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Antonio Rubino ANDREMO ALLA CASA DEL SIGNORE Pellegrinaggio alla chiesa parrocchiale Presentazione e postfazione di Vittorino Grossi, osa Contributi di Manlio Sodi, sdb Lino Prenna

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Antonio Rubino

ANDREMO ALLA CASADEL SIGNORE

Pellegrinaggio alla chiesa parrocchiale

Presentazione e postfazione diVittorino Grossi, osa

Contributi diManlio Sodi, sdb

Lino Prenna

PRESENTAZIONE

di Vittorino Grossi, osa1

Con gioia desidero presentare questa signifi-cativa pubblicazione che ha come intento mi-stagogico di accompagnare i fedeli ad andarein pellegrinaggio alla Casa del Signore.

L’occasione immediata è stata la Missioneche la Comunità parrocchiale di San RobertoBellarmino di Taranto ha celebrato a novem-bre 2008, ma questo invito viene espresso so-prattutto per riscoprire sempre di più il Miste-ro di salvezza che la Chiesa-comunità celebraogni giorno nella Chiesa-edificio.

«In questo luogo santo – sottolinea il prefa-zio per la dedicazione della Chiesa – il Signoreci edifica come tempio vivo e ci raduna per farcrescere come Suo corpo la Chiesa diffusa nelmondo».

L’invito ad andare alla Casa del Signore è ri-volto a tutti, in quanto «la Madre Chiesa deside-ra ardentemente che tutti i fedeli vengano gui-dati a quella piena, consapevole e attiva parteci-pazione alla quale il popolo cristiano «stirpe elet-ta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo diacquisto» (1 Pt 2, 9; cfr 2, 4-5), ha diritto e dove-re in forza del battesimo» (SC, 14).

La mia attenzione si rivolge verso il Ministe-ro sacerdotale, essendo il presbitero chiamato

Copyright © 2009 by Edizioni Ares20131 Milano - Via A. Stradivari, 7

Il catalogo completo delle Edizioni Ares è consultabile nel sito: http://www.ares.mi.ite-mail: [email protected]

ISBN 978-88-8155-418-8

Immagine di copertina:«Mosè e il popolo d’Israele». Opera in alto rilievo di Orazio DelMonaco. Particolare dell’altare della chiesa parrocchiale diSan Roberto Bellarmino in Taranto (foto di Pino Semeraro). (1) Docente Ordinario emerito di Patrologia-Patristica della PUL e dell’Augustinianum

INTRODUZIONE DELL’AUTORE

Quale gioia, quando mi dissero:andremo alla casa del Signore

(Salmo 122, 1)

La nostra Comunità parrocchiale di San Ro-berto Bellarmino, nel mese di novembre 2008,ha vissuto l’esperienza della Missione.

Un Evento eccezionale, un momento di gra-zia e di misericordia (cfr Lc 13, 6-9) che ci sia-mo impegnati a vivere bene, con slancio inte-riore, nello Spirito.

Nel tempo della nostra esperienza spiritualedi vita tutti noi sentiamo la necessità di rifor-mulare il cammino di fede, di ritornare alla Via(cfr Gv 14, 6), Cristo Gesù, dalle strade com-planari che spesso per errore, o per egoismo,abbiamo imboccato. La Missione che abbiamovissuto ha risvegliato in noi il desiderio di Dio,ci ha stimolati a ritornare da Colui che è l’In-dimenticabile, ci ha sollecitati a riprendere ilcammino.

Andremo alla Casa del Signore (Sal 122, 1) èun’espressione meravigliosa di un canto dipellegrinaggio, ed è la certezza che il cristianoporta nel suo cuore, nel cammino della vitaquotidiana, contemplando la Gerusalemmedel cielo già nei Segni Sacramentali custoditidalla Chiesa.

Il pellegrinaggio penitenziale che abbiamo ce-lebrato comunitariamente durante le Missioniparrocchiali, ma che ciascuno di noi è invitato

per vocazione a presiedere l’assemblea lturgi-ca dei fedeli, ricordando, sulla linea dell’Istru-zione della Congregazione per il Culto divino ela Disciplina dei Sacramenti Redemptionis Sa-cramentum, la promessa che il sacerdote fa ilgiorno dell’ordinazione di celebrare «devota-mente e con fede i misteri di Cristo a lode diDio e santificazione del popolo cristiano, se-condo la tradizione della Chiesa» (RS, 31).

In questa presentazione del volume Andre-mo alla Casa del Signore, ben si colloca la miariflessione sul Sacerdozio che sviluppo sullascia di Sant’Agostino e che costituisce postfa-zione di questo lavoro.

Mi rallegro, quindi, per questa pubblicazio-ne e sono certo che accompagnerà molti a ri-scoprire la profondità della fede e a ricordarci,nel suo armonico sviluppo, che «i seguaci diCristo, chiamati da Dio non secondo le loroopere, ma secondo il disegno della sua graziae giustificati in Gesù Signore, nel battesimodella fede sono stati fatti veramente figli di Dioe compartecipi della natura divina, e perciòrealmente santi. Essi quindi devono, con l’aiu-to di Dio, mantenere nella loro vita e perfezio-nare la santità che hanno ricevuta» (LG, 40).

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altri fratelli di fede, verso Colui che è «la Via laVerità e la Vita» (Gv 14, 6): unica «Porta» (Gv 10,7) che ci permette di andare al Padre.

Uscire dalla propria casa vuol dire obbedire aquell’impegno evangelico che Gesù richiede aisuoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietroa me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce emi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vi-ta, la perderà; ma chi perderà la propria vitaper causa mia, la salverà» (Mt 16, 24-25).

L’esperienza di salvezza del cristiano, ilcammino, deve essere quindi vissuto all’inse-gna dell’essenzialità, senza legami che ci di-stolgano e condizionamenti che ci provenganoda strutture esterne.

Il credente sente di non appartenere a que-sto mondo, non per superiorità o disinteresse,ma perché ha coscienza di essere orientatoverso un mondo nuovo e vive in cammino nel-l’attesa di «nuovi cieli e una terra nuova, neiquali avrà stabile dimora la giustizia» (2 Pt 3,13; cfr CEI, Il pellegrinaggio alle soglie del terzomillennio, 11).

L’invito andremo alla Casa del Signore è ri-volto anche a noi, accogliamolo certi di incon-trare il Signore e di essere nutriti dalla Sua pre-senza che si dona con la Parola e i Sacramenti.

Ad arricchire la nostra Chiesa parrocchialeci sono le opere artistiche del maestro OrazioDel Monaco che ci permettono di penetrare ilsignificato profondo dell’altare, dell’ambone,del battistero e del cero pasquale, dei dodicimetri di pannelli che illustrano scene del Nuo-vo Testamento e della vita di San Roberto Bel-

INTROSDUZIONE DELL’AUTORE / 7

a ripetere quando lo desidera, ha avuto lo sco-po di farci riscoprire il significato profondo diquei Segni, presenti quotidianamente nella Ca-sa del Signore, che accompagnano chi li cele-bra in «spirito e verità» (Gv 4, 24) nel camminoverso «nuovi cieli e una terra nuova» (2 Pt 3, 13).

Il nostro pellegrinaggio alla Chiesa parroc-chiale è metafora di quello che ogni giorno do-vremmo percorrere verso il Signore.

Il discepolo di Gesù si trova in un continuocammino, la cui meta non è un luogo, una cit-tà, un tempio, bensì la persona stessa delMaestro e Signore, che egli deve seguire, por-tando la croce, entrando cioè per la propriaparte nel mistero della sua Pasqua (cfr CEI, Ilpellegrinaggio alle soglie del terzo millennio, 8).

L’esperienza del cammino, del pellegrinag-gio, da Abramo fino a noi, contraddistinguel’uomo che fa esperienza di Dio. Abramo (cfrGn 12, 1-4) ha abbandonato il suo paese Ur,con l’unica certezza che gli veniva dalla Paro-la di Dio, per incamminarsi verso la Terra Pro-messa. Noi cristiani, con la forza della mede-sima Parola, siamo invitati a camminare versola meta alla quale il Signore ci chiama.

La dimensione del cammino contrassegna lavita del discepolo di Gesù, tanto che i primicristiani, non a caso, definivano la nuovaesperienza di salvezza, realizzata con la mor-te-risurrezione-ascensione al cielo del Mae-stro, come la via (cfr At 18, 25.26).

Il cammino di fede, richiesto a ciascuno dinoi, esige di mettersi in movimento, di usciredalla propria casa e di incamminarsi, con gli

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BREVI LINEE ARTISTICHESULL’OPERA

DEL PROF. ORAZIO DEL MONACO1

di Biagio Fedele2

L’itinerario nel suo percorso considera temireligiosi ispirati a modelli che consentonoun’agevole lettura interpretativa.

Si tratta di opere artistiche in terracotta mo-dellata ad alto e basso rilievo, la cui interpre-tazione evidenzia gli elementi caratterizzantiin una chiara e articolata lettura dei temi trat-tati. Le figure, in sequenza, rivelano un intimorapporto con lo spazio reale o immaginario.Esse si esprimono nello sforzo vivificatore del-la materia plasmata, all’interno di una com-posizione che implica la presenza di elementidecorativi che completano la composizionedella scena rappresentata.

I temi trattati implicano una dinamicitàespressiva che nel contesto si caratterizzanocome elementi essenziali della rappresentazio-ne plastica, esaltando nel contempo le virtù

(1) Orazio Del Monaco è nato a Grottaglie (TA) il 1° aprile 1939. Ha conse-guito il diploma di Magistero Superiore presso l’Istituto Statale d’Arte G. Bal-lardini di Faenza nella Sezione di Tecnologia Ceramica, sotto la docenza delProf. Tonino Emiliani e di Gastone Vecchi, dell’Istituto Tecnologico per la Ce-ramica di Faenza, e degli scultori Angelo Biancini e Carlo Zauli. Si è specializ-zato sui materiali ceramici avanzati (refrattari speciali, bioceramica, ceramicanucleare) presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna, con i Proff.Ficai e Cini, docenti di Ceramurgia. È stato docente di ruolo dal 1964 al 1999.nella cattedra di Chimica e Laboratorio Tecnologico presso l’Istituto Stataled’Arte per la Ceramica di Grottaglie. Durante questi anni è stato anche consu-lente del Ministero della Pubblica Istruzione in qualità di membro delle Com-missioni esaminatrici dei concorsi a cattedra. Nel 2000 è stato nominato do-cente presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Bari per l’insegnamento di Tec-

larmino. Il prof. Biagio Fedele con le sue brevilinee artistiche ci aiuta a comprenderne il si-gnificato.

Fondamentale in questa pubblicazione è lapostfazione del prof. padre Vittorino Grossi sulministero del presbitero sulla scia di Sant’Ago-stino. A essa si aggiungono in maniera comple-mentare gli interventi del prof. don Manlio So-di, bellezza e armonia per celebrare con decoroin spirito e verità; e del prof. Lino Prenna, laChiesa casa di Dio e della Comunità.

La ricchezza di contenuti di questi contribu-ti completa l’itinerario del pellegrinaggio allaChiesa parrocchiale, dando un ampio respiroecclesiale alla riflessione sulla nostra crescitanella fede.

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SIGLE E ABBREVIAZIONI

GS = Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale sullaChiesa nel mondo contemporaneo Gaudium er spes.

DV = Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Ver-bum

SC = Concilio Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Con-cilium

LG = Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica LumenGentium

PG = Patrologia Greca, ed J.P. Migne.CCC = Catechismo della Chiesa CattolicaDPPL = Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei

sacramenti, Direttorio su Pietà popolare e Liturgia.RS = Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei

Sacramenti, Istruzione Redemptionis Sacramentum.EM = S. Congregazione dei Riti e Consilium, Istruzione sul

Culto del Mistero eucaristico, Eucharisticum Myste-rium.

EE = Giovanni Paolo II, Lettera enciclica sull’Eucaristia nelsuo rapporto con la Chiesa, Ecclesia de Eucharistia

DC = Giovanni Paolo II, Lettera a tutti i vescovi sul Misteroe Culto dell’Eucaristia, Dominicae Cenae

Abbreviazioni delle Opere di Sant’Agostino

EMF = Contra epistolam Manichaei quam vocant Funda-menti (Contro la lettera di Fondamento)

S = Sermones (Discorsi 356)R = Retractationes (Ritrattazioni / libri 2)SerD - SerM = Sermo Denis; Sermo Mai (Discorso Denis -

Discorso Mai)In GV = In Ioannis Evangelium tractatus (Commento al

Vangelo di Giovanni)

della materia prima utilizzata per la realizza-zione. Da ciò la consapevolezza dell’Autore diesprimere con tratti decisi e significativi l’arteplastica nella quale si identifica l’attualità del-la concezione figurativa.

Nella sua sintesi l’opera proietta la forma-zione culturale e artistica dell’Autore sul pia-no dell’evocazione storica, in relazione ai fattidocumentati, quali referenti privilegiati dellacanonicità artistica. Sono aspetti legati all’at-tuale concezione dell’arte sacra, parte inte-grante della realtà esistenziale dell’uomo.

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nologia e Chimica dei materiali ceramici. Collabora tutt’oggi attivamente all’atti-vità della Bottega d’arte ultracentenaria della famiglia specializzata nella pro-duzione di maioliche artistiche e di pezzi unici da collezione sita nel cuore delQuartiere delle Ceramiche di Grottaglie. Autore di numerose pubblicazioniscientifiche, di testi scolastici di tecnologia ceramica e di storia della ceramicatradizionale (in particolare dell’area meridionale), ha partecipato a numerosiconcorsi e mostre in Italia e nel mondo. Fra le sue opere più importanti:

-1980 Bari - Chiesa di San Francesco di Paola. Pannello in terracotta del-la superficie di mt. 60 x 5 raffigurante la vita e i miracoli del Santo.

-1981 Taranto - Duomo di Taranto, Basilica di San Cataldo. Simulacro inargento massiccio del Santo protettore della Città bimare.

-1992-1994 Taranto - Statua in bronzo di una maternità e pannelli raffigu-ranti la via matris realizzati per la nuova Chiesa dell’Addolorata in Taranto.

-1990-2004 Camera di Commercio di Taranto – Cittadella delle Imprese.Serie di pannelli e sculture, in terracotta e bronzo per l’arredo interno edesterno della struttura raffiguranti temi relativi alla cultura della MagnaGrecia e alle arti e tradizioni locali.

-1998 Caserta – Via Roma. Pannello bronzeo raffigurante cenni della vitadi San Giovanni Bosco, realizzato in occasione della celebrazione di Caser-ta Città d’Europa.

-1999 Taranto - Chiesa di San Giovanni Bosco – Via Crucis in maiolicacomponentesi di nr. 14 stazioni della lunghezza complessiva di mt. 70.

-2002 Castellaneta (TA) – Scultura Bronzea raffigurante Madre Teresa diCalcutta.

-2005 Barletta (BAT) – Monumento in bronzo raffigurante Don Raffaele Di-miccoli. Opera posta nel piazzale antistante al nuovo Ospedale della cittadi-na pugliese, a lui intitolato.

-2006 – 2007 Paola (CS) – Realizzazione di quattro grandi acquasantiere inmaiolica realizzate per la nuova Basilica di San Francesco di Paola (CS).

2008 – Realizzazione presso il Santuario di San Francesco De Geronimo in Grot-taglie di un complesso monumentale in terracotta dedicato alla figura del Santo.

2 Biagio Fedele è professore ordinario di Civiltà preclassiche, Facoltà diLettere, Università degli studi di Bari.

1. LA CHIESA PARROCCHIALE

Questa è proprio la casa di Dioe la porta del cielo (Gn 28, 17)

Possiamo paragonare la Chiesa parrocchiale,con le parole di Giovanni XXIII, alla fontanadel villaggio. Essa è immagine e anticipo dellaceleste città: la Gerusalemme del cielo. In es-sa, essendo noi parte della Chiesa diocesana,possiamo contemplare tutta la Chiesa-Misterodi Cristo, quella sparsa in tutto il mondo.

La Chiesa è stata istituita da Gesù Cristo edè in essa che Egli compie e rivela il suo Miste-ro di salvezza: solo con gli occhi della fede sipuò scorgere nella sua realtà visibile la realtàcontemporaneamente spirituale, portatrice divita divina.

Numerose sono le immagini con le quali laScrittura ci fa conoscere l’intima natura dellaChiesa: ovile (cfr Gv 10, 1-10); gregge (cfr Is 40,11; Gv 10, 11; 1 Pt 5, 4); campo di Dio (cfr 1 Cor3, 9); edificio di Dio (cfr 1 Cor 3, 9); la dimora diDio con gli uomini (cfr Ap 21, 3); sposa dell’A-gnello (cfr Ap 19, 7; Ef 5, 25-26); madre nostra(cfr Gal 4, 26; Ap 12, 17).

I primi cristiani erano tanto profondamenteconvinti che il nuovo e definitivo Tempio diDio fosse il Corpo di Cristo (cfr Gv 4, 21; 1 Cor12, 13), che non avevano edifici di culto; si ri-univano infatti in ampie sale domestiche; esolo nel IV secolo, per l’espandersi della Co-munità ecclesiale, ritennero necessario erige-

E = Epistolae (Lettere)CC = Collatio Cartaginensis (Disputa cartaginese)C = Confessiones (Confessioni - libri 13)A = Contra Academicos (Contro gli accademici - libri 3)O = De ordine (L’ordine - libri 2)GnL = De genesi ad litteram imperfectus liber [Opera in-

compiuta sulla Genesi]ExpG = Expositio epistolae ad Galatas (Esposizione della

lettera ai Galati)Exp.q.R = Expositio quorum quaestionum Epistolae Ro-

manos (Esposizione sui problemi della lettera ai Ro-mani)

DC = De doctrina christiana (La dottrina cristiana - libri 4)VA (vita augustini) = Possidio, Sancti Augustini vita (Vita

di Sant’Agostino)AC = De agone cristiano (Il combattimento cristiano)EP = Enarrationes in psalmos (Esposizione sui Salmi – N-

BA XXV-XXVIII)DM = De mendacio (La Menzogna)UC = De utilitate credendi (Utilità del credere)

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Presbiterio della Chiesa parrocchiale San Roberto Bellarmino di Taranto

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gnore, viene spontaneo affermare con le paro-le del salmo: «Ecco quanto è buono e quanto èsoave che i fratelli vivano insieme» (Sal 133, 1).

Nella Chiesa-edificio la Comunità si radunaper celebrare il Mistero di Cristo secondo itempi del calendario sacro, annunciato dalsuono lieto delle campane.

