Approccio psicoterapeutico ad orientamento autogeno

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APPROCCIO PSICOTERAPEUTICO AD ORIENTAMENTO AUTOGENO. Indirizzo scientifico-culturale e fondamenti metodologici. Ferdinando Brancaleone 1. I presupposti teorico-metodologici della psicoterapia autogena sono da ricondurre alle ricerche ed agli studi, effettuati tra la fine del diciannovesimo e gli inizi del ventesimo secolo, da eminenti studiosi, quali il neurofisiopatologo Oskar Vogt ed il neuropsichiatra Johannes Heinrich Schultz. Dal 1932, anno in cui J.H. Shultz pubblicò la sua fondamentale monografia "Das Autogene Training"(1), l'approccio autogeno, inizialmente conosciuto ed applicato prevalentemente nei Paesi di lingua tedesca, si è ampiamente diffuso in Europa, come in Asia ed in America, tanto che in letteratura oggi si conta una rilevante massa di voci riguardanti i vari aspetti, sia teorici che clinico-applicativi, della psicoterapia autogena. Eppure, in Italia, come affermava già nel 1976 il Prof. Luigi Peresson, docente di Psi-coterapia presso l'Università degli Studi di Trieste, tale approccio psicoterapeutico "[...] è scarsamente e, quel che è peggio, malamente conosciuto e per di più attuato solitamente in modi scorretti. Non solo: la sua volgarizzazione in questi ultimissimi anni ne ha travisato presso il grosso pubblico l'autentico significato scientifico, riducendo la tecnica a semplici e banali esercitazioni di rilassamento"(2). Per converso, negli Stati Uniti, già dal 1975 Robert A. Harper, nel suo volume "The New Psychotherapies" definiva l'approccio autogeno come un modo di impostare la psicotera-pia molto "raffinato", "scientificamente fondato" e "tecnicamente complesso"(3). A fronte della enorme diffusione del metodo autogeno, come afferma Luciano Masi, profondo studioso dell'argomento, "[...] non c'è stata, però, un'analoga espansione della consapevolezza delle sue reali caratteristiche scientifiche, dei suoi fondamentali principi teorici e di tutte le implicazioni culturali e sociali che all'applicazione di esso sono legate"(4). 2. Le basi del sistema teorico sottostante all'approccio autogeno sono da ricercare, oltre che in J.H. Schultz, in alcuni dei suoi più esimi allievi e collaboratori, ed in ispecie in E. Kretschmer, W. Luthe, H. Wallnofer e T. Bazzi. Tale sistema teorico si fonda sulla concezione della personalità umana come un complesso altamente integrato, in cui elementi psichici e biologico-costituzionali risultano profondamente interconnessi e quindi inscindibili (5). E. Kretschmer, ad esempio, nel delineare la 'legge psicofisica', su cui pose le basi della propria caratterologia, affermava: "La regolazione del tono della muscolatura volontaria, quella del sistema neurovegetativo e quella della timopsiche sono tra loro strettamente interdipendenti e sono l'espressione di una tipologia costituzionale"(6). Da tale presupposto nacquero, poi, i fondamentali studi di Kretschmer sulle costituzioni morfologiche, sottese a specifiche tendenze temperamentali, potenzialmente orientate verso specifiche patologie, che confluirono nella sua famosa tipologia caratteriologica (7). Un punto cardine, in tale ambito concettuale, è rappresentato dal concetto di "Tiefenperson" (traducibile, solo approssimativamente, con "Personalità Profonda"). Attraverso tale termine ci si riferisce ad una "[...] dimensione psichica rudimentale, strettamente connessa all'attività neurovegetativa e ormonale, e strutturante 'orientamenti' e 'tendenze' che, in determinate situazioni , possono anche portare a sbocchi disadattivi"(8). La Tiefenperson consta di due fondamentali 'meccanismi psicofisiologici', che Kretschmer denomina, rispettivamente, "iponoici" ed "ipobulici"(9). I meccanismi iponoici attivano tutte le forme di conoscenza e di apprendimento che hanno luogo al di sotto del livello di consapevolezza conscia: essi "aggirano" la razionalità logica ed il linguaggio nel suo specifico significato referenziale. " [...] Si tratta, quindi, di 'informazioni' continue che la Tiefenperson riceve in forma subliminale attraverso il linguaggio delle emozioni, delle comunicazioni espressive, delle suggestioni, delle immagini visive o di altro genere, delle fantasie, dei sogni: quel linguaggio che si rivolge all'individuo 'decorticato', che ha allentato cioè temporaneamente il potere dei 'filtri' del pensiero normalmente usato, per servirsi di uno più arcaico e più idoneo ad arrivare agli stati profondi della personalità"(10). I meccanismi ipobulici, da parte loro, attivano tutte le modalità di reazione, strutturate al di fuori dell'intenzione volontaria, sulla base degli apprendimenti acquisiti iponoicamente. Qualora apprendimenti subliminali (iponoici) contrastino con fondamentali ed autentiche esigenze biologiche, possono svilupparsi tendenze comportamentali disadattive, operanti al di sotto ed al di là delle intenzioni coscienti e volontarie (ipobuliche). Giacché la Tiefenperson è da

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APPROCCIO PSICOTERAPEUTICO AD ORIENTAMENTO AUTOGENO. Indirizzo scientifico-culturale e fondamenti metodologici. Ferdinando Brancaleone

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APPROCCIO PSICOTERAPEUTICO AD ORIENTAMENTO AUTOGENO. Indirizzo scientifico-culturale e fondamenti metodologici.

