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Presentazione

Quando arriva il momento in cui si capisce di essere innamorati? Per alcuni, mai. Per altri, troppotardi, l’attimo successivo alla fine di una storia. Per i più fortunati, invece, è come una rivelazioneimprovvisa, provocata da uno sguardo, da un gesto premuroso, da una frase sussurrata all’orecchio.Per Molly, la rivelazione è arrivata grazie a un bacio: quello che, tanto tempo fa, Ryan Cooper le hadato in mezzo a una pista da ballo. È stato quel bacio incerto a farle intuire che, dietro la corazza daspaccone arrogante, si celava un ragazzo vulnerabile e generoso. Eppure Molly ha dovuto attendere il«vero bacio» – quello che lui le ha dato mentre erano in vacanza a Ibiza – per convincersi di avertrovato la sua anima gemella. Fino ad allora, aveva temuto che, prima o poi, le loro differenze liavrebbero divisi: lei voleva vivere a Londra, Ryan fuori città; a lei piaceva trascorrere i weekend tramusei e mostre d’arte, a lui in compagnia degli amici allo stadio e al pub. Nonostante leincomprensioni, però, nei loro cuori aveva ormai messo radici un amore profondo, sincero, assoluto.Un amore suggellato dal «bacio del finché morte non vi separi»...

Adesso, cinque anni dopo il matrimonio, Molly sta cercando un modo per andare avanti senzaRyan. Ma non è possibile se nella sua mente si affollano i ricordi di tutti i baci che si sono scambiatie, soprattutto, dei tanti che si sono negati. E, mentre chiude gli scatoloni per il trasloco, Mollycontinua a chiedersi cosa avrebbe fatto di diverso se avesse saputo che quel bacio rubato sullaspiaggia di Ibiza sarebbe stato il primo degli ultimi baci e l’inizio di un lungo, meraviglioso addio;se già allora si fosse resa conto che sarebbe arrivato il giorno in cui, di baci, a lei Ryan non neavrebbe dati più...

Ali Harris è nata e cresciuta nel Norfolk. A diciotto anni si è trasferita a Londra per frequentarel’università e per inseguire il suo sogno di diventare scrittrice. Ha lavorato per anni come giornalistafree lance per diverse riviste, tra cui «Elle», «Stylist», «Red» e «Cosmopolitan». Tuttavia la suavera passione è sempre stata la narrativa, cui ora si dedica a tempo pieno. Attualmente vive aCambridge con il marito e i due figli. «Il primo ultimo bacio» è il suo primo romanzo pubblicato inItalia.

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@EditriceNord

Titolo originaleThe First Last Kiss

ISBN 978-88-429-2482-1

Traduzione diClaudia Lionetti

La traduzione della poesia The Three Best Things

di Harry Van Dyke è di Alessandro Storti

Copyright © Ali Harris, 2012

© 2014 Casa Editrice Nord s.u.r.l.Gruppo editoriale Mauri Spagnol

Prima edizione digitale 2014

Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

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IL PRIMO ULTIMO BACIO

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A tutti coloro che hanno amato, perso e amato di nuovo

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Tu dammi mille baci, e quindi cento,poi dammene altri mille, e quindi cento,

quindi mille continui, e quindi cento.E quando poi saranno mille e millenasconderemo il loro vero numero,

che non getti il malocchio l’invidiosoper un numero di baci così alto.

Catullo, Carme 5

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5 gennaio 2012, ore 6:11

Non esiste risveglio più dolce di un bacio. Purtroppo per me, stamattina – l’ultima che trascorrerò in questa casa – asvegliarmi non è un innamorato che mi sfiora con le labbra, bensì un gatto un po’ cicciotto che mi conficca gli artigli nel pettofacendo le fusa.

«’Giorno, Harry», mormoro coccolandolo sotto il mento. Giro la testa dall’altra parte ma, al posto di un bell’uomo, sotto lecoperte trovo sprofondati solo i due pacchetti di biscotti – vuoti ovviamente – che mi sono sbafata ieri sera. «Caro mio, oggiè il gran giorno.»

Harry si lecca ansioso le zampe, l’andirivieni di questi ultimi giorni l’ha scombussolato e spaventato.«Ma dai, non essere stupido. Lo sai che non me ne vado da nessuna parte senza di te e tua sorella.» Gli do un bacio sul

naso, poi lo metto giù e mi alzo.Il pavimento è ingombro di scatole e scatoloni, e di nuovo mi sorprendo a constatare quanto sia semplice impacchettare

tutta una vita in un lampo. Che brutta sensazione di labilità. Ci affanniamo a circondarci di oggetti che ci facciano sentire acasa, oggetti cui diamo tantissima importanza e cui affidiamo il compito di confortarci e custodire i nostri ricordi ma che, inrealtà, sono perlopiù usa e getta. Per dirla tutta, la cernita obbligata si è rivelata un’inaspettata catarsi.

Adesso però basta pensare, un bel respiro profondo e cerchiamo di capire da dove iniziare. Il riscaldamento non si èancora acceso e fa troppo freddo per una doccia. Ho una gran voglia di una bella tazzona di tè bollente. E poi mi sonorimaste le ultime cose da inscatolare prima che arrivi il furgone dei traslochi. Mi sto occupando di tutto da sola e ammettoche per questo una parte di me è risentita; d’altro canto oggi ogni cosa deve filare precisa come un orologio svizzero, il che– e questo ogni donna lo sa bene – significa pensarci di persona. Esito per qualche istante, ma poi sorrido: santi numi,sembro mia madre! L’adolescente che c’è in me ne sarebbe schifata.

Fuori, il mondo è avvolto da una coltre scura. Indosso la vestaglia con un brivido, e un altro mi percorre la schiena quandolo sguardo cade sullo specchio appoggiato al muro, in attesa anch’esso di qualche giro di pluriball: maglietta, fuseaux e unpaio di Ugg... che spettacolo! Per non parlare degli occhi gonfi e cerchiati, del colorito grigiastro dovuto al poco sonno e,ciliegina sulla torta, dello sfogo che mi ricopre il viso.

Esito sulla porta e torno indietro a prendere la custodia del DVD che stavo guardando ieri sera e che è rimasta sopra iltelevisore che c’è in un angolo della camera. Me la infilo sotto il braccio, afferro un pacchetto di biscotti abbandonato apertoin giro e scendo al piano di sotto. Il DVD l’ho trovato ieri pomeriggio per caso, in cima al contenuto di una scatola con suscritto MAGAZZINO e non ho saputo resistere. Ormai lo conosco a memoria, ma era da un po’ che non lo vedevo. Era il«nostro film». Ed è risaputo che, in periodi come questo, è meglio non riaprire le vecchie ferite.

Cammino avanti e indietro per il soggiorno, aggrappata alla tazza di tè, cercando disperatamente di non guardare iltelevisore che ammicca, messo in pausa sui titoli di testa, e di non cedere alla tentazione di premere PLAY. No, ho troppoda fare, non posso permettermi distrazioni!

Rammento ancora come fosse ieri il giorno in cui mi sono trasferita in questa casa. Come fosse ieri, eppure una vita fa.Avrebbe dovuto essere la casa dei miei sogni – grazie tante, Kristie Allsopp, che coi tuoi programmi sulle case perfette mihai fatto venire mille speranze fuori dal mondo, che ti venisse un colpo! –, il luogo dove mettere radici. In disparte, in unastradina così graziosa appena fuori dalla trafficata Broadway di Leigh-on-Sea, coi suoi bei locali e coi negozietti particolari, econ la meravigliosa vista sul mare che si gode dal balcone. L’edificio in sé era molto trascurato, inutile negarlo, ma proprioper questo pareva fatto apposta per «un progetto», la casa perfetta per una giovane coppia di sposini. E soprattutto per me,che da sempre la sognavo così. Ho amato ogni istante speso per renderla davvero nostra, passato a pitturare le pareti dellacamera di verde acqua di mare e appendere sul caminetto la stampa su tela di una fotografia che avevo scattato ai ciottolisulla spiaggia. Le settimane erano volate, tra chilometri di moquette da staccare e di parquet da levigare e riverniciare,caminetti originali da riportare all’antico splendore e pareti da ravvivare con colori esuberanti, e nelle orecchie i Take That apalla. E ogni sera, al crepuscolo, con la tempesta o col sereno, andavamo a fare una passeggiata sino al lungomare esedevamo sulla nostra panchina, rimuginavamo sulle rispettive giornate, parlavamo del passato e sognavamo del futuro.Ogni giorno ero più felice del precedente.

Basta così, mi avvicino al lettore DVD. Non lo fare, Molly. Saggia vocina interiore... ma una volta in più che male potràmai farmi? Mi aggrappo ancora più forte alla tazza di tè e premo PLAY. Ancora una volta e poi lo nascondo dietro la schieradi commedie romantiche che invadono gli scaffali del soggiorno. Anzi che li invadevano. Com’è spoglia ora la stanza, privatadi ogni tocco personale: niente cornici e cornicine piene di fotografie, basta cuscini sparsi ovunque, addio candele e cestadei gatti; i gingilli e i ricordi che l’avevano resa «casa» per tanto tempo sono finiti negli scatoloni. Bah, meglio tornare altelevisore!

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Tengo il volume basso, ma le voci altissime che intonano il brano d’apertura squarciano il silenzio. Abbasso ancora di piùe abbandono il telecomando sul bracciolo del divano, chiudendo gli occhi per concentrarmi sulle parole straordinarie. Chepelle d’oca! Non so perché, ma mi fa sempre venire voglia di strillare come un neonato. Una volta, quando ancora eroimpegnata anima e corpo nel rendere queste stanze una casa, ascoltavo questa stessa canzone ancora e ancora. E, senon ero occupata nel fai da te, mi dedicavo alla preparazione di prelibati manicaretti, come una perfetta mogliettina;manicaretti che poi ingurgitavo imbambolata davanti al film, con lui che mi prendeva bonariamente in giro per essermitrasformata in una sentimentalona.

Alzo gli occhi al cielo e mi passo una mano sul viso. Mi fa sempre lo stesso effetto, anche se ormai lo conosco amemoria! Meno male che mi sono munita di fazzolettini di carta, così posso soffiarmi il naso come fosse un trombone. Ah,ecco il giovane e bellissimo protagonista che guarda languido l’oggetto del suo amore. Le loro labbra si sfiorano impacciateper la prima volta... e io metto in pausa, allungo la mano verso i biscotti e me ne butto uno in bocca quasi fosse un’aspirina,fiduciosa che saprà lenire il bisogno urgente di singhiozzare.

Molly, adesso però piantala di fare la stupida. Santi numi, è solo un film. Sei solo un po’ troppo emotiva in questi giorni:trasferirsi è una delle cose più stressanti che esistano. Già, se la contende col divorzio e con la nascita di un figlio.

D’improvviso il biscotto si trasforma in carta vetrata sulla lingua e devo sforzarmi non poco per inghiottirlo, mandando giùanche il nodo che mi stringe la gola, tanto che mi metto a tossire per lo sforzo. Ho una visione: un vicino mi trova accasciatasul divano, con gli occhi rivolti al soffitto e una mano che stringe il collo e l’altra un pezzo di biscotto. La marmellata dilamponi intorno alla bocca spalancata in un ultimo spasmo non lascerebbe adito a dubbi.

«Che tragedia, che tragedia», direbbe il vicino. «Alla poverina si è spezzato il cuore... di pastafrolla dritto in gola.»Incurante del pericolo e del grasso, mi ficco un altro biscotto in bocca. Tanto ormai non importa più a nessuno se divento

una balena. Non sono più una ragazzina e il cuore non può andarmi più in frantumi di così. Quando si è passato quello cheho passato io, quando si è scommessa ogni cosa sull’amore e si è perso, be’, poi non si è più la stessa persona. Propriono.

Premo di nuovo PLAY e mi sforzo di seguire il resto del film, ma nella mente riesco a vedere solo Ryan Cooper.Il mio primo amore; che speravo fosse anche l’unico.

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Il bacio dei baci

Si dà per scontato che ogni ragazza sogni l’arrivo di un certo «momento», prima o poi. Avete capito benissimo a quale miriferisco, quello in cui un ragazzo si mette in ginocchio e vi offre il proprio cuore. Ebbene, io non sono mai stata quel tipo diragazza. Ma, se anche lo fossi stata, nemmeno la fantasia più romantica si sarebbe lontanamente avvicinata alla realtà...

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◀◀ REW 19/11/05

«Non ci credo! Siamo davvero qui!» Batto le mani, premendo il naso contro il finestrino del taxi perammirare la città che sogno di vedere da una vita e che adesso mi si dispiega tutt’intorno, illuminatanella sera come un gigantesco circuito stampato. Usciamo dalla Brooklyn–Queens Expressway eimbocchiamo il ponte di Brooklyn. Mamma mia, quasi mi si mozza il fiato quando finalmenteManhattan si staglia dinanzi a noi con edifici così alti e splendenti che pare di guardarli attraverso lacasa degli specchi al luna park. Ryan si china verso di me e mi posa un bacio sulla spalla,abbracciandomi mentre sospiro soddisfatta.

«Che forza, sembra di stare in un film!» esclama ammirato, rivolto più a se stesso che a me.Questa vacanza, la programmiamo da quando siamo tornati insieme e ho sempre temuto che non gli

sarebbe piaciuta, perché lui è più tipo da sole, mare e sdraio sulla spiaggia.«Sono così contenta di essere qui con te», bisbiglio.Ryan mi guarda con un ghigno e un’espressione stupita. È così bello e abbronzato! «Come come?

Che la mia cinica ragazza abbia infine ceduto al romanticismo? Che Harry sia finalmente diventatoSally?»

«E anche fosse?» salto su, incrociando le braccia con aria di sfida. Poi però sobbalzo al coro diclacson che si leva dalle altre auto, cui il tassista risponde sbraitando fuori dal finestrino. Meglioriaccoccolarmi contro Ryan. «Che cosa vuoi farci?»

Ride. «Ah, lo vedrai, cara la mia Molly Carter! Lo vedrai...» mormora abbracciandomi stretto.Faccio una smorfia e lo fisso con le palpebre socchiuse. Quello che ignora è che ne approfitto per

studiarlo. Assaporo l’azzurro caraibico dei suoi occhi e la curva delle ciglia frondose, i pendii similia dune del labbro superiore, circondato dalla corta e ispida barba dorata che gli punteggia lamascella, in perfetta armonia coi capelli di un bel biondo sabbia. L’ho fatto spesso in questi ultimisei mesi; di studiarlo, intendo. Perché, dopo quello che è accaduto, ancora non riesco a credere chesiamo tornati insieme. Però entrambi abbiamo promesso di ricominciare daccapo, di considerarlol’inizio di un rapporto nuovo.

Mi avvicino per un bacio e poi mi volto a guardare fuori dal finestrino. Il ponte ci ha condottooltre il fiume Hudson e adagiato delicatamente nelle fauci dell’isola. Mi guardo intorno, rapita dallagirandola di edifici illuminati a giorno, insegne e taxi di un bel giallo vivo come il nostro e, per unistante, mi sento in un video pop futurista bloccato sull’avanti veloce. Mi porto la macchinafotografica al viso e guardo quest’incredibile città nel modo migliore che conosca: attraverso ilmirino. E resto così, col braccio di Ryan che mi cinge le spalle mentre ci addentriamo veloci nellosfavillante cuore della metropoli. «E dai! Sorridi bene!» esclamo il mattino seguente a Ryan, in posa sotto l’insegna della Staten IslandFerry con un sorrisetto salace mentre con gli indici indica il tanga con la Statua della Libertà suldavanti che indossa sopra i jeans. Ci siamo messi in testa di «beccare» tutti gli scorci più famosi che

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riusciamo e, tanto per non farci mancare nulla, ci siamo anche sfidati a «trova il souvenir piùpacchiano». So bene quant’è competitivo Ryan, quindi penso che vincerà lui, ma dalla mia ho ladeterminazione e l’inventiva. E per lo scatto migliore abbiamo anche deciso un premio: se vince lui,devo portarlo a una partita dei New York Giants; se invece vinco io, deve accompagnarmi nel tour diSex and The City. Bisogna ammettere che a Ryan andrà comunque bene in ogni caso, perché sonosicura che il tour se lo godrebbe anche lui.

Per completare l’opera, indossa anche un bel cappello di gommapiuma a forma di Statua dellaLibertà e alza la mano come fosse una reginetta di bellezza. Io mi piego in due dalle risate, mentre ungruppetto di giapponesi non si lascia sfuggire l’occasione d’immortalare anche lui insieme conqualsiasi altra cosa li circondi. Se solo i suoi studenti potessero vedere come si è conciato e come simette in posa il loro fichissimo insegnante di ginnastica, nemmeno fosse un modello di Armani!

E... fatto, immortalato! Mi avvicino un po’ imbarazzata e passeggiamo verso il traghetto, salendopoi sul ponte.

«La sai una cosa, Ryan Cooper?» gli mormoro all’orecchio ammirando la sua mise ridicola. «Nonti ho mai desiderato così tanto in vita mia!»

Mi tira a sé, mi mette in testa un cappello come il suo e poi mi raddrizza, stampandomi sullelabbra un bacio hollywoodiano, e subito siamo circondati da giapponesi pronti a scattare. Arrossiscoe tento di nascondere il viso (non mi sono mai piaciute le dimostrazioni d’affetto in pubblico!) maRyan me lo solleva e saluta con la mano i turisti, che ricambiano con un inchino educato e unapplauso.

«Allora, ti arrendi?» mi domanda con un sorriso smagliante, tirando l’elastico del tanga. Noncontento, dai pantaloni tira fuori una torcia di gommapiuma e si mette in posa come la Statua.

«Aaaah! Ecco cos’era che sentivo...» rispondo incrociando le braccia. «E io che pensavo diessere fortunata...»

«Ammetti che ti ho stracciato!» insiste brandendo la torcia fallica con un sorriso trionfante.«Giammai! Nemmeno se da questo dipendesse la sorte di tutte le Manolo di Carrie Bradshaw!»Ryan scoppia in una sonora risata. «Disse la ragazza che fino a non molto tempo fa si sarebbe fatta

uccidere pur di non rinunciare alle sue Converse!»«Guarda che io le amo ancora le mie Converse!» esclamo volgendo lo sguardo al paio rosso che

indosso proprio ora. «E, comunque, una ragazza può sempre cambiare, no?»«Certo che può... Harry!» Ride. «Ma chi l’avrebbe mai detto che l’intrattabile quindicenne che ce

l’aveva col mondo intero, che voleva ribellarsi contro tutto e tutti e che pensava che l’amore fosseroba da sfigati sarebbe diventata un’adorabile romanticona?» Sorride. «La mia romanticona!» Mi tiraa sé. «Sono contento che la mia rischiosissima puntata si sia finalmente rivelata vincente!»

«Vorresti forse dire che sono vecchia?»«Ma ti pare! Alla fine tra due giorni compi solo ventisei anni. Certo, ormai sei a tutti gli effetti più

vicina ai trenta che ai venti!» Mi fissa con quei suoi luminosi occhi azzurri. «E ciò significa che tiamo da oltre dieci anni.»

«Mica mi amavi quando ne avevo quindici!» esclamo accoccolandomi tra le sue braccia, colvento che mi scompiglia i capelli e mi sferza il viso. Ammiro le acque sfavillanti dell’Hudson, e lamemoria torna all’adolescente impacciata e confusa che poteva contare gli amici sulle dita di unamano e possedeva abilità sociali pari a meno infinito. Ero perennemente immusonita, goffa e con lavoglia disperata di essere diversa, ma solo perché così sarei stata accettata; già, una contraddizione

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bell’e buona che però era sfuggita anche al mio acuto occhio fotografico.«Per me eri la ragazza più bella del mondo...» afferma scostandomi i capelli dal viso.«Come no!»Mi sfiora il naso. «E allora sentiamo... Perché dopo il nostro primo appuntamento avrei detto a

mia madre che avevo trovato la futura Mrs Cooper?»«Non ci credo!» Scoppio in una sonora risata, pensando che si sarebbe unito a me, e invece mi

guarda serio. «E Jackie cos’ha risposto?»«Che, se era vero, allora avrei dovuto fare in modo di non rovinare tutto.»Il mio sguardo s’inchioda al suo, entrambi fin troppo consapevoli di esserci appena ritrovati. Ci

sorridiamo. Quanta strada abbiamo percorso da allora. Se possibile, mi accoccolo ancora di più nelsuo abbraccio, convinta che al mondo non esista luogo più bello.

Già, e cos’è successo al «non voglio restare prigioniera delle costrizioni di un rapporto»?continua a gridarmi nella testa il mio io adolescente, quell’io che è stato una delle cause della rotturacon Ryan. Mi torna in mente la lista che avevo appeso alla parete della camera all’università, monitocostante del perché avessi giurato di stare alla larga dai rapporti seri: Non voglio un fidanzato vero perché:1. mi soffoca2. mi opprime3. mi crea un gran casino in testa Una lista concisa ma chiara. E, sì, ero immatura, arrabbiata e decisa a non permettere più a nessunodi farmi soffrire come aveva fatto Ryan Cooper.

Ma, si sa, le cose cambiano e così anche le persone, proprio come la percezione che si ha di loro,perciò al mio io adolescente rispondo con un linguaggio che spero comprenda (benché sappia beneche leverà gli occhi al cielo e si ficcherà due dita in gola). Molly Carter + Ryan Cooper = X sempre Due ore dopo siamo i primi della fila che si snoda intorno all’edificio più conosciuto, filmato efotografato del mondo, il non plus ultra architettonico: l’Empire State Building. Stringo la mano diRyan e lui mi sorride felice e mi offre il suo hot dog, cui assesto un bel morso, poi mi toglie lasenape da un angolo delle labbra con un bacio. Non posso fare a meno di ridere, mi sento comequando Elizabeth Perkins in Big impara da Tom Hanks quanto la vita può essere divertente se la siprende un po’ meno sul serio.

Questi ultimi giorni sono stati i più belli del nostro rapporto e di tutta la mia vita. Abbiamoletteralmente volato per la città a bordo della nostra nuvoletta, come in un film romantico. «Unamore splendido, sai, quello con Cary Grant?» ho provato a proporre ieri, ma Ryan non l’ha visto.

Ormai dovrei aver imparato che si rifiuta di prendere in considerazione qualsiasi cosa sia statascritta e prodotta prima della sua nascita, e soprattutto le pellicole in bianco e nero. Ho provato araccontargli la storia però, quando sono arrivata al punto in cui Deborah Kerr è investita da un taximentre sta andando a un appuntamento con Cary Grant proprio in cima all’Empire State Building,Ryan ha commentato: «Questo non mi sembra molto romantico! Se proprio fossimo un film, penso che

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somiglieremmo più a 30 anni in un secondo». Mi ha rivolto un bel sorriso a trentadue denti e mi hapreso la mano mentre attraversavamo Time Square. «Pensaci: quando ti ho conosciuto tu eri propriouna ragazzina impacciata e un po’ sfigata, e adesso sei proprio come Jennifer Garner! La redattricepiù bella di Viva!»

«Picture editor, prego!» l’ho corretto ridacchiando.È incredibile, eppure in soli quattro giorni abbiamo spuntato tre quarti delle voci della mia «Lista

di cose da fare a New York»: 1. Prendere il traghetto per andare a visitare la Statua della Libertà2. Giro in carrozza per Central Park3. Salire in cima all’Empire State4. Scorpacciata di pasticcini da Magnolia Backery5. Un pomeriggio al MoMA6. Visitare il Guggenheim7. Andare al Met8. Pattinare a Central Park9. Carnegie Hall10. Shopping sfrenato11. Vedere uno spettacolo a Broadway12. Provare i mega gelati affogati di Serendipity 313. Andare a Strawberry Fields Ma, cosa più importante, siamo ancora più innamorati; di New York, certo, ma anche l’unodell’altra. Sento che questo è l’inizio di un rapporto completamente nuovo. E, dopo quanto èsuccesso, non avrei potuto desiderare di più.

«Dai, muoviti!» esclamo trascinandolo nell’ascensore, dove non manco di battere le mani eccitatanon appena inizia la salita. «Non vedo l’ora di arrivare in cima!» E poi, qualche minuto dopo, grido:«Allora Cooper, che ne dici?» mettendomi in posa sulla terrazza panoramica, col vento che mi portavia la voce, facendola volare tra i grattacieli.

Ryan mi sta di fronte con la macchina fotografica pronta e in testa un cappellino dei New YorkYankees. «Meravigliosa. La vista più bella di tutta la città!» esclama con un lento sorriso guardandonel mirino.

«Te l’avevo detto che l’Empire è incredibile!»«Guarda che io mi riferivo a te.»Fingo il broncio per celare il sorriso. Ryan continua a scattare, fin quando un signore non si

avvicina e gli chiede se non ne vorrebbe una di noi due insieme. Detto fatto, Ryan gli allunga lamacchina fotografica, mi raggiunge e mi prende in spalla. Gli avvolgo le gambe intorno alla vita, glipoggio la guancia contro il collo e, ridendo, chiudo gli occhi per un istante. Dicono che quassù ci sisenta in cima al mondo, che ti dà alla testa. Ed è vero. «Non riesco a credere che oggi sia l’ultimo giorno», commento mesta mentre usciamo dall’albergo ec’immergiamo tra i negozi della 5th Avenue. Il traffico di pedoni sui marciapiedi fa concorrenza al

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fiume strombazzante di automobili e taxi in strada, mentre l’immane infilata di edifici con le facciatedi calcare è spruzzata qua e là dalle esuberanti macchie di colore di tabelloni pubblicitari, locandinecinematografiche e bandiere al vento che decorano la via dello shopping più conosciuta al mondo. Ebuona parte dei negozi è così famosa che si merita non solo la bandiera, ma anche punti esclamativi esquilli di tromba: Tiffany & Co! Bloomingdale’s! Harry Winston! Louis Vuitton! Gucci! Prada!

E, sullo sfondo, l’Empire State Building che punta verso il cielo come un meraviglioso tacco aspillo dimenticato per strada, a ricordare all’incessante fiumana di turisti e visitatori che è lui la verastella, la vera attrazione della città.

Passeggiamo mano nella mano verso Central Park. Ryan indossa una maglietta di Abercrombie,una giacca di jeans e un piumino senza maniche, mentre io ho addirittura guanti e sciarpa. Il tempo ècosì clemente che non pare proprio di essere in novembre, eppure in confronto a lui io somiglio a unamummia ambulante. Ma Ryan ha il metabolismo accelerato e il freddo non sa dove stia di casa.

«E il regalo per il tuo compleanno...? Non te l’ho ancora fatto...» mi fa notare.«Essere qui con te è stato il più bel regalo della mia vita», rispondo, e non esagero. Non sono mai

stata tipo da compleanno, anche da bambina detestavo la tensione che precedeva ogni festa: doverdecidere cosa indossare, chi invitare, chiedersi chi – meglio, se qualcuno... – sarebbe venuto... Diconseguenza, i miei compleanni li ho sempre festeggiati sottotono, anche quelli «cruciali». Per ilventunesimo ho trascorso la nottata alla Student Union con Mia e Casey, per il venticinquesimo sonostata a cena al Crooked Billet di Leigh-on-Sea con Ryan e le nostre famiglie. Ma quest’anno...quest’anno è stato semplicemente splendido.

«È stato grande!» concorda. «Adesso vorrei farle più spesso, cose del genere; sì, sai, girare ilmondo, visitare posti nuovi... E voglio che lo facciamo insieme.»

Gli stringo la mano ancor più forte e sospiro, appagata, mentre Central Park è ormai vicino.L’entusiasmo di Ryan è contagioso. Lui ha il raro dono di riuscire a rendere ogni cosa divertente.Non ha mai preso la vita troppo sul serio e sa apprezzare il piacere delle piccole cose. In passato lotrovavo frustrante, adesso invece è la qualità che più ammiro in lui. Quando ho iniziato a lavorareper le riviste, è nato in me il bisogno del «divertimento certificato». Sì, insomma: il nuovo locale piùin voga, la borsetta più elegante, la città più chic, l’albergo, il ristorante... Ma capita che la ricercacontinua e forzata della novità più cool lasci dentro un profondo senso d’insoddisfazione, ed èproprio da questo che dipendevano i nostri vecchi problemi di coppia: dal mio desiderio costante diavere qualcosa di più. Tuttavia spero proprio di aver imparato la lezione. In questi giorni è statobello andare insieme alla scoperta della città e farlo a modo suo: un caffè nel barettino in una viuzzalaterale scoperta per caso, una passeggiata con pranzo in un romantico e dimesso ristorantino italianonel Greenwich Village e così via.

Non posso non ridacchiare ripensando al giro fatto ieri. Ho portato Ryan a pranzo da Katz’s, ildiner in cui è ambientata una delle scene più famose di Harry ti presento Sally.

«Ma non ci penso nemmeno!» ha risposto quando l’ho sfidato a interpretare il finto orgasmo diSally. «Fallo tu, visto che sei tu la ragazza ribelle!» Il tono canzonatorio mi ha riportatoall’adolescenza e ai ruoli che avevamo all’epoca: lui il rubacuori idolo delle ragazzine di tutta lacittà e io l’imbranata paria sociale. Dio, quanto ho odiato quegli anni. Se solo la me di allora potessevedermi adesso...

«Ma io sono Harry», gli ho fatto notare incrociando le braccia con un sorrisetto compiaciuto.«L’hai sempre detto. E quindi adesso non possiamo scambiarci i ruoli, capisci? E dai, Ry, sto

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aspettando. Non ti vergognerai mica, eh? O hai solo paura di perdere?» So bene che è incapaced’ignorare una scommessa, qualunque essa sia.

E, infatti, non mi ha deluso nemmeno questa volta. Quante risate quando, con l’abbronzaturadivenuta di uno strano color salmone, ha raggiungo il finto «apice» e poi ha assestato un poderosomorso al suo panino col pastrami; le guance hanno impiegato un po’ a tornare del loro colore.

«Oddio Ry, questa me la ricorderò finché campo!» ho esclamato sghignazzando, e mi sono sportain avanti per dargli un bacio. «Bleah, sai di cetriolini!» Raggiungiamo Central Park dall’East Side e imbocchiamo 79th Street passando accanto allo stagnodel Conservatory Garden e poi proseguiamo verso la fontana Bethesda.

«È bellissima, vero, Moll?» domanda sottovoce mentre ammiriamo la maestosa scultura alata alcentro, l’Angelo delle acque. Che spettacolo meraviglioso ci circonda: il gioco di riflessi sull’acquaazzurra dello stagno solcato da tante barchette e, di tanto in tanto, da una gondola, circondato daalberi sempreverdi sullo sfondo dei luminosi grattacieli baciati dal sole.

C’è chi passeggia, chi corre, chi va in bicicletta e chi spinge un passeggino, chi porta il cane aspasso, chi va al lavoro e chi a scuola, e poi ci sono i turisti come noi; ciononostante il parco non èper niente affollato. Ed è come se noi tutti fossimo collegati a un immenso iPod di Central Park:risate e chiacchiere si mescolano con la brezza, col borbottio persistente del traffico e col ronziodelle biciclette di passaggio, a dar vita alla colonna sonora perfetta per la città.

Rispondo annuendo perché la felicità mi serra la gola. Avremmo potuto concludere il viaggio inmodo più romantico? Central Park, quante volte l’abbiamo visto nelle commedie romantiche – cheRyan ammette senza vergogna di adorare – e negli episodi di Sex and the City che io non smettereimai di guardare e riguardare. E quante delle scene più romantiche della storia del cinema sono stategirate qui: la presa di coscienza da parte di Billy Crystal e Meg Ryan di essere più che amici inHarry ti presento Sally, i giochi nelle pozzanghere di George Clooney e Michelle Pfeiffer coi lorofigli in Un giorno, per caso o, ancora, l’incontro romantico di John Cusack e Kate Beckinsale sullapista del ghiaccio in Serendipity. E adesso siamo qui. Nella vita reale. Finalmente.

Sospiro deliziata e mi metto a scattare fotografie del sole invernale che filtra dalla cortina difoglie, riuscendo anche a catturare un’immagine di Ryan in controluce. Coi capelli biondi cosìilluminati, somiglia proprio a un angelo. Lo tiro a me, guancia a guancia, e scatto ancora, tenendo lamacchina fotografica dritta davanti a noi. Poi la abbasso all’altezza della vita per cercare di cogliereanche i grattacieli che spuntano sfavillanti da sopra gli alberi. E d’improvviso mi torna in mente ladescrizione di papà del dipinto del castello di Hadleigh firmato da John Constable appeso alla paretedi casa a Leigh-on-Sea: «Una struttura costruita dall’uomo che ossequia il potere della natura». Ilpensiero corre poi a Ryan e me e a come per poco non sia riuscita a distruggere qualcosa di forte esolido costruito nel tempo con tanto impegno. E al fatto che già in passato Ryan aveva cercato diportarmi qui a New York...

Una lacrima traditrice mi scappa giù lungo la guancia e la asciugo subito. Abbiamo giurato di nonriparlarne mai più.

«Sapessi quanto mi dispiace...» singhiozzo abbracciandolo.«Cosa...?» Ryan è confuso. «Ma perché piangi?» E preoccupato.«Scusami, è che pensavo a com’è perfetto questo momento e che non riuscirò mai a perdonarmi

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per quello che ho fatto...»«Ehi, ehi, ehi», bisbiglia stringendomi forte mentre continuo a singhiozzare. «Per favore, non

piangere. Sbaglio o avevamo deciso di non tornare più sull’argomento, che è tutta acqua passata?»«Lo... lo so. Ma non posso farci niente.»Si allontana e mi guarda dritto negli occhi. «Molly, il nostro rapporto è migliore e più forte di

quanto non sia mai stato, e questo lo sai anche tu. Avevamo bisogno di lasciarci per capire quantovolessimo stare insieme. Pensa che io sono addirittura contento che sia accaduto, e guarda che dicodavvero! Perciò smettila di tormentarti. Voglio che questo viaggio, che questo momento appartenga alnostro futuro. Ma è impossibile se continui a punirti in questo modo. Il torto era di entrambi e non cisiamo accorti di ciò che avevamo fin quando non l’abbiamo perso. E sono contento che l’abbiamocapito in tempo.»

Riprendiamo a camminare, Ryan mi cinge per le spalle e mi rassicura sul suo amore, riuscendo afarmi dapprima sorridere e poi sciogliere in una risata. Dopo qualche minuto si ferma, mi tira a sé emi bacia.

«Oh, così sì che va meglio!» esclama. «Adesso, non so tu, ma io non posso fare un altro passosenza un caffè. Passando ho visto un chioschetto... Ti va di aspettarmi un minuto mentre vado aprenderci da bere? Per te un latte macchiato, giusto?»

Annuisco, tiro su col naso e alzo la macchina fotografica a significare che mi terrò occupata.Mi porge lo zaino e indietreggia mandandomi un bacio, poi si volta e si lancia nella corsa,

sfrecciando via come l’eroe di un film d’azione.Inizio a scattare fotografie all’impazzata, nel tentativo di catturare i colori e la bellezza di questo

delizioso angolo del parco. Il sole sta scomparendo dietro le cime degli alberi, sfumando il cielo dicorallo, ambra e rubino. Metto a fuoco un cartello alla mia sinistra e d’improvviso mi rendo conto ditrovarmi all’ingresso degli Strawberry Fields. Sento un brivido percorrermi da capo a piedi. Per ilfreddo, certo, ma anche perché mi trovo al cospetto di un monumento della storia musicale.Guardando meglio, per terra vedo il mosaico con la scritta IMAGINE posto in onore di John Lennondopo il suo assassinio, nel 1980. Mi avvicino e lo studio. A papà piacerebbe tanto. Lui adora iBeatles.

Che rabbia! Come ho potuto permettere ai brutti ricordi di offuscare anche solo un secondo diquesto viaggio perfetto? Rimediare e concentrarsi sul presente, ecco quale dovrebbe essere il miomotto. Dovrei concentrarmi su com’è bella adesso la nostra vita. Idea! Poso lo zaino e,pregustandomi lo spettacolo, tiro fuori tutte le cretinate comprate negli ultimi giorni e le indosso.

Mi sento un po’ sciocca a restarmene conciata così da sola, ma ne vale la pena solo per vederel’espressione di Ryan quando tornerà coi caffè.

Indosso la corona della Statua della Libertà in gommapiuma e faccio «ciao ciao» ai passanti chemi guardano incuriositi. Davvero non posso credere di essere quanto di più strano abbiano mai vistoa New York. Poi però mi guardo intorno. Ryan è via da un’eternità, dove cavolo si è cacciato?

Mi tengo occupata catturando scatti dell’ambiente che mi circonda, fin quando non mi decido apuntare la macchina fotografica verso il terreno e a scattare una fotografia del mosaico per papà, conle mie Converse che fanno capolino nell’inquadratura. Non ho ancora risollevato lo sguardo quandosento la voce di Ryan: «Molly, chiudi gli occhi». Il suo respiro mi scalda la fronte. «Sono contentoche tu ti sia fatta bella per l’occasione!» esclama divertito coprendomi gli occhi con una mano.

«Che occ...»

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Mi preme un dito sulle labbra per farmi tacere.«Ryan?» bisbiglio comunque. «Ma il latte macchiato perlomeno me l’hai preso?»«No.»«Ma uffa! È un’ora che aspetto!» protesto riaprendo le palpebre.«Ti ho detto di chiudere gli occhi», ordina deciso.«Senti, Cooper, non so perché fai tanto il prepotente ma...»«E, già che ci sei, ti spiacerebbe tener chiusa anche la bocca?» aggiunge trattenendo a stento una

risata.«Che gentile!» Spalanco gli occhi.«Riuscirò mai a farti fare qualcosa?» insiste, e adesso è esasperato.«Non credo», ridacchio, però poi noto il suo sguardo supplichevole e, seppure controvoglia,

obbedisco con un sospiro. «E adesso?»«Be’...» Non ne sento più l’alito caldo sul collo e la voce è più distante. «Adesso voglio che apri

gli occhi e guardi per terra.»Obbedisco ancora e mi ritrovo a fissare il mosaico. IMAGINE. Che bella esortazione, colma di

speranza, prospettive e fiducia.«Ecco, adesso prova a immaginare per un istante che siamo qui da soli», prosegue con voce

strana. «Immagina che non ci sia nessun altro. Solo tu, io, la terra, il cielo e il sole che si srotolanoinfiniti dinanzi a noi...»

«Che meraviglia...» sospiro guardandomi intorno. È alle mie spalle. «E adesso?» Richiudo gliocchi e nell’aria si diffonde una melodia, che inizio subito a canticchiare.

«Adesso immagina che io sia al tuo fianco...»«Ma non lo sei, sei dietro di me.»«... in ogni istante. Accanto a te, d’ora in poi e per sempre.»Apro la bocca, la richiudo, poi mi decido: «Mi piace», dico, sforzandomi di zittire la vocina nella

mia testa che grida: Oddio! Sta per farlo veramente? Oddio! Sì! Sì!Strano ma vero, mi rendo conto solo adesso che la canzone in sottofondo è proprio Imagine.

Proviene da lontano... E non da un iPod, pare più un... un... un quartetto d’archi. Spalanco gli occhi emi ritrovo davanti un gruppetto di persone che mi fissano sorridenti, alcune impugnando la macchinafotografica. Sbatto le palpebre e deglutisco, vorrei tanto girarmi ma qualcosa mi dice che è meglioaspettare le prossime indicazioni di Ryan.

«E, adesso, immagina che io sia qui dietro di te, Molly Carter, e che ti dica che ti amo, che ti hosempre amato e che ti amerò sempre e che proprio qui, nel cuore di Central Park, voglio chiederti diaccettare il mio cuore, di custodirlo con cura per sempre e di permettere a me di custodire il tuo.Adesso puoi voltarti...»

Mi copro la bocca con la mano e le lacrime prendono a scorrere copiose; mi volto, dimentica peruna volta della macchina fotografica, e mi ritrovo davanti i visi sorridenti dei musicisti... ma Ryandov’è?

«Sono quaggiù», mi avvisa ridendo.Ah, eccolo, in ginocchio con un braccio teso e nel palmo una scatolina di velluto, l’altra mano

pronta sul coperchio.«No!» rantolo.Ride. «Be’, non è esattamente la reazione che speravo...»

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«No! Nel senso, guardami, sono ridicola! Come hai potuto farmi questo!» Mi butto in ginocchio egli batto i pugni sul petto, singhiozzando.

«Per me sei bellissima», aggiunge, tirando l’elastico del tanga.«Non è questo il look che avevo sognato per un momento come questo!»«Sai, Molly, non puoi controllare sempre tutto. A volte devi lasciarti trasportare dalla corrente...»Lo fisso negli occhi e nello sguardo gli leggo la quieta determinazione di quando affronta un’onda,

calcia un pallone vincente o si aggrappa alla vela di una barca e la conduce in porto.«Molly Carter, vuoi sposarmi?» Apre la scatolina e scopre una meravigliosa vera tempestata di

diamantini che brillano come una costellazione.«Sì! Sì!» lo interrompo sorridendo tra le lacrime. Mi asciugo le guance alla bell’e meglio, gli

afferro il viso e lui prende il mio tra le mani e ci baciamo e ridiamo e piangiamo, ed è come se tuttofosse familiare e diverso allo stesso tempo. Profondamente diverso.

Perché questo è il bacio dei baci. È il bacio che non sapevo nemmeno di aspettare. Richiudo gliocchi e avvio la registrazione, per incidere nella memoria il momento in cui Ryan Cooper m’infilal’anello di fidanzamento al dito. E questo è il più bel regalo che possa esistere al mondo.

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7:47

La buca delle lettere sbatacchia. Mi obbligo ad alzarmi dal divano e, con un occhio al televisore, mi trascino nell’ingresso,con le squisite piastrelle vittoriane originali e i soffitti con cornice. Quelli del trasloco dovrebbero arrivare a breve per finired’inscatolare quello che sono riuscita ad accumulare nelle mie due vite – prima e dopo – che, a quanto pare, non è poco,visto che ieri non sono riusciti a finire. Il ricordo della camera scarna e asettica che avevo al college mi strappa un sorriso.Gli unici tocchi personali erano la stampa con John Lennon e Yoko Ono di Annie Leibovitz attaccata sopra il letto con lepuntine e la locandina di Prima dell’alba sopra la scrivania. Dio, quant’ero seria all’epoca! Copriletto bianco e armadiomonocromatico con capi solo neri. Incredibile come si cambia, penso dando un’occhiata al caos che mi circonda. Adessocome adesso, il solo pensiero di mantenere l’ordine mi fa sudare freddo. A ben guardare, ultimamente sono molte le cose –per non dire tutte – che mi fanno sudare freddo.

Inscatolare zerbino... Mi faccio un appunto mentale chinandomi verso la cara vecchia bandiera nazionale con su scrittoBENVENUTO per raccogliere il plico di buste. «Conto, conto, fattura, conto...» mormoro scorrendole. «Appuntamento daldottore e...» La mia attenzione è attirata dalla grafia minuta e precisa di una busta contenente un cartoncino: Molly Cooper7 Avenue RoadLeigh-on-SeaSS19 4BL Mmm... Il cognome da sposata... Ma chi può mai essere? Amici e parenti non lo usano più.

Strappo la busta e dentro trovo un biglietto di quelli per augurare buon trasloco. Cara Molly,

come stai? Scusami se ti scrivo così d’improvviso, ma di recente ho incontrato una conoscenza comune e, parlando, èvenuto fuori che stai traslocando. Non volevo lasciarti andare via senza farti avere i miei più cari auguri per un futuro felice.Spero che tu abbia fatto tesoro del mio consiglio: vivi all’insegna della felicità e mai del rimpianto. Sei spesso nei mieipensieri e spero davvero che tu stia bene.

Con tutto il cuore

CHARLIE Uno spasmo al cuore. Quel nome evoca sentimenti e ricordi che oggi mi sto sforzando d’ignorare. Do un’altra occhiata albiglietto e... be’, è stato un gesto davvero gentile, ma lo trovo piuttosto strano dopo così tanto tempo... e dopo tutto quello cheè successo. Ed ecco riaffiorare una piena di ricordi, tanto belli quanto brutti.

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Baci e rivelazioni

Ci sono persone che entrano d’improvviso nella nostra vita e subito ci fanno sentire che potremmo confidare loro qualsiasicosa, proprio qualsiasi. Anche ciò che non ci sogneremmo di condividere con gli amici più cari o le persone che piùamiamo. E, pur non conoscendole per davvero, altrettanto d’improvviso queste persone divengono una parte essenzialedella nostra vita. È stato così con Charlie. Con lui ho messo a nudo la mia anima come mai avevo fatto.

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FF ▶▶ 29/05/07

Che sensazione strana ritrovarmi qui seduta al pub con un altro uomo, ad aprirgli il cuore e l’anima.Tutti qui dentro sanno che questo ragazzo tanto bello e premuroso non è il mio ragazzo, ne sonosicura; sulla fronte dev’essermi comparso il marchio TRADITRICE. E per di più questo è il pub delquartiere! Ma, porca miseria, cos’avevo in testa? Adesso non riuscirò mai più a guardare il baristanegli occhi.

«Allora, dimmi, cos’è che succede?» m’incalza Charles chinandosi verso di me e posando igomiti sulle ginocchia. Nello sguardo ha una dolcezza tale che non ho bisogno di altroincoraggiamento per lanciarmi in un monologo mesto e malinconico.

«Mi dispiace», ripeto per la milionesima volta. «È che proprio non ce la faccio più. Lo guardo enon so chi è, non so cosa pensa o cosa prova. Non c’è comunicazione, quella vera, capisci?Esistiamo l’uno accanto all’altra e fingiamo che sia tutto a posto ma non è così. So quale sarebbe lacosa giusta da fare, però non voglio essere io la prima a dirlo.» Scuoto la testa: mi sento davveromeschina nell’addossargli un peso simile. «Mi dispiace tanto, io non volevo coinvolgerti...» Osservola piccola folla di giovani che ci circonda: sono così fashion nel loro essere alternativi che mi fannosentire vecchia, avvizzita, fuori dal giro e non ho nemmeno trent’anni. Torno a guardare Charlie, cheoltre a essere splendido è anche così interessato e interessante. Così gentile e affettuoso. Insomma, èdavvero troppo per essere vero. Se solo al mondo ce ne fossero di più come lui...

«Dai, lo sai che puoi parlarmi di qualsiasi cosa», mi rassicura sfiorandomi la mano. Adoro il fattoche mi fissi sempre negli occhi mentre gli parlo. Da quanto tempo non lo fa più nessuno.

«È che voglio sia lui a fare il primo passo», riprendo.Mi scruta con attenzione, e prima di replicare abbassa lo sguardo. Ecco, non mi piace quando fa

così. Perché le persone distolgono lo sguardo solo quando non hanno nulla di buono da dire. «Molly,senti, lo so che per te è dura. Davvero. Però devo chiedertelo: per quanto ancora pensi di poterandare avanti così?»

Torna a scrutarmi, in attesa di risposta, e adesso sono io a non riuscire più a sostenere il suosguardo. Alzo la testa e sbatto furiosamente le palpebre per fermare le lacrime. Poi gli rivolgoun’occhiata implorante. Non voglio rispondere, voglio solo che mi abbracci e mi stringa forte.

Charles mi legge nel pensiero. Mi prende una mano tra le sue, e non posso fare a meno di notarequanto siano morbide e lisce. Le guardo. Ha anche delle belle unghie curate. Adoro gli uomini con leunghie curate, perché significa che si prendono cura di sé.

«Molly... Lo so che non vuoi prendere decisioni, non ancora. E, se non sei ancora pronta, non c’èfretta. Qui non si tratta né di me né di quello che penso io. Riguarda te e te soltanto. Se credi di nonpoter portare avanti ciò di cui abbiamo parlato, magari allora cosa ne pensi d’iniziare da un passopiù piccolo, come trasferirti dai tuoi o simili?»

Annuisco e lui mi stringe la mano, facendomi trattenere il respiro.«Lo so che ti sembra di tradirlo, ma sapevamo entrambi che alla fine saresti arrivata a questo

punto.»

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Si alza lasciandomi andare la mano, e d’improvviso mi sento sola e abbandonata. Poi mi rivolgeun sorriso garbato e provo l’impulso di toccarlo. Sì, voglio sentire la sua forza che mi scorre dentro.

«Io ci sarò sempre per te, hai capito?»«Lo so, Charlie.» Nel guardarlo con gratitudine mi domando come potrei mai farcela senza di lui.

E, pur sapendo che è sbagliato, non riesco a trattenermi e lo bacio.

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8:30

Le bottiglie di vino cadono in pattumiera con un sordo tonfo metallico che mi fa sobbalzare; ma com’è possibile che versareil vino in un bicchiere sia un atto melodico e di tale deliziosa soddisfazione mentre disfarsi delle bottiglie sa di vergogna ecacofonia? Ieri sera, durante i numerosi brindisi di addio, sono stata abbastanza saggia da non cedere al fascino liquido, maammetto che guardare tutti gli altri soccombere me ne ha messo addosso una voglia pazzesca. Proprio come accade conun uomo che sappiamo essere sbagliato per noi, e qui parlo per esperienza. D’improvviso mi ritorna in mente lui, alla festadi Natale coi colleghi alla Soho House, con quel ghigno rapace e tronfio che diceva sarai mia; i suoi occhi intensi fissi su dime, l’ombra sexy della barba di un giorno. Pensavo di essermene liberata anni fa, perché mi torna in mente proprio adesso?Afferro il bordo del sacco nero e le bottiglie sbatacchiano. Questo trasloco mi sta dando alla testa, non vedo l’ora che siatutto finito. Chiudo la pattumiera alla bell’e meglio e la porto fuori dalla porta sul retro.

Sally mi passa accanto silenziosa e con la coda su dritta, altezzosa. Harry si precipita fuori ad accoglierla con mille fusa.Sono entrambi molto scontenti del trasloco, ma ognuno affronta la situazione a modo suo. Sally fa la ragazzina irrequieta emostra il suo disappunto gironzolando nei dintorni per tutta la notte, mentre la natura casalinga e appiccicosa di Harry si èesasperata. Sono però uniti nello smarrimento per i cambiamenti in atto. Continuo a dire loro che andremo in un postomigliore per tutti e di fidarsi di me, però dubito che mi credano. Per loro è difficile, lo capisco, ciononostante continuo aripetere che una fine può significare anche un nuovo inizio. E mi auguro che sia proprio così.

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Il bacio del rimorso

Ma poi esiste davvero una vita priva di rimpianti? Io non ci ho mai creduto. Trascorriamo il tempo che ci è dato su questaterra inseguendo felicità e soddisfazioni nel lavoro, amore e l’affetto di amici e parenti, eppure spesso sprechiamo energielagnandoci di fidanzati sbagliati, carriere ostacolate, amicizie infrante e occasioni mancate. O forse capita solo a me? Iosono il tipo da bicchiere mezzo vuoto, lo ammetto, ma ciò non significa che non riconosca che i rimpianti sono la zavorradella felicità e mi sto sforzando per liberarmene perché ho imparato che è tutta questione di scelte. Sì, possiamo sceglieredi trasformare i rimpianti in lezioni capaci di cambiare per sempre il corso dell’esistenza. E vi prego di credermi quando dicoche mi ci sto impegnando per davvero. Ma la verità è che non ci sto riuscendo. E volete sapere perché? Perché non riescoa togliermi dalla testa il pensiero che forse me lo merito. Che forse questa è la mia penitenza.

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◀◀ REW 10/12/04

«Casey?» piagnucolo dopo il bip della segreteria telefonica. Barcollo per le strade di Soho, e comeme tanti altri festaioli nottambuli che hanno esagerato con lo «spirito natalizio». «Per favore,rispondimi», frigno. «Lo so che molto probabilmente sei al lavoro, ma io ho davvero tanto tanto tantobisogno di parlarti. Ho fatto una cosa terribile. Una cosa... imperdonabile.» Poi i singhiozzi mistrozzano la voce in gola e interrompo la telefonata.

Levo lo sguardo alle luminarie. Un Babbo Natale mi schernisce irriverente dalla vetrina di unnegozio e in lontananza un coro di ubriachi storpia a squarciagola il ritornello di Jingle Bells.

Se Babbo Natale sta scrivendo la sua lista proprio ora, di sicuro sa che sono stata cattiva.Avanzo incespicando a ogni passo nell’acciottolato; non riesco a vedere bene, figuriamoci a

camminare, perseguitata dal ricordo degli ultimi quattro Natali trascorsi con Ryan. In questo periododell’anno diventa un bambino, un cucciolo supereccitato che si getta a capofitto su ogni tradizione:mince pie a partire dal primo novembre – possibile che non faccia mai indigestione con tutte quellemele, la frutta secca e aromi vari?! –, la torta di Natale, il vin cotto e tutte le altre golosità d’obbligoche non manca mai di preparare con settimane di anticipo, invadendo la cucina e tutta la casa condensi profumini speziati mentre io non faccio altro che guardare EastEnders in TV. Senzadimenticare le decorazioni che, nel più genuino stile Cooper, più che graziose sono esageratamente...esagerate.

Ogni anno so già che aprirò la porta e troverò l’appartamento addobbato. Giusto l’altro giornosono stata accolta da fili d’argento drappeggiati sulle cornici delle fotografie, da un Babbo Natalegonfiabile nell’angolo del soggiorno e dalla neve finta spruzzata su tutte le finestre. Nemmeno lalampada da tavolo a forma di fenicottero, dono di sua madre per quando siamo andati a vivereinsieme e di cui non sono mai riuscita a sbarazzarmi, è scampata al rituale e indossava un cappelloda Babbo Natale.

«E dai, Molly!» ha esclamato Ryan avvolgendomi in un abbraccio. «Natale non dev’essere allamoda, Natale dev’essere divertente!» E non ho potuto far altro che cedere perché, sebbene nonl’avessi mai creduto possibile, i Cooper sono riusciti nell’ardua impresa di rendere il Natale unperiodo davvero piacevole e divertente. Cosa mi piace del Natale in casa Cooper – Andare da Jackie e Dave e farmi viziare fino allo schifo– Guardare sdolcinati film natalizi con Ry– L’assoluta libertà (con profusione di alcolici!) che vige per l’intera vacanza– Restarmene rannicchiata nel suo letto di quand’era ragazzino mentre Ry si alza presto per andare a c rere in

spiaggia– Lo shopping de a Vigilia e la caccia a e offerte di Santo Stefano col clan Cooper al gran completo (nonna

Door è uno spettacolo, con quei gomiti così a punta si farebbe strada ovunque)

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– I miei che per Natale vengono a cena da Jackie e Dave e ogni volta sono obbligati a cantare al karaoke egiocare ai giochi di società (e anche in questo caso nonna Door è uno spettacolo, la stella indiscussa)

– Perdermi il discorso della regina Ma quest’anno sarà tutto rovinato. Asciugo stizzita le calde lacrime che mi rigano il viso e so che nonsarò più capace di guardarmi allo specchio senza vedermi riflesso negli occhi quello che ho fatto aRyan.

E adesso come diavolo faccio a guardarlo in faccia?

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Il bacio vuoto

Pensate sia possibile promettere sinceramente a qualcuno di esserci sempre? Io l’ho fatto e non ho saputo mantenere laparola data e ora, anni dopo, mi è accaduto lo stesso. Che il karma ci abbia messo lo zampino? Forse è un modo per farmicapire che nella vita ogni cosa parte e finisce con se stessi. Abbiamo tutti bisogno di amore, certo, e cerchiamo negli altri ilsostegno che ci serve, ma dobbiamo imparare a trovarli per primi dentro di noi. Perché siamo tutti più forti di quanto non ciconsideriamo. Siamo in grado di affrontare cose peggiori di quanto pensiamo. Dobbiamo sopravvivere al peggio e,nonostante tutto, trovare comunque il modo di sorridere.

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PLAY▶ 10/12/04 5:54

Non ce la faccio più, devo uscire dall’appartamento. Mi muovo in punta di piedi per la camera daletto, nel tentativo di non svegliare Ryan. Lui è ancora immerso nel mondo dei sogni, come quando misono intrufolata nel letto stanotte. Si è rigirato su un fianco, con un forte braccio muscoloso allungatoverso la mia parte, come a cercarmi nel sonno. I capelli sono scompigliati sul cuscino e l’ombra dibarba ispida è passata da una manciata di granelli di sabbia a mozziconi di paglia. Me ne resterei quitutto il giorno a guardarlo ma non posso. Devo assolutamente uscire prima che si svegli. Non possoaffrontarlo, non ora. Devo prima trovare le parole adatte, decidere cosa intendo fare. So che, se sidovesse svegliare in questo istante, fingerò che vada tutto bene, mi rinfilerò sotto le coperte, lobacerò per scacciare l’infedeltà, farò l’amore, mi perderò nel conforto della sua presenza, di noi,dell’unica cosa buona che abbia mai avuto.

Scribacchio un messaggio su una busta, in modo che sappia che sono stata a casa e – molto piùimportante – che tornerò. Ry, non riuscivo a dormire e sono andata al lavoro prima. Torno dopo.Ti amo. Sollevo la biro, poi la riabbasso per aggiungere: Scusami.Molly Prendo la borsa e mi volto a dare un’occhiata al nostro appartamentino accogliente. Ed è comeguardare l’album della mia vita. Ecco la stampa del dipinto del castello di Hadleigh che papà miaveva regalato quando mi ero trasferita nel dormitorio dell’università, perché mi ricordasse casa.L’ho appesa sulla scrivania in un angolo del soggiorno, e sopra ci ho sistemato la stampa con JohnLennon e Yoko Ono. Sotto la scrivania, invece, c’è la sedia Louis Ghost di Philippe Starck che cisiamo regalati quando abbiamo comprato l’appartamento. Sul caminetto fa bella mostra di sé lastampa su tela della fotografia che ho scattato ai ciottoli sulla spiaggia quando tre anni fa ci eravamotrasferiti da Jackie e Dave. Il divano bianco dell’Ikea è lo stesso che proprio loro ci avevano fattotrovare nella dépendance. Il bianco ha ormai perso smalto, perciò è nascosto sotto un copridivanoblu scuro. Mi volto verso la porta e sorrido triste nel guardare la cornice dorata vuota che viabbiamo appeso con tante cerimonie la sera dell’ultimo episodio di Friends. Sono trascorsi appenapochi mesi eppure oggi mi paiono anni. È come se nulla mi appartenesse più. Apro la porta e,uscendo, inciampo nello zerbino con la bandiera inglese (un altro dei regali di Jackie) e barcollo nelcorridoio mentre la porta mi si richiude sbattendo alle spalle senza che io l’abbia più sfiorata. Ècome se l’appartamento mi sputasse disgustato per strada.

Il cellulare prende a suonare e apro la borsetta, timorosa, sperando che non sia Ryan che,

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svegliatosi, ha visto il biglietto e vuole che torni indietro. Lo prendo e leggo il nome sullo schermo,rispondendo poi con tono disperatamente sollevato.

«Molly?» chiede la voce di un’amica preoccupata.«Oh, Casey...» faccio in tempo a dire prima che dagli occhi torni a sgorgarmi un fiume in piena di

lacrime.«Ehi, Mol, sstt, va tutto bene, piccolina! Di qualsiasi cosa si tratti, vedrai che andrà tutto bene»,

cerca di consolarmi.«No, Casey, non è così», singhiozzo scendendo le scale senza però perdere di vista la porta di

casa.«Ma mi spieghi cosa c’è? Cos’è successo?»«Posso venire da te?» la imploro, perché d’improvviso ho bisogno di andarmene da Londra, di

allontanarmi dalla scena del crimine. Non posso andare al lavoro. Non oggi. E non m’importa diquello che potrà sembrare. Ho bisogno di stare con lei, di vedere la spiaggia, di respirare l’aria chesa di mare, di un po’ di spazio per fermarmi a riflettere e decidere il da farsi, e Casey è l’unicapersona che possa aiutarmi, l’unica che conosce bene abbastanza sia me sia Ryan. Camminiamo lungo il molo di Southend, lungo oltre due chilometri, come già migliaia di altre volte,con Casey che mi stringe il braccio, proprio come quand’eravamo ragazzine. All’epoca sentire che siaggrappava a me mi faceva sentire forte, importante, mentre oggi la sua presenza mi dà conforto,come se la mia amica fosse in grado di riportarmi a un tempo in cui Ryan e io eravamo ancora felici.

Sono arrivata in stazione poco dopo le otto e, non appena l’ho vista, sono subito scoppiata inlacrime. Indossava ancora un paio di calzoncini dei suoi famosi pigiamini di flanella, un paio discaldamuscoli e una felpa rosa oversize della Gap che creava un contrasto meraviglioso con quellasua carnagione olivastra da greco-italiana e coi capelli nero granito. Mi ha portato a casa sua inmacchina, mi ha preparato una tazza di tè e io mi sono lasciata cadere sul divano fucsia e, tra isinghiozzi, le ho raccontato tutto. Poi Casey ha indossato abiti più caldi e mi ha portato a passeggiareper aiutarmi a schiarirmi le idee.

«Sai, piccolina, ci ho riflettuto e non penso che sia poi così male come credi tu», afferma dopouno dei rari attimi di silenzio, voluti dal vento che ci toglie letteralmente il fiato.

«Tu dici?» domando con sguardo dubbioso. «Sul serio? Secondo te Ryan mi perdonerà?» La miaè una speranza che dura un istante, spazzata via dall’espressione solenne di Casey e dal brullopanorama marino invernale.

Che giornataccia bigia. Infausti nuvoloni neri si ammassano sopra l’estuario del Tamigi come tantispettri minacciosi che paiono cercare me, il mio rapporto con Ryan. Per me lui è sempre stato comeil sole; l’estate è in assoluto la stagione in cui è più felice perché può dedicarsi a tutte quelle attivitàche adora: sport, nuoto, surf, barche. Estate significa spiaggia, mangiare molluschi e sorseggiare vinoin giardino, andare in barca lungo l’estuario o restarsene distesi al sole come lucertole in spiaggia,che è poi dove ci siamo dati il primo bacio. In inverno è come se si ritirasse, si assottigliasse. Tuttoin lui si fa più pallido, più chiuso.

«Credi che mi perdonerà?» insisto.La mia amica mi prende per mano e mi fissa con quei suoi occhioni scuri, sbattendo le lunghe

ciglia.

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«No», risponde con dolcezza. «Se gli racconti cos’è successo, è finita. Ma quello che io credo,anche se so che non vuoi sentirtelo dire, è che forse non tutto il male viene per nuocere, no?»

L’angoscia mi serra lo stomaco e quasi non riesco nemmeno a stare in piedi. Il dolore mi risale super il corpo fin nel petto, dove mi stritola sino a mozzarmi il fiato.

«Senti, lo so che vi amate, ma non sei felice da tanto, tanto tempo. Eri così giovane quando visiete messi insieme, fin troppo, e so che è dura da accettare perché Ryan è davvero il ragazzomigliore che potresti desiderare. Il migliore», ripete con enfasi.

Mi appoggio alla sua spalla e mi rimetto a piangere, però senza avvicinarmi troppo. Preferiscopiegarmi, in modo da lasciare dello spazio tra noi. Voglio che mi consoli ma non desidero lavicinanza fisica necessaria affinché lo faccia; mi fa sentire come se non avessi la situazione sottocontrollo. Non ho mai avuto tanto bisogno di lei come in questo momento, e per ora voglio fingereche non sia così. Perché permettermi di cedere al sostegno che mi offre significa ammettere di avermandato tutto a quel paese. Casey ci conosce fin da quando ci siamo messi insieme e le sue parolehanno schiacciato quel rimasuglio di speranza che avevo di riuscire a rimettere tutto a posto. Ryan èstato il mio unico pensiero fin da quand’è successo, stanotte. Lui. Noi. La felicità che abbiamocondiviso, e che io ho dato tanto per scontata.

La mia amica continua a parlare, ma non mi dà il conforto che credevo. Per dirla tutta, è stranosentirsi dare consigli in campo amoroso proprio da lei. Di solito è il contrario, di solito sono io adaiutare lei, a raccogliere i pezzi dopo che l’ennesimo ragazzo l’ha scaricata, a cercare il bandolodella matassa nel dedalo delle sue infedeltà (ha tradito ed è stata tradita, ma più spesso ancora è statal’Altra).

«Sai cos’è divertente?» domanda con aria assorta, fatto che con lei non preannuncia mai nulla dibuono tanto è raro che pensi prima di parlare o agire. «Quand’eravamo ragazzi, tu e Ryan eravatecosì diversi che mai avrei pensato che sareste rimasti insieme...»

Mi volto a guardare le tante attrazioni del molo: quante giornate felici abbiamo trascorso qui daragazzine, a giocare con le slot machine, mangiando zucchero filato, facendo su e giù dalle giostre.Ma com’è desolato e deprimente oggi.

«Lo so che stare con uno come Ryan all’inizio ti ha aiutato a migliorare l’autostima. Però adessonon sei più una ragazzina, e forse siete semplicemente cresciuti. E vi siete allontanati», aggiunge,guardandomi con la coda dell’occhio.

«Guarda che ce l’avevo già di mio, l’autostima!» replico con voce stridula. «Ero una ragazzinamolto sicura di sé, io!»

Casey piega il capo di lato e incrocia le braccia con fare condiscendente. Pare una modella così,ferma nel vento, con la nerissima coda di cavallo sballottata di qua e di là e le ciocche che siappiccicano al lucidalabbra. È il miglior esempio di brutto anatroccolo trasformatosi in cigno checonosca. «Oh, per favore, lo so che facevi la dura per proteggermi e per convincere la gente che nonte ne fregava niente, ma la realtà è che avresti voluto essere chiunque altro tranne te stessa. Non chefossi messa male come me», ridacchia dandomi una gomitatina. «Ma te li ricordi, quei fondi dibottiglia che avevo al posto degli occhiali? E l’apparecchio? E i baffetti, da brava donnamediterranea? Per non parlare della moussakà che la mamma mi rifilava tutti i santi giorni! Dio mio,grazie di aver inventato l’aerobica. E la ceretta! Ma tu, Molly, ti sforzavi così tanto di essere diversaquando invece desideravi solo avere tutte quelle cose che per le altre sembravano talmente facili:uno stile tuo, amici e un ragazzo. Fingevi di odiare tutto ciò che rappresentavano quelle odiose delle

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Heather,1 però io vedevo come le guardavi. E, sebbene fossero tanto stronze con noi, tu volevi soloessere come loro. Tutte lo volevamo. E Ryan era la meta. Detesto dovertelo dire, ma sei cambiataper poterti adattare alla sua vita, ed è da quel momento che le cose hanno iniziato ad andare male.Voi due avreste dovuto essere solo un’avventura, una storiella estiva, poi tu saresti dovuta tornare aLondra per andare avanti con la tua vita: diventare una fotografa, viaggiare, realizzare tutti i progettidi cui tanto parlavi...»

Mi volto. Non voglio più ascoltarla, ma Casey mi obbliga a guardarla in viso.«Molly, devi capire che te lo dico solo perché mi preoccupo per te!» Ha gli occhi che brillano e

mi stringe le braccia con la forza di una morsa. «Quel tuo collega l’hai baciato e altro perché non seifelice. Stai cercando un modo per uscire dal vostro rapporto e, sbronza o non sbronza, l’hai trovato.Lo so che non ci sei stata a letto ma sii sincera: avresti voluto, vero? E non è quasi come averlofatto? E adesso non guardarmi così, io sto solo cercando di farti smettere di prenderti in giro. Nondevi sprecare altri anni con la persona sbagliata e in un rapporto sbagliato solo perché ti fa sentire alsicuro. Là fuori da qualche parte la persona perfetta per te ti sta cercando, perfetta come Ryan nonpotrà mai essere... e ce n’è una perfetta anche per lui. Perché non concedi a te stessa la possibilità ditrovarvi? Perché non la concedi a Ryan?»

Volgo lo sguardo al mare, all’orizzonte. Vorrei solo farla smettere, tapparmi le orecchie emettermi a gridare: «La la la!» come facevo da bambina quando la mamma provava a dirmi qualcosache non volevo ascoltare. Faccio per allontanarmi ma non posso, mi tiene ancora ben stretta per lebraccia, anche se le dita che stringono non mi fanno male tanto quanto le parole. Perché so che sonovere. Poi per fortuna si decide a mollare la presa. Guardo il cielo proprio nell’istante in cui inuvoloni neri mantengono la minaccia e ci scaricano addosso un diluvio furioso.

«Devo tornare a casa», dico barcollando. «Devo parlare con Ryan.»«Molly!» grida, e mi fissa con una tale preoccupazione nello sguardo che torno sui miei passi e le

sfioro la guancia con un bacio frettoloso, in riconoscimento dell’aiuto che mi ha dato, sebbene non miabbia fatto sentire meglio. Ma è un bacio vuoto, perché è così che mi sento io: svuotata. So di doverdire a Ryan quello che ho fatto e so pure che equivarrà a porre la parola «fine» al nostro rapporto.

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Un bacio e non tutto passa

«Il bacio è un delizioso stratagemma di natura per porre fine ai discorsi quando le parole divengono superflue.» Lo ha dettoIngrid Bergman ed è vero. Il bacio serve a salutarsi, a riempire i silenzi, a dimostrare a qualcuno quanto ci è mancato equanto siamo contenti di stare con lui o lei. Serve a porre fine ai litigi o a interrompere conversazioni che non vogliamoproseguire. E il bacio serve anche a fingere che vada tutto bene. E di questo, ultimamente, sono divenuta una grandeesperta. Peccato però che non sempre basti un bacio per far passare tutto.

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Apro la porta di casa e sono travolta dal calore e dal profumo di castagne e del vin cotto allacannella di Ryan. Lo sbatacchiare di pentole e tegami che ben conosco accompagna gli East 17mentre cantano Stay Another Day.

Entro in soggiorno e mi accorgo che è un tripudio di festoni e decorazioni varie che paionogridarmi: «Vergognati!» e persino i ninnoli un po’ pacchiani del chiassoso albero di Natale fanno agara per riflettermi contro la mia vergogna.

«Molly?» chiama Ryan dalla cucina. «Arrivo subito, un minuto!»Trattengo il respiro e lo aspetto col capo chino. Tanto lo so che capirà subito cos’ho fatto, ce l’ho

scritto in faccia.E invece mi raggiunge illuminato da un largo sorriso a trentadue denti e con indosso la felpa che

gli ho regalato il Natale scorso. Non l’ho mai visto tanto felice e, quando mi avviluppa in unabbraccio, mi ci aggrappo e vorrei non doverlo mai lasciare. Poi però m’irrigidisco e mi ritraggo,perché so di comportarmi da egoista, che lasciargli credere che tutto sia a posto quando invece nonlo è significa tradirlo una seconda volta.

Ryan si piega leggermente all’indietro e mi fissa con occhi preoccupati, poi mi carezza unaguancia. «Molly, senti, per ieri sera, riguardo a come mi sono comportato al telefono... Ecco, midisp...»

«No», lo interrompo, perché non è giusto che mi rivolga parole che solo lui meriterebbe. «Perfavore, non dirlo.» Poi mi abbandono ai singhiozzi e mi accascio sul pavimento. «Non vorrei doverlofare, Ry; tu devi credermi, ma...» proseguo con occhi imploranti.

Ryan si lascia cadere accanto a me sul pavimento e mi fissa confuso. «Che c’è, Molly? È statasolo una discussione senza importanza, però lo so di aver esagerato, avevi tutto il diritto di uscire coicolleghi dopo il pranzo di Natale. Oggi avrei dovuto telefonarti, ma volevo farti una sorpresa.Volevo farmi perdonare. Ho anche cucinato! Vellutata di zucca, risotto con castagne e pancetta erucola con scaglie di parmigiano e pinoli, e per finire... Cazzo, Moll, adesso basta piangere, mi staispaventando. Lo so che ti ho fatto promesse che non ho mai mantenuto ed è proprio per questo...»

«Ry...»«No, fammi finire!» esclama piano, prudente.Lo guardo disperata, pregando nella mia testa che la smetta di parlare, che taccia. Lui si gratta

stancamente il capo. «Lo so che la nostra vita è diventata noiosa, coi giorni che scorrono sempreuguali. Sono stato stressato e teso e me la sono presa con te, so anche questo. Sono stato egoista. Miaspettavo che tu vivessi la vita che volevo io e non quella che sognavi, ma voglio cambiare le cosee...» Si passa la mano tra i capelli e mi guarda con l’espressione di un bambino che ha un segreto enon vede l’ora di condividerlo con qualcuno. «Volevo aspettare Natale, ma...»

Corre fuori e io dischiudo le labbra, cerco di parlare, di fermarlo, ma è di ritorno prima cheriesca a spiccicare parola e si lascia scivolare sul pavimento accanto a me, come un Labrador,ansimando d’impazienza e sprizzando amore e speranza e fedeltà da tutti i pori. Mi mette in mano una

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busta.«Molly, eccola qui, la risposta a tutti i nostri problemi! Non è il biglietto vincente della lotteria né

per un viaggio intorno al mondo. Non ci va nemmeno vicino, però ti prometto che le cosecambieranno. Che d’ora in poi la nostra vita sarà diversa. Cosa aspetti? Aprila!»

Fisso la busta senza vederla, la stringo tanto che la carta trema. Alla radio i Chicago cantano IfYou Leave Me Now . Già, se Ryan mi lasciasse adesso... Che sia un segno del destino? Però, no, èsolo che Ryan è sintonizzato su Heart FM, dove trasmettono unicamente canzoni d’amore. Lo guardo:possibile che non si accorga che così sta solo rendendo le cose ancora più difficili? Se apro questabusta sarà tutto molto, molto peggio di così.

«Ryan, non posso...» attacco, rendendogliela.«Molly, per favore.» Mi fissa con occhi imploranti e al contempo colmi della consapevolezza che

la vita che si è costruito gli sta scivolando tra le dita e che, se solo gli dessi retta e aprissi la busta,vi si potrebbe aggrappare un po’ di più. E tutto tornerebbe come prima.

Si rifiuta di riprenderla e la busta cade sul pavimento.«C’è una cosa che devo dirti assolutamente.»Ryan si passa la mano tra i capelli in un gesto tipico di ansia e frustrazione, poi scuote la testa.

«No, no, tu non capisci! Senti, guarda, la apro io per te!» Si china e sospira impaziente mentrearmeggia con la busta, la strappa e, nell’alzarsi, mi fa cadere addosso il contenuto. «Sono duebiglietti per New York, per Capodanno! Voglio che iniziamo l’anno nuovo in un posto dove avevopromesso di portarti», spiega raccogliendoli e tendendomi la mano. «Avrei dovuto farlo tempo fa, maero talmente occupato a pensare al futuro che mi sono dimenticato di guardare al presente. Tesoro,mi ero proprio impallato», sospira frustrato. «Questi...» Me li porge con sempre più insistenza.«Questi sono la mia promessa. E puoi star sicura che la manterrò. Le manterrò tutte. Molly?»

«Stringimi...» lo prego singhiozzando, mentre i biglietti cadono sul pavimento.«Molly?» Mi afferra e mi accascio tra le sue braccia.Ciò che più desidero al mondo è che mi stringa forte e dirgli che, sì, andremo a New York e la

nostra vita sarà diversa, il nostro rapporto sarà migliore e che tra noi è tutto come prima.Ora che il rischio di perderlo è concreto vedo con chiarezza ciò che ho, ecco cosa voglio dirgli.

Che è poi tutto quello che abbia mai voluto e di questo mi sarei dovuta rendere conto un sacco ditempo fa. Voglio dirglielo che lo so di essermi trasformata in una donna vuota, egoista e materialistae che non lo merito, voglio dirgli che grazie a lui ho imparato a essere una persona migliore, più diquanto avrei mai creduto possibile. Ma non è abbastanza. No, non è abbastanza. Voglio dirgli che nonho bisogno di quei biglietti per New York né di nient’altro. Che questo sbaglio mi ha fatto capire cheè lui solo che voglio e per sempre. Voglio il nostro bell’appartamentino traboccante di strambedecorazioni natalizie. Voglio le sue cose sparse un po’ ovunque. Voglio raccogliere i suoi calzini –persino quelli orrendi bianchi – ogni giorno per tutti i giorni della mia vita. Voglio essere la ragazzaperfetta, quella che non sono mai stata e che lui merita. E voglio cominciare subito dicendogli primauna lista di ragioni per cui la nostra relazione non è perfetta e poi una delle ragioni per cui vale lapena lottare per essa. Però ecco che mi torna in mente il discorso di stamattina con Casey, e così dibocca mi esce: «Ti ho tradito, Ryan. Ti ho tradito e non sai quanto mi dispiace». E scoppio di nuovoin lacrime e gli ricopro il viso di baci sussurrando le parole che spero leniscano il dolore che gli hoappena inflitto: «C’è stato solo un bacio e nient’altro, mi dispiace e...»

Ryan mi spinge via e barcolla all’indietro, finendo contro l’albero di Natale, che cade

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rovinosamente a terra trascinandosi dietro festoni, palle, renne... Tutto finisce in pezzi tra noi. Miguardo intorno e quasi non credo ai miei occhi: la lampada fenicottero è ancora in piedi. Maledettofenicottero!

«Io vado a correre», avvisa, e un attimo dopo la porta sbatte alle sue spalle.Telefono all’unica persona con cui mi va di parlare, ma Casey non risponde, perciò chiamo mia

madre. So bene che riuscirà a farmi sentire peggio di così e, per una strana perversione, è proprio ciòche desidero.

«Pronto, casa Car... Oh, sei tu, Molly cara? Va tutto bene?» domanda, sentendomi singhiozzarenon appena apre bocca.

«No, non va bene per niente. Con Ryan è finita», riesco a spiegare prima di tornare ad annegarenel mare delle mie lacrime.

«Cos’è successo? Ti ha forse fatto qualcosa?»«Non è colpa sua, non lo è mai stata. Sono io che ho mandato tutto a puttane come al solito...»«Oh, Molly, ma cosa...»«... penserà la gente?» ringhio completando la frase che ama tanto ripetere. «La sai una cosa,

mamma? Adesso non me ne potrebbe fregare di meno.»«Molly, guarda che non è quello che intendevo...»Riattacco prima che abbia modo di finire.

Dopo quelle che mi sono parse ore, Ryan è tornato a casa e si è chiuso nella nostra camera, mentreio, da brava inglese, ho reagito come qualsiasi mio connazionale in una situazione simile: hopreparato due tazze di tè e mi sono seduta a fissare la parete in attesa che si decidesse a uscire. Gli cisono volute due ore. E quello che ha varcato la soglia era un Ryan diverso da quello che conosco,più simile a quello che solevo guardare da lontano quando io ero una ragazzina confusa e lui ilragazzo che tutte volevano. Figo, imperturbabile, rilassato e inaccessibile per una come me. Si èchiuso in se stesso, ha persino tolto la felpa che gli ho regalato, ed è stato questo il segnale che mi hafatto capire che è finita per davvero. Si è seduto all’altro capo del soggiorno, il più lontanopossibile, e ha iniziato a bersagliarmi di domande.

«Chi?»«Quando?»«Perché?»«Come?»«Ti è piaciuto?»«Ci hai fatto sesso?»«Avresti voluto farci sesso?»Tra le lacrime, ho risposto.«Un collega del lavoro.»«L’altra sera.»«Non lo so, perché ero ubriaca... no... perché ero curiosa. Non lo so, Ry, vorrei tanto... forse

avevo solo voglia di qualcosa di diverso... e mi sbagliavo. Non voglio niente di diverso, io vogliosolo te.»

«Come? In che senso? Sulle labbra... Oh, insomma, è successo, non lo so come. Un attimo prima

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stavamo parlando e quello dopo...»«Sì. No! No che non mi è piaciuto! E, se anche volevo che succedesse, comunque era sbagliato.

Quante volte? Una sola. Una. Sola.»«No! No! Macché sesso... Per chi mi hai preso?»A quell’ultima domanda non sono riuscita a rispondere, non con sincerità almeno.Poi lui si è accasciato contro lo schienale, inespressivo, prosciugato di ogni energia

dall’interrogatorio che aveva appena condotto. Mi è venuto in mente che una volta conoscevo amenadito ogni pixel di quel suo viso meraviglioso e che adesso invece era ridotto a una polaroidsbiadita. Non mi ha guardato. Mai.

«Ryan? Per favore, di’ qualcosa...» Glielo ripeto, per provare a smuovere la situazione. Due ore seduti qui senza riuscire a parlare, noncome si deve. Ho provato ad avvicinarmi, ma non me l’ha permesso. Per la prima volta era lui a nonsopportare il contatto fisico. Non mi ero mai resa conto di quanto potesse far sentire isolati, tagliatifuori. Eppure dovrei esserci abituata, dopotutto provengo da una famiglia in cui le manifestazionid’affetto, soprattutto quelle fisiche, erano messe al bando. Noi Carter non siamo tipi da abbracci e,Casey a parte, ho sempre reagito con fastidio ai tentativi di amiche e colleghe di prendermi abraccetto. Per non parlare del classico saluto con bacio sulla guancia. Già trovo difficoltoso baciarecoloro che amo, figuriamoci un po’ i semplici conoscenti. Per me è stata molto dura abituarmi allestraripanti dimostrazioni di affetto della famiglia di Ryan. Con gli anni ho imparato, sono migliorataanche, e mi sono resa conto di che razza di fidanzata sono, con tutti i miei problemi d’intimità el’incapacità di prodigare affetto come lui. Ma per fortuna noto che adesso Ryan è pronto a parlare.

«Senti...» inizia, gelandomi con uno sguardo duro che non gli ho mai visto. «Io ancora non riesco acapire perché l’hai fatto, però, ecco... forse ci hai fatto un favore. Penso sia ora di ammettere che èda un po’ che non siamo più felici.» Abbandona il capo sul petto, prende un respiro profondo e tornaa guardarmi con un sorriso triste. «Credo proprio che siamo troppo giovani per tutto questo»,aggiunge indicando l’appartamentino con un ampio gesto del braccio. Casa nostra che non è più casaormai.

«Forse siamo solo troppo diversi», replico lentamente. «Non siamo come tuo fratello e Lydia.Tutti si sono accorti fin dall’inizio che loro due erano una vera coppia. Si sono messi insieme più omeno nello stesso periodo in cui l’abbiamo fatto noi e adesso sono fidanzati, mentre noi...»M’interrompo e gli rivolgo uno sguardo interrogativo.

«Carl racconta sempre che lo ha capito fin dal primo istante, che erano fatti l’uno per l’altra»,commenta avvicinandosi alla finestra per guardare fuori. I fiocchi di neve si raccolgono piano inmucchietti sul vetro, poi il vento li spazza via. Una fragilità, la loro, che sa di cattivo auspicio. «E iocredevo che valesse anche per noi.» Si volta verso di me con occhi mesti. «Ma tu hai bisogno diesplorare il mondo, di trovare ciò che ti rende felice e io...»

Le parole gli si strozzano in gola, barcolla, e allora mi avvicino e gli prendo la mano. Ho bisognodi dirgli un’ultima cosa, di provare a spiegare. «Sai, Ry, vorrei tanto che ci fossimo incontrati cinqueanni dopo. Io... io vorrei tanto essere diversa. Vorrei essere stata pronta per tutto questo, per te. Miviene il panico al pensiero di non poter mai più riavere nulla di simile, di aver gettato via l’unicovero grande amore della mia vita.»

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Ryan mi prende il viso tra le mani e mi accarezza piano, asciugandomi le lacrime mentre le suecontinuano a scorrergli lungo le guance. «Io ci sarò sempre per te, Molly, sempre. E ti amerò persempre, anche se non staremo insieme.»

Poi mi avvicina la testa alla sua, fin quando non si toccano, come magneti attratti da una forzairresistibile. Ha la fronte bollente, il suo respiro mi scalda il viso, m’infiamma la pelle e obbliga lelabbra a cercare le sue, come un girasole che si protende verso il sole, e mi bacia con tenerezza. Maè diverso dalle altre centinaia, migliaia di volte. Perché questo è un bacio d’addio.

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Il bacio sprecato

La luce del sole abbraccia la terrae il raggio della luna bacia il mare:tutto questo baciar che cosa vale,se tu non baci me2

Percy Bysshe Shelley Quanti baci sprechiamo, scacciamo con un gesto della mano, gettiamo via, e poi, una volta perduti, quante volte vorremmopoterli riavere tutti, sino all’ultimo, ancora e ancora? Un pensiero che talvolta mi ossessiona quando, col morale sotto itacchi, mi domando cosa pensi Ryan, cosa faccia. Rammento ancora il periodo in cui immaginarlo mentre baciava un’altraera per me la cosa peggiore che potesse mai capitare. Adesso so che non è così.

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«Andiamo!» esclama Casey tirandomi su di peso.«Noooo!» Mi aggrappo disperata al piumone di Hello Kitty come un bimbo alla sua copertina. A

parte le ore in ufficio, per tutto il resto del tempo nelle ultime due settimane è stato il mio compagnofedele, ormai dev’esserci rimasta l’impronta del mio corpo, come sulla Sindone. Potrebbero usarlaper un nuovo marchio: Hello Sfighiz.

«Moll, non me ne frega niente, noi stasera usciamo, fattene una ragione! È l’ultimo dell’anno! Tisei trasferita qui da due settimane e, quando non sei al lavoro, ti trascini per casa col muso perenne.Stai rovinando anche me. Guarda!» Indica il soffitto. «La mia palla stroboscopica riflette quel tuomuso depresso per tutta la stanza e io non lo sopporto più! Adesso noi due facciamo ciao ciaoall’anno vecchio – e agli ex! – e corriamo incontro a quello nuovo! Infilati dei vestiti decenti perchéstiamo uscendo, adesso!»

Mi lascio trascinare in camera sua, dopotutto è il meno che possa fare per quello che l’ho costrettaa sopportare in queste due settimane. Quando Casey mi ha offerto il divano, io ho colto l’occasioneal volo. Volevo andarmene da Londra, allontanarmi dalla persona in cui la città mi avevatrasformato. Con Ryan abbiamo deciso che nell’appartamento sarebbe rimasto lui: dev’essere allavoro prima di me e spesso si trattiene sino a tardi per occuparsi delle varie attività sportive deldoposcuola; tanto sapevo pure che i fine settimana li avrebbe trascorsi dai suoi, e avevo bisogno disentirlo vicino, pur non potendogli stare accanto.

Ho quindi fatto le valigie e mi sono trasferita nella nuova casetta molto... femminile di Casey. Chesituazione strana, però. Finora è sempre stata lei la musona che languiva sul mio divano! Sulle primenon sapevo come avremmo potuto gestire questa novità nel nostro rapporto.

E poi lei era così entusiasta che pareva aver dimenticato – non so quanto volutamente – che nonsarei certo stata una compagnia brillante. O che le sue conquiste di una notte mi avrebbero trovato afare la fila per il bagno alle sette del mattino. E questo, colmo dei colmi, anche all’ultimo dell’anno(ovvero la notte più deprimente per i single dopo San Valentino). Ma, perlomeno, a San Valentinonon si è obbligati a restare sino alla – amara – fine. Casey, però, è felice come non la vedevo daanni, immagino quindi che qualcosa di buono sia pur venuto fuori da questa situazione.

È come se ne stesse approfittando per rimettere indietro le lancette dell’orologio e godersi ilpiacere di riavere la sua migliore amica. Ciononostante io credo che sia anche molto delusa da comesto reagendo alla rottura con Ryan.

