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La voce dell’ordine di Pistoia Rivista dell’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Pistoia Quadrimestrale - Anno X - n° 31 - settembre 2015 – Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane Spa sped. abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1, DCB/PO” settembre 2015 – n. 31 SCOPRI L’AMORE Prendi un sorriso regalalo a chi non l’ha mai avuto. Prendi un raggio di sole fallo volare là dove regna la notte. Scopri una sorgente fai bagnare chi vive nel fango. Prendi una lacrima posala sul volto di chi non ha mai pianto. Prendi il coraggio mettilo nell’animo di chi non sa lottare. Scopri la vita raccontala a chi non sa capirla. Prendi la speranza e vivi nella sua luce. Prendi la bontà e donala a chi non sa donare. Scopri l’amore e fallo conoscere al mondo. Gandhi

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La voce dell’ordine di PistoiaRivista dell’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Pistoia

Quadrimestrale - Anno X - n° 31 - settembre 2015 – Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane Spa sped. abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1, DCB/PO”

settembre 2015 – n. 31

SCOPRI L’AMORE

Prendi un sorrisoregalalo a chi non l’ha mai avuto.

Prendi un raggio di solefallo volare là dove regna la notte.

Scopri una sorgentefai bagnare chi vive nel fango.

Prendi una lacrimaposala sul volto di chi non ha mai pianto.

Prendi il coraggiomettilo nell’animo di chi non sa lottare.

Scopri la vitaraccontala a chi non sa capirla.

Prendi la speranzae vivi nella sua luce.

Prendi la bontà e donala a chi non sa donare.

Scopri l’amoree fallo conoscere al mondo.

Gandhi

Filippo PaciniFilippo Pacini, medico anatomista e patologo, nacque a Pistoia il 25 maggio 1812 in via di San Prospero, strada che dal 1896 è intitolata a Pietro Bozzi e dove, oggi, una lapide al n. 10 ricorda l’evento. Non ancora laureato in Medicina, scoprì nel 1835 i recettori cutanei che portano il suo nome (vedi articolo nel Bollettino n. 20 del dicembre 2011).Dopo la laurea approfondì le ricerche in campo istologico e anatomo-patologico, utilizzando un microscopio costruito da Giovan Battista Amici e di cui poté disporre grazie alla munifi-cenza di Niccolò Puccini.Nel 1854 scoprì e descrisse il Vibrione del Colera, che oggi porta il suo nome (vedi nel pre-sente Bollettino l’articolo a pag. 23).Insegnò anatomia e istologia a Pisa e successivamente a Firenze.I suoi interessi e i suoi studi in campo medico furono vastissimi e fra di essi si ricordano quelli di istologia e di anatomia umana normale e patologica (si vedano le sue Osservazioni sulla struttura intima della retina figura a pag. 2), di medicina legale e forense, di fisiologia umana e di anatomia e fisiologia comparata.Fu ideatore di originali tecniche di rianimazione per individui colpiti, come si diceva allora, da “morte apparente”; e a lui si devono innovazioni importanti nel campo della preparazione dei tessuti da osservare al microscopio e nella realizzazione di microscopi più perfezionati e pratici per l’osservazione istologica.Morto a Firenze nel 1883, i resti di Filippo Pacini furono traslati a Pistoia nel 1933 nella chie-sa di Santa Maria delle Grazie in piazza San Lorenzo dove attualmente si trovano accanto a quelli di altri due insigni medici pistoiesi suoi contemporanei: Filippo Civinini (1805-1844) e Atto Tigri (1813-1875).

La proposta di legge presentata nel mese di agosto dal parlamentare PD Federico Gelli, ex presidente della quarta commissione della re-gione Toscana, delinea chiaramente il progetto politico della sanità del futuro. Questa proposta di legge è articolata in dieci punti che spaziano dall’inquadramento giuridico dei professionisti della sanità alla responsabilità professionale individuale e di équipe del dipendente, del con-venzionato e del libero professionista.Scompare, come premessa, la definizione di atto medico per essere sostituito da “atto sanitario” comune a tutte le professioni. Rappresenta quin-di la sublimazione di tutte le professioni sani-tarie che raggiungono la equiparazione fra loro e la professione medica. Già da quindici anni il prof Gianfranco Gensini, Preside della facoltà di medicina e direttore della Scuola di specia-lizzazione di Medicina interna, ha sostenuto la inutilità della definizione dell’atto medico, per-chè atto sanitario avrebbe compreso tutte la pro-fessioni sanitarie compresa quella medica senza alcuna distinzione.Alla luce di questa legge, se sarà approvata dal Parlamento, ogni professionista della sanità potrà agire autonomamente nella prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Tutto ciò è in li-nea con l’idea dominante in Regione Toscana, già da molti anni, che la sostenibilità economi-ca del SSR Toscano imponeva una promozione della figura dell’infermiere laureato in sostitu-zione di una buona parte dei medici. Il dott.Pierluigi Tosi, lucido sindacalista, me-dico ex primario di nefrologia, ed attualmente direttore generale dell’ASL di Siena ha sempre sostenuto questa tesi perche l’infermiere laurea-to, per stipendio ed oneri riflessi, costa quasi la metà del medico.Con queste premesse è possibile ipotizzare la sa-nità del futuro in Italia. Il fabbisogno di medici del SSN sarà sicuramente inferiore a quello di oggi e sarà rappresentato dagli universitari, dai medici specialisti (circa cinquemila all’anno), dai medici di famiglia (circa mille all’anno) ed una pletora di medici generici che confluiranno necessariamente nel privato. È prevedibile che all’inizio la sanità privata si differenzierà per la

EDITORIALE

Egisto Bagnoni Presidente dell’Ordine di Pistoia

La voce dell’ordine di PistoiaBollettino ufficiale quadrimestrale dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Pistoia; anno X n. 31 – settembre 2015Dir. resp. Dott. Gianluca Taliani – Comitato di redazione: Egisto Bagnoni, Pierluigi Benedetti, Gianna Mannori, Ione NiccolaiReg. Trib. Pistoia n. 8 del 9/07/04 – Stampa: GF Press, Masotti

Sommario1 editoriale• La sanità del futuro3 aGGiorNaMeNto SCieNtiFiCo• Gestione del paziente affetto da Iperplasia Prostatica Benigna6 VOCEs IN AEVUM• Ippocrate, chi era costui?7 l’oPiNioNe del PreSideNte• La società della salute: una soluzione per la sanità territoriale8 lettere• Ancora sulla Metatarsalgia di Morton9 liVello MiNiMo N. 24• L’invenzione del collo12 attUalitÀ• Tagliare gli sprechi per migliorare la sanità pubblica14 lettere• Resistenza e resa14 ePitaFFio di UN MediCo• Il dr. Siegfried Iseman15 Med-news dalla letteratura internazionale• Riflessioni sul modello sanitario statunitense21 eNPaM• Aggiornamento in materia previdenziale22 reCeNSioNe• Un filo rosso fra fisica e medicina23 PaSSato e PreSeNte• La Medicina degli Uomini (6). Riflessioni sull’epidemiologia28 l’ordiNe dei MediCi Per l’arte e la CUltUra• Alberto Burri (1915-1995) dalla medicina all’arte

LA SANITÀ DEL FUTURO

In questo numero

Queste pagine de «La voce dell’Ordine» si sviluppano in ampia parte intorno al progetto politico della sanità del futuro. L’Editoriale traccia le linee di sviluppo secondo le quali si evolverà la figura del medico di domani, in un confronto ineludibile con le nuove professioni sanitarie e nella necessità di costruire un rapporto equilibrato fra medicina pubblica e privata. L’organizzazione del territo-rio (discussa nell’articolo di Bagnoni a pag. 7) costituirà un elemento centrale della nuova struttura assistenziale e l’istituzione di Case della Salute efficienti e funzionali ne dovrà essere il cardine. In questa fase di progettazione del nostro futuro, è importante la conoscenza dei modelli di sanità già attuati in paesi che, prima del nostro, han-no ristrutturato la loro formula di assistenza sanitaria: un’occasione di riflessione su questo tema può venire dal-la rubrica MedNews (pag. 15), nel suo excursus su alcu-ne caratteristiche della sanità nordamericana. L’iconografia del giornale è dedicata alla figura di Filippo Pacini, concittadino e medico che con il suo spirito e il suo operato ha dato lustro e importanza alla professione e alla nostra città.

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maggiore efficienza e si creerà una sanità di serie A e una di serie B. Certamente vi sarà la necessità di ingenti investimenti che saranno sostenuti ov-viamente da gruppi finanziari che organizzeran-no ospedali e territorio.Nel frattempo i dirigenti infermieri dell’IPASVI già chiedono una riduzione delle professioni sani-tarie perchè bastera la facoltà di scienze infermie-ristiche a preparare con le varie specializzazioni tutti i professionisti della sanità. Gli OSS (Opera-tori Socio Sanitari), già in guerra con gli infermie-ri perchè da loro denigrati, prenderanno il posto dell’infermiere generico di antica memoria che

sarà utilissimo anche nella sanità del futuro. Questa situazione non durerà a lungo perché la sostenibilità economica e la necessità di fare pro-fitto produrrà anche nel privato un abbassamento della qualità delle prestazioni anche in considera-zione che la concorrenza sarà scarsa. Il trattamento economico e il riconoscimento giu-ridico delle qualifiche sarà contrattato al ribasso sia nel pubblico che nel privato data la pletora medica che inesorabilmente si verificherà. Anche per i professori universitari medici si deli-nea una dura lotta con i laureati in scienze infer-mieristiche per i posti di docente in quella facoltà.

EDITORIALE

F. Pacini, Osservazioni sulla struttura intima della retina

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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO

Gestione del paziente affetto da Iperplasia Prostatica Benigna

L’iperplasia prostatica benigna (in sigla, IPB), detta comunemente ipertrofia prostatica benigna si manifesta in genere dopo i 50 anni ed è molto frequente nella popolazione maschile nella fascia compresa tra i 60 e gli 80 anni: si stima che sia presente nella metà degli over 50 e nei tre quar-ti degli ultraottantenni. Il 40% dei pazienti con ipertrofia prostatica benigna necessita di cure. Le cause sono ancora sconosciute. Vista la conco-mitanza dell’iperplasia prostatica con l’avanzare dell’età, si studia l’ipotesi che possa rivestire un ruolo la variazione dell’equilibrio ormonale (“an-dropausa”) e in particolare il livello di testostero-ne, l’ormone maschile per eccellenza, nel senso che il nuovo assetto ormonale potrebbe favorire l’ingrossamento della ghiandola prostatica.

LA DIAGNOSIL’ecografia sovrapubica resta l’esame fondamen-

tale per la valutazione delle dimensioni della pro-stata, la morfologia, il residuo post minzionale e l’eventuale presenza di complicanze quali di-verticoli o calcoli vescicali. Il ruolo dell’ecografia transrettale è stato notevolmente ridimensionato, pertanto deve essere prescritto solo in casi sele-zionati e rientra negli esami di secondo livello.L’Introduzione della risonanza magnetica mul-tiparamerica nello studio della prostata ha di-mostrato una elevata accuratezza diagnostica nell’identificare il carcinoma prostatico. Questa metodica è attualmente l’unica tecnica che, grazie a uno studio sia morfologico che fun-zionale della ghiandola, permette di visualizza-re e studiare l’estensione, la localizzazione e le caratteristiche anatomiche del tumore prostatico.Lo studio della prostata con la Risonanza Magnetica Multiparametrica infatti ha un’eleva-ta sensibilita nell’identificare i tumori prostatici

Dott. Andrea Gavazzi, Urologo, Centro Oncologico Fiorentino, Firenze

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specificità del test:1) p2-PSA e PHI (Prostate Health Index)– I precursori del PSA libero, compresi nel ter-mine proPSA, sono associati al tessuto prostati-co neoplastico ed i loro valori incrementano nel siero dei pazienti con CaP; la [-2]proPSA è stata identificata in estratti tumorali e rappresenta la isoforma più comune. La sua determinazione au-menta la specificità del tPSA e può predire l’ag-gressività di un tumore in quanto è associata in via diretta al valore del Gleason Score tumora-le Per migliorare sensibilmente la specificità, la determinazione del [-2]proPSA viene associata al calcolo dell’ Indice di Salute Prostatica (PHI, Prostae Health Index).2)PCA3 (Prostate Cancer gene 3) È un gene prostatico specifico “noncoding prostate-specific mRNA”, altamente sovraespresso nel tessuto neoplastico maligno. Il test Progensa PCA3 uti-lizza la tecnologia TMA (Transcript Mediated Amplification) per quantificare l’espressione del mRNA di PCA3 e di PSA in cellule prostatiche raccolte nelle urine del paziente dopo massaggio prostatico con spremitura della ghiandola. Il rap-porto delle concentrazioni di mRNA di PCA3 e di PSA permette di identificare il valore (score) del PCA3 del paziente: [PCA3 mRNA/PSA mRNA] x1000.

AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO

anche di piccolissime dimensioni, offrendo all’ Urologo uno strumento fondamentale nella deci-sione diagnostico-terapeutica. La nuova frontiera nell’utilizzo clinico della Risonanza Magnetica Prostatica è quella di impiegare questa meto-dica per eseguire la biopsia prostatica al posto dell’ecografia. Il reale vantaggio di questo ap-proccio è quello di eseguire uno studio bioptico “mirato” sulla neoplasia prostatica e non più un “mappaggio” alla cieca come si esegue nor-malmente con l’ausilio ecografico

Dosaggio del Psa totale Il Psa totale può aumentare in patolgie quali: prostatite, IPB, carcinoma prostatico e pertanto non è considearto un marcatore tumorale. Il PSA ematico comprende sia forme libere (fPSA) che quelle legate con l’alpha-1-antichimotrpsina denominate PSA complessato (cPSA). In pazienti con valori del tPSA alto (soprattutto tra 4 e 10ng/ml) il rapporto percentuale tra fPSA e tPSA (f/t)PSA migliora sensibilmente la diagnosi tra CaP e IPB. Valori di f/t PSA >15 sono correlati con un basso rischio di CaP; un rapporto f/t PSA <10 è più frequentemente associato a CaP.

Nuovi test sono stati introdotti per aumentare la

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AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO

Un valore soglia di 35 di PCA3 rappresenta la più elevata accuratezza diagnostica nel prevedere il risultato della biopsia.

LE TERAPIE FARMACOLOGICHE La terapia si basa su due tipi di farmaci, che ne-cessitano di prescrizione medica. • Gli inibitori della 5ª-reduttasi, come la duta-steride o la finasteride, agiscono inattivando gli enzimi che permettono la trasformazione del te-stosterone in diidrotestosterone (Dht), responsa-bile dell’ingrossamento della prostata: tendono a ridurre di poco, tra il 10 e il 15%, le dimensioni della ghiandola. Gli effetti indesiderati più rile-vanti sono l’impotenza (nell’1% dei pazienti) e il calo della libido (nel 2% dei casi). • Gli alfa bloccanti, ossia silodosina, tamsulosi-na, terazosina e alfuzosina, agiscono sui sintomi, perché rilassano il tono muscolare di collo ve-scicale e prostata, migliorando il flusso urinario. Tra gli effetti collaterali più frequenti ci sono ver-tigini, ipotensione ortostatica e astenia.

Fitoterapia:Alcune sostanze derivate dalle piante, come la serenoa repens, sembrano efficaci, ma nessun estratto fitoterapico per l’ipertrofia prostatica be-nigna va assunto senza controllo medico.

LA CHIRURGIA Le Indicazioni alla terapia chirurgica sono: • LUTS refrattari al trattamento medico• Ritenzione urinaria• Insufficienza renale• Infezioni urinarie ricorrenti• Ematuria ricorrente• Calcolosi vescicale• Diverticolo vescicale voluminoso

Le Tecniche chirurgiche:• TURP (Resezione endoscopica della prostata)• Adenomectomia retropubica sec. Millin• Adenomectomia transvescicaleTecniche chirurgiche “alternative”• TUIP (Incisione endoscopica della prostata)• LASERSperimentali... • TUMTA (Termoterapia a microonde transure-trale)• TUNA (ago-ablazione con radiofrequenze della prostata)La TURP monopolare – bipolare rappresenta ad oggi il gold standard. Tale metodica permette di trattare prostate di anche di elevato volume (60-80 gr). Le complicanze emorragiche non sono in-

frequenti anche se di modeste entità. La compli-canza più frequente rappresenta l’eiaculazione retrograda.

Adenomectomia prostatica (ATV)È indicata per Prostate > 100 gr; grandi calcoli e/o diverticoli vescicaliNegli ultimi 10 anni il ruolo della TURP nella te-rapia dell’IPB è stato contrastato dall’avvento di nuove terapie mediche ed endoscopicheLaser T.U.I.P. Adenomi < 20 gr✓ Incisione dell’uretra prostatica sino al veru montanum ✓ Ridotte perdite ematiche✓ Minori complicanze rispetto alla TURPHolmium- Tullium – Green LightAdenomectomia transuretrale con LASER – Vaporizzazione Vantaggi: sanguinamento minim minore inciden-za di complicanzeRisultati sovrapponibili a TURPSvantaggi: costo - curva di apprendimentoTre sono i Laser: laser KTP, noto anche come “green laser”laser Holmium laser Thulium o Tullio Il Laser Tullio, al pari del laser Holmium ma a differenza del laser KTP , ha come target cromo-foro l’acqua. Il laser KTP ha invece come target l’emoglobina e questo dato rappresenta certa-mente una limitazione quando si vanno a trattare tessuti poco vascolarizzati. La penetrazione tissutale oltre la linea di taglio e’ infatti di soli 0,2 mm.I vantaggi più importanti del laser sono:Risoluzione immediata dei sintomiIl rapido recuperoL’efficacia nel tempoLe ridotte perdite ematicheIl ridotto periodo di cateterizzazioneNon determina deficit erettile.

L’urologia moderna è indirizzata globalmente verso la miniinvasività, un miglior controllo del dolore post-operatorio, una minore degenza e un utilizzo più razionale delle strutture ospedaliere.Trattamenti alternativi per l’IPB rappresentano soluzioni interessanti sia per i pazienti ad alto rischio sia per i pazienti giovani che desiderano mantenere inalterate le loro funzioni sessuali.

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Ippocrate, chi era costui?Centinaia di anni di chiacchiere di paludati cultori dell’“arte medica” hanno screditato agli occhi di-sillusi dei moderni studenti il nome di uno dei più illuminati scienziati di tutti i tempi. Appunto di Ippocrate. Lasciamo a lui la parola e ciascuno giudichi se non ha più niente da dire a noi moderni.

Primo libro delle Epidemie; capitolo 23. (Ippocrate, Opere, Boringhieri, Torino 1961. Traduzione di Giuliana Lanata).

VOCES IN AEVUM

Antinoo, Museo di Delphi

Dopo aver fatto questo, un medico moderno può richiedere anche una Risonanza Magnetica Nucleare o una Tomografia ad Emissione Po-sitronica, senza temere di mancare della giusta appropriatezza.

(...) Queste erano le manifestazio-ni delle malattie in base alle qua-li io formulavo le mie diagnosi: io traevo ammaestramento dalla na-tura umana in generale e da quella particolare di ciascuno; (...) dalle abitudini, dal regime, dalle occu-pazioni di ciascuno; dai discorsi, dai modi, dai silenzi, dai pensieri, dal sonno, dall’insonnia, dai sogni, quali e quando, dall’atto di strap-parsi i capelli, dal prurito, dalle lacrime, dagli aggravamenti, dalle feci, dalle urine, dalle espettorazio-ni, dal vomito; e poi dal succeder-si dall’una all’altra malattia, dagli apostemi, che portano la morte o la crisi, dal sudore, dai brividi, dal freddo, dalla tosse, dagli starnuti, dal singhiozzo, dalla respirazione, dai rutti, dalle flatulenze, rumorose o no, dalle emorragie, dalle emor-roidi. Su questi sintomi e su quelli a questi collegati bisogna appog-giare il proprio esame.

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L’OPINIONE DEL PRESIDENTE

La società della salute: una soluzione per la sanità territoriale

Negli anni Duemila, quando la Regione Tosca-na istituì le tre Aree Vaste che rappresentarono i centri di eccellenza della sanità regionale, le pro-vince periferiche gridarono ad un esproprio ed alla loro marginalizzazione in campo sanitario.Le Aree Vaste facevano capo alle tre città uni-versitarie Firenze, Pisa e Siena, che divennero il riferimento di eccellenza in campo specialisti-co attraverso le tre aziende sanitarie universitarie svincolate dal controllo delle Asl.Quello rappresentò un passo importante verso l’organizzazione moderna della sanità tosca-na con l’eliminazione anche del pericolo della proliferazione di piccoli centri ultra-specialistici provinciali che non avrebbero mai potuto rag-giungere gli standard ottimali. Poco dopo ven-nero create, in verità solo sulla carta, le “Società della Salute” con l’intento di dare sul territorio una gestione integrata fra l’Asl e il sociale. Gli addetti ai lavori capirono subito che questa so-luzione rispondeva più ad esigenze politiche che organizzative, per il loro rapporto con i sindaci che pur sempre rappresentavano le autorità ter-ritoriali della sanità. Per molti anni le Sds sono state una sorta di oggetto misterioso e non sono mai decollate capillarmente per il contenzioso fra enti locali e direzioni delle Asl. Solo nel 2014, con l’entrata in funzione dei quattro nuovi ospedali e con la organizzazione di tutti gli ospe-dali secondo la filosofia delle intensità di cure, il Gota della Regione Toscana si è reso conto che il sistema sanitario regiona-le stava crollando per il manca-to adeguamento organizzativo del territorio. Così ha progettato l’ennesima riforma con le tre mega Asl nelle solite aree vaste mantenendo le aziende sanita-rie universitarie svincolate dalle ASL e depotenziando la perife-ria. Anche l’ultima riforma non ha adeguato l’organizzazione del territorio per un’assistenza

sanitaria funzionale ai bisogni dei cittadini. Que-sta esigenza finalmente è stata avvertita dai sin-daci che hanno condiviso questa preoccupazione con coloro che si interessano di sanità e hanno puntato i piedi per la creazione delle dimentica-te società della salute in tutti i distretti sanitari. Anche la Regione si è mossa e con accordi con la medicina territoriale ha gettato le basi per la istituzione di AFT, UCCP e di strutture per cure intermedie. Purtroppo il ritardo non è stato col-mato. In questo momento si gioca il futuro della sanità toscana che dovrà organizzare il territorio in tempi strettissimi, sviluppando la collabora-zione fra tutte le professioni sanitarie, enti locali ed aziende sanitarie. L’evoluzione potrà essere positiva se prevarrà l’idea di fornire ai medici di famiglia servizi diagnostici adeguati sul territo-rio con la collaborazione fra generalisti, medici specialisti e tutti gli altri professionisti in modo coordinato e condiviso. Se invece prevarrà l’idea di una gestione puramente burocratica economi-cistica, si creeranno carrozzoni che non saranno mai in grado di fornire assistenza qualificata e continuata ai cittadini. Se questo avvenisse sa-rebbe davvero la fine del sistema sanitario soli-daristico, universalistico ed equo previsto dalla legge 833.

Egisto Bagnoni

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Ancora sulla Metatarsalgia di Morton

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

LETTERE

Al Comitato di Redazione de “La voce dell’Ordine di Pistoia”.