Ferdinando Brancaleone

1. I presupposti teorico-metodologici della psicoterapia autogena sono da ricondurre alle ricerche ed agli studi, effettuati tra la fine del diciannovesimo e gli inizi del ventesimo secolo, da eminenti studiosi, quali il neurofisiopatologo Oskar Vogt ed il neuropsichiatra Johannes Heinrich Schultz. Dal 1932, anno in cui J.H. Shultz pubblicò la sua fondamentale monografia "Das Autogene Training"(1), l'approccio autogeno, inizialmente conosciuto ed applicato prevalentemente nei Paesi di lingua tedesca, si è ampiamente diffuso in Europa, come in Asia ed in America, tanto che in letteratura oggi si conta una rilevante massa di voci riguardanti i vari aspetti, sia teorici che clinico-applicativi, della psicoterapia autogena. Eppure, in Italia, come affermava già nel 1976 il Prof. Luigi Peresson, docente di Psi-coterapia presso l'Università degli Studi di Trieste, tale approccio psicoterapeutico "[...] è scarsamente e, quel che è peggio, malamente conosciuto e per di più attuato solitamente in modi scorretti. Non solo: la sua volgarizzazione in questi ultimissimi anni ne ha travisato presso il grosso pubblico l'autentico significato scientifico, riducendo la tecnica a semplici e banali esercitazioni di rilassamento"(2). Per converso, negli Stati Uniti, già dal 1975 Robert A. Harper, nel suo volume "The New Psychotherapies" definiva l'approccio autogeno come un modo di impostare la psicotera-pia molto "raffinato", "scientificamente fondato" e "tecnicamente complesso"(3). A fronte della enorme diffusione del metodo autogeno, come afferma Luciano Masi, profondo studioso dell'argomento, "[...] non c'è stata, però, un'analoga espansione della consapevolezza delle sue reali caratteristiche scientifiche, dei suoi fondamentali principi teorici e di tutte le implicazioni culturali e sociali che all'applicazione di esso sono legate"(4).

2. Le basi del sistema teorico sottostante all'approccio autogeno sono da ricercare, oltre che in J.H. Schultz, in alcuni dei suoi più esimi allievi e collaboratori, ed in ispecie in E. Kretschmer, W. Luthe, H. Wallnofer e T. Bazzi. Tale sistema teorico si fonda sulla concezione della personalità umana come un complesso altamente integrato, in cui elementi psichici e biologico-costituzionali risultano profondamente interconnessi e quindi inscindibili (5).

E. Kretschmer, ad esempio, nel delineare la 'legge psicofisica', su cui pose le basi della propria caratterologia, affermava: "La regolazione del tono della muscolatura volontaria, quella del sistema neurovegetativo e quella della timopsiche sono tra loro strettamente interdipendenti e sono l'espressione di una tipologia costituzionale"(6). Da tale presupposto nacquero, poi, i fondamentali studi di Kretschmer sulle costituzioni morfologiche, sottese a specifiche tendenze temperamentali, potenzialmente orientate verso specifiche patologie, che confluirono nella sua famosa tipologia caratteriologica (7). Un punto cardine, in tale ambito concettuale, è rappresentato dal concetto di "Tiefenperson" (traducibile, solo approssimativamente, con "Personalità Profonda"). Attraverso tale termine ci si riferisce ad una "[...] dimensione psichica rudimentale, strettamente connessa all'attività neurovegetativa e ormonale, e strutturante 'orientamenti' e 'tendenze' che, in determinate situazioni , possono anche portare a sbocchi disadattivi"(8). La Tiefenperson consta di due fondamentali 'meccanismi psicofisiologici', che Kretschmer denomina, rispettivamente, "iponoici" ed "ipobulici"(9). I meccanismi iponoici attivano tutte le forme di conoscenza e di apprendimento che hanno luogo al di sotto del livello di consapevolezza conscia: essi "aggirano" la razionalità logica ed il linguaggio nel suo specifico significato referenziale. " [...] Si tratta, quindi, di 'informazioni' continue che la Tiefenperson riceve in forma subliminale attraverso il linguaggio delle emozioni, delle comunicazioni espressive, delle suggestioni, delle immagini visive o di altro genere, delle fantasie, dei sogni: quel linguaggio che si rivolge all'individuo 'decorticato', che ha allentato cioè temporaneamente il potere dei 'filtri' del pensiero normalmente usato, per servirsi di uno più arcaico e più idoneo ad arrivare agli stati profondi della personalità"(10). I meccanismi ipobulici, da parte loro, attivano tutte le modalità di reazione, strutturate al di fuori dell'intenzione volontaria, sulla base degli apprendimenti acquisiti iponoicamente. Qualora apprendimenti subliminali (iponoici) contrastino con fondamentali ed autentiche esigenze biologiche, possono svilupparsi tendenze comportamentali disadattive, operanti al di sotto ed al di là delle intenzioni coscienti e volontarie (ipobuliche). Giacché la Tiefenperson è da

considerare "[...] un livello di attività psichica primitivo, che si fonde con quello fisiologico" (11), le peculiari tendenze ipobuliche che nella Tiefenperson prendono forma risultano, per così dire, 'plasmate' dalla secrezione ormonale nonché dall'assetto del sistema neurovegetativo, strettamente interagenti con gli apprendimenti iponoici sedimentati; in altri termini, la Tiefenperson, nelle sue specifiche manifestazioni ipobuliche, risente di una serie di complessi fattori ed influssi di natura endogena, esogena, organica e psicogena. Nell'ordine delle considerazioni sopra riportate, quindi, si può affermare che le caratteristiche e le tendenze tipiche della Tiefenperson sono di multiforme tipologia e di origine plurifattoriale, costituendo la base ed il fondamento "[...] delle disposizioni affettive, delle reazioni comportamentali, degli atteggiamenti conoscitivi, difensivi e adattivi, cioè di tutto quel complesso di strutture che costituisce la personalità" (12). Secondo tale ottica, le nevrosi nascono dal contrasto tra i 'radicali biologici' (caratteristiche e bisogni costituzionali di ogni singolo individuo) e l'organizzazione comportamentale 'ipobulica' (quando sia con essi incongrua), ampiamente influenzata dagli apprendimenti 'iponoici', oltre che dai "messaggi" biologici, a prevalente azione neurovegetativa ed ormonale. Ne consegue che la psicoterapia, secondo la tipica concezione di E. Kretschmer, deve prefiggersi, come obiettivo primario, un adeguato accesso alla Tiefenperson, 'substrato primario' paragonabile ad una sorta di 'inconscio psicosomatico', intimamente interconnesso con la biotipologia dell'individuo, per operare poi in due fondamentali direzioni, che prevedono, in sostanza, un'azione volta a: - incidere sul corredo di informazioni 'erronee' della Tiefenperson [intervento sui radicali iponoici]; - modificare le incongrue tendenze profonde che dalle prime si sono andate strutturando [intervento sui radicali ipobulici] (13).

