. È necessaria dunque una richiesta (questa è un’ altra differenza).

Può partire anche da un solo creditore ma affinché si abbia l’ accordo è necessario che sia sottoscritto da tutti i creditori.

PROBLEMA: affinché si possa perfezionare l’ accordo, è necessario anche l’ assenso del debitore?

Non esiste in merito una soluzione pacifica. Secondo una parte della dottrina l’ accordo si potrebbe perfezionare anche a prescindere dall’ assenso del debitore. Secondo invece l’ impostazione prevalente sarebbe decisivo l’ assenso del debitore. Ciò è sostenuto principalmente perché il debitore ha diritto al residuo della distribuzione. Ecco perché il suo assenso dovrebbe essere decisivo perché si abbia un accordo. Secondo questa dottrina la natura dell’ accordo è transattiva, il debitore pertanto non può rimanere estraneo all’ accordo. Questa è l’ argomentazione più forte. Meno decisiva è invece quella che fa leva sull’ art. 541 ove esso prescrive “sentito il debitore”.

Quest’ ultima espressione infatti potrebbe significare:-sentito il debitore ai fini dell’ istruttoria, oppure-sentito il debitore nel senso che il suo consenso sia decisivo per il perfezionarsi dell’ accordo.

DISTRIBUZIONE GIUDIZIALE.

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Norme di riferimento: art. 542cpc per la mobiliare;art. 596-597-598 cpc per l’ immobiliare.

Art. 542 cpc“Se i creditori non raggiungono l’ accordo di cui all’art. precedente o il giudice dell’ esecuzione non l’ approva …

Che tipo di sindacato del giudice viene in rilievo in sede di approvazione?

Non è pacifico. Si tende a ritenere che non sia un sindacato nel merito dell’ accordo ma dovrebbe limitarsi a verificare che ad esso abbiano effettivamente partecipato tutti i creditori e se del caso vericare l’ assenso del debitore se si aderisce all’ orientamento riferito in precedenza. Si tratta più di un controllo formale che sostanziale perché essendoci un accordo tra tutti i creditori ciascuno di essi avrà effettuato una serie di valutazioni in ordine alla correttezza della somma che deve essere distribuita a ciascuno.

All’ ultimo comma l’ art. dice” Il giudice dell’ esecuzione sentite le parti, distribuisce la somma ricavata a norma degli art. 510 e seguenti e ordina il pagamento delle singole quote” . Quest’ ultimo comma non ci dà in realtà un iter procedimentale come invece è per la distribuzione giudiziale in sede di espropriazione immobiliare.

Pertanto i più ritengono che siano utilizzabili le norme dettate per l’ iter procedimentale dell’espropriazione immobiliare. Dunque dal momento che il giudice deve comunque sentire le parti l’ iter sarà: predisposizione di un progetto di distribuzione, sottoposizione di questo progetto alle eventuali osservazioni delle parti, eventuale definitiva approvazione di questo progetto.

Estendere questo iter significa estendere anche delle previsioni specifiche dell’ espropriazione immobiliare. In particolare la previsione che prevede che l’ approvazione possa avvenire anche tacitamente. Se le parti non compaiono all’ udienza fissata o non fanno osservazioni si dà per approvato quel progetto.

Analizziamo ora l’ iter in tema di espropriazione immobiliare.

Art 596: il giudice dell’ esecuzione o il professionista delegato a norma dell’ art. 591 bis, non più tardi di trenta giorni dal versamento del prezzo provvede a formare un progetto di distribuzione contenente la graduazione dei creditori che vi partecipano e lo deposita in cancelleria affinché possa essere consultato dai creditori e dal debitore fissando l’ udienza per la loro audizione.

Art. 597 :“La mancata comparizione alla prima udienza e in quella fissata a norma dell’ art. 458 ultimo comma, importa approvazione del progetto per gli effetti di cui all’ art. seguente”

Art. 598 …“è approvato o si raggiunge l’ accordo tra tutte le parti” Che significa questo inciso?

Alcuni ritengono che si avrebbe accordo delle parti solo quando tutte le parti, sia pur dopo una conciliazione di eventuali contestazioni, accettano il progetto originariamente stabilito dal giudice.

Secondo altri si avrebbe accordo tra le parti anche quando all’ esito della conciliazione di queste contestazioni il progetto di distribuzione predisposto dal giudice subisca delle modifiche, ma comunque c’ è l’ accordo delle parti.

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N.B. figura del professionista delegato art 596 e 598. Sembrerebbe che all’ approvazione del progetto e a tutto l’ iter possa procedere tale professionista. Questa sarebbe una grandissima novità introdotta dalle riforme. Nella logica della l. 302/98 era assolutamente pacifico che il delegato predisponesse il progetto ma poi era il giudice che fissava la prima udienza e verificava chi compariva e chi no e se si poteva arrivare all’ approvazione ex 598.

Ora invece ai fini della fissazione dell’ udienza e in sede di approvazione c’ è questo riferimento al professionista delegato.

Ancora, nell’ambito della distribuzione giudiziale il giudice dà avvio all’ iter predisponendo un progetto ma che tipo di valutazione deve porre in essere il giudice in ordine ai crediti(al fine di predisporre il progetto)?

È una cognizione di tipo strumentale che non ha nulla a che vedere con la risoluzione delle controversie distributive(importante!)

Solo qui(ai fini della predisposizione del progetto) la valutazione è complessiva in ordine a tutti i crediti. Nel risolvere le controversie distributive invece ad essere risolta è la singola controversia, relativa al singolo diritto di credito o diritto di partecipare al concorso. Viene il rilievo dunque la posizione del singolo creditore, non il progetto nel suo complesso.

Su cosa si baserà dunque il giudice?

Sulla documentazione di cui dispone! È ad es. pacifico che:-il credito del procedente sia quello risultante dal titolo esecutivo e non quello indicato nel precetto. Quindi non va a verificare in via sommaria

se effettivamente esiste quel credito, ciò avverrà solo se sarà proposta opposizione in sede distributiva;-i crediti devono risultare dai titoli in ragione dei quali si agisce, in ogni loro elemento costitutivo.

In questa fase è possibile che si aprano ancora delle contestazioni dei creditori legate alla possibilità di intervenire in giudizio? O c’è spazio solo per delle contestazioni in ordine all’ esistenza del diritto di credito ex art. 512?

Secondo i più non vi sarebbe più spazio in questa sede per delle verifiche in ordine alla legittimazione ad intervenire. Queste hanno sede nella fase espropriativa. In questa fase ci sarebbe solo spazio per delle opposizioni distributive dove si entra nel merito dell’ esistenza del diritto di credito o del diritto ad ottenere la distribuzione della somma ricavata. Ciò sarebbe infatti assorbente rispetto alla questione che c’ era a monte in ordine al se quel creditore poteva o no intervenire nel processo esecutivo.

I creditori iscritti potrebbero intervenire anche dopo l’ udienza ex art. 596. In questo caso però possono essere soddisfatti solo sull’ eventuale residuo. La prevalenza dell’ essere dei creditori iscritti rispetto ai chirografari potrebbe dunque esser fatta valere solo rispetto ad altri creditori chirografari che siano del pari intervenuti dopo l’ udienza ex art. 596, senza poter pregiudicare i creditori chirografari che invece erano già nel processo esecutivo ante udienza ex art. 596.

Come il giudice predispone lo schema di riparto?

Le “spese di giustizia”(sostenute dal creditore procedente o da altro creditore titolato per il compimento degli atti nell’ interesse di tutti i

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creditori), quelle relative alla conservazione, gestione dei beni pignorati sono prededotte dalla massa attiva. Successivamente,in primo luogo il giudice apposterà delle somme per i creditori assistiti da un diritto di prelazione sostanziale, in seconda battuta tenendo anche conto di prelazioni processuali(verificare se tra i creditori chirografari qualcuno è intervenuto tempestivamente o tardivamente o se altre prelazioni processuali si siano maturate).Da ultimo, l’ eventuale residuo dev’ essere consegnato al debitore o al terzo che ha subito l’espropriazione.

Nell’ ambito della distribuzione il legislatore ha cura di disciplinare un singolare istituto che si chiama sostituzione esecutiva, disciplinato dall’ art. 511 cpc.

ART 511 Domanda di sostituzione:“ I creditori di un creditore (quindi creditor creditoris) avente diritto alla distribuzione può chiedere di essere a lui sostituito proponendo domanda a norma del 499cpc (norma che disciplina l’ intervento dei creditori).Il giudice dell’ esecuzione provvede alla distribuzione anche nei loro confronti ma le contestazioni relative alle loro domande non possono ritardare la distribuzione tra gli altri creditori concorrenti”

N.B. Questo istituto era già disciplinato dal cod. del 1865 il quale all’art. 715 prevedeva la possibilità di intervento del creditor creditoris sia per far valere e conservare le ragioni del suo debitore , sia per essere collocato sulla somma che spetti a quest’ ultimo.

La norma così formulata immaginava una sostituzione non solo nella fase distributiva ma anche alla fase espropriativa( per far valere e conservare le ragioni del suo debitore).

L’ art. 511 dell’ attuale codice invece sembrerebbe far pensare ad un istituto limitato alla fase distributiva, satisfattiva. Questo è quanto ritenuto dalla dottrina prevalente. Non è invece quanto ritenuto dalla giurisprudenza la quale rimane legata all’ art. del codice del 1865.

Dunque c’ è un creditore di uno dei creditori che è in sede di distribuzione, o nel processo esecutivo, vorrebbe sostituirsi nella posizione di questo creditore. Quando lo può fare?

Già nella fase espropriativa per cercare di salvaguardare il suo credito(funzione conservativa) o lo può fare solo nella fase distributiva(a condizione che questo creditore abbia già trovato una sua collocazione nella fase distributiva)?

Impostazione dottrinale prevalente

L’art. 511 cpc, diversamente dall’ art. 715 non reca più nessun riferimento alle attività sostitutive e conservative da compiersi nella fase espropriativa. Sarebbe solo indirizzato alla fase distributiva, il che significa che mentre sotto il vecchio art. 715 la domanda di sostituzione aveva quale presupposto esclusivamente l’ esistenza di un rapporto di credito tra il concorrente sostituito e il creditor creditoris, nella disciplina vigente i presupposti dovrebbero cambiare, non essendo più sufficiente questo diritto di credito. In tanto la domanda di sostituzione potrebbe essere utilmente proposta , in quanto il creditore-debitore abbia agito facendosi parte della procedura esecutiva e abbia ottenuto una positiva collocazione in sede di distribuzione.

Nella logica della dottrina prevalente il richiamo all’ art. 499 cpc(forma della domanda per intervenire)sarebbe un richiamo meramente formale, alla predisposizione dell’ atto per richiedere la sostituzione. Non ci sarebbe nessuna analogia tra intervento dei creditori, che si può far nella

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fase espropriativa, e sostituzione del creditor creditoris al creditore concorrente che si può fare solo nella fase distributiva.

IMPORTANTE: l’ art. 499 è stato radicalmente modificato dalle riforme recenti.

Se accogliamo l’ impostazione prevalente, siccome il rinvio è solo alla forma della predisposizione dell’ atto, questo non cambia molto. Se invece accogliamo la logica della giurisprudenza, se ne dovrebbero cogliere delle differenze ulteriori perché a questo punto il rinvio al 499 potrebbe essere più significativo.

Sempre nella logica di questa impostazione dottrinale, questa domanda non deve necessariamente essere proposta nella fase distributiva ma il suo accoglimento sarebbe condizionato ai presupposti suddetti(esistenza rapporto debito-credito e utile collocazione del creditore nella fase distributiva). La grossa differenza dunque è relativa a quello che il creditor creditoris può fare, quali poteri può spendere. Ciò perché, aprendo alla fase espropriativa(come fa la giurisprudenza), potrebbe svolgere attività relative a questa fase. Se invece riteniamo che sia possibile solo uno spazio nella fase distributiva non potrà esercitare i poteri spettanti al creditore concorrente nella fase espropriativa.

Questa dottrina ritiene che indipendentemente da come si interpreti il 511, non vi sarà mai una parificazione vera e propria nella fase espropriativa del creditor creditoris al creditore concorrente che sta nella procedura esecutiva. Infatti in una serie di valutazioni fatte nella fase espropriativa(ad es. conversione del pignoramento,cessazione della vendita a lotti…)non si potrà che guardare alla posizione del creditore concorrente che è nella procedura esecutiva.

Come si ricostruisce allora secondo questa dottrina l’ istituto di cui al 511?

Anche qui c’è un problema di accertamento nell’ ambito della procedura esecutiva. Il giudice deve accertare se esiste il rapporto di debito- credito per consentire la sostituzione. Ecco perché questa dottrina ricostruisce questo istituto come una ipotesi di procedimento cognitivo sommario, assimilabile al monitorio documentale(…procedimento di ingiunzione), perché il giudice a cognizione sommaria, sulla base di un riscontro documentale dovrebbe consentire o meno la sostituzione. Con quale particolarità? Che questo sarebbe un procedimento a cognizione sommaria fondamentalmente documentale(quanto meno se ci si muove nella logica ante riforma…),che mira a sfociare in un titolo esecutivo che dovrebbe essere utilizzato nell’ ambito della medesima procedura esecutiva.

Quindi questa dottrina dice che i poteri processuali che potranno spendersi saranno solo quelli relativi alla fase distributiva(potere di sollevare delle contestazioni ex art. 512, rispetto alla posizione degli altri creditori,esercitando una legittimazione straordinaria (dato che si sostituisce al creditore originario), dal momento che la logica del 511 è legata alla distribuzione, non esiste la possibilità di sostituzione nella fase espropriativa esercitando i relativi poteri.

La prospettiva muta ponendosi nella logica della giurisprudenza che apre questo istituto alla fase espropriativa.

Secondo la giurisprudenza della Cassazione la domanda di sostituzione assolve accanto alla funzione satisfattiva, che rimarrebbe una funzione principale, anche una finalità surrogatoria tale che ove il creditore-debitore fosse munito di titolo esecutivo il subcreditore che subentra nel

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processo esecutivo potrebbe provocare i singoli atti dell’ espropriazione in sua vece.

Ancora , sostiene la giurisprudenza, si può riconnettere all’ esercizio della domanda di sostituzione l’ effetto sostanziale di determinare l’ indisponibilità del credito e la conseguente inopponibilità nei confronti del creditor creditoris sia degli atti negoziali volontari mediante i quali l’ esecutato soddisfacendo le ragioni del proprio creditore potrebbe vanificare il diritto al riparto del creditor creditoris, sia degli atti dispositivi del credito posti in essere tra il creditore-debitore ed un terzo.

GLI ACCANTONAMENTI

La figura degli accantonamenti è stata introdotta dalle riforme del 2005-2006.Si consente che per determinati creditori sia disposto un accantonamento. In materia di intervento abbiamo visto che chi ha un titolo esecutivo partecipa direttamente alla distribuzione, chi non ne è in possesso passa per un’ udienza in cui si può arrivare ad un riconoscimento del suo diritto di credito facendo leva su una dichiarazione espressa o tacita del debitore, se ottiene il riconoscimento partecipa anche lui alla distribuzione. Se dovesse invece rimanere privo di titolo esecutivo ha solo un diritto all’ accantonamento. La stessa azione che viene esercitata sarebbe diversa. Nell’ un caso sarebbe un’ azione esecutiva in senso proprio, nell’ altro caso sarebbe un’ azione conservativa che si propone per “conservare” il credito nel tempo occorrente per procurarsi un titolo esecutivo, tempo fissato dal giudice e comunque non superiore a tre anni. Questa logica degli accantonamenti era molto più lineare sulla base della legge 80 in quanto da essa previsto solo per delle categorie di soggetti quali creditori titolari di un diritto di prelazione, o creditori che avessero già ottenuto un sequestro. Questi soggetti erano quasi titolari di un’ “aspettativa” (chiamandola così in senso lato) che poteva poi concretizzarsi nell’ ambito del processo

esecutivo. Alla luce della l. 263 invece cambia l’ ottica dell’ accantonamento, perché si è esteso anche ai creditori muniti di scritture contabili obbligatorie. La logica non più tanto quella di un’ “aspettativa” ma si è sostenuto che questo accantonamento diviene una sorta di “limbo” dove finiscono tutti i crediti che non sono certi in quanto non hanno un titolo ab origine o che non è stato ottenuto per il tramite dell’ udienza e dunque per il tramite della dichiarazione del debitore. Dunque in tre anni occorrerà procurarsi un titolo esecutivo in relazione a tutte quelle posizioni creditorie che non sono certe( non supportate da titolo né da riconoscimento del debitore ).

Quali problemi può porre la disciplina degli accantonamenti?

Il termine di tre anni è poco congruo per un processo civile come il nostro, è molto difficile che in soli tre anni si riesca a procurarsi un titolo esecutivo. Si tende dunque a dire che lo spazio operandi di questa previsione finisce per essere legato ai titoli esecutivi che si possano ottenere per il tramite di un procedimento a cognizione sommaria (es. il decreto ingiuntivo) e ai titoli di origine anticipatoria (es. ordinanza di pagamento delle somme non contestate)

È pacifico inoltre che il diritto all’ accantonamento possa valere solo per quello specifico diritto di credito fatto valere nella procedura esecutiva. Quell’ accantonamento non potrà essere utilizzato se ci si procura un titolo esecutivo per un credito diverso.

Altro problema… il giudice deve procedere necessariamente a due distribuzioni o può procedere a delle distribuzioni successive parziali man mano che i singoli creditori si procurano il titolo esecutivo in relazione ai singoli accantonamenti???

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Sembrerebbe prevalere l’ impostazione che ritiene ci siano solo due distribuzioni: una in via immediata e l’ altra dovrebbe essere quella definitiva, con la quale si distribuisce una volta che si ha un quadro completo in relazione a tutti gli accantonamenti effettuati.

CONTROVERSIE DISTRIBUTIVE.

La tematica delle controversie distributive è complessa e lo è maggiormente dalla riforma del 2005-2006,che ha ampliato il dibattito dottrinale. Qual è il quadro delle controversie distributive? La norma di riferimento è il 512 c.p.c che è stata profondamente rivisitata dalle più recenti riforme.

Qual era la situazione esistente ante riforma? Ante riforma: il giudice al quale bisognava rivolgersi era il giudice competente in base alle regole ordinarie, quindi non era il giudice dell’esecuzione; ulteriore tratto caratterizzante di queste controversie era la sospensione necessaria; il giudizio di cui all’art. 512 si svolgeva nelle forme del processo a cognizione piena. La logica del codice del 1940 entrava in crisi in talune ipotesi particolari più volte individuate e sottolineate, ma era una logica chiara: posticipare ogni questione attinente all’accertamento dei crediti alla fase distributiva e procedervi con una parentesi cognitiva.

Quindi la logica qual era sostanzialmente? Come per le altre opposizioni, si apre una parentesi cognitiva e in sede di distribuzione, con un processo a cognizione piena, viene accertata la posizione creditoria. A differenza però degli altri giudizi oppositivi, vi era un tratto caratterizzante questo giudizio oppositivo il quale appunto determinava la sospensione necessaria. La logica del legislatore del

1940 era : noi prima della fase distributiva non abbiamo la necessità di accertare l’esistenza o l’inesistenza di un diritto di credito, quando però nella fase distributiva viene sollevata una controversia distributiva, il processo esecutivo si arresta, necessariamente, senza nessuna valutazione da parte del giudice. Le controversie distributive innestavano un processo cognitivo come le altre opposizioni e potevano avere ad oggetto tanto l’esistenza o l’inesistenza di una determinata posizione creditoria, tanto la graduazione dei creditori, quindi la sussistenza eventuale di diritti di prelazione sostanziale o diritti di prelazione processuale.

Legittimazione: non sempre la legittimazione che veniva in rilievo era le medesima legittimazione ,perché si tendeva a ritenere che la legittimazione del concreditore si atteggiasse a legittimazione avente una natura sostitutiva ogniqualvolta veniva contestato il diritto di un altro concorrente. Mentre invece si riteneva che non fosse una legittimazione avente natura sostitutiva ma una legittimazione ordinaria in tutte le ipotesi in cui il concreditore contestava sostanzialmente la graduazione, l’esistenza o l’inesistenza di un determinato diritto di prelazione.

Interesse:l’interesse veniva valutato in concreto. Ecco il motivo per il quale le controversie distributive tendenzialmente avevano un oggetto sempre più circoscritto rispetto alle contestazioni dei crediti nella fase espropriativa. Che significa che l’interesse va valutato in concreto? Che, vi ho fatto l’esempio classico che si fa,un creditore chirografario se non esiste disponibilità o meglio se esiste una somma che potrà al più coprire le posizioni dei creditori privilegiati, non ha un interesse concreto, avrebbe un interesse in astratto a proporre una controversia distributiva, un’opposizione ex 512, ma non ha un interesse in concreto perché anche qualora dovesse essere accolta la sua opposizione comunque non gli verrà distribuito nulla. Ecco perché l’ambito di

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applicazione è più circoscritto rispetto alle contestazioni dei crediti nella fase espropriativa, dove l’interesse non deve essere valutato in questi termini e quindi evidentemente la portata è maggiore. Secondo l’impostazione prevalente tutte queste controversie distributive dovevano essere sostanzialmente riunite e dovevano essere trattate in un unico procedimento.

Riforma 2005-2006 : Come ha innovato? E come si atteggiano le problematiche già presenti ante riforma? La riforma ha previsto che le controversie distributive vengano conosciute non dal giudice competente in base alle regole ordinarie e più specificamente ex art. 17, ma vengano conosciute dallo stesso giudice dell’esecuzione; in secondo luogo ha previsto che non si abbia un processo a cognizione piena ma si abbia un processo a cognizione sommaria, sommaria perché superficiale non sommaria perché parziale;e ha eliminato la sospensione necessaria prevedendo una sospensione facoltativa. Questo procedimento che si svolge a cognizione sommaria si conclude con un’ordinanza che è impugnabile con l’opposizione ex art. 617, la quale a sua volta darà luogo ad una sentenza non appellabile ma solo ricorribile in Cassazione ex 111 Cost.

PROBLEMATICHE:Secondo parte della dottrina la riforma dell’art. 512 avrebbe inciso sulla portata stessa di tale rimedio ritenendo che le controversie distributive non si atteggerebbero più a parentesi cognitive inserite nel processo esecutivo ma sarebbero parte-fase essenziale del processo esecutivo. Ciò perché si arriverebbe ad una situazione legislativa non dissimile da quella ipotizzata dalla giurisprudenza nella risoluzione di ipotesi quali conversione del pignoramento o cessazione della vendita a lotti, cioè una parentesi cognitiva sommaria interna al giudizio di esecuzione risolvibile dallo stesso GE. L’aggancio alla parentesi cognitiva (autonomo processo a cognizione piena dinanzi un

giudice diverso) si perde perché è lo stesso GE,che a cognizione sommaria,decide con un’ordinanza, impugnabile con i rimedi oppositivi tipici del processo esecutivo. Porsi in una determinata logica,cioè considerarla vera e propria parentesi cognitiva o parte del processo esecutivo,influisce sulla soluzione da dare alle singole problematiche.

1°Problema:qual è l’oggetto delle controversie distributive? Da ciò deriva un’ulteriore problematica,quale è l’efficacia preclusiva dell’accertamento di cui al processo ex art. 512? Le due problematiche sono strettamente connesse perché il giudicato non può che essere collegato all’oggetto di questo giudizio. Qual è l’oggetto di queste controversie distributive? Due diverse soluzioni:1)L’oggetto è l’accertamento della esistenza o dell’inesistenza del diritto di credito; 2)L’oggetto è endoprocessuale, cioè è legato esclusivamente al diritto alla partecipazione della distribuzione della somma ricavata, il cosiddetto diritto al concorso.Se oggetto è il diritto di credito,quindi l’esistenza o l’inesistenza del credito,il giudicato che si forma copre l’esistenza o l’inesistenza del diritto di credito. Se oggetto è una situazione endoprocessuale, il giudicato che si forma copre solo la situazione endoprocessuale legata al diritto al concorso.Il discorso sul giudicato è maggiormente comprensibile in relazione all’originaria dimensione delle controversie distributive,le quali si svolgevano in un processo a cognizione piena soggette alle ordinarie impugnazioni. Quindi ritenere che l’oggetto delle controversie distributive fosse un diritto di credito ci portava a ritenere che il giudicato si formasse sull’esistenza o inesistenza del diritto di credito.Tuttavia per effetto delle riforme si è modificata la struttura delle controversie distributive e ha cominciato a farsi strada la tesi minoritaria,la quale ritiene che poiché l’accertamento non si svolge più

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a cognizione piena,ma si svolge a cognizione sommaria definito con ordinanza,l’oggetto delle controversie distributive non è l’esistenza o l’inesistenza del diritto di credito,ma è una mera situazione endoprocessuale che si sposa con la cognizione sommaria.Ecco le due logiche contrapposte:-la parentesi cognitiva sganciata dal processo esecutivo avente ad oggetto l’esistenza o l’inesistenza del diritto di credito,con passaggio in giudicato e efficacia preclusiva(il giudicato non potrà più discutersi in un successivo processo);-la parentesi cognitiva interna al processo esecutivo avente ad oggetto una situazione endoprocessuale con un giudicato che non ha nessuna efficacia preclusiva nei successivi processi.

2°Problema:il GE può accertare le situazioni sottostanti all’attuazione forzata? Poiché le controversie distributive ora si svolgono dinanzi al GE,egli può conoscere del’esistenza o inesistenza del diritto di credito?Se ammettiamo che il Ge può conoscere le situazioni sottostanti al processo esecutivo in senso proprio la risposta è affermativa;altrimenti dovremmo ritenere che data la riforma dell’art. 512 è precluso al Ge l’accertamento dell’esistenza o inesistenza del diritto di credito.Se oggetto delle controversie distributive è l’esistenza/inesistenza del diritto di credito dobbiamo ammettere una volta per tutte che il GE può conoscere anche le situazioni sostanziali sottostanti.

3°Problema:qual è l’oggetto dell’eventuale opposizione ex art. 617?Con l’opposizione ex art 617 si è sempre contestata la regolarità degli atti e del processo esecutivo(oggetto tipico di tale opposizione). Tuttavia da sempre si discute se l’opposizione ex art. 617 possa ospitare controversie di merito o attinenti a situazioni sostanziali. La problematica si pone perché per effetto delle riforme 2005-2006 le controversie distributive si concludono con un’ordinanza impugnabile ex art.617:se si ritiene che le controversie distributive abbiano ad

oggetto l’esistenza o l’inesistenza del diritto di credito,con un giudicato avente efficacia preclusiva,bisogna ammettere che l’opposizione ex art. 617 possa ospitare non solo controversie di mera legittimità ma anche di merito. Tuttavia anche ritenendo che l’oggetto delle controversie distributive sia una situazione processuale ,l’opposizione ex art. 617 viene utilizzata per finalità diverse da quelle originariamente immaginate.Una parte della dottrina già ante riforma sosteneva che oggetto delle controversie distributive fosse una situazione endoprocessuale e cioè il diritto al concorso;dopo le riforme 2005-2006 questa dottrina ha ricalcato la sua posizione,poiché non abbiamo più un processo a cognizione piena,ma un processo a cognizione sommaria che si innesta nel processo esecutivo. L’oggetto è il diritto al concorso(cioè il diritto a partecipare alla distribuzione della somma ricavata) e parallelamente il giudicato non può che formarsi su una situazione endoprocessuale e non sulla esistenza o inesistenza del diritto di credito. Anche la sentenza pronunciata all’esito di queste controversie distributive(quindi attenzione non solo all’esito dell’accertamento sommario ex 512 ma anche all’esito del giudizio cognitivo di cui all’art. 617), non dà dei risultati stabili in termini di giudicato in ordine all’esistenza/inesistenza del diritto di credito, ma dà dei risultati stabili esclusivamente sul piano endoprocessuale, cioè in relazione alla distribuzione della somma ricavata avvenuta nell’ambito di quel determinato processo esecutivo. L’unico accertamento a cognizione piena è quello ex art. 617.

Cosa significa ciò in termini di risultati e di durata? Secondo questa dottrina significa che il debitore potrebbe sempre esercitare un’azione di ingiustificato arricchimento avverso i creditori utilmente collocati nel piano di riparto(vedete la situazione si chiude, ma si chiude esclusivamente rispetto a quel processo esecutivo e a quella distribuzione). Poiché non viene accertato con efficacia di giudicato l’esistenza/inesistenza del diritto di credito, non sono precluse delle

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successive iniziative del debitore in termini di ripetizione d’indebito o di ingiustificato arricchimento. Questo ancora cosa significa? Insussistenza di ogni pregiudizio, al di fuori del processo esecutivo, per il creditore che era stato eliminato dal piano di riparto per essere risultato soccombente nel giudizio celebrato ex art. 512 e 617. Perché? Perché anche in questo caso l’accertamento dell’esistenza/inesistenza del credito è limitato al piano di riparto. Queste sono le conseguenze legate all’oggetto del giudicato: se il giudicato si forma sull’esistenza/inesistenza del diritto di credito avrà efficacia preclusiva; se l’oggetto del giudicato non è l’esistenza/inesistenza del diritto di credito è possibile che il debitore prenda iniziative in termini di ripetizione d’indebito o di ingiustificato arricchimento, così come il creditore soccombente nel giudizio ex 512 e 617, potrà sempre assumere una nuova iniziativa per cercare di vedere nuovamente soddisfatto il suo diritto di credito che non ha trovato soddisfazione in quel processo esecutivo. Inoltre tale giudicato non investirebbe i successivi giudizi tra debitore e creditori intervenuti. L’unica efficacia preclusiva,nel rapporto tra debitore esecutato e creditore procedente, si avrebbe nel caso in cui tale rapporto fosse stato oggetto di un’opposizione ex art.615,con la quale si contesta l’altrui diritto a procedere ad esecuzione forzata e con la quale si apre un’autonoma parentesi cognitiva nella quale il giudice accerterà con efficacia di giudicato se esiste o meno il diritto a procedere ad esecuzione forzata. Solo in questo caso si avrebbe un’efficacia preclusiva in futuro perché è diverso l’oggetto del processo e la sua struttura,pertanto è differente la stessa efficacia preclusiva.

