ACQUA POTABILE E ACQUA IRRIGUA Storia e prospettive per … · La situazione precedente vedeva una...
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MESE DELLA CULTURA 2018 - Davoli, 27 gennaio 2018
ACQUA POTABILE E ACQUA IRRIGUA
Storia e prospettive per la Calabria e lo Ionio catanzarese
Paolo Veltri, UNICAL1 – Giuseppe Viggiani, SoRiCal2
PREMESSA Il seminario odierno si inquadra nell’ambito delle attività che la Lega Navale Italiana, sezione di Davoli (CZ),
dedica all’erosione, intesa nell’accezione originaria di lenta asportazione, graduale consumo e proprio in tale
senso riferita prima ad aspetti antropologici, poi all’arretramento della linea di costa, fino alle risorse naturali
e, quindi, all’acqua.
Il termine “erosione della risorsa idrica” è certamente non convenzionale fra gli addetti ai lavori, più avvezzi a
discutere di erosione causata dalle acque e, quindi, nel significato tecnico di asportazione di suolo.
Lo stesso termine, però, ben si adatta a descrivere un contesto – quello della Calabria e del catanzarese in
particolare – in cui, pur verificandosi un consistente ricambio della risorsa idrica (la piovosità della regione è
elevata), gli usi scorretti dell’acqua e l’insufficiente pianificazione hanno dato luogo, negli ultimi decenni, a
diverse storture. Le quali, più di recente, si sono manifestate con maggiore evidenza e con conseguenze più
gravose sugli utenti a causa della riduzione delle precipitazioni.
L’attenzione sarà focalizzata sull’uso irriguo e potabile, con alcuni riferimenti all’uso idroelettrico che, in molti
casi, non è disgiunto dai primi. I caratteri delle utilizzazioni irrigue e idropotabili sono stati determinati in
maniera evidente dalle vicende storiche della nostra regione e dall’intervento dello Stato nel secondo
dopoguerra.
ALLE ORIGINI: LA CASMEZ Lo stato del settore idrico potabile e irriguo in Calabria - e, quindi, anche nella provincia di Catanzaro – è
segnato principalmente dalle vicende storiche dell’Italia del secondo dopoguerra, a differenza del settore
idroelettrico, che aveva conosciuto un grande sviluppo fin dagli anni ’30.
La situazione precedente vedeva una regione a pelle di leopardo, con aree e città discretamente servite
rispetto ad altre in cui gli interventi post unitari avevano prodotto risultati molto parziali e tutt’altro che
soddisfacenti.
1 Professore Ordinario di Costruzioni Idrauliche e Direttore del Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università della Calabria 2 Ingegnere Idraulico Sorical, Sostituto Ingegnere Responsabile delle Dighe dell’Alaco e del Menta
Una data di riferimento è il 1950, quando da una idea del meridionalista Pasquale Saraceno nacque la Cassa
per il Mezzogiorno (CASMEZ): fu approvata la legge 646 del 1950 per un intervento straordinario che riuscisse
a modernizzare il Sud, indietro dai tempi dell’Unità d’Italia e con fortissima disoccupazione.
La CASMEZ fu poi chiusa trentaquattro anni dopo con risultati e giudizi controversi.
Finalmente l’acqua arrivò nelle case delle città, dei paesi, delle contrade. Le immagini delle donne con i secchi
sulla testa, che ogni giorno dovevano raggiungere pozzi superficiali o sorgenti lontane, via via lasciavano il
posto alle cronache con foto di opere grandiose, quali dighe, traverse, pozzi profondi, serbatoi interrati o
pensili, grandi scavi per condotte di irrigazione nelle campagne e nei terreni sottratti da poco al latifondo dalla
recente riforma agraria. Il Sud ebbe una evidente modernizzazione, nel campo acquedottistico e irriguo in
particolare.
Gli investimenti della Cassa furono possibili con fondi in parte nazionali, in parte della BEI, in parte (minima)
della Banca Mondiale; nel 1993 a essa subentrò l’Agensud, che passò le opere - compiute e incompiute - alle
Regioni meridionali, attraverso un processo né facile, né indolore, in quanto anche il capitale umano fatto di
tecnici e maestranze di grande valore fu solo in parte assorbito dalle regioni, a causa dei pensionamenti. Alla
data di chiusura dell’Agensud, si stima vi fosse stato un investimento complessivo per il Sud pari a 140 miliardi
di euro.
I primi 15 anni della Cassa furono senz’altro positivi, il declino ebbe un lungo parto che alcuni datano già al
1965, quando cioè l’azione della Cassa fu condizionata dalla politica.
In quegli anni, il modello che era nella mente della Banca mondiale era quello americano degli anni trenta della
Tennessee Valley Authority, ritenuto valido per industrializzare il comparto agricolo e per generare migliaia di
posti di lavoro. Tuttavia, gli obiettivi dell’industrializzazione del Sud furono messi a fuoco in un secondo tempo,
in quanto la grande industria del Nord non gradiva nel Sud doppioni di industrie.
I giudizi furono più che positivi per l’azione dei primi anni, decisamente meno per il seguito: “La Cassa fu una
grande cosa per il Mezzogiorno, ha fatto acquedotti, fognature in centinaia di comuni” ma, secondo il
meridionalista Gerardo Marotta, c’era più di una cosa che non andava: «…quelle valigette cariche di banconote
per corrompere i funzionari di turno, con la compiacenza dei politici corrotti...». Il regime delle concessioni,
dapprima per la costruzione, esteso poi anche alla progettazione delle opere, se da un lato rese possibili
accelerazioni e semplificazioni delle procedure, finì per creare, dall’altro, un sistema di favoritismi e alimentò
un diffuso clima di corruzione. “(…) questa magnifica legge del 1950 prevedeva che gli enti locali potessero
evitare la gara: si potevano dare gli appalti attraverso trattative dirette in concessione (…) le concessioni erano
regolate da una legge del '29. All’epoca si giustificò la cosa, sostenendo che il ministro ai lavori pubblici era
Mussolini: con la sua 'lungimiranza' avrebbe scelto le ditte adatte”, è sempre Marotta che parla “(…) si
precipitarono quindi nel Sud le industrie del Nord, che fecero man bassa per la costruzione delle dighe: ne
spuntarono dove erano utili e non dove non lo erano. Venivano a costare anche 100 volte più del dovuto (…);
andai da diversi professori universitari, per segnalare il problema: mi risposero di non fare il don Chisciotte».
