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ARACNE

Analisi sperimentale delle tensioni con gli

Estensimetrielettrici a resistenza

Augusto Ajovalasit

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I edizione: marzo 2006II edizione: aprile 2008

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Analisi sperimentale delle tensioni con gli

Estensimetri elettrici a resistenza INDICE PRESENTAZIONE VII 1. I METODI DELLA MECCANICA SPERIMENTALE 1 1.1 Generalità 1 1.2 La fotoelasticità 4 1.3 Il metodo a correlazione di immagini digitali 6 1.4 I metodi del moiré 7 1.5 L’interferometria olografica 10 1.6 I metodi speckle 12 1.7 I metodi basati sull’effetto termoelastico 14 1.8 Altri metodi 15 1.8.1 Le vernici fragili 15 1.8.2 La tensiometria a raggi X 15 1.8.3 Il metodo del reticolo 16 1.8.4 Il metodo delle caustiche 16 1.8.5 Sensori a fibre ottiche 17 1.9 Estensimetria 17 1.9.1 Estensimetri elettrici a resistenza 18 1.9.2 Storia dell’estensimetria 19 1.9.2.1 Estensimetri meccanici e ottici 19 19.2.2 Estensimetri elettrici a resistenza 23 1.10 Simboli principali, abbreviazioni e definizioni 36 2. I COMPONENTI DELL’ESTENSIMETRO 37 2.1. La griglia estensimetrica 37 2.1.1 Le caratteristiche della lega estensimetrica 37 2.1.1.1 La sensibilità alla deformazione in campo plastico 39 2.1.1.2 Caratteristiche di alcune leghe estensimetriche 40 2.1.2 La geometria della griglia 41 2.2 Il supporto dell’estensimetro 41 2.3 L’adesivo 42 2.3.1 Adesivo sui compositi 44 2.4 Il protettivo 44 3. LE CARATTERISTICHE DELL’ESTENSIMETRO 45 3.1 La resistenza elettrica 45 3.2 La sensibilità alla deformazione 46 3.2.1 Linearità 48 3.2.2 Coefficiente di temperatura del fattore di taratura 48 3.2.3 Genesi della sensibilità trasversale 50

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A. Ajovalasit – Estensimetri elettrici a resistenza

II

3.2.3.1 ER a filo 50 3.2.3.1 ER a lamina 51 3.2.4 Correzione della sensibilità trasversale 52 3.2.5 L’effetto rinforzante 57 3.2.5.1 Stima dell’effetto globale 58 3.2.5.2 Stima dell’effetto locale 61 3.3 La sensibilità alla temperatura 62 3.3.1 Impiego degli estensimetri compensatori 63 3.3.2 Impiego degli estensimetri autocompensati 63 3.3.2.1 Influenza del materiale della struttura 65 3.3.3 Correzione mediante misura della temperatura 65 3.3.4 Altri effetti relativi alla temperatura 66 3.3.4.1 Tolleranza della deformazione termica apparente 66 3.3.4.2 Influenza dei terminali 66 3.3.4.2 Influenza della curvatura della superficie 67 3.3.5 La compensazione della temperatura nei compositi 67 3.3.5.1 Impiego degli estensimetri compensatori 67 3.3.5.2 Impiego degli estensimetri autocompensati 67 3.3.5.3 Correzione mediante misura della temperatura 68 3.3.6 La sensibilità all’umidità 68 3.3.7 La misura del coefficiente di dilatazione termica lineare 68 3.4 La resistenza di isolamento 69 3.5 La deformazione limite 70 3.6 Lo scorrimento 70 3.7 L’isteresi meccanica 71 3.8 Deformazioni variabili 72 3.8.1 La resistenza a fatica 72 3.8.2 Deformazioni dinamiche 73 3.9 Livello di alimentazione e deriva 74 3.10 La base di misura 75 3.11 La precisione propria degli estensimetri 76 3.12 Grandezze di influenza ambientale 77 3.12.1 Influenza della pressione 77 3.12.2 Influenza del vuoto 79 3.12.3 Influenza delle radiazioni ionizzanti 80 3.12.4 Influenza dei campi magnetici 80 3.12.5 Influenza del tempo 81 3.13 I criteri di scelta dell’estensimetro 82 3.14 Installazione dell’estensimetro 85 3.14.1 Ispezione dell’installazione e prove preliminari 86 4. CIRCUITI DI MISURA 87 4.1 Il ponte di Wheatstone 87 4.1.1 Il ponte di Wheatstone a deviazione 89 4.1.2 Il bilanciamento iniziale del ponte 89 4.1.3 Protezione dai disturbi e alimentazione del ponte 89 4.1.3.1 Protezione dai disturbi 89 4.1.3.2 Alimentazione del ponte 90

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Indice e Presentazione

III

4.2 La misura della deformazione nel caso delle sollecitazioni semplici 90 4.2.1 Deformazione di trazione 91 4.2.2 Deformazione di flessione 93 4.2.3 Deformazione di torsione 94 4.2.4 Trazione e flessione nei materiali compositi 97 4.3 Influenza dei cavi e delle resistenze di contatto 97 4.3.1 La deformazione termica apparente dei cavi 97 4.3.1.1 Estensione ai collegamenti a mezzo ponte e a ponte completo 99 4.3.2 L’attenuazione del segnale di misura 99 4.3.2.1 Estensione ai collegamenti a mezzo ponte e a ponte completo 101 4.3.3 Influenza della resistenza dei cavi sulla deformazione apparente dell’ER 102 4.3.4 Circuiti speciali per eliminare l’influenza della resistenza dei cavi 103 4.3.5 Commutatori – Spazzole – Telemetria 104 4.4 Errore di linearità del ponte di Wheatstone a tensione costante 105 4.4.1 Collegamento a quarto di ponte 106 4.4.2 Collegamento a mezzo ponte 106 4.4.3 Collegamento a ponte completo 107 4.5 Il ponte a corrente costante 108 4.5.1 Collegamento a quarto di ponte 109 4.5.2 Collegamento a mezzo ponte 109 4.5.3 Collegamento a ponte completo 110 4.5.4 Confronto tra alimentazione a corrente costante e a tensione costante 110 4.6 Taratura del circuito estensimetrico 110 4.6.1 Simulazione di una deformazione di taratura di trazione 111 4.6.2 Correzione dell’effetto di resistenza dei cavi 111 4.6.2.1 Collegamento a quarto di ponte a tre fili 111 4.6.2.2 Collegamento a mezzo di ponte a tre fili 112 4.7 Altre disposizioni estensimetriche 113 4.7.1 Deformazione di taglio 113 4.7.2 Altre disposizioni indipendenti dal punto di applicazione del carico 116 4.7.3 Separazione delle deformazioni membranali e flessionali 114 4.7.4 Disposizioni estensimetriche per i trasduttori di forza 116 5. LA MISURA DELLE DEFORMAZIONI NEL PIANO 117 5.1 Generalità 117 5.1.1 Il calcolo delle tensioni 118 5.2 Le rosette estensimetriche 119 5.3 La rosetta rettangolare a due griglie 120 5.4 La rosetta rettangolare a tre griglie 120 5.5 La rosetta rettangolare a quattro griglie 123 5.6 La rosetta equiangola 125 5.6.1 La rosetta 0°/60°/120° 127 5.7 La rosetta a T-Δ 128 5.8 Identificazione dell’angolo principale 129 5.9 Riassunto 130 5.10 Correzione della sensibilità trasversale delle rosette 132 5.11 Influenza degli errori di misura 133 5.12 La determinazione delle tensioni nei compositi 133

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A. Ajovalasit – Estensimetri elettrici a resistenza

IV

5.12.1 Tensioni principali lungo gli assi principali del materiale 134 5.12.2 Stato biassiale generico 134 5.12.2.1 1° metodo di calcolo 135 5.12.2.2 2° metodo di calcolo 136 5.12.2.3 1° metodo di calcolo 136 5.12.2.4 Il calcolo delle tensioni principali 137 5.12.3 L’analisi delle tensioni nei laminati 138 5.13 La misura delle grandi deformazioni 140 6 LA MISURA DELLE DEFORMAZIONI NELLO SPAZIO 141 6.1 Generalità 141 6.2 La rosetta rettangolare tridimensionale 142 6.3 Influenza delle tensione normale all’ER 143 6.4 Cenni sulle tecniche sperimentali 147 7. INFLUENZA DEGLI ERRORI DI POSIZIONAMENTO ANGOLARE 149 7.1 Estensimetro singolo 149 7.1.1 Materiali compositi 150 7.2 Rosetta rettangolare a due griglie 150 7.3 Rosette a tre griglie 151 7.3.1 Materiali compositi 151 7.4 Rosette tridimensionali 152 8. LA DETERMINAZIONE DELLE TENSIONI TERMICHE 153 8.1 La misura della deformazione termica 153 8.2 Caso dei laminati 154 9 LA DETERMINAZIONE DELLE TENSIONI RESIDUE 157 9.1 Generalità 157 9.2 Analisi sperimentale delle tensioni residue 158 9.2.1 I metodi meccanici 159 9.3 Metodo del foro 160 9.3.1 Relazione deformazione rilassata-tensioni residue 160 9.3.2 Il calcolo delle tensioni 163 9.3.3 Limitazioni ed estensioni 165 9.3.3.1 Foro cieco in componenti di grosso spessore 165 9.3.3.2 Rilassamento elastico delle tensioni 167 9.3.3.3 Influenza dell’eccentricità foro-rosetta 167 9.3.4 La sensibilità del metodo 169 9.3.5 Tensioni variabili nello spessore 170 9.3.5.1 Il metodo della deformazione incrementale 170 9.4 Metodo della cava 171 9.4.1 Tensioni costanti nello spessore 171 9.4.1.1 Il metodo della cava rettilinea 172 9.4.1.2 Il metodo del chip 172 9.4.1.3 Il metodo dell’anello 172 9.4.2 Metodo della cava anulare: tensioni variabili nello spessore 173 9.4.2.1 Metodo della deformazione incrementale 173

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Indice e Presentazione

V

9.5 Metodi della meccanica delle rocce 175 9.6 Metodi meccanici semidistruttivi: metodo dei coefficienti di influenza 176 9.6.2 Metodo degli incassi rettilinei: la teoria corretta 176 9.6.2.1 Relazione tra funzione di rilassamento e coeff. di influenza 178 9.6.3 Estensione agli altri metodi meccanici semidistruttivi 179 9.7 Metodi di rimozione degli strati 179 9.7.1 Metodo di Stablein 179 9.7.2 Metodo di Sachs 180 9.8 I metodi del sezionamento 181 10. GLI ESTENSIMETRI A SEMICONDUTTORE 183 11. APPENDICE 1 I MATERIALI COMPOSITI 185 A.1 La meccanica della lamina unidirezionale 185 A.1.1 Leggi di trasformazione 185 A.1.1.1 Tensioni 185 A.1.1.2 Deformazioni 186 A.1.1.3 Coefficienti di dilatazione termica 187 A.1.1.4 Coefficienti di dilatazione igroscopica 187 A.1.2 Relazioni costitutive 188 A.1.2.1 Le costanti elastiche 188 A.1.2.1 Relazioni costitutive nel riferimento principale 189 A.2 Comportamento dei laminati 189 12. APPENDICI VARIE 191 Appendice A3.3.4 Effetto della velocità di riscaldamento sulla risposta termica degli estensimetri 191 Appendice A3.3.7 La misura del coefficiente di dilatazione termica dei materiali Compositi 192 Appendice A3.9 Livello di alimentazione e deriva per i materiali compositi 192 Appendice A3.10 La base di misura sui materiali compositi 193 Appendice A3.13.1 La scelta dell’ER nel caso dei materiali compositi 194 Appendice A3.14 Installazione dell’ER sui materiali compositi 195 Appendice A4.2.4 Trazione e flessione nei materiali compositi 195 Appendice A4.3 La scelta dei cavi (tabella) 200 Appendice A4.3.2 Effetto di una resistenza in parallelo all’estensimetro 200 Appendice A4.6 Effetto della non linearità del ponte nella taratura shunt 201 Appendice A5.12 La determinazione delle tensioni nei compositi: relazione tra le direzioni principali 202 Appendice A9.6.3 Il metodo della cava incrementale 203 Appendice A9.8 Il metodo basato sul rilievo del profilo 203 13. BIBLIOGRAFIA 205 14. INDICE ANALITICO 217

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Metodi della meccanica sperimentale

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1. METODI DELLA MECCANICA SPERIMENTALE

1.1. Generalità I metodi della Meccanica sperimentale servono per l'analisi dello stato di deformazione e

di tensione nei componenti e nelle strutture. Sperimentalmente si determinano spostamenti o deformazioni dai quali si risale alle tensioni. I metodi basati sulla misura degli spostamenti richiedono l'operazione di derivazione per il calcolo delle deformazioni (Tab. 1.I). Per alcuni metodi che operano in campo elastico il legame con la grandezza misurata è usualmente espresso in termini di tensione. E' questo il caso per esempio della fotoelasticità e dei metodi basati sull'effetto termoelastico.