3. Spetta al Prof. Tullio Bazzi, che seguì i corsi di Kretschmer a Tubinga, ed al suo 'allievo', Prof. Luigi Peresson, il merito di aver dato al metodo psicoterapeutico, fondato sui presupposti teorici sopra esposti, la chiarezza ed il rigore concettuale di cui abbisognava. A livello di ricostruzione storica, secondo i sopracitati Bazzi e Peresson, le origini dell'approccio terapeutico autogeno "[...] risalgono agli studi che il neurofisiopatologo Oskar Vogt andava conducendo tra il 1894 e il 1903 sul sonno e sui fenomeni fisiologici ad esso connessi" (14). Johannes Heinrich Schultz, il futuro ideatore della Psicoterapia Autogena, ai primi del '900, leggendo i lavori di Vogt, all'epoca in cui lavorava presso la clinica medica di Richard Stern, incrementò il proprio interesse per un settore che l'aveva affascinato sin dall'epoca dei suoi studi universitari di medicina: appurare le caratteristiche di quel complesso fenomeno psicofisiologico, denominato 'ipnosi', che tanti aspetti pareva avere in comune con il sonno. L'orientamento e le ricerche di J.H. Schultz, attento conoscitore della Psicoanalisi a cui si era sottoposto per tre anni, si avvalsero, quindi, della personale conoscenza delle due principali tendenze psicoterapeutiche del tempo: quella 'ipnotico-neuro-fisiologica' e quella 'psicoanalitica', mutuata dall'orientamento catartico di Breuer. Il 1924, anno in cui Schultz si trasferisce a Berlino, segna l'incontro personale con Vogt (già conosciuto, per altro, nel 1905 presso la Clinica Medica dell'Università di Breslavia) ed il saldarsi di un'amicizia tra i due scienziati, che durerà per tutta la vita. Tale evento permise a Schultz di meglio chiarire le ricerche di Vogt, nonché di valutare direttamente le caratteristiche dell'approccio terapeutico da Vogt denominato "metodo frazionato" o "ipnosi frazionata". In sostanza, Vogt aveva messo a punto un metodo, attraverso cui tendeva a riprodurre ed indurre una sorta di "sonno artificiale", mediante la creazione del tipico contesto 'naturale' attraverso cui si avvia il processo dell'addormentarsi: eliminazione degli stimoli acustici disturbanti, riduzione dell'illuminazione, temperatura confortevole, posizione orizzontale di distensione e rilassamento, chiusura degli occhi; elementi tutti, "[...] che portavano ad una diminuzione di eccitabilità nervosa ed inducevano alla distensione ed al riposo" (15). La realizzazione del "sonno artificiale" veniva facilitata, inoltre, da stimoli verbali del terapeuta, che suggerivano "calma" e "confortevole rilassamento". A mano a mano che il paziente apprendeva, con l'aiuto del terapeuta, a sperimentare questo "sonno profilattico ipnotico", Vogt lo incoraggiava a raggiungere una progressiva indipendenza dal terapeuta, invitandolo a praticare da solo, durante l'arco della giornata, quelle che egli denominò "pause profilattiche". Attraverso l'applicazione di tale metodica, Vogt poté constatare che molti dei suoi pazienti nevrotici riuscivano a determinare autonomamente la deconnessione propria dello stato ipnotico, conseguendo positivi risultati di distensione, calma e recupero di energia, nonché un notevole aumento delle capacità di auto-osservazione psicologica.

4. E' a partire dal "metodo frazionato" di O. Vogt, che J.H. Schultz costruirà il suo metodo, da lui in seguito denominato "Training Autogeno"(sigla: T.A.), che costituirà il presupposto della complessa ed articolata

impalcatura della Psicoterapia ad orientamento autogeno. Afferma, a tal proposito, il Prof. Luigi Peresson: "Dal metodo frazionato di Vogt, Schultz coglie alcuni momenti che ritroviamo pressoché identici nel T.A.: così la creazione dell'ambiente adatto per l'esecuzione degli esercizi, la postura per ridurre al minimo gli stimoli afferenti ed efferenti, la ripetizione delle formule, il principio dell'allenamento, ecc. Ma tra le due tecniche, a parte la diversa progressione dell'esecuzione, c'è un divario sostanziale. Esso è rappresentato proprio da quell'elemento autogeno che nel metodo di Vogt, così fortemente impregnato di fattori eterosuggestivi propri dell'ipnosi, non si ritrova per nulla. Diremo, anzi, che la chiave per comprendere a fondo il T.A. è rappresentata da quell'aspetto e non da altri: dal fatto cioè che il Training si genera da sé" (16). E' opportuno, a questo punto, richiamare sinteticamente alcuni concetti fondamentali relativi alla Psicoterapia Autogena, così come fu da J.H. Schultz concepita e messa a punto, al fine di meglio comprenderne la sua attuale evoluzione.

