APPUNTI DI VIAGGIO 110

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Anno XIX - Mensile Marzo-Aprile 2010 (1/4) APPUNTI DI VIAGGIO 110 Sped. abb. post. D.L. 353/03 [conv. in L. 27/02/04 n. 46] art. 1 c. 1 - DCB - Roma Note di ricerca spirituale La mappa – Sommario – Shalom – Vedere la luce – Dunque, cos’è la luce? – VEDERE CON CUORE Bruno Groening: il Guaritore dei miracoli / Intervista a Saveria Lipari, eremita cristiana – L’attesa dell’Amato [parte seconda] – “... Ma io vi dico” [parte quarta] – Intervista a Eric Baret – Corsi di meditazione e di preghiera – I nostri libri – RIPROPOSTA: L’IMMORTALITÀ DELL ANIMA [La luce di Dio nelle viscere del- l’uomo (Prv 20,27)] Recensione L’IMMORTALITÀ DELL ANIMA la luce di Dio nelle viscere dell’uomo [Prv 20,27] di ELIA BENAMOZEGH Edizioni La parola Roma

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Anno XIX - Mensile Marzo-Aprile 2010 (1/4)

APPUNTI DIVIAGGIO 110

Sped. abb. post. D.L. 353/03 [conv. in L. 27/02/04 n. 46] art. 1 c. 1 - DCB - Roma

Note diricerca spirituale

La mappa – Sommario – Shalom – Vedere la luce – Dunque,cos’è la luce? – VEDERE CON CUORE Bruno Groening: ilGuaritore dei miracoli / Intervista a Saveria Lipari, eremitacristiana – L’attesa dell’Amato [parte seconda] – “... Ma io vidico” [parte quarta] – Intervista a Eric Baret – Corsi dimeditazione e di preghiera – I nostri libri – RIPROPOSTA:L’IMMORTALITÀ DELL’ANIMA [La luce di Dio nelle viscere del-l’uomo (Prv 20,27)] Recensione

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La mappaShalomPasquale ChiaroVedere la luceAlessia PianaDunque, cos’è la luce?Elémire ZollaVEDERE CON CUORE

Bruno Groening: il Guaritore dei Miracoli [21]Circolo degli Amici di Bruno GroeningIntervista a Saveria Lipari, eremita cristiana [26]Appunti di ViaggioL’attesa dell’Amato [parte seconda]Guidalberto Bormolini“... Ma io vi dico” [parte quarta]John Martin KuvarapuIntervista a Eric Baretrealizzata da Gioia Lussana per Appunti di ViaggioCorsi di meditazione e di preghieraI nostri libriRIPROPOSTA

L’IMMORTALITÀ DELL’ANIMA]di Elia BenamozeghRecensione di Gabriella Maestri

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Sommario

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VEDERE LA LUCE

Il nome di BrunoGroening viene rivelatoal pubblico nella pri-mavera del 1949 quandomigliaia di persone,soprattutto ammalati esofferenti, iniziarono adaffluire a Herford, cittàdella Westfalia perpoterlo incontrare edessere risanate. A partiredall’autunno dello stessoanno più di 30 mila per-sone giunsero ognigiorno all’ippodromo diRosenheim. Per molti sitrattava dell’ultima spe-ranza rimasta. Colpitidalla guerra, lasciati solidai medici che non sape-vano più come aiutarli,queste persone avevanoancora solo un deside-rio: ritrovare la salute,liberarsi dalle difficoltà edal dolore. p. 21

BRUNO GROENING

Ci sono due modi divivere. Secondo la viadella giustizia e secondola via dell’amore incon-dizionato. Occhio perocchio e dente per denteè la via della giustizia. Illibro del Deuteronomiosostiene che se unoviene colpito ad unocchio da un’altra per-sona deve ricevere giu-stizia. E se viene colpitoa un dente, lo stesso.Questa è la via della giu-stizia. Chi vive nellacoscienza individuale onella coscienza collettivavive secondo la via dellagiustizia. Ma chi vivenella coscienza universa-le va oltre. Agisce a par-tire dall’amore incondi-zionato. p. 39