Tabella 1.I - Dalla misura dello spostamento u (1) o della deformazione εx (2) si calcola la

tensione σx (3)*. (* caso di tensione monoassiale)

xxx Exuu εσ

∂∂ε =⇒=⇒

(1) (2) (3) Tale modo di procedere oggi sembra ovvio, ma il cammino è stato lungo dato che l’osservazione del fenomeno dell’elasticità del materiale compare solo nella seconda metà del XVII secolo con Robert Hooke che definì gli aspetti quantitativi legati all’elasticità. Infatti Hooke pubblicò nel 1678 il suo lavoro fondamentale sull’elasticità (Lectures de potentia restitutiva) sintetizzabile nella celebre legge “ut tensio sic vis” (da leggersi “ut extensio sic vis”), cioè “come è l’estensione (tensio) così è la forza (vis)” (figura 1.1.1). Successivamente (Giacomo Bernoulli, 1705) compaiono i concetti di tensione, di deformazione e di una proprietà elastica dipendente dal solo materiale. Dovrà però passare più di un secolo prima che i concetti di tensione e deformazione siano usati nella Resistenza dei materiali, mentre la sperimentazione sulle proprietà meccaniche dei materiali inizia nella prima meta del secolo XVIII. Progressivamente si sviluppa l’esigenze di conoscere non solo i carichi di rottura ma anche le proprietà elastiche dei materiali e lo stato di deformazione e di tensione dei componenti e quindi l’esigenza di misurare le deformazioni. Nasce così l’estensimetria e più in generale la Meccanica sperimentale dei solidi.

I principali metodi della meccanica sperimentale impiegati nell'analisi sperimentale delle tensioni sono:

a) la fotoelasticità; b) il metodo a correlazione di immagini digitali (DIC - Digital Image Correlation); c) i metodi del moiré; d) l'interferometria olografica; e) i metodi speckle; f) i metodi basati sull'effetto termoelastico; g) altri metodi (vernici fragili, metodi basati sulla diffrazione dei raggi X, metodo del

reticolo, metodo delle caustiche, sensori a fibra ottica, acustoelasticità, etc.); h) l'estensimetria mediante estensimetri elettrici a resistenza (ER).

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A. Ajovalasit – Estensimetri elettrici a resistenza: capitolo 1

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Le caratteristiche dei vari metodi sono riassunte in tabella 1.II con riferimento ai seguenti aspetti: tipo di informazione sperimentale; campi tensionali esaminabili; altre caratteristiche. Nel seguito si riporta una breve descrizione dei metodi di Analisi sperimentale delle tensioni (AST) al fine di individuare il metodo adatto alla specifica applicazione. Per l'approfondimento si rimanda alla vasta letteratura tecnica su tali metodi. In aggiunta ai riferimenti generali /1.1.1-1.1.6/, si riportano nei capitoli dedicati alle varie tecniche i riferimenti specifici. Per motivi di brevità non sono in generale indicati i riferimenti ad atti di convegni e a memorie.

Figura 1.1.1 – Robert Hooke (1678) : esperienze sulle molle.

(Hooke dimostrò sperimentalmente che la forza F ,esercitata da una molla, è proporzionale alla relativa estensione Δl.)

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Metodi della meccanica sperimentale

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Tabella 1.II - Caratteristiche dei metodi di analisi sperimentale delle tensioni

Metodo ⇒

Caratteristiche⇓ Fotoel. DIC Moiré Ologr. Speckle Eff.

termo elast.

Vern. frag.

Raggi X

ER

Spostamenti nel piano: u, v

*** *** G,I,O

** *** Sf, Si

Spostamenti fuori dal piano: w

*** DIC/3D

*** O,P

*** *** Si

Rotazioni: φ x, φy ***, R ***, Ssi Deformazione: ε ** *** *** Diff. tens. princ. (def principali)

***

Somma tens. princ.(def. princ.)

*** (1)

***

Isocline ***

Infor mazio

ne

speri men tale

Isostatiche *** (2)

**

Bidimensionale *** *** *** *** *** *** *** *** *** Tridimensionale

(interno) *** Ft

** (4)

** (5)

** (3)

Tridimensionale (superficie)

*** Ft,Rb

*** DIC/3D

*** (6)

*** *** *** *** *** ***

Elastico *** ** *** *** *** *** *** *** ***

Campo

tensio nale

Plastico ** Rb

*** *** **

** *** ***

Metodo a campo intero

SI SI SI SI SI (Si)

SI SI NO NO

Complessità apparecchiature

II II I/II (G, P), IV(I)

III III III I IV I

Materiale: Preparazione e

limitazioni

Birifr. Fp,Ft

II III/I(O)Fin. spec.

(R)

I I I II I, Crist.

I

Altre

carat teri

stiche Risoluzione indicativa in μm/m per ε

(in μm per u,v, w)

5

200 (20) (7)

(0,5)I,O(20) G (100) P

(0,5)

(0,5)Si (5)Sf

5

500

50

1

Fotoel. DIC Moiré Ologr. Speckle Eff.

termo elast.

Vern. frag.

Raggi X

ER

Simboli: *** adatto, ** poco adatto o adatto con limitazioni, grado di complessità: crescente da I a IV Simboli DIC (Digital Image Correlation): DIC/3D metodo a correlazione di immagini

(tridimensionale). Simboli: fotoelasticita': Fp = fotoelasticità piana, Ft = fotoelasticità tridimensionale, Rb= rivestimenti birifrangenti. Simboli moiré: G= geometrico piano, I = Interferometrico, O = Olografico, P = Ombra (o Proiezione), R = riflessione. Simboli speckle: Sf = fotografia speckle, Si = interferometria speckle; Ssi = interferometria speckle tipo "shearing".

NOTE: (1) materiali trasparenti soggetti a stato piano di tensione; (2) mediante elaborazione diretta della isocline (3) tecnica degli estensimetri inglobati; (4) mediante griglia annegata in materiale trasparente; (5) in congiunzione con la tecnica di rimozione degli strati; (6) nel caso del moiré piano la griglia si applica su di una superficie piana del componente da studiare; (7) dati di alcuni sistemi commerciali relativi alla tecnica DIC (2008)

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A. Ajovalasit – Estensimetri elettrici a resistenza: capitolo 1

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1.2. La fotoelasticità

1.2.1 Principio La fotoelasticità si basa sul fenomeno della birifrangenza accidentale meccanica cioè sulla

dipendenza degli indici di rifrazione dallo stato di tensione. Tale fenomeno noto dal 1815 (Brewster) ha trovato applicazione pratica a partire dal 1900 (Mesnager).

In aggiunta ai libri di analisi sperimentale delle tensioni riportati nei riferimenti generali della bibliografia, esistono numerosi opere dedicate esclusivamente alla fotoelasticità: dai classici trattati di Coker e Filon /1.2.1/ e di Frocht /1.2.2/ alle altre opere /1.2.3-1.2.14/.

1.2.2 Tipo di informazione sperimentale e relazioni caratteristiche

Con tale tecnica si determinano le isocline (luogo dei punti nei quali è costante l'orientamento delle tensioni principali) e le isocromatiche (luogo dei punti nei quali è costante la differenza delle tensioni principali). Ponendo infatti un modello in materiale fotoelastico (cioè birifrangente) soggetto a stato piano di tensione nel banco fotoelastico o polariscopio (Fig. 1.2.1) si osserva l'intensità luminosa emergente I che risulta:

- per il polariscopio piano ad assi incrociati (Fig. 1.2.1-a) I Io= sin sin2 22θ πδ (1.2.1) - per il polariscopio circolare a campo scuro (Fig.1.2.1-b) I Io= sin2πδ (1.2.2)

dove θ è il parametro dell'isoclina che fornisce l'orientamento delle tensioni principali rispetto ad un asse di riferimento, δ è il ritardo o l'ordine di frangia (relativo alle isocromatiche). Un esempio di isocromatiche è riportato in figura 1.2.2.

(a) (b)

Fig.1.2.1 - (a) Polariscopio piano ad assi incrociati (per le isocline), (b) polariscopio circolare a campo scuro (per le isocromatiche)

(M=modello, P,A=polarizzatori, O=osservatore, Ra,Rp=lastre quarto d'onda, S=sorgente).

Dalla (1.2.1) si determina il parametro dell'isoclina θ dalla cui elaborazione si ricavano le isostatiche che sono le traiettorie delle tensioni principali.

Dalla misura di δ tramite la (1.2.2), è possibile determinare la differenza delle tensioni principali per mezzo della relazione:

σ σ δ1 2− = F (1.2.3) dove F è la costante di frangia, nota a seguito di taratura.

Dall'elaborazione delle isocline e delle isocromatiche si ottengono le tensioni principali mediante procedimenti, in genere numerici, di separazione delle tensioni.

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Metodi della meccanica sperimentale

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Fig. 1.2.2 - Isocromatiche in un volano soggetto alla forza centrifuga (metodo del congelamento).

Fig.1.2.3 Polariscopio a riflessione (C=collante riflettente, P,A=polarizzatori, R=rivestimento birifrangente, O=osservatore, Ra,Rp=lastre quarto d'onda, S=sorgente, St=struttura).