Si aspettava che interpretassi alla lettera lo stereotipo della poverina che giace affranta suldivano, perennemente in pigiama, ad abbuffarsi di dolci e lagnarsi tra le lacrime che resterà zitella avita. E invece no. Non ci penso nemmeno. So che devo farmene una ragione e andare avanti e lofaccio. Be’, tranne quando sono da sola sul divano letto, rannicchiata sotto il piumone di Hello Kitty.Qui non ho scampo dalle lacrime. Per il resto, mi sono gettata a capofitto nel lavoro; mi sono persinoofferta di restare in ufficio tra Natale e Capodanno, anche se il motivo principale è che non avreipotuto sopportare i miei un minuto di più. Per fortuna, lui non ci sarebbe stato. Colui che non

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dev’essere nominato. Non lavora più da Viva, è stato promosso all’interno del gruppo editoriale e hacambiato ufficio.

Per dirla tutta, io so di essere forte abbastanza da poter affrontare la situazione a modo mio,mentre Casey è affamata di lacrime e dramma. Mi rendo conto che è difficile da comprendere per chiè fatto in modo diverso, quindi ogni tanto mi sforzo di darle quello che vuole in cambio di un po’ direspiro.

Per strada c’è un sacco di gente con capellini e trombette di carta e bizzarri bicchieri a forma di2005. Come osano divertirsi mentre io mi sento così? Sono ferma a battere i denti all’ingresso delPlayers, la discoteca in cui lavora Casey, mentre lei chiacchiera coi buttafuori e saluta con la mano lepersone in fila, che paiono conoscerla tutte. E in particolare qualche uomo, a giudicare da come liavvinghia nel salutarli. E dal «voto» di ciascuno che mi sussurra di volta in volta. Ormai gli anni darubacuori hanno superato di gran lunga quelli da adolescente disadattata. Rammento l’istante precisodel cambiamento. A diciassette anni, il suo corpo ha subito un’esplosione improvvisa: il seno èsbocciato, le gambe si sono allungate e i capelli sono cresciuti.

Ormai trovare un ragazzo non è certo un problema, è il dono di tenerselo che le manca. Finge chevada bene così, ma io so bene che darebbe qualsiasi cosa pur di trovare un uomo che la ami comeRyan ama – mi correggo, amava – me.

D’improvviso Ryan mi fa capolino nella mente e mi si mozza il fiato, obbligandomi a ricacciaregiù le lacrime. Non posso mettermi a singhiozzare proprio qui. Non a Capodanno. Sono venuta per«divertirmi», per «sciogliere i capelli», come dice Casey, per seguire il tipico copione della ragazzasingle: ballare, bere e flirtare. Tutte cose di cui, quando stavo con Ryan, ero convinta di sentire lamancanza e che adesso non mi riesce proprio di fare. La mamma aveva ragione. Molly la Bastiancontraria, oui, c’est moi!

Chissà cosa sta facendo adesso? Di sicuro è al pub con gli amici. Li vedo chiaramente come icapezzoli di Casey attraverso il top di seta super attillato. Ho provato a convincerla a indossare unreggiseno senza spalline, ma non ha voluto sentire ragioni. E, a essere sincera, è strepitosa. Io, poi,non saprei comunque come vestirmi per andare in discoteca. Casey ha insistito per prestarmi unvestitino arancione con scollatura sino all’ombelico e un paio di scarpe tutte brillantini con un taccovertiginoso, ridicole e non da me. Ma forse è proprio questo il punto.

Casey mi pungola ma io la ignoro, voglio continuare a pensare a Ryan, e inoltre sono sicura chelei sta indicando l’ennesimo ragazzo che «conosce». Poi mi sento trascinare nel locale, oltrel’ingresso riservato ai VIP, in un’area protetta da un bel cordone rosso e costellata di enormi edeleganti divani dai colori sgargianti e chaise longue di velluto riccio. Qua e là sono già accomodatigruppetti di persone in gran tiro, con l’abbronzatura da estetista e i denti bianchi che brillano sotto leluci UV.

Casey è su di giri, non fa che salutare agitando frenetica la mano. Mi spinge in un angolo. «Tusiediti qui!» esclama allegra, con voce acuta. «Io... Io vado a prenderci da bere!»

Sparisce, ma la mia solitudine ha vita breve perché subito si avvicina un tipo con una magliettabianca aderente e ben infilata nei jeans scoloriti, anch’essi molto stretti per mettere in risalto il fisicopalestrato, occhiali da sole Gucci infilati nello scollo a V e una vistosa quanto ostentata cintura diHermès. Ma su tutto spicca, impossibile da dissimulare, un’espressione del tutto assente. «Ciaobbbellla, lo sai che sei troppo carina per stare sola?» attacca bottone, e si volta verso gli amicimostrando loro i pollici all’insù.

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«E tu sei troppo scemo per capire che voglio anche restarci», replico inarcando un sopracciglio.«E com’è che ti chiami?» prosegue lui imperterrito, per quanto un po’ stupito dalla risposta.«Effoff», lo accontento digrignando i denti in un sorriso tirato.«Forte! Effoff! Mai sentito prima. Cos’è, svedese?»Sbuffo per non scoppiare a ridergli in faccia e lo congedo agitando entrambe le mani. Il poverino

se ne torna difilato dagli amici, con aria perplessa e confusa.Nel medesimo istante Casey ricompare con una bottiglia di champagne. «Ecco qua! Scaldiamoci

con le bollicine!» Scruta tutt’intorno e poi si volta verso di me. «A noi donne giovani, libere esingle... e, ehm, ai nostri nuovi incontri!» esclama versandomene un bicchiere, che ingollo d’un fiato.Stanotte ne avrò proprio bisogno.

Un’ora dopo mi sono scolata quasi la bottiglia intera e mi do da fare in pista cercando d’imitareBeyoncé in Crazy Love. Devo dire che non sono proprio niente male! Nella mia testa, con unabottiglia di champagne che mi scorre nelle vene e questo vestito, be’, potrei passare proprio per lei.E adesso sto rifacendo il video, col tipo della cintura Hermès che è lietissimo d’interpretare Jay-Z.Prima sono stata un po’ scortese, è davvero tanto tanto simpatico, e io stasera sono proprio sexy, eallora perché cavolo Casey continua a cercare di trascinarmi via dalla pista? Ora capisco come maise la prende tanto quando provo a portarla via dal divertimento. Ero convinta di essere protettiva,mentre adesso mi rendo conto di essere stata solo una rottura.

«Ma insomma!» esclamo mentre cerca di riportarmi nella saletta VIP. «Ma che fai? Mi stodivertendo un sacco con coso, non mi vedi?» Mi metto a sculettare, senza farmi mancare ilmovimento di braccia e gambe che con Mia avevamo inventato all’università. «Case, mi diverto unsacchissimo! Guardami, mi sto divertendooo!!!» E, per una ragione che io solo so, attacco a fare ilrobot.

Lei scuote la testa e mi fa cenno di seguirla. «E dai, Moll», mi prega. «Torniamo ai nostri posti.Ho anche preso un’altra bottiglia!»

«Evvai! Prima però finisco la canzone, okay? Perché sono bravissima, guardami!» E mi metto adimenare le braccia e mi sento libera e disinibita come non mi capitava da secoli. Sono le undici,manca un’ora a Capodanno e io sono giovane, libera e single!

«Te lo chiedo per favore, Moll», insiste riprovando a trascinarmi via. «Vieni con me prima chevedi...»

«Prima che vedo co... eh? Ah.» Mi volto, stringendomi ancora una mano per il polso dietro latesta, e lo vedo. Ryan. All’altro capo della pista. Che bacia qualcuno. Una ragazza. Una bionda alta ebella.

Una ragazza che non sono io.«Mi spiace», fa Casey addolorata. Mi prende a braccetto e prova a condurmi via, ma sono

incollata al pavimento. «Io ci ho provato ad avvisarti.»Tutto si ferma, la musica, le persone, e nella stanza siamo solo lui e io.Oh, e l’altra.Li fisso, lo vedo sollevare lo sguardo e accorgersi di me. S’interrompe subito e si allontana. Lei

gli dice qualcosa ma Ryan scuote la testa. Lei se ne va. Ryan si porta la mano alla fronte, la sfrega epoi si passa la mano nei capelli come fa sempre quand’è nervoso. Mi guarda, è abbattuto. Io nonriesco a muovermi, vorrei ma non ci riesco. Me ne resto qui, immobile su una gamba sola come... unfenicottero, a fissarlo mentre la canzone cambia e Casey continua a provare a portarmi via.

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«Non farti questo», dice prendendomi il viso tra le mani per obbligarmi a guardarla negli occhi.«Stavi andando così bene. Dai, Molly, adesso andiamo via.»

Abbasso la gamba, senza smettere di fissare Ryan. Come vorrei non aver visto nulla, ma dopotuttoè single, libero di comportarsi come preferisce. Perciò mi limito a salutarlo con un cenno del capo emi volto, e quando mi rigiro a guardarlo Ryan si porta una mano alla bocca, come a volermi mandareun bacio. Poi però lascia cadere il braccio, il bacio finisce sulla pista e Ryan svanisce. Come vorreitornare indietro di corsa e inginocchiarmi sul pavimento a cercare, come quando mi cade una lente acontatto. Voglio quel bacio. Voglio Ryan. Ma perché ho mandato tutto all’aria?

Sedute in taxi, singhiozzo e gemo appoggiata alla spalla di Casey mentre lei mi accarezza icapelli. Be’, almeno lei ha ottenuto quello che voleva, no? Una migliore amica che piange disperatadi cui prendersi cura.

«So che non vorresti sentirtelo dire, ma forse è un bene che sia successo. Perché adesso puoidavvero andare avanti e accettare una volta per tutte che tra voi è finita, no?»

Annuisco, però in verità avrei preferito continuare a vivere nella beata ignoranza, nella speranzache Ryan fosse nel mio stesso stato, che gli mancassi quanto lui manca a me.

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9:11

Metto il DVD in pausa e mi spingo via dal grembo un Harry visibilmente offeso, travolta da un’improvvisa ondata di senso dicolpa nel pensare a quanto ancora ho da fare. Ma perché cavolo mi sono messa a guardare un film? È proprio comequand’ero piccola e ogni sabato mattina la mamma mi obbligava a ripulire la camera ma io mi mettevo a guardare i cartonianimati di nascosto.

Spazzolo via i peli del gatto con le mani e vado a posare la tazza nel lavello in cucina, poi prendo il pennarello che ierisera ho lasciato sull’isola. Devo contrassegnare le scatole fatte ieri, per fortuna ho escogitato un sistema chiaro e semplice:Beneficenza, Spedire, Magazzino.

È quest’odore. Chiudo gli occhi e annuso il pungente odore simile alla benzina che si sprigiona non appena apro ilpennarello. Spesso Ryan trascorreva le serate steso sul pavimento in mezzo al soggiorno a disegnare le formazioni di giocoper le partite del campionato di calcio studentesco su enormi fogli di carta bianchi mentre io leggevo libri di fotografia.

Un odore che, per certi versi, è più forte e più evocativo addirittura del suo dopobarba di Hugo Boss; quante volte, quandol’ho fiutato nell’aria, mi sono messa a seguire l’uomo da cui proveniva, nel caso fosse proprio lui, per poi rendermi conto diciò che facevo e battere in ritirata.

L’odore del pennarello, però, rievoca ricordi tanto piacevoli quanto dolorosi perché, oltre a farmi ripensare a Ryan, miriporta ai tempi della scuola; mi rivedo a ridacchiare con Casey durante le lezioni e a scrivere commenti nei rispettiviquaderni sui ragazzi che ci piacevano. E poi mi rammenta casa, certo. I miei genitori. La casa invasa dall’odore deipennarelli rossi indelebili tratto fine che usavano per correggere instancabili pile e pile di eserciziari.

Guardo dentro una scatola non contrassegnata sul bancone: è piena di utensili da cucina. Beneficenza. Si potrebbepensare che stia cancellando i ricordi di una vita così, come le scritte su una lavagna, ma è solo per fare spazio a quellinuovi.

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Il peggior primo bacio

Quando si parla d’amore, vi sono alcuni fatti che si danno per scontati. Prendiamo il primo bacio, per esempio. Mai nessunoha raccontato di un amore vero nato da un bacio orrendo, giusto? Giulietta si sarebbe tanto infatuata di Romeo se, anzichétutta la scena del balcone, si fosse limitato a infilarle la lingua in bocca? E, se Jack avesse sbaciucchiato Rose mezzoubriaco alla festa sottocoperta anziché baciarla teneramente mentre la faceva «volare» sulla prua della nave, Titanicsarebbe stato comunque il film campione d’incassi di tutti i tempi? Chissà, forse Shakespeare e gli scrittori romantici suoicontemporanei (e James Cameron) pensavano che un brutto bacio fosse un cattivo presagio troppo ovvio. E, talvolta, misono domandata la stessa cosa.

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◀◀ REW 18/11/95

«Oddio, no, lui no!» borbotto nel riconoscere Ryan Cooper che si avvicina, mentre cercodisperatamente di nascondermi dietro mia madre. È un freddo e bigio sabato mattina e la mamma miha trascinato a Southend per fare shopping natalizio e cercare di «legare» un po’. Cosa che detestoperché non so più che inventare pur di non farmi vedere in pubblico coi miei genitori, non sopportoquella loro aria così misera e infelice, mi mette in imbarazzo.

Prima non erano così, ma negli ultimi tempi hanno raggiunto il minimo storico e sono davveroinviperita con entrambi perché nessuno dei due ha il fegato di andarsene e farmi così smettere dipenare. Il fatto è che papà è il preside della Westcliff, la scuola che frequento io, mentre mamma è lacoordinatrice d’inglese presso la Thorpe Hall, la scuola privata frequentata da Ryan Cooper. Sonodue membri in vista della comunità, insomma.

Restano insieme per un contorto senso dello status sociale (e perché nessun altro se liprenderebbe). Ormai non riescono neppure a convivere nella stessa stanza. Mamma trascorre iltempo in cucina a cucinare, correggere compiti e lamentarsi con me. Papà passa le giornate chiusonel suo ufficio, a fissare i quadri e i libri ma, soprattutto, a fissare fuori dalla finestra, come sedesiderasse trovarsi ovunque tranne che qui con noi. E così continuano a tessere la loro ridicolatrama di finzione, e più cresco più me ne rendo conto e meno tollero averli intorno.

Però la mamma non intende cedere. È determinata a scoprire a tutti i costi che cosa mi piace (esono molto tentata di risponderle «sesso, droga e rock and roll», così, solo per il gusto di vederladare fuori di matto). E so bene che vuole fare compere insieme col solo scopo di convincermi afarmi un guardaroba secondo lei più consono (mocassini, gonne svasate e maglie e maglioni col colloalto). Io davvero non so più in che lingua ripeterle che a me piacciono i miei vecchi jeans sgualciti,le Converse tutte scassate e le camicie di flanella, le giacche militari e le gonne corte.

«Tesoro, vuoi che andiamo da Topshop? O magari preferisci Mrs Selfridge?» domanda con unsorriso fin troppo marcato, cercando di prendermi a braccetto.

Io però sguscio via. «Miss, non Mrs», sibilo. «E non ci metto piede manco morta.» Nascondo ilviso dietro la mia nuova Nikon F50. È un regalo di Natale anticipato – un mero tentativo dicomprarsi la mia approvazione – e da quando l’ho scartata non me la levo mai dal collo. È un modoper fuggire dal presente così infelice e concentrare la mia attenzione (e l’obiettivo) sulla mia futuracarriera di fotografa. I miei mi hanno spiegato che hanno pochissime fotografie di me da piccolaperché, non appena avevo iniziato a camminare, non smettevo d’inseguire chiunque impugnasse unamacchina fotografica perché volevo starci dietro anch’io, volevo assolutamente vedere le cose daquell’altro punto di vista. Ne ho presa una in mano per la prima volta a quattro anni. Era Natale,rammento ancora la sensazione nel guardare attraverso quel buchino rettangolare, la consapevolezzadi sapere cosa fare senza che nessuno mi obbligasse a impararlo, come invece con la danza, peresempio: lezione una volta alla settimana fin da quando di anni ne avevo tre. Con quella in manobastava guardare e scattare. E io sapevo d’istinto come farlo bene dato che non ho mai tagliato testa opiedi a nessuno, nemmeno a quell’età. La macchina fotografica è diventata il mio terzo occhio, me ne

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andavo in giro guardando il mondo attraverso l’obiettivo. Rammento ancora che, a sette anni, hopensato che fosse come gli occhiali di papà: mi aiutava a vedere meglio. Adesso so che era perché iocatturavo sulla pellicola le emozioni vere, non quelle finte che in genere vanno per la maggioredavanti a un obiettivo. Mi faceva sentire potente, come se nessuno potesse nascondermi i proprisegreti. Non che avessi modo di scattare davvero tutte le fotografie che volessi, i miei non miconcedevano più di uno, al massimo due rullini al mese, perciò fingevo, immaginavo d’inquadrare,mettere a fuoco e immortalare. Da ragazzina tenevo un taccuino in cui annotavo appunti su luce,ombre, composizione e messa a fuoco; mi era venuta la fissa per i fotografi famosi, come HenriCartier-Bresson, un maestro della fotografia schietta e testimone della vita vera cui m’ispiro.

E così oggi guardare attraverso l’obiettivo la strada principale di Southend brillare per la pioggiache l’ha bagnata fa sembrare la giornata – e questo buco di cittadina portuale – più luminosa, latrasforma da deprimente a splendida. Talvolta la macchina fotografica vorrei potermela attaccareall’occhio perché, vista attraverso le sue lenti, la vita pare migliore. E poi avrebbe l’indubbiovantaggio di coprirmi abbastanza per non farmi riconoscere da Ryan Cooper.

«Mrs Carter!» chiama lui, sistemandosi il borsone sulla spalla e allungando il passo, senza peròsmettere di sorseggiare con fare ammiccante dalla bottiglietta di Gatorade.

Cacchio. Ci ha viste. Mi fingo occupata a cambiare il rullino, così ho una buona scusa per nonaccorgermi di lui.

«Mio Dio, mi chiama gridando per strada?» mormora la mamma. «Ma cosa penserà la... RyanCoopah!» gorgheggia non appena Ryan ci raggiunge, stando bene attenta a pronunciarne il nome comese fosse la regina Elisabetta; vezzo che del resto ha da sempre nel parlare con colleghi, alunni egenitori.

«Tutto bene?» risponde lui con un sorriso che illumina la strada, scrutando nella mia direzione.Non che sia il mio stile preferito – troppo perbene – ma devo ammettere che è proprio un gran figo.Indossa felpa, jeans un po’ sformati e scarpe da ginnastica. E ha anche un buon profumo, comeappena uscito dalla doccia. L’occhio mi cade sul borsone Puma. Questa mattina deve aver giocato.«Ciao, Molly. È un po’ che non ti vedo, come stai?»

Non rispondo. Gli volto le spalle, sollevo la macchina fotografica e mi fingo impegnatissima ascattare.

«Ryan, non dovresti essere a casa a fare i compiti?» interviene la mamma, rigida.«È sabato», risponde lui educato, guardando anche me. «Avevo una partita e poi ho pensato di

fare un giretto in città.»«Chi ha tempo non aspetti tempo», replica mamma, arcigna. «Ryan, sappiamo tutti che dinanzi a te

hai un brillante futuro nello sport agonistico e la scuola è fiera di te, tuttavia hai bisogno anche di unabuona istruzione sulla quale poter contare nel caso le cose ti vadano male col... come lo chiamatevoi... col ’bel gioco’, non credi?»

Avvampo per la vergogna. Non potrebbe disattivare la modalità insegnante almeno per unsecondo? Non si rende conto che mi sta uccidendo con questa figuraccia davanti al ragazzo più figodella città?

«Gli esami finali sono vicini», prosegue compassata. «E i tuoi ultimi compiti...»Evidentemente no.«Mamma, dacci un taglio», sibilo, furiosa. «Adesso non siamo a scuola.»Mi fissa con le labbra tese, arrossendo. Un contrasto notevole col suo colorito normalmente

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pallido, senza un filo di trucco.«No, non ti preoccupare», interviene Ryan sorridendo. «Tua madre ha ragione. È vero che mi

alleno tutto il tempo. Il mio sogno è arrivare ai diciott’anni e giocare da professionista nel Southend.Quindi mi resta solo un anno!» Si rivolge a mia madre. «Ma Mrs Carter ha assolutamente ragione. Inquesto semestre devo mettermi sotto. Voglio riuscire bene agli esami e con un’insegnante come tuamadre ho buone possibilità di prendere un buon voto perlomeno in inglese! È la migliore!»

Ci rivolge l’ennesimo largo sorriso e subito guardo mia madre, scuotendo il capo nel notare lasorpresa che le attraversa lo sguardo e l’espressione che si ammorbidisce. «Oh, Ryan, sei gentile!»esclama arrossendo. Santo Dio, questo ragazzo è riuscito a incantare persino lei. Esiste un limite aisuoi poteri? «Essere d’esempio per i propri studenti è il sogno di ogni insegnante», aggiungetoccandogli un braccio.

Oh-oh, momento alla Attimo fuggente in arrivo.«Come ha detto il grande Joseph Conrad: ’L’uomo è un lavoratore. Se non lo è, non è nulla’.»«Parole davvero molto sagge, Mrs C», commenta Ryan con aria solenne, e io, nascosta dietro la

spalla della mamma, non posso che scuotere il capo. Spero bene che la stia prendendo per i fondelli.Provo a incrociarne lo sguardo ma è troppo occupato – o perlomeno così pare – ad ascoltare ildiscorso appassionato della mamma per badare a me.

«Sa, signora, pensavo che dev’essere stanca di girare dopo una dura settimana di scuola», lerisponde, una volta che lei ha terminato il monologo. «Perché non si concede una tazza di tè in un belposticino? Molly e io potremmo farci un giretto da Topshop e poi raggiungerla diciamo tra un’oretta?Non sarebbe forte?»

Come c’era da aspettarsi, mamma è sorpresa e poco incline all’idea, poi però guarda me, e dinuovo lui. «Sì, sarebbe fort... una bella prospettiva. A essere sincera, in effetti sono un po’ stanca.Credo proprio che andrò a fare un giretto in libreria, sì...» Così dicendo, si copre la testa conl’imbarazzante foulard di plastica trasparente in stile nonnina d’altri tempi, tira su la cerniera dellagiacca a vento e fa per darmi un bacio sulla guancia, ma io mi scanso, quindi si allontana lungo lastrada.

Io me ne resto immobile, confusa e imbarazzata dalla situazione in cui mi trovo.«Finalmente soli», commenta Ryan facendomi l’occhiolino.«Mossa davvero astuta», replico iniziando anch’io a camminare veloce, nella speranza che

capisca l’antifona e mi lasci in pace.Ma niente. «Be’, sai, io con le donne ci so fare», ridacchia, raggiungendomi in un attimo.

«Soprattutto con le prof, mi adorano.»Si guarda nella vetrina. Oddio, mi viene da vomitare. Siamo pienotti di noi stessi, eh? Per carità,

ne hai tutte le ragioni, però... «Pensavo che il grande Ryan Cooper fosse al di sopra dei giochetti perdiventare il cocco della professoressa...»

«Non se mi permette di stare un po’ in compagnia con una ragazza che mi piace!»«Guarda che non ci sono i tuoi amici. Puoi smettere di recitare.»Si acciglia e scrolla le spalle, come se non avesse idea di cosa intenda.Per tutta risposta, mi volto a fotografare una coppietta che si bacia davanti a un bar.«Che cosa fotografi?»«Cose così. Io fotografo tutto.»«Allora anche me?» Balza davanti all’obiettivo e improvvisa qualche orrenda posa da catalogo,

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ridendo disinvolto di se stesso.Abbasso la macchina fotografica e lo fisso dritto negli occhi, senza battere ciglio. «Scusami, avrei

dovuto essere più chiara. Io fotografo tutto... quello che mi interessa.» Tiro su il naso e riprendo acamminare.

«Ahhh! Che dolore!» esclama tenendosi il ventre e barcollando come se l’avessi pugnalato. Miraggiunge saltellando e m’impongo di non ridere né sorridere. «Allora ti va di fare un giro al negoziocon me? Voglio comprarmi qualcosa di nuovo per stasera. Sai, vado al Grand.» S’interrompe perscostarsi i capelli biondi dal viso con la mano. «Tu ci vieni?»

«Non ho il permesso.» Mentalmente mi sto prendendo a calci.Le labbra gli si distendono in un largo sorriso. «Da quello che ho sentito dire, per te non è mai

stato un problema.»E ha ragione. Frequento pub e discoteche da quando ho quattordici anni. Senza che i miei lo

sappiano. Il tubo della grondaia passa proprio fuori dalla finestra della mia camera e loro sonosempre troppo occupati a dare voti, leggere o ascoltare quei loro orrendi dischi degli anni ’60 peraccorgersi che esco. Cambio direzione e m’incammino verso Topshop, mordendomi il labbro pernascondere il compiacimento quando Ryan mi segue. «Bleah!»

Ryan esce dal camerino con una salopette di jeans e io fingo di ficcarmi due dita in gola.«Cosa?» domanda sulla difensiva.«Perché una bretella è slacciata? Ma dai, ti vedo il capezzolo!»«Ma guarda che è la moda!» ribatte, offeso. «Robbie Williams la porta così nel video di Pray e

tutte le ragazze gli muoiono dietro...»«Quasi tutte», preciso io con una smorfia. «Davvero, dammi retta e toglitela.»Fa per slacciare anche l’altra bretella.«No! Non qui!» esclamo coprendomi gli occhi con le mani.Ryan sogghigna. «Lo sapevo che non puoi resistermi...»Io faccio di tutto per non sorridere. «Fila nel camerino! Marsch!»«Molly Carter, però vedi di deciderti: o mi vuoi o non mi vuoi.»Cerco di mantenere un’espressione impassibile nonostante i fuochi d’artificio nelle mutandine,

mente Ryan scrolla le spalle e torna nel camerino.«La sai una cosa?» grido concentrandomi sullo smalto color prugna tutto scheggiato nel disperato

tentativo di far rallentare il cuore e di scacciare l’immagine di lui che si spoglia. «Chissà perché eroconvinta che lo shopping compulsivo fosse roba da femmine e non da aspiranti stelle del calciolocale.»

La testa di Ryan fa capolino dalla porta, lasciando intravedere qualche centimetro di petto nudomentre lui s’infila una camicia scamosciata color sabbia. Sento le guance avvampare e subito mi tuffoa studiare da vicino le mie fidate Converse personalizzate e ormai consunte che indosso sotto unagonna nera lunga e body di velluto riccio dello stesso colore. Amo il nero. E non solo perché èl’unico colore che non fa a pugni coi capelli tagliati e tinti con l’henné dalla sottoscritta.

«E io non credevo che tu fossi tipo da shopping con la mamma», risponde sogghignando.«Tu pensi di avermi già inquadrato, vero, Cooper?» ribatto incrociando le braccia.

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«Proprio per niente, anzi! Per questo mi piaci, piccola.»«Non sono la tua piccola!»Inarca un sopracciglio e un lampo malizioso illumina l’azzurro cristallino dei suoi occhi. «No, è

vero», risponde fissandomi, anche lui con le braccia incrociate. «Non ancora.» E richiude la porta.Mi volto, afferro un paio di camicie di flanella scura a quadri e le infilo nel camerino volgendo il

capo, ma non abbastanza in fretta da non scorgere di nuovo quel suo petto così liscio e abbronzato.«To’, prova queste. Se le indossi aperte sopra una maglietta, magari riuscirai a liberarti almeno unpo’ di quella tua aria così pettinata. Senza offesa, eh.»

«Figurati.» Mi sfiora le dita nel prenderle, trasmettendomi una scarica elettrica. «Lo so che miami così come sono.»

Ritraggo il braccio con un gesto spazientito e spero tanto non noti che non l’ho contraddetto. Mezz’ora dopo sediamo nel bar di una stradina laterale. Che sia il caso di darmi un pizzicotto perassicurarmi di non sognare? Ma sì, io lo faccio.

«Ahio!»Porca vacca. Sono sveglia.«Tutto a posto?» domanda.«Sì, sì, è solo che, sai, ho sbattuto la caviglia contro la gamba del tavolo e allora...» spiego,

massaggiandomi la caviglia.Ryan guarda sotto il tavolo e mi fa l’occhiolino. «Vuoi una mano?»Avvampo ancora. Riprenditi, Molly Carter! Le suffragette non si sono incatenate e fatte

arrestare perché tu te ne restassi qui seduta a sorridere a un ragazzo come un’ebete!«No, sto bene così! Cos’è che stavamo dicendo?»«Mi raccontavi dei tuoi», risponde posando entrambi i gomiti sul tavolo.Non so come, è riuscito tirarmi fuori dettagli che non avrei mai immaginato di affidare a una

persona in carne e ossa, ma solo alle pagine del diario. È che sa sempre qual è la domanda giusta daporre, come se conoscesse già la risposta. Forse dipende dal fatto che ha diciassette anni, quasi duepiù di me, ed è molto più maturo dei ragazzi della mia età. Adoro l’intensità con cui ascolta, tenendoil capo appena inclinato di lato, coi ciuffi biondi che gli ricadono sugli occhi, con la guanciaappoggiata alle nocche in modo tale che le ciglia le sfiorino, e con le labbra appena socchiuse,pronte a offrire parole d’incoraggiamento in qualsiasi istante.

«Posso chiederti una cosa?» cambio discorso, rigirando la cannuccia nella Coca-Cola. Lebevande calde non mi sono mai piaciute.

«Spara», risponde soffiando sulla cioccolata prima di berne un sorso. Una nuvoletta di schiumagli si posa sul labbro superiore e mi devo sforzare non poco per resistere all’impulso di leccarglielavia. E che cavolo, Molly, controllati!

«Perché ti atteggi sempre a super macho quando invece sei un ragazzo molto sensibile?»Quando alzo gli occhi, lui mi fa un largo sorriso. «Io te lo dico se tu mi spieghi perché ti vesti

sempre come se fossi brutta quando invece sei una ragazza bellissima», butta lì chinandosi in avanti etogliendomi delicatamente gli occhiali.

Glieli strappo di mano, non voglio che si accorga che le lenti sono finte. «Mamma, quanto seidivertente!»

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«Voglio solo guardarti senza che nulla si frapponga tra noi.»Scoppio in una sonora risata con tanto di manata sul tavolo. «Dio mio, che frase orrenda! Ma dove

l’hai sentita? In una qualche commedia romantica?»«E se anche fosse?» Si raddrizza e stende il braccio sullo schienale della panca. «Molly Carter,

che dici, posso confidartelo, un segreto?» aggiunge poi chinandosi di nuovo in avanti, tanto daarrivare con le labbra a pochi centimetri dalle mie. «Però devi promettere che non lo dirai mai anessuno.»

Inarco un sopracciglio in trepidante attesa.Ryan fa un respiro profondo e si guarda intorno furtivo. «Sono malato di commedie romantiche»,

mormora teatrale, con una luce maliziosa nello sguardo.Questa volta non riesco a trattenermi e gli scoppio a ridere in faccia.«Guarda che dico per davvero!» esclama fingendosi offeso. «E comunque nessuno deve venirlo a

sapere, okay?» sussurra, guardandosi di nuovo intorno.«E perché?»«Pensavo fosse ovvio.»«Ma no!» continuo a ridacchiare. «Perché ti piacciono tanto?»«Vuoi sapere perché mi piacciono? Perché si sa sempre come va a finire, niente sorprese

dell’ultimo minuto. La gente segue il cuore e vivono tutti felici e contenti.»«E qual è la tua preferita?»«Top Gun ovviamente. Tom Cruise è fuori...» Alzo gli occhi al cielo e si affretta ad aggiungere:

«Ma guarda che comunque le ho viste tutte: Harry ti presento Sally, Pretty Woman , Insonniad’amore... Nominamene una e io l’ho vista. E tu che mi dici? Qual è la tua preferita?»

«Nessuna, non credo in tutte quelle robe sull’amore», rispondo secca, senza battere ciglio.«Davvero? Be’, secondo me non si può parlare senza prima provare», mormora.Abbasso lo sguardo e tiro su un rumorosissimo sorso di Coca-Cola. «Voglio avere una carriera,

io, non ho nessuna intenzione di restarmene chiusa in casa a fare la moglie di qualcuno. Mettere inordine il casino altrui non mi pare proprio un gran lieto fine.»

«Cavolo! È la cosa più cinica che abbia mai sentito dire. Mi ricordi il personaggio di un film...»Schiocca le dita. «Harry! Sì, sì, proprio lui! Tu sei come Harry Burns!»

«Non credo proprio.»«Invece sì.»«Invece no.»«Tu pensi di non esserlo, Molly.»«Perché non lo sono.»«Sì, invece... Ah!» Schiocca di nuovo le dita e m’indica.«Perché quel sorrisetto compiaciuto?»«Perché lo sapevo che le commedie romantiche piacciono anche a te.»«Ma non...»Il sorrisetto compiaciuto non accenna a scemare, evidentemente sa qualcosa. «E allora perché

scimmiotti una scena proprio di Harry ti presento Sally?» replica trionfante, battendo la mano sultavolo e poi puntandomi contro un dito.

Apro la bocca per sostenere la mia innocenza.«Harry», ripete con tono ammonitore, senza smettere di sorridere. «Ti ho inquadrato. Il disprezzo

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che ostenti per le commedie romantiche è finto come le lenti dei tuoi occhiali.»Mi fa l’occhiolino e io richiudo la bocca.

Passeggiamo per la città, al ritmo delle mie continue soste per immortalare i riflessi scintillanti deinegozi nelle pozzanghere e delle persone che vi camminano. Adoro quest’impressione di galleggiaresull’acqua, l’idea di Southend-on-Sea come una Venezia molto meno romantica ma pur sempresospesa. Già vedo la didascalia in una galleria d’arte: «Southend-in-the-Sea, di Molly Carter». Ryanaspetta paziente.

«Immagino sia inutile chiedere cosa vorresti fare da grande», ridacchia incrociando le braccia einclinando la testa di lato.

Annuisco, impugno la macchina fotografica, metto a fuoco e gli scatto una serie di primi piani,impegnandomi per cogliere la tenerezza dell’espressione, la cornice perfetta dei capelli biondi,l’intensità degli occhi azzurri e quelle labbra così morbide e carnose...

«Ehi, quando sarò un giocatore famoso potresti vendere le mie foto.»Inarco un sopracciglio, come mi ha insegnato Casey. «Certo, come no. Dimenticavo che davanti a

me c’è il novello Gary Lineker.»Si mette a correre sul posto con un largo sorriso. «Prima tappa gli Shrimpers, poi la nazionale!»

E, chinandosi verso di me: «Io però sono molto più bello di Gary Lineker, vero?»Alzo gli occhi al cielo. «Con la vanità non si va da nessuna parte.»Mi guarda. «E allora cosa mi farà arrivare da qualche parte, Molly?»Mi nascondo dietro la macchina fotografica e catturo una serie di scatti di Ryan che si scosta i

capelli dagli occhi. Si avvicina tanto che il viso occupa tutto il campo e io scatto. È quanto di piùvicino al baciarlo possa immaginare.

«Ma non avevi detto che fotografi solo quello che t’interessa?» domanda ridendo.Continuo a guardare dall’obiettivo e mi ritrovo a sorridere. «Infatti.»

Con Casey siamo ferme davanti all’imponente edificio vittoriano su Broadway che ospita The Grand,il locale di Leigh-on-Sea più di moda tra adolescenti e liceali, e siamo scosse da brividi di freddo enervi. Lei indossa un microscopico top bianco tutto ricamato che a stento ne contiene le curve, unnastro nero intorno al collo, un paio di pantaloncini azzurri cortissimi e altrettanto aderenti su cui hacucito delle toppe e stivali al ginocchio con le stringhe. Ha raccolto i capelli all’indietro lasciandosolo un ciuffo sulla fronte e si è truccata occhi e guance di bronzo mentre le labbra sono rosso scuro.Apparecchio e occhiali a parte, devo dire che è proprio bella.

Anch’io ho cercato di «mettermi in tiro», che tradotto significa abitino di satin nero lungo sino allecaviglie – comprato in un negozietto dell’usato – indossato sopra una maglietta a maniche corte degliSmiths e ai piedi le immancabili Converse. Ho raccolto i capelli rossi in una crocchia e ci hospruzzato sopra una bomboletta di lacca, e porto ancora gli occhiali nuovi, con la montatura neraovviamente, per provare che non intendo farmi bella per Ryan. Ho cercato uno stile «Kate Mossgrunge» e, anche se io sembro molto meno modella di lei, non sono poi così delusa, ecco.

«Secondo te sono già dentro?» domanda Casey cercando di sbirciare dalla vetrina.«Non ne ho idea, però ricordiamoci che dobbiamo fare le distaccate, okay?» Grande balla, perché

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non potrei essere più agitata al pensiero di vedere Ryan. E un po’ preoccupata per come sicomporterà davanti a Casey e ai suoi amici. E sono anche in pensiero per Casey. Finora mai nessunragazzo si era mai interessato a noi, ed è una delle cose che ci ha avvicinate quando ci siamoritrovate compagne alla Westcliff, due anni fa.

«Certo! Esiste forse un altro modo?!» risponde incrociando gli occhi e ansimando come uncagnolino in calore.

Sorrido e le stringo la mano.«Te la ricordi ancora, la canzone delle amiche del cuore?» prosegue facendosi seria e

porgendomi il mignolo, cui subito intreccio il mio.La canzone delle amiche del cuore l’ho composta io, sulla musica di Together in Electric

Dreams. In realtà, l’idea era di stilare la lista delle regole delle amiche del cuore, ma quel giorno erala prima volta che andavo a casa sua e la madre di Casey stava ascoltando proprio quella canzone, eho subito trovato che fosse perfetta. Mi lascio convincere a cantarla primo perché in giro non c’èanima viva e secondo perché mi sono generosamente concessa due bicchierini di liquore – mi parefosse Southern Comfort – dal rifornito mobile bar della madre di Casey. Ne beve tanto che non siaccorge mai quando gliene rubiamo un paio di sorsi. Ma, anche fosse, non gliene importerebbe nulla.E così, con un bel sorriso stampato in viso, attacco a stonare: Io per te ci sarò sempretu per me ci sarai sempreamiche del cuore nonostantetutta l’altra gente (l’altra gente, l’altra gente).Mai nessun ragazzo ci divideràe giorno non trascorreràsenza ripeterci quanto bene ci vogliamoperché noi già lo sappiamo (lo sappiamo lo sappiamo)!Dum dum da duuuuuu... Casey si unisce per il ritornello, che è poi quello della canzone originale, ma scoppiamo subito inuna sonora risata. Poi ci prendiamo per mano e infiliamo la porta. Il locale è gremito e ci ritroviamosubito ingoiate dalla folla e investite dal fumo di sigaretta. Una volta mio padre mi ha raccontato chequi si sono esibiti anche quei due comici famosi di tanti anni fa, Stanlio e Ollio. Già, mio padre neconosce a bizzeffe di aneddoti interessanti come questo.

Questa sera la ressa è composta principalmente da sedicenni, quindi noi due ci troviamo a nostroagio. Mi guardo intorno e individuo subito Nikki Pritchard e le sue amichette, le Heather, come lechiamiamo noi, che ci fissano in cagnesco. Dimenano i fianchi al ritmo di una qualche canzonetta diKylie Minogue e fanno di tutto per attirare l’attenzione di ogni ragazzo presente, dal primo all’ultimo.Che pena. Ancora non riesco a credere di essere stata loro amica. Per un breve periodo, solo finchéche Casey non è arrivata a salvarmi, ma comunque fin troppo lungo.

«Forse dovremmo andarcene», dice stringendomi la mano, e così capisco che le ha viste anche lei.Casey era arrivata a scuola da appena una settimana quando loro hanno fatto comunella contro di lei,ed è stato allora che ho sentito l’impulso di proteggerla. «Tanto non riusciremmo comunque atrovarli», mi grida nell’orecchio, tirandomi verso l’uscita.

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Però sento una voce che mi chiama, sovrastando la musica: mi guardo intorno e vedo Ryan che sisbraccia per attirare la mia attenzione. Lancio un’occhiata in direzione delle Heather, cui ovviamentela scena non è sfuggita e che già ci stanno fulminando con lo sguardo.

«Omioddio!» sibila Casey illuminandosi. «Ma sta succedendo per davvero?»«Ehi, Molly! Sono qui!» ripete Ryan, tanto per non lasciare dubbi.Per tutta risposta, mi volto e trascino Casey al bancone.«Ma scusa... non lo raggiungiamo?» mi domanda, confusa, allungando il collo per guardare Ryan e

compagnia. «Non posso credere che Ryan Cooper stia chiamando proprio noi. Questa è la più bellaserata di tutta la mia vita, è... ciao! Ciao, Ryan!» grida salutandolo con la mano prima che io possaimpedirglielo. «Ma cos’hai fatto per riuscirci?»

«Meno male che dovevamo fare le distaccate!» la rimprovero. «Due Southern Comfort elemonsoda», ordino al barista, che mi serve senza quasi degnarmi di uno sguardo.

«Giusto!» esclama Casey prendendo il bicchiere che le porgo. Abbassa il top in modo da mettereancora più in risalto la scollatura e mi trascina mio malgrado verso Ryan e la sua «compagnia»; senon erro, sono in cinque.

«Ciao, ragazzi!» biascica gonfiando il petto nello sfacciato tentativo d’imitare la modella dellapubblicità del Wonderbra che è sulla bocca di tutti. Ah, è questa la sua idea di comportarsi in mododistaccato? Faccio per trascinarla via, ma poi vedo quel suo sorriso così luminoso, schietto e sicuroe mi rendo conto che forse Casey ha molto da insegnarmi. Lei non si vergogna mai di esseresemplicemente se stessa e le voglio un sacco di bene per questo. E forse provo anche un pizzicod’invidia.

La osservo chiacchierare con Alex Slater, un tipo alto, bruno e con le fossette che, a quanto pare,è molto popolare tra le ragazze. Casey compresa, mi verrebbe da dire, perlomeno a giudicare dallinguaggio del corpo. Accanto ad Alex c’è un tizio più basso e ben piantato, coi capelli biondi ecorti, che somiglia a Ryan ma più tarchiato. Prima di abbandonarmi per parlare con Alex, Casey miha bisbigliato all’orecchio che è il fratello di Ryan, Carl. Poi c’è anche un ragazzino col cappello chesbava dietro a ogni ragazza sulla pista – mi pare che si chiami Gaz – e l’ultimo del gruppo è Jack, unsosia di Mark Owen, che balla sulle note di Let Me Be Your Fantasy di Baby D. Casey guarda nellamia direzione e accenna a Ryan col capo. Mi aggrappo al bicchiere e lo raggiungo; è rimasto un po’in disparte rispetto agli amici. «Pensa come Casey. Comportati come Casey», mormoro.

Gonfio il petto e tiro un po’ su il vestito per mostrare le caviglie, ma rinuncio subito. Santi numi,sono proprio come mia madre. Quella contro i propri geni è una battaglia persa in partenza. Resteròvergine a vita.

«Ciao, Ryan», biascico con voce roca. «Che bello vederti», grido poi con più entusiasmo, propriomentre la musica s’interrompe. Indossa la camicia di flanella che gli ho fatto comprare. Lo tiro per lamanica con un gesto impacciato e, fissandolo negli occhi, commento: «Ti sta daaavverobenissiiiimo». La voce mi esce inspiegabilmente acuta, innaturale.

«Oh... sì... grazie», risponde, poco convinto.I suoi amici si scambiano gran sorrisoni. Bevo un sorso e mi guardo intorno imbarazzata.«N-non pensavo che saresti venuta», farfuglia barcollando verso di me, con lo sguardo un po’

assente.Mando giù un altro sorso di coraggio liquido, giusto per mettermi a pari con lui. «Ah, no?»

domando, facendo del mio meglio per flirtare. «Credevo pensassi di avermi conquistato.»

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Silenzio. Qualcuno sbuffa e gli dà una pacca sulla spalla. Ryan si volta e scoppia a ridere. Unodei suoi amici – Carl, se non erro – gli bisbiglia qualcosa all’orecchio. Mi chino un po’ in avanti eriesco a cogliere: «... sfido a baciarla...»

Una sfida? Indietreggio, travolta da un’ondata di umiliazione e rabbia mentre mi flagellomentalmente: Stupida, stupida, quanto sono stupida! Lo fulmino con un’occhiataccia e mi allontanopiù veloce che posso.

«Molly! Aspetta!» Una mano mi afferra per un braccio e mi fa rigirare.Gli amici di Ryan non smettono di ridere e lui è imbarazzato.«Mi dispiace, è che è difficile con gli amici qui e roba del genere, ma voglio dirti...» Per un

istante, mentre il suo viso si tuffa verso il mio, ripenso a quant’è stato dolce poche ore fa e allavoglia incontenibile di baciarlo che avevo. E adesso la sua bocca spalancata è in caduta libera versodi me, i nostri nasi si urtano e le sue labbra si schiantano impacciate contro le mie. Mi stringe a sé emi bacia, smanioso, deciso, poi inizia a roteare la lingua come un criceto impazzito che corre nellaruota. Strizzo le palpebre e provo a godermi il mio primo bacio, dico davvero, ma non riesco aingoiare lo sgomento per quel vero e proprio agguato alcolico e in pubblico, così diversodall’esperienza romantica e dolce dei film...

I suoi amici ci circondano tra risate di scherno, applausi e occhiatine maliziose. Lo spingo via eRyan mi guarda confuso e in preda al panico, incapace di mettermi a fuoco.

«Cheeeez’è, Molly?» blatera.Intorno a noi si è raccolta una piccola folla, mentre le Heather hanno circondato Casey e lanciano

battutine sul suo peso e su com’è vestita. Non avrei mai dovuto lasciarla sola.Sento le lacrime salirmi agli occhi e in gola ho un nodo talmente grosso che non riesco a parlare.

Tutti si sbellicano dalle risate: ma come hanno potuto la grassona greca e la dark sfigata anche solopensare di avere mezza possibilità contro la ragazza più bella del locale? Barcollo verso la miaamica, le afferro una mano e ci faccio strada a spintoni verso l’uscita, il più lontano possibile daquello schifoso di Ryan Cooper, dai suoi amici e da quelle stronze. L’aria fredda e salmastra miartiglia quei pochi centimetri di pelle nuda che ho. Mentre incespichiamo verso la fermatadell’autobus, sento Ryan chiamare: «Mooolly, Mooolly!»

E con le risate che ancora mi riempiono le orecchie giuro a me stessa che d’ora in poi mi fideròsolo di Casey e di nessun altro.

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9:45

Il telefono squilla ormai da un minuto buono e, colta dalla fretta improvvisa di correre giù per le scale, mi porto una mano alpetto e così mi accorgo di essermi tirata dietro uno dei diari che ho preso dallo scatolone. Ho trascorso l’ultima mezz’ora arivivere gli anni del liceo anziché a finire di sistemare. Eh, no, Molly, non si fa così! Rileggere quelle pagine così piened’angoscia è stato divertente, anche se allo stesso tempo mi ha spezzato il cuore. Lancio un’occhiata alla pagina aperta erileggo un pezzo.

3 marzo 1995 Ho visto RC fuori da scuola. Era con la sua solita compagnia a fare il cretino con quelle stupide di quarta che a momentisvenivano, manco fossero i Take That. C era tutta contenta perché secondo lei RC ci aveva guardato. È convinta che unadi noi gli piaccia. Non me la sono sentita di dirle che aveva guardato verso di noi perché in quel preciso istante eranopassate le Heather e ci avevano fatto il segno delle orecchie da coniglio sopra la testa. C è così ingenua, la lascio viverenella sua bolla felice, che è infinitamente meglio della realtà in cui vivo io. Però come fa a essere tanto sprovveduta? Certoche a volte la invidio proprio. Lo so che ha i suoi bei problemi, con la madre e tutto il resto. Ma nessuno ha problemi grossiquanto i miei. La mia vita fa schifo.

15 maggio 1995 Mamma e papà hanno litigato ancora. Ma perché non ci danno un bel taglio e divorziano? Per favore! Mi dite che senso harestare sposati se vi odiate? Come sarebbe più semplice la mia vita se si separassero! Sarebbe un modo per diventarepopolare, riceverei tonnellate di regali per Natale e la mamma sarebbe obbligata a farmi fare i buchi alle orecchie. Perchéaltrimenti minaccerei di andare a vivere con papà. (Anche se, conoscendola, troverebbe comunque da ridire.)

Giuro solennemente che non mi sposerò mai! Diventerò una donna in carriera di successo e avrò un sacco di uominicon cui farò sesso e poi ciao ciao! L’importante è iniziare con uno. Sedici anni e ancora non ho avuto nemmeno un ragazzo,che tristezza. Io mi sono stufata di essere vergine. Perfino Casey l’ha già fatto. Tutta colpa di RC. Grazie a lui adesso sonoancora più lebbrosa di prima! Dio, quanto lo odio!!! Il telefono sta ancora squillando. «Pronto?» rispondo ansimando. Richiudo il diario con la testa ancora piena della poveraadolescente arrabbiata che ero.

«Oh, Molly cara!» esclama una voce burbera.La linea è un po’ disturbata e, per un lungo istante di panico puro, mi pare di riconoscere il padre di Ryan – forse pensa

che abbia ancora roba del figlio? –, per fortuna però rinsavisco e mi rendo conto che è solo il traslocatore.«Allora, come procede?» domanda.Mi guardo intorno, colpevole, sperando che la mamma sia passata in gran segreto nell’ultima mezz’ora che ho trascorso

a gingillarmi. Ma, no, ovunque regna ancora il caos. «Oh... tutto bene, tutto bene!» rispondo con tono sin troppo allegro, percelare il panico. Stringo il telefono con la spalla e getto un mucchio di scartoffie in una scatola, richiudo con un giro di nastroadesivo e ci scrivo sopra Spedire. «Allora tra quanto pensa che sarete qui?» aggiungo con noncuranza, perché tanto a meche cosa importa di quando saranno qui, giusto? Io sono super organizzata.

«È per questo che ti chiamavo, cara. Un quarto d’ora e siamo lì, okay?»«Fantastico! A tra poco allora», squittisco entusiasta. Metto giù, prendo un bel respiro profondo e cerco di calmarmi,

pensando che per i traslocatori giungere a destinazione e trovare i clienti ancora in alto mare fa parte del rischio delmestiere. Spero bene che ne abbiano viste di peggio! E se non è così... tanto piacere, ho ben altre preoccupazioni, io. Comelasciare gli amici, la famiglia, la mia vita per un capriccio. Non sarò impazzita? Ma cosa cavolo sto facendo?

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Un bacio è per sempre

Alcuni vivono pensando di essere in un film. Avete presente, quelli che camminano per strada con una colonna sonora intesta o che vedono i loro appuntamenti come episodi di una sit com? Ecco, io non sono mai stata così. Almeno finché nonho conosciuto Ryan, non ho mai pensato che la mia vita potesse somigliare anche solo lontanamente a un film, e poi,quando ci siamo messi insieme, il nostro era un rapporto troppo tranquillo per essere di un romanticismo epico. Talvoltadesideravo così tanto di essere – lo dico? – travolta dalla passione. Magari era dovuto al fatto che lavoravo per una rivistafemminile, ma sta di fatto che io, Molly Carter, mi sono ritrovata letteralmente ipnotizzata dal peggior nemico di ogni donna: ilfinale da favola.

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FF ▶▶ 15/05/05

Niente è meglio di un volo di ventiquattro ore per riflettere seriamente sulla propria vita. Purtroppoper me, nonostante i grossi sforzi per smettere di pensare a Ryan e al casino che ho combinato, sforziche comprendono l’immersione in ben tre film nelle ultime dieci ore (Mean Girls, Orgoglio epregiudizio e adesso I segreti di Brokeback Mountain ) e due bottigliette di Chardonnay australiano(il vino dà più alla testa quando ci si trova a oltre novemila metri d’altezza?), ritrovarmi seduta inmezzo a emeriti sconosciuti, con la sola prospettiva di un futuro di solitudine e a guardare un poverocowboy disperato che passa a miglior vita sotto le ruote di un trattore, be’, mette in moto le miemeningi più di quanto sia consigliabile.

Asciugo una lacrima e torno con la mente alle tre settimane appena trascorse con Mia, la miamigliore amica dell’università. Il viaggio l’ho prenotato subito dopo aver visto Ryan baciarequell’altra a Capodanno. Avevo bisogno di starmene lontana per un po’. Di trascorrere del tempo conl’organizzata e disinvolta Mia, che ha un lavoro fantastico, uno stile di vita incredibile e unatteggiamento sprezzante nei confronti dell’amore, cui ovviamente non crede, eppure persino lei haammesso di essere stata convinta che Ryan e io fossimo destinati a non lasciarci mai. E poi, sedavvero sono tanto sicura che rompere sia stato un errore, perché non glielo dico e basta, si èdomandata? Così ho fatto. Per e-mail, che forse non era il modo più indicato, ma tanto non importaperché so che non farà nessuna differenza.

Da parte sua tutto tace.Devo rassegnarmi all’idea che con Ryan è proprio finita e andare avanti. Indosso la mascherina e

mi obbligo ad abbandonarmi tra le braccia di Morfeo, per dimenticare almeno per qualche ora il grancasino che ho combinato. Esco dagli Arrivi Internazionali seguendo i miei compagni di viaggio, stremata e troppo occupata ainciampare in questa stupida gonna boho (frutto di un acquisto affrettato in un attimo di demenza postrottura) per anche solo pensare di staccare gli occhi dal pavimento. Ma, costretta a fermarmi permassaggiare la caviglia dolorante, mi guardo intorno e mi accorgo di quanti siano accolti da personecare. Già m’immagino il montaggio di scatti delle coppie che si riuniscono, tuttavia resisto all’istintod’impugnare la macchina fotografica perché ammetto che non sono proprio dell’umore perimmortalare le riunioni felici degli altri.

Sospiro, mi scompiglio la frangia e raccolgo i capelli in una coda di cavallo un po’ lenta sullanuca, poi riprendo stancamente la maniglia della grossa valigia che mi trascino dietro e mi domandocon quale forza riuscirò a compiere l’ultimo pezzo di viaggio, a prendere la metropolitana e a farritorno da Casey e, domani, anche al lavoro.

Lavorare. Mi sono quasi dimenticata di cosa significhi. La valigia mi finisce di nuovo contro lastessa caviglia, impreco sottovoce, poi impugno la macchina fotografica e, incapace di resistereoltre, prendo a immortalare le persone che si salutano, gli abbracci, i pianti di gioia...

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Ed è guardando nell’obiettivo che lo vedo.È accanto a un uomo alto e aitante che regge un grosso cartello con scritto TI AMO! a caratteri

cubitali, cartello che lui, Ryan, sta indicando.Lo guardo incredula mentre mi sorride e spalanca le braccia. E io mi metto a correre, rido,

piango, incespico, impreco, ma soprattutto piango. Corro, trascinandomi dietro una tonnellata divaligione, con la macchina fotografica che mi sbatacchia sul petto e il cuore che batte forte come nonmai. Le spalline del reggiseno mi cadono, la gonna si aggroviglia alle ginocchia e se non prestoattenzione rischio di ritrovarmi a sbattere il grugno sul pavimento davanti a tutti, ma nulla di tutto ciòm’interessa più perché adesso... adesso sono di nuovo tra le braccia di Ryan.

Gli salto addosso, mi aggrappo con gambe e braccia come fosse un albero, una magnifica querciaben piantata nel terreno, e io divento l’uccellino che ha ritrovato la strada del nido. Lo tengo strettostretto ma non riesco a spiccicare parola.

«Ti stavo aspettando», sussurra infine Ryan.«Da quanto?»«Tutto il giorno, sei mesi, una vita...»«Anch’io.» Lo guardo, guardo quel viso che conosco meglio del mio, quegli occhi più azzurri del

cielo di Sydney e le labbra che ho baciato talmente tante volte ma non ancora abbastanza.«Ryan, non voglio più stare nemmeno un giorno senza di te», riesco a dire. «Sei tutto ciò che

desidero, sei tutto ciò che io abbia mai desiderato, solo che poi delle cose si sono... sono riuscite amettersi in mezzo. Mi... mi dispiace così tanto per quello che ho fatto e...»

«Sstt», dice, e il suo sorriso mi assicura che sono stata perdonata. «È un nuovo inizio, seid’accordo?»

Annuisco e levo di mezzo la macchina fotografica mentre mi bacia.«Questo bacio non lo dimenticherò mai», mormoro senza staccare le labbra dalle sue; impugno la

macchina fotografica e rubo l’immagine del momento che non avrei mai osato pensare di vivere.«E io non ho più intenzione di lasciarti andare», replica, e io mi dimentico d’immortalare l’attimo,

ma lo assaporo come mai mi era accaduto prima, e come mi giuro che d’ora in poi sarà sempre.

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Il bacio che tutto sigilla

Avete presente quell’anno che capita a tutti, quello in cui pare che chiunque, dall’amico più caro all’ultimo dei conoscenti, siacolto dalla smania di sposarsi mentre voi passate da un brindisi all’altro, da un ballo sfrenato all’altro, ubriachi come non mai,chiedendovi in segreto quando arriverà il vostro turno? Ecco, a me non è mai successo. Prima del mio, ero stata solo a unaltro matrimonio e, per quanto fossi strafelice di aver ritrovato Ryan, non avevo perso quel pizzico di cinismo Carter riguardoalle nozze. Ma quello era un matrimonio Cooper, organizzato alla Cooper. Ero di nuovo al fianco del mio primo amore e, unpoco alla volta, durante quel meraviglioso periodo che aveva seguito quel giorno denso di emozioni, ho imparato a guardareoltre il chiasso e mi sono scoperta a pensare che forse, ma solo forse, dopotutto anch’io avrei potuto essere tipo da «lovoglio». Un giorno...

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FF ▶▶ 10/09/05

Siamo nella vecchia camera di Ryan a casa di Jackie e Dave e ci prepariamo per il matrimonio diLydia e Carl. La dépendance in cui abbiamo vissuto (davvero sono trascorsi solo quattro anni?) èstata trasformata nella camera nuziale e la sposa, che al momento si sta facendo truccare, mi aspettaper farsi aiutare col vestito, perciò è bene che mi muova a infilare il mio.

«Vacci piano o gli occhi saranno tutti puntati su di te!» esclama Ryan posandomi un bacio sulcollo, poi mi dà un pizzicotto su una natica e mi fa l’occhiolino nello specchio, obbligandomi agirarmi verso di lui con una piroetta che per poco non fa scivolare via il mio bell’abito rosa intenso.

Gli poso le mani sul petto ridendo e lui mi sfiora le labbra con le sue e geme, infilandomi poi ilnaso nell’incavo del collo.

«Dio, come vorrei essere in albergo», sussurra accarezzandomi il corpo. «Adesso strappereiquesto bel vestitino e...»

«Ehi, braccia larghe e restatene nel tuo spazio!» lo sgrido imitando Baby di Dirty Dancing, ma inrealtà con questa striminzita mise rosa troppo aderente mi sento più Julia Roberts prima dellatrasformazione in Pretty Woman.

«Ry! Mooollyyyy! Scendete a bere un bicchierino insieme con noi prima di andare, che è quasiora!» c’interrompe la... melodiosissima voce di Jackie.

«Tu raggiungili pure», dico a Ryan posandogli un bacio sulle labbra e allacciandogli la cravattalarga di seta rosa. Gli sta proprio bene, mette in risalto l’abbronzatura frutto di vacanze, giornate inbarca, partite a calcio e – con mia somma disapprovazione – lettini solari. «Io devo adempiere i mieidoveri di damigella. Ecco fatto!» esclamo ammirata, dandogli una pacchetta sul collo. «Allora civediamo all’altare, Mr Testimone!» Lo saluto con la mano e mi precipito fuori dalla camera. Lalunga impresa di pettinarsi dovrà affrontarla da solo.

Corro giù per le scale, accompagnata dall’infilata di ritratti in bianco e nero dei Cooper, tra cuianche Lydia e me. Ancora non riesco a credere di essere su questa parete. Quando ho chiesto a Ryanse, durante la nostra breve parentesi, fossi stata tolta, lui mi ha assicurato che Jackie mi ha semprelasciato lì dov’ero. E, dopo il forte abbraccio e l’accoglienza calorosa che mi ha riservato quandosono tornata, non stento a credergli. Per di più, superati i timori iniziali, mi sento anche molto onoratadi fare da damigella d’onore a Lydia.

«Ma ne sei sicura?» ho reagito quando me l’ha chiesto, quattro mesi fa. «Cioè, con Ryan siamoappena tornati insieme e...»

Era un sabato pomeriggio e sedevamo da Ugo, la nostra pizzeria preferita, davanti a piatti conormai solo le briciole. «Non starete mica pensando di lasciarvi ancora, no?» ha replicato lei,scrollando le lunghe extension bionde dietro le spalle nude.

«Certo che no!» ho esclamato, ingollando un bel sorso di vino.«Allora sì che ne sono sicura. E poi guarda che non sarai sola... ne ho otto!»

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Aspettiamo davanti alla tenuta di Leez Priory, in attesa di un cenno da parte dell’ufficiale di statocivile per poterci incamminare lungo la navata (ossia il tappeto rosa), e d’improvviso un gruppetto dipavoni ci passeggia davanti tutto impettito («Un’idea di Jackie! Forte, vero?» ha esclamato Lydiaquando siamo scese dalla Cadillac rosa). Sono un po’ nervosa. Per Lydia, perché lo so da quantoaspetta questo momento – con Carl sono fidanzati da due anni e hanno avuto un bambino –, ma ancheperché sono consapevole che questo momento sancirà la certezza per tutti i presenti che Ryan e iofacciamo sul serio, che adesso non ci lasceremo più.

Dentro, il quartetto di archi attacca You’re Beautiful di James Blunt e non riesco a trattenere unarisata. Certo che Lydia è stata coraggiosa a sceglierla come marcia nuziale, ma dopotutto lei è fattacosì, ha un animo spensierato e un’estrema fiducia in se stessa. La sposa si volta e ci fa l’occhiolinoe io prendo in braccio il piccolo Beau, un fagottino meraviglioso nella sua bella tutina rosa: benchésia un maschio, anche lui si è dovuto piegare al tema del matrimonio.

Non posso negare che adoro avere gli occhi di tutte le donne puntanti addosso mentre avanziamo.Soprattutto quelli di... Nikki Pritchard! È mamma single di tre bambini ed ex collega di Lydia alsalone di bellezza. Sì, proprio la stessa Nikki Pritchard capo delle Heather alla Westcliff. Adoro iversetti di stupore che si levano al passaggio della sposa, avvolta in un abito bianco... «di carattere,ragazze!» E per «carattere» s’intendono il taglio corto e attillato, la fascia rosa carico in vita e ilmodo in cui mette in risalto le gambe strepitose di Lydia e le sue Jimmy Choo di un rosa sfavillante.«Non le ho certo pagate cinquecento sterline per nasconderle sotto una meringona!» ha chiaritodurante la prova.

Lo sguardo mi cade su mamma e papà, i cui sorrisi affettuosi mi fanno riempire gli occhi dilacrime. Ecco Ryan, al fianco del fratello e, con mia gran sorpresa, il respiro mi si strozza in gola e ilpetto mi si gonfia tanto d’amore che quasi la scollatura profonda non riesce più a contenerlo. Sbattole palpebre per scacciare le lacrime e mi accorgo che anche lo sposo ha il suo bel daffare pertrattenerle. Ryan gli posa la mano sulla spalla e Carl la stringe per un istante, poi lo sospingegentilmente verso Lydia, che gli afferra la mano e lo bacia con passione. Ryan mi guarda con occhipiù luminosi che mai per la felicità. «Adesso tutti a tavola!» grida Jackie passando accanto ai pavoni davanti all’ingresso del tendone; èuna visione fucsia che incede solenne sui tacchi alti e con in testa l’ancor più alto cappello dacerimonia posato su un caschetto biondo a dir poco perfetto.

Ogni particolare di questo matrimonio è eccessivo, eppure è tutto meraviglioso perché Lydia eCarl sono felici e innamorati e non gliene potrebbe importare di meno del giudizio altrui. Persino imiei paiono divertirsi, seppure a modo loro. È stata Jackie a insistere per invitarli: «Mia cara, ormaifai parte della famiglia, perciò anche loro!» Durante la cerimonia li ho sorpresi a stringersi la manoe, tra un sorso incerto e l’altro dell’unico bicchiere di champagne che si sono concessi, hannopersino riso alle battute un po’ rozze dei vari discorsi. Peccato che non si siano accorti che Daveapprofittava di ogni loro attimo di distrazione per riempirgli di nuovo il bicchiere.

La mamma si avvicina con passo stranamente incerto.«Allora, Molly cara...» esordisce, picchiettandosi il grazioso cappellino. «Dici che è il momento

di comprarne un altro?» Mi fa l’occhiolino e scoppio in una sonora risata e l’ammonisco con l’indicecome se fossi io l’insegnante.

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È la prima volta in vita mia che la vedo fare l’occhiolino. Devo ricordarmi di tentarla con lochampagne più spesso. Se solo penso a quanto disapprovasse il mio rapporto con Ryan e ai passi dagigante che abbiamo compiuto dopo gli anni della mia adolescenza! E se adesso siamo un po’ piùaffettuose e andiamo più d’accordo è per merito proprio di Ryan e della sua famiglia.

La osservo tornare traballante da papà, ma non resto sola a lungo.«Tutto a posto?» domanda nonna Door porgendomi un bicchiere di champagne, che accetto con un

sorriso. Sono davvero contenta di poter chiacchierare un po’ con lei, che è da sempre la mia piùstretta alleata. Mi prende a braccetto e raggiungiamo un tavolo. Il completo giacca e pantaloniazzurro pastello che indossa le sta a meraviglia e me ne complimento.

«Oooh, questo colore s’intona coi miei occhi, tesoro. E col cachet nei capelli!» si sminuisce, e ioreplico sottolineando la scelta azzeccata delle scarpe argentate e del grosso foulard di seta,strappandole un sorriso compiaciuto. «Be’, devi sapere che la mia fonte d’ispirazione è da sempreJane Fonda. I suoi video di aerobica mi mantengono giovane! Tra questo, gli addominali a terra e lagita mensile alle terme, bisogna dire che sono proprio in forma! Comunque, adesso basta parlare dime e raccontami di te. Forse mi sbaglio, ma hai l’aria un po’ persa.»

«No, nonna, davvero; mi stavo solo guardando intorno e...»Si avvicina e mi fa l’occhiolino. Una delle ciglia finte si è staccata. «Pensavi a quante cose tu e

Ryan farete diversamente nel vostro grande giorno, eh, tesoro?»«Ma no!» esclamo, scoppiando poi in una risata perché, in effetti, ci ha proprio azzeccato.«Non c’è mica da vergognarsi, cara», replica facendo schioccare le labbra dopo un sorso di

champagne. «Sai, a volte bisogna perdere chi si ama per capire davvero cosa si ha. Certo, l’idealesarebbe che non succedesse mai, però, be’, le cose non vanno sempre come vorremmo, giusto, miacara?» La voce le si strozza in gola, pensa al suo Arthur.

Le stringo il braccio e sorrido. «Senti, che ne diresti di ballare? Adoro questa canzone!» «Ehi, bellissima!» esclama Ryan un po’ alticcio, riconducendomi sulla pista da ballo (dopo nonnaDoor ho dovuto riposarmi un po’, era scatenata!) al ritmo di Gold Digger di Kanye West.

La mamma ci volteggia accanto con Dave, subito seguiti da papà e Jackie.«Ma guarda John!» ridacchia Ryan.Dave fa fare una piroetta alla mamma e la lascia tra le braccia di papà giusto in tempo per un

lento, Hey Jude.Ryan mi stringe per la vita e insieme li guardiamo danzare al ritmo tranquillo dei Beatles, grati di

un po’ di quiete dopo le mosse indiavolate cui li hanno costretti i Cooper. Un nodo mi serra la golacon la presa di coscienza che il loro matrimonio è proprio questo, un ballo lento, e che, a modo loro,se lo sono goduto per tutto il tempo. Ero io a desiderare che ci mettessero un po’ più di brio, in tutti isensi.

«Ry! Molly!» saluta Carl con quella sua voce alla Fonzie barcollando verso di noi e cingendocientrambi per le spalle, subito seguito da Alex, che si crede Patrick Swayze, e Gaz, che marcia per lapista da ballo contando i passi come il Doody di Grease. «Che giornata! E voi quand’è che lo fate ilgrande passo, eh?»

«Ah, io il grande passo lo farei con quella!» ridacchia Gaz accennando col capo alla testimone diLydia. «Guardate!» Si dirige dritto verso la ragazza, intenta a volteggiare in mezzo alla pista, le tocca

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una spalla e questa si gira e... lo bacia!«Naaa!» esclama Alex.Scoppiamo tutti in una sonora risata. «Fratello, guarda che sto ancora aspettando una risposta»,

insiste Carl scompigliando i capelli di Ryan.Lydia ci raggiunge a passo di danza e ci stringe in un abbraccio. «Forza!» ci esorta saltellando

mentre il DJ mette We Are Family. «Tutti i Cooper devono ballare!»Ryan mi posa un bacio sulla testa e si mette a saltare col fratello e con la cognata.«Ma io non sono una Cooper!» protesto nel sentirmi sollevare da terra quando anche Jackie e

Dave ci raggiungono.«Non ancora», mi sussurra Lydia, facendomi arrossire.«È ora del lancio del bouuuqueeet!» grida Jackie a canzone finita, e subito le ospiti si affrettano

verso il palco dove salirà la sposa, uggiolando eccitate come un branco di chihuahua troppoabbronzati.

«E tu non vai?» bisbiglia Ryan con una gomitatina.«No, no, qui è più sicuro», rispondo incrociando le braccia.«Siete pronte?!» domanda Lydia innalzando il bouquet di rose fucsia con tanto di pompon come

fosse la torcia olimpica. «Uno! Due! Treeee!»Osservo i fiori volare come al rallentatore sopra la testa delle ragazze, i cui visi s’illuminano di

speranza, per poi rabbuiarsi per il disappunto e la delusione mentre i fiori proseguono oltre. A uncerto punto Ryan si lancia in avanti e fa un balzo per acchiappare il bouquet. Quindi si volta con unlargo sorriso, mi butta addosso il bouquet nemmeno fosse un pallone da basket e corre intorno allastanza come se avesse vinto la Coppa d’Inghilterra. Torna verso di me, mi abbraccia e mi bacia tragli applausi generali.

Mi copro il viso, sopraffatta dall’imbarazzo, ma lui mi scosta le mani per potermi baciare ancora.Lydia mi saluta dal palco, deliziata, e Carl ci mostra i pollici all’insù. Con la coda dell’occhiointravedo Jackie e Dave in un angolo che saltellano battendo le mani. Sento la pelle formicolare e ilviso divenire dello stesso colore del vestito.

«Scusami, piccola, ma non ho saputo resistere...»«Sì, non hai potuto resistere a metterti in mostra!» lo sgrido, ma poi sorrido e lo prendo per mano.«È che so quanto sei schiappa nello sport», commenta facendomi l’occhiolino. «Tu non saresti

mai riuscita a prenderlo! La maggior parte delle ragazze adesso mi ringrazierebbe.»«Ah! Caro il mio Cooper, forse ti sei dimenticato che io non sono come la maggior parte delle

ragazze...»Sorride e mi prende il viso tra le mani, avvicinandomi a sé per baciarmi ancora. «Lo so, Molly

Carter, ed è per questo che ti amo.»

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10:01

Mi aggiro avvolta in un asciugamano per la camera da letto vuota. Mi prendo un minuto per guardarmi intorno. Non sarà ungranché adesso, col materasso sul pavimento e con tutto il resto inscatolato, ma è senz’altro l’ambiente che più mimancherà di tutta la casa. Negli ultimi anni è stata il mio porto sicuro. Nei primi tempi del nostro rapporto, con Ryanscherzavamo sempre che, se non fosse stato per il lavoro, non saremmo mai usciti dal letto. Dopo che se n’è andato è quiche me ne sono rimasta distesa per giorni, settimane perfino. E, quando alla fine mi sono decisa a raccogliere i cocci,rimettermi in sesto e uscire di casa, comunque è stato qui che ho trascorso le serate, sfogliando i vecchi album difotografie. Perché le pareti erano dello stesso color acqua di mare della vecchia cucina e così potevo quasi fingere ditrovarmi ancora nel nostro appartamento, prima che tutto andasse a rotoli.

Un paio di anni fa ho ritinteggiato; avevo bisogno di ricominciare daccapo, di ritrovare Molly Carter, e la scelta è caduta suun morato intenso. Un colore rassicurante, come il grembo materno. Diceva «single» ma non «triste». Le finestre ormaispoglie che danno sul balcone avevano spesse e luminose tende dorate, sul letto era appesa la stessa stampa di JohnLennon e Yoko Ono che mi segue fin dai tempi dell’università e lungo tutte le pareti erano impilati volumi e volumi d’arte efotografia. La specchiera è ancora accanto alla portafinestra, insieme con un paio di fotografie incorniciate che non hoancora inscatolato. Una ritrae mamma e papà nel giorno delle nozze. Mi avvicino e la prendo, osservandola con occhiocritico. Un tempo detestavo queste loro espressioni seriose, ma adesso so quanto può essere duro il matrimonio, quantiostacoli è costretta ad affrontare ogni coppia. E quanto occorra essere saldi per resistere insieme tra alti e bassi. Li ammiro,i miei. Perché sono rimasti insieme, certo, ma anche per la forza che hanno dimostrato per me.

Strappo un foglio di pluriball dal rotolo sul pavimento e do un’ultima occhiata all’immagine prima di avvolgerla. Papàguarda dritto nell’obiettivo con un sorriso nostalgico e un po’ assorto, che è il suo modo per dimostrare la gioia più sfrenata.Infilo la cornice in una scatola con scritto Spedire e guardo fuori dalla finestra.

L’iniziale coltre di oscurità di questo mattino di gennaio si è dissipata e il cielo immenso si è fatto di un azzurro slavato,con un filtro di raggi bianchi del sole che vi fa capolino. Sarà una giornata splendida. Sorrido e apro la portafinestra, uscendolì dove prima c’era un tavolino di ferro battuto con due sedie, già inscatolati. Quante ore ho trascorso qui seduta, conqualsiasi tempo, coi capricci delle stagioni che riflettevano i cambiamenti del mio umore. La pioggia invernale si mescolavaalle mie lacrime, la brezza primaverile si portava via la tristezza, il sole estivo mi guariva il cuore infranto.

Risalto dentro casa e mi dirigo agli armadi a muro, apro un’anta e mi metto a rovistare nelle cose ammucchiate da unlato.

I jeans gettati alla rinfusa farebbero orrore a qualsiasi commessa di abbigliamento. I miei preferiti, quelli attillati grigi, sonogià messi via quindi la scelta cade su un’altra «opzione a colpo sicuro»: la salopette. Sì, lo so, lo so che è caduta neldimenticatoio della moda, ma è talmente comoda. Come direbbe la mamma: «Tesoro, guarda che stai facendo un trasloco,non partecipando a una sfilata». È davvero incredibile come, a un certo punto, tutte noi iniziamo per davvero a trasformarcinella mamma. E, cosa ancora più incredibile, perlopiù non ce ne importa un fico secco.

La indosso e mi guardo nello specchio appoggiato alla parete. Quasi non mi riconosco. Va bene, allora diciamo che eroconvinta che la salopette fosse comoda ma anche carina in senso ironico, in stile Demi Moore in Ghost, mentre adesso miaccorgo di somigliare più a Meryl Streep in Mamma mia! Ridacchio producendomi in qualche mossa in stile Abba ecanticchiando il ritornello della canzone. Quando arrivo al punto in cui si parla di cuore spezzato – Yes, I’ve beenbrokenhearted, blue since the day we parted – ecco che il campanello m’interrompe.

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Il bacio del benvenuto

Prima di conoscere i Cooper non avevo mai colto appieno il significato dell’espressione «in seno alla famiglia». Forseperché il «seno» della mia mi è sempre parso così misero in confronto alla maggior parte delle famiglie; l’affetto era poco,sufficiente forse per la prima striminzita di Kate Moss, ma non per la prosperosità alla Baywatch in cui tanto speravo.L’amore della mia famiglia non pareva abbastanza forte da proteggermi, né tanto sfacciato da mostrarsi in pubblico.Quand’ero ragazzina mi chiedevo se avrei mai ricevuto quelle sontuose manifestazioni d’affetto che paiono di casa inqualsiasi altra famiglia «normale». E, dopo aver posato il capo sull’immenso décolleté della famiglia Cooper, mi sono sentitacome se, finalmente, le avessi ottenute. Ero a casa. Da allora ho compreso che l’affetto nella mia famiglia non mancava,che è sempre stato lì e che ero io a essere sempre un millimetro troppo lontana per riuscire a sentirlo.

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◀◀ REW 29/09/01

Casa Cooper sorge nel quartiere più elegante di Leigh-on-Sea ed è un’imponente villa in stileedoardiano con la porta d’ingresso fiancheggiata da due finestre, un enorme vialetto lastricato e duegrossi leoni di pietra a guardia dell’ingresso, dove io sono bloccata, in preda all’ansia, col dito amezz’aria che non si decide a suonare il campanello. Qui davanti c’è persino una fontana. Adessocapisco come mai Ryan vive ancora coi genitori, non mi sorprenderei se avesse addirittura un’alatutta per sé. Davvero non me l’aspettavo così ed è per questo che sono come pietrificata. Poifinalmente prendo il coraggio a due mani, faccio un respiro profondo e premo il campanello,maledicendo tra me il mio ragazzo. Ma come gli è saltato in testa d’invitarmi a casa dopo appena unasettimana che stiamo insieme? E, soprattutto, cos’è venuto in mente a me di accettare?

Sento che il mio look è tutto sbagliato. Quando Freya, la redattrice di moda, ha provato a farmiindossare un paio di tacchi, non ho voluto sentire ragioni e ho preferito le mie amate Converse. Hoperò accettato di rinunciare al parka in favore di un cappottino grigio con collo molto ampio.Scompiglio un po’ la frangia in modo che mi ricada appena sugli occhi, raddrizzo le spalle, do unasistemata al reggiseno e asciugo i palmi sui jeans. Lisa, l’esperta di cosmesi e bellezza e miacompagna di scrivania in ufficio, ha deciso di dichiarare guerra al mio modo di truccarmi e così peruna volta non mi sono impiastricciata gli occhi con la matita nera, limitandomi a un più sobrio efemminile lucidalabbra rosa e un po’ di fard. Sono uscita di casa convinta di essere carina e solo orami rendo conto di sembrare una stupida. Come vorrei aver seguito l’istinto ma, soprattutto, comevorrei aver rifiutato l’invito di Ryan!

Dei passi si avvicinano. No, ma questa è follia pura. Sto per girare sui tacchi e andarmene quandola porta si spalanca e appare una bionda ossigenata con indosso una tuta da ginnastica rosa firmata,più in stile Los Angeles che Leigh-on-Sea.

«Molly? Oh, ciao, cara! Io sono Jackie, la mamma di Ryan. Finalmente ti conosco, che piacere!»esclama avvolgendomi in un abbraccio.

Finalmente? Ma se sto con tuo figlio da appena una settimana!«Molly?» ripete, con un sorriso di un bianco abbacinante ma molto caloroso. «Forza, cara, vieni

dentro! Non restare lì sulla porta, fai sembrare tutto in disordine!» Scoppia in una sonora risata e mispinge dentro. L’orologio d’oro e la collana di Tiffany col pendente a forma di cuore brillano al sole.

Passo in rassegna l’ingresso alla disperata ricerca di Ryan, ma trovo solo un altro profumatissimoabbraccio della padrona di casa. Non è forse così che il boa constrictor uccide le prede? Sono sulpunto di svenire quando lei si allontana di nuovo e, senza smettere di stringermi le braccia, mi studiacon attenzione. Muovo gli occhi a destra e a sinistra, sperando di veder apparire Ryan nel campovisivo, ma di lui nemmeno l’ombra.

Poi Jackie molla la presa e resisto al bisogno di massaggiarmi le braccia. «Ascoltami, cara, deviscusarmi se sono ancora vestita così», prosegue dirigendosi verso una scalinata immensa. «È che misono messa a preparare il pranzo e non mi sono nemmeno truccata...»

Così è senza trucco?!

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«Perciò adesso vado a cambiarmi e torno subito. Tu intanto mettiti pure comoda, cara!» gridasparendo su per le scale.

Studio l’ambiente. Ma dove diavolo è Ryan, a parte sulle pareti, intendo? Ovunque mi giri, infatti,sono appesi grossi ritratti di famiglia. In molti si vedono i genitori stretti in un abbraccio, e in unogiurerei che si stiano baciando con la lingua. Carl e Ryan sono immortalati durante ogni fase dellacrescita. Nell’ingresso spiccano le gigantografie di entrambi da piccolissimi – sicuramente scattateda un fotografo –, in cui sono nudi e seduti su un tappeto a pelo lungo. Poi c’è una bella immagine diRyan a uno o due anni con la muta, in spiaggia accanto al fratello. In un’altra sono sempre in spiaggiama da ragazzini: corrono sulla sabbia coi capelli al vento. Lì vicino è appeso un fotomontaggio diRyan che sorride furbetto con la divisa da calcio e diversi trofei in mano. In una, Carl cinge ilfratellino per le spalle con fare insieme fiero e protettivo. Non mancano nemmeno i ritratti difamiglia in vacanza, dove sono tutti abbronzati e sorridenti, e uno in studio dove tutti e quattroindossano maglietta bianca e jeans ed è evidente che non sono riusciti a stare fermi abbastanza alungo da dare tempo al fotografo di scattare e sono stati colti nel bel mezzo di una risata; forsequalcuno aveva fatto una battuta. O forse si sono guardati... ci tiene a sottolineare la (sgarbata) meadolescente.

Finalmente Ryan mi raggiunge e per poco non svengo per il sollievo.«Molly! Non sapevo che fossi già qui. Mamma! Perché non mi hai detto che Molly era arrivata?»Jackie guarda giù dal corrimano in cima alla spirale, avvolta in un asciugamano e con le mani

piene di pennellini per il trucco. Distolgo subito lo sguardo.«Scusa Ry-Ry, pensavo lo sapessi. E poi Molly è grande, le ho detto di fare come fosse a casa

sua. Ormai è una di famiglia, capito, cara? Aaaah, presentale nonna Door, ti dispiace?» E sparisce dinuovo.

«Ry-Ry?» ripeto guardando Ryan di traverso.«Non farci caso», spiega con un sorriso cortese. «Sta solo cercando di mettermi in imbarazzo.»Un’ora dopo ha finito di mostrarmi la casa. Durante il giro, mi ha raccontato che Dave e Jackie

l’hanno acquistata vent’anni fa e hanno subito aggiunto una nuova ala e un giardino d’inverno, cosìadesso in tutto si compone di cinque camere da letto, una meravigliosa cucina open space con tantod’isola enorme e ripiani di granito, un soggiorno grande quanto una piazza d’armi, sala da pranzo,sala cinema/giochi e palestra. Se la mamma la vedesse, si metterebbe a vomitare un po’ per l’invidiae un po’ per snobismo nei confronti dello stile. Gli innumerevoli tavolini da caffè di vetro concomposizioni di fiori freschi, i massicci accessori moderni, l’home cinema all’avanguardia con tantodi sistema audio, l’immensa vasca idromassaggio in giardino, gli ampi divani di pelle nera e leaudaci poltroncine donano all’ambiente un tocco forse un po’ troppo «carico» anche per i miei gustieppure, strano ma vero, nell’insieme funziona.

Torniamo in soggiorno e Ryan mi presenta nonna Door, minuta ma energica settantenne vedova datredici anni ormai e con occhi dello stesso azzurro profondo di Ryan. Vive in fondo alla strada, è diun’indipendenza spiccata ma viene a pranzo ogni fine settimana.

«Piacere di conoscerti, cara, io sono Doreen», mi saluta posando il giornale e alzandosirumorosamente dalla sedia a trono rosa su cui è accomodata. «Tu però chiamami pure nonna Door, lofanno tutti.» Si gira verso la sedia e comincia a borbottare: «Che roba ridicola! Ma chi si crede diessere Jackie, quella cavolo di Posh Spice?»

«Nonna!» la riprende Ryan con una risata, cui non posso fare a meno di unirmi.

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«Mamma, guarda che ti ho sentito!» grida Jackie da un’altra stanza.Nonna Door ridacchia sorniona. «Comunque, come dicevo, piacere di conoscerti, Molly. Devo

ammettere che non sei per niente come mi aspettavo. T’immaginavo più come Helen del GrandeFratello. Ooooh, mi fa morire dal ridere, quella lì. Tu la guardi mai, cara?» Sgrana gli occhi.«’Adoro fare gli occhi dolci!’ Ah, ah, ah. Era proprio un tormentone, vero?» Poi mi si avvicina e mistudia con sguardo penetrante. «Tu però sei più carina di lei. Tutte le altre ragazze di Ryan eranobionde, vero, caro? E poi, sai, avevano qualche problema... dalle parti del cervello! Tu però misembri una con tutte le rotelle al posto giusto!» E leva lo sguardo adorante al nipote, che la sovrastadi svariati centimetri.

Ryan la cinge per le spalle, le posa un bacio sulla fronte e la accompagna in sala da pranzo, doveè già tutto pronto.

Adesso Jackie indossa un miniabito di lurex nero con una cintura dorata a forma di serpenteintorno al vitino da vespa. Dave è rientrato dal lavoro e indossa un pullover di Ralph Lauren rosapallido e un paio di jeans e Carl si presenta con la nuova fidanzata Lydia, che fa la parrucchiera. Sivede che è innamorato cotto, e come biasimarlo? Lydia è davvero incredibile, e non solo perché haun fisico da urlo. Alla me adolescente non andrebbe certo a genio, anzi se l’avessi conosciuta ascuola l’avrei etichettata come Heather, invece adesso mi lascio conquistare dalla sua simpatia. Ciaccomodiamo nella stanza invasa dalla luce del sole e Jackie porta un banchetto già pronto. E con«già pronto» intendo proprio nei contenitori di alluminio della rosticceria. Tiro un sospiro disollievo.

«La prima cosa che devi sapere di Jackie è che lei non cucina», esordisce Dave orgogliososervendosi da un vassoio di alluminio posato su un bel piatto di portata d’argento. «E, anzi, noi perprimi la sproniamo a non farlo. Primo perché è già fin troppo occupata a stare dietro a noi, a farsibella, a seguire i comitati di beneficenza, a tenermi la contabilità e a rendere la casa uno specchio. Esecondo perché è una cuoca tremenda!»

«Be’, allora mi è andata bene!» rido io toccando Ryan sul ginocchio. «Almeno non deluderò lesue aspettative, visto che nemmeno io so cucinare!»

Jackie sorride allegra. «Buon per te, mia cara!» esclama guardando il figlio.«Vedrai che ti troverai bene con noi, ragazza», interviene nonna Door attaccando il piatto

straripante di cibo. Pare quasi che non mangi da settimane. «Ogni weekend varco quella sogliapregando Dio che a Jackie non sia saltato in mente di provare a preparare qualcosa. Qualsiasi cosa.Proprio non capisco da chi possa aver preso», dice, però il sorrisetto malizioso lascia intendere ilcontrario.

«Be’, cuoca o non cuoca, questo non mi ha certo impedito d’innamorarmi, vero, Jacks?» domandaDave con una tenera strizzatina d’occhio alla moglie.

«Oh, Dave, sei il solito romanticone...» Jackie agita la mano e un raggio di sole balena sulla fedetempestata di diamanti.