Questi tempi di Dio ci vengono donati nel-l’Anno Liturgico e sono annunciati solenne-mente il giorno dell’Epifania:

«Fratelli carissimi, la gloria del Signore si èmanifestata e sempre si manifesterà in mezzoa noi fino al suo ritorno.

Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordia-mo e viviamo i misteri della salvezza.

Centro di tutto l’Anno Liturgico è il Triduodel Signore crocifisso, sepolto e risorto, checulminerà nella domenica di Pasqua.

In ogni domenica, Pasqua della Settimana,la santa Chiesa rende presente questo grandeevento nel quale Cristo ha vinto il peccato e lamorte.

Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni san-ti: le Ceneri, inizio della Quaresima; l’Ascen-sione del Signore; la Pentecoste; l’Avvento e ilsanto Natale.

Anche nelle feste della santa Madre di Dio,degli Apostoli, dei Santi e nella commemora-zione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrinasulla terra proclama la Pasqua del suo Signo-re. A Cristo che era, che è e che viene, Signo-re del tempo e delle storia, lode perenne nei se-coli dei secoli» (Annuncio del Giorno di Pasqua).

LA CHIESA PARROCCHIALE / 17

re luoghi di culto. Ma tutti gli edifici sacri, co-struiti nel tempo, anche se belli e artistici,nulla sarebbero senza Colui che li riempie dicontenuto: Cristo Gesù, Salvatore e Redento-re dell’uomo.

Anche noi, guardando la nostra Chiesa par-rocchiale, avendo nel cuore la certezza che lapresenza di Gesù è reale e sostanziale nell’Eu-caristia, come Giacobbe a Betel esclamiamo:questa è proprio la Casa di Dio e la porta delcielo (Gn 28, 17).

Superato il portone d’ingresso, abbiamocompiuto un gesto davvero importante, per-ché la porta è il simbolo di Gesù e indica l’in-gresso in una nuova vita, il passaggio nelsantuario: «Se uno entra attraverso di me, sa-rà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo»(cfr Gv 10, 9).

Entrati nella Chiesa-edificio ci troviamo di-nanzi a una molteplicità di elementi impor-tanti dei quali siamo chiamati a leggere le for-me e a comprenderne il significato: il Battiste-ro e il Cero pasquale, l’Ambone, l’Altare, il Ta-bernacolo, il Confessionale, la Madonna, SanRoberto e le statue dei Santi.

Con la certezza di trovarci nella casa di Dioricolma di fedeli che pregano e lodano il Si-

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- Ci prepariamo adeguatamente, già per strada, aentrare nella Casa di Dio?- Sentiamo forte la presenza di Dio ogni volta cheentriamo in Chiesa?- Il silenzio interiore è la condizione da noi ricercataper l’incontro con Dio?

2. IL BATTISTEROE IL CERO PASQUALE

Rinati dall’acqua e dallo Spirito (cfr Gv 3, 5)

Per chi entra nella Casa del Signore, il primopensiero va alle origini della vita cristiana, alBattistero, il luogo dove ognuno di noi è rinatodall’acqua e dallo Spirito (cfr Gv 3, 5), una con-dizione questa che Gesù definisce indispensa-bile per entrare nel regno di Dio (cfr Gv 3, 5).

Il Battistero è un luogo della Chiesa parroc-chiale presso il quale spesso dovremmo fer-marci in silenziosa meditazione. E anche senon possiamo ricordare il giorno del nostroBattesimo, perché allora non eravamo in gra-do di intendere e di volere, è doveroso e fon-damentale riflettere sul valore di quel Sacra-mento, che ci ha innestati come tralci alla ve-ra vite-Cristo Gesù (cfr Gv 15, 1-9).

Il Vangelo di Giovanni si sofferma a spiega-re questo innesto: «Io sono la vera vite e il Pa-dre mio è il vignaiolo», (Gv 15, 1), «come il tral-cio non può far frutto da sé stesso se non ri-mane nella vite, così anche voi se non rimane-te in me. Io sono la vite voi i tralci. Chi rima-ne in me e io in lui, fa molto frutto, perchésenza di me non potete far nulla» (Gv 15, 4-5).

Per questa ragione il Battistero presentenella nostra Chiesa parrocchiale ha la formadi un robusto tronco, che nella parte anterio-re prende la forma del Cristo risorto (vite-Cri-

PER LA PREGHIERA PERSONALEPrefazio per la dedicazione della Chiesa

È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fon-te di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo ate, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.

Tu ci hai dato la gioia di costruirti fra le nostre ca-se una dimora, dove continui a colmare di favori latua famiglia pellegrina sulla terra e ci offri il segno elo strumento della nostra unione con te.

In questo luogo santo, tu ci edifichi come tempiovivo e raduni e fai crescere come corpo del Signore latua Chiesa diffusa nel mondo, finché raggiunga lasua pienezza nella visione di pace della città celeste,la santa Gerusalemme.

E noi, uniti ai cori degli angeli, nel tempio della tuagloria innalziamo a te l’inno di benedizione e di lode.

18 / ANDREMO ALLA CASA DEL SIGNORE

santa Veglia di Pasqua. La sua fiamma illumi-na il giorno del nostro Battesimo e viene tra-smessa con le parole della liturgia: ricevete laluce di Cristo. Con la morte e risurrezione diCristo «il popolo che camminava nelle tenebrevide una grande luce; su coloro che abitavanoin terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9, 1). Lafiamma del Cero pasquale è il simbolo di Cri-sto-Luce: «Io sono la luce del mondo; chi segueme, non camminerà nelle tenebre, ma avrà laluce della vita» (Gv 8, 12).

Di questa Luce, nella liturgia della Chiesa, ilCero pasquale è simbolo. Le parole del Preco-nio, cantate nella santa Veglia pasquale, cispiegano il suo significato: «Ti preghiamo dun-que, Signore, che questo cero, offerto in onoredel tuo nome per illuminare l’oscurità di questanotte, risplenda di luce che mai si spegne. Sal-ga a te come profumo soave, si confonda con lestelle del cielo. Lo trovi acceso la stella del mat-tino, quella stella che non conosce tramonto:Cristo, tuo Figlio, che risuscitato dai morti fa ri-splendere sugli uomini la sua luce serena».

PER LA PREGHIERA PERSONALERinnovazione delle promesse battesimali

S.: Rinunciate al peccato, per vivere nella libertà deifigli di Dio?T.: Rinuncio.

S.: Rinunciate alle seduzioni del male, per non la-sciarvi dominare dal peccato?T.: Rinuncio.

IL BATTISTERO E IL CERO PASQUALE / 21

sto), nel quale i molteplici rami (tralcio-cristia-no) sono innestati e sostengono come bracciala coppa per il Battesimo.

Gesù ha proposto il Battesimo a tutti perchétutti abbiano la vita eterna, e lo ha affidato allaChiesa insieme con il Vangelo, dicendo agli apo-stoli: «Andate e annunciate il Vangelo a tutti ipopoli e battezzateli nel nome del Padre e del Fi-glio e dello Spirito Santo» (Mt 28, 19). Il Battesi-mo, allora, è il sacramento di quella fede, con laquale gli uomini, illuminati dalla grazia delloSpirito Santo, rispondono al Vangelo di Cristo.

Dinanzi al Battistero, nel silenzio del nostrocuore, siamo concretamente invitati a fare ilpunto sulla nostra fede.

Il ricordo del nostro Battesimo, la rinnova-zione degli impegni di fede, presi allora dai no-stri genitori e da noi confermati il giorno dellaConfermazione, ci chiedono di passare da unafede infantile-tradizionale a una fede adulta-personale. Il cristiano maturo nella fede èsempre un convertito, che ha fatto una sceltalibera e responsabile di Cristo e ha trovatonella fede l’elemento unificante della sua esi-stenza (cfr LA CIVILTÀ CATTOLICA, Maturità emorte della fede, 1999, IV, pp. 107-119).

Il Cero pasquale, collocato accanto al Batti-stero, viene benedetto solennemente nella

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- La nostra fede è maturata in tutti questi anni? - La fede, attraverso una conversione quotidiana, dainfantile è diventata adulta, matura?- Le nostre scelte e le azioni di ogni giorno nell’am-bito familiare, sociale e di lavoro, sono illuminatedalla luce della fede?

S.: Rinunciate a Satana, origine e causa di ogni pec-cato?T.: Rinuncio.

S.: Credete in Dio, Padre onnipotente, creatore delcielo e della terra?T.: Credo.

S.: Credete in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostroSignore, che nacque da Maria vergine, morì e fu se-polto, è risuscitato dai morti e siede alla destra delPadre?T.: Credo.

S.: Credete nello Spirito Santo, la santa Chiesa cat-tolica, la comunione dei Santi, la remissione dei pec-cati, la risurrezione della carne e la vita eterna?T.: Credo.

S.: Questa è la nostra fede. Questa è la fede dellaChiesa. E noi ci gloriamo di professarla in Cristo Ge-sù nostro Signore.T.: Amen.

O Dio, che ami l’innocenza, e la ridoni a chi l’ha perduta, volgi verso di te i nostri cuori

e donaci il fervore del tuo Spirito,perché possiamo esser saldi nella fede

e operosi nella carità.Per il nostro Signore Gesù Cristo,

tuo Figlio, che è Dio,e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli

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Nella pagina accanto:Battistero, particolare del Cristo Risorto

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Battistero: a sinistra, la parte anteriore: il Cristo risortocon le braccia alzate sorregge la coppa con l’acquaper il Battesimo; in questa pagina, la parte laterale,

che raffigura la vite-Cristo da cui partono i tralci-cristiani.

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Il Cero pasquale. Qui sopra, particolare della base.La stella ricorda le parole del Preconio pasquale:

«Questo cero risplenda di luce che mai si spegne...,lo trovi acceso la stella del mattino,

quella stella che non conosce tramonto».

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mondo» (C. Valenziano, Gli spazi della celebrazio-ne rituale, Milano 1984, p. 164).

L’angelo ci rammenta, anche, che quell’an-nuncio, con la Liturgia della Parola, è prolun-gato nel tempo e reso presente a noi oggi.

Per questa ragione il Concilio Vaticano II nel-la Costituzione sulla Liturgia, SacrosanctumConcilium, afferma che Cristo «è presente nellasua Parola, poiché è Lui che parla quando nel-la Chiesa si legge la Sacra Scrittura» (n. 7).

L’ambone, allora, è il luogo della proclama-zione delle Sante Scritture, specialmente delVangelo, e ciascuno di noi, in timoroso e de-voto ascolto del Signore, si lascia educare econvertire: passaggi indispensabili nel cammi-no verso la santità della vita.

La Parola proclamata ricorda, ma ricordan-do rende presente il mistero salvifico che ri-corda e, di conseguenza, diventa viva, mes-saggio di Dio qui e oggi.

Proviamo, anche noi, a comprenderla e a vi-verla con le parole del salmista: «Quanto sonodolci al mio palato le tue Parole: più del mieleper la mia bocca» (Sal 119, 103). Per questomotivo, la Chiesa ha sempre venerato le divi-ne Scritture, come venera il Corpo stesso del

L’AMBONE / 29

3. L’AMBONE

Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino (Sal 119, 105)

Di amboni presenti in Basiliche e Chiese ab-biamo notizia fin dal IV secolo. Ma già dagliinizi del Cristianesimo si dà grande importan-za al duplice modo di essere saziati da Dio:con la Parola e con il Pane eucaristico.

Sulla scia della sinagoga, in cui tutti i saba-ti e le feste aveva luogo la lettura delle Scrit-ture, sin dal tempo apostolico le Chiese cri-stiane hanno dato grande rilievo alla procla-mazione delle Scritture nelle loro riunioni diculto.

Nella nostra Chiesa parrocchiale abbiamoun ambone ben collocato e arricchito da un si-gnificativo lavoro artistico. Lo sguardo di fedevi si posa con stupore per approfondire la fi-nalità per cui esso esiste nella Chiesa.

Un teologo, Germano di Costantinopoli, cipropone una sua definizione: «L’ambone è ico-na del santo sepolcro: l’angelo ne rotolò la pie-tra e stava lì, poi, ad annunciare la risurrezio-ne del Signore» (PG 98, 392).

L’angelo presente sulla parte anteriore delnostro ambone ci ricorda questo annuncio delCristo risorto: «Non è qui. È risorto, come ave-va detto» (Mt 28, 6).

«L’ambone, quindi, in quanto simbolo è pre-senza vicaria della Tomba vuota ed è presenzaefficace dell’annuncio pasquale all’universo

- Quale attenzione poniamo dinanzi al Signore checi parla? - Durante la Liturgia della Parola, nella S. Messa,abbiamo coscienza che, nella Parola proclamatadall’ambone, è il Signore che, con pazienza, conti-nua a far giungere il suo messaggio di salvezza aciascuno di noi?

vangelista Giovanni riferisce la tradizione del-la pesca miracolosa all’attività del Signore ri-sorto che, in tal modo, si manifesta come vi-vente e operante nella comunità degli uomini.

Il terzo pannello (ma potrebbe essere consi-derato anche il primo) evoca l’evento a partiredal quale è nata la Chiesa e attraverso il qua-le essa continua a vivere e a operare: la risur-rezione di Gesù (cfr B. Papa, Itinerario teologico-pastorale, in A. Rubino, San Roberto Bellarmino,Taranto 2004, pp. 25.27.29).

I Pannelli non sono posti lì per distrarci, maper permettere una maggiore concentrazionenella convinzione che nella Sacra Scrittura laChiesa trova incessantemente il suo nutri-mento e il suo vigore; infatti attraverso la divi-na Scrittura essa non accoglie soltanto unaparola umana, ma quello che è realmente: laParola di Dio (cfr CCC, 104).

«Nei Libri Sacri, infatti, il Padre che è nei cie-li viene con molta amorevolezza incontro ai suoifigli ed entra in conversazione con loro» (DV, 21).

PER LA PREGHIERA PERSONALEDal Libro del profeta Isaia (Is 55, 10-11)

«Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo enon vi ritornano senza aver irrigato la terra, senzaaverla fecondata e fatta germogliare, perché dia il se-me al seminatore e pane da mangiare, così sarà del-la parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a mesenza effetto, senza aver operato ciò che desidero esenza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».

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Signore. Essa non cessa di porgere ai fedeli ilPane di vita preso dalla mensa della Parola diDio e del Corpo di Cristo (cfr CCC, 103).

La Parola proclamata penetri nel nostrocuore, diventi luce sul cammino quotidiano,sia costantemente meditata e si trasformi inconcretezza di vita.

Un aiuto per la contemplazione della Paroladi Dio ci viene dal bassorilievo presente sulpresbiterio della nostra Chiesa. Sono raffigu-rati tre importanti brani del Nuovo Testamen-to: la Samaritana (cfr Gv 4, 1-30), la pesca mi-racolosa (cfr Gv 21, 1-22) e la risurrezione diGesù (cfr Gv 20, 1.11). Il commento teologico-pastorale scritto da mons. Benigno Papa per itre pannelli ci permette di comprenderne ilcontenuto.

Il primo bassorilievo ci ricorda il raccontodell’incontro di Gesù con la Samaritana che èuna delle pagine più significative e più sugge-stive del quarto Vangelo. Gesù si rivela comecolui che conosce a perfezione quello che suc-cede nella vita di una persona e si offre comerisposta piena e definitiva alla sete di infinito,che è presente nel cuore di ogni uomo

Il secondo episodio della vita di Gesù, cheviene evocato nel pannello successivo, è quel-lo che va sotto il nome di pesca miracolosa. Ilriferimento letterario è a Lc 5, 11 e a Gv 21, 4-8. Sono due racconti che obbediscono a duefinalità redazionali distinte. Luca riferisce latradizione della pesca miracolosa per eviden-ziare l’autorevolezza della persona di Gesù chechiama i primi discepoli alla sua sequela; l’e-

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O Padre, che ci chiamiad ascoltare il tuo amato Figlio,

nutri la nostra fede con la tua parolae purifica gli occhi del nostro spirito,

perché possiamo godere la visione della tua gloria.Per il nostro Signore Gesù Cristo,

tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.

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Ambone. Parte anteriore.Dalla raffigurazione emerge chiaro il significato

di questo luogo liturgico della Parola.Dalla Tomba vuota l’angelo annuncia la Risurrezione di Cristo:

«Non è qui. È risorto, come aveva detto» (Mt 28, 6).

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Ambone. Angolo laterale sinistro.Nella pagina accanto, visto dal laterale destro,con la raffigurazione dei due discepoli che,accorsi alla Tomba vuota, ascoltano l’annuncio dell’Angelo.

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Ambone. Particolare dell’Angelo.

La risurrezione di Gesù è l’evento dal quale è nata la Chiesa eattraverso il quale essa continua a vivere e operare.

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La samaritana, una delle pagine più suggestive e significativedel quarto Vangelo.

La pesca miracolosa: «Nella tua parola getterò le reti» (Lc 5,5),disse Pietro a Gesù dopo aver pescato tutta la notte.

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È la mensa che richiama quella su cui la vi-gilia della sua passione Gesù istituì la Cenaeucaristica, ma che guarda a quella della Ge-rusalemme celeste dove i discepoli cenerannocon Lui e Lui con essi (cfr P. Sorci, Gli spazi del-la celebrazione rituale, Milano 1984, p. 84).

Ora lo sguardo si concentra sull’altare dellanostra Chiesa parrocchiale. Il manufatto arti-stico presente su tre lati ci permette di com-prendere bene il gesto di Gesù che istituisce,nella santa Cena, l’Eucaristia, affidandola poialla Chiesa come nuovo ed eterno sacrificio:«Fate questo in memoria di me» (Lc 22, 19).

La Parola di Dio viene incontro a questa as-sorta meditazione e una cosa ci sorprende im-mediatamente: la corrispondenza che Dio havoluto tra il rito dell’agnello pasquale, nellaPasqua ebraica, con quanto avviene nell’ulti-ma Cena dove Gesù «istituisce il rito del sacri-ficio perenne offrendosi vittima di salvezza ecomandando a noi di perpetuare l’offerta insua memoria» (Giovedì Santo - Prefazio S. Messanella Cena del Signore).