Faccio riferimento ai due articoli comparsi nell’ultimo fascicolo de “La voce dell’Ordine di Pisto-ia”, Il Linguaggio dei Medici del dottor Franco Cappellini e Metatarsalgia di Civinini-Morton dei dottori Alberto Marini e Franco Zecchini, che hanno tra loro un formidabile, quanto inopinato, rapporto di consequenzialità.Scrive infatti giustamente Cappellini: “... Mi capita spesso di avere fra le mani dei referti del P.S. di vari ospedali e di vedere scritto, alla voce diagnosi, parole o frasi come cervicoalgia o trauma da colpo di frusta cervicale. Mi sembra un modo di procedere molto sbrigativo, tenendo conto che la diagnosi presuppone la definizione della malattia e non può essere ridotta alla descrizio-ne di un suo sintomo e della sua patogenesi.” Quanto riferito da Cappellini è una esemplifica-zione molto efficace perché la diagnosi della patologia da lui riferita è “ distorsione del rachide cervicale”.Veniamo al nesso con l’articolo di Marini, lucido decano degli ortopedici pistoiesi, e di Zecchini che io ascoltai ad Abano Terme nel 2009 quando presentò, per la prima volta, il ritrovamento casuale, ma di enorme significato storico, del fascicolo scritto di proprio pugno da Filippo Civi-nini. Il merito principale di Marini e Zecchini è nel titolo del loro contributo scientifico Metatar-salgia di Civinini-Morton perché “... Così attualmente questa patologia viene indicata...”.L’inquadramento nosologico della sindrome di Civinini-Morton nel capitolo delle metatarsalgie non biomeccaniche ha permesso alla definizione di metatarsalgia da noi proposta la validazione a livello europeo (nel Nord America c’è ancora un po’ di confusione nell’uso di questo termine!): “Un dolore acuto o cronico in corrispondenza di una o più articolazioni metatarso-falangee provocato dalla compromissione, su base meccanica o non, delle strutture anatomiche che inte-ragiscono con l’articolazione (osso, cartilagine, capsule e legamenti, vasi, nervi, tendini, borse, sottocute e cute)*.In sintesi quanto segnalato da Cappellini ha trovato un puntuale riscontro nell’articolo di Mari-ni e Zecchini: il paziente, per volontà dei politici diventato utente, che ha il cosiddetto neuroma di Civinini-Morton è affetto da una metatarsalgia (diagnosi) dovuta alla compromissione su base meccanica per compressione (eziopatogenesi) del nervo presente nello spazio intermetatar-sale che diventa sede di una fibrosi perineurale (anatomia patologica) magistralmente descritta dal Civinini cento e ottanta anni fa dal punto di vista macroscopico, intuendone comunque le caratteristiche microscopiche trattandosi di un nodulo circoscritto e non di una patologia neopla-stica. Che bravo il Filippo Civinini! Perché non mettere una targa, nello splendido Ospedale del Ceppo, a cura dell’Ordine di Pistoia in questo centottantesimo anno che vede anche il restauro delle mitiche formelle robbiane?Con i più cordiali saluti

Dott. Marco Bardelli, Primario ortopedico Professore a contratto nel corso di laurea in podologia della Università di Firenze,

specialista in ortopedia e traumatologia, medicina fisica e riabilitazione, medicina dello sport

* BARDELLI M.,TURELLI L.,SCOCCIANTI G •” Definition anH nwf Metatarsal^’ Foot and Ankle Surgery,2003,9,79-85. Classification c

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SchedA dI LIveLLo MInIMo n° 24

Pierluigi Benedetti

L’INVENZIONE DEL COLLORIFLESSIONE SULL’ARTICOLAZIONE

CRANIO-CERVICALEPiccola storia, che, soltanto per farsi leggere, ha un tono smaccatamente finalistico, cioè non scientifico; e d’altra parte, come ripeteva spes-so il Professore Leo Pardi, Docente di Biologia all’Università di Firenze negli anni ‘60: “il fi-nalismo per il Biologo è come una bellissima amante, di cui lui non sa fare a meno e che nel chiuso del suo laboratorio ama di un amore travolgente; ma si guarda bene dal mostrarsi in pubblico con lei, perché se ne vergogna.” Alcune centinaia di milioni di anni fa, alcuni Pesci più intraprendenti degli altri, impararono a vivere all’asciutto per una parte della loro vita e divennero Anfibi.Quei pesci furono spinti a tale radicale muta-mento di abitudini da una alterazione impor-tante dell’ambiente, in cui vivevano: il clima della Terra in quel tempo, divenne molto più caldo e le lagune costiere, dove quei pesci ave-vano vissuto fino ad allora, cominciarono a ri-dursi in dimensioni e non di rado a sparire. Impararono a muoversi nel fango puntandosi sulle pinne e a respirare l’aria con rudimen-tali polmoni, cioè, come ebbe a dire uno dei padri della moderna Paleontologia: “inseguen-do l’acqua per respirare, impararono a vivere nell’aria”.Per i pesci di acqua dolce “prendere una boc-cata d’aria” non è una cosa strana, né rara; lo fanno spesso quando l’acqua nella quale vivo-no si impoverisce di ossigeno, per esempio in un laghetto in cui d’estate la quantità di acqua si riduce per l’evaporazione: il pesce ogni tanto mette fuori la testa e prende letteralmente una “boccata” d’ aria da cui estrae una certa quan-tità di ossigeno grazie alla ricchissima vascola-rizzazione della sua faringe.

Per quei Pesci imparare a vivere sul terreno non fu certo facile, ma fu il prezzo da pagare per

sopravvivere; e, d’altra parte, la vita all’asciutto presentava innegabili vantaggi rispetto alla vita nell’acqua.Il vantaggio più importante era certamente la quantità di ossigeno disponibile per i bisogni metabolici (venti volte superiore a quella degli strati più ossigenati dell’acqua); e inoltre sulla terra asciutta esisteva una quantità di cibo qua-si illimitata, l’ambiente era pochissimo affollato e praticamente in quei luoghi non esistevano nemici da cui doversi guardare.La fisiologia di questi Pesci pionieri cambiò radi-calmente: si modificarono tutte le loro strutture anatomiche e in più furono “inventati” nuovi or-gani e apparati, che le Classi di animali succes-sive (Rettili, Uccelli e Mammiferi) ereditarono.Fra queste “invenzioni”, una di vitale impor-tanza, anche se non la più appariscente a uno sguardo superficiale, fu l’invenzione del collo.È noto che i Pesci non hanno collo e che le ver-tebre più vicine al cranio hanno caratteristiche morfologiche uguali alle altre. Negli Anfibi, invece, queste vertebre sono diffe-renti dalle altre ed esiste, come in tutte le Classi degli animali, escluso i Pesci, un vero tratto cer-vicale ben differenziato dal resto del rachide.Nello specifico la vera invenzione rivoluziona-ria fu la modifica dell’articolazione fra cranio e prima vertebra (atlante), che permise la flesso estensione della testa sul tronco(L’epistrofeo, che permette la rotazione della testa, era ancora di là da venire: sarà un’ulte-riore tappa evolutiva, caratteristica dei Rettili e si manterrà naturalmente negli Uccelli e nei Mammiferi).

I Pesci non hanno bisogno di compiere movi-menti della testa indipendenti rispetto al tronco e l’estremo cefalico è morfologicamente la con-tinuazione naturale del tronco stesso assicuran-do all’animale la forma idrodinamica più adatta

LIVELLO MINIMO

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al movimento nell’ambiente acquatico.Inoltre il Pesce nell’acqua, per alimentarsi, può aprire la bocca abbassando la mandibola, ma questo semplice movimento per un pesce ap-poggiato sulla terra è impossibile, perché la mandibola si trova a contatto con il terreno (vedi il fumetto).In questa situazione l’unico modo per poter aprire bocca è il sollevamento del cranio rispet-to al tronco, cosa resa possibile dalla presenza della prima vertebra (atlante) articolata con il cranio per mezzo delle due articolazioni atlan-to-occipitali destra e sinistra.Si può quindi concludere che l’atlante si forma in un Pesce, che impara a vivere all’asciutto, per poter introdurre cibo nella bocca.

La cosa, a pensarci bene, già piuttosto compli-cata non finisce qui.Per aprir bocca non basta l’articolazione cranio atlantoidea, è necessario che la parte occipitale del cranio, che nel pesce continua linearmente con la parte craniale del dorso, scompaia per dar spazio al movimento della testa che si sol-leva all’indietro; anche questo succede nel pas-saggio da pesci ad anfibi: una parte delle ossa posteriori del cranio viene perduta e si forma così un vero collo.E non è ancora finita.Nell’acqua il pesce per nutrirsi, una volta aper-ta la bocca, si getta sulla preda con il movi-mento di tutto il corpo, ma qui la situazione è completamente diversa. Il nostro Pesce non è nell’acqua, è nel fango e i movimenti che può compiere sono lenti e impacciati. Per quanto grande sia la fame, la sua impotenza e la sua frustrazione sono inimmaginabili, vedendo in-torno a sé succosi frutti caduti dagli alberi e prelibatissimi vermi che gli strisciano addosso, mentre lui, primevo Tantalo ante litteram di centinaia di milioni di anni, non può far altro che aprire e chiudere la bocca, trascinandosi con fatica verso l’irraggiungibile cibo, sperando invano che qualche verme obnubilato dal sole o con spiccata tendenza suicida gli entri spon-taneamente in bocca. Per poter portare il cibo in bocca nelle condi-zioni di cui si è detto la soluzione fu “l’inven-zione“ di una lingua mobile.La lingua tipica dei Pesci è una lamina cartilagi-nea immobile, a volte munita di denti e questa non poteva servire allo scopo.

LIVELLO MINIMO

Era necessario un organo muscolare che potesse raccogliere il cibo all’esterno della bocca come un cucchiaio e fosse magari coperto di saliva ap-piccicosa. Risolvere questo problema non fu semplice dato che nel distretto cranico non esisteva più da tem-po tessuto mioblastico utilizzabile per formare nuovi muscoli: fu necessario ricorrere a cellule di origine somitica vertebrale, ancora potenzial-mente differenziabili in fibre muscolari striate.

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L’innervazione della lingua testimonia questa complessa storia evolutiva.Semplificando al limite dell’imprecisione si ri-corda che il V e il IX paio dei nervi cranici (trige-mino e glossofaringeo) le forniscono l’innerva-zione sensitiva somatica, l’ipoglosso (XII paio) l’innervazione motrice volontaria, il faciale (VII paio) la sensibilità gustativa.

Con un collo, una lingua coperta di saliva ap-piccicosa e tanta fame, i nostri Pesci, divenuti Anfibi, furono pronti per la più colossale abbuf-fata di tutta la storia evolutiva: la loro tavola apparecchiata era un mondo intero ricchissimo di ossigeno e pieno di vita animale e vegetale commestibile.

Riflessione pratica sulla giunzione cranio-cervicale

Come si può capire anche dalla storiellina rac-contata qui di sopra, la storia evolutiva della giunzione cervico-craniale è stata lunga e tor-mentata.Non si esaurì con gli Anfibi, ma continuò con i Rettili, gli Uccelli e i Mammiferi; ed ha coin-volto anche l’Uomo, per la sua postura bipede e per il grande sviluppo del cranio. Si veda, a questo proposito, lo schema qui so-pra riportato del complesso atlo-assiale umano, ricordando che secondo le più recenti acquisi-zioni della filogenesi e dell’anatomia compara-ta, la situazione è molto più complessa.

LIVELLO MINIMO

(vedi Livello Minimo n°4 del Bollettino 10 del settem-bre 2008)Frequenti sono le malfor-mazioni a questo livello; per fortuna molto spesso di minima entità e senza con-seguenze cliniche impor-tanti.Alcune, però, anche se ap-parentemente poco appari-scenti, devono essere tenu-te in considerazione per le conseguenze patologiche che possono comportare sulle strutture del sistema nervoso centrale contenuto nel canale rachideo.

Per fare un esempio non è raro trovare una “risalita” del dente dell’epistrofeo rispetto alla linea di Chamberlain che nella proiezione late-rale del cranio unisce l’estremo posteriore del palato duro al bordo posteriore del forame oc-cipitale, che dovrebbe decorrere almeno 7 mm sopra l’apice del processo odontoide dell’epi-strofeo. (J.F. Bonneville: “Le Malformazioni della cer-niera ossea ocipito-cervicale” in L’Imaging diagnostico del rachide Ed.: Libreria Cortina Verona).

Nei casi di “risalita” del dente dell’epistrofeo le strutture nervose si confrontano con un conte-nitore osseo più “corto” del normale e possono entrare in conflitto con questo anche in seguito a traumi non gravi come, per esempio, una ba-nale caduta, che in questi casi potrebbe avere conseguenze neurologiche importanti.