«L’ho capito non appena l’ho vista camminare lungo il molo con le amiche. Era il 1969 eindossava un miniabito con stivali bianchi lucidi.»

«E lui aveva questi meravigliosi capelli lunghi, un dolcevita attillato e pantaloni a zampa dielefante», prosegue Jackie, sognante. «Mi ha detto che ero proprio stilosa, mi ha offerto una sigarettae mi ha baciato.»

«Avevo solo diciassette anni eppure già sapevo che avevo incontrato la mia futura moglie»,

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spiega Dave. Raccontano passandosi il testimone con la precisione dei corridori di staffetta.«Quando uno lo sa, lo sa, giusto, Jacks?»

«È vero, Dave», conferma lei sorridente. «E difatti per noi è stato proprio così.»«Ehi, papà, scommetto che se avessi saputo che non sapeva cucinare avresti cambiato idea!» se ne

viene fuori Carl con una risata profonda, ma il padre ha occhi solo per la moglie. È come se noifossimo spariti.

«Niente e nessuno avrebbe mai potuto farmi cambiare idea sulla mia ragazza. Un solo sguardo edero già spacciato.» Dave posa il tovagliolo sul tavolo, si alza e manda un bacio alla moglie.

Io osservo la scena incredula e con una punta di raccapriccio: Jackie salta in piedi, finge diacchiappare al volo il bacio e d’infilarselo nella scollatura. Vorrei tanto scoppiare in una risata, masento che proprio non è il momento.

Poi Dave scuote la testa, come se si stesse svegliando dalla trance, rivolge a tutti un ampio sorrisoe torna a sedere. «Dicono che per conquistare un uomo bisogna prenderlo per la gola, ma io sono laprova vivente che non è così!» E così dicendo impugna forchetta e coltello con l’aria di chi si èappena guadagnato lo status di filosofo.

«L’unica prova che vedo io è che la rosticceria ti fa male alla linea!» commenta nonna Door, escoppiamo tutti in una sonora risata, Dave compreso.

«Ryan ha imparato a cucinare per mera necessità, vero, fratello?» domanda Carl, voltando poi losguardo verso il padre. «Dimmi, Molly, ha già cucinato per te?»

«No, finora abbiamo chiacchierato un sacco, ma combinato pochino...»«Ooooh!» esclamano in coro Jackie e Dave.«No, intendevo dire che...» La frase mi muore in gola e mi giro verso Ryan, ma lui è troppo

impegnato a ridere per venirmi a salvare.Per fortuna c’è nonna Door, che mi stringe la mano. «In questa famiglia ridiamo sempre un sacco,

vedrai che ti ci abituerai presto, cara.»E allora mi abbandono alle risate anch’io.Non mi occorre poi molto per rendermi conto che, pessima cuoca o no, Jackie non va

sottovalutata. Dopo pranzo la osservo stupita mentre si aggira con passo quasi marziale per casa,facendo filare Ryan, Carl e Dave come soldatini. Organizza il calendario delle lezioni e degliallenamenti di Ryan. Archivia le fatture di Dave e nel frattempo consiglia a Carl di negoziare unmutuo a tasso fisso per la casa che vorrebbe comprare. Tempo mezz’ora e ha già studiato le piantedell’edificio, proposto un ampliamento, trovato un buco nell’agenda del marito in cui l’impresa ediledi famiglia potrebbe occuparsene, chiamato l’avvocato e concordato che sarà lui a occuparsi delletrattative a nome di Carl, organizzato un evento benefico a scuola, chiamato il giardiniere per il pratodi nonna Door e contattato un negozio di arredamento della zona per richiedere il campionario ditappeti e stoffe per la futura casa del primogenito. Quella che non ha ancora nemmeno acquistato. Leicome una one-man band che non stona mai una nota.

«Certo che tua madre è proprio una forza della natura», dico a Ryan più tardi, mentre oziamo suldivano di pelle in soggiorno.

«Lo so, è davvero straordinaria», conviene lui con un sorriso.«Credi che sono piaciuta ai tuoi?» domando guardandolo negli occhi, d’un tratto impaziente di

essere accettata in seno a questa famiglia così affettuosa, lontana anni luce dalla mia.«Ne sono certo», risponde accarezzandomi la guancia con un dito mentre mi attira a sé per un

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bacio. Quella sera, prima di andare via, Jackie mi avviluppa nell’ennesimo abbraccio mentre Ryan faaltrettanto col padre e scambia battute sul calcio col fratello. Questa volta però sono preparata. E,anzi, con mia gran sorpresa devo ammettere che mi è anche piaciuto.

«È stato davvero bello conoscerti finalmente, cara», dice Jackie sorridente, scostandomi dal visoun paio di ciocche della frangia con un gesto così materno che per poco non scoppio in lacrime. Nonpenso di aver mai permesso a mia madre di farlo. L’ultima volta che ho lasciato che mi toccasse icapelli, ha subito provato a dividermeli in due belle trecce compatte. È stato allora che ho deciso ditagliarli e tingerli di rosso alla Molly Ringwald.3

«È stato un piacere anche per me», rispondo con un sorriso timido. «Adesso capisco come maiRyan è riluttante all’idea di andare a vivere da solo...»

Do un’altra occhiata all’ingresso e, anziché considerare con disprezzo tutte quelle fotografie, mirendo conto che la loro è una famiglia davvero felice. Mi si serra la gola se penso a quell’unicaimmagine del matrimonio dei miei, così innaturale, posata sulla mensola del caminetto accanto a unamia orrenda foto da bambina in cui somiglio a Mercoledì Addams.

Jackie ride e mi abbraccia ancora. «I miei ragazzi sono la mia vita», dice, poi mi allontana e,senza mollarmi le braccia, mi studia in viso proprio come ha fatto prima. Le labbra rosa sono tornateserie. «Spero solo che tu sia pronta ad accettare che Ryan sia tutto tuo, perché vedi, Molly cara, si èproprio innamorato e non voglio che soffra. Il mio piccolino non è abituato alle pene d’amore. Èuscito dal mio ventre col sorriso stampato in viso ed è così che voglio resti per sempre.»

Annuisco, obbediente, animata dal bisogno irrefrenabile di compiacerla.Jackie torna a sorridere e mi posa un bacio sulla guancia, lasciandovi un’impronta rosa, e poi si

volta verso il figlio. «Te la sei scelta proprio bene, Ry.»Ryan non risponde, si avvicina a grandi passi e mi bacia mentre i suoi applaudono e ci

incoraggiano.«Questa è da incorniciare!» esclama Jackie battendo le mani compiaciuta. «Dave, vai a prendere

la macchina fotografica!» Forse abbiamo più cose in comune di quanto pensassi. «Rifatelo!» grida, enoi due obbediamo e ci ribaciamo sulla soglia. Chissà, forse potrei anche abituarmi a stare dall’altraparte dell’obiettivo!

Ryan mi cede il passo per uscire e, nel guardarlo, con la madre alle spalle, mi rendo conto chesiamo appena diventati una coppia a tutti gli effetti, ufficiale. Solo non sono sicura di chi l’abbiadeciso: lui o sua madre?

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Il bacio di chi non sa stare lontano

Impossibile comprendere la forza dell’amore fin quando non lo si prova sulla propria pelle. Prima di Ryan ero la reginaincontrastata degli impegnofobici. Giuravo e spergiuravo che mai e poi mai mi sarei gettata a capofitto tra le braccia di unuomo, che avrei sempre conservato l’indipendenza, che mi sarei dedicata prima di tutto a me stessa, alla carriera e alla miamigliore amica Casey. Per me contavano solo la libertà, il divertimento, l’avventura e i viaggi, e dell’amore chi se ne frega. Buffo come le cose possano cambiare in uno schiocco di dita. D’improvviso Ryan mi era accanto e il mio unico desiderioera stare con lui, sempre. Mi sentivo inebriata, dipendente: non potevo fare a meno di lui. In quelle prime settimane, stareinsieme era la cosa più allettante che potessi immaginare; se anche mi avessero offerto un posto a bordo dello SpaceShuttle, avrei rifiutato se avesse significato stargli lontana. So che alcuni guardano a simili inversioni di marcia con sospetto, ma scommetto che è perché a loro non è ancora capitato.Non hanno ancora sperimentato quel fremito incontenibile nell’incontrare la persona con cui vorrebbero trascorrere ognisecondo di ogni minuto di ogni ora di ogni giorno. Qualcuno capace di comprenderli in poche settimane più di coloro che liconoscono da quando sono nati. Eppure ero comunque tormentata della sensazione che ai tipi come me non potesse mai capitare un rapporto cosìimprovviso e intenso. Semplicemente non credevo di meritarlo. E adesso? Adesso darei tutto per sentirmi ancora così. Per questo il miglior consiglio che possa dare a tutti è di non averemai paura di amare con tutto il cuore. Perché, anche se si finisce feriti o con qualche livido, come Alfred Tennyson haosservato e io stessa ho compreso troppo tardi, «è meglio aver amato e perso che non aver mai amato».

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FF ▶▶ 13/10/01

È sabato pomeriggio e mi trovo in quella che nelle ultime quattro settimane è divenuta per me laposizione più comoda e naturale al mondo: accoccolata tra le braccia di Ryan. A ben guardare, è ilterzo sabato di fila che ce ne stiamo seduti comodi comodi sul divano di pelle nera a casa dei suoi,magari sorseggiando un bel frullato come quello che Ryan ha preparato oggi. Gustiamo ogni istanteche passiamo insieme e, dopo tanti anni sprecati a cercare di costruire il nostro rapporto, siamo comebambini in un negozio di caramelle e non ne abbiamo mai abbastanza l’uno dell’altra.

«Molly...» mi sussurra all’orecchio. «Posso chiederti una cosa?»«Certo», rispondo alzando il viso verso il suo. Mi accarezza i capelli e mi sfiora il collo con le

labbra e io mi godo il momento chiudendo gli occhi.«Lo sai quanto mi piace stare con te, vero?»«Mmm-mmm», mormoro mentre mi bacia ancora il collo. Piace tanto anche a me. Riapro le

palpebre e do uno sguardo al film dal quale, inutile negarlo, mi lascio distrarre ben volentieri. Ilsabato è divenuto la nostra «giornata cinema». Oggi abbiamo già visto 10 cose che odio di te eadesso stiamo – staremmo – guardando Il campione che, a quanto pare, è uno dei suoi preferiti inassoluto.

Ora che lo guardo bene, mi accorgo che Ryan ha pianto.«È che questo film mi prende sempre come fosse la prima volta», spiega tirando su col naso. «E

poi mi sono messo a pensare a quanto sono felice con te e allora mi sono chiesto, sì, insomma, cosane penseresti di...»

Salto su e mi siedo composta: è appena entrato il padre di Ryan. «Ehi ’Campione’, non ti sarairimesso ancora a piangere per ’sto polpettone, vero?» lo interrompe Dave scompigliandogli i capellicon un gesto affettuoso.

«E dai, papà, smettila!» esclama Ryan allontanandolo bonariamente.Dave subito ne approfitta per correre intorno al divano e fingere di prenderlo a pugni nello

stomaco.«Coraggio, figlio, fammi vedere di cosa sei capace!»«Lo sai che non potrei mai darle a un vecchio fuori forma! E adesso, se non ti dispiace scusarci un

minuto...»«Vecchio?» esclama Dave ignorando l’allusione del figlio, che leva gli occhi al cielo e mi rivolge

un sorriso di scuse. Muoio dalla curiosità di sapere cosa deve chiedermi! «Guarda che ho soloquarantasette anni, cosa credi? E sono super in formissima!»

«Papà, per favore, smettila! Stai mettendo Molly in imbarazzo!» ribatte Ryan con una risata. «Nonsaresti messo male per la tua età, se la smettessi di mangiare tanto soprattutto a colazione! E poidovresti iniziare a fare un po’ di sport. Hai costruito una palestra in casa e non la usi, ma perché?»

«Aaah, questi fanatici! Sempre a provare a convertire chi invece è già contento così com’è, vero,Molly?»

«Parole sante, Dave, parole sante!» confermo, lanciando a Ryan un sorrisetto canzonatorio.

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«Siccome lui trascorre la vita a correre su e giù per il campo dando ordini a quei poveretti, pensa dipoterlo fare anche con noi!» E poi sorrido al pensiero dell’atmosfera semplice e rilassata che regnasempre qui, e a quanto mi ci sento a casa.

Dave osserva il figlio con aria confusa, mi volto e sul viso di Ryan scorgo una muta e disperatarichiesta di privacy.

«Sì, ehm, ecco...» attacca Dave dirigendosi verso la porta. «Adesso vado e vi lascio... sì,insomma, lo sapete. Ho un sacco di cose da fare. Sempre occupato, sempre sempre sempre, vero,Ryan? Occupato a lavorare per pagare questa casa enorme che sarebbe comodamente in grado diospitare anche altre persone... ah, ah. Comunque sia, io vado, eh?»

Mi riaccoccolo tra le braccia di Ryan. Avevamo messo il film in pausa e per un istante sediamo insilenzio. Poi Ryan tossisce e io lo guardo.

«Mi dispiace per la scenetta», dice sorridendo.«Ma figurati, tuo padre è troppo forte.»«Sì, sì, è vero.» Mi prende la mano. «Allora... c’è questa cosa di cui ho davvero bisogno di

parlarti e...»«Ciao, cari! Vi va qualcosina da bere?» Questa volta è Jackie a interromperlo, dalla porta.Ryan lascia scappare un gemito e si prende il viso tra le mani. «No, mamma, grazie», risponde

con un tono nervoso che non gli ho mai sentito prima.«Sicuri sicuri?» insiste Jackie, sedendo sul divano in mezzo a noi. «Un bicchierino di vino per

allietare il sabato pomeriggio? Una birra? Magari un bel tè? Caffè? Latte?»«No, mamma, grazie. Siamo a posto così, a parlare, capito?»Tentativo di allusione fallito. «Allora magari per cena potremmo ordinare cinese e guardare Chi

vuol essere milionario? insieme? È da un sacco che non trascorriamo una bella serata in famiglia.»Ryan si sporge verso di lei e le sorride. «Sì, mamma, volentieri. Dopo», dice guardandola dritto

negli occhi.Jackie si porta la mano alla bocca e ridacchia. «Dopo... ma sicuro! Omioddio, che sciocca che

sono! Allora io vado a...» Gli rivolge uno sguardo disperato. «A cucinare?» E corre via.Mi rimetto comoda e faccio per premere PLAY, ma Ryan me lo impedisce con un bacio. «Oh, bene.

Allora, dicevo che mi chiedevo...» Guarda in direzione della porta per assicurarsi che non ci sianoaltre interruzioni in arrivo.

«Allora, cos’è che ti chiedevi, Cooper?» domando accarezzandogli i capelli.«È che mi è venuto questo strano impulso di chiederti una cosa, è già un po’ che ci rifletto e so che

è da poco, però...»Mi tiro più su e lo guardo con aria interrogativa. «Che cosa?»«Molly, vieni a vivere con me!»«Che cosa?» Sono paralizzata dalla sorpresa. Davvero non me l’aspettavo. Ci frequentiamo da

quasi un mese. Il mese più bello della mia vita, ma pur sempre un mese. E poi io non dovreinemmeno avercelo, un fidanzato di quelli seri. Soprattutto non uno che conosco da quando hoquindici anni. Non è nella mia «lista della vita».

Ryan mi fissa dritto negli occhi, serio come non mai. «Disdici l’affitto dell’appartamento e vieni avivere con me. Voglio stare sempre con te.»

«Tu sei pazzo!»«Non sono pazzo! Sono innamorato. Io ti amo, Molly Carter.»

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Per la prima volta in vita mia sono sbalordita, esterrefatta, senza parole. Mi ama. Ama me! Laparia sociale con un caratteraccio e il taglio di capelli schifoso! Quella che fino all’arrivo di Caseyaveva una macchina fotografica per amica. Quella che il suo primo bacio era stato solo una sciocca eumiliante sfida. Quella che non avrebbe mai trovato un ragazzo. Quella che sognava di avere più diquanto un uomo avrebbe potuto darle, mi rammenta la me adolescente.

Non più, cara mia, mi dispiace! Un tempo forse, ma adesso Ryan è tutto ciò che desidero.«Allora, che cosa rispondi?» m’incalza.Non so perché, né da dove sia venuto fuori, o perché non ascolto l’istinto che mi dice che sono

troppo giovane, che ho troppe cose da fare, troppe mete da raggiungere. Sta di fatto che, senza cheabbia bisogno di pensarci e, una volta tanto, proveniente dal cuore e non dalla testa o dalla bocca, larisposta che mi esce dalle labbra è: «Sì!» Punto.

Ci baciamo e mi sento ricca come non sono mai stata.

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Il bacio sulla soglia

È strano ritrovarsi col futuro impacchettato e infiocchettato a ventun anni. «Ecco qui: l’uomo, la vita e la casa perfetti!» Ioperò l’ho afferrato al volo perché allora non sapevo nulla. Non nutrivo dubbi, all’epoca.

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FF ▶▶ 19/01/02

Siamo tutti riuniti nell’ampio vialetto di casa Cooper, davanti all’enorme garage doppio che negliultimi due mesi Dave ha trasformato in un appartamentino per Ryan e me.

«Dichiaro questo garage... scusate, la dépendance di Ry e Molly ufficialmente aperta!» esclamaJackie con un sorriso smagliante nel tagliare il nastro rosso davanti alla porta nuova di zecca, e Ryan,Dave, nonna Door, Carl, Lydia e io applaudiamo con entusiasmo. È gennaio e fa freddo,ciononostante avverto un’ondata di calore salirmi dal cuore.

Jackie aspetta che l’applauso e le grida di Carl – «Sesso! Sesso! Sesso!» – si plachino e riprendeil discorso: «Ry e Molly...» esordisce, giungendo le mani come la regina durante il discorso annuale.

Al suo fianco, Dave incrocia silenzioso le braccia sul ventre abbondante e ci guarda con gli occhiazzurri illuminati da un misto di orgoglio e divertimento.

«Lasciatemi cogliere l’occasione per darvi il benvenuto a casa nostra.» Il marito la guarda ditraverso e lei subito coglie e si corregge: «Intendevo dire, a casa vostra. E nella vostra nuova vitainsieme come conviventi! Il mio Dave e io vogliamo augurarvi tutto l’amore e la fortuna e la felicitàdi questo mondo. E, se aveste bisogno di qualsiasi cosa, sapete dove trovarci...»

«Sì, fin troppo vicini!» grida Carl, guadagnandosi uno scappellotto bonario dal padre, che noiaccogliamo con una risata.

Ryan prende le chiavi che Jackie ha infilato a un capo del nastro rosso, apre la porta e varchiamola soglia.

«Allora, che ve ne pare?» chiede Dave con un grosso sorriso mentre ci guardiamo intorno stupitidall’abilità con cui ha trasformato un vecchio garage in uno stupendo appartamento moderno.

«Papà, è grandioso!» esclama Ryan abbracciandolo. Si scambiano una gran pacca sulla schiena esi voltano entrambi verso di me.

«Oh, Dave, è incredibile!» Gli schiocco un bacio sulla guancia e lui mi stringe forte. È davvero unappartamentino molto grazioso, e ancora stento a credere che siano trascorsi appena due mesi daquando mi sono trasferita nella camera di Ryan.

Ho sempre ripetuto che avrei preferito morire piuttosto di far ritorno a Leigh, e invece mi èbastato ammalarmi. Ammalarmi d’amore, intendo. Eppure non tutti hanno accolto la mia decisionecon gioia, come invece mi aspettavo.

Una settimana dopo la fatidica proposta, sono andata a trovare Casey al lavoro nel bar dellamadre, convinta che pure lei sarebbe stata entusiasta della cosa. Era sabato pomeriggio, la folla delpranzo era ormai scemata e Toni, sua madre, le ha concesso una pausa. Mi disturba pensare cheCasey lavori ancora lì. Lo so che il locale è sempre pieno (più per le doti civettuole di madre e figliache per le loro effettive capacità di ristoratrici) e che Casey non ha ottenuto voti sufficienti perfrequentare il college, ma è una ragazza sveglia e divertente e potrebbe aspirare a qualcosa di piùche una vita da cameriera nella bettola della madre.

«Sicura che sia poi questa grande idea?» ha commentato, tenendo lo sguardo fisso alla tazza di tèche aveva davanti.

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«In che senso?»«Be’, non prenderla nel verso sbagliato, però... non è un po’ troppo presto? Vi frequentate solo da

qualche settimana!»Mi sono messa subito sulla difensiva. Aveva stuzzicato il nervo scoperto. «Ma, Case, lo conosco

da anni. Non è un tizio conosciuto in discoteca che ho seguito a casa, ti pare?»Nelle mie intenzioni, non voleva essere una frecciata, ma già mentre lo dicevo mi sono accorta

che l’impressione era proprio quella. Casey è avvampata.«Scusa, non volevo metterla così», mi sono affrettata ad aggiungere.«È tutto a posto, Moll, non ti preoccupare», ha replicato lei con un sorriso cortese. «Lo so che con

gli uomini ci vado subito a letto. Più che altro perché ho paura che cambino idea, ma è proprioquesto il punto! Io m’infilo nel loro letto, non in casa loro. E tanto meno in casa dei loro genitori.»

«Lo so che può sembrare un passo affrettato, ma avremmo già dovuto metterci insieme un sacco ditempo fa e adesso nessuno dei due vuole sprecare altro tempo.»

«Okay», ha tagliato corto con un sorriso privo del solito brio. «È che mi preoccupo per te. È cosìche fanno le vere amiche?» Intreccia le dita con le mie e mi strappa un sorriso al pensiero delladevozione – forse un po’ infantile? – che ci unisce dai tempi del liceo. «Voglio solo essere sicurache tu sappia cosa stai facendo. Fino a oggi non ti era mai passata per la mente l’idea di conviverecon un ragazzo ed è una faccenda davvero molto grossa. Lo sai anche tu quanto ami i tuoi spazi, seiproprio sicura che riuscirai a tollerare di condividerli con qualcuno ventiquattr’ore su ventiquattro?»

«Guarda che lavoriamo entrambi, quindi non sarà molto diverso da com’è ora.»Casey allora ha inarcato le sopracciglia scure e mi ha fissato a lungo. «I tuoi lo sanno?» ha

domandato, dopo aver lasciato che quel suo silenzio così insolito parlasse per lei.«Figurati! Non ci parlo da secoli! Ma sai come siamo fatti, ah, ah!» Mi sforzo di scherzarci sopra,

perché non sopporto che sia proprio Casey a cercare di buttarmi giù. Me lo aspetto dai miei genitori,ma da lei proprio no. «Ryan vuole che andiamo a dirglielo di persona il più presto possibile perchénon vuole che la mamma lo scopra da qualcun altro. Sai, adesso sono colleghi e per lui sarebbe unasituazione piuttosto imbarazzante.»

Mi fa ancora una strana impressione pensare che Ryan è un insegnante. Ryan Cooper è divenuto uninsegnante! E di educazione fisica! Un po’ come se Danny Zuko avesse preso il posto del coachCalhoun.

«E allora quand’è che hai intenzione di farlo? Quand’è che glielo dirai?»«Presto, oggi, subito. Aaah! Posso avere qualcosa di più forte di una Coca-Cola prima di andare?

Ne avrò molto bisogno.»«Vedrai che non ti faranno storie. Ryan è un ragazzo d’oro e poi è anche un insegnante. Non hanno

granché di cui lamentarsi.»«Già, però non siamo sposati...» Mi faccio il segno della croce e levo gli occhi al cielo. La mia

amica conosce bene i miei continui scontri con le convinzioni religiose dei miei genitori.Casey è scoppiata in una sonora risata, ci siamo alzate e mi ha abbracciato. «Sono contenta che tu

sia felice. Dico davvero. Solo ero convinta che l’avrei fatto prima io. Ti ricordi? Tu sei la donna incarriera, io la futura moglie.» Si è scostata e mi ha fissato intensamente. «Però ricordati che hai soloventun anni e che non devi aver fretta...» ha aggiunto toccandosi l’anulare sinistro e il ventre.

«Che cosa? No, no, no! Ma sei matta? Sto solo andando a vivere con lui, ci sono migliaia di coseche vogliamo fare prima ancora di pensare a... quello!»

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«Allora ne avete già parlato...»Non ho potuto fare a meno di arrossire. Non volevo ammettere che una sera, a letto, avevamo già

programmato tutta la nostra vita: i luoghi che avremmo voluto visitare, le cose che avremmo volutofare, i nomi per i bambini e per i gatti, persino il numero di nipotini. E avevamo raccolto tutto in unalista appuntata nel mio diario. La lista della vita di Molly e Ryan. Era ora di rivedere quella cheavevo scritto per me all’università. Non è cambiata poi di molto, dico davvero. È stato divertentestrapparci la penna di mano per completare i commenti reciproci. La lista della vita di Molly e Ryan!

Andare in Australia

Vivere a New York – visitare New York

Fare un giro per i negozi, i luoghi d’interesse e i musei e assistere a una partita dei New York Giants!

Diventare una fotografa! Andare a una finale di coppa (ehm, questo puoi farlo anche da solo!) Andare a un concerto dei Take That (Impossibile, a meno che non inventino una macchina del tempo, Ry. Robbie non t nerà mai piùcon loro, fattene una ragione!) Andare alla prima di un film! Incontrare Tom Cruise (Ry, non sei e non sarai mai il Goose di Maverick)

Comprare un appartamento a Londra (o a Leigh?!)

Poi comprare una casa con giardino a Londra (o a Leigh )

Avere dei figli presto, e perlomeno due. Un maschio e una femmina! E poi abbiamo iniziato a prenderci in giro.

«Va bene, Ry, vai col nome del maschio!»«Champ.»«Scordatelo! A scuola lo prenderebbero in giro.»«Dai, ammettilo! Champ Cooper è un nome da campioni! Va bene, sentiamo: e la bambina come

vorresti chiamarla?»

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«Xanthe.»«Salute. E allora, questo nome?»«Che spiritoso. È questo il nome: Xanthe. Xanthe Carter... È cool, è originale. Non noioso come

Molly.»«Va bene, se lo dici tu. Però guarda che sarà Cooper. Allora avremo Champ Cooper e Xanthe

Cooper, andata?»«Andata. E i cani?»«Preferisco i gatti. Che ne dici di Harry e Sally?»«Sììì, mi piace!»

No, questo è meglio non dirglielo, a Casey, ho pensato.

Invece l’ho abbracciata forte. «Guarda il lato positivo: così ci vedremo di più!»Ha annuito e accennato un sorriso, poi si è sciolta dall’abbraccio e mi ha voltato le spalle,

mettendosi a caricare la lavastoviglie.Con papà e mamma non è andata molto meglio. Ryan è venuto con me e, per preparare il terreno,

ha fatto sfoggio del suo fascino lodando la loro «bellissima casa», chiedendo a mamma della scuolae a papà delle mostre d’arte, ma l’atmosfera è rimasta gelida. I miei genitori – impeccabili, affettati einvecchiati anzitempo – ci hanno fatto accomodare davanti a una tazza di tè coi biscotti integraliordinatamente disposti sul piattino (cosa darei perché almeno una volta, una sola volta nella vita lamamma comprasse biscotti diversi, e più buoni come, che ne so, i Jammie Dodgers!) e si sono sedutidi fronte a noi ricambiando i nostri sorrisi con sguardi fissi e gravi, aggrappati ognuno alla propriatazza. D’un tratto ho sentito la bocca torcersi e ho sbuffato nel disperato tentativo di soffocare unimpulso. È una reazione istintiva quando mi sento a disagio e, per mia fortuna, Ryan ormai è abituato.

Quando, tenendomi per mano, Ryan ha spiegato loro che saremmo andati a convivere, mamma hafatto una smorfia e ha fissato ostentatamente il mio anulare sinistro «nudo», mentre papà si è passatouna mano sui capelli e ha guardato fuori dalla finestra, come se non fosse nemmeno stato lì con noi.Tutto come previsto, insomma.

«Immagino tu sappia che non approviamo la convivenza prima del matrimonio», ha commentato lamamma, rimarcando il suo punto di vista primitivo e un po’ pruriginoso.

Ryan le ha sorriso e ha risposto: «Mrs Carter, apprezzo che abbia voluto parlarmene e rispetto levostre convinzioni, dico davvero, come del resto spero sappiate che io sono convinto che ilmatrimonio sarà il nostro prossimo passo. Amo vostra figlia con tutto il cuore e m’immagino accantoa lei per molti, moltissimi anni».

Mi sono voltata a guardarlo, intimorita dalla piega che stava prendendo la conversazione. Siamoancora troppo giovani per parlare di matrimonio! Ma Ryan mi ha stretto la mano con dolcezza e misono subito rasserenata. Non stava per farmi nessuna proposta – grazie a Dio! –, sapeva solo comeprendere i miei genitori. Ho deciso che fosse meglio lasciar parlare lui, perché se avessi aperto labocca io, be’, sarebbe andata a finire in un litigio come sempre.

«Be’, Patricia, cara, a quanto sembra adesso si fa così», ha aggiunto papà lentamente, passandosidi nuovo la mano sul riporto e aprendo un libro. Per quanto lo riguardava, il discorso era chiuso.Papà è un uomo di poche parole. E quando apre bocca dà l’impressione di aver trascorso ore e ore arimuginare prima di mettere insieme una frase di senso compiuto. Talvolta questo suo atteggiamento

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lo fa somigliare a una sorta di profeta, più spesso a un muto.Mamma allora si è schiarita la gola spazientita e si è messa a tormentare la croce che portava al

collo. «Immagino di non potervelo impedire. Conosco mia figlia abbastanza da sapere che servirebbesolo a rafforzarla nel proposito di disobbedirmi... Dopotutto non sono mai stata capace dicontrollarla. Ma non posso certo dire di non essere delusa.» Si è interrotta e ha lasciato vagare losguardo per la stanza prima di fissare gli occhi grigi nei miei. «È che per te speravo in ben altro,Molly.»

Ma come ti permetti? Cosa potrebbe esserci meglio di Ryan?Ho aperto la bocca per controbattere, ma Ryan è scoppiato a ridere e mi ha passato un braccio

intorno alle spalle. «Sa, è una delle cose che più amo in sua figlia, Mrs Carter. Molly ha grandiprogetti per il futuro e, mi creda, non è assolutamente mia intenzione impedirle di realizzarli.» «Evviva!» Dave fa saltare il tappo di una bottiglia di Moët e riempie i bicchieri.

«A Ryan e Molly!» gridano in coro i Cooper, e facciamo tintinnare i bicchieri. Guardo la nostrabella casetta e ho l’impressione che da ogni superficie si levi una scintilla come nei fumetti, tanto ènuova: pareti tinteggiate di fresco, parquet appena posato, mobili appena usciti dal negozio. Una casagiovane quanto il nostro rapporto.

«Ooooh, quasi dimenticavo!» esclama Jackie posando il bicchiere sul tavolino. «Un regalino dibenvenuto da parte mia e di Dave», spiega porgendoci un pacchetto.

«Ah, no, io non c’entro!» replica il marito alzando le mani. «Io ho costruito l’appartamento, èquesto il mio regalo!» Poi ci fa l’occhiolino e si lascia cadere sul nuovissimo divano Ikea bianco.

«Grazie, mamma! Non avresti dovuto!» Ryan prende il pacchetto.«Davvero, Jackie, non avresti dovuto», gli faccio eco sforzandomi di celare il disgusto quando

dalla carta emerge una... un’enorme lampada da tavolo in plastica a forma di fenicottero, e di un belrosa brillante, per di più!

Jackie squittisce battendo le mani. «Non è carina? Non appena l’ho vista, ho subito pensato chesarebbe stata benissimo qui», spiega poggiandola pesantemente accanto al televisore, ossia dov’èimpossibile ignorarla. «L’ho presa perché è rosa e ho pensato che a questo posto servisse un tocco dicolore. Dave non ha voluto farmi sbizzarrire troppo con l’arredamento, ha detto che dovevamolimitarci al minimo indispensabile, così avreste potuto personalizzarlo secondo il vostro gusto.»

Rivolgo a Dave uno sguardo colmo di gratitudine, che lui contraccambia con una strizzatinad’occhio, sorseggiando in silenzio lo champagne e lasciando che, come sempre, sia la moglie aparlare.

«E poi ho pensato che calzasse a pennello perché i fenicotteri stanno insieme per la vita»,prosegue Jackie con un sorriso malinconico. Poi prende la mano a me e a Ryan e le stringe forte,mentre una sola lacrima le scivola lungo la guancia. Quant’è melodrammatica!

«Ma non erano i cigni?» interviene Carl con aria un po’ confusa.Jackie tira su col naso. «Cigni, fenicotteri, è la stessa cosa!» replica agitando le mani infastidita.Contorco appena le labbra e guardo Ryan, che però è intento a fissare la madre con

un’espressione grata dipinta in viso. Negli ultimi tre mesi ho imparato ad accettare come vangeloqualsiasi cosa Jackie dica o faccia. Che, tradotto, significa che il fenicottero – Oh, santi numi –resta.

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«Davvero un bel pensiero, mamma. Ci piace un sacco, vero, Moll?»«Umpf», borbotto, affogando la risposta nello champagne. Non sono mai stata brava a mentire.

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10:05

Apro la porta con un sorriso smagliante. «Prego, prego, entrate!» invito allegra i due traslocatori, che ormai conosco bene,decisa a sorvolare sull’ora di ritardo con cui si sono presentati. Non voglio nemmeno immaginare in che stato mi avrebberotrovato se fossero stati puntuali. Il lieve odore di fritto che emanano mi dà la nausea, ma m’impongo di controllarmi.

«Tè con un cucchiaino di zucchero, giusto, Bob?»Il più vecchio dei due leva i pollici in su.«E per te, Ian, due cucchiaini?» Sorrido al figlio adolescente, pregando che rifiutino. Dopotutto sono appena arrivati, che

bisogno hanno di una pausa?Che illusa, cara la mia Molly. Che illusa.«Ci vorrebbe proprio, signora, grazie», risponde Ian. «È stata una di quelle mattine che gliele raccomando!»Corro in cucina e, quando ne faccio ritorno, loro stanno già iniziando a portar fuori gli scatoloni in ingresso.«Molto bene!» esclamo battendo le mani, e subito rimettono giù gli scatoloni, proprio come speravo. «Allora, il programma

di oggi prevede di finire il piano di sopra, va bene? In bagno e nelle due camere sono rimaste le ultime cose daimpacchettare, compreso il materasso, e ci sono delle scatole già pronte da portare giù. Su alcune c’è scritto Magazzino:sono quelle di cui dovreste occuparvi per prime. Mio padre vi verrà incontro al deposito per mettere tutto insieme. Le altresono da spedire. In caso di dubbi, chiedetemi pure: anche se non sembra, dietro c’è tutto un sistema!»

Padre e figlio guardano il caos che ci circonda con l’aria di chi pensa: E tu questo lo chiami sistema, cara? E come darloro torto? In giro sono rimaste le cose più disparate, per non parlare del DVD ancora acceso. Si potrebbe pensare che nonstia prendendo il trasloco molto sul serio, ma non è così.

Trasloco. Casa nuova, vita nuova.

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Il bacio della beatitudine casalinga

All’università me ne stavo distesa nel letto della casa che condividevo con Mia e altri tre tizi poco amanti del sapone efantasticavo sugli anni di beata solitudine che mi aspettavano. Sognavo di vivere in un piccolo pied-à-terre nella parte nord diLondra o in un loft nell’East End. Mi sarei crogiolata nel mio stile minimalista, avrei sorseggiato vino bianco sul divano e misarei goduta infiniti bagni con tanta schiuma e le candele, proprio come fanno le donne single nei film o nei libri. Unaprospettiva ben più allettante di quella di andare a vivere con un uomo, tanto più che la convivenza per me iniziava con unametaforica avventura nel reparto bagno dell’Ikea e si concludeva con la vecchiaia (o il divorzio) tra hot dog e biscotti dellabottega svedese. Davvero poco entusiasmante, no? Ma poi è arrivato Ryan...

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FF ▶▶ 22/02/02

«Ryan, sono a casa!»«E io sotto la doccia!»Varco la soglia dell’ormai nostro garage riconvertito e butto le chiavi nel meraviglioso guscio di

conchiglia che Ryan mi ha regalato a Ibiza e che ho voluto sistemare in bella vista sul mobiletto Ikeaall’ingresso. Noto che accanto si è materializzata un’altra vistosa composizione di fiori freschi.Jackie continua a presentarsi una volta alla settimana, portando orribili cianfrusaglie come se fossel’appartamento di Elton John. Continua a ripetere che in casa non devono mai mancare i fiori freschi.Per me invece in ogni casa non dovrebbe mai mancare un bel cartello NON DISTURBARE, ma è unpensiero che mi tengo per me, per ovvi motivi.

Raggiungo il bel divano bianco e mi ci lascio cadere, esausta dopo una settimana da pendolare mafelice come non mai di essere a casa. Conviviamo ormai da un mese e comunque non esistesensazione più bella del rientrare da quella porta ogni sera. Le ultime settimane le ho dedicate atrasformare l’appartamento nel nostro nido, a dipingere le pareti della giusta tonalità di verdinoacqua di mare che abbiamo scelto e a comporre collage di fotografie che ho poi appeso alle pareti:Ryan e io, Ryan coi suoi amici, io con Casey, l’incredibile vacanza a Ibiza. E mi sorprendo a pensarea quanto sono cambiata da quando sto con lui, adesso mi piace addirittura stare in mezzo alla gente!Ryan sostiene che è merito del suo progetto di «immersione sociale», che prevede di frequentareamici e famiglia, e non solo i suoi. E, infatti, mi vedo con Casey molto più spesso e cerco dicompiere qualche sforzo in più coi miei genitori.

Ciò non significa che non mi prenda i miei spazi. La maggior parte dei fine settimana, peresempio, mentre Ry era impegnato con le partite o al pub, l’ho trascorsa in giro per negozid’arredamento, cercando soprammobili e cuscini con cui dare piccoli tocchi finali alle stanze, tantoche adesso paiono uscite dalle pagine di un catalogo. Le adoro, ma ancora non è «casa». Non vorreipassare per ingrata, ma mi sento come se giocassimo agli adulti in una casetta per bambini nelgiardino sul retro di Jackie e Dave.

Sistemo le scarpe di Ryan accanto alla porta e raccolgo i calzini sparsi per il soggiorno, scrollo iltappetino di pelo finto e lo rimetto al suo posto, raddrizzo le candele sulla mensola del caminetto e lafoto gigante dei ciottoli che ho scattato sulla spiaggia di Leigh il giorno in cui ci siamo trasferiti qui.Per quanto io adori l’arredamento stile Elle Decor, con mobili vintage ed eccentrici, ho accettatol’idea che è impossibile coniugarlo con questa dépendance nuova di zecca. Non da ultimo perché, avoler ben vedere, è la dépendance di Jackie e Dave. Lo si capisce dalla meticolosità con cui Jackiela passa in rassegna ogni volta che viene a trovarci, posizionando di tanto in tanto una fotografia suae di Dave qua o una dei ragazzi là. Insomma, l’arredo rispecchia più loro due di me, ma va bene così,tanto so che non vivremo qui per sempre. Fisso lo sguardo sulla gigantografia, orgogliosa delpensiero che c’è dietro. Volevo un simbolo del luogo in cui Ryan e io siamo cresciuti, in cui ci siamoinnamorati e in cui viviamo. Ho inciso le nostre iniziali su ciascun ciottolo e li ho fotografati mentrelui non guardava, infilandomeli in tasca prima di tornare a casa. Era il mio modo di combinare i

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nostri diversi modi di collezionare ricordi: fisico (il suo) e fotografico (il mio). E questi sassolinisono il primo dei nostri ricordi condivisi; il primo di una lunga serie.

Ryan è rimasto senza parole. Non è una persona molto creativa, tranne che in cucina, perciò èsempre un po’ in soggezione – parole sue – dinanzi a queste mie opere. I ciottoli li ha voluti metteresul comodino.

«A me non viene un’idea originale nemmeno a pagarla oro», mi ha detto una volta, in risposta aimiei complimenti dinanzi all’ennesima tavola imbandita. «Sono in grado di seguire una ricetta allalettera, so comprare un bel completo che vedo in una rivista o citare battute dai film, ma non soinventare nulla di mio. Tu invece possiedi un modo davvero particolare di guardare al mondo, ed èuna delle cose che più amo di te.»

Un complimento che ho accettato volentieri ma che non sono certa di condividere. Il modo in cuiRyan guarda al mondo è come l’istantanea di una vacanza piena di sole. Ryan è brillante, semplice,una fotografia ben esposta e perfettamente a fuoco. Io invece sono in bianco e nero, in balia delleemozioni... una composizione molto complessa. Siamo due immagini che, poste l’una accantoall’altra, creano un equilibrio perfetto.

Lo sento arrivare dietro le mie spalle, le sue braccia mi cingono la vita, il naso cerca l’incavo delcollo.

Mi volto e gli sorrido. Casa, penso mentre le nostre labbra s’incontrano. Mi allontano e lo guardo,ancora incredula al pensiero che sia mio. Profuma di pulito ed è pronto per uscire. Porta i capellitagliati corti e indossa una maglietta aderente con lo scollo a V, ampi pantaloni verde militare con letasche e Adidas bianche appena uscite dalla scatola. È stupendo. Ma io lo amerei anche se fossebrutto, grasso e pelato. Le persone si fermano al suo aspetto esteriore, ma io so che in Ryan Cooperc’è ben altro. E lo so perché ha scelto me, Molly Carter, ex sfigata del liceo. Credetemi, se fosse unointeressato solo alle apparenze non starebbe certo con me. A volte ancora mi chiedo come sia statopossibile. La mia vita è il sogno di ogni adolescente fattosi realtà. Beccati questa, Molly Ringwald!Non ho avuto bisogno di Un compleanno da ricordare , di Jon Cryer e nemmeno di un vestito rosa: ame è bastato Ryan Cooper.

Guardo il tavolo da pranzo, su cui ci sono le scarpe infangate e la divisa da calcio, scartoffie discuola e bottiglie di Becks in equilibrio precario e resisto all’impulso di sistemare. Da quandoconviviamo, ho dovuto mettere un freno all’ossessione per l’ordine, e non solo perché Ryan è uncasinista cronico e senza speranza: per farla breve, a lui piacciono le cose. Non butta mai via nulla:biglietti, ricevute, riviste... ha ancora la collezione di gomme da cancellare di quand’era piccolo.Ovunque sono ammucchiate pile e pile di qualsiasi cosa che più di una volta ho suggerito di metterevia o almeno «sfoltire», ma da quest’orecchio proprio non ci sente. Ha riempito il nostro nido contutti i suoi ricordi, e a ben pensarci è davvero molto dolce, no?

«Non dovevi andare al pub coi ragazzi?» domando mentre mi stringe per baciarmi ancora.Annuisce. «Sì, ma non potevo uscire senza vederti. Com’è andata oggi?» Si lascia cadere sul

divano, beve un sorso di birra e mi passa la bottiglia. Mi rannicchio accanto a lui.«Alla grande! Jo, la photo editor australiana, ha detto che la prossima settimana posso andare con

lei sul set per la copertina!» rispondo entusiasta. «Ci ho lavorato un sacco, ho trovato la location esuggerito il fotografo giusto, però non avrei mai sperato di poterci andare anch’io. Sai, in genere leassistenti non lo fanno e poi io lo sono da appena quattro mesi!»

«È fantastico, cucciola!» commenta lui con un sorriso. «E c’è qualcuno di famoso?»

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Scuoto il capo e bevo un sorso di birra. «No, ci saranno solo modelle, ma sarà comunqueun’esperienza bellissima. Il fotografo è uno che ammiro da un sacco di tempo, lavora con tutte leriviste più importanti e si è già occupato di alcune campagne di moda. Non vedo l’ora di poterloosservare all’opera. E tu cosa mi racconti? Sei riuscito a far completare gli scritti preparatori aquelli dell’ultimo anno?»

Mi indica la pila di scartoffie sul tavolo con un cenno del capo. «Sì, ma per un soffio. Alcuni diloro non la prendono abbastanza sul serio, devo proprio decidermi a essere più severo.»

«Seeee, come no!» Ryan ha un rapporto stupendo con gli studenti, dice sempre di non voler essereil tipico insegnante noioso col quale non hanno dialogo. Si sente più a suo agio a correre per ilcampo, a spronarli a dare il massimo e ad amare lo sport. Riprenderli perché non ascoltano e nonstudiano a sufficienza la biologia del corpo umano non è esattamente il suo forte.

Il telefono squilla. Ryan s’infila la giacca e finisce la birra, abbandona la bottiglia sulla mensoladel caminetto e torna per salutarmi con un bacio. Gli prendo la mano e lo accompagno alla porta,rabbrividendo quando il gelo di febbraio c’investe. Mi saluta con un ultimo bacio e con un «Ti amo»a mezza voce, poi si avventura nella nebbia, mentre io rispondo al telefono.

«Case!» esclamo reggendo la cornetta col mento mentre mi avvicino al congelatore per tirare fuoriun paio di pizze. «Quando vieni? Subito? Fantastico! No, Ryan è al pub con gli amici, per cui oggisono sola!» rido, e nel frattempo prendo una bottiglia di Chardonnay dal frigorifero. «Come? No,certo che voglio che vieni. Te l’ho detto, che stasera sono sola. La pizza c’è, il vino anche, mancasolo la mia migliore amica per concludere degnamente questa settimana! Non sai quant’è statapesante! Va bene, allora ci vediamo tra mezz’ora!»

Riempio una scodella di patatine, aggiungo qualche salsina e le olive e mi verso un bel bicchieredi vino. Quando non c’è Ryan a cucinare, le mie abitudini alimentari regrediscono alle sregolatezzedell’università.

«Case!» esclamo spalancando la porta e avvolgendola in un abbraccio.«Ciao, Moll! Wow, ma che bella casa!» Si guarda intorno, soffermandosi sulle fotografie e sui

quadri alle pareti, come cercasse qualcosa in particolare. «E io dove sono? Oh, perché hai appesoproprio quella? È bellissima, però guarda che faccia da bevuta ho!»

«Eri bevuta!»«Va bene, va bene, lo ammetto. Però potresti sceglierne una dove sono bevuta e carina! Lo so che

ne hai a migliaia di quelle!» ridacchia, proseguendo l’ispezione dell’appartamento. «Ma, alla chiesa,gliel’hai lasciata qualche candela per la messa di domenica?» scherza indicando il finto caminettoilluminato da tante fiammelle.

«Ah ah! Devi sapere che le candele da chiesa sono molto alla moda.»«Ah, io preferirei una bella palla da discoteca. O magari delle vere luci stroboscopiche! Sì, se

riesco ad andarmene da quel buco di mia madre giuro che me le metto!»«Un bicchiere di vino?» offro prendendo la bottiglia.«Oooh, ma che casalinga perfetta!» mi prende in giro lasciando cadere la finta borsa Burberry e

proseguendo il giro. «Non ce l’hai la vodka? È venerdì sera e dopo voglio andare a ballare, ma ilvino mi mette sonno. È roba da vecchi!»

«Mmm... Non lo so, forse nella credenza?» rispondo indicando il mobiletto ad angolo dellacucina. «In realtà pensavo che saremmo rimaste qui...»

«Adesso sì, ma la notte è ancora giovane. Siccome tu ti sei sistemata e sei diventata noiosa, non è

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che adesso dobbiamo esserlo tutti! Non pensavi mica di restare tutto il tempo a casa per davvero?»Mi fissa incredula sbattendo le ciglia cariche di mascara. Non ha ancora capito di essere bellissimaanche senza. Cose che succedono quando il brutto anatroccolo si trasforma in cigno. Lo stile impiegaun po’ per mettersi al passo col fisico. Vorrei tanto poterla affidare a Freya, sono sicura chesaprebbe convincerla a vestirsi in modo un po’ meno... volgare. Così poi potrei occuparmi digrattarle via quell’odiosa abbronzatura da lampada di cui il suo meraviglioso incarnato mediterraneonon ha nessun bisogno e di sbarazzarmi di quei terribili colpi di sole da due soldi.

«Be’, in effetti pensavo che ci saremmo fatte una pizza e che avremmo guardato un bel film anni’80. Non so, tipo Breakfast Club o St. Elmo’s Fire. E che avremmo chiacchierato sorseggiando vino,come ai bei vecchi tempi!»

«Che noia!» replica, sbadigliando, con lo stesso tono di quando avevamo quindici anni. «Senti,non offenderti, ma tu sarai anche persa nel tuo bel mondo da sposata, noi però abbiamo avuto unasettimana bella tosta e abbiamo bisogno di sfogarci un po’. È già tanto che sia riuscita a convincerela mamma a darmi la serata libera, non voglio mica sprecarla!» Afferra una bottiglia di Smirnoff, sene versa un generoso bicchiere e aggiunge un goccio di succo d’arancia. «Alla tua!» esclamalevandolo e ingollandone subito metà. «Allora, com’è la vita da sposata?»

Avvampo. «E smettila! Non siamo mica sposati!»«Come se lo foste», replica lei facendomi l’occhiolino. «Oddio, mi sembra di essere all’Ikea,

però!» aggiunge guardandosi intorno.Lo prendo come un complimento e annuisco timidamente. «Sai, Case, non avrei pensato che un

giorno l’avrei detto ma... mi piace! Non potrebbe essere più perfetto di così! Adoro tornare a casa dalui la sera, svegliarmi accanto a lui il mattino e adoro tutti i nostri piccoli rituali del fine settimana.Pensa che domenica scorsa ho anche provato a fare l’arrosto!» esclamo, fiera. «L’ho bruciato, maalmeno ci ho provato!»

«Oh, cacchio!» Casey sputa nel bicchiere. «Adesso inizi a farmi paura!» Mi prende il viso e miguarda dritto negli occhi. «Cosa ne hai fatto della mia migliore amica, quella che diceva che nonsapeva cucinare e che non avrebbe mai messo su famiglia? Dov’è finita Miss Indipendenza chevoleva girare il mondo? Adesso ci manca solo che aggiunga che ti piace stare a Leigh!»

Taccio, ma l’espressione che mi si dipinge in viso è una risposta più che sufficiente.«Oh, ti prego!» sbotta lei.«Be’, cosa ci posso fare se è così?!» Mi verso un altro bicchiere di vino e siedo sul divano con

una fetta di pizza. «Non so, sarà la novità, però mi piace. Non voglio restare qui per sempre, nonappena potremo permettercelo voglio assolutamente fare il salto di qualità e trasferirci a Londra.»

«Salto di qualità, eh?» ripete, d’un tratto malinconica.«Ma cosa mi racconti di Toni?» cambio discorso, rendendomi conto di quanto siano diverse le

rispettive realtà domestiche. Povera Casey, so quanto desideri trovarsi un posticino da sola, persfuggire finalmente all’ombra della madre.

«Il solito», risponde alzando le spalle. «È sempre coi suoi uomini, quindi tocca a me occuparmidel bar. E dei ragazzi. Se non fosse per me quegli stronzetti non andrebbero nemmeno a scuola. Ioperò ho una novità: ho trovato un nuovo lavoro.»

«Davvero? E dove?»«Al Players, la nuova discoteca di Southend!» squittisce entusiasta, versandosi un altro bel

bicchiere di vodka. «Non vedo l’ora! Apre il mese prossimo e i proprietari vogliono che sia un posto

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molto esclusivo e alla moda, come i locali del West End, hai presente? Mettono due ragazzeall’ingresso, a occuparsi della lista e roba del genere. E una sono io! Apprezzano il fatto che sia diqui, che abbia esperienza nel settore e che conosca il giro e un sacchissimo di gente. L’ho già detto,che non vedo l’ora? Moll, ma ti rendi conto che il mio lavoro sarà andare in discoteca? Non è troppoforte?»

Levo il bicchiere per brindare e bevo un sorso. È così felice che non me la sento di rovinarle lafesta facendole notare che lavorare in un ambiente del genere non è esattamente il massimo per lei.

«Allora, perché adesso non ti vesti e non andiamo a dare un’occhiata alla concorrenza?Chiamiamola pure ’ricerca di mercato’!»

«Perché, cosa c’è che non va adesso?» domando indicando l’abito nero lungo fino alle caviglie egli stivali che ho indossato oggi per andare al lavoro.

«Siamo oneste: ma cosa c’è che va? Hai ventidue anni e sei vestita da suora!»«Guarda che Freya, la nostra esperta di moda, dice che questo è il look del momento! Il lungo è il

nuovo corto, non lo sapevi?»«Ma Freya l’esperta di moda non vive nell’Essex, giusto? E dai! Fai vedere quelle belle gambe

che ti ritrovi, mettiti un paio di tacchi e andiamo a folleggiare! Dai che ce la spassiamo, propriocome ai bei vecchi tempi. Te li ricordi? Quand’eri ancora una persona divertente...»

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Il bacio agrodolce

I creativi ripetono sempre che sono le critiche a imprimersi nella memoria, mentre le lodi sono presto dimenticate. E ioaggiungo che, nei periodi di dolore, le cose brutte ci si appiccicano addosso più di quelle belle. Proprio come allora nonriuscivo a scrollarmi di dosso quell’orrendo primo bacio con Ryan, oggi non mi riesce di liberarmi dei brutti ricordi. Ed è cosìschifosamente frustrante. Per quanto mi sforzi, riesco a pensare solo a tutte le discussioni che ho iniziato, alle volte che l’horimproverato senza motivo o che gli ho imposto uno dei miei granitici silenzi per punirlo di qualcosa. È tutto qui, inciso nelmio cervello. Mi comporto come un’adolescente masochista: so che dovrei smettere, ma non voglio. Ogni ricordo dolorosoè una scarica di piacere, come se mi meritassi tutto questo perché lui, Ryan, non l’ho mai meritato.

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◀◀ REW 23/11/98

Le note di Bitter Sweet Symphony dei Verve si diffondono nel bar e io le accolgo con un gridolino,versandomi lo Snakebite4 sulle Converse.

«Non sapete quanto la amo, questa canzone!» farfuglio abbracciando Casey e Mia. «Case, graziedi essere venuta! Il mio diciannovesimo compleanno non sarebbe stato lo stesso senza di te!» Alzo lamacchina fotografica e ci scatto un primo piano dall’alto, perché so che è una prospettiva piùfavorevole. Soprattutto quando si è ubriachi come noi.

Poi chiudo gli occhi, alzo le braccia e inizio a saltare, anche se non è facile staccarsi dalpavimento reso appiccicoso dalla birra. Riapro gli occhi. Sono circondata da studenti coi capellilunghi, vestiti di scuro e con abiti larghi e pieni di tasche e le borse sotto gli occhi. Sono nel mioelemento, qui. Per la prima volta mi sento accettata. Sono le mie amiche a... spiccare. Casey con laminigonna nera di PVC e la maglietta rosa pallido, Mia – la mia nuova amica, conosciuta la sera incui sono arrivata al college – con la camicetta di sartoria bianca, pantaloni neri leggermente a zampae stivali rossi a punta Karen Millen. Avremmo potuto essere più diverse?

Saluto Mia con la mano e lei risponde levando il bicchiere di vino bianco e scrollando ilcaschetto biondo ispirato alla Posh Spice.

«Cin cin!» esclama ridendo.«Ehi, Mi!» rispondo, barcollando un po’ in avanti.«Che schianto!»«Che cosa?» bercia Casey, ma la ignoriamo.«A chi ti riferisci?» grido.Mia posa il bicchiere, si avvicina, ci guardiamo negli occhi ed entrambe esclamiamo: «A me! Io

sono uno schianto!» E scoppiamo in una risata.Non appena ho incontrato Mia, sei settimane fa, ho subito capito che saremmo andate d’accordo.

Era in piedi al bancone del bar, intenta a leggere Vogue con un bicchiere di gin tonic. Mi sonoavvicinata, ho ordinato un vodka e cola e mi sono voltata verso di lei, ma, prima che riuscissi adaprire bocca, lei ha agitato la mano davanti al viso e ha detto: «Che schianto!»

«Scusa, a chi ti riferisci?» ho risposto, educata, senza sapere come proseguire la conversazione.Stavo ancora allenando le «capacità sociali».

Allora lei mi ha folgorato con uno dei mega sorrisoni alla Mia e ha detto: «A me! Io sono unoschianto!» E siamo scoppiate entrambe in una sonora risata. In un modo o nell’altro, avevamo rotto ilghiaccio.

Sei settimane dopo è diventata la nostra battuta in codice, cui abbiamo aggiunto una sorta diballetto con le braccia.

Casey ci fissa interdetta, alza le spalle e se ne va. Finito di renderci ridicole, Mia torna ariprendersi il bicchiere.

«Ehi, ma dove è sparito!» esclama, poi si guarda intorno e all’altro capo del locale vede Caseyappiccicata al ragazzo con cui prima stava flirtando lei, con pure in mano il suo bicchiere di vino

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come fosse un trofeo. «Quella ragazza ha dei problemi, sappilo», mi dice scura, e se ne torna albancone.

Mia non è fredda e rigida come potrebbe sembrare. Starci insieme è divertente, solo non bisognasottovalutarla. È figlia unica come me, i genitori sono due avvocati di successo e lei è stata cresciutada una serie di tate. I genitori li sente solo una volta al mese, ma non sembra pesarle. A casa ha unfidanzato storico, ma da quand’è arrivata qui si è accorta che non le interessa più.

«Sono troppo giovane per legarmi a un uomo... tranne che al suo letto», mi ha confidato unadomenica mattina, alla fine della settimana delle matricole, mentre ce ne stavamo in camera mia aguardare Ruth che si faceva Kurt Benson in Hollyoaks.5 «Da adesso in poi intendo farmi gli uominicosì come mi faccio gli alcolici...»

«Mmm... corti e veloci?» A Mia piacciono i chupiti. È quella che sta al bancone a farsi uno shotdi tequila dietro l’altro e che a fine serata è ancora in piedi.

Mi ha sorriso. «No, riprova.»«Con un cubetto di ghiaccio?»«No, mia cara. Forti e l’uno dietro l’altro», ha risposto con un sorrisetto malizioso, mettendosi poi

a sedere. «Anzi sai che ti dico? Adesso lo chiamo e gli dico che tra noi è finita.»«Ma sei sicura?» ho insistito tirandomi la vecchia maglietta degli Smiths sulle gambe incrociate.

«Siete insieme da tre anni e lui è anche stato il primo.»«Certo che sono sicura», ha confermato guardandomi con occhioni innocenti. «Lo sapevo già che

non sarebbe stato per sempre.» E, così dicendo, ha preso il suo Nokia 6160, si è seduta sui talloni eha inferto il colpo di grazia alla sua prima e finora unica relazione importante.

Quasi non riuscivo a crederci, sebbene comprendessi il suo distacco emotivo. Non che abbiaancora avuto un rapporto serio – non sono ancora stata la ragazza di nessuno, per intenderci –, ma perme è stato lo stesso col tizio con cui ho perso la verginità a sedici anni. Un atto voluto e premeditatoda parte mia, nonché una delle più grandi fesserie che abbia mai fatto.

E non mi sono ancora decisa a riprovarci. Non che le occasioni mi siano mancate durante lasettimana delle matricole, anzi, è solo che, dopo una prima volta così avventata, ho deciso cheadesso potrei... come dire? Conservarla per qualcuno che mi piace veramente, ecco.

Cerco di fermare Mia, intenzionata a prendere Casey per i capelli pur di staccarla dal ragazzo concui sta pomiciando, e mi accorgo che qualcuno mi sta fissando. È un sosia di Richard Ashcroft, alto,magro come un chiodo e coi capelli rossi, appoggiato alla parete dall’altra parte del locale, con lasigaretta che pende da un lato della bocca e le braccia abbandonate lungo i fianchi e che quasi gliarrivano alle ginocchia. Ha gli occhi di un azzurro brillante e le labbra ben definite, seppure un po’troppo sottili per i miei gusti. Mi fa un cenno con la mano. Cioè, o è così oppure si sta aprendo unvarco nella cortina di capelli unti e con la riga in mezzo che si ritrova. Poi riabbassa il capo e icapelli gli ricadono davanti agli occhi. Spronata dall’alcol e con tutta la nuova sicurezza dei mieidiciannove anni – sono o non sono una studentessa universitaria, adesso? –, do una gomitatina a Miae le dico: «Stai a vedere», barcollando poi verso di lui. Ancheggio, sollevo un po’ il vestitino usatodi satin in modo da mostrare i buchi nei collant e tiro le maniche del pullover di mohair fin quandonon scivola giù da una spalla.

Scambiamo appena qualche parola. Giusto il tempo di dirci come ci chiamiamo (lui è Marcus), dadove veniamo (non posso rivelargli che sono dell’Essex, perciò mento e dico di venire da Londra,mentre lui è del Buckinghamshire), i risultati degli esami di ammissione (io: tre A; sì, lo so, alla

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faccia della ribelle, eh? Lui: tre B) e il corso (io: Fotografia, lui: Belle arti). Poi lui piega il colloper raggiungermi il viso, faccenda un po’ complicata vista la differenza di altezza, tanto che sembraun pellicano che si tuffa per pescare un pesce, e mi bacia.

Che strana sensazione. Strana perché, in quei cinque minuti trascorsi da quando l’ho visto aquando abbiamo finito di parlare, mi è piaciuto davvero tanto. È proprio il mio tipo, perlomenosecondo la lista che ho stilato prima di venire all’università: Cosa cerco in un ragazzo

• intelligente• figo• non dell’Essex (ESSENZIALE)• belle labbra• occhi azzurri• emotivamente maturo• con un minimo di cultura Eppure questo bacio è deludente. No, non perché non sia bello, ma è che d’un tratto mi ritrovo apensare a Ryan Cooper e mi sento come perseguitata dal ricordo di quel bacio al Grand. Un baciotremendo e umiliante, eppure non riesco a non desiderare che ci sia lui al posto di Marcus. E la cosami dà molto, molto fastidio. Anche perché non ci penso da settimane. Va bene, da giorni. Tranne cheper prima, quand’eravamo al bancone a ordinare da bere e Casey ha accennato di averlo incontratocon la sua combriccola di discepoli. Per dirla tutta, l’ha accennato perché casualmente sono andatain argomento...

«Ma bene», ha commentato scrutando il locale in cerca di una possibile preda. «Ancora a pensarea Ryan Cooper nonostante tutta questa bella carne fresca?»

«Be’, sì, cioè, no!» ho risposto sulla difensiva.«Quindi non t’interessa sapere che ha chiesto di te quando l’altra sera l’ho beccato al Tots.»«Davvero?» Per poco non rovesciavo il mio sidro.«Ma era solo una scusa per attaccare bottone con me, ovviamente!» ha controbattuto con una risata

maliziosa, facendomi l’occhiolino. «Insomma, chi è che può resistere al fascino di Casey Georgiou!»Ed è vero. Come la protagonista delle commedie anni ’80 che ci piacevano tanto, Casey è

diventata davvero bellissima. L’estate scorsa i chili di troppo sono spariti e i geni greci si sonofinalmente svegliati. A parte Mia, qui all’università siamo tutte pallide, annoiate e vestite di nero dacapo a piedi, e Casey risalta come un raggio di sole. Se Mia e io siamo uno schianto, lei è una bombasexy.

Secondo Casey, non riesco a levarmi Ryan Cooper dalla testa, nemmeno quando bacio qualcunaltro. Ho proprio bisogno di un po’ di «movimento» per buttarlo fuori a calci, una volta per tutte.

«Vieni», bisbiglio a Marcus prendendolo per mano. «Andiamocene di qui», e lui mi segue senzafare storie. In camera, vorrei tanto poter dire di aver sentito gli angeli cantare in coro e le campane suonare a

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festa ma, mentre me ne sto qui distesa accanto a Marcus, penso di aver scoperto a mie spese che glipseudoartisti snob non sono per forza bravi a letto. Tanti sguardi languidi e poca sostanza. Per nondire pochissima. Guardo l’orologio e... cavolo, ben otto minuti? Mi erano parsi meno. Però, calma, ineffetti il grido che ha tirato a un certo punto sembrava non finire mai.

Guardo John Lennon raggomitolato addosso a Yoko Ono che mi fissa sottosopra dalla parete e poilancio un’occhiata a Marcus. Anche lui mi sta addosso, pallido, ossuto; il respiro rallenta e si faregolare, e lui si addormenta con la bocca aperta, come un piccolo corista. Rimango stesa, rigidacome un’asse di legno, e mi dico che magari ho appena incontrato il John della mia Yoko e non me nesono resa conto. Forse dovrei dargli un’altra occasione? Passione a parte, per il resto esaudisce tuttii requisiti della lista. E poi quest’ultimo periodo è stato molto duro per lui. I genitori si sono separatidurante gli esami (ed ecco spiegate le B, ha sostenuto) e hanno addirittura dovuto vendere lo chalet aChamonix per pagare le spese del divorzio.

Oh, ma per favore, chi voglio prendere in giro?Alzo di nuovo lo sguardo, ma non a Yoko e John, bensì alla locandina di Prima dell’alba, solo

che al posto di Ethan Hawke vedo quel maledetto di Ryan Cooper. E ripenso al nostro primo – eultimo – bacio.

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Il bacio perduto

«Un bacio rifiutato è un attimo d’amore perduto per sempre.» (Molly Carter, oggi) Immaginate di poter contare tutti i baci sprecati, gettati via. Come quando avete porto la guancia al posto delle labbra, vi sietegirati dall’altra parte nel letto dopo un litigio, siete scappati via senza nemmeno un addio. Come se non bastasse, quandonon si sta più insieme sono proprio questi i baci che non si dimenticano mai. Ma tutti questi baci mancati dove se ne vanno?Io me li immagino come tante croci nella sabbia, un camposanto di baci disseminato di tesori sepolti. Alcuni rubati, altriperduti o lasciati sfuggire, taluni gettati via alla leggera o con indifferenza, tutti in attesa di essere trovati.

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FF ▶▶ 04/04/03

Getto la borsa sulla scrivania, mi tolgo la giacca di pelle nera e allento la sciarpa con le frange, poiaccendo il computer. Il vasto ufficio, solitamente incasinatissimo, è così vuoto e tranquillo da farquasi paura. E, senza persone vestite alla moda, musica e chiacchiericcio a riempirlo, mi rendo contodi quanto sia grigio, lugubre e così... ufficio, ecco.

Siedo alla scrivania e, nonostante tutto, mi godo il silenzio. Mamma mia, quanto mi manca!Ultimamente mi sono anche dimenticata che esistesse perché, andata e ritorno in treno a parte, nonsono mai da sola. E, no, stare pigiata in un vagone straripante non conta come «tempo per me stessa».La quiete di oggi è perciò un lusso che intendo gustare. Da Viva nessuno arriva mai al lavoro primadelle nove e mezzo, il che significa che ho ancora un’ora di beata solitudine prima che l’auto venga aprendermi per portarmi in uno studio di Kentish Town. Oggi ho un’importantissima seduta fotograficaper l’immagine di copertina – la mia prima grossa sfida creativa da quando sono diventata photoeditor, nove mesi fa – e sono voluta venire in ufficio in largo anticipo per assicurarmi di esseredavvero pronta. D’un tratto la me adolescente decide di sgridarmi.

Ma guardati, Molly Carter. Ma quando sei diventata così noiosa? Che fine ha fattol’anticonformista a tutti i costi? Sembriamo la mamma!

Non è vero! Non sembro la mamma! Mi guardo allo specchio.Molly, un foulard! Ma ti rendi conto?Guarda che è di seta e firmato! È un campionario!E sai che differenza! Tra un po’ te lo metterai in testa.Sono travolta da un’improvvisa vampata di calore e lo tolgo. Prendo il latte macchiato appena

comprato da Pret A Manger e lo sorseggio mentre aspetto che il computer si decida ad avviarsi,sperando che la caffeina entri in circolo velocemente.

Caffèèè? Molly, noi odiamo il caffè! Sa di rancido, l’abbiamo sempre detto!Lo poso e mi strofino gli occhi. La levataccia di stamattina è stata più dura del solito, ma negli

ultimi tempi sta diventando la regola. Ho lasciato Ryan a russare saporitamente e, quando mi sonoavvicinata per baciarlo sulla bocca, lui si è girato dall’altra parte e ha bofonchiato qualcosa cheimmagino fosse un saluto, riaddormentandosi all’istante. Non so come faccia, ma quasi non si muovenemmeno quando esco. Sei mesi fa facevamo colazione, o perlomeno bevevamo una tazza di tèinsieme prima che uscissi, e di sicuro non ci facevamo mancare un bacio (abbiamo giurato che non cisarebbe più stato né un buongiorno né una buonanotte senza baci). Però l’aumento della mole dilavoro per lui e le levatacce per me ci hanno portato ad accantonare in fretta l’abitudine. Mi mancanoquei baci, senza mi sento un po’ persa. È come se un’ombra indugiasse sulla mia mattinata,impedendomi di carburare. È strano pensare che un’unica persona abbia il potere di decidere dellanostra felicità. Ma è senz’altro Ryan l’arbitro del nostro amore: solo lui riesce sempre arasserenarmi anche quando l’umore sfiora la linea di fondo. Sa farmi sentire una vincente quando lafiducia in me stessa è finita al tappeto. Mi solleva oltre la rete quando mi sento giù. Mi...

Molly, adesso ti dai alle metafore sportive? Noi odiamo lo sport! Non riusciamo nemmeno a

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prendere una palla ferma! Per non parlare del fatto che non abbiamo mai toccato una racchettada tennis in vita nostra!

Il computer fa i capricci e mi tocca pure resistere all’impulso di chiamare Ryan. A quest’ora saràgià in sella alla bicicletta, diretto a scuola. Talvolta penso che non comprenda quant’è dura la vitadel pendolare. In confronto per lui è così semplice. È pur vero che ogni sera, di ritorno a casa, adaspettarmi trovo la tavola apparecchiata e un’ottima cena pronta, quindi – come Casey non smette diripetere – non ho poi molto di cui lamentarmi. Ryan è davvero l’uomo perfetto. Be’, forse dopotuttoun piccolo difetto ce l’ha: russa. E lo zapping compulsivo. Sono pronta a giurare che ieri seraabbiamo seguito perlomeno quattro programmi in contemporanea. E i calzini: li dissemina ovunque.

Ma adesso basta pensare a lui, guardo l’ordine del giorno in bella vista sulla scrivania e prendoun bel respiro profondo per placare i nervi. Quella che sto per affrontare sarà la giornata piùstressante in assoluto da quando sono arrivata in redazione. Il primo progetto davvero importante daquando Christie mi ha promosso photo editor. Oggi fotografiamo otto stelle emergenti per lacopertina pieghevole del numero speciale di agosto che intitoleremo Giovani promesse. Abbiamoselezionato i nomi più importanti tra i nuovi volti femminili di musica, cinema e televisione e io hotrascorso l’ultimo mese a rincorrere agenti e uffici stampa per riuscire a riunirle tutte nello stessostudio fotografico. E chiunque abbia mai avuto a che fare con una celebrità sa che non è cosa dapoco. Ma, se devo essere sincera, per quanto possa sembrare favoloso, per me è la parte menointeressante del mio lavoro. Preferisco di gran lunga immortalare donne vere che hanno raggiuntorisultati importanti o superato delle avversità. Sono loro gli esempi cui dovrebbero ispirarsi le nuovegenerazioni, non una manica di stelline senz’arte né parte. Non trovo le parole per spiegarel’ammirazione che ho provato lavorando con donne che hanno fondato un’impresa, superato gravimalattie, aiutato gli altri o dato voce a cause importanti. Donne che hanno meriti veri, concreti. E mipiace pensare di essere brava nel metterle a proprio agio davanti all’obiettivo. Mi piace vederecome si rilassano, come abbassano la guardia e dimenticano le insicurezze per offrirsi a me e alfotografo. Non nego che vorrei essere io a scattare, ma almeno sto imparando. Quando sono sul setosservo i professionisti all’opera e assorbo tutto quello che posso come una spugna, e lo stessoaccade con tutte le altre mansioni. Talvolta è dura restare a un passo dal mio sogno senza poterloafferrare, ma so bene di essere fortunata a poter approfittare di tanta esperienza.

Comunque sia, è per oggi che spesso, nelle ultime settimane, sono venuta in ufficio all’alba e misono trattenuta sino a tardi, a rincorrere i cambiamenti di set, a mettere una pezza alle defezionicercando di trovare un nuovo buco in agenda, il miglior fotografo in circolazione, e poi le riunionicon Seb, il direttore artistico, e Christie per studiare e affinare il progetto. Un lavoraccio immane, mane è valsa la pena. Così perlomeno mi ripeto quando lo stress supera i livelli di guardia. So che Sebnon era molto convinto di avermi al timone. È un tipo davvero esigente e uno dei maggiori esperti nelsuo campo, ma anche silenzioso e meditabondo. Immagino che mi consideri una novellina un po’sopravvalutata e dovrò rimboccarmi le maniche per guadagnare la sua approvazione. Credocomunque di aver dimostrato che alla mancanza di esperienza sopperisco con creatività e dedizione.E poi abbiamo trovato un primo punto d’incontro nell’odio comune per la musica che mettono inufficio (a entrambi piacciono Jeff Buckley e i Radiohead) e mi racconta delle mostre cui è stato direcente. Forse mi sono fatta un’idea sbagliata di lui. Non è un rompipalle che se la tira, solo un po’meno... espansivo della media in questo ambiente.

Apro Outlook per controllare che non ci siano avvisi di defezione dell’ultimo minuto, anche se è

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difficile usare la tastiera con le dita incrociate! Fiuuuu... una sola e-mail. E non potrebbe farmi piùpiacere! Molly!!!

Ma come stai??? Coma va da Viva? E Ryan come sta? E Casey? Quanto mi mancate... ma nonabbastanza da tornare! Ci crederesti che a settembre fanno due anni che vivo qui? Sapessi quantosi sta bene nell’assolata Sydney, è come vivere in vacanza. Siccome so che ti piacciono tanto leliste, ho pensato di fartene una che ti aiuti a capire che DEVI venire a trovarmi presto! La terrà dei canguri è meglio della noiosa vecchia Inghilterra perché:Il clima è sempre caldo (e gli uomini bollenti)Le onde sono enormi (e anche gli uomini...)Le spiagge sono meravigliose (e anche gli uomini)Le discoteche sono pazzesche (e anche gli uomini)La cultura è... oh, ’fanculo la cultura, Molly, qui gli uomini sono INCREDIBILI!E qui ci si abbronza per davvero, col sole vero, non alle Lampados come fate voi nell’Essex! Ah, ah, ah! Mia sa bene che non ho mai fatto una lampada in vita mia. Rileggo la lista e poi guardoquelle ammucchiate sulla scrivania e mi prende lo sconforto. Una è del lavoro, l’altra personale.Prendo quest’ultima, la rileggo e, penna alla mano, ne scribacchio un’altra. Cose da fare

Andare in tintoriaChiamare genitoriRegalo di compleanno per Jackie (qualcosa di rosa?)Spesa (latte, tè, pesce)Bolletta gas (sgridare Ryan, doveva pagarla lui)Tassa comunaleTassa circolazione autoAbbonamento ferroviario mensileLavare divisa da calcio RyanPRENOTARE VACANZA – AUSTRALIA? Fisso l’ultima riga e provo una fitta di odio per quel punto interrogativo. Non so come mai il progettodi una bella vacanza insieme sia stato accantonato per l’ennesima volta. L’altra sera Ryan accennavaall’idea di andare dai suoi in Portogallo quest’anno. Comincio a pensare che non gli interessi più.

Con un sospiro, mi concentro sulla lista delle cose da organizzare per oggi. E la trovo altrettantodeprimente. Soprattutto se rileggo la lista di Mia. E, come se non bastasse, la me adolescente hadeciso di tornare alla carica.

Ma quand’è che la nostra vita è diventata così noiosa, eh? Se penso a che progetti avevamo!

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Si chiama «crescere», la rimbecco. Succede a tutti. Torno a sedere e continuo a leggere l’e-maildi Mia, nella speranza che mi risollevi un po’ il morale mentre aspetto il taxi, anche se sotto sotto sogià che non sarà così. La rivista va alla grande. Dopo due anni il lavoro mi piace ancora un sacco, e la direttrice èfantastica. E pensa che adesso è anche incinta! Il che significa che sono candidata per prendere ilsuo posto! Omioddio Moll, ma ci pensi? Io? Direttrice? E a soli 24 anni!!!

Perché, perché, PERCHÉ non hai ancora prenotato il biglietto? Voglio portarti a FOLLEGGIARE,cara la mia signora! DAI VIENI IN AUSTRALIA! (Scusa! Giuro che è l’ultima volta che lo ripeto!) Te laricordi la nostra «lista della vita»? Comunque, adesso devo proprio andare. Ho del lavoro dafinire prima delle 17, che è l’ora in cui qui si esce per andare a bere in spiaggia!

Ti voglio bene, mi manchi un casino (prenota quel biglietto ADESSO!)Baci baciMia

Fisso l’ultimo paragrafo per qualche minuto, assorta nel rammentare la lista che avevamo scritto unasera, ubriache perse, all’ultimo anno di università. Lista della vita di Molly

Girare l’Australia – con Mia!!!!Vivere a New YorkDiventare fotografaFare una mostra tutta mia – e di successo!Comprare un appartamentoRestare single fin quando non avrò realizzato tutti i miei progetti Lista della vita di Mia

Girare il mondo (Australia? Con Molly!!!!)Dirigere una rivista prima dei trent’anniComprare un appartamentoRestare single... per sempre! Hai visto? Lei di cose della lista ne ha già spuntate. Sta sfruttando appieno i suoi vent’anni. E tu?Bloccata a Leigh, nel posto in cui avevi giurato che non avresti mai più rimesso piede. Ma che ti èsuccesso, Molly?

La vita, ecco cosa! L’amore. Non è colpa mia se con Ryan ci siamo innamorati prima del giro diboa dei venticinque anni. Neanche stessimo facendo del male a qualcuno solo perché conviviamo esiamo felici. Sì, nella vita sono stata solo con tre uomini, e allora? Quante altre tacche sulla spondadel letto dovrei avere?

Santi numi, ma perché mi viene da pensarci proprio adesso? Scuoto la testa e chiudo la posta

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elettronica senza rispondere. Vediamo un po’ che ore sono: il taxi arriva tra cinque minuti. Aprosubito Google e digito Voli Australia . Così, tanto per dare un’occhiata, farmi un’idea dei prezzi,delle varie possibilità.

Il cuore prende a battere all’impazzata mentre inizio ad annotare in fretta e furia date, orari e costidei voli. Stasera ne voglio parlare con Ryan. O magari potrei anche seguire l’istinto e prenotaresubito! Il telefono sulla scrivania si mette a suonare.

Sospiro. «Pronto? Il taxi è arrivato? Va bene, grazie, scendo subito.»Afferro la borsa e scappo via, lasciando il computer acceso come un faro.

«Oggi sarà una giornatina coi fiocchi», mi accoglie Seb con un ghigno stampato in viso mentre cercodi aprire le porte dello studio, carica di valigie e borse come un somaro. «Spero per te che tu siapronta, novellina.»

«Pronta quanto te, espertone», replico. «Pensi di aiutarmi con le borse o cosa?»«O cosa. Scusami, cara, ma sono troppo importante per abbassarmi a portare i bagagli.»

Sprofonda nello schienale del divano di pelle e poggia le Adidas sul tavolino da caffè, per poitornare a leggere Esquire.

«Ma come, con tutte le ragazze che vanno e vengono pensavo che ormai fossi un esperto dibagagli», azzardo. Col tempo ho imparato che il modo migliore per comunicare con Seb èpunzecchiarlo, perché è l’unico linguaggio che comprende.

«Cara, gli unici ’bagagli’ con cui ho a che fare sono la collezione lusso supremo di LouisVuitton», replica, riferendosi, immagino, più al suo gusto in fatto di donne che di valigie.

«Ovvero eccessive e costose?» Trascino le borse nel camerino.Mi sorride con l’aria di chi la sa lunga, scoprendo i denti bianchi e fissandomi con uno strano

scintillio negli occhi grigi; somiglia a una volpe che ha appena avvistato la preda. «Ovvero davantiai miei occhi...»

Mi volto di scatto, col cuore a mille e con le guance paonazze. «Sarà meglio tornare al lavoro,oggi abbiamo un sacco di cose da fare.»

«Parole sante, mia cara, parole sante...» commenta stendendo un braccio sullo schienale deldivano e con un sorriso fin troppo sicuro di sé. «Allora, Moll, come sono venute?» domanda Seb mentre sistema le luci per la prossima celebritàinsieme con James, il fotografo.

Io sono davanti al computer, a visionare gli ultimi scatti di James. «Mi sembrano ottimi, peròsecondo me dobbiamo dare un tocco più metropolitano.» Rimugino per un istante. «Invece dellosfondo bianco potremmo usare il muro di mattoni. O perché non...» Farfuglio un po’ mentre l’idea mifa capolino nella mente. «O perché non andiamo fuori sul terrazzino?» Corro ad aprire l’uscitaantincendio. «Abbiamo un fantastico panorama su Londra, sembra quasi di essere al MeatpackingDistrict di New York. Potremmo fare una cosa tipo gli scatti di David Bailey con Jean Shrimpton perVogue. Avete presente?»

Seb si volta piano e mi squadra da capo a piedi, per poi fissare gli occhi nei miei. «È un’ideastupenda. Bella e intelligente, eh?»

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Mio malgrado, non posso non provare un pizzico di soddisfazione, nonostante il commentosessista.

«Complimenti, novellina, hai passato l’esame.»Fingo di lanciare il tocco in aria, entusiasta per tante lodi. Quando riabbasso lo sguardo, Seb mi

sta ancora fissando. Poi lui e James spostano l’attrezzatura. È incredibile come abbia capito al volocosa intendevo, ed è straordinario trovare qualcuno che sia sulla stessa lunghezza, soprattutto se quelqualcuno è una persona di talento ed esperienza come lui. Mi «convalida», mi fa sentire sicura e colpieno controllo della situazione.

La me quindicenne sarebbe orgogliosa. Ritrarre celebrità per la rivista femminile numero uno èemozionante, molto glamour!

Celebrità? Glamour? Non è che stiamo cambiando il mondo, eh? sibila.Ma è quasi come essere a New York!Ma non lo siamo, questo è l’East End.Però sembra New York!E le fotografie non le scattiamo noi.Però sono io a dirigere i lavori, non è meglio?No, per niente.Basta, ci rinuncio. E comunque la me quindicenne non mi è mai piaciuta. Per forza i miei mi

consideravano una spina nel fianco! Si sono ormai fatte le sette di sera. Seb, James, Lauren – la truccatrice –, Freya e io siamo tuttisprofondati sul divano a bere Prosecco e festeggiare la giornata.

«Ce l’abbiamo fatta!» esclama Freya, esausta, posando il capo sulla spalla di Lauren. «Detto,fatto. Otto celebrità in un giorno solo. Direi che abbiamo battuto tutti i record, no?»

«Non penso che Vanity Fair sarebbe d’accordo!» scherzo, mandando poi giù un lungo, meritatosorso di Prosecco. Chiudo gli occhi e gusto la sensazione di sentire l’alcol entrare in circolo.Mamma mia, mi ci voleva proprio. Dopotutto sono settimane che vivo coi nervi a fior di pelle. Ryan:devo chiamare Ryan. Voglio condividere questo successo con lui. Mi allontano e vado in corridoioper telefonare.

Niente, c’è la segreteria. Ma tanto io so dov’è, e compongo subito il numero di casa Cooper.«Pronto?» esordisce una voce molto simile a quella di Ryan.«Ciao, Carl!» saluto allegra. «Sono Molly, per caso tuo fratello è lì?»«Ryly!» esclama. Ci ha dato questo soprannome quando, una sera al pub, ha deciso che noi due

siamo i Bennifer – Ben (Affleck) e Jennifer (Lopez) – di Leigh-on-Sea.«Per favore, lo sai che rispondo solo se mi chiami ’Molly from the Block’», lo rimbecco con un

sorriso sornione. Mi piace scherzare con Carl, è come il fratello che non ho mai avuto.«E brava! Comunque, sì, Ryan è qui, lo sto stracciando a Subbuteo.»«L’unico modo che hai per batterlo a calcio!» Carl ha dovuto accettare ormai anni fa che il

fratellino è molto più dotato di lui per lo sport, e per fortuna il suo ego non ne ha risentito.«Molly, sei veramente crudele! Va bene, allora ti passo la parte peggiore di te. Ciao ciao!»Le porte dello studio si aprono e io mi sposto. È Seb che mi porta il mio bicchiere di Prosecco.«Ciao, piccola, come va?» domanda Ryan.

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Seb mi porge il bicchiere e mi gironzola intorno per qualche minuto. Provo a placare il cuore chemi martella in petto. È senz’altro per via dell’adrenalina della giornata.

Sì, come no. O forse è che gli vorresti strappare i pantaloni. Mi siedo per terra, bevo un sorso di vino e mi appoggio il bicchiere sul ginocchio, senza maismettere di fissarlo. Non devo guardare Seb. Non devo guardare Seb.

A Molly piace Seb, a Moll...Mando mentalmente a quel paese la me adolescente.«Tutto bene, le foto sono andate alla perfezione!» sbotto a voce un po’ troppo alta e con tono un

po’ troppo entusiasta.Seb mi sfiora la caviglia col piede, levo lo sguardo e mi sorride mostrando i pollici all’insù. È

appoggiato alla porta e non fa nulla per nascondere che sta deliberatamente ascoltando la telefonata,benché sia personale. Dio, quant’è sexy la sua arroganza.

«Ah, già che era oggi!» A giudicare dal suo tono di voce, deve aver segnato un goal mentreparlava con me. A quanto pare quello stupido gioco da tavolo è più importante di me e del miolavoro.

«Già, era oggi», rispondo, roteando gli occhi verso Seb.«Fidanzato?» sussurra, e io annuisco. Allora finge di avere una palla al piede e io rido e mi

allungo per dargli una pacca. Nel ritrarla, mi accorgo che la mano mi trema leggermente.«Molly?» fa Ryan. Deve avermi fatto una domanda. «Ho chiesto com’è andata. Ti ha ripagato di

tutte queste settimane di super lavoro?»«Secondo me sarà la copertina migliore di tutti i tempi!» esclamo soffocando una risatina mentre

Seb finge di fare canestro e incrocia le mani sopra il capo in segno di vittoria.«Fantastico, sono proprio contento!» Ryan sta ancora giocando. «Quindi adesso prendi il treno per

tornare?»«No, abbiamo appena finito. Ci fermiamo tutti per un brindisi e poi torno.»«Oh, che peccato. Stasera volevo stare un po’ con te. Sono settimane che quasi non ti vedo

nemmeno.»«Lo so, hai ragione, scusami», rispondo, anche se in realtà penso che trascorriamo comunque più

tempo insieme di qualsiasi coppia conosca. Stendo le gambe e le incrocio, battendo soprappensierola punta dei miei stivali marroni scamosciati. Alzo gli occhi al cielo, e Seb mi risponde inarcando unsopracciglio, per poi tornare dentro trascinandosi dietro la palla al piede immaginaria. Appoggio ilcapo contro la parete e guardo verso lo studio, dove tutti ridono e si divertono. Seb tiene le bracciaconserte e muove il capo al ritmo della canzone degli White Stripes. Mi piace un sacco questa band.

