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La sfida dell’ambiente per la chimica Una sintesi "green" del polistirene trasposizione a cura degli autori e dei docenti coordinatori Nell’ambito del progetto dal titolo “Dai polimeri sintetici alle plastiche biodegradabili” del Piano dell’Offerta Formativa a. s. 2011/12 dell’ITI “Basilio Focaccia” di Salerno, alcuni alunni del triennio dell’indirizzo chimico hanno realizzato in laboratorio la sintesi del polistirene in emulsione acquosa e ne hanno evidenziato i vantaggi ambientali, ma anche economici, rispetto alle tecniche tradizionali utilizzate nei processi industriali di produzione di questo polimero di largo impiego. Il processo si inquadra nel contesto delle applicazioni della chimica eco-compatibile a supporto dello sviluppo sostenibile, oggi nota come “chimica verde”. inserto speciale Olimpiadi della Scienza – Premio Green Scuola 2011/2012 Ecco l’elaborato classificatosi al terzo posto

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La sfida dell’ambiente per la chimica

Una sintesi "green" del polistirenetrasposizione a cura degli autori e dei docenti coordinatori

Nell’ambito del progetto dal titolo “Dai polimeri sintetici alle plastiche biodegradabili” del Piano dell’Offerta Formativa a. s. 2011/12 dell’ITI “Basilio Focaccia” di Salerno, alcuni alunni del triennio dell’indirizzo chimico hanno realizzato in laboratorio la sintesi del polistirene in emulsione acquosa e ne hanno evidenziato i vantaggi ambientali, ma anche economici, rispetto alle tecniche tradizionali utilizzate nei processi industriali di produzione di questo polimero di largo impiego. Il processo si inquadra nel contesto delle applicazioni della chimica eco-compatibile a supporto dello sviluppo sostenibile, oggi nota come “chimica verde”.

classificato

inserto speciale 1Olimpiadi della Scienza – Premio Green Scuola 2011/2012

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Ecco l’elaborato classificatosi al terzo posto

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Speciale OdS-PGS7 Terzo classificato

Lo sviluppo sostenibile ieri e oggi

Il nostro elaborato è stato realizzato nell’ambito di un progetto didattico che aveva come finalità l’acquisizione di una “coscienza ambientale” da parte degli stu-denti e di competenze specifiche nel settore di indirizzo di studio, utili, considerato lo sviluppo crescente delle applicazioni della chimica verde, per l’inserimento nel mon-do del lavoro e per la scelta del curriculum universitario.Lo sviluppo sostenibile, inteso come pro-gresso delle attività umane nel rispetto dell’ambiente e delle possibilità di frui-zione delle risorse da parte delle genera-zioni future, era una percezione comune per l’uomo del passato che viveva a stretto contatto con la natura. Si tratta di un con-cetto antico, una cui testimonianza ci è per-venuta attraverso il detto della tribù degli indiani Cherokee del Nord America: “Non abbiamo ereditato il mondo dai nostri pa-dri, lo abbiamo preso in prestito dai nostri figli”.Questa percezione dell’ambiente come un “bene comune” e la volontà di preservar-lo si sono perdute nel corso della storia, a causa della progressiva antropizzazione del territorio e delle trasformazioni econo-miche e sociali che hanno caratterizzato lo sviluppo della società umana, a partire dall’era industriale, nel XVIII secolo, fino ai giorni nostri. Il progresso inteso come esigenza di miglioramento delle condi-zioni di vita della popolazione, associato ad un continuo aumento demografico, si è realizzato con scarsa coscienza dei rischi che l’industrializzazione forzata e perva-siva poteva determinare per l’ambiente e per la salute dell’uomo. Una presa di co-scienza degli effetti negativi ha cominciato ad affermarsi nell’opinione pubblica nel corso del secolo appena concluso, favorita dall’emozione suscitata dal verificarsi di gravi incidenti industriali, quali quello di Seveso (1976), quello di Bophal (1984) e quello di Chernobyl (1986). Già nel 1972 la comunità internazionale aveva affron-tato i problemi dello sviluppo nella conferenza di Stoccolma, definendo

i principi di uno sviluppo equo e attento all’ambiente. La prima

definizione di sviluppo soste-nibile, tuttavia risale al 1987 ed è stata data dalla Com-missione di studio internazio-

nale per l’analisi dei rapporti tra ambiente e sviluppo incaricata

dalle Nazioni Unite e presieduta dall’On.