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Il decreto legge appena approvato in Senato prevede altri dieci miliardi di tagli in tre anni al sistema sanitario. Il ministro Beatrice Lorenzin questa volta è ottimista: “è per salvare la soste-nibilità del SSN”. Ma medici e governatori sono contro: “se si continua così salta il sistema della sanità pubblica”.Chi ha ragione? Vediamo.Il Servizio Sanitario nazionale lo hanno inventato gli inglesi, noi l’abbiamo fatto nostro con la legge 833 del 1978. Quel giorno, con quella legge l’Italia ha compiuto un atto di grande civiltà e si è por-tata ai vertici della classifica della buona sanità.È la cosa più preziosa che abbiamo e non costa nemmeno tanto (spendiamo per curarci in me-dia 3.000 ero all’anno, meno della Francia che ne spende quasi 4.000 e della Germania che arriva a 4.500, per non parlare degli Stati Uniti). A noi sembra normale che se uno è malato possa avere un trapianto di cuore o di fegato e le cure più avanzate per il cancro senza spendere nulla, non è così. Tutt’altro, in molte parti del mondo anche in paesi ricchi avere qualcuno di malato in fami-glia significa indebitarsi e se la malattia è grave perdere tutto, certe volte.Nonostante gli sforzi di Hillary Clinton prima e di Obama adesso, è così anche negli Stati Uniti.Ancora oggi chi non è abbastanza ricco da pa-garsi un’assicurazione privata, e nemmeno così povero da ricevere aiuti dalla Stato, non ha di che curarsi. Ma Howard Brody, che insegnamedicina nel Texas, una ricetta ce l’ha: “baste-rebbe evitare esami e interventi inutili per dare atutti tutto quello che serve”, scrive sul New En-gland Journal of Medicine. Quanto viene speso ininterventi che non portano alcun beneficio agli ammalati, infatti, arriva al 30 percento del bud-get. Quindi, come recita il titolo dell’articolo di Brody, bisognerebbe passare “Dall’etica dei tagli, all’etica di evitare gli sprechi”.Molti medici pensano che far quadrare i conti non sia affar loro, anzi, che questo vada contro alla stessa deontologia professionale.

“No – scrive Brody – questo ragionamento non sta in piedi; se per dare tutto a tutti dovessimo esaurire le risorse, non ci sarebbe più niente per nessuno”.Quello che non serve in realtà può far male; un esame del sangue fatto per motivi futili può gene-rare altri esami e persino interventi chirurgici, e tutto questo può portare a complicazioni che poi generano altri accertamenti e altre spese.“L’etica di evitare gli sprechi deve essere un im-perativo morale per tutti – continua Brody – an-che per i cittadini”.Da noi la spending review può essere l’occasione per rilanciare il SSN partendo proprio dall’etica di evitare gli sprechi.Non possiamo permetterci interventi per i quali non ci sia nella letteratura medica prova di effica-cia. Molti dei nuovi farmaci antitumorali hanno costi elevati, anche 60.000 euro per ciclo di cura. Ma i benefici sono quasi sempre modesti.Vanno prescritti sempre e comunque?È meglio qualche settimana di vita in più fra grandi sofferenze o usare una piccola parte di quei soldi per garantire a chi è malato di essere assistito a casa propria?E ancora: è venuto il momento di chiudere dav-vero i piccoli Ospedali e quelli che non servono.Ma non qualcuno, tutti. L’hanno fatto in tante parti del mondo, senza catastrofi.Certo non si può tagliare e basta; se in una cer-ta Regione chiudiamo 50 Ospedali dovremmo dare più risorse a quelli che restano. “To reduce cost, the best approach is often to Spend more on some services to reduce the need of others”, - scriveva qualche tempo fa Michael Porter sempre sul New England Journal of Medicine.Insomma: per ridurre i costi, certi servizi vanno ridotti e certi altri potenziati. L’etica che mini-mizza gli sprechi è anche questo.Certi medici pensano che l’attenzione a quanto si spende sia in contrasto con l’etica professionale. Non è così, sono due facce della stessa medaglia; e affrontare il problema dei costi non incrina af-

Tagliare gli sprechi per migliorarela sanità pubblicaRiportiamo un contributo pubblicato dalla rivista online “Vobisnewsletter. Collage di notizie, spigola-ture sul farmaco e nei dintorni della medicina generale, a cura di Paola Mandelli, Saffi Giustini, Lora Accettura, Umberto Alecci; redazione Paolo Giustini”. N. 161, a. IV, agosto 2015.

ATTUALITÀ

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fatto il rapporto con gli ammalati.Certo bisogna saper distinguere cosa serve real-mente agli ammalati, di che cosa si può fare a meno e cosa invece - per quanto nuovo o sofisti-cato - non serve affatto.E se per un certo problema non ci sono dati in letteratura, bisogna saperli produrre anche negli Ospedali.Quel poco che è stato fatto finora è solo la veri-fica di processi, modalità organizzative e livello di soddisfazione degli ammalati, mai di risultato finale.

Ora invece servono soprattutto formazione e ri-cerca, serve saper coinvolgere medici e infermie-ri e tutti gli altri operatori in grandi progetti di ri-cerca. “I risparmi ottenuti dalla spending review verranno assegnati alla ricerca”, ha promesso in questi giorni il ministro Lorenzin. Questa è la via giusta, e noi la prendiamo in parola.

(fonte: http://www.scienzainrete.it/ a cura di Giu-seppe Remuzzi, Medicina clinica Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri).

ATTUALITÀ

La sala anatomica dell’ex Ospedale del Ceppo di Pistoia costruita nella seconda metà del ‘700.

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Resistenza e resa

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

LETTERE

“Mi sono chiesto spesse volte dove passi il confine tra la necessaria resistenza e l’altrettanto necessaria resa davanti al destino”

Dietrich Bonhoeffer

Mi arrendo, vado all’Ufficio pensioni della A.S.L. Fu con tale amarezza che dieci anni fa, in un bel mattino di primavera, appena uscito dal turno notturno di guardia presso la U.O. Pediatria, mi recai a chiedere irrevocabilmente di essere collocato in pensione.Da anni stavo maturando tale decisione perchè la deriva “aziendalista” del lavoro clinico (di-mettere il più alla svelta possibile, ricoverare il meno possibile fino a respingere il paziente anche se accompagnato da richiesta di ricovero scritta del proprio curante) contrastava con l’insegnamento dei nostri Maestri all’Università (Observatio et ratio, il tutto condito da una abbondante dose di prudenza). Quella mattina di primavera 2005 le ultime gocce avevano fatto traboccare il vaso. Ebbene tutto ciò mi è tornato in mente leggendo le ultime righe de “Il graffio” su Medico e Bam-bino del 30 giugno 2015. L’autore, il Prof. Alessandro Ventura, direttore della Clinica Pediatrica dell’ Università di Trieste, conclude affermando “mi arrendo, contatto in settimana l’ufficio pensioni”.Lo sconforto dell’Autore deriva dalla lettura di un lavoro di metanalisi dove non si ha la voglia (il coraggio?) di affermare la inutilità dei fermenti lattici nella cura dell’autismo. Viene da sorridere nel constatare come oggi in ogni casa si ricorra ai fermenti lattici (detti an-che probiotici) al minimo mal di pancia, invece di essere più attenti alla condotta alimentare. Addirittura siamo arrivati a prescrivere i probiotici anche ai piccoli allattati al seno senza tener conto che il latte materno è di per sè garante della salute intestinale.Concluderei citando “The medical letter” del 1 marzo 2013 che afferma: i probiotici non sono approvati dalla Food and Drug Administration per alcuna indicazione.

Dott. Claudio Innocenti pediatra

Il Dr. Siegfried IsemanIo dissi, quando mi consegnarono il diploma,dissi a me stesso sarò buono,saggio, coraggioso e utile al mio prossimo;dissi porterò il credo cristianonella professione della medicina!In qualche modo il mondo e gli altri medicisanno cosa avete nel cuore appena prendetequesta nobile risoluzione.Il fatto è che vi fanno morire di fame.E nessuno viene da voi se non i poveri.E voi scoprite troppo tardi che essere un dottoreè solo un modo per guadagnarsi la vita.E quando siete poveri e dovete portare il credo cristiano e una mogle e i figlitutti sul groppone, è troppo!Per questo inventai l’Elisir di Giovinezza,che mi spedì nella prigione di Peoriabollato come imbroglione e truffatoredall’integerrimo Giudice Federale.

Lee Masters, Antologia di Spoon River, traduzione di Letizia Ciotti Miller, Newton Compton (1974), 10a ediz., 1985.

EPITAFFIO DI UN MEDICO

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mednews dalla letteratura internazionalea cura di Gianna Mannori

oSPedALe e TeRRIToRIo considerazioni sul modello sanitario statunitense

Boston, Brigham and Women’s Hospital

Il servizio sanitario toscano è in una fase importante di cambiamento di assetto, in un percorso di trasformazione senza precedenti. Il passaggio dalla vecchia struttura sanitaria a quella attuale ruo-ta intorno alla connessione fra il nuovo modello di ospedale per intensità di cura e una medicina territoriale rivisitata da obiettivi e funzioni altrettanto innovativi. Si tratta di un’evoluzione ancora in via di compimento, che si ispira a modelli di sanità già sperimentati in altri paesi che hanno ristrutturato la loro formula assistenziale prima di noi. Le realtà che più di altre sono state di riferi-mento per il cambiamento toscano sono quelle di Stati Uniti e Canada, paesi che hanno aggiornato la tipologia di assistenza sanitaria da oltre vent’anni. Il cambiamento delle strutture e dei percorsi assistenziali attuato dal sistema nordamericano ha disegnato la traccia su cui si sta muovendo la sanità toscana di oggi e i punti di forza e di debolezza di quella transizione potrebbero essere an-che i nostri, nel presente e in un futuro non lontano. Da questa considerazione origina l’interesse per un excursus nella letteratura in merito al sistema sanitario nordamericano, con l’obiettivo di offrire qualche spunto di riflessione su un elemento importante e ancora poco definito nell’assetto assistenziale del nostro paese: il rapporto fra ospedale e territorio.

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Territorio e coordinamento della cura In un numero precedente di questo giornale avevamo compiuto alcune considerazioni di confronto fra la vecchia e la nuova sanità in Toscana. In quell’articolo si era osservato che in passato il medico era la figura ir-ripetibile e centrale attorno a cui ruotava la medicina territoriale di vecchia concezione: si era disegnato un prototipo di ‘dottore’ che, inerpi-candosi a ogni ora con borsa e cap-pello per strade a volte impossibili, entrava nelle case portando compe-tenza e professionalità, ma soprattut-to quel quid insostituibile costituito dall’unicità della propria presenza. Un’analoga immagine può essere pensata anche per il medico america-no degli anni ’80. Distese infinite di campi di cotone invece di mulattie-re appenniniche, case bianchissime alla Rossella O’Hara piuttosto che coloniche toscane ma il personaggio sulla scena era abbastanza simile al

nostro: il regular doctor era la figura di riferimento centrale per la famiglia americana, più o meno come è stato il medico condotto, e in seguito il me-dico di famiglia, nella nostra realtà.Con la continua evoluzione della tec-nologia, con l’allungarsi dell’aspet-tativa di vita e con il progressivo aumento delle richieste assistenziali questo concetto potremmo dire pater-nalistico di medico è andato mutan-do nel Nord America. La complessità delle procedure è divenuta tale che le cure sono andate frammentandosi in lunghe serie di capitoli distinti all’in-terno di una stessa cartella clinica e, nel tempo, si è andato delineando un modello di cura molto diverso rispet-to a quello del passato: il sistema di un’assistenza clinica condivisa fra più specialisti che operano in rete fra di loro. Questo mutamento ha trasformato profondamente i connotati del medi-co di famiglia americano. Da figura unica che dispensava la cura in prima

nOTIzIE fLAshautismo e batteri intesti-nali: quale verità?

