aprile 2013 La voce dell’ordine di Pistoia - omceopistoia.it · È una patologia discretamente...

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Quadrimestrale - Anno VIII - n° 24 - aprile 2013 Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane Spa sped. abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1, DCB/PO” La voce dell’ordine di Pistoia Rivista di informazione medica n. 24 aprile 2013 Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Pistoia

Transcript of aprile 2013 La voce dell’ordine di Pistoia - omceopistoia.it · È una patologia discretamente...

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C O M U N I C A Z I O N I

IMPORTANTE

Si ricorda agli iscritti di comunicare tempestivamente alla segreteria ogni variazione di residenza, numeri telefonici ecc. e il conseguimento dei titoli di specializzazione, master, dottorati di ricerca ecc.

Si ricorda che in ottemperanza alla legge n. 2/2009 i professionisti iscritti ad albi ed elenchi istituiti con legge dello stato, comunichino ai rispettivi ordini o collegi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Le eventuali inadempienze o negligenze deri-vanti dall’aver trascurato tale obbligo espongono l’interessato, oltre alle sanzioni previste dalla legge, anche al rischio di non essere adeguatamente informato di adempienze che lo riguardano direttamente.

Si comunica agli iscritti che gli uffici della Segreteria dell’Ordine

resteranno chiusi per la pausa estivadal 5 al 24 agosto 2013 compresi

APERTURA ESTIVA DEGLI STUDI ODONTOIATRICI

I professionisti il cui studio rimane aperto almeno 10 giorni nel mese di agosto contattino, se interessati, la Segreteria dell’Ordine (tel. 0573/22245 – fax 0573/23341 – e-mail: [email protected]) fornendo le date di apertura (senza specificare gli orari) entro e non oltre il 5 luglio p.v.

CONSULENZA LEGALESul sito dell’Ordine www.omceopistoia.it, nei Links Utili alla voce

Avvocati – Proposta agli iscritti

è stata pubblicata la proposta, riservata a tutti gli iscritti all’Ordine, presentata dallo Studio Legale ALIANI SODERI.

Inoltre a partire dal prossimo maggio ogni giovedì, dalle ore 12 alle ore 13, previo appuntamento, sarà a disposizione degli iscritti

un Legale dello studio ALIANI SODERI.

I GIOVANI E LA PARTECIPAZIONEAL DIALOGO CON LE ISTITUZIONI

Come mai i giovani non partecipano?Le associazioni professionali, le società scientifiche, gli Ordini stessi sono gestiti quasi esclusivamente da persone con età compresa fra i 55 e 65 anni senza una pre-senza significativa dei giovani. Non esiste praticamente dialogo fra le generazioni di professionisti per la mancata partecipazione dei giovani che comporta la mancata acqui-sizione della necessaria conoscenza dei pro-blemi. Il disagio aleggia su tutti i medici ma sicuramente con caratteristiche diverse e per ragioni diverse. I problemi dei professioni-sti strutturati negli Ospedali o nel territorio sono ben diversi da quelli dei giovani che vivono la mancanza di tutele e di sicurez-ze. Senza il dialogo non si realizza nessuna collaborazione e trasmissione di esperien-ze. Il loro rifiuto ad ogni partecipazione è comprensibile ma non certo utile a program-mare il loro futuro professionale. Credo sia compito nostro, cioè di coloro che hanno re-sponsabilità negli Ordini, di cercare di av-vicinare i giovani iscritti per capire prima di tutto il loro stato d’animo, la loro opi-nione su quello che percepiscono del mon-do professionale, una realtà caratterizzata da precariato, criticità, mancanza di tutele in campo lavorativo, sia giuridico che pre-videnziale. Ad oggi manca un osservatorio adeguato che permetta di conoscere in ogni aspetto la condizione professionale giova-nile e che permetta di condividere strategie atte a dare prospettive a chi si affaccia nel mondo della professione. Non conosciamo le loro valutazioni, le aspirazioni e le loro richieste per potersi integrare nella gestione delle istituzioni. Sembra quasi che i giovani siano interessati prevalentemente alla pre-parazione tecnico scientifica per acquisire le migliori competenze trascurando il campo della deontologia. Sarebbe utile individuare

EDITORIALE

Egisto Bagnoni Presidente dell’Ordine di Pistoia

La voce dell’ordine di PistoiaBollettino ufficiale quadrimestrale dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Pistoia; anno VIII n. 24 – aprile 2013Dir. resp. Dott. Gianluca Taliani – Comitato di redazione: Egisto Bagnoni, Pierluigi Benedetti, Gianna Mannori, Ione NiccolaiReg. Trib. Pistoia n. 8 del 9/07/04 – Stampa: GF Press, Masotti

Copertina: Autore ignoto, Il prato di San Francesco, sec. XIII, Pistoia, Museo CivicoQuarta di copertina: Pistoia, chiesa di San Francesco

Sommario1 editoriale• I giovani e la partecipazione al dialogo con le istituzioni

3 aGGiorNaMeNto SCieNtiFiCo• Sindrome delle apnee del sonno e obesità

5 livello MiNiMo N. 17• Nota antropologica sul linguaggio

8 aGGiorNaMeNto SCieNtiFiCo• Dalla cute al DNA: il progresso della ricerca scientifica nella comprensione della sclerosi tuberosa

13 Med-news dalla letteratura internazionale• La nuova sanità toscana

19 la MediCiNa deGli altri• E allora facciamo qualcosa

21 l’oPiNioNe del PreSideNte• L’Ordine e la certificazione dei crediti formativi (E.C.M.)

22 attUalit˥ Tubercolosi a scuola

23 lettere• È mancato un controllo locale della situazione. Considerazioni sulla sanità toscana• I medici di Bottegone rispettano l’art. 5 del codice deontologico

27 PaSSato e PreSeNte• La città immaginata. Piazza San Francesco (prima parte)

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coloro che mostrano un certo interesse al dia-logo ed indurli ad avvicinarsi alle istituzioni per prendere gradualmente le redini della loro professione e per diventare veri professionisti. Esistono alcune esperienze preziose in seno alla componente femminile della professione per avere gestito con successo le commissio-ni delle pari opportunità. Oggi la componen-te femminile è prevalente nella professione e quindi dovrebbe risultare facile trasferire le esperienze maturate nella medicina di genere nella gestione della professione in generale. Proviamo ad iniziare un percorso di incontri, anche a piccoli gruppi, con giovani volentero-si per conoscere le loro esigenze e condividere strategie per renderli protagonisti nella gestio-

ne del loro destino. Dal canto nostro dovrem-mo chiedere e proporre e prendere in conside-razione le loro esigenze e le loro aspettative. Se davvero vorranno aprirsi al confronto as-sumendo responsabilità, con i relativi sacri-fici, potranno diventare i protagonisti di un cambiamento importante che riguarderà tutti gli aspetti della professione. La formazione universitaria potrà diventare più aderente ai bisogni della società attuale ed anche la formazione post laurea potrà abbandonare il ruolo di parcheggio per i giovani in attesa di una sistemazione lavorativa e diventare la migliore opportunità per riqualificare il ruolo del medico.

EDITORIALE

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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO

La sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS) è una patologia caratterizzata da Ap-nee Ostruttive e Ipopnee dovute all’improv-viso collasso delle vie aeree durante il sonno.È una patologia discretamente frequente, non sempre correttamente diagnosticata, spesso sottovalutata e fonte di complicanze anche gravi come aumento del rischio di patologie cardiovascolari, disfunzioni metaboliche e mortalità.Quindi importantissimo, è non solo precisar-ne la diagnosi ma anche la gravità, una dia-gnosi che è prevalentemente strumentale.Se c’è, infatti, un sospetto è determinante lo studio polisonnografico del paziente durante il sonno che registra, oltre agli atti respirato-ri, anche i livelli di ossigeno nel sangue e la frequenza cardiaca.La diagnosi di OSAS è confermata quando si verificano più di cinque episodi l’ora o co-munque più di trenta durante la notte.È tipicamente una forma ostruttiva ed è ca-ratterizzata dal blocco del passaggio dell’aria nonostante la persistenza di movimenti della parete toracica.Importantissimo è spiegare al paziente tutti i fattori di rischio della sua condizione e le motivazioni della terapia indicata, sia farma-cologica che strumentale e comportamenta-le.Va chiarito bene, infatti, che questa patolo-gia è un fattore di rischio anche grave ma modificabile.La terapia strumentale con apparecchi a pres-sione positiva continua o con altri presidi e i farmaci prescritti non possono prescindere da una decisa modifica dello stile di vita del paziente.Quasi tutti i portatori di questa sindrome, in-fatti, sono sovrappeso e spesso francamente obesi.L’obesità è soprattutto viscerale con effetti devastanti sulla respirazione.

Sindrome delle apnee del sonnoe obesitàIone Niccolai

Il diaframma diminuisce la sua contrattilità, ma particolarmente in posizione supina è spinto verso l’alto con netta diminuzione dei volumi polmonari.Secondo alcuni autori, il grasso viscerale causa anche aumentata attività dei muscoli respiratori, con produzione di pressione ne-gativa e collasso delle vie aeree superiori du-rante la fase inspiratoria.Molto importante per predisporre alla sindro-me è anche la circonferenza del collo.C’è comunque un aumento grande del lavoro respiratorio con ovvia fatica che porta ine-vitabilmente a ipoventilazione, ipossiemia e ipercapnia cronica.Questo ha evidentemente importanti e gravi ripercussioni sul sistema cardiocircolatorio con patologie multiple, ipertensione, ische-mia cardiaca cronica, ma anche su tutta la funzione metabolica dell’organismo.È noto d’altronde che l’obesità, di per sé, causa cronicamente ipoventilazione alveola-re e ipercapnia (PCO2 sup a 45mmHg) anche durante lo stato di veglia indipendentemente da altre condizioni di ipoventilazione.L’obesità, poi, associata a sindrome delle apnee ostruttive del sonno causa un enorme aumento del lavoro respiratorio, insufficien-za dei muscoli respiratori e grande aumento di tensione arteriosa di CO2 durante ogni ap-nea o ipopnea, fino a livelli perennemente elevati con acidosi cronica e aumento dei bi-carbonati.Va inoltre segnalato che la PaCO2 aumenta progressivamente durante la notte con la ov-via diminuzione del PH. In questa situazione il rene diminuisce la sua escrezione per tam-ponare la caduta del PH. Se poi il bicarbonato accumulato durante la notte non è eliminato durante il giorno, si crea un circolo vizioso fino ad avere un bi-carbonato tanto alto da deprimere la ventila-zione, causando ipoventilazione ed ipercap-

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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO

nia cronica continua.Importanti anche le alterazioni metaboliche che si determinano in questa situazione cli-nica: l’ipossia cronica, infatti, determina al-terazioni cellulari multiple con deficit di se-crezione ed efficacia dei modulatori neuro ormonali.Tra questi, da moltissimi autori è considerata importante la leptina, secreta normalmente dalle cellule del tessuto adiposo, e da molti autori considerata implicata nella patogenesi di questa patologia. Questo ormone nei pazienti obesi è presente

in concentrazioni molto alte con resistenza documentabile agli effetti metabolici della leptina stessa.Nella sindrome delle apnee del sonno la lep-tina è ancora più alta con un grado di resi-stenza ancora maggiore, con tutti gli effetti negativi che questa situazione può provoca-re. Si ricordano gli effetti pro trombotici della leptina, che sarebbero mediati dal recettore piastrinico della leptina.Suggestiva la rilevazione che la terapia con CPAP riduce i livelli di leptina.