Ma che spazio esiste in sede distributiva per l’opposizione ex art. 615? Che rapporto intercorre tra opposizione distributiva ex 512 e opposizione all’esecuzione ex 615? È pacifico che nella fase espropriativa si possa contestare l’altrui diritto a procedere ad esecuzione forzata ex 615,meno pacifico è se possa farlo nella fase distributiva nella quale ex 512 si contesta l’esistenza di un

diritto di credito. A seconda della teoria che si accoglie sull’oggetto delle controversie distributive si risolvono anche i rapporti tra l’art. 615 e l’art. 512. Se oggetto delle controversie distributive è l’esistenza o l’inesistenza del diritto di credito difficilmente si applicherà l’art. 615 in fase distributiva. Se oggetto delle controversie distributive è il diritto al concorso si applicherà l’art. 615 nella fase distributiva.La dottrina ha sempre ritenuto che se si contesta l’altrui diritto a procedere ad esecuzione forzata o si contesta l’esistenza del diritto di credito, difficilmente in fase distributiva c’è spazio per l’opposizione ex art. 615. Già ante riforma i rapporti tra 512 e 615 non erano assolutamente pacifici, non c’era uniformità di vedute in ordine alla esperibilità del 615 anche in sede distributiva, come rimedio facoltativo o addirittura come rimedio necessario per contestare l’altrui diritto a procedere ad esecuzione forzata. -Alcuni trovavano uno spazio: ritenere che l’oggetto delle controversie distributive sia l’esistenza/inesistenza del diritto di credito non esclude uno spazio per il 615 anche in sede distributiva, perché parte della dottrina sottolineava come una cosa è chiedere l’accertamento dell’esistenza/inesistenza del diritto di credito ai fini della distribuzione, altra cosa è contestare l’altrui diritto a procedere ad esecuzione forzata. Per spiegare un autonomo spazio operandi dell’art 615 in sede distributiva questa dottrina(in particolare Satta) faceva leva sul diverso regime tra i due rimedi oppositivi in tema di sospensione, perché ante riforma il 512 determinava la sospensione necessaria e il 615 determinava la sospensione facoltativa,perciò ritenere utilizzabile solo il 512 significava eludere il regime di sospensione dell’art 615 nel quale il giudice deve stabilire se sospendere o meno il processo esecutivo, mentre nel 512 scatta automaticamente la sospensione. - Altra dottrina già ante riforma negava l’applicabilità dell’art 615 in fase distributiva ammettendo solo l’applicabilità dell’art 512. Ritenevano che nella fase distributiva il legislatore desse solo la possibilità di contestare l’esistenza/inesistenza del diritto di

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credito,perché la possibilità di contestare l’altrui diritto a procedere ad esecuzione forzata si aveva solo nella fase esecutiva.Dunque ante riforma erano presenti due tesi: utilizzabilità o inutilizzabilità del 615 in sede distributiva.

Riforma del 2005-2006: Cosa ha detto la dottrina dopo la riforma sui rapporti tra l’art 512 e l’art 615?

Primo:che è venuta meno la differenza sulla sospensione,perché oggi ex 512 e ex 615 la sospensione è facoltativa. Quindi quello che poteva essere un argomento forte della dottrina ante riforma è venuto meno.

Secondo:che con la riforma il legislatore ha rafforzato l’idea secondo la quale la fase distributiva non è altro che una fase del processo esecutivo. Le controversie distributive sono conosciute dal GE con cognizione sommaria. L’art 615 è utilizzabile in fase distributiva perché alla luce delle riforme l’art 512 e l’art 615 sono utilizzabili in situazioni diverse. Secondo questa dottrina anche nella fase distributiva si può proporre l’opposizione ex 615,che in tal caso è un rimedio facoltativo. Dunque la parte in sede distributiva potrebbe scegliere se utilizzare l’opposizione ex 512 o l’opposizione ex 615, perché hanno un oggetto diverso e portano a risultati diversi, perché con l’opposizione ex 615, facendo valere l’illiceità del fenomeno esecutivo in atto, si mira a far cadere l’aggressione nel suo complesso,e dunque il processo esecutivo nel suo complesso; con l’opposizione ex 512 invece si mira esclusivamente a provocare una modifica del piano di riparto, mettendo in discussione il diritto al concorso di cui è portatore un determinato creditore. Altra problematica,del tutto nuova, deriva dalla riforma dell’art 499 in tema di intervento dei creditori,che ha introdotto l’accertamento endoprocessuale che si perfeziona ex 499 per effetto della mera dichiarazione del debitore, cioè sostanzialmente riconoscimento

espresso e riconoscimento tacito. Qual è il rapporto tra l’accertamento endoprocessuale ex art 499 e le controversie distributive-fase distributiva?L’accertamento endoprocessuale è vincolante anche nella fase distributiva o solo nella fase esecutiva? Posso metterlo in discussione ex 512 anche in sede distributiva? Anche qui si è aperto un dibattito e in dottrina sono state sostenute entrambe le posizioni. Gran parte della dottrina è molto critica nei confronti di questo accertamento endoprocessuale e per ridurne la portata ritiene che possa procedersi a degli autonomi accertamenti nella fase distributiva.

STABILITA’ DEGLI EFFETTI DELLA DISTRIBUZIONE

Come ci interroghiamo sulla stabilità degli effetti della vendita così ci interroghiamo sulla stabilità degli effetti della distribuzione. Anche la distribuzione si compone di vari subprocedimenti e per ognuno si pone il problema della stabilità degli effetti.Alla distribuzione della somma ricavata ci si arriva per l’ accordo tra le parti o per effetto delle eventuali contestazioni che sfociano nelle controversie distributive ex art. 512. A seconda dei casi,la problematica sugli effetti della distribuzione,benché unitaria,si atteggia in termini differenti.Le problematiche riguardano tutte le situazioni creditorie (salvo le ipotesi in cui il creditore agisce in via esecutiva sulla base di un titolo già passato in giudicato, il quale abbia accertato l’esistenza o l’inesistenza del suo diritto di credito) nelle quali il creditore non ha un titolo esecutivo rappresentato da una sentenza di condanna già passata in giudicato.

QUANDO LA DISTRIBUZIONE SI REALIZZA PER EFFETTO DELLE CONTROVERSIE DISTRIBUTIVE:Se ricostruiamo l’oggetto delle controversie distributive ex art.512 in termini di esistenza o di

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inesistenza del diritto di credito avremo una maggiore stabilità delle controversi distributive. Se ricostruiamo l’oggetto delle controversie distributive come una situazione endoprocessuale,il diritto al concorso, non avremo mai una stabilità che riguarda l’esistenza del diritto di credito perché in futuro il debitore potrà sempre rimettere in discussione i risultati del processo esecutivo nei rapporti con quel determinato creditore. A seconda di come ricostruiamo l’oggetto delle controversie distributive ne derivano dei limiti del giudicato differenti e conseguentemente ne deriva una maggiore o minore stabilità della distribuzione quale fase conclusiva ed ultima del processo esecutivo.

QUANDO LA DISTRIBUZIONE SI REALIZZA PER EFFETTO DI UN ACCORDO TRA LE PARTI:In questo caso la distribuzione poggia su un accordo e non su un provvedimento giurisdizionale ex art. 512. Che natura ha questo accordo,sostanziale o processuale?A seconda della risposta ne derivano conseguenze diverse in termini di stabilità della distribuzione:se la natura dell’accordo è sostanziale è chiaro che i rimedi per attaccare l’accordo sono i rimedi negoziali tipici di un contratto, se invece ritenete che l’accordo ha natura processuale è chiaro che i rimedi per attaccare l’accordo dovranno essere i rimedi processuali e non quelli sostanziali. Con riferimento alla diversa natura dell’accordo (sostanziale o processuale) sono state sostenute con diverse argomentazioni entrambe le tesi. Tende a prevalere l’impostazione che attribuisce natura processuale a questo accordo perché si ritiene che la sua collocazione nell’ambito del processo esecutivo lo discosti da un qualunque accordo tra privati e gli attribuisca maggiore stabilità perché soggetto ai rimedi processuali e non sostanziali..

Tuttavia possiamo distinguere tre diverse teorie che si contendono il campo sulla stabilità della distribuzione:

PRIMA TEORIA: Quale stabilità realizza questa distribuzione? Quali margini esistono successivamente alla distribuzione per i debitori ed i creditori per rimettere in discussione i risultati della distribuzione? Questa prima teoria ci dice che nonostante l’accordo abbia natura processuale non si realizza una vera e propria stabilità, per cui il debitore avrebbe sempre spazio per agire in ripetizione di indebito. Non si avrebbe nessun giudicato

SECONDA TEORIA: L’accordo,proprio per la sua natura processuale,equivale ad un accertamento giurisdizionale sull’esistenza e l’ammontare del credito, e pertanto preclude al debitore di agire in ripetizione di indebito e preclude al creditore di agire per il residuo del credito.Su questa teoria,nata ante riforma, ha influito il dibattito sull’art 512 e ne deriva che tale teoria ha senso solo se si riconosce all’art 512 un’efficacia preclusiva. Al contrario se ricostruiamo l’oggetto delle controversie distributive come questione endoprocessuale a tale accordo conferiamo una maggiore stabilità di quella insita nel provvedimento giurisdizionale. Secondo questa dottrina siamo in presenza di un giudicato pieno che mi preclude di rimettere in discussione quei risultati.

TERZA TEORIA: tesi intermedia che ha prevalso per lungo tempo.. Secondo questa dottrina al debitore sarebbe preclusa la ripetizione dell’indebito ma non anche la contestazione dell’esistenza e dell’ammontare del credito al fine di paralizzare la richiesta del creditore per l’ adempimento della parte del credito per il quale è rimasto insoddisfatto. Il creditore dunque non potrebbe utilizzare per il residuo del credito quel titolo esecutivo che si è formato nel processo esecutivo. Non si avrebbe dunque un accertamento giurisdizionale in toto ma si avrebbe un accertamento giurisdizionale solo tale da precludere la ripetizione dell’indebito da parte del debitore. Qualcuno ha

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parlato di preclusione pro iudicato,che darebbe qualcosa di meno di un giudicato perché preclude la ripetizione dell’indebito ma non accerta il credito in modo indiscutibile per il futuro. (riprende un indirizzo della Cassazione).

La corte di Cassazione, ante riforma, tendeva a valorizzare la stabilità della distribuzione. Infatti diceva che: sarebbe contraddittorio riaprire un fronte di contestazione laddove il debitore non ha utilizzato l’opposizione ex art 615 e i creditori non hanno sollevato contestazioni ex art 512…. è coessenziale in un procedimento giurisdizionale che si abbia la stabilità dei suoi risultati, soprattutto se sono state rispettate le regole di questo procedimento e le parti che ne avevano diritto non hanno utilizzato in sede processuale quei rimedi che potevano utilizzare….. i creditori non hanno utilizzato i rimedi ex art 512, i debitori non hanno utilizzato l’opposizione ex art 615, per quale motivo non dovremmo attribuire a questo iter procedimentale un minimo di stabilità dei risultati?

In questo dibattito si inserisce la riforma ed inevitabilmente le posizioni che erano divise a tutt’oggi sono divise sulla base di argomentazioni nuove. La Cassazione PREVALENTE, tendeva ad assicurare la stabilità del riparto ante riforma, facendo leva su una serie di argomentazioni che la dottrina ha ripreso per cercare di assicurare un minimo di stabilità alla distribuzione, quantomeno in termine di preclusione pro iudicato (cioè di impossibilità da parte del debitore di esperire azioni di ripetizione dell’indebito una volta che si sia chiuso il processo esecutivo). Sotto il profilo della stabilità della distribuzione si contendono il campo due diverse concezioni: la concezione COGNITIVA e la concezione ESECUTIVA della fase distributiva.

Per una parte della dottrina la distribuzione avrebbe una natura fondamentalmente COGNITIVA, e quindi la distribuzione sarebbe una

fase del processo che quantunque coordinata al fine dell’esecuzione, partecipa in realtà della natura e della funzione del processo ordinario di cognizione. Questo tipo di dottrina fa leva soprattutto sulla possibilità che possano partecipare al processo esecutivo (e quindi al concorso) anche i creditori sforniti di un titolo esecutivo e quindi quelli che non sono legittimati all’azione esecutiva in senso astratto. Perché se io apro a dei creditori non titolati ho necessità di un accertamento nella fase distributiva, posso argomentare della natura cognitiva di questa fase distributiva, che si inserisce nel processo esecutivo ma ha questa componente cognitiva ineliminabile.

Altra parte della dottrina invece, ritiene che questa fase distributiva abbia una natura ESECUTIVA, ravvisando anche nella fase distributiva una natura esecutiva, riconoscendo in capo a tutti i creditori concorrenti la titolarità di un’azione esecutiva in senso proprio. Questa dottrina dice che l’azione esercitata dai creditori non titolati, sarebbe sussidiaria rispetto a quella dei creditori titolati. Per giustificare(perché entra in crisi) la sua posizione di natura esecutiva, ritiene che anche i creditori non titolati (che non hanno un’azione esecutiva perché non hanno un titolo esecutivo), eserciterebbero un’azione sussidiaria rispetto a quella dei creditori titolati che hanno l’azione esecutiva, e ravvisa nella distribuzione un’attività liquidatoria e astratta, completamente svincolata dall’esame dei presupposti sostanziali e delle singole domande di soddisfazione. Quindi ritiene ammissibile anche dopo la chiusura del processo di espropriazione, l’esercizio da parte dell’esecutato di un’azione di restituzione della somma assegnata ai creditori concorrenti muniti del titolo ad es. stragiudiziale, o sforniti del titolo.

ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA

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Riferimenti normativi da ritrovare in parte nel c.c ed in parte nel c.p.c. In particolare gli artt 2930, 2931, 2932, 2933 c.c e artt 605 e ssc.p.c (esecuzione per consegna o rilascio) ed artt 612 e ss c.p.c (esecuzione forzata per obblighi di fare e non fare).

L’esecuzione specifica va distinta in: esecuzione per consegna o rilascio e d esecuzione forzata di obblighi di fare e non fare. Essa va a sua volta distinta dall’espropriazione forzata e dalle forme di esecuzione indiretta (o misure coercitive). Solo con la riforma del 2009 è stata introdotta una norma, l’art 614bis c.p.c, che per la prima volta introduce nel nostro ordinamento un sistema generalizzato di misure coercitive.

La tutela specifica ha molta importanza sul piano della effettività della tutela giurisdizionale, poiché essa si contrappone alla tutela risarcitoria e consente all’avente diritto di ottenere proprio quello per cui ha effettivamente diritto. Possiamo così capire quanto siano importanti altre due tematiche:

1) Se la tutela specifica abbia una portata tipica ossia generalizzabile, cioè se le ipotesi di tutela specifica previste nel nostro ordinamento siano delle ipotesi specifiche o generalizzabili.

2) Sull’importanza della presenza nell’ambito del nostro ordinamento di forme di esecuzione indiretta; perché sul piano della effettività della tutela giurisdizionale l’esecuzione specifica incontra del limiti, perché per il modo in cui è strutturata, è inservibile in una serie di ipotesi.

Tradizionalmente è inservibile nel caso di prestazioni INFUNGIBILI (es: per l’obbligo di non fare generalizzato, cioè a fronte di diritti reali facenti capo ad un determinato consociato, normalmente scatta un obbligo di pati, cioè di consentire al titolare del diritto reale in capo a

tutti gli altri consociati, il non fare generalizzato è di per sé infungibile, perché solo quel soggetto può non fare (non può essere surrogato da un altro soggetto).

Al contempo vi sono degli obblighi di fare infungibili, ed obblighi di fare fungibili (es cantante che si impegna a cantare in determinate circostanze di tempo e luogo). In tutte queste ipotesi l’esecuzione specifica è inservibile poiché la stessa tecnica su cui poggia non può conseguire il risultato, giacché tale tecnica sarebbe quella di sostituire il soggetto obbligato con un terzo in modo da consentire all’avente diritto di conseguire quel determinato risultato. Ciò è però possibile solo quando quella prestazione sia fungibile. L’esecuzione indiretta non è importante proprio perché, premendo sulla volontà del soggetto obbligato, lo spingono ad adempiere. La categoria dell’esecuzione specifica trova riscontro nel c.c e nel c.p.c, il quale ultimo però tende ad occuparsi per lo più dell’esecuzione per consegna o rilascio e dell’esecuzione degli obblighi di fare e non fare. La categoria generale dell’esecuzione specifica noi la ritroviamo nel c.c, nel quale troviamo ricondotte anche delle ipotesi che secondo l’impostazione prevalente non sarebbero di esecuzione specifica; è il caso dell’art 2932 c.c che secondo l’impostazione tradizionale è un’ipotesi di tutela sostitutiva e non di esecuzione specifica. Questo è il motivo per il quale parte della dottrina mette in discussione l’esistenza stessa dell’esecuzione specifica.

In cosa si diversifica l’esecuzione specifica dall’espropriazione forzata?

Tradizionalmente per distinguerle la dottrina faceva ricorso alla contrapposizione tra TUTELA SPECIFICA (esecuzione specifica) e TUTELA RISARCITORIA (espropriazione forzata).

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La dottrina più recente contesta questo tipo di impostazione e tende per lo più ad evidenziare come:

a) l’esecuzione specifica si differenzi dall’espropriazione forzata perché l’oggetto dell’esecuzione coincide con l’oggetto dell’obbligo (consegnare un bene mobile, rilasciare un bene immobile, eseguire un’opera),

b) mentre l’espropriazione forzata normalmente ha ad oggetto, almeno nella sua prima fase, beni del debitore oggetto della responsabilità patrimoniale e non il bene(somma di denaro) oggetto dell’obbligo inadempiuto.

Va osservato che la più recente dottrina tende a diversificare l’esecuzione specifica dall’espropriazione forzata, guardando alla diversa “struttura” del procedimento. In questo tipo di prospettiva si dice :

1) che l’esecuzione specifica tende a soddisfare il diritto di un soggetto particolare su un bene determinato,(il bene mobile da consegnare,il bene immobile da rilasciare) ovvero mira ad una determinata prestazione fungibile (un facere o un non facere). Pertanto l’esecuzione specifica è volta a nuovamente immettere il proprietario nella materiale ed attuale disponibilità dei suoi beni (consegna o rilascio), ovvero a garantire all’avente diritto la costruzione o la distruzione di un’opera determinata, in difetto di adempimento spontaneo del soggetto obbligato.

2) Viceversa l’espropriazione forzata tende a realizzare coattivamente il diritto di credito mediante la liquidazione in danaro di beni particolari del debitore, e la conseguente distribuzione del ricavato agli aventi diritto secondo le norme sostanziali e processuali che regolano la par condicio creditorum. Tra l’altro l’espropriazione forzata passa per una serie di attività

volte a trasferire la proprietà dei beni che formano oggetto di esecuzione

Quindi, se è vero questo dato di fondo, la STRUTTURA di questi due processi è diversa perché:

1) nell’esecuzione specifica già il titolo reca il risultato finale del processo esecutivo;

2) nell’espropriazione forzata invece il risultato finale (pagamento dei creditori aventi diritto) presuppone il compimento di una serie di attività strumentali che nel dettaglio non sono prevedibili o comunque non sono descritte nel titolo esecutivo.

In modo significativo taluno dice che l’espropriazione forzata è un processo sul bene, ma il bene oggetto dell’esecuzione viene individuato non dal titolo esecutivo bensì nel processo.

DISTINZIONE TRA TUTELA RISARCITORIA E TUTELA SPECIFICA

Quanto alla contrapposizione tra tutela specifica e tutela risarcitoria occorre precisare che :

1) la tutela specifica indica sostanzialmente quella forma di tutela diretta a far conseguire al titolare del diritto quelle stesse utilità garantitegli dalla legge o dal contratto e non utilità equivalenti,laddove questa tutela specifica trova la sua aria di elezione tipica con riferimento ai diritti reali di godimento ( tutela reale) ed è caratterizzata oltre che dal fatto che si realizza per il tramite

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dell’esecuzione forzata in forma specifica,anche dalla circostanza che spesso si accompagna alla tutela inibitoria.

2) La tutela risarcitoria invece tradizionalmente si definisce come quella forma di tutela diretta a far conseguire al titolare del diritto non la stessa utilità garantitagli dal contratto o dalla legge ma soltanto utilità equivalenti, e quindi non il bene dovuto in natura ma solo il suo equivalente monetario. Questa forma di tutela si manifesta in forma tipica in riferimento alla responsabilità da fatto illecito e alla responsabilità contrattuale.

La contrapposizione tra tutela specifica e tutela risarcitoria che sembra così netta entra in crisi con riferimento all’art. 2058 cc “risarcimento in forma specifica”. Questa è un’ipotesi di esecuzione in forma specifica oppure no?

A) una parte della giurisprudenza ritiene che il codice qui disciplinerebbe una peculiare ipotesi di esecuzione in forma specifica, subordinata all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, che la potrebbe disporre nella sola ipotesi in cui questa reintegrazione in forma specifica non sia eccessivamente onerosa per il debitore.

B) Tuttavia questa impostazione non è condivisa dalla dottrina prevalente secondo la quale il 2058 si limiterebbe a disciplinare una peculiare modalità di risarcimento del danno, il cui tratto caratterizzante sarebbe rappresentato esclusivamente dal fatto che la determinazione dell’entità del risarcimento è realizzata ricorrendo a parametri diversi da quelli tradizionali utilizzati ex art.2043 cc e ex art.1218 cc.

AMBITO DI APPLICAZIONE DELL’ESECUZIONE FORZATA IN FORMA SPECIFICA.

Con riferimento alle SITUAZIONI SOSTANZIALI TUTELABILI va osservato che secondo la dottrina più risalente l’esecuzione forzata in forma specifica è una forma di tutela legata ai diritti assoluti,in species ai diritti reali, laddove invece la tutela risarcitoria sarebbe la forma di tutela tipica delle situazioni obbligatorie e il prototipo di questa tutela risarcitoria sarebbe l’art. 1218 cc secondo il quale l’inadempimento di una determinata obbligazione determina il diritto al risarcimento del danno.

N.B. La dottrina più recente tende a ritenere che per delimitare l’ambito di applicazione dell’esecuzione forzata in forma specifica bisogna ma al tipo di obbligo che scaturisce per effetto della violazione di queste situazioni giuridiche. Ne consegue che l’esecuzione forzata in forma specifica in linea di principio può venire in rilievo a tutela sia di diritti assoluti sia di diritti relativi.Tuttavia l’esecuzione forzata in forma specifica può incontrare dei limiti costituiti:

1)dall’ infungibilità della prestazione ovvero

2)dalla determinatezza della cosa che è oggetto del processo esecutivo.

Quanto all’ambito applicativo tout court dell’esecuzione specifica è da precisare che:

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A)in passato si sottolineava come l’esecuzione specifica che l’esecuzione forzata in forma specifica fosse un rimedio alternativo alla tutela risarcitoria.

B)Viceversa, l’opinione che oggi tende a prevalere è quella secondo la quale l’esecuzione specifica sarebbe utilizzabile dalla parte esclusivamente nelle ipotesi in cui la parte non possa conseguire quel determinato risultato se non aggredendo la sfera possessoria dell’obbligato. In particolare si osserva come tale tesi faccia leva sull’ art. 100 c.p.c. Si sottolinea infatti che l’interesse ad agire si ha solo se lo strumento che io aziono è uno strumento indispensabile e non quando quel medesimo risultato si può ottenere in via di autonomia privata

Alla luce di tali considerazioni va rilevato che, nel caso dell’esecuzione per consegna o rilascio, laddove la consegna abbia ad oggetto beni mobili fungibili reperibili sul mercato non sarebbe possibile utilizzare l’esecuzione in forma specifica, stante l’assenza del requisito dell’indispensabilità, rectius dell’ interesse ad agire . Infatti in tale ipotesi ben si potrebbe reperire sul mercato quei beni, acquistarli e poi agire in risarcimento danni nei confronti della mia controparte, atteso che in questo caso i beni sono fungibili.

Con riferimento agli obblighi di fare o di disfare (tinteggiare l’appartamento dell’avente diritto,distruggere l’opera costruita sul lato e sul fondo dell’avente diritto) poniamo il caso che il mio vicino abbia costruito sul mio fondo,o abbia costruito sul suo fondo senza rispettare i limiti,in entrambi i casi io posso ottenere una sentenza di condanna alla distruzione dell’opera illegittimamente realizzata,soltanto che se l’opera è stata illegittimamente costruita sul mio fondo io posso distruggerla,anticipando le spese e poi agire nei confronti del mio vicino in risarcimento del danno.

Invece se il mio vicino ha costruito sul suo fondo senza rispettare i limiti io non posso entrare nel suo fondo e distruggere l’opera ma devo utilizzare il processo di esecuzione forzata in forma specifica che dunque in questo secondo caso si atteggia come rimedio indispensabile.

Quanto all’art. 2932 cc. va precisato che le caratteristiche di tale disposizione sono le seguenti:A) il non avere a monte un titolo esecutivo;B) la consequenziale natura cognitiva;C) lo sfociare in un mutamento della realtà giuridica e non della realtà materiale,atteso che tale articolo tratta alla stregua di un’attività esecutiva di tipo materiale quella che in realtà è una sentenza costitutiva che tiene luogo del contratto definitivo.

N.B Tale disposizione costituisce una novità del nuovo codice, atteso che nel codice del 1865 mancava una norma analoga, in quanto si riteneva che quella oggi contemplata dal 2932 cc non fosse un’obbligazione coercibile e si riteneva possibile solo la tutela risarcitoria; Invece il nuovo codice introduce l’art. 2932 cc proprio per rendere coercibile l’obbligo, per passare da una tutela meramente risarcitoria ad una tutela specifica e per consentire che a fronte di un contratto preliminare io possa ottenere un contratto che tiene luogo del definitivo e non mi debba accontentare della tutela risarcitoria.

Perché il codice colloca questo rimedio nell’ambito delle norme sull’esecuzione specifica? Perché una parte della dottrina ritiene che questa sia un’ipotesi del tutto peculiare che ha al contempo una natura cognitiva ed esecutiva in quanto presuppone a monte l’accertamento ,ma in fondo ha anche una componente esecutiva perché qui si tratta comunque di un fare,seppur

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peculiare,trattandosi di rendere una determinata dichiarazione di volontà.

Parte della dottrina ( Satta) riteneva che questa norma fosse un errore sistematico del legislatore sostanziale in quanto l’art. 2932 cc è un processo cognitivo che dà luogo ad una tutela costitutiva.

Altri invece hanno parlato di una tutela esecutiva in forma specifica ma non forzata, nel senso che non è subordinata ai presupposti del libro terzo,su tutti la presenza del titolo esecutivo;

Altri ancora hanno parlato di una forma di tutela alternativa o mista compatibile sia con la tecnica della cognizione sia con quella dell’esecuzione,sottolineando come questo 2932 cc contempla due distinti profili l’uno sostanziale e l’altro processuale che ben difficilmente il legislatore avrebbe potuto comporre in una figura unitaria e armonica; Una parte della dottrina,infine ritiene che vi sarebbe una correttezza sistematica nella collocazione del 2932 cc in quanto la vera particolarità di questo processo ex 2932 cc è l’essere un processo a struttura cognitiva ma con funzione cognitiva ed esecutiva al contempo e il carattere costitutivo di questa ipotesi ex 2932 cc non sarebbe altro che il carattere costitutivo di ogni forma di esecuzione forzata,l’unica peculiarità sarebbe legata al tipo di obbligo che viene in rilievo,ossia la dichiarazione di volontà,la cui caratteristica è rappresentata non dalla infungibilità bensì dall’essere un facere che non consiste nel compimento di un’opera materiale per il quale non è utilizzabile l’art. 612 cpc “ esecuzione di obblighi di fare e di non fare”. Si discute se taluni provvedimenti siano suscettibili di esecuzione forzata in forma specifica. In particolare si pensi:

1) all’ordine di reintegrazione del prestatore di lavoro subordinato licenziato ex art. 18 St Lav;

2) e ai provvedimenti in tema di affidamento dei minori.

1)Per quanto concerne l’ordine di reintegrazione del prestatore di lavoro subordinato licenziato ex art. 18 St Lav va osservato che si ritiene che l’art.18 dello statuto dei lavoratori contenga delle misure coercitive,perché per tutto il periodo in cui il datore di lavoro non provvede a reintegrare il lavoratore deve comunque pagare lo stipendio al lavoratore e versare anche una determinata somma.

Ciò detto è da precisare che:

A) la dottrina maggioritaria ritiene che, in tal caso, dato il carattere infungibile della prestazione, che è desumibile dal fatto che, a fondamento del rapporto tra lavoratore e datore di lavoro vi sarebbe un rapporto di collaborazione tra i due soggetti, la condanna non sia attuabile nelle forme dell’esecuzione forzata in forma specifica.