Esiti, dunque, controversi e risultati sui quali ancora oggi la critica sociale e politica si divide: dighe inutili e
spreco di tanto danaro pubblico per alcuni, opere importanti – magari non correttamente studiate e
progettate - per altri; origine dell’abbandono dei paesini e svuotamento dei vecchi centri storici per altri,
ancora, fine della civiltà contadina… Non è facile addentrarsi in questa polemica, attorno alla quale si sono
costruiti decenni di dibattiti, né è questa la sede per farlo.
Per quello che qui interessa, si parlerà di acqua potabile e irrigazione.
I PROGETTI SPECIALI Nella seconda fase del suo intervento, la Cassa operò attraverso i cosiddetti Progetti speciali, introdotti con la
legge n. 853 del 1971, che combinò gli interventi nel Mezzogiorno nel contesto della programmazione
economica nazionale, nel senso che i progetti dovevano essere coerenti con essa.
La successiva legge n. 183 del 1976 modificò le procedure stabilendo che "i progetti speciali sono predisposti
(...) dalle regioni meridionali o dal ministro per gli interventi straordinari nel mezzogiorno previa elaborazione
progettuale e tecnica della Cassa e degli enti a essa collegati”. La realizzazione dei progetti speciali fu affidata
alla Casmez, autorizzata a eseguire gli interventi a suo totale carico, anche in deroga alla legislazione vigente.
I progetti speciali furono in tutto 30. Il primo gruppo di progetti speciali per l'utilizzazione delle risorse idriche
venne deliberato dal CIPE nel 1972, mentre in una fase successiva il CIPE riformulerà l'insieme dei progetti
idrici fino a coprire l'intera area di intervento della Cassa per il Mezzogiorno, compreso il PS n. 26 per la
Calabria.
L’impostazione originaria del PS26 era basata sulla divisione della Calabria nei tre sistemi Settentrionale,
Centrale, Meridionale, che nasceva dalla più o meno esplicita coincidenza dei bacini idrografici, come è
riportato in tutte le cartografie dell’epoca. Il concetto di suddivisione in bacini fu poi solo parzialmente
confermato dai Piani d’Ambito della legge 36/94 (Legge Galli) relativa al Sistema Idrico Integrato (SII). Tale
rigidità andava a impattare con il ritardo con cui i tre grandi sistemi si ponevano al momento della
programmazione, con il sistema Settentrionale più attrezzato rispetto agli altri due.
Una delle parole più ricorrenti nei numerosi documenti di programmazione del PS26 era “intersettorialità”,
intesa come strumento di intervento basato su uniche analisi demografiche, sociali, infrastrutturali, destinate
poi a programmi e progetti nel settore irriguo, potabile, industriale.
Le ipotesi, in gran parte errate sullo sviluppo demografico e assai ottimistiche riguardo al settore irriguo e
industriale, condussero all’individuazione di aree industriali e agricole di difficile modernizzazione, con
conseguente errato rapporto risorse idriche/fabbisogni.
Negli schemi idrici intersettoriali, il riferimento ai valori unitari era attorno a 5000 m3/ha per le aree irrigue e
ai valori del PRGA del 1967 per gli usi potabili. Basti qui ricordare la previsione della popolazione residente,
ipotizzata in crescita dai 2,20 milioni di abitanti del 1971 ai 3,59 milioni previsti per il 2010, mentre è ben noto
che a oggi la popolazione della Calabria è scesa a meno di 2,0 milioni di abitanti. Ciò generò una serie di
previsioni e investimenti nel settore idrico che oggi andrebbero profondamente rivisti e aggiornati, all’interno
di un Piano regionale delle acque, magari a partire dalla proposta di revisione del PRGA, elaborato dall’UNICAL
circa 10 anni fa.
La Calabria fu divisa in dodici Aree Programma, di cui la n. 6 e la n. 8 sono quelle che interessano la fascia jonica
catanzarese. All’origine, le risorse irrigue erano quasi esclusivamente fluenze, mentre quelle potabili erano
sorgentizie, basate sul vecchio testo “Le sorgenti italiane”, edito nel 1941 dal Ministero dei LL.PP. Le sorgenti
censite erano oltre 19.000, per una portata totale stimata pari a 35 m3/s; tuttavia, gran parte delle sorgenti
erano state studiate non in periodo di magra e di esse, inoltre, circa 14.000 avevano portata inferiore a 1 l/s.
La Cassa fece un’indagine campione su un numero consistente di sorgenti e pervenne alla previsione che la
portata di 35 m3/s doveva essere ridotta del 40%. Questa riduzione, unita alla richiamata esiguità delle portate
della maggior parte delle sorgenti, indirizzò la programmazione verso un complessivo Piano di
normalizzazione, che si concretizzò nella divisione della Calabria in dieci zone; la V zona è quella che riguarda
lo Ionio catanzarese. L’analisi condotta per il Piano di normalizzazione mise in luce che soltanto 87 comuni su
406 risultavano provvisti di impianti che consentivano dotazioni idriche più o meno sufficienti: a esclusione di
Cosenza e Catanzaro, il resto della Calabria viveva un drammatico disagio idrico.
Il modello seguito dalla Cassa, in conclusione, fu di basare tutta la programmazione sull’analisi della domanda
e sulla ricerca di una possibile disponibilità idrica, attestata preliminarmente sulle esistenti sorgenti, le
maggiori delle quali furono infatti quasi tutte captate.