Pistoia, Chiesa di San Francesco

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LIVELLO MINIMO

Scheda dI LIveLLo mInImo n° 17Pierluigi Benedetti

NOTA ANTROPOLOGICA SUL LINGUAGGIO

Phillip Tobias, l’antropologo, che, forse più di ogni altro ha studiato gli Ominidi, vide, per primo, nell’acquisizione del linguag-gio la differenza sostanziale fra scimmia e uomo ed, oggi, questa viene accettata come l’ipotesi scientifica più verosimile e produt-tiva.Se, quindi il linguaggio definisce l’uomo, tralasciando al momento tutti gli altri aspet-ti del problema, ci si può chiedere se è pos-sibile sapere:

“Quando hanno cominciato a parlare gli ominidi?”

Non è facile rispondere a questa domanda con precisione, ma la moderna antropo-logia ha stabilito alcuni punti fermi, sulla base dei quali si possono formulare ipotesi interessanti.Alcuni ricercatori hanno osservato il pro-blema da un angolo differente. Cioè si sono chiesti:“Perché le “scimmie” non parlano?”L’antropologo George Washingthon Cor-nel affermò, in maniera scherzosa ed pro-vocatoria, che “l’unica ragione per cui una scimmie non parlano, è perché non hanno niente da dire”.C’è una profonda verità alla base di questo.Infatti il cervello della scimmia non ha la possibilità di funzionare ad un livello tanto elevato da poter usare un linguaggio ver-bale.Ma oltre a questo, si deve notare che l’ap-parato stomatognatico, la faringe e la larin-ge della scimmia, come in altri mammiferi, non sono strutturati in maniera tale da per-mettere un linguaggio articolato complesso.

Situazione anatomica della scimmiaNelle scimmie più primitive la laringe è po-sta molto in alto, rispetto al rachide cervica-

le (I-III vertebra cervicale) e la sua posizio-ne non cambia dopo la nascita.Con questa disposizione l’epiglottide, che, quando è in condizioni di riposo, arriva a livello della parte più bassa del palato mol-le, può escludere la comunicazione fra cavo orale e rinofaringe, cioè l’epiglottide, quan-do il velo del palato è abbassato, funziona come una valvola di deviazione fra rinofa-ringe e cavo orale.La scimmia può, quindi, respirare ed in-ghiottire liquido “contemporaneamente”, o meglio alternando i due atti fisiologici sen-za soluzione di continuità.Anche in scimmie più evolute lo spazio oro-faringeo è molto ridotto ed i suoni emessi dalle corde vocali non possono essere mo-dificati, prima di entrare nella cavità orale, la quale, in pratica, viene ad essere l’unica cassa di risonanza della voce.Il solo modo, in verità molto limitato, per modulare i suoni è affidato al grado di aper-tura della bocca ed alla muscolatura delle labbra, delle guance e della lingua.Tutti hanno visto le smorfie di una scimmia quando emette suoni.Queste smorfie, che come si è detto sono il solo modo della scimmia per modulare i suoni prodotti dall’aria passata attraver-so le corde vocali, vengono utilizzate come forma di comunicazione visiva integrante il messaggio che l’animale vuol trasmettere ai suoi simili o ad altri esseri viventi. Per esempio per dimostrare rabbia, gioia ecc.Si consideri quanto sia importante questa forma di comunicazione non verbale, an-che nell’uomo, specie in quel periodo fon-damentale di formazione della psiche, che va da zero anni, quando il bimbo non parla (in-fanzia: in = non + fans :ϕημι: parla-

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LIVELLO MINIMO

re), fino all’acquisizione di un linguaggio sufficientemente articolato ed espressivo.In quel periodo, - diceva Virgilio - “Il bimbo conosce la madre al sorriso”.

Se consideriamo l’anatomia della regione faringo-laringea di varie scimmie, varia-mente disposte nella scala evolutiva, ve-diamo che dalle scimmie antropomorfe all’uomo, l’apparato “vocale” emerge, (per usare le parole di Tobias), con la compar-sa del rinofaringe, la liberazione reciproca dell’ugola e dell’epiglottide e la “discesa” della laringe.Consideriamo di seguito quattro diverse si-tuazioni corrispondenti ad altrettanti stadi evolutivi. A) TUPAIA (Un insettivoro considerato un precursore dei Primati)L’epiglottide si dirige verso l’alto fino ad en-

trare in stretto contatto con il palato molle; l’aditus laringeo si protende leggermente in avanti, mentre nell’uomo è volto all’indie-tro. C’è continuità fra fosse nasali e laringe.Questo animale può respirare solo dal naso.B) LEMURE (Una Proscimmia)Il rapporto fra epiglottide e palato molle di-viene meno stretto e l’aditus laringeo si di-rige indietro. La continuità fra fosse nasali e laringe è interrotta.C) CERCOPITECOL’epiglottide incontra appena il palato mol-le e c’è una interruzione, anche se piccola nella via aerea fra naso e laringe.Si può parlare di primitivo rinofaringe (Du-Brul).D) SCIMPANZÉContinua la relativa discesa della laringe.La distanza fra palato molle ed epiglottide aumenta.

Ridisegnato da: Du Brul, 1958 e Negus, 1965

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LIVELLO MINIMO

E) UOMONell’uomo, dopo i due anni di età, la situa-zione è ben diversa.La laringe è situata all’altezza della VI ver-tebra cervicale, e dietro alla lingua esiste uno spazio orofaringeo relativamente am-pio, che è una via comune per l’aria e per il cibo solido o liquido che sia. È stata perdu-ta la capacità di bere e respirare “contem-poraneamente”, ma si è acquisita un’ampia cassa di risonanza, che permette suoni arti-colati e complessi.Quando poi il velo del palato si stacca dal-la parete posteriore del faringe, si amplia ancora di più questo spazio, permettendo l’articolazione delle consonanti nasali.Una cassa di risonanza così ampia come quella umana ha permesso all’uomo anche l’emissione di suoni, indipendentemente, dall’emissione di aria, capacità condivisa anche da altri animali, che possono utiliz-zarla anche se in maniera più approssimati-va e meno finemente articolata. Questi suoni non sono utilizzati nelle lin-gue della civiltà moderna, ma esistevano ed esistono ancora in alcune lingue di culture in via di estinzione.Per esempio nelle lingue boscimane esisto-

no suoni particolari, detti schiocchi, di vari tipi, in cui la cassa di risonanza, viene va-riamente utilizzata.

Nel neonato umano, la situazione è molto simile a quella della scimmia, e tale si man-tiene più o meno fino ad un anno e mezzo, quando l’alimentazione per succhiamento cessa e l’utilità di poter introdurre liquido e respirare senza soluzione di continuità non esiste più. (un neonato quando succhia il latte, non si arresta per “riprendere fiato”).Dopo questa età la laringe comincia a di-scendere.A due anni, circa, raggiunge una posizione simile a quella dell’adulto.In altre parole si può dire che:– alla nascita il bambino può, come le scim-mie succhiare il latte, deglutirlo e “contem-poraneamente” respirare.– a due anni il bambino ha perso questa capacità, che non gli è più utile, ma anzi sarebbe di impedimento, perché ora è neu-rologicamene maturo per passare da una deglutizione tipicamente infantile, ad una deglutizione “da adulto” e per cominciare a PARLARE.

La base del cranio umano alla nascita è molto simile a quella della scimmia. All’età di due anni raggiunge la convessità tipica dell’adulto e per l’ampliamento della faringe è possibile la fonazione.

Ridisegnato e modificato da: A. Salsa, Ominidi, Giunti Editore, 1999

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dalla cute al dna: il progresso della ricerca scientifica nella comprensione della sclerosi tuberosaDott.ssa Chiara Giannelli, Centro MAVIT Livorno, dott. Emanuele Bartolini, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Pisa, dott. Stefano Bartolini, Unità Operativa di Neurologia, ASL3

IntroduzioneLa sclerosi tuberosa (TSC) è una malattia genetica neurocutanea multisistemica, carat-terizzata dalla presenza di amartomi multi-organo, più evidenti sulla cute, sistema ner-voso centrale, reni, cuore ed occhi (Barron et al., 2002). La definizione della malattia si è evoluta a partire dal XIX secolo sulla base della osservazione clinica diretta, di studi pa-tologici e dello sviluppo di nuove metodiche diagnostiche.

Osservazione della cute: come tutto è ini-ziatoLa prima descrizione fenotipica della sclero-si tuberosa risale ad un atlante a colori alle-gato al “Trattato sulle Malattie Cutanee” del Dermatologo francese Pierre Francois Olive Rayer, pubblicato nel 1835. In una delle ta-vole era raffigurato il volto di un uomo pun-teggiato da “piccole lesioni vascolari diffuse, apparentemente di tipo papulare, distribuite sulla superficie del naso ed intorno alla boc-ca” definite “vegetation vasculaires” (Rayer, 1835/2003). Rayer non comprese però la na-tura sindromica e multisistemica del quadro da lui descritto. Quindici anni dopo ancora due Dermatologi, Gull e Addison, descrissero un ulteriore caso al Guy’s Hospital di Londra, definendolo vitiligoidea tuberosa (Jay, 2004).