B) A contrario alcuni giudici del lavoro hanno ritenuto possibile la nomina di una sorta di commissario ad acta per surrogare l’imprenditore nelle attività necessarie nel reinserimento del lavoratore nelle mansioni esercitate prima del licenziamento illegittimo;

C) altre pronunce giurisprudenziali hanno invece previsto l’accompagnamento forzoso sul posto del lavoro tramite l’ufficiale giudiziario;

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2)Con riferimento ai provvedimenti in tema di affidamento dei minori, posto che il minore non è una cosa e che quindi sarebbe preferibile l’esecuzione degli obblighi di fare o di non fare, si contendono il campo le seguenti tesi:

A)secondo alcuni, questi sono dei provvedimenti che non sono eseguibili in nessuna forma particolare;

B)secondo altri, si dovrebbe ricorrere ad una forma di esecuzione in via amministrativa, presidiata da sanzioni penali, previste dagli artt. 388 e 650;

C) qualcuno ha detto che occorrerebbe distinguere a seconda della natura del provvedimento,ossia se il provvedimento è definitivo sarebbe soggetto all’esecuzione forzata degli obblighi di fare, se il provvedimento è provvisorio o temporaneo dovrebbe essere attuato dallo stesso giudice che ha emesso il provvedimento.

D) L’impostazione che tende a prevalere è quella che ricorre all’esecuzione forzata degli obblighi di fare in quanto in questo caso gioca un ruolo determinante l’art. 612 cpc, cioè l’ordinanza determinativa delle modalità dell’esecuzione, atteso che l’affidamento del minore richiede proprio un margine di discrezionalità significativo da parte del giudice nell’individuare le modalità di attuazione in relazione al singolo caso di specie.

Quanto alla possibilità di dare ingresso in casi particolari all’esecuzione forzata in forma specifica anche per la consegna di una somma di danaro, considerata come una sorta di res oggetto di un facere fungibile,va osservato come in tal caso il il problema si era posto per l’esecuzione dei provvedimenti d’urgenza ex art. 700 cpc recanti condanne al pagamento di una somma di danaro.Tale problematica è stata risolta dalla novella del ’90 che per l’attuazione dei provvedimenti ex 700 cpc rinvia alle norme sull’espropriazione e dunque fa riferimento alla par condicio creditorium.

IL RAPPORTO TRA L’ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA E LA PAR CONDICIO CREDITORUM

Parte della dottrina ritiene che il rischio di violare la par condicio creditorum sarebbe insito nell’atteggiarsi dell’esecuzione forzata in forma specifica, atteso che in tal caso io aggredisco un determinato bene e vado a soddisfarmi in maniera preferenziale andando proprio a violare la par condicio creditorum. Tale tesi è da rigettare dal momento che:

1) per quanto concerne l’esecuzione per consegna è da osservarsi che essa ha sempre ad oggetto beni che sono già fuoriusciti dal patrimonio del debitore e quindi non fanno più parte della responsabilità patrimoniale sicché non ci può essere nessuna violazione della par condicio creditorum. Peraltro anche laddove le cose da consegnare fossero GIA’ PIGNORATE, non vi sarebbe alcun contrasto, in quanto l’art. 607 c.p.c precisa che in tal caso “la consegna no può avere luogo” e che “la parte istante

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deve far valere le sue ragioni mediante opposizione a norma degli art. 619 e ss cpc”.

2) Per il rilascio di immobili, il problema va risolto analogamente grazie all’art.559 cpc che disciplina la custodia del bene immobile e che stabilisce che il rilascio non potrà mai superare la custodia dei beni immobili pignorati e se vi è contrasto fra rilascio e custodia l’art.559 cpc impone di applicare anche qui una soluzione analoga a quella di cui all’art. 607 cpc.

3) Inoltre non è configurabile una violazione della par condicio creditorum in ordine all’esecuzione degli obblighi di fare o di non fare. In tal caso il problema non può porsi con riferimento alla costruzione di un’opera, atteso che il creditore che ha anticipato le spese, a fronte del mancato pagamento del debitore, dovrà necessariamente attivare un processo di espropriazione forzata nel pieno rispetto della par condicio creditorum. Con riferimento alla distruzione di un’opera illegittimamente realizzata non si avrà alcuna violazione della par condicio creditorum dal momento che tale opera non è entrata legittimamente nel patrimonio del debitore.

ESECUZIONE PER CONSEGNA O RILASCIO

Ai sensi del 2930, oggetto dell’esecuzione per consegna o rilascio possono essere solo cose determinate.

Qui bisogna fare una precisazione: si dice tendenzialmente che questo requisito della “determinatezza” non è altro che la “liquidità” di cui all’art. 474.

Può accadere che le cose da consegnare siano determinate solo nel genere (art.1178 c. c), ed in tal caso la loro individuazione e consegna equivarrebbe a trasferimento della proprietà ex art. 1378, ci si deve domandare se sia ammissibile in tal caso l’esecuzione in forma specifica.La posizione prevalente tanto in dottrina che in giurisprudenza è di segno negativo, e ciò sia

1) perché l’esecuzione forzata in forma specifica non ha mai la funzione di trasferimento coattivo della proprietà di determinati beni,

2) sia perché vi sarebbe una possibile violazione, in tal caso, della par condicio creditorum con questa operazione del trasferimento di proprietà.

Secondo una tesi intermedia, invece, bisogna distinguere l’ipotesi di un trasferimento di una massa di cose (1377 cc) dal trasferimento di cose determinate solo nel genere (1378 cc). Ne consegue che:

A)nel primo caso (trasferimento di una massa di cose) l’esecuzione specifica sarebbe possibile perché in questo caso l’acquisto della proprietà avrebbe luogo all’atto dello scambio del consenso e quindi in tal caso sarebbe possibile utilizzare l’esecuzione per consegna o rilascio, atteso che l’individuazione non sarebbe lo strumento per determinare il trasferimento di proprietà.

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B) Nel secondo caso l’esecuzione per consegna non potrebbe essere utilizzata, perché l’esecuzione forzata equivarrebbe ad un acquisto della proprietà del bene in violazione dell’art. 2908cc nonché, secondo alcuni, in violazione della par condicio creditorum (2741cc).

Parte della dottrina, inoltre, ammette la possibilità di utilizzare l’esecuzione specifica per consegna anche per cose determinate solo nel genere. Secondo alcuni, infatti, all’individuazione della cosa provvederebbe l’ufficiale giudiziario senza che vi sia contrasto con la par condicio credito rum, perché l’art. 607 scongiurerebbe rischi di questo tipo.

N.B. Le cose devono essere, oltre che determinate, anche:

1) infungibili. Sul punto occorre precisare che, mentre per i beni immobili l’infungibilità è in re ipsa, nel caso dei beni mobili non è possibile affermare che essi sono fungibili qualora sia possibile reperirli sul mercato. Infatti la fungibilità/infungibilità deve essere valutata in relazione alla singola situazione di specie facendo riferimento, ad esempio alle CONDIZIONI ECONOMICHE DI UN DETERMINATO SOGGETTO.

2) e nella disponibilità del soggetto obbligato. In particolare, per i BENI MOBILI, si dice che essi si devono trovare nei luoghi in cui l’ufficiale giudiziario può ricercarla ai sensi dell’art. 513, norma che

abbiamo a suo tempo visto ai tempi dell’espropriazione mobiliare e norma che è richiamata dall’art. 606 cpc.

FUNZIONE DELL’ESECUZIONE PER CONSEGNA O RILASCIOLa funzione è la sostituzione dell’avente diritto all’obbligato nella relazione tra soggetto e cosa, relazione che può essere costituita dal possesso ma anche dalla detenzione, atteso che l’art. 2930 l’utilizzazione dell’esecuzione anche a favore di titolari di diritti personali di godimento

STRUTTURATitolo esecutivo: alla luce della più recente riforma abbiamo detto che anche l’atto pubblico, oltre alla sentenza e al verbale di conciliazione, può costituire titolo esecutivo per la consegna o rilascio. È una delle più importanti novità della riforma perchè prima l’atto pubblico era titolo esecutivo solo per il pagamento di somme di denaro. Il precetto deve contenere, oltre alle indicazione di cui all’art. 480, anche la descrizione sommaria dei beni .Il giudice competente è il tribunale del luogo ove si trovano le cose.

SOGGETTO PASSIVO DELL’ESECUZIONE. Posto che l’esecuzione specifica ha una direzione oggettiva che è indirizzata al bene, è ben possibile che quando mi indirizzo verso quel determinato bene esso non sia nel possesso o nella detenzione del debitore, ma sia nel possesso o nella detenzione di un terzo. Ne deriva un problema di limiti soggettivi del titolo esecutivo. Sul punto sono state formulate diverse tesi:

1) parte della dottrina ritiene che io posso agire in esecutivis solo nei confronti del soggetto indicato nel titolo e nei confronti dei suoi eredi. Tale tesi fa leva sull’art. 477 che stabilisce che il

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titolo esecutivo è efficace soltanto nei confronti degli eredi, e sul fatto che nel nostro ordinamento non esiste un sistema per far accertare preventivamente l’effettiva sussistenza della fattispecie che estende al terzo l’efficacia dell’atto titolo esecutivo.

2) Altri, estendendo di più l’ambito, dicono che io posso agire in via esecutiva nei confronti del soggetto indicato nel titolo, dei suoi eredi, dei suoi successori a titolo particolare (art. 111 coma 4 c.p.c.) e nei confronti del sub-conduttore (art. 1595 ult. comma c.c.).

3) Altri ancora dicono che la sfera dei soggetti che possono essere colpiti deve essere ancora più ampia, perché si dovrebbe immaginare una corrispondenza tra atto di diritto sostanziale e aggressione in via esecutiva, in una logica che tende a configurare una sorta di provocatio ad opponendum, nel senso che io aggredisco il terzo e il terzo, se vorrà poi difendersi, dovrà utilizzare le opposizioni esecutive. L’esistenza di fatti storici, dice questa dottrina, che integrano la fattispecie estensiva al terzo dell’efficacia del titolo esecutivo è meramente affermata dal creditore ed è suscettibile di controllo in sede di opposizione al precetto su indicazione dell’esecutato ma con un onere della prova, in quella sede a carico del procedente.

4) La giurisprudenza tende a dire che il titolo esecutivo avrebbe efficacia erga omnes e lo potrei utilizzare nei confronti di qualsivoglia terzo che si trovi nel possesso o detenzione del bene indicato nel titolo. Sulla base del solo comando indicato nel titolo posso aggredire la sfera di un terzo il quale, se vorrà difendersi, dovrà utilizzare l’opposizione di terzo ex. art 404 e dovrebbe affermare e dimostrare in quella sede di essere titolari di un diritto sostanziale prevalente rispetto a quello

dell’esecutante. C’è anche chi tenta di valorizzare l’art. 610 (Risoluzione delle difficoltà nel corso dell’esecuzione: io dovrei, prima di aggredire i terzi, utilizzare il potere del giudice di risolvere eventuali difficoltà).

N.B . Nel momento in cui si ritiene che l’esecuzione si dirige direttamente nei confronti del terzo, notificando a lui il titolo esecutivo e il precetto, allora egli diventerebbe nella sostanza parte di questo processo esecutivo e potrebbe utilizzare il rimedio di cui all’art. 615 (opposizione all’esecuzione).

Se invece l’esecuzione si dirige nei confronti del debitore, il terzo che si trova nel possesso del bene e si vede aggredito nella sua sfera possessoria, può utilizzare i rimedi oppositivi del terzo (e non della parte): opposizione ex 619 ovvero opposizione di terzo ordinaria ex art. 404 laddove si acceda alla tesi sostenuta dalla giurisprudenza.

PROCEDIMENTO.

La novella dell’art.608 ha precisato che l’esecuzione per consegna o rilascio ha inizio con la NOTIFICA DELL’AVVISO DELL’UFFICIALE GIUDIZIARIO.

Prima della riforma alcuni sostenevano che l’inizio dell’esecuzione coincidesse con la notifica dell’atto di precetto; altri ritenevano che l’esecuzione per effetto dell’accesso dell’ufficiale giudiziario nel luogo del rilascio. Qualcuno, in via intermedia sosteneva che bisognava guardare alla notificazione dell’avviso di rilascio. L’individuazione del momento iniziale dell’esecuzione assume rilevanza con riferimento:

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1) all’art. 481, che stabilisce che il precetto perde efficacia se entro 90 gg dalla notifica non è iniziata l’esecuzione,

2) e con riferimento alla possibilità per il debitore di ottenere la sospensione. Sul punto giova ricordare che prima della riforma del 2005 dottrina e giurisprudenza ritenevano che la sospensione non fosse possibile in sede di opposizione a precetto, ma solo in sede di opposizione all’esecuzione, dopo cioè che l’esecuzione fosse iniziata. Sicchè ritenere che l’esecuzione avesse inizio con l’accesso dell’ufficiale giudiziario, comportava che il debitore non potesse ottenere la sospensione fino a quando l’ufficiale non fosse andato a bussare alle porte della sua casa. Se invece riteniamo che inizi con la notificazione dell’avviso di rilascio (che precede l’accesso dell’ufficiale) il debitore può ottenere la sospensione prima di trovarsi l’ufficiale in casa

L’esecuzione è condotta dall’ufficiale giudiziario il quale potrà richiedere l’assistenza della forza pubblica. Il giudice dell’esecuzione interviene solo,su istanza di parte, in caso di difficoltà sorte nel corso dell’esecuzione (art.610) e per la liquidazione delle spese (art.611).

Decorso il termine indicato nel precetto, l’ufficiale giudiziario, munito del titolo esecutivo e del precetto, si reca sul luogo in cui le cose si trovano e le ricerca a norma dell’articolo 513 e le consegna alla parte istante o alla persona da lei designata.(art.606)

Tuttavia ex art. 607, se le cose da consegnare sono pignorate l’ufficiale giudiziario non può consegnarle e la parte esecutante deve far valere le sue ragioni soltanto mediante l’opposizione di terzo.

Se il bene è costituito da un immobile si procederà al rilascio e, a norma dell’art. 608, l’ufficiale giudiziario comunica almeno 10 gg prima alla parte, il giorno e l’ora in cui procederà (cd. avviso di rilascio).Nel giorno fissato, l’ufficiale giudiziario, munito del titolo esecutivo e del precetto, si reca sul luogo dell’esecuzione e richiedendo, quando occorre, l’assistenza della forza pubblica, immette la parte istante o una persona da lei designata nel possesso dell’immobile, del quale le consegna le chiavi, ingiungendo agli eventuali detentori di riconoscere il nuovo possessore.

Ai sensi dell’art. 610 c.p.c. – Provvedimenti temporanei- : “Se nel corso dell’esecuzione sorgono difficoltà che non ammettono dilazione, ciascuna parte può chiedere al giudice dell’esecuzione, anche verbalmente, i provvedimenti temporanei occorrenti”.Le difficoltà di cui all’art. 610 non sono difficoltà meramente materiali, che deve risolvere l’ufficiale giudiziario (ad es. cambio di una serratura) ovvero questioni di natura giuridica che possono essere fatte oggetto di opposizione, bensì problemi o contestazioni circa il contenuto e le concrete modalità dell’esecuzione: ad esempio l’intervento di terzi che rivendichino particolari diritti sul bene; soluzioni di difficoltà impreviste; identificazioni di cose da consegnare o loro separazione da altre che formano oggetto dell’esecuzione etc

L’art. 611 stabilisce l’ufficiale giudiziario specifica ne processo verbale le spese anticipate dalla parte istante: la liquidazione è fatta dal giudice a norma degli artt. 91 e ss. con decreto che costituisce titolo esecutivo.

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Il richiamo alle norme sulla condanna alle spese lascia intendere che si è voluto che il decreto non si limiti a determinare le sole spese vive sostenute per l’esecuzione (si pensi alla necessità di ricorrere ad un fabbro per aprire delle serrature), ma liquidi anche le competenze e gli onorari del difensore ce ha curato l’esecuzione per conto del creditore. È stata inoltre introdotta una ulteriore norma ad hoc: l’art. 608 bis. Con essa si è dovuto disciplinare espressamente l’estinzione dell’esecuzione per rinuncia della parte istante. “L’esecuzione di cui all’articolo 605, si estingue se la parte istante, prima della consegna o del rilascio, rinuncia con atto da notificarsi alla parte esecutata e da consegnarsi all’ufficiale giudiziario procedente”.

ESECUZIONE FORZATA DEGLI OBBLIGHI DI FARE E I NON FARE

.L’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare è diretta alla realizzazione di un’opera materiale, vale a dire:1) un facere fungibile;2) o la distruzione di un’opera illegittimamente realizzata. N.B. In ogni caso e comunque l’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare non mira alla creazione, alla modificazione, all’estinzione di situazioni giuridiche.

Si è escluso che possa rientrare nell’ambito dell’esecuzione forzata in forma specifica per obblighi di fare, l’ipotesi del costruttore che avendo venduto un immobile si obblighi ad ottenere la licenza di abitabilità.

Si è però ammesso che si potesse in via di esecuzione forzata ottenere la cessazione di una certa attività commerciale attraverso l’asportazione dei beni mobili necessari,

Ancora, si è ammessa l’esecuzione forzata della sentenza che condanna a rimuovere la causa di immissioni di carattere permanente operando sulle macchine che la producono.

Ciò porta la dottrina, qualche volta, a dire che per il tramite dell’esecuzione in forma specifica, molto spesso si può ottenere soddisfazione solo parziale dell’interesse del creditore. Che significa? Una volta che vengono riconosciuti più obblighi dal titolo esecutivo si potrebbe procedere alla esecuzione solo per taluni di questi obblighi, quelli tradizionalmente qualificati come fungibili, salvo ad intendersi sul concetto di fungibilità.

Secondo l’impostazione prevalente, è possibile utilizzare l’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare solo ed esclusivamente quando è necessario aggredire la sfera possessoria del soggetto obbligato.

Ad esempio si esclude la possibilità di ricorrere all’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare nel caso in cui io debba far tinteggiare il soffitto del mio appartamento a causa dell’infiltrazione, atteso, che in tal caso, una volta compiuta l’opera vi sarà un mero problema di rimborso delle spese, rectius di risarcimento del danno.Viceversa la distruzione dell’opera realizzata sul fondo del vicino richiede l’applicazione dell’esecuzione forzata in forma specifica cioè che un terzo si surroghi nella posizione del debitore che dovrebbe distruggere e attui quel comando del titolo esecutivo

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L’’art. 2933 c.c prevede un limite alla possibilità di distruggere determinate opere. Tale disposizione stabilisce che: “Se non è adempiuto l’obbligo di non fare l’avente diritto può ottenere che sia distrutto a spese dell’obbligato ciò che è stato fatto in violazione dell’obbligo.Tuttavia, se la distruzione della cosa è di pregiudizio all’economia nazionale, essa non può essere ordinata e l’avente diritto può conseguire solo il risarcimento dei danni.

Secondo un’interpretazione questa norma si riferisce esclusivamente alla distruzione di beni adibiti alla produzione, e non anche alla distruzione di beni aventi un ingente valore economico. Quanto ai titoli esecutivi che abilitano all’esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare va osservato che, sebbene in base all’art. 612 c.p.c. costituiscano titoli esecutivi idonei le sole sentenze di condanna, la dottrina prevalente ritienga che la lettera del 612 debba essere superata e che quindi anche il verbale di conciliazione sia titolo per l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare.

Del resto l’idoneità dei verbali di conciliazione a fondare l’esecuzione per obblighi di fare è espressamente prevista dal 696 bis 3°comma del c.p.c. e dall’art. n. 40 del decreto legislativo n. 5/2003 ;quindi c’erano delle norme che per peculiari ipotesi davano a questo verbale la valenza di titolo esecutivo per gli obblighi di fare e di non fare ed una valenza di questo tipo è prevista dall’art.13 comma 4 della legge n.276/1997 (legge istitutiva delle

cosiddette sezioni stralcio) e dall’art. n. 16 comma 2° del decr. legislativo n. 5/2003.

Quanto al giudice competente, quest’ultimo è il tribunale del luogo ove l’obbligo deve essere adempiuto cioè dove si trova il bene dell’obbligato che deve essere oggetto di aggressione possessoria al fine del compimento o della distruzione dell’opera.Peraltro è da precisare che diversamente dall’esecuzione per consegna o rilascio, nel caso dell’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare, l’intervento del giudice non è meramente eventuale, bensì necessario.Infatti ex art. 612 il creditore istante, notificato il titolo esecutivo e il precetto, presenta al giudice un ricorso con cui chiede che siano determinate le modalità dell’esecuzione.Il giudice, sentita la parte obbligata,provvede,con ordinanza, a determinare tempo e modalità dell’esecuzione, designando anche l'ufficiale giudiziario che deve procedere all'esecuzione e le persone che debbono provvedere al compimento dell'opera non eseguita o alla distruzione di quella compiuta

Per quanto concerne l’individuazione dell’atto iniziale della procedura esecutiva, si contendono il campo 3 teorie: 1 TEORIA : l’inizio del procedimento sarebbe segnato all’atto di precetto.2 TEORIA : l’inizio del procedimento sarebbe segnato dal ricorso al giudice dell’esecuzione per la determinazione delle modalità dell’esecuzione, ex art. 612 (tesi preferibile).3 TEORIA : l’inizio del procedimento sarebbe segnato dal provvedimento del giudice che, ex 612, determina le modalità dell’esecuzione.

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Quanto ai rapporti tra il potere del giudice della cognizione in sede di confezionamento del titolo esecutivo e il potere del giudice dell’esecuzione in sede di determinazione delle modalità dell’esecuzione va osservato che:

A) secondo la Corte di cassazione la precisazione nella prestazione dovuta nel titolo esecutivo deve essere più accurata quando si tratta di un quid novi, cioè quando si tratta di realizzare un qualcosa di nuovo, invece può essere meno specifica quando si tratta di ripristinare una situazione preesistente.

B) Secondo la dottrina, invece, andrebbe realizzato un rapporto di complementarietà tra titolo esecutivo e determinazione delle modalità dell’esecuzione nel senso che il titolo esecutivo dovrebbe indicare il risultato da raggiungere, e la determinazione delle modalità dell’esecuzione le modalità attraverso le quali raggiungere quel determinato risultato.

Il problema dei rapporti tra il potere del giudice della cognizione in sede di confezionamento del titolo esecutivo e il potere del giudice dell’esecuzione in sede di determinazione delle modalità dell’esecuzione assume rilevanza dal momento che l’ordinanza determinativa delle modalità dell’esecuzione rientra nel genus delle ordinanze esecutive; sicchè i rimedi da utilizzare avverso questa ordinanza dovrebbero essere esclusivamente esecutivi, oppositivi.

Nondimeno la S.C. ha affermato che:

1) ogni qualvolta il giudice determini con l’ordinanza di determinazione delle modalità di esecuzione delle opere contrastanti con il contenuto del titolo ( cd.abnormità del provvedimento)

2)ovvero ogni qualvolta il predetto provvedimento risolva questioni inerenti al diritto di procedere ad esecuzione forzata (ad esempio a fronte dell’obbligato che contesta la liquidità del titolo) o ancora risolva questioni relative alla idoneità o meno della esecuzione spontanea a soddisfare il comando contenuto nel titolo (ossia ogni qualvolta il giudice dell’esecuzione decida su una questione che dovrebbe costituire oggetto di un’oppposizione ex art. 615)

L’ordinanza in esame sarebbe una sentenza e quindi sarebbe impugnabile con l’appello ed ovviamente con il ricorso per Cassazione e non con i rimedi propri dell’ordinanza esecutiva.

Un ulteriore punto critico di questo iter procedimentale può essere rappresentato dalla necessità di avere autorizzazioni amministrative al fine di costruire o demolire l’opera.

Seconda l’impostazione prevalente non c’è nessuna carenza di giurisdizione del giudice dell’esecuzione, in quanto il rifiuto della prevista autorizzazione o concessione opposto dalla Pubblica Amm. all’obbligato non costituisce un fatto estintivo sopravvenuto dell’obbligo sanzionato nel titolo esecutivo perché il provvedimento amministrativo negativo riguarda la richiesta dell’istante e non del creditore procedente.Si deve ammettere la surrogazione del creditore procedente o dell’ufficio esecutivo nella posizione del soggetto obbligato al fine di richiedere questa concessione cui è subordinata la possibilità di costruire o demolire l’opera.

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Tende a prevalere la posizione anche in giurisprudenza secondo cui, anche in considerazione del fatto che molte volte c’è una documentazione da presentare, è più opportuno che sia la procedura esecutiva (l’ufficio) a surrogarsi nella posizione del soggetto obbligato, per richiedere questa concessione.Pertanto se l’autorizzazione/concessione viene concessa, io potrò tranquillamente procedere all’attuazione del comando contenuto nel titolo esecutivo se dovesse essere negata nonostante la surrogazione, l’allegazione della documentazione richiesta, ecc. ecc., inevitabilmente non rimarrà strada per l’avente diritto che per la tutela risarcitoria.

L’ Art. 613, rubricato Difficoltà sorte nel corso dell'esecuzione, stabilisce che:” L'ufficiale giudiziario può farsi assistere dalla forza pubblica e deve chiedere al giudice dell’esecuzione le opportune disposizioni per eliminare le difficoltà che sorgono nel corso dell'esecuzione. Il giudice dell’esecuzione provvede con decreto”.

Posto che la risoluzione evidentemente richiede una cognizione incidentale va precisato che la fondamentale differenza tra 610 e 613 è legata al fatto che siccome nella struttura per consegna o rilascio il procedimento è gestito dall’ufficiale giudiziario, la cognizione incidentale in prima battuta è affidata all’ufficiale giudiziario, atteso che soltanto se le parti lo richiedono interviene il giudice., laddove,invece, nell’esecuzione forzata degli obblighi di

fare e di non fare siccome il giudice c’è, la cognizione incidentale è devoluta al giudice

Quanto alla distinzione tra l’art. 611 e l’art. 614 in materia di rimborso delle spese, va osservato, che mentre nel 611 il g.e. con decreto liquida tutte le spese, ed il decreto è titolo esecutivo, nel caso dell’art. 614 si ricorre al procedimento di ingiunzione in quanto, la parte istante, al termine dell’esecuzione o nel corso di essa, presenta al g.e. la nota delle spese anticipate, vistata dall’ufficiale giudiziario, con domanda di decreto ingiuntivo: il giudice quando riconosce giustificate le spese denunciate, provvede con decreto a norma dell'articolo 642.

N.B E’ discusso se il giudice debba fare un controllo formale e liquidare tutto, oppure se debba fare anche un controllo di sostanza.

ESECUZIONE INDIRETTA O MISURE COERCITIVE

A fronte della mancata esecuzione di una prestazione avente ad oggetto un facere infungibile è utilizzabile, quale tecnica di tutela residuale, l’esecuzione indiretta alias misure coercitive. Tale tecnica è preordinata a minacciare il soggetto obbligato di un male maggiore di quello che questo soggetto subirebbe qualora desse spontaneo adempimento all’obbligo cui è tenuto. Le misure coercitive possono anche essere qualificate come provvedimenti accessori rispetto alla condanna principale contenente un determinato obbligo.

Quanto ai possibili modelli di misure coercitive distinguiamo tra:

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A) il MODELLO FRANCESE dell’ astreinte, che si caratterizza per il fatto che il giudice in sede di pronuncia della condanna può adottare, per assicurare l’esecuzione del provvedimento di condanna, un astreinte, vale a dire una misura o sanzione pecuniaria per ogni possibile violazione successiva, o per il ritardo nell’adempimento di una determinata obbligazione , e la può utilizzare non solo con riferimento agli obblighi infungibili ma anche in relazione agli obblighi fungibili (art. 33 comma 1 c.p.c francese)

Tuttavia se il giudice del merito non ha ordinato l’astreinte, il giudice dell’esecuzione ha sostanzialmente una competenza speciale ad integrare eventuali provvedimenti provenienti da altri giudici che non siano ancora provvisti(art. 33 comma 2 c.p.c francese).

Occorre precisare che la fase del rilascio dell’astreinte deve essere integrata dalla fase della sua liquidazione, di competenza di regola di un giudice diverso da quello della cognizione il quale, a fronte del’inadempimento dell’obbligo, liquiderà l’astreinte in base al numero di violazioni che ci sono state, all’entità del ritardo.Peraltro, va osservato che l’astreinte ha natura di pena privata, atteso che il giudice, pur avendo ampia discrezionalità in ordine all’an e al quantum della pena, ha comunque l’obbligo di commisurarla all’entità della somma necessaria per premere sulla volontà del soggetto obbligato, e non al pregiudizio che il creditore sopporta a causa dell’inadempimento.

B)il modello tedesco che analogamente a quello francese ha una struttura bifasica, atteso che prevede una fase del rilascio che può essere coeva alla condanna ed una fase della liquidazione , che è invece necessariamente successiva e subordinata

all’accertamento da parte del giudice dell’inadempimento o del ritardato adempimento del creditore, ma che si differenzia dal modello d’oltralpe per il suo carattere pubblicistico, atteso che si prevede una sanzione pecuniaria attribuita allo Stato e l’arresto. In particolare è previsto che, se un atto non può essere eseguito a mezzo di un terzo e dipende dalla volontà dell’obbligato il tribunale di prima istanza deve dichiarare che il debitore è tenuto al compimento dell’atto sotto la minaccia del pagamento di una somma di denaro e per il caso che questa non può essere riscossa di arresto. In ogni caso e comunque non rientrano nell’ambito applicativo delle misure coercitive una serie di obbligazioni a carattere strettamente personale (come ad es. quelle tese a dare attuazione alla vita coniugale o a prestare opere in base ad un contratto di servizio). Inoltre se l’obbligato contravviene all’obbligo di astenersi da un atto, o di tollerare che un atto sia compiuto, su istanza del creditore viene per ogni singola contravvenzione condannato dal tribunale di prima istanza ad una sanzione pecuniaria e per il caso in cui questa non possa essere riscossa ad una sanzione detentiva fino a sei mesi . In ogni caso e comunque la condanna deve essere preceduta da una corrispondente minaccia la quale ove non sia contenuta nella sentenza dichiarante l’obbligo su domanda emanata dal tribunale di prima istanza.