Mosè seguito dal popolo d’Israele mentre at-traversa il mar Rosso – presente nella parte si-nistra del nostro altare – ci ricorda i prepara-tivi per la cena pasquale dettagliatamente pre-sentati in un brano dell’Esodo, che ascoltiamonella liturgia della Parola del Giovedì Santo:«Ciascuno si procuri un agnello per famiglia,un agnello per casa» (Es 12, 3), ed era unagnello quello che gli ebrei offrivano in olocau-sto mattina e sera nel tempio. E il profeta Isaiacompleta quanto già indicato dal rito ebraico,

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4. L’ALTARE

Smettete di presentare offerte inutili...cessate di fare il male, imparate

a fare il bene (Is 1, 13.16-17)

L’altare cristiano non è paragonabile con l’al-tare dei templi pagani e neppure con quellodell’Antico Testamento. Esso discende, invece,dalla tavola delle famiglie ebraiche radunateper mangiare i frutti della terra donati da Dio,quando questi strappò i padri e i loro discen-denti dalla schiavitù dell’idolatria, e fece di es-si il popolo della sua alleanza.

I primi altari di cui abbiamo notizia, infatti,sono semplici tavoli di legno, che vengono ap-prontati al momento della liturgia eucaristica,testimonianza del carattere familiare della Ce-na del Signore celebrata nella domus ecclesiae.

Se la Chiesa-edificio è segno del mistero del-la Chiesa-comunità, l’altare è segno del miste-ro di Cristo che della Chiesa è il fondamento,il capo e il centro. Come senza Cristo non esi-ste Chiesa-comunità, così senza altare, affer-ma Simeone di Tessalonica, non si può parla-re di Cristo (PG 155, 305).

L’altare cristiano altro non è che una mensaattorno alla quale la famiglia di Dio si racco-glie gioiosamente per prendere il Cibo che ri-stora e consola, il Pane della vita e il calicedell’unità che rafforza i commensali nella cari-tà e nella concordia, li edifica come Chiesa,corpo di Cristo, un cuor solo e un’anima sola.

to - Prefazio della S. Messa nella Cena del Signore).L’Eucaristia diventa il dono più grande che

Gesù può fare alla sua sposa la Chiesa. Il Cor-po dato e il Sangue sparso del Maestro sono lacontinuazione della sua presenza in mezzo anoi: «Sarò con voi tutti i giorni fino alla fine delmondo» (Mt 28, 20).

Il libro dell’Esodo, nel suo resoconto circa lapreparazione dell’uscita del popolo di Dio dal-l’Egitto, sottolinea l’eccezionalità della presen-za di Colui che li liberava: «In quella notte iopasserò» (Es 12, 12.27).

Noi siamo certi che nell’Eucaristia la pre-senza reale di Cristo è un fatto permanente,perché aderisce a una sostanza – il corpo diCristo – che permane.

Ripetere quel gesto vuol dire averlo in mez-zo a noi; conservarlo nel Tabernacolo o espor-lo solennemente nell’Ostensorio vuol dire po-terlo contemplare; cibarci del suo Corpo e delsuo Sangue ci permette di essere una cosa so-la con Lui.

Credere nell’Eucaristia è la prova del fuocodella fede autentica in un Dio reale, vivente,che mi salva, che mi è vicino, non più inavvi-cinabile ma intimo a me più di me stesso.

Celebriamo tutti i giorni questo Mistero di a-more e di redenzione e lo rendiamo presente, de-ponendo, poi, le Specie avanzate nella celebra-zione della S. Messa all’altare della reposizione.

A noi l’impegno di costruire tutta la nostraesistenza su questo dono, su questa presenza.

A noi che ci nutriamo del Corpo e Sangue diGesù la responsabilità di essere sempre con-

L’ALTARE / 43

paragonando all’agnello il Servo di Dio che sa-rebbe morto innocente per espiare i peccati delsuo popolo: «Era come un agnello condotto almacello» (Is 53, 7).

Giovanni Battista ci spiegherà, dopo averbattezzato Gesù, chi è il servo di Dio mite e in-nocente: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui chetoglie il peccato del mondo» (Gv 1, 29).

«E in quella notte – continua il libro dell’E-sodo nella prescrizione del rito della Pasquaebraica – ne mangeranno la carne» (Es 12, 8).La carne dell’agnello avrebbe sostenuto gli e-brei, sia il giorno dell’uscita dall’Egitto nel dif-ficile e rischioso viaggio verso una vita nuovae libera, che nel rito annuale.

Gesù, durante la cena pasquale ebraica,«sapendo che era giunta la sua ora di passareda questo mondo al Padre» (Gv 13, 1) sostituìla figura con la realtà.

La figura era la Pasqua ebraica, era l’agnel-lo di cui gli Ebrei si cibavano. La realtà era Luistesso, agnello immolato per i nostri peccati.

E come la carne dell’agnello avrebbe soste-nuto gli ebrei nel difficile e rischioso viaggioverso la Terra promessa, così la carne delMaestro presente nei segni eucaristici avrebbesoccorso i cristiani nel lungo e insidioso pelle-grinaggio verso la Patria celeste: «Prendete emangiate questo è il mio corpo» (Mt 26, 26).

Il Cristo risorto – presente nella parte destradell’altare – ci permette di comprendere che «ilsuo corpo per noi immolato è nostro cibo e cidà forza, il suo sangue per noi versato è la be-vanda che ci redime da ogni colpa» (Giovedì San-

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prima di consegnarsi alla morte, affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio,

convito nuziale del suo amore, fa’ che dalla partecipazione a così grande mistero

attingiamo pienezza di carità e di vita.Per il nostro Signore Gesù Cristo,

tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.

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tenitori degni di un così grande compagno diviaggio.

Queste e altre domande ci dovremmo porrenella certezza che l’altare rappresenta CristoGesù, roccia e fonte zampillante di vita: perciòil Sacerdote lo bacia, lo incensa, lo circonda.

Esso è ara del sacrificio, mensa del convitoceleste, trono dell’Agnello immolato e vivente.

PER LA PREGHIERA PERSONALEPrefazio per la dedicazione dell’Altare

Sacerdote e vittima della nuova alleanza, egli coman-dò di perpetuare nei secoli il sacrificio a te offerto sul-l’altare della Croce.

E noi, o Padre, ti dedichiamo con gioia questamensa dove si celebra il memoriale perenne dellabeata passione, s’innalza la lode perfetta e si racco-glie il frutto della nostra redenzione.

Intorno a quest’altare ci nutriamo del Corpo e San-gue del tuo Figlio per formare la tua Chiesa una esanta. Alle sorgenti di Cristo, pietra spirituale, attin-giamo il dono del tuo Spirito per essere anche noi al-tare santo e offerta viva a te gradita.

O Dio, che ci hai riunitiper celebrare la santa Cena

nella quale il tuo unico Figlio,

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- Come partecipo al sacrificio di Cristo nella S. Mes-sa?- Come partecipo alla Liturgia, alle celebrazioni pro-poste dal ciclo liturgico, che manifesta nell’anno imisteri di Cristo, di Maria e dei Santi?

Visione frontale dell’Altare:emergono al centro le tavole della Legge,e la Croce di Cristo, simboli dell’Anticoe Nuovo Testamento.Sul lato sinistro, particolare di Mosèche con il popolo d’Israeleattraversa il Mar Rosso.Sul lato destro, il Cristo risorto e sullosfondo la città di Gerusalemme.

A destra: candeliere in rameposto in coppia ai lati dell’altare maggiore;

rappresenta una mano sollevataverso l’alto che sostiene

la fiamma del cero.

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Cristo che ci consola e ci rafforza nel nostropellegrinaggio terreno con la sua costante pre-senza e amicizia.

«La pietà, dunque, che spinge i fedeli a pro-strarsi dinanzi alla santa Eucaristia, li attrae apartecipare più profondamente al mistero pas-quale e a rispondere con gratitudine al dono diColui che con la sua umanità infonde inces-santemente la vita divina nelle membra del suoCorpo. Trattenendosi presso Cristo Signore, es-si godono della sua intima familiarità e dinanzia lui aprono il loro cuore per loro stessi e per iloro cari e pregano per la pace e la salvezza delmondo... Alimentano quindi così le giuste di-sposizioni, per celebrare, con la devozione con-veniente, il memoriale del Signore e ricevere fre-quentemente quel pane che il Maestro ci ha da-to dal Padre» (Eucharisticum mysterium, 50).

Vi propongo questa bellissima preghierache il santo curato d’Ars, Giovanni MariaVianney, recitava più volte al giorno ingi-nocchiato davanti al Tabernacolo:

«Ti amo, o mio Dio, e mio unico desiderio è diamarti fino all’ultimo respiro.

Ti amo, o Signore, e l’unica grazia che tichiedo è di amarti in eterno.

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5. IL TABERNACOLO

Venite a me, voi tutti,che siete affaticati e oppressi,

e io vi ristorerò (Mt 11, 28).

L’Eucaristia è «fonte e apice della vita cristia-na» (LG 11); è la presenza reale e sostanzialedel Maestro «venuto ad abitare in mezzo a noi»(Gv 1, 14), «tutti i giorni, fino alla fine del mon-do» (Mt 28, 20). Il Tabernacolo custodisce que-sta ricchezza e ci permette, dopo essercene ci-bati nella S. Messa, di estendere, con l’adora-zione personale di nostro Signore Gesù Cristo,la grazia del Sacrificio celebrato.

Nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia ècontenuto veramente, realmente, sostanzial-mente il Corpo e il Sangue di nostro SignoreGesù Cristo, con l’anima e la divinità e, quin-di, il Cristo tutto intero (cfr CCC 1374).

Per questo Giovanni Paolo II nella sua Lette-ra Dominicae cenae invitava tutti a non ri-sparmiare il tempo per andare a incontrarlonell’adorazione, nella contemplazione piena difede e pronta a riparare le grandi colpe e i de-litti del mondo. Non cessi mai la nostra ado-razione (cfr DC, 3).

Nel Corpo dato e nel Sangue sparso del Mae-stro, custoditi nel Tabernacolo, noi adoriamo econtempliamo Cristo che si offre in sacrificio alPadre per la nostra salvezza; Cristo che si dà anoi per nutrirci come pane di vita, affinché an-che noi possiamo offrirci per la vita degli altri;

- Sento vivo il desiderio di visitare quotidianamentel’Ospite divino presente in Chiesa?- Quali sono i sentimenti spontanei che accompa-gnano i miei momenti di preghiera: fretta e noia, op-pure fiducia, amore e adorazione?

Mio Dio, se la mia lingua non può dirti inogni momento che ti amo, voglio che te lo ri-peta il cuore a ogni respiro.

Ti amo, o divin Salvatore, perché tu sei sta-to crocifisso per me; ti amo, o mio Dio, perchéquaggiù tieni me crocifisso per te.

Mio Dio fammi la grazia di morire amandotie sapendo che ti amo».

PER LA PREGHIERA PERSONALEAdoriamo il Sacramento

1. Adoriamo il Sacramentoche Dio Padre ci donò.Nuovo patto, nuovo rito

nella fede si compì.Al mistero e fondamento

la parola di Gesù.

2. Gloria al Padre Onnipotente, gloria al Figlio Redentor,

lode grande, sommo onoreall’eterna Carità.

Gloria immensa, eterno amorealla santa Trinità. Amen.

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Tabernacolo: collocato al centro di un’opera in bronzoraffigurante «L’ultima cena».

Si è manifestato come Padre amoroso cheesprime la sua grandezza di creatore non conla forza dell’arbitrio ma con quella della pa-zienza premurosa:

«Anche se i vostri peccati fossero come scar-latto, diventeranno bianchi come neve. Se fos-sero rossi come porpora, diventeranno comelana» (Is 1, 18).

Il Sacramento della Penitenza, che si celebranel Confessionale, ci spinge a sollevare il no-stro sguardo verso il Padre, ci fa sperimentarela gioia del ritorno, e permette così di com-prendere il grande amore del Signore versotutte le sue creature.

Il peccato solo superficialmente appaga; eanche quando dà l’impressione di aver creatouna situazione di lunga soddisfazione, alla fi-ne, ci fa scoprire con le mani vuote, e ci fa sen-tire poveri e soli.

È l’esperienza, questa, fatta dal più giovanedei due figli della parabola (cfr Lc 15, 11-24). Al-lontanatosi dal padre, egli cercò anche di risol-vere a modo suo la situazione, ma non ci ri-uscì.

Solo quando rientrò in sé stesso (cfr Lc 15,17), comprese cosa doveva fare veramente.

Il Confessionale è il luogo che ci aiuta a ri-entrare in noi stessi, facendoci sperimentarecome l’unica ricchezza vera, per l’uomo, è Dioe il suo grande amore di creatore.

Molte nostre scontentezze, delusioni e cruc-ci sono il risultato di disordine interiore: cisiamo allontanati dalla ricchezza di amore,presente nella casa del Padre, per correre die-

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6. IL CONFESSIONALE

Padre ho peccato contro il cieloe contro di te (Lc 15, 18)

Il Confessionale è il luogo privilegiato per lacelebrazione del Sacramento della Penitenzacon il quale il Signore, attraverso il ministerodel Sacerdote, manifesta e comunica la suamisericordia e il suo perdono.

Molti Sacerdoti hanno speso la vita per que-sto Sacramento: il frate cappuccino dalmataSan Leopoldo Mandic, ha esercitato questoministero di misericordia ininterrottamentedal 1923 al 1942; San Pio da Pietrelcina, ac-coglieva le confessioni dei fedeli anche per se-dici ore al giorno.

L’amore di Dio, infatti, non è un’astrazionema qualcosa di concreto e di tangibile. Gesùce lo ha fatto capire con la parabola del figlioprodigo (cfr Lc 15, 11-24). Ma ancora oggi, neltempo della Chiesa, continua a manifestarce-lo con il Sacramento della Penitenza: «Sarò pervoi come un padre e voi mi sarete come figli efiglie» (2 Cor 6, 18).

Un Dio creatore di tutto, il quale vide cheera cosa buona l’aver creato l’uomo a suaimmagine e somiglianza (cfr Gn 1, 27), e fis-sò, poi, con occhio di Padre la sua creaturadopo che questa si era allontanata da Lui colpeccato (cfr Gn 3), promettendo, con la mor-te e risurrezione di Cristo, misericordia eperdono.

«Padre ho peccato contro il Cielo e contro dite: non sono più degno di essere chiamato tuofiglio» (Lc 15, 18-19).

Che coraggio in queste parole del figlio pro-digo. Lo stesso coraggio viene chiesto a noiquando decidiamo di inginocchiarci, dinanzial Signore, nel Confessionale.

L’uomo forte è colui che sa essere severo consé stesso e umile dinanzi a Dio, e sa tornareindietro quando si accorge di aver sbagliato, erecupera immediatamente e senza alcuna fal-sità quanto ha perso.

Il ritorno del figlio prodigo è un paradigma dicammino di conversione che, con il Sacra-mento della Penitenza, ciascun uomo devecompiere per tornare a Dio.

PER LA PREGHIERA PERSONALEPurificami o Signore

Rit. Purificami, o Signore:sarò più bianco della neve.

1. Pietà di me, o Dio, nel tuo amore:nel tuo affetto cancella il mio peccato

e lavami da ogni mia colpa, purificami da ogni mio errore.

Padre santo, che nei tuoi sacramentihai posto il rimedio alla nostra debolezza,

fa’ che accogliamo con gioia i frutti della redenzionee li manifestiamo nel rinnovamento della vita.

Per il nostro Signore Gesù Cristo,

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tro a situazioni povere, che realizzano ulterio-re povertà.

Il giovane della parabola, rientrando in séstesso, comprende che l’amore del Padre è lapiù vera e liberante realizzazione della sua esi-stenza di figlio. E allora parte e si incamminaverso suo padre (cfr Lc 15, 20).

Questa decisione è il passo indispensabileper ogni conversione: scandagliare, leggere be-ne da che cosa siamo mossi nella vita quoti-diana, e poi saper tornare da Lui per trovarela forza della conversione e del cambiamentodi rotta.

«Convertitevi e credete!» (Mc 1, 15): sono idue verbi usati da Gesù per scuotere la co-scienza dei suoi uditori.

«Il verbo greco della conversione era signifi-cativo perché esigeva una sorta di torsione delnoùs, ossia della mentalità che doveva optareper una nuova visione della vita e dell’essere(verbo e relativo sostantivo risuoneranno ben56 volte nelle pagine neotestamentarie)» (G.Ravasi, Storie di conversione da Agostino a Saulo,in l’Osservatore Romano, 5.8.2008, p 4).

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- Prima di accostarmi al Sacramento della Peniten-za faccio un accurato esame di coscienza confron-tando la mia vita, le scelte quotidiane, con la Paroladi Dio?- Mi soffermo a riflettere sulla grandezza della mise-ricordia di Dio?- Realizzo nella vita quotidiana il cambiamento ope-rato dal Sacramento della Penitenza?

7. IL CROCIFISSO

Padre nelle tue mani consegno il mio spirito (Lc 23, 46)

Nella parte centrale del presbiterio della no-stra Chiesa c’è un grande Crocifisso in legnodinanzi al quale ciascuno di noi dovrebbespesso ritirarsi in preghiera e meditazione.

Fissando il nostro sguardo verso la Croce,sentiamo quasi immediate le parole del Van-gelo: «Era verso mezzogiorno, quando il sole sieclissò e si fece buio su tutta la terra fino alletre del pomeriggio. Il velo del tempio si squar-ciò nel mezzo. Gesù gridò a gran voce: Padre,nelle tue mani consegno il mio spirito. Dettoquesto spirò» (Lc 23, 44-46).

Sono le ultime parole di Gesù. Parole che ilcristiano deve gelosamente conservare nelcuore, non solo nei giorni Santi della Setti-mana più importante dell’Anno Liturgico, matutti i giorni della propria vita. E queste paro-le realizzano la parabola dei vignaioli omicidi:«Manderò il mio unico figlio; forse di luiavranno rispetto. Quando lo videro, i coltiva-tori discutevano fra di loro dicendo: Costui èl’erede. Uccidiamolo e così l’eredità sarà no-stra. E lo cacciarono fuori della vigna e l’ucci-sero» (Lc 20, 13-15).

La morte del Maestro è accompagnata daquei prodigi cosmici caratteristici del giornodi Jahvè. Luca afferma che «era mezzogiorno,quando il sole si eclissò e si fece buio su tut-

tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.

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San Pio da Pietrelcina. L’immagine, collocata nella cappella delleConfessioni, è stata realizzata dal maestro Michele Miglionico.

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mio le moltitudini, dei potenti egli farà botti-no» (Is 53, 12).

Dalla Croce nasce la Chiesa, presenza realenel tempo del Maestro. Nasciamo noi dallaSua morte e risurrezione, perché siamo inse-riti a Lui come tralci alla vite (cfr Gv 15, 4-5),mediante il Battesimo.