L’ATTESADELL’AMATO

La domanda è fra lepiù sconvolgenti, per-ché a volerla portarefino in�fondo, si devegiungere a trovare ilnucleo della luce in unosplendore�nero, ante-riore al fulgore solare.Una torsione che moltementi nonvorranno�mai compie-re. Tanto che sulla lucele idee sono quasi sem-pre confuse e�contrad-dittorie. Esaminiamociò che sulla luce si è

pensato in Israele.La�Genesi fa operareun Dio che all’inizio,per prima cosa crea laluce di�contro alla tene-bra e la trova buona.Compare così la primacoppia di opposti chelottando suscitano larealtà, ma�essi sonoanteriori alla luce chenoi vediamo, poiché ilsole sarà creato�soltantoal quarto giorno delGenesi.

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DUNQUE, COS’È LA LUCE?

Se la notte è unmomento vitale per l’e-sperienza spirituale,allora dovrà essere benpreparata, anche per-ché sarà proprio lanotte a determinarecome si svolgerà il gior-no successivo: «C’è undemonio che appena cistendiamo sul nostroletto ci si avvicina e cisaetta con immagina-zioni cattive e sporche,affinché, mentre alloraper pigrizia non siamoin arme contro di luiall’orazione, ci addor-mentiamo in bruttipensieri e facciamo poibrutti sogni». p. 33

altresì separazione(«separò la luce dalletenebre»), passaggiodall’«informe» allaforma, dal disordine(«abisso») all’ordine.La creazione è peròessenzialmente e pri-mariamente luce, che èopera prima, principioordinatore, “emana-zione” divina, scintillache “accende” l’azionecosmogonica. p. 7

Il termine ebraicoche viene tradotto conla locuzione «In prin-cipio» è bereshit, cheinizia con la letterabeth, ossia la secondalettera dell’alfabeto.Nell’alfabeto ebraico,infatti, la prima lette-ra, aleph, è una conso-nante muta. La crea-zione è dunque Parola(«Dio disse») cherompe il silenzio. È

La mappa

Chi conosce lo yogavive il suo ingombroperché ha già il suosapere e questo gliimpedisce di ascoltare,ma chi ha la fortuna diarrivare senza niente,che sia la prima volta ola centesima volta, èsolo costui che può real-mente ascoltare, nell’is-tante. Nello yoga non cisono altro che principi-anti perché chi pensa diconoscere qualche cosaviene intralciato nell’as-colto da questa sua stes-sa conoscenza. In realtàtutto è sempre nuovo,non ci sono ge-rarchiepossibili. Esiste però unapproccio funzionale.

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“... MA IO VI DICO”

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INTERVISTA AERIC BARET

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Cari amici e compagni diviaggio,

siamo “ancora una volta” in-sieme. Dico “ancora una volta”perché sento molto la precarietàdella situazione in cui siamo im-mersi, ad ogni livello, per cuiogni numero della rivista chevede la luce è come un piccoloparto che si ripete ogni volta, mapotrebbe venire il giorno in cuiquesto parto non riesce più. Èmio grande desiderio che quelgiorno coincida con l’avventodei “nuovi cieli e nuova terra”che aspettano i cristiani. A quelpunto non servirà più una rivistache aiuti ad attraversare “il de-serto” dell’esistenza terrena,perché saremo finalmente ap-prodati nella “Terra promessa”.