C) il modello inglese del cd. disprezzo della corte, che si caratterizza per fatto che il creditore può proporre istanza al giudice che ha pronunciato la sentenza per far dichiarare

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l’inadempimento del debitore che già si è verificato chiedendo al giudice di condannarlo all’arresto o ad una multa da pagarsi normalmente al creditore .

In Italia prima dell’introduzione dell’ art. 614 bis c.p.c non era previsto un sistema di misure coercitive atipiche, sebbene la dottrina avesse tentato di valorizzare a tal fine l’art. 388 c.p.

Nondimeno esistevano ed esistono diverse misure coercitive tipiche quali:

1) talune norme (Art. 86 comma1 del regio decreto n. 1127/ 1939 sul brevetto industriali;Art. 66 comma 2 del regio decreto n.929/ 1942 sul brevetto marchi di imprese) ora confluite nel codice della proprietà industriale (d.lgs 30/2005), che consentono al giudice che abbia accertato con sentenza le violazioni e condannato al risarcimento del danno di fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata e per ogni ritardo nell’esecuzione dei provvedimenti contenuti nella sentenza stessa (misura coercitiva a contenuto patrimoniale).

2) L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che nel caso del licenziamento dei dirigenti delle rappresentanze sindacali prevede che il datore di lavoro inottemperante all’ordine di reintegrazione è tenuto anche per ogni giorno di ritardo al pagamento a favore del fondo adeguamento pensione di una somma pari all’importo della retribuzione dovuta al lavoratore.

3) L’art. 163 legge n. 633/41 sul diritto di autore modificata dal decreto legislativo n.68 2003:”pronunciando l’inibitoria il giudice può fissare la somma dovuta per ogni violazione o

inosservanza successivamente costatata o per il ritardo nell’esecuzione del provvedimento”.

4) L’art. 3 legge n.281/98 disciplina dei Consumatori e degli utenti confluita nel codice del consumo decreto legislativo n.206/2005, disposizione che prevede che il giudice, a fronte di inadempimento disponga, anche su istanza di parte, il pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo , somma che non viene data all’avente diritto ma versata al bilancio dello stato per essere riutilizzata nell’interesse dei consumatori.

5) L’art.83 del regio decreto n. 1127/1939 poi trasfuso nell’ Art. 124 del decreto legislativo n.30/2005 codice di proprietà industriale, che nello stabilire che con la sentenza che accerta la violazione di un diritto proprietà industriale possono essere disposti inibitoria della fabbricazione, del commercio prevede anche che, pronunciando l’inibitoria il giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione inosservanza e ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Parte della dottrina ha ritenuto che il provvedimento di condanna che commina la misura coercitiva integri gli estremi di un titolo esecutivo laddove rechi una serie di indicazioni che consentono al creditore di auto liquidare la somma, fermo restando che il debitore potrà sempre in sede di opposizione a precetto provocare un accertamento davanti ad un giudice in via eventuale.

Viceversa la giurisprudenza ha affermato che tali misure non costituiscono titolo esecutivo in quanto hanno ad oggetto una somma non liquida e non costituiscono titolo esecutivo in quanto

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presuppongono l’accertamento delle violazioni che intendono reprimere e che il provvedimento in se non può prevedere anticipatamente nella misura e nella durata.

Conclusivamente in ordine alle misure coercitive è possibile distinguere tra:

A) un modello bifasico (es. modello francese) il quale si caratterizza per una scissione tra una prima fase di concessione della misura coercitiva ed una seconda fase di liquidazione della misura coercitiva, meramente eventuale che interverrà a condizione che ci sia stato un ritardo nell’adempimento o un inadempimento. Quindi si arriva al titolo esecutivo solo ed esclusivamente in forza dell’accertamento sommario della violazione da parte del giudice dell’esecuzione; qui al titolo esecutivo si arriva solo in base all’attività del giudice dell’esecuzione che accerta se vi è stato un ritardo o una violazione e liquida, cioè rende liquido il comando contenuto nel titolo. Quindi in questo tipo di logica noi avremo una contrapposizione di fondo tra una misura provvisoria che è una misura non esecutiva, che è quella che predispone il giudice della cognizione nel momento in cui pronuncia la condanna, e una misura definitiva esecutiva.

B) Un modello, elaborato da parte della dottrina facendo riferimento alle norme in materia di brevetti,in forza del quale io ho già un titolo esecutivo quando il giudice della cognizione determina la misura coercitiva purché questo giudice determini i criteri sulla cui base il creditore possa poi procedere all’autoliquidazione (il creditore procederà

alla determinazione della somma da pagare in via di autoliquidazione sulla base di quei criteri che ha predeterminato il giudice della cognizione). In questo tipo di logica poi diventa indispensabile recuperare la fase eventuale dell’opposizione al precetto perché l’unica sedes in cui ci potrà essere un accertamento giurisdizionale in ordine alla reale esistenza del ritardo, all’entità del ritardo come numero di giorni, al numero delle violazioni ( es., in materia di concorrenza, il numero di violazioni da parte di quel determinato soggetto che ha continuato ad avere un comportamento violativo in tema di norme sulla concorrenza sleale) .

L’art. 614 bis cpc “Attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare”prevede che con il provvedimento di condanna il giudice, su richiesta di parte,fissa la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento, salvo che ciò sia manifestamente iniquo. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art.409 . Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.

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Occorre precisare che il legislatore ha dunque optato per il secondo modello di esecuzione indiretta, in quanto si fa leva sul giudice della cognizione, si prevede che espressamente è titolo esecutivo, non si ha nessuna traccia della fase della liquidazione.Dunque ex art. 614 bis ho un titolo esecutivo, mi auto liquido le somme nel precetto, se il convenuto/debitore ritiene che non sia corretta quest’autoliquidazione deve proporre opposizione al precetto dove un ruolo centrale finisce per svolgerlo l’istituto della sospensione dell’esecutività della sentenza di condanna dal momento che, trattandosi di sentenze di condanna il regime di sospensione dell’efficacia è quello di cui all’art. 282 cpc.

Parte della dottrina afferma che in questa ipotesi ci troveremo dinanzi ad una sorta di condanna in futuro dall’oggetto indeterminato che l’attore vittorioso può porre in esecuzione in qualunque momento adducendo semplicemente l’intervenuta violazione o le reiterate violazioni dell’obbligo assistito dalla misura coercitiva. Peraltro questa dottrina afferma che l’art. 614 bis cpc in parte discorre solo di violazione e inosservanze successive e non richiama il ritardo nell’esecuzione del provvedimento che invece è menzionato nella prima parte della norma con la conseguenza che si potrebbe propendere per un’interpretazione restrittiva in forza della quale l’esecutività della condanna in futuro di cui sopra sarebbe possibile solo in caso di violazione di provvedimenti di condanna ad un non fare.Quanto all’ambito di applicazione dell’art. 614 bis va osservato che si contendono il campo due tesi:

A) qualcuno dice che la rubrica, la collocazione della norma e tutta una serie di altri dati porterebbero a ritenere che la scelta del legislatore sia stata quella di introdurre le misure coercitive come forma generalizzata di tutela ma esclusivamente per le prestazioni infungibili. Va precisato come tra le argomentazioni poste a sostegno di tale tesi restrittiva la più

convincente sia quella che fa leva sul fatto che i presupposti per la concessione della misura coercitiva sono indicati dal legislatore in modo estremamente generico. Pertanto accedere ad una tesi estensiva significherebbe riconoscere il predetto potere discrezionale del giudice con riferimento ad ogni possibile provvedimento di condanna ad un’obbligazione.

B) Altra parte della dottrina invece ha detto che in base alla lettera della norma non vi sarebbe più alcun riferimento espresso all’infungibilità della prestazione e pertanto, nonostante la rubrica e la collocazione della norma, tale misura coercitiva assurgerebbe a forma di tutela generalizzata utilizzabile dunque non solo per le obbligazioni infungibili ma anche per quelle fungibili e quindi anche per l’obbligazione al pagamento di una somma di denaro

N.B. la norma è stata collocata quale forma di esecuzione indiretta nell’ambito dell’esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare facendo poi una scelta di campo di incentrare tutto sulla posizione del giudice della cognizione.

Si è iniziato a discutere sul se questa forma di misure coercitive, di esecuzione indiretta sia in particolare utilizzabile nelle ipotesi ex art. 2932 cc.La tesi prevalente è nel senso che non sia utilizzabile questo rimedio perché proprio l’avere il legislatore previsto un rimedio ad hoc come il 2932 porterebbe o per la via del ritenere fungibile o comunque, in forza della presenza di un rimedio ad hoc, ad escludere che per l’ipotesi di cui al 2932 sia utilizzabile quest’esecuzione indiretta.

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Per quanto concerne l’esclusione espressa dall’ ambito applicativo dell’art. 614 bis riferita “alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409 ” , è da precisare che:

1) secondo alcuni questo tipo di scelta pone dei problemi di legittimità costituzionale sotto il profilo dell’effettività della tutela giurisdizionale;

2) secondo altri porrebbe dei problemi di legittimità costituzionale sotto il profilo della parità di trattamento ex art. 3 Cost. perché il diversificare le ipotesi di lavoro subordinato dalle ipotesi di lavoro autonomo non sarebbe giustificato costituzionalmente perché non costituirebbe un dato idoneo a supportare l’applicazione o l’esclusione dell’utilizzabilità delle misure coercitive.

Quanto ai provvedimenti di condanna che legittimano l’utilizzo di queste misure coercitive,essi sono:

A) la sentenza di condanna resa all’esito di in processo a cognizione piena.

B) Secondo parte della dottrina anche i provvedimenti sommari di condanna, resi all’esito di procedimenti sommari, con idoneità al giudicato. Altra parte della dottrina propende per la tesi negativa facendo leva sulla collocazione sistematica dell’art.614 bis all’intorno delle norme dell’esecuzione specifica; sicchè l’attuazione di provvedimenti cautelari che non costituiscono mai un titolo in senso proprio avverrà

secondo una logica diversa ed in particolare secondo la disciplina dell’attuazione delle misure cautelari.

C) Si deve ritenere che restino esclusi dall’ambito applicativo della norma i titoli esecutivi stragiudiziali, in considerazione della scelta operata dal legislatore di far leva sul giudice della cognizione

NATURA DELLE MISURE COERCITIVE

Hanno natura privatistica in quanto non è contemplato l’arresto, anche se la norma, non prevede espressamente che le somme siano attribuite al creditoreNondimeno secondo l’opinione prevalente per il modo in cui è stata concepita questa misura queste somme vanno al creditore e quindi la natura di tali misure è in questo modo conforme a quella delle astreintes del sistema francese di pena privata, Tuttavia secondo un’altra tesi dal momento che esistono nel nostro ordinamento delle misure coercitive tipiche dove le somme non venivano attribuite al creditore,ma allo Stato (si pensi alla tutela dei consumatori dove venivano attribuite allo stato, venivano indirizzate in uno specifico capitolo di bilancio per essere poi riutilizzate per iniziative nell’interesse dei consumatori)., si potrebbe affermare la natura pubblicistica delle predette misure.

PRESUPPOSTI PER L’APPLICABILITA’ DELLA MISURA COERCITIVA DI CUI ALL’ART.614 BIS.Quanto all’espressione “manifestamente iniquo” di cui al 1° comma del 614 bis va detto che parte della dottrina al fine di circoscrivere il

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potere discrezionale del giudice ha ancorato il predetto potere all’art. 2058 c.c..In particolare in base all’art. 2058 c.c. la reintegrazione in forma specifica può essere accordata al danneggiato,in luogo del risarcimento per equivalente, solo a condizione che essa non risulti eccessivamente onerosa per il debitore; sicchè l’argomentazione che fa leva sull’art. 2058 c. c è tesa ad introdurre il fondamentale criterio della valutazione comparativa egli interessi.Pertanto l’imposizione dell’astreinte dovrebbe essere esclusa allorchè la realizzazione dell’obbligo implichi un pregiudizio eccessivo per il soggetto obbligato, anche in considerazione del vantaggio che deriverebbe all’avente diritto alla prestazione.

Taluna dottrina ha ritenuto, esplicando ulteriormente questo criterio, che la misura coercitiva andrebbe negata dal giudice in sede di provvedimento di condanna quando:

1) l’adempimento dell’obbligo determini una penalizzazione eccessiva per il debitore sacrificando un suo interesse non patrimoniale.

1) quando il fare infungibile si concreti in una prestazione strettamente personale quale quella richiesta al lavoratore autonomo .Quindi la natura personale della prestazione richiesta potrebbe essere un altro limite al ricorso alle misure coercitive perché, in questo caso si dice, si contrappone dal lato del creditore un interesse meramente patrimoniale che potrebbe trovare piena soddisfazione nel risarcimento per equivalente.

Quanto poi AL COMMA 2 DELL’ART. 614 BIS va detto che parte della dottrina, data la genericità del parametro indicato ( valore della

controversia, natura della prestazione, danno quantificato o prevedibile e ogni altra circostanza utile”) , ancora il potere del giudice di determinare l’ammontare della somma alla natura di pena privata della misura che deve premere sulla volontà del soggetto obbligato .In questo tipo di logica qualcuno ha ritenuto che a livello di contenuto sarebbe opportuno che il giudice prevedesse una misura crescente tanto per ogni giorno in più che decorre nel ritardo nell’adempimento (10€ il primo giorno, 20€ il secondo, 30€ il terzo …) o per ogni violazione successiva (una somma più bassa per la prima violazione e somme crescenti per le violazioni successive

PROBLEMATICHE DI ORDINE STRETTAMENTE PROCEDIMENTALE

Posto che la misura coercitiva è un provvedimento accessorio rispetto al provvedimento di condanna, quando instauro il processo a cognizione, se voglio la misura coercitiva devo fare un’istanza al giudice chiedendo la determinazione della misura coercitiva, quindi ho un problema di competenza che và risolto con le norme in materia di competenza dell’accessorietà quindi con conseguente applicazione dell’art. 10 e devo sommare le due somme per individuare il giudice competente per valore e poi ho un limite del giudice nella corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato

Quanto al momento ultimo in cui proporre l’istanza finalizzata alla concessione della misura coercitiva nel corso del processo a cognizione piena, va osservato che secondo parte della dottrina quest’istanza deve essere avanzata in limine litis, non oltre la fase introduttiva del 183 (prima comparizione delle parti e trattazione della causa). Secondo tale tesi, dal momento che l’istanza comporterà un’istruttoria autonoma

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diretta a determinare eventualmente l’entità della misura, è assoggetta alla preclusioni di cui alla fase introduttiva del processo.Altra parte della dottrina ha affermato che la predetta istanza può essere avanzata durante tutto il corso del giudizio

Quanto alla sospensione dell’esecutività del titolo ,occorre far riferimento all’art. 282 cpc, in base al quale di regola tutte le sentenze di primo grado sono provvisoriamente esecutive ,ferma restando la possibilità di proporre al giudice d’appello un’istanza per ottenere la sospensione della provvisoria esecutività della sentenza.

Qui qualcuno dice che è possibile chiedere un’inibitoria dell’esecutività anche sganciata dal giudizio di appello. Quindi la misura coercitiva sarebbe un capo di sentenza autonomo che ancorchè accessorio può essere fatto oggetto di inibitoria in sede di impugnazione.

OPPOSIZIONI ESECUTIVE IN GENERALE

Per comprendere la logica delle opposizioni esecutive, è necessario tener chiara la struttura del processo esecutivo: essa è influenzata dalla presenza del titolo esecutivo. Il titolo è infatti condizione necessaria e sufficiente affinché il processo esecutivo possa avere inizio; la scelta del legislatore del ’40 è stata quella di isolare il processo stesso da tutte quelle questioni che richiedono una valutazione di merito in ordine ai rapporti sostanziali che intercorrono tra chi agisce in esecutivis e chi deve subire l’esecuzione. Per raggiungere tale obiettivo, la principale strada è quella di individuare un atto, il titolo esecutivo appunto, che sorregge di per sé l’esecuzione. Parliamo infatti di “concezione astratta dell’azione esecutiva”: si tratta dell’esercizio di un potere rispetto al quale il giudice non può intervenire. Taluna dottrina ha ritenuto che

essere titolo esecutivo significa possedere la virtù di dar luogo ad un procedimento totalmente indifferente alle vicende della situazione sostanziale che attraverso quel procedimento si mira a soddisfare.Ciò tuttavia non esclude che l’azione esecutiva possa essere ingiusta o illegittima:

- è ingiusta quando il diritto risultante dal titolo non è mai esistito o si è estinto;

- è illegittima o perché il processo non avrebbe dovuto iniziare, o perché lo stesso è viziato in alcuno dei suoi atti.

Se il processo può essere ingiusto o illegittimo è necessario anche che vi siano strumenti attraverso i quali il debitore può difendersi: tali strumenti sono appunto le opposizioni che possono essere interne o esterne al processo esecutivo. Esse sono considerate delle parentesi cognitive collegate al processo esecutivo. Il tramite di coordinamento tra processo esecutivo ed opposizioni è rappresentato dall’istituto della sospensione. Essa non è più necessaria ma rimessa ad una valutazione da parte del giudice dell’opposizione (unica ipotesi di sospensione necessaria era quella prevista dall’art.512 oggi abrogato). Per quanto concerne quindi la struttura c’è una differenza enorme tra processo esecutivo e cognitivo, anche rispetto al modo attraverso cui il debitore può difendersi; si dice che infatti che ciò che si può far valere nel processo cognitivo in via di eccezione, nel processo esecutivo lo si deve far valere in via di azione. Nel processo esecutivo sarà dunque necessaria la presenza di parentesi cognitive per poter assicurare la tutela del debitore, costituite appunto dalle opposizioni che si coordinano con il processo esecutivo per il tramite dell’istituto della sospensione.Tipologie di opposizioni:Art.615 c.p.c. Opposizione all’esecuzione

è proponibile senza specifiche limitazioni temporali; può essere proposta tanto nei confronti dell’atto di precetto

quindi prima che sia iniziata l’esecuzione, in questo caso viene

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in rilievo come opposizione a precetto, tanto nel corso dell’esecuzione dopo che vi sia stato il pignoramento , in questo caso viene in rilievo come opposizione all’esecuzione;

serve a contestare l’altrui diritto a procedere ad esecuzione forzata (ipotesi generale) o, nell’ambito dell’espropriazione forzata ,a far valere l’impignorabilità dei beni colpiti. Questa opposizione attiene all’an e quindi all’esecuzione nel suo complesso;

nel caso in cui l’opposizione venga accolta l’intero processo esecutivo cade;

è un’opposizione di merito

Art.617 c.p.c. Opposizione agli atti esecutivi è soggetta ad un termine che, ante riforma , era di 5 giorni oggi

aumentato a 20 (a differenza dell’opposizione ex.art.615); è esperibile prima dell’inizio dell’esecuzione-opposizione a

precetto- oppure dopo la notificazione dell’atto esecutivo o nel corso del processo-opposizione all’esecuzione;

serve a contestare la irregolarità formale del titolo esecutivo, del precetto, della notificazione, o la illegittimità dei singoli atti dell’esecuzione. Contesto non l’an ma il quomodo e ha ad oggetto i singoli atti del processo esecutivo;

ulteriore differenza rispetto all’opposizione ex art.615 riguarda il regime di impugnabilità della relativa decisione: per l’opposizione all’esecuzione è prevista l’appellabilità; per l’opposizione agli atti esecutivi è prevista la ricorribilità per cassazione ex art.111;

è un’opposizione formale

Art.619 c.p.c. Opposizione di terzo all’esecuzione è prevista solo per l’espropriazione; presuppone che sia stato già eseguito il pignoramento;

è un rimedio dato al terzo che, vantando un diritto di proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati, assuma di essere stato erroneamente coinvolto nel processo esecutivo;

tale rimedio trova normalmente spazio nell’espropriazione mobiliare e raramente in quella immobiliare; nell’espropriazione immobiliare può accadere che, ad esempio, a causa di un errore di identificazione catastale, l’ufficiale pignori l’appartamento di un terzo; nell’espropriazione mobiliare, invece, tale ipotesi trova spazio perché l’ufficiale giudiziario non deve fare alcun accertamento in ordine alla effettiva proprietà dei beni che trova ad esempio presso la casa o i luoghi di appartenenza del debitore;

è un’opposizione di merito

Queste sono le tre forme fondamentali di opposizione regolate dal nostro codice. Tuttavia esistono altre forme di opposizione:

- opposizione in sede distributiva ex art. 512 c.p.c: prevista nella sola ipotesi dell’espropriazione forzata e diretta a contestare il diritto di credito di altri creditori concorrenti o la collocazione privilegiata di questi determinati creditori;

- opposizioni in materia di lavoro, previdenza e assistenza: la L. 533\1973 sul processo del lavoro ha inserito con la tecnica della novellazione l’art. 618-bis, che regola il procedimento dell’opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi nelle materie soggette a rito speciale;

- qualcuno indica, tra le varie categorie di opposizioni, anche quelle che sono definite come atecniche e individuate da tutte le ipotesi in cui il codice parla di opposizione non riferendosi però a nessuna delle ipotesi ex artt.615-617-619 (es. ipotesi prevista dall’art.483 “opposizione del debitore” che non è inquadrabile né come opposizione di merito né come opposizione formale).

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Occorre però capire quale sia il rapporto tra processo esecutivo e opposizioni.

Ci si chiede infatti se le opposizioni debbano essere concepite come autonome ed indipendenti rispetto al processo esecutivo o se sia possibile ricondurle nell’ambito del processo esecutivo. In quest’ultimo caso sarebbe più agevole valorizzare il principio del contraddittorio nella dimensione del processo esecutivo perché si recupererebbe il contraddittorio del giudizio oppositivo e sarebbe anche più facile valorizzare la cognizione incidentale del giudice dell’esecuzione perché si sfrutterebbe al dimensione cognitiva dei giudizi oppositivi. Ciò ha portato una parte della dottrina a sostenere che le opposizioni fanno parte del processo esecutivo seppur come momenti distinti di una unitaria forma di tutela giurisdizionale: in presenza di una contestazione convogliabile nell’ambito delle opposizioni, questo processo di esecuzione si convertirebbe nelle forme contenziose della cognizione ordinaria restando però nella sua normale struttura inidoneo ad esprimere le caratteristiche giurisdizionali tipiche del giudizio dichiarativo.

La dottrina prevalente tende invece a ricostruire i giudizi oppositivi come parentesi cognitive autonome coordinate con il processo per il tramite dell’istituto della sospensione. Tale dottrina ritiene infatti che i rapporti tra opposizione ex artt. 615 e 619 da un lato e soprattutto la non automaticità della sospensione del processo esecutivo ex. art.624 c.p.c non permette di considerare le opposizioni come parti del processo esecutivo.( da chiarire)Ciò tuttavia non significa che nel processo esecutivo non debba essere rispettato il principio del contraddittorio o che non esistano delle parentesi cognitive, ma tuttavia che la risposta a questa problematica va trovata su un altro piano senza dover necessariamente ricondurre le opposizioni nell’ambito del processo esecutivo

OPPOSIZIONI ESECUTIVE: iter procedimentale

Prima di analizzare le singole fattispecie di opposizione è necessario soffermarsi sul profilo procedimentale in virtù del fatto, da un lato, che esistono dei tratti essenziali comuni e, dall’altro, che ci sono stati numerosi interventi di riforma che hanno interessato tutti i giudizi oppositivi ed, in particolare, hanno inciso sulla fase introduttiva del procedimento e i mezzi di impugnazione. La prima norma modificata è l’ART. 185 disp.att. c.p.c., rubricata “udienza di comparizione davanti al giudice dell’esecuzione”, la quale afferma che “All'udienza di comparizione davanti al giudice dell'esecuzione fissata sulle opposizioni all'esecuzione, di terzo ed agli atti esecutivi si applicano le norme del procedimento camerale di cui agli articoli 737 e seguenti del codice”. La norma, quindi, afferma che l’udienza di comparizione si svolge secondo il procedimento camerale ex artt. 737 e ss. e, sul punto, taluni hanno ritenuto che le più recenti riforme avessero comportato una “cameralizzazione” dei giudizi oppositivi. Questa impostazione non è da condividere perché, leggendo attentamente la norma, si evince che la forma dei procedimenti camerali riguarda esclusivamente l’udienza di comparizione e non l’intero giudizio oppositivo. La portata della norma è, quindi, ben più circoscritta e la ratio della previsione in essa contenuta va rinvenuta nella circostanza che la prima udienza, nei giudizi oppositivi, è dedicata a decidere rapidamente sulla sospensione dell’esecuzione o dell’efficacia esecutiva del titolo o sulla competenza per la prosecuzione del giudizio. In particolare, dopo l’udienza di comparizione, l’ART. 616 c.p.c. prevede che “Se competente per la causa è l’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice dell’esecuzione questi fissa un termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a

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cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all’art. 163-bis, o altri se previsti, ridotti della metà; altrimenti rimette la causa dinanzi all’ufficio giudiziario competente assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa”.Quindi, il giudice dopo la prima udienza deve effettuare una valutazione in ordine alla competenza. Per comprendere la logica di tale norma è necessario tener presente il regime procedimentale dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 in quanto esso varia a seconda che venga in rilievo nelle forme dell’opposizione a precetto o dell’opposizione all’esecuzio-ne e, quindi, a seconda che venga in rilievo prima o dopo il pignoramento. Infatti, se viene in rilievo nelle forme dell’opposizione al precetto, la competenza è del giudice individuato secondo i criteri ordinari e l’introduzione del processo si fa nelle forme dell’atto di citazione.; nell’ipotesi in cui, invece, avviene nelle forme dell’opposizione all’esecuzione, essa si svolge dinanzi al giudice dell’esecuzione. Questa norma, però, ha aperto un acceso dibattito in quanto non chiarisce se il giudizio oppositivo è già iniziato o deve ancora iniziare perché nella prima parte della norma si parla di introduzione del giudizio di merito e di iscrizione al ruolo, lasciando intendere che non sia ancora iniziato e che quindi l’udienza sia una qualcosa di esterno rispetto al giudizio oppositivo; mentre nella seconda parte si parla di riassunzione della causa, lasciando al contrario intendere che il giudizio è già instaurato. Sul punto non c’è uniformità di vedute ma sembra prevalere l’impostazione secondo la quale il giudizio è già pendente e, quindi, il senso della norma sarebbe quello di consentire la prosecuzione di tale giudizio nelle forme e nel rito prescritto per quel determinato giudizio e, conseguentemente, dinanzi al giudice competente (es. rito del lavoro). In sintesi, l’udienza di comparizione, che si svolge nelle forme dei procedimenti camerali ex artt. 737 e ss., è parte integrante del giudizio oppositivo e la norma in esame si limita ad individuare le modalità di prosecuzione dello stesso. Il dibattito, apertosi con le

riforme del 2005/06, non è stato placato dalla riforma del 2009 che si è occupata, con riferimento a tale norma, esclusivamente del regime di impugnazione (infatti la problematica relativa allo svolgimento della fase introduttiva e, specificamente, il problema relativo al momento in cui inizia il giudizio oppositivo è ancora attuale). Sotto il profilo dell’impugnabilità, le riforme del 2005/06 hanno previsto, all’art. 616, che “La causa è decisa con sentenza non impugnabile”, e quindi anche nell’opposizione la sentenza non era soggetta ad appello, al ricorso ordinario per Cass. e ai mezzi di impugnazione straordinari ma solo al ricorso straordinario per Cass. ex art. 111 Cost. Si poneva, tra l’altro, il problema di stabilire anche la portata di tale inciso, nel senso che ci si chiedeva se la non impugnabilità si riferiva sia all’opposizione al precetto che all’opposizione all’esecuzione o solo a quest’ultima. Al riguardo, taluni ritenevano opportuno diversificare; altri, invece, ritenevano assurdo diversificare il regime di impugnazione solo sulla base della circostanza che l’opposizione fosse stata proposta prima o dopo il pignoramento. In realtà, prevedere un regime di non impugnabilità, con riferimento a tutti i giudizi oppositivi, aveva aperto un problema ben più significativo in ordine all’oggetto dei giudizi oppositivi e alla loro stabilità, nel senso che in questo tipo di logica – della inimpugnabilità – secondo taluni, vi sarebbe stata una trasformazione del giudizi oppositivi i quali non potevano più avere ad oggetto l’esistenza o l’inesistenza di un determinato diritto sostanziale, con conseguente idoneità al giudicato, ma solo la sussistenza/insussistenza di situazioni endoprocessuali. Altri, al contrario, ritenevano che se il legislatore avesse voluto realizzare una riforma in tal senso non si sarebbe limitato a prevedere solo l’inimpugnabilità ma avrebbe ridisciplinato in toto l’istituto, magari prevedendo dei rimedi interni al processo esecutivo, come un reclamo, che per definizione non portano ad un giudicato e che potrebbero avere ad oggetto situazioni endoprocessuali.