Con la fotoelasticità a riflessione si determinano, come nella fotoelasticità a trasmissione le

isocline e le isocromatiche. Si utilizza però il polariscopio a riflessione (Figura 1.2.3). Il ritardo δ viene espresso in funzione della differenza delle deformazioni principali

all’interfaccia struttura – rivestimento tramite la relazione:

( )212 εελ

δ −=dK (1.2.4)

dove K è la costante fotoelastica riferita alle deformazioni, nota a seguito di taratura, e d è lo spessore del rivestimento fotoelastico. 1.2.3 Campi tensionali esaminabili

La fotoelasticità è un metodo a campo intero. In particolare si hanno le seguenti tecniche principali:

1. fotoelasticità piana (a trasmissione) adatta all'analisi degli stati piani di tensione in campo elastico lineare impiegando modelli piani in materiale birifrangente;

2. fotoelasticità tridimensionale (a trasmissione) che con il metodo del congelamento delle tensioni consente l'analisi di stati tridimensionali di tensione in campo elastico lineare impiegando modelli in materiale birifrangente;

tecnica dei rivestimenti birifrangenti (a riflessione) adatta all'analisi dello stato di deformazione e di tensione alla superficie di componenti in materiale non birifrangente (acciaio, alluminio, etc.). Nota la differenza delle deformazioni principali tramite la (1.2.4), si calcola la differenza delle tensioni principali nella struttura (all’interfaccia con il rivestimento) tramite la relazione:

( ) ( )2121 1εε

νσσ −

+=−

s

ss

E (1.2.5)

dove il pedice s indica appunto grandezze relative alla struttura. 1.2.4 Materiali esaminabili

Il materiale del modello deve essere birifrangente, trasparente con buona finitura superficiale, omogeneo, isotropo e con comportamento elastico lineare. La fotoelasticità si presta bene al controllo delle tensioni residue nei manufatti in materiale birifrangente , come risulta anche da alcune norme ASTM /1.2.15-1.2.17/ e UNI /1.2.18/.

Nella tecnica dei rivestimenti birifrangenti il materiale del rivestimento deve essere birifrangente, trasparente con buona finitura superficiale, omogeneo, isotropo e con

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A. Ajovalasit – Estensimetri elettrici a resistenza: capitolo 1

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comportamento elastico lineare. Il materiale della struttura può essere qualsiasi purché sia possibile l’incollaggio del rivestimento fotoelastico.

1.2.5 Altre caratteristiche

La fotoelasticità è una tecnica da laboratorio, che si presta bene anche in ambiente industriale. La tecnica non pone requisiti particolari per ciò che riguarda le condizioni ambientali (vibrazioni, etc.). La fotoelasticità a riflessione è una tecnica che si presta bene per essere applicata in ambiente industriale. La risoluzione tipica è di 0,02 ordini di frangia corrispondenti a circa 5 μm/m.

Alla fotoelasticità sono applicabili svariati metodi di elaborazione automatica delle immagini. Tra i metodi proposti si citano la fotoelasticità RGB (Red, Green, Blue - in luce bianca) e la fotoelasticità a variazione di fase.

1.3. IL METODO A CORRELAZIONE DI IMMAGINI DIGITALI (DIC) 1.3.1 Principio

Il metodo a correlazione di immagini digitali (DIC = Digital Image Correlation /1.1.4 (4a ed.), 1.1.8, 1.3.1, 1.3.2/) si basa sul confronto delle immagini del componente in studio acquisite prima e dopo l’applicazione dei carichi. La correlazione delle intensità luminose nell’intorno del generico punto consente di determinare il campo degli spostamenti e quindi il campo delle deformazioni 1.3.2 Tipo di informazione sperimentale e campi tensionali esaminabili

Le tecniche a correlazione di immagini possono essere applicate al caso piano (DIC/2D) per la determinazione degli spostamenti e delle deformazioni nel piano, e al caso generale tridimensionale (DIC/3D).

La figura 1.3.1 mostra uno schema sperimentale per la DIC/2D. L’oggetto piano è illuminato con luce bianca utilizzando delle normali lampade ad incandecrenza. La superficie dell’oggetto presenta una distribuzione random (Figura 1.3.1b) di punti neri su fondo bianco (del tipo speckle) ottenuta per esempio spruzzando opportunamente della vernice nera sulla superficie dell’oggetto dipinta in bianco. Le immagini sono acquisite mediante una telecamera con l’asse ortogonale al piano dell’oggetto.

La telecamera acquisisce l’immagine dell’oggetto indeformato (immagine di riferimento) e quella dell’oggetto deformato (immagine deformata). Le due immagini digitalizzate vengono opportunamente paragonate al fine di determinare il campo degli spostamenti e le deformazioni.

(a) (b) Figura 1.3.1: (a) Schema di un dispositivo sperimentale per la tecnica DIC/2D, (b) esempio di superficie con distribuzione random di zone nere. (C= telecamera, L= lampade, O = oggetto, PC= personal computer)

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Metodi della meccanica sperimentale

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1.2.4 Materiali esaminabili e altre caratteristiche Non esistono particolari limitazioni circa i materiali esaminabili. È richiesta solamente la semplice preparazione della superficie come decritto in precedenza. La risoluzione tipica degli attuali (2008) sistemi commerciali è dell’ordine di 0,1-0.01 pixel per gli spostamenti e di 100-200 μm/m per le deformazioni.

1.4. I METODI DEL MOIRE’ 1.4.1 Principio

Tali metodi si basano sull'effetto moiré che si verifica quando si sovrappongono due griglie. Si formano così le frange moiré che nel caso di griglie a bassa frequenza sono dovute alla semplice interferenza meccanica tra le linee delle due griglie (Fig.1.4.1). Nel caso di griglie ad elevata frequenza (moiré interferometrico) la formazione delle frange moiré si basa sui fenomeni di interferenza e di diffrazione dei campi luminosi.

In genere una griglia è solidale con il componente da analizzare e si deforma con esso (GM - griglia del modello) mentre l'altra griglia, non deformandosi, funge da riferimento (GR - griglia di riferimento).

L'interferenza prodotta da griglie, già studiata da Lord Rayleigh (1874 /1.4.1/) e A. Righi (1887 /1.4.2/), è stata trattata in modo ampio da Guild /1.4.3, 1.4.4/.

I metodi del moiré geometrico ed interferometrico si sono sviluppati a partire rispettivamente dagli anni '50 e '70 /1.4.5-1.4.9/.

Fig.1.4.1-Frange moiré nel caso di griglie aventi lo stesso passo ma formanti un angolo diverso da 0°. 1.4.2 Tipo di informazione sperimentale e relazioni caratteristiche

In generale i metodi del moiré sono metodi a campo intero adatti, a secondo del tipo, al rilievo degli spostamenti, delle rotazioni e della forma dei componenti. Si hanno così i seguenti tipi di moiré: 1. moiré geometrico piano (a bassa sensibilità) che fornisce le componenti u e v dello

spostamento nel piano; 2. moiré interferometrico (ad alta sensibilità) che fornisce le componenti u e v dello

spostamento nel piano; 3. moiré olografico ( ad elevata sensibilità) che fornisce le componenti u, v e w dello

spostamento; 4. moiré per riflessione che fornisce le componenti ϕx e ϕy della rotazione nelle piastre

inflesse (rese speculari); 5. moiré ombra (o a proiezione) che fornisce le linee di livello del componente analizzato

rispetto alla griglia di riferimento. Nel moiré piano ( geometrico o interferometrico) le frange moiré sono il luogo dei punti a

componente di spostamento costante in direzione ortogonale alle linee della griglia di

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A. Ajovalasit – Estensimetri elettrici a resistenza: capitolo 1

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riferimento (isotetiche). Tali frange forniscono le componenti u e v dello spostamento per mezzo delle relazioni:

u pN v pNx y= =, (1.4.1), (1.4.2) dove p è il passo della griglia di riferimento ed Nx, Ny sono gli ordini delle frange moiré determinate con griglia di riferimento ortogonale rispettivamente agli assi x e y (Fig. 1.4.2).

Noto il campo degli spostamenti si determinano le deformazioni che, nel caso di piccole deformazioni, risultano:

ε ∂∂

ε∂∂

γ ∂∂

∂∂x

xy

yxy

x yp Nx

pNy

p Ny

Nx

= = = +, , ( ) (1.4.3),(1.4.4),(1.4.5)

Fig. 1.4.2 - Frange moiré (v= pNy) nel caso di trazione semplice (sovrapposizione meccanica

tra griglia del modello (GM) e griglia di riferimento (GR)).

Nel moiré a riflessione per piastre inflesse le frange si ottengono (Fig. 1.4.3) dalla sovrapposizione fotografica della griglia (GR) riflessa dalla piastra indeformata (griglia di riferimento) e deformata (griglia del modello). Tali frange sono luogo di punti a componente di rotazione costante, cioè:

ϕ ϕx x y yKpN KpN= =, (1.4.6),(1.4.7) dove K è una costante che dipende dalla disposizione sperimentale, p è il passo della griglia di riferimento ed Nx, Ny sono gli ordini delle frange moiré determinate con griglia di riferimento ortogonale rispettivamente agli assi x e y.

Fig.1.4.3 - Moiré a riflessione per piastre inflesse: le frange nascono dalla

sovrapposizione fotografica tra la griglia di riferimento che è l'immagine riflessa dalla piastra indeformata di GR e la griglia del modello (GM) che è l'immagine riflessa dalla

piastra deformata Pd (sempre di GR) sotto l'azione del carico Q.

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Metodi della meccanica sperimentale

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Nel moiré ombra le frange moiré sono dovute all'interferenza meccanica tra la griglia di riferimento e la sua ombra (griglia del modello) proiettata sul componente da analizzare (fig.1.4.4). Soddisfatte alcune condizioni relative alla geometria dei sistemi di illuminazione e di osservazione le frange moiré sono le linee di livello del componente rispetto alla griglia di riferimento. La distanza z dalla griglia di riferimento risulta:

z KpN= (1.4.8) dove K è un costante che dipende dalla disposizione sperimentale, p è il passo della griglia di riferimento, N è l'ordine di frangia. Si ottengono così le linee di livello che individuano la forma del corpo. Rilevando quindi le linee di livello prima e dopo l'applicazione del carico è possibile ottenere anche la componente dello spostamento 'fuori del piano' w.

Fig. 1.4.4 - Moiré ombra: le frange nascono dall'interferenza tra la griglia di riferimento

(GR) e la sua ombra (griglia del modello - GM) sul corpo.

1.4.3 Campi tensionali esaminabili Il moiré fornisce il campo degli spostamenti nel piano (moiré piano), delle rotazioni (moiré

a riflessione), gli spostamenti fuori dal piano (moiré ombra). Esso è applicabile in campo elastico (compatibilmente con la sensibilità richiesta) e plastico. In particolare il moiré geometrico piano è adatto al rilievo di spostamenti in campo elastico su materiali a basso modulo di Young (Plexiglass, etc) e di spostamenti in campo plastico su materiali metallici. Il moirè interferometrico consente il rilievo degli spostamenti in campo elastico sui metalli.

Nel caso di modelli trasparenti è possibile annegare griglie moiré all'interno del componente. 1.4.4 Materiali esaminabili

Il metodo del moiré piano è applicabile a materiali trasparenti (analisi a trasmissione) ed opachi (analisi a riflessione) su componenti con superficie di analisi (sulla quale cioè si applica la GM) piana, avente una buona finitura superficiale. Nel caso del moiré a riflessione per piastre inflesse è richiesta una finitura speculare. Infine nel caso del moiré ombra è opportuno l'uso di una vernice bianca sul componente. 1.4.5 Altre caratteristiche

Il metodo del moiré è una tecnica da laboratorio anche se non mancano disposizioni sperimentali adatte all'uso in ambiente industriale. La frequenza tipica delle griglie moiré è di circa 20-40 linee/mm e di 1000-2000 (limite teorico 2/λ) linee/mm per il moiré piano rispettivamente geometrico ed interferometrico.

La sensibilità tipica (spostamento/ordine di frangia) è dell'ordine di 0,5/25/100 μm rispettivamente per il moiré interferometrico, geometrico ed ombra. In genere la stabilità meccanica deve essere tale da avere vibrazioni piccole rispetto al passo della griglia.

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Ai metodi del moiré sono applicabili svariati metodi di elaborazione automatica delle immagini. Tra i metodi proposti si citano: 1) il metodo della trasformata di Fourier; 2) il metodo a variazione di fase.