Quell’atto di amore di Gesù continua a in-terpellare ciascuno di noi. Chiama in causa lanostra vita. Il nostro modo di pensare e di es-sere.

La risposta personale a questo supremo at-to d’amore non si può limitare a un giorno o auna Settimana. Tutto nella nostra vita è me-moria di quel momento fondante, memoriache si deve trasformare in impegno, vocazionea offrirci con Gesù per la salvezza del mondo.

PER LA PREGHIERA PERSONALETi Saluto Croce Santa

Rit. Ti saluto o Croce santa, che portasti il Redentor;gloria, lode, onor ti cantaogni lingua ed ogni cuor.

1. Sei vessillo glorioso di Cristo, sei salvezza del popol fedel,

grondi sangue innocente sul tristoche ti volle martirio crudel.

2. Tu nascesti tra braccia amorosed’una Vergine Madre, o Gesù;tu moristi tra braccia pietose

d’una croce che data ti fu.

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ta la terra, il velo del tempio si squarciò nelmezzo» (Lc 23, 44-45); e Matteo aggiunge che«la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i se-polcri si aprirono» (Mt 27, 51-52). E dinanzi algiorno di Jahvè il centurione glorificava Diodicendo: «Veramente quest’uomo era giusto»(Lc 23, 47); e i cristiani di quella prima Chie-sa, presente sotto la Croce, presi da grande ti-more dicevano: «Davvero costui era il Figlio diDio» (Mt 27, 54).

Quando Gesù spira, si rivela il vero sensodella sua vita e si realizzano le Scritture: «Hopresentato il dorso ai flagellatori, la guancia acoloro che mi strappavano la barba; non hosottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (Is50, 6). «Disprezzato e reietto dagli uomini, uo-mo dei dolori che ben conosce il patire, comeuno davanti al quale ci si copre la faccia, eradisprezzato e non ne avevamo alcuna stima...Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiac-ciato per le nostre iniquità» (Is 53, 3.5).

«Padre nelle tue mani affido il mio spirito»(Lc 23, 46). Gesù, il Figlio di Dio, in questomodo è stato obbediente al Padre fino allamorte e alla morte di croce.

La Croce non è segno di sconfitta e di morteper Gesù. È Lui che ha sconfitto la morte conil suo atto di obbedienza al Padre e dona al-l’uomo una nuova vita. Nell’apparente sconfit-ta della morte si rivela, quindi, la vera via checonduce alla verità, alla pienezza definitiva.

Dirà, sempre il profeta Isaia: «Quando offri-rà sé stesso in espiazione, vedrà una discen-denza, vivrà a lungo... Perciò io gli darò in pre-

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Dio onnipotente ed eterno, che hai rinnovato il mondo

con la gloriosa morte e risurrezione del tuo Cristo, conserva in noi

l’opera della tua misericordia, perché la partecipazione a questo grande mistero

ci consacri per sempre al tuo servizio.Per Cristo nostro Signore.

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Crocifisso ligneo collocato al centro del Presbiterio.

Maria viene esaudita come la Donna, la nuo-va Eva, la vera madre dei viventi» (CCC 2618).

Maria è la piena di grazia, più di ogni altrapersona creata, il Padre l’ha «benedetta conogni benedizione spirituale, nei cieli, in Cristo»(Ef 1, 3). In lui l’ha scelta «prima della creazio-ne del mondo, per essere santa e immacolataal suo cospetto nella carità» (Ef 1, 4).

Maria, vergine e madre, è la figura e la rea-lizzazione più perfetta della Chiesa (cfr LG 63),Ella che ha aderito in pienezza alla volontà delPadre, ha operosamente offerto sé stessa perl’opera redentrice del Figlio.

Il Concilio Vaticano II, contemplando la fi-gura di Maria, ha affermato: «Questa mater-nità di Maria nell’economia della grazia per-dura senza sosta dal momento del consensoprestato nella fede al tempo dell’Annunciazio-ne, e mantenuto senza esitazioni sotto la cro-ce, fino al perpetuo coronamento di tutti glieletti. Difatti, assunta in cielo Ella non ha de-posto questa missione di salvezza, ma con lasua molteplice intercessione continua a otte-nerci i doni della salvezza eterna. Per questola beata Vergine è invocata nella Chiesa con ititoli di avvocata, ausiliatrice, soccorritrice,mediatrice» (LG 62).

Anche oggi Maria continua il suo ruolo ma-terno nei confronti della Chiesa e dei cristia-ni. Ecco perché, animati da questa fiducia,anche noi ci rivolgiamo a lei e ci affidiamo «co-me deboli figli tra le braccia della più tenerafra le madri» (B. Longo, Supplica alla reginadel Rosario).

MARIA, MADRE DI DIO E DELLA CHIESA / 63

8. MARIA, MADRE DI DIO E DELLA CHIESA

Sotto la tua protezione cerchiamorifugio, santa Madre di Dio

Entrando in chiesa è difficile non scorgere nellato destro una riproduzione della grotta diMassabielle con l’immagine della Beata Vergi-ne Maria.

L’attenzione del fedele, tuttavia, non deveessere concentrata sulla grotta, quanto invecesul mistero che essa significa, cioè la presen-za della Madre del Signore nella vita dellaChiesa.

L’affetto dei credenti per la beata vergineMaria si manifesta in forme articolatissime eresta un fatto ecclesiale rilevante: Maria non èsolo la Madre del Signore e del Salvatore maanche, sul piano della grazia, la Madre di tut-ti gli uomini (cfr DPPL 183).

La santa Madre di Dio, invocata come mo-dello per il cristiano, è colei che ci mostra lavia da seguire. Il Vangelo ce la indica presen-te nella vita del Figlio e della comunità mentreprega e intercede nella fede: «A Cana la Madredi Gesù prega il Figlio suo per le necessità diun banchetto di nozze, segno di un altro Ban-chetto, quello delle nozze dell’Agnello che, allarichiesta della Chiesa, sua Sposa, offre il pro-prio Corpo e il proprio Sangue. Ed è nell’oradella Nuova Alleanza, ai piedi della croce, che

PER LA PREGHIERA PERSONALESalve Regina

Salve, Regína,Mater misericórdiæ,

vita, dulcédo et spes nostra, salve.Ad te clamámus,éxsules filii Evæ.

Ad te suspirámus geméntes et flentesin hac lacrimárum valle.

Eia ergo, advocáta nostra,illos tuos misericórdes óculos

ad nos convérte.Et Iesum benedíctum fructum

ventris tui,nobis, post hoc exsílium, osténde.

O clemens, o pia, o dulcis Virgo María!

64 / ANDREMO ALLA CASA DEL SIGNORE

Riproduzione plasticadella miracolosa Grotta di Lourdes.

plica, spronandoci a rendere gloria a Dio perle meraviglie di grazia operate nei suoi Santi.

Questi Santi e tutti quelli presenti nel ca-lendario liturgico sono da noi ricordati, perchésiamo convinti che lo scopo ultimo della lorovenerazione è la gloria di Dio e la santificazio-ne dell’uomo attraverso una vita pienamenteconforme alla volontà divina e l’imitazione del-le virtù di coloro che furono eminenti discepo-li del Signore (cfr DPPL 212).

La vita e il messaggio teologico-pastorale diSan Roberto ci vengono ricordati dai pannellipresenti sul presbiterio della chiesa. Sono tree mettono a fuoco alcuni importanti aspettidel messaggio di santità che ci viene trasmes-so dalla vita del Santo: la predicazione, la ca-rità e la preghiera.

S.E. mons. Benigno Papa ha efficacementecommentato i pannelli: nel primo è messo inevidenza il servizio della Parola che è stato,senza dubbio, uno degli aspetti più significati-vi della vita di San Roberto, la cui cultura teo-logica è stata da lui messa tutta a servizio del-l’annuncio del Vangelo e della salvaguardiadella fede cristiana minacciata dall’eresia.

L’icona di San Roberto che annuncia la Pa-rola di Dio, a stretto contatto con i segni delMistero pasquale, fa immediatamente pensareal fatto che tale annuncio appartiene al dise-gno di Dio.

Perché gli uomini siano salvi non basta cheGesù sia per noi morto e risorto, è necessarioche ci sia anche qualcuno che annunci questoevento salvifico.

SABN ROBERTO E I SANTI / 67

9. SAN ROBERTO E I SANTI

Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione

e hanno lavato le loro vesti rendendolecandide col sangue dell’Agnello (Ap 7, 14).

Il culto dei Santi è attestato, nella Chiesa, findalla prima metà del secondo secolo ed è radi-cato nel Nuovo Testamento (cfr At 7, 54-60; Ap6, 9-11; 7, 9-17).

La Costituzione conciliare SacrosanctumConcilium illustra efficacemente il significatodel culto e della venerazione dei Santi e Beati:«La Chiesa ha inserito nel corso dell’anno an-che la memoria dei Martiri e degli altri Santiche, giunti alla perfezione con l’aiuto dellamultiforme grazia di Dio, e già in possesso del-la salvezza eterna, in cielo cantano a Dio la lo-de perfetta e intercedono per noi. Nel loro gior-no natalizio infatti la Chiesa proclama il mi-stero pasquale realizzato nei Santi che hannosofferto con Cristo e con lui sono glorificati;propone ai fedeli i loro esempi che attraggonotutti al Padre per mezzo di Cristo; e imploraper i loro meriti i benefici di Dio» (SC 104).

Nella nostra chiesa è presente l’immagine diSan Roberto Bellarmino, al quale è intitolatala Parrocchia, ma sono anche presenti le sta-tue di San Giuseppe, Sant’Anna, Sant’Anto-nio, Santa Rita e San Pio (foto a p.56).

Questa molteplice presenza di sante imma-gini ci aiuta nella preghiera e facilita la sup-

È quanto mai urgente che oggi tutti i cri-stiani riprendano il cammino del rinnovamen-to evangelico, accogliendo con generosità l’in-vito apostolico a «essere santi in tutta la con-dotta» (1 Pt 1, 15).

«Tutti i fedeli quindi nelle loro condizioni divita, nei loro lavori o circostanze, e per mezzodi tutte queste cose, saranno ogni giorno piùsantificati se tutto prendono con fede dallamano del Padre celeste, e cooperano con la vo-lontà divina, manifestando a tutti, nello stes-so servizio temporale, la carità con la qualeDio ha amato il mondo» (LG, 41).

PER LA PREGHIERA PERSONALE

Dio onnipotente ed eterno, che doni alla tua Chiesala gioia di celebrare in un’unica festa

i meriti e la gloria di tutti i Santi, concedi al tuo popolo,

per la comune intercessione di tanti nostri fratelli, l’abbondanza della tua misericordia.

Per il nostro Signore Gesù Cristo,tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

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Il secondo bassorilievo evoca l’esercizio del-la carità da parte di San Roberto. Egli si por-ta verso l’infermo e ne cura le ferite. La caritàè il segno distintivo della vita cristiana. Gesùha detto: «Da questo vi riconosceranno chesiete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli al-tri come io ho amato voi» (Gv 13, 34-35). L’a-more gratuito verso l’altro distinto da sé è l’e-spressione culturale che ha fatto irruzionenella storia a partire dal Cristianesimo, e con-tinua a caratterizzare in maniera peculiare lavita di quelle nazioni che hanno una lungatradizione cristiana.

L’ultimo pannello – conclude Mons. Papa –ci mostra San Roberto che prega con un grup-po di persone, alle quali addita il cielo. È un’i-cona complementare a quella precedente: conla pratica della carità San Roberto si mostraattento nei confronti di quanti sulla terra han-no bisogno dei mezzi con cui vivere, con lapreghiera il Santo indica che dobbiamo sape-re alzare lo sguardo e la mente verso Dio (cfrB. Papa, Itinerario teologico-pastorale, in A. Rubi-no, San Roberto Bellarmino, Taranto 2004, pp.31.33.35).

Il culto e la venerazione dei Santi ci richia-mano a un importante impegno che è di tuttii cristiani, perché affonda le sue radici nelBattesimo: l’universale vocazione alla Santità.Il Concilio Vaticano II sottolinea questo impe-gno, con parole chiare, affidandolo a tutti i fi-gli e figlie della Chiesa: «Tutti i fedeli sono in-vitati e tenuti a tendere alla santità e alla per-fezione del loro stato» (LG 42).

68 / ANDREMO ALLA CASA DEL SIGNORE

A sinistra: San Roberto Bellarmino, con l’indice rivolto verso Dio,invita i fedeli alla preghiera; qui sopra, mentre si fa prossimo

verso ogni persona che è in necessità; nella pagina successivail santo è ritratto in uno dei momenti più significativi

della sua vita: il servizio della Parola.

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di p. Vittorino Grossi, osa

1. Nel 1991 si celebrò il sedicesimo centenariodell’ordinazione presbiterale di Sant’Agostino(Ippona 391-1991). Da allora diverse iniziativestanno costringendo studiosi e operatori di pa-storale a rivisitare gli scritti e l’opera dell’Ippo-nate relativa al periodo del suo presbiterato,per trarne luce nel nostro mondo in continuomovimento ma sempre bisognoso di Dio. Sitratta di un blocco di tredici opere, tra quelleconservateci, che egli menziona nel primo librodelle Revisioni (I, 14-27 dall’“Utilità del credere” –UC – al volume “Sulla menzogna” – DM).

Il ricordare la chiamata al presbiterato diSant’Agostino potrebbe dare adito a pensareche la circostanza interessi in qualche modosolo il clero, in realtà per la comprensione cheil futuro vescovo d’Ippona ebbe del suo mini-stero presbiterale, la sua ordinazione si collo-cò nella storia della Chiesa d’Ippona e di quel-la a venire della Chiesa di Dio.

Agostino, infatti, coinvolto in tale ministero,incarnò un’icona di presbitero che d’alloraumilmente si ripropone come un modello dariscoprire. Dall’insieme degli scritti del tempodel suo presbiterato (i cinque anni dal 391 al396 quando divenne vescovo) possiamo scom-porre l’immagine presbiterale intravista da

1O. IL MINISTERO DEL PRESBITERONELLA SCIA DI SANT’AGOSTINO

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voi quanti non sanno quanto sia arduo e rarosuperare con la serenità di una mente pia ifantasmi della carne. Infieriscano contro divoi quanti non sanno con quanta difficoltà sisani l’occhio dell’uomo interiore perché essopossa vedere la sua luce... Infieriscano controdi voi quanti non conoscono i gemiti e i so-spiri che da ogni parte implorano di poter “in-telligere” Dio. Infieriscano infine contro di voiquanti non sono stati ingannati dall’erroreche vedono in voi. Io invece, che tanto a lun-go giacqui prostrato e finalmente ho potutointravedere quella sincerità della mente che sipercepisce senza il racconto di una inutile fa-vola..., assolutamente non posso infierirecontro di voi».

1.2. Il rapporto tra le Sacre Scritturee l’attività pastorale del presbitero

Un secondo tassello dell’icona del presbitero èdato in Agostino dal rapporto che intercorretra le Sacre Scritture, fonte della fede dellasperanza e della carità del cristiano, e l’attivi-tà pastorale del presbitero. Al responsabiledella comunità cristiana si chiede di essereun attento lettore delle Sacre Scritture e unfedele interprete, per nutrire la sua vita spiri-tuale e pastorale come quella dei fedeli. LeSacre Scritture contengono infatti per Agosti-no in ogni loro parola e pagina la rivelazionedel messaggio dell’amore di Dio per l’umani-tà, sia apertamente che velatamente. Un pre-

IL MINISTERO DEL PRESBITERO NELLA SCIA DI S. AGOSTINO / 75

Agostino in sei immagini da lui realizzate, perricavarne utili insegnamenti sia per la forma-zione sacerdotale delle nuove generazioni cheper le modalità dell’azione pastorale dei pre-sbiteri.

1.1. La missione della Chiesae il ministero presbiteriale

Un primo tassello circa l’icona del presbiteroAgostino lo maturò nel rapporto che necessa-riamente intercorre tra la missione della Chie-sa e il ministero presbiterale. Un presbiteroinfatti ha la sua identità anzitutto nel servirela missione della Chiesa di annunciare GesùCristo, speranza dell’umanità, alle generazioniche si succedono.

La modalità pastorale di tale servizio è nel-la capacità del presbitero di presentare all’uo-mo la verità cristiana come la sua salvezza,coinvolgendolo con la soavità che è propriadella verità (quadam suavitate coaptandus,scrive nelle Revisioni 1, 13, 1). Agostino eraconvinto che il modo di porgere la verità dellarivelazione biblica sia tanto importante quan-to la stessa verità, anche nelle discussionicon scismatici ed eretici. È rimasto giusta-mente famoso quanto Agostino affermò inmerito nel Contra ep. manichaei quam vocantFundamenti 2-3: «Infieriscano contro di voi(manichei) coloro che non sanno con quantafatica si trovi la verità, e quanto sia difficilenon cadere nell’errore. Infieriscano contro di

74 / ANDREMO ALLA CASA DEL SIGNORE

1.3. Il presbitero deve sapere aiutare icristiani in un cammino spirituale

Un terzo tassello dell’icona agostiniana del pre-sbitero venne dato dalla capacità richiesta, mainerente a tale ministero, di aiutare i cristiani avivere la vita di un loro progresso spirituale.

Agostino veniva dall’esperienza manichea diChiesa che riteneva una tale possibilità validasolo per gli “eletti”. La grande massa, gli “udi-tori” (Agostino fu nella classe degli uditori), nonera in grado né poteva essere messa in cammi-no in tale direzione, essa poteva solo servire alprogresso degli eletti. Quando qualche annodopo Agostino divenne vescovo, affrontò nellefile cristiane la problematica del progresso spi-rituale dei comuni cristiani, indirizzando ai ve-scovi un opuscolo su tale argomento, “La bat-taglia cristiana” (AC). Il titolo stesso era un pro-gramma, “l’agone-l’agonista” (termini che allo-ra indicavano le scelte ascetiche della vita con-sacrata) non era solo per le scelte celibatarie everginali, ma era nelle possibilità di tutti i cri-stiani: tutti combattono la loro bella battagliadella fede. Il vescovo e il presbitero divenivanocosì, nell’ottica agostiniana, i padri spiritualidel gregge loro affidato per farlo maturare a di-mensione di Cristo.

1.4. La coscienza del limite

Un quarto tassello all’identità del presbiteroAgostino lo pose nella coscienza del limite. Un

IL MINISTERO DEL PRESBITERO NELLA SCIA DI S. AGOSTINO / 77

sbitero potrà – per Agostino – assolvere ade-guatamente il ministero di annunciare taleamore, solo maturando un quotidiano eserci-zio della carità di Dio e del prossimo, convi-vendo anche in comunione quotidiana di vitacon altri presbiteri.