Sig.ra Gro Brundtland, ex primo ministro norvegese. Il rapporto “Il nostro futuro co-mune”, detto anche rapporto “Brundtland”, ha definito come sostenibile lo “sviluppo in grado di soddisfare i bisogni della presente generazione senza compromettere la capa-cità delle generazioni future di soddisfare i propri”, manifestando la gravità e urgenza del problema e riconoscendone la valenza economica e sociale: “La Terra è unica ma non il mondo. Noi tutti dipendiamo da una singola biosfera che sostiene le nostre vite. Tuttavia ogni comunità, ogni nazione, si batte per la sopravvivenza e la prosperità con la minima considerazione del proprio impatto sugli altri. Alcune consumano le risorse del pianeta ad una velocità tale da lasciarne una piccola quantità alle prossi-me generazioni. Altre, molto più numero-se, consumano troppo poco e vivono con prospettive di fame, squallore, malattia e morte prematura”.La comunità internazionale si è nuovamen-te espressa a favore dello sviluppo sosteni-bile in occasione della Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, ribadendo la necessità di avviare azioni concrete. Ne è scaturito il programma di azione “Agenda 21”, una sorta di manuale per lo sviluppo sostenibile del pianeta per il ventunesimo secolo, un piano da realizzare su scala globale, na-zionale e locale. Gli obiettivi previsti nel documento sono stati recepiti dai vari Sta-ti che lo hanno ratificato attraverso Piani Nazionali, i quali prevedono interventi nei settori produttivi quali l’industria, l’agri-coltura e il turismo, nelle infrastrutture di base (energia e trasporti) e nel settore dei rifiuti.L’interpretazione della definizione di sviluppo sostenibile comporta la ricerca di un'equità di tipo intergenerazionale, con un implicito riferimento al fatto che nell’ambito della stessa generazione perso-ne appartenenti a diverse realtà politiche, economiche, sociali e geografiche hanno gli stessi diritti (equità intragenerazionale). Ne deriva, pertanto che la sostenibilità del-lo sviluppo richiama la necessità di coniu-gare tre dimensioni fondamentali e inscin-dibili, quella ambientale, quella economica e quella sociale. La sostenibilità economica è intesa come capacità di generare ricchezza, soprattutto in termini di reddito e di lavoro. Quella sociale riguarda la capacità del modello di sviluppo di garantire uguali condizioni di accesso al benessere umano, anche in termini di sicurezza, salute, istruzione, per tutta la popolazione indistintamente. Infine l’ambientale è intesa come la capacità di mantenere qualità e rinnovo delle risorse

Lo tre dimensioni dello sviluppo sostenibile.[Immagine: Johann Dréo; Wiki-pedia Commons, traduzione di Floriano Scioscia]

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naturali. La definizione di modelli di svi-luppo in grado di coniugare le tre dimen-sioni è compito della politica.Anche la scienza è stata chiamata a fare la sua parte, e ogni Paese si è organizzato attraverso delle Piattaforme Tecnologiche Nazionali, che hanno il compito di predi-sporre un’agenda per la ricerca, pubblica e privata, che risponda a esigenze di sosteni-bilità. Per quanto riguarda l’industria chi-mica, questo implica l’impegno allo studio e alla realizzazione di processi e prodotti che riducano al minimo le conseguenze negative di carattere ambientale, sociale o economico, sia immediate che differite.