1.5. L'INTERFEROMETRIA OLOGRAFICA 1.5.1 Principio

L'olografia è un metodo di registrazione e di ricostruzione dei campi luminosi basato sui fenomeni di interferenza e di diffrazione della luce. Per mezzo dell'olografia è possibile fare interferire due campi luminosi non coesistenti nel tempo. Tale tecnica -detta interferometria olografica (I.O.)- consente di paragonare due diversi stati, deformato e non deformato, di un componente.

L'olografia, inventata da Dennis Gabor nel 1948, si è sviluppata a partire dagli anni '60 dopo l'invenzione del laser. Numerosi sono i testi dedicati all'olografia e all'interferometria olografica /1.5.1-1.5.13/.

1.5.2 Tipo di informazione sperimentale e relazioni caratteristiche

L'interferometria olografica consente il rilievo del campo degli spostamenti subiti dal componente a seguito dell'applicazione del carico. L'I.O. trova inoltre applicazione nel campo dei controlli non distruttivi (HNDT) di materiali e componenti non esaminabili con i metodi classici. La figura 1.5.1 mostra lo schema di un banco per olografia.

Fig.1.5.1 - Schema di un banco olografico per l'esame di componenti opachi.

(F=filtro spaziale, H=ologramma, L=lente, M=oggetto, O=obiettivo da microscopio, S=specchio, Ss=semispecchio)

Esistono diverse tecniche di I.O. che differiscono per il modo con il quale sono prodotti i

campi luminosi (provenienti dall'oggetto da analizzare) che interferiscono. Le tecniche fondamentali sono le seguenti: 1. I.O. ad esposizione singola (in tempo reale); 2. I.O. ad esposizione doppia (a frange congelate); 3. I.O. a media temporale (per l'analisi delle vibrazioni - Fig. 1.5.2).

L'intensità luminosa, osservata in fase di ricostruzione dell'ologramma, risulta per i casi di I.O. sopra indicati rispettivamente:

I I I I I I Jo o o o= = =sin 2 2 2πλ

πλ

πλ

Δ Δ Δ, cos , (1.5.1)-(1.5.3)

dove Io è l'intensità del campo oggetto, λ è la lunghezza d'onda della luce, Jo è la funzione di Bessel di ordine 0 e Δ è la variazione di cammino ottico subita dal campo oggetto nel passare dalla condizione di componente scarico a quella di componente carico.

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Metodi della meccanica sperimentale

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Fig. 1.5.2 - Interferometria olografica a media temporale: forma di vibrazione (0,1) in una

lastra di acciaio, incastrata alla base, vibrante a 380 Hz.

Si osserva la formazione di frange scure (interferenza distruttiva) per: Δ = Nλ (1.5.4)

dove l'ordine di frangia N assume i seguenti valori rispettivamente per I.O. ad esposizione semplice, doppia e a media temporale:

N n N n= ≈

++, , , N = 2n +1

2 2 1

20 25 (n intero) (1.5.5)-(1.5.7)

Noto l'ordine di frangia si ottiene (fig.1.5.3) la componente dcosψ dello spostamento lungo la bisettrice dell'angolo (2θ) formato dalle direzioni di illuminazione e di osservazione del componente in esame mediante la relazione:

d Ncoscos

ψθ

λ=

12

(1.5.8)

\ Fig.1.5.3 - Relazione tra spostamento d e variazione Δ del cammino ottico (SP=direzione di illuminazione, PO=direzione di osservazione, H=ologramma, Δ =(SP1+P1O) - (SP+PO)).

1.5.3 Campi tensionali esaminabili

Le frange di interferenza dipendono dalle tre componenti di spostamento (u, v, w). La sensibilità alla componente fuori del piano è più elevata di quella alle componenti nel piano (u, v). L'I.O. è quindi particolarmente adatta alla misura degli spostamenti 'fuori del piano' w.

L'analisi è evidentemente limitata agli spostamenti superficiali. Data l'elevata sensibilità l'I.O. è adatta al rilievo degli spostamenti in campo elastico. In campo plastico l'analisi è limitata dal massimo numero di frange osservabili (a condizione che la microstruttura rimanga inalterata).

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1.5.4 Materiali esaminabili Non esistono particolari limitazioni sui materiali e sulla loro finitura. E' opportuno l'uso di

una vernice bianca opaca sul componente da analizzare. 1.5.5 Altre caratteristiche

L'interferometria olografica è una tecnica a campo intero tipica da laboratorio. Non mancano tuttavia le applicazioni in ambiente industriale specialmente nel campo dei controlli non distruttivi. La stabilità meccanica deve essere elevata essendo consentiti spostamenti spuri piccoli rispetto alla lunghezza d'onda della luce impiegata La sensibilità tipica (spostamento/ordine di frangia) è dell'ordine di 0,5μm.

All'interferometria olografica sono applicabili, in fase di ricostruzione, svariati metodi di elaborazione automatica. Tra i metodi proposti si citano: 1) il metodo della trasformata di Fourier; 2) il metodo a variazione di fase. Lo sviluppo dell’olografia digitale /1.5.13/, che si basa sulla registrazione digitale dell’ologramma su di un CCD (Charged Coupled Device) e sulla successiva ricostruzione numerica, consente di evitare il lento procedimento fotografico.

1.6. I METODI SPECKLE 1.6.1 Principio

L'effetto speckle si manifesta quando una superficie diffondente viene illuminata con una sorgente di luce coerente. In tali condizione la superficie illuminata appare granulosa (Fig.1.6.1). Tale granulosità, che è dovuta all' interferenza della luce diffusa dall'oggetto, viene appunto denominata con il termine anglosassone speckle.

Tale effetto è stato utilizzato per l'analisi dei campi di spostamento a partire dagli anni '70. /1.6.1-1.6.4/.

Fig.1.6.1 – “Speckle” ( ingrandimento): granulosità caratteristica della illuminazione in luce coerente

1.6.2 Tipo di informazione sperimentale e relazioni caratteristiche

In generale i metodi speckle sono adatti, a secondo del tipo, al rilievo degli spostamenti e delle rotazioni. Si citano in particolare i seguenti metodi: 1. la fotografia speckle (Fig.1.6.2) adatta alla misura di spostamenti nel piano; 2. l'interferometria speckle (Fig. 1.6.3) adatta alla misura gli spostamenti nel piano o fuori dal piano in dipendenza della disposizione sperimentale adottata. 3. l'interferometria speckle tipo "shearing" adatta alla misura delle componenti ϕx e ϕy della rotazione.

La fotografia speckle, che nella versione più semplice consente un'analisi per punti, è adatta alla misura degli spostamenti nel piano. Il componente, illuminato in luce coerente,

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Metodi della meccanica sperimentale

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viene fotografato due volte, prima e dopo l'applicazione del carico. Lo spostamento nel piano subito dal generico punto P deve essere sufficientemente grande rispetto alle dimensioni degli speckle. La coppia di speckle relativi allo stesso punto dell'oggetto fornisce lo spostamento che, nel metodo per punti, viene evidenziato dalle frange di Young che si ottengono illuminando il fotogramma (specklegramma) con il fascio laser (fig.1.6.2).

(a) (b) Fig.1.6.2 - Fotografia speckle. (a) Registrazione sullo stesso fotogramma delle immagini del

provino indeformato e deformato, (b) osservazione: le frange di Young (F) ottenute illuminando il fotogramma (specklegramma S) consentono di determinare lo spostamento in

modulo e direzione. L'interferometria speckle utilizza la variazione di fase subita dagli speckle nel passare dalla

configurazione indeformata a quella deformata. In tal caso lo spostamento da analizzare deve essere piccolo rispetto alla dimensione degli speckle.

Tale tecnica consente sia l'analisi degli spostamenti nel piano impiegando due fasci di illuminazione simmetrici (fig.1.6.3a), sia l'analisi degli spostamenti fuori del piano utilizzando un fascio di riferimento (fig. 1.6.3b). In questo ultimo caso l'angolo θ deve essere piccolo per rendere trascurabile la sensibilità alla componente di spostamento nel piano. Le componenti dello spostamento nel piano u e fuori del piano w risultano rispettivamente:

u n w n= =+

λθ

λθ2 1sin

,cos

(1.6.1)-(1.6.2)

dove n è l'ordine di frangia, λ è la lunghezza d'onda della luce e θ è l'angolo di incidenza del campo oggetto.

(a) (b) Fig.1.6.3 Interferometria speckle: (a) disposizione a due fasci di illuminazione simmetrici per

la misura delle componenti dello spostamento nel piano, (b) disposizione con fascio di riferimento per la misura della componente di spostamento fuori dal piano.

(C=camera, Eo=campo oggetto, Er=campo di riferimento, Ss=semispecchio)

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1.6.3 Campi tensionali esaminabili Si ottiene il campo degli spostamenti nel piano o fuori dal piano in dipendenza delle

disposizioni sperimentali. L'entità dello spostamento misurabile è riportata nel paragrafo Altre caratteristiche. 1.6.4 Materiali esaminabili

Non esistono particolari limitazioni sui materiali e sulla loro finitura che non deve essere però speculare. E' opportuno l'uso di una vernice bianca opaca sul componente. 1.6.5 Altre caratteristiche

Le dimensioni degli speckle sono tali che l'acquisizione si può effettuare mediante una telecamera. Ciò ha dato un nuovo impulso alle tecniche speckle. Si tratta di tecniche da laboratorio con prospettive di impiego anche in ambiente industriale. Sono disponibili interferometri speckle commerciali. La sensibilità tipica (spostamento/ordine di frangia) dell'interferometria speckle è dell'ordine di 0,5μm con campo di misura di circa 15 μm. Per la fotografia speckle sensibilità e campo di misura sono rispettivamente dell'ordine di 5 e 50 μm.

All'interferometria speckle sono applicate ordinariamente le tecniche di acquisizione ed elaborazione automatica delle immagini.

1.7. METODI BASATI SULL'EFFETTO TERMOELASTICO 1.7.1 Principio

Questi metodi consentono di determinare la somma delle tensioni principali attraverso la misura della variazione di temperatura che accompagna la deformazione elastica adiabatica di un corpo (effetto termoelastico). L'effetto termoelastico (Weber 1830, Lord Kelvin 1853) è stato osservato anche mediante il rilievo dell'emissione nell'infrarosso (1967). I primi sistemi commerciali appaiono all'inizio degli anni 80. In aggiunta al riferimento generale /1.1.5/, si rimanda ai riferimenti specifici riportati in bibliografia /1.7.1, 1.7.2/.

1.7.2 Tipo di informazione sperimentale e relazioni caratteristiche

Sotto le condizioni di solido omogeneo e isotropo deformato in campo elastico lineare in condizioni adiabatiche la relazione tra variazione di temperatura ΔT e somma delle tensioni principali è (essendo nulla in superficie la tensione σ3):

)( 21 σσ +−=Δ KTT (1.7.1) essendo K la costante termoelastica e T la temperatura media assoluta del corpo. Gli attuali sistemi commerciali si basano sull'effetto termoelastico rilevato mediante termografia all'infrarosso. Caratteristiche peculiari di tali sistemi sono: (1) l'elevata risoluzione del sensore oggi (2008) a matrice di punti a differenza dell’unico sensore caratteristico del primo sistema commerciale (SPATE); (2) il carico ciclico al fine di rendere il processo adiabatico e di eliminare le variazioni spurie di temperatura attraverso la correlazione del segnale di misura con quello di carico.