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La riforma del 2009 ha eliminato l’inciso e i problemi legati ad esso, per cui oggi le sentenze rese a seguito di opposizione all’esecuzione, e ad ogni opposizione di merito, sono appellabili (la regola della non impugnabilità è rimasta solo per l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617).

OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE – ART. 615 c.p.c.

FORME DI OPPOSIZIONEL’opposizione all’esecuzione è prevista e disciplinata dall’ART. 615 c.p.c. in base al quale “Quando si contesta il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata e questa non e' ancora iniziata, si può proporre opposizione al precetto con citazione davanti al giudice competente per materia o valore e per territorio a norma dell'articolo 27. Il giudice, concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte l'efficacia esecutiva del titolo.Quando è iniziata l'esecuzione, l'opposizione di cui al comma precedente e quella che riguarda la pignorabilità dei beni si propongono con ricorso al giudice dell'esecuzione stessa. Questi fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto”.Dalla norma si evince facilmente che nell’ambito dell’opposizione all’esecuzione è necessario distinguere due forme che hanno due diverse modalità di instaurazione del giudizio: l’opposizione al precetto e l’opposizione all’esecuzione in senso proprio, a seconda che venga proposta prima o dopo il pignoramento. In particolare, l’opposizione al precetto è proposta, a fronte della mera notificazione del titolo esecutivo e del precetto, mediante un atto di citazione e dinanzi al giudice competente per valore, materia e territorio individuato ai sensi dell’art. 27 c.p.c., il quale, sussistendo gravi motivi, può sospendere su istanza di parte l’efficacia esecutiva del titolo.

L’opposizione all’esecuzione, invece, si propone dopo l’inizio del processo esecutivo, quindi a seguito di pignoramento, dinanzi al giudice dell’esecuzione con ricorso.

OGGETTO DELL’OPPOSIZIONEPer quanto riguarda l’oggetto di tale forma di opposizione tradizionalmente si suole dire che esso consiste nella contestazione dell’altrui diritto a procedere all’esecuzione forzata ma in realtà è più articolato. Infatti, accanto a tale fattispecie, con l’opposizione in esame si può contestare anche la pignorabilità dei beni o dei crediti, ossia la c.d. impignorabilità; si pensi all’inalienabilità che caratterizza taluni beni, come quelli demaniali o appartenenti al patrimonio indisponibile, o alla individualità di determinati beni, ad es. la parte comune di un edificio condominiale non è suscettibile di pignoramento, o infine alle ipotesi di impignorabilità previste dal codice.

a) Quanto alla prima fattispecie, quella classica, secondo cui oggetto dell’opposizione all’esecuzione è la contestazione dell’altrui diritto a procedere all’esecuzione forzata, bisogna distinguere tra motivi di rito o motivi di merito. I motivi di rito sono legati alla contestazione della qualità di titolo esecutivo del provvedimento sulla cui base si agisce in via esecutiva; si pensi alla contestazione relativa all’insussistenza di una sentenza di condanna, perché si tratta di una sentenza di mero accertamento o costitutiva, o a tutte quelle contestazioni relative ai requisiti che deve necessariamente possedere un titolo esecutivo, ossia la certezza, la liquidità e l’esigibilità, o infine all’ipotesi in cui il titolo esecutivo non consente di attivare quel determinato processo esecutivo (ad es. si utilizza una scrittura privata per attivare un’esecuzione in forma specifica). I motivi di merito, invece, attengono alla contestazione del diritto sostanziale rappresentato dal titolo esecutivo o per inesistenza dei fatti costitutivi o per esistenza di fatti estintivi, modificativi o impeditivi.

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È opportuno, tuttavia, tener conto dei limiti che l’opponente incontra nel far valere i motivi di rito o di merito di cui sopra. Al riguardo bisogna tener presente che la certezza del titolo esecutivo, pur non rilevando in sede di accesso alla tutela esecutiva, rileva in sede oppositiva perché incide sull’ampiezza dei motivi che possono farsi valere. Infatti, in presenza di un titolo esecutivo giudiziale il margine di manovra sarà più ristretto rispetto a quello che si ha in presenza di un titolo stragiudiziale; ma non solo perché nell’ambito dei titoli giudiziali occorre ulteriormente distinguere l’ipotesi in cui il titolo rappresentato da un provvedimento o un atto passato in giudicato dall’ipotesi in cui il titolo esecutivo non è ancora passato in giudicato. L’ipotesi di maggior chiusura, riguardo i motivi spendibili in sede oppositiva, è rappresentata dalla sentenza di condanna già passata in giudicato perché, come noto, il giudicato copre il dedotto ed il deducibile; pertanto, nel giudizio oppositivo non potrà rimettersi in discussione quel risultato e, di conseguenza, gli unici motivi che si possono far valere nel giudizio oppositivo sono legati ai fatti sopravvenuti. Quanto, invece, alla sentenza di condanna non ancora passata in giudicato il margine di manovra è leggermente più ampio ma comunque bisogna fare i conti con il principio di non permeabilità dei motivi di impugnazione in motivi di opposizione in base al quale non si possono far valere in sede di impugnazione all’esecuzione quei motivi che possono essere fatti valere in sede di impugnazione e, siccome normalmente una sentenza di condanna è impugnabile con l’appello, quindi con un mezzo di impugnazione a critica libera, i motivi spendibili in sede oppositiva sono estremamente pochi. Pertanto, in sede oppositiva, possono farsi valere solo motivi che attengono a fatti sopravvenuti oppure ad ipotesi di inesistenza del provvedimento (ad es., la mancata sottoscrizione della sentenza da parte del giudice, che non soggiacciono al principio di conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione) e motivi riguardanti i c.d. provvedimenti sommari semplificati esecutivi (che

sono sì esecutivi ma non dotati dell’idoneità al giudicato e, quindi, non appellabili). Passando ai titoli esecutivi stragiudiziali si riscontra, al contrario, un margine di manovra molto ampio non operando né il limite del giudicato né il principio di non permeabilità dei motivi di impugnazione in motivi di opposizione.

b) Il secondo possibile oggetto dell’opposizione esecutiva, come dicevo, può essere rappresentato da questioni attinenti alla pignorabilità dei beni o dei crediti oggetto della procedura che riguardano, quindi, il quomodo della procedura esecutiva. In realtà si tende a far rientrare in tale forma di opposizione anche tutte quelle questioni attinenti al profilo soggettivo ed, in particolare, le ipotesi di successione nel titolo esecutivo. Sotto questo punto di vista, l’ordinamento consente sia che il titolo esecutivo possa valere a favore di soggetti diversi da quello indicato nel titolo (art. 475) sia che possa essere utilizzato contro soggetti diversi da quello indicato nel titolo (art. 477). L’ordinamento però non prevede forme di accertamento preventivo, in limine litis, di una eventuale successione; tutto si basa sulla mera affermazione del creditore procedente. Tale accertamento è posticipato in sede di opposizione e, specificamente, in sede di opposizione al precetto. Quindi, l’opposizione ex art. 615 è anche lo strumento tramite il quale poter contestare la qualità di successore del creditore ovvero la qualità di erede del debitore ovvero la qualità di sub-conduttore coinvolto nella procedura esecutiva ovvero le ipotesi di cui agli artt. 2859-2870 c.c. che si occupano, rispettivamente, del terzo acquirente del bene ipotecato e del terzo datore di ipoteca. Con riferimento a queste ultime ipotesi è necessario fare delle precisazioni. Ci si chiede, cioè, quali motivi i terzi in questione possono far valere in sede oppositiva e, più specificamente, si tratta di verificare se il terzo che voglia contestare l’esi-stenza del credito da attuare, possa spendere, nell’eventualità che tale credito sia stata accertato con sentenza, difese

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ulteriori rispetto a quelle che potrebbe spendere il debitore – in pratica ci si chiede se la sentenza, sulla base della quale si procede ad esecuzione, sia vincolante o meno anche per il terzo –.

La risposta a tale quesito è appunto contenuta nelle norme richiamate. L’ART. 2859 c.c., con riferimento al terzo acquirente del bene ipotecato, afferma che “Se la domanda diretta a ottenere la condanna del debitore è posteriore alla trascrizione del titolo del terzo acquirente, questi, ove non abbia preso parte al giudizio può opporre al creditore procedente tutte le eccezioni non opposte dal debitore e quelle altresì che spetterebbero a questo dopo la condanna.Le eccezioni suddette però non sospendono il corso dei termini stabiliti per la liberazione del bene dalle ipoteche”. Quindi, il terzo acquirente del bene ipotecato è soggetto al giudicato nel caso in cui abbia trascritto il suo atto di acquisto dopo la proposizione della domanda di condanna proposta dal creditore nei confronti del debitore. In caso contrario, invece, è vincolato all’accertamento compiuto solo se ha preso parte al processo. L’ART. 2870 c.c., con riguardo al terzo datore di ipoteca, stabilisce che “Il terzo datore che non ha preso parte al giudizio diretto alla condanna del debitore può opporre al creditore le eccezioni indicate dall'articolo 2859”. La norma, a differenza della precedente, fa riferimento solo alla partecipazione al giudizio, nel senso che il terzo non è soggetto all’efficacia preclusiva del giudicato se non ha partecipato al processo e ciò in quanto il suo titolo di proprietà è sempre antecedente al momento in cui è proposta domanda di condanna del creditore contro il debitore e, quindi, il profilo della trascrizione non viene in rilievo.

Il discorso legato alle contestazioni che si possono far valere in sede di opposizione ex 615 ha bisogno di ulteriori specificazioni in relazione alla possibilità che si proceda ad una contestazione mirante ad avere una

“caducazione del titolo esecutivo” o invece un “difetto sopravvenuto del titolo esecutivo”. nella prima ipotesi,ossia quella dell'inesistenza ab origine di un valido titolo esecutivo possiamo annoverare vari esempi: il carattere condannatorio della sentenza che però è un provvedimento di condanna non idoneo a sorreggere quel determinato tipo di esecuzione;oppure carenza dei requisiti necessari di certezza,liquidità ed esigibilità;oppure si fanno rientrare in quest'ipotesi l'eccessività della pretesa esecutiva;nullità del titolo esecutivo o ancora errore nella scelta dell'esecuzione intrapresa. Questa ipotesi non richiede particolari specificazioni. l'ipotesi più delicata è invece quella del difetto sopravvenuto del titolo esecutivo. Il principio generale è che l'esecuzione deve essere retta da un titolo esecutivo valido ed efficace durante tutto il corso del suo svolgimento. Esempio classico da annoverare in questa ipotesi è l'inibitoria in appello dell'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado oppure la revoca da parte del giudice dell'opposizione del decreto ingiuntivo emesso in forma esecutiva. Quando c'è una caducazione sopravvenuta del titolo esecutivo, bisogna chiedersi cosa succede del processo esecutivo, posto che il titolo esecutivo dovrebbe essere valido ed efficace per tutto il corso del processo. Per prima cosa bisogna fare due distinzioni:caducazione totale del titolo esecutivo e caducazione parziale del titolo. La giurisprudenza prevalente; nell'ipotesi di caducazione totale, ritiene che la contestazione del difetto sopravvenuto del titolo esecutivo porta alla completa caducazione dell'esecuzione la quale diverrebbe perciò illegittima ex tunc, sebbene originariamente legittima. In questo tipo di contesto l'ipotesi che si salva è quella riguardante i pignoramenti successivi,ossia quando un medesimo bene sia stato fatto oggetto di un pignoramento successivo, perché in questo caso c'è un'autonoma azione esecutiva,un autonomo pignoramento che può mantenere in piedi quel processo esecutivo; in tutte le altre ipotesi se il processo esecutivo è retto da un

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unico pignoramento, se si ha un a caducazione totale del titolo, quel processo esecutivo cade proprio perché diventa illegittimo.Per la caducazione parziale,in assenza di una disciplina espressa, si tende ad applicare analogicamente l'art.653.2°co. c.p.c. ”Se l'opposizione e' accolta solo in parte, il titolo esecutivo e' costituito esclusivamente dalla sentenza, ma gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto conservano i loro effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta”: ossia in ipotesi di una caducazione parziale del titolo,in forza del principio desumibile dall'art.653 secondo comma, la dottrina prevalente ritiene che il titolo legittimi gli atti già compiuti nei limiti della somma ridotta. Altra problematica che viene in rilievo per l'ipotesi di difetto sopravvenuto si pone in relazione al passaggio in giudicato; ci si chiede se sia necessario che ci sia un provvedimento passato in giudicato perché si abbia caducazione o se già il provvedimento provvisoriamente esecutivo già di per se può determinare una caducazione del processo esecutivo. Per quanto riguarda i titoli di formazione giudiziale, secondo una parte della dottrina, il problema si risolve richiamando l’art. 336 c.p.c. che disciplina la c.d. “efficacia espansiva esterna”,quindi anche la provvisoria esecutorietà di una sentenza è idonea a determinare la caducazione di quegli atti esecutivi dipendenti da quella sentenza. Ma se successivamente il giudice di appello concede la sospensione della provvisoria esecutorietà del titolo, in questa ipotesi allora, non si dovrebbe applicare l'art.336, in quanto in questo caso il processo esecutivo non dovrebbe cadere,ma dovrebbe rimanere sospeso in quanto qui il titolo non è venuto meno (come succede invece nell'ipotesi precedente). Per quanto riguarda i titoli stragiudiziali ci si chiede se anche in questo caso si può estendere il principio dell'applicazione dell'art.336. Parte della dottrina sostiene che per i titoli esecutivi stragiudiziali si dovrebbe ritenere che qui si abbia la caducazione totale già sulla base di una sentenza provvisoriamente esecutiva.

Con riferimento alle contestazioni nel merito di cui all'opposizione all'esecuzione il passaggio da fare è il seguente: con questa opposizione si contesta l'altrui diritto a procedere all'esecuzione forzata quindi tradizionalmente si dice che questo giudizio ha come oggetto immediato un diritto processuale e non un diritto sostanziale. Se questo è l'oggetto immediato, allora il giudice dovrebbe conoscere del diritto sostanziale solo incidenter tantum ai fini di statuire in ordine all'esistenza o all'inesistenza del diritto processuale da agire in via di esecuzione forzata. Ma se ne conoscesse solo incidenter tantum si dovrebbe ritenere che trova allora applicazione la regola di cui all'art.34 c.p.c. arrivando a sostenere che il giudice quindi conosce del diritto sostanziale consacrato nel titolo senza efficacia di giudicato. Parte della dottrina ha però ritenuto che questa è una delle ipotesi in cui invece il giudice ex lege ex art. 34c.p.c , conosce del diritto sostanziale consacrato nel titolo con efficacia di giudicato.

ITER PROCEDIMENTALE DELL’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE Bisogna innanzitutto distinguere tra:1)giudizio di opposizione al precetto;2)giudizio di opposizione all'esecuzione.

1) Nell'ipotesi dell'opposizione al precetto la controparte notifica il titolo esecutivo e il precetto e quindi fa opposizione prima ancora che inizi il pignoramento e l'atto introduttivo ha la forma dell'atto di citazione; va proposta dinanzi al giudice individuato secondo gli ordinari criteri di competenza per materia e per valore; per ciò che concerne la competenza per territorio bisogna utilizzare i criteri che si ricavano dal combinato disposto degli artt.27 e 480.3°co c.p.c.L'art 27 ci dice che è competente il giudice del luogo dell'esecuzione salva la disposizione dell'art 480.3°co. che afferma che se il creditore nell'atto di precetto non dichiara la residenza né elegge il domicilio nel

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comune in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione, l'opposizione a precetto si propone davanti al giudice del luogo in cui il precetto stesso è stato notificato. La giurisprudenza sostiene che per effetto il creditore non può arbitrariamente scegliersi il giudice dell'opposizione al precetto avendo comunque l'onere di fare la dichiarazione dell'elezione in un luogo in cui potenzialmente possa svolgersi l'esecuzione, essendoci collocati i beni del debitore o la residenza del terzo debitor debitoris. Secondo la giurisprudenza, questo principio interpretativo dell'art.480 vale solo per l'individuazione del giudice competente e non anche in riferimento alla possibilità prevista dalla stessa norma di notificare l'opposizione alla parte istante presso la cancelleria del luogo in cui è stato notificato il precetto. La stessa Corte Costituzionale ha chiarito che la non corretta dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio è priva di effetto quanto alla competenza di cui il giudice a conoscere dell'opposizione restando essa efficace ai fini della notificazione. Al procedimento si applica la disciplina del processo di cognizione,tenuto anche conto degli eventuali riti speciali che vengano in rilievo (ad es. opposizioni secondo il del rito del lavoro); il giudice dell'opposizione può inoltre disporre per gravi motivi la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo che ovviamente impedisce a quest'ultimo di iniziare l'esecuzione.

2) Per l'ipotesi, invece, che si tratti dell'esecuzione già iniziata si ha il ricorso proposto dinanzi allo stesso giudice dell'esecuzione che deve fissare con decreto l'udienza di comparizione delle parti dinanzi a se e il termine perentorio entro cui l'opponente deve provvedere alla notificazione del ricorso e del decreto. Dopo questa primissima fase che si potrebbe ridurre in un'unica udienza e si svolge nelle forme degli artt. 737 e ss. si passa ad un vero e proprio giudizio di cognizione e allora si devono nuovamente applicare i criteri ordinari di competenza, eccezion fatta per quelli relativi al territorio ma pure lo specifico rito che attiene alla materia e alla causa.

Il nuovo art.616 c.p.c tratteggia due ipotesi: i criteri ordinari possono affermare la competenza dello stesso

ufficio giudiziario a cui appartiene il giudice dell'esecuzione e quest'ultimo deve fissare un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito previa iscrizione al ruolo a cura della parte interessata;

se invece risulta competente un altro ufficio giudiziario, il giudice dell'esecuzione, deve rimettere ad esso la causa assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa stessa.

In questo tipo di logica, una parte della dottrina ritiene che la norma di cui al 616 è ambigua, perchè da una parte parla di introduzione del giudizio e di iscrizione al ruolo e dall'altra parte parla di riassunzione; secondo questa parte della dottrina si ritiene che il giudizio oppositivo abbia inizio con il ricorso introduttivo ex art.615 dinanzi al giudice dell'esecuzione, a questo punto però la parte interessata deve dare nuovo impulso al relativo giudizio entro il termine perentorio fissato dal giudice sia quando il giudizio è di competenza del tribunale, con un atto introduttivo di forma adeguata al rito di quella causa, sia se la competenza spetta ad altro ufficio giudiziario tramite una comparsa di citazione a norma dell'art 125. Nella logica di questa dottrina quindi c'è bisogno di un nuovo atto d'impulso e non dell'instaurazione di un nuovo giudizio, in quanto con il ricorso già si è instaurato il giudizio di opposizione.Un'altra parte ancora della dottrina invece, valorizzando la prima parte dell'art.616, sostiene che si iscrive a ruolo una nuova causa e di conseguenza il vero e proprio giudizio oppositivo nelle forme della cognizione piena inizierebbe solo con questo atto introduttivo.

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LEGITTIMAZIONE ATTIVA: tale rimedio spetta al soggetto nei cui confronti è intrapresa l’esecuzione forzata (di norma il debitore esecutato). È colui che è indicato nell’atto di precetto ma talvolta può essere anche diverso da quello che risulta da titolo esecutivo e dal precetto. Si pensi all’esecuzione per consegna e rilascio, laddove taluna parte della giurisprudenza ritiene che il titolo abbia efficacia erga omnes: in base a questa impostazione chiunque potrebbe essere ritenuta parte e utilizzare tutti i rimedi della parte, ivi compresa l’opposizione all’esecuzione.

LEGITTIMAZIONE PASSIVA: spetta senz’altro al creditore procedente. Il problema, in tal caso, riguarda i creditori intervenuti muniti di titolo: ci si chiede cioè se siano o meno litisconsorti necessari nel giudizio di opposizione ex art.615 c.p.c. L’impostazione prevalente tende ad escluderlo, per cui non sarebbe necessaria la partecipazione dei creditori intervenuti muniti di titolo al giudizio oppositivo che si dovrebbe invece svolgere esclusivamente tra debitore e creditore procedente. Bisogna altresì stabilire in che modo l’eventuale accoglimento del giudizio oppositivo incide sulla posizione di tali creditori titolati intervenuti: ci si chiede se si avrà o meno la caducazione del processo esecutivo con conseguente sacrificio della posizione dei creditori muniti di titolo esecutivo. Si deve anzitutto tenere distinta questa ipotesi da quella del pignoramento successivo in cui, essendoci autonoma azione, è agevole ritenere che il processo rimane in piedi ( l’accoglimento di un’opposizione nei confronti del primo pignorante non travolge il processo esecutivo laddove il pignorante successivo ha un autonoma azione esecutiva). Nell’ipotesi in esame invece l’impostazione prevalente tende a ritenere che, anche nel caso di creditori intervenuti muniti di titolo, si avrebbe una caducazione del processo esecutivo con conseguente travolgimento della loro posizione. Altra impostazione invece ritiene questa soluzione non sia soddisfacente e cerca di distinguere

- l’ipotesi in cui l’opposizione ha ad oggetto la nullità iniziale o l’invalidità dell’attività preparatoria dell’esecuzione: in questo caso, attaccando la fase genetica del processo esecutivo, per un vizio di un atto iniziale, verrebbe travolto tutto il processo nei confronti di tutti (in linea con l’impostazione prevalente);- l’ipotesi in cui il vizio riguarda il difetto sopravvenuto del titolo: in tal caso non avrebbe senso travolgere l’intero processo esecutivo se ci sono altri creditori muniti di titolo che possono proseguirlo.

REGIME DI IMPUGNABILITÀ’E’ stato oggetto di una serie di modifiche.La riforma del 2005/2006 ne aveva previsto l’inimpugnabilità; era previsto solo un ricorso straordinario in Cassazione ex art.111 Cost. Vi era una chiusura non solo all’appello ma a tutti i mezzi ordinari e straordinari d’impugnazione.La riforma del 2009 ha ripristinato l’appellabilità prevedendo che tale giudizio di opposizione si conclude con una sentenza appellabile. Ciò comporta che tale giudizio sfocia di fatto in un giudicato sulla situazione sostanziale anche se oggetto immediato è pur sempre il diritto processuale.

ART.617 C.P.C. OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI

Non concerne l’an dell’esecuzione ma la regolarità formale del processo esecutivo. Si tratta di un rimedio che non mira alla caducazione del processo nel suo complesso ma ha ad oggetto i singoli atti dell’esecuzione. E’un istituto che ha subito innumerevoli modifiche, tant’è che si parla di “diritto vivente” ossia di un rimedio nato con determinate caratteristiche ma che ha avuto un’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale tanto

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incisiva da avere oggi una fisionomia differente rispetto a quella originaria.La sua specificità assoluta è quella di nascere come uno strumento di controllo di un singolo atto del processo. Nella dimensione originaria si sottolineava come esso nascesse come un rimedio endoprocessuale: alcuni lo accostavano al reclamo al collegio (introdotto dal legislatore del 1950 in relazione ai provvedimenti relativi all’ammissibilità e alla rilevanza dei mezzi di prova). Con la novella del 50 infatti si introduce questa figura del reclamo avverso i provvedimenti del giudice istruttore come un procedimento interno al processo di cognizione per garantire le parti a fronte di decisioni del giudice istruttore sull’ammissibilità o rilevanza dei mezzi di prova che di fatto incidono sulla loro posizione. Analogamente l’opposizione agli atti esecutivi nasce come procedimento interno volendo verificare la regolarità di un atto del giudice dell’esecuzione proposta dinanzi allo stesso giudice dell’esecuzione (con seri problemi di terzietà e imparzialità del giudice). Non si tratta di un giudizio di accertamento a cognizione piena che si svolge parallelamente al giudizio esecutivo coordinato per il tramite della sospensione (come le opposizioni di merito), ma di un procedimento strettamente connesso e interno al processo esecutivo.Tale rimedio nasce dalla necessità che, a fronte di determinate irregolarità, venga assicurata una garanzia alle parti del processo al fine di verificare se il processo possa o meno proseguire.

Le evoluzioni relative all’opposizione agli atti esecutivi hanno inciso su diversi aspetti

1)vi è stato un allargamento della cerchia dei soggetti legittimati ad esperire tale rimedio: nasce per la figura del debitore che ha interesse a che la procedura esecutiva sia regolare e a che vi sia uno strumento per contestare l’eventuale irregolarità. Oggi legittimati attivi sono anche il

creditore e qualsiasi soggetto interessato, anche il mero offerente. C’è un allargamento della nozione di parte.

2) si è avuto un allargamento dell’ambito oggettivo dell’istituto e quindi dei possibili vizi che possono esser fatti valere con l’opposizione agli atti esecutivi. Originariamente si parlava solo di regolarità formale degli atti. Oggi invece si possono contestare non solo vizi formali ma anche vizi extraformali (competenza del giudice, difetto di legittimazione ad agire, giurisdizione,costituzione del giudice, difesa tecnica, capacità di essere parte, ecc.); non solo valutazioni di regolarità in senso stretto ma anche valutazioni in termini di opportunità di adozioni di un determinato provvedimento. C’è un’estensione del concetto di regolarità formale rispetto al concetto di nullità: con l’opposizione agli atti esecutivi si potrebbero far valere non solo le vere e proprie nullità ma anche le mere irregolarità formali del processo esecutivo(tutta una serie di vizi meno gravi come ad esempio l’omessa apposizione della formula esecutiva potrebbero essere fatti valere in questa sede). Si deve altresì ricordare che accanto alle ipotesi di nullità tradizionali la giurisprudenza ha individuato delle ipotesi di nullità/inesistenza, ipotesi più gravi che sono sganciate dal termine di 20 gg. per la proposizione dell’opposizione. Ebbene anche questa categoria di vizi può essere fatta valere con l’opposizione in esame.

3) si è avuta un’evoluzione relativa alla decorrenza del termine : aldilà del termine che originariamente era di 5 giorni e che oggi, invece, essendo stato ritenuto eccessivamente ristretto, è stato prolungato a 20 giorni; la novità riguarda la decorrenza di tale termine. Essa è agganciata non al mero compimento dell’atto ma alla conoscenza dell’atto, in virtù di una garanzia per la parte che potrebbe rischiare di perdere la spendita di un potere processuale non per una sua volontà ma per una mancata conoscenza.

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4) altro momento significativo in termini di evoluzione riguarda l’allargamento del regime di impugnabilità: tale rimedio nasce come un rimedio interno al processo esecutivo inimpugnabile ma, in forza dell’art.111 Cost., si è avuta una apertura in termini di ricorribilità della sentenza resa a seguito di tale giudizio oppositivo. Il provvedimento reso in seguito a opposizione ex art.617 può essere impugnato con ricorso straordinari in Cassazione. Sappiamo che la ratio sottesa al ricorso in Cassazione ex art.111 è agganciata alla “natura sostanziale di sentenza” di un determinato provvedimento anche se non ne ha la forma e soprattutto alla stabilità dei risultati che da quel provvedimento derivano. Tale allargamento ha delle ricadute estremamente importanti: l’opposizione agli atti esecutivi da mero rimedio interno al processo esecutivo si libera dalla dimensione del processo esecutivo e acquista una sua autonomia soprattutto in termini di stabilità dei risultati. In virtù di questo, parte della dottrina, è arrivata a ritenere che l’opposizione ex art.617 c.p.c. rappresenti oramai un rimedio di chiusura e che possa essere utilizzata tutte le volte in cui non sia possibile servirsi dei rimedi ex artt.615 e 619 c.p.c. (confluirebbero in essa tutti quei vizi che in senso lato non si possono far valere con le opposizioni di merito). In tal modo l’opposizione agli atti esecutivi mirerebbe ad assicurare la stabilità dei risultati del processo esecutivo: intanto ha senso ricorrere in Cassazione in quanto si ha un provvedimento con risultati stabili. Anche dal punto di vista dei contenuti, l’evoluzione in materia di impugnazioni ha inciso notevolmente: l’opposizione agli atti esecutivi finisce per svolgere nell’ambito del processo esecutivo una funzione analoga a quella svolta dall’art.161c.p.c nel processo di cognizione (principio di conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione). Mancando nel processo esecutivo una norma come l’art. 161, l’esigenza che viene in rilievo è la stessa: quella cioè di recuperare una stabilità degli effetti del processo esecutivo sotto il profilo della vendita forzata e della distribuzione forzata. L’opposizione agli atti esecutivi, nascendo come rimedio interno, non garantisce questo risultato. Se però si allarga il

profilo oggettivo dalla mera irregolarità degli atti ad una serie di altri vizi più o meno gravi, se si allarga la cerchia dei soggetti legittimati a proporre tale opposizione , e se si recupera, per il tramite dell’art.111 Cost., una dimensione autonoma dal processo esecutivo, si potrà arrivare a ritenere che tale rimedio, alla luce delle varie evoluzioni, svolge oggi una funzione analoga a quella dell’art. 161c.p.c. – si vuole che ogni eventuale irregolarità del processo esecutivo sia fatta valere con l’opposizione agli atti esecutivi, e che, in caso di mancata proposizione del giudizio entro il termine di 20 gg., quel vizio venga sanato.L’opposizione agli atti esecutivi va strettamente coordinata con la stabilità degli effetti del processo esecutivo e quindi della vendita forzata e della distribuzione forzata.