Verso una definizione sindromica: il tardo XIX secoloLa prima definizione sindromica di sclerosi tuberosa si deve a un giovane neuropatologo tedesco, Friedrich Daniel von Recklinghau-sen, assistente del grande Rudolf Virchow. Nel 1862 egli presentò alla Società Ostetri-ca di Berlino il caso di un neonato decedu-

to dopo “pochi respiri” con diversi tumori cardiaci, da lui definiti “miomata”, ed un “gran numero di sclerosi” nel cervello (von Recklinghausen, 1862 as cited by Curato-lo,2003). Probabilmente questi rispettiva-mente corrispondevano a quelli che adesso sappiamo essere rabdomiomi cardiaci e tu-beri corticali. Un altro personaggio di fondamentale im-portanza nella storia della sclerosi tuberosa fu Desire-Magloire Bourneville. Personalità poliedrica, nacque in Normandia nel 1840 ed ebbe una formazione medica prestigio-sa come allievo di Delasiauve e Jean Martin

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Pistoia, piazza San Francesco, monumento ai caduti (particolare)

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Charcot a Parigi (Gomez, 1995). Bourneville era un giovane medico impegnato nel miglio-ramento della sanità pubblica e fondatore della rivista “Le Progres Medical”. Nel 1879 descrisse il decesso di Marie, una ragazza di 15 anni con ritardo mentale, stati epilettici ricorrenti ed “una eruzione vascolare-papu-losa a livello del naso, delle guance, della fronte”. All’esame autoptico Bourneville de-scrisse tumori nodulari biancastri, della con-sistenza simile a patate, che protrudevano nei ventricoli cerebrali, definendoli “Scléro-se tubéreuse des circonvolutions cérébrales” (Bourneville, 1880/2003). Negli anni succes-sivi ebbe modo di descrivere ulteriori casi analoghi, riportando anche la presenza di angiomiolipomi renali, tanto che la sclerosi tuberosa verrà successivamente definita an-che “Sindrome di Bourneville”.Il parallelismo tra approccio neurologico e dermatologico alla definizione sindromica proseguì con l’ ulteriore definizione delle ca-ratteristiche fenotipiche del rash faciale. Nel 1885 i Dermatologi francesi Felix Balzer e Pierre Eugene Menetrier suggerirono per la prima volta che tale rash fosse associato ad un disturbo cognitivo (Balzer & Menetrier, 1885/2003). Nello stesso anno Halloppeau e Leredde associarono il rash con la presen-za di epilessia (Hallopeau & Leredde, 1885). Poco dopo John James Pringle, Dermatologo scozzese formatosi tra Edimburgo, Vienna e Parigi, direttore della sezione dermatologica della Royal Society of Medicine e editore del British Journal of Dermatology, fornì un’ulte-riore contributo alla definizione sindromica. Egli interpretò il rash faciale come tumore benigno delle ghiandole sebacee (nonostan-te la lesione sia invece di natura angiofibro-matosa). La sua importanza nella comunità scientifica contemporanea fu tale da conferi-re alla lesione l’eponimo di adenoma sebaceo di Pringle (Pringle, 1890/1995).

Inizia il ventesimo secolo: approfondimenti della patologia cerebraleNel 1901 il neuropsichiatra italiano Giovan-ni Battista Pellizzi dette un importantissimo contributo alla comprensione della neuro-patologia della sclerosi tuberosa, intuendo la natura displasica dei tuberi corticali, che distinse in tipo 1 (a superficie liscia) e tipo

2 (con depressioni centrali) e segnalando la presenza di dismorfismi della sostanza bianca e di eterotopie neuronali (Pellizzi, 1901/2003). Egli pubblicò i risultati delle sue ricerche in un saggio sulla “idiozia” (ritardo mentale), conquistandosi così il titolo di Di-rettore della Clinica Neuropsichiatrica di Pisa e Preside della Facoltà di Medicina dell’Uni-versità di Pisa. Alcuni anni dopo Gaetano Pe-rusini, già allievo di Alois Alzheimer, riportò la compresenza di lesioni cerebrali, renali e cardiache con l’angiofibroma del volto (Pe-rusini, 1905/1995). In dermatologia veniva-no contemporaneamente segnalati anche fi-bromi periungueali (Kothe, 1903).

Il riconoscimento della sindromeAll’inizio del ventesimo secolo fu per primo Alfred Walter Campbell ad ipotizzare che le sopracitate manifestazioni facessero parte di un’unica sindrome (Campbell, 1906/2003). In seguito, il neurologo tedesco Heinrich Vogt dette la definizione di “sclerosi tuberosa” e formulò una triade di criteri diagnostici- epi-lessia, ritardo mentale e adenoma sebaceo (“triade di Vogt”)- che, con largo consenso, avrebbe contraddistinto la sindrome nei de-cenni successivi (Vogt, 1906/2003). La stret-ta associazione con questa triade diagnostica fece tuttavia attribuire alla sindrome una gra-vità tale che i pazienti venivano considerati inevitabilmente minorati mentali con severe disabilità; fu inoltre coniato il termine di epi-noia- epilessia e anoia (assenza di pensiero)- (Jay, 2004), nonostante fossero stati descrit-ti anche pazienti con intelligenza normale (“forme fruste”) (Schuster, 1914/2003).

Un nuovo concetto: la facomatosiAll’inizio del ventesimo secolo, nonostante varie documentazioni della presenza della pa-tologia in tessuti diversi da cuore e cervello, la sclerosi tuberosa veniva ancora classifica-ta come malattia strettamente neurocutanea. Fino a quando non prese piede il concetto di “facomatosi”. Renè Lutembacher fu il primo a descrivere un caso di coinvolgimento pol-monare (la linfoangioleiomiomatosi, com-plicanza rara che colpisce esclusivamente il sesso femminile) (Lutembacher, 1918/2003). Fu inoltre suggerito che la sclerosi tuberosa, la neurofibromatosi e la Von Hippel-Lindau

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potessero essere classificate appunto come facomatosi, avendo tutte in comune la pre-disposizione a generare tumori multiorgano con potenziale trasformazione maligna (Van der Hoeve, 1932/2003).

Il Complesso Sclerosi Tuberosa (Tuberous Sclerosis Complex: TSC)Fino agli anni Trenta i principali studi clini-ci coinvolsero pazienti psichiatrici ricoverati in istituti. Se da un lato ciò inficiò il rico-noscimento delle “forme fruste” della ma-lattia, dall’altro fu tuttavia possibile valuta-re accuratamente tutta una serie di sintomi importanti. Nel 1932 MacDonald Critchley e Charles J.C. Earl descrissero sistematica-mente una coorte di pazienti internati in un istituto psichiatrico con macule ipomelanoti-che della cute ed autismo (Chrichley & Earl, 1932/1995). Nello stesso periodo nacquero le prime tecniche di neuroimaging. I rag-gi X permisero la visualizzazione di noduli intracranici calcificati (Marcus, 1924/2003), mentre la preumoencefalografia rivelò la pre-senza di noduli subependimali non calcifica-ti (Berkwitz, 1934/2003). Si giunse così, nel 1942, ad opera di E. Molteen, alla descrizione del “Complesso Sclerosi Tuberosa (Tuberous

Sclerosis Complex)”, basato sul concetto che la lesione fondamentale è di tipo “hamar-tial”, con tendenza all’evoluzione simil-neo-plastica (amartoma) o francamente tumorale (amartoblastoma)” (Molteen, 1942/2003).”

La contestazione della triade di VogtDopo la definizione del Tuberous Sclerosis Complex, si dovettero attendere ancora ven-ticinque anni prima che venissero rivoluzio-nati i concetti della triade di Vogt, che in-chiodava le persone con TSC all’inevitabile destino di sfortunate marionette. Nel 1967 J.C. Lagos e Manuel Rodriguez Gomez pub-blicarono un cospicuo numero di casi clinici, in cui si rilevava una percentuale del 38% di soggetti con normale intelligenza; inoltre essi osservarono che il ritardo mentale si manife-stava in stretta associazione con l’epilessia (Lagos & Gomez, 1967). Intanto Perot e Weir eseguirono i primi interventi neurochirurgici di resezione di tuberi corticali (Perot & Weir, 1966), mentre con studi più specifici si giun-se ad una miglior definizione della epilessia in sclerosi tuberosa. Nel 1975 Pampaglio-ne e Pugh notarono che il 69% dei pazienti soffrivano di spasmi infantili (Pampaglione & Pugh, 1975). Fu però ancora il lavoro di

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Pistoia, il “Parterre”

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Manuel Rodriguez Gomez a segnare un gran-de passo avanti nella definizione finale della sindrome. Divenuto Professore di Neurolo-gia Pediatrica presso la Mayo Clinic di Ro-chester, egli gettò le basi per la fondazione del Dipartimento di Neurologia del Bambino e dell’Adolescente. Nel 1979 pubblicò la mo-nografia “Sclerosi Tuberosa”, che rimase per più di 20 anni il testo di riferimento in questo ambito (Gomez & Manuel, 1979). La Tube-rous Sclerosis Alliance nel 1995 ha istituito in suo onore il Manuel R. Gomez Recogni-tion Award.

La nuova era diagnosticaNegli anni Ottanta il progresso in campo dermatologico migliorò il trattamento e la qualità di vita dei pazienti con sclerosi tube-rosa. L’angiofibroma faciale fu corretto con successo nel 1982 con il laser ad argon (Ar-

ndt, 1982), mentre gli spasmi infantili ave-vano assunto ruolo fondamentale (Dulac & Lemaitre & Plouin, 1984) e le possibilità dia-gnostiche delle lesioni intracerebrali si era-no perfezionate con il recente sviluppo della tecnica della Risonanza Magnetica (McMur-do et al., 1987). Inoltre, al numero dei tu-beri corticali fu attribuito il ruolo di fattore predittivo della gravità dell’epilessia e del di-sturbo cognitivo (Roach & Williams & Laster, 1987). Infine venne descritto accuratamente lo spettro fenotipico della malattia, tenendo conto della variabilità del coinvolgimento multiorgano. Fu confutata la triade di Vogt, con la dimostrazione che epilessia e disturbi mentali non fossero sintomi necessariamente presenti; grazie all’evoluzione delle tecniche diagnostiche la diagnosi divenne precoce ed affidabile.

Tabella 1Criteri diagnositici per Tuberous Sclerosis Complex (TSC)

Criteri maggiori• Angiofibroma faciale o placche della fronte• Fibromi periungueali o ungueali non traumatici• Macule ipomelanotiche (almeno tre)• Placche a zigrino (nevi tessuto connettivo)• Amartomi multipli nodulari retinici• Tubero/i corticali• Noduli subependimali• Astrocitoma subependimale a cellule giganti (SEGA)• Rabdomioma/i cardiaci• Linfangioleiomiomatosi• Angiomiolipoma renale

Minor features• Punteggiature multiple variamente distribuite dello smalto dentale• Polipi rettali amartomatosi • Cisti ossee• Disordini di migrazione nella sostanza bianca cerebrale• Fibromi gengivali• Amartoma/i non renali• Macchie acromiche retiniche• Lesioni cutanee a ‘‘confetto’’ • Cisti renali multiple

Modificata da Roach & Gómez & Northrup, 1998:

TSC definita: Due criteri maggiori oppure uno maggiore e due minori.TSC probabile: Un criterio maggiore ed uno minore.TSC possibile: Un criterio maggiore o due criteri minori.