1.7.3 Campi tensionali esaminabili

I metodi basati sull'effetto termoelastico sono metodi a campo intero ( anche se in alcuni sistemi l'acquisizione è effettuata per punti) che forniscono la somma delle tensioni principali in corrispondenza della superficie del componente sollecitato in campo elastico lineare. Sono state sviluppate applicazioni ai materiali compositi. Per ottenere le singole tensioni principali

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Metodi della meccanica sperimentale

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è possibile impiegare in taluni casi procedimenti, in genere numerici, di separazione delle tensioni.

1.7.4 Materiali esaminabili

E' applicabile a materiali omogenei ed isotropi (a parte le già citate applicazioni ai compositi) con comportamento elastico lineare. Non ci sono limitazioni particolari sulla finitura superficiale. E' opportuno l'uso di una vernice nera per migliorare l'emissione nell'infrarosso. 1.7.5 Altre caratteristiche

Si tratta di una tecnica potenzialmente destinata all'impiego in ambiente industriale, anche se attualmente è principalmente usata in laboratorio. I sistemi che usano un unico sensore, oggi (2008) non più prodotti, hanno un tempo di acquisizione piuttosto elevato (anche di ore). La risoluzione è, come per la fotoelasticità e l'estensimetria, elevata (5 μm/m). Il costo delle apparecchiature è elevato.

1.8. ALTRI METODI 1.8.1. Le vernici fragili

Il metodo delle vernici fragili (note anche come lacche fragili o tensovernici) si basa sull'impiego di una speciale vernice che si frattura quando la deformazione supera un certo valore limite. Dall'esame delle fratture si ricavano le isostatiche e le isoentatiche (luogo degli estremi delle fratture). Dalle isoentatiche è possibile risalire alle tensioni principali.

La tensione principale ortogonale alla linea di frattura si determina mediante la cosiddetta "formula elementare" che in prima approssimazione si applica anche in presenza di campi bidimensionali:

σ ε= E o (1.8.1) dove σ è la tensione (nel componente) ortogonale alle linee di frattura, E è il modulo di Young del componente, εo è la deformazione limite della vernice (sensibilità alla deformazione) che si determina mediante taratura. Tale deformazione limite è piuttosto elevata assumendo valori compresi in genere tra 500 e 800 μm/m.

Si tratta di un metodo semiquantitativo, oggi (2008) poco usato, impiegato di solito per determinare direttamente sui componenti le zone più sollecitate da analizzare successivamente con altri metodi, per esempio mediante estensimetri elettrici a resistenza. Il metodo, introdotto in Germania a metà degli anni 20 (Sauerwald e Wieland- 1925, Dietrich e Lehr - 1932), si è sviluppato , come l'estensimetria, partire dalla fine degli anni '30. (De Forest - 1939). In aggiunta al riferimento specifico /1.8.1/, si rimanda ai riferimenti generali ed in particolare al rif. /1.1.2/.

1.8.2. La tensiometria mediante raggi X

La tensiometria mediante raggi X - introdotta nel 1925- si basa sul fatto che: (1) la distanza tra due piani reticolari contigui di un materiale cristallino varia con lo stato di tensione; (2) tale distanza può essere misurata mediante la diffrazione di un fascio di raggi X /1.1.5, 1.8.2/.

In particolare (Fig. 1.8.) dalla misura delle distanze d⊥ e dψ relative ai piani reticolari ortogonali rispettivamente all'asse z e alla direzione formante l'angolo ψ con l'asse z si ottiene:

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A. Ajovalasit – Estensimetri elettrici a resistenza: capitolo 1

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ε εψψ ψ− =

−≈

−⊥

⊥ ⊥

d dd

d ddo

(1.8.2)

essendo εψ ed ε⊥ le deformazioni nelle direzioni ψ e ⊥ (ortogonale alla superficie) e do è la distanza tra i piani reticolari in assenza di tensioni

La tensione σφ ,formante un angolo φ , con la direzione della tensione principale maggiore σ1 , risulta:

σν ψ

ε εφ ψ=+

− ⊥E

11

2sin( ) (1.8.3)

La tensiometria mediante raggi X viene di solito impiegata per l'analisi non distruttiva delle tensioni residue superficiali nei materiali policristallini. Il metodo ha la caratteristica peculiare di non richiedere un provino di riferimento esente cioè da tensioni residue non essendo necessaria [eq.(1.8.2)] la conoscenza di do. Il metodo è non distruttivo ma l'analisi è limitata alla superficie data la bassa penetrazione dei raggi X. Accoppiando la tecnica di rimozione degli strati e la tensiometria mediante raggi X è possibile effettuare misure di tensioni residue in profondità.

Su principio analogo si basa la tensiometria neutronica con la quale è possibile, grazie alla maggiore penetrazione, effettuare misure in profondità in modo non distruttivo.

Fig. 1.8.1 - Tensioni e deformazioni nell'intorno di un punto P.

1.8.3 Il metodo del reticolo

In tale metodo, molto antico, si misura la variazione di passo di un reticolo, opportunamente tracciata sul componente /1.1.2, 1.1.4/. Nella versione originale il metodo richiedeva la lenta misura, mediante un microscopio, dei passi prima e dopo l'applicazione del carico.

L'avvento dei metodi di acquisizione ed elaborazione automatica delle immagini ha dato nuovo impulso a tale tecnica che è particolarmente adatta alla misura di grandi deformazioni.

1.8.4. Il metodo delle caustiche

Il metodo delle caustiche /1.1.5/ si basa sulla deflessione subita dalla luce in corrispondenza di forti gradienti di deformazione. La conseguente ombra, che si forma su di uno schermo, fornisce una misura quantitativa dello stato di tensione. Il metodo, che è stato sviluppato a partire dal 1964, è adatto per il rilievo delle concentrazioni di tensione.

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Metodi della meccanica sperimentale

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1.8.5. Sensori a fibre ottiche Principio

I sensori a fibre ottiche sono adatti, tra l’altro, alla misura degli spostamenti e delle deformazioni. Il principio di misura si basa:

• sulla variazione dell’intensità della luce, o • sulla variazione della fase della luce, o • sulla variazione della lunghezza d’onda della luce,

che si verifica allorquando la struttura viene deformata. Cenni sui vari tipi di sensori di deformazione

I sensori a modulazione di intensità manifestano una modulazione dell’intensità luminosa che è funzione della deformazione. Sensori tipici a modulazione di fase sono i sensori del tipo Fabry- Perot nei quali sono presenti, all’interno della fibra, due semispecchi separati da vetro cioè dalla stessa fibra (Fabry -Perot intrinseco) o da aria (Fabry – Perot estrinseco). Sensori tipici a modulazione di lunghezza d’onda sono quelli basati sull’impiego di un reticolo di Bragg che presentano al loro interno un reticolo costituito da una variazione periodica dell’indice di rifrazione della fibra. La lunghezza d’onda della luce, trasmessa e riflessa, dipende dal passo del reticolo e quindi dalla deformazione applicata alla fibra.

I sensori a fibre ottiche, che si sono sviluppati a partire dalla fine degli anni 70, hanno una serie di caratteristiche positive quali l’insensibilità ai disturbi elettrici e la possibilità di impiego in ambiente esplosivo. Per l’approfondimento si rimanda alla bibliografia /1.1.4-5, 1.8.3-5/.

1.9 ESTENSIMETRIA Mediante gli estensimetri si misura la deformazione media ε nell'intorno di un punto P in una direzione assegnata θ (Fig.1.9.1):

ε =−l ll

o

o

(1.9.1)

dove lo è la base di misura dell'estensimetro, cioè la distanza della quale si misura la variazione di lunghezza Δl=l – lo. La deformazione è una grandezza adimensionale (m/m). Dato che le variazioni di lunghezza sono piccole si usa uno dei seguenti sottomultipli: μm/m, (1μm/m=10-6 m/m) - mm/m, (1mm/m=10-3 m/m) - cm/m, (1 cm/m=10-2 m/m).

Ad esempio, nel caso di un provino di acciaio soggetto ad una tensione di 200 N/mm2 la corrispondente deformazione assiale ε è dell’ordine di 1000 μm/m. Di conseguenza l’allungamento da misurare su una base di misura lo =10 mm risulta: mm 0,01 m 10)1000/10)(1000( ====Δ με oll (1.9.2) Tale allungamento si riduce di un ordine di grandezza (0,001 mm) se la deformazione da misurare è di 100 μm/m. Se si vuole uno strumento con una risoluzione di 10 μm/m l’allungamento da misurare è Δl =0,0001 mm =0,1 μm. Nota: gli strumenti di misura utilizzati con gli estensimetri elettrici a resistenza consentono di misurare deformazioni dell’ordine di 1 μm/m.

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A. Ajovalasit – Estensimetri elettrici a resistenza: capitolo 1

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Fig.1.9.1.a-b - Misura della deformazione nell'intorno del punto P nella direzione θ : (a)

struttura scarica, (b) struttura carica. (lo= base di misura, Δl = l - lo allungamento dovuto alle forze applicate)

1.9.1 Estensimetri elettrici a resistenza Principio

Gli estensimetri elettrici a resistenza si basano sulla misura della variazione di resistenza subita da un conduttore sottoposto a deformazione. Molto ampia è la letteratura tecnica sugli estensimetri. Nella bibliografia si riportano riferimenti di carattere generale relativi a libri /1.9.1-1.9.14/, riviste /1.9.15-1.9.23/, atti di convegni /1.9.24-1.9.28/, norme tecniche /1.9.29-1.9.47/, siti web /1.9.48-1.9.53/.

Tipo di informazione sperimentale e relazioni caratteristiche L'estensimetro elettrico a resistenza (ER) consente di determinare la deformazione ε attraverso la misura della variazione di resistenza elettrica subita dalla griglia dell'ER installato sul componente da analizzare mediante la relazione:

ε =1K

RRo

Δ (1.9.3)

dove K è il fattore di taratura dell'ER, Ro e ΔR indicano rispettivamente la resistenza iniziale e la variazione di resistenza dell’ER installato.

Usualmente la variazione di resistenza dell'ER viene misurata mediante il ponte di Wheatstone (Fig. 1.9.2).

Fig. 1.9.2 - Schema del ponte di Wheatstone a deviazione.

Campi tensionali esaminabili

Si tratta di un metodo per punti adatto alla misura di deformazioni elastiche e plastiche su qualsiasi materiale. Con la tecnica degli estensimetri inglobati - applicabile a modelli in resina, ai laminati compositi ed al calcestruzzo - è possibile l'analisi di campi tridimensionali di tensione.

In genere la misura delle deformazioni nell'intorno di un punto P non si effettua mediante estensimetri singoli disposti secondo le direzioni assegnate, ma mediante le rosette estensimetriche.

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Metodi della meccanica sperimentale

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La rosetta estensimetrica è l'insieme di più griglie estensimetriche, elettricamente indipendenti, disposte su di un unico supporto ed opportunamente orientate tra di loro.

Materiali esaminabili

Gli estensimetri elettrici a resistenza sono in pratica applicabili a qualsiasi materiale. E' solo richiesta una preparazione della superficie in corrispondenza della zona dove viene installato l'estensimetro.

Altre caratteristiche

Si tratta di un metodo per punti adatto alla misura di deformazioni anche alle basse ed alte temperature. La risoluzione tipica è di 1 μm/m mentre il campo di misura è compreso, a secondo del tipo di estensimetro, tra 5.000 e 50.000 μm/m (fino a 200.000 μm/m con ER speciali) .