Un grande aiuto per alimen-tare e mantenere vivo questodesiderio viene dal “fare memo-ria” delle tappe del passaggio di

Gesù fra di noi, in modo specia-le quella della “Resurrezione”nel giorno di Pasqua, che cele-briamo appunto in questi gior-ni, perché questo evento inqualche modo certifica e sigillala vittoria del bene sul male,inoltre anticipa e mostra il futu-ro che ci attende: una beatitudi-ne eterna in comunione conDio. La memoria della resurre-zione di Gesù è motivo di gran-de conforto, speranza e gioiaper noi che siamo ancora im-mersi nella precarietà e nell’im-permanenza e ci dona coraggioe forza per continuare a sperareanche in mezzo alle mille diffi-coltà della vita quotidiana.

Coraggio amici carissimi:con l’aiuto di Gesù ce la faccia-mo anche noi.

Abbiamo parlato di Gesù ri-sorto. Dai vangeli leggiamo che

Shalom

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una volta risorto Gesù si pre-sentò più volte in mezzo ai di-scepoli che erano riuniti a por-te chiuse. Questo significa che ,con la resurrezione, il suo cor-po aveva perso la materialità, lamassa: era probabilmente di-ventato un corpo di pura “ener-gia”, di “luce”, come già era av-venuto nell’episodio della tra-sfigurazione. Ora, Dio è certa-mente un mistero per noi pove-re limitate creature, credo peròdi non stare lontano dal vero selo immagino come la fonte pri-mordiale di ogni energia [anchela Parola lo è] e luce: infatti lesue manifestazioni sono quasisempre accompagnate dallapresenza della luce.

Per questo motivo credo cheil tema della “luce” sia partico-larmente centrato in occasionedella Pasqua. Per approfondirel’argomento, su questo numerodella rivista pubblichiamo duearticoli sulla luce: “Vedere laluce”, di Alessia Piana, e“Dunque, cos’è la luce?”, diElémire Zolla. Sono due artico-li molto belli, il primo più cen-trato sulla spiritualità giudaico-cristiana, il secondo allargatoad una visione più universale.

Su questo numero pubbli-

chiamo inoltre la storia diBruno Groening, che con la suavita ha dato una grandissimaprova di fede: pensate, guarivale malattie e le infermità dellagente con la sola forza dellapreghiera. Pubblichiamo, anco-ra, un’intervista a SaveriaLipari, eremita cristiana, eun’intervista a Eric Baret, gran-de maestro di yoga, di cui ab-biamo appena editato (per Laparola) il libro “L’unico deside-rio [nella nudità dei tantra]”.Pubblichiamo infine la conclu-sione degli articoli “L’attesadell’amato”, di P. GuidalbertoBormolini, e “... ma io vi dico”,di fratel Martin Kuvarapu.

A me sembrano tutti testimolto belli. Buona lettura.

Prosegue il “Cammino dellaSanta Presenza”. A questo pro-posito volevo dire, alle personeche hanno acquistato il mio pic-colo libro [Il Cammino dellaSanta Presenza, Ed. La parola] evolessero praticare comunitaria-mente il percorso di cui parlo neltesto che, anche se sono lontane,possono sintonizzare i loro cuorisu Roma, presso Appunti diViaggio, per pregare con “ilgruppo” che si incontra il marte-dì in questa sede, alle ore 18,15.

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L’incontro dura un’ora (dal-le 18,30 fino alle 19,30 circa) epercorre le seguenti tappe:

Angelus DominiI Vespri (fino alla “letturabreve”).“Piccola benedizione” diGesù.Preghiera del Silenzio (20-25minuti).Vangelo (della domenicaprecedente).Preghiera d’Amicizia conGesù (15 minuti circa).Padre nostro.

Prima di chiudere, volevoinformarvi che, molto probabil-

mente, quest’anno, forse adOttobre, riprenderemo a cele-brare la “Festa di Appunti diViaggio”.

Chi è interessato può inizia-re a prenderne nota e a farglispazio nella sua agenda e nelsuo cuore. Nei prossimi numeridaremo altre notizie.

Ora vi lascio perché siamo inritardo sui tempi di lavorazionedella rivista.

Un abbraccio affettuoso atutti e l’augurio di una santaPasqua.