Successivamente, in attesa di realizzare i grandi impianti a serbatoio, si moltiplicarono i prelievi dalle “sub
alvee” (risorse idriche sotterranee disponibili in prossimità o all’interno degli alvei fluviali). Parte di questo
stato di cose è quello tuttora in essere, che resta largamente basato sulle opere realizzate fino agli anni ’70,
comprendenti 150 acquedotti regionali e numerosi (e generalmente più vetusti) acquedotti comunali.
LA GESTIONE SORICAL Il complesso degli acquedotti regionali comprende oggi 470 sorgenti, 11 derivazioni da corso d’acqua, due
dighe, 290 pozzi, 16 impianti di potabilizzazione, circa 5000 km di condotte, oltre 1000 serbatoi, oltre 2000
punti di consegna, per un volume annuo complessivo di 270 milioni di metri cubi.
Gli altri acquedotti (comunali o di diversa proprietà o gestione) erogano invece circa 150 milioni di metri cubi,
pari al 35% del totale.
Le maggiori innovazioni per le opere regionali - rispetto agli anni 70-80 - hanno riguardato le derivazioni da
invasi eseguite dalla società di gestione sopraggiunta nel 2004, la Sorical, alla quale furono affidate le opere
regionali, mentre la distribuzione urbana e gli acquedotti comunali restarono nelle competenze delle
Amministrazioni comunali.
Sorical ha avviato e completato le fasi preliminari di riempimento degli invasi dell’Alaco e del Menta. L’Alaco è
attualmente utilizzato per il Vibonese e la Piana di Gioia Tauro, mentre è imminente l’avvio dell’adduzione dei
volumi invasati nel Menta per Reggio Calabria.
LA FUNZIONE FONDAMENTALE DELLE DIGHE Fra le opere idrauliche, le dighe hanno una notevole importanza quando in un territorio/regione, pur in
presenza di un quantitativo di risorsa globalmente sufficiente in anno medio oppure su base pluriennale, la
pioggia risulti distribuita durante le stagioni in maniera discontinua, tale cioè che ve n'è abbondanza in alcuni
periodi e scarsità in altri. Questo è proprio il caso della Calabria, che può godere in anno medio di una piovosità
sufficiente a soddisfare le diverse esigenze potabili, irrigue, industriali, ma ha necessità di accumulare la risorsa
per poterne poi modulare l'uso nel corso dell’anno.
Basti osservare, a questo riguardo, che il Crati, il principale corso d’acqua calabrese, ha alla stazione di misura
di Conca una consistente portata media annua di 26 metri cubi al secondo, ma la portata media del mese di
agosto è di appena 3 metri cubi al secondo3.
Per queste ragioni, si ricorre agli invasi, che accumulano nei periodi di maggiore offerta (piovosità) e
restituiscono nelle stagioni di minore disponibilità.
La diga è un manufatto di contenimento e può essere di diverso materiale - dalla terra al cemento armato, alla
muratura semplice, a contrafforti - e spesso si assimila al termine diga quello che è l'invaso che essa determina
a tergo. Un invaso può volersi per scopi diversi.
- Usi irrigui, normalmente l'invaso esplica il suo servizio distributivo nella stagione primaverile estiva, cioè da
maggio a settembre alle nostre latitudini e ai nostri climi; sono invasi che, per il fatto di distribuire acqua in 4
- 5 mesi all'anno, accumulano risorsa nei restanti mesi.
3 Dati relativi al periodo 1926-1966 in cui è stata in esercizio la stazione di misura di Conca
- Usi potabili, in questi casi è richiesto all'invaso di modulare per tutti i giorni dell'anno la disponibilità della
risorsa con la domanda, funzione che viene esplicata facendo uso di curve di regolazione e mediante il
trasferimento dell'acqua attraverso le adduttrici ai serbatoi comunali.
- Usi industriali, in questi casi è frequente che l'invaso sia a servizio di poli e aree industriali e la stessa risorsa
può non avere i caratteri di qualità richiesti nei due casi precedenti.
- Usi idroelettrici, nei casi in cui gli impianti cosiddetti a serbatoio (gli altri impianti sono quelli cosiddetti ad
acqua fluente) modulano la richiesta di produzione di energia idroelettrica tramite gli invasi. La Sila ha un
sistema di laghi pensati addirittura prima della grande guerra, ripresi poi dopo e portati a termine anche dopo
gli anni sessanta del secolo scorso.
- Laminazione delle piene, sono serbatoi che possono essere costruiti a uso esclusivo di laminazione delle piene
oppure, il più delle volte, associano la loro funzione ad altre.
- Usi multipli, si hanno quando un serbatoio è chiamato a svolgere più funzioni, come a esempio nel caso dei
laghi silani, nei quali una quota prestabilita di portata è riservata per usi potabili, lasciando il resto della risorsa
agli usi idroelettrici.
È utile restringere il discorso alle cosiddette Grandi Dighe che, secondo la Legge n. 584 del 1984, sono quelle
che hanno altezza non inferiore a 15 m oppure invasano non meno di 1,0 milione di metri cubi4.
In Italia, le Grandi dighe sono 538, con età media di circa 60 anni: i periodi di più intensa costruzione si
collocano fra le due guerre e fra gli anni 50 e 90 del secolo scorso; negli ultimi 20 anni si può dire che in Italia
la costruzione delle dighe si sia fermata. Gli invasi a scopo idroelettrico sono ben 313 e sono localizzati
prevalentemente nell’arco alpino; seguono poi gli invasi a scopo irriguo, in numero di 139 e poi quelli potabili,
che sono 40. In termini di volumi autorizzati, invece, al primo posto ci sono gli invasi a uso irriguo, che invasano
poco più di 8500 milioni di metri cubi sui complessivi 13700: questa apparente discrasia è dovuta al fatto che
parecchi invasi alpini a scopo idroelettrico hanno volumi contenuti, mentre quelli a scopo irriguo, per la loro
stessa natura, richiedono grandi volumi. È peraltro significativo che delle 13 dighe attualmente in costruzione
in Italia ben 10 siano a scopo irriguo.