Con la vendita forzata, la stabilità dei risultati del processo esecutivo è assicurata :- dalla scansione in sub procedimenti che evita l’effetto devastante dell’art.159 (un atto invalido inficia gli atti dipendenti) e che permette di attaccare, con l’opposizione ex art.617, solo l’atto finale del sub procedimento e di non travolgere l’intero procedimento;- dall’art.2929c.c. (“La nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l'assegnazione non ha effetto riguardo all'acquirente o all'assegnatario, salvo il caso di collusione con il creditore procedente. Gli altri creditori non sono in nessun caso tenuti a restituire quanto hanno ricevuto per effetto dell'esecuzione”). che distingue tra invalidità della vendita e invalidità precedente la vendita a salvaguardia della posizione dell’aggiudicatario il quale sopporta le sole invalidità della vendita;- dalla irrevocabilità dei provvedimenti del giudice una volta che abbiano avuto esecuzione, per evitare che il giudice adotti determinati provvedimenti e che potrebbe poi revocare e modificare.Con riferimento alla distribuzione forzata:

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-per quanto riguarda l’esistenza dei crediti, la stabilità è assicurata dall’art.512 c.p.c , con le dovute differenze in base alla ricostruzione dell’oggetto delle controversie distributive (vedi lez.12-13);- per quanto riguarda le validità del processo esecutivo che hanno preceduto la distribuzione, si guarda all’art.2929 nella parte in cui si rendono irrilevanti determinate invalidità- per quanto riguarda invece le illegittimità del sub procedimento di distribuzione del ricavato, la stabilità è data dalla utilizzazione dell’opposizione agli atti esecutivi quale unico rimedio tramite il quale denunciare tali illegittimità.

Anche nella fase della distribuzione, come in quella della vendita, quindi, l’opposizione ex art.617 c.p.c gioca un ruolo decisivo perché determinate illegittimità interne si possono far valere solo con l’opposizione agli atti esecutivi.

ITER PROCEDIMENTALE DELL’OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVIL’iter procedimentale dell’opposizione agli atti esecutivi prevede, a differenza di quanto avviene per l’opposizione all’esecuzione, un termine stringente entro cui l’opposizione deve essere proposta: tale termine ,originariamente di 5 gg., oggi è di 20 giorniTuttavia, è importante individuare il momento dal quale comincia a decorrere tale termine,- 20 giorni cominciano a decorrere dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto quando l’opposizione riguardi vizi propri di questi atti,- decorrono invece dal primo atto di esecuzione se i vizi che voglio far valere con l’opposizione attengono alla stessa notificazione del titolo esecutivo e del precetto ovvero nei casi in cui pur investendo direttamente il titolo esecutivo ed il precetto sia stato impossibile proporre l’opposizione prima dell’inizio dell’esecuzione. In questi casi è

il primo atto di esecuzione che segna il termine di decorrenza; in tutte le altre ipotesi la decorrenza di questi 20 giorni è legata al giorno del compimento dell’atto. Si ritiene, tuttavia, che in realtà il termine dei 20 giorni non decorra dal compimento dell’atto, ma dalla legale conoscenza di questo, cioè dal momento in cui l’interessato prende conoscenza legale dell’atto o del provvedimento ovvero di un diverso e successivo atto che necessariamente lo presuppone.L’opposizione agli atti esecutivi è il rimedio previsto dal legislatore con il quale si fanno valere valutazioni di opportunità e vizi formali. Nella categoria dei vizi formali dobbiamo far rientrare le mere irregolarità, le nullità e per quanto concerne le nullità, un regime peculiare è individuato da buona parte della dottrina e della giurisprudenza per le ipotesi definite di nullità-inesistenza e per i vizi extraformali. Le ipotesi che quindi non sono soggette al termine dei 20 giorni sono :-le ipotesi di nullità-inesistenza insanabile, individuate come ipotesi particolarmente gravi per cui potrebbero essere fatte valere anche oltre il termine dei 20 giorni dal compimento dell’atto;-i vizi extraformali;In queste due ipotesi particolari, il sistema prevede una rilevabilità d’ufficio dei vizi durante tutto il processo e la possibilità della parte di far valere questi vizi anche oltre il termine di 20 giorni dal compimento dell’atto e ci sarebbe quindi la possibilità di attaccare ogni atto successivamente viziato entro il termine di 20 giorni dal compimento di ognuno degli atti successivi a quello viziato. Il regime per la parte sarebbe quello che viene definito “a corrente alternata”; mentre per il giudice il regime sarebbe continuo perchè quest’ultimo potrebbe sempre rilevare il vizio d’ufficio. Questo tipo di regime è tuttavia criticato da una parte della dottrina la quale ritiene che, una volta scardinato il meccanismo previsto dall’art.617, non ha senso immaginare una rilevabilità su istanza di parte a corrente alternata, perché se quel vizio è insanabile così come è possibile al giudice rilevarlo in ogni momento così dovrebbe esserlo anche per la parte.

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Sempre in ordine al regime della rilevabilità di queste nullità, la regola di carattere generale è quella di cui all’art.156c.p.c: le nullità sono rilevabili solo su istanza di parte e sono eccezionali le ipotesi in cui invece la nullità è rilevabile anche d’ufficio. Tuttavia vi sono delle ipotesi in cui la rilevabilità d’ufficio è insita nella tipologia del vizio, ad es. la violazione del principio del contraddittorio porterebbe con sé il regime della rilevabilità d’ufficio anche se normalmente non è espressamente prevista come rilevabile d’ufficio. Anche per il processo esecutivo quindi si fa un discorso analogo: il rilievo d’ufficio di un vizio forale da parte di un giudice dell’esecuzione si potrebbe ammettere quando, in ragione della peculiare natura del vizio, la nullità deve ritenersi prevista non già nell’esclusivo interesse delle parti o di taluna delle parti bensì a tutela del corretto esercizio della funzione giurisdizionale; in ragione della tipologia del vizio che viene in rilievo, per alcune ipotesi, si recupera la rilevabilità in ragione dell’interesse che si intende tutelare.Questo comporterebbe secondo una parte della dottrina che, coerentemente all’apertura della possibilità della rilevabilità d’ufficio, si deve consentire la possibilità al giudice di revocare o modificare il provvedimento viziato, fino a che quest’ultimo non abbia avuto esecuzione.Sotto il profilo strettamente procedimentale, anche per l’opposizione agli atti esecutivi, vale la distinzione tra opposizione agli atti esecutivi proposta prima che sia iniziata l’esecuzione e dopo che sia iniziata l’esecuzione.

- L’opposizione può proporsi prima perché magari si vogliono contestare dei vizi del titolo esecutivo e del precetto. In questo caso l’opposizione deve essere proposta con atto di citazione dinanzi al giudice, inteso come ufficio giudiziario indicato dall’art. 480.3° co, che di regola coincide con il tribunale competente per l’esecuzione;

- nelle ipotesi in cui l’opposizione è proposta a fronte di un’esecuzione che è già avviata, l’oggetto dell’opposizione sarà la regolarità di tutti gli

atti del procedimento. Questa seconda ipotesi è molto delicata perché in questo caso l’opposizione sarà proposta dinanzi allo stesso giudice dell’esecuzione. A questo riguardo , da sempre avvertita in dottrina, in particolare dopo la riforma dell’art.111cost., è la problematica che concerne la terzietà e imparzialità proprio del giudice dell’esecuzione che va a conoscere, in questo caso, anche della legittimità dei suoi stessi atti. Da più parti si è dunque segnalato come questa fosse un’ipotesi particolarmente critica: questo tipo di dibattito è sfociato anche in una sentenza della corte costituzionale , ordinanza n. 497 del 2002, che però ha dichiarato manifestamente infondata la questione dell’incompatibilità tra il giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato e quello chiamato a conoscere della relativa opposizione. Tale dibattito è risolto dal legislatore, che introduce con la l.69/09, nell’ambito delle disposizione di attuazione, l’art.186-bis il quale, rubricato come trattazione delle opposizioni in materia esecutiva prevede che :“i giudizi di merito di cui all’art.6182 sono trattati da un magistrato diverso da quello che ha conosciuto degli atti avverso i quali è proposta opposizione”.Si è dunque arrivati ad un riconoscimento legislativo della fondatezza di questi rilievi dottrinali, sebbene taluni tribunali avevano cercato già di risolvere il problema per il tramite di determinati criteri tabellari, facendo in modo che il giudice che poi doveva occuparsi dell’opposizione non era lo stesso che stava gestendo l’esecuzione.Tornando all’iter procedimentale, nel caso di opposizione proposta dopo che sia iniziato il procedimento esecutivo, bisogna fare i conti con l’art.616 c.p.c, perché anche in questo caso, ci si chiede quale sia il momento iniziale del procedimento, posto che anche in questo caso ci sarà una prima udienza di comparizione che si dovrà svolgere nelle forme di cui all’art.737 e ss. e poi ci sarà l’esigenza di un nuovo atto di impulso al procedimento .(vedi la stessa problematica relativa all’opposizione all’esecuzione). Tuttavia, se si analizza il testo dell’art.617 e dell’art.618 si possono notare delle 2 peculiarità :

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ART. 617 c.p.c:”Le opposizioni relative alla regolarita' formale del titolo esecutivo e del precetto si propongono, prima che sia iniziata l'esecuzione, davanti al giudice indicato nell'articolo 480 terzo comma, con atto di citazione da notificarsi nel termine perentorio di venti giorni dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto. Le opposizioni di cui al comma precedente che sia stato impossibile proporre prima dell'inizio dell'esecuzione e quelle relative alla notificazione del titolo esecutivo e del precetto e ai singoli atti di esecuzione si propongono con ricorso al giudice dell'esecuzione nel termine perentorio di venti giorni dal primo atto di esecuzione, se riguardano il titolo esecutivo o il precetto, oppure dal giorno in cui i singoli atti furono compiuti.”

ART.618 c.p.c :”Il giudice dell'esecuzione fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a se' e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto, e da', nei casi urgenti, i provvedimenti opportuni.” Questo prima comma costituisce la prima differenza rispetto all’iter procedimentale di cui al giudizio di opposizione all’esecuzione perché è previsto che il giudice già in questa prima sede possa dare i provvedimenti opportuni sebbene questi poi si riconducano alla semplice sospensione. “All'udienza da' con ordinanza i provvedimenti che ritiene indilazionabili ovvero sospende la procedura. In ogni caso fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito, previa iscrizione a ruolo a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all'articolo 163-bis, o altri se previsti, ridotti della meta'. La causa e' decisa con sentenza non impugnabile. Sono altresi' non impugnabili le sentenze pronunciate a norma dell'articolo precedente primo comma.”

In realtà sotto il profilo dell’iter procedimentale ci sono delle forti

analogie rispetto all’iter di cui all’opposizione all’esecuzione, perché la logica rimane la medesima, vi è solo il meccanismo differente indicato dal comma 1.La seconda distinzione attiene al fatto “che la decisione della causa spetta in ogni caso al giudice dell’esecuzione, sicché è esclusa la rimessione ad un diverso ufficio giudiziario.” Mentre quindi per l’opposizione all’esecuzione la causa appartiene alla competenza o dello stesso ufficio giudiziario del giudice dell’esecuzione o è possibile riassumerla dinanzi all’ufficio giudiziario diverso individuato come competente; nell’opposizione agli atti esecutivi questa seconda possibilità è esclusa perché la decisione della causa spetterà sempre al giudice dell’esecuzione.

Rapporti tra opposizione agli atti esecutivi e processo esecutivoSicuramente questo rimedio esecutivo nasce come un rimedio endoprocessuale che ha recuperato nel corso del tempo una sua autonomia ma di fatto rimane una differenza di fondo tra l’opposizione agli atti esecutivi e le altre opposizioni di merito soprattutto per il peculiare oggetto dell’opposizione agli atti esecutivi. Le opposizioni di merito, infatti, hanno ad oggetto un diritto sostanziale, si svolgono parallelamente rispetto al processo esecutivo e la sospensione fa da coordinamento; l’opposizione agli atti esecutivi poiché ha ad oggetto la regolarità dei singoli atti dell’esecuzione, la sospensione è solo formale perché è possibile ritrovare nel codice indicazioni secondo cui il giudice dovrebbe farsi carico prima di verificare se gli atti del processo sono regolari o meno e poi andare avanti con la procedura esecutiva(si cerca cioè di inserire questo tipo di meccanismo nell’ambito del processo esecutivo diversamente dalle opposizioni di merito).Il dato più significativo è contenuto negli artt. 530 e 579, norme che riguardano la vendita nel caso di espropriazione mobiliare e immobiliare. Tali norme prevedono espressamente che, il giudice dell’esecuzione prima di provvedere alla vendita deve definire

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con sentenza le opposizioni agli atti esecutivi, nella logica di depurare così il procedimento dai vizi di cui è affetto.Altra norma importante è quella contenuta nell’ art.628 c.p.c la quale prevede la sospensione del termine di efficacia del pignoramento. L’opposizione ai singoli atti esecutivi, sospende il decorso del termine previsto nell’articolo 497: ciò è importante perché alcuni ritengono che anche questo sia un indice del carattere di rimedio interno al processo esecutivo dell’opposizione agli atti rispetto alle altre opposizioni.Ultimo passaggio da fare in relazione a questo iter procedimentale attiene alla non impugnabilità, nel senso che questo iter procedimentale si caratterizza per effetto della previsione espressa della non impugnabilità. Si tratta cioè di un procedimento che si conclude con una sentenza ricorribile solo per Cassazione ai sensi dell’art.111Cost.Quanto al tipo di provvedimento che può adottarsi in sede di opposizione agli atti esecutivi, si precisa come secondo l’impostazione prevalente il vittorioso esperimento di questo giudizio oppositivo non potrebbe comunque portare all’adozione di un provvedimento sostitutivo da parte del giudice della cognizione. L’alternativa infatti è duplice: -o proporre opposizione e in caso di accertamento dell’illegittimità di un determinato atto, annullare l’atto viziato e, in questo caso, il nuovo atto esecutivo sarà posto in essere nell’ambito del processo esecutivo;-oppure ipotizzare che il giudice della cognizione adotti lui stesso il provvedimento sostitutivo rispetto a quello che è ritenuto viziato. Rispetto a questa possibile alternativa, si tende a ritenere che non vi sia l’attribuzione al giudice della cognizione del potere di adottare lui stesso il provvedimento sostitutivo di quello ritenuto viziato e quindi, il giudice deve limitarsi ad accertare solo se un determinato provvedimento sia o meno valido.

OPPOSIZIONE DI TERZO ALL’ESECUZIONEART 619 C.P.C :“Il terzo che pretende avere la proprieta' o altro diritto

reale sui beni pignorati puo' proporre opposizione con ricorso al giudice dell'esecuzione, prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione dei beni.”

Primo dato fondamentale di questa opposizione è che quest’ultima non si possa avere prima che sia iniziata l’esecuzione (non c’è quindi l’opposizione a precetto), perché c’è un terzo che lamenta il fatto che con la procedura esecutiva (già avutasi) sia stato aggredito un bene di sua proprietà,non del debitore. Per capire questa opposizione dobbiamo guardare alla struttura del nostro processo esecutivo, perché quest’ultimo non ha una fase ad hoc deputata ad accertare preventivamente se il bene che viene aggredito sia effettivamente del debitore tanto nell’espropriazione mobiliare che in quella immobiliare (in effetti tale opposizione trova maggiore spazio nell’espropriazione mobiliare).

Il nostro legislatore, infatti, si accontenta di una serie di indici che ci fanno presumere la proprietà di un determinato bene ma non ci danno nessuna certezza sulla titolarità del diritto di proprietà. Tali indici sono:-per l’espropriazione mobiliare, sono che i beni si trovino presso la casa del debitore o presso luoghi a lui appartenenti, il che non significa necessariamente che ci sia la titolarità perché Tizio ben potrebbe avere in casa propria beni appartenenti a Caio; del resto lo stesso ufficiale giudiziario quando ignora non fa alcun accertamento in ordine alla titolarità di quei determinati beni;-per l’espropriazione immobiliare, il legislatore si accontenta delle risultanze dei registri immobiliari che tuttavia non danno una certezza, perché ben può accadere che vi sia una erronea identificazione del bene, o perché magari si va a pignorare un bene che è di proprietà non del debitore ma di un terzo che nel frattempo quest’ultimo lo ha usucapito (l’usucapione non risulta nei registri immobiliari).

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La FUNZIONE dell’opposizione quindi è quella di apprestare una tutela al terzo al fine di contestare l’esercizio di un’azione esecutiva che abbia colpito un bene non rientrante in tutto o in parte nel patrimonio del debitore. Tale opposizione ha quindi un oggetto circoscritto solo a queste ipotesi; un oggetto cioè che non coincide con la fondatezza dell’azione esercitata dal procedente- in tal caso infatti si sfocerebbe nell’ipotesi prevista dall’art.615- ma concerne semplicemente il fatto che la titolarità dei beni colpiti dal pignoramento non è del debitore ma del terzo.

Le maggiori analogie, quindi rilevano con riguardo all’opposizione all’esecuzione e quindi alle opposizioni di merito, se non altro in ragione del fatto che l’effetto cui è destinata tale opposizione è la caducazione dell’intero processo esecutivo (come per l’art.615), e non dei singoli atti esecutivi come avviene per l’ipotesi di cui all’art.617.

Il terzo quindi con questa opposizione può far valere come oggetto del processo l’accertamento dell’inesistenza del diritto del creditore di espropriare i beni del terzo perché non soggetti alla responsabilità patrimoniale del debitore. La causa petendi è la titolarità da parte del terzo di un diritto di proprietà o di un altro diritto reale di godimento opponibile al creditore o di un diritto prevalente rispetto a quello del creditore.

Esempi :1)per l’espropriazione immobiliare dobbiamo pensare ad un terzo che ha trascritto il suo atto di acquisto prima del pignoramento e che quindi prevale sul creditore procedente;oppure si pensi ad un terzo che ha usucapito quel bene e che possa dimostrare di averlo acquistato a titolo originario con titolo prevalente rispetto al debitore e al creditore procedente.

2)per l’espropriazione di crediti dobbiamo pensare alla cessione di un credito da parte del debitore esecutato, notificata o accertata dal debitor debitoris con atto avente data certa anteriore al pignoramento. Si deve quindi recuperare il regime di circolazione dei beni3)per l’espropriazione mobiliare l’opposizione di terzi potrà fondarsi su un autonomo titolo d’acquisto o di un atto d’acquisto dal debitore e il terzo dovrà provare la proprietà e l’affidamento del bene al debitore con atti scritti aventi data certa anteriore al pignoramento.Il terzo quindi dovrà sempre addurre una posizione prevalente rispetto a quella del creditore.Ci si chiede se tale opposizione sia o meno un rimedio necessario o eventuale: se il terzo non utilizza questo tipo di opposizione perde il bene o comunque ha la possibilità di far valere il suo diritto?

Un problema relativo all'opposizione ex art. 619 c.p.c riguarda il fatto se esso sia o meno un rimedio necessario: ci chiediamo, cioè, se il rimedio, posto a tutela del terzo per salvare il bene che assume essere di sua proprietà e non del debitore, è necessario nel senso che il terzo lo deve necessariamente utilizzare per non perdere il bene o è facoltativo e quindi può utilizzarlo in alternativa ad un'altra azione di rivendica nei confronti dell'aggiudicatario. La questione viene risolta dalle disposizioni in materia di circolazione dei beni e si tende a distinguere l'ipotesi di espropriazioni immobiliare da quella mobiliare.Nella espropriazioni immobiliare l'opposizione di terzo si atteggia come rimedio facoltativo: anche se il terzo non lo utilizza, potrà rivendicare comunque il bene nei confronti dell'aggiudicatario (il cui acquisto è a titolo derivativo).Nell'espropriazione mobiliare, invece, l'opposizione si atteggia come rimedio necessario poiché in questo caso per l'aggiudicatario potrebbe operare un modo di acquisto a titolo originario (art.1153 c.c.) che prevarrebbe su un terzo seppur quest'ultimo sia in possesso di un atto avente data certa anteriore al pignoramento.

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L'opposizione di terzo è senz'altro più frequente nell'espropriazione mobiliare rispetto alla quale il codice ha previsto un regime peculiare in relazione alla prova. Il primo dato da cui partire è che l'utilizzo più frequente di tale rimedio nell'ambito dell'espropriazione mobiliare è dovuta al fatto che l'ufficiale giudiziario nel pignorare i beni non effettua valutazioni in ordine alla titolarità, per cui ben potrebbe accadere che pignori beni di un terzo.

Le norme che vengono in rilevo sono gli artt. 2914.4°co.(relativo al regime di circolazione dei beni mobili) che recita: “Non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione le alienazioni di beni mobili di cui non sia stato trasmesso il possesso anteriormente al pignoramento, salvo che risultino da atto avente data certa, sebbene anteriori al pignoramento” e l'art.621 cp.c. che prevede una limitazione sul piano della prova testimoniale: “Il terzo opponente non puo' provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell'azienda del debitore, tranne che l'esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore”. Si ritiene che l'art.2914.4°co, nel risolvere il conflitto tra creditore pignorante e i terzi aventi causa di beni mobili dal debitore che non abbiano acquistato il possesso in base al criterio della data certa anteriore, va a disciplinare un'altra ipotesi di responsabilità per debito altrui che si aggiunge a quelle di cui all'art.2910.2°co. In questo tipo di ottica dovrebbe essere letto anche il disposto di cui all'art.621c.p.c, giacchè se questa norma fosse letta solo come limitazione del diritto alla prova potrebbe essere considerata anticostituzionale. In virtù di questo si cerca di inquadrarlo nella logica degli artt. 2914.4°co. e 2910.2°co., ritenendo così che l'art.621, lungi dall'essere una norma sulla prova è una norma di diritto sostanziale diretta a risolvere i conflitti tra i creditori pignoranti e i terzi proprietari di beni mobili che si trovano nella casa del debitore, assoggettando a responsabilità per debiti del

debitore tutti i beni mobili che si rinvengono nella sua casa a meno che essi risultino di proprietà di un terzo in forza di una doppia prova scritta: 1)atto d'acquisto avente data certa anteriore al pignoramento, 2) prova scritta del fatto che siano stati affidati al debitore per un titolo diverso dalla proprietà. Tale disciplina è estremamente severa essendo difficile che il trasferimento di beni mobili avvenga con un atto scritto, sopratutto tra familiari e in più si vuole che la prova scritta dimostri anche che l'affidamento a terzi sia avvenuto a titolo diverso dal diritto di proprietà: se così non fosse sarebbe molto facile eludere la responsabilità patrimoniale potendo il debitore affermare semplicemente che tutte le cose mobili presso la sua abitazione non apparterrebbero a lui ma sarebbero di proprietà di terzi che potrebbero tramite testimonianza facilmente sottrarre quel bene dall'espropriazione. La logica sottesa è semplice: poiché l'ufficiale giudiziario non deve accertare il diritto di proprietà, i vari terzi, legati da rapporti più o meno stretti con il debitore, potrebbero proporre opposizione di terzo e per il tramite di testimonianze più o meno attendibili dimostrare la loro appartenenza a quei determinati beni vanificando grandemente la garanzia patrimoniale. Per evitare questo il legislatore ha previsto non solo un atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento ma anche un atto che dimostri l'affidamento del bene del debitore al terzo per un titolo diverso dalla proprietà. Questo meccanismo così rigido verrebbe a cadere e in quel caso avrebbe valore la prova testimoniale, quando si tratta di beni che presumibilmente sono di un determinato soggetto per il tipo di attività svolta (macchina da cucire-sarta).In virtù di questa disciplina stringente e di queste limitazioni, la dottrina ritiene che ai terzi dovrebbe essere data la possibilità di spendere tutti quei poteri processuali che possono spendere i terzi proprietari responsabili per debiti altrui di cui all'art.604 c.p.c. Una volta che l'art.621 viene ricostruito non come una norma sul diritto alla prova ma come una forma di responsabilità per debito altrui, allora i terzi devono essere trattati come i responsabili per debito altrui e gli si deve estendere

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la possibilità di esercitare quei poteri processuali che ex art.604 possono di regola utilizzare.

ITER PROCEDIMENTALE DELL'OPPOSIZIONE DI TERZI ALL'ESECUZIONEIl primo dato da segnalare è che tale opposizione non può mai atteggiarsi in termini di opposizione a precetto poiché è inimmaginabile per la tipologia del rimedio in sé che essa possa avvenire prima del pignoramento. Quando, invece, parliamo di opposizione di terzo tardiva o tempestiva facciamo riferimento all'art.620 c.p.c: l'opposizione sarà tempestiva se proposta prima che sia avvenuta la vendita o l'assegnazione dei beni, sarà tardiva se proposta dopo la vendita. In questa ipotesi l'art. 620 rubricata Opposizione tardiva dispone: “Se in seguito all'opposizione il giudice non sospende la vendita dei beni mobili o se l'opposizione è proposta dopo la vendita stessa, i diritti del terzo si fanno valere sulla somma ricavata”. Quindi se l'opposizione è proposta tardivamente i diritti sui beni mobili di questo soggetto si trasferiscono sulla somma ricavata. L'opposizione tardiva pur essendo espressamente prevista è tuttavia equiparata all'opposizione tempestiva che non sia stata seguita dalla sospensione. Se l'opposizione è proposta tempestivamente si può salvare il bene mobile a condizione però che si ottenga anche la sospensione perché se il processo va avanti, ex art.620 c.p.c i diritti si trasferiscono dal bene mobile alla somma ricavata.L'opposizione di terzo si propone con ricorso al giudice dell'esecuzione dopo il pignoramento. Rispetto alle parti, sono parti necessarie il terzo che propone opposizione, il debitore esecutato e il creditore pignorante. Ci si chiede anche in questo caso il ruolo dei creditori intervenuti muniti di titolo, cioè se essi siano litisconsorti necessari o meno. L'impostazione prevalente distingue il pignoramento successivo da quella del creditore titolato: nel primo caso sarebbero litisconsorti

necessari, nel secondo i creditori potrebbero solo spiegare intervento adesivo dipendente (una parte interviene per sostenere le ragioni di una delle parti -in questo caso del creditore pignorante).Alla luce della riforma del 2006 si è modificato il terzo comma dell'art.619 c.pc.: la norma prevede espressamente la possibilità che intervenga un accordo delle parti. All'udienza fissata dal g.e. le parti possono raggiungere un accordo, ad es. il terzo potrebbe vedere riconosciuti i suoi diritti; il giudice, in tal caso deve deve tener conto dell'accordo e con un'ordinanza deve adottare tutti i provvedimenti necessari per l'estinzione del processo che non avrà più ragion d'essere. Se, viceversa, le parti non si accordano il giudice dovrà adottare invece tutti i provvedimenti utili per la prosecuzione del giudizio. Il giudice in questa prima udienza dovrà decidere sulla istanza di sospensione e, a seconda che la competenza sul merito dell'opposizione spetti allo stesso ufficio giudiziario a cui lui appartiene ovvero ad un ufficio giudiziario diverso, dovrà fissare un termine per l'introduzione del giudizio o per la riassunzione del giudizio (vedi problematica legata all'art.616 c.p.c).

PROFILI DELICATI

1 Il primo problema riguarda l'opposizione tempestiva o tardiva. Se il parametro di riferimento è la vendita (ante vendita opposizione tempestiva, post vendita opposizione tardiva), essa, in quanto subprocedimento, non si esaurisce in un solo momento: ci si chiede se bisogna riferirsi al primo o all'ultimo atto del subprocedimento. Accedere all'una o all'altra tesi non è priva di conseguenze poiché dilatare al massimo il termine per l'opposizione tempestiva mira a salvaguardare la posizione del terzo; anticipare il termine all'atto iniziale equivarrà a ridurre la tutela del terzo rispetto al creditore procedente.

2 Altra problematica attiene allo stabilire di quali poteri processuali sia depositario e quindi può spendere il terzo. Per lungo tempo la

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giurisprudenza della Cassazione ha ritenuto che il terzo, in quanto tale, non ha interesse a contestare la legittimità e la regolarità dei singoli atti della procedura. Nella giurisprudenza più recente si riscontrano invece delle aperture: si è ammesso che il terzo possa compiere gli atti direttamente riferibili alle vicende del bene sul quale egli rivendica un determinato diritto. Nello specifico è ammesso che il terzo possa chiedere la conversione del pignoramento con la conseguenza che in tal caso l'opposizione ex art.619 avrà ad oggetto non la liberazione del bene ma la liberazione della somma di denaro versata ex art. 495 c.p.c. Secondo parte della dottrina risalente il terzo dovrebbe avere poteri più significativi nell'ambito del processo esecutivo: una volta che è saltata la cerniera tra opposizione di merito ed esecuzione per non avere il giudice dell'esecuzione sospeso il processo esecutivo, il terzo dovrebbe assumere in tale processo sul bene almeno la qualità di interessato e quindi partecipare a tutte le attività che hanno ad oggetto l'amministrazione e la liquidazione del bene. Il terzo, in base a questa impostazione, potrebbe dunque evitare il pignoramento pagando la somma nelle mani dell'ufficiale giudiziario (art.494 c.p.c) e potrebbe essere anche interessato alla validità del pignoramento (potrebbe cioè far valere a fronte di un invalidità della trascrizione del pignoramento anche il suo atto di trasferimento trascritto successivamente).

3 Ultima problematica riguarda i rapporti tra l'opposizione ex art.619 e gli altri possibili rimedi esperibili da un terzo nei confronti di un processo esecuzione che lo coinvolge illegittimamente. Le norme relative all'opposizione di terzi sembrerebbero tutte norme relative all'espropriazione forzata e non all'esecuzione specifica: -ci si chiede quindi che rimedio dovrebbe utilizzare il terzo che ritiene di essere il reale possessore o il detentore del bene immobile per il cui rilascio è stata avviata l'esecuzione (esecuzione per rilascio attivata nei confronti di un terzo)

-ci si chiede altresì che rimedio avrebbe il terzo che ritiene di essere il vero proprietario dell'opera che deve essere demolito in via esecutiva (esecuzione per obblighi di fare o non fare).