Roma, 25 Marzo 2010.

Pasquale Chiaro

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La piccola benedizione

Benedetto Gesù, mio amoreBenedetto Gesù, mia gioia e mio cantoBenedetto Gesù, mia luceBenedetto Gesù, mia paceBenedetto Gesù, mio riposoBenedetto Gesù, mio nutrimentoBenedetto Gesù, mia forza,

mio scudo, mia roccia di salvezzaBenedetto Gesù, vita della mia vitaBenedetto Gesù, cuore del mio cuoreBenedetto Gesù, anima dell’anima mia

[Da “La Grande benedizione”, su Appunti di Viaggio n. 96]

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È ancora convinzione pres-soché generale, espressa inmolti e dotti studi di insignibiblisti cristiani, che nell’ambitodell’ebraismo la fede nell’im-mortalità dell’anima e nellarisurrezione, pur accennata quae là in qualche passo dellaScrittura, si fosse sviluppata intutta la sua pienezza solo a par-tire dall’epoca maccabaica, cioèdal II secolo a. e. c., e che primadi tale epoca, si ritenesse chetutte le anime indistintamentediscendessero nello Sheol,luogo orrendo ed oscuro in cuinon poteva giungere la lucedivina.

Il bel libro di EliaBenamozegh, recentementeuscito nelle edizioni La Parola,avente come titolo L’immortalitàdell’anima e come sottotitolo Laluce di Dio nelle viscere dell’uo-mo, rivoluziona totalmente tali

convinzioni; il suo valore ètanto più significativo in quantoquesto piccolo saggio è il fruttodi uno studio accurato e appas-sionato non di un ricercatore deinostri tempi, ma di un uomostraordinario, un rabbino di ori-gine marocchina vissuto inItalia, a Livorno, nel secolo XIX,autore di numerose e importan-ti opere, molte delle quali inItalia ancora poco conosciute, ilquale, fra gli altri suoi meriti,per il vasto orizzonte culturale eper l’interesse allo studio deirapporti intercorrenti tra legrandi religioni monoteiste, inparticolare tra l’ebraismo e il cri-stianesimo, a buon diritto puòessere considerato un vero eproprio precursore del dialogointerreligioso.

Lo studio di Benamozegh,apparso ora per la prima voltanella sua integrità in un volume

ELIA BENAMOZEGH

L’IMMORTALITA’ DELL’ANIMA

La luce di Dio nelle viscere dell’uomo [Prv 20,27]

Edizioni La parola, Roma 2008, pp. 180, Euro 16

Il libro è già nelle librerie

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curato da Daniele Capuano e daMarco Morselli (precedente-mente era stato pubblicato divi-so in tre diversi articoli), dove-va far parte di un Corso diTeologia progettato in ottovolumi, scritti in parte in italia-no e in parte in francese, inlarga misura ancora inedito. Illibro testimonia una fase impor-tante della ricerca dell’Autore,poiché si situa tra L’origine desdogmes et de la morale duChristianisme e la Storia degliesseni da un lato, e Israël et l’hu-manité, testi di capitale impor-tanza, validi ancor oggi, neiquali egli, come scriveCapuano, «propose un’ardita egrandiosa visione del rapportofra il popolo e la religione ebrai-ca e le altre nazioni e vie spiri-tuali: visione centrata sullaQabbalah, sull’intuizione dellacentralità profetico-sacerdotaledi Israele e dell’alleanza noachi-de».

Con grande cura, e conamore ancora più grande,Benamozegh si preoccupa sindall’inizio di sottolineare comela fede nell’immortalità dell’ani-ma sia presente in tutta laScrittura sin dalle sua primapagina e scorra internamente adessa, illuminandone ognirisvolto in modo ora più lam-

pante, ora più sotterraneo, affer-mando con forza che non sareb-be stato neppure lontanamentepensabile, come invece è statosostenuto dagli esegeti cristiani,che nei tempi più antichi non sifosse ancora sviluppata la fedenell’immortalità dell’anima enella risurrezione. Del resto ilcontatto ravvicinato che gliEbrei avevano avuto per secolicon la civiltà egiziana nonavrebbe permesso la negazionedi ciò che, agli occhi degli Egizie di tutti i popoli antichi, eraconsiderato come qualcosa diassolutamente scontato, senza ilquale non avrebbe avuto sensoneppure la vita terrena.