La pubblicazione cui si fa rife-rimento nella lettera del dott Innocenti (‘Resistenza e resa’, pag 14) costituisce una meta-nalisi sull’uso dei fermenti lattici, noti anche come probiotici, nel trattamento sintomatico dell’au-tismo infantile e delle forme ad esso correlate. In questo articolo gli autori prendono in esame tutti i contributi scientifici prodot-ti sull’argomento a partire dal 1966 fino ad oggi e, dopo aver escluso i report di tipo aneddotico e gli studi clinici non controllati, focalizzano la loro analisi su quat-tro casistiche di soggetti autistici trattati con dieta arricchita di pro-biotici. L’applicazione dei criteri di esame propri della metanalisi ha consentito di rilevare che i ri-sultati presentati nei quattro studi sono insufficienti a dimostrare un miglioramento significativo dei sintomi di tipo autistico a seguito della somministrazione di fer-menti lattici. Pertanto, gli autori concludono che le informazioni presenti ad oggi in letteratura non sostengono l’uso di queste sostanze nel trattamento sinto-matico dell’autismo e delle forme ad esso correlate. Le implicazioni di questa pubbli-cazione sono rilevanti, perché da essa può discendere un’implicita bocciatura dell’ipotesi, ampia-mente dibattuta negli ultimi anni, che l’autismo sia causato da uno squilibrio della flora batterica intestinale. L’importanza dell’ar-gomento è tale che gli autori, a margine delle loro conclusioni, invocano la necessità di ulteriori e più estese valutazioni allo sco-po di esaurire in modo definitivo tale quesito clinico. Sia consen-tito, su questo punto, un piccolo riferimento letterario ben noto in ambito scientifico e che può for-se offrire uno spunto conclusivo di riflessione.Nel suo celebre romanzo Anna Karenina, Lev Tolstoj asserisce che ‘Tutti i matrimoni felici si assomigliano fra loro, ogni matri-monio infelice è infelice a modo suo’. Questo passo è stato in seguito ripreso, fra gli altri, dal-lo scienziato Jared Diamond nel suo celebre libro Armi, acciaio e malattie (capitolo nono) e para-frasato a intendere che la ricetta

Boston Medical Center

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persona è divenuto ‘care coordinator’, ovvero il direttore di un lavoro che viene distribuito in un team costitu-ito da specialisti e operatori sanitari diversi: a lui spetta il ruolo di orga-nizzare lo scenario dei vari terapeuti e di tenere le fila del percorso clini-co, con la responsabilità di ricostrui-re alla fine l’unitarietà dell’atto medi-co. Per il lettore che avesse qualche curiosità di capire come funziona il concetto di coordinamento nella me-dicina americana, sarà interessante la lettura di un articolo pubblicato recentemente su The New England Journal of Medicine (Press, 2014). Su queste pagine il medico di famiglia è paragonato al ‘quarterback’, un gio-catore di football che svolge in par-tita un ruolo molto particolare: non gioca né in attacco né in difesa ma sta nelle retrovie, da cui individua il percorso più breve ed efficiente per fare goal e lancia la palla al giocato-re che ha la posizione migliore per raggiungere quest’obiettivo. Un ruolo di regista o, diremmo noi di mediano, che in questo articolo conduce alla risoluzione di un caso complesso di colangiocarcinoma in cui entrano in azione ben 11 figure sanitarie distin-

che rende il matrimonio felice è una e una sola, mentre l’assen-za di felicità può assumere mille volti diversi. Secondo interpreta-zioni più recenti, quale quella del logico matematico Odifreddi, il ‘Principio di Anna Karenina’ viene considerato come una traduzione letteraria del criterio di falsifica-zione, secondo il quale tutte le verità scientifiche si assomiglia-no fra loro perché rispondono a uno stesso criterio, consistente nel non essere state ancora con-traddette nemmeno da un singolo caso. Al contrario, ogni afferma-zione falsa lo è a modo suo, per-ché è stata sconfessata da uno o più motivi specifici. Dunque, pro-prio come sono infinite le tipolo-gie di matrimoni infelici, in scien-za esistono infinite mezze verità, che possono apparire anche allettanti o addirittura miracolose ma sono sempre confutabili da almeno una argomentazione; la verità, invece, è una sola e viene dimostrata nel momento in cui ne viene escluso ogni possibile argo-mento contrario. Secondo i criteri attuali della ricerca biomedica, la falsificazione dell’ipotesi che possa esistere una cura semplice dell’autismo, come quella basata sulla dieta, può passare per uno e un solo disegno sperimentale: studi clinici randomizzati mul-ticentrici e su larga scala. Le pubblicazioni presenti ad oggi in letteratura non appartengono a questa tipologia e, finchè questi studi non esisteranno, non è leci-to aderire alla ‘mezza’ verità che la somministrazione di fermenti lattici possa avere un ruolo nel-la cura dell’autismo: per questo, in scienza e coscienza il medico non dovrà alimentare nelle fa-miglie speranze immotivate, né tanto meno paure scellerate nei confronti di terapie che sono già passate attraverso il vaglio del processo di falsificazione, come è accaduto a proposito della vac-cinazione anti morbillo. Questa, secondo noi, potrebbe essere la lettura della metanalisi sul rap-porto fra probiotici e autismo.

Srinivasjois R., Rao S., Patole S. 2015. Probiotic supplementation in children with autism spectrum disorder. Arch Dis Child 100: 505-506.Diamond J.Armi, acciaio e malat-tie. Giulio Einaudi Editore, Torino, 1998.Odifreddi P. 2015. Il principio di Anna Karenina. Le Scienze 564:20.

te fra chirurghi, internisti, ematologi, gastroenterologi, neurologi, infermie-ri, laboratoristi e altri ancora, oltre al coordinatore della cura (vedi figura).

Ospedale e hospitalistSe dal territorio passiamo all’osser-vazione dell’ospedale, la letteratura ci presenta un tipo di organizzazione che valorizza ancora di più il tema del coordinamento della cura.L’elemento centrale dell’assistenza ospedaliera è la figura dell’‘hospitalist’, un internista che ha la funzione di coor-dinare il lavoro svolto dagli specialisti dei vari reparti e che è il soggetto che si assume la responsabilità della gestione clinica del paziente: questi lo prende in carico al momento dell’ammissione in ospedale, formula la diagnosi di malat-tia, disegna il piano terapeutico e deci-de quali sono i percorsi ospedalieri più appropriati per la risoluzione del suo caso. Proprio come fa il coordinatore sul territorio, l’hospitalist è colui che, pur non curando necessariamente in prima persona il malato, è il princi-pale responsabile del piano di tratta-mento e, alla fine del ricovero, im-posta la dimissione. Per far fronte al suo mandato, si avvale di consulenti

TelefonateE-mailInterventoVisita ambulatoriale

GIORNIChirurgo Ematologo

Neurologo

UrologoMedico

di famiglia

PazienteGastroenterologo

Radiologointerventista

Oncologo

Cardiologo Patologo

Laboratorio

Assistentesociale

Coordinamento della cura nella gestione sul territorio di un caso di colangiocarcinoma (da Press, 2014).

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che lo sostengono nelle valutazioni specialistiche e, pertanto, non opera da solo ma in un team costituito da specialisti e altri hospitalist.Si tratta di una figura entrata nell’or-ganico della sanità americana a par-tire dagli anni ’90 e la letteratura è concorde nel ritenere che la sua isti-tuzione abbia migliorato moltissimo il funzionamento degli ospedali, so-prattutto di quelli organizzati per in-tensità di cura. Il primo e fondamen-tale vantaggio derivante dalla pre-senza dell’hospitalist consiste nella possibilità di realizzare una gestione veramente unitaria del trattamento medico: come sta, purtroppo, emer-gendo dalle prime esperienze tosca-ne, la struttura per intensità di cura presenta delle criticità intrinseche legate all’impostazione frammentata del trattamento, che tende a creare dispersione dei malati nei setting, di-sorientamento di pazienti, operatori e familiari e possibili difficoltà di co-municazione. La figura dell’hospita-list ha costituito la risposta a queste problematiche, riuscendo a ricreare quella sintesi nella gestione del ma-lato che altrimenti, e quasi per defi-nizione, verrebbe a mancare nell’or-ganizzazione per intensità di cura: e di cui, per l’appunto, sentiamo tanto il bisogno nei nuovi ospedali toscani. Oltre a tutto questo, l’hospitalist ha prodotto un miglioramento nell’effi-cienza dell’ospedale. Negli Stati Uniti la transizione dal sistema ospedalie-ro tradizionale a quello attuale è av-venuta in concomitanza di una fase di restrizione importante di risorse economiche e questa convergenza ha inasprito il divario fra un’assistenza ospedaliera più costosa, qual è quella che caratterizza gli ospedali per acu-ti, e la riduzione dei mezzi a dispo-sizione: infatti, alla richiesta di tec-niche mediche e chirurgiche sempre più sofisticate si è affiancata una con-trazione nel numero dei posti letto e dei medici. Per di più, la pressione prodotta dal sistema assicurativo ha contribuito a innalzare notevolmente le aspettative di cura dei pazienti e, di conseguenza, lo standard qualita-

tivo dei ricoveri. In questo contesto la figura dell’ hospitalist, ottimizzan-do il tragitto del malato all’interno dei percorsi ospedalieri, ha prodotto una riduzione globale dei costi e un aumento di efficienza di tutto il siste-ma. Inoltre egli è divenuto l’esperto delle procedure cliniche designate a garantire la sicurezza e l’appropria-tezza del trattamento, contribuendo anche sotto questo profilo a miglio-rare la qualità del ricovero.Infine l’hospitalist, come anche il co-ordinatore della cura sul territorio, è un medico che dedica in modo esclu-sivo la propria attività a questo ruo-lo. La letteratura riporta che tentativi di affidare questa funzione a figure mediche che si alternino a rotazione nel lavoro di coordinamento sono risultati fallimentari: la complessità dei percorsi assistenziali è tale da non essere compatibile con ruoli a tempo parziale, con il rischio di pro-durre uno scadimento in qualità ed efficienza del servizio.Su queste considerazioni sarebbe op-portuno che la nostra sanità riflettes-se, considerando quanto il concetto di coordinamento della cura sia an-cora poco presente nella nostra cul-tura, tradizionalmente meno sensibi-le di quella americana al valore del lavoro in rete e della interazione fra sistemi.

L’anello mancanteA fronte dei vantaggi prodotti da questo tipo di organizzazione la let-teratura individua anche alcuni ele-menti di criticità. Oltre oceano af-fiora un punto dolente, ben noto da tempo alla nostra sanità: l’interfaccia fra ospedale e territorio, vale a dire il ‘passaggio di consegne’ del malato dall’uno all’altro di questi due ambiti assistenziali. Sia in occasione dell’ingresso in ospedale che all’atto della dimissio-ne, il percorso del paziente necessita di un trasferimento di informazioni relative alla propria storia clinica e, soprattutto, di ‘una presa in carico’ della sua persona da parte dell’am-bito sanitario che lo accoglie. Questo

Guerra biologica alla den-gue

E non solo dengue: anche ma-laria, febbre gialla, filariasi, chi-kungunya potrebbero avere, in futuro, i giorni contati. Veicolate dalle comuni zanzare, queste malattie producono più morti nel mondo che guerre e carestie: le tradizionali strategie terapeutiche, compresi gli approcci vaccinali, risultano incapaci a debellarne la diffusione. Un approccio innovati-vo ed estremamente promettente viene da un gruppo di ricercatori australiani che da anni si impe-gnano in un’idea quanto mai inge-gnosa: produrre ceppi di zanzare ingegnerizzate in modo tale da renderle incapaci di veicolare il microrganismo responsabile della malattia. Aedes aegypti, comune-mente nota come zanzara tigre, è il principale vettore di dengue e chikungunya e risulta sempre più resistente ai comuni agenti disinfestanti: gli studiosi hanno scoperto che è possibile infettare in modo permanente le loro cellule uovo con un batterio che blocca la capacità replicativa del virus della dengue al loro interno, rendendo-le così incapaci di trasmettere la malattia all’uomo. Grazie alle più avanzate conoscenze di biologia molecolare, questo batterio spe-ciale e per noi quanto mai pre-zioso, chiamato Wolbachia, è di-venuto nelle mani degli scienziati un ospite fisso di Aedes aegypti e riesce a mantenersi costantemen-te al suo interno. E’ per questo che da anni i ricercatori australiani trascorrono le ore più calde del-le loro mattinate estive a liberare zanzare infettate da Wolbachia vi-cino alle abitazioni dei loro villaggi, con l’obiettivo di ridurre i casi di dengue nella popolazione. Questo è quanto il mondo scientifico si aspetta e spera, con la prospettiva di estendere lo stesso approccio al debellamento di tutte le altre malattie trasmesse attraverso la puntura di zanzara, vero flagello per la nostra specie. Altri gruppi di ricercatori stanno già provan-do a diffondere le nuove varietà ingegnerizzate di Aedes aegypti in Vietnam, Indonesia e Brasile: grazie alla guerra biologica le zan-zare, i micidiali diffusori di malat-tia di ieri, potrebbero diventare gli amici ed alleati di domani.