Fu questa un’iniziativa nuova nella storiadel presbitero cristiano, che incontrò le suedifficoltà anche con il vescovo Agostino. Malui non desistette, convinto che per parlaredell’amore di Dio e del prossimo, come fa ilpresbitero nel suo ministero, lo si possa farecon onestà solo guadagnandoselo nella quo-tidianità della convivenza. Egli mise in prati-ca tale progetto fondando a Ippona un mona-stero per i presbiteri, oltre a quello dei mo-naci che aveva già istituito. Agostino primavietò nella diocesi d’Ippona di poter esserepresbitero senza vivere in comunità, poi fupiù accondiscendente ma con forti restrizio-ni: «non priverò del ministero chi decide diabbandonare la vita comune, ma… non per-metterò che faccia testamento come chierico»(S 356, 14).

Circa l’anima di tale progetto si trattò fon-damentalmente di una maturazione ecclesialeassimilata da Agostino medesimo. Egli, da unimpegno di vita e di ricerca di Dio limitato adalcuni amici (prima a Cassiciaco vicino Mila-no, poi nella casa paterna di Tagaste in Afri-ca), passò infatti a un impegno la cui modali-tà era sempre la medesima (cercare Dio con gliamici) ma che ormai si trascinava dietro tuttal’Ecclesia.

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zione della Chiesa cristiana in Africa, tra do-natisti e cattolici, una accelerazione che pro-vocò un mare di contestazioni, ma che la por-tò a conclusione nella Conferenza di Cartagi-ne del 411, giusto cent’anni dopo (era natanel 311).

Per Agostino non era sufficiente ammetterela comunione tra cattolici e donatisti sul pia-no sacramentale, occorreva vivere anche lacomunione sul piano della Chiesa visibile.Non è sufficiente avere il battesimo, spiegavaAgostino ai donatisti, occorre avere anche lagrazia propria del battesimo, vale a dire il do-no della carità diffusa nei nostri cuori dalloSpirito Santo che si esprime nella comunioneecclesiale.

La Chiesa infatti, oltre a essere comunionedi sacramenti è anche comunione dei Santi.Se si è fratelli, insisteva l’Ipponate, bisognacercarsi, non bisogna quindi accettare la ri-chiesta dell’altro di essere lasciato in pace.

«Non mi dire – ribatteva a un donatista – ache scopo mi cerchi se sono perduto? Ma ticerco perché ti sei perduto. Tu insisti “non micercare”. Ciò lo vuole certamente l’iniquità checi ha divisi, non la carità per la quale siamofratelli... Cerco mio fratello e mi rivolgo al Si-gnore per lui non contro di lui. Né dico nellapreghiera “Signore, di’ a mio fratello che divi-da con me l’eredità, ma di’ a mio fratello checonservi con me l’eredità”» (EP 18, II, 6).

E a un dissidente donatista rispondeva:«Chiede il dissidente: Se io ho già il battesimocosa potrò ricevere di più dalla Chiesa? Rice-

IL MINISTERO DEL PRESBITERO NELLA SCIA DI S. AGOSTINO / 79

presbitero non è colui che sa tutto e non sba-glia mai, lui riconosce i propri errori e non lisublima servendosi della religione. Lui stessoè sempre in cammino di capire ogni giorno inpiù qualcosa del suo compito ecclesiale. Ago-stino stesso, ormai settantenne, ripensando alsuo entusiasmo per le Scritture durante glianni del suo presbiterato e giudicando le sueinterpretazioni di allora, nota di essersi talvol-ta sbagliato.

«Mi sbagliavo, egli nota mentre revisiona ilsuo scritto “Sui costumi della Chiesa cattolicae dei manichei”, perché non conoscevo ancorabene le Scritture» (R 1, 6, 2).

1.5. Servire la comunione ecclesiale

Un altro tassello che fanno di un presbiteroun uomo di Chiesa è dato dal suo impegno diservire la comunione ecclesiale. L’esperienzapastorale del presbitero ha a cuore non i dis-sensi che incrinano l’unità ecclesiale bensì lapace della Chiesa che consente ai cristiani digodere il suo essere uno in Gesù Cristo, par-ticolarmente la comune festa eucaristicacommemorata nel giorno del Signore.

L’ecclesialità costituisce infatti il campus,per un cristiano – qualunque sia il suo postonella Chiesa –, di quel dono di Dio, che è il dif-fondersi della carità, la quale consente la cir-colazione dei beni del regno di Dio.

Sulla base di tale acquisizione Agostino im-presse alla questione della centenaria separa-

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di Cristo. Il corpo del Signore è inteso dal ve-scovo d’Ippona, nel medesimo tempo, qualepane eucaristico e quale Chiesa, creando tradi loro un’unità difficilmente comprensibilequalora si voglia pensare le due componentidistinte e divise. Il lettore di Agostino che pre-scindesse da tale unitarietà si troverebbe inuna difficoltà senza uscite nel leggere il suopensiero sull’Eucaristia, ch’era poi comune al-la Chiesa antica.

Agostino parla del Corpo di Cristo, anche diquello eucaristico, sempre in riferimento allaChiesa: il Cristo capo e la Chiesa-corpo infat-ti formano insieme, come lui lo chiama, il «Cri-sto totale». Della ricchezza eucaristica di cuigodono i cristiani Agostino parla come di uninnamorato, in termini che denunciano l’esta-si; ne sottolinea tuttavia l’aspetto di storia incammino, di crescita, di tensione verso uncompiersi che ha il suo epilogo oltre il tempo adisposizione dell’uomo.

In tale prospettiva la comprensione del paneeucaristico si dilata in lui enormemente nelquotidiano della storia del Regno di Dio e del-la Chiesa: a pane di giustizia; a dono delloSpirito Santo che, facendo credere in Cristo,rende il credente un uomo nuovo; a preghierache trascina in libertà gli uomini al sacramen-to dell’altare dal più profondo del loro cuore; agioia del cuore, resa possibile solo a chi è ca-pace di amore; a pane della concordia; a sa-zietà di Cristo, anche se nel tempo della storiaessa non potrà essere ancora piena; a unitàecclesiale sempre passibile di essere ricostrui-

IL MINISTERO DEL PRESBITERO NELLA SCIA DI S. AGOSTINO / 81

verai la Chiesa che non hai, riceverai l’unitàche non hai, riceverai la pace che non hai»(Ser. D 8, 3; Ser M I, 37).

1.6. Dominicum agere

Un ultimo tassello del ministero presbiterale èdato in Agostino dall’Eucaristia, dal domini-cum agere, come si diceva allora.

Essa aveva due connotazioni: la Chiesa le-gata all’Eucaristia, l’unità della mensa eucari-stica e quella della carità.

1.6.1. Chiesa-EucaristiaAgostino, nell’Omelia 26 sul testo di Giovanni6, 51 («Il pane che io darò è la mia carne perla vita del mondo»), ci offre una delle sintesieucaristiche più famose, divenuta popolareper le bellissime parole a tutti note: «[L’Euca-ristia] è il sacramento della pietà, il segno del-l’unità, il vincolo della carità».

Tale Omelia, databile dopo il 413 (non oltreil 421), vale a dire dopo la famosa Conferenzadi Cartagine del 411 che pose fine allo scismadella Chiesa africana, mostra una Chiesa giàunita di nuovo intorno a una sola Eucaristia,al di là di qualche frangia donatista ancoraesistente. La riflessione pertanto è pacata, pri-va della passione per l’unità della Chiesa pro-pria degli scritti agostiniani del periodo dona-tista, e perciò più ampia e profonda.

Le categorie portanti della sua omelia sonoprincipalmente due: quelle di unità e di Corpo

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questo cibo e con questa bevanda (il Signore)vuol farci intendere l’unione sociale del suocorpo e delle sue membra, che è la santa Chie-sa... Il sacramento di questa realtà, cioè del-l’unità del corpo e del sangue di Cristo, vieneapparecchiato sulla mensa del Signore, in al-cuni luoghi tutti i giorni, in altri con qualchegiorno d’intervallo, e si riceve dalla mensa delSignore. Da alcuni viene ricevuto per la vita,da altri per la morte: ma la realtà che questosacramento contiene, procura a tutti quelliche vi partecipano la vita, mai la morte» (In GV26, 15).

«Abbiamo già detto fratelli che cosa ci racco-manda il Signore nel darci da mangiare la suacarne e da bere il suo sangue: che noi dimo-riamo in lui e lui in noi. Ora noi dimoriamo inlui se siamo le sue membra; egli dimora in noise siamo il suo tempio. È l’unità che ci com-pagina facendoci diventare membra di Cristo,ma che cos’è che crea quest’unità se non lacarità?... Queste considerazioni devono ispi-rarci amore per l’unità e orrore per la separa-zione. Niente deve temere un cristiano, quan-to l’essere separato dal corpo di Cristo» (In GV27, 6).

1.6.2. L’unica mensadel pane eucaristico e della caritàDei testi paolini circa la colletta di 1 Cor 16, 2-4 e 2 Cor 8-9, da fare per i poveri della Chie-sa di Gerusalemme, il primo appartiene a untempo particolare, quello del «primo giorno do-po il sabato (cioè il primo giorno della settima-

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ta tramite il perdono, invocato e donato inogni celebrazione eucaristica.

«Dove l’anima potrà essere saziata? – sichiede Agostino – Dove si trova il sommo be-ne, la verità totale, l’abbondanza piena. Qui interra, anche se ci sostiene l’autentica speran-za, è più facile aver fame che essere saziati…Dove? Nella risurrezione dei morti… Ciò checonta è che uno mangi interiormente, non so-lo esteriormente: che mangi col cuore, non chemastichi con i denti (In GV 26, 11-12)... I fede-li dimostrano di conoscere il corpo di Cristo,se non trascurano di essere il corpo di Cri-sto... Devi essere nel Corpo di Cristo... È quel-lo che dice l’Apostolo, quando ci parla di que-sto pane: «Poiché c’è un solo pane, noi, pur es-sendo molti, siamo un solo corpo» (1 Cor 10,17). Mistero di amore! Simbolo di unità! Vin-colo di carità! Chi vuol vivere, ha dove vivere,ha di che vivere. Si avvicini, creda, entri a farparte del Corpo, e sarà vivificato. Non disdegnidi appartenere alla compagine delle membra,non sia un membro infetto che si debba am-putare, non sia un membro deforme di cui sidebba arrossire. Sia bello, sia valido, sia sano,rimanga unito al corpo... I Giudei non riusci-vano a intendere il pane della concordia, e nonvolevano accettarlo; ma coloro che mangianoquesto pane, non litigano tra loro appuntoperché «essendoci un solo pane, noi, pur es-sendo molti, siamo un solo corpo». E per mez-zo di questo pane «Dio fa abitare in una me-desima casa coloro che possiedono un mede-simo spirito» (Sal 67, 7; In GV 26, 13-14)... Con

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bero coinvolgimento di chi partecipava all’Eu-caristia con il bisognoso, anche la crescita dilibertà che per il cristiano, partecipe dell’Eu-caristia del Signore, si misura dal suo coinvol-gersi con chi è nel bisogno.

Al tempo di Sant’Agostino la legge dell’arca-no sussisteva ancora, era cioè consentito par-tecipare all’Eucaristia solo ai battezzati, ma lastessa celebrazione eucaristica stava diven-tando un atto di religiosità pubblica. La mi-stagogia cristiana infatti, che comprendevaanche l’Eucaristia, proprio in questo tempoconobbe una sua propria letteratura.

Agostino, sempre rispettoso delle tradizionie allo stesso tempo sempre aperto al nuovosociale cristiano, in occasione della predica-zione dei testi paolini sulla colletta, manifestal’evolversi di tale nuova situazione, i qualivanno letti come l’esplicitazione teologica del-la prassi della colletta legata alla celebrazioneeucaristica. Sul rapporto più stretto che in-tercorreva al tempo di Agostino tra Chiesa-Eucaristia e poveri diamo qualche indicazionein più.

Un altro elemento da considerare, in rela-zione alla teologia dello spezzare del pane svi-luppata da Agostino nella categoria dell’amorsocialis, va cercato nella prassi della memoriadel Signore, che postulava da sempre una rac-colta di offerte per i bisognosi.

In conclusione il mangiare il corpo di Cristoe bere il suo sangue andavano intese per Ago-stino in senso spirituale: «Tutto ciò ci serva dalezione affinché non abbiamo a mangiare e a

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na)» a scadenza fissa: «Ogni primo giorno do-po il sabato ciascuno metta da parte ciò chegli è riuscito di risparmiare» (1 Cor 16, 2-4); ilsecondo, oltre a sottolineare la generosità del-le chiese della Macedonia circa le collette, dàqualche notizia in più dicendo che essi «primadi tutto si sono offerti al Signore e poi a noi (ri-calcando il modello) il Signore nostro GesùCristo che, da ricco che era, si è fatto poveroper voi, perché voi diventaste ricchi per mezzodella sua povertà… Ciascuno dia secondoquanto ha deciso nel suo cuore, non con tri-stezza né con forza, perché Dio ama chi donacon gioia» (2 Cor 8-9).

I due testi di Paolo circa la colletta induconoa credere che si tratti della celebrazione euca-ristica. Egli infatti rileva che la colletta si fa «ilprimo giorno della settimana» e quando i fede-li fanno l’offerta di sé al Signore (un elementoconfluito poi nell’anamnesi eucaristica).

I due testi circa la colletta dovettero diveni-re una costante per i cristiani in relazione al-la celebrazione dell’Eucaristia, anche se nonabbiamo tanta documentazione, cadendol’Eucaristia sotto la legge dell’arcano. I datiche emergono dalle raccomandazioni di Paoloai Corinzi e dalla prima descrizione del rac-conto eucaristico di Giustino (cfr Apologia 1,65-66) sono due: primo, la colletta si fa il gior-no del Signore, in collegamento con l’Eucari-stia che fa memoria della risurrezione del Si-gnore; secondo, essa va fatta rispettando lamodalità della scelta di libertà di ciascuno.Quest’ultimo elemento sottolineava, oltre al li-

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“separava dall’altare” cioè dall’Eucaristia, av-viando quella modalità penitenziale di cui oradisponiamo.

Dopo Agostino la storia dell’Eucaristia cri-stiana amò soffermarsi sulla comprensionedella presenza reale nel sacramento dell’Eu-caristia. Nacquero da tale sottolineatura leostensioni eucaristiche medievali, i miracolieucaristici per esempio quello di Orvieto. SanTommaso tuttavia nel suo commento allaLettera di San Paolo ai Corinzi (nel soggiornodi Orvieto, anni 1259-1265; nel soggiorno na-poletano, anni 1272-1273) parla della pre-senza eucaristica in stretto rapporto con i be-nefici effetti che essa produce nei fedeli, inparticolare di partecipazione e incorporazionea Cristo.

Il Concilio di Trento codificò nel termine“transustanziazione” la modalità della pre-senza eucaristica. Mentre la teologia postri-dentina tentava di coniugare tale terminecon l’evolversi del progresso scientifico, San-t’Alfonso Maria de’ Liguori prima e San Pio Xdopo, di fronte alla crisi giansenista che ave-va allontanato di molto la frequenza della co-munione eucaristica, misero in atto molti ri-medi pastorali per riportare i credenti allacomunione eucaristica anche quotidiana.Oggi si tenta più in profondità di recuperarel’Eucaristia, come al tempo dei Padri, qualescuola permanente di fratellanza umana chesi esplicita nell’inscindibile rapporto tra cele-brazione e farsi carico dei bisognosi (la col-letta paolina).

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bere il sangue di Cristo solo sacramentalmen-te (non edamus tantum in sacramento, tempo-raliter), come fanno anche tanti cattivi cristia-ni, ma affinché lo mangiamo e lo beviamo inmodo da giungere alla partecipazione del suoSpirito e da rimanere nel corpo anche se inquesto mondo sino alla fine dovremo vivere inmezzo agli iniqui» (In GV 27, 11).

Fu quel cibo che sorresse i martiri, comeSan Lorenzo, la cui memoria ricorreva in quelgiorno: «Poiché Lorenzo aveva mangiato e be-vuto al banchetto eucaristico, saziato di quelcibo e inebriato di quel calice, non sentì i tor-menti. Era presente in lui chi ha detto: “È loSpirito che vivifica”» (In GV 27, 12).

Egli, d’altra parte, in qualità di pastore sirendeva conto che sia per le Sacre Scritturesia per l’Eucaristia si tratta di beni comunidati da Dio all’umanità per la sua salvezza.Egli tentò perciò in tutti i modi d’impadronirsidelle chiavi di lettura sia delle Sacre Scrittureche dell’Eucaristia, per aprirne la porta di ac-cesso ed educare di conseguenza gli aspiranticristiani e i già battezzati.

Al suo tempo c’era inoltre già la difficoltà dimolti cristiani battezzati i quali, durante ladistribuzione dell’Eucaristia, non si accosta-vano per riceverla (per qualche crimine eranocostretti a stare nel locus poenitentium), men-tre altri uscivano indebitamente dal locuspoenitentium per poterla ricevere. Agostinoavvertiva nell’uno e nell’altro caso un disgui-do che pensò di eliminare. Fu lui infatti a mi-nare alla base quell’istituto penitenziale che

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ro presbiterale; la natura peculiare del librosacro, la Bibbia cioè è il libro non di pochi odi un gruppo o del solo clero ma dell’interaEcclesia.

2.1. Comunione ecclesialee ministero presbiteriale

Agostino era presbitero della Chiesa d’Ipponada un anno e da quella data iniziano le testi-monianze della sua azione pastorale svolta perridare il bene dell’unità alla Chiesa africana,divisa tra cattolici e donatisti.

Tale missione fu da lui percepita come com-pito primario del lavoro presbiterale. Il vesco-vo donatista Vincenzo di Cartenna ricordava ilgiovane presbitero d’Ippona come uno «deditoagli studi letterari e amante della pace e del-l’onestà» (E 93, 13, 51).

Agostino presbitero impresse alla questionedonatista un andamento che divenne normaideale nella Chiesa per ogni discussione al suointerno, e base di ogni incontro ecumenico po-steriore.

Due furono i suoi orientamenti: riguardo alpassato, sofferto dalle due parti (donatista ecattolica), rinunciare a rimproverarsi data laloro inutilità per la causa dell’unione che sivoleva perseguire; trattare la questione in sésulla base delle Scritture e della fiducia nel-la capacità umana della ragione, sottraendo-la a condizionamenti di potere sia manifestiche velati.