'Training' significa, letteralmente, 'allenamento'. Ma, come ben affermava L. Peresson, "[...] questo termine esige una chiarificazione: allenamento praticato dal paziente, ma allenamento a che cosa? Non certo al semplice rilassamento, come spesso si crede [...]"(17). L'obiettivo precipuo di tale allenamento, invece, è la realizzazione progressiva di quello stato particolare, da Schultz denominato "Umschaltung", traducibile con "commutazione" o "deconnessione" organismica. " [...] Si tratta di uno stato psicofisiologico del tutto peculiare in cui, accanto alla generalizzazione della ipotonicità muscolare e della iperemia vasale [...] il soggetto vive anche un particolare stato di coscienza che Schultz definisce come < Un atteggiamento di 'passiva e acritica immedesimazione'>" (18).

Lo stato di Umschaltung deve avvenire in modo "autogeno", ed è proprio il 'principio autogeno' che è alla base dell'approccio di Schultz, nel senso che ogni eventuale modificazione psicofisiologica, registrabile nel corso dell'allenamento, deve prodursi in modo spontaneo, in quanto 'autogenerata': qualunque interferenza esterna deve essere, quindi, accuratamente evitata "[...] ed in modo particolare quella del terapeuta, che deve osservare il silenzio più assoluto e limitare la sua azione alla preliminare spiegazione del metodo e alla successiva valutazione e discussione dei vissuti personali di ciascun paziente" (19).

5. E' a Wolfgang Luthe, stretto collaboratore di J.H.Scultz, che ha lavorato per lungo tempo a Montreal in Canada e poi è divenuto Direttore Scientifico dell'Istituto "Oskar Vogt", annesso all'Università "Kyushu" in Giappone, e docente di terapia psicofisiologica alla Facoltà Medica della stessa Università, che si deve la più puntuale ed articolata messa a punto della metodologia autogena in chiave psicoterapica, di vaste proporzioni e di interessanti e molteplici applicazioni. Per questo studioso il T.A. rappresenta la base ed il pre-requisito di un gruppo di approcci autogeni di carattere psicofisiologico, che vanno a costituire quella che egli ha denominato "Terapia Autogena" e che ha presentato, nelle sue varie e diversificate implicazioni, in sei volumi, scritti parte in collaborazione con lo stesso Schultz (primi tre Volumi) e parte dopo la morte del Maestro (20). Luthe, nella sua vasta ed articolata monografia, propone una 'visione complessiva' della Psicoterapia Autogena, nella quale quattro fondamentali metodiche possono intersecarsi ed interagire in maniera complementare e funzionale: A. TRAINING AUTOGENO di BASE; B. MODIFICAZIONE AUTOGENA; C. NEUTRALIZZAZIONE AUTOGENA; D. TRAINING AUTOGENO SUPERIORE.

A. Il TRAINING AUTOGENO di BASE prevede, essenzialmente, l'allenamento attraverso i cosiddetti 'esercizi-standard', denominati anche 'esercizi somatici'. Si tratta di un allenamento a conseguire innanzitutto quella che Schultz definisce "Konzentrative Selbstentspannung" (letteralmente: 'autodistensione concentrativa', tradotto spesso con "Concentrazione Passiva"), "[...] caratterizzata dalla 'non volontarietà', cioè dalla sospensione dello sforzo" (21). In pratica, il soggetto viene via via allenandosi all'esecuzione del Training somatico, che, partendo dai due "esercizi-base" della pesantezza e del calore, prosegue con gli "esercizi-complementari" del cuore, respiro, plesso solare e fronte fresca. E', questa, la metodica autogena maggiormente conosciuta ed applicata (anche all'interno di molti altri approcci terapeutici), essendo quella che risulta di più facile apprendimento e che presenta minime controindicazioni ed inconvenienti. Di fatto,

comunque, essa assume, già da sola, un notevole valore, giacché un adeguato e sistematico allenamento con il T.A. di base "[...] consente di ottenere risultati anche notevoli, quali la regolarizzazione di funzioni organiche alterate, dipendenti dal sistema neurovegetativo [...] nonché di quelle neurofunzionali specifiche" (22). Non pare fuori luogo, in questa sede, richiamare almeno alcune tra le più interessanti interpretazioni teoriche concernenti gli effetti potenzialmente terapeutici del T.A. di base, raccolte da Luthe nella sopracitata fondamentale sua Monografia "Autogenic Therapy". Ad esempio, la scuola di medicina corticoviscerale preferisce considerare molti aspetti e caratteristiche del T.A. nel più ampio contesto della teoria pavloviana; per essa l'allenamento autogeno determinerebbe modificazioni psicofisiologiche per via di condizionamenti successivi. Altri, invece, ha cercato di spiegare il T.A. rifacendosi a teorie neurofisiologiche, come quelle formulate da W.Scheidt o da W.R. Hess. Riprendendo, appunto, gli studi di W.R. Hesse, anche Luthe, per parte sua, giustifica il valore terapeutico del T.A. attraverso il concetto di 'automodificazione di relazioni corticodiencefaliche'. Né vanno sottaciute le ricerche di W. Penfield e della sua Scuola sul ruolo del sistema reticolare e centroencefalico; come pure quelle di W.B. Cannon sull'omeostasi e di H. Selye sullo stress. Appare, quindi, giustificata, l'affermazione di Luigi Peresson, il quale, sulla scorta dell'accurata analisi di Luthe, sostiene che l'efficacia terapeutica del T.A., anche a livello di esercizi di base, discende fondamentalmente "[...] dalla modificazione spontanea delle relazioni corticodiencefaliche che rendono le forze naturali capaci di recuperare la loro ristretta funzione di normalizzazione autoregolatrice" (23).