«Ry, senti, adesso devo andare», taglio corto guardando l’orologio. «Dobbiamo... ehm...dobbiamo ancora finire di raccogliere l’attrezzatura.» Non è vero, ma ho voglia di divertirmianch’io. «Forse faccio tardi... Anzi, guarda, mi sa che sto fuori a cena...» D’un tratto ho voglia diprendermi una bella sbronza, come non mi capita da mesi e mesi.

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Il bacio del compromesso

Da ragazzina la parola «compromesso» proprio non mi andava a genio. I miei genitori l’avevano spesso in bocca e, perquanto potessi giudicare, significava accontentarsi della seconda scelta, non avere il fegato d’inseguire ciò che sidesiderava realmente. Adesso invece ho imparato che il compromesso è ciò che lega le persone. Il compromesso condivide e concilia, èaffettuoso e gentile e altruista. Spalanca le braccia a un’altra persona e compie un passo a metà tra ciò che lui vuole e idesideri e i sogni di qualcun altro.

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FF ▶▶ 15/09/03

«Eccoci finalmente nella nostra nuova casa!» esclamo entrando nell’appartamento che abbiamocomprato, e poi guardo fuori dalla finestra: «Ciao, Hackney, mio bel quartiere!»

Mi volto per rivolgere un largo sorriso a Ryan che, con l’aiuto del padre e del fratello, sta giustovarcando la soglia – la nostra soglia – con gli ultimi scatoloni. Di Jackie nessuna traccia, staràsenz’altro curiosando in giro. Cerco in tutti i modi di non agitarmi, ma invano. È il nostroappartamento e questa volta voglio che Ryan e io ce ne occupiamo a modo nostro. Ci sono anchemamma e papà, visibilmente a disagio come sempre. Mamma è aggrappata alla borsetta, gioca colfoulard di seta che ha al collo e si guarda in giro, facendo del suo meglio per reprimereun’espressione di disapprovazione. Le sono grata per questo, tanto che quasi vorrei addiritturaabbracciarla, ma mi trattengo. Papà ostenta un sorriso assente e so bene che, sebbene il suo corpo èqui con noi, la sua mente è altrove, forse a visitare la mostra che c’è alla Tate Britain. Osservo lafamiglia Cooper guardarsi intorno con ampi sorrisi raffazzonati, come disegnati da un bambino con lamatita, mentre per la prima volta sono io quella col biglietto per Disneyland. Sprizzo eccitazione efelicità da tutti i pori. Questo è quello che desideravo.

«È davvero... Ehm...» attacca Carl, ma poi tace.Dave raccoglie il testimone. «È molto... Sì, davvero...» È chiaro che si sta sforzando – e senza

nessun successo – di trovare un commento positivo.Sento Jackie rovistare in cucina, quindi eccola apparire in soggiorno con la sua bella tuta rosa, a

fiutare in giro per la stanza come un barboncino che annusa una cuccia particolarmente sgradita.«Miei cari, ma non potete vivere qui!» esclama, guardandosi bene dal soppesare le parole. «Sullepareti ci sono macchie di umidità e i pavimenti sono zozzi, le stanze sono piccoline piccoline e, ilbagno, l’avete visto? Niente doccia! Il mio bambino non può vivere così! Dovete tornare a casaadesso, subito! Non posso dormire sapendo di avervi lasciato qui, giusto, Patricia?»

La mamma s’irrigidisce e mi guarda aggrappandosi al foulard. «Be’, Jackie, sono sicura cheMolly e Ryan saranno capaci di renderlo molto accogliente», risponde tesa.

Jackie scuote il capo e giocherella col pendente a forma di cuore, attirando l’attenzione suldécolleté abbronzato, forse con qualche ruga ma ancora sodo. «Continuo a non capire perché non ciavete consentito di aiutarvi, così vi sareste potuti permettere qualcosa di meglio!» esclama,supplicando con lo sguardo il marito di sostenerla.

«Jacks...» interviene Dave con tono ammonitore, cogliendo la mia espressione adirata.Anche Ryan se n’è accorto, solo per questo mi affretto a trasformarla in un sorriso. Non voglio

turbarlo, ma talvolta sua madre varca il confine tra interesse e invadenza. Per fortuna lui decided’intervenire, una reazione tanto insolita quanto apprezzata. «Perché vogliamo farcela da soli,mamma», spiega paziente, posando lo scatolone e avvicinandosi per prendermi la mano. «In questidue anni ci avete aiutato tanto – fin troppo – permettendoci di vivere nella dépendance senza pagarel’affitto. Questo è il meglio che ci siamo potuti permettere, ma tanto non è mica per sempre. Di sicuronon intendiamo far crescere qui i nostri figli, anche se per il concepimento potrebbe bastare!»

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Scoppia in una sonora risata, che subito gli muore in gola notando la mia espressione smarrita. «Èvero, c’è qualcosina che non va, ma abbiamo da parte abbastanza soldi per agguistare tutto. Guardache non è poi così male come pensi...»

«E poi vedrai che sarà molto meglio quando ci avranno sistemato tutte le loro cose», aggiungeDave stringendole affettuosamente il braccio.

«Certo, sempre se ci staranno!» esclama Jackie tirando su col naso e guardandosi intornosprezzante mentre si tormenta la collana. Non so come abbia fatto a non accorgermene prima, maquesta donna è snob quanto mia madre, con la differenza che perlomeno la mamma non fa nulla pernasconderlo. Jackie invece si pone come una «amica del popolo». Certo, fin tanto che il popoloappartiene alla nuova borghesia e ha soldi da spendere.

«Be’, è vero, forse dovremo rinunciare a qualcosa», intervengo. E ovviamente penso all’orrendalampada a fenicottero. Molly, trattieniti, non esultare! «Ma davvero non pensi che sia fantastico chesiamo riusciti a comprare un bellissimo appartamentino al pianterreno, con tanto di giardino, in unabella via di un quartiere in piena riqualificazione? Kirstie e Phil6 ne sarebbero fieri!» Faccio unapausa e la guardo con aria supplichevole. «Ryan e io speravamo che pure Jackie e Dave lo sarebberostati...» Non posso credere di essere ricorsa a questo mezzuccio, ma non mi ha lasciato scelta: aJackie piace tanto che ci si riferisca a lei in terza persona...

Dave scoppia a ridere e ci abbraccia entrambi. «Ma noi siamo fieri di voi. Certo che lo siamo.Siamo solo tristi perché ve ne andate.» Si volta e ci rivolge uno di quei sorrisi disarmanti che haereditato anche Ryan. «Penso che tua madre sperasse che non te ne saresti mai andato via di casa, Ry.E anch’io, devo ammetterlo.»

Scruto il viso di Ryan in cerca di segni di cedimento; seppure si sia sforzato di nasconderlo, io sobene quanto era spaventato all’idea di lasciare il nido. In sua difesa, però, c’è da dire che haaccettato subito la mia proposta di trasferirsi a Londra. Mi torna in mente la discussione che hointavolato quando mi ha detto di non voler andare in Australia. Gli ho detto che ero stufa, che Leigh ei suoi genitori mi stavano soffocando e che sarei esplosa presto se non avessimo preso un qualsiasiprovvedimento drastico. Nel ripensarci ora, paiono parole fin troppo dure, ma mi sentivo delusa etradita. Ero convinta che condividesse i miei stessi desideri per il futuro e, invece, se fosse stato perlui non si sarebbe mai mosso da quella dépendance e avrebbe trascorso ogni santo venerdì nellostesso pub con le stesse persone, fino alla fine dei suoi giorni. Per non parlare della partitella delsabato... lo stavo salvando da se stesso. Quest’altra vita, quella che per me era giusta per noi, ci siaddiceva molto di più.

«Papà, ormai ho ventisei anni», risponde abbracciandomi. «Molly e io dobbiamo andare per lanostra strada.» Mi rivolge un debole sorriso. Ha l’aria esausta, ma quest’anno proprio non abbiamoavuto modo di andare in vacanza, presi come siamo stati tra la ricerca dell’appartamento, di un altroimpiego per lui, e poi il rogito e il trasloco.

Un giorno gli ho detto che, sì, aveva ragione, la risposta ai nostri problemi non era andare inAustralia, bensì trasferirci a Londra, e lui si è subito detto d’accordo con me. Abbiamo convenutoche, sebbene Leigh fosse facilmente raggiungibile da Hackney, per il nostro rapporto sarebbe statomeglio vivere e lavorare nella stessa città e, con l’esperienza in un istituto come Thorpe Hall, trovareun nuovo posto da insegnante non sarebbe stato difficile per lui.

«Quei ragazzi mi mancheranno un sacco, e anche trovarmi con gli amici nel fine settimana e ipranzi domenicali coi miei...» ha ammesso, mogio, per poi aggiungere con un largo sorriso: «Però

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alla fine potrò trascorrere più tempo con te e quindi ne varrà la pena».«Guarda che niente c’impedisce di tornare ogni tanto nel fine settimana!» ho risposto io un po’

esitante, con la volontà di offrirgli un compromesso, una sorta di risarcimento per il fatto distrapparlo al nido materno.

A quelle parole si è illuminato e mi ha guardato con quell’espressione allegra e vivace che hafatto sciogliere migliaia di cuori prima del mio. L’ho abbracciato stretto, ringraziando la mia buonastella per questo compagno meraviglioso, sempre pronto a sostenermi. E obbligandomi a contenerel’euforia per l’imminente trasferimento in città. Era ora! «Prenderemo il meglio delle due realtà! Epoi comprare a Londra è un investimento per il futuro! Ormai è tempo che la smettiamo di contare suituoi per tutto.»

«Hai ragione. Io voglio solo che tu sia felice e, se questo significa trasferirci a Londra, allora cosìsia. È il compromesso perfetto!»

«Ti amo», ho sussurrato allora offrendogli le labbra, su cui lui ha posato il più tenero dei baci.Ed è quanto fa ora, mentre i miei genitori, Jackie, Dave e Carl escono dall’edificio. I Cooper

ciacolano come uno stormo di oche starnazzanti mentre si dirigono verso la Mercedes bianca, chespicca come un pugno in un occhio nella grigia stradina dimessa di Hackney.

«Allora eccoci qui, piccola», dice Ryan, guardando sconsolato fuori dalla finestra mentre la suafamiglia parte sgommando con un colpo di clacson e con la radio a tutto volume.

Io invece sorrido, chiudo gli occhi e assaporo avida il silenzio. È come se ne fossi digiuna dasecoli. Poi mi guardo intorno e già vedo il soggiorno prendere forma con una parete a effetto scuro,grandi stampe fotografiche qua e là, colori più vivaci rispetto alla dépendance, più Molly, più Mollye Ryan ovunque. Mi stringo a lui, gli getto le braccia al collo e Ryan mi solleva tenendomi per la vitamentre lo bacio languidamente.

«Vedrai che qui saremo felici, lo so», dico.Ma nei suoi occhi vedo nascere e maturare il dubbio. Conosco Ryan. Ogni difetto, ogni lentiggine

e ogni neo. Percepisco ogni sua emozione, con ogni parola, occhiata, respiro, bacio. So che non èsicuro. Non di me, ma di vivere qui. So che lo preoccupa il nuovo impiego in una scuola privatanell’East End. È la sfida più importante che abbia mai dovuto affrontare. Ma io so che trasferirci lofarà maturare, e farà maturare anche noi.

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Il bacio adulto

Per poco tempo in radio è passata una canzone degli Ataris, un gruppo statunitense, in cui si dice che crescere sia megliodi essere adulti. La me adolescente ne discuterebbe senz’altro fin troppo animatamente, eppure io per prima mi sonosorpresa a riflettere su quanto, perlomeno in questo momento, non potrei essere più d’accordo di così: essere adulti faschifo.

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FF ▶▶ 13/11/03

«Ciao, tesoro, sono a casa!» grido richiudendomi la porta alle spalle e togliendomi giacca di pelle efoulard. Raggiungo Ryan nel cucinotto. Mmm, che profumino di curry thailandese!

Cerco di non pensare alla première del terzo capitolo del Signore degli anelli e all’after-party cuiero stata invitata, e cui io non andrò: giovedì è la nostra serata, sacra e intoccabile. Da lunedì amercoledì Ryan si divide tra gli allenamenti vari e la sorveglianza durante le ore di punizione neldoposcuola, il venerdì se ne torna a Leigh per vedere gli amici e il sabato invece ha le partite. Fatutto parte dei termini dell’accordo per il trasloco. In teoria anch’io sarei dovuta tornare a Leigh ognifine settimana, ma nella realtà capita di tanto in tanto, e principalmente per uscire con Casey, anchese alla fine noi due ci divertiamo molto di più qui a Londra e perciò, quando non è di turno alPlayers, lei viene a dormire qui e usciamo coi miei colleghi che, per inciso, la adorano. Tuttiadorano Casey.

«Ma da quando sei diventata un animale sociale?» ha scherzato Ryan giusto la settimana scorsa,quando l’ho avvisato che non sarei andata con lui perché uscivo coi colleghi.

«Da quando ho iniziato a mettere in pratica le tue regole! Primo: la famiglia viene prima di tutto.»«Esatto», ha confermato con un sorriso d’approvazione.«Secondo: il divertimento ha sempre la precedenza sui soldi perché chi se ne importa del conto in

banca...»«... quando si è in punto di morte!»«Terzo: la compagnia degli amici è un bene prezioso. Bisogna sfruttare ogni occasione, anche

quando non se ne ha voglia.»«Basta che ti ricordi che la persona da frequentare più di tutte sono io!» ha aggiunto ridacchiando.Io gli ho sorriso perché so che non scherza. È strano, ma è come se avesse voluto a tutti i costi che

io diventassi più socievole e, adesso che lo sono, non è certo di come prenderla. Per questo hosentito il bisogno di rammentargli perché è importante, non solo per me ma anche per la mia carriera.

«Quarto: conoscere gente e creare rapporti è il modo migliore per andare avanti nella vita.»«Ma non sempre il modo migliore per essere felici», ha aggiunto serio. «Vedi prima regola: la

famiglia prima di tutto.»A quel punto ho corrugato la fronte infastidita. Lo so che avrebbe preferito che tornassi a Leigh

con lui, ma i miei amici sono tutti qui a Londra e le uscite del venerdì sera sono un’ottima occasioneper dimostrare loro che non sono la solita noiosa Charlotte... sì, proprio quella di Sex and the City.Un soprannome che mi hanno affibbiato dopo che ho rifiutato un aperitivo di troppo. E, per quanto misforzi di ripetere loro che non potrei essere più agli antipodi di Charlotte e che mi è solo capitatod’incontrare qualcuno che mi ha fatto cambiare idea, proprio non mi riesce di farla cambiare a loro.Non senza provare che posso divertirmi e portare avanti una relazione stabile, ed è proprio in questoche mi sto impegnando.

Devo però ammettere che è dura, soprattutto perché io sono l’unica «accoppiata» di tutto l’ufficio.Seb è un seduttore seriale, Freya cambia più ragazzi che abiti, persino Christie, la direttrice, è single.

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E lei i trenta li ha già superati da un po’. Ai loro occhi sono una creatura esotica con uno stile di vitabizzarro, praticamente un alieno.

A essere sincera, talvolta lo penso anch’io. O perlomeno lo pensa la me quindicenne che ancoranon riesce a credere che questa sia davvero la mia vita. Ha l’abitudine di sbucare fuori quando sonoal lavoro, in genere mentre sono occupata a risolvere problemi di budget o di personale. E ogni voltasento il bisogno di spiegarle che i sogni di ragazzina non sempre coincidono con quelli di adulta.

Rieccola che fa capolino e mi guarda torva e un po’ schifata mentre siedo in attesa della cena. Mache bella vita comoda e tranquilla conduciamo. Ma perché cavolo non siamo andate alla primadel film? Sarebbe stata una figata assurda! Che razza di borghese dei miei stivali avrebbepreferito... questo?!

Talvolta non mi lascia in pace nemmeno quando sono fuori con Ryan. Ci punta addosso l’obiettivodi una macchina fotografica, poi inclina la testa di lato e ci fissa incredula, nemmeno fossimo lacoppia più stramba che sia mai esistita. Lui? Ma sei sicura? domanda senza parlare, poi alza gliocchi al cielo e indica le donne che si voltano a guardarlo mentre passeggiamo, e io sono travoltadall’ennesima ondata di paranoia. Lo so che lo fa apposta, perché dopotutto è la me adolescente ecinica che non credeva di essere all’altezza di uno come Ryan Cooper. Be’, io non lo penso più. Soche è me che vuole. Ed è lui che voglio io.

Il vapore aleggia e svolazza per la stanza come nuvole nel cielo azzurro. Agito il braccio percercare di dissolvere l’uno e l’altra con un colpo solo. La me adolescente cede, ma non senzaun’ultima espressione sprezzante per il quadretto familiare.

«Che profumino!» esclamo cingendolo per la vita e tuffando il naso nella sua felpa blu scuroDuffer of St George, riempiendomi i polmoni del suo profumo e cercando di scacciare la sensazionedi slealtà che provo quando la Molly adolescente è con noi.

Mi sollevo in punta di piedi per dare una sbirciatina alla pentola da cui proviene la fragranzaspeziata che mi fa venire l’acquolina in bocca.

«Non mi sentivo molto bene, allora ho deciso di preparare il mio famoso brodo thailandese»,spiega bevendo un sorso di birra da una bottiglietta.

«Tuo o di Jamie Oliver?» lo prendo in giro ghignando. «E non ti senti bene o sei un uomomalato?» So per esperienza quanto divenga insopportabile quando ha l’influenza.

Ryan si volta e mi dà un pizzicotto sulla pancia per poi baciarmi sulla fronte. «Ma quantacompassione per il poveraccio che ha sgobbato mezz’ora per preparare la cena!»

«Allora è davvero un menu da trenta minuti di Jamie!»«Va bene, va bene, lo ammetto. Però ho aggiunto un tocco alla Ryan Cooper! Capesante, tofu e il

mio ingrediente segreto e cremoso...»Inarco un sopracciglio.«Tu assaggialo e basta!» Mi porge il mestolo con un sorriso speranzoso. La pelle intorno agli

occhi si raggrinzisce come rafia. Stiamo invecchiando, eh?Mi decido ad aprire la bocca e assaggio, sforzandomi di essere sexy. «Mmm!» esclamo mentre il

brodo profumato mi scende lungo la gola e fin nello stomaco, riscaldandomi e stuzzicando undesiderio incontenibile. Non smetterò mai di stupirmi che continui ad accadere anche dopo due annidi convivenza con la stessa persona. Rimetto il mestolo nella pentola e gli getto le braccia al collo.

«Che ne diresti di saziare il mio appetito prima di cena?» sussurro posandogli una mano sulcavallo e un bacio sulle labbra.

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Ryan contraccambia il bacio ma, quando mi struscio contro di lui, mi allontana subito.«Dai, Moll, adesso mangiamo. Non voglio che il mio specialissimo brodo thailandese vada

sprecato!»«Ah... va bene, mamma», lo schernisco, cercando di non innervosirmi al pensiero che abbia

preferito la minestra al sesso.Ryan si volta e prende una bottiglia di vino già aperta dal frigorifero, mentre io acchiappo un

calice da vino dai ripiani di legno e un paio di ciotole e di bacchette dal cassetto, iniziando adapparecchiare sulla consolle in cucina.

«Perché invece non mangiamo in soggiorno?» propone. «Pensavo di sedere sui cuscini intorno altavolino e fingere di essere al ristorante giapponese...»

«... a mangiare thailandese?!?» rido. «Ma che insegnante sei?»«Hai capito benissimo cosa volevo dire», ribatte. Non sopporta che gli faccia degli appunti. Avrà

anche un fisico atletico, ma talvolta avrebbe bisogno di una pellaccia un po’ più spessa.«Ma dai che scherzavo!»«Be’, non farlo.»Levo le mani in segno di resa. «Va bene, va bene, chiedo perdono. Non lo farò mai più.»Allora Ryan mi rivolge un sorriso di scuse. «Mi dispiace, è che sono talmente stanco... questo

nuovo lavoro mi sta prosciugando. I ragazzi... be’, diciamo che non è facile averci a che fare. No, nonè giusto, non è così per tutti... Diciamo che sono diversi, ecco. Però non me la sarei comunque dovutaprendere con te.» Si avvicina e mi posa un bacio delicato sulle labbra, mettendosi poi a riempire leciotole.

Mi appoggio ai mobili e lo osservo muoversi per la cucina con la facilità con cui corre per ilcampo da calcio. È un cuoco nato, sicuro di sé e di quello che fa in ogni momento, e guardandolo miripeto quanto sono fortunata ad averlo. Ad avere tutto questo. Ci siamo trasferiti da due mesi appenae tuttavia qui mi sento più a casa di quanto sia mai successo nella dépendance in due anni. Sulcaminetto in stile vittoriano – e funzionante! – del soggiorno fa bella mostra di sé la fotografia deiciottoli, l’ho messa lì così gli ricorda la sua città. Sulla parete opposta, sopra lo spazioso divano, hoappeso un ritratto di noi due sulla spiaggia di Southend. Le raffiche di vento erano fortissime e io hoil viso coperto dai capelli. Quante risate ci siamo fatti quel giorno. E poi, accanto al televisore,l’immancabile fenicottero. Non che non ci abbia provato a farlo sparire, ma quel maledetto affaretrova sempre il modo di tornare indietro, come un boomerang.

Roseo pugno in un occhio a parte, l’arredamento ci rispecchia al cento per cento ed è per questoche adoro la nostra casa. Anche Ryan pare aver adattato il suo stile di vita, ed era decisamente ora!A ventisei anni, viveva – e si vestiva – ancora come un diciassettenne. La convivenza qui lo ha resopiù indipendente, più interessante e più adulto, cosa che lo rende sexy come non mai. Impossibileperò non notare quanto sia anche più stressato, la nuova scuola è diversa da Thorpe Hall e so che losfinisce.

Siedo sul cuscino che ha posato sul pavimento per me e annuso il brodo. «Oggi è stato un infernoe...»

«Sì, anche per me», m’interrompe, con lo sguardo fisso alla scodella mentre ne rigira il contenutolentamente, con metodo. «C’è uno studente in particolare che mi preoccupa molto...»

Do un’occhiata al divano, ingombro di libri e fogli: prima di mettersi a cucinare stava senz’altrocorreggendo i compiti. Pur non dovendo più fare la pendolare, rincaso comunque molto dopo di lui.

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«Ti va di parlarmene?» offro, esitante. Temo la risposta e già so che mi aspetta una serata diappassionati discorsi sull’insegnamento, anziché di sesso appassionato.

Ryan attacca a descrivermi la sua giornata, io bevo un lungo sorso di vino e lo ascolto parlaredegli studenti come fossero figli suoi. Allora è così che si sentono i genitori?

Alle dieci, stanchi, irritabili e con la nostra serata ridotta ormai a un fiasco clamoroso, decidiamodi andare a letto. Mi stendo con la maglia del pigiama nuovo a righe bianche e azzurre sbottonata easpetto che Ryan esca dal bagno, perché magari siamo ancora in tempo per «rimetterci incarreggiata». Alzo appena la testa dal cuscino mentre lo osservo entrare con indosso solo un paio diboxer bianchi Calvin Klein e, di nuovo, provo un fremito di desiderio. Gli sorrido, ma per tuttarisposta lui si volta, infila un paio di pantaloni della tuta e prende una pila di fogli – i compiti inclasse – che si era preparato sul comodino senza che me ne accorgessi. Mi siede accanto, mi lanciaun’occhiata divertita e, canticchiando Walking in the air di Aled Jones, si mette a correggere.

Guardo il pigiama che tanto lo diverte, poi prendo una rivista con cui assesto una pacca a Ryanprima di riabbottonare la maglia con un grosso sospiro. Cerco di concentrarmi nella lettura, mainvano. Il mio corpo sarà anche qui, nel letto, però la testa è per metà impegnata a fare sesso, mentrel’altra metà è fuori, a divertirsi all’after-party insieme coi colleghi. Santi numi, ho ventiquattro anni,dovrei spassarmela tutte le sere! «’Notte, Ry.»

Ci scambiamo bacetto frettoloso, come di tanto in tanto ho visto fare ai miei genitori. Ryan torna adare voti.

A noi due, io do un bel 6−. Avresti potuto fare di meglio. Devi impegnarti di più.

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«Allora noi iniziamo dalla camera degli ospiti!»«Va bene, grazie, Bob!» rispondo stringendo forte la rivista che ho in mano. Tiro su col naso e asciugo una lacrima. Ma

chi poteva immaginare che uno scatolone di vecchie riviste mi avrebbe commosso? Quella che ho in mano è il numero diViva del dicembre 2004. Le lacrime, inutile negarlo, sono dovute soprattutto alla bellissima modella che mi sorride radiosadalla copertina e indossa un abito di lustrini corto e molto aderente con un cappellino da festa. È talmente lontana da me edalla mia vita – anni luce! – che potrebbe essere mia figlia. Quand’è che sono invecchiata? E perché cavolo non indossavoabiti del genere quando ancora il fisico me lo permetteva? Ma quello che più m’irrita è che rammento fin troppo bene leinsistenze di Freya per farmi indossare proprio quel vestitino tutto lustrini nel magazzino della rivista, dov’erano stipati tutti gliabiti e gli accessori che usavamo. Mi ero rifiutata categoricamente di togliere le Converse e avevo anche giurato di sentirmiridicola, però la verità è che io stessa ero sorpresa di quanto mi donasse. Come vorrei avere una fotografia a riprova!Oggigiorno col cavolo che scopro le ginocchia.

M’infilo in bocca un altro biscotto (sì, ho intenzione di finire tutto il pacchetto) e continuo a sfogliare. Ma sono davverotrascorsi sette anni? Pagina dopo pagina, mi stupisco di rammentare ancora l’ordine di pubblicazione dei vari articoli eservizi. È davvero incredibile il modo in cui il passato ci resta attaccato addosso senza che ce ne accorgiamo. Posso capireche ci si ricordi di eventi cruciali come matrimoni, fidanzamenti, feste di compleanno e vacanze, ma qui si tratta di un mesedi lavoro di sette anni fa. Eppure lo rammento come fosse ieri. Gli scatti, la fatica e gli sforzi, le discussioni sulla scelta dellamodella da mettere in copertina, la musica che ascoltavamo in ufficio, la complicità che si era creata tra noi colleghi...

Getto via la rivista come se avesse preso fuoco non appena mi torna in mente il Natale cui è collegata. Prendo subito unaltro numero. Ottobre 2000. Ah, così andiamo meglio. Il primo numero cui ho collaborato quando ho iniziato lo stage. Erofresca fresca di laurea, giovane, affamata di esperienze e pronta a conquistare il mondo.

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Il bacio del mai e poi mai

Quando hai vent’anni, le riviste vogliono farti credere di dover passare il tempo a spuntare cose da un’ipotetica «Lista di cosafare prima dei 30 anni». E se ce ne fosse anche una di «Cose da non fare prima dei 30 anni»? La mia sarebbe semplicissima, di una riga sola: Non smettere di baciare Ryan Cooper Ed è strano perché invece in quella della me ventenne ci sarebbe stato scritto: Non baciare Ryan Cooper mai più Oh, e ovviamente anche: Mai mettere un ragazzo prima della tua migliore amica

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◀◀ REW 10/06/00

«Evviva! Dio mio, non ci credo, sei qui! Sei qui per davvero! Com’è andato il viaggio? A che oraavevi il treno? Cos’hai fatto? Sono la prima persona che incontri? Dove...»

«Ehi! Mi fai entrare prima di farmi il terzo grado o vuoi restare sulla porta finché non prendo laterza laurea in tuttologia?» interrompo Casey entrando in casa sua, familiare come la mia.

«Be’, tu almeno una laurea la prendi, io nemmeno quella! Allora, che mi racconti? Ragazzi di cuidovrei sapere o che dovrei conoscere? Lo vedi ancora quel Marcus o c’è già qualcun altro?Raccontami tutti i dettagli zozzi, anzi soprattutto i dettagli zozzi! E non tralasciare niente! Trannepredicozzi e ramanzine, di quelli ne sento già abbastanza al locale!»

Rido, ormai travolta dall’uragano Casey che adesso mi avviluppa in un abbraccio e mi stringeforte. Poi mi prende la valigia e mi trascina dentro. «Ah, e poi dimmi il giorno esatto in cuidiventerai una fotografa super famosa, perché devo segnarmelo nell’agenda e programmare il girodel mondo con te! Dio mio, Moll, abbiamo un sacchissimo di cose da raccontarci! Non sai quanto misei mancata, non ci vediamo dal tuo compleanno! Quanto ci siamo divertite, eh? Anche se a quellaMia non piaccio proprio, forse è gelosa perché sono la tua migliore amica!»

Un’uscita infantile che mi fa esitare.«L’hai più visto quel tipo che mi sono fatta, quello che piaceva a lei?» ridacchia. «Stava al

bancone, carino, irlandese. Com’è che si chiamava? Michael? Mickey? Mark? Va be’. Studiava unaroba strana. Belle qualcosa... ah, sì, Belle Arti. Un pisello grosso così. Sì, sì, giuro. Ma adessolasciamo perdere, voglio che mi racconti tutto di te!» E si lascia cadere sul divano tutto macchiato,non prima di aver spostato i piatti sporchi di giorni e vestiti da ragazzo... e da uomo. A quanto pareToni si è trovata un altro compagno.

Mi guardo intorno. Casey condivide ancora lo spazio vitale con la madre, i due fratelli, che ormaidevono avere undici e tredici anni, svariati animali a quattro zampe (topolini, gerbilli, criceti: se nesente la puzza) e animali a due zampe che la madre frequenta ciclicamente (e si sente la puzza anchedi quelli). Vivono in una casetta con tre camere da letto nel quartiere periferico di Belfairs e ovunquepare sia avvenuta un’esplosione nucleare: giocattoli, consolle per videogiochi, DVD, CD, libri,vestiti e chi più ne ha più ne metta, sparsi ovunque. Mia madre darebbe di matto, e devo ammettereche io stessa mi obbligo a non organizzare, sistemare e lavare tanto quanto vorrei. È una battagliainteriore costante. Mia madre ha infatti trascorso i primi dodici anni della mia vita a inculcarmi lasua natura ordinata e io ho trascorso gli ultimi otto cercando di estirparla. Sono certa che aventicinque anni sarò riuscita a trovare un equilibrio. Tutto è iniziato quando ho deciso che non avreimai più raccolto i capelli in quelle maledette trecce, nemmeno per un solo altro giorno. Nulla potràcancellare il ricordo vivido di quando ho giurato che sarei stata solo me stessa, perché è stato ilmattino dopo aver sentito un litigio dei miei. Era sera tardi, io ero ancora sveglia a studiare per uncompito in classe che volevo superare a pieni voti e li ho uditi discutere in soggiorno. Dicevano cherestare insieme era stato un grosso errore «tranne che per Molly». Parlavano di lasciarsi e io allorami sono seduta sulle scale e, sentendo le grida acute di mia madre che filtravano dal piano di sotto,

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ho incrociato le dita sperando che uno dei due mettesse fine alle nostre sofferenze e si decidesse adire: «Meglio divorziare».

Una reazione forse poco normale per una dodicenne? Forse, però per me il divorzio eraun’occasione per somigliare di più alle altre compagne di scuola, nonché una scusa per alimentare larabbia adolescenziale. Il divorzio dei genitori fa guadagnare compassione, attenzioni e amici. Cosìavrei potuto scrollarmi di dosso almeno in parte l’etichetta di paria sociale. Sì, sarei stata figlia di unmatrimonio andato a rotoli, ma tanto anche adesso faceva acqua da tutte le parti. Poi si sono zittiti ela mamma ha detto qualcosa del tipo: «Penso che dovremmo restare insieme, per il bene di Molly... Epoi cosa penserebbero il parroco e il consiglio scolastico?» E il giorno dopo era proseguito come senulla fosse accaduto.

Per me è stato come ricevere l’illuminazione. Ho guardato le trecce, i vestiti orrendi, ho pensato aperché non avessi nemmeno un amico, alle prese in giro costanti delle Heather e alla mancanza dilibertà e d’improvviso mi sono accorta che, se i miei genitori avevano appena preso una decisionesbagliata per sé, anche con me facevano schifo su tutta la linea. Avevano deciso di restare insiemeper il bisogno disperato di essere considerati la «famigliola perfetta», a me toccavano le costrizionidei loro pii convincimenti. Ormai non li rispettavo più e volevo che se lo ficcassero bene in testa.D’ora in poi sarei stata me stessa. Il cambiamento d’immagine comprendeva litigare con loro,indossare gonne più corte per andare a scuola, impiastricciarmi con un trucco pesante e mostrare unpiglio serioso e talvolta un po’ aggressivo. Una trasformazione che mi era valsa l’interesse fugacedelle Heather, con le quali ho trascorso una manciata di settimane da dimenticare. Ben presto, infatti,mi sono resa conto che mi avevano trasformato nel loro giocattolino, qualcuno da pungolare,spingere, prendere in giro e usare per fare il «lavoro sporco» come rubare nei negozi. Mi sentivotalmente stupida e debole e mi odiavo per essermi lasciata risucchiare nella loro cricca di poverestupide. Io volevo un’amica vera, con la quale poter essere me stessa. Non appena avessi compresochi fosse, questa me stessa.

E poi era arrivata Casey Georgiou.È piombata a scuola come una ventata d’aria fresca. Casey Che-Sorciu, così l’hanno subito

soprannominata le Heather, ma ai miei occhi era bellissima perché non si vergognava del suo corpoprosperoso e pareva farsi scivolare addosso ogni stupida, crudele presa in giro. Casey pareva uncuorcontento, con le mollette più strambe che avessi mai visto e lo zainetto firmato rosa shocking.Non si curava di quello che dicevano gli altri o di chi le rideva alle spalle, era spensierata e lepiaceva divertirsi; com’era diversa da quei pupazzi vuoti con cui ero stata costretta a convivere pertanto tempo! E, soprattutto, era così diversa da me, sempre seria e introversa. Mi affascinava. Volevoconoscerla a tutti i costi, ma frequentavamo due soli corsi insieme, arte e cucito, perché per gli altriio ero nelle classi riservate agli studenti più brillanti.

Mi sorrideva spesso, ma lo faceva con tutti, quindi durante la prima settimana mi sono limitata agironzolarle intorno, sedendo per esempio a un banco vicino ma non proprio attaccato al suo.Rifiutavo di credere di meritarmi un’amica tutta mia e, al contempo, sapevo che lei era la personamigliore che potesse capitarmi. Durante le lezioni ridacchiava e chiacchierava sempre e poi nonsmetteva mai di sorridere; di amici doveva averne a bizzeffe. Al contrario di me, insomma. E poi èsuccesso. Un pomeriggio passeggiavo per il cortile della scuola con la macchina fotograficaappiccicata al naso come sempre per fingermi occupata – e non dare a intendere che, invece, ero solacome al solito – quando ho sentito un gran trambusto. Una rissa! Le Heather avevano circondato

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qualcuno e lo stavano riempiendo di pugni. Riuscivo a vederne gli sguardi cattivi e sempre piùtrionfanti a ogni colpo, mentre non capivo chi fosse la loro vittima. Perlomeno fino a quando non honotato uno zaino abbandonato sul terreno. L’avrei riconosciuto tra mille. Senza nemmeno soffermarmia pensare, mi sono lanciata giù per gli scalini, con la macchina fotografica che mi rimbalzava sulpetto al ritmo dei battiti concitati del cuore e, con una forza che non sospettavo nemmeno dipossedere, mi sono lanciata nella mischia. Non dimenticherò mai in che stato era ridotta quandofinalmente l’ho raggiunta. I lunghi capelli neri erano sparsi per terra come una macchia di petrolio.Gli occhi erano nascosti dietro le mani che cercavano di proteggere il viso, ma si vedeva che avevaun labbro rotto e sanguinante. La maglietta strappata offriva allo sguardo di tutta la scuola ampi lembidi pelle e di reggiseno. Le gambe tornite erano raccolte al petto e lei giaceva così, immobile, comeun gamberetto gettato nell’immondizia. «Assassine!» ho gridato con quanto fiato avevo in gola perfarle allontanare. Era la prima parola che mi era venuta in mente, ma ha funzionato perché le Heathersono subito scappate a gambe levate, lasciandomi libera d’inginocchiarmi accanto a lei. Ho subitopreso dallo zaino un pezzo di stoffa e una bottiglietta d’acqua e le ho tamponato il labbrosussurrandole che sarebbe andato tutto bene, e lei allora ha abbassato le mani e, con fatica, si è tiratasu a sedere. Mi ha fissato per qualche istante sbattendo le palpebre, poi ha accennato un sorrisodolente.

«Mi hai salvato la vita!» ha gridato abbracciandomi.Eppure, mentre la aiutavo a rimettersi in piedi, mostrando il pugno a chiunque osasse avvicinarsi,

ho sentito che era stata lei a salvare la mia.Da quel momento siamo diventate inseparabili. Ci aspettavamo a vicenda dopo le lezioni,

trascorrevamo ogni intervallo insieme e ho persino lasciato che i voti peggiorassero in un paio dimaterie pur di stare nella sua stessa classe. Avevo comunque in mente di farlo, per dispetto a miamadre, ma così almeno avevo una ragione ben più valida. Io la aiutavo coi compiti e lei mi aiutava arilassarmi ed essere me stessa. Per la prima volta in vita mia qualcuno mi apprezzava per com’ero.Una vera rivelazione. «Molly!» Casey indica il posticino accanto a sé sul divano. «Ma sei uno schianto!»

Indosso una maglietta aderente nera e una gonna di jeans lunga con – sì, proprio quelle – leConverse. Lo stile di base è immutato, perlopiù nero e perlopiù lungo, però ultimamente mi piacemettere in risalto anche le forme, ecco.

«E guarda che bei capelli! Stai benissimo! Sono cresciuti e sei quasi tornata del tuo castanonaturale! Se ti facessi fare qualche colpo di sole saresti pronta per un perfetto taglio alla Rachel!»

Faccio una smorfia, perché non è esattamente il mio ideale di look.«Certo, ti manca il naso greco come il mio!» Incolla la fronte alla mia e insieme ci voltiamo per

guardarci nello specchio all’ingresso; non riesco a trattenere una sonora risata. «Visto?! Che tidicevo!» prosegue. «Pensa! Potremo vedere un sacco di puntate di Friends durante le vacanze! È inassoluto il mio programma preferito! E poi devo assolutamente vedere Tutti pazzi per Mary! AdoroCameron Diaz! Vorrei essere come lei, tu no? Pensa che mi fa venire addirittura voglia di tagliarmi icapelli! E magari anche di farmi bionda, che dici?»

«Case, tu sei bellissima così come sei!»«Ahhhh, perché tu sei rimasta all’apparecchio, ai capelli schifosi e alla ciccia mediterranea! Ma,

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ehi!» schiocca le dita. «Adesso sono la tua Monica!»«Guarda che non sei mai stata grassa...» sottolineo. «Solo... formosa.»«Be’, grazie, Dio, per aver inventato lo step e l’aerobica! E i denti dritti! L’altro giorno per strada

ho incrociato una delle Heather, Nikki, te la ricordi? Pensa, è di nuovo incinta! Adesso chi è ilSorciu, eh? Ahahaha!»

«È da un bel po’ che non la sentivo nominare!» esclamo, riavvolgendo mentalmente i mesitrascorsi dal giorno in cui me ne sono andata da Leigh per frequentare l’università a Londra.

«Oh, mi sei mancata un sacco!» fa lei strizzandomi in un altro abbraccio. I suoi capelli sono tenutiall’indietro da una miriade di mollettine colorate a forma di bulldog che mi si conficcano nellaguancia, per questo mi allontano subito.

«Guarda che ci siamo viste poche settimane fa!»«Sì, be’, comunque troppe», replica lei mettendo il broncio. «Prima ci vedevamo tutti i giorni!»Questa volta la abbraccio io, per farle capire che anche lei mi è mancata. Per fortuna sa che non

sono tipo da grandi manifestazioni d’affetto.«Molly!» esclama Toni uscendo dalla cucina. Si ferma davanti a noi mettendosi una mano sul

fianco e masticando rumorosamente una gomma.«Ciao, Toni», saluto, educata. So bene quanto Casey se ne vergogni perché è così diversa dalle

altre mamme.«Per favore, faresti una tazza di tè per Molly?» domanda Casey mentre mi abbandono contro lo

schienale del divano.«Dovrai farlo tu, cara. Io sto uscendo. Ho un super appuntamento.»«Ancora?» commenta Casey accigliata.«Non è che ti devi arrabbiare se la tua mamma combina più di te! Cosa posso farci se gli uomini

mi trovano irresistibile. Vado a un cavolo di festa sulla Marine, a casa di quella riccona snob...Com’è che si chiama... Jackie Cooper!» Provo una stretta al petto nel sentire quel nome. «Hadecisamente un bel marito, io un colpetto glielo darei proprio!»

«Aahh!» grida Casey non appena la madre si richiude la porta alle spalle. «Moll, sei fortunata adavere due genitori come i tuoi, e guarda che dico sul serio! Ma lo sai com’è avere una mamma chepensa solo a scopare? Dio, quant’è imbarazzante! Comunque, per quanto resti?» domanda elettrizzata,allungando le gambe sopra le mie.

Mi sorride con un entusiasmo tale che quasi non vorrei darle la risposta che invece devo. «Soloun paio giorni...»

«Non è che devi tornare da quel Marcus, vero?» domanda con una smorfia. Non le è mai piaciuto.«No, non ti preoccupare. L’ho mollato. L’ho sopportato per otto mesi, direi che è abbastanza! E

pensa che è stata la mia prima vera relazione stabile.»«Perciò adesso sei single?» squittisce.Annuisco.«Avanti il prossimo?»«Immagino di sì.»«Evvai! Vedrai come ci divertiamo! Ma, scusa, se l’hai mollato allora perché non resti di più?»«Perché la settimana prossima inizio uno stage di sei settimane presso una rivista con sede a

Londra, quindi l’estate la trascorro al dormitorio.»«Una rivista?»

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«Mi conviene fare un po’ di esperienza in questo senso, e poi così potrò avere un sacco di contattinel mondo della fotografia!»

«Certo, lo capisco!» Si mette in ginocchio e batte le mani, entusiasta. «Potrei venire anch’io conte! Potrei fare, sai, come quelli che si guadagnano da vivere facendo shopping! Anzi, meglio ancora,potrei fare l’inviata alle feste.» Impugna il telecomando come fosse un microfono e attacca: «Salve,qui Casey Georgiou dal red carpet degli Oscar, dove al momento mi sto facendo Brad Pitt». E, cosìdicendo, acchiappa un cuscino e se lo preme sulle labbra fingendo un bacio appassionato.

Ho le lacrime agli occhi per le risate.«Parlando di Brad Pitt...» prosegue, rimettendo il cuscino al suo posto. «Conosco un altro tipo che

tutte vorrebbero farsi e che non vede l’ora di farsi... volevo dire, di vederti...»«E chi sarebbe?» Mi spremo le meningi: chi mai a Leigh dovrebbe volermi vedere? Andarmene

da casa mi ha fatto comprendere per quante persone covassi astio e risentimento. In pratica... tutte.«Una certa stella del calcio locale che ha una bella macchia ed è un gran figo...»«Aaah! Lui. Perché, vive ancora da queste parti?» domando con tono sprezzante.«Cavolo, Molly, tu sì che sai mettere il broncio, eh!» esclama Casey inarcando il sopracciglio

perfettamente disegnato con la matita. Ma da quando si trucca così bene?«La verità è che sono mesi che non ci penso», rispondo sulla difensiva. «Avevo un ragazzo,

ricordi?» E mi studio le unghie perché non mi legga negli occhi che sto mentendo. «E, comunque, hotutto il diritto di tenergli il muso per tutto il tempo che voglio. Mi ha umiliato.»

«Ma guarda che ti ha solo baciato.»«Da schifo.»«Non è mica un crimine, sai? Altrimenti gli adolescenti sarebbero tutti in galera da un pezzo.»«Va bene, allora riformulo: mi ha baciato da schifo per sfida e davanti a tutti!»«Ah, sì, ecco, si vede che non ci pensi proprio più, a lui.»«No, infatti», confermo con una smorfia. «È rimasta solo l’umiliazione, che mi si è radicata nel

profondo e che non dimenticherò mai. Quanto a lui, non mi ricordo nemmeno come si chiama.»«Santo Dio! Certo che sei proprio cotta, eh! Comunque, casualmente ho saputo che è libero e che

non sta passando un bel momento...»«Ah, no?» m’interesso. Casey sa come stuzzicare la mia curiosità.Annuisce e si spalma un po’ di burro cacao sulle labbra. «Non può più giocare a calcio a livello

professionale, si è fatto male durante un provino col Southend. Vive ancora dai suoi e ha dovuto fareun sacco di fisioterapia e riabilitazione. Beata fisioterapista!» Ride. «Eh, potrebbe essere un lavoroadatto a me, no?» Agita le mani. «Così potrei fare buon uso di queste dita magiche! Comunque,peccato per lui ma buon per te, vero, Moll? Niente li rende più vulnerabili di un ego ferito. Almeno,per me è stato così tutte le volte che mi è capitato lo scarto di un’altra. Se te li prendi ti sono grati avita.» Si rabbuia per un istante, ma le torna subito il sorriso. «Quando si tratta di tirare su il moraleagli uomini, io sono la santa di Leigh-on-Sea, sono Madre Qualcosa... oddio, com’è che si chiamava?Quella vecchia – o forse è morta? – sempre vestita di bianco e azzurro, con la testa coperta...»

«Madre Teresa!» suggerisco, faticando non poco a star dietro al fiume in piena dei suoi pensieri.Sono fuori allenamento.

«Brava! Ecco, io sono lei, solo più giovane e bella e con trucco e abiti migliori! Ecco, quindifammi sapere se non lo vuoi e io, santa Casey Georgiou da Leigh, gli imporrò le mie manine magichee...»

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«Ma Casey!» esclamo con una risata, sforzandomi di celare il fastidio per l’insistenza. «Ma daquando sei ossessionata da Ryan Cooper?» Mi riappoggio allo schienale e chiudo gli occhi. «Cambiamusica, grazie.»

«Va bene, va bene, consideralo fatto. E poi comunque sono sicura che nemmeno tu gliinteresseresti più adesso che hai cambiato pettinatura e che hai un futuro in una rivista e ti comporticome una londinese DOC. Ai ragazzi di Leigh piace la merce nostrana, ricordi? Non si allontananomai troppo da casa.»

Una verità che mi tocca riconoscere, e per l’occasione levo gli occhi al cielo.«Allora, che facciamo stasera?»«Che ne dici del Sun Rooms o del Club Arts a Southend?»«Per favore, no, basta con quei buchi dove mettono solo musica alternativa.»«Sempre meglio del Tots.»«Sì, se per ’meglio’ intendi ’non altrettanto divertente’.»«Tu allora cosa suggerisci?»«Io pensavo più a una passeggiata lungo il viale dei ricordi...»

«Non posso credere che tu mi abbia portato qui!»

Casey e io ci troviamo nel Green di Leigh-on-Sea, ferme a guardare verso le barche ormeggiate.Gruppi di ragazzi sono disseminati un po’ ovunque sull’erba, e in lontananza intravedo le sagomeindistinte di chi è in spiaggia o a bordo delle imbarcazioni. Gli ultimi raggi del sole inondano questaserata di giugno con una delicata luce color limone che fa sembrare di ritrovarsi in un vecchio albumdi fotografie; un album che non avevo questa gran fretta di aprire perché zeppo di tagli di capelliorrendi, vestiti tremendi e ricordi non proprio piacevoli. Stringo forte la mia Canon EOS, più chealtro per sostegno e conforto. Su questi prati si sono svolte molte delle scene più imbarazzanti di tuttala mia vita. Come per esempio i picnic obbligati coi miei genitori – con tanto di sedie a sdraio,coperta di cotone a quadrettoni rossi e frangivento al seguito – mentre tutti i coetanei fumavanosigarette con gli amici. Ed è meglio non aprire nemmeno il capitolo rifiuti, ragazzi che ci ridevano infaccia e ragazze che ci prendevano in giro inventandosi dei soprannomi. È ancora troppo presto pertornarci, i ricordi sono ancora troppo freschi sebbene abbia trascorso gli ultimi due anni a cercare dicancellarli grazie alla mia nuova vita nella City.

«Be’, siamo in estate, dove altro saremmo potute andare? O qui o sul ponte della Bembridge, no?Ti ricordi quanto ci divertivamo?» Casey mi sorride e io inarco un sopracciglio, sollevata ancorauna volta dalla sua capacità di vedere l’arcobaleno oltre il temporale.

«Sì, immagino che si possa definire così», rispondo, asciutta.Il suo sguardo cade sulla macchina fotografica che stringo tra le mani, pronta a metterla davanti al

viso ma non per scattare fotografie, bensì per nascondermi. Questo posto mi fa sentire la goffa evulnerabile me adolescente e non la donna sicura, estroversa e mondana in cui l’università ha saputotrasformarmi.

Casey mi tira per la manica. «Dai, scattamene una. Così se vuoi puoi appenderla alla parete dellefoto, insieme con quella di te con Mia! O, se proprio insisti, te la lascio usare per la copertina dellabella rivista dove farai lo stage! Come si chiama? Viva Forever?» E inizia a canticchiare la canzonedelle Spice Girls, dondolandosi intorno a un vecchio lampione in stile vittoriano e, mentre entrambe

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ridiamo a crepapelle, sporge le labbra e fa il broncio all’obiettivo, lasciandosi immortalare in unaserie di scatti col mare che brilla sullo sfondo. Poi, già stufa, torna saltellando alla borsa. «Hoportato tutto quello che ci serve!» annuncia aprendola per mostrarmi una bottiglia di sidro e quarantaMarlboro Light. «E dai, Molly, in ricordo dei bei vecchi tempi!» Allunga la mano e, con mio sommoimbarazzo, si mette a cantare una canzone che appartiene a un’altra vita. Mi guardo intorno nellasperanza che non ci sia nessuno abbastanza vicino da sentirla. Io per te ci sarò sempretu per me ci sarai sempreamiche del cuore nonostantetutta l’altra gente... «Dai, Molly, canta con me!»

«L’altra gente, l’altra ge-ente», borbotto per non urtare i suoi sentimenti ma augurandomi chesegua il mio esempio e abbassi la voce.

Ma Casey mi lancia un sorriso felice e prosegue imperterrita a squarciagola.D’un tratto mi afferra la mano e per un istante mi ritraggo, poi cedo, giro la macchina fotografica

sulla schiena e insieme corriamo giù per la collinetta ridendo come matte mentre Casey canta ilritornello e le persone si spostano per lasciarci passare. Ce ne stiamo lunghe distese sul ponte della nave, a guardare le stelle e goderci l’ebbrezza familiare eun po’ confusa del sidro.

«Ma tu riesci a crederci che abbiamo già vent’anni?» domanda Casey, meravigliata. «Anzi quasiventuno per la precisione! Adulte in piena regola. Mi sembra ieri che trascorrevamo ore qui distese achiederci se avremmo mai avuto un ragazzo...»

«... e adesso siamo qui a pensare alle stesse cose!» rido, portando la sigaretta alla bocca. Devoammettere che, nonostante i timori iniziali, sto iniziando a gustarmi la serata.

«Parla per te!» esclama Casey arrossendo. Tace, e questo davvero non è da lei.«Come come?» la fisso a bocca aperta.«No, niente, è che non è che abbiamo tutto questo bisogno degli uomini! Io ho te e tu hai me, no?

Non abbiamo bisogno di nessun altro, no?»Mi metto a sedere e la scuoto per un braccio. «Ti vedi con qualcuno?» L’espressione colpevole la

dice lunga. «E perché non me ne hai parlato? Ma lavora al bar?»Nonostante le mie insistenze, Casey non si è ancora cercata un nuovo lavoro ed è quindi rimasta

nel locale della madre. So che il motivo è il continuo flusso di ragazzi che Toni assume in cucina. Sì,sono sicura che è per questo che non se n’è ancora andata.

«No.»«E allora dove l’hai conosciuto? In discoteca? In un altro locale? Dove?»«In effetti, questa persona la conosco da un po’», m’informa guardandosi le unghie finte con una

French manicure perfetta.Io do un’occhiata alle mie, con lo smalto scuro tutto rovinato, e le nascondo. Poi spengo il

mozzicone lì vicino e le do una gomitatina. «Forza, sputa il rospo, devo pensare che non vuoi dirmi

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chi è?»«Be’, ha trentanove anni...» inizia Casey, visibilmente a disagio.«Ah, uno più vecchio, eh?» la prendo in giro, incapace però di smorzare la disapprovazione nel

tono. «Be’, non me l’aspettavo.» A ben pensarci, invece, avrei dovuto aspettarmelo eccome. Èsempre stata alla ricerca di una figura paterna, qualcuno che prendesse il posto del padre assente. «Eche lavoro fa?»

«L’idraulico.» Risponde a spizzichi e bocconi, davvero innaturale per lei.«E di dov’è?»«Di queste parti, ecco...»Mi acciglio. «Ma la gente di queste parti la conosciamo tutta... Dimmi, l’ho mai visto?»Non dice nulla, si limita a tenere lo sguardo fisso dall’altra parte.«Casey, mi dici come si chiama?» Provo a farle voltare il viso perché mi guardi negli occhi, ma

lei allora li alza al cielo.«Oh, Molly, guarda che bel cielo stellato! Guarda come brillano le stelle, sembrano diamanti!»«Casey...»«Va bene, va bene...» Sospira e mi fissa incerta. «Paul Evans.»Mi occorre qualche attimo per collegare il nome alla persona. «Come?! Paul Evans l’idraulico

sposato e padre di due bambini?»«Lui.» E poi, sulla difensiva, aggiunge: «E, sì, va bene, è sposato, ma non sono più felici da anni e

poi dice che vuole lasciare la moglie».Alzo gli occhi al cielo e prendo un’altra sigaretta.«Non farmi quella faccia!» brontola. «Sembri tua madre. E non giudicare prima di averci visto

insieme, dovresti vedere come mi guarda.»«Immagino...» La cingo col braccio. La mia dolce, bellissima, ingenua amica e tanto bisognosa

d’amore. «Però stai attenta, non voglio che resti ferita un’altra volta. Lo sai che ti scegli semprequello sbagliato.»

«Non posso farci niente se mi piacciono più grandi. Preferisco gli uomini maturi, capisci? Sai, tene avrei parlato prima... È che sapevo che non avresti approvato. Ultimamente stronchi qualsiasicosa riguardi Leigh, ancora più del solito intendo.»

«È che sono andata avanti.»«Sì, e hai lasciato indietro anche me.»Non posso credere alle mie orecchie! La abbraccio e la stringo forte. «Ma non dire sciocchezze,

Casey!» esclamo nel tentativo di rassicurarla. Come vorrei essere più portata per queste cose!«È che mi manchi tanto.»Le prendo la mano. Mi sento così in colpa per tutte le settimane che ho lasciato trascorrere senza

nemmeno una telefonata. «Ma anche tu mi manchi. E sono felice per te, guarda che dico davvero.Però tu devi ricordare che io sono la tua migliore amica e perciò, per quanto mi riguarda, nessunuomo sarà mai alla tua altezza.»

«Guarda che non ho mai detto che è ’quello giusto’. Però è Mr Meglio-di-niente, capisci? E poi hobisogno di riempire tutto il tempo libero che mi resta da quando tu sei all’università a fare lastudentessa noiosa e a studiare tutto il tempo con le tue nuove amiche così intelligenti...»

Si volta a sorridermi e capisco che sta scherzando. Non è mai stata capace di restare arrabbiata oaddirittura di portare rancore a lungo. È uno dei lati del suo carattere che adoro e una delle tante

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differenze tra noi.«E comunque non credere che sia come te lo ricordi!» insiste con aria supplichevole. «Sì, è più

grande, ma come me del resto. Come noi due. Tu non sei più la ragazza che è scappata via dal Granddopo che Ryan Cooper l’ha baciata!»

«E meno male!»Una sagoma si stacca dalle ombre della barca. «Meno male per cosa?»Casey si rialza di scatto. «Ryan! Non sapevo che saresti passato di qui stasera!»Lo guardo appena. Sono scossa ma non sorpresa nel vederlo, mi ricorda solo una volta di più il

perché sono voluta andare via. È sempre la stessa storia, le stesse persone. Cambia solo l’anno.«Ma che sorpresa!» esclama la mia amica nel peggior tentativo di finzione della storia. «E c’è

anche Alex? E gli altri? Gaz e Carl e Jake? Ah, sì, eccoli lì!» Saluta con la mano e torna a fissareRyan insistentemente. Ma che cosa starà aspettando?

Ryan mi sorride e poi si volta verso gli amici. «Ehi, Case.»«Dimmi, Ryan», fa lei con un sorriso melenso.«Se non ho capito male, Alex voleva parlarti.»Non ho nemmeno il tempo di respirare, figuriamoci di dirle di non muoversi, che è già lontana.

«Casey!» chiamo, ma senza ottenere risposta. Allora guardo Ryan. Avevo dimenticato quanto fossealto. E con le spalle larghe. Sono trascorsi un paio d’anni dall’ultima volta che l’ho visto e da allorasi è fatto più muscoloso. Ha braccia da velista, scolpite e forti, e le mette in mostra indossando unacanotta. È abbronzato e la frangiona degli anni ’90 ha lasciato il posto a un look «ingellato» allaDavid Beckham. Impossibile negarlo, è ancora un gran figo. Ma, e questo è bene che me lo ripeta, iopreferisco ragazzi col cervello più allenato dei bicipiti, che possiedono una cultura e magarisappiano parlare di arte anziché di solo calcio.

Mi sorride, impacciato. «Ma tu guarda chi abbiamo qui, Molly Carter.»Guardo altrove, sperando che sia sufficiente a mostrargli quanto mi sia indifferente.«Mi fa piacere rivederti.» Si china e mi dà un colpetto sul ginocchio. «Ne è passato di tempo,

eh?»Sposto le gambe e fingo di essere occupata a sistemare le impostazioni della macchina

fotografica. «Sì, be’, sai com’è, non è che torni spesso a Leigh, ormai vivo a Londra», specifico,seguendo il bisogno improvviso di provargli qualcosa.

«Forte», commenta con un sorriso.«Sì, infatti», taglio corto.Mi guardo intorno alla disperata ricerca di una scusa per andarmene, ma a quanto pare Ryan è di

tutt’altro avviso perché mi siede accanto e si china all’indietro poggiandosi sui gomiti, un chiarosegno che non intende muoversi troppo presto. «E cosa ci fai a Londra?» domanda, bevendo un sorsodi birra.

«Mi laureo in fotografia. Frequento il London College of Printing.» Mi sto mettendo un po’ inmostra, ma va bene così.

«London College of Printing... Vuoi farmi credere che esiste addirittura un ateneo dedicato allasola stampa?» Si mette a ridere ma io lo fisso severa. «Guarda che sto scherzando. È forte. Èun’università prestigiosa. E poi significa che sei un passo più vicino al sogno di diventare fotografa,no? Buon per te!»

«Grazie.» Sono stupita che rammenti la conversazione di qualche anno fa. Mi guardo intorno alla

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disperata ricerca di Casey e mi accorgo che siamo circondati da coppiette che si sbaciucchiano. LaBembridge è da sempre il ritrovo per i ragazzini innamorati. E questo rende l’aver rivisto Ryanun’esperienza se possibile ancora peggiore, perché risveglia i brutti ricordi. «E tu che fai?» domandoeducata ma indifferente. Niente di che, se ti trascini ancora da queste parti.

«Tra poco inizio i corsi per diventare professore», m’informa sorridendo.«Vuoi farmi credere che esiste addirittura un ateneo dedicato al solo insegnamento?» ribatto

sarcastica, e per tutta risposta Ryan scoppia in una risata. Gli rivolgo un’occhiata interrogativaperché, siamo sinceri, quelli come Ryan Cooper non diventano professori. «E com’è che ti è venutoil pallino dell’insegnamento?» rincaro, ma la sua espressione ferita mi ricorda quello che mi haappena raccontato Casey. «Ehm, volevo dire, caspita! Insegnante! Davvero... ehm, nobile da partetua.»

«Be’, vedi...» inizia a rispondere, fissandomi intensamente. «Io credo che i bambini, sì, insomma,siano il nostro futuro.» Si alza piano, con negli occhi uno scintillio sornione e, di punto in bianco,attacca a cantare Greatest Love of All di Whitney Houston, facendo bloccare i pomiciatoritutt’intorno con la lingua a mezz’aria. «I believe the children are our future! Teach them well andlet them lead the way! Sho...»

Lo ritiro giù a sedere. «Sstt! Zitto!» E gli assesto un pugno sul braccio mentre lui ride di cuore.«Vedrai adesso come ti prenderanno per il culo!» esclamo brandendo il sidro in una mano e tenendol’altra ben piantata sul ponte, pericolosamente vicino alla sua.

«Allora, che fine ha fatto il sogno di diventare una stella del calcio?» riprendo, tornando con lamente alla conversazione di tanti anni fa, seduti in un bar dopo esserci incontrati per caso. Se soloripenso che all’epoca mi era parsa la cosa più importante che mi fosse capitata... che sfigata che ero!

«Un infortunio piuttosto grave durante i provini, qualche tempo fa. Mi sono dovuto operare alginocchio. Addio cartilagine e addio sogno di sfondare.»

«Ma è tremendo!» esclamo. E allora perché non mi sembra poi così seccato? Da come me ne haparlato Casey sembrava quasi che avessero indetto persino il lutto cittadino!

«Cose che capitano», commenta scrollando le spalle. «Ma non è mica stata la fine del mondo.» Siadombra per un istante. «E comunque...» riprende, chinandosi verso di me e abbassando la voce.«Secondo me non ero poi così bravo come dicevano tutti. Anzi penso che nel mio caso la sicurezza ela fiducia in me stesso superassero il talento.»

«Se giocavi come baciavi, allora ti do ragione.»Cacchio, l’ho detto per davvero?!«Ah, ecco, visto che siamo in argomento... Sappi che mi dispiace tanto per quella sera al Grand.

Ma non è andata come pensi tu.»«Intendi penosamente da schifo?»Mi fissa e le labbra gli si allargano in un sorriso intristito. «Intendo che non era una sfida.»«E allora cos’era, una sfida doppia? Un rito d’iniziazione? Perché sappi che, in ogni caso, non

l’hai superato.» Mamma, quanto mi piace pungolarlo! È sin troppo facile.«Ahi!» esclama lui stringendosi una mano al petto. «Dritta al cuore, e all’ego! Sai che non lo so

quale mi fa più male?» Poi mi guarda e sorride sfacciato. «Vuoi forse provare con un altro bacio?»«E perché mai dovrei volerlo fare?»«Perché, se il primo è il peggiore, allora il secondo è il migliore...» ammicca.Mi guardo intorno in cerca di Casey. Ma dov’è finita? «E cos’è che fai di bello quest’estate?»

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domando impacciata.«Me ne vado in Australia per un paio di mesi!» esclama entusiasta. «Farò il marinaio di coperta

su una nave che farà il giro delle Whitsundays. Parto tra un paio di settimane e sono sicuro che saràfantastico!»

«Caspita!» esclamo, e sono colpita per davvero. «Voglio andare in Australia da sempre. Con lamia amica Mia abbiamo deciso che un giorno ci trasferiremo a Sydney. Dev’essere una cittàincredibile, con un sacco di cose da fare!»

«Già. Ho pensato di andare a divertirmi dall’altra parte del mondo così non dovrò rendere conto anessuno. Sai, quando sarò diventato il professor Cooper dovrò dare l’esempio! Inizio a studiare peril diploma di abilitazione a settembre, al rientro dalla terra dei canguri. E non vedo l’ora d’iniziareanche quest’altra avventura. Sai, insegnare non è lontano anni luce da quello che volevo fareprima...» Coglie il mio sguardo perplesso. «Be’, non si sa mai, magari insegnerò al prossimo GaryLineker, anziché diventarlo, chi può dirlo?»

Increspa le labbra carnose in uno dei suoi bei sorrisi e ci fissiamo, rammentando entrambi unmomento passato che abbiamo condiviso. Poi però cala un silenzio fresco come la brezza notturna el’atmosfera si raffredda.

«Dai, facciamo due passi», propone Ryan alzandosi e porgendomi la mano.«Ma guarda che siamo su una nave! Non possiamo andare più lontano di... così.»«Allora andiamo a guardare il panorama, vuoi?»Mi alzo anch’io e il sidro mi dà alla testa. Vacillo. «Cavolo!»«Ehi, tutto bene?» interviene subito lui cingendomi con un braccio per sostenermi.«Sì, sì, solo un giramento di testa. Ma adesso sto bene.»C’incamminiamo e mi accorgo che il braccio di Ryan è ancora... lì. M’irrigidisco. Sono alticcia,

non sbronza. Se pensa di potersene approfittare un’altra volta e di riuscire a mettermi di nuovo inimbarazzo davanti a tutti si sbaglia di grosso.

«Sai, mi è dispiaciuto tanto per quello che è successo quella sera...» sussurra, solleticandomil’orecchio col respiro caldo.

«Non dirlo a me», replico enfatica. «Mi aspettavo che potesse andare male, ma quello è stato ilpeggior primo bacio della storia!» Ridacchio. Ma che mi prende? Io non ridacchio mai in questomodo.

«Vuoi dire che è stato il tuo primo bacio?»«Già», annuisco, ma smetto subito perché movimenti troppo bruschi mi fanno venire le vertigini. È

ufficiale, sono sbronza. «Ma non te n’eri accorto?»Scuote la testa.«Be’, Cooper...» attacco pungolandolo sul petto con un dito. «Evidentemente sei stato l’unico

ragazzo in città a non notare che da ragazzina non ero la gran figa che sono adesso.»Ryan scoppia in una sonora risata.«Guarda che non è divertente! È vero. Lo so che mi hai baciato per sfida. E so pure che nel

frattempo sono sbocciata... oh, sssì...» Scrollo la chioma nuova fiammante e lo pungolo ancora.«Scommetto che adesso vorresti prenderti a calci nel sedere, eh?» aggiungo sbattendo le cigliacariche di eyeliner e mascara per sottolineare la battuta.

Ryan mi afferra il dito e mi tira la mano al petto. «Molly Carter, io non ti ho baciato per sfida»,sussurra. «Davvero pensavi che l’avessi fatto per chissà quale stupida scommessa?»

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Annuisco... e scoppio in un’altra risatina incontrollabile.Ryan resta serio. «Io ti ho baciato perché mi piacevi davvero tanto», m’informa. «Ed è venuto

fuori che era un bacio pessimo. Non credere che i ragazzi me l’abbiano fatta passare liscia.LimonoNo Cooper, mi chiamano così da allora. Che fantasia, eh?»

«A me sembra azzeccato», rispondo con un sorriso. «E comunque non provarti a usare il tuofascino su di me, Cooper. Non m’incanti.»

«Ti giuro che mi piaci... cioè, che mi piacevi.»«E allora perché ti dispiace avermi baciato?» lo incalzo incrociando le braccia e fissandolo dritto

negli occhi. «Ah! Adesso vediamo come te la cavi!» aggiungo pungolandolo di nuovo col dito.Mi sfiora delicatamente una guancia, si sporge all’indietro e mi assesta una gran pacca sul

didietro. «Perché, cara la mia gran figa, se mi avessi lasciato finire, avrei aggiunto che, se potessi,cancellerei tutto per rifarlo daccapo. E, fidati, questa volta sarebbe molto, molto meglio.»

Ma che sdolcinato! Scoppio di nuovo in una risata e, con sommo orrore, qualche gocciolina disaliva gli atterra sulla guancia, anche se lui pare non accorgersene.

«Il mormorio delle onde a farci da sottofondo...»Questa volta mi controllo e mi limito a un ghigno di scherno. «Questo è un estuario, non ci sono

onde.»Mi fissa per un attimo, poi sposta lo sguardo all’orizzonte. «E in lontananza le luci tremolanti di

Leigh-on-Sea...»«Che è come dire Parigi, no?» Incrocio le braccia al petto, cercando di nascondere un sorriso.Ryan si avvicina di un passo, mi afferra gentilmente per i polsi e mi obbliga ad aprire le braccia.

Sento crescermi dentro uno sbuffo di risata nervosa. «Io che ti tengo così, per far sì che il vento tiaccarezzi il viso, come Leonardo di Caprio con Kate Winslet in Titanic...»

«Ah, ah, ah, ah!» esplodo, ma la risata si esaurisce quando, senza mollarmi le braccia, Ryanscivola alle mie spalle, premendo piano il corpo contro il mio. Sono scossa da un brivido. La vogliadi ridere se n’è andata. Profuma di buono. Hugo Boss, mi pare.

«La Bembridge è sempre ormeggiata, quindi niente vento...» mormoro sforzandomi di nasconderel’effetto che il suo tocco, il suo profumo e l’alito sul collo hanno su di me.

Ryan m’ignora. «E poi...» Mi fa voltare, posandomi un dito sulle labbra. «Mi chino in avanti...così... Ti prendo il viso tra le mani... così... Mi avvicino piano e...»

«Ryan!» c’interrompe una voce stridula. «Ti ho cercato ovunque!»Ryan si scosta subito.Una biondina alta e slanciata gli si avvicina e, per meglio marcare il territorio, gli posa una mano

sul braccio. «Aspettavamo da bere, ricordi?» prosegue facendo scorrere il dito lungo la vita di Ryan,per poi allacciarlo al passante della cintura. Tira. Ryan non si muove.

«Vi raggiungo subito, Stacey. Stavo parlando con una... con un’amica che non vedevo da un saccodi tempo.»

Questa Stacey tira ancora e lo implora con lo sguardo, lui allora si volta per parlarle e io neapprofitto per sgattaiolare via.

C’è mancato proprio poco! Corro giù dalla barca e verso il Green, non mi fermo nemmeno peravvisare Casey che me ne vado. Me l’ha quasi fatta, con le sue belle frasettine mi ha attirato a sécome un pesce all’amo. Mi aveva in pugno, e io che mi dimenavo senza fiato e con gli occhisporgenti. Quasi mi bevevo la sua scenetta del povero calciatore che diviene un sensibile insegnante

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del liceo. Per un istante ho creduto che in lui ci fosse più dell’abbronzatura da Lampados e dellescarpe da ginnastica bianche. Avrei dovuto capirlo.

Il lupo perde il pelo ma non il vizio.Sono talmente in collera con me stessa. Titanic? Ma per favore! Ma quant’è patetico? E poi quel

film lo detesto; insomma, alla fine Kate Winslet dove si è ritrovata? Aggrappata a un pezzo di legnoche galleggia in mezzo all’oceano Atlantico. E, se questa non è la metafora perfetta dell’amore,allora non so più niente.

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11:55

Sto lavando l’unico tegame e le stoviglie che non ho ancora impacchettato: posate, tazze e tutti i bicchieri che ho usato ierisera. Asciugo ogni pezzo e lo poso con cautela nel suo foglio di pluriball già tagliato. Com’è strano impacchettare tutto inquesto modo, e soprattutto qui in cucina, che è sempre stata traboccante di oggetti. Strano, certo, ma anche liberatorio.Finisco di asciugare la macchina per la pasta che ho usato ieri sera per preparare i ravioli e con una mano raccolgo i resti dicibo dallo scarico del lavandino. Ridandole un’occhiata, noto alcuni pezzettini di pasta che sono rimasti incrostati. La grattocon la paglietta e, quando sono riuscita a farla tornare lucida come uno specchio, la ripongo nella scatola originale. E d’untratto sono colta da un ricordo talmente vivido da ritrovarmi in un altro tempo, e in un altro luogo.

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Il bacio delle ragazze che vogliono solo divertirsi

Sareste così gentili da farmi un favore? Oggi infrangete una regola, fate qualcosa di folle, assaporate l’attimo. Aprite il cuore.Un po’ di più. Amate con tutti voi stessi, amate ancora di più. Non temete di alzarvi e gridarlo, di farvi sentire da tutti. GridateTI AMO. Fatelo come si deve. Fatelo come l’amore si merita. Per me. Perché io non l’ho fatto. E adesso non posso. Tutto qui. (E non è mai abbastanza.)

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FF ▶▶ 30/10/04

Il campanello suona con insistenza. Smetto di grattare furiosamente la macchina per la pasta con lapaglietta. Adoro i ravioli fatti in casa di Ryan, ma detesto dover pulire questo maledetto aggeggio!Mi asciugo le mani nei jeans aderenti grigi e apro la porta alla nuvolosa giornata di ottobre e a unraggio di sole di nome Casey. Che il tempo faccia pure tutti i capricci che vuole, io posso semprecontare sulla mia radiosa amica. E su Ryan. La solarità è una caratteristica comune, e poi quei due siassomigliano per molti versi: che sia per questo che mi sono subito sentita attratta da entrambi?

Casey s’illumina del suo solito sorriso e mi mostra il borsone rosa brillante che stringe in unamano e una bottiglia di champagne nell’altra. Indossa un vestitino verde smeraldo con una generosascollatura e un paio di stivali che le arrivano fin sopra il ginocchio. Un po’ esagerato per un pranzoinvernale tra ragazze, ma sta molto bene.

«Diamo inizio alla festa!» grida sollevando la bottiglia sopra la testa.«Ma non è nemmeno mezzogiorno!» replico mentre ci sfioriamo le labbra in un bacio scherzoso e

le prendo la borsa. Un’automobile per strada suona il clacson e lei si mette subito in posa,appoggiando le mani agli stipiti della porta e sollevando un ginocchio.

La macchina frena di botto, a bordo ci sono due ragazzi. Scoppiamo entrambe in una sonora risatae la trascino dentro. Sembriamo due ragazzine!

«Sono così contenta che tu sia qui!» esclamo stringendola in un abbraccio.«Lo so, lo so!» risponde sorridendo. Si è tinta di biondo e ha stirato i capelli, che porta molto

lunghi. Non dico che non stia bene, però non è lei. Io la preferisco mora, è più particolare. «Ancoranon ci credo: tutto il weekend libero! Pazzesco! Ahi, ma Ryan non c’è?» domanda entrando insoggiorno e guardandosi intorno. Ovunque regna l’ordine, indizio inconfutabile della sua assenza.

«È tornato a Leigh per il fine settimana. Oggi c’è una partita del Southend, sai, per la FootballLeague Cup. Stanno andando benissimo da quando l’anno scorso è arrivato Tilson, il nuovo mister.Secondo Ryan...»

Casey leva gli occhi al cielo e sbadiglia. «Per favore, Moll! Non sono venuta qui per parlare dicalcio. Sono venuta per vedere te, ubriacarmi e trovarmi un uomo. Pensi di potermi dare una mano oa farmi compagnia è rimasta solo la tua gemella noiosa e lobotomizzata dal calcio e dal fidanzato?»

«Hai ragione!» sorrido. «Scusami, è che ormai parto in automatico, non me ne rendo nemmeno piùconto.» Ryan mi ha trasmesso per osmosi l’ossessione per la squadra del cuore della sua infanzia,tanto che ormai ne so abbastanza che credo di riuscire persino a comprendere le regole delfuorigioco. Ma non penso che Casey ne resterebbe colpita. «Allora, cosa ti andrebbe di fare? A mepiacerebbe un sacco andare a vedere la mostra di Edward Hopper alla Tate Modern. Il modo in cui èriuscito a fermare la luce sulla tela è incredibile, quasi fotografico e...»

Casey fa una smorfia e mi fulmina con un’occhiataccia, facendomi scoppiare in una risata.«Guarda che sto scherzando! Avevo già pensato di andarci da sola!»Quando Ryan torna a Leigh, al sabato mattina mi sveglio, accendo la macchina per il caffè e,

mentre si scalda, sfoglio l’inserto del fine settimana del Times in cerca di eventi culturali

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interessanti. Poi faccio la doccia e vado in città, passando sempre da un mercato: Broadway se hovoglia di un’atmosfera giovane e alternativa, Spitalfields se sono in vena di qualcosa di un po’ piùelegante o Borough se mi va di stupire Ryan con qualche ingrediente speciale per uno dei suoi piattida grand gourmet.

La macchina fotografica è la mia unica compagna di avventure. Questo tempo tutto per me èprezioso, posso fondermi nell’animata vita del fine settimana, rendermi invisibile e fotografare unospaccato del cuore pulsante di Londra. Per pranzo mi fermo da qualche parte per un panino e poivado a una mostra o a vedere una galleria d’arte, oppure mi concedo una lunga passeggiata in HydePark o, ancora, mi dirigo dove so di poter ritrarre persone vere, scene di vita vissuta, comeSouthbank coi suoi skater o Sloane Street gremita di gente che fa shopping... Nel tardo pomeriggio, ingenere, mi fermo in posti tipo il Bar Italia a Soho, e riguardo tutte le fotografie sorseggiando un caffè,poi vado a casa, chiamo Ryan per parlare un po’ ed esco per l’aperitivo con le colleghe oppure, sec’è Casey, andiamo a bere qualcosa in un bar elegante e poi in discoteca. Ryan mi manca, ma nonrinuncerei mai al «mio» giorno, l’unico durante la settimana in cui mi sento davvero me stessa.

Talvolta sono colta dal senso di colpa, che mi fa stare sui carboni ardenti del dubbio,rammentandomi che, per convincerlo a trasferirsi, gli avevo promesso che avrei fatto ritorno a Leighogni fine settimana con lui. Ma non ce la faccio. Mi sento soffocare. E poi almeno uno dei due deveapprofittare al massimo di quello che hanno da offrire i weekend londinesi, no? Ammetto di averpromesso solo perché convinta che, una volta in città, Ryan avrebbe cambiato idea, invece è come seavesse una corda elastica attaccata all’ombelico che continua a trascinarlo a Leigh. Ogni volta cheme ne lamento, lui attacca con le sue regole e sul fatto che la famiglia viene prima di tutto e bla blabla.

E poi non si dice forse che la lontananza rafforza l’amore?La verità è che ci siamo resi conto di avere interessi diversi. E va bene così, abbiamo comunque

un milione di cose in comune. Come... la nostra storia passata, tanto per dirne una, e poi... Sì, be’,insomma, un sacco di altre cose.

Scuoto la testa. Basta, adesso devo concentrarmi su Casey.«Vedrai che ci divertiremo!» esclama.«Lo so!» rispondo battendo le mani entusiasta. «Senti, che ne diresti di andare a Camden Town, ci

facciamo un giretto, smangiucchiamo qualcosa, ci facciamo un drink e poi torniamo qui perprepararci per stasera? Non sai quanto sono contenta di uscire con te stasera! Da quanto non mi godoun bel sabato sera come si deve!»

«Ci sto», risponde Casey, stesa sul divano. «Prima però fammi riposare un po’, che ho ancora ipostumi della sbronza di ieri sera. Ho fatto così tardi con le amiche che sono venuta quidirettamente.»

«Davvero?» Ecco perché è vestita così, rimugino con un’inaspettata fitta d’invidia.Si allunga verso il tavolino per prendere il bicchiere d’acqua che mi ero dimenticata lì e si ributta

contro lo schienale, versando qualche goccia sul pavimento. D’impulso, corro in cucina a prendereuno straccio e asciugo tutt’intorno ai suoi piedi, che solleva come fosse una ragazzina. D’improvvisomi ritrovo dinanzi agli occhi l’immagine di mia madre che fa lo stesso e butto via lo straccio,disgustata.

Due ore dopo passeggiamo per Camden Town. «Capisco perché ti piace questo quartiere»,ridacchia Casey indicando una bancarella che vende borsette tutte frange, specchietti e lustrini.

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«Guarda che sono l’ultimo dettame della moda!» ribatto infilandomene una in spalla. «Kate Mossne ha una uguale!»

«Allora è in ritardo solo di un decennio! Non ne avevi una così quando avevi quattordici anni?»«Cosa vuoi farci, io sono sempre in anticipo sui tempi, cara», replico sussiegosa, e scoppiamo

entrambe in una grossa risata.Adoro trascorrere del tempo con Casey, tuttavia, da quando con Ry ci siamo trasferiti a Londra e

le occasioni di vedersi sono molto diminuite, ci troviamo a nostro agio a parlare solo del passato, arammentare quel periodo della nostra vita condiviso in cui ci univa un legame talmente forte che eraimpossibile anche solo pensare che qualcosa o qualcuno avrebbe potuto mettersi tra noi. Ma la tristeverità è che tra noi due ci si è messa la vita. Va bene, lo ammetto, il rapporto con Ryan ha avuto ilsuo ruolo. Devo sforzarmi di trascorrere più tempo con lei, ma la cosa strana è che talvolta la suacompagnia mi rende nervosa. Sento che potrei annoiarla, o che potremmo finire gli argomenti.Conduciamo vite così diverse e da così tanto tempo che è difficile condividere altri ricordi, e forse èper questo che ci rifugiamo nel passato, che vi ricorriamo per riempire quei momenti in cui èlampante che non ci conosciamo più bene come una volta. E, a essere sincera sino in fondo, per metàdel tempo non riesco a starle dietro. O lavora sino a tardi o è fuori a divertirsi. Vive di nottenemmeno fosse un vampiro ed è come se non avesse bisogno di riposare. E talvolta questo suo mododi fare mi preoccupa, inutile negarlo, anche perché, se non lo faccio io, chi ci pensa, a lei?

Poso la borsetta e proseguiamo per le bancarelle in silenzio; di tanto in tanto le mostro qualcosache mi piacerebbe comprare per me o per l’appartamento. Per esempio, adoro i lunghi gonnellonialla gitana, ma quando glieli indico Casey finge di vomitare nel bicchiere di noodle takeaway, poiprende una minigonna di velluto, guarda come le sta e si mette subito a parlare fitto con l’ambulante,ricorrendo a tutte le sue doti di seduttrice. Di sicuro sa come si fa. La osservo mentre scrolla icapelli all’indietro, gonfia il petto e si abbandona a una risata mentre il giovane e bel ragazzo la fissacon sguardo bramoso. Le tocca il sedere e Casey non fa una piega – mentre io sussulto! – e, anzi,ammicca provocante e si avvicina. Forse sono un po’ troppo pudica, ma queste situazioni mi mettonoa disagio. Ormai sto con Ryan da talmente tanto tempo che certe cose le ho dimenticate. Oddio, stodavvero diventando una vecchia noiosa?

Diventando? Scusa se te lo dico, ma lo sei già da un po’!Sento la fredda presa del dubbio serrarmi il cuore e mi volto dall’altra parte, bevo un sorso di

caffè e mi fingo occupata, mentre Casey si dà da fare. Chissà cosa sta facendo Ryan? Non che abbiabisogno di chiedermelo. Lo so già. So sempre cosa sta facendo. La sua quotidianità – la nostraquotidianità – la conosco a memoria. Sempre la stessa, giorno dopo giorno.

E allora fai qualcosa di diverso! Qualcosa di folle! Sii sconsiderata per una volta tanto.Comportati come una ragazza della tua età, non come se avessi tanti anni quanti il tuo numero discarpe!

Devo assolutamente fare qualcosa di folle e spontaneo. Mi avvicino a Casey e all’ambulante chesi prende un po’ troppa confidenza. Le tolgo la gonna di mano e le cingo le spalle con un braccio,possessiva.

«Ehi, ti dispiacerebbe smetterla di provarci con la mia ragazza?» dico con tono da fatalona,posando la guancia contro la sua.

Casey mi guarda e sorride. «Oh, tesoro!» sospira, osservando con la coda dell’occhio il ragazzo,che adesso sbava per entrambe. «Credevo di piacerti con quella. Lo so che le minigonne ti eccitano!»

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E, per completare l’effetto, mi bacia sulle labbra.Ci allontaniamo barcollando, ma resistiamo non più di cinque passi prima di scoppiare in una

risata incontenibile. Sollevo la macchina fotografica sopra le nostre teste e, senza smettere di ridere,facciamo la linguaccia.

Ho deciso: è ora di ricominciare a divertirmi, di ricominciare a vivere. Scendiamo dalla metropolitana alla stazione di Waterloo e riemergiamo alla luce. Il cinema Imax sistaglia in un panorama urbano fatto di cemento. Nel frattempo si è anche messo a piovere, Caseyguarda il cielo poi allarga le braccia e inizia a girare su se stessa come fanno i bambini. La imitosenza farmi pregare, mentre la gente ci passa accanto rivolgendoci espressioni divertite. Ci fermiamosolo quando ci sentiamo stordite e ci aggrappiamo l’una all’altra.

«Perché siamo venute qui?» domanda Casey guardandosi intorno delusa. Devo ammettere che nonsiamo in una delle zone più interessanti della città ma, forse perché ci vengo di rado, a me piacemolto. Qui si può immaginare di trovarsi ovunque, come per esempio... a New York? Cavolo, quantomi sarebbe piaciuto viverci. Be’, sono ancora in tempo, no? In fin dei conti ho solo venticinque anni.

Solo venticinque.Afferro Casey per un braccio e la conduco decisa per le vie. Per dirla tutta, non sono sicura al

cento per cento della direzione che ho imboccato ma, dopotutto, il viaggio stesso fa partedell’avventura, non solo il giungere a destinazione. Ho sempre considerato Ryan il mio punto diarrivo, la meta finale. È stato anche il punto di partenza, quindi non ho dovuto viaggiare molto pertrovarlo. E poi, da quando siamo insieme è come se avessimo pigiato sull’acceleratore e percorso atutta velocità il tabellone del Monopoli della vita, senza mai capitare sulle Probabilità e fermandocinella prima casella utile con una casa.

Io mi sforzo d’ignorare la me adolescente, ma negli ultimi tempi si è fatta più insistente e continuaa chiedermi se davvero quello che ho mi basti. Non pretendo certo una vita come un albergo in Parcodella Vittoria, eppure non riesco a non domandarmi se davvero non mi sono accasata troppo presto,se non mi sono accontentata di Vicolo Corto quando avrei potuto aspirare perlomeno a Via Roma.Scaccio questo pensiero tremendo e sleale e mi ripeto che è tutto a posto e che ho solo bisogno didivertirmi un po’ di più. «Eccoci qui!» esclamo fermandomi davanti a una porticina.

Casey si guarda intorno confusa. «E ’qui’ dove sarebbe, scusa?»«Qui è... il confine del mondo!» affermo evasiva spalancando le braccia con un gesto teatrale,

pervasa come sono da un’ondata di entusiasmo. «Andiamo», aggiungo poi prendendola per mano.«Molly, ma mi prendi in giro? Ma non dovevamo andare a fare compere e a bere?»«È quello che faremo! Berremo in giro per il mondo!» rispondo indicandole l’insegna con un

largo sorriso, d’un tratto non più tanto sicura della scelta. «Benvenuta a... Vinopolis!» esclamo pococonvinta.

Degustazione di vini? È questo che intendi tu per folle, divertente e spontaneo?Ignoro i miei dubbi e proseguo imperterrita nel disperato tentativo di dimostrarle che è un’ottima

idea. «Si viene qui, si paga l’entrata e si fa un giro per il mondo attraverso la degustazione di vini!»

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spiego, ma Casey tace. «Io... ho pensato che sarebbe stato un modo divertente e insieme utile ditrascorrere il pomeriggio! È da un po’ che volevo venirci ma a Ry il vino non piace e allora...»

«Ci hai portato me perché sai che mi piace?» m’interrompe con una risata di cuore. «Non chem’interessi da dove viene, io bevo qualsiasi cosa mi piazzi davanti.»

«Be’, allora preparati a farti una cultura in materia. Potresti anche uscire di qui trasformata in unavera intenditrice, chi può saperlo!»

Mi fissa con un’espressione vuota. «Tesoro, ma tu te lo ricordi com’è che bevo il vino?» domandafingendo di scolarsi una bottiglia a canna. Siamo in Francia, alle prese con una selezione di Bordeaux e ci guardiamo bene dal seguire la regolaaurea dell’assaporare e poi sputare.