L'estensimetria mediante ER è il metodo di AST più diffuso grazie ad una serie di vantaggi quali: (1) il basso costo; (2) l'elevata risoluzione; (3) l'ampio campo di misura; (4) la vasta disponibilità di basi di misura; (5) la possibilità di operare in cantiere ed in ambiente ostile; (6) la possibilità di acquisire ed elaborare in modo automatico i risultati. 1.9.2 Storia dell’estensimetria 1.9.2.1 Estensimetri meccanici e ottici Gli estensimetri, ed in particolare quelli meccanici, consentono di misurare le deformazioni nei componenti sollecitati da forze. Spesso si usa la distinzione tra: estensimetro (strain gauge) = trasduttore utilizzato per misurare le deformazioni locali in un componente di forma qualsiasi; estensometro (extensometer) = particolare tipo di estensimetro adatto principalmente a misurare la deformazione media di un provino, per esempio il tipico provino cilindrico utilizzato nelle prove di trazione. In un estensimetro meccanico sono presenti in genere:

1. due coltelli (o due afferragi), disposti su di un’apposita incastellatura ad una distanza prefissata che costituisce la base di misura dell’estensimetro. Lo spostamento del coltello mobile rispetto al coltello fisso consente di determinare la deformazione;

2. il trasduttore di misura, che trasforma lo spostamento tra i coltelli in un segnale amplificato;

Gli allungamenti da misurare, in campo elastico sui materiali metallici, sono molto piccoli. Bisogna quindi ricorrere all’amplificazione per mezzo di viti micrometriche, leve e sistemi di leve (meccaniche o ottiche), ingranaggi e altri sistemi. Nel seguito si riporta la descrizione di alcuni estensimetri di tipo meccanico e ottico (spesso senza distinguere tra estensimetro ed estensometro).

Estensimetri impieganti viti micrometriche Si tratta di estensimetri sviluppati nel periodo 1870-1890 utilizzati principalmente come estensometri. La figura 1.9.3 mostra lo schema di funzionamento di tali estensimetri. La figura 1.9.4 mostra, a titolo di esempio, l’estensimetro di Howard (1888) utilizzato per misure di deformazioni su componenti. Tale estensimetro, molto semplice, è costituito da due tubi

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A. Ajovalasit – Estensimetri elettrici a resistenza: capitolo 1

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P

P

P

P

( a ) ( b ) Figura 1.9.3 – Schema di funzionamento degli estensometri a vite micrometrica: (a)

estensometro con due viti micrometriche, (b) estensometro con una vite micrometrica. coassiali terminanti con punte coniche che si inseriscono in forellini praticati nel componente da studiare. Lo spostamento relativo tra i due tubi è misurato utilizzando la vite micrometrica che assicurava una risoluzione di circa 2,5 μm e un’accuratezza di circa 5 μm. (Curiosità: si raccomandava l’impiego di due persone per una buona misura!).

(a) (b) Figura 1.9.4. - Estensimetro di Howard con vite micrometrica: (a) schema, (b) realizzazione

Estensimetri a leva singola Lo schema di tali estensimetri che si svilupparono a partire dal 1880 è riportato in figura 1.9.5. La scala graduata è solidale all’incastellatura; l’indice è solidale con il coltello mobile.

LL

Figura 1.9.5 – Schema degli estensimetri a leva meccanica semplice.

Sono riconoscibili i seguenti componenti caratteristici di un estensimetro meccanico: il coltello fisso, il coltello mobile, l’indice (trasduttore di misura) che trasforma lo spostamento

dei coltelli in un segnale amplificato.

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Metodi della meccanica sperimentale

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Estensimetri ad amplificazione mista Per aumentare l’amplificazione furono sviluppati estensometri ad amplificazione mista:

(a) leva e vite micrometrica, (b) leva e ingranaggi (comparatore) . Così nel 1910 fu presentato l’estensimetro di Berry (Figura 1.9.6) nel quale lo spostamento della leva solidale con il coltello mobile veniva misurato con una vite micrometrica.

(a) (b)

Figura 1.9.6 – Estensimetro di Berry (a)con vite micrometrica, (b) con comparatore

La vite micrometrica, nei modelli successivi, fu sostituita da un comparatore (fig 1.9.6-b). Estensimetri a leve multiple A tale categoria appartiene il noto estensimetro Huggenberger sviluppato intorno al 1935 e rimasto insuperato fino all’introduzione degli estensimetri elettrici a resistenza. La figura 1.9.7 mostra lo schema dell’estensimetro Huggenberger costruito in diversi (5) modelli, tre dei quali sono mostrati in figura 1.9.8. A secondo del modello la base di misura è compresa tra 5 e 25 mm, mentre il sistema di amplificazione consente un’amplificazione dello spostamento del coltello mobile compreso tra 300 e 2000.

Figura 1.9.7 – Schema dell’estensimetro Huggenberger a leve multiple

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Figura 1.9.8 – Vari modelli di estensimetro Huggenberger

(Nell’estensimetro di sinistra sono visibili sia i coltelli a e b , sia il dispositivo di fissaggio) Estensimetri ottici Gli estensimetri ottici sono analoghi agli estensimetri meccanici a leva, solo che in questo caso si utilizza una leva ottica. In tali estensimetri (Figura 1.9.10) è presente uno specchio solidale al coltello mobile (braccio meccanico della leva) che per effetto della deformazione ruota attorno alla cerniera. Lo specchio riflette un raggio luminoso (braccio ottico della leva) che per la legge della riflessione ruota di un angolo doppio dello specchio. Le leve ottiche consentono rapporti di amplificazione più elevati delle leve meccaniche. Con gli estensimetri ottici si ottengono altresì accuratezze elevate. Sono stati realizzati estensimetri ottici a uno, due e tre specchi.

Figura 1.9.10 – Principio di un estensimetro a specchio singolo

Uno dei primi estensometri ottici fu realizzato (1879) da Johann Bauschinger (1833-1893), primo direttore del laboratorio prova materiali dell’Istituto politecnico di Monaco in Germania. Si trattava di un estensometro avente la risoluzione di 1 μm/m e quindi adatto a determinare le caratteristiche elastiche dei materiali. Sempre in Germania A. Martens organizzò nel 1871 un laboratorio prova materiali presso il Politecnico di Berlino. Esempio tipico di estensometro a singolo specchio è appunto l’estensometro di Martens, che fino agli anni 50 era molto diffuso nei laboratori prova materiali. Con l’estensometro di Martens si hanno risoluzione e portata dell’ordine rispettivamente di 4 μm/m e 6000 μm/m (per la base di misura di 50 mm). Per ovviare ad alcuni inconvenienti dell’estensometro di Martens sono stati realizzati estensimetri a due e tre specchi.

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Metodi della meccanica sperimentale

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Esempio insuperato di estensimetro a tre riflessioni è quello di Tuckerman per la cui descrizione si rimanda alla bibliografia (/1.1.3/, pag. 245) sviluppato intorno al 1923. Con l’estensimetro di Tuckerman si hanno risoluzione e portata dell’ordine rispettivamente di 2 μm/m e 2500 μm/m (per la base di misura di 50 mm) con una precisione uguale allo 0,1% del fondo scala. Considerazioni sugli estensimetri meccanici e ottici Gli estensimetri meccanici e ottici avevano raggiunto negli anni 30 un notevole sviluppo. Essi però sono stati progressivamente soppiantati da quelli elettrici , basati soprattutto sull’impiego degli estensimetri elettrici a resistenza, che non presentano gli svantaggi tipici degli EM quali:

• rilievo limitato alle deformazioni statiche, • ingombro elevato, • elevate forze per il fissaggio dell’EM alla struttura, • basi di misura grandi, • impossibilità di effettuare l’acquisizione automatica.

In taluni casi si usano ancora oggi estensometri meccanici. Ad esempio la deformazione di flessione, imposta ai provini utilizzati per la determinazione del fattore di taratura K degli estensimetri elettrici a resistenza, può essere determinata in modo accurato misurando con un comparatore la freccia del provino di taratura (Figura 1.9.11).

Figura 1.9.11 – Misura della freccia con un comparatore per determinare, con precisione, la

deformazione di flessione 1.9.2.2 Estensimetri elettrici a resistenza

E’ noto che la resistenza elettrica dei materiali conduttori varia con la deformazione. Tale effetto è menzionato, con riferimento al rame, da Charles Wheatstone (1802-1875) nella stessa memoria (Wheatstone, 1843) nella quale fu descritto il celebre ponte, comunemente utilizzato anche oggi in estensimetria, il cui schema originario è riportato in figura 1.9.12. In tale figura si rilevano gli elementi caratteristici del ponte di Wheatstone:

• ZC è la diagonale di alimentazione dove veniva inserita la pila, • ab è la diagonale di misura dove veniva inserito il galvanometro, • cd ed ef sono i terminali utilizzati per inserire le resistenze da misurare, • Za e aC sono i terminali tra i quali venivano inserite le resistenze (sotto forma di fili)

di completamento del ponte. L’effetto della deformazione sulla resistenza elettrica fu ulteriormente investigato da William Thompson nel 1856 (1824-1905, Lord Kelvin dal 1882) che impiegò il ponte di Wheatstone per misurare le variazioni di resistenza (Thompson, 1856).

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A. Ajovalasit – Estensimetri elettrici a resistenza: capitolo 1

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Figura 1.9.12 – Schema originario (1843) del ponte di Wheatstone

La figura 1.9.13 –a mostra l’apparato sperimentale utilizzato da Lord Kelvin mentre la figura 1.9.13-b indica lo schema del ponte di misura. L’esperienza venne condotta sui due fili A e B rispettivamente di rame e di ferro inseriti su lati adiacenti del ponte, mentre gli altri due lati erano costituiti da filo di rame (lungo circa 7 metri). L’alimentazione avveniva attraverso una pila Daniell E inserita nella diagonale di alimentazione CD. La misura era effettuata mediante un galvanometro G. Inizialmente il ponte venne bilanciato scegliendo il punto O in modo da ottenere il bilanciamento iniziale del ponte. Successivamente venne aggiunto un ulteriore filo di rame (1 m) in parallelo con il primo (per problemi connessi alla sensibilità della misura). Caricando i fili con un peso P si rilevava uno sbilanciamento indicante che i due fili subivano differenti variazioni di resistenza elettrica.

(a) (b)

Figura 1.9.13 – Lord Kelvin (1856): (a) apparecchiatura utilizzata per determinare la

variazione di resistenza dovuta alla deformazione di un filo, (b) schema del ponte di misura della resistenza elettrica dei fili A e B.

Su tale effetto si basa il funzionamento degli estensimetri elettrici a resistenza introdotti alla fine degli anni ’30. Dalla misura della variazione di resistenza, mediante un ponte di Wheatstone, è quindi possibile risalire alla deformazione applicata all’estensimetro.

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Metodi della meccanica sperimentale

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Nel tratteggiare lo sviluppo storico degli ER si considerano nel seguito i seguenti tipi di estensimetri:

• estensimetri elettrici a resistenza non metallici del tipo non incollato, • estensimetri elettrici a resistenza non metallici incollati, • estensimetri elettrici a resistenza metallici del tipo non incollato, ed infine • estensimetri elettrici a resistenza metallici incollati.

Estensimetri elettrici a resistenza non metallici del tipo non incollato Si tratta di estensimetri a dischi di carbone sviluppati intorno al 1923 da B. McCollum e O.S. Peters. La figura 1.9.14 mostra il principio di funzionamento di tali estensimetri. Tra i due coltelli dell’estensimetro è sistemata una pila di dischi di carbone. La resistenza elettrica della pila varia con la pressione esercitata da un’asta solidale al coltello mobile. La resistenza è misurata inserendo la pila di carbone in un ramo del ponte di Wheatstone. La variazione di resistenza elettrica della pila in funzione della pressione è non lineare. Per ottenere una caratteristica all’incirca lineare si inserivano due pile, opportunamente soggette a spostamenti opposti, su lati adiacenti del ponte. Tale estensimetro, denominato telemetro elettrico, venne impiegato per la misura di deformazioni in cavi, strutture aeronautiche, ponti, etc.