B. Per quanto concerne la MODIFICAZIONE AUTOGENA, W. Luthe si riferisce ad un particolare uso della 'Konzentrative Selbstentspannung' (Concentrazione Passiva), volto al conseguimento di mutamenti psicofisiologici di natura maggiormente specifica rispetto a quelli realizzati a livello degli esercizi di base. Già J.H. Schultz, nella sua Opera Monografica "Das Autogene Training", aveva dedicato un intero paragrafo (Capitolo Terzo, Paragrafo 1-G) alla formulazione di quelli che egli denomina "Proponimenti", inseriti alla fine dell'esecuzione degli esercizi-standard, una volta raggiunto lo stato di 'commutazione autogena'. Egli, infatti, afferma che "[...] con precisi ed adeguatamente formulati proponimenti si possono ottenere modificazioni profonde nella personalità dei propri pazienti che sarebbe impossibile pensare di poter ottenere per mezzo della semplice persuasione e che richiederebbero per un trattamento 'micropsicologico' un interminabile periodo di tempo" (24); e ribadisce: "[...] (q)uesta tecnica consente, se applicata in modo adeguato e corretto, non soltanto la possibilità di modificare incongrue modalità di reazione e anormali singoli atteggiamenti ma anche la possibilità di ottenere in un tempo relativamente breve brillanti modificazioni di situazioni che coinvolgevano profondamente e globalmente personalità patologiche" (25). W. Luthe riprende, approfondisce ed articola in modo ampio e sistematico tale aspetto dell'approccio autogeno del Maestro, mettendo a punto una specifica metodica che egli denomina "Modificazione Autogena" e che comprende l'utilizzo di due fondamentali tipi di 'formule': le "Formule Intenzionali" (F.I.) e le "Formule d'Organo Specifiche" (F.O.S.). E' da rilevare che, in tal caso, non ci riferisce a 'formule' che possono scaturire dalla pratica di quello che viene di solito denominato Training Autogeno Superiore, bensì "[...] di risoluzioni in rapporto allo stato del paziente che si è allenato solo agli esercizi inferiori" (26). Le Formule Intenzionali (F.I.) differiscono dalle Formule d'Organo Specifiche (F.O.S.) in quanto le prime concernono direttamente funzioni psichiche, mentre le seconde si rivolgono ed agiscono, a livello fisiologico, in una ben determinata area dell'organismo. Secondo l'interpretazione di E. Kretschmer le suddette formule, rappresentate mentalmente nello stato di commutazione autogena, vanno ad incidere sulla Tiefenperson (Personalità Profonda) e a modificarne le tendenze in senso egosintonico. Ovviamente, potranno subire trasformazioni e cambiamenti solo le tendenze strutturate sulla base di influssi di natura esogena (apprendimenti iponoici incongrui alla base di meccanismi ipobulici disadattivi e patogeni) e non certo quelle connesse con i radicali biologici, legati alla biotipologia del soggetto.

C. La NEUTRALIZZAZIONE AUTOGENA rappresenta un' originale metodica proposta e messa a punto da W. Luthe, che ad essa ha dedicato gli ultimi due volumi del suo "Autogenic Therapy", pubblicati rispettivamente nel 1970 e 1973 (20). Già Schultz, e con lui tutti gli studiosi che si erano occupati in sede scientifica del T.A., aveva avuto modo di constatare che i soggetti in corso di allenamento, oltre alle varie e specifiche sensazioni proprie di ogni singola fase degli esercizi-standard, denunciavano spesso altri fenomeni tipici, come formicolii, macchie di colore, impressione di muoversi nello spazio, di fluttuare, di