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I progressi della genetica: dalla fine del XX secolo verso il futuroNegli anni ’80 e ’90 del ventesimo secolo gli studi su gruppi di famiglie misero in rilievo due sospetti markers genetici, localizzati sul cromosoma 9- TSC1 (9q34)- (Fryer et al., 1987) e sul cromosoma 16- TSC2 (16p13.3) (Kandt et al., 1992). Il gene TSC2 codifica per tuberina e fu isolato per primo, nel 1993, mentre il TSC1, codificante per amartina, sol-tanto nel 1997 (van Slegtenhorst et al., 1997) (European Chromosome 16 Tuberous Sclero-sis Consortium, 1993). La sclerosi tuberosa fu allora riconosciuta come sindrome autoso-mica dominante ad elevata penetranza e va-riabilità; circa due terzi dei casi inoltre furo-no identificati come sporadici, cioè risultanti da mutazioni de novo. Le mutazioni di TSC1 e TSC2 vennero interpretate con l’ipotesi del “second hit”, secondo la quale una mutazio-ne somatica (second hit) di TSC1 o di TSC2 potrebbe sommarsi alla mutazione sistemica (first hit) dello stesso gene, causando la per-dita totale della funzione genica; il “second hit” potrebbe verificarsi in qualsiasi tessuto, determinando così i diversi fenotipi clinici. Diversi gruppi di ricerca hanno investigato le funzioni di amartina e tuberina, scoprendo

che modulano la cascata mTOR che regola la proliferazione cellulare e quindi la degenera-zione tumorale (Tee et al., 2005).

ConclusioniAttualmente la sclerosi tuberosa è conside-rata un disordine neurocutaneo autosomico dominante caratterizzato dalla compresenza di amartomi a livello di vari organi. I crite-ri diagnostici della malattia sono stati ag-giornati sulla base della variabilità delle sue manifestazioni cliniche (Roach & Gomez & Northup, 1998) (Tabella 1). Ad oggi il tratta-mento della sclerosi tuberosa è sintomatico ma, grazie al progresso in campo genetico, sono in studio nuove possibilità terapeu-tiche, in particolare quelle inerenti farmaci che interferiscono con l’ mTOR pathway (es. rapamicina, everolimus). A 178 anni dai di-segni di Rayer sono stati compiuti molti passi in avanti nella storia della sclerosi tuberosa che, tuttavia, rimane ancora parzialmente in-compresa.

Per i riferimenti bibliografici rivolgersi alla sede dell’Ordine

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mednews dalla letteratura internazionalea cura di Gianna Mannori

La nuova sanità toscanaCome sarà strutturato il nuovo ospedale? Quali saranno i compiti dei medici del territorio? E dove e come saranno curati i malati? Il servizio sanitario toscano sta fronteggiando una cesura importante, un evento di riforma che non ha eguali nella storia recente. Gli ospedali cresciuti negli edifici del Trecento, dalle forme morbide e rassicuranti centrati nelle piazze e nel cuore delle città, il ‘dottore’ con cappello e borsi-na che si inerpica a sera per strade impossibili: questa è un’era ormai finita o che sta sfumando, è un mondo in transizione verso un modello nuovo, in buona parte ancora sconosciuto. La sanità di domani sarà rivoluzionata nelle sue strutture fisiche, nelle sedi e nei nomi dei re-parti e nell’indirizzo degli ambulatori. Ma non sarà solo questo. Sarà diverso il concetto stesso di offerta sanitaria, il ruolo del medico e perfino l’idea di cosa significhi cura e assistenza. Le storie raccontate nelle formelle robbiane del nostro ospedale, così capaci di carpire un fram-mento di sguardo in chi sale, in ansia o nel dubbio, gli scalini del loggiato e, in quell’attimo, così capaci di rassicurare e tranquillizzare, si riferiscono a concetti di malato e medicina sprofondati nel passato. La nuova sanità sarà diversa, assumerà una struttura che dovrà confrontarsi con aspettative di salute e cura cambiate negli anni in modo clamoroso ma anche con profili di risor-se umane ed economiche altrettanto nuove. Il risultato di questo cambiamento è un Leviatano i cui contorni appaiono indefiniti e preoccu-panti. Ma è quello che ci toccherà in tempi molto brevi e a cui, ormai, dobbiamo guardare.

Pablo Picasso, Scienza e carità, 1897, Barcellona, Museu Picasso

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MEDnewsdalla letteratura internazionale

L’idea di una ristrutturazione del sistema sanitario è nata in Tosca-na agli inizi degli anni duemila. Le prime linee guida in merito risal-gono al 2003; da allora, i servizi sono stati oggetto di un dibattito intenso svoltosi sia a livello regio-nale che all’interno delle comu-nità scientifiche e professionali. Da questo susseguirsi di analisi e discussioni è emersa una serie di documenti che, confluiti nel Pia-no Sanitario Regionale 2008-2010, hanno delineato la ristrutturazio-ne dei sistemi di cura ospedalieri e territoriali.La riforma si prefigge lo scopo di ottenere un’importante riduzione di spesa operando un migliora-mento di efficienza del sistema sa-nitario: il risultato finale non do-vrebbe essere un impoverimento dei servizi erogati ma, al contra-rio, una maggior qualità ed equi-tà. Si tratta di un progetto molto ambizioso, che riconosce essen-zialmente due principi ispiratori.Il primo ruota intorno alla con-sapevolezza che i bisogni di cura sono cambiati profondamente e l’offerta di sanità deve adeguarsi a una tipologia di malato molto diversa rispetto al passato. Il pro-

gressivo invecchiamento della po-polazione comporta l’esigenza di fornire un’assistenza sempre più integrata, in grado di far fronte a quadri di malattia multipli che coesistono per lunghi periodi di tempo: le patologie croniche sono sempre più attuali e l’anziano, co-lui che ne costituisce il portatore tipico, è persona bisognosa di as-sistenza multispecialistica. Per di più, il raggiungimento di un livello culturale più elevato ha aumentato le aspettative di salute della popolazione e i nuovi servizi devono essere in grado di offrire risposte adeguate. Da tutto questo è nata l’idea di fornire un’offerta sanitaria che risulti più centrata sulla persona e sulla complessità dei suoi bisogni rispetto a quanto avveniva in passato. Così, il me-dico non dovrà più lavorare da solo ma sarà parte di gruppi mul-tidisciplinari in cui si muoveran-no professionisti diversi, dotati di competenze e capacità specifiche. Da qui si apre il nuovissimo tema del rapporto fra le professioni sa-nitarie. In forza di una formazione universitaria sempre più differen-ziata e aperta alle figure ausiliarie, si propone uno schema di lavoro

NOTIZIE fLAsh

Il caso Stamina e la letteratura internazio-nale

Una storia italiana che ha coinvolto gli scienziati di tutto il mondo. Per due vol-te in meno di un mese la vi-cenda Stamina ha occupa-to le pagine di Nature, una delle riviste più rinomate nell’ambito della comunità scientifica internazionale. I toni usati in questa circo-stanza sono stati piuttosto insoliti per l’asciuttezza britannica che caratterizza le sue pagine: toni che non si erano più sentiti dai lon-tani anni novanta, quando la rivista decise di inviare una commissione speciale a verificare la correttezza scientifica di uno dei più rinomati laboratori di ricer-ca di Francia. Chi allora seguì il dibattito sulle basi scientifiche dell’omeopa-tia ricorderà che la com-missione voluta da Nature includeva un mago e un esperto di frodi scientifi-che e rammenterà anche che l’ispezione al centro di ricerca si concluse con la sua chiusura. In quel caso, si volle accertare la veridici-tà di affermazioni senz’altro discutibili da un punto di vista scientifico ma, se non altro, non dannose. Oggi è l’Italia a trovarsi sotto esa-me e i riflettori sono puntati su trattamenti che gli scien-ziati ritengono non etici e pericolosi. La vicenda ruota intorno all’uso terapeutico di cel-lule staminali prodotte dal-la Fondazione Stamina. Si tratta di preparazioni di cel-lule adulte di tipo mesen-chimale, in uso da anni per trattare pazienti terminali affetti da malattie degene-

Pistoia, Ospedale del Ceppo

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in cui il medico dovrà rapportar-si quotidianamente con profili ed esperienze professionali molto diverse dalla sua. Se, da un lato, questa proposta implica l’esigenza di creare strutture fisiche e orga-nizzative completamente nuove, essa comporta anche la necessità di produrre un cambiamento cul-turale importante nella mentalità di tutte le professioni sanitarie.L’altro elemento che ha ispirato la ristrutturazione della sanità è la ricerca di un maggior livello di efficienza dell’assistenza ospeda-liera. In linea con quanto è già avve-nuto e sta ancora avvenendo nei sistemi sanitari dei paesi più avanzati è prevalso il principio di organizzare i nuovi ospedali non più per reparti specialistici ma per aree funzionali. Secondo questo schema, il malato non accederà più a settori dell’ospedale dedicati al trattamento della sua specifica patologia, bensì ad aree devolute a fornire l’intensità di cura che è più adeguata alla sua problema-

tica medica. Esisteranno quindi aree funzionalmente omologhe, in cui si avvicenderanno figu-re sanitarie dotate di formazione specialistica diversa ma accomu-nate dall’obiettivo di fornire livelli di cura della stessa intensità. In tal modo si prevede di ottenere un miglioramento di efficienza del servizio ospedaliero, con un utilizzo più razionale di strutture fisiche e mezzi tecnologici e un notevole risparmio di risorse.Questi due criteri animatori si esprimono in un sistema di sani-tà fondato sul cosiddetto ambito di Area Vasta. In tale tipologia, le prestazioni sanitarie vengono erogate non più dalle singole ASL ma da associazioni di più aziende che lavorano in comune, appunto le Aree Vaste. Una volta a regime, le Aree Vaste in Toscana saranno tre: Centro (area metropolitana), Sud-Est, Nord-Ovest. Ogni Area Vasta sarà caratterizza-ta da un accorpamento sostanziale dei servizi, con centri organizzati secondo il criterio dell’intensità di

rative e da alcune patologie da accumulo. La maggior parte di questi pazienti, gravissimi, sono bambini piccoli. Fin dall’inizio della sua attività, la Fondazione Stamina è stata oggetto di critiche importanti in me-rito ai protocolli con cui procedeva all’isolamento e alla produzione delle sue cellule. Si ricorderà, per chi non ne fosse a conoscen-za, che nel nostro paese l’isolamento delle stami-nali per scopi terapeutici è riservato esclusivamente a laboratori speciali de-nominati ‘cell factories’. Si tratta di ambienti molto particolari, sia per caratteri-stiche strutturali che per la tipologia e la professionalità del personale che vi viene impiegato; per questo, la qualifica di cell factory a un centro di ricerca viene con-ferita esclusivamente dagli enti regionali, a garanzia di provata sicurezza delle procedure che conducono a preparazioni di cellule staminali libere da conta-minazioni. Ad oggi, niente di tutto questo è stato ap-plicato alle Stamina. Prepa-rate non certo in centri ac-creditati ma da un gruppo di professionisti itineranti in vari laboratori distribuiti sul territorio nazionale – an-che a San Marino, dove le regole sono più liberali che su suolo italiano – ed inse-guite da un procedimento giudiziario dopo l’altro che