L’Autore vede affermata lasperanza nella sopravvivenzaindividuale sin dai primi verset-ti della Scrittura, in quel proget-to divino racchiuso nelle parole«facciamo l’uomo a nostraimmagine e somiglianza». Taleprincipio, espresso con la paro-la ebraica Yikkar, tradotta daBenamozegh come “dogma”,aveva costituito un costantepunto di riferimento e unincentivo all’azione per tutti igrandi personaggi della Bibbia,a partire dai Patriarchi fino adarrivare a Mosè, anche se essoesplicitamente non è accennatonei testi scritturistici più anti-

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chi. A proposito di tale dogma«se dunque Mosè tace… è senzadubbio perché l’approva, dicia-mo meglio, perché era undogma ereditato dai Patriarchi equindi preesistente al mosai-smo, e poi perché, trattandosi diun dogma, apparteneva più alcampo della tradizione che aquello della Scrittura, e forseapparteneva alla tradizioneacroamatica, ai misteri…».Senza tale certezza interiore -afferma Benamozegh - per qualemotivo lo stesso Mosè, cometanti altri prima e dopo di lui,avrebbero sacrificato tutto perobbedire al Signore, andandospesso incontro a fallimenti e adelusioni nella vita terrena?

Il soffio del Signore nellenarici di Adam, l’essere terre-stre, ne conferma la spiritualitàe l’origine divina: Benamozeghsottolinea il fatto che nel rac-conto della creazione soloquando ci si riferisce all’uomonon si trova l’espressione le-minehu, ”secondo la sua spe-cie”, che invece viene impiegataper ogni altro essere vivente. Adifferenza di tutte le altre crea-ture infatti «l’uomo contiene inse stesso, come individuo, lasua ragion d’essere, la sua parteimmortale, la sua coscienza, lasua individualità, il suo io».

Anche il modo in cui si fariferimento alla morte, secondoBenamozegh, ci fa comprenderecome gli antichi Israeliti l’inten-dessero. Spesso in molte paginedella Scrittura essa è indicatacon i termini aliyah, “assunzio-ne” e leqihah, “presa”, o anchecon la parola asifah, “raccogli-mento”, con i quali si allude alfatto che con la morte del corponon finisce tutto: termina la vitaterrena, è vero, ma inizia unanuova fase dell’esistenza chetroverà il suo totale compimen-to in Dio, che prende ed acco-glie l’anima del defunto nel suoRegno facendola sedere nell’as-semblea dei giusti.

L’idea di una dimora comunedove i morti si ritroveranno sivede chiaramente espressa giànelle parole pronunciate daGiacobbe quando gli fu annun-ziata la morte del figlio:«Discenderò da mio figlio inlutto allo Sheol» (Gn 37,35).Espressioni dello stesso generesi ritrovano in numerosissimialtri passi della Scrittura. A que-sto proposito bisogna chiarireche lo Sheol nel pensierodell’Autore oltre ad indicare lafossa in cui il defunto vienesepolto, designa anche un aldilàche non ha solo quella valenzatotalmente negativa che per

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secoli - ed ancora oggi - tantiesegeti cristiani gli hanno attri-buito, presentandolo come abis-so tenebroso in cui tutte laanime dei defunti confluivanoindistintamente, lontane persempre dalla luce divina, mapuò indicare anche la dimorain cui gli spiriti dei trapassati siriuniscono ai loro padri. Fra ivivi e i morti si mantiene unavera e propria “corrispondenzad’amorosi sensi”: a questo pro-posito Benamozegh cita le paro-le dell’autore della NishmatHayyim, Menashe ben Yisrael, ilquale afferma che «i defunti,dopo la morte, sanno quel chesuccede in questo mondo e siangustiano per il male e si com-piacciono per i lieti eventi».