O’Neill S. 2015. Il nemico della dengue. Le Scienze 564: 64-69.

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momento di contatto è un punto di crisi che si è creato nel tempo a causa di una progressiva sepa-razione delle figure ospedaliere rispetto a quelle territoriali. Fino agli anni ’80 il medico di famiglia americano svolgeva un’attività clinica prevalentemente am-bulatoriale ma dedicava anche una buona parte del suo tempo al lavoro ospedaliero. Questo com-portava che, in una realtà sanitaria molto meno complessa e articolata di quella odierna, egli riu-sciva a seguire i propri pazienti sia in ambulatorio che durante un’eventuale fase di ricovero: in tal modo, rappresentava una figura di riferimento ve-ramente unica per i propri pazienti, costituendo il naturale anello di congiungimento fra ospedale e territorio. Con il progressivo aumento di durata e comples-sità delle cure il medico di famiglia americano è andato perdendo questa duplicità di ruolo. Proprio come sta avvenendo nella nostra realtà, via via che le strutture ospedaliere si andavano specia-lizzando come centri di cura prevalentemente per acuzie è andato aumentando enormemente l’im-pegno del territorio nella gestione delle patologie croniche e, di conseguenza, il carico di lavoro in ambito ambulatoriale. Pertanto il medico di fami-glia ha dovuto rinunciare alla possibilità di con-tribuire alla gestione dei propri pazienti in fase di ricovero trovando, per di più, nella propria tipo-logia retributiva, tipicamente di tipo orario e non capitario, un ulteriore motivo di allontanamento dalla gestione dei pazienti in ospedale. Per que-sti motivi, il medico di famiglia è divenuto una figura completamente territoriale e la funzione di coordinamento in fase di ricovero si è riversata sull’hospitalist, medico di formazione e mentalità prettamente ospedaliera.Questa rigida dicotomia di ruoli conduce a frattu-re di cui il sistema americano presenta una lucida consapevolezza. Mancanza di comprensione della storia sanitaria e personale delle persone ricovera-te, incertezze nella scelta del livello di intensità di cura più appropriato, difficoltà relazionali in situa-zioni di estrema delicatezza come quelle ineren-ti le problematiche di fine vita sono elementi che sovraccaricano l’hospitalist sia in fase di ricovero che di dimissione e che tendono a impoverire la qualità del trattamento.Secondo gli articoli più recenti, la risposta a queste problematiche va cercata nella costruzione di un contatto privilegiato fra l’hospitalist e il medico che ha il ruolo di coordinare la cura sul territorio. Se infatti il medico di famiglia del passato operava da solo o in piccoli gruppi, l’attuale assetto americano prevede un’organizzazione del territorio basata su

grosse aggregazioni di medici e su unità complesse per l’erogazione delle cure primarie. Nell’ambito di queste strutture, la separazione dei ruoli potreb-be essere tale da consentire al coordinatore della cura, che ha sia la conoscenza che la responsa-bilità del paziente sul territorio, di dedicare par-te delle sue energie ad integrarsi con l’hospitalist, entrando a far parte del suo gruppo di consulenti e lavorando insieme a lui. In tal modo, il coordina-tore verrebbe a svolgere una funzione di ponte fra ospedale e medici territoriali, garantendo il ‘pas-saggio di consegne’ del malato e trasferendo nelle scelte cliniche tutta la sua conoscenza del malato. Riprendendo l’analogia iniziale con il giocatore di football, il coordinatore territoriale, grazie a questa evoluzione veramente speciale da dottore solitario con cappello e borsina a figura dotata di capacità di comunicare e di lavorare in rete realizzerebbe la possibilità di lanciare la palla a giocatori ancora più lontani, super specialisti con i quali non è mai esistito, fin ora, un reale contatto di gioco: per im-postare una cura veramente integrata, complessa e centrata sulla persona.

Verdiani V. e Affinati M. Hospitalist: l’anello mancan-te nell’ospedale per intensità di cura ? 2015. Toscana Medica, 5: 16-17.Mannori G.: La nuova sanità toscana, aprile 2013. La Voce dell’Ordine, 24, pp.24-26Press MJ. Instant replay – A quarterback’s view of care coordination. 2014. N Engl J Med, 371: 489-491.Yousefi V e Maslowski R. Health system drivers of hospi-tal medicine in Canada. 2013. Can Fam Physician 59: 762-767.Goroll AH e Hunt DP. 2015. Bridging the hospitalist – primary care divide through collaborative care. N Engl J Med 372: 308-309.

Microscopio inventato da Filippo Pacini e realizzato da Giovanni Battista Amici, ca. 1845.

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ENPAM

Il “versante assistenziale” dell’ENPAM concede ai Medici di Medicina generale e agli Specialisti am-bulatoriali ed esterni un sostegno economico, sot-to forma di indennità giornaliera nei casi di “in-validità assoluta temporanea”, di entità propor-zionale al reddito prodotto. Si tratta, come si può facilmente immaginare, di un discreto “ombrello” economico nei momenti in cui la professione vie-ne messa a rischio per gravi motivi di salute.Anche per gli iscritti al Fondo della libera pro-fessione questa prestazione esiste, ma solo per i percettori di redditi molto bassi. Oltretutto, tale reddito deve risultare dall’ultima dichiarazione dei redditi, che ovviamente non può certificare il danno della mancata attività se non con un anno o più di ritardo. Risultato: l’assistenza ENPAM, statutariamente prevista al pari della previden-za, è stata sempre circoscritta a pochissimi liberi professionisti. E pensare che le risorse ci sarebbe-ro, perché metà del contributo ridotto che viene concesso a chi versa nel Fondo della libera pro-fessione oltre un certo reddito è per regolamento deputato proprio a questa finalità. Il sistema ha quindi disperso ogni anno più del 75% delle risor-se disponibili, pari ad oltre 50 milioni di euro solo negli ultimi 10 anni. All’indolenza di chi, più in alto di me nella gerar-chia rappresentativa della libera professione, pro-metteva di occuparsene e non l’ha mai fatto, no-nostante i miei reiterati inviti a farlo, si è aggiunto il fatto che recentemente l’ENPAM stava svilup-pando un progetto di welfare, il c.d. Progetto Quadrifoglio, con cui voleva proprio occuparsi dei tanti stati di disagio professionale e personale che stanno emergendo in questi ultimi anni; dimenti-candosi però di rimediare a questa ormai storica sperequazione e lasciando ancora indietro i liberi professionisti, per i quali una malattia o un infor-tunio tali da causare una inabilità totale, seppure temporanea, può causare effetti economici deva-stanti. E, mentre tutti gli altri iscritti già godono di una ragionevole e gratuita indennità giornaliera, per i liberi professionisti sarebbero sopravvissute soltanto costose forme di assicurazione privata.Ora, va bene che in questi anni gli odontoiatri nell’ENPAM, a torto o a ragione rappresentanti dell’intero mondo libero professionale, erano tutti

presi dalle opportunità di rappresentanza che of-friva il nuovo Statuto, ma continuare a trascurare un aspetto così importante non era giustificabile. Eppure era quello che stava succedendo.Per questi motivi all’inizio di quest’anno ho pre-so una personale iniziativa in tal senso. Confesso che non è stato facile, perché volevo presentare un progetto sostenibile sia dal punto di vista rego-lamentare che da quello economico e, per sotto-porlo all’attenzione della Consulta, dovevo altresì ottenere un minimo di adesioni da parte dei colle-ghi della stessa.Per il primo problema ho goduto dell’appoggio e dei suggerimenti del mio Ordine, in primis del Presidente, della mia Sezione ANDI Prato e di quella Regionale, oltre che di altri preziosi sugge-rimenti di alcuni colleghi.Per il secondo problema ho raggiunto in breve il numero di adesioni richieste dal Regolamento della Consulta, notando però con disappunto che spiccavano per assenza quella del rappresentante in CdA e di altri esimi consultori, che vedevano una pericolosa, ma a mio avviso inesistente, so-vrapposizione con il Progetto Quadrifoglio.Per fortuna, a fronte delle perplessità avanzate da alcuni Consultori, ho trovato l’immediata e totale disponibilità del Presidente Oliveti il quale, con alcuni fondamentali suggerimenti, ha permesso che il mio progetto, corredato dai necessari rife-rimenti, andasse in porto, superando così le resi-stenze di parte della Consulta che, compatta, lo ha approvato e con la quale, alla fine, condivido volentieri il risultato.In una successiva seduta gli uffici dell’ENPAM hanno perfezionato la proposta, che verrà sotto-posta al CdA ed infine dovrà superare l’approva-zione ministeriale, forte della dimostrata sosteni-bilità economica.Risultato: tutti i liberi professionisti iscritti potran-no godere, probabilmente fin dall’anno prossimo, di una indennità giornaliera per invalidità assolu-ta temporanea proporzionata al reddito percepi-to, restando invariate le ulteriori prestazioni per i bassi redditi. Costo per gli iscritti: nessuno, per-ché la spesa sarà coperta ampiamente dalle risor-se disponibili.

Dottor Renato Mele, Rappresentante toscano nella Consulta ENPAM della libera professione

Aggiornamento in materiaprevidenziale

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Un filo rosso fra fisica e medicinaUn’interessante novità per medici e pazienti è il volume di Viviano Becagli “Dal termometro alla risonanza magnetica”, edito da Settegiorni Editore nel 2015. Forte di una lunga esperienza didattica e di una curiosità inguaribile per la fisica sanitaria, l’autore compie un excursus sui principi fisici che sottendono il funzionamento dei più importanti strumenti diagnostici in uso nella medicina moderna: partendo dai più classici presidii della borsa del medico, come il termometro, il fonendoscopio e lo sfigmomanometro, il prof. Becagli guida il lettore alla comprensione del modus operandi dei grandi protagonisti della tecnologia medica odierna, come la Risonanza Magnetica Nucleare, la P.E.T. e il Laser; per avventurarsi infine nella medicina del futuro, descrivendo con toni semplici ma convincenti la realtà, non più fantascienza, dell’occhio bionico, dell’applicazione delle nanotecnologie alla terapia dei tumori, del rilascio intelligente di farmaci fino a intercettare il processo di malattia a livello della singola cellula. Nonostante l’impegno concettuale del suo contenuto, il libro si propone come una lettura agile e fruibile, con la una spiccata capacità di avvincere il lettore senza scadere nel troppo tecnico o nel noioso: si percepiscono nel prof. Becagli una capacità didattica e un’abilità discorsiva che ne fanno il professore di fisica che chiunque avrebbe voluto avere al liceo e che, forse, qualcuno ha avuto. Lo stile della scrittura è lineare, pur mantenendo il rigore necessario al trattamento di una materia così complessa: giustamente l’autore afferma di aver pensato questo libro per un ipotetico paziente incuriosito dal funzionamento degli apparecchi medici che vengono utilizzati su di lui. Il bersaglio, in questo senso, è stato centrato in pieno: è una lettura che, prima di tutto, può essere consigliata ai pazienti, soprattutto i più curiosi. E non solo ai pazienti. Sebbene la conoscenza degli apparecchi descritti nel libro sia parte del

bagaglio culturale di ogni medico, questa lettura ha la capacità di riordinare concetti di fisica abbandonati da tempo in angoli lontani del cervello, seguendo un filo rosso preciso e consequenziale che partendo dalle “semplici” leggi della fisica conduce alla più elevata complessità che è tipica della medicina di oggi. Per questo è un volume da consigliare anche come lettura personale ai colleghi, con lo scopo di riannodare quel vecchio filo rosso imparato all’università e poi purtroppo trascurato per tanti, e non sempre nobili, motivi.Esiste, infine, un’ultima motivazione alla lettura di questo testo, perfettamente espressa in una frase della postfazione ed ideale a descriverlo: ”Non va trascurata la conoscenza degli strumenti descritti per rassicurarne l’affidabilità a chi ne faccia uso e consigliare la prudenza a chi ne richiederebbe l’abuso”.