Le dighe in Calabria Relativamente alla Calabria, le Grandi dighe sono 25 e quelle a scopo idroelettrico risalgono principalmente al
periodo precedente e immediatamente successivo al secondo conflitto mondiale, quando responsabile
dell’energica elettrica era la SME (Società Meridionale Elettrica), le cui opere passarono nel 1963 all’ENEL nel
programma di nazionalizzazione dell’energia elettrica. Con la successiva privatizzazione degli ultimi decenni,
le stesse opere – cioè dighe e invasi – sono diventate proprietà di soggetti privati.
Escludendo dalle 25 dighe calabresi quella di Gigliara Monte perché in dismissione, l’esame delle restanti 24
dighe indica quanto segue:
11 invasi a scopo idroelettrico
5 invasi a scopo irriguo
1 invaso a scopo potabile
7 invasi a scopo plurimo.
4 “Le Grandi dighe in Calabria”, Principato G., Falco editore, 2015
Nel loro complesso, le dighe calabresi forniscono una capacità d’invaso di oltre 483 milioni di metri cubi, ma
per ragioni legate alla manutenzione si perde quasi il 10% della risorsa. In maggiore dettaglio, si ritiene utile
fornire elementi aggiuntivi sulle dighe che ricadono nel territorio della ex provincia di Catanzaro.
Diga di Sant’Anna
È una diga a scopo irriguo, collaudata nel 1991 e ubicata nel comune di Crotone, ha un’altezza di poco inferiore
a 20 m e invasa poco più di 16 milioni di metri cubi.
Diga del Passante
La diga del Passante, a scopi idroelettrici e potabili, prende nome del fiume sbarrato (che a valle diventa Alli),
ha un’altezza di 71 m e un volume di regolazione di 35 milioni di metri cubi, con una capacità di 1,60 milioni di
metri cubi destinati alla laminazione. Il bacino interessa i comuni di Taverna e Sorbo San Basile.
L’opera ha iniziato gli invasi sperimentali nel 1979 ed è entrata in ordinario esercizio nel 1995.
Il sistema del Passante - comprendente anche le traverse Simeri 1, Simeri 2, Ferro e Ortica – comprende due
salti (di 323 e 427 m) in corrispondenza delle centrali idroelettriche di Albi e Magisano. Dalla restituzione del
secondo salto, si diparte una galleria dalla quale le portate, derivata l’aliquota per l’uso irriguo nel bacino del
Simeri, raggiunge le vasche di demodulazione di Magisano, nella gola del Fiume Alli. Da esse ha inizio
l’acquedotto principale di Catanzaro, che comprende un articolato sistema di impianti di sollevamento e di
potabilizzazione, integrato da pozzi.
Diga dell’Angitola (o di Monte Marello)
È una diga a uso plurimo, prevalentemente irriguo ma anche potabile, situata nel territorio della provincia di
Vibo Valentia; l’invaso è a servizio di una superficie irrigabile di oltre 4000 ha nel territorio della piana lametina.
La diga ha altezza di circa 30 m, è stata collaudata nel 1973, ha un volume di regolazione di 14 milioni di metri
cubi e una parte non trascurabile – pari a 4,6 milioni di metri cubi – può essere destinata alla laminazione delle
piene.
Diga dell’Alaco
La diga dell’Alaco, alta oltre 51 m, invasa oltre 31 milioni di metri cubi, è a uso potabile, servendo circa 90
comuni nelle province di Reggio Calabria, Catanzaro e Vibo Valentia. È attualmente gestita dalla SoRiCal.
Diga del Melito
Un discorso a parte merita la diga del Melito, i cui lavori, iniziati oltre trenta anni fa, sono stati poi sospesi. La
diga prevista era di circa 110 m di altezza, con un volume di invaso di 106 milioni di metri cubi, a scopo irriguo
e potabile e con una capacità di 4 milioni di metri cubi destinati alla laminazione. L’area di invaso è nel comune
di Gimigliano (CZ). Se realizzata, sarebbe fra le più grandi opere di sbarramento italiane in materiale sciolto.
L’interconnessione con altre dighe e con gli attuali schemi irrigui e potabili consentirebbe l’irrigazione di 16.000
ha e l’eliminazione dei consistenti prelievi di falda per l’approvvigionamento potabile dei comuni del lametino.
Il Consorzio di Bonifica dello Ionio catanzarese, cui fu affidata la gestione dell’appalto e che da anni sta
conducendo una serrata battaglia per riaprire i cantieri, ha organizzato recentemente un convegno per
ridestare l’interesse della politica e del mondo produttivo.
È però il caso di evidenziare come nella vicenda di questa grande opera incompiuta si racchiudano in maniera
esemplare le tante ombre che hanno connotato una stagione nazionale e regionale di scelte approssimative.
Il finanziamento originario era di oltre 500 miliardi di lire. A oggi, risulta portato a compimento solo il 10% dei
lavori, l’impresa aggiudicataria, la ditta Astaldi, rifiutò l’appalto, le aree espropriate continuano a essere
abitate. Attualmente l’area occupata dal cantiere è abbandonata, così come lo sono i macchinari. La fattibilità
tecnica dell’opera andrebbe riesaminata, sia perché il progetto originario era lacunoso, sia perché nel
frattempo le norme tecniche e ambientali sono molto mutate, sia perché i costi sono decisamente lievitati,
sia, ancora, perché l’interconnessione con le opere irrigue e potabili - eseguite o in programma – deve essere
validamente approfondita.