La morte dei giusti è spessochiamata asifah el ammim, ”riu-nirsi alle proprie genti” (laparola ammim, “popoli/genti”,esprime una società ben piùvasta di quella familiare); talvol-ta essa è pure chiamata asifahel-Ha-Shem, cioè “riunione conDio”. La morte degli empi inve-ce viene definita keritah me-ammim, cioè “esser recisi daipopoli”. Tale sorte però, chesembrerebbe indicare la perditadella vita eterna, l’annichili-mento totale dell’anima, è riser-vata soltanto a coloro che si

sono macchiati di gravissimipeccati nel campo della religio-ne, come l’idolatria, o come lanegazione della Rivelazione: lapersona che ha oltraggiato ilSignore «sarà recisa di mezzoalle sue genti, perché hadisprezzato la Parola delSignore, ha violato la sua Legge;la sua anima sarà recisa, la colpaè sua» (Nm 15,30-31).Maimonide, come pureNahmanide, propendono pertale interpretazione, mentreAbrabanel vede nella keritahuna eterna separazione dell’ani-ma da Dio. Per tutte le altrecategorie di peccatori invece,dopo un periodo più o menolungo di espiazione (che puòessere supportato dalle preghie-re, dal digiuno e dalle opere dicarità e di giustizia dei vivi), èprevisto l’arrivo nella “tenda delSignore”, nella luce, nella pace enell’amore di Dio, a cui l’animatende, poiché da Lui deriva,durante tutta la megurah, ossiail suo pellegrinaggio terreno.«L’anima mia è assetata di Dio,del Dio vivente; quando maipotrò venire a presentarmi aDio?» (Sal 42,3).

Se dunque «la lampada deimalvagi sarà spenta» (Prv24,19-20), tutte le altre animesaranno ammesse nel luogo

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misterioso di Dio, abiterannoalla Sua ombra una volta supe-rati “i cammini tenebrosi”, peri-coli di ogni sorta, incontri tre-mendi che metaforicamenterappresentano le sofferenzepurificatrici capaci di donarefinalmente la yeshuah, la salvez-za, cioè la beatitudine eterna.Qui Benamozegh mette in evi-denza come la rappresentazionedell’aldilà presente nell’immagi-nario dell’antico Egitto abbiapotuto influenzare anche lacomposizione di alcuni salmiche parlano dei pericoli provo-cati da belve o da luoghi orren-di (come il 91, ad esempio) eche non devono essere interpre-tati letteralmente, ma con riferi-mento al viaggio dell’animadopo la morte. Circa ildestino ultimo delle anime,anche dei peccatori più abbietti,l’ebraismo però conosce anchealtre posizioni, nelle quali vienesottolineato come l’idea che Diopunisce, ma non rigetta, ritorniad ogni passo nei testi biblici,poiché la giustizia divina è sem-pre alleata della misericordia:«L’Eterno… conserva il suoamore per mille generazioni,perdona il peccato, la ribellionee l’errore, ma non lo lasciaimpunito» (Es 34, 6-7).Benamozegh sembra decisa-

mente optare per tale ipotesi, e,facendo riferimento alle suevastissime conoscenze nelcampo della mistica, sottolineacome nelle suddetta citazione laQabbalah abbia visto un’allusio-ne alla dottrina della metempsi-cosi, presente in antichissimifiloni della spiritualità ebraica,soprattutto nelle credenze degliesseni. «Noi moriremo e saremocome le acque che scorrono perterra e nessuno raccoglie. Dionon perdonerà a nessunaanima, ma avrà cura che nessu-no venga rigettato lontano daLui» (2 Sam.14,14). «La morte -afferma Benamozegh - fa dellenostre anime come dell’acquache scorre verso una metadeterminata e non torna maiindietro. Questo luogo verso ilquale tende è Dio stesso… Eglitroverà il modo perché nessunosia mai rigettato da Lui».