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LE PREOCCUPAZIONI DI AGOSTINO,GIOVANE PRESBITERO

2. Agostino, dopo cinque anni vissuti in Italia(385-390), durante i quali approdò al battesi-mo nella Chiesa cattolica, venne chiamatonell’anno 391 dal vescovo di Ippona, Valerio,ad aiutarlo come presbitero. La nuova situa-zione lo aiutò a maturare la sua stima per i va-lori cristiani della gente e, di conseguenza, adavere una più vasta comprensione del mini-stero presbiterale in riferimento al popolo diDio.

Da una sua vita infatti di ricerca di Dio edella sapienza, iniziata con amici nella sua ca-sa paterna di Tagaste (prodromo dei futurimonasteri di Agostino) egli, con la chiamata alpresbiterato, percepì l’importanza della di-mensione ecclesiale di tale ricerca. Nel Sermo-ne 355, 2 Agostino accenna al passaggio nellaconcezione della vita monastica dall’otiumsanctum (di Tagaste) al negotium (d’Ippona).Per la visione ecclesiale della vita monastica diAgostino si hanno le Epistolae 48 (a Eudossioe alla comunità dell’isola Capraia) e 243 (a Le-to). Nell’Epistola 48, 2 egli pone il principio:«Non vogliate anteporre la vostra pace alle ne-cessità della Chiesa».

La letteratura del tempo del presbiteratolascia emergere le preoccupazioni di Agostinogiovane presbitero che furono principalmen-te due: l’unità dell’Ecclesia legata al ministe-

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all’episcopato africano, cattolico e donatista,riunito nell’anno 411 nelle terme di Cartagineper dare una soluzione alla secolare scissionedella Chiesa africana (la nota Collatio Cartagi-nensis del 411). Egli richiese, in caso di vitto-ria dell’una o dell’altra parte, che i due vesco-vi (cattolico e donatista), rispettando la volon-tà delle comunità interessate, conservasseroinsieme la cattedra episcopale o si dimettesse-ro entrambi.

Agostino presentò la proposta all’assemblea,caldeggiandola nel modo seguente: «Perchémai dovremmo esitare a offrire al nostro Re-dentore questo sacrificio di umiltà? Non disce-se egli dal cielo in membra umane perché noifossimo sue membra? E noi avremmo paura didiscendere dalle nostre cattedre per scongiu-rare il pericolo che le stesse sue membra sia-no dilaniate da una crudele divisione? Perquanto ci riguarda, a noi basta solo essere cri-stiani fedeli e ubbidienti: cerchiamo dunque diesserlo sempre. Noi siamo ordinati vescovi perservire le comunità cristiane, facciano dun-que, per ciò che concerne il nostro episcopato,un’opera che sia utile ai fedeli di Cristo per lapace cristiana. Se siamo servi utili, perchépregiudicheremo gli interessi eterni del Signo-re per amore delle nostre dignità temporali?La nostra dignità episcopale sarà più fruttuo-sa per noi se, deponendola, avremo radunatoil gregge di Cristo che, conservandola, esserecausa della sua dispersione. Con quale sfron-tatezza potremo sperare l’onore promesso neisecoli futuri da Cristo, se il nostro onore ec-

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Il tenore di questi due orientamenti era dicircoscrivere la questione all’ambito religio-so, risolvendola con mezzi propri a disposi-zione, evitando di volerli prendere dall’ester-no, facendo cioè appello alle autorità civili.

Di questo periodo è l’Epistola 23 di Agostino(tra il 391-395), della quale riportiamo il bra-no più significativo: «Togliamo di mezzo gliinutili rimproveri che le due parti, per igno-ranza, sono solite scagliarsi contro reciproca-mente. Tu (donatista) non rinfacciarmi i tem-pi di Macario, come io (cattolico) non ti rinfac-cerò la crudeltà dei circumcellioni. Se questofatto non ricade su di te, nemmeno l’altro ri-cade su di me… Trattiamo della cosa in sé,con la forza della ragione, con l’autorità delleSacre Scritture... Chissà che il Signore, asse-condando i nostri sforzi e le nostre concordipreghiere, non comincino a sparire dalle no-stre terre delle regioni africane un obbrobrio eun’empietà così grandi... Io poi non farò que-sto finché i soldati sono qui... bensì dopo la lo-ro partenza, affinché tutti gli uditori compren-dano che il mio proposito non è quello che gliuomini vengano costretti, contro la loro volon-tà, ad aderire alla comunione di chicchessia...Da parte nostra cesserà il terrore rappresen-tato dal potere temporale, cessi anche da par-te vostra il terrore diffuso dalle bande dei cir-concellioni».

Per capire la reale tensione che egli iniziò amaturare dal tempo del presbiterato riguardoall’amore per la Chiesa e al ministero dei suoiresponsabili, riportiamo la sua proposta fatta

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ciulli, un ingresso basso, poi un andito subli-me e avvolto di misteri. Io non ero capace disuperare l’ingresso o piegare il collo ai suoipassi. Infatti i miei sentimenti, allorché le af-frontai, non furono quali ora che parlo (tra iquarantatré/sei anni, quando cioè scrisse leConfessioni essendo già vescovo, tra il 397-401). Ebbi piuttosto l’impressione di un’operaindegna del paragone con la maestà ciceronia-na. Il mio gonfio orgoglio aborriva la sua mo-destia, la mia vista non penetrava i suoi re-cessi. Quell’opera è invece fatta per crescerecon i piccoli; ma io disdegnavo di farmi picco-lo e per essere gonfio di boria mi credevo gran-de» (C 3, 5, 9).

Accanto alle difficoltà linguistiche di stile nedovette affrontare una più grande: le Scritturegli sembravano un libro grossolano nello stes-so linguaggio che usava per trattare di Dio,paragonato a un vasaio. Si faceva di Dio, in al-tri termini, nel libro religioso della Bibbia tan-to conclamato, un uomo a livello di corporeità:un libro cioè infetto di antropomorfismo. Ago-stino ne ebbe una vera ripugnanza.

A leggere in tal modo le Scritture Agostinoera stato educato dai manichei. Essi, avendouna visione del mondo piuttosto negativa so-prattutto per quanto riguardava la materia equindi il mondo sensibile in generale, portaro-no tale dualismo nella lettura della Bibbia, ag-giudicando l’Antico Testamento al principiodel male, un Dio creatore della materia; ilNuovo Testamento invece era frutto del princi-pio del bene. Tale distorsione interpretativa

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clesiastico impedisce in questo modo l’unità diCristo?» (E 128, 3).

La proposta venne accettata dai circa 600vescovi presenti, con due contrari.

2.2. La Bibbia: libro dell’intera «Ecclesia»

La conversione di Agostino al cristianesimonella Chiesa cattolica fu anche un problema diricezione delle Sacre Scritture, prima che essedivenissero la sua guida. Giovane di 19 anni(due anni prima gli era morto il padre Patri-zio), dopo aver letto l’Ortensio di Cicerone,Agostino fu preso dall’amore per la filosofia,per “la sapienza in sé” al di là delle varie scuo-le filosofiche. Si meravigliava però che traquelle pagine, che pur parlavano di sapienza,non vi si trovasse il nome di Cristo «quel nomedel Salvatore mio, devotamente succhiato nellatte stesso di mia madre e conservato tenera-mente nel profondo del mio cuore ancora pic-colo» (C 3, 7, 8).

Fu la ricerca del nome di Cristo a indurlo aleggersi le Sacre Scritture.

L’impatto del giovane retore con la semplici-tà del racconto biblico fu però molto duro. So-lo qualche anno più tardi egli capì che le di-sposizioni per leggere la Bibbia non sono quel-le linguistiche.

«Mi proposi – scrive Agostino – di rivolgere lamia attenzione alle Sacre Scritture per vederecome fossero. Ed ecco cosa vedo: un oggettooscuro ai superbi e non meno velato ai fan-

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perversa, egli sollevava il velo mistico e scopri-va un senso spirituale, senza dir nulla che mipotesse urtare».

Agostino non si innamora ancora dei conte-nuti della Bibbia, ma inizia ad amarne la let-tura: legge la letteratura giovannea (vi ritrova-va dentro le categorie del platonismo); le lette-re paoline (C 7, 21, 27; A. 2, 2, 5); fa fatica a leg-gere Isaia (C 9, 5, 13); utilizza i Salmi per lapreghiera e momenti meditativi (C 9, 5, 13; O 1,8, 22).

Quando divenne presbitero chiese al vesco-vo Valerio tempo libero per studiare di più leSacre Scritture, una improrogabile necessitàper diventare presbitero, tanto che Dio – eglinota – chiederà severo conto a un presbiteroprivo di scienza sacra (E 21, 3 e 5). Si procuròcodici criticamente più assodati, dando le suepreferenze all’Itala rispetto alla versione latinaafricana; iniziò a cimentarsi con vari commen-ti nell’interpretarla. Sono di questo periodo(394-395) il primo tentativo di commentare laGenesi (De genesi ad litteram imperfectus liber)ma dovette arrendersi, la Lettera ai Romani(Epistolae ad Romanos inchoata expositio) difronte alla quale rimase atterrito sia per lagrandezza dell’opera che per la mole di lavororichiesta; la Lettera ai Galati (Expositio episto-lae ad Galatas, liber unus; R 1, 24); il Sermo-ne Montano (R 1, 19, 1).

L’opera esegetica di Agostino presbiterovenne segnata dalla sua polemica con i mani-chei nell’interpretare le Scritture, sia allegori-camente che letteralmente (R 1, 18). Sul come

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della Bibbia portava naturalmente i manicheia riconoscere come autorità solo le Scritturedel Nuovo Testamento.

Ci volle del tempo perché Agostino potesseliberarsi di tale mentalità, che discriminava inmodo netto la Bibbia dei giudei e la Bibbia deicristiani.

Ottenuto a Milano, nell’autunno del 384,l’insegnamento della retorica il giovane retoreafricano entrò nei circoli intellettuali milanesi:andava ad ascoltare le omelie del vescovo Am-brogio; iniziava a leggere i neoplatonici tradot-ti in latino dal retore romano Mario Vittorino;visitava qualche volta un presbitero di Romamolto stimato a Milano, Simpliciano. Agostinocominciò ad ascoltare un discorso nuovo infatto di lettura delle Sacre Scritture. Questecioè non andavano lette alla lettera, ma allaluce di un senso spirituale capace di dare vitaa chi riesce a coglierlo.

Di quella sua scoperta egli ha lasciato scrit-to nelle Confessioni (6, 4, 6): «Io mi rallegravoanche a proposito degli antichi scritti dellaLegge e dei Profeti: non mi si domandava piùdi leggerli con l’occhio che prima vi trovavaun’aria assurda, quando io incriminavo i tuoiSanti come se essi la pensassero così – in real-tà essi non la pensavano così –; e come se rac-comandasse una regola con la più grande cu-ra, spesso nei suoi discorsi al popolo Ambro-gio diceva una cosa che io ascoltavo con gioia:“La lettera uccide, ma lo spirito vivifica” (2 Cor3, 6); e allo stesso tempo, nei testi che sem-bravano contenere alla lettera una dottrina

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La condizione sub gratia è accessibile a tuttigrazie al libero arbitrio e alla grazia di Dio.

Il commento della lettera ai Galati affrontapoi direttamente il passaggio dell’uomo dallacondizione carnale a quella spirituale, sullabase di un’assoluta eguaglianza tra gli uominie la possibilità comune di un loro progressospirituale. Agostino, ritornato in Africa dopo lasua conversione, ritornò a una lettura cattoli-ca della Bibbia e su tale terreno scrisse control’influenza manichea in Africa, ridando all’a-postolo Paolo la legittimità della predicazionedella verità di Cristo che ora è della Chiesa, eche i manichei attribuivano a Mani, essendoanche l’autobiografia di Mani costruita suquella dell’apostolo Paolo come si ha nella Let-tera ai Galati.

La fedeltà del presbitero alla missione dellaChiesa, alle Sacre Scritture quale libro dellaChiesa si traducevano poi per Agostino nellafedeltà quotidiana al popolo di Dio, soprattut-to nei momenti di difficoltà.

Sulla fedeltà richiesta al presbitero per lapropria gente, abbiamo la testimonianza del-l’espressa volontà di Agostino raccolta da Pos-sidio mentre Ippona stava bruciando invasadai Vandali.

Egli, richiesto se i presbiteri dovevano fuggi-re, rispose: «Quando tutti, vescovi e ecclesia-stici e laici, conoscono egualmente il pericolo,chi ha bisogno degli altri non sia abbandona-to da coloro di cui ha bisogno. Tutti trasmigri-no in località sicure, o se alcuno è costretto arimanere non venga lasciato solo da chi ha il

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leggere le Scritture scriverà poi da vescovo lasua grande opera De doctrina christiana (R 2,4, 1), indicando come filigrana presente inogni passo della Bibbia i due comandamentidel Signore: l’amore di Dio e del prossimo.

Da presbitero il suo interesse per le SacreScritture, oltre a una migliore conoscenza e atemi particolari legati alla polemica manichea,fu nell’avvertirle come il libro del popolo diDio, superando ogni spirito di appropriazioneda parte di qualche gruppo. A Milano, a Romacome a Cartagine esistevano circoli di intellet-tuali che si misuravano sulle Sacre Scritturequale libro sapienziale per eccellenza. Il ri-schio che esse, al tempo del presbiterato diAgostino, potessero globalmente o in parte di-venire quasi espressione di qualche movimen-to ecclesiale e non di tutta l’Ecclesia era reale.I manichei infatti e i donatisti tiravano dallaloro parte sopratutto le lettere dell’ApostoloPaolo. Agostino ridiede alle Scritture, in parti-colare all’apostolo Paolo, il loro carattere dicattolicità. Le prime applicazioni che egli nefece riguardarono la comprensione del cristia-nesimo, una religione per tutti, di chiara pole-mica antimanichea: unico infatti è il creatore,uno l’autore delle Sacre Scritture dell’Anticocome del Nuovo Testamento, eguale la possi-bilità di poter essere cristiani contro la divi-sione manichea di eletti e uditori, unica perciòè la redenzione accessibile a tutti.

Gli uomini perciò si distinguono non nel mo-do manicheo tra eletti e uditori, ma sub gratiao sub lege, cioè tra uomini spirituali e carnali.

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pregare Dio, il quale ha il potere di allontana-re ogni motivo di timore: tutti sono preparatiall’una e all’altra sorte: se non può questo ca-lice passar via da loro, sia fatta la volontà diColui che non può voler nulla di male» (Possi-dio, VA 30, 11-31).

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dovere di soccorrerlo nei suoi bisogni di mem-bro della Chiesa. Così sopravvivano insieme, oinsieme sopportino quanto il Padre di famigliavorrà loro imporre... Se alcuni abbandonaronole loro comunità, ecco, questo noi diciamo chenon si deve fare... la fuga ci è imposta, a noiministri di Cristo, dalle località dove stiamosotto l’incalzare della persecuzione quandonon c’è più il popolo di Cristo a cui prestare ilnostro ministero, oppure il ministero necessa-rio può essere fornito da altri che non hannoragione di fuggire... Dobbiamo temere la cor-ruzione della sensibilità interiore e la perditadella purezza della fede, più che lo stupro vio-lento della carne delle donne... Dobbiamo te-mere l’estinzione delle pietre vive, da noi ab-bandonate, più che l’incendio davanti a noidelle pietre e del legname degli edifici terreni;dobbiamo temere l’estinzione delle membradel corpo di Cristo private del nutrimento spi-rituale, più che la tortura delle membra delnostro corpo investite dalla violenza nemica...Quando mancano le vie di scampo quale con-corso allora in chiesa di gente d’ogni sesso edetà: chi invoca il battesimo, chi la riconcilia-zione, chi l’esecuzione stessa della penitenza,tutti poi il conforto, la preparazione e la distri-buzione dei sacramenti. Se venissero a man-care i ministri, quale rovina!... Presenti invecei ministri, ognuno con le forze che Dio gli for-nisce, tutti ricevono soccorso: gli uni hanno ilbattesimo, gli altri la riconciliazione, nessunoè privato della comunione del corpo del Signo-re, tutti sono consolati, edificati, esortati a

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resse per il simbolico, per le diverse espressio-ni artistiche (musica, canto, pittura, scultura,teatro, pietà popolare…); senza dimenticareun’accentuata conflittualità tra Sovrintenden-ze preoccupate di mantenere lo status quo e leComunità ecclesiali che domandano un ade-guamento dello spazio celebrativo alle attualiforme della liturgia. Un cantiere aperto, dun-que, e molto in progress.

È in questo orizzonte che si colloca anchela presente pubblicazione. La sua indole “mi-stagogica” – mi si permetta il termine – viene aoffrire un contributo prezioso come testimo-nianza e come esemplarità: testimonianza dellaChiesa parrocchiale “San Roberto Bellarmino”in Taranto, segno e luogo di incontro di una co-munità che vive con impegno il proprio cammi-no di fede e di vita; esemplarità di un progettoiconografico unitario, dove tutte le forme ten-dono a esprimere e a modellare una sintesi chetrova la sua sorgente e il suo costante terminedi riferimento nella celebrazione liturgica.

Quanto segue intende collocare ciò che èracchiuso nel volume in un orizzonte più am-pio, in cui culto e cultura richiamano gli assiportanti di un discorso di bellezza che ha co-me origine e come traguardo Dio Trinità, infi-nita Bellezza!

1. Leggere l’oggi nella storia

Nel 1999 Giovanni Paolo II ha inviato una Let-tera agli artisti, anzi «a quanti con appassio-

CELEBRARE CON DECORO IN SPIRITO E VERITÀ / 101

11. BELLEZZA E ARMONIAPER CELEBRARE CON DECORO

IN SPIRITO E VERITÀ

di Manlio Sodi, sdb1

Chi è attento agli innumerevoli interventi cheappaiono in quotidiani, in periodici, in volumie soprattutto in riviste specializzate a proposi-to dell’arte, della suppellettile e dell’architettu-ra per il culto, potrà notare che viviamo in unastagione – posta sul crinale di due millenni –particolarmente ricca di idee, di progetti, di re-cupero di prospettive, di adozione di linguaggiall’insegna della novità, di impegno nel presen-tare le tante forme di bellezza di cui sono par-ticolarmente ricchi i nostri patrimoni cultuali.

Se questa, da una parte, può risultareuna constatazione, dall’altra è indice di un’at-tenzione e di una sensibilità prima impensabi-li – almeno a questo livello di diffusione delleidee –; un’attenzione fatta di confronti (e scon-tri) di mentalità, ma anche di tendenze, di pro-spettive, di sfide, di una sensibilità sempre increscita, e con una duplice costante attenzio-ne: per la struttura architettonica, ma in vistadi un’assemblea viva, cioè celebrante!