Sulla possibilità di ripresa dei lavori, dunque, pesano numerose incertezze e soltanto un Piano Acque a uso
plurimo – ossia che inglobi gli aspetti potabili, quelli irrigui e quelli di altra natura – potrebbe essere lo
strumento per una scelta consapevole. Né risulterebbe indolore la scelta di non eseguire la diga, in quanto
sarebbe necessario bonificare l’intera area su cui si è finora intervenuti.
IL SETTORE IRRIGUO Il comparto irriguo è quello sul quale si richiede uno degli interventi più urgenti, per almeno tre ragioni:
l’agricoltura è uno dei settori prioritari per l’economia calabrese, i consumi irrigui sono decisamente maggiori
di quelli potabili (possono essere anche il 60% del complessivo consumo), è quello in cui la mole degli
investimenti potrebbe essere la più consistente.
La Regione Calabria ha un Piano Irriguo Regionale5, nel quale è fotografata l’attuale situazione e indicate anche
le linee di sviluppo. I consorzi irrigui regionali sono 11, divisi ciascuno in distretti. La superficie irrigata è di poco
superiore a 29000 ha, il volume stagionale irriguo è di poco inferiore a 280 milioni di metri cubi, fra canali
irrigui e canali di scolo la rete irrigua è di circa 520 km.
CONSORZIO DI BONIFICA SUPERFICIE
ATTREZZATA (ha)
SUPERFICIE IRRIGATA
(ha)
VOLUME STAGIONALE (m3)
Canali Irrigui manutentati
(km)
Integrale dei Bacini dello Ionio Cosentino 19 531.00 8 300.00 120 000 000.00 7.00
Integrale dei Bacini Settentrionali del Cosentino 9 212.00 2 739.00 18 000 000.00 6.00
Integrale dei Bacini Meridionali del Cosentino 6 000.00 1 011.00 3 782 610.00 3.00
Integrale dei Bacini del Tirreno Cosentino 4 786.00 3 644.00 0.00
Ionio Crotonese 18 529.00 5 143.00 86 085 055.00 32.00
Ionio Catanzarese 8 000.00 3 500.00 20 000 000.00 50.00
Tirreno Catanzarese 5 078.13 1 489.00 8 957 833.00 35.00
Tirreno Vibonese 1 620.00 1 620.00 8 092 224.00 20.19
Tirreno Reggino 5 200.00 636.00 4 000 000.00 0.00
Alto Ionio Reggino 3 786.00 530.00 14 774.40 0.00
Basso Ionio Reggino 3 152.00 499.00 9 979 200.00 n.p.
TOTALI REGIONALI 84 894.13 29 111.00 278 911 696.40 153.19
Irrigazione: dati 2017
5 URBI Calabria (2015) per gentile concessione del dott. Mazzonello
CONSORZIO DI BONIFICA CANALI DI COLO MANUTENTATI
(km)
N. INTERVENTI DI MANUTENZIONE ALTRE
INFRASTRUTTURE DI BONIFICA
Integrale dei Bacini dello Ionio Cosentino 46 136
Integrale dei Bacini Settentrionali del Cosentino 11.3 3
Integrale dei Bacini Meridionali del Cosentino 13 0
Integrale dei Bacini del Tirreno Cosentino 8.1 0
Ionio Crotonese 92 0
Ionio Catanzarese 100 0
Tirreno Catanzarese 53 3
Tirreno Vibonese 30 0
Tirreno Reggino 3 0
Alto Ionio Reggino 9.6 0
Basso Ionio Reggino n.p. n.p.
TOTALI REGIONALI 366 142
Interventi infrastrutture di bonifica
Lo Ionio catanzarese è organizzato in 8 distretti irrigui, con una superficie irrigata di 2835 ha e una portata
media di 4.3 metri cubi al secondo, distribuiti per tramite di 450 km di condotte, 50 km di canalette, 4 vasche
di compenso e una vasca di demodulazione sul Fiume Simeri.
Dati relativi allo Ionio catanzarese
Gli interventi strutturali da eseguire comprendono sia quelli relativi all’integrità e alla sicurezza delle reti, sia
il completamento del sistema con relative interconnessioni.
L’ammodernamento delle reti richiede anche il ricorso a tecnologie sia in ambito metrologico (telemisura,
telecontrollo e strumentazioni di misura per la tariffazione), sia agro-meteorologico (monitoraggio).
In ambito energetico, oltre ai necessari interventi di risparmio, si rileva che i sistemi irrigui alimentano anche
8 centrali idroelettriche, con una produzione di 8.5 milioni di kWh (2017).
Sono invece in progetto 27 nuovi impianti, con una produzione prevista di 84 milioni di kWh.
CONSORZIO DI BONIFICA DENOMINAZIONE IMPIANTO IN
ESERCIZIO POTENZA kWh
Integrale dei Bacini dello Ionio Cosentino
Centrale Idroelettrica Torrente "Cino" in agro Comune di Corigliano Calabro 1 450
Integrale dei Bacini Settentrionali del Cosentino
Impianto Idroelettrico Pianette 92
Impianto Idroelettrico Procitta 935
Impianto Idroelettrico Esaro 1 634
Integrale dei Bacini Meridionali del Cosentino
Cosenza 38.64
Mucone 195.50
Ionio Crotonese Centrale Mini Hydro "Camporaso" 250.00
Ionio Catanzarese "La Petrizia" 550.00
TOTALE 4145
Sistemi irrigui: impianti idroelettrici in esercizio (dati 2017)
L’ACQUA PER USO POTABILE: stato attuale e transizione verso il SII La comprensione dello stato attuale del servizio idropotabile in Calabria richiede la conoscenza di alcuni fattori
essenziali e spesso misconosciuti.
In primo luogo, una compiuta pianificazione delle opere idropotabili - ancora assente in Calabria - deve tener
conto della circostanza che i fabbisogni per usi civili sono oggi ampiamente soddisfatti dalle opere esistenti
(dighe comprese) e, anzi, la maggior parte dei comuni calabresi gode di dotazioni idriche ampiamente
eccedenti i normali valori.