Anche le parole con le qualila Scrittura indica tutto ciò cheriguarda la morte sono partico-larmente significative: “letto”viene talvolta definita la bara,“casa” la tomba, “andare a dor-mire” (shekivah) spesso designail morire. Tali espressioni fannocapire che la morte era intesacome un sonno, uno stato inter-medio tra la veglia passata e ilrisveglio futuro: «in una sem-

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plice e popolare locuzione siintravedono due dogmi: l’im-mortalità e la resurrezione».«Quando i profeti vogliono for-mulare in termini un po’ piùprecisi l’idea della resurrezione,non hanno che calcare un po’l’antica locuzione patriarcale dishekhivah per vederne sgorgaresubito naturalmente già formu-lato il dogma della resurrezio-ne» afferma il nostro Autore,accingendosi ad esaminare laletteratura profetica, ricchissi-ma su tale argomento, bastipensare alle ispirate parole diIsaia 26,19: «Rivivranno i tuoimorti, i miei caduti risorgeran-no, esulteranno coloro che abi-tano nella polvere, perchérugiada di luci è la tua rugiada ela terra farà cadere le ombre», oalla descrizione in Ezechiele 37delle ossa aride, ravvivate dalloSpirito di Dio.

Il presupposto della fedenella resurrezione sta nella con-vinzione della profonda simbio-si esistente fra la parte spiritua-le dell’uomo e la sua carne,“basar”, entrambe, come è scrit-to all’inizio del Genesi, fruttodell’opera creatrice divina, cheformò il primo Adam be-salme-nu ki-demutenu, ad immagine esomiglianza di Dio. «Che tu michiami e io Ti risponda, e Tu Ti

compiaccia dell’opera delle Tuemani» (Gb14,15): questo com-piacersi è interpretato daBenamozegh nel senso dellarisurrezione. A tale tema ilnostro Autore dedicò in seguitoanche uno studio specificoscritto in francese e in Italia tra-dotto e pubblicato solo parzial-mente, nella «Rassegna mensiled’Israel» nel secondo decenniodello scorso secolo, nel qualeriprese e approfondì ulterior-mente la sua riflessione in pro-posito.

Ma il pensiero di Dio non èvolto solo all’uomo, ma all’inte-ro universo. A questo propositoviene citato in modo particolareil Libro di Giobbe. In esso silegge: «Chi lo incaricò di creareil mondo, chi organizzò l’uni-verso intero? Se rivolgesse a luiil pensiero e lo spirito e la suaanima a Lui raccogliesse, peri-rebbe ogni mortale in un soloistante e l’uomo tornerebbe allapolvere» (Gb13,14).Benamozegh non vede in questeparole solo affermata la signoriadi Dio su tutto l’universo, ma viscorge anche una precisa pro-fessione di fede nella dottrinadell’emanazione, che è la pietraangolare della Qabbalah.Secondo questa la vita universa-le, soprattutto quella degli esse-

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ri organici, è un’emanazionedivina; l’universo è stato creatomediante un movimento diespirazione: «Teshallah ruhakhayibbareùn uthaddèsh pnè-ada-mah», cioè «Mandi il Tuo spiri-to, sono creati e rinnovi la fac-cia della terra» (Sal 24,30). Allostesso modo, se il Signore riti-rasse il suo soffio vitale attraver-so un movimento di inspirazio-ne, ogni organismo perirebbe.