«Mmm...» Casey assapora un bel sorso di vino dandosi un tono professionale e raffinato.Deglutisce e guarda al soffitto, come in cerca del paragone azzeccato. «Sì, ecco sa di... Trovo che cisia un retrogusto di... Sì, è senz’altro una nota di... uva!»

Gironzoliamo con l’intenzione di tornare in Spagna quando qualcuno mi tocca una spalla. «Ciao,novellina, che bello incontrarti qui.»

Mi volto e mi ritrovo davanti Seb e due suoi amici. Sono vestiti alla stessa maniera – jeansindaco, scarpe da ginnastica firmate e pullover con scollo a V e monogramma – e hanno gli stessicapelli scompigliati con scrupolo e un’ombra di barba. Paiono tre gemelli.

«Ciao, Seb», saluto, contenta d’imbattermi in qualcuno che conosco, così posso mostrare a Caseyche anch’io ho una vita sociale. «Che ci fate qui di bello?»

«Be’, diciamo che ci stiamo facendo una cultura. Nel fine settimana ci piace fare qualcosa didiverso, così abbiamo fondato il Club della Domenica. Ogni settimana uno di noi sceglie qualcosache nessuno dei tre ha mai provato prima. Questa volta toccava a me. Mi piace degustare il vino, a teno?»

«Devo ammettere che è la prima volta», rispondo, in parte imbarazzata e in parte impressionatadal modo interessante con cui hanno deciso di vivere il fine settimana. Sarebbe impossibileconvincere Ryan e i suoi amici a fare altrettanto.

Casey si schiarisce la gola. D’un tratto l’abbronzatura finta, l’abito troppo corto e gli stivalitroppo lunghi per un sabato pomeriggio mi mettono a disagio. «Questa è la mia m... m... vecchiaamica Casey», la presento. La parola «migliore» mi si è incollata alle pareti della gola e non havoluto saperne di uscire.

Per mia fortuna Casey non se ne accorge e leva la mano in segno di saluto, rivolgendo a Seb unlungo sorriso seducente. «Piacere di conoscerti... E chi sono i tuoi amici?»

«Oh, scusate! Molly, Casey, questi sono Nick e Matt.»«Ciao», ci salutano in coro i due con un sorriso spigliato.«Allora, avete già girato tutto il mondo?» domanda Seb incrociando le braccia.«No, solo Ibiza», risponde Casey prima che possa fermarla. «Però sono mezza italiana e mezza

greca, anche se non vi dico quale parte è cosa. E voi ci siete già stati? In Grecia e in Italia, intendo,non dalle mie parti...»

Le rivolgo un’occhiata raccapricciata, ma gli altri scoppiano tutti in una sonora risata e subito miaggrego.

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«Aaaaaah!» squittisco seduta su una Vespa che sfreccia per le strade di Roma, aggrappandomi allavita di Seb. Se non sono ancora ubriaca, sono molto, molto allegra. Siamo in Italia da ore. Abbiamofatto solo un giretto in Sudafrica e in Portogallo, ma poi abbiamo deciso che preferivamo il Chianti eun altro giro in Vespa.

«Sembra di essere dentro Vacanze romane!» esclama Seb.«Dici?»«Ce l’hai presente Vacanze romane ? Con Gregory Peck, Audrey Hepburn... dai, non puoi non

averlo visto!»«Ehm, in effetti no. Però mi sarebbe sempre piaciuto.»Ed è vero. Era nella mia lista dei film da vedere assolutamente. Solo che poi mi sono messa con

Ryan e, anche se sono riuscita a fargli vedere un sacco di film che mi piacciono molto, si è semprerifiutato categoricamente di prendere in considerazione «robaccia in bianco e nero».

Seb si rigira di scatto verso di me. Io sussulto, d’un tratto siamo troppo vicini. Mi guardo intornoin cerca di Casey, ma poi ricordo che si è allontanata dicendo che avrebbe portato Nick e Matt inGrecia.

«Ehi!» esclamo indicando lo schermo su cui continuano a scorrere le strade di Roma. «Questa èguida pericolosa!»

«Al diavolo!» risponde Seb incrociando le braccia e fissandomi dritto negli occhi. «Sono propriocurioso di sapere com’è possibile che una ragazza che lavora in una rivista, una photo editor per dipiù, non abbia mai visto Vacanze romane ! È un classico dello stile! Un esempio straordinario difotografia cinematografica!»

Alzo le spalle, schiacciata da un imbarazzo tremendo. «Non so cosa dire», rispondo abbassandolo sguardo. «Me lo sono perso e basta.»

«Però almeno a Roma ci sei stata, vero?»Scuoto la testa. Non mi sono mai sentita così sciocca e intellettualmente inetta, e non ho certo

intenzione di raccontargli dell’infanzia trascorsa tra un desolato B&B e l’altro in giro perl’Inghilterra. E nemmeno delle vacanze in Portogallo con la famiglia di Ryan. D’un tratto mi paretutto così provinciale.

Seb mi fissa con la bocca spalancata. «Però ti piace la fotografia, giusto?»Annuisco.«Allora devi assolutamente andare a Roma a immortalare la Cappella Sistina, piazza San Pietro,

gli scorci e i suoni della città, la gente che si gode un caffè seduta al bar, gli innamorati che sibaciano davanti alla fontana di Trevi...»

Lo osservo parlare di questa meravigliosa città con una passione tale che sono pervasa da unsenso di desiderio. No, non per Seb: voglio vedere il mondo, conoscere di più della vita.

D’un tratto si accorge che sono ammutolita. Mi prende il bicchiere di Montepulciano ormai vuoto,scende dal motorino e lo posa su un tavolo in mezzo alla stanza. Poi mi afferra la mano, fa smontareanche me dalla Vespa e mi conduce nella prossima stanza.

«Vieni, pivellina, che ti faccio vedere il mondo!» annuncia posandomi un bacio sulla fronte.Mi porta in California e mi offre un calice di Zinfandel. «Non sai cosa ti sei persa.» Alza il calice

e mi sorride, affascinante e pericoloso.

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E, mentre il rimpianto mi colpisce come una stilettata, mi rendo conto che Seb ha torto. Io lo sobenissimo che cosa mi sono persa. E, ora che l’ho visto, non credo di poter tornare alla beataignoranza in cui vivo. «Che succede?» mi sussurra Casey.

Ci troviamo al Century, il club in Shaftesbury Avenue di cui Seb è membro in un tavolinod’angolo con Nick e Matt. Non mi divertivo così da tanto, tanto tempo.

«Che intendi?» domando con aria innocente, rivolgendo un sorriso un po’ sbronzo a Seb mentre ciporta un’altra bottiglia di champagne e se ne torna al bancone, dove sta chiacchierando con un amico.

«Saliamo un attimo al giardino sul tetto!» cinguetta Casey a Nick e Matt. «Non sentite troppo lanostra mancanza, mi raccomando!» Mi trascina in ascensore e poi, una volta in cima, mi fa sedere emi fissa dritto negli occhi. «Tesoro, guarda che dico davvero. Che ti succede? Mi sembri così...diversa. Sicura che sia tutto a posto?»

Annuisco con poca convinzione e distolgo lo sguardo.«Intendevo dire se sei sicura che con Ryan sia tutto a posto», insiste toccandomi una spalla.Mi volto verso di lei e so che riesce a vederli, che le basta un’occhiata per leggere tutta la

frustrazione e tutti i dubbi sul nostro rapporto che mi hanno colto d’improvviso.«Cavolo! E io che credevo foste una coppia incrollabile, per non dire perfetta.»«Case, nessuno è perfetto...»«Ma tu vuoi stare ancora con lui?»Non so che cosa rispondere. Riesco solo a chiedermi che fine abbia fatto la giovane coppia

innamorata alla follia. Ci siamo ritrovati incastrati, ecco che fine abbiamo fatto. Col lavoro, con gliimpegni e le responsabilità, con un mutuo a poco più di vent’anni quando invece avremmo dovutopensare a divertirci. E allora, se questo è ancora il tabellone del Monopoli della vita, forse è giuntoil momento di usare la carta «Esci gratis di prigione».

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Il bacio d’addio alla dignità

Perché mai accade sempre che sappiamo cosa vogliamo fare e il tipo di persona con cui vogliamo stare prima ancora dicapire chi siamo? Ho voltato le spalle a tante opportunità, esperienze, occasioni. Ho trascorso buona parte dell’esistenza afingere di sapere cosa stessi facendo, a comportarmi da grande, da adulta. Adesso vorrei tanto aver dedicato molto piùtempo alla libertà, all’avventura, a fare le cose sbagliate anziché sforzarmi di controllare tutto. Vorrei non essermi sforzata divivere spuntando le voci da una lista di cose da fare e, anzi, vorrei tanto essermi concentrata di più sul presente. Forse cosìsarei stata più pronta per le questioni da adulti quando si sono presentate fin troppo presto, molto prima di quanto miaspettassi. So che non bisognerebbe avere rimpianti, ma questo è il mio.

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◀◀ REW 21/07/01

«Ancora non ci credo cha siamo qui! A Ibizaaaaa!» esclama Casey, aggiungendo quattro A in più deldovuto come quando dice «Tequilaaaaa».

Molla la valigia accanto alla porta e si butta su uno dei lettini della camera d’albergo. Rotolasulla schiena e piega le braccia dietro la testa, lasciando che i capelli neri si spargano come tentacolisul lenzuolo bianco. Con indosso solo il reggiseno del costume, il piercing all’ombelico cherisplende sulla pelle abbronzata e un fazzoletto di minigonna di jeans bianca, pare conciata più perandare in discoteca che per affrontare un volo in aeroplano. Mia, invece, ha deciso di dare liberosfogo alla Liz Hurley che è in lei e ha scelto un paio di jeans bianchi firmati leggermente a zampa,zeppe di sughero e un top di chiffon trasparente con motivi floreali su una camiciola bianca. Delletre, io sono la più tranquilla, con un paio di shorts tagliati da me sopra i pantacollant (non ho nessunaintenzione di far vedere a tutti le gambe cadaveriche), una canotta e i miei adorati occhiali da solecon la montatura verde brillante a pois.

«Ragazze, ci divertiremo un casino!» squittisce Casey. «Spiaggia di giorno, locali e discotechefino all’alba, ragazzi, cocktail, niente studio per voi e niente tavoli da servire per me. Solo di-ver-ti-men-to! A proposito, non vedo l’ora di andare all’Eden! E poi ho sentito parlare un sacco deglischiuma party a El Divino.»

«Sì, be’, penso che Molly e io siamo più tipe da Café del Mar o Pacha più che da IbizaUncovered»,7 replica Mia con una certa freddezza.

Casey le fa una smorfia e poi mi sorride. «Dai, Molly, vieni qui!» esclama rialzandosi etrascinando la mia borsa sul letto accanto al suo. «Ti vuoi decidere a disfare le valigie o cosa? È oradella fiestaaaaa!»

Quanto entusiasmo! Scoppio in una risata e mi lascio trascinare sul letto.Mia esita sulla porta adocchiando il piccolo divano dall’aria non proprio comoda addossato alla

parete vicino al balcone.«Oh, Mia, scusami!» fa Casey con tono tutt’altro che dispiaciuto, seguendone lo sguardo. «Ci

siamo prese noi i letti più comodi! Se vuoi, possiamo fare cambio a metà settimana.»Mia abbozza un sorriso da chi sa bene che non accadrà, quindi si decide a entrare e inizia subito a

disfare la valigia e a sistemare ordinatamente i vestiti nell’armadio. Oltre a essere elegante,intelligente e composta, Mia è anche una maniaca dell’ordine. Lei e Casey non potrebbero essere piùdiverse. L’atmosfera è tesa. Che la mia sia stata un’idea tremenda? Speravo che una vacanza traragazze avrebbe aiutato le mie due migliori amiche a stringere un rapporto. Mia e io ci siamo appenalaureate e, che cavolo, dovremmo darci alla pazza gioia! Cosa che però non accadrà se mi toccheràtrascorrere la settimana a fare da paciere tra loro due. So che Casey è rimasta male quando le hoproposto di far venire anche Mia, tuttavia ero convinta di riuscire a convincerla che tre ragazzesingle si divertono molto più di due.

Ognuna di noi lo è per motivi diversi e quindi può insegnare alle altre qualcosa al riguardo. Mia,per esempio, è single per scelta, io perché ho aspettative troppo alte e Casey... be’, a Casey i ragazzi

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non mancano di sicuro, il problema piuttosto è tenerseli. Questa vacanza serve per festeggiare nonsolo la nostra laurea, bensì la nostra libertà. Perché chi ha bisogno degli uomini?

Una corrente d’aria solleva le tende leggere alla finestra, facendomi venire voglia di guardare ilmare e ammirare l’isola. Saltello alla finestra, la apro e... tutte e tre fissiamo la vista raccapricciate.

Quello non è il bel mare turchese illuminato dal sole, e nemmeno un tramonto infuocato. È un...«Pisello!» esclama Casey.«Pisello!» le fa eco Mia restando senza fiato.«Pisello!» grido io indicando la parete dell’edificio proprio dinanzi alla nostra finestra, su cui è

disegnato un inconfondibile pene alto quasi un metro e mezzo e con tanto di peli pubici. Ciaccasciamo tutte sul pavimento, colte da una risata isterica.

«Forza, ragazze, andiamo a ubriacarci», ci esorta Mia quando finalmente riusciamo a calmarci.Prende entrambe a braccetto e usciamo.

Sono investita da un’ondata di calore, ma non è solo per via dell’afa soffocante. No, è anche ilpensiero che forse, dopotutto, questa vacanza potrebbe non andare così male. La musica rimbomba nel piccolo bar affollato, uno dei tanti bar affollati lungo la via principale diSan Antonio. Siamo in piedi intorno a un tavolino con nel mezzo una grossa brocca di Sex on theBeach, che ci ha fatto guadagnare una quantità infinita di battute patetiche da parte di ragazzi di tuttele età e più o meno attraenti. Com’è ovvio, io li ho debitamente mandati tutti dove meritavano,suscitando un coro di protesta da parte di Casey e Mia. A quanto pare, quelle due sono d’accordosolo su una cosa: hanno entrambe voglia di quello che abbiamo visto disegnato fuori dalla finestradell’albergo. Alla faccia della settimana tra ragazze.

«E dai, Molly!» si lamenta Casey quando scaccio un altro gruppo di tipi. «Non vorrai micapassare tutta la vacanza senza rivolgere la parola nemmeno a un ragazzo! Pensa a quante bellestorielle estive potremmo avere! Non so se l’hai notato, ma qui intorno è pieno di tipi niente male.Tipo quello!»

Sorride e morde la cannuccia con fare seducente mentre lo squallido – e vecchio – proprietariodel locale le fa l’occhiolino e la saluta con un cenno del capo. La trattengo per un braccio, ormai è unriflesso condizionato. Troppe volte l’ho vista puntare dritta all’uomo più vecchio e/o squallidopresente e il fatto che siamo più cresciute non significa che io sia meno protettiva nei suoi confronti.«Casey, no! Per favore, chissà da dove viene o con chi è stato. E poi è troppo vecchio per te.»

«Ma se non avrà più di trentacinque anni. E poi pensa a quanto avrà viaggiato, a quanta vita avràconosciuto...» Sospira e lo saluta agitando le dita della mano con un gesto languido alla MarilynMonroe.

«Ci penso eccome. Ed è proprio questo che mi fa schifo.» Mi volto verso Mia, che lo fissa conl’espressione di chi si ritrova una discarica sotto il naso. «Mia, dammi una mano. Tu sei d’accordocon me, vero?»

«Dipende», risponde alzando le spalle. «Perché se è solo in cerca di una scopata...»«Mia!»«Che c’è? Sono due adulti consenzienti, no?» Giocherella distrattamente con la cannuccia. «E poi

le piace solo perché suo padre l’ha abbandonata. Si chiama ossessione del padre o ansia daabbandono o una cosa così. Chissà, magari una bella ripassata da Mr Schifoso, lì, potrebbe aiutarla a

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superare i problemi e risparmiarle un sacco di soldi di terapia.» S’interrompe per svuotare ilbicchiere e se ne versa un altro. «Se invece s’illude in qualche modo che quel tizio si innamori di leie che vivranno per sempre felici e contenti, be’, allora è anche più stupida di quello che cre...»

Le do una gomitata, ma è troppo tardi. Casey la fulmina con lo sguardo e si volta offesa dall’altraparte. Non c’è niente che detesti di più del sentirsi dare della stupida.

«Che ne dite di un brindisi!» propongo. «Alle mie amiche del cuore per sempre... nonostante tuttal’altra gente», dico nella speranza di calmarla.

Ci speravo davvero, ma Casey scocca un’occhiataccia sia a me sia a Mia, che da parte sua miguarda come se fossi impazzita.

Non finisco nemmeno la frase e faccio tintinnare il bicchiere contro i loro. «Alla più bella dellevacanze tra ragazze. E ricordate che...»

«Che siamo uno schianto?» m’interrompe Mia agitando braccia e gambe mentre Casey alza gliocchi al cielo.

«Sì, ma a parte quello: non dobbiamo permettere a nessun ragazzo di mettersi tra noi, okay?»Casey annuisce. Ma solo perché la pungolo col dito. Anche Mia annuisce, per poi piazzarmi in

mano il suo bicchiere non appena un ragazzo le si struscia contro. Il tempo di posarlo sul tavolo e,quando mi volto, è già impegnata a pomiciare. Fantastico. E, come se non bastasse, Casey è sparita.Grida irrompono dal centro della pista e la intravedo intenta a ballare il limbo, per la gioia dellafolla di ragazzi che la circondano. Sospiro, mi verso un altro bicchiere di cocktail e lo mando giùtutto d’un fiato. «Ahi», gemo. Siamo stese in spiaggia, sotto il sole di mezzogiorno, a cercare di bruciare via tuttol’alcol che abbiamo ingerito e i ricordi confusi della serata. Ma non funziona. Alzo gli occhiali dasole e mi volto di lato. «Per favore, dimmi che non mi sono fatta quel cesso di diciotto anni che mi èstato addosso per tutta la sera.»

Mia è distesa nella perfetta posizione da adoratrice del sole, con le braccia graziosamente disteselungo i fianchi, i palmi verso l’alto, le gambe aperte e i piedi rivolti all’infuori come fosse unaballerina in seconda posizione, e con le spalline del bikini nascoste sotto la schiena. «No, Molly,certo che non ti sei fatta Gerard, quel cesso di diciotto anni con la faccia butterata e le ascellepezzate», mi risponde sarcastica, voltandosi per infilare una mano nella mia borsa e tirar fuori unbigliettino con su scritto nome, cognome, indirizzo, numero di telefono e e-mail di Gerard.

Casey ridacchia e si mette a sedere. «Ahi! Troppo veloce», geme, prendendosi la testa tra le mani.Indossa un cappellino e si stende sui gomiti, sfoggiando un ventre che più piatto non si può. «E,soprattutto, dopo non ti sei mica fatta il suo migliore amico, scatenando una rissa che è poi il motivoper cui ci hanno sbattuto fuori dal locale.»

«Oddio! Sappiate però che è solo colpa vostra. Avete una pessima influenza su di me. Questaavrebbe dovuto essere una vacanza senza ragazzi, ve lo ricordate?»

Mia apre un occhio. «Primo, c’è davvero bisogno di gridare tanto? E secondo. Ahi. Se parlo mi famale la testa. Molly, diciamo la verità: in questa settimana intendo spassarmela più che posso.Appena mi passa la nausea.»

«Sì, be’, comunque mi avete mollato», borbotto. «Se non mi aveste abbandonato con quellabrocca di cocktail grossa quanto una botte, non mi sarei mai ficcata in questo casino.»

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«Eh, no, cara, ti ci sei abbandonata da sola», mi corregge Mia agitando il dito di prima.«E hai abbandonato anche le mutandine...» interviene Casey. «Nel solarium, ricordi?»«No!» squittisco tirandomi su a sedere e cercando di afferrare al volo le spalline del reggiseno.

Vorrei evitare di mostrare a tutti le mie grazie. «Non è vero! Sono sicura di non averlo fatto,altrimenti me ne ricorderei, vero? Vero?!»

Entrambe mi rivolgono una finta occhiata di compassione.«Rilassati», dice poi Casey mentre scoppiano in una sonora risata. «Ti stiamo solo prendendo in

giro. Non eri ancora così ubriaca.»«Sì, be’, comunque io ho chiuso», affermo, dandole una botta col libro che ho accanto. «Basta

incontri alcolici per me.»«E con cosa li sostituirai?» domanda Mia inarcando un sopracciglio con fare imperioso.«Con una meravigliosa storia d’amore estiva», ridacchia Casey, ben sapendo che è davvero

improbabile.«No, né l’uno né l’altra. Questo, mie care, è off limits», ribatto indicando il mio corpo, che nel

frattempo ho coperto con un caffetano. «E soprattutto qui», aggiungo indicando il cuore.«Non è che intendevi qui?» Casey addita il triangolino di costume nero all’altezza del pube che si

intravede appena sotto il caffetano.Mia scoppia a ridere e assesto una pacca a entrambe. «Sì, anche quella. E adesso, se non vi

dispiace, vorrei leggere un po’.» E provo a estraniarmi dalle continue chiacchiere di Casey sul belbarista spagnolo, immergendomi in Espiazione di Ian McEwan.

Più tardi, a fine pomeriggio, me ne sto distesa sul materassino, con gli occhi socchiusi e le ditache disegnano intricati percorsi sul pelo dell’acqua, cullata dal plin plin delle gocce che sollevo edal rumore delle onde. Mi sento come immersa nella grandiosa orchestra degli elementi, col sole adirigere e con le risate e il chiacchiericcio provenienti dalla spiaggia a fare da coro di sottofondo.Come si sta bene qui, da sola, senza che nessuno interrompa il flusso dei miei pensieri, alla derivanella quiete immensa dell’oceano. Solo io...

«Aaaaah!»Qualcosa mi è venuto addosso e io mi sono ritrovata in acqua. Riemergo e mi aggrappo al

materassino con gli occhi ancora chiusi, scalciando e sputando. «Ma che cavolo...» inizio, tirandomivia i capelli dal viso.

«Cacchio! Mi dispiace!» grida una voce maschile. Sento un tuffo e qualcuno che mi si avvicina anuoto, poi un paio di mani che mi afferra.

«Mollami subito!» strepito mentre cerco di sfregarmi via l’acqua salata dagli occhi. Provo arimontare sul materassino, scacciando l’aggressore, anche se, a dire il vero, sembra che stiano solocercando di aiutarmi a salire. Afferro la mutandina del costume, che sta scivolando un po’ troppo inbasso. «Non mi toccare!» bercio sputando l’ennesima sorsata d’acqua. «Ce la faccio da sola!»

«Va bene. Va bene! Ti volevo solo aiutare.»Riesco finalmente a risalire a cavalcioni sul materassino e, nel disperato tentativo di riacquistare

un po’ di dignità, mi tolgo le mutandine da dove si sono infilate.«Mi spetterebbero perlomeno delle scuse, visto che mi sei arrivata addosso, non credi?»«Io sono arrivata addosso a te? Starai scherzando, spero!» rispondo sdegnosa girandomi verso di

lui, e per la prima volta vedo il cretino che si diverte a fare i tuffi. Si sta avvicinando a bordo di unaltro materassino. «Ryan?!»

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Quello mi guarda e scoppia a ridere. «Porca vacca! Molly Carter!»Le larghe spalle abbronzate brillano ricoperte di goccioline. I capelli biondi corti gli danno

un’aria più adulta e mascolina, così come i lineamenti, che si sono fatti più duri, meno infantili. Lapelle è dell’intenso color caramello di chi trascorre molto tempo al sole, un po’ più chiara sotto labarba corta. Le ciglia bionde sono fradicie e incollate insieme, gli occhi azzurri sono del turchesedella distesa salata che ci circonda e non mi sfugge di notare l’accenno di zampe di gallina cheaccennano a coronargli i lati degli occhi.

«Avrei dovuto immaginarlo, che eri tu, Cooper», proseguo gelida. «Andavi sempre in giro atirartela con la Golf GTI, non mi sorprende che tu non sappia guidare nemmeno un cacchio dimaterassino.»

«Ehi, sbaglio o avevi gli occhi chiusi?» controbatte. «Sappi che è sinonimo di bocciaturaimmediata nell’esame di guida dei materassini. Ma non l’hai studiato il codice della strada oceanicoprima di metterti alla guida? Io almeno sono un marinaio qualificato!»

Queste sue ultime parole mi riportano a un anno fa. All’ultima volta che ci siamo visti, poco primache lui salpasse per Sydney. Vorrei poter dire che da allora non l’ho più pensato, nemmeno una volta,ma mentirei. È così strano. Quella sera sulla Bembridge mi è entrato dentro più di quanto credessipossibile. Il cuore mi martella incontrollato in petto. Non posso credere che ci siamo rincontratiproprio qui a Ibiza. Che abbia un significato? Siamo forse attratti l’uno verso l’altra, comel’equivalente romantico delle placche tettoniche? O c’è di nuovo lo zampino di Casey?

Guardo verso la spiaggia e intravedo una figura femminile con un bikini giallo brillante che se nesta in piedi a scrutare il mare, con la mano a proteggere gli occhi.

Mmm...Ryan sorride e risale anche lui sul materassino. Mi sforzo, però l’occhio mi scivola sugli

addominali scolpiti e sui bicipiti gonfi, per non parlare della manciata di nei che ha in mezzo al pettoe che vorrei tanto sfiorare. Mi spruzzo un po’ d’acqua in viso per non arrossire, ma forse è tardi.

«E comunque cosa cacchio ci fai tu qui?» domando iniziando a vogare con le mani, più che altroper tenerle occupate, ma anche per instradarci verso riva. Mi sono infatti accorta che ce ne siamoallontanati.

«Sono qui coi ragazzi», risponde passandosi una mano sui capelli dorati. «Ci veniamo da quattroo cinque anni, da quando ne abbiamo diciotto insomma.»

«Ovviamente», ribatto sarcastica, sistemandomi il reggiseno del bikini nero affinché mi copraperbene il seno (quel poco che ho, insomma).

«Che cosa vorresti dire?» domanda Ryan fissandomi con le braccia incrociate.«Niente, solo che, dai, un gruppo di ragazzi in vacanza a Ibizia... è un po’ un cliché non trovi?»«Non sei proprio cambiata. Sputi sentenze anche dall’alto del tuo materassino, eh?» replica

spruzzandomi.«Ehi!» esclamo rendendogli pan per focaccia. «Te ne stai sulla difensiva perché ho ragione!»«Noi, a dire la verità, qui ci veniamo per le spiagge bellissime.»Sbuffo.«E per le ragazze, okay. Ma che male c’è, scusa? Siamo giovani, liberi e single...»Mentre parla, mi ritrovo a spuntare mentalmente la segretissima e aggiornata lista delle

caratteristiche del mio ragazzo ideale. Ce l’ho appuntata nel diario ed è così segreta che nemmenoCasey o Mia ne sono a conoscenza. Sono anni che la limo e la perfeziono.

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Il mio ragazzo ideale – È giovane. Non un ragazzino, diciamo un paio di anni in più di me.– Non ha legami, può fare tutto quello che vuole e andare dove gli pare.– È single. Mai rubare il ragazzo a un’amica.– È figo. Sì, sono frivola, e allora?– Ha un lav o interessante (cosa andrebbe meglio per una fotografa? Un Roadie? Naaa, sono sempre vecchi

ciccioni sudati. Produttore musicale? Forse. Artista? Be’, non dev’essere proprio un lavoro...)– Guadagna bene. Di nuovo: sì, sono frivola, e allora?– È istruito. Io non esco con gli ignoranti. Punto.– È colto.– Sa cucinare. Io no, e non voglio morire di fame.– Ha una be a famiglia (non che imp ti tanto, ma se me ne capitano altri due come i miei giuro che do di

matto).– È figo. Come Ryan Cooper. Dio mio se Ryan è figo.

Adesso però basta, Molly, smettila!«E tu che mi racconti?» domanda. «Con chi sei venuta?»«Un paio di amiche...»«Ah, ma non mi dire! Un gruppo di ragazze in vacanza a Ibiza, eh? Nessuna che conosco?»«Un’amica dell’università e Casey...»Nel sentirla nominare, Ryan sussulta.«C’è anche Alex, vero? Quindi tra loro non è finita poi così bene l’anno scorso?»Annuisce. «Già. Credo che per lui fosse una storiella leggera, e quando Casey ha iniziato a fare

sul serio si è spaventato.»Mi pare giusto. «Io non ero a Leigh quando si sono mollati, però so che Casey ci è rimasta molto

male. Secondo lei Alex l’ha mollata senza motivo. Credi che sia il caso di tenerli lontani?»«Ma no», risponde passandosi una mano tra i capelli. Un raggio di sole colpisce dritto l’orologio

che indossa e lo fa brillare. «Siamo adulti. Non mi va di dover scappare fuori da un locale quando cientrate voi. Quei due si sono già rincontrati a Leigh, sono sicuro che non è un problema.»

«Già, Leigh... mi ero dimenticata di quanto fosse piccola», commento, asciutta, mentre vogo conpiù lena per acquistare velocità. «Tutti sanno sempre i fatti di tutti. Uno dei motivi per i quali me nesono andata.»

«E uno dei motivi per i quali io invece sono rimasto. Mi piace conoscere tutti, mi piace che glialtri si preoccupino di me e della mia famiglia, che ci aiutino quando abbiamo bisogno o che siricordino di me dalla scuola. Mi piace che i miei migliori amici vivano ancora dietro casa...soprattutto perché così posso portare a mia madre i panni da lavare!»

Rido e lo schizzo. «Difficile lavarti le mutande da solo in Australia, eh?»Ryan si sdraia sul materassino e mi rivolge un sorrisetto sfacciato. «A dire il vero, no, perché

tanto io non le porto nemmeno.»Mi impongo di non arrossire. «Sono davvero sorpresa che tu sia tornato in Inghilterra. Certo che

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dev’essere stata dura.»«Non direi, visto che alla fine non sono più andato.»Mi aspetto che dica che sta scherzando, o perlomeno che senta un po’ d’imbarazzo per

l’ammissione, invece Ryan sorride e basta, offrendosi al sole come un super eroe che si ricarica allafonte del proprio potere. Che occasione buttata. Che peccato, di sicuro deve aver avuto un motivo piùche serio.

«Oh, è un vero peccato! È successo qualcosa?» m’informo solidale, aspettandomi che mi parli diun’incredibile opportunità di lavoro. O se invece si è trattato di un problema di famiglia, magariqualcuno si è sentito male, ha avuto un infarto o addirittura un cancro. O forse la vecchia lesione ètornata a farsi sentire... Poverino.

«Ma va’, è che ho deciso di non andare. La famiglia e gli amici mi sarebbero mancati troppo,quindi l’estate me la sono fatta a Leigh. Mi sono divertito un sacco. Ho allenato i ragazzi della scuoladi vela e sono diventato l’allenatore della squadra di calcio under 14. Ah, e poi lo sai che ho anchetrovato un lavoro?»

Questa volta sono io a scuotere il capo. Non sei andato in Australia per restartene a Leigh? Mache problemi hai?! «E dove?»

«Alla Thorpe Hall!» annuncia con un largo sorriso. Finge di sistemarsi una cravatta. «Non hannosaputo resistere a un ex studente famoso. Inizio a settembre. Ma tua madre ci insegna ancora?»

Annuisco senza spiccicare parola, sono troppo impegnata a digerire le informazioni.«Che strano pensare che saremo colleghi!» esclama toccandomi un ginocchio.Molto strano, vorrai dire.«Sì, be’, a pranzo dovrò ricordarmi di andare a mangiare nella mensa dei professori e non in

quella degli studenti. Visto che insegno educazione fisica, non penso che gli altri mi coinvolgerannonei loro giochi di potere, e poi vorrei essere più un amico per gli studenti che un bacchettone... Ah,non vedo l’ora d’iniziare!»

Annuisco, ancora incredula: Ryan Cooper è un insegnante. «Wow, certo che è davveroincredibile esserci incontrati qui a Ibiza per caso.» Poi un pensiero mi attraversa la mente. «Senti, masecondo te Alex e Casey c’entrano qualcosa?»

«E perché dovrebbero?»«Be’, Casey ha sempre avuto la fissa di vederci insieme, però non chiedermi perché...» Lo so, lo

sento che sto arrossendo. «E, sai, magari si è immaginata che saremmo state due coppiette felici. Sì,lei e Alex e tu e io.»

«Ma che idiozia. Noi due ci conosciamo appena.»Ha ragione. Negli ultimi anni ci saremo incontrati... quanto, quattro o cinque volte in tutto? Eppure

ogni volta che succede sento qualcosa dentro che non so spiegare. Non è mero desiderio, no; è comese lui potesse leggermi dentro.

Quel giorno, quando ci siamo incontrati per caso mentre ero a fare compere con mia madre, gli horaccontato dei miei genitori, gli ho rivelato i miei segreti più intimi e ho condiviso con lui sogni epaure perché sentivo che mi conosceva più di chiunque altro al mondo. E, nonostante gli anni, quandomi guarda come fa ora provo la stessa sensazione. Mi sembra di avere di nuovo quindici anni; sì, misento un’adolescente. Un’adolescente... innamorata.

Distolgo lo sguardo, in preda alla smania improvvisa di tornare dalle ragazze. Mi sento spaesata,la spiaggia potrebbe anche trovarsi sulla luna per quanto è lontana.

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Mi metto ad agitare furiosamente le mani come un cane. «Così non andiamo da nessuna parte»,commento guardando la distesa d’acqua che abbiamo innanzi.

«Tu dici?» domanda lui scivolando giù dal materassino. «Be’, allora forse dovremmo cambiaredirezione...» aggiunge inarcando un sopracciglio.

Mi raggiunge con possenti bracciate e posa una mano sul cuscino del mio materassino dicendo:«Dai, sdraiati».

«Scommetto che lo dici a tutte.»«Ti spiace fare come dico?»Obbedisco e, mentre mi stendo, mi sento addosso il suo sguardo che si sofferma più del dovuto sul

mio petto bianco e sul ventre ancor più pallido. Ma non protesto, anzi gli dico: «Non mi lasceraiandare, vero?»

«Mai.»Restiamo a fissarci in silenzio per qualche istante.«Pronta?» domanda, e io annuisco. Allora Ryan si volta e mi trascina via con sé, e io non sono più

sola a vagare nell’immenso oceano.

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Il bacio di Giuda

Vi è mai capitato di desiderare tanto un bacio da non poter più aspettare oltre? O di trascorrere ore e ore a immaginare ilmomento in cui accadrà, l’attimo delizioso in cui lo scorrere del tempo rallenterà e il respiro si farà più corto, mentre lospazio tra voi diminuisce, storditi dall’attesa e dalla mancanza d’ossigeno e dal desiderio? A immaginare il tocco di quellelabbra, della lingua, la sensazione dei respiri che si uniscono? E vi è mai capitato di trovarvi proprio in quella situazione e di scoprire che l’attesa era molto meglio dell’atto in sé? Che eraproprio il non baciarsi a darvi alla testa? E allora vi è mai capitato di concludere che trasformare una sciocca fantasia in realtà sia stato il peggiore sbaglio dellavostra vita?

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FF ▶▶ 9/12/04 18:07

«Uuuuuuh!»Un coro di gridolini riecheggia per il ristorante quando Christie si alza, col cappellino a cono un

po’ storto sull’acconciatura perfetta. Sorride a più non posso e il lucidalabbra brilla come una dellepalline colorate appese all’albero. La redazione di Viva al gran completo si è riunita per il pranzo diNatale al Gaucho Grill, ristorante argentino che si trova nel seminterrato di una stradina lateralevicino a Piccadilly. Come c’è da immaginarsi, è un vero paradiso della carne, l’incubo di vegetarianie degli amanti delle tradizioni natalizie: manca il tacchino, mentre di polli sempre pronti a far battutene abbiamo a volontà.

Le sedie sono ricoperte di pelle di vacca e i piatti sono pieni di bisteccone con purè, patate fritte espiedini di pomodori e funghi. La tavola è disseminata di bottiglie – in particolare di un eccellenteSauvignon della zona di Norton scelto da Christie e un Malbec, se possibile ancora più delizioso,scelto da Seb –, cappellini a cono e briciole. Il dessert è ormai un ricordo, Seb e il suo vice Dominicfumano il sigaro mentre noi ci siamo buttati sulla caipirinha. Seb ha spiegato a Dom pregi e difetti diogni qualità di tabacco e, tra un racconto appassionato e l’altro dei tanti viaggi in Sudafrica, gli hamostrato come fare esattamente. Ha tagliato con gesto esperto l’estremità dei Cohiba che ha scelto, liha accesi entrambi e ne ha allungato uno a Dom, che è riuscito a fare un paio di tirate prima didecidere, tra sputi e colpi di tosse, di limitarsi a tenerlo in mano mentre Seb chiacchierava,scherzava e lo punzecchiava tirando boccate da fine intenditore. Non che io lo stessi guardando,beninteso. Oh, per favore, ma chi voglio prendere in giro! Sono due mesi, da quando ci siamoincontrati a Vinopolis, che non gli levo gli occhi di dosso, che continuo a pensarlo e a immaginarecome sarebbe baciarlo. Ho provato a concentrarmi su Ryan e sul nostro rapporto, ho davvero provatoa riprenderne le fila per capire se magari la mia è una semplice «crisi del quarto di secolo» (esisteveramente, ne abbiamo parlato nel numero del mese scorso!) Eppure non riesco a levarmelo dallamente.

Casey è l’unica con cui ho condiviso i dubbi.Mi è stata ad ascoltare e a confortare ogni volta in cui l’ho disturbata nel cuore della notte in

discoteca o l’ho svegliata all’alba per condividere le mie pene. Sto malissimo, sento di aver traditoRyan anche solo dando voce alle mie incertezze. Una parte di me si domanda, stando così le cose,che cosa aspetto a lasciarlo. Ma è l’unico uomo che abbia mai amato e, quando sto con lui, sento cheè perfetto per me. I problemi nascono sulla «carta». L’altra notte ho persino buttato giù una listamentre mi dormiva accanto pacifico, stringendomi con un braccio. Ryan e io non siamo compatibili perché

A lui piace lo sport e a me la cultura

A lui piace restare a casa e a me piace uscire

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A lui piace cucinare e a me piace bere

A me piace viaggiare e a lui piace... tornarsene a casa sua Poi però l’ho subito strappata in mille pezzi, colpevole, mi sono alzata e ho chiamato Casey – tantosapevo che era ancora in piedi – per chiedere il suo parere.

«Non so cosa dirti, Moll. Io ho sempre pensato che tu e Ryan foste fatti per stare insieme... forsenon per sempre?»

Parole che continuano a riecheggiarmi nella testa.La cameriera posa sul tavolo tre secchielli del ghiaccio, Christie rivolge a noi tutti un sorriso

beato e io vuoto il bicchiere in un sorso.«Da brava timidona americana, non mi sento a mio agio a parlare in pubblico...» inizia, ma è

subito interrotta dalla nostra sonora risata. Christie adora il suono della propria voce, ma perlomenoha anche il senso dell’umorismo. «Tuttavia ho deciso di fare un’eccezione. Innanzi tutto, volevoringraziarvi tutti per aver lavorato tanto durante l’anno, siete stati tutti incredibili. Viva ha riscossoun successo senza precedenti.»

«Evviva!» Accogliamo con un grido d’approvazione la cameriera che inizia a versare lochampagne.

Christie aspetta che finisca, in modo da poter riprendere senza altre interruzioni. «Ma questo non èl’unico motivo che oggi mi spinge a parlarvi.» Prende un respiro profondo. «Sono sicura che non visia sfuggito che ultimamente ci sono state parecchie riunioni a porte chiuse...»

Affermazione che confermiamo con un accenno di risata nervosa, pur confortati dal suo sorriso.«L’amministratore delegato della Brooks Publishing ha deciso che il futuro della nostra rivista

può essere garantito solo attraverso il cambiamento costante. Siti web e blog divengono di giorno ingiorno più importanti, i nostri lettori sono sempre più difficili da accontentare, per questo i nostritecnici stanno sviluppando un sito della rivista, che sarà lanciato a marzo. Abbiamo lavorato sullaversione di prova per due mesi ed è stata approvata. Quanto all’edizione cartacea di Viva, dagennaio avrà cadenza settimanale.» Christie scoppia in una sonora risata alla vista di circa trentabocche che si spalancano fino a cadere sul tavolo.

Guardo Seb, che mi fa l’occhiolino: evidentemente lui ne era già a conoscenza. Gli sorrido e tornoa concentrarmi su Christie, sforzandomi d’ignorare il fatto che il cuore ha preso a martellare forte.Seb sembra così a suo agio in questo ambiente: con la schiena appoggiata contro lo schienale dellasedia ricoperta di pelle di mucca, avvolto da spirali di fumo che si fondono col buio, somiglia a MattDillon da giovane.

Mi sforzo invano di non girarmi di nuovo, e mi accorgo di avere gli occhi di Seb puntati addosso,resi ancora più intensi dalle ombre che gli danzano sul viso. Si passa una mano sul mento e misorride.

Nel frattempo, Christie sta continuando il discorso e io torno a concentrarmi su quello, perché soche è di un’importanza vitale per il lavoro e per il mio futuro.

«Quindi, oltre al nuovo formato, l’editore sta investendo davvero tutto nel lancio del sito e intendefarne il punto di riferimento per tutte le giovani inglesi.» Ci guarda. «Ovviamente, ciò significa più

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lavoro per tutti, e senza gratificazioni immediate. Fin tanto che non assumeremo delle persone che sioccupino esclusivamente dei contenuti on line, dovrete occuparvene voi. Chi meglio dellapluripremiata redazione di Viva può portare al sito conoscenze, creatività e fonte d’ispirazione?»

Un gemito corre lungo il perimetro del tavolo mentre ciascuno traduce il messaggio: più lavoroma non più soldi.

«In ufficio ci aspettano mesi esaltanti e insieme molto stancanti», prosegue Christie con un sorrisodisinvolto. «Ma non intendo parlare del duro lavoro che ci aspetta mentre siamo qui riuniti a pranzo.Oggi lo dedichiamo a festeggiare un gruppo brillante, una rivista incredibile e un futuro radioso.»Solleva il bicchiere. «A Viva 2005!»

Mi unisco anch’io al brindisi, travolta da un’ondata di entusiasmo. Il mio cuore è colmo di gioia,già pregusta le possibilità e le occasioni per il futuro. Quanto amo il mio lavoro, i colleghi, il capo,questo champagne, il Natale... Prendo il telefono dalla borsa. Sono le 18:30 e ho ricevuto tremessaggi da Ryan, tutti per chiedere dove mi sono cacciata e a che ora arrivo visto che stapreparando la cena.

Cacchio. Mi sono dimenticata di dirgli che oggi avevo il pranzo coi colleghi. Rispondo subito: FESTA DI NATALE AL LAVORO, SONO ANCORA A PRANZO. NON HO FAME, TU MANGIA PURE. BACIO, M. Invio e riprendo il bicchiere di champagne, ma il telefono inizia a squillare.

Mi faccio strada per uscire dalla panca e mi precipito su per le scale, uscendo nella pungenteserata invernale. Rispondo appena in tempo, ansimante.

«Cia...»«Perché ci hai messo tanto?»Il tono secco di Ryan mi ammutolisce.«Allora?» m’incalza.«Ero nel seminterrato del ristorante, sono uscita perché c’era troppo ca...»«Sono quasi le sette, la cena è già pronta. Perché me lo dici solo adesso che non torni a

mangiare?»«Scusami», dico d’impulso, subito irritata dalla mia stessa reazione. Mi sembra di vivere ancora

con la mamma e i suoi ridicoli coprifuoco. «Mi ero dimenticata che oggi avevamo il pranzodell’ufficio e ho perso la cognizione del tempo...»

Per strada, quattro ragazze passeggiano tenendosi a braccetto. Sono un po’ alticce e sfoggianoabitini corti e grandi sorrisi. Sembrano giovani, senz’altro più di me... oppure no? A ben guardarle,devono essere mie coetanee. Eppure sono molto più spensierate. Non hanno preoccupazioni almondo, non dovrebbero essere da nessun’altra parte, loro non hanno nessuno ad aspettarle a casa percena.

Tremante, mi tolgo dal marciapiede e mi rannicchio vicino all’uscita di emergenza. Avrei dovutoportarmi il cappotto, e non solo per proteggermi dal gelo dell’inverno.

«Quindi cosa fai, torni adesso?» brontola Ryan.Guardo l’orologio e sobbalzo. Non tanto perché sono le sette in punto, ma perché all’improvviso

mi rendo conto del tempo che passa e...Siamo nel XXI secolo.Il nostro rapporto dura da tre anni.

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Di anni ne ho appena venticinque.A quest’ora dovremmo divertirci come matte , interviene la me adolescente. Digli che non stiamo

affatto tornando.Sento il bisogno improvviso di ridere e ridere. Dev’essere per via dell’alcol, perché la situazione

non è certo divertente.Prendo un bel respiro e, spronata dall’emozione per le novità di Christie, dal divertimento quasi

assicurato di una serata fuori casa e – soprattutto – dall’ultimo bicchiere di champagne, pronuncio laparola che dovrei dire a Ryan più spesso. «No», rispondo con tono di sfida. «Non vengo a casa, nonancora. Mi sto divertendo coi colleghi al pranzo di Natale della redazione. È presto, perciò dopoandremo tutti insieme da qualche parte, cosa che non faccio spesso...»

«Ah!»«Che cosa vorresti dire?» lo incalzo con voce fin troppo bassa, anche perché ho appena intravisto

due colleghe che uscivano a fumare.Come vorrei unirmi a loro, anche se non ho più toccato una sigaretta da quando sto con Ryan. Mi

volto e me ne torno nell’ombra, perché non voglio che mi sentano discutere con Ryan. E sì che disolito io non urlo, sono sempre stata il tipo tranquillo che rimugina, mentre a Ryan piace parlaredelle cose ancora e ancora, di solito con un bel sorriso stampato in viso, fatto che mi fa imbestialire.

Per questo, pur chiedendogli che cosa intendesse con quel «Ah», so già che lo metterò all’angolo.Ryan non se ne rende conto, oppure decide d’ignorarlo.

«Significa che tu sei sempre fuori. E il drink dopo le pose, e i lanci, e i ’meeting di lavoro’,praticamente qui non ci sei mai. Anzi ci sei quando io torno a casa.»

«Non è colpa mia se nei fine settimana tu continui a tornartene di corsa a ’casa’ da mamma e papà.A ventisette anni di solito un uomo dovrebbe essersi già staccato dalle gonne della mamma e nel finesettimana dovrebbe voler uscire con la sua ragazza, non coi genitori.»

Ryan scoppia in una risata amara. «Ma porca miseria, Molly, guarda che io voglio uscire con te.Santo Dio. Solo che vorrei farlo a Leigh, sai, come mi avevi promesso... te lo ricordi? Dovevaessere un compromesso.»

Al diavolo i principi, io adesso alzo la voce! «Nel caso non te ne fossi accorto, Ryan, casa nostraè qui a Londra e già da un anno ormai. E guarda che io a compromessi ci sono scesa eccome.»

«Ne sei davvero sicura, piccola?»«Non chiamarmi piccola!»«Avevamo stretto un patto, te lo ricordi, Molly? Io mi sono trasferito a Londra per la tua carriera,

non certo per la mia. Non pensi che avrei preferito restarmene nella mia città, dove ci sono tutti imiei amici e la famiglia, dove c’è tutta la mia vita? E lavorare in una scuola dove non devopreoccuparmi ogni giorno che una lite tra ragazzini degeneri a coltellata? Però sono venuto a Londraperché fa felice te. Tu però avresti dovuto ricambiare venendo con me a Leigh nel fine settimana. Enon lo fai da mesi. E poi, quando capita una sera in cui possiamo trascorrere un po’ di tempoinsieme, tu che fai? Mi avvisi all’ultimo minuto che te ne resti fuori coi colleghi! Dio!»

La sua voce suona come quella dei cartoni animati quando parlano al telefono, o come quella diWoodstock dei Peanuts. Bla bla bla e basta. Va bene, va bene, ammetto che qualche volta è capitatoche venissi meno alla mia parte dell’accordo, ma a lui non intendo certo dirlo, perché quel suo tonopetulante mi ha reso più testarda che mai. E poi non posso certo rivelargli che l’unica ragione che miha spinto ad accettare di dividermi tra Londa e Leigh è stata la convinzione che non intendesse

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veramente fare avanti e indietro ogni fine settimana. Insomma, pensavo che la vita a Londra avrebbesolleticato il suo senso dell’avventura. Che si sarebbe fatto dei nuovi amici, com’è stato per me.Amici come Seb e Dom, o Matt e Nick, quelli che ho conosciuto il mese scorso con Casey. Ragazzicon interessi che non siano solo la partita della squadra di calcio cittadina e la birra con gli amici discuola. Speravo davvero che Londra desse nuovo impulso all’amore di Ryan per i viaggi, che sisarebbe accorto che là fuori c’è un mondo intero ad aspettarlo e che così avrebbe voluto vedere cittànuove, Paesi nuovi. Ma non è stato così. Ryan non è cambiato, anzi Londra è addirittura riuscita aridimensionare ancora di più le sue aspirazioni. Lui vuole solo il vecchio lavoro e la vecchia casa.

E d’un tratto nella mente si fa strada la convinzione che Ryan non cambierà mai. Non davvero.Solo ora mi rendo conto che, Australia a parte, qualsiasi luogo sarà sempre troppo distante da Leigh;ivi inclusa Londra. No, l’unica a cambiare in questo rapporto sono stata io. Sono cambiata per Ryanperché volevo stare a tutti i costi con lui. Mi ero convinta che tornando a Leigh avrei avuto menoaspirazioni, che avrei imparato ad accontentarmi. Ma non ce l’ho fatta. Io voglio uscire, vogliodivertirmi, voglio abbracciare la città in cui vivo e tutte le opportunità che ha da offrire. Voglioandare avanti. Lo voglio più di ogni altra cosa.

Più di Ryan? azzarda la me adolescente.La ramanzina è finita e un gran rumore di piatti e pentole riempie il silenzio della linea disturbata.«Cazzo!» esclama lui d’un tratto.«Che c’è?» domando controvoglia, distratta dalle sensazioni e dai pensieri.«Mi sono scottato la cazzo di mano versando le cazzo di linguine ai frutti di mare...»Proprio non riesco a trattenermi, ci provo ma sbuffo e poi scoppio in una sonora risata. Questo

litigio è talmente ridicolo. Noi siamo talmente ridicoli...«Come fai a trovarlo divertente!» esclama Ryan gelido.«Come fai a non farlo!» controbatto. E chiudo la telefonata. Non mi era mai successo prima di

chiudergli il telefono in faccia. Provo lo stesso moto di ribellione di quando, anni fa, mi sono tagliatale trecce e tinta di rosso.

È una bella sensazione, eh?Ci puoi giurare.Ridiscendo le scale verso il seminterrato scuro e, a metà strada, incontro i colleghi che stanno

uscendo.«Mooolllyyyy!» chiamano. «Noi andiamo alla Soho House! Tu che fai?»Incrocio lo sguardo di Seb, che mi fa l’occhiolino e si risistema la sciarpa di Paul Smith.

Annuisco giurando a me stessa che d’ora in poi io, Molly Carter, farò tutto quel cavolo che mi va difare. Tre ore e fiumi di alcolici e risate e battutacce dopo, sento che non solo merito di divertirmi tanto,ma che voglio, anzi no, ho bisogno di qualcosa di più. Soprattutto dopo tanto flirtare con Seb, che hacontraccambiato le mie attenzioni più che volentieri.

Alla fine ti sei decisa a darmi retta!La me quindicenne aveva ragione sin dall’inizio. I rapporti tarpano le ali, ti costringono,

t’invecchiano prima del tempo. Proprio come i miei genitori. Perché non darsi una botta di vita ognitanto? Insomma, sono giovane, relativamente carina eppure finora ho vissuto come una massaia

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d’altri tempi.E allora fai qualcosa! Nessuno ti biasimerebbe, te lo meriti! Sì, ti meriti un po’ di divertimento

senza complicazioni!Bicchiere dopo bicchiere, lunghe ombre si sono levate sulla mia relazione, eppure mi sento la

ragazza più bella e sexy del mondo. Una sensazione che, credetemi, mi capita di sentire solo quandosono con Ryan.

Non nominarlo! Non lo pensare nemmeno! Sei una donna indipendente del XXI secolo, che puòfare tutto ciò che vuole, quando vuole e non deve rendere conto a nessuno se non a se stessa! Èquesto il femminismo! È per questo che hanno lottato le suffragette, ricordi?

Ma solo quando esco con Seb all’aria fresca di Old Compton Street decido di portare ilragionamento al passo successivo. Mentirei se dicessi di non essermi mai addormentata accanto aRyan immaginando questo momento, eppure mai e poi mai avrei creduto di combinare davvero. Oraperò non riesco a pensare di trattenermi un minuto di più. Stiamo parlando, poi Seb si avvicina, sichina verso di me e per un istante so di avere una scelta: fare la cosa giusta o quella divertente.

Sbatto le palpebre, sorrido e Seb mi prende il viso tra le mani, lo avvicina a sé e preme le labbra– quelle labbra cui penso e ripenso da settimane – contro le mie e poi ci infila la lingua.Contraccambio con tutto l’entusiasmo di una ragazza che non bacia un altro uomo da più di tre anni.Chiudo occhi, spengo il cervello e, per un attimo, non sono più Molly Carter. Per una volta sonopiccante, sexy, spontanea e ribelle, sono Molly Ringwald in Breakfast Club, Demi Moore in StElmo’s Fire. Mi stringo a Seb, avida di questo bacio, di questo momento, di essere trasportata in unluogo eccitante, avventuroso, lontano dalla vita stabile e tranquilla in cui sono rimasta intrappolatacosì a lungo. Perché baciare Seb in questo modo mi fa sentire giovane per la prima volta da anni.

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FF ▶▶ 10/12/04 3:12

E solo dopo essermi infilata in un taxi con Seb, dopo essermi fatta trascinare oltre la soglia di casa,quando ormai mi trovo mezza nuda, con braccia e gambe divaricate sotto di lui, sul divano, e i fumidell’alcol e dell’adrenalina scemano, mi rendo conto che le labbra di Seb non sono sensuali comequelle di Ryan, bensì sottili, avare, per niente sexy. E i baci non sono più né divertenti né ribelli,solo meschini, rivoltanti perfino.

Mi scosto, nauseata dal suo alito amaro, che puzza di alcol e sigaro. E subito mi travolgeun’ondata tale di dolore e rammarico che devo spingerlo via. Dirgli di fermarsi. Che è un errore.

«Mi dispiace ma non lo voglio fare... Pensavo di sì, in uno stupido istante d’idiozia ho creduto divolere qualcosa di diverso ed è vero, però non... così. Non voglio fare questo al mio ragazzo. Non selo merita.»

Seb prova a stringermi a sé ma io lo spingo via e inizio a piangere calde lacrime. Sono scossa dasingulti tali che alla fine lui si decide a indietreggiare. Mi guarda come se fossi matta, e non lobiasimo perché è quello che sembro, una fuori di testa che non sa cosa vuole. Che ha perso di vistatutto ciò che è importante. Ed è vero.

Mi rialzo barcollando, infilo le scarpe e il vestito e il cappotto e incespico fuoridall’appartamento e giù dalle scale, in strada, in una zona che non conosco. Dal momento in cui hotradito il mio ragazzo, non m’importa più nemmeno della mia incolumità.

«Molly, aspetta! Lascia almeno che ti chiami un taxi», grida Seb dalla porta ma, proprio in questoistante, forse per un segno della divina provvidenza, ecco apparire un’insegna luminosa. Alzo subitola mano e m’infilo dentro, do l’indirizzo di casa all’autista e, mentre partiamo, getto una breveocchiata alle mie spalle e vedo Seb che scuote la testa e rientra sbattendo la porta. Chiudo gli occhi,ma mi sento come in una centrifuga e li spalanco subito, infilando una mano in borsetta in cerca delcellulare. Non lo trovo. Per un terribile, vomitevole istante penso di averlo perduto, o magari diaverlo lasciato al bar o che mi toccherà tornare da Seb, e scoppio in lacrime.

«Perso», esclamo piangendo, senza accorgermi che non è più al telefono che mi riferisco.Singhiozzando, frugo nella borsetta e, quando finalmente lo trovo, ho le dita intorpidite dal freddo

e il cuore ghiacciato dal dispiacere. Allora chiamo l’unica persona che possa aiutarmi. L’unica chemi capirà, che mi presterà ascolto senza giudicarmi. La migliore amica che abbia al mondo. Casey.

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12:10

La macchina per la pasta la metto in una scatola che andrà in beneficenza, poi mi guardo intorno. Non sono ancora granchécome cuoca tuttavia, con l’aiuto di Ryan e qualche amico (Jamie, Delia, Nigella, Gordon), sono diventata perlomenopassabile. Non vincerò mai a MasterChef ma so come muovermi e preparo sostanziosi stufati e piatti con la pasta fresca.Col tempo la cucina è divenuta il vero cuore della casa. Per qualche tempo è stata l’unica stanza senza fotografie, tutteinscatolate e ammassate nel ripostiglio sotto le scale, un po’ per via dei lavori di tinteggiatura (su una parete si vedonoancora le strisce di prova, mai nascoste) e un po’ perché non avevo più bisogno di guardarle ogni giorno. Poi, piano piano,sono riuscite a farsi strada un po’ alla volta sino a riempire ogni spazio visibile. Ma la novità è che si tratta di scatti degli ultimidiciotto mesi e non di più. Il mio modo di guardare al futuro. Ne sono rimaste un paio, le tolgo dal muro. Le ho lasciate perultime perché voglio portarle via io stessa, nella borsetta, dove saranno al sicuro.

Mi soffermo su quella che tengo in mano proprio adesso, ritrae tre donne a un matrimonio che si divertono come non mai.Una brilla e sorride più delle altre, simile a una dea greca in abito bianco. Chissà cosa starà facendo Casey. Ah, se solofosse qui. Ma è inutile pensarci adesso, ormai ho deciso che questo devo affrontarlo da sola.

Infilo la fotografia in borsetta e prendo l’altro scatto, un po’ sgranato e in bianco e nero. Lo osservo con attenzione perdistinguere i tratti della persona che vi è ritratta e infilo anche questa in borsetta.

Siedo al tavolo di formica degli anni ’50 in cucina, ingombro come sempre di carte. Quanto tempo trascorso qui apassare in rassegna le fotografie al portatile, assorta nella meticolosa scelta delle preferite, tra scatti editoriali e mieipersonali. Do un’occhiata all’estratto conto della carta di credito, impilato nella cartelletta di plastica. Ristoranti, bar, alberghiin giro per il Paese, gallerie d’arte, viaggi all’estero: i conti di una donna decisa a godersi appieno la vita. Mi metto a pensarea quanto ho impacchettato in così poco tempo.

Il telefono fisso riprende a suonare; ripongo l’estratto conto nella scatola e richiudo. Ma perché mi ostino a comportarmicome se stessi pulendo la mia cameretta e la mamma potesse spuntare in qualsiasi istante per chiedermi come procede ecogliermi invece a non concludere un bel nulla? Caspita, ho trentadue anni, non tredici!

«Pronto?» rispondo.«Molly.» La sua voce profonda e rassicurante mi porta a toccarmi d’istinto la collana e ad arrotolarmela intorno al dito

come se bastasse a farlo sentire più vicino. «Volevo solo sapere come procede. Mi dispiace così tanto di non essere lì conte, ma lo sai come vanno queste cose...»

Certo che lo so. So che ci sarà sempre qualcuno che ha bisogno di lui più di me. E lo accetto.«Qui è tutto a posto! Davvero! Ormai non è rimasto granché da fare», rispondo allegra.«Piccola, guarda che lo so quant’è dura per te.»«Sto bene», rido. «Ci sono abituata.» Oddio, detta così è proprio brutta. «Cioè, non c’è bisogno che ti preoccupi per me,

ormai sono grande e vaccinata... E all’ospedale come va?»«A che ora arrivano quelli dei traslochi?»Com’è bravo a cambiare discorso. «Sono già qui, stanno finendo di sopra. Te l’ho detto, è tutto sotto controllo.» Vorrei

tanto dirgli di non preoccuparsi, che ho bisogno di affrontare questo da sola. Ma non ci riesco. «Grazie di aver chiamato»,dico invece.

«Molly?»«Sì?» rispondo io, speranzosa.«Ti amo. Ci vediamo dopo, okay?»

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Il bacio da single

Molly la Bastian contraria, così mi chiamava mia madre. Decidevo che mi piaceva qualcosa e poi, una volta ottenuto,cambiavo subito idea. È successo così per la danza, l’equitazione, il nuoto e infine di nuovo la danza. Stesso discorso pergli animali. Prima volevo un coniglietto nano, poi un gatto, poi un cane (e alla fine non ne ho avuto nemmeno uno, perchéormai i miei genitori avevano mangiato la foglia). Le uniche costanti per me erano e sono sempre state la macchinafotografica e Casey. E poi c’era Ryan. L’uomo perfetto, l’amore della mia vita. L’ho voluto, l’ho avuto, poi mi sono stufata e ho gettato tutto all’aria.E sono dovuta andare fin dall’altra parte del globo per capire che tutto ciò che avessi mai potuto desiderare mi aspettava acasa.

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FF ▶▶ 24/04/05

Le nostre grida riecheggiano per tutto l’aeroporto di Sydney, sembra addirittura che escano daglialtoparlanti. La gente tutt’intorno ci guarda infastidita mentre Mia e io ci lanciamo l’una nelle bracciadell’altra e iniziamo a girare in circolo. Io sono in lacrime, Mia no. È sempre stata una tosta, persinopiù di me. È la snob che è in lei. Mi ha raccontato di aver pianto una sola volta, da bambina, perché isuoi l’avevano mandata in un collegio. Aveva undici anni, da allora più nemmeno una lacrima. Unodei molti lati del suo carattere che mi hanno attirato subito: Mia non aveva bisogno di nessuno e, cosapiù importante, non aveva bisogno di me, però mi voleva come amica.

Dalla rottura con Ryan e, a maggior ragione, dopo averlo visto baciare un’altra in discoteca, hosperimentato uno stravolgimento emotivo. Sono diventata una dalla... lacrima facile. Basta unnonnulla per farmi scoppiare: uno spot pubblicitario, una commedia romantica perché mi rammentaRyan, il modo in cui si asciugava gli occhi senza troppa vergogna durante le nostre maratonecinematografiche del sabato. Adesso sono io quella che si mette a piangere ogni volta che vedo unacoppia innamorata, che sia in televisione, per strada, al cinema, in un video musicale; ho piantoanche quando Brad e Jen hanno dato l’annuncio ufficiale della separazione. Piango se passo accantoa una famigliola felice al ristorante, piango per il lieto fine di un film quanto per i finali tragici.Piango se incontro un bel cucciolotto o se vedo un bambino piangere. Di tanto in tanto mi domando seanche a Ryan è accaduto lo stesso, se è divenuto un uomo duro e cinico che non crede più nell’«evissero per sempre felici e contenti» e nell’anima gemella, perché tanto ti tradirà comunque, come hofatto io. Un pensiero che mi squarcia in due: una parte di me non può sopportare l’idea di averglifatto una cosa simile, l’altra spera in gran segreto che sia accaduto. Perché significa che, perlomeno,non si rinnamorerà tanto facilmente. In questi mesi mi sono imposta di andare avanti, di tornare avivere, ciononostante la mia paura maggiore è sentir dire che Ryan frequenta un’altra. E, dopo avervisto quel bacio, so che è solo questione di tempo.

«Molly Carter, sbaglio o stai piangendo?» mi domanda Mia stupita. Come del resto lo sono io nelvederla: quant’è cambiata! È sempre stupenda, raffinata, ma anche più rilassata e contenta.

«No, sì, no, cazzo! Il volo è stato lunghissimo, sono distrutta», rispondo passandomi imbarazzatala mano sugli occhi e tirando sul naso gli occhiali da sole. A malapena soffoco un singhiozzo mentremi guardo intorno e rivivo le scene di Love Actually attraverso i baci e gli abbracci degli altriviaggiatori che ritrovano amici e persone care. Ed ecco che le lacrime riprendono a scorrerecopiose.

Mia non la prende per nulla bene. «Tu hai frequentato troppo Casey. Per fortuna ti ho preso giustoin tempo!»

Così dicendo, mi prende la valigia e mi trascina verso l’uscita. Questa Molly non l’aveva maivista, la fragile Molly che scoppia a piangere per un nonnulla e che si è dovuta trasferire da Casey eproprio a Southend perché non poteva restare sola. Soprattutto non nel nostro appartamento, doveogni cosa mi ricorda lui. Ma anche vivere a Southend, così vicino a dove siamo nati e cresciuti, a unluogo che è Ryan, si è rivelato altrettanto insopportabile. So che torna dai suoi ogni fine settimana, e

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poi la cittadina è piccola e, come si dice, la gente mormora, perciò ho saputo di ragazze con cui èuscito o che avrebbero voluto uscire con lui, ma finora nulla di serio. Però mi giunge tuttoall’orecchio. Ed è una tortura, ma non voglio che smetta. Sentir parlare di lui, se non altro, lo rendeancora parte della mia vita. E poi non sapere nulla non mi farebbe certo stare meglio. Non ho via discampo. Avevo persino scritto una lista al computer, per cercare di capire cosa fare, e tutto portavain una sola direzione. Piano per rimettermi in sesto

1. Fare qualcosa di drastico (taglio di cape i? Dieta? Ingrassare? Cambiare lav o? Cambiare Paese? VediLista vita per es. New York/Australia?)

2. Circondarmi di buoni amici che non lasceranno che mi compatisca (Casey? Colleghe? Mia?)3. Andare il più lontano possibile da Ryan (Australia?) Rammento ancora che avevo esitato prima di digitare l’ultimo punto, per poi farlo in maiuscolo esottolineato. 4. COMPRARE UN BIGLIETTO PER L’AUSTRALIA

«Ehi!» esclama Mia scuotendomi bruscamente. «Forza, Molly! Riprenditi!» Sembra la mamma. Ed èbizzarro e insieme confortante. «Adesso sei in Australia, e qui non piange mai nessuno. Non ce n’èbisogno perché il sole splende sempre. Nelle prossime tre settimane tu ti divertirai e basta! Non sipiagnucola! E non si pensa al lavoro! Ti porterò a conoscere bei ragazzi a Manly, a bere birra sullaBondi Beach e, se ci riesco, anche a fare sesso a Sydney...»

L’espressione che mi si dipinge in viso dev’essere più inorridita di quanto penso perché Mia siporta subito una mano alla bocca.

«Oh, no, detta così suona malissimo, vero? Ovviamente non intendevo dire che sarò io a portarti aletto, solo che intendo incoraggiarti a... ma non mentre lo stai facendo, non voglio fare la ragazzapompon del sesso e... ufff...» Non riesco a trattenere una risata e Mia sorride. «Oh, così va meglio, ècosì che voglio vederti sempre! Allegra! Sei in vacanza in Australia! Adesso puoi depennarlo dallafamosa lista! Yuhuuuu!»

Mi unisco al grido entusiastico, ma con meno impeto. Fuori dall’aeroporto troviamo ad aspettarciun sole abbacinante, che poi, a sentire Mia, qui è del tutto normale in inverno.

«Guardati intorno!» esclama con un gesto e un’espressione negli occhi che manifestano tutta lapassione per il Paese d’adozione, l’orgoglio che prova nel mostrarmelo. «Adesso sei in Australia, laterra della libertà! E tu sei libera, Molly! Sei libera e single! Aspetta di vedere gli australiani! Sonodavvero fighissimi...»

«Sì, be’, non sono sicura di essere venuta anche per quello. Io voglio stare con te e...»«Aaah! Smettila di essere così schifosamente British! Sei single e, se proprio vuoi saperlo,

secondo me una bella scooop...» Intercetta la mia espressione e si corregge: «Cioè, un po’ didivertimento è proprio quello che ti ci vuole!» Mi lancia un’occhiata che non nasconde quanto il mioaspetto la deluda. Lo so anch’io di essere un disastro, dopo ventiquattro ore di volo, poi.

E accanto a Mia sfigurerei comunque! Gli anni vissuti qui hanno trasformato la rigida e sempre

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impeccabile inglesina nell’incarnazione del glamour australiano: ha ancora i suoi jeans bianchid’ordinanza e la maglia scollata sulla schiena, solo che stavolta al posto dei tacchi indossa un paio diinfradito hawaiiane. I capelli color caramello sono sempre lunghi e acconciati alla perfezione,manicure e pedicure sono impeccabili, e il viso è disteso e luminoso. Mia è semplicemente radiosa,trasuda sicurezza e gioia. Non c’è che dire, la vita dall’altra parte dell’Equatore le calza a pennello.

Così come la vita da single infedele in preda al caos emotivo mi calza a pennello.Mia mi afferra per le braccia e mi fissa dritto negli occhi, inarcando un sopracciglio. «Molly

Carter, tu devi lasciarti andare.»Annuisco. Duro ma giusto.«Lo so che per te gli ultimi mesi sono stati pesanti, ma adesso devi rimetterti in sesto e

ricominciare daccapo. Voglio che questa vacanza ritiri fuori la vecchia Molly, quella che abbracciala vita e le opportunità che ha da offrire.» Mi stringe forte le mani e attacca col discorsod’incoraggiamento: «D’ora in poi la mia missione sarà rispedirti a casa più forte, felice e più sicuradi te stessa di quanto tu non sia mai stata». Poi il viso si addolcisce. «Non ce la faccio a vedertiridotta così, proprio non sei tu.»

Mi tremano le labbra, sorrido e passo una mano sui capelli lunghi e sporchi che ho diviso in duetrecce. Dovrei scattarmi una foto, la mamma ne sarebbe soddisfatta. «Ma è proprio questo ilproblema. Senza di lui non so più chi sono.»

Mia mi abbraccia. «Molly, tu sei una donna forte, di talento, appassionata, bellissima eindipendente, ecco chi sei. Hai talmente tanto nella vita e altrettanto da offrire. Hai il mondo ai tuoipiedi, un mare infinito di possibilità. Non hai legami, e forse non ti rendi conto di quanto siafantastico! Hai venticinque anni e puoi fare tutto ciò che vuoi! Smettila di sguazzare nel passato econcentrati sul futuro. Perché guarda che esiste un futuro anche senza Ryan, te lo prometto.» Prende lamaniglia della valigia e mi conduce nel solleone, che mi scalda la pelle, e forse anche lo spirito. Due settimane dopo sento di essere entrata a tutti gli effetti nel fan club dell’Australia. Per Mia èstato una gioia mostrarmi come vive e per me è stato una gioia seguirla. Dal meravigliosoappartamento a Manly, cosmopolita sobborgo in riva all’oceano di fronte all’industriosa Sydney,all’incredibile vista sul mare dalla finestra della camera; dall’accogliente bar sotto casa – che fa icocktail migliori che abbia mai assaggiato – al posticino delizioso in cui compriamo il frullato ognimattina. E poi, ancora, la paradisiaca spiaggia a pochi minuti da casa e il panoramico tragitto inbarca che Mia compie ogni giorno per andare al lavoro.

«Non c’è paragone con la metro, vero?» ha domandato mentre le sedevo accanto, coi capelli chemi svolazzavano intorno. La vista dell’Harbour Bridge toglie il fiato, e le caratteristiche veledell’Opera House fanno sembrare che l’edificio sia emerso dall’acqua blu-Disney. Per non parlaredel colpo d’occhio degli edifici scintillanti della città che si stagliano all’orizzonte come unmiraggio. Da quanto tempo sogno di ammirare questa vista? E i sorrisi soddisfatti e rilassati deipendolari rivelano che è un dono per il quale non mancano di ringraziare ogni giorno.

«Proprio per niente», ho risposto. Ed è così. Sydney è esattamente come la sognavo. Di unabellezza sconvolgente, cosmopolita e amichevole. Mi ha accolto come una vecchia amica e mi hafatto sentire parte di sé benché sia una mera conoscente, e mi ha reso senz’altro più felice di quandosono arrivata. Sono andata a correre in spiaggia ogni mattina, ho preso lezioni d’immersione mentre

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Mia era al lavoro, ho comprato prodotti freschi locali in un mercato agricolo e cucinato in un mododi cui non mi credevo capace, forse perché ai fornelli c’era sempre e solo Ryan. Ho trascorso oreper le strade da sola a scattare centinaia di fotografie che poi ho spedito a Christie e alle ragazze inufficio. Sono andata a mostre d’arte e fotografiche e, a pranzo, Mia mi ha portato nei suoi ristorantipreferiti. Di sera non abbiamo avuto che l’imbarazzo della scelta: frequenta una quantità di localiincredibile. Si è anche presa qualche giorno di ferie, così abbiamo potuto fare una minicrociera alleWhitsundays. Non mi sentivo così leggera da mesi.

Mi piace la sensazione di libertà che provo qui. Non ho una famiglia per la quale sentirmi incolpa, Casey non mi dà il tormento per uscire, niente amici del lavoro coi quali fingere (o da evitare,come Seb). Mi sento felice per la prima volta da anni. E lo so perché l’Australia mi piace tanto.Perché è il primo luogo al mondo in cui non mi sento obbligata a rendere felice qualcun altro.

Qui non esistono obblighi né pressioni. Se qualcuno chiede cos’hai fatto e rispondi che sei stata inspiaggia o che ti sei fatta un paio di boccali di birra, va bene così. Va bene perdere un pomeriggiointero al bar o al mercato. Non importa a nessuno se non sei stato all’ultima mostra o se non vedi ituoi da tre mesi. Qui non esiste dottrina che insegni a lavorare per dieci ore al giorno, sette giornialla settimana. Da quando sono arrivata, non ho ancora scritto una lista di cose da fare. La primaregola di vita da queste parti sembra essere: se c’è bel tempo, il surf prima di tutto e il resto puòaspettare.

Uno stile di vita all’insegna della beata serenità, capisco perché a Mia piace tanto.Il tempo per dedicarmi alla fotografia mi ha fatto comprendere quanto mi mancasse. È il prossimo

punto della lista su cui mi dovrò concentrare. Subito dopo riuscire a dimenticare Ryan.Il tempo trascorso lontano dalla famiglia, invece, me ne ha fatto sentire la mancanza, tanto che non

appena mi sveglio chiamo subito mamma e papà per dirglielo, cosa davvero mai vista né sentitaprima!

Mamma sta preparando la cena: Shepherd pie, il piatto preferito di papà. «Così almeno riesco atirarlo fuori dall’ufficio», commenta brusca. «Se potesse ci resterebbe anche a dormire, in quel suopiccolo mondo, con tutte le sue cose, i libri e i quadri. Ma va bene così», aggiunge raddolcendosi.«Se davvero lo rende felice...»

E d’un tratto mi ritrovo a pensare che Leigh-on-Sea è il quadro di Constable di Ryan, il luogo incui è più felice e ispirato. Sbatto le palpebre per scacciare una lacrima. La mamma perlomeno haconcesso a papà di tenerselo, il suo quadro, io invece a Ryan l’ho letteralmente strappato di mano eper di più l’ho anche fatto sentire in colpa ogni volta che provava a riprenderselo.

«Mamma, volevo chiederti una cosa...» Prendo un bel respiro. «Tu sei felice con noi? Intendo, conpapà e con me? Sei contenta?»

«Che domanda, ma certo!» esclama con una risata.Non è ciò che mi aspettavo di sentire. Devo scavare, scrostare la facciata che erge per il resto del

mondo. «Intendo dire, sei soddisfatta della tua vita o senti che ti è mancato qualcosa?» insisto,conoscendo già la risposta. «Perché a me non sei mai sembrata soddisfatta.»

«Dici davvero? Be’, ma non è mica vero, io non...»«Mamma, per una volta puoi essere onesta con me? Smettila di recitare. Perché io riesco a vedere

oltre, l’ho sempre fatto.»«Molly Carter, vuoi piantarla con tutte queste sciocchezze?» mi sgrida col suo classico tono da

insegnante.

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«Mamma, guarda che ti ho sentito dire a papà che sareste rimasti insieme solo per il mio bene.Capisci? Vi ho sentito. Avrò avuto undici o dodici anni... Ero seduta sulle scale mentre tu e papàlitigavate. Anzi tu gli gridavi contro che sarebbe stato meglio lasciarvi e lui ascoltava senza direniente, come al solito...»

«Omioddio mio, quello! Non mi ricordo nemmeno più per quale sciocchezza ci eravamo messi adiscutere, poi a letto ci siamo chiariti e gli ho chiesto scusa. Tuo padre sapeva che non intendevoveramente quelle cose e il giorno dopo è stato come niente fosse successo.»

Fisso la cornetta, incredula. «Ma... ma... io pensavo... io...»«Molly, tuo padre e io non abbiamo mai avuto intenzione di lasciarci, nemmeno nei periodi

peggiori e, sì, ce n’è stato più di uno. Come quello in cui abbiamo tentato di avere un altro figlio,tanto per farti un esempio.»

Una rivelazione che mi scuote nel profondo e mi rattrista. Sono sempre stata convinta che, dopo dime, non avessero più voluto saperne. Come ho potuto essere tanto egocentrica?

«Io e tuo padre andiamo d’accordo. A modo nostro, ma siamo fatti l’uno per l’altra. Forse nonsaremo straordinariamente affettuosi come Jackie e Dave e nemmeno i genitori più esuberanti delmondo. So bene di essere stata severa, mentre tuo padre lo è stato troppo poco e questo ha creatodelle tensioni. Ero stressata per via del lavoro e me la prendevo con lui quando non riconosceva chela mia carriera, la mia posizione era al pari della sua. E che in più a me spettavano anche tutti glialtri compiti di una madre: cucinare, farti mangiare, portarti a lezione di danza, musica, equitazione oquale che fosse il capriccio del mese. A me spettava comprarti dei vestiti nuovi, rammendare, lavarel’uniforme di scuola, cucire costumi per le recite. Lui doveva solo andare al lavoro e... sognare. Etalvolta quest’ultima parte era piuttosto frustrante per me. Per questo abbiamo concordato chel’avrebbe fatto in ufficio, dove non l’avevo sotto gli occhi seduto a far niente mentre io mi davo dafare per quattro. Ma, come lui stesso mi ha fatto notare, sono stata io a scegliere di essere tantooccupata. Avrei potuto lasciar perdere alcune cose, essere più clemente con me stessa... e con te. Sobene quanto mi aspettassi da chiunque. E so che questo ci complicava la vita. Perché per te io volevosolo il meglio.»

«E pensi di essere riuscita ad avere il meglio per te? Non hai fatto il lavoro che sognavi, non haisposato un uomo ricco e non hai avuto nemmeno una bella casa. O la famiglia che sognavi»,aggiungo, pensando al fratellino o alla sorellina mai nati.

«È vero. Ma ho avuto l’unica cosa che chiunque desidera più di ogni altra...» Tossisce. So benequanto sia difficile per lei parlare in questo modo.

«E che cos’è?»«L’amore, Molly. L’amore.»Mi copro la bocca per soffocare i singhiozzi.«Amare qualcuno significa avere la consapevolezza che non sarai felice ogni minuto della vita,

che l’altro non può renderti felice ogni minuto della vita. È una speranza irrealistica, campata peraria. E talvolta in un matrimonio o in una relazione di lunga data...» S’interrompe per alcuni istanti eso bene che si riferisce a me. «Be’, bisogna tenerlo ben presente. Quando tuo padre non ne può più,se ne va in ufficio oppure a Londra a vedere una qualche mostra. E quando torna mi dà un bacio ed èdi nuovo tutto a posto. Sa bene che ho un brutto carattere, è uno dei miei difetti peggiori. Però sa pureche non penso neanche la metà delle cose che dico.»

Non ho parole, d’improvviso tutto acquista un senso.

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«Nonostante la frustrazione di alcuni momenti, io sono sicura di non aver mai desiderato altro. Etuo padre l’ha sempre saputo. Mi dispiace solo che non siamo riusciti a farlo capire anche a te.»

«Ma come facevi a essere sicura di non desiderare altro?» domando d’impulso, perché voglioconoscerlo anch’io, questo segreto!

Mamma riflette per qualche istante. «Vedi, Molly, quando sto con tuo padre, sono di più le voltein cui sono felice di quelle in cui sono infelice. Non insegno matematica, però penso che questa sia lamiglior equazione possibile al mondo. Non sarà molto romantica, me ne rendo conto, ma perlomeno èvera.» Tira su col naso, chissà se sta piangendo? «E chiunque si sentirebbe molto fortunato ad averavuto la percentuale di felicità che ho avuto io nella mia vita.»

Io piango di sicuro. Ci separano oltre sedicimila chilometri e d’un tratto vorrei tanto poterlaabbracciare.

«Ti manca tanto. Ryan, intendo. Vero?» domanda, circospetta, e ogni parola è un passettino versodi me. Non siamo abituate a parlarci così.

Sbuffo e mi soffio il naso. «Che cosa posso fare?» singhiozzo.«Dirglielo, Molly. Diglielo e basta.»E così quella mattina metto giù il telefono, apro il portatile di Mia e, per la prima volta da quando

portavo le trecce e quello stupido vestito alla marinara, faccio come mi dice mia madre. Ogni parola,ogni virgola, ogni frase sono un’agonia. Cancello due paragrafi e ricomincio daccapo. Provo aspiegargli perché ho fatto quello che ho fatto. Provo a scusarmi come prima cosa, e poi come ultima.E alla fine cancello tutto. Non riesco a esprimere a parole ciò che provo. Ma per fortuna poi capisco.Cerco sul desktop le vecchie fotografie che stavamo guardando ieri sera io e Mia e che, daossessivo-compulsiva quale è, ha ordinato in varie cartelle che ha nominato per anno e per mese.Immagini dell’università e delle serate fuori, e la festa di addio quand’è partita per l’Australia. Aprola cartella denominata Luglio 2001 e scorro gli scatti di quella vacanza a Ibiza, quella che mi hacambiato la vita, e trovo una serie di fotografie di Ryan e me in spiaggia, durante le partite dipallavolo, mentre mi abbraccia, mentre ci guardiamo negli occhi, persi l’uno nello sguardo dell’altracome fossimo su un’isoletta tutta nostra a chilometri e chilometri di distanza. Giovani, spensierati ecompletamente, schifosamente felici. Apro la posta elettronica, digito l’indirizzo di Ryan e la parolaAmore nell’oggetto e allego le fotografie. Non aggiungo altro, solo un bacio e il mio nome. E invio.

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Apro il ripostiglio sotto le scale e maledico secchio e scopettone con straccio che mi franano addosso.«Ahia!» strillo massaggiandomi il naso. Poggio lo scopettone contro la porta e sbircio dentro. Quante cose ammassate

qui dentro quattro anni fa e poi dimenticate. Dover inscatolare tutto è un po’ come una caccia al tesoro con roulette russaincorporata, perché i ricordi belli e quelli dolorosi sono sparsi ovunque, senza un ordine. Ma, quando avrò finito, sarà unsollievo.

Raccolgo i capelli in una coda di cavallo raffazzonata, prendo uno scatolone e mi accovaccio davanti a centinaia discontrini, programmi, pieghevoli, biglietti e bigliettini. Ne prendo uno a caso. È di Rossi’s, e mi strappa un sorriso: 6 agosto2001, il nostro primo appuntamento. E questi qui accanto sono del concerto per la reunion dei Take That del 2006 all’Arenadi Wembley. Che serata memorabile! Non avevo mai visto Ryan così contento. Questi altri invece sono tutti biglietti delcinema. Ne prendo uno e subito sento le lacrime agli occhi nel rendermi conto che è di Molto incinta, l’ultimo film che siamoandati a vedere insieme. Una pellicola allo stesso tempo esilarante e triste, toccante e ironica. Ricordo ancora che glistringevo forte la mano e che singhiozzavo senza sapere se fosse per le risate o per le scene tristi. Lo rimetto nelloscatolone e richiudo tutto. Basta rivivere il passato. Non ne ho più bisogno. Ci scrivo sopra Deposito e trascino lo scatoloneall’ingresso. È molto pesante e io non sono mai stata un tipo particolarmente sportivo o in forma, nemmeno da ragazza,figuriamoci adesso. Spingo e tiro, strattono, e a ogni sforzo la preziosa collana che indosso mi rimbalza contro, come undito che mi pungola per rammentarmi della sua presenza nella mia vita. Lo stringo forte e sorrido.

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Il bacio del finché morte non ci separi

Da strenua detrattrice del matrimonio, quando poi sono entrata nell’ordine d’idee di sposarmi, non ho potuto non chiedermicosa cavolo mi avesse trattenuto tanto a lungo dal compiere il grande passo. Senz’altro la paura di ciò che rappresentaquesta istituzione, del suo essere definitiva, assoluta. Un’unica persona per tutta la vita. Ora so che non sempre è possibile.

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FF ▶▶ 22/04/06

Mi sveglio all’alba, mi sfrego insistentemente le palpebre per obbligare gli occhi ad aprirsi e mimetto subito in moto; per fortuna il fisico risponde per istinto al pensiero che mi ha tenuto svegliafino a tarda notte. Oggi mi sposo. Mi tiro su a sedere e porto le mani al petto per soffocare ilgridolino di gioia. Oggi mi sposo!

Guardo la bella addormentata al mio fianco, ma Casey ha un’espressione così serena e beata, colbraccio sopra la testa, che non me la sento. Non ora almeno. Mi giro verso il comodino e prendo ilblocchetto che ho lasciato lì ieri sera. Lista per il giorno del MIO matrimonio.

Fotografare l’albaMani-pedicureSposarmi!Colazione con mamma, papà, ecceteraSposarmi!Regalini di ringraziamento nella camera d’albergo di mamma&papà, di Lidia, Jackie, ecceteraSposarmi!Dare il regalo di Ryan a CarlSposarmi!TruccoSposarmi!Raccogliere fiori per bouquet e corpetti+fasce damigelleSposarmi!Ricordarsi di portare i regali per le damigelle giù in receptionSMS a Carl per verificare che abbia gli anelliINDOSSARE L’ABITO

Sposarmi!!!Sposarmi!!!Sposarmi!!! Do un’occhiata all’orologio. Non sono ancora le sei, però scivolo comunque fuori dal letto e vadoalla finestra. Il sole inizia a far timidamente capolino dal mare, proiettando tutt’intorno decine diombre, come se la natura s’inchinasse dinanzi al suo potere. Voglio catturarne la grandiosa entratacome si deve, in uno scatto che renda questo giorno mio per sempre.

Tolgo in fretta i pantaloncini del pigiama, tengo la canottiera di pizzo con cui ho dormito e infilo ijeans bianchi in stile Audrey Hepburn che indossavo ieri per la cena con le damigelle e i mieigenitori, lego il foulard che uso a mo’ di cintura, raccolgo i capelli in una coda di cavallo, scivolo

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nelle Converse (certe cose non cambiano mai) ed esco senza far rumore. Casey si agita e si rigira nelletto; trattengo il fiato ma non apre gli occhi, perciò mi richiudo la porta alle spalle e scappo lungo ilcorridoio: devo cogliere l’attimo prima che sia troppo tardi.