affondare, asimmetria del corpo, scoppi di pianto, scosse motorie, ecc. (27). Luthe approfondì lo studio di tali tipici fenomeni, che egli interpretò come "reazioni del sistema nervoso centrale", arrivando alla conclusione (sia pure per via di ipotesi, suffragate comunque da ampie sperimentazioni cliniche e fisiologiche), secondo cui "[...] lo stato autogeno potrebbe favorire le scariche di regioni del cervello che sembrano 'aver bisogno' di tali scariche" (28). Per lui, la liberazione di queste diverse specie di scariche, spontaneamente attivate dallo stato di commutazione autogena, costituisce un importante indizio che esisterebbe una tendenza naturale, una sorta di 'meccanismo autoregolatore di sicurezza', che consentirebbe al cervello scaricare impulsi nervosi di regioni cefaliche sovraccariche. Tali "deflussi autogeni", come spesso vengono denominati, costituirebbero quindi una specie di 'valvola di sicurezza', che facilita il ristabilimento di un'adeguata autoregolazione del nostro cervello, con tutti i positivi correlati neuro e psico-fisiologici. Dagli studi, dagli esperimenti e dagli approfondimenti sistematici di W. Luthe e dei suoi allievi, quindi, è scaturita una 'teoria generale', secondo cui i 'meccanismi cerebrali', una volta conseguito lo stato di commutazione, o deconnessione organismica (Umschaltung) , tendono a ridurre o ad eliminare spontaneamente la potenza patofunzionale del materiale disturbante accumulato e di certi sistemi generatori di interferenze, in modo da ristabilire in modo autogeno la loro armonia funzionale (29). Luthe ha avuto il grande merito di aver saputo utilizzare tali meccanismi autoregolativi, mettendo a punto una complessa metodica, che egli denominò "Neutralizzazione Autogena" e che risulta costituita da due specifiche tecniche, tra di loro potenzialmente interconnesse e collegate, che vanno sotto il nome di "Abreazione Autogena" (A.A.) e "Verbalizzazione Autogena" (V.A.). Per quanto concerne l'Abreazione Autogena, "[..] dal punto di vista tecnico, terminata la fase d'allenamento degli esercizi standard (o ciclo inferiore), si chiede al paziente di porsi in uno stato di accettazione passiva nel quale si dà al cervello una sorta di 'carte blanche', di autorizzazione cioè ad elaborare, selezionare, scaricare e neutralizzare tutto ciò che il cervello stesso desidera fare" (30). Mentre il paziente "[...] si trova sdraiato nella sua posizione abituale, [...] comincia a descrivere i diversi fenomeni che viene notando. Via via che il paziente riferisce i diversi fenomeni, sensoriali, motori, visivi, o di altro genere, la dinamica, diretta dal cervello e tendente alla neutralizzazione, tende a svolgersi in schemi sempre più sistematici e differenziati" (31). Durante l'Abreazione Autogena, quindi, "[...] viene concessa al cervello del paziente una 'delega incondizionata' a mettere in atto un programma di 'destressamento' che sembra intrinseco alle strutture nervose e che si dispiega attraverso 'scariche abreattive' che investono tutte le dimensioni dell'unità psicosomatica: ideativa, affettiva, sensoriale, motoria, cenestesica, viscerale, vestibolare, ecc." (32). Al fine di facilitare l'abreazione del materiale patofunzionale accumulato, "[...] il soggetto deve trovarsi in una condizione speciale dello stato autogeno che Luthe definisce 'accettazione passiva': una situazione in cui l'interessato non ha difficoltà a 'verbalizzare', senza alcuna 'selezione personale' i contenuti mentali, le sensazioni, i sentimenti, che di volta in volta avverte (33). Scrive Luthe: "Quando questi elementi tecnici vengono correttamente applicati ai pazienti che sono ormai esperti negli esercizi autogeni standard, i processi diretti dal cervello di scaricamento del materiale di disturbo (abreazione autogena) si producono con una straordinaria ed impareggiabile precisione di 'saggezza biologica' " (34). Compito essenziale del terapeuta, nel corso della seduta di Abreazione Autogena, è solo quello di stimolare ed agevolare "[...] il lavoro autonomo delle strutture nervose senza minimamente interferire con proprie interpretazioni [...]. Il principio di 'non interferenza' è, infatti, il cardine su cui ruota la psicoterapia luthiana" (35). A differenza dell'Abreazione Autogena, la metodica della Verbalizzazione Autogena prevede un intervento più limitato e circoscritto, attraverso cui si propone al paziente, in stato autogeno di accettazione passiva, di effettuare delle 'verbalizzazioni tematiche', o, in altri termini, delle 'scariche verbalizzate' su argomenti specifici (36). Si può, quindi affermare che, attraverso tale metodica, la "delega incondizionata" concessa alle strutture nervose, tipica dell'Abreazione Autogena, si realizza solo parzialmente, nel senso che il cervello viene invitato, per così dire, ad abreagire all'interno di un unico canale, mentre tutti gli altri rimangono inattivi (37). Dal punto di vista tecnico, dopo un iniziale e congruo periodo di concentrazione passiva sulle formule standard del Training Autogeno di Base, il paziente viene invitato dal terapeuta a ripetere in maniera continuativa un tipico 'tratto disturbante', sintetizzato di norma in una formula breve e concisa (es.: "Ho paura del buio", oppure: "Sento il bisogno di lavarmi", ecc.). La ripetizione continuativa di tale 'pattern' disturbante, con tutto ciò che ad esso risulta connesso, permette di usufruire delle potenzialità dello stato di commutazione autogena, per facilitare un utile deflusso delle tensioni accumulate all'interno di aree disturbanti circoscritte. " [...] L'azione di destressamento viene, così, rivolta a specifici settori dell'unità psicosomatica che costituiscono per il soggetto fonti speciali di ansia, per attuare un'operazione di 'pulizia

mentale' paragonabile a quella della 'microchirurgia' " (38). Premesso che la Verbalizzazione Autogena, in taluni casi, può spontaneamente condurre a processi di scarico tipici della Abreazione Autogena, è da sottolineare che Luthe ipotizza la possibilità di adoperare la tecnica della Verbalizzazione Autogena, non solo come metodica a se stante, ma anche come metodica complementare alla Abreazione Autogena, specialmente laddove permangano sintomi persistenti, che esigono la graduale e specifica neutralizzazione di materiale patofunzionale d'accumulo di tipo circoscritto. Dai pur rapidi cenni, sopra riportati, circa la metodica della Neutralizzazione Autogena, risulta evidente come Luthe rivendichi una fondamentale distinzione fra "[...] questo tipo di psicoterapia, che privilegia tecniche miranti a una neutralizzazione psicofisiologica multidimensionale del potenziale patogeno" (39) e le altre metodiche ed impostazioni psicoterapeutiche che incentrano il proprio intervento essenzialmente sull'analisi, la comprensione, l'interpretazione, la gestione del transfert e variabili terapeutiche simili. Anche se, come afferma R.A. Harper, "[...] una migliore comprensione di sé e una maggiore autorealizzazione sono sviluppi citati fra gli effetti positivi della terapia autogena, [...] tali risultati non sono ottenuti con interferenze dirette del terapista" (40).