Pistoia, rendering del nuovo ospedale di Pistoia “San Jacopo”

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cure. Dal punto di vista degli am-bienti fisici i servizi, sia ospedalie-ri che di territorio, non verranno più erogati rispondendo alla ri-chiesta spontanea di bisogni loca-li - come è avvenuto fin ora negli ospedali di Pistoia o di San Mar-cello - ma attraverso “percorsi” all’interno di Area Vasta. Non più ospedalini dappertutto che fan-no tutto ma strutture organizzate secondo complessità e intensità delle cure. I centri devoluti alla risoluzione di quesiti diagnostici o all’effettuazione di specifiche pratiche terapeutiche lavoreran-no “in rete” fra loro e il cittadino, per risolvere il proprio problema medico, dovrà fisicamente muo-versi in questa rete seguendo un iter rigidamente codificato. Quan-do il malato entra in uno di questi percorsi, è ovviamente necessaria un’opera di integrazione del la-voro svolto nelle varie tappe del percorso, nella quale dovrà avere un ruolo centrale l’infrastruttura informatica. I servizi che vengono rivisti più in profondità sono: Ospedale e territorio. I servizi ospedalieri vengono stra-tificati in Area Vasta su tre livelli di complessità:centri d’eccellenza. Sono costi-tuiti dalle aziende ospedaliere universitarie e gestiscono proble-matiche mediche e chirurgiche di alta complessità e alto costo. Per esempio, la chirurgia ritenuta “difficile” perché meno frequente oppure quella che si svolge in am-bito molto specialistico.‘Focussed hospitals’. Sono devo-luti alla risoluzione di problemati-che a bassa e media complessità. Possono avere un’organizzazione ambulatoriale o tipo Day Hospi-tal e avranno una distribuzione aziendale o interaziendale. Si è ipotizzato che possano essere so-

stenute da èquipe mediche itine-ranti, che si muoveranno a calen-dario fra i vari centri.Sedi ospedaliere ASL. Agli attua-li ospedali aziendali (ad esempio, l’ospedale di Pistoia) verranno af-fidati i casi di base che necessita-no di ricovero e che, quindi, non possono essere trattati in regime di Day Hospital. Si tratterà, in am-pia parte, di casi acuti (le emer-genze mediche e chirurgiche, la traumatologia, ecc.).Il punto centrale della nuova strutturazione dell’ospedale è che la degenza, sia in regime di ricovero o di Day Hospital, sarà limitata alla risoluzione della sola parte acuta della malattia. Tutte le fasi successive all’intervento me-dico urgente, come il decorso po-stoperatorio, l’assegnazione delle cure domiciliari o la riabilitazio-ne, non saranno più di pertinenza dell’ospedale (come è tradizio-nalmente accaduto fin ora) ma verranno delegate a strutture pre-senti sul territorio. Queste stesse strutture saranno anche responsa-bili di tutte le fasi di accertamen-

invariabilmente provvede-va alla sospensiva della produzione, queste cellule derivano da un processo di isolamento non codificato e mai reso noto alla comunità scientifica: costituiscono il prodotto finale del cosid-detto “metodo Stamina”, un rituale operativo che non è stato pubblicato perché, sostengono i responsabili della Fondazione, coper-to da diritti di brevetto. Gli stessi obiettivi terapeutici di queste cellule staminali non hanno riscontro in protocol-li consolidati, perché non esistono dati in letteratura che ne supportino l’uso in clinica. La voce degli scien-

ziati di tutto il mondo si leva sconcertata sulle pagine della stampa: ‘è alchimia’, è l’uso di pazienti (bambi-ni!) come se fossero cavie di laboratorio. Come giusta-mente rileva Nature con ta-gliente giudizio britannico, è comprensibile il motivo per cui il Vaticano ha soste-nuto pubblicamente l’uso di un prodotto tanto indecoro-so: l’etica è salva, perché le cellule Stamina vengono isolate da soggetti adulti e, come tali, non comportano la morte di embrioni. Però, si fa sperimentazione su bambini in fin di vita...

Abbott A. 2013. Stem-cell ruling riles researchers. Na-ture 495, 28 March: 418.Smoke and mirrors. 2013. Nature Editorial 496, 18 April: 269.

New York, Bellevue Hospital Center

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to diagnostico, sia clinico che strumentale, che precedono il ricovero. Il territorio, quindi, dovrà necessariamente andare incontro a un’imponente opera di ristrutturazione. Anch’esso sarà organizzato per centri:di Cure Primarie: poliambulatori in cui la-voreranno figure specialistiche mediche e ausiliarie (principalmente infermieri, far-macisti e fisioterapisti). Il medico di medi-cina generale dovrà avere il ruolo di coor-dinatore del lavoro interdisciplinare e, gra-zie alla “fusione” con il servizio di Guardia Medica, offrirà una presenza sul territorio in orario 8.00 – 24.00. Questi centri pren-deranno in carico il malato in modo glo-bale, svolgendo opera sia di ambulatorio che di organizzazione ed esecuzione delle terapie domiciliari; dovranno anche coor-dinarsi con i laboratori analisi e con le far-macie per la gestione e la distribuzione dei farmaci. Saranno responsabili di tutto quel-lo che avviene prima o invece rispetto al ricovero ospedaliero: dalla diagnosi, anche strumentale (si prevede di dotare i centri di una strumentazione diagnostica essen-ziale, almeno un ecografo), all’esecuzione di piccole pratiche terapeutiche ambula-toriali. Ma, soprattutto, si occuperanno di

gestire pazienti appena dimessi dal ricove-ro ospedaliero: dal decorso postoperatorio all’impostazione della terapia domiciliare e della riabilitazione.Di Cure Intermedie: saranno centri dotati di posti letto per la riabilitazione, le cure pal-liative, la cosiddetta continuità assistenziale intraospedaliera per pazienti per i quali non è possibile una dimissione tempestiva per motivi sociali o familiari.Servizio di Emergenza UrgenzaLa riforma della sanità prevede un enorme accentramento del servizio di emergenza in tre centrali operative uniche, una per Area Vasta, che gestiranno in via telematica tutta la rete territoriale di intervento. La struttura dovrà subire una riduzione di presenze del medico a favore di un potenziamento del personale infermieristico e di volontariato. In particolare, la figura del medico presente sull’automedica o sull’ambulanza sarà so-stituita, dove possibile, da quella di volon-tari addestrati.Laboratori (compresi la Genetica, l’Anato-mia Patologica e il Servizio Trasfusionale).Tutte le prestazioni non di routine saranno centralizzate nelle sedi di Area Vasta. A cari-co degli ospedali e dei laboratori di azienda rimarrà solo l’esecuzione degli esami di base.

Tokio, Kosei Nenkin Hospital

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Farmaci, ausilii e servizi di prevenzione. Ci sarà un’ulteriore contrazione della spesa devoluta a questi settori, con maggior coin-volgimento del medico di medicina genera-le.

Considerazioni conclusiveSu un tema così importante per complessi-tà e implicazioni ci riserviamo appena due spunti di riflessione, meritevoli di appro-fondimenti senza limiti.Il primo argomento riguarda il concetto di rete in cui si dovranno integrare ospedali, territorio e centrali di Area Vasta. Questo ri-chiede la creazione di importanti infrastrut-ture di sostegno dotate di grande comples-sità realizzativa. Ad oggi tali infrastrutture non esistono ed è temibile che la riforma prenda avvio facendo assegnamento su mezzi non sufficienti a garantire lo svol-gimento dei servizi sanitari essenziali. Un esempio importante di questo argomento è costituito dal rapporto fra ospedale e terri-torio. La riorganizzazione delle sedi ospe-daliere prevede che nei nuovi ospedali di Area Vasta ci sia una riduzione consistente del numero di posti letto: questi dovranno passare dall’attuale rapporto di 3.7 per mille abitanti a un valore di 3.15, con un tasso di occupazione dei letti superiore all’85%. Si propone che questa differenza assistenziale debba essere colmata dalle strutture territo-riali, vale a dire dai centri di Cure Primarie e da quelli per le Cure Intermedie. Queste strutture attualmente non esistono, saran-no sicuramente complesse da realizzare e i dettagli del loro funzionamento sono anco-ra da definire. Una seconda considerazione va riservata al tema del rapporti fra professioni. Nella nuo-va ristrutturazione si verificherà un pro-gressivo cambiamento nella figura del me-dico pubblico, che da unico artefice della gestione del paziente diventerà membro di un team di professionisti coinvolti nell’of-ferta di un servizio integrato. La creazione di gruppi di lavoro multidisciplinare è cosa molto complicata e non solo per motivi di cortile: in particolare, si pone il tema di qua-le sarà il profilo medico legale del profes-sionista. Fino ad oggi, il medico è sempre

stato caricato di tutta la responsabilità della cura del paziente e non è chiaro cosa suc-cederà al momento in cui l’atto diagnostico o terapeutico verrà suddiviso fra più pro-fessionisti. Basti citare, a questo proposito, l’argomento della responsabilità in pronto soccorso: in quest’area la fase, delicatissi-ma, di Triage è a oggi affidata a personale non medico, il cui profilo di responsabilità è ancora poco definito.Stesso problema si può porre per quanto riguarda il servizio diurno e notturno di emergenza, la cui gestione territoriale di-penderà quasi integralmente da personale non medico. Un’ultima considerazione, infine, è da ri-servarsi al disegno dei nuovi percorsi assi-stenziali. A fronte di una revisione così ra-dicale dell’erogazione dei servizi, è auspica-bile che le procedure cliniche della nuova struttura sanitaria abbiamo come rigoroso riferimento le indicazioni fornite dalla ‘evi-dence-based medicine’, perché è solo in tale contesto che il medico può trovare la certez-za delle proprie possibilità e impostare cor-rettamente il rapporto con il paziente. Nella rete assistenziale sarà importante definire linee guida condivise e concordate in base all’evidenza scientifica, che arrivino a copri-re il più ampio spettro possibile di specialità terapeutiche. Ci si chiede, su questo tema, quale sarà la linea adottata nei confronti della medicina complementare, una pratica medica ad oggi assai diffusa e ben accetta-dai malati ma non sostenuta dall’evidenza. Su questi e altri temi sarà opportuno pro-seguire nella riflessione prima di andare al varo di una riforma tanto promettente ma complessa: e incerta negli esiti.