La chimica verdeLa chimica verde (in inglese: green che-mistry) è uno strumento fondamentale per conseguire lo sviluppo sostenibile in ambito chimico. Si tratta di un approccio etico fatto di criteri e di priorità basati su concetti della chimica, la cui applicazione richiede una profonda conoscenza scienti-fica dei composti e dei processi coinvolti nella produzione, utilizzo e smaltimento dei rifiuti. Tale approccio risulta utile per guidare le applicazioni della chimica, in particolare quelle industriali, verso moda-lità sostenibili dal punto di vista ambienta-

le, economico e sociale. Tra i cardini della green chemistry vi è la prevenzione dell’in-quinamento, che richiede la progettazione di processi chimici industriali che puntino all’eliminazione o alla riduzione dell’uso e della produzione di sostanze nocive per l’ambiente o per la salute e che favorisca-no il risparmio energetico. Queste esigen-ze sono state codificate negli Stati Uniti da Anastas e Warner nel 1998 in 12 punti. La polimerizzazione in emulsione acquosa dello stirene, che sarà presentata in seguito rappresenta un esempio di applicazione di alcuni di questi punti.

La polimerizzazione del polistirene

Le tecniche di polimerizzazione normal-mente impiegate nei processi industriali di produzione del polistirene sono la poli-merizzazione in soluzione, in sospensione, in massa e in emulsione. Nella tecnica in soluzione, poiché la reazione viene con-dotta in un solvente, in cui sia l’iniziatore che il monomero (lo stirene H2C=C-Ph, vedi box) sono solubili, c’è quello dello smaltimento del solvente esausto. Invece, in quella in sospensione c’è il problema dell’eliminazione degli stabilizzanti, ne-cessari a disperdere il monomero nel li-quido, solitamente acqua, in cui esso non è solubile. La tecnica di polimerizzazione in massa, di gran lunga la più utilizzata, ha il vantaggio di richiedere il numero mini-mo di reagenti necessari per l’ottenimento del polimero, infatti non si usano solventi o mezzi disperdenti, ma ha una serie di svan-taggi. Tra questi c’è la bassa resa, dovuta al fatto che durante la crescita della catena il monomero viene inglobato fisicamente nel polimero, sottraendosi così alla reazione. Ciò significa anche che il polimero ottenu-to deve essere ulteriormente processato per allontanare lo stirene che non ha reagito. Inoltre l’assenza del solvente o disperdente porta ulteriori inconvenienti: 1) il polime-ro prodotto risulta essere caratterizzato da catene ramificate e di lunghezza variabile; 2) la massa di reazione all’avanzare della polimerizzazione diventa estremamente vi-scosa; 3) è necessario condurre la reazione con efficienti sistemi di smaltimento termi-co in quanto il calore prodotto dalla reazio-ne, fortemente esotermica, non è assorbito dal solvente o dal disperdente stesso, che ne mitigherebbe gli effetti termici. Tutti questi inconvenienti si manifestano come costi economici e ambientali per questo processo.

I 12 PRINCIPI DELLA GREEN CHEMISTRy DI ANASTAS E WARNER

1. È meglio prevenire l’inquinamento che trattare o riciclare i prodotti nocivi ottenuti.

2. I metodi di sintesi dovrebbero essere progettati per includere tutti gli atomi utiliz-zati nel prodotto finale.

3. Laddove possibile, le metodologie di sintesi devono essere progettate per genera-re composti chimici che hanno tossicità minima o nulla per l’uomo e per l’ambiente.

4. I composti chimici dovrebbero essere disegnati per rimanere adatti al loro scopo, pur presentando una tossicità ridotta.

5. Occorre ridurre per quanto possibile l’uso di sostanze chimiche aggiuntive (solven-ti, mezzi di separazione) o limitarlo a sostanze innocue.

6. Occorre considerare tutte le richieste energetiche della produzione dei composti chimici, per ridurre il loro impatto economico e ambientale.

7. Laddove possibile, i composti chimici di partenza provenienti da fonti esauribili do-vrebbero essere sostituiti con sostanze di origine rinnovabile.

8. Nelle sintesi andrebbero evitate derivatizzazioni (es. inserimento di gruppi protet-tivi, modifiche temporanee delle condizioni chimico-fisiche dei processi).

9. Occorre preferire reazioni catalitiche a quelle stechiometriche.

10. I prodotti chimici devono essere progettati in modo tale che alla fine della loro fun-zione essi non persistano nell’ambiente e si degradino a formare prodotti innocui.

11. Occorre sviluppare delle metodologie analitiche in grado di controllare in tempo reale i processi per evitare la formazione di sostanze pericolose.