In tale prospettiva è doveroso aggiungerela constatazione di una forte ripresa di inte-

1 Ordinario di Liturgia e Sacramentaria dell’Università Pontificia Sale-siana di Roma. Direttore di Rivista Liturgica, Messaggero Padova. Membrodella Pontificia Accademia di Teologia, Città del Vaticano.

ta e del pensiero, anche in quello dell’arte, undiscernimento che non consentiva la ricezioneautomatica di questo patrimonio. L’arte di ispi-razione cristiana cominciò così in sordina,strettamente legata al bisogno dei credenti dielaborare dei segni con cui esprimere, sulla ba-se della Scrittura, i misteri della fede e insiemeun “codice simbolico”, attraverso cui ricono-scersi e identificarsi specie nei tempi difficilidelle persecuzioni […]. Quando ai cristiani, conl’editto di Costantino, fu concesso di esprimer-si in piena libertà, l’arte divenne un canale pri-vilegiato di manifestazione della fede. Lo spaziocominciò a fiorire di maestose basiliche, in cuii canoni architettonici dell’antico paganesimovenivano ripresi e insieme piegati alle esigenzedel nuovo culto […]. Mentre l’architettura dise-gnava lo spazio sacro, progressivamente il biso-gno di contemplare il mistero e di proporlo inmodo immediato ai semplici spinse alle inizialiespressioni dell’arte pittorica e scultorea […]. Il“bello” si coniugava così col “vero”, perché an-che attraverso le vie dell’arte gli animi fosserorapiti dal sensibile all’eterno. In questo cammi-no non mancarono momenti difficili. Propriosul tema della rappresentazione del mistero cri-stiano l’antichità conobbe un’aspra controver-sia passata alla storia col nome di “lotta icono-clasta”. Le immagini sacre, ormai diffuse nelladevozione del popolo di Dio, furono fatte ogget-to di una violenta contestazione. Il Concilio ce-lebrato a Nicea nel 787, che stabilì la liceitàdelle immagini e del loro culto, fu un avveni-

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nata dedizione cercano nuove “epifanie” dellabellezza per farne dono al mondo nella crea-zione artistica»; la Lettera porta la data del 4aprile, Pasqua di Risurrezione. È un testo bre-ve – 16 paragrafi – che forse per l’imminenzadel Grande Giubileo è passato un po’ in sordi-na; un testo che, comunque, merita un’atten-zione specifica.

Nel rileggere la realtà dell’arte e in parti-colare dell’architettura nella storia troviamouna sintesi che può essere riproposta ancheper avere un parametro di lettura della pre-sente opera. Si tratta dei paragrafi 6-11 chequi riporto nelle loro espressioni principalitralasciando le pur preziose esemplificazioniche le accompagnano:

«[6]. Ogni forma autentica d’arte è, a suo mo-do, una via d’accesso alla realtà più profondadell’uomo e del mondo. Come tale, essa costi-tuisce un approccio molto valido all’orizzontedella fede, in cui la vicenda umana trova la suainterpretazione compiuta. Ecco perché la pie-nezza evangelica della verità non poteva nonsuscitare fin dall’inizio l’interesse degli artisti,sensibili per loro natura a tutte le manifesta-zioni dell’intima bellezza della realtà.

«[7 – I primordi]. L’arte, che il cristianesimoincontrò ai suoi inizi, era il frutto maturo delmondo classico, ne esprimeva i canoni esteticie al tempo stesso ne veicolava i valori. La fedeimponeva ai cristiani, come nel campo della vi-

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vatore di oggi colmo di ammirazione. Restanoin primo piano le grandi costruzioni del culto,in cui la funzionalità si sposa sempre all’estro,e quest’ultimo si lascia ispirare dal senso delbello e dall’intuizione del mistero. Ne nasconogli stili ben noti alla storia dell’arte. La forza ela semplicità del romanico, espressa nelle cat-tedrali o nei complessi abbaziali, si va gradata-mente sviluppando negli slanci e negli splendo-ri del gotico. Dentro queste forme, non c’è soloil genio di un artista, ma l’animo di un popolo.Nei giochi delle luci e delle ombre, nelle formeora massicce ora slanciate, intervengono certoconsiderazioni di tecnica strutturale, ma anchetensioni proprie dell’esperienza di Dio, mistero“tremendo” e “fascinoso”. Come sintetizzare inpochi cenni, e per le diverse espressioni dell’ar-te, la potenza creativa dei lunghi secoli del me-dioevo cristiano? Un’intera cultura, pur nei li-miti sempre presenti dell’umano, si era impre-gnata di Vangelo, e dove il pensiero teologicorealizzava la Summa di San Tommaso, l’artedelle chiese piegava la materia all’adorazionedel mistero […].

«[9 – Umanesimo e Rinascimento]. La felicetemperie culturale, da cui germoglia la straor-dinaria fioritura artistica dell’Umanesimo e delRinascimento, ha riflessi significativi anche sulmodo in cui gli artisti di questo periodo si rap-portano al tema religioso. Naturalmente le ispi-razioni sono variegate quanto lo sono i loro sti-li, o almeno quelli dei più grandi tra essi […].

CELEBRARE CON DECORO IN SPIRITO E VERITÀ / 105

mento storico non solo per la fede, ma per lastessa cultura. L’argomento decisivo a cui i Ve-scovi si appellarono per dirimere la controver-sia fu il mistero dell’Incarnazione: se il Figlio diDio è entrato nel mondo delle realtà visibili,gettando un ponte mediante la sua umanità trail visibile e l’invisibile, analogamente si puòpensare che una rappresentazione del misteropossa essere usata, nella logica del segno, co-me evocazione sensibile del mistero. L’iconanon è venerata per sé stessa, ma rinvia al sog-getto che rappresenta.

«[8 – Il Medioevo]. I secoli che seguirono fu-rono testimoni di un grande sviluppo dell’artecristiana. In Oriente continuò a fiorire l’artedelle icone, legata a significativi canoni teologi-ci ed estetici e sorretta dalla convinzione che, inun certo senso, l’icona è un sacramento: analo-gamente, infatti, a quanto avviene nei Sacra-menti, essa rende presente il mistero dell’In-carnazione nell’uno o nell’altro suo aspetto.Proprio per questo la bellezza dell’icona può es-sere soprattutto gustata all’interno di un tem-pio con lampade che ardono e suscitano nellapenombra infiniti riflessi di luce […]. In Occi-dente i punti di vista da cui partono gli artistisono i più vari, in dipendenza anche dalle con-vinzioni di fondo presenti nell’ambiente cultu-rale del loro tempo. Il patrimonio artistico ches’è venuto accumulando nel corso dei secoli an-novera una vastissima fioritura di opere sacrealtamente ispirate, che lasciano anche l’osser-

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verso l’esperienza religiosa. In quanto ricercadel bello, frutto di un’immaginazione che va aldi là del quotidiano, essa è, per sua natura,una sorta di appello al Mistero. Persino quandoscruta le profondità più oscure dell’anima o gliaspetti più sconvolgenti del male, l’artista si fain qualche modo voce dell’universale attesa diredenzione. Si comprende, dunque, perché aldialogo con l’arte la Chiesa tenga in modo spe-ciale e desideri che nella nostra età si realizziuna nuova alleanza con gli artisti […]. Da talecollaborazione la Chiesa si augura una rinno-vata epifania di bellezza per il nostro tempo eadeguate risposte alle esigenze proprie della co-munità cristiana.

«[11 – Nello spirito del Conc. Vaticano II].Il Concilio Vaticano II ha gettato le basi di unrinnovato rapporto fra la Chiesa e la cultura,con immediati riflessi anche per il mondo del-l’arte. È un rapporto che si propone nel segnodell’amicizia, dell’apertura e del dialogo. NellaCostituzione pastorale Gaudium et spes i Pa-dri conciliari hanno sottolineato la “grandeimportanza” della letteratura e delle arti nellavita dell’uomo: “Esse si sforzano, infatti, di co-noscere l’indole propria dell’uomo, i suoi pro-blemi e la sua esperienza, nello sforzo di co-noscere e perfezionare se stesso e il mondo; sipreoccupano di scoprire la sua situazione nel-la storia e nell’universo, di illustrare le suemiserie e le sue gioie, i suoi bisogni e le suecapacità, e di prospettare una migliore condi-

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Ciò che sempre di più caratterizza [l’arte sacra],sotto l’impulso dell’Umanesimo e del Rinasci-mento, e poi delle successive tendenze dellacultura e della scienza, è un interesse crescen-te per l’uomo, il mondo, la realtà della storia.Questa attenzione, di per sé, non è affatto unpericolo per la fede cristiana, centrata sul mi-stero dell’Incarnazione, e dunque sulla valoriz-zazione dell’uomo da parte di Dio. Del resto,anche nel nuovo clima degli ultimi secoli, in cuiparte della società sembra divenuta indifferen-te alla fede, l’arte religiosa non ha interrotto ilsuo cammino.

«[10 – Verso un rinnovato dialogo]. È veroperò che nell’età moderna, accanto a questoumanesimo cristiano che ha continuato a pro-durre significative espressioni di cultura e diarte, si è progressivamente affermata ancheuna forma di umanesimo caratterizzato dall’as-senza di Dio e spesso dall’opposizione a lui.Questo clima ha portato talvolta a un certo di-stacco tra il mondo dell’arte e quello della fede,almeno nel senso di un diminuito interesse dimolti artisti per i temi religiosi. […] La Chiesaha continuato a nutrire un grande apprezza-mento per il valore dell’arte come tale. Questa,infatti, anche al di là delle sue espressioni piùtipicamente religiose, quando è autentica, haun’intima affinità con il mondo della fede, sic-ché, persino nelle condizioni di maggior distac-co della cultura dalla Chiesa, proprio l’arte con-tinua a costituire una sorta di ponte gettato

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2. Nel contesto della Chiesa italiana

È nell’alveo di questa grande lezione della sto-ria che è chiamata a inserirsi armonicamentela pagina che la Chiesa oggi deve continuare ascrivere dovunque essa si trovi pellegrina, inun rinnovato incontro tra fede e cultura, e conuna responsabilità grande – di tipo esemplaree pertanto educativo – di fronte alle generazio-ni future.

Sicuramente sarà da leggere in questa otti-ca l’eloquente esempio che la Conferenza Epi-scopale Italiana, attraverso l’Ufficio nazionaleper i Beni culturali, sta offrendo in questi an-ni di trapasso culturale. Una sintesi emble-matica appare sia dal confronto con i docu-menti emanati, sia dall’impegno profuso nellaprogettazione e costruzione di nuove chiesecome pure nell’adattamento delle precedenti,sia nel far conoscere, attraverso un’adeguatasensibilizzazione e informazione, quanto è sta-to fatto creando un costante e dialettico dialo-go tra il mondo degli architetti e la mens teo-logica che deve ispirare i progetti strutturali.

Un ulteriore significativo esempio è statoanche quello della Conferenza Episcopale To-scana che il 23 febbraio 1997 ha pubblicatouna Nota, dal titolo: La Vita si è fatta visibile,per evidenziare il come «usare il nostro “affa-scinante patrimonio” per comunicare le cosein cui crediamo». Impossibilitati a soffermarcisui preziosi contenuti dei 18 paragrafi (distri-buiti in tre parti: L’arte e la missione dellaChiesa; L’arte sacra e l’esperienza ecclesiale;

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zione dell’uomo” (n. 62). Su questa base, aconclusione del Concilio, i Padri hanno rivoltoagli artisti un saluto e un appello: “Questomondo – hanno detto – nel quale noi viviamoha bisogno di bellezza, per non cadere nelladisperazione. La bellezza, come la verità, met-te la gioia nel cuore degli uomini ed è un frut-to prezioso che resiste al logorio del tempo,che unisce le generazioni e le fa comunicarenell’ammirazione” (8 dicembre 1965). Appuntoin questo spirito di profonda stima per la bel-lezza, la Costituzione sulla sacra Liturgia Sa-crosanctum Concilium aveva ricordato la stori-ca amicizia della Chiesa per l’arte, e parlandopiù specificamente dell’arte sacra, “vertice”dell’arte religiosa, non aveva esitato a consi-derare “nobile ministero” quello degli artistiquando le loro opere sono capaci di riflettere,in qualche modo, l’infinita bellezza di Dio, eindirizzare a lui le menti degli uomini (n. 122).Anche grazie al loro contributo “la conoscenzadi Dio viene meglio manifestata e la predica-zione evangelica si rende più trasparente al-l’intelligenza degli uomini” (GS 62). Alla luce diciò, non sorprende l’affermazione del P. MarieDominique Chenu, secondo cui lo stesso sto-rico della teologia farebbe opera incompleta,se non riservasse la dovuta attenzione allerealizzazioni artistiche, sia letterarie che pla-stiche, che costituiscono, a loro modo, “nonsoltanto delle illustrazioni estetiche, ma deiveri ‘luoghi’ teologici” (La teologia del XII secolo,Milano 1992)».

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– Affezione alla Chiesa per una Chiesa chevive anche di affetto. La Chiesa in quantoassemblea deve essere sempre al centro diogni attenzione. Soluzioni architettoniche,prospettive di spazi, ricerca meticolosa deidettagli, dicono la cura di una domus destina-ta ad accogliere una ekklesía che nella dina-mica della celebrazione è chiamata – attraver-so l’estasi della bellezza – a ritrovare se stessain profondità. Quando la struttura ecclesialegenera affetto, allora ogni espressione del plu-riforme linguaggio ecclesiale viene a dare uncontributo unico a quella sinfonia di linguag-gi che in quello dell’arte e della musica trova-no una sintesi unica.

– Mistagogia della basiliké come simbolodi un “sacerdozio”. Non è indifferente en-trare in una chiesa o nell’altra; ciascuna hauna connotazione propria determinata dauna sintesi (quando è possibile) tra i più di-versi linguaggi strutturali e materiali attivatidall’architetto o sollecitati dalla committenza.La pluralità di committenze – non sempre teo-logicamente preparate – insieme alla più omeno accentuata sensibilità teologico-liturgi-ca dell’architetto hanno offerto in tempi re-centi risultati molto diversificati: da strutturecultuali che sarebbe meglio distruggere perrifare ex novo a edifici che teologizzano senzaeccessivi sforzi interpretativi. Nelle pagine cheseguono il lettore è invitato a fare un percor-so all’interno dello spazio sacro. La percezio-ne che emana è quella del fedele che sente di

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L’arte toscana e la catechesi), resta l’istanza difondo che può essere rilanciata in molte altreChiese locali, e che la Nota sintetizza ancoranella “Premessa”:

«Sotto il “naturalismo” perfezionato dai nostripittori e scultori, la divinità di Cristo diventa vi-sibile, in un fecondo dialogo con il passato.Ascoltare la testimonianza, godere della visio-ne, contemplare Dio rivelato nella materia, puòaiutare a preparare la Pasqua del Signore».

3. Tra attese e risposte

Di fronte a una panoramica di questo genere,possiamo individuare alcuni aspetti che pos-sono segnare il cammino nell’immediato futu-ro? Ciò che sta dinanzi all’educatore – tra letante sfide che sempre si pongono – è l’impe-gno nel tracciare e percorrere un progetto for-mativo in cui il dato di fede espresso anchenei segni dell’arte richiede attenzione perun’oculata valorizzazione. Ed è in questa li-nea che si può tracciare come una griglia diconfronto che se da una parte permette di co-gliere il senso di una linea profondamente insimbiosi con le prospettive della riforma e delrinnovamento liturgico, dall’altra rilanciaquella categoria della bellezza che, nell’ambi-to del culto, costituisce un elemento essen-ziale perché attraverso i segni e i simboli diuna celebrazione l’assemblea possa speri-mentare la Bellezza assoluta.

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riva una calda percezione di sentirsi Chiesache celebra, Chiesa che canta, Chiesa che pre-ga, Chiesa in silenzio, Chiesa in comunione“con...”. È questa esperienza che aiuta il fede-le a essere sempre più Chiesa sia nei momen-ti celebrativi che nei lunghi spazi di silenziocontemplativo e orante: in ogni momento illuogo sacro diventa “spazio teologico” per unaesperienza di Dio, perché ogni fedele sia unteologo!

– Una bellezza che educhi alla Bellezza. Idue millenni di vita cristiana hanno generatopagine di cultura della bellezza ed esemplifi-cazioni così eloquenti che da sole dicono ilrapporto costante tra fede cristiana ed educa-zione a una espressione del bello in tutte lesue forme. Il culto e i relativi spazi vengono aessere un momento davvero unico di questarealtà. Ogni cultura ha sempre cercato diesprimere secondo le proprie categorie di bel-lezza quell’anelito alla Bellezza infinita cui ri-conduce ogni espressione della fede cristiana.È in questa ottica che ogni architetto è provo-cato a scelte che delineino un linguaggio chesi collochi a metà strada tra il linguaggio del-la vita di ogni giorno e quello ineffabile propriodel mistero che solo nei simboli lascia traspa-rire qualche – sia pur luminosa – penombra.Nello specifico, bisogna entrare fisicamentenegli spazi per cogliere come ogni elementocontribuisca in modo unico alla sinfonia del-l’insieme. Qui la parola non basta più; essacede il posto all’esperienza diretta. E l’espe-

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esprimere in pienezza quella realtà sacerdota-le che è la sua vita di battezzato, confermato,eucaristizzato, ecc. I singoli spazi rituali cu-rati nei minimi particolari, non fanno che ri-annodare, attraverso i fili dell’arte e della bel-lezza, la vita del credente al progetto del suoSignore mentre si attua la celebrazione me-moriale della Pasqua annuale, settimanale equotidiana.