M. Mauri et al. 2003. Principi guida tecnici, organizzativi e gestionali per la realizzazione e gestione di ospedali ad alta tecnologia e as-

sistenza. Rapporto conclusivo, supplemento al n.6 di ‘Monitor’, AGENAS.

AA.VV. 30 tesi sull’ospedale per intensità di cura. 2007. Toscana Medica.

AA.VV. 2008. Ospedalizzazione per intensità di cure. Toscana Medica.

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e allora facciamo qualcosaDott. Guido Benedetti, odontoiatra

Nel 2004 avevo conosciuto un’associazione il cui slogan era “Facciamo qualcosa”… in Africa.Partii con loro; e per una decina di giorni stet-ti a estrarre denti nella clinica di una grande città equatoriale, assieme ad altri colleghi, alcuni amici carissimi. Le persone venivano numerose ogni mattina – con il mal di den-ti – e noi cercavamo di fare qualcosa, gratis ovviamente, mettendoci al servizio dei loro bisogni per il tempo che avevamo deciso di dedicargli.Un giorno venne a cercarci un militare: il figlio di non so quale graduato aveva un ascesso. Ce lo portarono, saltando tutta la fila di persone in attesa, e il più esperto tra noi risolse il problema del ragazzo. Per ri-conoscenza, quella sera ci invitarono a una cena di gala per il fidanzamento ufficiale del-la figlia di un uomo ricchissimo.Ci andammo e fu una serata che non dimen-ticherò facilmente per quanto la festa era sfarzosa. Ma la cosa più interessante fu di certo quello che vidi fuori dalla villa: mentre in sud America e in altri luoghi ho sempre trovato una netta separazione tra i quartieri dei “ricchi” e gli slum, le baraccopoli, lì era diverso. Attorno a quella villa si ammassava-no catapecchie e ripari di fortuna, a cingerla come fosse stata un castello medievale con le sue borgate di contadini disperati e poveris-simi tutt’attorno.Parlandone, qualcuno mi disse: “Ma tu hai un’idea di quante persone aiuti e faccia la-vorare il proprietario di questa villa? E poi, guarda, se lui è stato capace di fare i soldi, di guadagnare e di arricchirsi, buon per lui. Semmai è un modello da ammirare, non da odiare”.Oggi non mi capita più di andare a “togliere denti” a giro per il mondo. Non lo faccio per molte ragioni; una tra tutte – forse l’ultima a cui avrei pensato anni fa – è che nove volte su dieci andare a fare il “dentista volontario

in un paese povero” non è altro che “eser-cizio abusivo della professione”; lo stesso abusivismo contro cui – giustamente – ci si indigna qui. Ogni paese ha le proprie regole e così come un medico straniero non può auto-maticamente lavorare in Italia, lo stesso vale anche per noi all’estero. Che si tratti di paesi poveri o meno non importa. L’ho capito leg-gendo “Illegal oral care: more than a legal issue” (Int Dent J 2010).Oggi mi capita spesso di ricevere messaggi di questo tipo: “Buongiorno, sono XXX, collega di YYY. Ho saputo che ti occupi di volonta-riato all’estero, mi puoi dire qualcosa di più? A quali associazioni posso rivolgermi? Gra-zie”. Oppure qualche studente viene a cer-carmi dopo le lezioni per lo stesso motivo.Mi permetto sempre di consigliare un artico-lo (che facilmente si trova su internet): “Vo-lunteering: beyond an act of charity” (JCDA,

LA MEDICINA DEGLI ALTRI

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2005). Per me fu illuminante e, nel settore odontoiatrico, anticipò di molto quello che soltanto adesso e non senza difficoltà si co-mincia a capire, a volte: la buona volontà non basta; saper fare qui non vuol dire saper fare là; se la nostra odontoiatria qui per pri-ma non riesce a rispondere ai bisogni degli ultimi non si capisce perché dovrebbe fun-zionare altrove; e altro.Al mondo sono più di 4 miliardi le persone che non hanno accesso ai servizi odontoia-trici; difficile che la soluzione sia quella di salire su un aeroplano e stivare un contai-ner pieno di riuniti (la poltrona del denti-sta). Non a caso l’Africa è piena di poltrone lasciate a marcire (e le persone continuano a confrontarsi con i propri problemi come possono).Allora, in genere, sento dire: “Sì, ma intanto abbiamo acceso una piccola luce nel buio, una persona in meno avrà mal di denti, ab-biamo fatto qualcosa”. Appunto, qualcosa.Che cosa penseremmo se un dentista sve-dese venisse a Ferragosto e a Natale in una periferia romana o in un paese della Brianza a curare i denti di quelle decine di milioni di persone che in Italia non accedono ai servizi odontoiatrici? Che cosa accadrebbe quando

se ne fosse andato via con la sua “astronave” di attrezzature? Che cosa sarebbe cambiato?E allora? È tutto sbagliato? No! Al contrario. Ma di certo possiamo fare qualcosa di più: possiamo affiancare alla buona volontà le competenze; possiamo imparare che quan-do si tratta di mettere in piedi un servizio odontoiatrico, se vogliamo che sia pertinen-te, efficiente, efficace, sostenibile, equo, non bastano attrezzature moderne e clinici esper-ti, non basta saper raggiungere, per fare un esempio tra i tanti, il “successo endodonti-co”. Se bastasse solo questo, allora da molto tempo saremmo riusciti a risolvere i proble-mi della bocca e dei denti qui in Italia, primo tra tutti il mancato accesso ai servizi.

Post scriptum: ho avuto la fortuna di viag-giare e lavorare in 14 paesi con molti amici e colleghi meravigliosi da cui ho imparato tan-tissimo. Questo breve scritto non è contro di loro; semmai per loro. Perché tutti, in qual-che modo, mi hanno lasciato “qualcosa”.

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LA MEDICINA DEGLI ALTRI

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L’ordine e la certificazionedei crediti formativi (e.c.m.)Egisto Bagnoni

Il sistema ECM ha superato il periodo di spe-rimentazione ed ha assunto l’organizzazione definitiva che si stabilizzerà nel tempo.Sia-mo arrivati all’accreditamento dei provider che hanno conseguito i requisiti richiesti dal-la Commissione Nazionale ECM.Sono’ stati anche istituiti un Osservatorio Nazionale ed Osservatori Regionali che dovranno vigilare anche attraverso “site visit”la qualità degli eventi formativi accreditati.Esiste già un Co-mitato di garanzia che vigilerà sui possibi-li conflitti di interesse sulla trasparenza dei finanziamenti.Il futuro è rappresentato dalla formazione a distanza che garantirà circa il 70% o l’80% del monte crediti.Anche i crediti conseguiti all’estero potranno contribuire per il 50% per l’azzeramento del debito formati-vo.Attualmente la FNOMCEO ha in program-ma per il 2013-14 la preparazione di ulteriori tre corsi FAD sulle cure palliative,sulla tera-pia del dolore e sulla contenzione.I piccoli Ordini Provinciali che non hanno le poten-zialità di diventare provider potranno fornire agli iscritti corsi fad blended messi a disposi-zione gratuitamente dalla FNOMCEO per gli Ordini che abbiano la possibilità di organiz-zarli nelle loro sedi.Esiste anche la possibilità che gli Ordini Provinciali aderiscano al pater-nariato con la FNOMCEO per l’accreditamen-to di eventi formativi progettati direttamente dagli stessi ordini.I piccoli Ordini Provincia-li avranno l’accreditamento gratuito per tre eventi all’anno.A fare data dal primo genna-io 2014 saranno chiamati obbligatoriamente alla certificazione per gli iscritti dei crediti formativi conseguiti nel triennio 2011-2013.Questo comporterà un notevole aggravio bu-rocratico perché non sarà un mero atto no-tarile di certificazione di crediti registrati sul portale COGEAPS o sui server Regionali ma trattasi invece di certificazione che a norma di legge dovrà garantire la congruità e la co-

erenza dei crediti conseguiti rispetto al piano formativo individuale. Tutto questo compor-terà la necessità di istituire una Commissio-ne ad hoc per una valutazione che presenta difficoltà e grossa responsabilità.

L’OPINIONE DEL PRESIDENTE

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«Il contatto col germe della tubercolosi non necessariamente determina la malattia tu-bercolare. Il bambino è poco contagioso, mentre chi infetta è l’adulto o l’ado-lescente. Il test per la ricerca del-la malattia deve essere praticato solo a chi ha avu-to stretto contatto col malato. Se il test è positivo non significa necessa-riamente malattia ed eventualmente verranno praticati ulteriori accerta-menti. A scuola il bam-bino malato può tornare appena ha iniziato la terapia e/o sono scom-parsi i sintomi cli-nici della malattia. L’infezione tuber-colare o la malat-tia tubercolare in un bambino in-

dicano la recente diffusione del germe nella comunità frequentata dal piccolo, la famiglia, la scuola o altro, perchè la fonte di contagio,

in genere, non sono i bambini, poco o per niente contagiosi, ma gli adulti e gli adole-scenti. I bambini con meno di 12 anni, infatti, raramente contagiano per-chè le lesioni pri-marie sono pic-cole, l’elimina-zione dei bacilli è scarsa e la tosse, se presente, è di modesta entità. Questo significa che più che dare la caccia ai con-tatti col bambi-no malato (vedi scuola), bisogne-rà cercare soprat-tutto i contatti con l’adulto ma-lato».

Tubercolosi a scuola

ATTUALITÀ

È ancora fresco il ricordo dell’episodio verificatosi qualche settimana fa alle ‘Civinini Arrighi’ a seguito della notizia di due casi di tubercolosi fra i bambini della scuola. La circostanza, pur essendo priva di pericolo significativo per la popolazione scolastica, creò preoccupazione nelle famiglie e il dott. Rino Agostiniani, responsabile del dipartimento materno infantile della nostra ASL, rese subito noto un comunicato chiarificatore sui rischi che la situazione poteva comportare. Ne riportiamo, di seguito, i punti salienti.