12. I composti chimici e i loro derivati utilizzati nei processi industriali devono essere scelti in modo da minimizzare il rischio di incidenti chimici.

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Nella tecnica di polimerizzazione in emul-sione il sistema di reazione è formato dal monomero, da un mezzo disperdente po-lare, generalmente acqua, da un iniziatore radicalico, che è solubile in acqua e inso-lubile nel monomero, e da un tensioattivo.Nel caso della sintesi del polistirene, il ten-sioattivo, solitamente il dodecilbenzensol-fonato di sodio, viene aggiunto all’acqua, che funge da disperdente, fino al raggiun-gimento del valore della concentrazione micellare critica. Al di sopra di questa concentrazione le molecole di tensioat-tivo si aggregano formando le micelle, le caratteristiche strutture sferiche nelle quali il tensioattivo espone la testa polare verso l’acqua e la coda apolare verso l’interno. Successivamente si aggiunge il monome-ro, che va a sistemarsi all’interno delle micelle. L’iniziatore radicalico, persolfato di potassio, può così essere aggiunto al si-stema di reazione, che viene riscaldato fino a 80 °C per indurre la scissione omolitica del legame perossidico e la conseguente formazione dei radicali iniziatori di catena. L’iniziatore radicalico pur essendo prati-camente insolubile nel monomero, ha una probabilità di entrare nella micella diversa da zero. La reazione di polimerizzazione parte, appunto, quando una molecola di

iniziatore migra all’interno della micella e reagisce con il monomero.Generalmente la reazione procede con un unico radicale polimerico per micella e, quindi con una sola catena in crescita, pre-valentemente lineare, in ogni micella. Per questo motivo le reazioni di terminazione per accoppiamento tra catene radicaliche sono sfavorite. La micella si comporta come un “nano-reattore”, in cui il mono-mero non ha “concorrenti”, in tal modo la reazione terminerà quando tutto il mono-mero contenuto nella micella avrà reagito. Questo determina rese prossime al 100% con la produzione di una catena polimerica per micella di peso molecolare dipendente dalla quantità di monomero inizialmente presente al suo interno. Il polimero prodot-to risulta pertanto molto omogeneo e può essere processato (stampato, colorato ecc.) senza ulteriori trattamenti di purificazione. In conclusione, la polimerizzazione dello stirene in emulsione rispetta i principi della chimica verde, in quanto è una polimeriz-zazione che utilizza l’acqua come solvente e nella quale il reagente più inquinante (lo stirene) viene completamente trasformato in polimero direttamente utilizzabile, ov-vero senza richiedere ulteriori trattamenti di purificazione.

Sopra: fase iniziale della polime-rizzazione dello stirene in emul-sione acquosa. Sotto: fase avanzata della poli-merizzazione.

IL POLISTIRENEIl polistirene è un polimero di addizione ottenuto per polimerizzazione radicalica vinilica dello stirene.

La reazione necessita di un iniziatore radicalico, perossido o persolfato (ROOR, es. persolfa-to di potassio), che sottoposto a riscaldamento si decompone per dare origine a specie radi-caliche (RO•), che possono iniziare la catena addizionandosi ad una molecola di stirene con la formazione di un radicale benzilico. La reazione prosegue attraverso lo stadio di propaga-zione, in cui un radicale benzilico si addiziona, a catena, ad altre molecole di monomero. La reazione si conclude con lo stadio di terminazione, in cui la crescita della catena polimerica si interrompe per l’accoppiamento di due radicali.

Nella polimerizzazione per addizione radicalica si ottengono di regola polimeri atattici, ov-vero polimeri in cui i centri stereogeni, prodotti durante gli stadi di propagazione, hanno configurazione casuale (stereorandom). Polimeri stereoregolari si ottengono, invece, me-diante l’utilizzo di catalizzatori Ziegler-Natta o a base di metalloceni.

A causa della sua struttura irregolare il polistirene atattico si presenta amorfo e non può impaccarsi per formare cristalli.

Reazione di polimerizzazione dello stirene.Polistirene atattico.