D. Il TRAINING AUTOGENO SUPERIORE (T.A.S.), cui J.H. Schultz dedica il secondo Volume della sua monografia "Das Autogene Training", con il sottotitolo di "esercizi superiori", viene da W. Luthe spesso citato sotto la denominazione di "Meditazione Autogena". In realtà, la Meditazione Autogena luthiana comprende sia la serie sistematizzata degli esercizi che costituiscono in Training Autogeno Superiore (o "Psichico") di Schultz, sia le cosiddette fasi di elaborazioni visive dirette dal cervello durante l'allenamento autogeno, sintetizzate da Luthe nei sette stadi dei 1.'colori uniformi statici', 2.'colori polimorfi dinamici', 3.'forme policromatiche semplici', 4.'oggetti', 5.'trasformazione e differenziazione di immagini', 6.'sequenze in movimento', 7.'cinerama policromatico'. Comunque, in pratica, come afferma Luigi Peresson, il più serio e profondo studioso italiano del Training Autogeno Superiore, "[...] la serie meditativa è costituita dal Training Superiore con i suoi sette esercizi (meglio sarebbe dire fasi o stadi successivi) che, nell'ordine sono: 1 - esperienza del 'colore personale' [...]; 2 - esperienza dei 'colori suggeriti' dal terapeuta [...]; 3 - visualizzazione di 'oggetti concreti' [...]; 4 - visualizzazione di 'concetti astratti' [...]; 5 - 'presa di coscienza della propria vita interiore' [...]; 6 - visualizzazione di 'persone determinate' [...]; 7 - 'risposte dell'inconscio' [...]" (41). In realtà, il Training Autogeno Superiore si presenta come un metodo psicoterapeutico dotato di grande ricchezza di potenzialità, capace pertanto di suscitare vivo interesse in studiosi ed operatori, che lo hanno proposto ed applicato secondo indirizzi diversificati, pur senza rigide contrapposizioni: intendiamo riferirci, ad esempio a R. Durand de Bousingen, K. Rosa e soprattutto H. Wallnofer, che lo hanno proposto in chiave analitica ; a Luigi Peresson e la sua Scuola, che lo ha codificato in maniera sistematica secondo un approccio umanistico-esistenziale; a Luciano Masi, che, riprendendo l'approccio di Luthe, ne propone un'interessante utilizzazione in chiave abreattivo-catartica; fino a Tullio Bazzi e Renato Giorda, che hanno ritenuto che l'obiettivo degli esercizi superiori è essenzialmente "psicologico-spirituale" ed "esistenziale", intendendo con tale termine riferirsi a ciò che gli Autori di lingua tedesca sono soliti indicare con espressioni, quali "autorealizzazione", "individuazione", "formazione della personalità".

6. Nell'ambito della complessa e multifunzionale articolazione della Psicoterapia Autogena, così come precedentemente delineata, deve essere inserito anche il cosiddetto "metodo a doppio binario", che nasce dal sistema teorico di E. Kretschmer, cui si è sopra accennato, nonché dalla prassi terapeutica dello stesso Kretschmer e del suo allievo presso la Clinica Psichiatrica dell'Università di Tubinga, Tullio Bazzi, il quale, allievo anche di J.H. Schultz, per primo fece conoscere il metodo autogeno in Italia (42). Spetta proprio al Prof. T. Bazzi il merito di aver dato al metodo la chiarezza ed il rigore concettuale di cui abbisognava (43). La "Tiefenperson", descritta da E. Kretschmer, è paragonabile ad una sorta di 'inconscio psicosomatico', al limite tra processi fisici e psichici. Tale 'substrato primario' risulta non totalmente accessibile ad una tecnica terapeutica puramente 'mentalistica', in quanto quest'ultima è, per definizione, in grado di operare, in maniera specifica ed esclusiva, solo in un mondo di contenuti ideativi ed affettivi, attraverso un'opera di rivelazione, conoscenza ed esplicitazione di nessi causali, confinati comunque al mero livello della 'mente', senza incidere profondamente sul livello psicofisiologico più 'primigenio' e 'profondo' della Tiefenperson. Di qui le perplessità di Kretschmer nei confronti della Psicoanalisi; e di qui l'originale proposta di quel procedimento da lui denominato "Zweigleisige Standardmethode" (Metodo Standard a Doppio Binario),