Dott. Oliviero Cecconi

Viviano Becagli, Dal termometro alla ri-sonanza magnetica, Settegiorni Editore, 2015

RECENSIONE

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La Medicina degli Uomini (6)Riflessioni sull’epidemiologiaPierluigi Benedetti

PASSATO E PRESENTE

La storia dell’epidemiologia comincia con quella della medicina, mentre la sua definizione come disciplina scientifica particolare risale agli inizi del XIX secolo e il termine entrò nel linguaggio medico comune soltanto intorno alla metà di quel secolo. Nei decenni che precedettero la Rivoluzione Francese (1789) per il diffondersi delle idee degli Illuministi, in vari paesi europei furono messe in atto riforme importanti, che tesero a mitigare la tragica miseria in cui viveva grandissima parte delle popolazioni degli stati europei.Furono gli anni del cosiddetto “dispotismo illu-minato”, durante i quali alcuni regnanti, come Maria Teresa d’Austria, Federico II di Prussia, Caterina di Russia, sensibili alle idee dei “filo-sofi”, al fine di realizzare, come dicevano allo-ra, “la maggior felicità possibile” dei loro popoli, promossero riforme importanti nel campo della sanità pubblica.Calate dall’alto e sviluppate non raramente se-condo schemi preconcetti e a volte assurdi, e per la mancanza di partecipazione convinta dei soggetti interessati, queste riforme ebbero nella pra-tica un successo molto limitato; nondimeno ebbero il merito di promuovere indagini conoscitive sulla salute delle popolazioni per provvedere al controllo delle ma-lattie più diffuse e importanti.In tale modo, da queste indagini, nacque l’epidemiologia moderna, che con le sue “tavole di morta-lità” e lo sviluppo di strumenti matematici già evoluti, divenne da allora, in ogni paese, il cardine portante di tutti i sistemi sanita-ri, fossero pur primitivi quanto si vuole; perché soltanto sulla base di dati epidemiologici si potevano impostare programmi di preven-zione e trattamento delle malattie più diffuse.

L’epidemiologia si fece presto una cattiva fama presso i potenti e i loro ossequienti servitori, dato che non furono necessari studi approfonditi per capire che le misere condizioni di vita, in cui ver-sava gran parte delle popolazioni delle campagne e delle città, erano la prima causa delle malat-tie più diffuse; e grazie ad essa veniva presa co-scienza delle contraddizioni e delle incoerenze fra le politiche sociali degli Stati e l’insensibilità dell’allora nascente capitalismo selvaggio. L’opera di William Farr (1807-1883), inventore del primo sistema internazionale di classificazio-ne delle cause di morte e allievo di Thomas Mal-thus, dimostrò al di là di ogni dubbio la correla-zione strettissima fra cause di morte e povertà.Rudolf Virchow, non certo un convinto assertore del movimento socialista ottocentesco, scriveva nel fatidico anno 1848, che “la medicina è una scienza sociale”, affermando che “i medici sono gli avvocati naturali dei poveri e la questione so-ciale rientra in buona parte nella loro giurisdi-zione”.

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PASSATO E PRESENTE

A prescindere dagli aspetti più strettamente lega-ti ai problemi sociali, mai estranei in verità, alla scienza epidemiologica, (si legga in proposito la Dichiarazione di Alma Ata del 1978 sull’assi-stenza sanitaria primaria), l’epidemiologia mo-derna fin da quando è nata, si è posta scopi ambiziosi: prevenire e curare le malattie anche quando di esse non se ne conosce la causa, o se, pur conoscendone l’eziologia, non sono chiare le vie di trasmissione o le catene patogenetiche che legano casi diversi di una stessa malattia, che non sembrano avere alcun rapporto l’uno con l’altro.Di fronte a un evento morboso, tanto di più se esso non rientra nelle malattie già note, gli epi-demiologi raccolgono “sul terreno” informazioni e campioni da studiare con indagini biologiche e, soprattutto, da elaborare con strumenti mate-matici per costruire modelli e ipotesi di lavoro da sviluppare e testare nella pratica.I successi recenti e del passato dell’epidemiologia sono noti a tutti e per chi avesse interesse per questo argomento esistono pubblicazioni moder-ne e libri che ricordano gli epidemiologi pionieri, che inventarono ex novo strumenti per combat-tere e, in non pochi casi, per vincere malattie fino ad allora incurabili, spesso dell’indifferenza generale del mondo accademico loro contempo-raneo, che li ignorò o in certi casi addirittura li contrastò aspramente. Si pensi, per esempio, alla “terribile storia” di Ignazio Augusto Semmel-

weis, raccontata da Cèline nella sua Tesi di Lau-rea in Medicina all’Università di Parigi (1924).Per l’epidemiologo il rischio di esposizione a nuove patologie è naturalmente molto alto, come dimostrano le cronache recenti sul virus Ebola. Per alcuni di essi il prezzo da pagare è stato la vita stessa e fra di loro nel recente passato me-rita un ricordo particolare Carlo Urbani (1956 – 2003) di MSF (Medici Senza Frontiere), che identificò il virus della SARS, e ne fu infettato, arrivando a morirne.

La storia di un epidemiologo inglese dell’800 John Snow (1813 -1858), può esser presa come esempio e spunto di riflessione per i suoi aspetti scientifici e l’indifferenza o, per meglio dire, il fa-stidio, che quasi sempre generano le idee nuove, che mettono in discussione e a rischio rendite di posizione culturale ed economica acquisite nel tempo.

Lapide nella Chiesa di Duno (Varese) che ricorda i nomi dei medici caduti in questi ultimi decenni per cause legate alla loro professione. Il primo della lista è Carlo Urbani; il quarto partendo dal fondo è il pistoiese, Mario Romagnoli, Radiologo, della cui vita professionale fu riferito nel Bollet-tino n. 17 del dicembre 2010. La notazione P.H. significa “Pro Humanitate” e allude al sacrificio della loro vita per il bene del prossimo.

Ignazio Augusto Semmelweis

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John Snow, negli anni 50 dell’800 scoprì come si diffondeva il colera e il modo per evitare l’infe-zione prima ancora che se ne conoscesse la cau-sa batteriologica.Brillantissimo medico londinese, esercitava la professione nelle classi più alte della società del tempo ed era ritenuto a buon diritto il migliore dei medici specialisti in anestesia, la nuova mi-racolosa disciplina medica allora nascente. Fu lui che nel 1853 anestetizzò la regina Vittoria duran-te il parto del principe Leopoldo.La carriera di Snow ebbe però un’improvvisa svolta con l’epidemia di colera che colpì Londra nel 1854, perché da quell’anno fino alla morte avvenuta nel 1858 all’età di 45 anni, egli lasciò la sua nobile e ricca clientela e dedicò tutto il suo tempo a studiare la malattia dei più poveri. A Londra, nell’anno 1848, un’epidemia di colera provocò circa 15.000 morti e Snow fu colpito dal fatto che i decessi si concentravano soprattutto nei quartieri a sud del Tamigi e nelle misere abi-tazioni che si addensavano sulle banchine del fiume, mentre risparmiavano quasi completa-mente i quartieri lontani dal fiume.In quel tempo Londra era già dotata di reti fogna-rie e di impianti idrici gestiti da società diverse

di approvvigionamento idrico, che distribuivano l’acqua alle fontane dei quartieri e alle abitazioni. Snow fu colpito dal fatto, apparentemente poco rilevante, che la mortalità si accentrava nelle zone in cui l’acqua era fornita da due particolari Società Idriche, che attingevano l’acqua diretta-mente dal Tamigi, come allora era la regola, e la distribuivano nei luoghi in cui si addensavano i tuguri più miseri.Intuì subito che esisteva una relazione fra l’ac-qua che la gente beveva e la malattia, ma questa era un’ipotesi assurda per le convinzioni della scienza del tempo, secondo le quali la malattia era causata da ipotetici miasmi e influenze ne-gative di ogni genere. In tempi non remotissimi in quei luoghi, come dappertutto, per arrestare il male, si sarebbero cercati gli untori e si sarebbe bruciata qualche strega. L’ipotesi di Snow, fu irrisa e il suo ideatore fu considerato un lunatico dai colleghi medici, che non sapevano dare una spiegazione di quel suo comportamento tanto “strano” e del suo accani-mento nel voler dimostrare teorie chiaramente prive di senso. Snow divenne la favola della città e il suo agire l’argomento favorito delle conversa-zione nei salotti “buoni” dove si “faceva musica e scienza”; e dove profumate ed eleganti signore seguivano attente le parole di azzimati e autore-volissimi colleghi di Snow, che enunciavano le teorie sicure sull’origine del morbo, scherzando volentieri sulla stranezza del comportamento di un medico, che, trascurata un’ attività lautamen-te remunerata e una clientela “nobile e regale”, girava per gl’infimi tuguri dei bassifondi londi-nesi per chiedere a luridi straccioni quanti erano stati i morti di colera nelle loro famiglie e dove attingessero l’acqua da bere.Con l’intuizione del genio, Snow registrava sulla mappa della città i luoghi di queste morti e insie-me annotava il nome delle società di approvvi-gionamento idrico che fornivano acqua in quelle zone. L’epidemia di colera si spense nei mesi invernali del 1849, ma dopo quattro anni, nel 1853, tornò a colpire con violenza, prediligendo sempre le zone della città a sud del Tamigi.Ben presto all’inizio di questo nuovo episodio epidemico Snow capì di poter stabilire una rela-zione sicura fra colera e l’acqua potabile. Si ac-corse infatti dalle sue accuratissime mappe in cui aveva registrato i luoghi della città dove si erano verificati i casi di morte della precedente epide-mia e quelli dei nuovi casi di colera, che esse coincidevano solo in parte e vide che la zona in cui i decessi erano molto minori era quella forni-

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John Snow

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PASSATO E PRESENTE

ta dalla società idrica che aveva spostato a nord sul Tamigi i pozzi da cui attingeva l’acqua da distribuire alla città.Fu certo anche che la mortalità si concentrava nella zona fornita da una pompa pubblica par-ticolare, quella di Broad Street, nel quartiere di Soho, e ottenne dalle autorità con grande fatica e con l’appoggio determinate del Reverendo Hen-ry Whitehead, vicecurato della chiesa di quella zona, dove la malattia imperversava più feroce, che la pompa fosse chiusa e la sua maniglia di pompaggio rimossa.Il colera nel quartiere scomparve quasi completa-mente e Snow e suoi pochi sostenitori ebbero la soddisfazione di vedere nella pratica confermate le loro ipotesi, mentre la scienza ufficiale a cui l’autorevolissima rivista “The Lancet” dava voce, criticavano in maniera drastica il suo lavoro; e tanto fece la Medicina Ufficiale che la pompa fu riaperta, ma per fortuna, quando questo avven-ne, la malattia aveva già esaurito il suo ciclo. Snow aveva combattuto e vinto una battaglia, di cui, per la morte precoce, non poté vedere il frut-to. Infatti, anche se nel momento le sue prove furono rigettate e si volle chiudere gli occhi di fronte alla realtà, ben presto i regolamenti per l’approvvigionamento idrico cambiarono e non fu più permesso attingere acqua a valle del punto di risalita della marea del fiume, che, nei casi di maree particolarmente alte, poteva arrivare fino alle parti più settentrionali della città di Londra, facendo refluire le acque luride degli scarichi fo-

gnari, fino nei pozzi di acqua potabile.Del lavoro di Snow si potrebbe parlare a lungo, oltre che per la sua importanza storica, anche per il modello da lui fornito per la ricerca epi-demiologica, riuscendo a eliminare con il puro ragionamento quelli che oggi vengono chiamati dagli epidemiologi i fattori “confondenti” e sot-toponendo la sua teoria a prove falsificazione, in positivo e in negativo, con buona pace di chi pensava, e purtroppo continua a pensare, che in medicina la ricerca possa fare a meno del rigore scientifico.