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La nostra sintesi verde del polistirene

La reazione di polimerizzazione dello sti-rene in emulsione acquosa è stata effettuata seguendo un protocollo di sintesi proposto tra le attività laboratoriali del Piano Lauree Scientifiche dell’Università di Salerno, per l’anno scolastico 2011/2012. Di seguito è riportata la sequenza delle operazioni.

Lavaggio dello stireneOperazione preliminare è il lavag-gio dello stirene, necessario per eliminare gli inibitori radicalici che vengono aggiunti come stabilizzan-ti allo stirene commercializzato. Queste molecole hanno la funzione di catturare radicali che possono generarsi spontaneamente dal mo-nomero per effetto del calore. Nel contenitore di reazione era presente

come stabilizzante il 4-ter-butilcatecolo, solubile in acqua. L’operazione di lavag-

gio è stata effettuata dibattendo lo stirene (10,0 ml) in un imbuto sepa-ratore in presenza di 2,0 ml di una soluzione acquosa di NaOH al 5% in peso saturata con NaCl. Dopo l’allontanamento, attraverso il ru-binetto, della soluzione acquosa, lo stirene è stato conservato nell’im-buto separatore, tappato per evitare esalazioni nocive.

Preparazione del tensioattivo e dell’iniziatore radicalicoLa soluzione acquosa al 3,6% p/p di ten-sioattivo è stata preparata solubilizzando 0,75 g di dodecilbenzensolfonato di sodio in 20 ml di H2O. La soluzione acquosa al 0,7% p/p di ini-ziatore radicalico è stata preparata solubi-lizzando 0,14 g di persolfato di potassio in 20 ml di H2O.

Preparazione del sistema di reazioneIn un pallone ad un collo da 100 ml, prov-visto di ancoretta magnetica, sono stati introdotti nell’ordine 8,0 ml di acqua di-stillata, 6,0 ml della soluzione acquosa di

dodecilbenzenesolfonato al 3,6% in peso e 4,0 ml del monomero lavato. Per favorire l’ingresso del monomero nelle micelle, il sistema è stato agitato per circa dieci minu-ti su una piastra magnetica.Nel pallone di reazione sono stati aggiunti 2,0 ml della soluzione acquosa di iniziatore radicalico e il sistema è stato nuovamente agitato per qualche istante.

Reazione di polimerizzazioneDopo avere collegato il tubo refrigerante sul collo del pallone e dopo aver avviato il flusso nel refrigerante, il pallone di reazio-ne è stato immerso in un bagno ad acqua termostatato a 80 °C, la temperatura di at-tivazione dell’iniziatore radicalico. Il siste-ma è stato lasciato a reagire per 30 minuti.

Work up della reazioneAlla fine della reazione il pallone, ben chiu-so, è stato conservato per 3 giorni in free-zer, consentendo alle basse temperature di rompere le micelle e liberare il polimero.Dopo scongelamento, il lattice contenu-to nel pallone è stato filtrato su imbuto bukner. Il residuo sul filtro è stato lavato con acqua distillata ed essiccato in stufa a 90 °C.

RisultatiLa procedura eseguita in laboratorio ha for-nito un prodotto dall’aspetto bianco e gra-nulare (figura in basso, a destra) che è stato confrontato con un prodotto di una reazio-ne di polimerizzazione in massa fornito dal Dipartimento di Chimica dell’Università di Salerno, il quale, presentandosi come un aggregato solido (in basso, a sinistra), dovrà necessariamente subire ulteriori pro-cessi di purificazione. Questi risultati dimostrano la maggior eco-compatibilità della sintesi del polistirene in emulsione acquosa realizzata in laborato-rio.

Caratterizzazione del prodotto di po-limerizzazioneIl polistirene prodotto nel laboratorio della scuola è stato caratterizzato mediante spet-trofotometria all'infrarosso per confronto con lo spettro IR dello stirene riportato in letteratura. A conferma dell’avvenuta re-azione di polimerizzazione, la compara-zione mostra la presenza nello spettro del polistirene degli stretching dei legami C-H alifatici che, invece, risultano assenti nello spettro del monomero.La caratterizzazione del prodotto di sintesi è stata fatta anche mediante spettroscopia in risonanza magnetica nucleare 1H e 13C in CDCl3 (per maggiori dettagli su questa tec-

Lavaggio dello stirene.