Nell’ultima parte dell’operainfine vengono presentati i dif-ferenti modi che la linguaebraica possiede per designarel’anima: nefesh, ruah, neshamah,kavod, hod, hayyah, yehidah,ciascuno con una particolaresfumatura di significato. Iprimi due termini sono partico-larmente connessi con la respi-razione, il soffio vitale, il terzo,neshamah, rimanda al cielo, dacui l’anima proviene: la nesha-mah è infatti definita una fiacco-la di Dio che esplora l’internodell’uomo. Kavod esprime lamagnificenza, la gloria conferitadall’anima al corpo, esattamen-te come il kavod divino che simanifesta nell’universo. Ancheil termine hod possiede un ana-logo significato. Hayyah, “lavivente”, esprime non solo laconvinzione che all’animaappartiene la vita per eccellen-

za, ma anche che essa puòcomunicarla ad altri (hayyahsono chiamate sia la partorienteche la levatrice, ambedue pro-babilmente perché danno lavita). Infine yehidah (l’unica)supera tutti gli altri termini perla sua nobiltà, per la sua profon-da e squisita spiritualità.Yehidah - afferma il nostroAutore - «significa il centro, l’u-nità, il punto dal quale derivanotutte le forze della vita e delpensiero e al quale convergono:questa monade regina… che diquesto insieme fa una perfettaunità, che tutto produce, tuttocoordina, tutto perfeziona». Lasomiglianza tra l’unità di Dio el’unità dell’anima non è sfuggitaai Dottori. Si legge infatti nelMidrash Tehillim: «L’anima èyehidah (unica) nel corpo e Dioè yahid (unico) nel mondo».

Tutto quanto è stato espostovuole semplicemente dare sol-tanto un’idea della ricchezza delpensiero dell’Autore, supporta-to in ogni pagina da un ricchis-simo corredo di citazioni trattedalle varie parti della Scrittura,a partire dal Pentateuco per poicontinuare con i Libri profeticied infine con Giobbe e iProverbi, secondo un criteriocronologico che, seppure inalcuni casi sia stato messo in

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discussione dai più recenti studicritici, non inficia tuttavia innessun caso la validità del con-tenuto. Il libro, come è stato giàdetto, si segnala per la sua ori-ginalità e per il grande contri-buto che può offrire ad unamigliore comprensione dellaspiritualità dell’ebraismo e dellasua visione dell’aldilà, moltospesso non adeguatamentevalutata o comunque pococonosciuta o male intesa.

Terminata la lettura, resta unsenso di amarezza nel ripensarea tutte le volte che l’esegesi cri-stiana ha preteso di affermareche nella Bibbia ebraica non eraespressa alcuna speranza disopravvivenza individuale dopola morte, se non in alcune tardepagine di età ellenistica. Delresto, il termine stesso hayyim,che designa la vita e che possie-de soltanto il plurale - sottolineaBenamozegh - esprime la fedein un’esistenza non solo terrena.Quante, troppe volte, tanti testidi straordinaria ricchezza, tracui un posto importante occu-pano moltissimi Salmi, sonostati interpretati solo nel loro

senso letterale, trascurando lavalenza fortemente simbolica dicerte espressioni, dimenticando,ad esempio, che agli occhi degliantichi abitanti d’Israele ilTempio di Dio o il suo montesanto erano figura della Reggiadivina nell’alto dei cieli!

L’augurio è dunque che que-sto libro possa essere conosciu-to da un vasto pubblico, rega-landogli un po’ di quella spe-ranza e di quella fiduciosa atte-sa di cui era tanto ricco il suoAutore, e che possa anche offri-re un significativo contributoper una serena e rinnovatariflessione, in campo cristiano,sull’escatologia e sul destinoultimo dell’anima, temi questiche, dopo un lungo periodo distasi, sembrano di nuovo, inquesti ultimi anni, interessare efar discutere i teologi, alcuni deiquali, impegnati in una ricercad’avanguardia, sembrano avvi-cinarsi a quelle posizioni cheBenamozegh ci ha fatto cono-scere attraverso questo piccologrande libro.

Gabriella Maestri

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