Per quantificare questo fenomeno, si può fare riferimento al relativo strumento di pianificazione, cioè il già
citato Piano Regolatore Generale degli Acquedotti, redatto circa 10 anni fa, mai approvato dalla Regione, né
emendato se e dove necessario – di conseguenza, per motivi temporali, già bisognoso di revisione.
Il PRGA indica, per la Calabria, una disponibilità di 13000 l/s di portata media annua, a fronte di una dotazione
nominale di 7200 l/s. Ne consegue un surplus di 5800 l/s, pari all’80% della dotazione nominale stessa!
Da precisare che gli acquedotti regionali forniscono circa il 70 % dei volumi idrici, mentre quelli comunali o di
diversa proprietà forniscono il restante 30 %.
I comuni con deficit di portata sono appena 72 su 409 (recenti accorpamenti esclusi), peraltro tutti di piccola
dimensione, e infatti con un deficit complessivo di soli 134 l/s, in qualche caso dovuto a una inaccurata
indicazione delle portate fornite dalle amministrazioni comunali.
L’eccesso di risorsa idropotabile è, in misura non trascurabile, un frutto delle già citate previsioni
clamorosamente errate del Piano Regolatore Generale degli Acquedotti del 1967 e del PS 26.
Cosicché, a titolo di esempio, la città di Catanzaro – con una previsione di 126.000 abitanti nel 2015 (e oltre
44.000 fluttuanti!), contro i reali 90.000 – si trova oggi ad avere una dotazione idrica quasi doppia rispetto a
quella corretta, prossima a 600 litri per abitante al giorno immessi nella rete. Tale surplus contrasta con la
carente distribuzione idrica urbana della città. In altri termini, la pur sovrabbondante portata immessa nella
rete non è sufficiente a garantire una erogazione adeguata.
Il caso di Catanzaro è rappresentativo di quello degli altri comuni capoluogo e di molti altri centri abitati della
regione che risultano sovra-forniti ma presentano una carenza nella distribuzione urbana (generalmente
affidata agli stessi comuni).
Cosicché, una pianificazione che dovesse oggi fare riferimento alla convenzionale sequenza “stima della
popolazione-calcolo dei fabbisogni-progettazione delle nuove opere”, condurrebbe (con le debite eccezioni)
alla paradossale indicazione di dover dismettere alcuni degli acquedotti esistenti anziché realizzarne di nuovi.
Ciononostante, viene da più parti (e dalle amministrazioni comunali stesse) invocato l’aumento delle forniture
idriche dagli acquedotti regionali, quando non perentoriamente richiesto in sede giudiziaria, eventualmente
accompagnato da accuse di interruzione di pubblico servizio!
Quali le ragioni di una simile distorsione?
La sovra-fornitura come mezzo per il differimento degli interventi sulle reti urbane Dopo quasi 15 anni di gestione delle risorse idriche regionali, So.Ri.Cal. ha osservato che il surplus idrico, in
molti casi, non è stato utilizzato negli ultimi decenni per soddisfare i fabbisogni di una popolazione crescente
(circostanza che raramente si è verificata), ma, piuttosto, allo scopo di limitare gli interventi sulle reti urbane.
In altri termini, alla riduzione delle dispersioni idriche o alla modernizzazione delle reti, i comuni hanno
sostituito – per motivazioni diverse – l’immissione di volumi d’acqua sempre maggiori, che hanno finito poi
con l’essere nuovamente insufficienti dopo un tempo più o meno breve, determinando nuove pressanti
richieste di portata.
Esemplificativo, in tal senso, è il caso della città di Reggio Calabria che gode di una dotazione idrica di oltre 500
litri per abitante al giorno e presenta un surplus di portata di 460 l/s (dati PRGA), neanche sufficiente, come
negli altri capoluoghi calabresi, a garantire una erogazione adeguata, indice di una rete urbana interessata da
notevoli criticità. La città attende l’avvio dell’esercizio dell’Acquedotto del Menta, che sarà uno dei maggiori
della regione. La portata derivata dall’invaso del Menta, nelle previsioni, è finalizzata a consentire la
dismissione di numerosi pozzi costieri, causa di una intrusione salina tale da richiedere l’esercizio di un
impianto di dissalazione. Una portata, quindi, destinata a superare storici problemi di qualità.
In recenti esternazioni dell’Amministrazione comunale, tuttavia, si invocava l’avvio dell’esercizio
dell’Acquedotto del Menta come soluzione al problema quantitativo della carente erogazione idrica urbana.
Non si può non osservare, al riguardo, che il valore di 460 l/s della portata media annua che sarà a breve fornita
dall’invaso del Menta è, per puro caso, coincidente con il surplus di portata di cui già gode la città. Una felice
occasione, quindi, per raddoppiare il surplus di portata di Reggio Calabria, in modo da garantire qualche altro
lustro di mancati interventi sulla rete di distribuzione urbana.
La situazione di carente gestione della distribuzione urbana è confermata dalla circostanza che i pochi Comuni
che hanno agito - anche parzialmente - sulle reti, hanno giovato quasi sempre di notevoli riduzioni delle
dispersioni idriche e miglioramenti nella distribuzione. Si possono citare, fra i Comuni che hanno richiesto il
supporto di Sorical: Reggio Calabria, Cosenza, Nicotera, Frascineto, Locri, San Sosti – che hanno giovato di
interventi significativi – e numerosi altri in cui, con analisi preliminari, Sorical ha riscontrato criticità notevoli.
Questa circostanza è sostanziale perché testimonia il fatto che l’acqua potabile, in Calabria, c’è, ma, in molti
casi, non occorre captarla da sorgenti, pozzi o invasi artificiali perché si trova già nei centri abitati.