scaturente, da un lato, dall'adesione ad un approccio psicoterapeutico "pluridimensionale", "differenziato" e "policentrico" (44) e, dall'altro, " [...] dal suo atteggiamento critico verso le basi dottrinarie e le applicazioni terapeutiche dell'indirizzo ortodosso di Freud e Jung" (45). Nell'intento di E. Kretschmer, lo "Zweigleisige Standardmethode" è concepito e presentato come "[...] un metodo psicoterapico con caratteristiche di 'completezza', che mira a conseguire l'armonia di entrambi i sistemi: una strategia, per così dire, 'a tenaglia', che opera parallelamente sulla 'mente' e sul 'soma', fino a convergere su un obiettivo comune" (46). Da queste premesse scaturisce l'indicazione del "doppio binario": quello 'psicosomatico' e quello 'ideativo-affettivo'; il primo ha la funzione di agire sugli squilibri della Tiefenperson, il secondo sul livello del pensiero e della sfera emozionale. Sul piano psicosomatico, quindi, specialmente attraverso il Training Autogeno, si procede a " [...] ripristinare l'equilibrio omeostatico e [...] determinare a livello di Tiefenperson un assetto più armonioso [...]" (47). Sul piano ideativo-affettivo "[...] si attua un'indagine approfondita avente lo scopo: di mettere in luce le 'problematiche conflittuali'; di scoprirne la 'connessione' con i comportamenti disadattivi; di far prendere coscienza al soggetto delle 'caratteristiche positive' della personalità su cui dovrà far leva per la sua ripresa" (48). Sulla scorta delle indicazioni di E. Kretschmer, Tullio Bazzi ha elaborato e proposto, già a partire dagli anni '60, una prassi terapeutica, secondo cui inizialmente l'attenzione risulta focalizzata sulla dimensione psicosomatica, attraverso l'apprendimento e la pratica, da parte del paziente, del Training Autogeno di Base, in modo da avviare il processo commutativo, in grado di produrre caratteristiche modificazioni psicosomatiche in senso omeostatico. Dopo alcune sedute (in media, cinque o sei), inizia, parallelamente al prosieguo dell'allenamento autogeno, il lavoro sul binario ideativo-affettivo, i cui punti qualificanti possono così sintetizzarsi: " [...] - creazione di un 'positivo rapporto umano' [...] senza il quale il progresso della terapia risulterebbe più difficile [...]; - analisi dei 'conflitti attuali' e di tutte le situazioni esistenziali che causano sofferenza (con riferimento alla famiglia, al lavoro, alle amicizie, al sesso, all'inserimento sociale, ecc.); - analisi dei 'progetti esistenziali' ( [...] considerati realizzabili oppure vissuti come fallimentari; ritenuti adeguati o non alle capacità personali; ecc.); - analisi del 'carattere' [...], allo scopo di evidenziare i tratti di personalità idonei per attivare un'azione di recupero" (49). Al trattamento parallelo, sui due binari sopra indicati, segue la fase della cosiddetta "condotta terminale" (50), attraverso cui "[...] gli effetti positivi conseguiti vengono unificati nel segno della sintesi psicosomatica" (51). Sulla scorta delle indicazioni del suo maestro E. Kretschmer, ma anche in maniera evolutiva rispetto ad esse, T. Bazzi prevede una 'strategia articolata' " [...] la cui specificità operativa va scelta secondo le esigenze del paziente" (52). Lo studioso che meglio ha esplicitato le possibili modalità di intervento terapeutico durante la fase della "condotta terminale" del Doppio Binario, nel corso degli anni Ottanta, è stato il Prof. L. Masi, docente di Psicoterapia Autogena e Psicoterapie Brevi presso il Centro per lo Studio e lo Sviluppo della Psicoterapia e dell'Autogenes Training, fondato da Luigi Peresson. Egli, analogamente a quanto proposto da T. Bazzi, prevede che la "condotta terminale" venga sviluppata in modo opportunamente differenziato e plurifunzionale. In estrema sintesi, i possibili esiti del Training Autogeno, all'interno della metodica kretschmeriana dello "Zweigleisige Standardmethode" (metodo standard a doppio binario), possono essere così riassunti: - Modificazione Autogena, specialmente attraverso l'uso dei "proponimenti" di J.H. Schultz e/o delle "formule intenzionali" e delle "formule d'organo specifiche" di W. Luthe; - Neutralizzazione Autogena, attraverso la tecnica dell'Abreazione Autogena e/o della Verbalizzazione Autogena di Luthe; - Training Autogeno Superiore, ad orientamento abreattivo-catartico e/o esistenziale e/o analitico e/o meditativo; - Visualizzazioni cromatiche, secondo l'orientamento di M. Luscher (53); - "Oniroterapia" (uso dell'immagine mentale in stato differenziato di commutazione), secondo l'orientamento di Luigi Peresson (54); - Logoterapia ed Analisi Esistenziale, secondo l'approccio di Viktor Emil Frankl (55); - Desensibilizzazione sistematica e tecniche di 'biofeedback' (56).

7. Ulteriori studi e ricerche clinico-sperimentali, svolti presso il C.I.S.S.P.A.T. (Centro Italiano per lo Studio e lo Sviluppo della Psicoterapia e dell'Autogenes Training) di Padova, con l'annessa Scuola Italiana Superiore di Psicoterapia Autogena e Psicoterapie Brevi, hanno permesso di integrare l'approccio autogeno alla Psicoterapia con metodiche comunicative particolarmente adatte a condurre un'efficace analisi dei vissuti scaturenti dalla pratica autogena, nonché ad impostare un'opportuna opera di chiarificazione dei contenuti ideativo-affettivi all'interno del 'Metodo standard a doppio binario'. Presso il sopra citato C.I.S.S.P.A.T. e per conto dell'Istituto di Scienze Umane ed Esistenziali (I.S.U.E.) di Napoli, il Prof. F. Brancaleone, partendo dagli studi linguistici di Noam Chomsky, così come ripresi e rielaborati da J. Grinder e R. Bandler, ha messo a punto metodiche comunicative particolarmente adatte alla elaborazione dei

"Protocolli" dei pazienti in psicoterapia autogena, le quali vanno sotto il nome di "Logoanalisi Coscienziale" e "Logodinamica Subliminale" (57). Tali metodiche, che si fondano sui presupposti teorici della "Grammatica generativo-trasformazionale" risultano alla base di quella branca della pragmatica della comunicazione terapeutica che va sotto il nome di "Logodinamica generativo-trasformazionale" e che permette di estendere l'approccio autogeno a molti altri stati di coscienza alternativi, oltre a quello della Umschaltung schultziana (58). 8. Molti sono gli Organismi Scientifici Internazionali che hanno testimoniato, e testimoniano tuttora, la validità dell'approccio autogeno in psicoterapia: basterà qui citare l'International Committee for the Autogenic Training (I.C.A.T.), presieduto dallo stesso J.H. Schultz fino alla sua morte (1970) e l'European Committee Analitic Autogenic Training (E.C.A.A.T.), presieduto attualmente da uno dei più insigni allievi di J.H. Schultz, il Prof. Heinrich Wallnofer di Vienna. Anche in Italia si contano Organismi di provata serietà scientifica, che operano al fine di garantire la corretta applicazione del metodo autogeno in psicoterapia e che hanno contribuito, e continuano a contribuire, allo sviluppo, all'incremento ed alla diffusione di tale fecondo approccio clinico-terapeutico: citeremo per tutti il già menzionato Centro Italiano per lo Studio e lo Sviluppo della Psicoterapia e dell'Autogenes Training (C.I.S.S.P.A.T.), fondato nel 1972 dal Prof. Luigi Peresson; l'Italian Committee for the Study of Autogenic Training (I.C.S.A.T.), fondato nel 1977 e presieduto, fino alla sua morte, dal Prof. Tullio Bazzi; ed infine l'Associazione Interdisciplinare di Ricerca e Didattica sull'Autogenicità (A.I.R.D.A.), fondata dal Dott. Giovanni Gastaldo, all'interno della quale è stata svolta, ed è tuttora in corso, un'ampia ricerca teorico-clinica volta a perfezionare e ad integrare in modo evolutivo la metodologia autogena in modo scientifico e sperimentalmente fondato (59).