Figura 1.9.14 – Principio di funzionamento dell’estensimetro non incollato a dischi di

carbone Estensimetri elettrici a resistenza non metallici incollati

Tali estensimetri sono costituiti essenzialmente da un sottile strato di grafite applicato sulla struttura da analizzare. Le particelle di grafite si allontanano in trazione e si avvicinano in compressione producendo una variazione di resistenza elettrica.

Inizialmente proposto in Germania (Auerbach, 1930) e negli Stati Uniti (Bloch, 1935) venne successivamente sviluppato sempre negli Stati Uniti (Kearns - Hamilton Standard Division - Aircraft Corporation) e in Germania (Theis – AEG, 1941) sotto forma di un sottile strato di grafite applicato su di un sopporto di plastica o di acciaio (AEG) che veniva incollato, come gli attuali ER, alla struttura da analizzare. La figura 1.9.15 mostra alcune tipologie di estensimetri non metallici a base di grafite .

(a) (b)

Figura 1.9.15- Estensimetri non metallici a grafite (Carbon strip gage): (a) schema

dell’estensimetro di Kearns (Hamilton Standard), (b) estensimetro AEG

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Gli estensimetri sviluppati dall’Hamilton Standard avevano una base di misura di 25 mm ed una larghezza di 6 mm con resistenza compresa tra 15.000 e 35.000 Ω. Gli estensimetri sviluppati dall’AEG avevano base di misura compresa tra 10 e 30 mm. Una caratteristica positiva degli estensimetri a carbone era l’elevato fattore di taratura, di un ordine di grandezza più grande di quello degli estensimetri metallici (20 - 50 contro il fattore 2 degli ER metallici in costantana), con il conseguente elevato rapporto segnale/rumore. Gli estensimetri a base di grafite erano però soggetti in modo significativo a varie grandezze di influenza quali la temperatura e l’umidità, di conseguenza erano applicabili principalmente per la misura di deformazioni dinamiche. Inoltre tali estensimetri erano caratterizzati da una elevata sensibilità trasversale (cioè sensibilità alla deformazione trasversale a quella da misurare) che poteva essere diminuita incollando l’estensimetro solo alle estremità. Negli Stati Uniti la Hamilton Corporation impiegò negli anni 30 con successo un numero elevato (30.000) di tali estensimetri in campo aeronautico, anche in volo. In particolare Kearns applico gli estensimetri a carbone all’analisi delle vibrazioni di palette di turbina per propulsori aeronautici. Per il suo lavoro pionieristico Charles Kearns ottenne una medaglia del Franklin Institute. Estensimetri elettrici a resistenza metallici del tipo non incollato A questa categoria appartiene l’estensimetro di Carlson, sviluppato sempre negli anni 30, utilizzato per misurare le deformazioni all’interno di grandi strutture in cemento (dighe, ponti, etc.). In questo estensimetro (Figura 1.9.16) il sensore è costituito da fili di acciaio pre-tesi sistemati in modo tale da subire allungamenti opposti sotto carico.

Figura 1.9.16 – Estensimetro a fili metallici non incollati (Carlson)

I fili, che subiscono allungamenti opposti, sono introdotti in lati adiacenti del ponte di Wheatstone. Di conseguenza la variazione di resistenza dipende solo dalla deformazione essendo compensato l’effetto della variazione di temperatura. Tale estensimetro presentava un’elevata affidabilità con una bassa incertezza (dell’ordine di 5 μm/m). Tale estensimetro venne brevettato negli Stati Uniti nel 1936 come Telemetric Device. Da notare che tale strumento poteva essere utilizzato anche per misurare la temperatura inserendo però i fili sullo stesso lato del ponte di Wheatstone in modo da eliminare l’influenza della deformazione. Estensimetri elettrici a resistenza metallici incollati Alla fine degli anni 30, precisamente al 1938, si fa risalire l’invenzione degli estensimetri elettrici a resistenza (ER) ad opera indipendente di due Americani: Edward E. Simmons (California Institute of Technology) e Arthur Claude Ruge del M.I.T. (Massachussetts Institute of Technology). Da allora gli ER si sono sviluppati rapidamente soppiantando gli

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Metodi della meccanica sperimentale

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altri tipi di estensimetri. La tabella 1.III mostra sinteticamente le diverse fasi dello sviluppo, che verranno descritte nel seguito.

Tabella 1.III – Principali fasi dello sviluppo degli estensimetri elettrici a resistenza Anno Oggetto Autori 1908 Misura della pressione all’interno di un recipiente dalla

variazione di resistenza di un filo avvolto attorno al recipiente (v. fig. 1.9.29)

St. Lindeck

1930 Estensimetri a carbone Auerbach, 1930 Bloch, 1935 Kearns, Theis

1936-1938 Realizzazione di un trasduttore, con filo di costantana incollato direttamente sull’elemento elastico

Simmons

1938

Realizzazione del primo estensimetro con filo incollato su di un supporto di carta

Ruge

? Estensimetri a filo autocompensati de Forest 1952 Estensimetri a lamina fotoincisa Eisler ? Estensimetri a lamina autocompensati W.T. Bean 1954 Scoperta dell’effetto piezoresistivo dei semiconduttori Smith 1954

Sensibilità alla deformazione degli strati sottili conduttori

Campbell (1954) Bray (1960)

1960 Commercializzazione degli estensimetri a semiconduttore

Il lavoro di Simmons Nle 1936 Simmons, graduate student in Ingegneria elettrica al California Institute of Technology, collaborava con i professori D.S. Clark e G. Datwyler che, presso il dipartimento di Ingegneria meccanica, stavano sviluppando un dinamometro al fine di strumentare un pendolo tipo Charpy (Figura 1.9.17). Inizialmente il dinamometro fu strumentato, con risultati deludenti, con estensimetri a carbone del tipo sviluppato da Kearns. Su suggerimento di Simmons, Datwyler incollò su di una barra di acciaio un sottile filo di costantana disposto a zig-zag.

Figura 1.9.17 - Schizzo del pendolo che per la prima volta venne strumentato con un

trasduttore realizzato con un filo di costantana incollato direttamente sull’elemento elastico

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A. Ajovalasit – Estensimetri elettrici a resistenza: capitolo 1

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I risultati furono incoraggianti e vennero descritti da Clark e Datwyler in una memoria presentata nel 1938 in un convegno ASTM ad Atlantic City. La figura 1.9.18 mostra uno schema del dinamometro così come successivamente brevettato da Simmons nel 1942.

Figura 1.9.18 – Simmons (1942) – Schema del dinamometro brevettato da Simmons: l’elemento sensibile è costituito dal filo incollato (19) visibile nelle Fig.2 e Fig.8 dello

schema. Il lavoro di Ruge Il Dr.A. Ruge , del Massachussetts Institute of Technology, lavorava alla progettazione di strutture resistenti ai terremoti (Figura 1.9.19). Anche lui trovava inadeguati gli estensimetri a carbone e pensò di incollare un sottile filo, formante delle anse (griglia), su di un foglietto di carta (supporto) che incollò su di una trave soggetta a flessione. Trovò che il nuovo trasduttore aveva una risposta lineare e che funzionava sia in trazione sia in compressione. La figura 1.9.20 mostra un esempio dei primi estensimetri e delle prime rosette prodotti da Ruge.

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Metodi della meccanica sperimentale

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Figura 1.9.19 – Il Dr. A. Ruge al lavoro

Da quanto detto appare che il vero inventore del moderno estensimetro elettrico a resistenza fu in effetti Ruge il quale concepì l’idea di incollare la griglia su di un supporto da incollare a sua volta sulla struttura.

(a) (b) Figura 1.9.20 – (a) Un esempio dei primi estensimetri prodotti da Ruge (a=griglia incollata al supporto di carta, b= terminali, c=supporto, d= protettivo (feltro ), barretta da rimuovere

dopo l’applicazione, (b) una delle prime rosette prodotte da Ruge La commercializzazione iniziale degli estensimetri All’inizio l’ER trovo difficoltà ad affermarsi dato che gli estensimetri meccanici ed ottici avevano raggiunto (1938) un elevato grado di sviluppo. Esso si presentava male rispetto ai blasonati estensimetri meccanici ed ottici (si pensi agli estensimetri Huggenberger e Tuckerman). Molti lo definirono come un insieme di “…. alcuni pollici di filo elettrico, carta da sigarette e collante casalingo…..” Ruge intuì le potenzialità del nuovo trasduttore e si rivolse alla Baldwin-Southwark per la commercializzazione. A tal fine Ruge richiese il brevetto. Ma la Baldwin, venuta a conoscenza del lavoro antecedente di Simmons che per primo aveva avuto l’idea ma che peraltro non si era più occupato dell’argomento, brigò –al fine di evitare rivendicazioni future- perché lo stesso Simmons chiedesse il brevetto cedendo i diritti alla stessa Baldwin. Così avvenne e nel 1942 Simmons ebbe riconosciuto il brevetto (Fig. 1.9.18) mentre la Baldwin commercializzava i primi estensimetri corrispondenti al prototipo di ….Ruge (Fig. 1.9.20-a). La domanda da parte dell’Industria, soprattutto aeronautica, fu elevata. Come

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A. Ajovalasit – Estensimetri elettrici a resistenza: capitolo 1

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spesso accade Simmons, che non si era più occupato di estensimetria, ebbe il brevetto e con esso fama e fortuna ricevendo anche la Franklin Institute Medal nel 1944. Iniziò così l’impetuoso sviluppo, non arrestato fino ai giorni attuali (2008), degli estensimetri elettrici a resistenza. NOTA – Il parere dell’Ufficio Brevetti del Massachussetts Institute of Technology Sempre a proposito del brevetto degli ER, Ruge inviava, in data 20 febbraio 1939, una comunicazione all’Ufficio Brevetti del M.I:T., che così rispondeva il 22 marzo dello stesso anno ‹‹…It appears that this work probably involves invention and that it comes within the category of our patent policy… . It is the general policy of the Committee, however, to pay attention primarily to matters which may prove to be of major importance and, while this development is interesting, the Committee does not feel that the commercial use is likely to be of major importance. … This leaves you free to treat the invention entirely as a personal matter›› Gli estensimetri a filo

Gli estensimetri a filo essenzialmente si svilupparono secondo il prototipo di Ruge. In tali estensimetri la griglia è costituita da un sottile filo (diametro compreso tra 15 μm e 25 μm) mentre la base di misura minima è di circa 3 mm. La griglia in genere è continua con raccordi semicircolari (Fig.1.9.21-a, b). Sono stati anche realizzati estensimetri con griglia a spirale (Fig. 1.9.21-c), a zig-zag (Fig. 1.9.21-d) e infine con griglia a tratti con raccordi retti di filo più grosso (Fig.1.9.22) al fine di ridurre la sensibilità trasversale. Tale ultimo tipo di griglia fu proposto da Gustafsson in Svezia nel 1946 e commercializzato dalla Società svizzera Huggenberger con la denominazione di estensimetro Tepic (tenso-pickup).

(a) (b) (c) (d)

Fig.1.9.21 - Vari tipi di ER a filo: (a)-(b) griglia a filo continuo, (c) griglia avvolta, (d) griglia a zig-zag.