Coerentemente con questo stato di fatto, la Regione Calabria ha avviato 5 progetti di “ingegnerizzazione” delle
reti per i comuni capoluogo. I progetti, pur con oggetto esulante dalle competenze assegnate alla società di
gestione degli acquedotti, furono redatti con il supporto di Sorical proprio in considerazione del fatto che
adduzione e distribuzione idrica non possono compiutamente essere trattate separatamente – quasi una
anticipazione della futura transizione verso la gestione unitaria. I progetti comprendono una fase di studio,
nella quale devono essere individuati gli interventi sulle reti, oggetto della seconda fase dei lavori. Gli interventi
sono da stabilire secondo precisi criteri di risoluzione di specifiche criticità, dovendosi escludere generici
“ammodernamenti” non supportati da analisi idrauliche ed economiche.
Sorical sta partecipando attivamente anche alla prima fase dei progetti.
Stato degli acquedotti e riduzione della disponibilità idrica per siccità Lo stato delle reti urbane non esclude certo che molto, comunque, occorra fare per gli acquedotti esistenti, la
maggior parte dei quali ha raggiunto o superato il normale periodo di esercizio – un intervento complessivo
difficilmente inferiore al miliardo di euro.
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, non occorre procedere alla captazione, alla derivazione o
all’emungimento di nuove risorse idriche ma, piuttosto, a rendere il sistema acquedottistico più elastico,
affidabile e in grado di soddisfare i (corretti) fabbisogni anche nei periodi di siccità.
Proprio nell’anno trascorso (2016), la siccità si è manifestata, in alcune aree della regione, con gravità mai
registrata negli ultimi 15 anni. In particolare, la Calabria settentrionale ha raggiunto i maggiori livelli nella scala
della siccità espressa in termini di Standard Precipitation Index, ossia i livelli “Severa” e “Grave”, anche con
riferimento a un intervallo temporale ampio (12 mesi)6.
A esempio, nella stazione pluviometrica di San Sosti, prossima alle sorgenti captate dall’Acquedotto
Abatemarco, la pioggia caduta da dicembre 2015 a dicembre 2016 è stata di appena 884 mm, contro una
media annua di 1650 mm.
Di conseguenza, l’Acquedotto Abatemarco, il maggiore della Calabria, è quello che ha avuto la maggiore
riduzione di portata sorgentizia (circa il 30% in meno rispetto alla normale portata dell’acquedotto),
determinando una notevole carenza idrica per i 25 centri alimentati, compresa Cosenza – unico capoluogo
calabrese a non essere alimentato da serbatoi artificiali e quindi più vulnerabile rispetto alla riduzione delle
piogge.
Proprio a Cosenza, l’intervento di Sorical a supporto della gestione della rete di distribuzione urbana e una
diversa modalità di utilizzazione dei serbatoi cittadini hanno permesso non solo di limitare gli effetti della
siccità nei quartieri tradizionalmente più critici, ma addirittura di conseguire un notevole aumento delle ore di
erogazione negli stessi. Un notevole beneficio per la popolazione interessata, ma anche una nuova e più ampia
prospettiva di risoluzione definitiva in relazione al progetto di ingegnerizzazione in corso.
Va evidenziato che, anche nel periodo di massima carenza idrica, la fornitura alla città di Cosenza era di molto
maggiore rispetto al valore nominale. Negli ultimi mesi, poi, si è osservato un modesto aumento delle
precipitazioni nella Calabria settentrionale, che ha per il momento consentito di incrementare la portata
addotta, senza per il momento mutare le prospettive di scarsa disponibilità idrica anche per la prossima
stagione di magra (agosto-novembre).
La siccità è invece in aggravamento nei versanti ionici e sulle Serre catanzaresi, raggiungendo a esempio il
livello “Severo” nel 2016 a Serra San Bruno, in prossimità dell’invaso dell’Alaco.
In questo contesto, assumono rinnovata importanza, quale soluzione necessaria, le derivazioni da invasi
artificiali per l’idropotabile.
Fra le scelte più concrete, si devono menzionare:
- l’integrazione del sistema Alaco con i deflussi dell’invaso del Metramo;
- la derivazione dei deflussi del Lago Arvo per Cosenza, con riattivazione contestuale dell’impianto di
potabilizzazione di Piano Lago;
- la derivazione dei deflussi dal Lago di Ariamacina per l’integrazione estiva dell’Acquedotto della Sila Greca.
6 Elaborazioni dell’Ing. Fabio Zimbo (www.meteoincalabria.it)
Le ultime due ipotesi sollevano il problema della sottrazione di volumi idrici all’uso idroelettrico, che è
contemplato dalla normativa, ma, se non è previsto nei titoli di concessione, richiede onerosi indennizzi per la
mancata produzione di energia.
Il ricorso ai serbatoi artificiali per il potabile, peraltro, è ancora oggi oggetto di polemiche, basate per lo più su
luoghi comuni molto radicati. Fra di essi, è molto persistente la convinzione che l’approvvigionamento da invasi
possa facilmente essere sostituito dalla captazione di sorgenti montane, che il pensiero comune associa a una
migliore qualità, quando non a proprietà benefiche per la salute, in contrasto con le acque potabilizzate dei
serbatoi artificiali che sarebbero invece da evitare.
Per allontanare questi luoghi comuni, è utile menzionare la circostanza che, nei territori alimentati dall’Alaco,
le sorgenti disponibili – con portata di almeno 5 l/s e non già utilizzate – hanno una portata complessiva di
appena 70 l/s, che occorrerebbe captare con una moltitudine di opere fra loro molto distanti e quindi costose,
a fronte di una portata fornita dall’invaso di oltre 300 l/s!