Corro fuori dall’albergo fino in spiaggia e, sollevando l’obiettivo, a ogni scatto mi rendo contoche la mia mente è come un archivio di ricordi che scorrono furiosamente attraverso gli anni chehanno riportato Ryan e me in questo luogo dove ci siamo scambiati il nostro primo vero bacio.Alcuni di questi ricordi li trovo con facilità, altri sono archiviati in modo casuale e richiedono unaricerca metodica, altri ancora li ho messi fuori posto o in vecchi scatoloni polverosi nei recessi dellamemoria perché non voglio che quelli cattivi rovinino questo giorno perfetto. Sono sempre statabrava a suddividere tutto in liste e scatole, e adesso più che mai.

A poco a poco il sole illumina il cielo d’Ibiza in technicolor, contornando d’oro i pochi sbuffi dinuvole, così pare che indossino la vera. Siedo su una duna di sabbia, mi abbraccio le gambe esorrido al pensiero del futuro che mi aspetta, della vita che sto per intraprendere come moglie diRyan.

Guardo lungo la spiaggia e scorgo due windsurfisti poco oltre la caletta; non mi occorre vederli infaccia per sapere che sono i due fratelli Cooper. Sarebbe da Ryan voler iniziare la giornata così ericonoscerei il suo corpo, il modo in cui si china, la curva delle gambe... sì, lo riconoscerei tra mille.L’ho osservato così tante volte negli anni, durante le vacanze trascorse insieme... e chissà quanti altriviaggi faremo in futuro! Li guardo sorridendo, godendomi il piacere proibito di vedere il miopromesso sposo nel giorno delle nozze. Un pensiero dal retrogusto scaramantico. Non porterà micamale, vero? Non conta se sei la sposa e non ti vedono, no? «’Giorno», mi accoglie Casey sbadigliando quando ritorno in camera con un vassoio pieno di frutta ecaffè.

«Ehi, dormigliona, è ora di svegliarsi. Guarda che oggi mi sposo!» rispondo saltando sul lettomentre Casey geme e cerca di tirarsi il lenzuolo fin sulla faccia.

«Santo Dio! Se sei già così esaltata alle...» Dà un’occhiata all’orologio. «Alle sei e venti delmattino, figurati come sarai insopportabile questo pomeriggio.»

«Ma io ho il diritto di essere insopportabile! Io sono la sposa!»Le porgo una tazza di caffè, Casey si alza e inizia a sorseggiarlo piano.Qualcuno bussa alla porta e un istante dopo Mia e Lydia irrompono nella camera gridando.

Entrambe indossano una felpa rosa della Gap; vorrei tanto avere il tempo d’impugnare la macchinafotografica per immortalare questo momento, perché mai e poi mai avrei pensato di vedere Miavestita così... casual!

«Oggi ti sposi! Oggi Molly si sposa!» cantilenano.Jackie, la mamma e nonna Door le seguono a ruota. La mia quasi suocera indossa una vestaglia di

satin rosa e ha una maschera per gli occhi sulla testa. È già truccata, oppure lo è ancora da ieri sera.So che è uscita a cena con Dave, Carl, Ryan e i ragazzi, sono andati da qualche parte nella cittàvecchia. Nonna Door è vestita, ma mi auguro che non intenda presentarsi al matrimonio così perchéindossa una tutona rosa davvero impossibile. La mamma invece è in camicia da notte di flanella ecardigan rosa, e ostenta un sorriso imbarazzato. Ho come l’impressione che sia stata trascinata qui daJackie, se non altro perché non è tipo da presentarsi in camicia da notte in pubblico, non di sua

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sponte. Vorrei abbracciarla, ma Jackie si è lanciata sul letto e ha deciso di fare a cuscinate con mequindi, ogni volta che provo ad aprire bocca, mi ritrovo in faccia un bel sacco di cotone ripieno dipiume d’oca.

«Jack... Jackie, basta! Mi rovini la...» Ci rinuncio.Lydia, Mia e Casey si uniscono alla lotta e, tra una cuscinata e l’altra, riesco a scivolare via e a

raggiungere la mamma. Le verso una tazza di caffè dalla brocca – senza zucchero, proprio comepiace a lei – e la prendo a braccetto per uscire sul balcone.

La mamma ammira la vista mozzafiato sul Mediterraneo e d’un tratto mi rendo conto che nonsiamo mai state insieme in vacanza in questo modo. E lo so che questo matrimonio in una frivola eassolata isola festaiola è al di fuori della sua «zona di sicurezza», perciò sono commossa che,nonostante l’iniziale ed evidente delusione per il fatto che non ci sarebbe stata nessuna cerimonia inchiesa, non abbia criticato nessuna delle nostre scelte, e nemmeno provato a intromettersinell’organizzazione.

«Allora, come ti senti?» domanda, increspando le labbra pallide in una mezzaluna cortese.«Nervosa, emozionata, non vedo l’ora di sposarlo!» rispondo con sincerità.Lei annuisce e picchietta piano le unghie sul parapetto. «Be’, è tutto quello che una madre

potrebbe desiderare», commenta.Sorrido.Si stringe nel cardigan, benché non faccia certo freddo, e fissa l’orizzonte. La capisco, so bene

quanto si senta a disagio a farsi vedere in camicia da notte. «Senti, Molly, ormai dovresti sapere chela mia idea dell’amore è sempre stata molto pratica. La mia lista dei desideri era...» Si schiarisce lagola e inizia a elencare come fosse la lista della spesa: «Una persona buona e gentile, fedele eaffidabile, finanziariamente stabile e devota come me». Ha gli occhi lucidi. «Tuo padre è così e perme l’amore è questo. Ed è più che sufficiente.» Tira su col naso. «È l’aria di mare.» Mi guarda. «Mac’è chi desidera passione, il grande amore romantico.» Mi accarezza dolcemente il viso. «E c’è chilo merita davvero. Hai così tanto da dare e tu e Ryan siete perfetti l’uno per l’altra. Lo ami davverotanto, eh?»

«Sì», rispondo. E lo ripeto ancora, perché mi piace sentirmelo dire. «Sì. A... a volte mi spaventail pensiero di quanto lo amo. Non voglio perderlo mai più.» Mi sorprendo a piangere.

«Non dovresti avere paura», mi ammonisce asciugandomi le lacrime con la mano come fosserouna classe di studenti indisciplinati. Ma nei suoi occhi e in quel gesto le leggo una dolcezza infinita.«Molly, lo so che Ryan è un brav’uomo, però credimi quando ti dico che non è perfetto, nessuno loè.» Esita un istante. «Il segreto della solidità di un matrimonio sta nel non perdersi. Veniamo almondo da soli e da soli ce ne andiamo. L’unica vera costante nella vita siamo noi stessi...» Lascia lafrase a mezz’aria, ma so che nella testa aggiunge: E Dio. Non lo fa ad alta voce perché sa chem’innervosirei.

«È la cosa più triste che abbia mai sentito, mamma.»«No che non lo è», insiste lei con quel sorriso che un tempo credevo bigotto e che adesso so

essere semplicemente convinto. «Significa solo che l’unica persona da cui dipende la tua felicità seitu. Non imporre questa pressione su di lui, sul matrimonio. È un errore che compiono in molti.» Miposa un bacio sulla guancia, un bacio rapido e secco, come se avesse dimenticato come si fa.«Allora...» riprende, giungendo le mani come quando fa l’appello a scuola. «Meglio che ci diamouna mossa, non credi? Vogliamo che tu sia...» S’interrompe, incapace di trovare la parola adatta a

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descrivere l’unica figlia.«Bellissima, penso sia questa la parola che cerchi», dico riprendendola a braccetto e voltandomi

verso la portafinestra.La mamma non è mai stata brava coi complimenti. Penso che avrei detestato essere una sua

studentessa, perché, se è difficile quanto esserle figlia, allora per ottenere un «Molto bene» bisognauccidersi.

«Molly, tu sei già bellissima. Lo sei sempre stata. E sei anche intelligente, piena d’inventiva,sensibile e saggia. Ma oggi sarai radiosa.»

Mi asciugo una lacrima e lascio che mi riconduca nella camera.Jackie, nonna Door e le ragazze sono radunate in un angolo e ridacchiano con aria d’intesa. Anche

Casey indossa una felpa rosa. Mmm... c’è qualcosa che non mi torna. Nel vederci, Jackie s’illumina esi avvicina porgendomi un pacchetto. «Un regalino di matrimonio in anticipo per te, cara. Dai, forza,aprilo! Dai!»

La mamma si unisce a loro mentre strappo la carta che avvolge uno stupendo kimono di satinbianco con le mie iniziali ricamate sul davanti. MC... che bello pensare che non cambieranno dopo ilmatrimonio! Carter e Cooper si assomigliano, quindi intendo prendere il cognome di Ryan. Hosempre ripetuto che non l’avrei mai fatto e non saprei spiegare nemmeno io perché ho cambiato idea.Forse perché so quanto ci tenga Ryan. E perché mi piace far parte del clan dei Cooper.

«Ma è stupendo!» esclamo. E lo è davvero. L’ottima qualità della seta è chiara al tatto, il taglio èmeraviglioso e le iniziali sono di brillanti, oserei dire Swarovski.

«Giralo! Giralo!» mi esorta Jackie. Noto che la mamma contrae le labbra, ma qualcosa mi diceche è per celare un sorriso e non in segno di disapprovazione. Giro il kimono: sulla schiena è statoricamato anche Mrs Cooper. Quando rialzo lo sguardo verso di loro, mamma, futura suocera eamiche sono tutte in riga, dandomi le spalle. Scoppio in una sonora risata nel vedere che ciascuna diloro – compresa la mamma! – ha personalizzato il retro di ciò che indossa con una scritta. Jackie, cheè all’estrema sinistra, sulla schiena della vestaglia ha scritto MILF.

Mi porto le mani alla bocca e inizio a ridere a più non posso.«Ma... ma perché hai scritto così?» chiede la mamma sporgendosi per leggere.«Trish cara, guarda che è un acronimo!»«Ah, ecco. Che starebbe per...»«Che cos’è un acronimo?» interviene Lydia arricciando il naso.«Un acronimo è una sigla», spiego, mentre mamma borbotta qualcosa sulla «gioventù d’oggi» e

sull’«istruzione andata in malora.»«Be’, Trish cara, sta per, ehm... Mother-in-Law...8 Forever», risponde Jackie, sforzandosi di

restare seria mentre io continuo a ridere.Accanto a lei c’è nonna Door.«’Nonna Door’», leggo.«Perché adesso sono anche la tua, di nonna!»«Io ho scritto ’BFF’», spiega Casey.Le sorrido.«Io invece ho scritto ’Damigella dell’amore’», spiega Mia mentre la mamma emette un verso

d’impazienza. «Voglio che tutti sappiano che sono single e disponibile!»Lydia si indica la schiena. «’Super C’. Che può stare sia per ’super cognata’ che per ’super

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Cooper’!»Tocca alla mamma, che dietro il cardigan ha scritto MOB. «Questo acronimo sta per Mother of

Bride, mamma della sposa.»9

Non ho più fiato dalle tante risate. Indosso il kimono e mi unisco a loro, abbracciandole tutte.Jackie e la mamma, che sono ai due estremi, si cingono col braccio libero e formano così un cerchiod’affetto che mi riempie il cuore.

«Grazie, grazie a tutte. Lo adoro.»«Ne sono lieta, mia cara», salta su Jackie. «Anche perché l’alternativa era il vibratore con

paillette e lustrini, vero, nonna Door?» E scoppiamo tutte in una sonora risata.Persino la mamma.Più tardi, siedo davanti allo specchio mentre Lydia finisce di truccarmi.Con mamma, papà e le damigelle d’onore abbiamo fatto una deliziosa colazione in terrazza e poi

ognuno è tornato nella propria stanza per prepararsi. Ho mandato la mamma a consegnare a Ryan ilregalo, un orologio con incise le nostre iniziali e un bacio, e Casey è chiusa in bagno a prepararsi. Èquestione di minuti e indosserò l’abito. Manca meno di un’ora all’inizio della cerimonia e ho lostomaco invaso da decine di farfalle. Stamattina Ryan mi ha mandato un messaggio, una schermatapiena di baci.

«Fatto!» esclama Lydia applicando l’ultimo tocco illuminante su guance, labbra e sopracciglia.«La perfetta sposa da spiaggia!» Mi guardo finalmente allo specchio e resto a bocca aperta. Grazie alsuo tocco magico il viso teso e stanco si è trasformato e la pelle è dorata e fresca; le palpebre pesantisono spalancate come non mai e l’iride verde acqua è messa in risalto dall’ombretto brillante colorsabbia. Le ciglia sono inspiegabilmente lunghe e nere, e poco mascara ben applicato conferisce lorouno splendido effetto bagnato. I capelli sono sciolti in lunghe onde che partono da una riga centrale emi coprono oltre il petto, mentre sul davanti sono tenuti via dal viso con due treccine (dettaglio cheho voluto in onore della mamma) legate sulla nuca; la pettinatura è ornata con gli stessi fiori delbouquet. Ne ha fatta di strada l’adolescente goffa, coi capelli tinti di rosso e sempre vestita di nero.Piego il capo e scrollo i capelli all’indietro, guardandoli mentre mi ricadono fluenti sulla schiena.Poi mi alzo e mi giro verso Lydia.

«Allora, piccolina, pronta per l’abito?» domanda con un sorriso. Annuisco e guardo verso l’antadell’armadio, cui è appeso. Mi avvicino piano, con deferenza, lo prendo con mille attenzioni e lostendo sul letto. Tolgo la vestaglia e chiamo Casey, che ormai è in bagno da una vita. «Case, guardache io lo metto!»

«Arrivo, arrivo!» risponde. Si sente tirare lo sciacquone ma la porta resta chiusa.«Mi aiuti tu?» chiedo a Lydia; non posso aspettare un secondo di più, devo indossare il mio

meraviglioso abito da sposa in stile greco!«Ma certo. Però non dovremmo far fare qualche fotografia di questo momento? Vuoi che chiami il

fotografo?»Scuoto la testa. Ho già deciso da tempo che non voglio scatti del «prima». Voglio che il giorno

del matrimonio inizi ufficialmente quando esco dalla camera pronta per raggiungere Ryan.Lydia prende il vestito e lo tiene in modo che possa infilarmici dentro. Do un’occhiata alla porta

del bagno, ma di Casey ancora nessun segno. Spero che stia bene e soprattutto che oggi non siatroppo per lei. Me lo auguro proprio, dopo quello che ha passato in quest’ultimo periodo.

«Forza, allora, entra!» m’incoraggia Lydia.

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Sono percorsa da un brivido mentre il tessuto leggero e sottile color avorio mi scivola sul corpo,e chiudo gli occhi mentre Lydia me lo allaccia sulla schiena.

«Oh, Molly», sospira indietreggiando.Le mani mi tremano tanto che non riesco a controllarle e prendo tre grossi respiri prima di trovare

il coraggio di guardarmi allo specchio.È proprio come lo sognavo. Romantico, pacato ma decisamente da sposa. Lo stile greco mi fa

sentire una dea, adoro come le spalline arrotolate e la gonna vaporosa e molto femminile valorizzanola scollatura a V. Al posto dello strascico ho preferito due fasce di seta che partono dalle spalle esulla schiena è stato aggiunto un piccolo dettaglio extra, un cenno alle mie origini.

La porta del bagno si apre e mi volto.«Molly!» esclama Casey portandosi le mani alla bocca. «Sei stupenda.»Sorrido e le tendo la mano, perché voglio che sappia che anche lei lo è. Mi si riempiono gli occhi

di lacrime al pensiero di quanta strada abbiamo fatto entrambe per ritrovarci qui, e quanto ci è volutoper imparare a stare bene con noi stesse.

Mi volto verso lo specchio e subito Casey mi è al fianco. Guardiamo il nostro riflesso, poi leprendo le mani e spalanco le braccia. Lei svia lo sguardo, imbarazzata. È la prima volta che indossaun abito che ho scelto io per lei e sono davvero felice di esserci riuscita così bene. L’ho trovato pocodopo il ritorno da New York – con tanto di anello al dito! –, prima ancora di sapere se sarebbevenuta al matrimonio e se avrebbe accettato di farmi da damigella d’onore.

«Case, sei meravigliosa», dico tra le lacrime. L’arancione brillante del tessuto s’intona allaperfezione con la sua carnagione dorata e gli occhi scuri. I capelli, tornati al nero naturale, sonoraccolti in una crocchia disordinata, da cui scappano alcuni riccioli ribelli, e la cascata di chiffoncorallo che ricade dalle spalline sottili fino alle cosce le dona un aspetto più adulto, di una bellezzache ha sempre sostenuto di non poter raggiungere. Soprattutto dopo quella notte. Me la immagino,adesso come quando l’ho comprato, che procede a piedi nudi sulla sabbia, segnando un sentieroinfuocato come una farfalla Monarca. È ancora la mia Casey. Solo più adulta.

Mi rendo conto che non avrei mai potuto sposarmi senza di lei. Sarebbe mancato qualcosa. Tutti imiei sogni, le aspirazioni per il futuro sono legati tanto a lei quanto a Ryan. È stata al mio fianco sindall’inizio. E ha affrontato molto più di quanto capirò mai. Ci stiamo ancora fissando allo specchioquando Lydia si avvicina. «Allora vado a vestirmi anch’io. Anche se su di me l’arancione non staràmai bene quanto a te, Case!» esclama, poi bacia entrambe e se ne va.

Ha capito che abbiamo bisogno di stare da sole per qualche minuto. Sulle prime restiamo in silenzio a esaminarci allo specchio. È come se di riflessi ne vedessimo due.In uno siamo ancora ragazzine, Casey ha ancora quelle improbabili mollettine e lo zaino rosa e io ciguardo da dietro una frangia tagliata male e tinta peggio, pestando a terra la punta delle Dr Martens.Nell’altro siamo adulte, felici, belle e ci teniamo per mano. Amiche del cuore per sempre, propriocome ci eravamo promesse.

«Tra poco ti sposi!» sussurra.«Lo so, fa un po’ strano, eh?»«No, non è strano», risponde asciugandosi una lacrima. «È giusto. Era destino che toccasse a te.

Dai, lo abbiamo sempre saputo entrambe che non sarei mai stata io la prima.»

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«Per me vuoi solo vedere come faccio io così poi tu puoi farlo meglio!»«Tanto per cominciare, ci saranno un po’ di cose luccicanti in più!» esclama ridendo.«Ehi! Guarda che io luccico eccome!» rispondo con un sorriso e voltandomi per mostrarle la

schiena del vestito, dove una fascetta biforcuta tempestata di cristalli Swarovski scende dalla spallasino alla scollatura a V. Sapevo che Ryan – e sua madre – l’avrebbero apprezzata.

«È perfetto!» esclama, e calde lacrime le bagnano le guance. «Sei la sposa più bella che sia maiesistita.»

Mi chino a prendere qualcosa sul tavolino dello specchio. Sorrido e le faccio segno di tirareindietro le spalle e sollevare il mento. Mi guarda con occhi lucidi mentre le tolgo una ciocca dicapelli dal viso e la fermo con una stupenda molletta a forma di farfalla arancione. Che spettacolo,pare librarsi nei suoi capelli.

«Forza, ripeti dopo di me», la sprono dolcemente. «Io sono bella...»«Io sono...»«Bella.»«Bella.»«E, proprio come questa farfalla, sono libera.» La guardo ripetere la frase e d’improvviso mi

vengono le lacrime agli occhi e le parole non vogliono più saperne di uscire. «Libera di amare e diessere amata», concludo. Le prendo le mani.

Non dice nulla, si limita a tenere lo sguardo al pavimento.«E tu troverai l’amore, Casey. Te lo prometto.»Annuisce e mi guarda dritto negli occhi, forse per la prima volta. «Oh, Moll, oggi ti sposi!»Ed entrambe scoppiamo in singhiozzi.«Noooo!!!» grida Lydia entrando. Indossa anche lei l’abitino di satin arancione delle damigelle.

«Così rovini tutto il trucco! Aspetta!» Mi tampona subito gli occhi, mentre Casey e io agitiamo lemani per cacciare via le lacrime e poi, ridacchiando, corriamo in bagno a controllare di non averestrisce nere lungo il viso.

Ridiamo davanti allo specchio, e gli anni scompaiono. Siamo solo lei e io, le due adolescentigoffe e impacciate che avevano bisogno l’una dell’altra più di chiunque altro al mondo. «Sei pronta?» domanda Mia stringendomi le mani. Ci accingiamo a incominciare il cammino lungo laspiaggia, verso la caletta dove Ryan mi aspetta con Carl. Guardo le mie tre amiche, belle più chemai, e sorrido, col cuore gonfio di emozione.

«E lei, Mr Carter?» domanda Casey, facendolo trasalire perché non è avvezzo a sentirsi porredomande o ad avere la possibilità di rispondere senza mia madre presente.

«Sì... Certo, sono pronto, però, ecco... mi chiedevo, non è che da queste parti c’è una toilette?»«Papà!» gemo, prendendolo sottobraccio. «Ci dovevi pensare prima.»«Hai ragione. Deve essere il nervosismo. Che brutta cosa invecchiare...»«Fai un respiro profondo e vedrai che andrà tutto bene», lo sprono.«Non dovrei essere o a dare consigli? E, a onor del vero, in effetti qualcosina ho preparato...»

S’infila la mano in tasca, si toglie gli occhiali a mezzaluna, si asciuga la fronte e li reindossa. «Soche non sei una ragazza... come dire... tradizionale, ma come padre della sposa sento che è miodovere... ehm... che devo dire qualche parola...» Sta ancora cercando nelle tasche.

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«Papà, non sei obbligato», rispondo dolcemente.«Lo so, ma io voglio farlo. Voglio darti un paio di consigli sul matrimonio. Anche se, ecco, li ho

presi in prestito da qualcuno che sapeva dirli in modo molto più eloquente di me.»Lo guardo e sono sorpresa da una fitta d’amore per questo mio serio e introverso padre

socialmente incapace, il padre che mi ha fatto saltare i nervi per anni e che pure mi somiglia più diquanto sia pronta ad ammettere. E voglio davvero che prosegua, nella speranza che sappia trovare leparole adatte, le parole che daranno un senso al nostro rapporto, al suo matrimonio, a questomomento. È una grande aspettativa, lo so.

«Accidenti!» esclama, tirandosi fuori di tasca una manciata di cianfrusaglie. «Niente, l’ho perso.Be’, penso comunque di poterlo recitare... sì... ce la faccio.»

Si volta verso di me e vedo che ha gli occhi lucidi. «Sì, ecco, era una poesia, ma io mi sonopermesso di riadattarla.» Si schiarisce la gola e inizia a recitare. Tu viva la tua vita di anno in anno,sfrontata in viso e spirto combattivo,senz’affrettare né attardar l’arrivo,né rimpiangere i dì che se ne vannonell’ombra del passato, né temereciò che il futuro cela; ma in saldezza,con lieto cuor, che a Gioventù e Vecchiezzadà obolo e prosegue il suo sentiero. Che la strada sia in salita o in discesa,liscia o accidentata, il viaggio sarà spasso:cercar ciò che cercavo da... (Esita) fanciulla,nuove amicizie, avventure, corone,nel cuore avrai l’audacia della cerca,che sa che il meglio è ancora da venire. Gli poso un bacio sulla guancia, gli afferro la mano e insieme ci incamminiamo verso mio marito, ilmio futuro, mormorando le parole del mio saggio papà: «Che la strada sia in salita o in discesa,liscia o accidentata, il viaggio sarà spasso...»

Passiamo accanto alla mamma, che mi sorride. E accanto a una Jackie in lacrime e a un Davesorridente. Ci sono anche Freya e Lisa, Mia che è arrivata in volo dall’Australia per essere qui; c’èpersino Christie, che è venuta col marito. Qualche amico dell’università e ovviamente Jake, Gaz,Alex e alcuni colleghi di Ryan sia della Thorpe Hall sia della scuola di Hackney. So che ci sono manon li vedo, ho occhi solo per Ryan. È talmente bello nel completo azzurro con la camicia bianca eun fiore arancione all’occhiello.

Quando gli sono al fianco, mi accoglie con un largo sorriso. «Ce l’hai fatta, eh?» mormora.

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«Davvero pensavi che non mi sarei presentata?» domando, col cuore che vola alto nel cielo.«Mentirei se ti dicessi di no, ma questo perché io sono qui ad aspettarti fin dal nostro primo

bacio.»«Secondo», lo correggo con un sorrisetto ironico mentre guardo la spiaggia dove ci siamo baciati

per la seconda – e migliore della prima – volta.«Primo. Io l’ho saputo fin da subito. Solo che tu ci hai messo un po’ di più, Harry...»Scuoto il capo e lo prendo per mano mentre insieme ci voltiamo verso il pastore.«Io non sono Harry. Harry non esiste più. Adesso c’è solo Molly. Molly Cooper. Allora,

proseguiamo?» Clic!

Ci baciamo ancora, per l’ennesima fotografia, per l’ennesimo video di un ospite. Quanti scatti,quanti momenti catturati: la sabbia, tiepida tra le dita, l’abito svolazzante, le braccia di Ryan che micingono, il sole che ci batte sulla schiena mentre andiamo incontro agli ospiti, un bicchiere dichampagne che qualcuno ci mette in mano. Gli invitati vengono da noi per chiacchierare, percongratularsi, baciarci, abbracciarci. Casey, Mia, Jackie, Carl, Lydia, papà, i nostri meravigliosiamici e la famiglia. Persino mia madre viene a prendere entrambi per mano. Poi guarda Ryan e glirivolge uno sguardo benevolo. «Caro, non è divertente che adesso sia diventata la tua MILF?»domanda orgogliosa dandogli una pacchetta sulla mano.

Ryan la fissa, e poi fissa me con un’espressione indecifrabile in viso. Impossibile trattenere lerisa. Lo trascino via dalla mamma, confusa, dicendole che poi le spiegherò, mentre a lui spiego chelo sto salvando dalle avance della mamma. Ci mettiamo a correre, mano nella mano, con me che stoattenta a non versarmi lo champagne sul vestito. Torniamo in albergo; agli alberi sono appese lucinecolorate e sopra di noi una volta stellata brilla nel tramonto d’Ibiza. La cena è semplice e tranquilla,assaggi di piatti tipici coi nostri quaranta invitati. È tutto come l’ho sempre desiderato. «Tu ti senti diverso?» domando più tardi, seduti in spiaggia con una bottiglia di champagne. Sono lequattro del mattino. La serata è trascorsa tra balli e canti e risate e balli e baci... Alcuni ospiti se nesono già andati a dormire, altri sono in discoteca. Noi siamo stati a letto e poi ci siamo rialzati,perché vorremmo che questo giorno non finisse mai. Abbiamo deciso di sedere qui a guardar sorgereil sole sul nostro primo giorno da sposati. Sono ubriaca di alcol e di gioia. Ubriaca d’amore.

«Allora!» lo pungolo. «Già non mi ascolti? Certo che ti ci è voluto poco per abituarti alla vitamatrimoniale!» Rido. «Ho detto: tu ti senti diverso?»

«Sì, è una sensazione strana. Mi sento come se avessi questo peso enorme, proprio qui, guarda»,spiega, fingendo di afferrare una catena con attaccata una palla ancor più pesante.

«Ehi!» Gli assesto una botta sul braccio e poi gli salto addosso, assaporando la piacevolesensazione della sabbia fredda tra le dita e il calore del suo corpo. «Adesso te lo do io il pesoenorme», ridacchio salendogli a cavalcioni sul petto e tenendogli saldamente le braccia.

«Oh, sì, Mrs Cooper, fallo...» E poi mi trascina nella sabbia e scambia i ruoli. «Molly Cooper...»bisbiglia con un sorriso. «Mi sento diverso perché sento che questo è... per sempre... Hai presente?»

«Ho presente», rispondo accarezzandogli la fronte con un sorriso. «Ho presente.»

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13:10

«Signora? Signora? Dove lo metto questo?»Levo lo sguardo sul viso paonazzo e stremato di Bob, intento a scendere allegramente le scale con la specchiera sulla

schiena, mentre il figlio lo segue portando un unico scatolone che, a giudicare dalla sua espressione, dev’essere la cosa piùpesante al mondo. Sento il cellulare squillare dalla cucina ma, chiunque sia, dovrà aspettare.

«Bob, tutto bene?» domando correndogli incontro, ma mi allontana con un gesto della mano.«Tutto a posto, cara, sono abituato a roba più pesante. Dov’è che lo metto?»«Sì, scusi. Nel furgone, va al deposito.»«La specchiera non ti serve più, eh?» domanda facendomi l’occhiolino.«Sono una donna, la specchiera mi servirà sempre!» ridacchio. «È che non posso portarmela dietro!»Barcolla fuori dalla porta ed è di ritorno dopo pochi minuti. «Allora, di sopra non c’è più niente. Che si fa adesso?»Guardo l’orologio, il suo viso a chiazze rosse e decido di ascoltare lo stomaco che brontola. «Si pranza!» esclamo.Bob s’illumina. «Musica per le mie orecchie! Adesso vado a sedermi nel furgone e mi leggo anche il giornale.»«Se vuole, potete restare, posso mettere insieme un panino e...»«No, non ti preoccupare, il pranzo ce l’ho nel furgone. Me l’ha preparato quella santa donna di mia moglie. Se però non mi

vedi tornare, vuol dire che c’ha messo l’arsenico! Ahahaha!»Gli apro la porta proprio mentre qualcuno sta per bussare. Mia cognata! Lascio uscire Bob e l’abbraccio stretta, poi mi

chino e afferro il mio nipotino. «Beau-Beau!» Devo obbligarlo, però: ha sei anni e mezzo, ma mostra già la sicurezza di unquindicenne e si considera fin troppo grande per gli abbracci speciali della zia Molly. Per mia fortuna Gemma, la sorellina diquattro anni, non è altrettanto sagace e mi si aggrappa alle gambe con gridolini di gioia. Chiudo gli occhi nel baciarle latestolina bionda, sforzandomi di assorbire il momento per rammentarlo in futuro.

Beau mi studia con quei suoi penetranti occhi azzurri, uguali a quelli di nonna Jackie e di suo zio, e poi mi passa inrassegna come un presentatore di X Factor durante le audizioni. «Sembri triste», spara, senza tanti giri di parole.

«Beau!» esclama Lydia. «Non si dice!»«Non ti preoccupare, Lyd», la rassicuro con una risata. Mi chino per mettermi allo stesso livello di Beau. Voglio

rispondergli con altrettanta schiettezza e appena un accenno di sorriso. «Beau, hai ragione. Ed è perché mi mancherete tuttimoltissimo. Ma sono anche elettrizzata perché so che nella nuova casa sarò molto felice.»

«Come lo zio Ryan?» domanda senza battere ciglio.Mi giro verso Lydia, che però distoglie lo sguardo.Annuisco e lo faccio entrare. «Senti, Beau, cosa ne diresti di un succo di mela e un biscotto? Sempre se me n’è rimasto

uno», aggiungo colpevole posando lo sguardo sul pacchetto vuoto in soggiorno.«Non ci tratteniamo molto», avvisa Lydia togliendosi la giacca di pelle e appendendola a uno dei due sgabelli rossi e

cromati stile anni ’50 accanto all’isola della cucina. Andranno in beneficenza. «Siamo usciti a far due passi e ho pensato difarti un saluto, anche perché non potevo sopportare che ieri sera fosse l’ultima volta che ci vedevamo. E poi Beau mi haletteralmente pregato di passare a trovarti. Libera di non crederci!»

Guardiamo in soggiorno e non possiamo non scoppiare a ridere. Perché Beau non avrebbe potuto essere menointeressato a me. Nei nostri cinque minuti di conversazione ha staccato il lettore DVD, individuato la PlayStation che hocomprato apposta per quando viene a trovarmi e trovato la scatola già chiusa coi videogiochi. Eh, sì, l’ha aperta,ovviamente!

«Prego, Beau-Beau, fai come fossi a casa tua!» gli grida Lydia, sarcastica, scuotendo poi il capo con aria di scuse.«Oh, ma non ti preoccupare, guarda che lo sapevo già che mi vuole bene solo perché lo vizio», rispondo.Nello stesso istante, Beau corre in cucina chiedendo: «Zia Molly! Me lo fai il frullato con quel tuo coso speciale magico?

Oooh, e cosa ne dici del gelato come l’altra volta? Buono!»«Mi arrendo», ridacchio versando l’acqua bollente nelle due uniche tazze che non ho ancora messo via. Sono quelle con

scritto CALMA E SANGUE FREDDO e I LOVE ESSEX che Lydia mi ha regalato come dono d’addio.«Beau!» lo sgrida. «Ti ho detto che la zia Molly oggi è molto occupata perché deve mettere via tutto. Noi siamo solo

passati a vedere se ha bisogno di una mano, non a disfare gli scatoloni!» Si volta verso di me e prende la tazza che leporgo. «Gem, tu vai a giocare con tuo fratello, okay?»

La piccola obbedisce subito e trotterella via, facendo rimbalzare la coda di cavallo.«Ma c’è qualcosa che posso fare, tesoro?» mi chiede allora Lydia.«No, no, grazie.» Do un’occhiata all’orologio.

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«Sai, non hai un’aria stressata. Però dimmi: com’è che ti senti veramente?»«Oh, be’... triste, strana, inebetita.»Ormai sono una fan sfegatata del descrivere le proprie emozioni, che vedo come altrettante istantanee da passare in

rassegna subito, ciascuna sostituita in fretta dalla seguente. Ho imparato – e nel modo più duro – che anche le emozionipossono essere usa e getta come le vecchie macchine fotografiche di plastica della Kodak, quelle con le quali eravamosoliti immortalare le vacanze. La felicità è transitoria così come la tristezza.

«Be’, ma è comprensibile, cara!» cinguetta Lydia, sempre allegra. «Però io so che andrà tutto bene!»«E anch’io», replico sulla difensiva, senza nemmeno accorgermene. Ma subito passa. «Lyd, non mi fraintendere, so che

sono pronta per tutto questo, però...»«Lo so, Moll», risponde con tono insolitamente basso, accarezzandomi la mano.«Sai, è che ho paura che mi sentirò davvero tanto sola.»«Ma sei impazzita?» replica ridendo con l’aria di chi la sa lunga. «Fidati, sola è l’ultima cosa che sarai. So che trasferirsi in

un posto nuovo fa paura, ma qualcuno già lo conosci e ti farai dei nuovi amici in un batter d’occhio, vedrai. Succede semprecosì. Semmai saremo noi a sentirci soli senza di te.» Abbassa lo sguardo sulla propria mano e una lacrima le scivola lungola guancia. Si passa svelta un dito sotto gli occhi e li alza al soffitto. «Scusami, giuro che non volevo. È che mi sembra distar perdendo anche te...»

«No, Lyd, non è così.» Mi alzo a prendere una cosa dal cassetto della credenza. «E comunque ecco che ci vuole pertenerci in contatto», aggiungo porgendole la mia vecchia Canon digitale SLR. «Ecco, questa voglio darla a te.»

«Oh, Moll, non posso...»«Sì che puoi, io ne ho una nuova. Voglio che scatti fotografie di voi tutti, immagini sciocche, di quello che fate durante la

giornata, e poi voglio che le carichi qui almeno una volta alla settimana», spiego aprendo il portatile. Digito qualche parola e,in un secondo, si apre una pagina Tumblr con scritto Il blog di Lydia in cima. Le scatto subito una fotografia, collegomacchina fotografica e computer col cavo USB e carico l’immagine.

«Oddio, che schifo!» sbuffa.«Non importa. Tanto questo blog lo vedo solo io. Tu puoi postarci le fotografie, sempre se vuoi, e se hai bisogno di

parlarmi magari puoi scrivermi e prometto che ti risponderò al più presto, okay? Sarà come se fossi in fondo alla strada.»Le stringo la mano e Lydia mi rivolge un sorriso commosso, poi prende il portacipria e sistema il trucco.«Aaaah! Quasi dimenticavo! E questo è il mio!» Apro la pagina di un altro blog, scatto una fotografia mentre faccio una

smorfia e la carico subito. «Anch’io pubblicherò le immagini di tutto quello che faccio. Vedrai, sarà bellissimo!»«Be’, l’esperta sei tu.» Le tremano le labbra e di nuovo si mette a piangere. «Non sarà mai come averti qui, però, be’, è

sempre meglio di niente. È una bellissima idea, Moll, grazie.» Mi posa un bacio sulla guancia e sediamo tenendoci le maniper qualche istante.

«Lyd, vorrei darti anche un’altra cosa, qualcosa che vorrei custodissi con amore. È da molto tempo che ci penso.» Tolgola mano dalla sua e la riappoggio sul tavolo stretta a pugno. Quando la apro, sul palmo c’è un’antica fedina con diamanti.

«Oh, Molly! Ma è il tuo anello di fidanzamento, no!» strilla scuotendo il capo. «No, non posso, proprio no.»«Lyd, ascoltami bene!» esclamo mettendoglielo in mano. «È giusto così. Fa parte del patrimonio della famiglia Cooper e

quindi non mi appartiene.»«Ma Ryan l’ha dato a te...»«E quindi sono io a decidere a chi darlo. Le cose non sono andate come speravo e... be’, non mi sembra giusto portarlo

via da nonna Door e da Jackie. Ma t’immagini se per disgrazia me lo perdessi durante il trasloco? Mi ucciderebberoall’istante! Quest’anello fa parte di questa città proprio come Ryan. Magari un giorno Beau lo vorrà, sai, quando siinnamorerà. Perché io lo so che diventerà un rubacuori, già me lo vedo...»

Lydia annuisce ed è allora che arrivano le lacrime.«Non posso credere che finisca così», dice Lydia dalla soglia di casa.La stringo forte, soprattutto perché non voglio che Beau ci veda piangere, anche se è troppo impegnato a giocare a Angry

Birds sull’iPhone della madre.«Guarda che non è mica un addio. Ricordati dei blog e poi dovete assolutamente venire a trovarmi!»«Ovvio!» risponde Lydia tirando su col naso; le brillano gli occhi. Mi dà un bacio veloce sulla guancia, mi fissa per un

istante e poi sorride cingendo il figlio per le spalle.«Gemma! Forza, vieni, che è ora di andare! Prima però dite ciao alla zia Molly.»Beau mi rivolge uno dei sorrisi tipici dei maschi Cooper e mi si butta tra le braccia. Chiudo gli occhi e ripenso a tutti gli

abbracci nella sua breve vita. Ripenso a quando si buttava nel mio letto al grido di «Coccole!» quand’ero ospite di Lydia eCarl.

Se ne vanno, e sento Lydia richiedere il telefono indietro.«Ma uffa! Avevo capito che potevo giocarci fin quando non siamo a casa!» piagnucola Beau.«Io non l’ho mai detto, brutto furbetto!» esclama la madre mentre procede lungo il vialetto con gli inseparabili tacchi alti,

portando via con sé il rumore, le chiacchiere, la vita ma non i miei amati ricordi.

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Il bacio agguantato

I baci sbiadiscono come le polaroid se non vi si presta attenzione? Nella vita ho baciato e sono stata baciata tantissimevolte, eppure un numero troppo esiguo mi è rimasto impresso nella memoria. Solo due o tre dell’infanzia, per esempio, maso bene che devono essere stati molti di più. Ma quella manciata che mi rimane la custodisco come un tesoro prezioso. Ilbacio orgoglioso che mamma e papà mi hanno stampato all’unisono sulle guance il giorno della mia prima comunione.Ricordo che indossavo un vestitino bianco e un velo e che accartocciavo nervosamente le dita nelle ballerine di satin mentremi premevano le labbra contro le guance rosee. Sentivo come se quei baci mi si fossero seccati sulla pelle e sarebberorimasti lì per sempre, come i fiori che facevo seccare tra le pagine dei libri. Se chiudo gli occhi sento ancora il gruzzoletto di baci teneri e lenitivi che la mamma mi posava sulla fronte e sulle guancefebbricitanti quando avevo la varicella. Erano come ali d’angelo che mi curavano la povera pelle butterata. E comedimenticare il bacione con schiocco che le ho dato sulle labbra (sapevano appena di torta Bakewell) all’uscita dal primogiorno di scuola materna? Ricordo di averla colta così di sorpresa da farla cadere lunga distesa all’indietro. Non l’avevo maivista in una posizione talmente sgraziata ed ero sconvolta. Tuttavia, con mia gran sorpresa, la mamma si era messa aridere e poi si era rialzata, dandomi un bel bacio sulla testa. La mamma mi ha molto sorpreso in questo periodo, ogni voltache la penso provo una piacevole sensazione di calore. E poi ci sono anche i baci appassionati e romantici, la maggior parte dei quali ho condiviso con Ryan. In una serataparticolarmente difficile mi sono stesa nel letto decisa a contare quanti baci ci fossimo scambiati negli anni (sì, sì, lo so, chetristezza – E allora? – come dicevo da ragazzina!) e il risultato era nell’ordine delle migliaia. Ma quanti sono quelli chericordo senza nemmeno bisogno di pensarci? Senz’altro i più importanti: il primo bacio, quando siamo andati a vivereinsieme, il giorno del fidanzamento, del matrimonio... ma che ne è dei baci di tutti i giorni? Quelli scambiati senza una parolané il panorama mozzafiato o una cerimonia, quelli solo per dirci quanto ci amavamo? E così pochi resistono nella memoria,gli altri fanno la fine di buona parte del fiume infinito di fatti e numeri che a scuola mi si sono riversati nella testa e che, perfortuna, se ne sono anche andati. E l’unica conclusione cui giungo è che non mi stavo concentrando abbastanza.

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◀◀ REW 28/02/06 7:42

«Ti dispiacerebbe dare un’occhiata prima di andare?» domando a Ryan mentre vola perl’appartamento raccogliendo libri, scarpe da calcio e caschetto per la bicicletta. S’infila mezza fettadi pane tostato in bocca e si getta verso di me, posandomi un bacio sulla guancia mentre cerca ditogliermi l’agenda da sotto il sedere. Mi chino di lato ma ne approfitto anche per sventolargli la listasotto il naso nel disperato tentativo di fargliela leggere. Non è una qualsiasi lista di cose da fare,dovrebbe saperlo. È la «Lista generale per il matrimonio» o, come la chiama Ryan, la «Lista di tuttele liste». L’ho buttata giù quando mi sono sentita affogare nei preparativi per le nozze e indicachiaramente la suddivisione dei compiti tra me, Ryan, Carl e Jackie. E copre qualsiasi aspettoimmaginabile. Se solo riuscissi a fargliela vedere!

«Ryan, per favoreeee. Mancano meno di otto settimane al matrimonio e ci sono ancora un sacco dicose da fare!»

Mi rivolge un’occhiata di scuse mentre infila l’altra mezza fetta di pane tostato in bocca. «Nonposso!» esclama masticando. Poi manda giù tutto con un bel sorso di succo d’arancia. «Sono già inritardo. Voglio andare in palestra prima della riunione. Anzi non dovevi venire anche tu?»

«Lo so, ma ci sono già venuta due volte la scorsa settimana e volevo pensare un po’ al matrimonioprima di andare in ufficio. Guarda che otto settimane non sono poi tante per sistemare tutto!»

«Sono fin troppe per me!» esclama sfiorandomi le labbra con un bacio frettoloso e pieno dibriciole con una nota di burro di arachidi. «Fosse per me, ci sposeremmo domani! Comunque,sbaglio o avrebbe dovuto essere un matrimonio tranquillo, per pochi intimi?»

«E lo è!» rispondo, forse con un po’ troppa enfasi dato che scoppia in una sonora risata.Si toglie le briciole dal viso e dà un’occhiata all’orologio. «Mi dispiace ma devo proprio andare.

Ah, e stasera torno tardi. Abbiamo deciso di aggiungere un allenamento extra.»«Davvero?» Poso la lista e mi risiedo sul divano. «Certo che quei ragazzini sono fortunati ad

averti.» Cambio idea, mi alzo, lo bacio dolcemente sulle labbra e gli sfioro il collo. «Voglio soloche stai attento anche a te stesso, va bene? Non sei invincibile, anche se ti piace crederlo.»

Talvolta, come adesso che ha addosso una semplice tuta dell’Adidas, vedo ancora ildiciassettenne per il quale mi ero presa una cotta tanti anni fa. Poi però mi basta sbattere le palpebreper rendermi conto di quanto è cambiato. In quest’ultimo periodo ha l’aria affaticata, è un po’smagrito e invecchiato, ecco. Gli ultimi mesi al lavoro sono stati molto stressanti, un carico cui sisono aggiunti i preparativi per il matrimonio. Io però ho cercato di fare la mia parte occupandomi diquesti ultimi con Jackie. Siamo una squadra molto affiatata (io scrivo le liste, lei le mette in pratica),ciò non toglie che riuscire a preparare ogni dettaglio in così poco tempo è dura, soprattutto con unadamigella d’onore in Australia e l’altra «latitante».

Nel ripensare all’allontanamento di Casey sono travolta dalla tristezza. È iniziato poco dopoaverla chiamata da New York per dirle che ci eravamo fidanzati. Mi aspettavo che si mettesse agridare, a piangere, a ridere, a fare ciò che fanno le amiche di una vita quando capiscono che haitrovato il tuo lieto fine. Per questo avevo chiamato lei prima ancora dei miei genitori, prima di Mia,

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prima di chiunque.«Case?» ho esordito quando ha risposto al terzo squillo, facendo segno a Ryan di abbassare il

volume del televisore. Eravamo appena rientrati in albergo da Central Park e lui si era subito sedutosul bordo del letto, rapito da non so quale partita di basket. Io, invece, mi ero rifugiata nel bagnettosenza finestra, col cellulare incollato all’orecchio mentre con la mano destra accarezzavo il miomeraviglioso anello antico. Prima di me l’ha portato nonna Door, che l’aveva dato a Ryan nonappena ci eravamo rimessi insieme e poi lui aveva deciso di dichiararsi proprio con quello. Dopoche avevo accettato, mi aveva proposto di comprarmene uno nuovo, tutto mio.

Io allora l’avevo guardato nei begli occhi azzurri, così simili a quelli della nonna, e gli avevorisposto che un anello nuovo non lo volevo, mi bastava quello. Era speciale per lui e per tutta la suafamiglia e proprio per questo non avrei potuto desiderarne uno migliore. «Questo anello mi ricorderàogni giorno di quanto sono fortunata a essere Mrs Cooper», avevo detto, e lui mi aveva baciatoancora e ancora.

Ho accolto il saluto di Case con un gridolino. «Case, devo dirti una cosa meravigliosa!»«Mi hai comprato il paio di Ugg che ti ho chiesto e sono costati anche meno del previsto?»«No, meglio!»«Mi hai comprato un paio di Manolo? Oddio, Molly, non avresti dovuto!»«Ma no, scema! Ryan mi ha appena chiesto di sposarlo!»Silenzio.Ho aspettato e aspettato e aspettato gridolini estasiati, lacrime di gioia, risate. La scena che ho

visto e rivisto in un milione di film. Casey doveva essere rimasta senza parole, sconvolta! Ed era piùche comprensibile, dopotutto solo poche settimane prima mi addormentavo sul suo divano piangendo,sfinita. Bastava darle il tempo di digerirlo e avrebbe iniziato a sprizzare felicità da tutti i pori.

Ma così non è stato. Dopo un lungo silenzio, ho sentito il segnale che indicava il termine dellatelefonata.

Ho fissato il telefono, chiedendomi cosa cavolo fosse successo, dove se ne fosse andata. Chefosse caduta la linea per via della distanza? Ho aspettato che il telefono squillasse, ma invano.Allora ho provato a richiamare io, però il cellulare risultava spento.

Tornata in camera, ho raccontato l’accaduto a Ryan, il quale, senza staccare gli occhi daltelevisore nemmeno per un istante, ha commentato distratto: «Magari ha finito la batteria?»

«Magari», ho ripetuto lasciandomi cadere sul letto, dove la fredda presa del dubbio mi ha strettola gola.

Mi ha richiamato due giorni dopo, incolpando le linee e spiegandomi che non riusciva a comporreil numero giusto, che in albergo le avevano passato la camera sbagliata e che poi non ricordava più ilprefisso per contattare un cellulare inglese all’estero. Tutte ragioni talmente matte e in stile Caseyche le ho creduto. Così come le ho creduto quando ha affermato di essere felice per me, per questo leho spiegato che intendevamo sposarci in aprile, cinque mesi dopo la proposta e quasi cinque annidopo il nostro primo vero bacio, e per di più nello stesso posto, sulla spiaggia di Ibiza. E allora le hochiesto di farmi da damigella d’onore.

Non l’ho più sentita.Ryan non fa che ripetermi di non prendermela e che presto si farà viva, che per lei è dura dover

accettare che la sua migliore amica si sposi mentre lei non ha mai avuto una relazione seria in tutta lasua vita. Io però non posso farci niente. Mi manca. Voglio che partecipi a tutto questo. Non posso

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nemmeno immaginare di sposarmi senza di lei. Al contempo, però, sono furibonda per il suocomportamento. Ero convinta che lei più di ogni altro sarebbe stata felice che Ryan e io fossimotornati insieme. Lei lo sa, ha visto come mi sono ridotta senza di lui. Mi manca e insieme la detesto.

E non mi è certo stato d’aiuto che, pur essendo tutti al settimo cielo per la notizia, alla fine gliunici che ci hanno sostenuto e hanno creduto che ce l’avremmo fatta in appena cinque mesi sono statiJackie e Dave, dando sfoggio una volta di più del famoso ottimismo alla Cooper. Dio, quanto liadoro per questo!

«Ma certo che si può fare, cara!» ha esclamato la mia futura suocera. «Bisogna solo prendertidegli appuntamenti per il vestito, trovare un wedding planner affidabile a Ibiza che si occupi dellacerimonia in spiaggia e di prenotare per il ricevimento... ma di questo mi occupo io, cara! Allora, lacosa più importante in assoluto è l’abito. Fissa un appuntamento da Harrods, Brown e Liberty. Tuttiposti dove puoi trovare un abito firmato bell’e pronto che puoi far ritoccare. Vuoi che te li fissi io,magari per questo sabato? Sei libera? Ma certo che lo sei. Quali altri impegni potresti mai avere?Non vedo l’ora, sono già elettrizzata! La tua mamma l’hai avvisata? Perché dev’esserci anche lei, epoi so che nonna Door vuole venire e... Come dici, mamma? Un momento che te la passo, vuoleparlarti...»

«Molly, tesoro!» ha gridato la voce roca di nonna Door all’altro capo del filo. «Allora, come tista il mio anello? Il mio Arthur sarebbe arcicontento. Parlando dell’abito, secondo me dovrestiprenderne uno tipo quello che ha usato Jordan per sposare Peter Andre. L’hai vista quando si èmangiata le palle di canguro in I’m a Celebrity? È un classico! Oh, ecco, Jackie rivuole il telefono!»

«Mia cara, come hai avuto modo di sentire, nonna Door si è già fatta la sua idea! E puoi star certache ti diremo sempre quello che pensiamo, perché la sincerità è indispensabile quando si scegliel’abito da sposa! Allora, chiama subito la tua mamma e dille che sabato ci troviamo alla fermatadella metro di Oxford Street. Sì, direi d’iniziare da Liberty...» Rumore di tasti. «Sì, ecco, vedo chehanno dei bellissimi modelli di Vera Wang che ti starebbero a meraviglia, e i soldi ovviamente nonsono un problema perché pagheremo tutto Dave e io. So che voi ragazzi non potete permettervi dipagare tutto e...»

Okay, era il momento d’intervenire: «No, Jackie, dico davvero, Ryan e io abbiamo da parteabbastanza. Vogliamo organizzare tutto a modo nostro. Fare come vogliamo». Un’aggiunta che nonpotevo esimermi dal fare, anche se è caduta nel vuoto.

«Ma fammi il piacere! Perché fare le cose in piccolo quando si può farle in grande?»A quel punto, ho allontanato la cornetta e ho fatto segno a Ryan, che sedeva all’isola della cucina

correggendo i compiti dell’ultimo anno. «Diglielo tu», l’ho pregato.Lui ha sorriso e ha preso il telefono. «Perché noi vogliamo fare le cose in piccolo, mamma. No!

Inutile che discuti, sì, certo che puoi aiutarci, non potremmo mai farcela senza di te! Ci restanocinque mesi e Molly sta iniziando a dare i numeri. Però ricordati che non sei tu a decidere e nonvoglio nemmeno sentir parlare di soldi, va bene? E guarda che dico sul serio. Molly e io vogliamoorganizzare tutto a modo nostro.»

L’ho ringraziato con un sorriso davvero sincero e ho ripreso la cornetta.«Va bene, tesoro, ho capito», ha sospirato Jackie. «Dimmi solo cos’hai in mente di fare. Mio

figlio mi ha già espresso la sua opinione al riguardo!» ha detto, tirando su col naso, tanto dacostringermi a trattenere una risata.

«Jackie, senti, io sarei felicissima che mi aiutassi nella scelta dell’abito. Potresti prendermi gli

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appuntamenti di cui parlavi, per favore?»Un sospiro soddisfatto. «Oh, grazie tanto, Molly cara, sai, per me è davvero molto molto

importante, soprattutto perché non ho figlie femmine! Tu e Lyd siete le figlie che non ho mai avuto!»Ed è scoppiata in lacrime.

Ryan mi ha posato un bacio sulla fronte quale ringraziamento e io mi sono seduta mentre Jackieiniziava a sparare domande a raffica su sfumature di bianco, lunghezza, veli e tiare, tanto che a uncerto punto ha preso a girarmi la testa.

Devo ammettere che non saremmo riusciti a organizzare un bel nulla senza di lei. E la cerimoniaall’estero, nel «nostro» posto d’Ibiza, è stata una scelta azzeccata. È stata un’idea di Ryan e, nonappena me ne ha accennato, me lo sono immaginato subito: io che cammino a piedi nudi sulla sabbiaverso Ryan, con al seguito Mia, Lydia e Casey ovviamente, avvolte nei loro favolosi vestiti dadamigelle. Certo, ha significato dimezzare all’istante il numero degli invitati perché, così facendo,dalla parte di mia madre non sarebbe venuto nessuno: hanno tenuto a farci sapere che ci consideranodei pagani per aver snobbato la cerimonia religiosa.

«Come come, cos’è che hai detto?» ho reagito quando mia madre me l’ha detto.«Che sono orgogliosa che la mia bambina faccia sempre le cose a modo suo, non come gli altri

pensano che dovrebbe fare», ha replicato aspra.«Te compresa?»«Io per prima! Ormai sei una donna bell’e fatta e questo mi rende molto fiera.» Il complimento più

bello che mi avesse mai fatto. «E adesso però dimmi, che cosa si indossa a un matrimonio inspiaggia?»

«Oh, di questo non devi preoccuparti, sicuro che Jackie saprà aiutarti! Vedrai che, quando avràfinito, ti ritroverai vestita di rosa e ricoperta di paillette e brillantini da capo a piedi!» «Sicuro che non hai nemmeno un attimo per dare un’occhiata?» incalzo Ryan con un ultimo tentativodisperato mentre sta per prendere la porta. «È davvero importante...»

Lui si volta e mi guarda con un’espressione dispiaciuta. «Piccola, io ti amo e lo sai, ma comefaccio a considerare importanti le bomboniere se non so nemmeno cosa sono?»

«Ecco, tipico di voi uomini! Ai dettagli non ci pensate mai!» borbotto stizzita.Ryan sospira e torna indietro. «Senti, facciamo così, la guardo questo fine settimana, quando non

dovrò scappare via, okay?»«È che non voglio avere la sensazione che il matrimonio sia in fondo alla tua lista, capisci?»«Moll, ma lo sai che io non ne scrivo mai di liste!» esclama ghignando, e poi mi posa un bacio sul

naso. «Nel fine settimana, va bene? La esamineremo insieme nel fine settimana.»«Io però venerdì parto per un viaggio di lavoro. Los Angeles, scatti per la copertina, ricordi?»«La maggior parte della gente ne sarebbe arcicontenta!» ridacchia solleticandomi sotto il mento.«Be’, la maggior parte della gente non si sposa tra sette settimane!»Mi stringe a sé e io mi abbandono tra le sue braccia, come sempre del resto. «Molly, ti prometto

che andrà tutto alla perfezione. Non abbiamo bisogno di regali e bomboniere e nemmeno di tutto ilresto. Bastiamo tu, io e le promesse, il resto non conta.»

Non posso trattenere un sorriso. So che ha ragione, dico davvero. E so che mi sento vulnerabileperché siamo entrambi perennemente occupati. Ryan continua a ripetere di non preoccuparmi, ma il

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fatto è che non voglio che ricommettiamo gli stessi errori, che non trascorriamo abbastanza tempoinsieme, che lasciamo che altro si frapponga tra noi. Quest’ultima parte devo averla pensata ad altavoce, perché Ryan torna a darmi un altro abbraccio affettuoso. Chiudo gli occhi.

«Ma ti rendi conto, Moll? Sette settimane e saremo marito e moglie, e poi la luna di miele. Unmese in Nuova Zelanda, te lo ricordi, vero? Concentrati su questo. Sarà incredibile. L’inizio dellanostra nuova vita insieme. Ma da oggi a quel giorno sarà molto stressante. Adesso, piccola, deviproprio scusarmi ma devo andare...» dice posandomi un bacio sulla fronte.

E, prima che possa renderlo, è già fuori dalla porta.

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Il bacio della malinconia

Vi è mai capitato di baciare qualcuno e sentire che in quello stesso momento si stava inesorabilmente allontanando da voi?Avete mai immaginato il giorno in cui le sue labbra non saranno più vostre? Avete mai chiuso gli occhi e provato adaggrapparvi con tutte le vostre forze a quel bacio, a quell’attimo nella memoria e nel cuore, così da poterlo rammentare persempre? Un bacio che non dovete aver condiviso per forza col vostro compagno, ma magari con un figlio, un amico, ungenitore... Negli ultimi tempi mi accorgo di abbracciare mia madre tutte le volte che posso, la stringo forte e ne assaporo quel profumod’agrumi così familiare, il tocco della pelle morbida, e mi domando se anche lei fa come me, se anche lei pensa al momentoin cui, in un futuro non troppo distante, non potrà più stringermi. Chissà, forse chiudendo gli occhi riesce ancora a ricordaredi quando mi cullava, oppure i primi baci che le ho dato. Che si sia soffermata ad assaporarli uno per uno, consapevole chesarebbe potuto arrivare un giorno in cui non avrei più voluto o – Dio non voglia! – potuto dargliene? Mi ha amato tanto daconvivere col timore costante di perdermi? A ogni bacio sentiva che mi allontanavo di un passo? La mamma dice sempreche essere genitori è come dare un lungo bacio d’addio e, talvolta, non posso nascondere che provo lo stesso nei confrontidella vita. Ogni bacio, anche il più insignificante – un bacetto di saluto, di ringraziamento, di arrivederci –, lo considero come se fossel’ultimo. È come una ferita sempre aperta che so bene non guarirà mai.

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FF ▶▶ 08/03/06 18:25

«Dio, quanto mi sei mancato!» esclamo gettandomi al collo del mio fidanzato, che ricambia dandomiun lungo bacio.

«Mmm, e com’è andato il volo?»«Ho passato tutto il tempo a pensare che tra sette settimane sarò Mrs Cooper!» rispondo con un

sorriso, e di nuovo Ryan preme le labbra contro le mie e ci baciamo fin quando non mi fanno male.C’interrompiamo per riprendere fiato e, nel riaprire gli occhi, mi accorgo che non siamo soli.

«Aaaaah!» grido, assestando a Ryan una pacca sulla schiena. Per lui, a quanto pare, non è unproblema scambiarsi effusioni dinanzi a Carl, Lydia, Beau, Gaz, Alex e Jake. «Non sapevo che fostequi!»

«Oh, non fate caso a noi», risponde Carl ghignando. «Prego, riprendete pure da dove vi sieteinterrotti! È davvero uno spettacolo meraviglioso. Sì, proprio meraviglioso. L’amore è una cosaeccezionale, vero, Lyd?» commenta buttando la moglie all’indietro e baciandola, mentre Beaucammina ancora incerto per la stanza brandendo il pupazzo di Ih-Oh che gli abbiamo regalato perNatale.

«Tutto qui, fratello?» interviene Ryan prendendomi in braccio e baciandomi ancora e ancora.Per tutta risposta, Carl si mette la moglie in spalla.«Ehi, voi due, smettetela!» strilla mia cognata, cercando di abbassare la minigonna. «Sempre in

competizione, ma guardate che Molly e io non siamo mica una partita di calcio!»«Ma non mi dire!» esclama il marito, mettendola giù e avvicinandole le mani al seno.«Carl! Dai, non davanti al bambino!» esclama Lydia mentre Carl imita il suono del clacson e poi

le tuffa il viso nella scollatura.«Moll, non è che avresti dei popcorn?» domanda Gaz tornando a sedere sul divano proprio lì

davanti a loro, con tanto di braccia allargate sullo schienale.Mi sciolgo dall’abbraccio di Ryan e rincorro Beau per la stanza. Voglio ricoprirlo di baci. Non

perché è mio nipote, ma è davvero il bambino più adorabile del mondo. Ancora non ci credo cheabbia compiuto tredici mesi. Quando riesco a prenderlo, gli faccio il solletico sino a farlo ridere acrepapelle, poi levo lo sguardo e sorrido a tutti. «Allora, cosa mi raccontate? Siete riusciti a farsentire il mio fidanzato un po’ meno solo?» domando, tornando a cingere Ryan con un braccio. Dopotanti giorni via da casa, non sopporto più di stargli lontana troppo a lungo.

Quando sono via per lavoro, Ryan invita sempre gli amici a casa. Mentre io ho imparato a nonandare nel pallone all’idea di essere sempre in compagnia, lui ancora detesta starsene da solo. Epenso che non cambierà mai.

«Oh, sì, noi ci siamo divertiti un sacco nel vostro lettone mentre lui si addormentava in lacrime»,risponde Carl.

«E come dargli torto?» domando con un sospiro e scuotendo poi la testa come se il peso di cotantabellezza fosse insopportabile.

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Ore 3:45

Driiiiiiin!

Salto su a sedere nell’oscurità, disorientata, e d’istinto guardo l’orologio e sospiro. Per via del jetlag ho posato la testa sul cuscino appena mezz’ora fa. Ho passato tutto il tempo a scaricare gli scattiper la copertina che il fotografo mi ha spedito via e-mail, in modo da poter dare un’occhiata prima ditornare in ufficio lunedì. Ryan, ovviamente, non ha nemmeno sentito suonare il citofono.

Driiiiiiiiiiin! Tanta insistenza prova che non si tratta di uno degli ubriachi che, di tanto in tanto, cisuona alle ore più impensate della notte. Purtroppo capita se si vive in una strada principale. Mitrascino fuori dal letto e sono quasi tentata di svegliare Ryan, ma dorme talmente beato che non nevedo il motivo, a meno che non si tratti di qualcosa di grave. E poi so che andrebbe nel panico einizierebbe a cercare un oggetto qualsiasi da dare in testa all’eventuale intruso. L’ultima volta, peresempio, ha brandito un asciugacapelli. «E cos’avresti voluto farci?» gli ho domandato poi.«Minacciare di fargli una piega se non si fossero arresi?»

«Chi è?» rispondo brusca al citofono.«Molly? Po-potresti scendere...»D’istinto, indietreggio di un passo nel riconoscere la voce, benché non la senta da quando mi sono

fidanzata. Apro subito il portone e mi precipito giù per le scale. La incontro all’ingresso. Casey ha unaspetto tremendo. I capelli sono scompigliati, gli occhi gonfi e lividi, piange e...

«Casey, ma cos’è successo?» domando tirandola dentro e abbracciandola.È magra da fare impressione, e talmente indifesa. I capelli puzzano di fumo e l’alito di alcol. La

allontano, ma lei cerca di nascondersi contro la mia spalla ed è in questo momento che mi accorgoche gli occhi non sono lividi per la stanchezza. La osservo meglio e vedo i segni rossi sulle braccia eintorno al collo.

«Casey, che cosa cavolo ti è successo!» esclamo con già le lacrime agli occhi.Lei si accascia sul pavimento come una bambola di pezza, con la borsetta abbandonata da una

parte, e un ricordo mi colpisce come un pugno allo stomaco: la rivedo nel cortile della scuola, aterra, accerchiata e indifesa. Mi chino e la tiro su, cullandola tra le braccia. Non so cosa le siaaccaduto, ma so che devo portarla in casa.

Riapre gli occhi e abbozza un sorriso. «Sono tanto contenta che sei qui, Molly. Avevo tanta paurache fossi via... Non voglio restare da sola...» sussurra.

«E non ci resterai. Ci penso io a te.» Mi schiarisco la gola e mi passo una mano sugli occhi.«Adesso forza, tesoro, andiamo.»

Saliamo piano le scale ed entriamo nell’appartamento.«Ry?» chiamo, con la voce che mi si strozza in gola. Ho bisogno del suo aiuto, non so come

affrontare la situazione da sola.«No!» esclama Casey implorandomi con lo sguardo. «Non farlo venire, ti prego. Non voglio che

nessun altro mi veda.»«Ma lui saprà cosa fare...» A differenza di me, che sono nel pallone. La accompagno in soggiorno,

e d’un tratto sono sorpresa dal calore e dal senso di sicurezza che emana il nostro appartamento, cosìdistante dal luogo da cui proviene Casey: le scarpe di Ryan e le mie Converse gettate l’una sull’altraaccanto al divano, il raccoglitore col materiale per il matrimonio aperto sul tavolino, i resti di una

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seratina romantica. La differenza tra le nostre vite mi colpisce, come se lo scoprissi soltanto adesso.La accompagno lentamente al divano. La mia povera amica, che non vedo né sento da più di tre

mesi e che mi è sempre stata più vicina di una sorella. Ma com’è successo? Chi può averla ridottacosì? Casey fa una smorfia di dolore e si stringe le costole, mentre io mi sforzo di non piangere.

Sento Ryan barcollare giù per le scale. Ha indossato un paio di jeans e brandisce una racchetta datennis. Ah, il mio fidanzato, sportivo anche nell’autodifesa. La luce del soggiorno lo confonde e sisfrega gli occhi ancora appannati. «Moll, ma che succede?» domanda e, non appena si accorge diCasey, il suo sguardo passa da stupefatto a raccapricciato. Aspetta che io l’abbia fatta accomodaresul divano, poi s’inginocchia di fronte a lei. «Case, ma cos’è successo?» domanda sollevandoledelicatamente il mento.

Casey lo guarda con gli occhi pesti, svuotati, privi di espressione, e poi nasconde il viso in uncuscino.

«Ehi, Case. Ci prenderemo cura noi di te, piccola, e chiunque ti abbia fatto questo vedrai che nonla passerà liscia», continua Ryan.

Casey è scossa dai singhiozzi. Ryan le scosta i capelli, le posa un bacio sulla guancia e leaccarezza la testa.

Seduta sull’orlo del divano, anch’io faccio altrettanto. I capelli sono bagnati ma caldi, il sudore siè mescolato al fiume di lacrime e... omioddio, è sangue?! «Case, vorresti provare a dirmi cos’èsuccesso?» la sprono gentilmente, con voce rotta dall’emozione e dalla paura.

Lei solleva appena il viso: è del colore delle dita quando si macchiano dell’inchiostro deigiornali. Le sue mani tremano convulsamente. Noto che ha le unghie sporche, si vede anche attraversolo smalto rosa. Le accarezzo i capelli e lei china subito la testa. Ryan prende la coperta piegata a alato del divano e io la stendo su Case.

«Stavo... stavo uscendo dal lavoro...» inizia a raccontare tra un singhiozzo e l’altro. «Erano ingruppo... Il locale era pieno. Un sacco di gente incazzata perché non era riuscita a entrare. Ho finitopresto e ho bevuto qualcosa per rilassarmi dopo il turno. Poi me ne sono tornata verso casa dasola...»

La voce le si strozza in gola e allora, con un cenno del capo, la incoraggio a proseguire.«Sono spuntate fuori dal nulla. Erano tutte ragazze. Hanno iniziato a pic-picchiarmi e a prendermi

a c-calci. E io non potevo fare niente...» Casey racconta con tono dimesso, s’interrompe e poiriprende, esita sui dettagli, incapace di rammentare l’esatta sequenza dei fatti.

Io la guardo inorridita e stringo la mano di Ryan, senza mai smettere di accarezzarle la testa.L’hanno presa a pugni e calci in viso, chiamandola stupida puttana e l’hanno lasciata sul marciapiededavanti a casa. Troppo spaventata per entrare, terrorizzata al pensiero che potessero tornare, Caseysi è trascinata in auto ed è venuta qui. Dice di sapere chi sono. Southend è piccola.

Scoppia di nuovo in singhiozzi e io inizio a cullarla dolcemente. Sono talmente incazzata! Nonsolo con quelle tipe, ma anche con me stessa. Perché non ero lì a proteggerla come ho sempre fatto?Sono sempre stata al suo fianco e adesso che avrebbe avuto bisogno del mio aiuto io non c’ero. Eavevo promesso che invece non l’avrei mai abbandonata. Perché mi sono lasciata assorbire cosìtanto da me stessa e dalla mia vita e dal matrimonio da lasciare che dovesse cavarsela da sola?Casey non è in grado di badare a se stessa, e io questo l’ho sempre saputo. Non è forte abbastanza davivere da sola, o per lavorare in una discoteca del genere. Io lo sapevo eppure non ho fatto nulla perproteggerla.

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Dove sono finite le amiche del cuore per sempre?«Io non volevo che succedesse, Molly, devi credermi!» singhiozza. «Lo so che sono stupida e

irresponsabile ma non volevo, non volevo... Davvero...» Mi guarda con occhi imploranti. «E nonvolevo nemmeno sparire in quel modo, e non sai quanto mi dispiace, oh, Molly, mi dis-dispiace cosìtanto...»

«Sstt, non devi scusarti di nulla. È colpa mia, la colpa è tutta mia, non tua. Ti ho trascurato. Avreidovuto essere al tuo fianco, e non solo stanotte...» rispondo, e Casey mi nasconde il viso contro ilcollo e piange e io con lei, per lei e per noi due. Per le ragazzine ingenue che eravamo, convinte chela vita per noi due sarebbe andata sempre nella stessa direzione.

«Moll, mi sei mancata tanto.»«Sstt», ripeto. Resto seduta ad accarezzarle i capelli per ore, fin quando non cede al sonno.

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Il bacio della mancanza

Ma da dove nasce la ridicola tradizione di trascorrere il fine settimana prima del matrimonio lontano dal promesso sposo odalla promessa sposa? Non ci si sposa forse perché si vuole stare insieme per sempre? Nei momenti più bui mi sono tormentata ancora e ancora col fine settimana dell’addio al nubilato. Mi capita di stendermi sulletto, chiudere gli occhi e immaginare che Ryan e io quei giorni li abbiamo trascorsi a Parigi, o a Roma, o rifugiati in un bed &breakfast sulla costa, o in uno chalet di montagna, accoccolati davanti al fuoco scoppiettante mentre fuori la neveimperversa, a parlare del futuro elettrizzante che ci aspetta. Talvolta ci vedo anche a Leigh-on-Sea, nella dépendance dicasa Cooper. Ovunque purché insieme. Ma non trascorre mai molto tempo che le parole che mia madre mi ha detto proprio la mattina del matrimonio, sul balconedell’albergo, subito arrivano a impregnare i sogni: «L’unica persona da cui dipende la tua felicità sei tu». E allora mi rendoconto che nessuno mi ha rubato proprio nulla. Come posso pensare solo a quello che ho perso quando ho anche avutotanto? Invece di desiderare tanto che lui fosse qui, devo solo essere grata di esserci io.

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FF ▶▶ 15/04/06

«Yuuuhuuu! Questo sì che è divertirsi!» grida Lydia brandendo due bottiglie e versando una quantitàesagerata di vodka e tequila nel suo shaker, poi un goccio di succo d’arancia e infine ci mostra un belmirtillo rosso, che poi butta nel drink. «Questo lo chiamerò ’Lydia Long Love’!» esclama inarcandoun sopracciglio.

«Ah, tu sì che sei una donna di classe!» ridacchio, mentre preparo il mio Raspberry Martiniseguendo alla lettera la ricetta del barista. Poi sollevo il bicchiere e glielo mostro.

«Perfetto», risponde lui con un sorriso da star hollywoodiana.«Come te», commenta Mia, fingendo di assestargli un bel pizzicotto sul sedere quando si volta.

Poi manda giù il suo Martini tutto d’un fiato e sbatte il bicchiere sul bancone.«Ehi, guarda che c’ero prima io!» protesta Lydia.«Senti, se vuoi fare a botte non...» Si morde un labbro e guarda in direzione di Casey, cui subito

stringo forte la mano. Le lesioni meno gravi sono guarite, ma le ferite emotive di quella notte sonoancora fresche. «Oddio, scusami», dice Mia, sfiorandole il braccio ancora coperto di lividi.«Proprio non ci ho pensato.»

Casey solleva lo sguardo dal cocktail analcolico e abbozza un sorriso.«Tutto a posto?» sussurro, ponendole la domanda che non faccio che rivolgerle ogni tre minuti

dall’inizio della festa.Annuisce e mi sorride, ma senza il brio di una volta. «Sto bene, piccolina, sono contenta di essere

qui.»«Lo sai che non sei obbligata a restare, vero?»«Il tuo addio al nubilato non me lo perderei per niente al mondo», risponde sollevando il mento

determinata.Ancora non riesco a credere che ce l’abbia fatta. Vive da noi fin da quella sera – cos’è passato, un

mese? Oddio, pare successo ieri –, nel suo appartamento siamo tornati solo per prendere un po’ dicose. Non è voluta andare dalla madre, ed è comprensibile. E poi non credo che Toni le avrebbeprestato attenzione visto che si è appena trovata un nuovo uomo. Comunque sia, noi le abbiamo subitoofferto il divano di casa e, anzi, per farla stare più comoda l’abbiamo anche cambiato con un divano-letto.

All’altro capo del bancone, Freya e Lisa fanno tintinnare i bicchieri con una risata e noi facciamoaltrettanto.

«Alle amiche, al futuro e al divertimento», brinda Casey, e io ricaccio indietro una lacrima nelpensare a quanto si sta dimostrando coraggiosa... Mia ci abbraccia e anch’io cingo entrambe le mieamiche, così felice di averle al mio fianco. Le mie amiche del cuore.

Fatico ancora a convincermi che questa sia davvero la mia festa di addio al nubilato e che tra unasettimana sarò Mrs Cooper. Pare quasi impossibile, eppure non accadrà mai troppo presto,perlomeno per me! Questa mattina ho salutato Ryan con un bacio. Lui e i ragazzi sono già a Ibiza, perl’addio al celibato.

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Guardo le mie due migliori amiche e le altre ragazze: solo Lydia e qualche collega; ho dovuto fareuna scelta perché ho intenzione di trascorrere davvero del tempo con ciascuna di loro, e non solo difare casino. E, soprattutto, non volevo che Casey si sentisse a disagio. Fin dall’inizio non è maiandata molto d’accordo con le altre mie amiche e, benché lei e Mia siano (abbastanza) in buonirapporti ormai da anni, so che dipende dal fatto che Mia si è trasferita in Australia. La cosa buffa èche, per Casey, sedicimila chilometri siano più che sufficienti per non sentirsi «minacciata» da lei,invece il mio rapporto con Mia si è fatto per molti versi più stretto proprio da quando vive all’altrocapo del mondo. Forse perché l’una comprende il lavoro dell’altra, forse perché non pretendiamonulla o magari perché la lontananza ci ripara dagli alti e bassi tipici di un’amicizia, sia quello chesia, ma Mia è la mia roccia.

«Molto bene, signore!» esclama il bel barista. «Pronte per il se...?»«Sììì!» gridiamo in coro.«... Secondo giro», specifica roteando bonariamente gli occhi prima d’iniziare a lanciare lo shaker

in aria come Tom Cruise in Cocktail, accompagnato dai nostri urletti ammirati, neanche stessimoassistendo a uno spettacolo di fuochi d’artificio.

«Moooolto bene. Allora adesso preparerò un cocktail pensato apposta per una persona speciale.Molly, giusto?»

Lancio un grido e poi scoppio in una sonora risata mentre Mia m’indica facendomi l’occhiolino.«E un Virgin Mojito per la bella ragazza vestita di nero», aggiunge rivolgendo un sorriso

seducente a Casey, che dalla sera dell’aggressione ha deciso di non bere più.Solleva il bicchiere e ammicca con l’occhio sano (l’altro ha ancora i punti per via di un tacco a

spillo che l’ha colpita sull’orbita. È fortunata a non averlo perso). Per un istante abbassa le palpebree mi accorgo che, senza le lampade, coi lunghi capelli neri asciugati al vento (non riesce a tenere lebraccia sollevate abbastanza tempo per farsi la messa in piega) e con la carnagione olivastra ancoraricoperta di lividi, è quasi eterea.

«Lui sarà anche ’virgin’, ma io proprio no!» scherza, nel disperato tentativo di entrare nellospirito della festa. «Anche se adesso non mi piglia più nessuno, ridotta così!»

Ci scambiamo occhiate imbarazzate, improvvisamente a disagio. Lydia le ha assicurato che non ènulla che il trucco non possa coprire per il gran giorno, visto che Casey ha deciso di essere la primadamigella d’onore. Le stringo di nuovo la mano, sperando che capisca che non è obbligata a farlo,che nessuna di noi si aspetta che si metta a fare battutacce solo perché è un addio al nubilato. Per meè già abbastanza che sia qui e che abbia deciso di venire pure al matrimonio.

«Ma dai che era divertente!» ci esorta. «Ridete pure!»E così facciamo. Se è di questo che ha bisogno per sentirsi di nuovo se stessa, per riagguantare la

sicurezza di un tempo, non m’importa cosa ne penseranno gli altri ma riderò a crepapelle.Casey si mette di buzzo buono e fa battute, balla, e io so bene che è solo per me. Voglio che

sappia quanto le voglio bene e che per lei farei qualsiasi cosa. D’accordo, forse negli ultimi annil’ho un po’ trascurata, ma se potessi tornare indietro e prenderle io quelle botte, se potessi salvarladal branco come quand’eravamo ragazzine, non esiterei un istante. D’ora in poi devo soloassicurarmi, come del resto ho giurato la notte che si è presentata a casa, di esserci sempre perprenderle io al suo posto.

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Il mattino dopo l’aggressione, io e Ryan l’abbiamo portata al pronto soccorso e poi siamo andati afare una passeggiata lungo la South Bank. Penso che Casey sperasse che le raffiche di vento chesalivano dal Tamigi si portassero via il ricordo. E, più le ripetevo quanto mi sentissi male per averlalasciata da sola e quanto desiderassi essere stata al suo fianco per fermarle, più mi rendevo conto diquanto fossi in realtà narcisista perché, nel sentirla raccontare l’orrore che aveva vissuto, ero statacapace di pensare solo a quanto ciò si ripercuotesse su di me. Mi sono scusata anche per questo.

«Molly...» ha risposto, tranquilla, con una tristezza tale negli occhi che si rifletteva anche nelleacque limacciose del fiume. «Tu hai fatto fin troppo per me, sei la persona meno egoista che conosco.Entrambi avete fatto tanto per me», ha aggiunto sorridendo prima a me e poi a Ryan.

«Lo sai, vero, che puoi restare da noi per tutto il tempo che ti serve», ho affermato mentreattraversavamo il Waterloo Bridge, senza chiedere prima nulla a Ryan perché sapevo che sarebbestato d’accordo.

«Ma... il matrimonio... non vorrete mica...» ha balbettato, indicandosi il viso pesto.«Ah, ah, ah!» l’ho interrotta posandole una mano sulla bocca. Ci eravamo fermati e,

istintivamente, Casey è sobbalzata all’indietro.Allora mi sono resa conto con orrore che quel gesto le aveva ricordato la notte dell’aggressione,

che l’avevano fatto per impedirle di urlare.«Omioddio, scusami!» ho esclamato scoppiando in lacrime. L’ho stretta subito in un abbraccio e

siamo rimaste così, ferme, mentre Ryan ci guardava. Come avrei voluto che un tornado ci strappasseda terra e ci catapultasse nel passato, prima del pestaggio.

Le ultime cinque settimane sono state per Casey un lento percorso di ripresa. Al quarto giorno haacceso il televisore. Al decimo ha sorriso guardando una vecchia puntata di Friends. Al tredicesimoè andata dalla madre per un paio di giorni ed è tornata annunciando di aver lasciato il lavoro e diaver smesso di bere. «Voglio riprendere il controllo della mia vita e non voglio più essere la Caseyche pensa solo a divertirsi. Sai, ormai ho ventotto anni ed è ora che cresca. Voglio iniziare aprendere le decisioni giuste per me. E la prima è chiudere con gli alcolici. Magari anche solo perpoco, ma mi serve per poter ragionare a mente lucida. Sto cercando di trovare il lato positivo dellasituazione... ti andrebbe di aiutarmi, per favore?»

«Ma certo! Farò tutto quello che vuoi, non hai che da chiedere.»«Grazie. Spero solo di riuscire a ripagarti un giorno...» Ha esitato, aggiungendo poi per capriccio:

«Anche se la tua vita è perfetta. Lo è sempre stata...» L’ombra mesta di un sorriso le ha illuminato ilviso ancora malconcio. «Tu il tuo lieto fine l’hai trovato...»

«Sai, non credo che esista per davvero», ho risposto io, assalita per un istante dal ritorno del miocinico Harry interiore. «Dopotutto, chi può dire cosa ci riserva per davvero il futuro?»

Casey ha annuito ed è tornata a guardare Friends posandomi la testa sulla spalla.Siccome poi ha accettato di farmi da damigella, le ho mostrato l’abito che le avevo comprato

durante la vendita di un campionario di vestiti firmati, quando ancora non eravamo più in contatto,nella speranza che cambiasse idea. Non abbiamo mai parlato della sua reazione al fidanzamento,sapevo bene che era gelosa e, dopo il pestaggio, sarebbe stato perfettamente normale che se la fossepresa per il matrimonio. E, invece, era accaduto proprio il contrario. Usciamo dal Lab Bar di Soho, rilassate come non mai. Non ho la più pallida idea di quello che mi

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riserverà la giornata, ha pensato a tutto Mia.«E adesso dove andiamo?» domando, stringendo il borsone che mi era stato detto di preparare.«Vedrai», sorride Mia scendendo in strada e fermando due taxi; sul primo fa salire Casey e me e

sul secondo le altre ragazze.Lei poi si accomoda di fianco al nostro autista. «Knightsbridge, mate.»«Mate?» ripetiamo Case e io, scoppiando in una sonora risata.«Cosa?» domanda senza capire, poi prende il portacipria dalla borsetta e dà una rinfrescata al

lucidalabbra.Con Casey ci scambiamo uno sguardo d’intesa. «Tu, mate, stai diventando un po’ troppo

australiana, e non solo per come parli!»«Perché, vi sembro vestita da australiana?» chiede inarcando un sopracciglio e indicando la

canottiera, i jeans sbiaditi e le infradito che indossa.«Devo proprio dirtelo?» rispondo ridacchiando.«Sì, be’, si dà il caso che sia in vacanza.»«Ma se ti vesti così anche per andare a lavorare! Guarda che ti ho visto!»«Sì, be’, mate, sappi che mi piace un sacco non dover pensare continuamente al mio aspetto, non

dover perdere tempo a mettere i capelli in piega perfetta o a preoccuparmi di abbinare le borse coivestiti. Mettermi in tiro mi piace ancora, ma sono troppo occupata a divertirmi per fare caso a comesono vestita. Anche in ufficio. Oh, siamo arrivate!»

«Omioddio, ma che spet-ta-co-lo! Mia!»«Eh, già», sorride Mia. «Ah, e non preoccuparti, l’ho avuta gratis scrivendo una recensione per la

rivista. Ah, ricordati che devi farne una anche tu per Viva. Ho pensato che al tuo capo non sarebbeimportato!»

Irrompiamo tutte insieme nell’elegante suite all’ultimo piano del Berkeley, chiacchierandoeccitate all’idea di trascorrere la notte in una sontuosa sistemazione con ben due camere da letto. E ciritroviamo in un’oasi di pace e tranquillità, con lunghe tende bianche drappeggiate alle finestre,avvolte da una nuvola di panna, grigio-bruno, beige ed écru; insomma, l’opposto che ci siaspetterebbe dalla serata di un addio al nubilato. L’adoro. Dopo la manicure in camera e tutti i preparativi del caso, Mia ci ha portato nella sala cinemadell’albergo, dove abbiamo guardato Cocktail. Poi ha messo su alcuni videomessaggi da parte di chinon era potuto venire. Uno era di Jo, la mia prima photo editor che adesso lavora con Mia a Sydney.Poi la mamma ha balbettato poche ma dolci parole dalla sua comoda poltrona col centrino di pizzosullo schienale; si è raccomandata di fare la brava e di non cacciarmi nei guai perché altrimenti «checosa penserà la gente?» Siamo scoppiate tutte a ridere, soprattutto Casey.

Poi sullo schermo è comparsa Jackie, in tutto lo splendore dell’immancabile tuta fucsia, presa asistemarsi i capelli e a cercare di controllare il proprio riflesso nella lente della telecamera. «Cosìsono a posto, cara?» la si sentiva domandare a Lydia, che evidentemente era l’addetta alla ripresa.Alla fine del messaggio, piangevamo dal ridere. E come non farlo dopo i consigli per la prima nottedi nozze e la promessa di regalarmi la sua scatola di «cosine sexy» di Ann Summers?

Ci siamo riprese in tempo per goderci l’entrata in scena di nonna Door, che si è piazzata davantiall’obiettivo gridando: «Ehi, casa del Grande Fratello, qui è nonna Door che vi parla. Non dite

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parolacce! Ah, ah, ah, ah!» E anche lei si è messa a ridacchiare tanto che per poco non mancava iltrono rosa della figlia sul quale intendeva sedere. Si è subito ricomposta e ha allontanato in malomodo il povero Dave, accorso per aiutarla. Poi si è passata una mano sui capelli e, per un istante, hadistolto dall’obiettivo i begli occhi azzurri, illuminati dal ricordo, dall’amore e dalla saggezza. Lesue parole mi hanno fatto venire un nodo alla gola stretto come non mai e fatto traboccare il cuore; sesolo Ryan fosse stato lì ad ascoltarla... «Molly cara, l’unico consiglio che voglio darti l’ho imparatodurante i trentacinque meravigliosi anni trascorsi col mio Arthur e i diciotto di solitudine: assaporaogni singolo istante, ogni parola, ogni bacio.»

Poi l’immagine si è sfocata ed è comparso il mio fidanzato, e col suo sorriso ha illuminato tutto loschermo. La colpevole non poteva che essere Casey.

«Ah! Ecco cosa facevate quando l’altra sera mi ha buttato fuori casa!» ho esclamato abbracciandola mia migliore amiche, che si è limitata ad annuire.

«Ciao, Harry! E così la prossima settimana sarai Mrs Molly Cooper e avrai promesso di amarmi,onorarmi e, cosa più importante, di obbedirmi per sempre.»

«Mai!» ho gridato, e poi tutte abbiamo riso mentre Ryan levava gli occhi al cielo.«Hai forse gridato ’mai’? Be’, non ti devi preoccupare, sono contento se prometti di non

obbedirmi finché morte non ci separi. Ti amo, Molly Carter quasi Cooper, divertiti con le ragazze manon lasciare che ti portino sulla cattiva strada. Noi due ci vediamo la settimana prossima, nel luogoin cui tutto è iniziato. Non vedo l’ora, piccola!» E, con un bacio, se n’è andato.