Reazione di polimerizzazione.

A sinistra l’aspetto del polisti-rene fornito dal Dipartimento di Chimica dell’Università di Salerno ottenuto mediante po-limerizzazione in massa. A de-stra quello ottenuto nel labo-ratorio della nostra scuola con polimerizzazione in emulsione.

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nica analitica si vedano Green n. 20, pagg. 10-15, e n. 21, pagg. 32-37).Dagli spettri NMR protonici si evince che, essendo il prodotto di reazione formato da unità polimeriche di peso molecolare di-verso, lo spettro in soluzione a temperatura ambiente non dà risultati facilmente inter-pretabili. Infatti l’accavallamento dei se-gnali nella stessa zona dello spettro, dovu-

to alla coesistenza di catene polimeriche di diversa lunghezza e alla casuale stereochi-mica dei centri di asimmetria, non fa evi-denziare la molteplicità di spin. Ma l’attri-buzione dei segnali è comunque possibile sulla base dei chemical shifts caratteristici. Sicuramente spettri migliori si sarebbero

potuti ottenere ad alta tem-peratura con solventi ad alto punto di ebollizione, oppure registrando lo spet-tro allo stato solido.Dal confronto dello spettro 1H-NMR del polistirene con lo spettro 1H-NMR dello stirene, riportato in letteratura, risulta che solo nel primo sono presenti i segnali a campi alti asso-ciati alla presenza di pro-

toni alifatici tipici del polimero, risultando assenti i segnali a campi bassi, indicanti la risonanza di protoni vinilici e aromatici e presenti nello spettro 1H-NMR dello stire-ne. In particolare, l’assenza, negli spettri NMR del polimero ottenuto, di segnali attribui-bili alla presenza di stirene fanno ritenere che la reazione sia andata a completezza, ovvero che non sia rimasto del monomero

che non ha reagito.Questi risultati sono confortati anche dallo spettro 13C-NMR del prodotto di polime-rizzazione.

ConclusioniNella reazione riportata è stato adottato un processo di polimerizzazione in emulsione che partendo da stirene commerciale ha prodotto del polistirene utilizzando esclu-sivamente solventi acquosi, in condizioni che non hanno richiesto particolari accor-gimenti per il controllo termico e con una completa conversione del monomero. Tut-to questo a riprova dell'eco-compatibilità del processo utilizzato.

A cura degli allievi: Marco Irno della 4aM, Antonio Maffeo e Pietro Raimondi

della 4aI, Anita Caiazzo, Rosario Cavallo, Maria Teresa Della Fera e Domenico Salerno della 3aI e Simona Ferrara e

Graziano Scorzeto della 3aM, dell’indi-rizzo chimico dell’ ITI “B. Focaccia” di Salerno, con la supervisione dei profes-sori Anna Maria Madaio, Tullia Aquila,

Marco Romano e Maddalena Colucci.

Spettro infrarosso del polistirene realizzato con spettrofotometro Bio-Rad FTS, in film liquido su bromuro di potassio (KBr).

Spettro IR dello stirene riportato in letteratura.

Spettro 1H-NMR del polistirene.

Spettro 13C-NMR del polistirene.

Spettro 1H-NMR dello stirene ri-portato in letteratura.

ANALISI STRUMENTALE Gli spettri IR sono stati registrati con spettro-fotometro Bio-Rad FTS, in film liquido su KBr.

Gli spettri NMR sono stati realizzati presso il reparto di Risonanza Magnetica Nucleare dell’ICB-CNR di Pozzuoli. Gli spettri 1H-NMR sono stati registrati con uno spettrometro operante a 600 MHz (14.1 Tesla) Bruker Avance spectrometer (Bruker BioSpin GmbH, Rhein-stetten, Germany) equipaggiato con CryoPro-be™, a temperatura ambiente, usando CDCl3

come solvente e la risonanza del protone di CHCl3 come riferimento interno. Gli spettri 13C-NMR sono stati registrati a 150 MHz (14.1 Tesla), usando la risonanza del CHCl3 come ri-ferimento interno.

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