La voce della medicina, dunque, fu forte e chiara: i bambini affetti da tubercolosi non rap-presentano un pericolo per amici e compagni, quindi nessuna caccia all’untore. Ma le parole della scienza non furono abbastanza potenti da arginare l’irrazionalità e la violenza di chi non sa – e non vuol sapere. Pochi giorni dopo, al mattino, bimbi e maestre lessero attoniti gli estremi di una scritta razzista e infamante che nella notte qualcuno aveva impresso sui muri della loro scuola. Di quello stesso edificio che dovrebbe trasmettere messaggi di cultura e tolleranza…

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Ciò che è accaduto a Massa, forse anche a Pistoia e forse in altre ASL oggetto di indagi-ni, non è del tutto da ascriversi ai singoli protagonisti di queste vicende poco chiare; nel caso della nostra ASL in causa è Scarafuggi che personalmente non gode né della mia simpatia né della mia stima.È da ascriversi ad un sistema che è nato male, un sistema sbagliato.Permettetemi di fare un salto nel passato; io sono entrata in ospedale nel lontano 85 e quindi ho potuto vedere dall’interno cosa è accaduto, le modificazioni che si sono succe-dute.Mi accuserete senz’altro di fare dietrologia ma questo è il mio pensiero, il pensiero di una “parvenue” della politica, un’ingenua che vi chiedo di perdonare.In quegli anni era attivo il cosiddetto “comitato di gestione” che, bene o male, rappre-sentava proporzionalmente le forze politiche in campo. La sensazione era che tutto som-mato le cose funzionassero, che si cercasse di salvaguardare Pistoia, anche perché i com-ponenti erano pistoiesi e poteva sussistere un rapporto diretto con i cittadini. L’avvento della aziendalizzazione delle unità sanitarie locali è stata veramente una “Caporetto” per la sanità in generale. L’eccessivo verticismo ha creato figure inavvicinabili chiamate a rendere conto soltanto ai capi regionali.È mancato quindi un controllo locale della situazione; non sono stati previsti, forse vo-lutamente, enti preposti a questo compito. E da qui è stato possibile tutto; megaincarichi a figure esterne od istituti esterni perfettamente inutili, creazioni di strutture come cat-tedrali nel deserto, vedi i magazzini Estav che hanno amplificato la spesa farmaceutica, peggiorando la distribuzione dei farmaci (l’obiettivo sarebbe stato il miglioramento!); compravendite assurde, per esempio al tempo di Scarafuggi l’acquisto della ex-lavande-ria delle Terme di Montecatini, che non penso rientri nei bisogni logistici della ASL, ma in giochi più ampi ed oscuri. E l’elenco sarebbe molto lungo.Si è inoltre creato un sistema di potere locale dentro la ASL a protezione di tutto ciò, sistema difficilmente scardinabile ed autoreferenziale. E forse anche falsificazioni dei bilanci, e forse anche ladrocinio? Vogliamo essere fiduciosi e garantisti fino al 3° grado di giudizio!Certo non si è pensato molto al bene di Pistoia; e purtroppo devo constatare che anche adesso Pistoia rimane il fanalino di coda della sanità toscana, mi riferisco in particolare all’azzeramento attuale della scuola infermieri, perché di azzeramento si tratta checché se ne dica.E noi medici succubi del sistema, anche perché il dirigente che assume funzioni prima-riali deve essere confermato dal potere politico, e ben pochi si avventurano contro. Non parlo per i politici che secondo me ben conoscono tutto ciò; parlo per il popolo, per i cit-tadini che è giusto che sappiano la visione dei fatti di chi si trova tutti i giorni in prima linea e vive con umiliazione lo scempio delle risorse pubbliche.

Dott.ssa Carla BreschiMedico ospedaliero, consigliere comunale

È mancato un controllo locale della situazioneconsiderazioni sulla sanità toscana

LETTERE

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera della collega Carla Breschi

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I medici di medicina Generale di Bottegone rispettano l’art.5 del codice deontologico. Le loro determinazioni sulla centrale Repower.

Un Gruppo di Medici di Medicina Generale ed un Pediatra di libera scelta di Bottegone chiariscono la loro richiesta, rivolta al Sindaco di Pistoia, espressa in una Assemblea pubblica, a proposito della prossima costruzione, nel loro territorio, di una Centrale ter-moelettrica cogenerativa a gas naturale e del possibile impatto sullo stato di salute dei propri assistiti. Nei loro ambulatori affluiscono circa novemila assistiti di tutte le età, tutti residenti nelle immediate vicinanze del sito (ex Radicifil) in cui dovrebbe insediarsi la nuova Centrale a metano della Repower. Sottolineano che, adiacente a questa, insiste un sistema di depurazione per rifiuti liquidi speciali (Biodepur). Sono tutti medici che lavorano sul territorio e che, sia per il numero che per la distribui-zione dei pazienti, sono in grado e, soprattutto, sentono il dovere di poter valutare e sal-vaguardare lo stato di salute attuale di coloro che saranno chiamati, in maggior misura, ad affrontare gli eventuali ulteriori effetti di inquinanti ambientali e del cambiamento del microclima: tutto ciò potrebbe manifestarsi in seguito all’insediamento della nuova centrale. Premettono che non hanno elaborato statistiche o numeri e dati documentati da fornire dei loro pazienti, ma sono in grado di avere preoccupazioni e perplessità, derivate dall’analisi dei dati esistenti sulle loro cartelle informatiche e dal confronto pro-fessionale con i dati di colleghi di altre zone della provincia e della Toscana. Temono che l’INCIDENZA di alcune patologie (neoplasie, malattie a carico dell’apparato respiratorio, asma e BPCO, e malattie endocrine, specie a carico della tiroide) risulti assolutamente maggiore nel territorio di Bottegone rispetto a quelle dei colleghi di confronto.A queste preoccupazioni si aggiungono quelle derivanti dalla Relazione sanitaria dell’ASL 3, per l’anno 2011, che ha evidenziato l’aumento di alcuni tumori nel loro territorio.Le ricerche li portano a dare particolare importanza alle emissioni di biossido di azoto, che la centrale produrrà: 180 tonnellate di NO2 all’anno, che possono trasformarsi in polveri fini ed ultrafini(PM10, PM2.5 ed inferiori), che andrebbero ad aggiungersi a quelle ora prodotte nella città di Pistoia, che rappresentano, queste ultime, 1/6 all’anno, rispetto a quelle che verrebbero prodotte a Bottegone dalla Repower.Per l’ossido di azoto, le PM10, PM2.5 e le nano particelle, emesse da una Centrale coge-nerativa a gas naturale (metano), non è mai stata dimostrata la “non nocività” per la salute, né si trovano conferme nella letteratura scientifica.Pure la fragilità del territorio contiguo, Agliana e Montale, dove opera un inceneritore, del quale verranno studiate le ricadute sulla salute con un’indagine epidemiologica sui residenti e zone confronto, nonché i dati della centralina, posta in località Stazione di Montale, a pochi chilometri in linea d’aria da Bottegone, che ha già evidenziato 25 sfo-ramenti per le PM10, da inizio anno 2013, destano preoccupazione. Infine un recente lavoro scientifico, pubblicato su European Journal of Internal Medicine, ha evidenziato che gli ossidi di azoto e le PM10, emesse da una Centrale a gas naturale, rappresentano una potenziale minaccia per la salute delle persone che vivono vicino alla Centrale. Si è evidenziato che le concentrazioni medie di PM10 e NO2, dopo solo tre mesi di funzionamento di una Centrale a gas naturale, localizzata in Italia (Modugno, BA), sono risultate superiori a quelle antecedenti alla sua entrata in funzione.Per tutte le considerazioni precedenti, i Medici di famiglia di Bottegone si sono rivolti

LETTERE

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera dei colleghi di Bottegone

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al Sindaco di Pistoia, Samuele Bertinelli, che indicano, per mandato istituzionale, di doversi far carico della salute dei cittadini, con responsabilità maggiori di quelle del Di-rettore Generale di ASL3, del Direttore di ARPAT, e di qualsiasi altra Autorità in campo sanitario.Hanno chiesto:a: che si possa attuare un serio studio epidemiologico sullo stato di salute dei cittadini di Bottegone.b: che siano installate centraline fisse per la rilevazione del livello di inquinanti nell’aria (in particolare le polveri sottili), almeno una nella zona di Bottegone ed una in Città.Sentono il dovere, proprio in qualità di Medici, di chiedere che tale studio e tali rileva-zioni “siano effettuate prima di ogni decisione definitiva in merito alla Centrale Repo-wer”, in modo di poter valutare compiutamente l’impatto, positivo e negativo, sul loro territorio.Concludono affermando che la salute dei loro assistiti non è un bene negoziabile.

LETTERE

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La cITTÁ ImmaGInaTa

Piazza San Francesco (prima parte)Pierluigi Benedetti

PASSATO E PRESENTE

D’abitudine, camminando per le mie stra-de, cerco di immaginare su che cosa sto po-sando i piedi in quel momento.Per Via Curtatone e Montanara galleggio sull’acqua del primo fossato della città e toccando con le dita le pietre delle Mura, sfioro le mani ruvide di chi cavò quei sassi dall’Ombrone e li mise in opera. Negli spazi moderni, con fantasia audace e presuntuosa, vedo i luoghi antichi e rico-struisco con la mente la vita dei miei avi. Ricordandoli vivi, mi pare di rendere loro giusto onore di figlio.

C’era una volta un gran prato nel luogo, in cui oggi si apre Piazza San Francesco; e di

quel prato, in queste righe, seguirò le imma-ginate vicende da prima che vi fossero gli uomini, ed i soli abitatori del prato erano gli uccelli del cielo e gli animali del bosco, fino a quando “la fortuna volse in basso l’altezza” dei Romani ed iniziò per le nostre terre l’età del ferro e del fuoco. Nel prossimo numero del Bollettino prosegui-rà l’immaginata storia, che sia detto un’altra volta, è di pura fantasia, o quasi.

L’ETÀ ANTICAEra un prato immenso, aperto, in leggera sa-lita verso i monti; e, a primavera nei giorni di sole, doveva essere un posto meraviglioso, verdissimo per l’erba nuova e pieno di fiori.

Pistoia, PIazza San Francesco

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Esisteva da tempo immemorabile, molto pri-ma che gli uomini abitassero le nostre con-trade; perché gli alberi del bosco di cerri e di pini, rigogliosi e fitti sulle rive dell’antico lago, non potevano allignare in quel luogo per la troppa umidità del suolo; e lasciava-no aperta una vasta conca erbosa fra l’ultima

propaggine dei colli e un poggio affacciato sul lago.Il poggio era limitato ad est da un fiumicello, che i futuri abitatori di quei luoghi avrebbero chiamato Brana. Per vasto tratto il prato digradava da occi-dente ad oriente con leggera pendenza, dive-

PASSATO E PRESENTE

Pistoia, la fontana dello Specchio

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PASSATO E PRESENTE

nendo un ripido ciglione erboso sul fiume; e l’acqua, che affiorava fra l’erba da tanti pol-latrini, piccole risorgive, particolarmente ric-che nella stagione delle piogge, si raccoglieva in pozze e ruscelli.Nel prato vivevano molti animali e numerosi erano i nidi degli uccelli del lago fra le canne ed i ciuffi di giunchi.Di tutta l’acqua di quel mondo incontami-nato e primevo, rimane oggi un miserevole segno: una fontana, il cui nome ricorda l’in-fanzia ai più anziani fra i lettori: la Fonte del-lo Specchio, che forniva alla città la migliore di tutte le acque da bere ed era meta ogni giorno di numerosi Pistoiesi, che andavano a quella fonte per approvvigionarsene. Fino a non molti decenni fa quell’acqua, dalla sua nicchia di pietra, appartata e nascosta, qua-si una piccola grotta nel poggio coltivato a ulivi sopra la Brana, sgorgava abbondante e perenne, freschissima d’estate; oggi è ridotta ad un debole rivolo e la sua vista, per chi la ricorda com’era, fa stringere il cuore: sepolta fra le moderne costruzioni, sfregiata da un cartello rugginoso quasi illeggibile, che ne indica la non potabilità per il grave inqui-

namento della falda, stravolta dai moderni sbancamenti edilizi.