Fig. 1.9.22 - Estensimetro Gustafsson -Huggenberger (Tepic) con griglia a tratti

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Gli estensimetri a lamina fotoincisa Negli estensimetri a lamina la griglia è costituita da una lamina (Figura 1.9.23), avente spessore di circa 5 μm, che viene sagomata mediante un procedimento di fotoincisione (talvolta mediante tranciatura).

Figura 1.9.23 – Tipico estensimetro a lamina fotoincisa

Gli estensimetri a lamina fotoincisa compaiono negli anni 50, prodotti in Inghilterra su di un brevetto di Eisler del 1952, brevetto successivamente esteso agli USA nel 1959. La figura 1.9.24 e 1.9.25 mostrano alcuni tipi di ER fotoincisi.

(a) (b) (c)

(d)

Figura 1.9.24 – Vari tipi di estensimetri fotoincisi: (a) ER a quattro griglie per trasduttori di pressione, (b)-(c) ER a griglia singola, (d) ER a base lunga (150 mm) per misure su

calcestruzzo (riproduzione per gentile concessione di HBM Italia)

Successivamente, a seguito dei lavori di W.T. Bean, si svilupparono gli estensimetri autocompensati ottenuti sottoponendo la lega estensimetrica ad opportuni trattamenti termici.

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A. Ajovalasit – Estensimetri elettrici a resistenza: capitolo 1

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(a) (b) (c)

Figura 1.9.25- Vari tipi di estensimetri fotoincisi: (a), (c) rosette a due griglie, (b) ER a griglia singola (riproduzione per gentile concessione di Vishay Intertechnology)

Gli estensimetri a semiconduttore Gli estensimetri a semiconduttore si basano sulla scoperta dell’effetto piezoresistivo nei semiconduttori ad opera di Smith nel 1954. Ulteriori sviluppi si trasduttori a semiconduttore si devono a Mason e Thurston nel 1957 fino ad arrivare alla commercializzazione di tali estensimetri nel 1960. Estensimetri a strato sottile Tali estensimetri sono costituiti da un sottile strato di materiale conduttore depositato per vaporizzazione sotto vuoto. Tale effetto , iniziando da Campbell nel 1954, è stato studiato da diversi ricercatori trai quali l’italiano Bray. Il campo di applicazione riguarda la produzione dei trasduttori (1.9.11, pag. 9). Gli estensimetri elettrici a resistenza in Italia L’introduzione degli ER in Italia è descritta dal professore Anthos Bray (1988) [1.9.52] che, insieme ai Signori G. Artusio e G. Boano, può considerarsi uno dei pionieri italiani. Inizialmente presso i Laboratori Centrali di Ricerca della Fiat si utilizzavano gli estensimetri a carbone di Kearns prodotti dalla Hamilton Standard, successivamente il Signor Artusio, che lavorava presso i suddetti Laboratori, inizio la produzione, all’interno della Fiat stessa, di estensimetri a filo del tipo a griglia elicoidale prima e a zig-zag dopo. Infine il Sig. Boano, recependo anche l’esperienza del Sig. Artusio inizio un’attività indipendente (Figura 1.9.26). A livello dell’attività di ricerca ed applicativa si deve menzionare Anthos Bray , per lungo tempo Direttore dell’Istituto di Metrologia “G. Colonnetti” del CNR (Torino), che ha svolto un’intensa attività nel campo dell’Estensimetria e più in generale della Meccanica Sperimentale a livello nazionale ed internazionale. Si deve altresì menzionare l’attività di normativa svolta a partire dal 1976 dal Gruppo di lavoro “Estensimetria” dall’AIAS (Associazione Italiana per l’Analisi delle Sollecitazioni). I documenti prodotti da tale Gruppo sono stati la base per la stesura delle successive Norme CNR /1.9.37-1.9.39/ e UNI (1.9.47) sugli estensimetri elettrici a resistenza.

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Metodi della meccanica sperimentale

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Figura 1.9.26 - Catalogo di ER della Ditta G. Boano. (figura tratta dal rif. [1.9.52])

Uno sguardo all’estensimetria attuale Gli estensimetri elettrici a resistenza costituiscono il metodo attualmente (2008) più diffuso per:

• l’analisi sperimentale delle tensioni in componenti, macchine e strutture nelle diverse fasi della vita del prodotto: dalla progettazione, alla produzione, al collaudo e al controllo in esercizio;

• la caratterizzazione meccanica dei materiali; • la costruzione di componenti sensorizzati [meccatronica, robotica, materiali

intelligenti (smart materials)]; • la costruzione di vari tipi di trasduttori.

L’uso di estensimetri avviene oggi su larga scala. Ad esempio per le prove statiche sul Boeing 767 sono stati impiegati 2204 estensimetri a griglia singola e 1162 rosette estensimetriche. In Giappone nel 1987 sono stati utilizzati 4,4 milioni di estensimetri di cui 3,8 milioni per l’analisi sperimentale delle tensioni e per la caratterizzazione dei materiali e 0,6 milioni per la costruzione di trasduttori (In Giappone , sempre nel 1987, il costo unitario di un ER fotoinciso era equivalente a quello di 10 uova). Analisi sperimentale delle tensioni. Gli estensimetri sono applicabili su qualsiasi struttura in qualsiasi materiale: isotropo o anisotropo, omogeneo o disomogeneo (per es.: calcestruzzo). Essi operano in qualsiasi ambiente: dalle basse alle alte temperature, dal vuoto (sonde spaziali strumentate con ER per misurare la forza di impatto) alle alte pressioni, in presenza di umidità e di liquidi, in presenza di campi magnetici e di radiazioni ionizzanti. Gli ER inoltre sono utilizzati: per misure statiche e dinamiche (cicliche per prove di fatica e impulsive), su organi in movimento, per la misura di piccole deformazioni (risoluzione 1 μm/m) e grandi deformazioni (fino a 200.000 μm/m). Caratterizzazione meccanica dei materiali. In molti casi, in alternativa all’impiego degli estensometri, si preferisce strumentare direttamente con ER i provini del materiale da

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caratterizare al fine di determinarne le caratteristiche meccaniche (esempio modulo di Young e coefficiente di Poisson) e fisiche (es. coefficiente di dilatazione termica lineare). La costruzione di componenti sensorizzati. Lo sviluppo della meccatronica, della robotica e dei materiali intelligenti si avvale spesso di componenti strumentati con estensimetri elettrici a resistenza. A titolo di esempio la figura 1.9.27 mostra un manipolatore robotico strumentato con ER per il controllo della presa. Anche gli elettrodomestici si avvalgono spesso degli ER, ad esempio alcuni modelli evoluti (“intelligenti”) di fornetti a microonde si avvalgono di ER per la determinazione automatica del peso del cibo da cuocere.

Figura 1.9.27 – Manipolatore robotico strumentato con ER per il controllo della presa La costruzione di trasduttori. Gli estensimetri trovano largo impiego in Meccanica sperimentale non solo per l'analisi delle deformazioni ma anche nella realizzazione di trasduttori per la misura di numerose grandezze meccaniche (Fig. 1.9.28).

Fig. 1.9.28 - Impiego degli estensimetri elettrici a resistenza nella costruzione dei trasduttori.

Grandezze in ingresso: ε = deformazione, P=forza, Mt= momento torcente, p=pressione, u=spostamento, a= accelerazione.Grandezza in uscita: E= tensione di

misura (in genere di un ponte alimentato con tensione V)

Probabilmente la prima applicazione della variazione di resistenza del filo per la misura della pressione in un recipiente risale al 1908 quando il Dr. St. Lindeck di Charlottenburg in Germania propose di misurare la pressione all’interno di un recipiente dalla variazione di

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Metodi della meccanica sperimentale

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resistenza di un filo avvolto attorno al recipiente . Utilizzando tale principio Simmons ottenne nel 1944 un brevetto per un trasduttore di pressione (Fig. 1.9.29). Oggi i trasduttori di pressione usano in genere speciali ER (Figura 1.9.24-a) applicati su di una lamina circolare soggetta sulla faccia opposta alla pressione da misurare.

Figura 1.9.29 - Trasduttore di pressione brevettato da Simmons nel 1944

Parimente i moderni estensometri si basano sull’impiego quasi esclusivo di estensimetri elettrici a resistenza. La figura 1.9.30 mostra un estensometro in cui il coltello mobile è costituito da un elemento strumentato con estensimetri elettrici a resistenza.

Figura 1.9.30 – Estensometro strumentato con estensimetri elettrici a resistenza Il coltello mobile è costituito da una trave la cui deformazione in prossimità dell’incastro è

misurata con ER (riproduzione per gentile concessione di HBM Italia)

Anche i trasduttori di forza /1.1.7/ basati sull’impiego degli ER (celle di carico) hanno completamento soppiantato i tradizionali sistemi di misura delle forze in tutti i campi: dalle macchine prova materiali ai sistemi di pesatura industriali e alle comuni bilance commerciali. Le celle di carico sono oggi disponibili in un’ampia gamma di portate e di precisione: una nota Ditta produttrice di celle di carico presenta un’offerta di celle con portate da 0,05 N a 10 MN e con classe di precisione da 0,03 a 0,5. L’elevata precisione oggi raggiunta consente di utilizzare le celle di carico strumentate con ER, oltre che negli impianti di pesatura e nelle bilance come detto prima, anche nei laboratori metrologici come campioni di riferimento per la taratura delle macchine prova materiali e per la verifica dei campioni di forza di portata elevata /1.1.3/.

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1.10 Simboli principali, abbreviazioni e definizioni K fattore di taratura dell'estensimetro Kl fattore di taratura longitudinale Kt fattore di taratura trasversale lo base di misura dell'estensimetro N resistenza a fatica dell'estensimetro P'e densità di potenza ammissibile nella griglia dell'estensimetro Re resistenza elettrica dell'estensimetro non installato Ri resistenza di isolamento Ro resistenza elettrica dell'estensimetro installato non sottoposto a sforzo St sensibilità trasversale βe coefficiente di temperatura dell'insieme corpo-ER βk coefficiente di temperatura del fattore di taratura Δεc scorrimento dell'estensimetro Δεo deriva dell'estensimetro εa deformazione termica apparente (risposta termica) dell'estensimetro εac deformazione termica apparente dei cavi εim isteresi meccanica dell'estensimetro ε l deformazione limite dell'estensimetro ε ε1 2, deformazioni principali (materiali isotropi) ε ε γ1 2 12, , deformazioni riferite agli assi principali del materiale (materiali ortotropi) ε εp q, deformazioni principali (quando i simboli ε ε1 2, sono usati per i materiali ortotropi) σ σ1 2, tensioni principali (materiali isotropi) σ σ τ1 2 12, , tensioni riferite agli assi principali del materiale (materiali ortotropi) σ σp q, tensioni principali (quando i simboli σ σ1 2, sono usati per i materiali ortotropi) AST analisi sperimentale delle tensioni CCT (STC) coefficiente di compensazione termica nominale (Self-compensation

Temperature Coefficient) DIC Digital Image Correlation EM estensimetro meccanico ER estensimetro elettrico a resistenza ES estensimetro elettrico a semiconduttore HNDT holographic non destructive testing IO interferometria olografica SPATE Stress Pattern Analysis by Thermal Emission Isoclina luogo dei punti nei quali è costante l’orientamento delle tensioni principali Isocromatica luogo dei punti nei quali è costante la differenza delle tensioni principali Isoentatica luogo degli estremi delle fratture (tecnica delle vernici fragili) Isopaca luogo dei punti nei quali è costante la somma delle tensioni principali Isostatica traiettoria di una tensione principale Isotetica luogo dei punti nei quali è costante una componente di spostamento