L'impostazione prevalente tende a distinguere: a)ipotesi in cui il terzo intenda semplicemente contestare il diritto del creditore di procedere esecutivamente nei suoi confronti. In questo caso il rimedio utilizzabile sarebbe l'opposizione ex art.615 c.p.c ( l'art.619 si ritiene una species dell'art.615):se il terzo vuole contestare l'altrui diritto (del creditore) a procedere all'esecuzione dovrà servirsi dell'opposizione all'esecuzione.b)ipotesi in cui il terzo vuole rimettere in discussione il titolo esecutivo alla cui formazione è rimasto estraneo. In tal caso dovrebbe utilizzare l'opposizione di terzo ordinaria (il terzo fa valere un diritto autonomo e incompatibile rispetto a quello delle parti in giudizio) o quella revocatoria (il terzo deve dedurre la collusione o il dolo delle parti) ex art. 404 c.p.c. Se però il titolo si fonda su un titolo stragiudiziale e non su una sentenza non troverebbe applicazione tale rimedio ma troverebbe spazio l'opposizione dei cui all'art.615 c.p.c.

Rapporti tra opposizione ex art.512c.p.c e opposizione all'esecuzione ex art 615 c.p.c.Rispetto a tale rapporto l'interrogativo che ci poniamo è se l'opposizione ex art.615 sia ancora utilizzabile nella fase distributiva. La risposta non è pacifica nonostante la riforma del 2005/2006; sono state sostenute entrambe le soluzioni. La divisione dottrinale ha di fondo una questione teorica rilevante: secondo parte della dottrina, il titolo esecutivo legittimerebbe non solo ad espropriare i beni del debitore ma anche ad esigere la consegna della somma ricavata. L'opposizione ex art. 615 c.p.c dovrebbe essere esperibile sino al momento in cui l'esecuzione si esaurisce con il raggiungimento delle sue finalità e quindi anche in sede distributiva-non potendo le opposizioni distributive avere ad oggetto la

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contestazione dell'altrui diritto a procedere all'esecuzione forzata e ad ottenere la caducazione del processo esecutivo nel suo complesso. Altra parte dottrina ritiene, invece, che dopo la vendita forzata non si potrebbe più distinguere tra azione del pignorante e azione degli altri creditori concorrenti, in possesso o meno del titolo esecutivo: a tutti competerebbe un'azione esecutiva satisfattiva e quindi non ci sarebbe spazio per un opposizione ex art.615 c.p.c in sede di distribuzione.Rapporti tra opposizione ex art.512 e opposizione agli atti esecutivi ex art.617 c.p.c.Il problema è legato all'intervento dei creditori sforniti di titolo e alla possibilità di contestare prima della fase della distribuzione il credito di un creditore non munito di titolo esecutivo. Ci si chiede se si può o meno, prima di arrivare alla fase distributiva, contestare il credito di un creditore non munito di titolo esecutivo. Se si guarda il codice si dovrebbe escludere non esistendo un rimedio ad hoc ed essendo tutto posticipato alla fase distributiva. La soluzione non è pacifica: vi è stata un'apertura giurisprudenziale che ha aperto l'utilizzo dell'opposizione agli atti esecutivi per contestare il credito dei creditori non muniti di titolo già nella fase espropriativa. Prima della riforma la giurisprudenza prevalente invece negava questa possibilità poiché riteneva che la controversia distributiva rappresentasse uno strumento mediante il quale le parti potevano controllare e correggere lo svolgimento della distribuzione per cui non avrebbe avuto senso un'eventuale anticipazione. Altra parte, invece, riteneva che nonostante fosse possibile anticipare in un diverso momento del processo esecutivo il contenuto di queste controversie, esse avevano un oggetto più limitato essendo riferite solo alla distribuzione della somma ricavata. Proprio in virtù di tale limitazione questa parte della dottrina e della giurisprudenza apriva all'utilizzazione dell'opposizione agli atti esecutiva e ammetteva che prima di arrivare alla fase distributiva fosse possibile contestare il credito del creditore titolato con l'opposizione ex art.617 c.p.c. In tale logica il debitore aveva due rimedi per contestare le posizione

creditoria nella fase espropriativa: l'opposizione ex art.615 nei confronti dei creditori titolati e l'opposizione ex art.617 c.p.c nei confronti dei creditori non titolati. Post riforma tale tematica si è rivitalizzata perché la modifica dell'art.512 ha portato una parte della dottrina a ritenere che oggi a maggior ragione dovrebbe essere ammessa questo tipo di possibilità perchè gli accertamenti di cui all'art.512 non sono molto diversi da quegli accertamenti che faceva prima il giudice dell'esecuzione ex art.617 in via di elaborazione giurisprudenziale essendo fatti dallo stesso giudice dell'esecuzione, con un accertamento in via sommaria che non conduce ad una sentenza appellabile ma ad un'ordinanza ricorribile in Cassazione ex art.111 Cost.

VICENDE ANOMALE DEL PROCESSO ESECUTIVO

La sospensione e l’estinzione. Riferimenti normativi della sospensione: gli articoli da 623 a 628 del codice di procedura civile,però il fenomeno della sospensione,per effetto delle recenti riforme è disciplinato anche dal 615.

FUNZIONE DELLA SOSPENSIONE:

1. La sospensione è lo strumento di raccordo tra il processo esecutivo e i giudizi oppositivi.

2.È componente ineliminabile dell’effettività della tutela del debitore.

La sospensione costituisce un fondamentale strumento di raccordo tra processo esecutivo e giudizi oppositivi: perché nella logica del codice del 1940 sono estranei al processo esecutivo i momenti di accertamento, conseguentemente gli accertamenti in senso proprio sarebbero relegati ai giudizi oppositivi che si svolgono nelle forme del processo a cognizione piena, come autonomo giudizio. Ecco che si pone il problema di coordinare lo svolgimento del processo esecutivo, cui sono estranei gli

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accertamenti ,e i giudizi oppositivi destinati a consentire lo svolgimento di questo accertamento.

Chi sarà ad avere un ruolo centrale nella gestione della sospensione,il giudice dell’esecuzione o il giudice dell’opposizione? Ci sarà un giudice che dovrà valutare se e cosa sospendere? Ci deve essere un giudice che deve coordinare lo svolgimento del processo esecutivo e il parallelo svolgimento dei giudizi oppositivi, perché teoricamente potrebbero andare di pari passo(mentre prosegue il processo esecutivo si svolgono i giudizi oppositivi, oppure il processo esecutivo potrebbe essere sospeso in attesa che si svolgano i giudizi di opposizione). La sospensione è automatica o è rimessa alla valutazione del giudice?

Componente ineliminabile della effettività della tutela giurisdizionale: perché essendo estranei al processo esecutivo accertamenti in ordine all’attualità del comando contenuto nel titolo esecutivo inevitabilmente questi accertamenti finiscono per defluire nell’ambito dei giudizi di opposizione. Sul piano dell’effettività della tutela giurisdizionale questo tipo di ragionamento può reggere a condizione che il debitore possa ottenere la sospensione prima di vedere aggredita la sua sfera possessoria e quindi già in sede di opposizione al precetto. Ecco il collegamento tra le due tematiche. La sospensione diventa una componente ineliminabile dell’effettività della tutela giurisdizionale perché se si posticipa l’accertamento al giudizio oppositivo il debitore deve avere uno strumento che gli di svolgere tale accertamento prima che venga aggredita la sua sfera possessoria. Non è sufficiente ,sotto il profilo della tutela giurisdizionale e dell’effettività, prevedere l’opposizione al precetto, cioè la possibilità che il debitore possa fare opposizione prima che si abbia il pignoramento , ma è necessaria la possibilità di ottenere la sospensione dell’esecuzione,che rappresenta un momento di equilibrio(in attesa di stabilire se ha ragione chi agisce in giudizio sulla base del comando contenuto nel titolo esecutivo o il debitore che propone l’opposizione al precetto, il pignoramento può

iniziare o meno). Secondo parte della dottrina la sospensione avrebbe una dimensione lautamente cautelare, perché si deve intervenire prima di subire un danno,e il danno qui è rappresentato dal pignoramento. La logica pienamente cautelare sarebbe quella di consentire al giudice di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo in modo tale che in sede di opposizione al precetto in cui si procede all’accertamento che non si è fatto a monte, tutto è fermo.

La mera proposizione del giudizio oppositivo non determina di per se la sospensione,ormai sapete che solo il 512 determinava la sospensione automatica. Quindi la logica del legislatore è stata non solo quella di non prevedere un accertamento a monte rispetto all’aggressione della sfera esecutiva,ma non prevedere neanche una sospensione automatica, ecco perché in questo tipo di logica diventa ineliminabile avere una sospensione già in sede di opposizione al precetto,perché il debitore deve avere la possibilità di valutare l’attualità del titolo esecutivo prima di aver subito il pignoramento.

NATURA DELLA SOSPENSIONE:la natura è fondamentalmente cautelare. Se riteniamo che abbia natura cautelare per tutto quanto non previsto dalle norme del codice di procedura civile in ordine alla sospensione, dobbiamo recuperare le norme sul procedimento cautelare uniforme. MA natura lautamente cautelare o propriamente cautelare?Nessuno mette in discussione che abbia natura lautamente cautelare perché è nell’in se dell’istituto,ciò che si mette in discussione è se abbia natura propriamente cautelare per capire se si possono applicare in toto o in parte le norme del procedimento cautelare uniforme, ove non espressamente disciplinato un determinato profilo sulla sospensione dalle norme sul processo esecutivo.

Questo perché si sono una serie di peculiarità rispetto al procedimento cautelare uniforme: esempio, la competenza esclusiva del giudice dell’esecuzione a disporre dell’esecuzione già iniziata, ancorché

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l’ufficio giudiziario cui appartiene possa non essere competente a conoscere dell’opposizione dell’esecuzione. Questa disposizione non è compatibile con la disciplina dei procedimenti cautelari uniformi. :esempio,la sospensione viene risposta con ordinanza previo contradditorio tra le parti o convocazione tra le parti, è possibile disporla con decreto inaudita altera parte, che viene poi confermato successivamente con ordinanza, cosi come previsto dal procedimento cautelare uniforme? Dipende dalla risposta che date a questo quesito di fondo e alla possibilità di fare applicazione di queste norme.

Quali sono le forme di sospensione previste dal codice di procedura civile?

1.Sospensione legata ai giudizi oppositivi:

Sospensione per opposizione all’esecuzione, per opposizione di terzo all’esecuzione,per opposizione agli atti esecutivi, ipotesi disciplinate negli articoli 615-619-617, che trovano per effetto di una serie di rinvii la norma centrale nell’articolo 624 del codice di procedura civile. Tra le altre ipotesi di sospensione sempre legate ai giudizi oppositivi quella di cui al 512, perché per lungo tempo fino alla riforma si aveva una sospensione automatica e non rimessa ad una valutazione del giudice, dopo la riforma anche questa è subordinata ad una valutazione del giudice.

2.Sospensione su istanza delle parti, art 624 bis del codice di procedura civile, ipotesi introdotta dalle più recenti riforme. Con l’art 624 bis il legislatore ha risolto una problema molto dibattuto in dottrina in ordine all’applicabilità o meno dell’istituto della sospensione concordata (di cui al processo a cognizione piena ,ipotesi mai utilizzata a causa dei rinvii troppo lunghi) al processo esecutivo.

3.Sospensione prevista dalla legge, caso classico esecuzione per il rilascio di immobili per finita locazione adibiti ad uso abitativo, c’è una

legislazione speciale che di volta in volta disciplina non solo i profili di assegnazione per la forza pubblica, ma anche il rilascio in se, i periodi di sospensione,inoltre ci sono delle valutazioni latamente politiche che fa il legislatore nel bilanciare la posizione del proprietario e del conduttore e vengono sospesi per periodi più o meno lunghi le procedure di rilascio ; o ancora si può pensare al 542 -549 per l’espropriazione presso i terzi che è sospesa per il tempo occorrente alla definizione del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo.

4.Sospensione che può derivare da un provvedimento del giudice e questo giudice può essere: il giudice dell’esecuzione o il giudice innanzi al quale è impugnato il titolo esecutivo e le ipotesi di sospensione disposte dal giudice dell’esecuzione (art 623 del codice di procedura civile). Il rapporto tra queste ultime due categorie non è pacifico né in dottrina né in giurisprudenza perché si discute su quale sia la regola e quale l’eccezione. Secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza il generale potere di sospensione sarebbe del giudice dell’esecuzione e quindi sarebbero eccezionali le ipotesi espressamente previste dalla legge in cui questo potere è assegnato ad un giudice diverso ivi compreso il giudice innanzi al quale è stato impugnato il titolo. Secondo altra parte della dottrina e della giurisprudenza, non sarebbe affatto cosi perché al giudice dell’esecuzione spetterebbe solo un potere sussidiario e residuale tale da poter essere esercitato solo laddove la legge non abbia assegnato la relativa competenza al giudice innanzi al quale è stato impugnato il titolo esecutivo.

SOSPENSIONE PREVISTA DALLA LEGGE: ricorrono queste ipotesi in tutti i casi in cui il legislatore prescindendo da qualsivoglia apprezzamento discrezionale del giudice impone che il processo esecutivo debba essere sospeso fino alla definizione di un giudizio di cognizione giudiziale avente carattere pregiudiziale rispetto all’esecuzione in corso. La logica qual è? Il processo esecutivo non è idoneo ad ospitare gli accertamenti incidentali, che devono svolgersi per

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effetto di un autonomo giudizio e finché questo è pendente ,il processo esecutivo è sospeso. Questa sospensione è prevista espressamente dalla legge e non è subordinata ad una valutazione discrezionale del giudice.

Esempi : 548-549 cpc,: accertamento dell’obbligo del terzo nell’espropriazione presso i terzi, quando abbiamo studiato l’espropriazione presso terzi abbiamo detto che è una fattispecie a formazione progressiva cioè per perfezionarsi il pignoramento c’è bisogno dell’accertamento in ordine all’effettiva esistenza del credito;come lo si raggiunge? Con la dichiarazione del terzo: se rende una dichiarazione positiva si perfeziona il pignoramento, se rende dichiarazione negativa o parziale è necessario che si svolga un processo a cognizione piena diretto ad accertare se esiste o non esiste questo credito. In queste ipotesi in attesa dello svolgimento del processo a cognizione piena diretto ad accertare se esiste il diritto di credito rimane sospeso il processo di esecuzione non in forza di una valutazione discrezionale del giudice ma in forza di una previsione legislativa.

Esempio:art 601, divisione giudiziale nell’espropriazione di beni indivisi .

È possibile l’espropriazione di beni indivisi? Si, con una serie di possibilità per il giudice. Una di queste possibilità è che si proceda alla divisione giudiziale, e in attesa che si proceda alla divisione giudiziale il processo esecutivo rimane sospeso non in forza di una valutazione discrezionale del giudice ma in forza di una previsione legislativa.

Ci sono delle ipotesi al limite che sarebbe corretto ricondurre nelle ipotesi di sospensione prevista dalla legge perché sono ipotesi accomunate dal fatto che le finalità della sospensione disposte dalla legge sono riconducibili ad una mera dilazione degli atti esecutivi; sarebbero ipotesi di sospensione in senso atecnico rappresentate da tutti quei casi in cui il giudice per poter procedere nell’esecuzione deve

risolvere degli incidenti cognitivi. Gli esempi che si fanno sono: 530 e 569, vendita nell’espropriazione mobiliare e immobiliare. Prima di poter procedere alla vendita il giudice deve decidere le opposizioni agli atti esecutivi per sanare eventuali invalidità e in attesa di tale decisione il processo esecutivo i ferma. Si ritiene dai più che pur non essendo delle ipotesi espresse di sospensione del processo esecutivo, sarebbero da ricondurre in questa prima casella delle sospensioni previste dalla legge perché sarebbero delle sospensioni del processo esecutivo in senso atecnico, perché nella sostanza il processo esecutivo rimane fermo per il tempo necessario previsto dalla legge per svolgere determinate attività.

Esempio: le ipotesi di termini meramente dilatori previsti dal legislatore, cioè impossibilità di porre in essere determinate attività prima che sia decorso un determinato termine. Ipotesi in cui il codice prevede che un determinato atto del processo non possa compiersi se non decorso un determinato periodo di tempo ,esempio il caso del 482 o del termine dilatorio di cui all’articolo 501.Ma anche le ipotesi in cui una dilazione risulti implicita nello svolgimento di determinate attività processuali che inevitabilmente allungano i termini normali dell’esecuzione : 495-521, quindi conversione del pignoramento.

Quanto all’articolo 295, cioè ipotesi di sospensione per pregiudizialità ,si discute in dottrina e in giurisprudenza se sia un ipotesi che possa trovare applicazione con riferimento al processo esecutivo e eventualmente da ricondurre nell’ambito delle ipotesi di sospensione prevista dalla legge. Se vi ricordate l’ipotesi più complessa di sospensione è quella di cui all’articolo 295, ovvero sospensione per pregiudizialità dipendenza, un processo di cognizione rimane sospeso in attesa che venga decisa una questione latamente pregiudiziale con riferimento ad un altro processo. Secondo l’impostazione prevalente in dottrina e in giurisprudenza questo articolo 295 non potrebbe trovare applicazione con riferimento al processo esecutivo, perché ritengono che questa norma è disciplinata nel libro secondo e non nel libro primo

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che reca i principi generali che si applicano anche al processo esecutivo;inoltre ritengono che l’art. 623 sia una norma di chiusura che non può essere superata dall’art 295, che è norma dettata espressamente per il processo di cognizione e non per il processo esecutivo;anche sostengono che nell’esecuzione non si accertano ma si attuano diritti prescindendo da qualsiasi cognizione sul merito delle relative pretese, quindi non ricorrerebbe la fattispecie di cui all’articolo 295, che richiede un accertamento su una questione pregiudiziale.

Non rientra tra le ipotesi di sospensione previste dalla legge l’art 512, perché in forza delle più recenti riforme non è prevista la sospensione automatica, quindi non è più un ipotesi di sospensione ex lege.

SOSPENSIONE DEL TITOLO DA PARTE DEL GIUDICE DINANZI AL QUALE È IMPUGNATO IL TITOLO ESECUTIVO : E' un'ipotesi particolarmente problematica perché in questa casella rientra anche la fattispecie molto delicata della sospensione dell'esecutività del titolo da parte del giudice dell'opposizione a precetto.Questa ipotesi ricorre sicuramente nei casi in cui la sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza sia disposta dal giudice della cognizione, quindi si tratta del giudice dinanzi a cui è impugnato il titolo esecutivo; è però molto discusso come si debba interpretare l'art.623 e dunque se l'espressione “giudice dinanzi al quale è impugnato il titolo esecutivo” possa essere intesa come comprensiva di tutte le ipotesi in cui il giudice che viene in rilievo, non è il giudice dinanzi al quale è impugnata la sentenza avente efficacia esecutiva, ma è il giudice dinanzi al quale si discute comunque della validità o dell'efficacia del titolo e dunque il giudice dell'opposizione a precetto. L'ipotesi molto delicata è infatti quella di ottenere la sospensione dell'esecutività del titolo prima che si abbia il pignoramento,e quindi,in sede di opposizione al precetto;quest'ipotesi è delicatissima prima di tutto perchè qui viene in discussione la stessa essenza della sospensione quale misura cautelare e poi perchè per questo tipo di problematica

passa la tenuta del sistema sotto il profilo della effettività della tutela giurisdizionale in quanto diventa fondamentale non solo che esista un accertamento eventuale ex post,ma anche che questo accertamento si possa realizzare prima che il debitore si trovi aggredito nella sua sfera possessoria. Questo era il motivo per il quale buona parte della dottrina,cercava di forzare la lettera dell'art.623,e di interpretarlo in senso estensivo,facendo leva anche sugli artt.64 e 56 delle leggi sulla cambiale e sull'assegno,che prevedevano espressamente la possibilità della sospensione già in sede di opposizione al precetto. Si replicava ad opera di altra dottrina che sarebbe stata una contraddizione quella di ipotizzare una sospensione dell'esecuzione prima che fosse iniziata l'esecuzione stessa;si replicava ancora,che nel caso di specie, ciò che doveva venire in rilievo non era la sospensione dell'esecuzione,ma la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo ad opera del giudice di opposizione al precetto. Il dibattito dottrinale si è trascinato per lungo tempo fino a che due sentenze della Corte di Cassazione, per un verso non hanno accolto questa impostazione dottrinale che cercava di interpretare estensivamente l'art 623 ma che per altro verso hanno ritenuto meritevole di tutela questo bisogno e come normalmente avviene quando c'è un bisogno di tutela e non c'è un rimedio tipico,si ricorre all'art.700, ossia ai provvedimenti d'urgenza. Non erano mancati nel corso del tempo dei progetti di riforma tendenti ad attribuire il potere di sospensione al giudice dell'opposizione al precetto e culminati nella L.80/2005 dove si attribuisce espressamente il potere di sospensione al giudice dell'opposizione al precetto. Nello stesso art.615 si interviene aggiungendo un inciso con il quale si attribuisce espressamente questo tipo di potere,infatti recita “il giudice, concorrendo gravi motivi sospende,su istanza di parte, l'efficacia esecutiva del titolo.” L'introduzione di questo inciso nell'art 615 ha dato sicuramente una risposta a questo bisogno di tutela,ma allo stesso tempo ha aperto una serie di problematiche prima fra tutte, quella della delimitazione dei poteri di questo giudice di opposizione al precetto. Posto che il

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legislatore ha attribuito a questo giudice il potere di sospensione ci si chiede se il giudice lo può esercitare anche dopo che si sia avuto il pignoramento,quindi nel corso dell'esecuzione,o se sia circoscritto ad una fase antecedente al pignoramento. Sul punto non c'è uniformità di vedute: parte della dottrina ha ritenuto che il giudice dell'opposizione al precetto conserva il potere di disporre la sospensione anche dopo il pignoramento; altra parte della giurisprudenza e della dottrina (prevalente) tende invece ad escludere la competenza del giudice dell'opposizione al precetto una volta che si sia avuto il pignoramento,in quanto in questo caso la competenza spetta al giudice dell'esecuzione. A fondamento di quest'ultima tesi si sostiene,anzitutto,che non può essere invocato l'art.5 c.p.c. sulla perpetuatio iurisditionis,ma soprattutto si sostiene che il problema riguarda non solo la competenza ma anche la caducazione degli atti esecutivi nel frattempo posti in essere, in primis quello del pignoramento e si dice che questo tipo di potere è un potere esclusivo del giudice dell'esecuzione e non del giudice dell'opposizione al precetto. Il problema delicato che, a fronte della modifica del 2005(la quale non risolve i problemi di delimitazione dei poteri del giudice dell'opposizione al precetto rispetto al giudice dell'esecuzione in tema di sospensione ), è che ne sono venute fuori una serie di pronunce giurisprudenziali differenti: c'è stato chi ha dichiarato il non luogo a provvedere a fronte dell'eseguito pignoramento; c'è chi ha dichiarato la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo con riferimento ad eventuali esecuzioni,ma senza effetti sull'esecuzione in corso e c'è chi ha dichiarato che si dovrebbe caducare il pignoramento eseguito nel frattempo.Altro problema su cui si discute è quello di capire cosa succede se il giudice dell'opposizione al precetto dispone la sospensione dopo che si sia avuto il pignoramento, che ne è del pignoramento. Si potrebbe infatti verificare l'ipotesi in cui la sospensione si chiede al giudice dell'opposizione al precetto prima che si sia avuto il pignoramento ma

quest'ultimo provvede tardivamente, ossia dopo che il pignoramento si sia realizzato.La riforma del 2005 inoltre non ha risolto espressamente il problema della possibilità di provvedere con decreto alla sospensione e qui la risposta da dare è se si fa o meno riferimento alla norme sul procedimento cautelare uniforme perché se si applicano tali norme sarebbe possibile la pronuncia della sospensione con decreto, salva poi la fissazione dell'udienza che provvede con ordinanza per poi confermare o modificare quel determinato decreto.Ultimo profilo da segnalare è che si discute se questo potere competa anche al giudice degli atti esecutivi quando l'opposizione viene proposta prima del pignoramento.

SOSPENSIONE DISPOSTA DAL GIUDICE DELL'ESECUZIONENorma di riferimento è l'art.624 c.p.c: “Se è proposta opposizione all’esecuzione a norma degli articoli 615 e 619, il giudice dell’esecuzione, concorrendo gravi motivi sospende, su istanza di parte, il processo con cauzione o senza.Contro l’ordinanza che provvede sull’istanza di sospensione è ammesso reclamo ai sensi dell’articolo 669-terdecies. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche al provvedimento di cui all’articolo 512, secondo comma.Nei casi di sospensione del processo disposta ai sensi del primo comma, se l’ordinanza non viene reclamata o viene confermata in sede di reclamo, e il giudizio di merito non è stato introdotto nel termine perentorio assegnato ai sensi dell’articolo 616, il giudice dell’esecuzione dichiara, anche d’ufficio, con ordinanza, l’estinzione del processo e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento, provvedendo anche sulle spese. L’ordinanza è reclamabile ai sensi dell’articolo 630, terzo comma.

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La disposizione di cui al terzo comma si applica, in quanto compatibile, anche al caso di sospensione del processo disposta ai sensi dell’articolo 618”Il primo comma fa sorgere un problema su quali siano i presupposti a cui è subordinata la concessione della sospensione da parte del giudice dell'esecuzione e tutto ruota sul modo in cui si intende l'inciso “gravi motivi”. Sul punto ci sono una miriade di impostazioni e quello che si può dire è che se si recupera in toto la natura cautelare di questa sospensione si potranno recuperare anche i presupposti per la concessione delle misure cautelari e quindi i presupposti sono “il fumus boni iuri” e “il periculum in mora”; quindi la presumibile fondatezza, sotto il profilo del fumus, dell'opposizione che viene proposta, infatti il giudice deve andare a guardare i motivi per cui è proposta l'opposizione e deve vedere se sono fondati o meno e poi il periculum in mora ossia il pericolo che subirebbe il creditore per effetto della mancata esecuzione immediata o che potrebbe subire il debitore per effetto dell'esecuzione immediata. E' in questa sede importante verificare come viene interpretato il periculum:c'è chi tende ad incentrarlo su una logica di una valutazione comparativa, ossia si deve guardare all'interesse del creditore ad essere immediatamente soddisfatto in comparazione all'interesse del debitore a non subire ingiustamente l'esecuzione; c'è chi invece ritiene che si debba guardare all'incontrovertibilità degli effetti della vendita o dell'assegnazione, cioè ogni qualvolta si potrebbero avere degli effetti irreversibili si dovrebbe concedere la sospensione; c'è chi invece ha ritenuto che la valutazione andrebbe fatta a seconda che si tratti se è fatta prima o dopo il pignoramento.Un ulteriore problema sorge perchè l'art.624, se da un lato richiama espressamente l'art.615 e 619, dall'altro però non ci dice nulla sull'opposizione agli atti esecutivi (617), quindi ci si chiede se i gravi motivi sono il presupposto anche per la concessione della sospensione anche in sede di opposizione agli atti esecutivi o se in questo caso il giudice debba fare una valutazione di diverso tipo. Secondo parte della

dottrina in sede di opposizione agli atti esecutivi la concessione della sospensione sembrerebbe svincolata dalla sussistenza dei gravi motivi.Sotto il profilo dell'iter procedimentale su questa richiesta di sospensione al giudice dell'esecuzione,il giudice deve provvedere con ordinanza che è soggetta in ragione della sua natura essenzialmente cautelare al reclamo al collegio di cui all'art.669 ter-decies.Come si è detto l'art 624 fa espresso riferimento all'opposizione ex 615 e 619,ma secondo i più questo richiamo dovrebbe ritenersi esteso anche per l'opposizione a precetto. L'art 624 prevede espressamente questa reclamabilità del provvedimento di sospensione pronunciato ai sensi dell'art.512,mentre non fa nessun riferimento al procedimento di sospensione di cui all'art 617.L'art.624 sotto il profilo della sospensione impone ad un'attenta riflessione in ordine al modo in cui è stato modificato dalle più recenti riforme; in una prima stesura delle riforme 2005/2006 si era prevista la figura anomala dell'estinzione del pignoramento (non l'estinzione del processo esecutivo). La logica di fondo in cui si era mosso il legislatore era quella per cui se si otteneva la sospensione e per effetto di tale sospensione le parti erano soddisfatte non si riteneva necessario che si doveva avere il successivo giudizio di opposizione,se invece hanno interesse ad avere il giudizio di opposizione devono dare un atto d'impulso. In dottrina infatti erano state avanzate due impostazioni che cercavano di chiarire il senso della norma:

secondo una parte della dottrina il debitore che era soddisfatto del provvedimento di sospensione poteva chiedere che la causa di opposizione non fosse decisa nel merito e che il processo esecutivo fosse dichiarato estinto con conseguente caducazione del pignoramento;in tal caso l'opposizione poteva essere coltivata, non certo promossa ,dal creditore il quale poteva avere interesse a che proseguisse quel determinato giudizio. Secondo la regola generale di cui all'art.306 il processo esecutivo a questo punto non poteva estinguersi. Anche se con questa tesi non si

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riusciva a spiegare l'imposizione della cauzione e degli atti compiuti che erano stati previsti dal legislatore.

secondo un'altra parte della dottrina si riteneva che il legislatore avesse riconosciuto la possibilità per il debitore di chiedere sempre dopo il provvedimento di sospensione l'estinzione del pignoramento previa rinuncia alla decisione nel merito dell'opposizione. Qualora il creditore avesse aderito a questa rinuncia anche il processo esecutivo si sarebbe estinto,altrimenti la logica era quella dell'estinzione del pignoramento;ove il creditore avesse insistito nel chiedere una decisione nel merito dell'opposizione,il giudice avrebbe dovuto imporre una cauzione e far salvi gli atti compiuti.

altra dottrina diceva che comunque non si riusciva a superare quella che era una logica di fondo errata che consisteva nel voler raggiungere un obiettivo deflattivo per il processo esecutivo senza andare a toccare il titolo esecutivo. La sospensione infatti si muove in una logica meramente “conservativa” e non potrà mai anticipare gli effetti di un futuro giudizio di opposizione,quindi si dice che questa logica deflattiva non poteva comunque raggiungere il suo obiettivo innanzitutto perchè la vera deflazione si raggiunge incidendo sul titolo esecutivo e in secondo luogo perchè è difficile adattare una logica che può essere vincente e che nasce nel processo amministrativo e viene utilizzata anche nel processo civile per i provvedimenti anticipatori con riferimento però ad una misura conservativa come quella della sospensione. Questi sono i motivi per cui il legislatore delle più recenti riforme ha modificato l'inciso e a sostituirlo,è perciò scomparsa questa figura anomala ,di difficile collocazione sistematica,della estinzione del pignoramento,infatti ora come ora la norma fa riferimento all'estinzione del processo esecutivo e non all'estinzione del pignoramento.