Genti venute forse dalla parte del mare, sta-bilirono la loro dimora su quel poggio e al-cuni secoli prima della nostra era, nel luogo, che corrisponde oggi a Piazzetta Romana e a Piazza dello Spirito Santo, crebbe un vil-laggio.Il posto si prestava bene per un insediamen-to umano: l’altura poteva essere facilmente difesa, il lago e il bosco permettevano un buon approvvigionamento di cibo; e in riva all’acqua, che nel tempo lentamente andava riducendo la sua estensione, c’era ottima ter-ra coltivabile.Nel III secolo avanti Cristo, il villaggio era di-venuto una piccola città, difesa da un fossato e da un muro, che a settentrione si affacciava sul prato.La strada, che usciva da quella porta delle mura e andava verso i monti, iniziava nel luogo oggi corrispondente più o meno all’ini-zio di Via Curtatone e Montanara e di Via Abbi Pazienza. Tagliava diritta attraverso l’erba ed era accompagnata per un bel tratto

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PASSATO E PRESENTE

dalla grande gora d’acqua dell’Ombrone, che alimentava il fossato delle mura.Dal prato un viottolo scendeva alla riva della Brana, una quindicina di metri più in basso, dove il fiume diveniva una piccola palude, che si poteva attraversare con una barca, ar-rivando ai prati e ai campi dell’altra sponda, aperti fino ai colli.Dall’alto ciglio del prato, facendo correre lo sguardo verso est lungo le mura, che segui-vano il dislivello della riva, si poteva scor-gere una lingua di terra fra la piccola palude della Brana e un grande lago esteso fin dove giungeva lo sguardo; e, sull’argine fra le due acque, una strada, si dirigeva a oriente, co-steggiando il lago.Era stato il Rio Diecine, un torrente, affluente nella Brana più o meno nel luogo dove oggi si apre Piazza San Bartolomeo, a formare quella striscia di terra con i detriti portati dai monti.Ad occidente del prato, oltre i campi e la ve-getazione selvatica, il profilo dei colli segna-va l’orizzonte; il passo di Serravalle era una semplice sella delle alture: il castello e le torri erano di là da venire.Erano tempi da noi tanto lontani ... o forse no ? Si tratta soltanto di una ottantina di ge-nerazioni: basta pensare al nonno del nonno,

del nonno, ecc…, per una trentina di volte, e ci si ritrova in famiglia.In quegli anni, quando un viaggiatore prove-niente dalle terre del nord si affacciava al cri-nale dei monti e guardava a meridione, se la stagione era buona e l’aria chiara, vedeva nel verde del piano una piccola città, sulla riva di una luccicante distesa d’acqua fra campi variegati per le diverse colture e macchie di boschi. Disceso al prato, già ammaliato dalla bellezza dei luoghi, arrivava alla porta ed en-trava in città per il ponte sul fossato, udendo insieme al rumore dei suoi passi il mormorio delle cascatelle per le quali l’acqua arrivava alla Brana.E chi, nato nella città, doveva andar lonta-no al di là dei monti, a cercar fortuna o sol-dato comandato in battaglia, il mormorio di quell’acqua e il verde del prato erano gli ul-timi ricordi della piccola patria, che portava con sé.

Nel corso dei secoli parecchi eserciti scelse-ro la via della Collina per scendere a sud e più che al paesaggio si interessarono all’im-portanza strategica della città, perché chiara-mente il luogo era forte, da prendere e tener con le armi, a difesa della via dei monti e del-la strada, che da Fiesole andava verso il mare

Battaaglia di Canne, Roma, Musei Capitolini

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È probabile che, nel maggio del 217 a.C., i soldati di Annibale la descrivessero come so-pra si è detto, al loro generale, impedito nella vista da una grave congiuntivite, che lo rese cieco da un occhio, quando, venendo dalla Valle del Po, giunsero al crinale, stremati da una marcia faticosa attraverso le valli appen-niniche.Discesi al piano, non si fermarono. Annibale sapeva che il tempo giocava a favore dei ne-mici in agguato lungo la via di Fiesole; e, per non rischiare l’esercito, ordinò che si pas-sasse attraverso terreni allagati: era piovuto molto in quella primavera e il lago aveva più acqua del solito. Fu una durissima marcia, nella quale perirono molti uomini e morì l’unico sopravissuto degli elefanti, che ave-vano valicato le Alpi: Surus, il migliore fra tutti gli elefanti da combattimento, come ci tramandano gli antichi scrittori. Dopo la fine dell’avventura di Annibale, che cambiò il destino di Roma e dell’Italia, e quindi del mondo, Pistoia fu rifondata dai Romani, e nel giorno dell’equinozio di pri-mavera, di un anno intorno al 189 a.C., un Augure tracciò in terra il segno del corso del sole da oriente a occidente e su quel segno, che corrisponde alla moderna Via degli Ora-fi, la città fu definita nei confini urbani e nel reticolato delle antiche vie parallele e orto-gonali fra loro, di cui rimangono tracce ben apprezzabili nella città moderna.Di Pistoia si parla pochissimo nella storia di Roma, segno che i Pistoiesi di quegli anni eb-bero una vita oscura, tranquilla e ordinata. Soltanto nel 62 avanti Cristo un avvenimen-to importante rese noto al mondo il nome di

Pistoia, tanto da scomodare Cicerone, Sallu-stio ed altri scrittori. Nel suo territorio fu di-strutto l’esercito di Catilina, e, forse proprio nel nostro prato, i superstiti della sfortunata rivolta si raccolsero, negli anni successivi, per ricordare ed onorare la memoria del loro capo, caduto da eroe sul campo.Durante gli anni del potere di Roma, infatti, il prato fu un’estensione del territorio urba-no, giardino forisportam per la città, campo marzio, luogo di mercato e di ritrovo per i cittadini: le mura delle città d’Italia, fino a quando i confini dell’impero furono lontani diverse centinaia di chilometri, ebbero più importanza come limes amministrativo che come baluardo militare.Il prato, in quegli anni, conobbe anche la vita umile degli ultimi e le inenarrabili fatiche de-gli schiavi, che, in quel luogo ricco di acqua corrente, lavoravano alla concia delle pelli e nelle tintorie, invidiosi della pur miserrima vita degli schiavi addetti ai lavori dei campi. Fu testimone del continuo via vai delle mili-zie adibite al controllo delle strade, per ren-dere sicuri i viandanti e i commerci. Si trattava di numerosi soldati perché la giu-risdizione di Pistoia era molto vasta, arrivan-do a nord al di là degli Appennini, ed a sud oltre i colli di sotto, al di là del padule di Fucecchio fino all’approdo di Massarella, da dove partiva una strada verso Roma. La mo-derna Diocesi Vescovile, modellata sulla di-visione territoriale romana, ripete molto più fedelmente della Provincia, quei confini. Di tutti quei soldati è rimasto ben poco: l’im-pronta di un sandalo chiodato da legionario su di un mattone, conservato nei sotterranei del Palazzo dei Vescovi.Non credo che quel soldato abbia pestato per caso o per gioco l’impasto fresco del la-terizio: m’immagino che stesse partendo con la sua centuria, per il confine della Scizia o della Libia, e volesse, in quel modo, lasciare un segno, una firma durevole su un pezzo della sua città; e vedo, nella mia mente, il fornaciao, che cosse e conservò il mattone in ricordo dell’amico che quasi certamente non avrebbe mai più incontrato. Non è impossibile che la fornace, dove fu cot-to quel mattone, fosse nel nostro prato, dove l’acqua per impastare l’argilla non mancava

Impronta di sandalo di legionario romano tratta da N. Rauty, Il

Palazzo dei Vescovi, vol. II, 19..

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nemmeno nei giorni più caldi dell’estate.Anche, se una parte della prateria, in quei tempi, era destinata a varie manifatture e ad attività commerciali, vasto era lo spazio che rimaneva aperto sul fiume; e nelle tepi-de serate di primavera diveniva luogo di pas-seggiate e di incontri; e per i ragazzi di allo-ra l’erba ed i cespugli erano terreno di giochi. Orazio, in una delle Odi più famose invitava, se mai ce ne fosse stato bi-

sogno, i giovani di Roma ai giochi ed ai con-vegni d’amore al calar della sera, nei prati lungo le rive del Tevere. Non credo che, nei prati lungo le rive della Brana, quando al tramonto le rondini rade-

vano l’acqua e le ombre si allungavano, le cose andassero diversamente:gli amori e i giochi dei giovani, nella primavera della vita, sono sempre stati, e sono gli stessi, in ogni tempo e sotto tutti i cieli.

Guercino e la scuola emiliana fra Sei e Settecento

Art Defender, società finalizzata alla custodia, conservazione e restauro di beni di pregio, ha ospitato nella sua sede di Bologna una straordinaria mostra dedicata a Guercino e alla scuola emiliana fra Sei e Settecento, con una selezione di capolavori provenienti dalla Pinacoteca Civica di Cento e ricoverati presso i suoi depositi a seguito del sisma dello scorso maggio. A sostegno dell’arte, della conservazione dei valori e della storia che essa rappresenta, Art Defender ha ideato quest’iniziativa che, oltre a permettere a collezionisti e amanti dell’arte di ammirare tali capolavori, ha rappresentato un momento di sensibilizzazione verso uno dei Comuni maggiormente colpiti dal terremoto e verso la sua Pinacoteca Civica, rimasta gravemente danneggiata e attualmente inagibile.Coloro che fossero interessati a sostenere la ricostruzione della struttura museale potranno far pervenire una donazione mediante bonifico su conto corrente bancario intestato a:

COMUNE DI CENTO - SERVIZIO TESORERIACODICE IBAN: IT 02 N 06115 23415 000000003640

Causale: Restauro della Pinacoteca

L’ORDINE DEI MEDICI PER L’ARTE E LA CULTURA

Guercino, Madonna con bambino, 1629, Cento, PInacoteca Civica