Da quando l’ho visto sullo schermo mi manca da morire, come non mai. Farei carte false pur diparlargli, ma non posso farmi scoprire dalle ragazze. Mi hanno proibito ogni contatto, però non possonon fargli sapere quanto lo amo. Allora attivo la fotocamera del mio cellulare nuovo di zecca, miscatto una foto per ricambiare il suo bacio e spedisco l’MMS con un messaggio: NON VEDO L’ORA DI DIVENTARE MRS COOPER. TI AMERÒ PER SEMPRE. BACI BACI.

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14:07

La chiamata persa che trovo sul cellulare è di Mia. Non ha lasciato messaggi in segreteria, però mi ha mandato un SMS: SEI UNO SCHIANTO! BACIO M. Sorrido nel digitare la risposta. MAI QUANTO TE... E subito un altro messaggio. LO SARAI. PRESTO! E il telefono prende subito a squillare. «Mia!» esclamo iniziando a scendere le scale.

«Ciao, tesoro! Oggi è il grande giorno, riesci a crederci?»«Lo so!» esclamo sedendo sull’ultimo gradino, così contenta nel sentire la voce della mia migliore amica. «Più che altro

non riesco a credere che te ne sei ricordata!»«Ehi, sarò anche dall’altra parte del mondo ma ogni tanto mi capita di riuscire a ricordare gli eventi importanti nella vita

della mia migliore amica, sai!»«Ah, come il compleanno?»«Va bene, quello non me lo sono ricordato», ammette. «E, comunque, se mi avessi lasciato finire, avrei aggiunto che

questi eventi importanti me li ricordo soprattutto se riguardano anche me. E, senti, per quanto riguarda il compleanno, ormaiabbiamo passato i trenta, perciò credevo ci fosse un tacito accordo sulla soppressione di quell’evento deprimente...»

«Mi sembra giusto!»«Questo però è meglio anche del Natale! Vedrai che figata, Molly! Tu e io di nuovo insieme, come all’università! Ma te li

ricordi quei cocktail rivoltanti che avevamo inventato? Sai, quelli che sapevano di pesce?»Scoppio a ridere, e Mia mi segue.«Pensa che bello, adesso possiamo uscire tutti i giorni! Ah, proprio non vedo l’ora che arrivi», aggiunge con un tono più

pacato. «Mi sono sentita davvero inutile.»«Mi hai aiutato molto più di quanto pensi.» E non è la prima volta che mi ritrovo a ringraziare un’amica. Non so davvero

cos’avrei fatto senza tutte loro. Spero solo che Casey... Mi blocco, perché non ho nessuna intenzione di rimettermi apiangere. Forza, Molly, ripigliati! Non stai mica andando a stare da sola...

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Il bacio delle grandi occasioni

Pensate a quanti baci si danno per festeggiare gli eventi importanti: un nuovo lavoro, un neonato, una nuova casa, unacoppia appena sposata. Così tanti baci in cui crogiolarsi, così tante cose «nuove». Ma ogni bacio dovrebbe essere unagrande occasione. Vecchio o nuovo, agguantato al volo o assaporato. Bisognerebbe organizzare una festa per ognuno.

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◀◀ REW 15/07/02

Socchiudo le palpebre, assonnata. La luce color crema che filtra dalle tende ci riscalda il letto.«Ciao», mormora Ryan.Il suo corpo nudo è, come sempre, avvolto intorno a me; dopo quasi un anno di convivenza,

dormiamo ancora avvinghiati in una sorta di lotta postcoitale, talmente intrecciati che non so dovefiniscano le sue gambe e dove inizino le mie. Ci baciamo; un lungo bacio lento che si trasformapresto in qualcosa di più. Mi rigiro verso di lui e ci troviamo nella nostra posizione naturale, senzabisogno di parole o indicazioni consapevoli. Le labbra di Ryan hanno un sapore stantio, un misto dimattino e desiderio, e io mi ci tuffo come un ippopotamo felice nel pantano, aggrappandomi alle suespalle mentre insieme sguazziamo nel piacere. Poi, accaldati, sudati e senza fiato ci stendiamo,soddisfatti.

«Buon anniversario, cucciola», dice Ryan.Mi rigiro su una spalla e gli accarezzo i nei sul petto con un dito. «Ma non è ancora il nostro

anniversario.»«È passato un anno dal nostro primo vero bacio. A Ibiza, te lo ricordi?»Guardo la data sulla sveglia e mi accorgo che ha ragione. Ma di cosa mi sorprendo? Ryan ha la

straordinaria dote di ricordare gli eventi importanti della nostra storia. Rammenta parola per parola idiscorsi fatti seduti al tavolino del bar, quel giorno in cui ci siamo incontrati per caso mentre ero afare shopping con mia madre, o che cosa indossavo quando ci siamo ritrovati entrambi sullaBembridge. Ma basta chiedergli di fare la spesa o, per esempio, di pagare la bolletta del gas e si stafreschi!

«E come dici che dovremmo festeggiare?» domando, nascondendogli il viso nell’incavo del collo.«Be’, ma l’abbiamo appena fatto, no?» risponde, incassando una pacca scherzosa. «Va bene, va

bene», prosegue, tirandosi su a sedere con me. «Allora che ne dici se stasera, dopo il lavoro, ti portofuori a cena? Penso io al posto.»

«Io conosco giusto un ristorantino che potremmo provare...» attacco, ripensando al locale appenainaugurato di cui ho letto su Time Out, ma m’interrompe.

«Lascia che ci pensi io. Tu non ti preoccupare.» Incespico sulla porta dell’ufficio e mi lascio cadere sulla sedia alla scrivania.

Jo mi rivolge un largo sorriso. «Ehi, ma hai visto che ore sono, eh? Il fatto che me ne vado nonsignifica che puoi prenderti certe libertà, sai!»

Da buona australiana Jo è molto diretta, oltre che stupenda. La guardo e penso che ha girato ilmondo, sposato l’amore dell’infanzia e adesso sta per diventare direttore creativo di Shine, la rivistafemminile più letta d’Australia. Mi dispiace moltissimo che se ne vada. Non ho ancora capito com’èche ero io quella che voleva andarci e invece ci stanno finendo tutti quelli che conosco.

Il computer si avvia con un lungo lamento. «I reclami inoltrali dalla terra dei canguri, che tanto ti

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resta ancora solo un giorno come mio capo!» esclamo contraccambiando il sorriso.«Mezza giornata, vorrai dire», mi corregge picchiettando il dito sull’orologio.Che simpatica. Ritorno subito seria nel leggere l’e-mail che il capo di entrambe mi ha mandato

dieci minuti fa: Molly, ti dispiacerebbe venire nel mio ufficio? C’è una faccenda che vorrei discutere con te.Christie. «Omioddio! Sei sicura? Davvero vuoi che sia io la nuova photo editor?»

Christie ride e annuisce da dietro la scrivania. La adoro, e non solo perché è dotata di un talentoincredibile – ho smesso di contare i premi che ha vinto dal lancio di Viva, due anni fa –, ma anche diuna gentilezza che, mi dicono, è merce molto rara ai suoi livelli.

«L’anno scorso hai svolto un lavoro superbo e la stessa Jo mi ha detto chiaramente che non leviene in mente nessuno più adatto di te a prendere il suo posto. Allora, che ne pensi?»

La fisso, ammutolita.E la carriera da fotografa? Non farti incastrare nella macchina aziendale!«M-ma io credevo che stessi facendo migliaia di colloqui con persone con molta più esperienza

di me, no?»Abbiamo sempre detto che non avremmo mai lavorato in un ufficio, che questo sarebbe stato un

lavoro temporaneo!«Certo, li abbiamo fatti», conferma sorridendo. «Ma nessun candidato era al tuo livello. Vedi,

Molly, tu conosci la rivista come le tue tasche, sei già stata sui set per le copertine e Jo mi haraccontato che te la sei cavata egregiamente coi nostri fotografi più importanti e che addirittura haistretto nuove conoscenze per conto tuo. Hai occhio e inventiva, per non parlare del fatto che seiun’ottima ambasciatrice per la rivista.»

Sento le guance avvampare. Non credevo certo che Christie avesse un’opinione così alta di me. Edevo ammettere che una promozione – e l’aumento di stipendio che ne consegue – capiterebbeproprio a fagiolo in questo momento. Ci permetterebbe d’iniziare a risparmiare per comprarci unacasa tutta nostra. Mi piace il nostro piccolo nido nella dépendance di Jackie e Dave, ma in pratica èun’estensione della camera di Ryan. Jackie ha la chiave e ogni tanto ci porta addirittura la colazionea letto. Ma basta pensare, meglio concentrarsi su Christie.

«Viva è una rivista giovane, così come deve essere la squadra che la dirige: giovane, piena dipassione e affamata di novità. E tu lo sei. Allora, cosa ne dici, possiamo dare l’annuncio ufficiale aicolleghi?»

No, rifiuta! Di’ di no! Non è quello che vogliamo!«Sì!»No! Ma cos’è successo ai nostri sogni?Un aumento, ecco cosa.

Aspetto Ryan fuori dall’ufficio. Ha detto che ci saremmo incontrati al solito posto alle sette di sera,ma è in ritardo. Ho tenuto per me la grossa novità per parlargliene a cena e non vedo l’ora di vedere

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che faccia farà.Mi guardo intorno, le strade di Covent Garden brulicano di persone che fluttuano nel sole

screziato come tanti palloncini gettati in aria per celebrare questa meravigliosa serata estiva. AdoroLondra in questa stagione. È un festival di colori in continuo movimento. Ha ragione chi dice che lestrade paiono lastricate d’oro.

Sto stilando una lista mentale delle buone ragioni per trasferirsi qui in città e sono già arrivata allanumero otto quando mi squilla il cellulare.

«Allora, Cooper, dove sei?» rispondo sorridendo. «Non ti conviene darmi buca stasera, lo sai,vero?»

«Ma guarda che io sono qui, tu piuttosto dove sei?»«Anch’io sono qui!» esclamo guardandomi intorno in punta di piedi. Idea! «Ehi, sto agitando la

mano, mi vedi? Sono proprio davanti all’ufficio. Sei appena uscito dalla metro?»«Ufficio? Metro? Che stai dicendo? Io sono a Leigh! Non dirmi che sei ancora al lavoro!»«Come? Ma non hai detto che mi avresti portato fuori a cena e di trovarci al solito posto?»«Io intendevo il Crooked Billet!» esclama ridendo, e portandosi via tutti i miei voli pindarici.«Ah... Quel solito posto...»«Be’, ma non ti preoccupare, se ti muovi fai ancora in tempo a essere qui per le otto e mezzo. Nel

frattempo prendo un po’ di molluschi e bevo un bicchiere di vino mentre ti aspetto al solito tavolo,okay? Mi raccomando, non perdere il treno, ti amo!» Sediamo al solito tavolo, fuori dal solito pub, circondati dalle solite persone, bevendo i soliti drink einfilzando molluschi da un piattino con lo stuzzicadenti. È una serata calda, il mare brilla dinanzi anoi e per sottofondo abbiamo chiacchiere e risate e musica e il tintinnare di bicchieri; perché tutti sistanno godendo questa calda serata estiva, tranne me.

Ryan mi cinge col braccio ma io resto rigida, perché proprio non mi riesce di sciogliermi.«Nemmeno il più caro ristorante di Londra può battere il pesce fresco di qui!» esclama, con tutto

l’entusiasmo del vero intenditore e del ragazzo di queste parti. Mi lancia un’occhiata con la codadell’occhio, ma io mi ostino a guardare altrove. «Ho pensato che poi potremmo andare fino daRossi’s per un gelato, come al nostro primo appuntamento, ti va?»

Mi posa un bacio sulla spalla nuda e questa volta non riesco a trattenere un sorriso. È un’idea cosìdolce che adesso mi sento in colpa per essere tanto frivola. E non gli ho nemmeno raccontato lanovità, perché sono troppo presa a tenere il broncio. Santi numi, certo che alle volte sono proprio unacretina.

«Salute, piccola!» brinda Ryan levando la bottiglia di birra. «All’anno più felice di tutta la miavita!»

«Senti...» Mi pulisco la bocca col tovagliolo e sorrido. «Ho una notizia da darti!» Qualchesecondo di studiato silenzio e poi... «Ebbene, sappi che stai parlando con la nuova photo editor diViva!»

Ryan si blocca con lo stuzzicadenti a mezz’aria. «Porca miseria, ma è fantastico! Sono orgogliosodi te!» esclama chinandosi poi a baciarmi sulle labbra. Torna a sedere e, con un sorriso largo comenon mai, aggiunge: «Sono davvero contento che anche loro si siano resi conto di quanto seispeciale».

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Mi mordo la lingua per non dire che avrei preferito che pensasse a un luogo più «speciale» per ilnostro anniversario. E poi, d’un tratto, la rivelazione: ma questo è un luogo speciale. Lo è per Ryan.Se fosse Peter Pan, Leigh-on-Sea sarebbe il pensiero che gli permetterebbe di volare, anche se a mele ha tarpate, le ali. Qui, al sole, vicino al mare: è questo il luogo cui Ryan appartiene. Ryanrifiorisce ogni estate. Osservo la sua abbronzatura dorata che è tornata a colorargli l’incarnato senzache nemmeno se ne accorgesse; osservo i capelli che hanno preso a splendere di riflessi dorati. Lespalle larghe sono rilassate, il fisico – al contrario di tanti uomini – è perfetto per l’abbigliamentoestivo. I pantaloncini mettono in risalto le gambe forti e muscolose, la maglietta fa sembrare il pettoancora più grosso. Il suo è un corpo fatto per essere guardato. Come peraltro prova a fare il brancodi ragazzine dall’altra parte della strada.

Chissà, forse potrei imparare ad amare questo posto tanto quanto lui. Levo la mano per attirarel’attenzione del barista. «Un altro bicchiere di vino bianco, per favore, e una Becks.»

E forse a volte è meglio restare fedeli a ciò che già si conosce.

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Il bacio del futuro radioso

Un giorno Ryan mi ha confessato che baciarmi per la prima volta è stato come gettarsi insieme da un aereo col paracadute;tanto entusiasmante quanto terrificante, perché ha messo a rischio il suo cuore gettandosi nel nulla con qualcuno checonosceva appena. Un paragone che ho compreso al volo. Solo che per me baciare Ryan è stato più come stare su unaterrazza panoramica in cima a un’alta scogliera; non incuteva certo timore e, anzi, era bellissimo guardare il mondo che sistendeva ai miei piedi e sapere che, con Ryan al mio fianco, avrebbe potuto essere mio, perché lui mi faceva toccare il cielocon un dito, e soprattutto non mi avrebbe mai lasciato cadere.

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FF ▶▶ 31/12/02 21:10

Dal nostro tavolino nell’angolo si leva un coro di saluti quando Dave, Jackie e nonna Door entranonel tepore del Crooked Billet. Noi tutti siamo già qui da un’oretta, chiacchieriamo e ci gustiamol’atmosfera euforica che precede lo scoccare della mezzanotte. Ryan è al massimo della forma, comesempre, e racconta barzellette, fa battute, ordina bottiglie di champagne e ci fa sentire tutti come sequesto fosse il luogo più esclusivo al mondo per festeggiare l’anno nuovo.

«Ciao, cari!» esclama Jackie correndo a baciare Ryan, Carl, Lydia e me per poi salutare il restodel gruppo. Con quel paio di pantaloni di pelle e gli stivali sopra il ginocchio è più giovanile chemai.

Casey, Alex, Gaz e Jake sono qui con noi, insieme con altri amici di scuola di Ryan. E ci sonopersino la mamma e il papà! E non ho la più pallida idea di come si comporteranno con Jackie eDave, che in pubblico sono ancora più entusiasti e conviviali. E, infatti, sono già al bancone aordinare champagne per tutti i presenti; è chiaro che si preparano a divertirsi in grande stile. Finora inostri genitori si sono incontrati solo poche volte, e in genere per l’insistenza di Jackie nell’averli apranzo la domenica (con Ryan ai fornelli, per fortuna!) ma prima d’ora non eravamo mai riusciti afarli uscire insieme. Il merito è di Ryan che, al solito, li ha blanditi sfoderando tutto il fascino,l’entusiasmo e quel suo sorriso. So bene quanto la mamma si sia sforzata di disapprovare la nostraconvivenza, ma la verità è che ha sempre avuto un debole per Ry. Come quasi chiunque, del resto.

Sorrido guardando papà che chiacchiera con Dave passandosi pensieroso la mano sul riporto.Mamma gli siede accanto, rigida, sorseggia una limonata e di tanto in tanto finge di togliersi pelucchiimmaginari dalla gonna di tweed. Se solo riuscisse a rilassarsi, almeno un pochino!

Jackie si avvicina e le porge un bicchiere di champagne. Mamma leva la mano in segno di rifiutoma se lo ritrova che si agita proprio all’altezza del cammeo appuntato al dolcevita beige. Osservorapita lo strano incontro, quasi fosse un documentario sugli animali.

Mi sembra persino di sentire la voce di Richard Attenborough in sottofondo: «La splendida e rarafarfalla volteggia verso la crisalide immobile, come a volerla sfidare a uscire, e a volerle dare provadelle tante meraviglie del mondo che anche lei potrebbe conoscere se solo...»

«Suvvia, Patricia, anzi posso chiamarti Trish?» comincia Jackie con tono adulatorio. «Suvvia,Trish, è la notte di Capodanno! Insisto, bevi almeno un sorso di champagne e goditi la serata!»esclama sedendole accanto e accavallando le gambe. È davvero una donna splendida per la sua età, eper questo riesce ancora più difficile credere che lei e la mamma siano coetanee. Potrebbero averetranquillamente dieci anni di differenza. O cento. «Per caso ti ho già raccontato di questa cosa nuovacui mi dedico?» prosegue Jackie.

La mamma scuote la testa, confusa, portandosi una mano ai capelli grigi, come se avesse notato ilbaratro che separa il suo taglio molto pratico dal curatissimo caschetto scalato color platino diJackie.

«Si chiama Ann Summers Party», spiega con un sorriso tanto largo da raggiungere il pesante trattodi matita nera che le contorna gli occhi. Il lucidalabbra brilla così tanto che, se si avvicinasse un

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pochino a Jackie, la mamma riuscirebbe a specchiarcisi.Borbotta una risposta e Jackie scoppia in una risata.«Sì, lo so, Trish cara! In effetti è un po’ strano perché io non mi chiamo Ann, ma a quanto pare non

la posso chiamare Jackie Cooper Party!» È evidente che la mamma non sa chi sia Ann Summers eche non conosce le sue creazioni, per così dire, osé. E poi, avvicinandosi, aggiunge a bassa voce:«Ma comunque tutti sanno che a darla è Jackie Cooper. E sanno pure che nessuno organizza seratecome la vecchia JC. La settimana prossima devi venire anche tu, e sappi che non accetto un no comerisposta!»

Per esperienza personale so che è vero, e quasi quasi vorrei avvicinarmi alla mamma e dirle ditagliare corto e accettare, perché JC riesce sempre a sfinirti. Garantito.

«Vanno proprio d’amore e d’accordo, eh? Lo sapevo!» mi bisbiglia Ryan all’orecchio.«Sì, be’, speriamo che vadano sempre avanti così!»«Fidati di me. E poi hanno già una cosa stupenda in comune...»«Cosa?» Per me non potrebbero essere più diverse di così.«Noi!» esclama Ryan sorridente, mandando poi giù un sorso di champagne.Ah, il mio ragazzo, l’eterno ottimista.

Sono al bancone, in attesa di poter offrire un giro di champagne e ne approfitto per fotografare lascenetta felice. Chiacchiero allegra coi clienti abituali, gente molto amichevole, e sento chel’atmosfera accogliente della festa mi avvolge e mi respinge allo stesso tempo, come un regalo diNatale scartato solo per metà e poi gettato in un angolo. Nella mente rivivo l’anno trascorso qui aLeigh e di serate come questa ne vedo a milioni. Immagino succeda così quando si ha tutto ciò che sidesidera.

Ma non è questo che desideravamo.Scuoto la testa. Molly adolescente si presenta sempre nei momenti meno opportuni e solo per

cercare di rovinarmi i momenti felici. Con Ryan è ancora tutto splendido come il primo giorno e allavoro mi aspetta una carriera straordinaria. La vita è bella.

Forse volevi dire che la vita è prevedibile.Sì, prevedibile ma bella.Pago i drink e sorrido a Dave, guardando il gruppo di persone che è divenuto la mia famiglia.

Impugno ancora la macchina fotografica nuova – regalo di Natale di Ryan – e inizio a immortalarlitutti. Jackie siede in braccio a Dave, con una mano sulle spalle del marito e una su quelle di Gaz, chepare quasi farle la serenata. Casey gode dell’attenzione di buona parte degli uomini presenti. SoloRyan guarda da un’altra parte. Verso l’obiettivo. Verso di me. Sorride e mi fa cenno di raggiungerlo,ma io continuo a scattare, decisa a catturare la scena perché rappresenta la mia vita così com’èadesso. Serena, accogliente, invitante, tranquilla...

Prevedibile.Mi irrigidisco, col dito a mezz’aria sopra il pulsante mentre il significato di queste parole mi

penetra dentro.Lascio ricadere la macchina fotografica sul petto e mi rigiro verso il bancone col cuore che batte

all’impazzata, stretto nella morsa del panico, come se mi stesse prendendo un colpo. D’un tratto ilrumore e il caldo si fanno insopportabili. Mi sento soffocare. Ma che cosa ci faccio qui? Di nuovo in

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quel buco di cittadina in cui avevo giurato di non rimettere più piede. Col pranzo fisso delladomenica per la sua famiglia e la mia. Avevo giurato che per me sarebbe stato diverso. Ma anch’iosono stata risucchiata.

«La mia signora mi ha appena lasciato dicendo che penso al calcio più che a lei. Sono davverostupito, sono rimasto con lei per cinque stagioni!»

Nel locale si levano risa generali alla battuta di Ryan.«Ehi, piccola, tutto bene? Mi sembri un po’... distratta, ecco», mi domanda cingendomi per le

spalle, e subito ne approfitto per accoccolarmi contro di lui.«Va tutto bene. Ed è questo il mio problema.»«Ti diverti?» domanda, e io annuisco entusiasta.«Va tutto bene e mi sto anche divertendo! Evviva!» esclamo, facendolo ridere. Immagino pensi

che sia ubriaca. Ma non lo sono. Sono più sobria che mai. È arrivato il momento dei giochi, adesso tocca a Chi sono? e tutti abbiamo grossi pezzi di cartaappiccicati sulla fronte. Io ho già indovinato, sono Annie Leibovitz; è stato Ryan a sceglierla per me,facendomi rendere conto una volta di più che non sono lei, e non le vado nemmeno vicino.

«Sono... David Beckham?» azzarda Ryan dopo una domanda, e tutti applaudono.Ci riversiamo poi fuori dal locale come champagne da un bicchiere troppo pieno, tutti frizzanti di

chiacchiere e risate, e ci stringiamo intorno a un tavolo da picnic per veder nascere il nuovo annoall’esterno. Un’idea di Ryan, ovviamente, che non si lascia perdere occasione per stare all’aperto.L’aria gelida mi punge le guance e il vento che spira dall’estuario oltrepassa gli strati di vestiti comeuna lama. Più in là, l’acqua nera attende, spalancando famelica le fauci come a voler inghiottire in unsol boccone la cittadina di pescatori, coi negozietti artigianali, coi pub pittoreschi, con le barche e igusci dei molluschi e una storia che risale ai tempi del Libro del Giorno del Giudizio. Sembra quasiun presagio.

Ryan e io sediamo vicini, lui mi cinge con un braccio e io lascio che il suo calore mi penetrinell’animo. Decine di persone si avvicinano per scambiare quattro chiacchiere con lui, attirate dalnostro rumoroso gruppetto. Vecchie conoscenze, genitori di studenti, compagni di calcio, amici dellavela e colleghi; sembra quasi che conosca proprio tutti in città. D’improvviso sono colta daldesiderio di essere sola con lui, una volta tanto. Solo lui e io. E nessun altro.

Un altro braccio mi cinge le spalle e un’altra testa spunta tra la mia e quella di Ryan, facendocisomigliare a una qualche bestia mitologica. «Le mie duuueee persone preferite in tuuuuuutto ilmondo!» biascica Casey baciando entrambi sulle guance. Poi lascia cadere il capo in avanti e cistringe forte. «Vi voglio trooooppo bene!»

«Anche noi ti vogliamo bene, Casey», risponde Ryan un po’ aspro.Scherzando, diciamo che Casey è nostra figlia adottiva, che sviene sul divano dopo il turno al

Players e ci resta per tutto il giorno mentre noi andiamo al lavoro.«Adesso però ti dispiace farci respirare? Vorrei vivere abbastanza per vedere il 2003!»Casey allenta la presa ed entrambi facciamo un bel respiro e ridiamo. Casey si rialza facendo leva

sulle nostre spalle e si passa una mano sulla bocca. «Ma dopo che ne dite se andiamo in discoteca?Posso farci entrare al Players gratis. Daiii che ci divertiamooo! Sono secoli che non lo facciamo. Io,voi due, Alex, Carl e gli altri ragazzi!»

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«Bell’idea!» commento dando un’occhiata all’orologio. Mancano dieci minuti a mezzanotte e hoimparato che non bisogna contraddirla quand’è in questo stato. Non intendo iniziare l’anno nuovo conuna scenata.

«Be’, adesso non è che posso stare qui tutta la sera con voi due piccioncini! Vado a trovarmiqualcuno da farmi a mezzanotte.» E poi, pestando il dito contro il petto di Ryan e guardandolo ditraverso, aggiunge: «Non ho ancora deciso quale tra i tuoi amici sarà il vincitore!»

«Perché, ce n’è ancora uno che non ti sei fatta?» risponde lui con un ghigno.Casey mi fa l’occhiolino. «Ti conviene sperarlo, Cooper, altrimenti mi toccherà venire a cercare

te. Così finisco il giro. Potreste essere come i porcellini salvadanaio che regalavano in bancaquand’ero piccola. Facevo la collezione, sai?» Poi corruga la fronte. «Adesso che ci penso, me nesono rimasti solo due. Non sono mai stata brava a tenermi i soldi... e nemmeno gli uomini! Ah, ah,ah!» E barcolla via in cerca di altri potenziali discotecari.

«Ma davvero ci vuoi andare?» domanda Ryan ridacchiando ma con espressione incredula.«Figurati, è che non mi andava di dirglielo.»«E brava la mia saggia Molly! Non è fantastico essere qui tutti insieme, eh, piccola?»«Mmm-mmm», rispondo bevendo un sorso del mio drink.Il cellulare vibra sul tavolo: è un messaggio da parte di Mia.

BUON ANNO NUOVO, PICCOLA! E SE IL 2003 FOSSE L’ANNO DEL CANGURO E TI DECIDESSI A VENIRE ATROVARMI? SYDNEY TI ASPETTA! BACI. Il cuore mi si riempie di gioia, ma poi si rabbuia pensando a Mia. Non riesco a credere che sia giàtrascorso un anno dall’ultima volta che ci siamo viste. In Australia se la spassa alla grande, e in più èstata promossa vice editor da Shine. Provo un’improvvisa fitta d’invidia per la libertà di viveredall’altra parte del mondo. È libera di prendere le decisioni che vuole, senza nessuno che lacontrolli. Io quasi non posso nemmeno sprimacciare un cuscino senza veder spuntare Jackie.Ovunque vada incontro qualcuno che mi conosce, che sa del mio rapporto con Ryan e i fatti miei ingenerale. Talvolta mi pare di vivere in uno zoo; Ryan è il maestoso leone seduto in cima allacollinetta finta, re della minuscola giungla, mentre io sono la leonessa che, sempre in cerca di unapreda, fa avanti e indietro davanti alle persone che la fissano, in attesa dell’occasione giusta per...scappare o attaccare: nessuno, me compresa, lo sa con esattezza.

«Ryan, ti dispiace se ci allontaniamo per un minuto?» domando senza fiato.«Ma è quasi mezzan...»«Per favore?»Ryan salta subito in piedi, penso abbia colto la disperazione nei miei occhi. «Che c’è, stai bene?»Ci allontaniamo di qualche passo, verso il litorale. Il mare si ritrae e sbatte sulla riva, ancora e

ancora, come un bimbo irrequieto che le stelle nel cielo color inchiostro cercano di calmare, comeappese a una giostrina.

«Sì, no, più o meno. Ryan, senti, devo dirti una cosa...»Ha colto la nota di allarme nella mia voce e mi fissa irrigidito. Nonostante le sue tante doti e la

sua calma proverbiale, detesta scene inaspettate come questa. Va nel panico. Immagina sempre ilpeggio. In effetti è una sensazione che scombussola, come stare ad aspettare che, prima o poi, daqualche parte giunga un colpo. E adesso sono io quella con in mano l’ascia.

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«Non è niente di brutto, dico davvero, solo che... solo che...» Dio mio, e come glielo dico? «Hobisogno di una pausa.»

«Da me?!»«No! Ma che hai capito? Non da te! No! Io ti amo! Con te sono felice da fare schifo... No, ho

bisogno di una pausa da questo posto. Mi sento come nella boccia di un pesce. Devo uscire, vedere ilmondo, fare qualcosa di diverso.»

«Ma dove?» È confuso, come un bambino che tenti di dare un giocattolo a un compagno piùpiccolo e si ritrova a essere sgridato per averglielo portato via.

Continuo a fissarlo, esaltata all’idea di sapere esattamente dove dovremmo andare e cosadovremmo fare. «Australia! Sì, dovremmo andare in Australia, come abbiamo sempre detto!Quest’anno compio ventiquattro anni, Ry! Ti rendi conto, ventiquattro! L’ultimo che mi resta prima dirientrare nella fascia d’età 25-34! Voglio che ci divertiamo, che ci godiamo la gioventù fin tanto chel’abbiamo! È la nostra ultima occasione prima di restare schiacciati dalle responsabilità.Quest’estate potrei prendermi sei settimane sabbatiche, tu quand’è che sei in ferie? E potremmoandare in Australia, o in Thailandia. Viaggiare, insomma. Solo tu e io. Voglio stare sempre con te,Ryan, ma non sempre così...» provo a spiegare indicando l’estuario, le luci tremolanti della cittàvecchia che brillano nella nebbia alle nostre spalle e il punto da cui provengono le risate argentine diamici e parenti.

Iniziano il conto alla rovescia, e Ryan mi afferra le mani.«10!»«Io non voglio che tu ti perda niente, piccola», si decide a dire.«9!»«Io sono felice qui con te ma...»«8!»«Voglio che anche tu sia felice.»«7!»«Ti ho promesso il mondo e voglio dartelo...»«6!»«Andiamo dove vuoi...»«5!»«Molly, farò tutto quello che vuoi...»«4! 3!»«Anno nuovo, vita nuova insieme, ci stai?»«2! 1!»«A partire da adesso!»Rido tra le lacrime mentre, circondati dalle grida di auguri che erompono come lava, si china

verso di me e mi bacia. Preme forte le labbra contro le mie, come se vi stesse imprimendol’intenzione di cambiare la nostra vita, di suggellare la decisione di andarcene di qui. Ci stacchiamoe ci guardiamo intorno. Un tripudio di baci e abbracci. Casey alza il bicchiere verso di noi, dopoessere stata allontanata dalla vittima prescelta.

E poi, come aria soffiata in un pallone, siamo trascinati nel pub, dove ci ritroviamo a tenerci tuttiper mano e a intonare Auld Lang Syne. Caccio giù le lacrime mentre prendo Ryan e la mamma permano e lascio correre lo sguardo sull’incantevole miscuglio di persone che è divenuto la mia

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famiglia. Ciascuno canta le parole sostituendole a caso, l’unica cosa che ricordiamo per certo è ilFor Auld Lang Syne del ritornello, allora la mamma avanza alticcia verso il centro coi suoimocassini marroni e, senza lasciarmi andare, annuncia: «Io le parole le so!» E inizia a intonarle conla voce acuta da mezzosoprano. We two have run about the slopes and picked the daisies fine;But we’ve wandered many a weary foot, since auld lang syne.We two have paddled in the stream, from morning sun till dine;But seas between us broad have roared since auld lang syne.And there’s a hand, my trusty friend! And give us a hand o’thine!A right good-will draught, for auld lang syne.10

Stringo la mano di Ryan mentre la mamma canta e sopra di noi esplodono i fuochi d’artificio. E soche voglio stare con lui per sempre, non importa dove.

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14:50

La telefonata di Mia mi ha ridato uno scopo. Basta perdere tempo agitandomi avanti e indietro senza concludere nulla. Oltrea finire quassù, devo ancora salutare un paio di persone. Il cellulare squilla di nuovo, rispondo subito.

«Molly!» esclama la voce della mamma, acuta come sempre. Tuttavia mi pare di cogliere anche una nota preoccupata.«Ciao! Tutto bene?» chiedo.«Sì, ma, cosa più importante, tu stai bene?»«Sì, sto bene.» Pausa. «Per davvero.» Ormai sono abituata a dover rassicurare tutti che, no, non sto andando in pezzi.

Per fortuna la risposta pare soddisfarla.«Oh, bene, e lì come procede?» Esita. «Spero che tu non ti stia lasciando... distrarre?»«No!» protesto. «Guarda che non sono più una bambina, mamma!»«Mmm.» Sento che sta sorridendo. «Avrai anche trent’anni, ma ti conosco abbastanza da sapere che non sei cambiata

molto, mia cara. Comunque, volevo solo dirti che arriviamo più o meno tra mezz’ora per dare una pulita.»«Perfetto!» rispondo, e mette giù.Bob e il figlio cantano a squarciagola insieme con gli One Direction. E rieccomi che penso a Ryan. Lui e le sue maledette

boy band! A furia di ascoltarle diventavo matta. E adesso? Sentirne una mi risolleva il morale. Sorrido e inizio a cantareanch’io il ritornello, diretta in camera al piano di sopra. Com’è vuota e desolata. Mi si stringono il cuore e lo stomaco. Allorachiudo gli occhi, prendo un respiro profondo e immagino che qualcuno mi massaggi le spalle sino a rilassarmicompletamente, e mi calmo. Mi avvicino al caminetto e lascio correre le dita sulla mensola. È quella che ho riportato allaluce con tanta cura e olio di gomito. I proprietari precedenti, chissà perché, l’avevano murata. È polverosa e spoglia; le lucinecolorate sono state inscatolate e i ciocchi intorno ai quali le avevo arrotolate sono in giardino. Intravedo un luccichio oltre lagriglia, cosa sarà? Mi chino e raccolgo la conchiglia, me la rigiro in mano, sentendone gli spigoli e le scanalature. È piccola enemmeno particolarmente bella, ma per me una volta era l’oggetto più prezioso al mondo. Siedo a gambe incrociate sulpavimento e la studio per un istante. Mi sta alla perfezione nel palmo della mano, è di un tenue color corallo che balugina allaluce del sole che, del tutto inaspettato, irrompe dalla finestra. Le linee del mio palmo somigliano alle onde che l’hannotrasportata a riva. Però, che strano, ero convinta di averla messa via anni fa...

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Il primo vero bacio...

... e l’ultimo.

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◀◀ REW 22/07/01

«Guardate un po’ chi ho trovato?» esordisco, facendo gocciolare acqua su Mia e Casey, cheparrebbero addormentate.

«Spero non Mr. Faccia butterata di ieri sera...» Casey apre un occhio e subito salta su a sedere.«Oh, che caz...»

«Che caso, incontrarci qui!» completa Mia, sbirciando da sotto il cappello parasole e mettendosia sedere lentamente. «E questo chi sarebbe?»

«Ryan!» strilla Casey balzando in piedi per avvilupparlo in un abbraccio forse un po’ tropposollecito, giacché è in topless. Poi fa schioccare la lunga coda di cavallo dietro la schiena comeAngelina Jolie in Tomb Raider . Reprimo un sorriso nel cogliere lo sguardo smarrito di Ryan. Mapensa, Mr Sicurezza adesso non fa più lo sbruffone, eh?

«Ma che bello trovarti qui!» prosegue Casey mettendo le mani sui fianchi in una posa daconiglietta di Playboy. «E c’è anche Alex? Oh-che-cavolo, non ci posso credere! Troppo da matti!Metà Leigh che si ritrova a Ibiza! E quand’è che sei arrivato? E quand’è che te ne vai? Dov’è chestai?»

Mentre Casey continua a bersagliarlo di domande, senza nemmeno dargli il tempo di rispondere,io la osservo sospettosa, poiché non sono ancora del tutto convinta che non abbia nulla a che fare conl’«incontro fortuito». L’idea della vacanza qui a Ibiza è partita da me, ma può anche darsi che Caseymi abbia fatto il lavaggio del cervello. Pensiero che mi strappa un sorriso. Casey capace di averpianificato una simile astuzia? Impossibile.

«Come va, Case?» riesce a dire Ryan alla fine. «Non ti si becca in giro da secoli e adesso ti vedofin troppo...»

Raccolgo il reggiseno giallo e glielo avvicino, Ryan mi sorride, grato.«Sì, è che il tuo migliore amico mi ha scaricato e allora non è che mi andasse di venire a trovarti

per il tè», risponde Casey mentre glielo infilo sulle braccia, poi si volta e domanda sfacciatamente aRyan di allacciarglielo.

Mia e io ci scambiamo un’occhiata a metà tra l’incredulo e il frastornato: siamo ormai avvezze alsuo poco senso del decoro, ma adesso è davvero ridicola.

«Ma va’, è che eri troppo presa col tuo nuovo ragazzo!» intervengo. Non voglio che Ryan torni aingrassare l’ego del suo amico raccontandogli che è ancora innamorata di lui. So bene come sonofatti gli uomini.

«Comunque sia, caro, tu come stai? Non ti si è visto tanto in giro a Leigh.»Perché, è stata anche a guardare se c’era?«Sono stato molto preso dagli studi», spiega Ryan sorridendo.«Oddio, ecco un altro...» commenta lei levando scherzosamente gli occhi al cielo. «È che sei

troppo furbo e intelligente. E lui c’è?»Con Ryan ci scambiamo un’occhiata circospetta. Si riferirà senz’altro ad Alex.«E lo sa che ci sono anch’io?» aggiunge Casey, senza nemmeno provare a fingere indifferenza.

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«Sì, c’è anche lui», risponde Ryan, esitante, continuando a cercare il mio sguardo. «Ci siamo tutti:mio fratello Carl, Gaz e un altro paio di amici. Sono laggiù da qualche parte. Di sicuro ormaipenseranno che li ho abbandonati.»

«O che hai rimorchiato», aggiungo amabilmente. «La cosa più probabile quando uno di voisparisce, no? Ma non ce l’avete un codice per ’ste cose? O una tabella? Ah, no, aspetta, ci sono!Schede segnapunti! Sono molto diffuse tra voi ragazzi qui a Ibiza, no?»

Ryan inarca un sopracciglio e scuote il capo. «Dammi retta, tu sei troppo cinica. Ehi, ragazzi!»urla, agitando le braccia. Gli addominali si contraggono, mettendo in risalto anche i muscoli delbusto.

Mia, Casey e io non riusciamo a trattenere le risatine nel vedere gli altri che scattano sull’attentinon appena si accorgono che Ryan è in compagnia di un gruppo di ragazze. Dopodiché si avvicinanofingendo nonchalance, ma allo stesso tempo fanno praticamente a gara a chi arriva per primo:sembrano un branco di scemi.

Con le sue gambe lunghe, per Alex non è difficile battere tutti sul tempo. «Allora, Ryan, chi c’èqui di bello?» esordisce. Ma le parole gli muoiono in bocca nello scorgere una Casey sorridente emezza nuda.

«Ciao, Alex, sono davvero contenta di vederti!» esclama, mettendosi una mano sul fianco. Sonocerta che non fosse voluto, però il suo tono era quello di una stalker.

Alex lancia uno sguardo terrorizzato a Ryan, il quale interviene subito: «Be’, ecco, mi sonoscontrato con delle vecchie amiche. Alex, tu ovviamente conosci Casey, ma te la ricordi Molly?»

Alex mi fa un largo sorriso e gli assesta un bel pugno sulla spalla.«Ryan LimonoNo Cooper!» intonano i ragazzi, piegandosi in due dalle risate.Il viso abbronzato di Ryan è divenuto di un bel color aragosta. E non è una scottatura. Non so

perché ma lo trovo così dolce! «Scommetto che è la sua mossa: la toccata e fuga!» commentoscherzosa.

Alex ride di gusto, afferra Ryan per il collo e gli sfrega le nocche sulla testa. «Beccato!»È proprio come lo ricordavo, di una bellezza inquietante, se piacciono i tipi come lui, com’è

ovviamente il caso della mia migliore amica. Gaz si rivolge a Mia, seduta sull’asciugamano colcappello di sbieco che le copre un occhio, col trucco impeccabile e con la posa da modella di unesclusivo catalogo di moda da spiaggia. «E tu come ti chiami?» cinguetta lasciandosi cadere sulleginocchia.

Mia lo fissa imperiosa da sotto la falda del cappello e poi distoglie lo sguardo, senza nemmenodegnarlo di una risposta. Chissà come mai in passato gli uomini l’hanno definita «distaccata».

«Lei è Mia», rispondo al posto suo, dandole un colpetto col piede e lanciandole un’occhiata allafai la brava. È paradossale che sia proprio io a fare un gesto simile, ma la verità è che questi ragazzimi piacciono; mi sembrano davvero carini.

«La mia Mia!» esclama Gaz con una risataccia sguaiata.Mia guarda me, poi lui, alza gli occhi al cielo e, con grazia, si gira di spalle, posando il viso sulle

mani. Per tutta risposta, Gaz si sposta e continua a stordirla di chiacchiere.Adesso tocca a Carl farsi avanti. «Io sono Carl, il fratello più grande, più bello e più in gamba di

Ryan», si presenta salutandoci con la mano.Per tutta risposta, Ryan placca il fratello, facendo cadere entrambi nella sabbia. A quel punto

Carl, che lo supera di un buon trenta centimetri e di perlomeno sei chili, se lo carica in spalla, corre

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in acqua e ce lo butta dentro.Scoppiamo tutti in una sonora risata.«Ehi!» ci apostrofa poi con un sorriso tornando indietro, col fratello minore alle calcagna.

«Stasera che fate? Che ne dite se dopo ci vediamo al bar?»«In effetti abbiamo già programmato una cena tranquilla e...» inizio a rispondere.«Ma certo!» m’interrompe Casey. Mi tira a sé e mi sussurra all’orecchio: «Non siamo venute qui

per fare cene tranquille!»«Mia?» chiedo, perché durante questa vacanza non intendo fare nulla che non abbia il consenso

unanime.Lei osserva i ragazzi uno per uno, da sotto il cappello, prendendosi tutto il tempo di studiarli

senza tanti complimenti. «Se proprio dobbiamo.»«Be’, a quanto pare sono in minoranza!» esclamo con una risata.Ryan mi sorride, il sole splende radioso e, d’un tratto, mi sento come se tutte le estati della mia

vita si fossero fuse in una. È la nostra ultima notte qui e Casey, Mia e io sediamo al Café del Mar, con lo sguardo rivoltoall’orizzonte. Il sole è una palla d’ambra incandescente in cielo, e noi siamo venute qui prestoapposta per guardarlo tramontare sull’ultimo giorno di vacanza. Che settimana fantastica è stata. Ryane i suoi amici sono le uniche persone che abbiamo frequentato da quando io e lui ci siamo scontrati inacqua. Vederci dopo cena è divenuto una sorta di rituale. E, già stufa degli spagnoli, Casey ha rivoltole proprie attenzioni a qualcuno di più vicino a casa: Carl. Dapprima ha resistito ma poi, come lamaggior parte degli uomini, la prospettiva di una notte di sesso senza sentimenti con una donna comeCasey era semplicemente troppo allettante. Peccato che per lei non fosse lo stesso, tant’è che èaddirittura arrivata a dirmi che saremmo anche potute diventare cognate. «Non sarebbe forte?» haridacchiato una notte in camera, dopo una lunga serata trascorsa coi ragazzi. «Pensa, potremmoritrovarci sposate coi fratelli Cooper! Avremmo anche lo stesso cognome. Casey Cooper suonaproprio bene, non pensi anche tu?»

Mi sono trattenuta dal farle notare che Carl l’aveva evitata per tutto il giorno e che Ryan non ciaveva nemmeno provato con me. E questo proprio non so spiegarmelo. Le occasioni non sono certomancate. Inizio a pensare che mi abbia preso in giro. O che sia semplicemente interessato a un’altra.Provo a condividere i miei dubbi con Casey, che si gira di scatto verso di me. «Tu credi? Be’,potrebbe darsi, Ibiza è piena di belle ragazze, però io ero sicura che...»

Lascia la frase a metà, e non so se per un’improvvisa perdita d’interesse nell’argomento o per nonferire i miei sentimenti.

«Ancora non riesco a credere che domani ce ne torniamo a casa», commenta Mia assaporando unlungo sorso di margarita. È splendida con indosso i jeans bianchi e il minuscolo top-foulard fucsiacosparso di lustrini che mette in risalto il piercing all’ombelico che Casey l’ha convinta a farsi.Dopo un inizio piuttosto travagliato, all’incirca verso il terzo giorno Mia e Casey hanno dichiaratouna tregua, smesso di punzecchiarsi a vicenda e instaurato un rapporto basato sul comune desideriodi attenzioni maschili. E così sono diventate un’inseparabile coppia di ragazze ribelli e disinibite conal seguito la «santarellina» – io – che ne rovinava lo stile. Ma non importa. In un modo o nell’altro,comunque andavano d’accordo.

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«Triste ritorno alla realtà», sospira Casey.«Non per la nostra Mia», commento, invidiosa. «Lei salirà a bordo di un aereo e se ne andrà

dall’altra parte del mondo.»«Puoi sempre venire con me», replica lei con un sorriso.Ah! Se solo ripenso ai grandiosi progetti fatti all’università. Alle nostre «Liste della vita».

Volevamo visitare il mondo insieme, trasferirci a Sydney... Progetti irrealizzabili, me ne rendo contosolo ora perché, quando si arriva al dunque, non sono poi così ribelle e preferisco non correre rischi.Mia è rimasta molto delusa nell’apprendere che non sarei andata con lei, ma non per questo hacambiato idea. Come invece speravo. Mi mancherà oltre l’immaginabile. Non riesco a pensare lavita a Londra senza di lei, ma sono certa che abbia preso la decisione giusta. È della mia decisioneche non sono più sicura. Ma ormai è troppo tardi.

«Lo sai quanto mi piacerebbe», rispondo con un sorriso mesto. «Però ho la fortuna di avere ilSacro Graal di tutti gli studenti pieni di debiti: un impiego! E mollarlo sarebbe da pazzi.»

«Sì, be’...» interviene Casey sulla difensiva, quasi si sentisse in competizione. «Voi tenetevi purei vostri bei voli in Australia, per me non esiste posto migliore di Leigh-on-Sea. Non me ne andreimai.»

E ciò che mi rattrista è la certezza che non lo farà, e non perché non vuole, bensì perché ha paura.E non intendo permettere che a me accada lo stesso.

Ecco che arrivano i ragazzi. Casey non la smette più di sbracciarsi, mentre Mia si limita ad alzareuna mano, mettendo in mostra la manicure impeccabile. Prendo un bel respiro profondo: oddio, Ryanpunta dritto verso di me! Indossa una camicia bianca con gli ultimi due bottoni slacciati e l’aria lasolleva appena, lasciando intravedere il ventre abbronzato.

«Oh, ecco la mia principessa», esordisce Gaz facendo l’occhiolino a Mia; prende posto accanto alei e le posa un bacio sul collo.

Mia alza gli occhi al cielo, ma si risolve a baciarlo. Si sono messi insieme la prima sera chesiamo uscite coi ragazzi.

«Siete uno spettacolo», commenta Gaz.«Grazie», rispondo con un sorriso, sviando lo sguardo per non incrociare quello di Ryan. So bene

che arrossirei seduta stante.Lui però si china verso di me, e mi viene la pelle d’oca. «Ha ragione, sai? Sei proprio uno

spettacolo», sussurra.Non gli rivelerò certo che stasera mi sono impegnata al massimo per prepararmi. Il lungo vestito

di seta gialla mi calza a pennello, le spalline sottili mettono in risalto le spalle abbronzate e i capellischiariti dal sole. Per la prima volta in vita mia mi sento bella e lo devo a Ryan. La tensione tra noi ècresciuta per tutta la settimana, ma nessuno dei due ha fatto il primo passo. Sguardi d’intesa e maniche si sfioravano mentre camminavano, nient’altro. Non saprei dire se sono i trascorsi a bloccarci, ola situazione, ma è come se entrambi avessimo paura di baciarci di nuovo. Potrebbe essere stupendoo terribile, e nessuno dei due intende rischiare. Ignoro come si senta Ryan, ma lui mi è entrato dentrosin da quando ci siamo conosciuti e in un modo che non credevo possibile. Incontrarlo qui etrascorrere la settimana insieme, poi, non ha fatto che esasperare la sensazione. Ho lo stomacosottosopra per l’emozione. Una grossa parte di me vorrebbe fuggire il più lontano possibile perchénon sono ancora pronta per lui, ho appena iniziato a spuntare la lista coi progetti futuri. Al contempo,però, è come se Ryan avesse il potere di paralizzarmi. Quando mi è accanto non riesco a desiderare

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altro, per sempre. Il sole è scomparso all’orizzonte e il cielo si è fatto purpureo.

Ryan si china verso di me. «Ti andrebbe di fare una passeggiata?» mormora.Gli altri si stanno godendo l’atmosfera, sorseggiano i drink guardando il mare. Ryan mi stringe la

mano sotto il tavolo e io annuisco con un sorriso. Casey è l’unica a notarci. Mi guarda inarcando unsopracciglio e io non posso far altro che sorridere e mordermi un labbro, per mostrarle quanto sononervosa e insieme compiaciuta, poi ci voltiamo e ce ne andiamo.

«Voglio mostrarti un posticino che ho scoperto, una spiaggetta molto più tranquilla», spiega Ryantenendomi per mano. «Ci vogliono più o meno quindici minuti, per te va bene?»

Annuisco. Per come mi sento adesso, potrebbero anche volerci quindici giorni.«Certo che è stata proprio una settimana incredibile, eh?» commenta ridendo mentre proseguiamo

tranquilli. Be’, tranquilli se non tengo conto del ronzio nelle orecchie, del cuore che batteall’impazzata e di gambe e braccia che tremano. Per il resto, però, sono rilassata. «Ancora non cicredo che ci siamo scontrati col materassino.» Si volta verso di me.

Non so cosa rispondere, ho perso l’uso della parola. L’arietta tiepida – e forse anchequalcos’altro – ci avviluppa in una sorta d’impenetrabile bolla di calore. E poi ecco una calettaannidata tra le scogliere scoscese, e davvero non potrebbe essere più diversa dalla brulicante Calódes Moro.

«Siamo arrivati?» domando guardandomi intorno.Ryan annuisce. «Questa è Cala Gració, l’ho scoperta oggi facendo windsurf. E ce n’è un’altra

poco più avanti.»«Ma allora che aspettiamo, pigrone!» esclamo correndo verso la battigia.Non appena sfioro l’acqua scintillante e baciata dalla luna, mi fermo e mi volto proprio mentre

Ryan mi solleva tra le braccia, appuntando i suoi meravigliosi occhi azzurri nei miei. Poi mi rimettea terra lentamente, ma io mi sento ancora fluttuare.

Si china a raccogliere qualcosa, mi apre la mano e me lo posa nel palmo. «Questo è il primo donoprezioso che ti faccio. E prometto che non sarà l’ultimo.»

Ammiro la fragile conchiglia che mi brilla in mano e la serro piano tra le dita. Poi Ryan miavvolge in un abbraccio. Si allontana e io riapro gli occhi. Mi accarezza la guancia, seguendodelicatamente il contorno del viso, e poi mi conduce lungo la spiaggia e oltre le rocce, le nostreimpronte luccicano come diamanti. Raggiungiamo la seconda caletta. È deserta.

«Molly Carter, sappi che sto per baciarti.»Le sue labbra morbide e calde si fondono con le mie, la lingua si muove delicatamente come le

onde che mi lambiscono melodiose i piedi, ed è come se il mondo avesse smesso di girare e fossimonoi a vorticare ancora e ancora, e siamo tutt’uno: io, lui e il mare. Mi sento annegare, ma non hopaura.

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15:09

Siedo in cucina e mi rigiro la conchiglia in mano. La guardo, poi guardo il televisore col DVD ancora in pausa sulfotogramma finale. Stringo la conchiglia e vado in soggiorno a togliere il film dal lettore. Scollego tutti i cavi, così Bob potràsistemarlo nell’ultimo scatolone, contrassegnato come Deposito. Faccio per rimettere il disco nella custodia, poi però midirigo in cucina, dov’è posato il portatile, e lo infilo nel lettore. So bene che dovrei metterlo via subito, ormai è tardi, ma hobisogno di schiarirmi le idee un’ultima volta. Poi avrò finito. Sto per avviarlo quando qualcuno suona il campanello e iosobbalzo. La mamma. Mi guardo intorno in preda al panico, ma mi accorgo che non è rimasto poi molto da fare e quindivado ad aprire, sollevata. Trentadue anni e quella donna riesce ancora a farmi sentire una tredicenne. Questo sì che èpotere.

Ma davanti a me non c’è la mamma, bensì un donnino sorridente con gli occhi azzurri.«Nonna Door!» esclamo, abbracciandola forte prima ancora di aiutarla a salire lo scalino. «Ma che ci fai qui? Sarei venuta

io a trovarti più tardi. Sai, per un’ultima tazza di tè a casa tua, in ricordo dei bei vecchi tempi.»«Be’, cara, io invece ho pensato che una volta tanto il tè avresti potuto prepararmelo tu!» ribatte con un sorriso sfacciato,

togliendosi il cappotto e il cappello di pelliccia. I vivaci occhi azzurri sono sempre gli stessi benché il fisico si sia comeristretto e l’udito non sia più dei migliori. «E poi comunque volevo portarti una cosa.»

«Basta che non sia un altro regalo. Mi hai già dato il DVD col meglio del Grande Fratello e non vedo l’ora di guardarlo colportatile sull’aereo.»

«Ah, vedrai quanto ti farà ridere», commenta trascinandosi in cucina. La seguo e metto il bollitore sul gas mentre lei siaccomoda al tavolo. «Oh, le gambe non sono più quelle di una volta», si lamenta massaggiandosi i polpacci.

«E per forza, tu insisti coi tacchi assassini!» esclamo guardandole le décolleté rosa che indossa. «La Mellon non ènessuno in confronto a te.»

«Mi stai paragonando a un melone?»«No, nonna!» ridacchio. «La Mellon, Tamara Mellon. Chiamiamola l’ambasciatrice di Jimmy Choo.»«Jimmy Who?»«Lascia stare!»Continuo a preparare il tè.«Comunque, come dicevo, voglio darti una cosa. Lydia mi ha detto quello che hai fatto prima...»Mi volto di scatto, colta dall’improvviso timore di averla in qualche modo offesa. «Oh, nonna, spero che tu non te la sia

presa! Lo sai quanto ci tengo a quell’anello, ma sentivo che darlo a Lydia era la cosa... la cosa giusta da fare, ecco.» Lesiedo accanto, portando due tazze di tè fumante. Ormai ho perso il conto di quanti ne ho già bevuti da quando mi sonoalzata.

Mi dà una pacchetta sulla mano e noto che gli occhi iniziano a velarsi di lacrime. «Molly cara, ma certo che capisco. E soanche quanto dev’essere stata dura per te. Ecco perché al suo posto voglio darti questo», risponde prendendosi di tascauna scatoletta di velluto blu che spinge verso di me sul tavolo.

«Che cos’è?»«Apri e scoprilo da te», m’invita con un sorriso.La apro lentamente. Dentro c’è un San Cristoforo d’argento, un po’ ossidato dal tempo, ma per il resto in perfette

condizioni. Le rivolgo uno sguardo interrogativo e anch’io sento salire le lacrime.«Me l’ha regalato mia nonna quand’ero bambina. San Cristoforo è il santo patrono dei viaggiatori...» Mi stringe la mano.

«So che c’è già qualcuno che veglia su di te. Anzi sono in due... Fortunella.»Sorrido e mi asciugo una lacrima.«Però volevo che sapessi che sarai sempre nei miei pensieri, hai capito, tesoro mio?»Annuisco, incapace di spiccicare parola.«Ormai ho una certa età e a queste cose devo pensare razionalmente. Questa potrebbe essere l’ultima volta che ci

vediamo, Molly cara. Ma se tieni questo sempre vicino saprai che io ti guardo da lassù.»Il nodo alla gola m’impedisce di parlare, perciò l’abbraccio e mi sciolgo in singhiozzi. Dopo quello che è accaduto ho

faticato per mantenere i rapporti con la maggior parte della sua famiglia. Era troppo dura. Ma da nonna Door proprio nonsono riuscita a separarmi. E, sebbene siano passati quattro anni, il nostro rapporto è persino più intenso adesso di allora equesto addio è l’unico che temevo sul serio.

Bob ci interrompe infilando la testa in cucina. «Cara, dobbiamo finire qui dentro e poi abbiamo fatto, okay?»Nonna Door prende dalla borsetta un fazzoletto un po’ malconcio e mi ci tampona gli occhi con un sorriso rassicurante.

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«Ma certo!» rispondo. «Non fate caso a noi!»Nonna Door si alza e io faccio altrettanto. Mi cinge con un braccio e mi stringe forte mentre ci dirigiamo verso la porta

d’ingresso. Indossa il cappotto e mi guarda negli occhi. «Adesso però basta piangere, cara. Abbiamo già versatoabbastanza lacrime per una vita.» Mi rivolge un sorriso luminoso e mi posa una mano sulla guancia. «Mia cara Molly, tumeriti di essere felice per sempre.»

E, con queste parole, si incammina faticosamente.

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Il bacio post luna di miele

Solo dopo che se n’è andato ho capito quanto della mia vita fosse inestricabilmente legato a Ryan. E non mi riferisco soloalle fotografie e agli oggetti sparsi per casa, come CD e DVD, ma anche ai luoghi. Il Crooked Billet, il nostro pub, e il nostroristorante thailandese preferito su Broadway, tutti contrassegnati con un bel cartellone che diceva NOI quando ormai erorimasta solo «io». E poi la «nostra panchina» al parco, dove ci siamo baciati così tante volte, e il Rossi’s di Southend dovesiamo stati per il primo appuntamento. Nemmeno il castello di Hadleigh, dove tante volte avevo trovato conforto daragazzina, poteva più offrirmi un rifugio per cercare di aggiustare il cuore spezzato. E cosa dire degli amici comuni, che nonsapevano come scegliere a chi restare accanto. E delle rispettive famiglie. Per lungo tempo mi sono aggrappata a chiunquee a qualsiasi cosa potessi, non importava quanto ci facesse sentire a disagio, me e loro. Restavo seduta per ore al «nostrotavolo» del pub a rigirarmi un bicchiere di vino in mano, incurante degli sguardi di compassione. E, quando non gironzolavodalle parti di casa sua, chiamavo Jackie per piagnucolare e dirle quanto ancora amassi suo figlio, prendendomela con leiperché lui mi aveva lasciato. Mi aggrappavo a tutto questo con le unghie e coi denti perché ero terrorizzata al pensiero diquello che sarebbe rimasto se avessi mollato la presa. Poi col tempo, un poco alla volta, si è fatto sempre più facile infilaretutto ciò che riguardava Ryan in una scatola con scritto Passato. E così, alla fine, le uniche due cose cui proprio non hosaputo rinunciare sono nonna Door e il «nostro film». So che un giorno dovrò dire addio a entrambi. Ma non adesso. Nonsono ancora pronta.

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FF ▶▶ 11/10/06

«Redazione di Viva», rispondo meccanicamente al telefono.La PR inizia a parlare, ma io faccio fatica a seguirla. Per amor di onestà, sono costretta ad

ammettere che, da quando cinque mesi fa siamo rientrati dall’incredibile luna di miele in NuovaZelanda, non sono più stata capace di... concentrarmi sul lavoro, ecco. Guardo la fotografia che si èmeritata il posto d’onore sulla scrivania: Ryan e io lunghi distesi sul ghiacciaio Franz Josefdell’Isola del Sud. Siamo infagottati come omini Michelin e premiamo le guance rosse l’una control’altra, con gli occhi che brillano come l’antico accumulo di ghiaccio sul quale sediamo dopo averammirato lo spettacolo delle grotte e dei pinnacoli che ci circondano.

Entrambi eravamo convinti che, vista la sua esperienza nelle arrampicate e le spiccate dotiatletiche, Ryan mi avrebbe fatto fare una ben magra figura, e invece metà del tempo l’ha trascorsa suldidietro. Era stanco, aveva sciato troppo sulle piste di Queenstown mentre io mi ero riposata nellaspa, ma questo non m’impediva certo di punzecchiarlo. «Scusi, ufficio reclami matrimoniali? Vorreiessere rimborsata!» ho esclamato ridendo quando me lo sono visto scivolare davanti per la settimavolta. «Io pensavo di aver sposato un giovane sportivo e in forma, non quest’imbranato che miritrovo!»

«Sono ancora i postumi della sbornia che mi hai fatto prendere con la degustazione di vinidell’altro giorno!» ha borbottato aggrappandosi alle mie gambe per rimettersi in piedi. E meno maleche avevamo i ramponi! «Io non ci sono mica abituato...»

«Scuse, sempre scuse», ho replicato cercando di aiutarlo, invece mi ha trascinato per terra con sé,e ce ne siamo rimasti così, distesi e abbracciati mentre, tra una risata e l’altra, ho scattato una dellemie fotografie spontanee preferite.

La luna di miele è stata l’unione perfetta delle nostre anime. C’era tutta l’avventura che Ryanavrebbe potuto desiderare: ghiacciai da scalare, voli in elicottero e laghi da attraversare in kayak.Escursioni adrenaliniche tra laghi spettacolari e parchi nazionali immersi in panorami quasi troppobelli per poterli ammirare. Lanci col paracadute a Wanaka, che nella mia lista della vita non eranomai entrati nemmeno per sbaglio ma che Ryan mi aveva descritto paragonandoli all’innamoramento:bisogna affidarsi completamente a un’altra persona e agli elementi. E aveva ragione. Sono propriocontenta di essermi convinta a provare. Ryan è in grado di farmi fare cose che non mi sarei maisognata di prendere anche solo in considerazione.

Ma non mancavano nemmeno gli accoglienti chalet in cui restarcene accoccolati al calduccio edove potermi rilassare alla spa, i percorsi con degustazione di vini – durante i quali Ryan hascoperto che il vino gli piace, purché sia bianco –, whale watching e serate passate ad ammirare lebalene col cuore gonfio di soddisfazione. Quattro sublimi settimane alla scoperta delle isoleneozelandesi a bordo di un 4x4, dividendoci le ore di guida e il controllo dell’iPod. Quand’era il suoturno, si viaggiava ascoltando musica pop, soprattutto i Maroon 5 e Keane, quando invece toccava ame, l’abitacolo si riempiva di canzoni da, per citare la definizione di Ryan, «tagliarsi le vene».

Un viaggio splendido, estenuante ma splendido. E adesso siamo tornati alla dura realtà. Entrambi

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lavoriamo sodo e a pagarne lo scotto è soprattutto Ryan, che negli ultimi mesi fa una fatica immane atrascinarsi fuori dal letto, figuriamoci in palestra. Ha anche messo su un po’ di pancetta, che noichiamiamo affettuosamente «la zavorra dell’amore».

«È perché sei troppo felice», dico per tenerlo su di morale. «E poi a me piace, è tutta roba in piùda toccare!»

Ieri sera è rincasato tardi da scuola, distrutto. Ha buttato il borsone sul divano e l’ha subitoimitato, e non mi ha rivolto nemmeno un sorriso quando gli ho detto che avevo fatto la pasta. Be’, nonche si possa biasimarlo. La mia versione di «fare» non sono certo i ravioli freschi ripieni di fave,mozzarella a dadini e scorza di limone che avrebbe preparato lui con tanto amore. No, direi piuttostofusilli scotti con una scatoletta di tonno e un barattolo di sugo. Era immangiabile, tanto che persino ioho preferito lasciarla nel piatto e concentrarmi sul generoso bicchiere di Sauvignon. Ryan quasi nonl’ha toccata e ha posato il vassoio sul pavimento con un grosso sospiro.

«Ehi, Cooper, non sei soddisfatto del servizio in camera o vuoi metterti a dieta?» l’ho preso ingiro.

Mi ha guardato con un sorriso spento. «No, solo un’altra giornata massacrante al lavoro», hasospirato.

«Non puoi continuare a importi tutta questa pressione.» Gli ho massaggiato le spalle. «Ogni tantodevi imparare a staccare la spina. Tre quarti di quei ragazzi hanno bisogno di genitori migliori, nondi un dribbling migliore. E tu non puoi fare altro per loro.»

È trasalito appena, come se a fargli male fossero state le parole oltre che il massaggio. Era tesocome una corda di violino.

«Sai, io non mi limito a insegnare loro come si gioca a calcio, io cerco di prepararli alla vita, difargli capire che il mondo ha molto da offrire, molto più di quanto non credano di meritare. Molti diloro hanno alle spalle una famiglia talmente di merda che proprio non posso staccarla, la spina,capisci? Devo impedire loro di mettersi nei guai, spingerli a concentrarsi sugli esami e non solosullo sport, ma il più delle volte mi ritrovo a barcamenarmi tra quelle cacchio di relazioni perl’Ofsted, che se ne andassero a quel paese, loro e i loro controlli di qualità sull’insegnamento! Pernon parlare di tutte le altre cacchio di scartoffie che tolgono tempo al lavoro che amo.» Sospira pianoe chiude gli occhi mentre continuo a massaggiarlo. «E ci si mette pure il campionato interscolastico.Quelli di prima e seconda devono allenarsi parecchio se vogliono avere una chance di arrivare allefinali. Finora non si erano nemmeno mai qualificati, per questo ho intenzione di mostrare loro findove possono arrivare.»

«Però promettimi che starai attento», mi sono raccomandata finendo il massaggio. «Non voglioche ti ammali.»

Ryan mi ha stretto la mano, rivolgendomi un debole sorriso. «Ehi, piccola, sono o non sono ilragazzo più in forma che conosci...» E, così dicendo, ha preso il telecomando e ha iniziato a farezapping ancora più velocemente del solito mentre si preparava in grembo l’ennesima pila di compitida correggere. Non gli riesce di stare fermo nemmeno mentre si rilassa.

«Ryan, per favore. Si vede che sei a pezzi. Adesso fermati e riposati per un minuto, vuoi?» Misono seduta accanto a lui e gli ho fatto una carezza sui capelli, cui lui ha risposto con una smorfia, perpoi rilassarsi e rivolgermi un altro fugace sorriso.

«Scusami, Moll, hai ragione.» Ha posato i compiti sul pavimento e si è sdraiato abbandonando latesta sul mio grembo. Dopo cinque minuti mi sono ritrovata a guardare Holby City da sola, mentre lui

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russava beato. D’improvviso sullo schermo compare un’e-mail di Christie che mi chiede di andare nel suo ufficio.Interrompo subito il bel discorsetto imbonitore della PR, me ne libero con una scusa e mi dirigo daChristie, ricordandomi solo ora di non aver pensato nemmeno a un buon titolo di copertina e chemolto probabilmente è proprio di questo che vuole parlare, fare un po’ di brainstorming con meprima della riunione che ci sarà tra un’ora. Ecco, questa è la parte che più detesto del lavoro dicondirettore. Quand’ero photo editor sapevo di fare qualcosa in cui riuscivo molto bene, ma adessomi divido tra problemi di budget o del personale e riunioni. Una promozione che ha significatoallontanarmi di un altro passo dalla fotografia. Sfoglio mentalmente il numero di aprile, le sezionidedicate a bellezza e moda, sforzandomi di uscirmene fuori con qualche idea originale. Una ventatadi primavera in passerella? Bleah! Allora forse è meglio pensare alla bellezza, vediamo... I coloripastello sono davvero d’antan? Peggio che andar di notte!

Varco la soglia dell’ufficio abbattuta e scoraggiata, alle prese col vano tentativo di sollevare beneda terra tanto i piedi quanto l’entusiasmo per questo lavoro.

«Ciao, Molly.» Christie mi sorride e mette subito giù la penna. Adoro questo suo modo di fare,quel suo dare piena attenzione nonostante le mille cose urgenti di cui deve occuparsi. «Allora, cosami racconti? Come vanno le cose? Sei contenta?»

«Eeehm... sì?» mento, incerta su cos’altro avrei dovuto dirle. È vero, con Ryan ho parlato del miodesiderio di mollare tutto, ma non per questo voglio che mi diano il benservito. Adesso inizio apreoccuparmi per davvero. Forse ho frainteso la situazione. Negli ultimi tempi l’entusiasmo è andatovia via scemando, e forse Christie l’ha notato.

«Mmm...» Christie tamburella la penna sulla scrivania e solleva il caffè. «Non so perché ma ho lasensazione che il nuovo lavoro non sia adatto a te, perlomeno non quanto avevamo sperato.»

«Be’...» Inizio a giocherellare con le dita, alla nervosa ricerca del modo di salvare il salvabile.«Ammetto che ci sono degli aspetti che trovo difficili e...»

«... noiosi?» suggerisce. Non ha un’aria scocciata, semplicemente interessata.Decido allora di essere sincera e, con l’espressione di una ragazzina chiamata a risolvere un

difficilissimo problema di matematica, rispondo: «No, non intendevo dire noioso, solo che non mi citrovo a mio agio, ecco».

«Lo immaginavo. Ecco perché ho pensato a questo: vorrei che tenessi un blog, Molly. Un blogfotografico. So che ami la fotografia e ho già avuto modo di vedere alcuni dei tuoi scatti. Hai stile,sei originale e conosci i nostri lettori forse meglio di chiunque altro. Ecco, voglio che questo blogdiventi un punto di riferimento per chiunque abbia voglia di vedere belle immagini che catturinomomenti interessanti, provocatori o divertenti. Le parole non servono, magari solo una riga dididascalia.» Si è alzata e agita le mani proprio come fa durante le riunioni, quando sente arrivare leidee. «O forse per qualcuna servirà qualcosa di più? Be’, sarai tu a deciderlo. Allora, cosa nepensi?»

Sorrido. Ho le farfalle nello stomaco al pensiero di essere pagata per scattare belle fotografie checentinaia – o persino migliaia – di persone vedranno ogni giorno.

Ed eccomi trasformata in un vulcano d’entusiasmo. «Cavolo, Christie, sarebbe incredibile! E sonogià piena d’idee che si adatterebbero alla perfezione alla tua!» Così dicendo, mi precipito alla mia

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scrivania, acchiappo la macchina fotografica che languisce in un cassetto e torno indietro correndo.Inizio subito a passare in rassegna gli scatti, mostrandole tutti i momenti che catturo ogni giorno. Il

mio soggetto ideale sono le persone, e questo da sempre, da sole o in compagnia, coi familiari, congli amici, bambini e innamorati. Mi piace cogliere le diverse sfumature dei rapporti attraversol’obiettivo, perché solo così posso andare oltre la faccia e rivelare le vere emozioni. Quando esco dall’ufficio è già sera. Cammino con la macchina fotografica che mi rimbalza sul petto,entusiasta e insieme intimidita nel pensare alla quantità di possibili scatti che incontrerò durante ilviaggio di ritorno a casa. Frugo in borsetta in cerca del cellulare e mi accorgo di avere una chiamatapersa e due messaggi di Ryan: con uno mi avvisa che farà tardi anche stasera e con l’altro che lacaldaia si è rotta. Poco male, nemmeno questo riuscirà a rovinarmi il buonumore. Digito veloce unarisposta, fin quando non sento qualcuno che mi tocca la spalla.

«Casey... ciao!» esclamo, sorpresa.Quasi non la riconoscevo con indosso quel sofisticato completo da lavoro. In quest’ultimo

periodo è più bella che mai. I capelli neri sono lunghi fino a metà schiena e colpi di sole ed extensioninguardabili sono ormai un lontano ricordo. La pelle è del suo bel colorito olivastro naturale, Caseydice che è perché, con lo stipendio da stagista, non può certo permettersi lampade e autoabbronzanti,e comunque si preferisce così. Anche le unghie finte e i vestitini succinti da due soldi sono spariti perlasciare il posto a un abito a vestaglia di un bel bordeaux luminoso, scarpe décolleté con poco taccoe pochi gioielli d’oro. L’unico difetto, se così vogliamo chiamarlo, è la cicatrice sotto l’occhio, mapersino quella ha una propria bellezza tragica, come fosse una lacrima che scivola giù dalle ciglia,ricordo costante – per me – di quanto la mia amica sia vulnerabile.

Per un istante resto a fissarla con la bocca spalancata, poi l’abbraccio. «Sei strepitosa. Allora,come va al lavoro?»

«Bene. Anzi benone!» esclama con negli occhi una luce che non vedevo da mesi. Si sta rimettendoin carreggiata. Dalla notte dell’aggressione non è quasi più tornata nell’Essex, e senz’altro non ha piùrimesso piede in quella discoteca. Ci aveva confidato di essersi sentita come se fosse stata la cittàintera a scagliarsi contro di lei e non solo quel gruppo di ragazze, e che per lei ormai esisteva soloLondra. Così una sera, poco dopo il nostro ritorno dalla luna di miele, ci siamo messe a buttare giùqualche idea sul lavoro che avrebbe potuto svolgere. Io ho stilato una lista dei suoi punti forti – unalista è sempre una soluzione – e poi siamo andate in rete per farle compilare un test attitudinale. Sonorisultate numerose opzioni valide per la sua personalità, ma quella che spiccava più di tutte erano lepubbliche relazioni.

Ricordo ancora di aver assestato un bel colpo al tavolino, facendo tremolare le fiamme dellecandele e agitare il vino nel bicchiere. «Ma è perfetto! Io ho un sacco di conoscenze in quel campo!Vedrai che da qualche parte riusciamo a sistemarti!»

«Tu dici?» ha chiesto, di nuovo illuminata dal sorriso di un tempo. «Per davvero? Sarebbefantastico!» E poi ha abbracciato Ryan e me, stringendoci tanto da toglierci il respiro.

Un entusiasmo che, stranamente, era parso scemare dopo che le avevo fatto la lista di tutte lesocietà cui volevo che si proponesse e le avevo affidato il compito di scriversi il curriculum, tantoche, alla fine, dell’e-mail di presentazione mi sono occupata io, così come di strutturare il curriculumin modo che la lunga lista di doti e capacità mettesse in secondo piano la mancanza di esperienza.

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Due settimane dopo le hanno offerto uno stage di due settimane presso la Myriad Communication,uno dei nomi più in vista nel panorama della moda.

«Mi piace davvero un sacco, nel senso che penso che potrebbe davvero essere il mio lavoro, anzino, non un lavoro, una carriera. Una vera! Oh, Molly! E penso pure che sarei molto brava! Cioè, sepoi me lo offrono, un lavoro, che non è mica detto. Però t’immagini se lo fanno? Sarebbe davverotroppo forte!»

«Ma è eccezionale! Sono davvero tanto felice per te», rispondo prendendola a braccetto mentrepercorriamo Long Acre.

«Be’, è solo grazie a te. L’idea è stata tua e anche i contatti. Cos’avrei mai potuto fare senza di te?Prima mi ospiti in casa tua, poi mi trovi un lavoro», afferma sorridendo. «Adesso l’unica cosa chemanca è che mi trovi un marito.»

«Ah, guarda, se vuoi ti presto il mio!» ridacchio.«Perché, cos’ha fatto?» domanda portandosi la mano alla bocca con un gesto enfatico.«Ma niente, è che stamattina si è rotta la caldaia e non si è nemmeno dato pena di farla riparare!

Solite lamentele da moglie», rispondo, aggiungendo subito un sorriso per farle capire che scherzo.«Eh, se solo si decidesse a fare una lista... non so più come ripeterglielo, sai com’è?»

«No che non lo so!» ribatte allegra. «Io non ho mai avuto una storia più lunga di due mesi, te loricordi? I ragazzi riesco a malapena a convincerli a restare per colazione, figurati a darmiun’occhiata alle tubature... e non intendevo nessun doppio senso! Moll, se proprio vuoi saperlo,secondo me dovresti ritenerti fortunata. Non sai quante vorrebbero un marito come Ryan, mecompresa.»

«Hai ragione. Adesso però fammi vedere se riesco a trovare un idraulico così perlomeno stanottenon congeliamo...»

Ne chiamo uno al volo, concordiamo la cifra – schifosamente alta! – dell’uscita e la tariffa oraria,poi mando un messaggio a Ryan. PER LA CALDAIA È TUTTO A POSTO. BACIO Lavoro di squadra. È questo il segreto.

Riprendo Casey a braccetto e ce ne torniamo a casa insieme.

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Il bacio rincorso

Se potessi scegliere dove baciare Ryan in questo istante, ci farei tornare indietro nel tempo, e di corsa, fino al luogo in cui luivoleva stare anziché quello che io volevo raggiungere a tutti i costi. Fino al luogo che lo rendeva sempre tanto felice. Il luogoin cui saremmo dovuti restare. E poi lo bacerei per sempre, senza mai fermarmi. E allora forse nulla di tutto ciò sarebbeaccaduto.

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FF ▶▶ 14/01/07 9:25

«Ufff, Moll, ma ci devi proprio andare?» si lamenta Ryan tormentandomi la manica – e i sensi dicolpa – appoggiato alla porta del soggiorno. Indossa un paio di jeans Diesel e stringe un bicchiere disucco di goji (la sua ultima fissa salutista).

Nel frattempo, io ricontrollo la «Lista delle cose che servono in aeroporto», svuoto il bagaglio amano per verificare che ci sia tutto, quindi ricontrollo l’altra lista, quella del viaggio di lavoro,procedendo poi a rovistare nelle valigie per avere la certezza di aver preso tutto. Frugo in borsettaper la ventisettesima volta e per la ventisettesima volta il passaporto è dove dev’essere. Sollevo losguardo e vedo che Ryan ha messo un broncio da bambino capriccioso. Adesso porta i capelli corti econ le punte all’insù, lo fanno sembrare più magro e cesellato, dandogli un’aria da duro. Dio, comevorrei avere tempo per un ultimo salutino come dico io... Tre settimane sono tante da trascorrerelontana da lui. Forse la mole e la tensione di tutto il lavoro degli ultimi mesi gli hanno segnato ilviso, o forse è solo perché i trenta sono ormai dietro l’angolo, ma ormai Ryan ha perduto quelleguance così delicatamente piene e, in generale, quell’aura da eterno ragazzino. Le occhiaie infossate,poi, gli donano anche un tocco rude. Mamma mia, quant’è sexy. Quasi quasi chiamo in aeroporto eavviso di trattenere l’aereo in pista mentre mi dedico a un po’ di... sollazzo pre volo.

Si dice che gli uomini invecchino meglio delle donne, eppure non posso certo dirmi delusa dalriflesso che mi rimanda lo specchio all’ingresso. So bene che la «mise da aeroplano» mi dona: jeansattillati color indaco, stivali neri da cowboy vintage, maglietta bianca aderente, enorme sciarpa diLouis Vuitton – gadget da cartella stampa – e un fantastico paio di Ray-Ban Wayfarer originali deglianni ’80 che ho comprato a Camden Town. Ho anche perfezionato il trucco: un tocco di rosa sulleguance, lucidalabbra trasparente e poco mascara. Di ritorno dalla luna di miele ho deciso di dare untaglio netto con la «sposina dalla lunga chioma» e mi sono fatta fare un bel caschetto con la frangia.Mi metto la borsetta in spalla e infilo la macchina fotografica al collo, posandola sulla sciarpa. Nonè accaduto spesso che me ne separassi da quando ho iniziato a tenere il blog sul sito Vivamag.co.uk.Ancora stento a credere al successo che ha riscosso. Mi hanno anche dedicato un ampio servizio inuno dei supplementi del fine settimana, dove mi hanno definita «la blogger di città». È stato bizzarroe splendido insieme. E da quel momento Ryan e io siamo stati costretti a fare cose incredibili,insieme o separati, perché le PR hanno iniziato a offrirmi soggiorni gratuiti in alberghi e resort incambio di scatti interessanti e con tanto di recensione. Per la serie «Vita di mercato» siamo statiospitati in una lussuosa tenda beduina a Marrakech. Abbiamo passato una settimana a girare per i sukdella città e le foto che ho scattato hanno creato uno splendido contrasto quando le ho postate insiemecon le immagini di Londra. Come quella delle bancarelle piene di cibi deliziosi a Borough Market equelle dei venditori di fiori al vivace e brulicante mercato di Columbia Road. Abbiamo soggiornatoin alberghi di lusso davvero stupendi a Venezia, San Francisco e Praga perché, un giorno, mi è venutal’idea di ritrarre le coppie che si baciano su ponti famosi. Uno dei miei progetti preferiti è stato«Sulle ali dell’amore», per il quale ho dovuto fare una serie di scatti dall’alto che mi hanno datooccasione di riscoprire la bellezza maestosa di Londra. Con Ryan siamo anche riusciti a ottenere una

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capsula del London Eye tutta per noi, un’esperienza davvero incredibile. Ho posizionato la macchinafotografica sul treppiede e ci ho immortalati di spalle mentre ammiravano le luci della città dall’alto.Davvero magico.

Ryan e io conduciamo la vita che ho sempre desiderato per noi e per questo mi sento la ragazzapiù fortunata al mondo. Com’è ovvio, purtroppo non possiamo far proprio tutto insieme, tant’è chesto per andarmene a New York da sola per tre settimane, su invito della editor di Viva New York chemi ha proposto una serie di post da laggiù che compariranno come inserto fotografico nel loronumero di aprile. Secondo Christie sarà una pubblicità enorme per il blog, che attirerà ulteriorivisitatori; il che, perlomeno sinora, ha significato anche più lettori per il cartaceo. Le cose nonpotrebbero andare meglio. Stare così a lungo lontano da Ryan non è certo l’ideale, ma lui non potevacerto prendersi tre settimane di ferie.

«Quello che non afferro è perché proprio tre settimane», dice, massaggiandosi il petto con lamano.

Appoggio la borsetta con un sospiro e gli cingo la vita con un braccio mentre l’altra mano glielaposo sul petto, proprio sopra i nei. Ryan mi nasconde il capo contro il collo e io gli bacio i capelli.Sa di grandi spazi e di gel.

«Ti prometto che voleranno via in un secondo», dico a bassa voce, tanto a lui quanto a me stessa.«Non lasciarmi qui da solo con lei! Mi farà una testa così», piagnucola.Casey è stravaccata sul divano a mangiare pane tostato e guardare un episodio registrato di Heros

– che, per inciso, piace molto anche a Ryan –; ormai il soggiorno è diventato la sua cameraimprovvisata.

«Vedrai, tra poco iniziano le simulazioni d’esame e non avrai tempo per sentire la miamancanza!»

Ryan sorride e lo sguardo va al televisore.«Ehi, Cooper, guarda che sono qui!» lo sgrido prendendogli il mento e facendolo voltare verso di

me. Che aria stanca ha. Gli poso un bacio sulle labbra, lungo e appassionato... E purtroppo ainterromperci arriva il clacson dell’auto che mi hanno mandato per andare in aeroporto.

«Adesso devo proprio andare», dico avvicinandomi però di un passo, perché non mi va dilasciarlo. Mi bacia ancora, ma questa volta sono io a staccarmi. «Fa’ il bravo, mi raccomando!»esclamo mandandogli un bacio, poi prendo i bagagli e corro fuori dalla porta. «Ti chiamo appenaarrivo al JFK!» grido richiudendomi la porta alle spalle, e mi affretto verso l’auto con la macchinafotografica che mi rimbalza sul petto come un secondo battito. «Heathrow, per favore!»

Infilo subito la mano nella borsa e ne tiro fuori il libro, il programma di volo, l’iPod, il cellularee... oh, eccolo: il passaporto. Solo adesso mi ricordo di voltarmi e, guardando dal lunotto, intravedol’ombra di Ryan ormai distante con la mano alzata e mi metto a salutare furiosamente. Chissà se miavrà visto?

Meglio mandargli un messaggio. TI AMO TANTISSIMISSIMO XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX Otto ore dopo, superati le code e un po’ di trambusto in dogana, esco dal JFK e mi ritrovo davanti lapiù lunga fila per il taxi mai vista. Come promesso, per prima cosa telefono a Ryan, che però nonrisponde né al fisso né al cellulare. Compongo velocemente un altro messaggio.

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APPENA ARRIVATA. CHIAMAMI QUANDO MI LEGGI. X Inviato. Già che ci sono, scorro col pollice gli altri messaggi e, con mia sorpresa, ne trovo uno diCasey. Lo leggo prima di proseguire nella ricerca dell’appartamento a SoHo che la divisionestatunitense dell’editore ha affittato per me. DIVERTITI! E NON PREOCCUPARTI DI NIENTE QUI A CASA! C XXXXX È interessante notare come, appena qualche mese fa, questo stesso messaggio mi avrebbeletteralmente terrorizzato. La vecchia Casey era come una pistola carica senza la sicura; se non lasentivo per due o tre giorni, mi toccava cercarla, nemmeno fossi la madre, per assicurarmi che stessebene. E, se anche si faceva viva, sentirle dire «non preoccuparti» sortiva su di me l’effetto opposto.Adesso però Casey è una donna nuova, forte, matura, che ormai regge le redini della propria vita e siè appassionata alla sua nuova carriera con una decisione e una sicurezza che non aveva mai avutoprima. La mia migliore amica ha dovuto affrontare una brutta situazione ma ha saputo uscirne piùforte e migliore di prima, e questo mi rende immensamente felice.

Mentre la fila avanza, mi ritrovo a pensare che forse il 2006 è stato l’anno del riscatto per tutti noie che il 2007 non potrà che andare ancora meglio. Ho deciso che mi godrò quest’esperienzanewyorkese sino in fondo. Grazie al blog ho iniziato a guardare il mondo – il mio mondo – con occhidiversi e adesso so di essere finalmente pronta per la prossima avventura. Forse la più grande dellamia vita.

Con Ryan abbiamo realizzato tutti i miei sogni: – trasferirci a Londra – fatto– comprare un appartamento – fatto– sposarci – fatto– visitare luoghi pazzeschi – fatto– vivere con la mia migliore amica – fatto– guadagnarmi da vivere scattando fotografie – fatto Una volta tanto, la Molly adolescente se ne sta buona e zitta.

Anzi, a ben pensarci, non la sento da quando sono tornata con Ryan. Forse perché entrambi siamocambiati. Prima di sposarci, abbiamo parlato a lungo di come far funzionare il nostro rapporto.Nessuno dei due voleva rischiare di soffrire per la seconda volta, dovevamo quindi assicurarci dinon compiere un passo sbagliato. Ho persino scritto una lista di domande cui entrambi avremmodovuto rispondere, una sorta di test delle affinità, per così dire. Le domande riguardavano ilmatrimonio, i figli, i viaggi, la casa e il lavoro e Ryan mi conosceva fin troppo bene per noncomprenderne lo scopo. Era una versione aggiornata della «Lista della vita» di tanti anni fa, un modoper renderci conto se cuore e testa si trovavano d’accordo e andavano nella stessa direzione riguardoa tutto.