– Il luogo come spazio teologico di una ec-clesiologia. Quando si osserva il percorsoche l’edificio sacro ha realizzato nella storia,all’occhio del teologo liturgista balza subitoevidente che le essenziali linee dei grandi stilinon fanno altro che rispecchiare la prospetti-va teologica, e soprattutto ecclesiologica, tipi-ca del periodo storico. E quando poi si fa unconfronto tra la domus ecclesiae e molte rea-lizzazioni dell’oggi si percepisce in modo diret-to come le soluzioni architettoniche messe inopera attorno e dopo il Concilio Vaticano II in-tendono essere la iconizzazione di una visionedi Chiesa qual è quella presentata soprattuttonella Sacrosanctum Concilium e nella LumenGentium (ma senza trascurare la Dei Verbum ela Gaudium et Spes). Deve emergere una im-magine di Chiesa proprio dalla disposizionedell’assemblea sia in se stessa sia in rapportocon tutti gli altri spazi. In una parola (ma conil rischio della eccessiva semplificazione) l’as-semblea è come avvolta dalle linee, dalle for-me, dal movimento degli spazi, dalla cromatu-ra dei colori, dalla scelta dei materiali. Ne de-

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compie una gestualità rituale in un tempiosenza, di per sé, avere un tempio perché iltempio è Cristo. Il tempio c’è per fare memoriadi un gesto liturgico; ed è per questo che essonon può essere fonte di un eccessivo rumoresemantico determinato dall’intreccio di troppielementi che non permettono di “comunicare”in modo unitario. Quando invece tutto l’insie-me parla con un linguaggio unitario, allora lapluralità dice armonia, dice multiformità nel-l’unità, e in quanto tale rinvia ancora una vol-ta al mistero di un Dio Trino e Unico!

4. Dall’Enciclica Ecclesia de Eucharistiaalla disposizione decorosa degli spaziper la celebrazione

Il n. 47 dell’Enciclica di Giovanni Paolo II in-troduce la riflessione sul decoro della celebra-zione rifacendosi a quanto avvenuto negli ulti-mi giorni immediatamente precedenti la pas-sione e morte del Cristo Signore. I riferimentiall’unzione di Betania e all’impegno di prepa-rare accuratamente una grande sala necessa-ria per consumare la cena pasquale dannol’avvio alla comprensione – ma prima ancoraal fondamento – di quel criterio che è stato esta alla base dello stile della Chiesa la quale«si è sentita spinta lungo i secoli e nell’avvi-cendarsi delle culture a celebrare l’Eucaristiain un contesto degno di così grande Mistero»(n. 48). E lo ha fatto lasciandosi guidare dauna logica che l’Enciclica precisa subito dopo:

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rienza lascia in uno stupore attonito in cui laparola tende ad affievolirsi fino a trasfigurarsiin contemplazione.

– Brutto o bello? Falso o vero? Il duplice in-terrogativo dice immediatamente che la bellez-za della liturgia non lascia spazio al cattivogusto, a scelte non coordinate, a materiali giu-stapposti, a spazi non coordinati da un’espe-rienza diretta di celebrazione, a elementi chedistolgono dalla sintesi, a dettagli non pensa-ti nella logica o alla luce di un insieme pursempre simbolico. Se relativo può essere ilconcetto di brutto o bello nell’immaginario col-lettivo, ben più evidente emerge il contrastofra falso e vero. Nella liturgia e nei suoi spazicelebrativi fa testo il criterio della veritas e del-la sua finalizzazione all’esperienza (= incontro)personale e comunitaria di Colui che ha detto:“Io sono la Verità”. Chi percorre le immaginiraccolte nel volume si renderà conto che la ve-ritas delle forme, degli spazi, dei colori, deimateriali... è la categoria che accompagna econtraddistingue ogni scelta. E tutto questoperché? La risposta è da ritrovare sempre inquell’intento che cerca di coniugare bellezza everità in vista di un’esperienza sempre più ve-ra del Dio della Vita.

In conclusione, il punto di partenza e di arri-vo è costituito dall’assemblea che celebra laPasqua del suo Signore con una pluralità dilinguaggi che “dicono” il coinvolgimento di tut-ta la persona. Si tratta di un’assemblea che

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“strumenti” che ordinariamente sono a servi-zio della celebrazione. L’educatore sa, infatti,che la trattazione più completa ed esaurienteè quella che troviamo nelle Premesse ai libri li-turgici, e in modo particolare nella Premessaal Messale, al Lezionario, al rito del Culto eu-caristico, e alla Liturgia delle Ore.

5. Contemplare il misteronel linguaggio della cultura

L’espressione risuona come invito a prolunga-re nei segni dell’arte la presenza di un Dio chesi è fatto (e continua a farsi) storia attraversoinfiniti “segni”.

Nella città di Urbino, in una targa appostasulla casa dove è nato Raffaello, si legge: «Lu-dit in humanis divina potentia rebus, et saepein parvis claudere magna solet». Ci sembra dirileggere nel distico l’afflato di uno sguardoche cerca di fare sintesi tra mondo creato eDio attraverso la bellezza dell’arte; di un Dioche continua a farsi storia anche con i lin-guaggi dell’arte.

È il mistero dell’Incarnazione che ha biso-gno di essere annunciato anche attraverso illinguaggio dell’arte. Lo spazio in cui si attual’azione liturgica deve continuare a educarealla bellezza infinita di Dio, dal momento chequesta non è che un’altra forma della verità.Se è vero, secondo l’affermazione di M. Gor’kij,che «la scienza è l’intelligenza del mondo, l’ar-te è il suo cuore»; anche perché «l’unico ambi-

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«Se la logica del “convito” ispira familiarità, laChiesa non ha mai ceduto alla tentazione dibanalizzare questa “dimestichezza” col suoSposo dimenticando che Egli è anche il suo Si-gnore e che il “convito” resta pur sempre unconvito sacrificale, segnato dal sangue versatosul Golgota» (ib.).

I richiami di principio sono poi sottolineatidall’Enciclica con il rinvio a una «serie diespressioni esterne – sempre lette come lin-guaggio di «un interiore atteggiamento di de-vozione» –, volte a evocare e sottolineare lagrandezza dell’evento celebrato» (n. 49). È inquesta linea che si fa esplicito riferimento:

a) all’arte e al suo ricco patrimonio che,scaturito dall’Eucaristia, «ha inciso forte-mente sulla “cultura”, specialmente in ambi-to estetico» (n. 49);

b) alla costruzione e all’arredo degli edificisacri, come pure alle arti figurative e alla mu-sica, viste come “spazio” per «esprimere ade-guatamente il Mistero colto nella pienezza difede della Chiesa» (n. 50);

c) alle sfide sempre presenti nel tessuto ec-clesiale, legate al compito dell’adattamento edell’inculturazione;

d) alla responsabilità e alle competenze dichi è chiamato a presiedere la celebrazioneeucaristica in persona Christi.

Questi quattro ambiti toccati dall’Enciclicanon esauriscono tutte le attenzioni in cui il“decoro” è chiamato in causa come parte dellinguaggio celebrativo; sono tuttavia tali da ri-chiamare l’attenzione sui contenuti di quegli

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tur de mysterio e de Eucharistia vivit. E laChiesa parrocchiale di “San Roberto Bellarmi-no”, con tutto il patrimonio dei suoi poli e spa-zi celebrativi e assembleari – elementi espres-sivi e propositivi di un itinerario di fede – sipresenta come un esempio e un richiamo perun’esperienza di bellezza che continua con isuoi linguaggi a “elevare” la cultura del bello ea “salvare” il mondo!

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to in cui il divino si rende visibile è l’arte, qua-lunque nome le venga dato» (A. Malraux).

Celebrare con decoro attraverso scelte arti-stiche adeguate è dunque collocarsi in un at-teggiamento ecclesiale che permetta di parte-cipare al Mistero, favorendo così una veraesperienza mistica.

A questo traguardo è possibile giungerequalora si faciliti la conoscenza e la valorizza-zione di tutti quei linguaggi – sono i più varie-gati e completi che l’esperienza cristiana pos-sa offrire – che sono “propri” della celebrazio-ne, e che sono volti a «evocare e sottolineare lagrandezza dell’evento celebrato» (EE, 49). Traquesti il linguaggio dell’arte e dell’armonia de-gli spazi ha una importanza unica.

Educare alla logica e ai contenuti di tali lin-guaggi è la sfida che interpella la formazione adiversi livelli di competenza: dalla formazioneliturgica dei futuri presbiteri a quella dei varianimatori della comunità, dalla formazione li-turgica degli architetti alla educazione dei fe-deli fino alla percezione dei linguaggi artisticicome frutto di un cammino teologico.

Il risultato non sarà tanto da intravedere inuna celebrazione ancora “più decorosa”, ma inun’azione liturgica che mentre sintetizza con ilsuo linguaggio simbolico la vita del fedeleorientata alla Pasqua di Gesù Cristo, dà aditoa un linguaggio teologico che ritrova la sintesitra lex credendi e lex vivendi attraverso e nelcontesto della lex orandi.

È in questa logica che l’Ecclesia continueràa svilupparsi nel tempo perché paschali nasci-

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Nel IV secolo è anche diffuso il nome di “chie-sa” per indicare il luogo di culto; sicché il ter-mine era stato allargato e trasferito dalla comu-nità dei credenti al luogo dove si radunavano.

La denominazione sta anche a indicare che,con l’esperienza religiosa cristiana, il luogo delculto viene definito non tanto in relazione aDio quanto immediatamente in relazione agliuomini, alla comunità dei credenti, al popolocristiano. Certo, i luoghi sacri rimangono evengono anche chiamati domus dei, “casa diDio”, ma prevale il significato della “casa delpopolo”, della chiesa come realtà di uominiche si incontrano.

Incontro del Cielo con la terra

In quanto spazio ordinato, anche le chiesehanno un punto di riferimento che ne costi-tuisce il centro: è l’altare, il luogo del sacrifi-cio, la tavola della “cena del Signore”, colloca-to abitualmente al centro, al punto di incrociodelle due assi di croce che formano la chiesa.Considerato il luogo più santo della chiesa,l’altare è simbolo di Cristo, il “Santo di Dio”.

In corrispondenza dell’altare centrale, siapre in alto la cupola, elemento architettonicopresente negli edifici sacri di altre religioni esimbolo evidente della volta del cielo.

Alcune finestre o, come per il Pantheon diRoma, un grande occhio centrale, aprono,guardano al cielo e permettono al cielo di“guardare” con la sua luce.

LA CHIESA; CASA DI DIO E DELLA COMUNITÀ / 121

12. LA CHIESA, CASA DI DIO E DELLA COMUNITÀ

di Lino Prenna1

I più antichi luoghi di culto per i cristiani era-no le case private. Alcune di queste, più am-pie, furono adattate per le esigenze religiose edivennero domus ecclesiae, cioè “case dellachiesa”, della comunità. Ecclesia (chiesa) vuoldire, infatti, “adunanza, assemblea, comuni-tà”. Domus ecclesiae erano, quindi, le caseche ospitavano la “chiesa”, la comunità deicredenti, il popolo cristiano. Solo nel IV seco-lo, con l’editto di Costantino (313) che ricono-sceva al cristianesimo libertà religiosa, dopo ilperiodo delle persecuzioni, sorsero luoghipubblici di culto.

A Roma, l’imperatore Costantino fece co-struire le prime basiliche. Nella loro architet-tura, questi edifici ricordavano la basilica ro-mana che era un’aula di uso pubblico e priva-to, un edificio grandioso destinato all’ammini-strazione della giustizia e al commercio. Poi-ché il termine “basilica” deriva dal greco basi-léus, che vuol dire “re, non fu difficile trasferi-re il significato a Cristo, “Re dell’universo” e al“Re dei re”. Così, già nel IV secolo, venivanodenominati “basiliche” i luoghi delle adunanzeliturgiche dei cristiani.

1 Ordinario di Filosofia dell’Educazione dell’Università degli Studi di Perugia.

si) verso Dio. Le due linee richiamano il rap-porto tra la terra e il cielo.

Celebrazione della Nuova Alleanza

«Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ilcielo e i cieli dei cieli non bastano a contener-ti, tanto meno dunque può bastare questotempio che ti ho edificato» (1Re 8, 27). È unbrano della preghiera che il re Salomone rivol-ge a Dio nel giorno della dedicazione del tem-pio di Gerusalemme che aveva appena termi-nato di costruire. Salomone esprime la con-vinzione che il tempio, pur costruito come abi-tazione di Dio, non basti a contenere il Signo-re dei cieli.

Dunque, pur con il suo ruolo centrale nellastoria religiosa del popolo ebraico, il tempio haun valore relativo. Del resto, pur essendo il se-gno visibile della presenza di Dio nel suo po-polo, rischiava di alimentare una concezioneformale e puramente esteriore delle pratichereligiose. Perciò, i profeti denunceranno piùvolte il formalismo rituale e richiameranno alsignificato interiore del culto. Dio non può abi-tare materialmente in un luogo. La sua abita-zione spirituale è nel cuore dell’uomo.

Questa tensione tra culto esteriore e cultointeriore, già presente nell’esperienza religiosaebraica, si risolve con il nuovo culto inaugu-rato dal sacerdozio di Cristo. Il suo sacrificio,unico e valido per sempre, supera e rende su-perfluo il vecchio culto.

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Ritorna nelle chiese cristiane il simbolo del-l’edificio come rappresentazione dell’universo,incontro del cielo con la terra e di Dio con l’uo-mo. A questa struttura duale, mi piace rinvia-re gli elementi che dividono e organizzano lospazio come architettura: innanzitutto, la di-stinzione dello spazio interno dall’esterno e,all’interno, la linea retta e la linea curva, le co-lonne e gli archi, la linea verticale e la lineaorizzontale, la profondità e l’altezza, le formepiene e le forme vuote…

Nella linea retta cogliamo il significato del-l’uniformità, della regolarità, dell’ordine, maanche della staticità, del limite e del finito.

La linea curva, invece, esprime tensione,movimento, dinamicità e ricorda il cerchio,considerato simbolo dell’infinito in quanto li-nea che non ha un inizio e un termine e nellaquale ogni punto può essere inizio e termine.Possiamo assumere, quindi, questa fonda-mentale dualità di linee come segno del rap-porto tra il finito e l’infinito.

Un’altra dualità è data dalla linea orizzonta-le e dalla linea verticale. La prima, parallela al-la terra, è la linea che scorre sul suolo e sullaquale l’uomo procede, cammina con la sicu-rezza dei piedi che “toccano” terra: indica laprofondità degli edifici, la loro lunghezza.

L’altra linea si sviluppa, corre e si perde ver-so l’alto. Per seguirla, l’uomo deve alzare losguardo e, se vuole percorrerla, deve salire, la-sciare la terra, allontanarsi.

La linea verticale indica l’altezza degli edifi-ci ed è simbolo del cammino spirituale (asce-

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NOTIZIA SULL’AUTORE

Antonio Rubino, nato a Taranto, sacerdo-te dal 1981. Parroco dal 1988 della Parrocchiadi S. Pio X in Taranto e dal 2000 di San Ro-berto Bellarmino in Taranto. Ha conseguito ildottorato in Teologia presso la Pontificia Uni-versità Lateranense; dal 1986 è iscritto all’Or-dine dei Giornalisti, elenco pubblicista. Do-cente di Introduzione alla Teologia presso l’I-stituto Superiore di Scienze Religiose “Roma-no Guardini” di Taranto.

Ha pubblicato: Le Confraternite Laicali aTaranto dal XVI al XIX secolo, Fasano 1995;San Roberto Bellarmino – Una lucerna postasopra il candelabro, Taranto 2004; L’Anno li-turgico – Itinerario con Cristo nella Chiesa, Fa-sano 2006; Sulla strada con Pinocchio, la fami-glia culla della vita e luogo educativo primario,Taranto 2008.

Il tempio per la celebrazione della nuova al-leanza è il corpo di Cristo risorto, che costitui-sce il “luogo” nuovo e definitivo dove l’uomoincontra Dio.

Così, il tempio antico perde il suo caratteresacro. Ne è segno la lacerazione del velo deltempio avvenuta alla morte di Gesù, come ciinforma l’evangelista Matteo (cfr Mt 27, 51).

Nel tempio di Gerusalemme un velo separa-va il luogo santo (Santuario) dal luogo santis-simo (Santo dei Santi). Qui poteva entrare so-lo il sommo sacerdote, una volta l’anno nelgiorno dell’espiazione (cfr Lv 16).

Squarciando il velo del tempio – come inter-preta l’Autore della Lettera agli Ebrei – Gesùha abbattuto la vecchia concezione del culto,di cui il velo è simbolo, ed è passato una voltaper sempre nel vero santuario non costruitoda uomini (cfr Eb 9). La distruzione stessa diGerusalemme, la città del tempio, indicheràche la sua funzione è ormai conclusa.

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INDICE

Presentazione, di Vittorino GROSSI, osa . . . . . . . . . 3

Introduzione, dell’Autore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5Quale gioia quando mi dissero andremo alla casa del Signo-re (Sal 122, 1).

Brevi linee artistiche sull’operadel prof. Orazio Del Monaco, di Biagio Fedele . . . . . 9

Elenco delle sigle e delle abbreviazioni . . . . . . . . . 11

1. La chiesa parrocchiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12Riflettere: Questa è proprio la casa di Dio e la porta del cie-lo (Gn 28, 17).Pregare: Prefazio per la dedicazione della Chiesa.

2. Il battistero e il cero pasquale . . . . . . . . . . . . . 19Riflettere: Rinati dall’acqua e dallo Spirito (cfr Gv 3, 5).Pregare: Rinnovazione delle promesse battesimali.

3. L’ambone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28Riflettere: Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sulmio cammino (Sal 119, 105).Pregare: Dal libro del profeta Isaia (55, 10-11).

4. L’altare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40Riflettere: Smettete di presentare offerte inutili… cessate difare il male, imparate a fare il bene (Is 1, 13.16-17).Pregare: Prefazio per la dedicazione dell’Altare.

5. Il tabernacolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48Riflettere: Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppres-si, e io vi ristorerò (Mt 11, 28).Pregare: Adoriamo il Sacramento.

6. Il confessionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52Riflettere: Padre ho peccato contro il cielo e contro di te (Lc15, 18).Pregare: Purificami o Signore.

7. Il Crocifisso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57Riflettere: Padre nelle tue mani consegno il mio spirito (Lc23, 46).Pregare: Ti saluto Croce Santa.

8. Maria, Madre di Dio e della Chiesa . . . . . . . . . . 62Riflettere: Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santaMadre di Dio.Pregare: Salve Regina.

9. San Roberto e i santi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66Riflettere: Essi sono coloro che sono passati attraverso lagrande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendolecandide col sangue dell’Agnello (Ap 7, 14).Pregare: Colletta della solennità di Tutti i Santi.

10. Il ministero del presbitero sulla sciadi sant’Agostino, di Vittorino Grossi, osa . . . . . . . . 73

11. Bellezza e armonia per celebrare con decoroin Spirito e verità, di Manlio Sodi, sdb . . . . . . . . . 100

12. La Chiesa, casa di Dio e della comunità,di Lino Prenna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120

Notizia sull’Autore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125

Finito di stampare il 25 marzo 2009Delta Grafica s.r.l. – Città di Castello (Pg)

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