Il caso di Catanzaro Diversa è la situazione di Catanzaro, che, come già descritto, trae alimentazione idrica dall’invaso del Passante
(Acquedotto Simeri-Passante). Proprio il caso del capoluogo di regione, tuttavia, può chiarire come, anche in
presenza di risorse idriche sovrabbondanti, possano determinarsi – a causa degli acquedotti e prima ancora
dell’immissione nelle reti urbane – significativi malfunzionamenti.
Le opere, realizzate circa 40 anni fa, privilegiarono clamorosamente l’uso idroelettrico rispetto a quello
potabile. Infatti, mentre le portate derivate sono addotte alle centrali di produzione con un articolato sistema
di gallerie, l’aliquota di portata da adibire a scopo potabile viene rilasciata a bassa quota e nella gola del fiume
Alli.
Le conseguenze sono del tutto negative. In primo luogo, il rilascio a bassa quota massimizza la produzione
idroelettrica, ma rende necessari onerosi sollevamenti oggi a carico di Sorical. In secondo luogo, la condotta
adduttrice percorre per oltre 10 km l’alveo del Fiume Alli, restando esposta alle piene del corso d’acqua che,
negli ultimi anni, hanno causato ingenti danneggiamenti, prolungate interruzioni dell’erogazione idrica per il
capoluogo e onerosi ripristini da parte di Sorical.
La realizzazione di nuove gallerie consentirebbe di superare il problema, restituendo altresì alle opere
acquedottistiche lo stesso rango di quelle idroelettriche.
Lo Ionio catanzarese: un caso di efficace approvvigionamento da pozzi Altri casi, come quello del territorio dello Ionio catanzarese, evidenziano invece come risorse idriche
inizialmente ritenute provvisorie continuano ad assolvere efficacemente la propria funzione. Lo Ionio
catanzarese è infatti alimentato dallo stesso Acquedotto Simeri-Passante a dai Pozzi Corace fino a Catanzaro
Lido e, più a Sud, dal minore Acquedotto Maiorizzini (per i centri collinari e Copanello) e dai Pozzi Ancinale (per
le marine di Montauro, Montepaone, Soverato, Satriano, Davoli, S. Andrea Apostolo dello Ionio).
Nelle previsioni iniziali, la zona avrebbe dovuto essere raggiunta dall’Acquedotto Alaco, del quale,
effettivamente, fu realizzato un ramo ionico con relativa galleria di valico esteso anche verso Sud fino a
Guardavalle Marina.
I Pozzi Ancinale, ubicati a ridosso dell’alveo del corso d’acqua omonimo, furono realizzati quale fonte
provvisoria, in attesa del completamento del sistema dell’Alaco. Attualmente, in assenza delle gronde
dell’Alaco e dei deflussi dell’invaso del Metramo, la portata derivata e potabilizzata è interamente destinata al
versante tirrenico.
Di conseguenza, i Pozzi Ancinale continuano a soddisfare efficacemente l’intero fabbisogno della zona,
essendo in grado di fornire oltre 170 litri al secondo e rivelandosi una risorsa stabile e di qualità buona, in
analogia con i numerosi altri pozzi regionali ubicati in prossimità delle fiumare, non interessati da fenomeni di
intrusione salina. L’attenzione, per questi campi pozzi, si sposta invece sulla vulnerabilità, trattandosi di
emungimenti da falde superficiali.
In occasione della realizzazione di un impianto di depurazione in prossimità dell’alveo dell’Ancinale, a monte
del campo pozzi, Sorical ha infatti prescritto che il rilascio dei reflui depurati avvenga a valle dei pozzi stessi.
Per quanto riguarda, invece, la distribuzione urbana nei centri dello Ionio catanzarese, il quadro è analogo a
quello sin qui descritto, con dotazioni in molti casi largamente eccedenti i normali valori.
Conclusioni Per quanto riguarda il settore idropotabile, le conclusioni cui si perviene sono precise e sufficientemente
generalizzabili: occorre intervenire su quasi tutti gli acquedotti, ma ha tecnicamente senso farlo solo
parallelamente agli interventi sulle reti urbane.
La risposta, che il legislatore ha individuato fin dal 1994 con la Legge Galli e che in Calabria diventa ancora più
impellente e sostanziale, risiede nell’unificazione della gestione delle acque a scopo idropotabile, nota come
Servizio Idrico Integrato.
Il SII dovrà comprendere il ciclo completo delle acque potabili, ossia: captazione, derivazione o emungimento
della risorsa, potabilizzazione, adduzione, accumulo, distribuzione, fatturazione, collettamento e depurazione.
Il SII deve essere finanziato dalla stessa tariffa idrica, posta a carico non più dei Comuni, ma dei singoli utenti,
andando a correggere uno dei fattori maggiormente limitanti le attività di Sorical.
L’impellenza e la sostanzialità del problema non sono valse, sinora, l’individuazione del soggetto unico gestore,
né di quella rappresentanza di sindaci designata, quale governo del settore, come Autorità Idrica Calabrese.
Il settore idropotabile, contestualmente, dovrà essere parte prioritaria di una pianificazione complessiva e
intersettoriale, estesa agli usi irriguo e idroelettrico, con particolare riguardo agli usi plurimi.
Lo strumento quantitativo necessario è il bilancio idrico, che deve contemplare sia le previsioni di disponibilità
idrica (bilancio idrologico), sia gli usi in essere e quelli previsti.
La normativa pone in capo all’Autorità di Bacino l’onere della definizione e dell’aggiornamento periodico del
bilancio idrico del bacino (art. 3 c. 1, L. 36/94), (D.L.vo n. 152/2006). Sulla base delle risultanze del bilancio, le
Autorità di Bacino adottano poi misure per la pianificazione dell'economia idrica in funzione degli usi cui sono
destinate le risorse (art. 3 c. 2, L. 36/94).
Allo stato attuale, il bilancio idrico risulta parziale, così come il quadro delle concessioni, con conseguenti
conflitti e indeterminatezze sull’uso delle risorse allo stato attuale e nel prossimo futuro.