Ultima problematica in ordine alla sospensione riguarda l'interrogativo se l'istanza di sospensione presuppone comunque la proposizione dell'opposizione a precetto o è possibile presentarla ante causam. La risposta da dare dipende da quanto si riescano a recuperare le norme sul procedimento cautelare uniforme in quanto la logica cautelare può essere in corso di causa o ante causa,quindi se è una misura cautelare in senso proprio sarebbe anche possibile chiedere la sospensione senza aver instaurato il giudizio di opposizione al precetto altrimenti se si da prevalenza alle norme che sembrano emergere dal processo esecutivo si dovrebbe chiedere la sospensione solo se già si è fatta opposizione al precetto e non ante causam.

L’ultimo aspetto inerente alla sospensione sono le norme comuni all’iter procedimentale, art. 625 e ss.. Norme che se ricostruite come norme comuni a tutte le ipotesi di sospensione, consentono di risolvere alcune problematiche, tra le quali anche quella del decreto e dell’ordinanza di cui vi dicevo. Perché se guardiamo al procedimento, all’art. 625, lo ricostruiamo come norma procedimentale unitaria delle varie ipotesi di sospensione, abbiamo che:

Art. 625 Procedimento: “Sull’istanza per la sospensione del processo di cui all’art. precedente, il giudice dell’esecuzione provvede con ordinanza sentite le parti. Nei casi urgenti, il giudice può disporre la sospensione con decreto, nel quale fissa la comparizione delle parti. All’udienza provvede con ordinanza.”

Per il caso dell’urgenza il 625 prevede la possibilità del decreto, e quindi, se questa norma la costruite come norma generale sul procedimento per tutte le ipotesi della sospensione, riuscite a recuperare nella logica dell’urgenza anche questa dimensione, che è molto simile a quella dei procedimenti cautelari uniformi dell’inaudita altera parte con decreto e della successiva pronuncia con ordinanza. L’art. 625 non dice nient’altro sotto il profilo del procedimento .

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Art. 626 Effetti della sospensione: “Quando il processo è sospeso, nessun atto esecutivo può essere compiuto, salva diversa disposizione del giudice dell’esecuzione.”

Qui la logica è che per effetto della sospensione non può essere più posto in essere nessun atto del processo esecutivo, salvo che il giudice autorizzi il compimento di determinati atti. Quali atti? Atti urgenti e indifferibili. Ex: atti relativi alla conservazione e all’amministrazione dei beni pignorati. Cioè se sono beni deperibili, mi fermo con il processo esecutivo, ma posso autorizzare tutti quegli atti che sono indispensabili per la conservazione in buono stato di quel bene, per evitare il suo deperimento.

Come si riattiva il processo dopo la sospensione? La norma di riferimento è l’art. 627 cpc.

Art. 627 Riassunzione: “Il processo esecutivo deve essere riassunto con ricorso nel termine perentorio fissato dal g.e. e, in ogni caso, non più tardi di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza di appello che rigetta l’opposizione.”

La logica è che il giudice concede un termine perentorio per la riassunzione, anche se non è indicato un termine , la legge concede un termine suppletivo che è quello di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza di appello che rigetta l’opposizione. Quindi, entro il termine indicato dal giudice o quello previsto dalla legge, il processo deve essere riassunto, a pena di estinzione.

Art. 628 Sospensione del termine di efficacia del pignoramento. “L’opposizione ai singoli atti esecutivi sospende il decorso del termine previsto nell’art. 497.”

Norma incontrata quando ci siamo occupati dell’opposizione agli atti esecutivi, perché invocata da una parte della dottrina come norma confermativa della logica interna al rimedio di opposizione agli atti esecutivi, logica diversa in cui si muoverebbe l’opposizione agli atti esecutivi rispetto all’opposizione all’esecuzione e all’opposizione di terzo all’esecuzione. Logica che mira a controllare la regolarità dei singoli atti esecutivi, quindi dovrebbero prima essere risolte le opposizioni agli atti esecutivi,ma lo svolgimento dell’opposizione agli atti non deve pregiudicare la validità del pignoramento. Un’altra ipotesi di sospensione è stata introdotta ex novo dal legislatore delle recenti riforme: la sospensione concordata disciplinata dal 624-bis. Tale norma per essere compresa deve essere esaminata insieme ad altre modificazioni operate dal legislatore, in particolare le modificazione del 631 cpc e del 161-bis delle disposizioni di attuazione del cpc. È una riforma che risolve anche un problema dibattuto in passato dalla dottrina: se fosse utilizzabile l’istituto indicato dal 296 della sospensione concordata al processo di esecuzione.

Art. 296 Sospensione su istanza delle parti: “ il giudice istruttore, su istanza di tutte le parti, ove sussistano giustificati motivi, può disporre, per una sola volta, che il processo rimanga sospeso per un periodo non superiore a tre mesi, fissando l’udienza per la prosecuzione del processo medesimo.”

Il legislatore della riforma ha modificato i presupposti in senso restrittivo e ha abbassato il termine da quattro mesi a tre mesi. Riforma rivoluzionaria nel momento in cui l’art.296 non ha mai trovato applicazione nel nostro ordinamento, perché la logica era che nell’ambito di un processo civile di cui al codice del 40, che vuole che le udienze siano fissate in rapida sequenza, avrebbe un senso che le parti vadano dal giudice per chiedere una sospensione di quattro mesi, perché se le udienze si seguono a ritmo ferrato nell’arco di 15 gg., quattro mesi di sospensione son tanti. Siccome nel nostro processo civile è già tanto

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se le udienze si svolgono a distanza di quattro mesi, è difficile trovare uno spazio applicativo all’istituto del 296. Tale norma si applica al processo di esecuzione forzata? Il processo esecutivo aveva a monte un grosso problema. Ho detto a suo tempo che anche quando abbiamo studiato l’inefficacia della trascrizione del pignoramento, che quella norma è stata introdotta per andare incontro a situazioni che sembravano paradossali: cioè che un processo esecutivo potesse durare più di 20 anni. Com’è possibile? Attenzione perché il fenomeno non è così semplice da spiegare come sembrerebbe, perché 20 anni difficilmente li posso imputare all’amministrazione della giustizia, lì il problema sostanziale è un altro. Chi ha in mano il pallino in ordine ai tempi del processo esecutivo? Le parti o il giudice? per ogni processo, la direzione dello stesso muta a seconda se ci troviamo in una logica privatistica o pubblicistica. Nel primo caso il processo sta nelle mani delle parti, che possono chiedere dei meri rinvii. In una logica pubblicistica, la direzione del processo non è nelle mani delle parti e quindi dovrebbero essere vietate le udienze di mero rinvio. Il processo esecutivo mira ad attuare la domanda contenuta nel titolo, quindi, c’è un creditore procedente che dovrebbe spingere a che il processo esecutivo si realizzi nel più breve tempo possibile. Dall’altra parte c’è il debitore che vorrebbe rallentarlo il più possibile. Cosa succedeva nei fatti? molto spesso il tempo del processo era messo nelle mani delle parti. I 20 anni erano legati non tanto al fatto che il giudice in 20 anni non riusciva a chiudere una procedura esecutiva. Il problema era che se le parti non davano impulso a questo processo e, non volevano farlo andare avanti, il processo poteva ben durare pure 40 anni. Perché se il debitore non si vedeva aggredito nella sua sfera possessoria, non si vedeva pignorare i beni non ci pensava minimamente a pagare. Se gli pignoravi un bene immobile allora forse lo stesso pagava. Spesso si immaginavano dei piani di rientro paralleli al processo esecutivo. Cioè il debitore per evitare di vedersi venduto il bene all’asta, iniziava a pagare delle somme fuori dalla procedura esecutiva. E quindi la procedura esecutiva finiva

per diventare uno strumento per premere sulla volontà del soggetto obbligato per spingerlo a pagare fuori dal processo esecutivo. Questo significava che un istituto molto particolare che va preso in esame insieme al 624 era quello di cui all’art 631. La vecchia formulazione:

Art.631 La mancata comparizione all’udienza: “ se nel corso del processo esecutivo nessuna delle parti si presenta all’udienza, il giudice dell’esecuzione fissa un’udienza successiva di cui il cancelliere dà comunicazione alle parti. Se nessuna delle parti si presenta alla nuova udienza, il giudice dichiara l’estinzione del processo esecutivo.”

Problema: questa norma si applica anche all’udienza di vendita? Le più recenti riforme hanno introdotto l’inciso “fatta eccezione per quella in cui ha luogo la vendita” . Quindi, si è esclusa espressamente l’udienza di vendita, perché molto spesso il creditore procedente chiedeva la vendita, poi non compariva all’udienza di vendita, si applicava il 631 e quindi questa vendita non si svolgeva mai. Tra l’altro qui c’erano dei grossi problemi perché entravano in gioco anche gli offerenti, che per il tramite della pubblicità dicevano : ah si svolgerà un’udienza di vendita, posso offrire. Andavano lì per offrire e non si svolgeva nessuna udienza di vendita. Ecco spiegato il motivo per il quale questo 624-bis deve essere collegato al 161-bis delle disposizioni di attuazione, che subordina il rinvio della vendita al consenso dei creditori e degli offerenti che hanno già prestato la cauzione.

161-bis Rinvio della vendita dopo la prestazione della cauzione: “ il rinvio della vendita può essere disposto solo con il consenso dei creditori e degli offerenti che abbiano prestato cauzione ai sensi dell’artt. 571 e 580.”

Una volta che io offerente ho prestato la cauzione e perciò ho anche anticipato delle somme, un rinvio della vendita deve passare anche per il mio consenso, c’è la posizione anche degli offerenti. La logica è 631,

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161-bis e 624-bis si muovono sostanzialmente tutti in questa logica di fondo: il 631 e il 161-bis con riferimento alla vendita che è il momento più delicato,(il rinvio della vendita e il mancato presentarsi all’udienza di vendita) il 624-bis (sospensione su istanza delle parti). La logica è di ricondurre questo tipo di fenomeno che era esterno al processo(il pagamento di queste somme) e i tempi del processo, sotto il controllo del giudice . Ecco come adesso si fa in modo che il giudice recuperi il controllo dell’andamento del processo. Ho bisogno di determinati atti di impulso nella fase iniziale del creditore procedente e dei creditori titolati, ma quando arrivo alla fase della vendita riesco per il tramite della modifica del 631 e del 161-bis e 624-bis a recuperare in qualche modo la funzionalità di questa procedura esecutiva.

Art.624-bis Sospensione su istanza delle parti: “ il giudice dell’esecuzione, su istanza di tutti i creditori muniti di titolo esecutivo, può sentito il debitore, sospendere il processo fino a 24 mesi….

Primo dato fondamentale: c’è un limite massimo che è quello di 24 mesi, come? Su istanza di tutti i creditori muniti di titolo, sentito il debitore. Questa istanza entro quale termine può essere proposta? Il legislatore ha individuato un termine con riferimento alle varie ipotesi di procedura esecutiva. Ecco il motivo per il quale vi dice:… l’istanza può essere proposta fino a 20 gg dalla prima scadenza del termine per il deposito delle offerte di acquisto o, nel caso in cui la vendita senza incanto non abbia luogo, fio a quindici giorni prima dell’incanto. Sull’istanza, il giudice provvede nei dieci giorni successivi al deposito e, se l’accoglie, dispone, nei casi di cui al secondo comma dell’articolo 490, che, nei cinque giorni successivi al deposito del provvedimento di sospensione, lo stesso sia comunicato al custode e pubblicato sul sito internet sul quale è pubblicata la relazione di stima. La sospensione è disposta per una sola volta. L’ordinanza è revocabile in qualsiasi momento, anche su richiesta di un solo creditore e sentito comunque il debitore. Entro dieci giorni della scadenza del termine la parte

interessata deve presentare istanza per la fissazione dell’udienza in cui il processo deve proseguire. Nelle espropriazioni mobiliari l’istanza per la sospensione può essere presentata non oltre la fissazione della data di asporto dei beni ovvero fino a dieci giorni prima della data della vendita se questa deve essere espletata nei lunghi in cui essi sono custoditi e, comunque, prima della effettuazione della pubblicità commerciale ove disposta. Nelle espropriazioni presso terzi l’istanza di sospensione non può più essere proposta dopo la dichiarazione del terzo.”

La norma specifica il termine ultimo in cui può essere presentata questa istanza, sia nell’espropriazione mobiliare, immobiliare e presso terzi. Questa istanza viene circoscritta alla fase introduttiva del processo esecutivo, facendo attenzione che si arrivi a questa istanza prima della pubblicità. Di questa sospensione se ne deve dare pubblicità all’esterno, ai soggetti terzi che sono interessati ad offrire a questa determinata vendita. Termine massimo 24 mesi, è il giudice che deve valutare il termine congruo di sospensione della procedura esecutiva. L’ordinanza può essere revocata in qualsiasi momento anche su richiesta di un solo creditore e sentito, comunque, il debitore. Quindi per proporre l’istanza ci vuole l’istanza di tutti i creditori muniti di titolo esecutivo, ma per proporre revocazione basta l’istanza di un solo creditore. Entro 10 gg dalla scadenza del termine la parte interessata deve presentare istanza per la fissazione dell’udienza in cui il processo deve proseguire. Quindi per la riattivazione del processo bisogna presentare apposita istanza. Non è chiaro da quando decorra questo determinato termine per come è formulata la norma. E’ sorto il dubbio in giurisprudenza se il termine di 10 gg per il deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza, sia un termine da calcolare a ritroso, cioè almeno 10 gg prima della scadenza, oppure, si deve calcolare in avanti, cioè entro 10 gg successivi alla scadenza. La logica in cui ci si muove è quella di circoscrivere l’istanza finalizzata a mettere fuori gioco i ritardi del processo esecutivo che

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siano fuori dal controllo del giudice, perché le parti possono ritardare il processo esecutivo senza che questo giudice possa fare nulla e quindi,ricondurre questi fenomeni delle possibili trattative delle parti nell’alveo del processo esecutivo. Come? Con l’istituto della sospensione concordata . Adesso capite per quale motivo si discuteva del 296, perché qui poteva avere un senso immaginare in questa logica delle trattative pendenti tra creditore e debitore, magari mentre si avvicinava la vendita, di poter ottenere una sospensione concordata di quattro mesi. Alcuni dicevano che era applicabile, altri che non era applicabile, ma in fondo il problema veniva risolto di fatto perché c’erano una serie di istituti e di strumentalizzazioni possibili da parte del creditore procedente che di fatto ottenevano lo stesso effetto. Su tutti l’udienza di vendita ex art 631. Perché il creditore spingeva fino a far fissare l’udienza di vendita, quando il debitore vedeva che si avvicinava la vendita del suo immobile otteneva il pagamento di un’ulteriore rata di altre somme, non si presentava all’udienza di vendita e il giudice era costretto a rinviare ad un’altra udienza di vendita. Quindi: istanza da parte di tutti i creditori muniti di titolo, massimo 24 mesi, la sospensione viene meno per effetto anche dell’istanza di un solo creditore, l’istanza circoscritta nella fase introduttiva dei vari processi esecutivi e parallelamente scardinamento dell’art.631 per cui io giudice dell’esecuzione posso tranquillamente vendere anche se non compare il creditore munito di titolo all’udienza di vendita e infine ultimo passaggio 161-bis delle disposizioni di attuazione il rinvio della vendita è subordinato al consenso anche degli offerenti che hanno già depositato la cauzione. Così ci si muove non solo ex ante all’udienza di vendita, ma anche per eventuali rinvii ex post quando già ci sono dei soggetti che hanno offerto la cauzione, dovendo passare per il loro consenso.

ESTINZIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO

Estinzione del processo esecutivo è il capo immediatamente successivo a quello della sospensione. Quindi, il riferimento normativo è dato dagli

artt.629 ss del cpc. Anche in questo caso bisogna recuperare delle categorie giuridiche che avete a suo tempo studiato nel processo a cognizione piena. Cioè il processo a cognizione piena si estingue per rinuncia agli atti o per inattività delle parti. Quindi le due categorie generali alle quali bisogna far riferimento sono quelle della rinuncia agli atti e dell’inattività delle parti, disciplinate rispettivamente dagli artt. 629 e 630 cpc. Dove l’ art.629 disciplina la rinuncia agli atti e l’art 630 l’inattività delle parti.

Art.629 Rinuncia: “il processo si estingue se, prima dell’aggiudicazione o dell’assegnazione, il creditore pignorante e quelli intervenuti muniti di titolo esecutivo rinunciano agli atti. Dopo la vendita il processo si estingue se rinunciano agli atti tutti i creditori ricorrenti. In quanto possibile, si applicano le disposizioni dell’art.306.”

In forza del 306 vediamo come va presentata questa rinuncia agli atti e quali sono i suoi requisiti. 306 co2: le dichiarazioni di rinuncia e di accettazione sono fatte dalle parti o da loro procuratori speciali, verbalmente all’udienza o con atti sottoscritti e notificati alle altre parti. 306 co4: il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro. La liquidazione delle spese è fatta dal giudice istruttore con ordinanza non impugnabile.

L’art.306 va coordinato con l’art 95 cpc, nel senso che in questo caso la regola sarà che le somme dovranno essere rimborsate dal rinunciante. Quindi non potrà operare la regola generale di cui all’art.95 . nel processo esecutivo la regola è che le spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti che partecipano utilmente alla distribuzione sono a carico di colui che ha subito l’esecuzione. Quindi c’è un problema di coordinamento tra la regola generale dell’art.95 e quanto disposto in via generale dal 306. Quindi, prevale il criterio del 306 sulla regola generale di cui all’art.95. Questo a livello di modalità di

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presentazione della rinuncia e di possibili pronunce sulle spese. Il nucleo dell’art.629 è tutto incentrato sulla distinzione tra prima o dopo la vendita o l’assegnazione. Qui occorre recuperare delle nozioni che già possedete nel senso che a suo tempo vi è stato detto che il distinguo tra creditori titolati e non titolati lo si coglie proprio nella fase espropriativa a differenza che della fase satisfattiva, perché i creditori titolati hanno la possibilità di dare impulso alla procedura esecutiva a differenza dei creditori non titolati. Mentre nella fase satisfattiva, tutti hanno diritto alla somma ricavata nel rispetto dei privilegi. Se nella fase espropriativa il potere di dare impulso l’hanno solo i creditori titolati, il potere di rinunciare ce l’hanno solo i creditori titolati. Occorre distinguere a questo punto a seconda che si guardi al momento antecedente o successivo alla vendita o all’assegnazione. Prima della vendita è necessario il consenso per la rinuncia agli atti dei soli creditori muniti di titolo esecutivo, dopo la vendita è necessario il consenso di tutti i creditori anche dei creditori intervenuti privi di titolo esecutivo. Quindi, non è altro che l’applicazione del principio generale secondo il quale prima della vendita nella fase espropriativa il potere di impulso ce l’hanno solo i creditori titolati, i quali possono consentire di estinguerla rinunciando agli atti. Nella fase satisfattiva l’estinzione del processo esecutivo si fa con la rinuncia agli atti dei creditori sia titolati che non titolati. Problema legato alla rinuncia è quello del regime della possibilità di una rinuncia successiva all’ aggiudicazione provvisoria, perché l’art.629 utilizza il termine aggiudicazione e non il termine vendita. Quindi, per lungo tempo questo profilo è stata controverso e secondo una parte della giurisprudenza e della dottrina si aveva l’impossibilità della rinuncia dopo l’aggiudicazione provvisoria, proprio perché il 629 parla di aggiudicazione e non di vendita. Altra impostazione dottrinale e giurisprudenziale prevalsa in un secondo momento aveva, invece, ritenuto che la rinuncia era sempre ammissibile prima del perfezionamento della vendita forzata mediante l’aggiudicazione definitiva. Quindi aggiudicazione provvisoria prima

tesi. Aggiudicazione definitiva seconda tesi. Questa seconda tesi sembrava aver avuto l’avallo delle prime riforme operate dal legislatore del 2005/2006 perché aveva introdotto il potere del giudice di sospendere la vendita forzata qualora il prezzo ricavato fosse notevolmente inferiore a quello giusto. Allora, una parte della dottrina aveva detto se il giudice può sospendere la vendita forzata , qualora il prezzo ricavato sia notevolmente inferiore a quello giusto, il momento ultimo non me lo da l’aggiudicazione provvisoria, ma me lo darebbe solo il decreto di trasferimento. Quindi si era addirittura allungato il termine ultimo rispetto alla rinuncia. Questo tipo di dibattito oggi deve fare i conti con la riforma che ha introdotto l’art.187-bis delle disposizioni di attuazione. Norma che abbiamo già incontrato quando ci siamo occupati della conversione del pignoramento: intangibilità nei confronti dei terzi e degli effetti degli atti esecutivi compiuti. In ogni caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo avvenuta dopo l’aggiudicazione, anche provvisoria, o l’assegnazione, restano fermi nei confronti dei terzi aggiudicatario/assegnatario in forza dell’art.632 co2 cpc, gli effetti di tali atti. Dopo il compimento degli stessi atti, l’istanza di cui al 495 non è più procedibile. La logica del 187-bis di tutela dell’aggiudicatario provvisorio sarebbe destinata a prevalere sul 586. Mentre il 586 sembrerebbe spingere nel senso di allungare il termine fino al decreto di trasferimento, il 187-bis sembrerebbe , invece, non consentire andare oltre l’aggiudicazione provvisoria. La questione non è pacifica, ma se si valorizza la previsione del 187-bis deve essere abbandonata quella argomentazione interpretativa che tendeva a far leva sul 586. Nell’esecuzione per consegna e rilascio, le recenti riforme hanno introdotto sul punto l’art 608-bis. Abbiamo una norma ad hoc che dice

608-bis Estinzione dell’esecuzione per rinuncia della parte istante: “ l’esecuzione di cui all’art. 605 si estingue se la parte istante, prima

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della consegna o del rilascio, rinuncia con atto da notificarsi alla parte esecutata e da consegnarsi all’ufficiale giudiziario procedente.”

Quindi ha disciplinato espressamente i tempi e le modalità. L’altra ipotesi di estinzione del processo esecutivo è quella per inattività delle parti. Qui la norma di riferimento è l’art.630

Art.630 Inattività delle parti: “oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, il processo esecutivo si estingue quando le parti non lo proseguono o non lo riassumono nel termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice. l’estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d’ufficio, con ordinanza del giudice dell’esecuzione, non oltre la prima udienza successiva al verificarsi della stessa. L’ordinanza è comunicata a cura del cancelliere, se è pronunciata fuori dall’udienza. Contro l’ordinanza che dichiara l’estinzione ovvero rigetta l’eccezione relativa è ammesso reclamo da parte del debitore o del creditore pignorante ovvero degli altri creditori intervenuti nel termine perentorio di 20 gg dall’udienza o dalla comunicazione dell’ordinanza e con l’osservanza delle forme di cui all’art.178 co3,4,5. Il collegio provvede in camera di consiglio con sentenza.”

Primo dato fondamentale: quando si ha estinzione per inattività delle parti? Quando le parti omettono di proseguire o di riassumere il processo esecutivo nel termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice, quando le parti omettono di comparire a due udienze consecutive. È stato modificato l’art 631. Prima si discuteva quella di vendita è una vera e propria udienza? La giurisprudenza diceva di si. E quindi la mancata comparizione a due udienze consecutive compresa quella di vendita determinava l’estinzione, ma non era quello il problema. Il problema era che se era un’udienza in senso proprio, si doveva applicare il disposto del 630. Se era un’udienza la mancata comparizione della parte imponeva il rinvio ad una successiva udienza per l’eventuale estinzione. Quindi il creditore procedente non compariva

alla prima udienza, faceva rinviare la vendita e poi compariva sempre alla seconda udienza evitando l’estinzione. Adesso è esclusa espressamente l’ipotesi di cui a 631, due udienze successive ma quella di vendita non viene considerata come udienza. Terzo ed ultimo caso: nelle altre ipotesi previste dalla legge. Ipotesi che abbiamo incontrato nel corso del tempo 567: tutta la documentazione da allegare all’istanza di vendita, o anche il 619 quando ci siamo occupati dell’opposizione del terzo. Sul punto non abbiamo una disposizione analoga al 629 che distingua tra prima della vendita e dopo la vendita. Si ritiene, per, che debba valere il medesimo principio: se è vera la ratio di fondo di quel principio, dovrebbe valere tanto per la rinuncia agli atti che per l’inattività delle parti. Quindi anche in questo caso, prima della vendita o dell’assegnazione rileverebbero solo i comportamenti dei creditori muniti di titolo, dopo la vendita rileverebbero i comportamenti di tutti i creditori. Accanto a queste due categorie classiche di estinzione, ci sono una serie di altre ipotesi estremamente eterogenee che si tendono a ricondurre nell’ambito della improseguibilità o atipica chiusura in via anticipata del processo esecutivo. Quali sono queste ipotesi? Caso classico: bene pignorato che viene meno nel corso del processo esecutivo, quindi nel caso di distruzione del bene pignorato. Ancora, difetto delle condizioni stesse per la promozione o il proseguimento del processo esecutivo, ad es. difetto originario del titolo esecutivo , di giurisdizione, di competenza che emerga nel corso del processo esecutivo e ancora tutte una serie di evenienze ulteriori dove sarebbe spendibile un’opposizione di merito che non risulta promossa. Gli esempi che si fanno sono: il venir meno del titolo esecutivo nel corso dell’esecuzione, l’inesistenza del bene pignorato, l’impossibilità di individuazione del bene pignorato, la non economicità della vendita…casi in cui non si ha un’ipotesi di estinzione, ma la procedura si chiude in via anticipata e non raggiunge il suo obbiettivo. Qual è il regime di questa estinzione? Abbiamo letto poco fa il nuovo co2 dell’art.630, modificato per effetto della riforma del 2009. Che ha portato una

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radicale trasformazione del regime di rilevabilità dell’estinzione. Prima la logica qual era? Opera di diritto ma deve essere eccepita dal convenuto nella sua prima difesa. Oggi si ha la rilevabilità di ufficio. Bisogna tener presente qual è la logica di fondo sottesa a questa modifica. Il problema era adattare questa regola generale dell’estinzione che opera di diritto, ma deve essere eccepita dalla parte nella sua prima difesa con riferimento al processo esecutivo. Perché con riferimento al processo esecutivo io non ho questo convenuto che si difende al di là delle ipotesi di contumacia nel corso del giudizio, potrebbe mantenere una posizione sempre crescente questo debitore e poi presentarsi nella fase conclusiva del processo esecutivo e farmi valere l’estinzione. Il grosso problema era: se io convoco il debitore e il debitore non si presenta, questo equivale a mancata sollevazione dell’eccezione o devo ritenere che non essendosi presentato avrà la possibilità in una successiva difesa di far valere l’estinzione? La logica della modifica è la stessa delle altre modifiche, cioè di incrementare i poteri del giudice dell’esecuzione e ,quindi, non lasciarlo nella disponibilità delle parti. Questo provvedimento di estinzione è impugnabile? Si, è reclamabile in camera di consiglio, dove il collegio decide con sentenza. Quali gli effetti dell’estinzione? Se l’estinzione del processo esecutivo si verifica prima dell’aggiudicazione o dell’assegnazione, essa rende inefficace gli atti compiuti, ivi compreso il pignoramento, se avviene dopo l’aggiudicazione, questi conservano efficacia e la somma ricavata è consegnata al debitore. Le spese restano a carico delle parti che le hanno anticipate. Questo 632 deve essere sempre coordinato con il 187-bis delle disposizioni di attuazione, che ci dice che in ogni caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo, avvenuto dopo l’aggiudicazione anche provvisoria o l’assegnazione, restano fermi nei confronti dei terzi aggiudicatari o assegnatari, in forza dell’art. 632 co2 gli effetti di tali atti.