Snow “sconfisse il colera”, ma non ne conobbe mai la causa. Intuì che nell’acqua ci dovesse es-sere un “veleno”, che poteva in qualche modo passare anche da un individuo all’altro, ma non ebbe la soddisfazione di conoscerlo. Sottopose l’acqua all’osservazione microscopica del miglior microscopista del suo tempo, Arthur Hill Hassall, che probabilmente vide i vibrioni, ma imbevuto nelle teorie miasmatiche del suo tempo, interpre-tò gli animalucoli, che vedeva nei campioni di acqua studiati e di cui esistono rappresentazioni nelle tavole dei suoi lavori, come una conseguen-za della corruzione miasmatica del liquido e non come agente patogeno di malattia.Nello stesso anno 1854, in cui Snow “sconfigge-va” il colera, un ricercatore italiano Filippo Pa-cini, vide e studiò quegli animalucoli; e li definì con un nome preciso, indicandoli senza esitazio-ne come gli agenti patogeni del colera e descri-

Londra, Tamigi

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vendo insieme al reperto microscopico batterio-logico, le lesioni istologiche autoptiche patogno-nomiche della mucosa del colon, il cui aspetto fu da lui definito simile a “velluto tarlato”. Il lavoro del Pacini fu ignorato dalla scienza uffi-ciale e 30 anni dopo fu attribuita a Robert Koch la scoperta del bacillo del colera. Soltanto nel 1965, 82 anni dopo la morte, fu ri-conosciuta al Pacini la paternità della scoperta di quel bacillo da parte del Comitato Internazionale per la Nomenclatura Batteriologica, che definì il bacillo responsabile del colera ”Vibrio cholerae Pacini”.Solo la morte, e non sempre, è “giusta dispensie-ra di gloria”.

NOTEFattori di confondimento in epidemiologia.Sono fattori che nello studio di un fenomeno “confondono” il nesso fra esposizione ed esito.Il fattore “confondente” è un fattore di rischio associato all’una e all’altra, cioè all’esposizione e all’esito, distribuito in maniera eterogenea. Un fattore di confondimento provoca una distor-sione della stima (bias).Esempi di distorsione di una stima.1. La stima della mortalità nelle varie classi di età nelle popolazioni di paesi diversi, è “distorto” se non viene considerato come si distribuiscono in quei paesi gli individui nelle diverse classi di età. 2. La percentuale di sopravvivenza a un certo tipo di in-tervento in diversi reparti chirurgici, è “distorta” se non si tiene conto a priori della gravità dei casi trattati.

Prove di falsificazio-ne dell’ipotesi.Snow, nei suoi lavori riferisce di casi che sembravano smenti-re la sua ipotesi della relazione fra l’acqua inquinata e il colera. Registrò con preci-sone e analizzò con cura quei casi; e sco-prì che non solo non contraddicevano la sua teoria, ma anzi ne rafforzavano la

PASSATO E PRESENTE

validità.1. Due casi di colera si verificarono in quartieri completamente indenni dal male. Una signora abitante lontano dalla famigerata pompa di Broad Street morì inspiegabilmente di colera e con lei un nipote, abitante ancora più lontano dai focolai epidemici. Snow seppe dal figlio della signora che la madre usava farsi por-tare ogni giorno una bottiglia di acqua di quella pompa per motivi affettivi e perché la conside-rava la migliore acqua di Londra; un suo nipo-te che abitava in un altro quartiere indenne dal colera, in visita alla casa della zia in quei giorni, bevve di quell’acqua e come lei morì di colera.2. In Broad Street nella zona dove la malattia aveva fatto letteralmente strage, esisteva una di-stilleria di birra, che impiegava circa 70 lavorato-ri, fra i quali non si verificò alcun caso di morte per colera. L’indagine di Snow mise in chiaro che il persona-le della distilleria usava l’acqua di un profondo pozzo non collegato alle reti idriche cittadine; e il proprietario della distilleria aggiunse che i suoi operai non bevevano mai acqua avendo a dispo-sizione, per contratto, una bevanda di miglior qualità, cioè la birra che distillavano e gli fece notare con orgoglio che anche gli impiegati, essi pure risparmiati dal male, godevano di tale privi-legio salariale. Un fringe benefit che salvò a molti di loro la vita.

Vibrione del Colera

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In un pomeriggio di giugno, stranamente tiepido, ab-biamo visitato la mostra attualmente ospitata a palaz-zo Buontalenti a Pistoia, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e dedicata alla figura di Alberto Burri, uno dei più significativi arti-sti del Novecento al quale è dedicato un allestimento dinamico che mette in relazione opera, autore e gesto artistico grazie anche alla straordinaria documenta-zione fotografica di Aurelio Amendola. E da questa particolare idea di allestimento è nata una sorta di conversazione, favorita anche dalla tranquillità del luogo, tra noi e una collega designer incontrata lì. Il nostro parlare si è dipanato un po’ come il filo di Arianna che si avvolgeva attraversando il bellissimo cortile del palazzo fino nelle varie sale della mostra, tra passi e immagini, tra riflessioni a voce alta e do-mande ci siamo accorti che co-noscevamo sì l’autore, ma che a noi visitatori quasi per caso... serviva un ulteriore approfon-dimento sulla biografia dell’ar-tista, sollecitata proprio dalle opere in mostra.L’incipit di Burri si è rivelato originale quanto inaspettato: la ragione della sua arte era la medicina! Sì era iscritto nel 1934 alla facoltà di medicina di Perugia, laureato nel 1940 con una tesi sperimentale, fu richia-mato alle armi con il grado di sottotenente medico di comple-mento, fu in Albania nel 1941, nel 1942 in Italia e nel 1943 in Africa settentrionale, catturato dagli inglesi vicino a Tunisi fu consegnato agli Ame-ricani e da questi condotto nel campo di prigionia di Hereford in Texas nell’agosto 1943. Prigioniero per 18 mesi maturò la decisione di abbandonare la medicina per dedicarsi alla pittura. Di questo tempo rimane un ricordo di Giuseppe Berto, pubblicato nel 1966, prigioniero nel medesimo campo-recinto n°4-senza che si conoscessero nonostante la straordinaria vi-cinanza.Berto racconta che nel campo circolava la “leggenda” della presenza di un medico che, schifato dall’uma-nità aveva deciso che gli uomini non meritavano più le sue cure e, perciò, non intendeva esercitare più la medicina, per questo aveva scelto di iniziare a dipin-gere. In seguito Alberto Burri affermerà che la “leg-genda” era falsa, ma è bene evidente che tutta la sua

L’ORDINE DEI MEDICI PER L’ARTE E LA CULTURA

Alberto Burri (1915-1995) dalla medicina all’arte

arte nasce da una rivolta profonda e coraggiosa. Nel 1948 Alberto Burri è in Italia, a Roma, e mostra agli amici le sue prime opere; quando gli vengono chieste spiegazioni risponde che “...È: non si può spiegare...”. Questo è un primo elemento di fascino dell’opera di Burri, cioè quello della sua vocazione artistica che non nasce in famiglia o all’interno di un determinato ambiente culturale o di studi e, forse, è uno degli elementi per comprendere la sua arte: fuori da tutto, in-aspettabile, inaspettata. Lo spettatore con buona disponibilità può ricevere l’inquietudine e la provo-cazione dell’espressione artistica di Burri che, nella mostra pistoiese, è rappresentata da una selezione più che significativa delle sue opere: nove quadri che rappresentano altrettante fasi espressive e gra-zie alle quali si può approfondire direttamente “tutto

Burri”, otto opere provengono dalla collezione Gori di Celle e una è concessa in mostra dalla Fondazione Palazzo Albizzini che ospita la collezione Burri. L’artista rinunciò fino al 1956 a spiegarsi: “Le parole non mi sono d’aiuto quando provo a parlare della mia pittura. Que-sta è un’irriducibile presenza che rifiuta di essere tradotta in qualsiasi altra forma di espres-sione. È una presenza nello stesso tempo imminente e atti-va. Questa è quanto essa signi-fica: esistere come dipingere. La mia pittura è una realtà che è parte di me stesso, una realtà che non posso rivelare con pa-

role”. Se a Burri non bastavano le parole, queste non sono mancate ai critici e agli storici dell’arte che fino dai suoi esordi hanno trattato con entusiasmo la sua opera da Sweeney ad Argan, da Calvesi a Crispol-ti fino a Choay e Brandi, in occasioni diverse e in particolare nelle presentazioni e nei cataloghi delle sue innumerevoli mostre. La felice occasione della mostra pistoiese può e deve essere colta in accom-pagnamento al catalogo che racconta le ragioni della presenza nel nostro territorio di significative opere del medico-artista nato a Città di Castello. Per chi de-siderasse entrare in contatto con l’opera e l’immagi-ne dell’artista all’opera consiglio la visita alla mostra aperta fino al 26 luglio con il supporto del catalogo a cura di B. Corà, Burri e Pistoia. La collezione Gori e le fotografie di Amendola, Gli Ori, 2015.

Maria Camilla e Emilio Pagnini

C O m U n I C A z I O n I

CALENDARIO DEGLI EVENTI ECM

CORSI DEI MESI DI OTTOBRE NOVEMBRE E DICEMBRE 2015 C/O LA SEDE DELL’ORDINE – VIALE ADUA 172

SABATO 10 OTTOBRE 2015 ORE 8.30 (N. 5 CREDITI ECM per 60 partecipanti solo medici)“Psiconeuroimmunologia e Disturbi da Stress Cronico: procedure diagnostiche e processi di cura”

VENERDI’ 6 NOVEMBRE 2015 ORE ORE 21.00“ENPAM: presente e futuro del nostro Ente previdenziale”

SABATO 14 NOVEMBRE ORE 8.30 (N. 5 CREDITI ECM per 60 partecipanti solo medici)“Ospedale San Jacopo: Nuove tecnologie e nuove opportunità assistenziali in chirurgia”

SABATO 21 NOVEMBRE ORE 8.30 (Corso in fase di accreditamento per 60 partecipanti solo me-dici)“Gestione del paziente affetto da insufficienza respiratoria cronica”

SABATO 5 DICEMBRE ore 8.30 (N. 15 CREDITI)Il corso residenziale non fornisce crediti a coloro che hanno già seguito la versione online.“Salute e ambiente: pesticidi, cancerogenesi, radiazioni ionizzanti, campi elettromagnetici e antibioti-coresistenza”

CONVOCAZIONE ASSEMBLEA ORDINARIA ANNUALE

È convocata l’Assemblea ordinaria annuale degli iscritti all’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Pistoia presso la sede ordinistica (Pistoia-viale Adua 172), in prima convocazione il giorno 25 novembre 2015 alle ore 00.00 ed in seconda convocazione, valida con qualsiasi numero di presenti,

per il giorno giovedì 26 novembre 2015 alle ore 21con il seguente ordine del giorno:

1- Relazione del Presidente;2- Approvazione bilancio consuntivo 2014 e preventivo provv. 2015;3- Consegna delle medaglie per i 50 anni di laurea;4- Giuramento dei neo iscritti;5- Varie ed eventuali. P.S. Come per gli anni passati, i bilanci sono depositati presso la Segreteria ordinistica e consultabili da chi ne ha interesse.Si ricorda a tutti gli iscritti di comunicare tempestivamente alla segreteria ogni variazione di resi-denza, numero telefonico e dati personali, nonché il conseguimento dei titoli di specializzazione, di master, di dottorato di ricerca o altri titoli.

PAGAMENTO QUOTA ANNUALE ISCRIZIONE ALL’ORDINE

Si ricorda a tutti gli iscritti, che ancora non avessero provveduto, di effettuare il pagamento della quota di iscrizione onde evitare spiacevoli solleciti e spese postali per l’invio di raccomandate.Si ricorda inoltre che in caso di mancato pagamento è richiesto all’Ordine di iniziare la procedura di cancellazione a partire dal prossimo 1° gennaio.