E poi era anche un ottimo modo di rispondere ai «grandi quesiti della vita». Nella parte dedicataalla casa, per esempio, dovevamo indicare dove ci sarebbe piaciuto abitare nel lungo periodo. Ryan

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ha risposto Leigh e io Londra, quindi ne abbiamo parlato e Ryan si è poi detto contento di vivere aLondra e, anzi, ha anche promesso di sforzarsi di sfruttare al meglio le possibilità offerte dallagrande città (che, detto in soldoni, significava non tornare a casa ogni fine settimana). Ha peròaggiunto che era sua intenzione tornare a Leigh prima della nascita del nostro primogenito e, da partemia, non ho nemmeno avuto bisogno di pensarci per accettare. In questo modo avremmo avuto almenocinque anni per vivere a Londra e, per allora, sapevo che sarei stata pronta a tornare.

Da quando siamo di nuovo insieme, pare proprio che siamo riusciti a incontrarci alla tantoagognata metà strada, a divenire una squadra che mira alla stessa meta anziché due persone checamminano in direzioni opposte. E ora mi rendo conto che la prossima meta è una famiglia. Hoventisette anni, sono felicemente sposata, la carriera mi riempie di soddisfazioni e sono pronta. Lavita si è messa al passo coi miei anni e non vedo l’ora di dirlo anche a Ryan. Di dirgli che l’horaggiunto, sono dov’è lui. Voglio avere un bambino.

Levo lo sguardo al cielo e ringrazio chiunque sia lassù per avermi voluto concedere così tanto.Non credo che una ragazza potrebbe essere più felice di così.

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Il bacio del «e se invece»

C’è un breve istante prima di abbandonarsi interamente a un bacio in cui si prende la decisione semiconsapevole di lasciarsiandare. E se invece, un giorno, in quello stesso istante, vi rendeste conto che non potete lasciarvi andare? Ecco, è così chemi sento adesso. Aggrappata a quel bacio con le unghie e coi denti.

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FF ▶▶ 15/02/07

«In che senso è strano da quando sei tornata?»È sabato sera e sono in cucina a parlare al telefono con Mia, mentre Ryan è fuori a festeggiare il

compleanno di un collega.«Non te lo so spiegare. È brusco e non vuole stare a casa, che non è per niente da lui.» Stringo il

telefono tra la spalla e l’orecchio e scarico le fotografie scattate ieri sera, un primo piano in bianco enero della mano di un padre che stringe quella della figlioletta. L’obiettivo da 50 mm ha colto ognidettaglio della pelle tesa di lui e le linee morbide di quella di lei. Fa parte del post «L’altro SanValentino», per festeggiare tutte le manifestazioni d’amore, non solo quelle che legano una coppia.Per esempio, ho ritratto amiche che ridevano davanti a una tazza di caffè a Covent Garden. Ma il ilpreferito resta lo scatto di due anziane che passeggiano a braccetto lungo il molo di Southend. Sonoriuscita a cogliere l’attimo in cui una delle due butta il capo all’indietro ridendo di gusto.

Torno a concentrarmi sulla conversazione con Mia. «È come se non volesse restare solo conme...»

«O non solo con te...» sta dicendo.Smetto subito con le fotografie. «In che senso?»«Nel senso di Casey», si lagna, e dal tono traspare che non vedeva l’ora di sputare il rospo. «Da

quant’è che vive con voi? Nove mesi? Dieci? Converrai che avere per casa un’amica non èesattamente l’ideale per due sposini novelli, o no? E in particolar modo una persona così bisognosadi attenzioni come lei. Forse ne ha le palle piene e...»

«Di me?» domando mesta.«Ma no, drongo, di Casey!»Scoppio in una risata liberatoria ma poco sentita. «Drongo? E che cavolo vorrebbe dire? Ormai

sei proprio diventata australiana! Scommetto che la prossima volta che ti vedo avrai una bellapermanente stile Kylie Minogue negli anni ’80, cappello alla Crocodile Dundee e vestiti color cachicome Steve Irwin!»

«Cos’è, mi stai spiando?» risponde ridendo. «Comunque, quello che volevo dire è che sei statafantastica ad aiutare Casey a rimettersi in piedi ma che adesso è ora di concentrarti su di te e tuomarito. Avete bisogno di un po’ di spazio tutto per voi. Secondo me è per questo che si comporta inmodo strano.»

«Sai che non lo so?» commento a mezza voce. Da quando sono tornata da New York, Ryan nonriesce nemmeno a guardarmi negli occhi.

È insolitamente silenzioso, accampa scuse per evitarmi, e sì che sono stata via quasi un mese. Seripenso a quanto ero elettrizzata al pensiero di tornare e di dirgli che ero pronta ad avere un figlio.Ma non ho avuto modo di farlo. Non ho avuto tempo di fare niente. Mia ha ragione, Casey è stata quiogni sera, appiccicata a me. Pare quasi che sia mancata più a lei che a mio marito.

Mi metto a contare le volte in cui siamo rimasti soli nelle ultime due settimane e, a parte quandosiamo a letto, direi che mi basta un dito. Nemmeno ieri, la sera di San Valentino, abbiamo avuto un

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po’ di privacy. Avevo chiesto a Ryan se voleva uscire a cena, ma ha risposto che non voleva farsentire Casey a disagio e così siamo andati al cinema. Noi tre. E nemmeno il benvenuto è stato comemi aspettavo. Ryan non era all’aeroporto, come invece speravo, e mentre uscivo dagli arriviinternazionali ho provato una fitta di nostalgia per la sorpresa che mi aveva fatto quando sono tornatadall’Australia. Pare trascorso un secolo. Seguendo questa logica, allora siamo già una vecchiacoppia, ecco perché non ha più bisogno d’impegnarsi. Nemmeno un anno di matrimonio e ilromanticismo è già finito?

«Mmm... Be’, cara, mi dispiace ma per me è tutto un mistero. Sai che per me gli uomini sono comeun chupito di tequila...»

«Aspetta, non dirmelo! Una botta e via.»«Brava. Sei diventata sveglia, eh? New York ti ha fatto proprio bene.»«A me sì, al mio matrimonio direi proprio di no, però.» Sento il rumore di qualcosa che cade, mi

volto e saluto Casey, che è appena entrata in cucina in pigiama. Il mio pigiama. Quello a righebianche e azzurre, che Ryan dice mi fa sembrare il bambino sulla copertina di The Snowman.Conosco Casey e abbiamo sempre condiviso tutto, ma il mio pigiama preferito proprio no, è troppo.Ha superato il limite. Ma non c’è proprio più niente d’intoccabile? Apre il frigo, prende il succod’arancia e beve dal cartone. E d’un tratto ogni suo gesto mi pesa. Vive qui gratis da mesi e non si èmai offerta di pagare nulla. Per carità, io per prima non giel’ho mai voluto chiedere per via della suasituazione lavorativa e tutto il resto, ma adesso un lavoro ce l’ha, presso una società di pubblicherelazioni, e gliel’ho trovato io. Eppure ancora non si è offerta di contribuire alle spese.

Ryan ha provato a parlarmene in passato, ma io mi sono sempre mostrata molto protettiva nei suoiconfronti. Adesso però sono infastidita nel ritrovarmela di fronte con indosso il mio pigiama (che,per inciso, le sta anche meglio; somiglia a una modella con un pigiama da uomo), a bersi il succocome nulla fosse... no, mi correggo, a finire il succo che abbiamo pagato Ryan e io. La osservoavvicinarsi alla pattumiera e lanciarci dentro il cartone, mancandolo. Non per questo si dà pena diraccoglierlo. Poi siede sul bancone e muove le labbra per chiedere: Chi è? indicando il telefono.

«È Mia», rispondo ad alta voce.«Eh?» domanda quest’ultima dall’altra parte del mondo.«Oh, niente, è arrivata Casey e le dicevo che sei tu al telefono.»«Ciao, Mi-Mi!» grida Casey incrociando le gambe abbronzate e salutando con la mano come se

Mia potesse vederla. «Come va nella terra dei canguri?»«Dille che Mia chiede: com’è che sei ancora lì?»«No, dai, non posso.»«Fallo!»«Mia vorrebbe sapere com’è che sei ancora qui», domando a Casey che, con la pellaccia che si

ritrova, scoppia in una sonora risata, scende dal bancone e mi strappa il telefono di mano.«Perché altrimenti senza di me questi due si sarebbero già ammazzati dalla noia! Sono tipo la loro

consulente di coppia!» Poi mi rende la cornetta, mi posa un bacio sulla guancia e se ne va in silenziodalla cucina.

«È ancora lì?» bisbiglia Mia.«No», rispondo. Il senso di fastidio inizia a scemare. So che ho giurato di esserci sempre per lei,

ma la situazione adesso si è fatta ridicola. Mia ha ragione, devo investire al massimo nella mia vita,concentrarmi su mio marito che lavora troppo e sul nostro futuro. Non voglio provare a concepire

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nostro figlio con lei per casa. Perché Casey è come un neonato. «Penso sia giunto il momento di faredue chiacchiere con lei», dico ad alta voce.

«Oooh! Tanti auguri!»Vado in soggiorno, dove trovo Casey stravaccata sul divano. Le sue cose sono sparse ovunque,

più ancora di quelle di Ryan, eppure sa bene quanto il disordine mi mandi in bestia. Non esistesuperficie che non sia occupata da qualcosa di suo. Mi guarda e si accorge subito che qualcosa nonva, perché si mette a sedere, trascinandosi dietro la coperta per farmi posto accanto a lei. Sul miodivano. «Forza, vieni qui vicino a me e raccontami tutto. Ti ho sentito dire a Mia che hai problemicon Ryan. Cioè, anch’io avevo notato che le cose erano un po’ strane tra voi ultimamente, ma non hovoluto dire nulla...» Fa un sorrisetto innocente. «Non sono fatti miei... però lo sai che ci sono semprese hai bisogno di parlare. E probabilmente posso capire meglio di chiunque altro, e senz’altro megliodi Mia. Cioè, lei non conosce Ryan bene quanto me, e nemmeno te, non bene quanto ti conosco io.Noi siamo amiche da quando avevamo tredici anni! Siamo come sorelle!»

La osservo, accoccolata sotto la coperta, con in testa la mia fascia per capelli e la solita ariabisognosa e smarrita, e provo una fitta di senso di colpa. Non si è ancora rimessa in piedi, ha appenainiziato. Ma come ho potuto aspettarmi che pagasse un affitto quando forse non ha ancora nemmenopercepito uno stipendio? E vive così perché è così che è stata cresciuta. Nessuno le ha mai insegnatoaltrimenti. Sua madre era troppo presa a correre dietro agli uomini per farle da genitore. Lo sguardomi cade sul pavimento e noto dei sacchetti: ma quindi ha pure fatto shopping! Come ha potuto,sapendo che non ci aiuta coi conti? Però, no, adesso che ci penso meglio, mi aveva accennato che leservivano degli abiti nuovi per il lavoro. Benché attinga a profusione nel mio guardaroba. Devoricordarmi di chiederle di mostrarmeli, e anche di provare a portarle qualcosa dal magazzino dellavoro, come del resto ho già fatto coi prodotti di bellezza. So che farebbe altrettanto per me, a partiinverse.

«Allora, forza, raccontami tutto», mi esorta prendendomi per mano.D’un tratto voglio condividere tutto con lei, proprio come un tempo. Voglio che una volta tanto sia

lei a prendersi cura di me, a ricordarmi che Ryan ama me e solo me. A dirmi che per lei siamo unesempio, che aspira a un rapporto come il nostro. Che siamo più forti e uniti che mai. Ha ragione, ciconosce meglio di chiunque altro.

«Non lo so, Case», sospiro, posando la testa contro lo schienale. «È che da quando sono tornataRyan sembra così distante. Come se fosse un’altra persona. Qualcosa lo preoccupa, qualcosa digrave, ne sono certa. Ma non so che cosa.»

«Oh-oh, pensi che abbia avuto una storiella o qualcosa del genere?» replica con noncuranza, comese ci riferissimo a qualcuno che non conosciamo. Dimentico che il barometro relazionale di Casey èfisso sul livello minimo di aspettativa.

«Be’, no, no, perché? C’è forse qualcosa che dovrei sapere?» ridacchio, nervosa. Scherzo, più omeno. Be’, in effetti pensavo di scherzare, ma lei ha saputo piantare il seme del dubbio nella miamente.

Potrebbe avermi tradito? A ben pensarci, mi rendo conto solo ora che è un timore che hosempre nutrito, che sonnecchiava nei meandri del mio cervello. Sì, timore che un giorno facessequello che io avevo fatto prima di lui. Occhio per occhio, insomma.

«Dio mio, no! Non Ry, lui non te l’avrebbe mai fatto... oppure sì? Cioè, so che tu una volta inpassato ci sei cascata e ci sono uomini che potrebbero provare il desiderio di... sì, insomma, di

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rendere pan per focaccia giusto per ingrassarsi l’ego. Ma Ryan non è mai stato così. Nel senso, lui unego proprio non ce l’ha!»

Riecco la me adolescente che grida a squarciagola.Certo che ce l’ha, un ego, e gli ha suggerito di portarsi in pari! Occhio per occhio e compagnia

bella...Basta, adesso, tappati la bocca! Tappati-la-bocca! Stupide insicurezze adolescenziali che

tornano a perseguitarmi anche quando ormai credo di averle superate. Ryan non è un ragazzoqualunque. No, lui è meglio di così.

Deglutisco, d’un tratto soffocata da nausea e incertezza. Sono stata via per quasi un mese, unperiodo molto lungo per qualsiasi relazione, figuriamoci per un matrimonio alle prime armi. Eravamocosì impegnati a fare ammenda per gli errori del passato che non ci siamo accorti di quelli che ciattendevano nel futuro?

Nel frattempo, Casey ha continuato a parlare ed è meglio che torni ad ascoltarla, nella speranzache sia in grado di dissipare le mie paure.

«... ma tanto questa è tutta acqua passata, quindi perché mai dovrebbe fare qualcosa proprioadesso? Cioè, se avesse voluto tradirti, di sicuro l’avrebbe fatto tempo fa. Anche se...» Si morde unlabbro.

«Anche se... cosa? Che cosa, Casey?» la incalzo. D’un tratto sento che è la depositaria dellerisposte ai nostri problemi. Negli ultimi mesi ha passato più tempo lei con me e con Ryan di quantonon ne abbiamo passato noi due insieme. E ha appena trascorso un mese da sola con mio maritomentre io ero a New York. Forse ha colto segnali che a me sono sfuggiti, per forze di causamaggiore. Che, alla fine dei conti, averla ancora qui non si riveli una fortuna?

«Niente, solo...» Scuote la testa. «Di sicuro non è niente. Sì, proprio niente. Molly, guarda, nonstare ad ascoltarmi, lo sai che io parlo senza pensare. Io sono convinta che non ci sia in ballo nientedi niente...»

Non vorrei sapere, ma ho bisogno di arrivare al dunque, di strappare via il cerotto, invece ditoglierlo piano piano. Su, Casey, non è il momento di fermarsi. Vai avanti. Vai avanti.

«In ballo, Casey? Perché in ballo?» insisto, e le stringo le dita sino a fargliele dolere. Caseysospira e mi guarda incerta. «Niente, solo che una notte... Non eri partita da tanto, me lo ricordoperché sono stata a casa tutta la sera. Sai, al lavoro era stata una settimana da incubo e c’era la primapuntata di Benidorm, che tra l’altro è stata fantastica perché c’era una scena in cui cantavano alkaraoke al Neptune e...»

Per la prima volta in tanti anni non ho la pazienza di sopportare le sue chiacchiere inutili. «Casey,non me ne frega niente del telefilm. Per favore, vai avanti a raccontarmi di quello che faceva Ryan.»

«È che non lo so», mormora guardando altrove. «Perché quella notte non è tornato a casa.»Porto una mano alla bocca e le lacrime mi salgono agli occhi, ma le ricaccio indietro e stringo la

mascella per non farle scendere. Annuisco, mi alzo e mi dirigo lentamente in camera.Non. È. Tornato. A casa.Forse il cerotto sarebbe stato meglio lasciarlo dov’era.

Quando Ryan entra sono stesa sul letto a fissare il soffitto. Ha l’aria abbattuta, mi volto sul fianco,rivolta verso la porta, e sospiro per fargli sapere che sono sveglia. Vorrei che mi parlasse, ma non

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apre bocca; si spoglia gettando i vestiti sul pavimento e si rannicchia rivolto verso di me. Non ciabbracciamo né mi accoccolo contro di lui come faccio sempre. Non riesco a muovermi. Quello cheho scoperto mi paralizza, è come se avesse interrotto la comunicazione tra cervello e muscoli.

Il silenzio giace pesante tra noi come una presenza fisica nel letto (c’è mai stata un’altra «presenzafisica» in questo letto?). Ryan è talmente diverso che per me è un estraneo.

Puzza di alcol e i capelli a spazzola gli induriscono i lineamenti, tanto che gli occhi sprofondanoin due fossi neri e quelle rughette d’espressione così affascinanti divengono solchi scavati dallostress. Vorrei accarezzargli la testa, lo vorrei tanto, ma il braccio rifiuta di muoversi. Riesco solo adalzare la mano e a posargliela sulla nuca, come a benedirlo o perdonarlo, con un gesto simile aquello del prete nel confessionale.

Di’ dieci Ave Maria e due Padre Nostro per non essere tornato a casa mentre tua moglie era achilometri di distanza.

Le paure mi logorano. D’un tratto vedo il nostro bambino, quello che ho immaginato durante leultime settimane, scomparire in una nuvola di fumo.

«Molly», sussurra Ryan baciandomi e stringendosi a me. Mi bacia con quella passione chedesidero disperatamente da settimane, ma era sempre troppo stanco o stressato o non gli interessava.

Il mio corpo risponde da solo, d’istinto, ancora troppo in sintonia col suo per reagire altrimenti. Equesto mi stupisce e insieme mi ripugna.

Geme, mi bacia, si schiaccia contro di me e anch’io mi lascio sfuggire un gemito involontario.Continuiamo a fissarci negli occhi, come se entrambi cercassimo di cogliere i pensieri dell’altro.Una volta non ne avevamo bisogno, lo sapevamo e basta. D’un tratto mi viene in mente una canzone,quella del film preferito di Ryan, Top Gun, in cui il cantante si lamenta che la sua donna non chiudepiù gli occhi quando lo bacia. Lui mi fissa e io trattengo il fiato e mi sforzo di baciarlo meglio cheposso, in modo stuzzicante, come se stessi giocando a fare la sexy. Uso la lingua, gli mordo le labbra,ma so che è una farsa, che sto fingendo. Le lacrime premono per uscire, trabocco di vergogna perchénon riesco a levarmi dalla testa il dubbio che le mie non siano state le ultime labbra a incontrarequelle di Ryan. Mi allontano appena. E se questo bacio che tanto cerca non nascesse dal desiderio odal bisogno, bensì dal senso di colpa?

Lo bacio sul collo, sul petto, ovunque tranne che sulle labbra.Nel buio che ci avvolge, Ryan non può vedere le lacrime che mi rigano le guance. Strizzo le

palpebre con forza e mi concentro. Forse fare l’amore migliorerà le cose. Ma non faccio in tempo aconvincermene che i suoi baci si fanno sempre più delicati. Fin quando non mi sfiora piano unaguancia, si rigira dall’altra parte e mi lascia qui, sveglia e sola, a chiedermi: E se... e se... e se... Ed’un tratto mi pare quasi d’impazzire.

Allora è ufficiale: proprio come nella canzone del film, l’affetto e la tenerezza non ci sono più. O,peggio ancora, forse adesso Ryan li riserva a un’altra.

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15:17

Siedo in soggiorno, mangiando una ciambella. Il portatile col DVD è qui accanto a me. So che non dovrei, la mamma saràqui a momenti, eppure non sono sicura di riuscire a impedirmelo. Sto per avviare il film quando mi accorgo di aver ricevutoun’e-mail e la apro. Ciao, Molly,

spero di trovarti bene. Volevo solo confermare che all’inizio del mese prossimo la tua mostra si sposterà da Londra aSydney. Abbiamo ricevuto proposte anche da gallerie di New York e Milano. Mi hanno anche chiesto se puoi tenere undiscorso a un’altra cena benefica per la raccolta di fondi, questo fine settimana. Ti andrebbe? So che il preavviso è poco eche stai traslocando, ti prego solo di farmi sapere cosa rispondere il prima possibile.

Buona fortuna per tutto.Ci sentiamo presto.Jane

Rispondo al volo, senza nemmeno pensarci troppo. Ciao, Jane.

Allora, per la cena: ne sarei onorata. E grazie di tutto. Davvero non mi aspettavo un’accoglienza simile. Non vedo l’ora diparlare dei prossimi progetti/ idee per raccolta fondi. Qui tutto bene. Ho aspettato l’ultimo momento per fare tutto, comesempre, ma nulla di che. Ormai è fatta!

Molly x Invio e chiudo la posta elettronica.

Faccio per arrestare il sistema, ma, senza che me ne accorga, il dito sposta il puntatore del mouse sul tasto PLAY delprogramma per guardare il film. Mi rigiro la conchiglia in mano.

Un’ultima volta e poi posso metterlo via. Per sempre. Dalla porta del soggiorno spunta il viso di Bob. Sono ancora seduta col portatile accanto, intenta a seppellire le mie penesotto gli ultimi bocconi di ciambella. Metto il muto e gli rivolgo un debole sorriso. La visita di nonna Door e guardare questofilm mi hanno davvero abbattuto. Poi però ripenso alle sue parole sulla ricerca della felicità e il senso di colpa svanisce.

«Cara, allora noi abbiamo finito!» mi avvisa. «Manca l’ultima scatola per il deposito, adesso la porto fuori e poi andiamo.»«Oh, grafie!» rispondo con la bocca ancora piena.Mi rivolge un sorriso cordiale e mi fa l’occhiolino; mi scalda il cuore. Mi fa un cenno con la mano, mentre sotto l’altro

braccio stringe una copia arrotolata del Sun. «E a che ora è il volo?»«Ah, quello ce l’ho stasera. Prima però devo occuparmi ancora di un paio di cosette...»«Bene, cara, allora noi togliamo il disturbo.»Guardo lo schermo, con le immagini che scorrono. Manca poco alla fine del film, ma lo fermo comunque. È giunto il

momento. «Bob, scusi, quell’ultima scatola è già chiusa? Avrei una cosetta da infilarci.»Andiamo all’ingresso e Bob strappa il nastro adesivo.«È una cosa che voglio tenere ma che non intendo più portarmi dietro...» mormoro mentre ci infilo dentro la custodia

sottile del DVD.Bob si prende il rotolo di nastro adesivo di tasca, ne avvolge rapido un giro intorno alla scatola e poi se la mette in spalla,

come fosse una bara – uno sgradito pensiero fugace che scaccio in fretta – e se ne va...

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Il bacio del «dimmi che non è vero»

Vi è mai capitato di provare a cancellare qualcosa con un bacio? A rimuovere un’esperienza, minimizzare un errore, unricordo, un attimo con le labbra? Avete mai strizzato le palpebre con tutta la forza di cui eravate capaci e sperato che lelabbra possedessero il potere di eliminare le brutte notizie, eclissare il mondo che vi è appena crollato addosso? Avete maiespresso un desiderio, non guardando una stella cadente bensì aggrappandovi a un bacio? Io sì. E vorrei tanto potervi dire che quel desiderio poi si è avverato.

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FF ▶▶ 26/02/07

DEVO DIRTI UNA COSA. SN A LEIGH. VIENI SUBITO. T PASSO A PRENDERE. R X Sono al lavoro quando leggo il suo messaggio, quello che aspettavo con ansia e timore. Riceverlo èstato quasi un sollievo. Tra poco saprò perché nei giorni scorsi non è andato a scuola bensì nelladirezione opposta. Chi è che continua a chiamarlo al cellulare e perché lui si allontana perrispondere. Perché non riesce a sopportare di stare nella stessa stanza con me. So che saranno cattivenotizie, ma nulla è peggio del non sapere. E non sapere mi sta uccidendo.

Infilo la testa nell’ufficio di Christie per avvisarla che ho un appuntamento dal medico e cheprendo tutto il pomeriggio, poi torno alla scrivania, spengo il computer, prendo la borsa e rispondo: OK. PARTO ADESSO X In treno, siedo col viso incollato al finestrino freddo, a chiedermi e richiedermi cosa mi dirà Ryan.Sono pronta al peggio. Ma... non è vero, perché la realtà potrebbe essere addirittura peggiore diquello che immagino. Forse non c’è stato solo un bacio, o una notte di sesso. Forse si è innamorato.Magari si è riaccesa una vecchia fiamma. E magari è proprio per questo che è a Leigh... Com’è che sichiamava quella ragazza con cui usciva prima? Quella sulla Bembridge... Ah, sì: Stacey. O magari èuna che conosco solo di vista, come per esempio una delle sciacquette amiche di Lydia? Per quantomi sforzi, non riesco a impedire al cervello di andare a schiantarsi a un milione di chilometri all’oracontro i pensieri che mi attraversano la mente correndo come il panorama fuori dal finestrino, semprediverso eppure ugualmente deprimente. Il cielo è scuro e carico di presagi come i miei pensieri. Saròuna di quelle donne con un matrimonio e un divorzio alle spalle prima dei trenta. Sarò lo zimbello ditutti, un esempio da manuale del fallimento dell’amore moderno. Forse la mamma aveva ragione. Nonavrei mai dovuto preferire l’amore appassionato ed eterno all’amore pratico e concreto.

Scuoto la testa; ma come ho potuto diventare tanto ingenua in fatto di uomini, ingenua comeaccusavo Casey di essere? Che ironia crudele: il mio matrimonio è sull’orlo del collasso e, ovunqueguardi, trovo richiami al grande giorno. La ragazza laggiù, per esempio, assorta nella placida letturadi un catalogo di abiti da sposa, con tanto di diamante al dito. Ha il viso illuminato dall’amore edalle speranze, l’anello riluce di promesse, non è ancora stato insudiciato dalle fatiche quotidianeche lo fanno brillare ogni giorno un po’ di meno. Mi guardo l’anulare sinistro, la fedina di platinotempestata di brillantini di nonna Door. Fino a oggi, mi piaceva che non fosse perfetto, che avesse giàvissuto un’altra vita, che fosse sopravvissuto a trentacinque anni di matrimonio, coi suoi alti e bassi;ne ha passate di tutti i colori, proprio come Ryan e me. E mi piaceva che non dicesse: «Sono nuovo!»perché nemmeno la nostra coppia lo era. Siamo insieme da tanto tempo, siamo cresciuti insieme,siamo divenuti adulti insieme e questo anello rappresentava alla perfezione il nostro percorso.Rammento ancora con quanta timidezza l’ho fatto vedere a nonna Door, appena rientrati da NewYork. Mi ha preso la mano con delicatezza, ha chiuso gli occhi e accarezzato i diamanti con le ditaartritiche, come se fossero i depositari della sua storia d’amore.

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Quando li ha riaperti, mi ha tirato a sé. Nonna Door non è certo famosa per il tono di voce basso,ma quella volta ho dovuto chinarmi un po’ per riuscire a sentirla. «Mia cara, gli uomini dellafamiglia Cooper sono sempre stati dei rubacuori, ma poi sanno come scegliersi la donna giusta.» Mifissava con un’espressione d’intesa in quegli occhi azzurri come il mare che continuavano a perdersie a rimettermi a fuoco, come se avesse un piede nel presente e uno nel passato. «Quando io e il mioArthur uscivamo, ricordo che ero convinta di non essere alla sua altezza perché era troppo bello,proprio come Ry. Ma, non appena mi ha messo questo anello al dito, ho capito che non importava cheaspetto avessi, come mi sentissi o quello che pensava la gente: era me che voleva. Vedrai che questoanello ti porterà tanta felicità, e tu la meriti tutta. So bene quanto ti ami il mio ragazzo, sai? E so pureche ha scelto bene. Molly, tu sei forte, bella, premurosa e perspicace. Una vera Cooper. Adesso devisolo crederci.»

L’ho abbracciata stretta e sono scoppiata in lacrime. Sentivo che aveva saputo leggermi dentro,così come Ryan durante quel primo incontro, tanti anni fa. Potevo smettere di fingere. Ma adesso,mentre lo rigiro intorno al dito, la mia paura sta proprio nel fatto che quest’anello che adoro non èperfetto. Reca i graffi e i segni di un matrimonio passato, di un’unione... no, di una vita terminatatroppo presto. Forse non ha nemmeno mai brillato come l’anello di quella ragazza, e allora michiedo: possibile che il nostro matrimonio fosse offuscato ancora prima d’iniziare?

Non ce la faccio più a non sapere. E non voglio affrontare tutto questo da sola. Però devo. Chialtro potrebbe capire? Be’, ma, a ben pensarci, una persona c’è, qualcuno che mi ha sempre capitosino in fondo, forse anche più di Ryan.

Prendo il cellulare dalla borsetta e scrivo a Casey. RYAN VUOLE PARLARMI. VADO A LEIGH. CI STO MALISSIMO. M X Adesso mi dirà che non devo preoccuparmi, che andrà tutto bene. Deve farlo. Ah, ecco che mirisponde subito: OH, MOLLY, SAPESSI QUANTO MI DISPIACE XXX Sento il cuore sprofondare in un abisso come un sassolino calciato giù da una scogliera. Anche lei sache è la fine. Vede la nostra storia rovinare giù per quello stesso abisso. Il telefono trilla ancora. Unaltro messaggio di Casey. POTRAI MAI PERDONARMI? Accigliata, volgo lo sguardo all’infilata di squallide casette identiche che corrono fuori dalfinestrino. Potrai mai perdonarmi? E per che cosa? Per avermelo detto? O per qualcos’altro?Perché deve mettersi in mezzo quando non c’entra un bel niente? Tipico. A meno che non sappiaqualcosa...

Mi tremano le mani mentre scorro la rubrica e premo il tasto per chiamare. Casey risponde alprimo squillo e inizia a singhiozzare.

«Casey?» La voce mi esce dura, gelida. «Il tuo messaggio? Che cosa vorresti dire?»Continua a piangere. Non aggiungo altro. Aspetto che torni in sé abbastanza da mettere insieme

una frase. «Oh, Molly, scusami, è che ho visto... il tuo... il tuo... messaggio e... e so che Ryan te lo

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racconterà ma io voglio che tu sappia c-come... com’è andata per davvero. Non è stata colpa mia. Telo giuro...»

«Cos’è successo?» Ho bisogno di risposte e in fretta. Ho bisogno di sapere cosa diavolo stasuccedendo. «Intendi dire che sai che è successo qualcosa?»

«S-s-sì...»Faccio per proseguire, ma un pensiero tremendo mi si affaccia alla mente. Peggiore dello scenario

peggiore che abbia mai immaginato. «Tra voi?»«Non è stata colpa mia! Te lo giuro! Devi credermi, Molly! Capito? Tu devi credermi!»Le labbra mi s’irrigidiscono in un’espressione tesa. Guardo ancora fuori dal finestrino. Stiamo

uscendo da Benfleet, ancora pochi minuti e ne avrò la certezza. Ma adesso voglio solo porre fine aquesta conversazione e a questa amicizia.

«Detto sinceramente, Casey, non so più cosa credere.» E rimetto il cellulare in borsetta. Ryan mi aspetta alla stazione. Lo osservo per un istante. È seduto al volante della Mercedes delpadre, col braccio allungato sul sedile del passeggero e con la testa rivolta verso il finestrino. Il visoè riflesso nello specchietto retrovisore. Guardarne il profilo così mi ricorda i primi appuntamenti,quando guidavamo fino nei pressi del castello di Hadleigh e ce ne restavamo in auto a chiacchieraree a baciarci. Oggi però ha un’espressione triste, spaventata... colpevole?

All’improvviso mi sento percorrere da una scarica di energia; ho voglia di sconvolgerlo, cosìcome lo sono stata io, perciò raggiungo la Mercedes correndo, spalanco la sua portiera e inizio acolpirlo. «Bastardo! Maledetto bastardo schifoso! Come hai potuto? Eh? Come hai potuto? Come haipotuto?»

Ryan scivola fuori e mi sostiene mentre mi accascio sulle ginocchia stringendomi il petto elamentandomi per il dolore, come se mi avessero sparato dritto al cuore. «Molly! Ma che... Molly!»Mi solleva e mi tiene davanti a sé come fossi una bambola di pezza. I suoi occhi luccicano comeun’onda colpita da un raggio di sole, e ricordo fin troppo bene quando guardarlo mi faceva sentiretrasportata in una calda giornata estiva. Ma oggi no. Adesso mi sento sballottata nel bel mezzo di unatempesta.

«Molly? Ma che succede?»«Dillo tu a me, bastardo... traditore!» Riprendo a colpirlo furiosamente, singhiozzando più forte a

ogni pugno.Ryan mi afferra per i polsi. «Ehi! Molly, ma cosa significa? Io proprio non riesco a capire di cosa

parli!»«Casey!» grido. «Sto parlando di Casey!»Un lampo gli attraversa gli occhi. Ha capito, ma nella sua espressione non leggo senso di colpa,

solo sollievo. «Ah, quello...» sospira mollando la presa. Torna a sedere e appoggia la testa al sedile,come se da solo non riuscisse più a reggerla. Lo so come si sente.

Mi aggrappo all’auto, sento che mi cedono le gambe.«Molly, piccola, non è stato niente, dico davvero», risponde distaccato. «Niente che non mi

aspettassi, comunque. Le ho risposto che le mancava qualche rotella. Fine della storia.»«Intendi dire che è stata lei a...? E tu non...? E tu non hai...?» Annuisce in risposta a tutte e tre le

domande rimaste in sospeso. La quarta però la finisco: «E perché dovrei crederti?»

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Mi fissa con gli occhi pieni di lacrime. «Perché sai che è vero.»E ha ragione. Ripenso ai nostri voti matrimoniali. Finché morte non ci separi. Sì, Ryan dice la

verità. Casey non si è lasciata scappare nemmeno uno dei suoi amici e dei miei amici e dei ragazzidelle mie amiche, è andata a letto con uomini che sapeva impegnati, alcuni addirittura sposati. Non èmai andata tanto per il sottile. E immagino di aver sempre saputo, nel profondo, che era innamoratadi Ryan. Sì, lo so fin dalla vacanza a Ibiza. E forse anche da prima ancora. Vedevo il modo in cui loguardava. Ma mai e poi mai avrei pensato che arrivasse a farmi una cosa del genere...

Mi abbandono di peso contro la portiera, mi ci aggrappo per non cadere. Guardo Ryan, il miosalvatore, colui che mi ha sempre tenuto a galla. «Quindi non sei stato tu a provarci con lei?»domando a bassa voce, ben sapendo che la risposta è no. Che lui non l’avrebbe mai fatto.

«No! Certo che no! Mai...» Allunga il braccio per prendermi la mano e mi rivolge un sorrisodebole mentre col pollice accarezza l’anello di fidanzamento e la fede. «Molly, tu per me sei l’unica,lo sei sempre stata... e... lo sarai sempre...» Si volta dall’altra parte, si passa una mano sulla fronte ele spalle sono scosse da singulti. Sta piangendo.

Mi sento talmente stupida. E confusa. So che c’è qualcos’altro. Giro intorno all’auto e m’infilo alposto del passeggero. «Che cosa c’è? Dimmelo», lo esorto, piangendo anch’io. «Ry, io non voglioperderti. Sono pronta a fare qualsiasi cosa. Sai, mentre ero a New York mi sono accorta di volerequello che vuoi anche tu. Sono pronta. Voglio tornare a vivere qui, comprare una casa e avere deifigli. Ho fatto tutto quello che sognavo e adesso non voglio che niente mi tenga più lontano da te.Perché starti accanto è più importante di qualsiasi altra cosa. Oh, Ry, sapessi quanto ti amo. Perfavore, qualsiasi cosa sia successa, qualsiasi cosa tu abbia fatto, affrontiamola insieme. Io so chepossiamo. I-io ti amo tanto.» Sono scossa dai singulti perché sento che lo sto perdendo un’altra voltae non posso sopportarlo.

Ry mi tocca il mento e sorride. «Lo so che mi ami, brutta stupida.» Poso la mano sulla sua e laaccarezzo. Restiamo seduti così, a fissarci per qualche istante. Qualcosa è cambiato in lui ma nonriesco a capire cosa.

«Allora, Ry, cosa c’è?» lo incalzo con un filo di voce. «Cosa c’è che non va? Perché sei cosìdistante da quando sono tornata? Perché mi hai fatto venire qui? Non sai quanta paura ho avuto, nonsapere cosa succede mi sta uccidendo. Ti prego, dimmelo e basta. Lo affronteremo insieme, qualsiasicosa sia.» Mi stringo forte a lui e gli prendo le mani.

Ryan le guarda, così strette che è impossibile distinguerle. Poi alza gli occhi ed è come se gli annitrascorsi scivolassero via: d’un tratto è di nuovo il ragazzo di cui mi sono innamorata. Prende unrespiro profondo e parla con voce dolce ma tormentata. Non riesce a guardarmi. Fissa le nostre mani,la sua fede che luccica e brilla più del sole. «Devi sapere che, mentre eri via, una sera sono andato adormire dai miei e mia madre ha notato che avevo un neo strano sulla schiena. Mi ha convinto a farlovedere da un medico e, già che c’ero, gli ho raccontato che mi sentivo sempre stanco e che eroconvinto che fosse influenza perché avevo le ghiandole gonfie...»

Alza gli occhi e io lo fisso in silenzio.«Non te ne ho parlato perché non volevo ti preoccupassi per qualcosa che probabilmente non era

niente.»Probabilmente. Quanto la odio questa parola.Riprende a raccontare, ma questa volta con tono sommesso, e la voce gli si spezza. «Ero convinto

che mi avrebbero asportato il neo e che sarebbe finita lì. In tanti si fanno togliere i nei maligni, sai?»

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Mi stringe le mani e sorride. «Me l’hanno tolto e hanno parlato di linfonodi ingrossati per cui forseavrei dovuto essere operato, e gli esami che hanno fatto hanno dato come risultato un terzo stadio. Epoi hanno detto che oggi mi avrebbero dato i risultati della TAC. E sono sicuro che mostrerà che ètutto a posto.»

«C-che cosa stai cercando di dirmi?» sussurro.«Sono sicuro che l’hanno tolto tutto, che il cancro era solo in quel neo, ma oggi ho appuntamento

per ritirare gli esami e vedere cosa mi dicono dei linfonodi. Però non è che abbia paura o cosa.»Raddrizza le spalle, che però gli ricadono subito in avanti, come se non avesse la forza di fingere.

Cancro.Vorrei dire qualcosa ma non ci riesco. Non riesco a parlare perché non riesco a respirare. Scuoto

la testa nel tentativo di scrollarmi di dosso quella parola.Quell’unica parola.Cancro. Cancro. Cancro.Mi copro le orecchie per non sentirla più riecheggiare nella testa come il ruggito del Gruffalò, il

mostro che c’è nel libro preferito di Beau.Guardo Ryan con occhi imploranti, e poi increduli, e poi ancora provocatori. «No», sussurro. E

poi alzo la voce. «Non ci credo. No!» Gli prendo di nuovo le mani, chiudo gli occhi e inizio abaciarle; bacio ogni dito, ogni nocca, ogni centimetro. Poi riapro le palpebre e appoggio la guanciacontro le nostre mani fredde.

Ryan mi posa un bacio sul capo. «Piccola, vedrai che andrà tutto bene. Te lo prometto, staròbenissimo.»

E annuisco decisa per sottolineare che gli credo. Adesso sono una Cooper e ciò significa che sonoun’ottimista. Che siamo ottimisti. Sì, il topolino può battere il Gruffalò.

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Il primo ultimo bacio

Perché mai nessuno mi ha avvisato che ogni bacio è un passo in più verso l’addio? Solo ora che li tratto come fosseroquanto di più prezioso esista al mondo mi rendo conto che ognuno è un granello di sabbia che mi scivola inesorabilmentetra le dita e che, per quanto mi sforzi, proprio non riesco a trattenere. Come fermare la clessidra? Come fare in modo che un bacio duri una vita?

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PLAY▶ 26/02/07

Mezz’ora dopo ci troviamo fuori dall’ospedale privato con in mano un tè troppo forte e i Flapjackche Ryan ha voluto comprare lungo la strada. Siamo in anticipo, ma nessuno dei due vuole sedersinella sala d’attesa, perciò all’accettazione abbiamo avvisato che siamo arrivati e poi siamo usciti dinuovo all’aria fresca.

Ancora non riesco a parlare. Le parole «tumore della pelle» e «melanoma maligno» e «terzostadio» mi rimbombano nella testa come piedi che corrono sulla ruota di un mulino. Con la manolibera mi aggrappo a Ryan come se fosse questione di vita o di morte.

Nel tragitto dalla stazione, ne abbiamo parlato il più possibile e io continuo a immagazzinare ogniinformazione che mi dà così come uno scoiattolo fa scorta di ghiande per l’inverno. Perché più so emeno lavora l’immaginazione.

Lotto contro la consapevolezza che Ryan e i suoi genitori ne sono al corrente da settimane. Io sonosua moglie, avrebbero dovuto parlarmene. E invece me ne stavo beata a New York, a vivere unsogno da brava egoista mentre mio marito sprofondava in un incubo. Chiudo gli occhi e mi sforzo diportare indietro il tempo, alla riunione durante la quale Christie mi ha domandato se fossi interessataa trascorrere tre settimane presso la sede di New York.

No! vorrei tanto gridare. No.Bevo un sorso di tè e provo a dare un morso al Flapjack che Ryan ha comprato apposta per me,

ma mi s’incastra in gola. Non ho più saliva, anzi non ho più liquidi in corpo; di sicuro li ho piantitutti. Ed è una fortuna, perché non intendo versare un’altra lacrima. Voglio essere positiva. IlFlapjack però finisce nel cestino qui accanto.

«Che spreco! Se non ti andava, bastava darlo a me», commenta Ryan. Sempre a pensare al suostomaco.

«Guarda che io un marito grasso non lo voglio», rispondo con una voce stridula e che nemmenoriconosco. Poi gli chiedo, in tono più calmo: «Senti, ma per caso ti eri già accorto prima di qualchecambiamento in quel neo?»

Annuisce. «Un anno fa, più o meno. Penso. Onestamente non lo so. Comunque non pensavo certoche ci fosse un problema, aveva solo una forma un po’... strana, era un po’ più grosso del solito, madi sicuro non immaginavo nulla di tutto questo.»

«Perché non me ne hai mai parlato? Io te l’avrei detto, di fartelo controllare.» Parole che miescono come uno squittio, un piagnucolio. Un piagnucolio da narcisista.

Ryan si limita a ridacchiare (ma come può? Come faremo a tornare a ridere di nuovo?). Posa il tè,mi scompiglia i capelli con un gesto colmo di tenerezza e poi mi abbraccia. «Credevo che non fosseniente di grave. E poi, anche quando mi sono reso conto che si era ingrossato in modo insolito,eravamo sempre talmente presi col lavoro e ad andare di qua e di là che non ho avuto il tempo diandare dal medico.» Accosta i pugni serrati e li preme contro la fronte chiudendo gli occhi. Quandoli apre, mi sorride. «Però adesso va tutto bene. Andrà tutto bene! I dottori me l’hanno tolto dopo latomografia computerizzata.»

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«Ma perché non me ne hai parlato quando l’ha notato tua madre?»«Perché non volevo preoccuparti per niente. Tu eri a New York e io mi sono fatto togliere quel...

quel me-la-no-ma ma-li-gno...» scandisce a stento, impacciato. «Praticamente subito. Tra tutto ci saràvoluta una settimana! E, sì, va bene, gli esami del sangue mostrano un aumento dei globuli rossi, maio sto bene! Mi sento in forma come sempre!»

Mentre lo dice, però, svia lo sguardo, perché non è vero. Sono mesi che non è più lui. Che èsempre stanco e indolente, che gli manca il fiato anche solo a salire le scale; si era convinto che ilsuper lavoro gli avesse presentato il conto. O magari l’età. In fondo ha quasi trent’anni...

Solo trent’anni!Questo non dovrebbe succedere. Non a lui! È un insegnante di educazione fisica, per la miseria!

Beve succhi di frutta ogni giorno! Corre alle maratone! Scala le montagne! Si butta giù dagliaeroplani.

Ha fatto la lampada per anni.Una vocina tranquilla, discreta, reverenziale, ma pur sempre sgradita.Vattene via vattene via vattene via! Odio i tuoi pensieri cinici e negativi che sono più cancerosi

del cancro.Stringo la mano di Ryan, che risponde con un sorriso sfavillante. «Sono sicuro che i risultati di

oggi evidenzieranno che l’hanno asportato tutto. Vedi? Ecco perché non te ne ho parlato prima,perché avrebbe potuto non essere niente... potrebbe ancora non essere niente.»

«Il terzo stadio non è esattamente niente», rispondo, pur non riuscendo a farmi uscire di bocca laparola «tumore».

«Lo sarà quando avrò chiuso la faccenda», replica fingendo di calciare una palla in lontananza, siporta la mano all’orecchio come in attesa di sentirla toccare terra, poi mi prende il viso tra le mani.«Guardami, sono in forma quanto te! Impossibile che uno stupido neuncolo da niente abbia creatoproblemi a questa macchina perfetta!» Si allontana con un salto, s’indica il corpo e gonfia i muscoliin una posa da culturista. Poi sorride e si mette a correre sul posto. «Cara la mia Moll, devirassegnarti a restare sposata con me ancora per parecchi anni. È inutile che pensi a una scappatoia...»

«Per favore, Ryan, non scherzarci sopra, davvero non...» Sono in lacrime e mi odio per questo, maancora non sono pronta a scherzare. E non lo sarò fin quando non sentirò con le mie orecchie i medicidire che ce l’ha fatta, che l’ha sconfitto.

Mi correggo, che noi l’abbiamo sconfitto.«Ehi! Su, Molly, adesso basta», sussurra asciugandomi le guance col pollice, poi mi prende

gentilmente per i polsi e mi obbliga a guardarlo. «Adesso ascoltami bene. Io so che i risultatimostreranno che è tutto a posto. Male che vada, farò un paio di cicli di chemio, magari anche qualcheseduta di radioterapia tanto per essere sicuri, e poi tornerò in perfetta forma, vedrai!»

Fisso mio marito, così allegro e ottimista, forte e dolce, che mi ha protetto fin quando ha potutoperché non voleva farmi preoccupare. Non so molto di cancro e quel poco l’ho appreso leggendo gliarticoli comparsi sulla rivista. Per esempio, so che il quarto stadio è brutto, quindi allora al terzodev’esserci ancora speranza, no? Forse, se era davvero circoscritto a quell’unico neo, può esseresconfitto? Anzi, adesso che ci penso, sono sicura che una volta abbiamo parlato dell’esperienza diuna ragazza con un melanoma che era stata operata, aveva fatto la chemio e dopo cinque anni ancoranon si era ripresentato. Che fosse anche lei al terzo stadio? Probabilmente! Una riprova che puòessere curato! Anzi quasi una certezza! Oggigiorno il cancro non è più una condanna a morte. Ormai i

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medici fanno miracoli. Non dovremmo essere qui a preoccuparci. E poi, a prescindere da comeintenderanno procedere, io m’informerò sulle medicine alternative. Butterò giù una lista. Ho sentitodi persone che hanno sconfitto il cancro cambiando alimentazione. Certo, prima però dovrei impararea cucinare. O potrei imparare la riflessologia. Magari fare un corso o roba simile? Oppure possoandare da Holland & Barrett a fare incetta di oli essenziali. Ecco, appena torniamo a casa ordino unpo’ di libri sull’argomento su Amazon. Chissà, magari sarò io a curare il cancro di Ryan e non imedici. Comunque, probabilmente non avrà bisogno di nessuna cura. Ha bisogno solo di me. E forsedi un’altra persona...

«Bene!» esclamo prendendogli la mano con un sorriso. «Perché non abbiamo tempo per il cancrose vogliamo provare ad avere un figlio...»

Le labbra gli s’increspano nel sorriso più ampio e luminoso che abbia mai visto. La pelle ai latidegli occhi si riempie di linee che si allungano verso le tempie come frecce scagliate da un arco. Miprende per mano e mi stringe forte in un abbraccio. «Sei pronta. Sei pronta. Ma sei davvero pronta?»mi mormora all’orecchio. «Non lo dici solo per via del... cancro?»

Mi allontano e lo fisso dritto negli occhi. Devo convincerlo che non è una reazione impulsiva.«Ry, è da quando sono tornata da New York che provo a dirtelo. Andare laggiù mi ha fatto capire chesono pronta per la prossima fase della nostra vita. Sono più che pronta! Diventare mamma è la cosache più desidero al mondo.»

Il suo sorriso mi regala uno sprazzo di speranza. Un giorno ci guarderemo alle spalle e cirenderemo conto che è stato un miracolo, una seconda... anzi no, una terza possibilità. Abbiamo giàsuperato altri ostacoli, lo faremo ancora.

«Allora entriamo e facciamoci dare le buone notizie, okay?»Ryan non risponde. Deglutisce e il suo pomo d’Adamo va su e giù come una boa nell’acqua. Gli

porgo la mano e un sorriso, il più largo e luminoso che abbia mai fatto. Sento l’ottimismo scorrermidentro come il sole che in questo preciso istante fa capolino tra le nuvole. Andrà tutto per il meglio.Lo so. Lo so e basta. Sediamo in silenzio fuori dallo studio del primario, con lo sguardo incollato all’orologio. Ma inumeri non si decidono a cambiare. Siamo qui da appena cinque minuti, però è come se fosserocinque ore. Il tempo si è dilatato fin quasi a fermarsi. Spero che sia un segno, che stia a significareche abbiamo ancora un bel po’ di tempo dinanzi a noi. Perché d’un tratto sento di averne sprecato unsacco.

La porta si apre e tutto prende a muoversi come al rallentatore. Ecco il primario. Sono sicura checi sia una testa, attaccata a un corpo, con indosso dei vestiti. Forse c’è anche un camice bianco. Nonlo so perché di quest’uomo riesco a vedere solo il sorriso. Cortese, persuasivo, incoraggiante.

Davvero un Ottimo Segno. Ne sono sicura. Quelle sue labbra fluttuanti mi ricordano lo Stregatto ele osservo come ipnotizzata mentre si trasformano in una O.

«Mr Cooo-ooo-ooo-per», sbadiglia il medico.Ma come mai è tutto così strano? Mi sento come se avessi preso qualche allucinogeno o roba

simile...«Molly?» Guardo Ryan ma anche lui ha la bocca spalancata e, anzi, somiglia sempre più a un

quadro di Edvard Munch, tutto curve e... poi tutto si fa buio.

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Adesso sediamo nello studio del primario, bevo altro tè molto zuccherato mentre Ryan misostiene. A quanto pare, sono svenuta. Che vergogna! Un’infermiera mi sorride gentile mentre ilprimario siede dietro la scrivania.

«Mi dispiace», mormoro a nessuno in particolare.«Non si preoccupi», risponde il medico. Che sollievo vedere che adesso quelle labbra

appartengono a un viso e che c’è un corpo attaccato alla testa. «Non avrebbe potuto scegliere luogomigliore per svenire. Qui è pieno di gente pronta a soccorrerla!»

L’infermiera risponde alla battuta fiacca con un altrettanto debole sorriso. Il medico – dottorGeorge Harper, come dice il cartellino – non sorride più. Ha un’espressione seria, cortese,premurosa. Benigna, penso. E subito mi sgrido: ma perché quella parola mi perseguita?

«Allora, signori Cooper», esordisce.Scoppio in una risatina e il medico mi guarda come se stessi per cadere di nuovo lunga distesa sul

pavimento.«Ride sempre quand’è nervosa», interviene Ryan con un sorriso, e il primario annuisce

pazientemente.«È che ci fa sembrare una coppia di vecchietti e non lo siamo!» sbotto.Ryan mi stringe la mano.«Siamo così giovani...» bisbiglio.Certo, mi piacerebbe vedere Ryan invecchiare. Sarebbe bello vederlo coi capelli bianchi e pieno

di rughe. Lo vorrei disperatamente. Sento il petto stringersi in una morsa, il respiro accorciarsi e lelacrime che tornano a fare capolino dagli occhi. Sbatto le palpebre.

Ryan mi stringe ancora la mano e io ricambio accennando un sorriso.«Allora, abbiamo qui i risultati della sua tomografia computerizzata...» prosegue il primario.Pausa.L’ufficio è avvolto nel silenzio, non si sente nemmeno il fruscio degli alberi all’esterno. Solo

l’orologio si sente forte e chiaro.«E temo proprio che non siano buone notizie.»Tic.Trattengo il respiro.«Cosa intende dire esattamente?» domanda Ryan con un filo di voce, stringendomi forte la mano.Tic.Ci si aggrappa come fosse questione di vita o di morte.Tic.«Non è al terzo stadio, come pensavamo. La TAC mostra che è ormai al quarto stadio. E ha anche

rilevato la presenza del melanoma nei linfonodi. Le metastasi si sono diffuse», ci informa in tonograve, giungendo le mani.

Guardo le fotografie sulla scrivania. Una moglie, due figli. Un maschio e una femmina.«E le cellule cancerogene del melanoma hanno formato un tumore metastatico che ha causato un

versamento...»Aggrottiamo la fronte, interdetti.«Quello che voglio dire è che il cancro ha invaso le pareti dei polmoni e del fegato...»Penso a Ryan che ansimava dopo una breve corsa e al ventre gonfio che nessuna sessione di

addominali, per quanto faticosa, riusciva più ad appiattire. Era convinto che si trattasse dell’età. Il

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tanto temuto 3-0. La pancetta della mezza età. E io ci avevo anche scherzato, dicendo che era la«pancetta da matrimonio». Ci avevamo scherzato sopra.

Ci. Avevamo. Scherzato. Sopra.Ryan è aggrappato a me, mi tira sempre più vicino, mentre il primario continua a parlare ma noi

non capiamo niente, è come se si esprimesse in un’altra lingua. A un certo punto fa cennoall’infermiera, che accetta il testimone della staffetta delle pessime notizie e si mette a spiegare intermini più semplici e alla nostra portata. Possiamo provare con la chemioterapia, possono assistercicon la terapia del dolore.

Terapia del dolore, non una cura , penso. Può metterci in contatto con un’infermieraspecializzata... pianificare degli interventi... rimuovere i linfonodi, o invece chemio se preferiamo...per guadagnare tempo... assicurarci di avere il giusto sostegno.

«Quanto tempo?» domanda Ryan, e la sua voce somiglia a un vecchio disco fatto suonare allavelocità sbagliata.

L’infermiera spiega che è impossibile quantificarlo, potrebbero essere mesi, un anno. A questopunto il medico aggiunge che capisce quanto sia dura da accettare. Poi arrivano le scuse.

«Non sa quanto mi dispiace.»Cui segue la «ritirata».Ci lasciano soli per qualche minuto, così possiamo digerire la notizia... Ma ormai ho smesso di

ascoltare. Guardo solo mio marito. Penso solo a mio marito, al mio incredibile, meraviglioso,giovane marito, sempre attivo e in forma.

A mio marito che sta per morire.La porta dell’ufficio si chiude e le labbra di Ryan trovano le mie con una serie di movimenti

incerti che mi rammentano il nostro primo bacio; e d’un tratto sono di nuovo al Grand, quando Ryanha provato a baciarmi in modo così goffo e aggressivo. Ed è lo stesso ora, ci aggrappiamo l’unoall’altra e respiriamo affannosamente tra le lacrime, ci baciamo come se stessimo affogando e mirendo conto che c’è un mondo di differenza con quel primo bacio.

Perché questo bacio dà ufficialmente il via al conto alla rovescia verso l’ultimo. È il nostro primoultimo bacio. E, mentre questo pensiero si fa strada nella mia testa, bacio Ryan con ogni grammod’amore che ho mai provato per lui, un amore per cui non ero pronta, un amore che talvolta è statotroppo grande da gestire. Un amore destinato a sopravvivere a lui. Il suo corpo è scosso dai singulti ele lacrime scorrono senza freno. Gli prendo la testa in grembo e gli accarezzo i capelli dorati, glisussurro che farò in modo che ogni bacio, ogni tocco, ogni attimo duri una vita intera. D’ora in poiassaporerò ogni singolo bacio fino... no, non sino alla fine. Per sempre.

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15:27

Mamma e papà arrivano proprio mentre il furgone se ne va. Lo guardiamo uscire dal vialetto e sparire lungo la strada. Sonofelice che siano qui.

«Tutto bene, tesoro?» chiede la mamma, posandomi una mano sul braccio e l’altra sulla spalla. «Dev’essere dura perte.»

Annuisco. «Lo è, però so che quel furgone è pieno di stampelle emotive di cui non ho più bisogno perché i ricordi, alla finfine, sono tutti qui dentro, no?» rispondo toccandomi la testa.

Entrambi mi sorridono e annuiscono.So che potrebbe sembrare che lo dica senza crederci, ma se c’è una cosa che la malattia di Ryan mi ha insegnato è che

sono i ricordi a restare con noi per sempre, non gli oggetti cui sono legati. Ho sempre creduto che scattare fotografie miavrebbe permesso di vedere meglio le cose, di bloccare l’attimo e rammentarlo per sempre. Poi però mi sono resa contoche l’unico modo perché avvenga è viverlo, quell’attimo, non osservarlo da dietro un obiettivo. Non occorrono fotografie névideo infiniti né pegni d’amore o anelli di fidanzamento per portare con sé i momenti speciali, perché quelli sono sempre connoi comunque. E, anche se nel tempo sbiadiscono un po’, una mattina il sole splenderà nel cielo in un modo particolare,oppure si ritroverà un oggetto di cui si erano perse le tracce da tempo, come per esempio una conchiglia, o magari sarà unbiglietto arrivato per posta... e tutto tornerà alla mente come un fiume in piena. E i ricordi saranno belli e faranno bene e siavrà la consapevolezza che sono una benedizione. E allora ci si sentirà fortunati ad aver avuto la possibilità di accumularnealtri...

«Meglio che mi metta al lavoro», prosegue mamma, lanciando a papà un’occhiata inequivocabile: ho bisogno di un minutoda sola.

Papà annuisce e fa per seguirla dentro, poi torna sui suoi passi, mi abbraccia e mi posa un bacio sulla testa, come avolermi benedire. «Tu continua ad aggiungere foto in quell’album che hai in testa, okay, Molly? So che il futuro te ne riserva dimeravigliose.»

Annuisco. Vorrei dirgli tutte quelle cose che non gli ho detto per tanto tempo. E mi accorgo che, alla fine, mi bastanoquattro parole. «Ti voglio bene, papà.»

Lui sorride e raggiunge la mamma.Prendo il cellulare, colta dal bisogno improvviso di chiamarlo. Speriamo che risponda!Uno squillo e subito sento la sua voce. «Ciao. Qui ho finito. Tu sei pronto? Perché adesso vengo a...»«Mi piace quando fai l’autoritaria», m’interrompe ridendo.Lo sprazzo di un ricordo; lo scaccio subito, anche se mi rimane dentro.«Ti conviene abituartici», ribatto. Tengo il cellulare con la spalla, indosso il cappotto e prendo la borsetta. «Perché non

intendo cambiare.» Afferro le due valigie che ho preparato. «Arrivo in ospedale tra mezz’ora, okay?»

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Il bacio in stile Constable

«Il cuore è un museo che ospita le mostre degli amori di una vita», così sostiene Diane Ackerman. Non è splendida? L’ho letta di recente e mi ha fatto riflettere sui miei rapporti; su quello con Ryan ma anche con gli amici econ la famiglia. Li ho immaginati messi in mostra nel mio cuore, curati come le più importanti delle mostre. Ryan èrappresentato da immagini in stile reportage, serie infinite in cui corre, salta, calcia, si tuffa, va in barca, ride, ammicca,tocca, sorride, bacia. Casey è più pop art: di una bellezza appariscente, vivace e alla moda. La mamma è multiforme: sia una scultura,scrupolosamente cesellata ed equilibrata, sia un ritratto, uno di quei ritratti ottocenteschi ampollosi e innaturali in cui si coglieappena un accenno di sorriso nell’atmosfera inamidata. Papà è un Edward Hopper, del tipo Uomo che siede alla scrivaniadinanzi a una finestra inondata di luce e fissa meditabondo una parete con un singolo quadro. È così che me lo raffiguro. Mi sono sempre domandata che cosa cercasse e di recente, in una delle giornate no di Ryan (che, di conseguenza, lo èanche per me), gliel’ho chiesto. Papà ha abbassato gli occhiali e mi ha fissato con quel suo dolce sguardo color nocciola,poi mi ha preso la mano e ha risposto: «La verità, mia cara. Io cerco la verità». Non ho afferrato subito il senso delle sue parole, così gli ho lanciato un’occhiata interrogativa. «Vedi, è semplice perdere la fede quando ci ritroviamo incastrati negli ingranaggi dell’eterna fatica che è la vita reale», haproseguito togliendosi gli occhiali e posandoli sul portatile. «Ma ci sono tre luoghi in cui la verità risiede sempre: in Dio...» Emi ha guardato, perché sa bene che per me la religione non ha mai avuto importanza, e ora meno che mai. «Nell’amore enell’arte.» Ha appoggiato i gomiti sulla scrivania, giungendo le mani. «Ogniqualvolta mi chiedo perché sono messo alla provae non riesco a trovare risposta nei primi due, a quanto pare la terza non manca mai di darmene almeno una. Grazie all’arteguardo alla vita come a un’immagine più grande e allora ogni cosa pare acquistare un senso.» Se devo essere onesta, di tutte le cose che mi sono state dette da quando a Ryan è stato diagnosticato un tumore allostadio terminale, questa è la prima che mi sembri sensata. E così, senza nemmeno rendersene conto, papà ha datorisposta a una domanda che non sapevo nemmeno di avere nel cuore. Sino a quel momento ero sinceramente convinta di aver perso la fiducia nel «per sempre», mentre ora so che sia l’amoresia l’arte possono durare per sempre perché hanno il potere di trascendere ogni cosa: il tempo, l’età e, s’intende, la vitastessa. E quale modo migliore di descrivere l’uno attraverso l’altra?

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◀◀ REW 04/08/01

Oggi è il giorno del nostro primo appuntamento ufficiale. Siedo nella Mercedes di suo padre e sosolo che Ryan mi sta portando nel suo posto preferito in assoluto.

«Australia?» ho scherzato quando mi ha chiamato il giorno dopo il bacio a Covent Garden.«Quella magari l’anno prossimo», ha riso, e il cuore mi è schizzato al settimo cielo. L’anno

prossimo? Pensa che l’anno prossimo saremo ancora insieme?«Per il momento pensavo a qualcosa di più vicino a casa. Sabato sei libera?»«Forse», ho risposto, evasiva, reggendo la cornetta del telefono dell’ufficio con la spalla.«Be’, piccola...» ha esordito con una risata, che però lasciava trasparire un mondo di tenerezza. E

poi, il modo in cui ha detto «piccola» era sexy, per nulla condiscendente. Sì, lui può chiamarmi«piccola» quanto gli pare! Ed eccomi, Molly Carter, l’adolescente che adesso si fa chiamare«piccola»! «Se per caso riesci a liberarti, che ne dici se ci troviamo alle undici davanti alla stazionedi Leigh? Passo a prenderti subito dopo gli allenamenti.»

Ammetto che il cuore è sceso di qualche cielo sentendo nominare Leigh. «Prima spero che ti faraialmeno una doccia!»

«Ti prometto che ne varrà la pena», ha aggiunto prima di salutarmi, quasi leggendomi nelpensiero. Salgo sulla scala a pioli e, seppure con passo incerto, faccio del mio meglio per mantenere unminimo di dignità. Impresa non semplice dato che ho commesso l’errore di far scegliere a Freya ivestiti che avrei indossato all’appuntamento. Per prima cosa, mi ha letteralmente confiscato leConverse e ha preteso che indossassi un paio di scarpe almeno con tacco kitten heel. Avrei dovutodar retta all’istinto che mi diceva di non indossare niente che avesse il nome di un animale: pelleleopardata, pelliccia di coniglio... tacchi kitten heel.11 E ora sono furiosa con me stessa per avervoluto somigliare alle ragazze con cui Ryan esce di solito. Per aver voluto prendere le distanze dallame adolescente. D’altra parte ero convinta che mi avrebbe portato al ristorante. E invece no, siamovenuti a fare un picnic nel mio luogo preferito. Che scopro essere anche il suo preferito. Fin quandonon era arrivata Casey, affrancandomi dallo stato di paria sociale, il mio migliore amico era ilcastello di Hadleigh. Qui la tormentata Molly adolescente veniva a sgravarsi l’animo, a dar liberosfogo alle frustrazioni per ritrovare la pace. Quando non potevo sopportare di tornare a casa, dopo lascuola venivo qui, e talvolta anche quando non potevo sopportare di andare a scuola. Dagli undici aitredici anni, prima che Casey venisse a salvarmi, sono stati anni molto bui. Mi sentivo sempre unpesce fuor d’acqua. Sulla pagella gli insegnanti mi descrivevano sempre allo stesso modo: ordinata,tranquilla, disciplinata, brava. Ma dentro di me non ero nulla di tutto ciò. Gridavo e gridavo che erodiversa. Ma nessuno mi sentiva. I miei genitori non avevano avuto altri figli, ed ero dolorosamenteconsapevole di essere l’unica a portare il peso delle loro aspettative. Perciò dovevo essere perfetta.Non potevo permettermi di commettere errori, di fare la sciocca, di compiere scelte avventate,

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spensierate. Di divertirmi.A scuola mi prendevano in giro perché ero la secchiona presuntuosa con le trecce che se ne

andava in giro con la macchina fotografica attaccata al collo. A casa vivevo sotto costante esame daparte della mamma, che mi stava sempre addosso per assicurarsi che non venissi meno ai suoirigorosi criteri, tanto che qualunque altra cosa – e chiunque altro, ivi compreso papà – sembrava nonesistere per lei. Desideravo solo scappare a nascondermi. Forse era per questo che mi rintanavodietro l’obiettivo. O che venivo al castello. L’unico luogo in cui mi sentissi libera e felice. Davveronon so che cosa avrei fatto se non fosse arrivata Casey. Lei mi ha aiutato a trovare il coraggio pertrasformarmi nella vera me stessa, o perlomeno nella persona che desideravo essere dopo averguardato tutti quei film anni ’80. Non mi rendevo conto che nemmeno quella era la vera me.Perlomeno adesso posso affermare di essermi trovata. Mi ci sono voluti solo ventidue anni.

«Spero che ne valga la pena», commento mentre osserviamo la collina che conduce alla rovina.«Lo so che hai detto che è una vista mozzafiato, ma non me la godo se mi ammazzi prima di arrivarci.Ricordati che io non sono mica in forma quanto te.»

«Mah, non saprei, a me sembri bella in forma!» esclama, e mi strappa alle mie fantasticheriemettendomi le mani sul didietro mentre scavalco il muretto.

«Ehi, Cooper! Tieni le mani a posto! Prima si mangia e poi si palpa!»«Oh, questa sì che è un’ottima ragione per muoversi ad arrivare in cima!» Salta il muretto e si

mette a correre nonostante il cestino pesante.Lo inseguo, ma dopo pochi metri una fitta al fianco mi costringe a fermarmi ansimante. Ryan torna

indietro e scuote la testa, sconfortato, mentre mi cinge con un braccio. «Molly, hai ragione: non sei informa per niente!»

«Ehi, senti un po’», ansimo, tenendomi il fianco. «Credevo fosse un appuntamento, non unpercorso di sopravvivenza. E poi guarda che se continui a correre non ti godi mai il panorama. Ryan,la vita non è solo arrivare a destinazione, ma anche godersi il viaggio.»

Piega il capo di lato, pensieroso, come a riflettere sulle mie parole, e subito ne approfitto perimpugnare la macchina fotografica che, al solito, porto al collo. È nuova, me la sono regalata percomplimentarmi con me stessa del nuovo lavoro.

Smetto di scattare; sento lo sguardo di Ryan fisso su di me. Saltella sul posto, chiaramenteincapace di stare fermo.

«Che c’è?» domando. «E poi, vuoi smetterla di saltellare? Mi dai ai nervi!»Alza le mani in segno di resa e si blocca. «Va bene, va bene, come vuoi tu. Andiamo più piano»,

concede. «Non voglio mica sfinirti. Non così perlomeno», aggiunge facendomi l’occhiolino, poisorride in un modo che m’infiamma. Non so come mai, forse è per via dei ricordi così vividi dellavacanza a Ibiza, ma stare con Ryan mi fa sentire come se avessi mangiato il sole.

Mi nascondo di nuovo dietro l’obiettivo e passo in rassegna i dintorni, poi prendo a scattare,cercando di catturare la bellezza del panorama che mi circonda.

E sono talmente assorta che non mi accorgo che Ryan se n’è andato. Mi guardo intorno, d’un trattospaventata al pensiero di averlo in qualche modo innervosito per essermi fermata di botto. Di lui nonc’è più nemmeno l’ombra, ma in compenso noto una briciola. E poi un’altra ancora. Non volevadisturbarmi, così mi ha lasciato una traccia che mi avrebbe condotta al pranzo. Rimetto subito iltappo sull’obiettivo e, sorridente, riprendo a camminare su per la collina. D’un tratto sento il bisognod’ignorare le tante occasioni di fare buoni scatti e di correre, sì, di correre da Ryan senza guardarmi

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indietro.Giunta in cima, lo trovo lì che guarda verso l’estuario del Tamigi, circondato dalle rovine di due

torri. Non resisto e riprendo la macchina fotografica. Visto attraverso l’obiettivo, Ryan è un Adonemoderno proiettato sullo sfondo dell’impronta storica del castello quattrocentesco. Continuo ascattare, e all’improvviso mi brucia la gola, come se la ghiaia si fosse fatta polvere e mi fosse finitanei polmoni. Sento che sono qui ma è come se non lo fossi. È come se guardassi la scena dall’alto.

Devo cambiare la pellicola. Un sussurro, poi, proprio dietro l’orecchio sinistro, una mano che miaccarezza e mi scosta i capelli dal viso e dal collo, un respiro sulla gola e sulle labbra, delicatocome le pennellate di Constable. Poi un bacio, delizioso come l’ultimo e stuzzicante come ilprossimo. Cedo e, qui, su questa collina, le nostre labbra s’incontrano ancora. Questa volta senzapubblico, senza chiasso e squilli di tromba. Questa volta ci siamo solo io, Ryan e la natura. Siamo stesi su una coperta, circondati da quello che resta di un gustoso banchetto fatto in casa di cuiJamie Oliver sarebbe stato fiero e da una bottiglia di Chardonnay vuota. Il sole sta calando sul nostroprimo appuntamento in un’orgia di maestosi colori.

«Allora, per te com’è stato?» domanda Ryan voltandosi a guardarmi.«L’appuntamento, il panorama o il pranzo?»«Tutto.»«Vorresti forse un punteggio?»«Se proprio insisti!»«Ma che sfacciato!» rispondo dandogli una pacca scherzosa.«Allora, che punteggio mi dai?»«Era tutto perfetto. Dieci.»Le labbra gli si distendono in un sorriso, invitanti come un bel piumone caldo in una fredda serata

d’inverno. «Bene.» Torna a guardare il cielo e restiamo in silenzio per un minuto. «Certo, mancaancora il dolce», mormora.

Sento le sua dita sfiorare le mie e trattengo il respiro. «Che cosa suggerisci?»Si gira sul fianco e mi guarda, coi fianchi a pochi centimetri dai miei. «Qualcosa di grande.»Avvampo. «Qualcosa di grande e succulento...»«Qualcosa di grande, succulento e cremoso...» aggiunge con un largo sorriso, poi raccoglie

coperta e resti del pranzo e ficca tutto nel cestino, mi prende per mano, mi tira su e insieme corriamogiù per la collina. «Gelato? Tu intendevi un gelato?»

Siamo davanti a Rossi’s, sul molo di Southend.«Esatto!» esclama Ryan con un sorriso e aprendomi la porta. «Perché, tu cos’avevi capito?»Mi arruffo i capelli sul viso per nascondere le guance rosse ed entro.«Qual è il tuo gusto preferito?» chiede ammirando l’enorme bancone.«Amarena. Perché è dolce e aspra allo stesso tempo. E il tuo qual è?»«Tuttifrutti perché... perché sì. Allora...» aggiunge poi, accostandomi le labbra all’orecchio. «Che

ne dici di provare a metterli insieme e vedere se funzionano?»

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Mi limito ad annuire, essenzialmente perché a) ho perso l’uso della parola e b) non ho ben chiarose si riferisca al gelato o a noi due.

Mettiamo in mezzo la coppa e ci sediamo a un tavolino, assaporando l’unione dei due gusti(perfetta!) mentre chiacchieriamo piacevolmente.

E chiacchierare sarebbe ancora più piacevole se non avessi intorno a me così tante persone chemi conoscono. Mi sento osservata e glielo dico.

Per tutta risposta, Ryan prende un menu e lo mette in piedi sul tavolo, davanti a noi.«Ti vergogni di me, Cooper?» domando, sforzandomi d’imitare Sandy di Grease. «Che cosa è

successo al Ryan Cooper che ho conosciuto al mare?» Mi mancano solo il golfino bianco e il vestitogiallo. E le scarpe di tela. Lo sapevo che non avrei dovuto metterli, questi tacchi.

«Eh?» commenta lui con l’espressione di chi non ha capito. «Mica ci siamo conosciuti al mare!»Riabbassa il menu e io scoppio in una sonora risata.

«Sei un fasullo, uno sbruffone, vorrei non averti mai incontrato!»«Eh? Ma che ho fatto?» domanda sbigottito.Omioddio, ma pensa che sia seria! «Grease! Ti sto citando il film, Ryan!»«Spiacente, mai visto.»«Che cosa? Com’è possibile che tu non abbia mai visto Grease? Ma è un classico della

cinematografia adolescenziale! Lui e lei si conoscono in vacanza, s’innamorano, ma poi quandotornano a casa si accorgono di non avere niente in comune.»

«Di che anno è?»«Eh?»«Se è di prima del 1977 non l’ho visto di sicuro.»«Ehm... perché?» domando perplessa.«Non guardo né ascolto niente che sia uscito prima che nascessi.»«Ripeto: perché?»Prende una generosa cucchiaiata di gelato e se la ficca in bocca. «Perché a me interessa solo il

presente, piccola. Niente sguardi nostalgici al passato.»

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Il bacio dell’addio obbligato

Secondo la mia esperienza, esistono amicizie capaci di fiorire e prosperare dinanzi alle avversità, mentre altre si piegano esi rompono, come un albero nella tempesta. Le radici rimangono dove sono, sottoterra, a monito di ciò che un tempo siergeva ma che ormai non è più parte visibile del panorama della vita. E, in un certo qual modo, è triste perché l’albero nondona più gioia quotidiana con la propria forza, stabilità e bellezza. Ma neppure può più gettare un’ombra.

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FF ▶▶ 27/02/07

È impossibile descrivere quant’è duro sentire la persona che amiamo chiederci di andare via, dilasciarla. Perché io Ryan non volevo lasciarlo, nemmeno per un istante. Usciti dall’ospedale,abbiamo camminato sino al molo. Ryan ha detto di voler prendere un gelato da Rossi’s e così cisiamo andati e abbiamo ordinato una montagna multicolore dei nostri due gusti preferiti. Una voltaavevo commentato che il mio gusto era un po’ troppo aspro e il suo un po’ troppo dolce, ma cheinsieme erano perfetti. Un pensiero agrodolce, insomma.

Niente lacrime, ci teniamo le mani sul tavolo e osserviamo il gelato sciogliersi in silenzio.Non abbiamo avuto bisogno di parlare nemmeno di ciò che avremmo fatto adesso. Sapevamo che

entrambi ci stavamo preparando psicologicamente per tornare da Jackie e Dave. E, quando ci siamodecisi a farlo, è stato subito chiaro che la cosa migliore che potessi fare era tornarmene a casa perlasciarli un po’ da soli col figlio, e per prendere il necessario per trattenerci qualche giorno. Jackienon avrebbe mai permesso a Ryan di andarsene, quindi toccava a me lasciarlo. Sebbene per me nonfosse la cosa giusta da fare.

Entro in casa e mi sembra di essere stata via per anni. È stato davvero non più tardi di ieri mattinache lo osservavo uscire per andare al lavoro? Mi accascio contro la porta, i sentimenti travolgono ilcorpo e mi sento come trascinata da un’ondata di dolore. Avanzo barcollando. Tutto è così comel’avevamo lasciato, macerie di una vita insieme. I vestiti di Ryan sono sparsi ovunque, le stovigliedella colazione e un bicchiere sporco di frullato al mirtillo ingombrano il tavolino dove li haconsumati di fretta mentre guardava il telegiornale prima di andare al lavoro. Anche se poi non era allavoro che stava andando. E sul davanzale c’è ancora la mia tazza di tè, lasciata a metà perché erotroppo occupata a spiare Ryan e a chiedermi e se...

Sento un rumore provenire dalla camera degli ospiti e poi un richiamo lamentoso: «Molly, ma seitu?»

Casey. Certo. Me n’ero dimenticata, l’avevo cancellata dalla mente come una brutta fotografiadigitale. Non rispondo, prendo il borsone dall’armadio all’ingresso e inizio a gettarvi dentro i vestitisporchi di Ryan. Non m’importa cosa prendo, voglio solo andarmene il più in fretta possibile.

Ne avverto la presenza alle spalle, aspetta che mi decida a parlare. Ma non lo faccio. Non posso.Non posso dirle nulla perché Ryan non vuole che si sappia, non ancora.

«Quindi hai deciso di non parlarmi... giusto?» si lagna. «Piuttosto immaturo da parte tua, nontrovi? Pensavo che perlomeno mi avresti dato la possibilità di spiegare...» Scoppia a piangere.

Una lagna da vittima che mi manda su tutte le furie. Mi volto e taglio corto. Non ho tempo perqueste scene melodrammatiche. Non adesso. Non più. «Per quanto mi riguarda, non c’è niente daspiegare», rispondo a bassa voce. «Ryan mi ha raccontato com’è andata. Ho capito. Fine dellaquestione.»

Vorrei solo che accettasse che non intendo proseguire la discussione. Le passerà, così comepasserà a me. Solo non subito, non adesso.

«Oh, e quindi la mia spiegazione non la vuoi nemmeno sentire, eh? Scommetto che quella di Ryan

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invece non te la sei persa...»«Casey, smettila», replico con voce calma e inquietante. Mi giro verso di lei.Ha le mani sui fianchi e li sporge in fuori come una bambinetta capricciosa. «Ah, be’, se tu non

hai voglia di ascoltarmi... Cosa credi? Che il mondo gira intorno a te? Eh?»«No, Casey, sono certa che il mondo non giri intorno a me.» E mi accorgo che pare quasi che

voglia correggerle la grammatica, ma non è così, anche se quand’è agitata a volte ne avrebbebisogno. Proprio come accade a Ryan. Ryan... Deglutisco, chiudo gli occhi, respiro. Li riapro. Azioniche richiedono tutta la concentrazione di cui sono capace. «Non capisci niente, smettila e basta,okay?» Le volgo le spalle. «Adesso non mi va di parlarne, non posso...»

«Be’, e invece a me va, capito, Molly? E voglio che ti degni di ascoltarmi una volta tanto!» Mitira per un braccio, mi giro di scatto e ne incontro gli occhi che brillano di rabbia repressa. «Okay, èvero, ci ho provato con Ryan, e mi dispiace, però mi ha rifiutato, okay? È stato solo un attimo distupidità, ma, oh, scusa, dimenticavo che la grande Molly non ne ha mai nemmeno uno!»S’interrompe, ma solo per riprendere fiato. «Mi dispiace, va bene?» Strilla, ed è senz’altro un modoalquanto bizzarro di rivolgersi alla persona dalla quale si vorrebbe ottenere il perdono, tuttaviafaccio finta di nulla. Poi scoppia in lacrime. È come guardare un bambino di due anni che fa le bizze.Tira su col naso. «Mi dispiace di aver avuto troppo paura per dirti la verità, perché sapevo che nonavresti capito. Non potresti mai capire come ci si sente a essere me. Io... io volevo solo un brandellodi quello che avevi tu, lo volevo talmente tanto... Lo so che sono stupida, ma sono fatta così, giusto,Molly? Sono sempre stata l’amica stupida da giustificare. Era sbagliato. Adesso lo so», singhiozza.

«Casey, adesso non ho tempo», replico spingendola piano per andare in camera nostra, doveinizio a gettare nel borsone tutti i vestiti che trovo, miei e suoi.

Casey mi segue e sbatte la porta dietro di noi. «Non hai tempo, Molly?» strilla, furiosa. «Non haitempo perché sei troppo occupata a vivere la tua vita perfetta per vedere quanto sia davvero perfetta!Cioè... qualsiasi ragazza sarebbe più che felice di avere accanto uno come Ryan. Io sarei stata piùche felice di avere accanto qualcuno come Ryan. Non avrei mai messo in discussione un rapporto delgenere, io! Sarei rimasta a Leigh, a farlo felice, e non mi sarei aspettata sempre di più, di più, sempredi più! Ma tu hai sempre voluto di più, vero, Molly? Sei sempre stata convinta di meritare di meglio,anche se hai sempre avuto tutto ciò che si poteva desiderare. Ti lagnavi dei tuoi genitori mentre ioavrei ucciso purché i miei fossero stati ancora insieme, ti lagnavi del tuo fighissimo lavoro e poi, epoi ti lagnavi anche di Ryan!»

Mi accascio sul borsone, le sue parole m’impediscono di proseguire, m’impediscono di reagireperché sono vere.

Casey scuote la testa e riprende a singhiozzare. «Ma Ryan non mi ha voluto.» Si accascia sulpavimento. «Ha sempre voluto solo te, fin da quel giorno su Broadway, quando io facevo di tutto perattirarne l’attenzione ma lui aveva occhi solo per te. E poi c’è stata Ibiza. Ero convinta che fossevenuto per me. Avevo trascorso mesi – mesi, capisci? – a cercare di farmi notare da lui, mentre tu tela spassavi in quella cazzo di università. Avevo persino trovato il modo di fargli sapere che sareiandata a Ibiza, nella vana speranza di ritrovarmelo davanti. Che venisse a cercare me e non te. Ma gliè bastato vederti per chiudere la partita. Fine dei giochi. Allora ho deciso di ripiegare e di provarcicol fratello, ma nemmeno lui mi ha voluto!»

Mi metto il borsone in spalla, riapro la porta della camera ed esco. Casey continua a parlare maio quasi non la sento più. Ma perché sta ancora parlando?

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«Sai, l’ultima sera vi ho seguito, ho visto che vi siete baciati. Avrei dato qualsiasi cosa per essereal posto tuo, per fare cambio, e lo farei anche adesso.»

Mi volto a guardarla, con una mano già sulla maniglia dell’ingresso e l’altra aggrappata alborsone. Guardo la mia migliore amica che, d’un tratto, non sa più nulla di me. È qui davanti a me,eppure è come se si trovasse a un milione di chilometri. «No che non lo faresti, Casey. Dicodavvero.» Apro la porta. «Adesso devo andare e mi dispiace dirti che non vogliamo trovarti quiquando torneremo.»

«Che cosa intendi dire?» singhiozza. «Stai forse dicendo che è finita? Che quindici annid’amicizia finiscono nel gabinetto per uno stupido errore? Ti ho chiesto scusa. Ho detto che midispiace!»

Richiudo la porta.

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Il bacio delle effusioni in pubblico

Se vi chiedessi di pensare alle scene più romantiche della storia cinematografica, con ogni probabilità le prime a venirvi inmente sarebbero classici come: il bacio alla «perbacco!» di Katherine Hepburn e James Stewart in Scandalo a Filadelfia; il«baciami come se fosse l’ultima volta» d’Ingrid e Humphrey in Casablanca; l’irriverente bacio «a bordo d’acqua» tra BurtLancaster e Deborah Kerr in Da qui all’eternità; l’epico bacio sullo sfondo di un cielo fiammeggiante tra Clark Gable e VivienLeigh in Via col vento; il bacio sotto la pioggia di Audrey e George in Colazione da Tiffany; senza dimenticare il bacio dell’«ioci tengo» tra Ali MacGraw e Ryan O’Neal in Love Story. Tutti baci stupendi, toccanti, romantici, sinceri, appassionati... esenza l’ombra di una lingua. Certo che in quegli anni sapevano proprio come baciare, eh? Dato il mio lavoro, ho ricevuto migliaia e migliaia di «paparazzate», tutte contenenti l’immancabile serie di scatti di celebritàche si danno da fare in discoteca o a qualche evento. Ho visto Paris Hilton avvinghiata a un sacco di uomini (e donne), Pinke Carey succhiarsi via la faccia, Britney fare qualsiasi cosa con chiunque. E poi ci si lamenta se le effusioni in pubblicom’infastidiscono. Gli ultimi avvenimenti, però, mi hanno aiutato a comprendere che voglio celebrare l’amore in tutta la sua gloria. Le effusioni inpubblico non devono per forza essere volgari o imbarazzanti. Anzi spesso queste intime dichiarazioni d’affetto sono unospettacolo meraviglioso, l’istantanea dell’amore di qualcun altro che rende il mondo un po’ più luminoso e, in un certo qualsenso, migliore. O perlomeno è così che la penso io. Spero che anche per voi sia la stessa cosa.

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FF ▶▶ 19/04/07

Cose da fare!!!

1. Biglietti per una finale di coppa (quarti di finale Coppa Uefa a Glasgow: fatto!!!!)2. Biglietti VIP per la reunion dei Take That (agente dice che ci sono ottime possibilità di ottenerli. Più pass per

backstage!!!)3. Seguire campionato nazionale surf (Newquay? Forse all’estero???? Parlare con Susie – lifestyle e viaggi)4. Completo su misura. Savile Row? Sempre desiderato uno – potrebbe indossarlo per festa 30 anni??5. Conoscere David Beckham?!?!? (Parlare con la DB’s Footba Academy del lav o di Ryan coi ragazzi a

Hackney?)6. Qualcosa con Jamie Oliver? (O magari solo una cena al Fifteen, il suo ristorante?)7. Creare gusto di gelato personalizzato?!?8. Andare a una prima cinematografica – magari una commedia? (chiedere a Cara)9. Tornare e New Yor- Il vagone della metropolitana si ferma con un sussulto e la penna traccia sulla pagina una spessa rigaminacciosa. Tossicchio stizzita e provo a finire di scrivere Tornare a New York.

Tutt’intorno a me i passeggeri sono stati schiacciati gli uni contro gli altri come all’apice di unbaccanale vestito e adesso fanno carte false per uscire; osservo il vagone riempirsi di visi nuovi etorno a studiare la lista. La lista di cose da fare più importante che abbia mai scritto.

È la sua lista da Non è mai troppo tardi e... o, ma vaffanculo.Vaffanculo, cancro! Non te lo porterai via fin quando non avremo spuntato l’ultima voce! E magari

per allora ti sarai anche dimenticato di lui e me lo lascerai qui.Picchietto la penna sui denti. Ho bisogno di altro da aggiungere.Altro da aggiungere, altro da aggiungere, altro da aggiungere.Più punti significano più tempo.Dai, Molly, riempi la pagina. E seguire un gran premio di Formula 1? O fare un giro di pista a

Silverstone? Ryan lo adorerebbe! Prendo subito nota, entusiasta. Che altro, che altro? Che altro puòfare mio marito prima di morire?

Mi guardo intorno, sopraffatta dall’impulso di dire a tutti che mio marito sta morendo. Stamorendo. Di tumore. Un melanoma. Ha ventinove anni.

Un passaparola che si diffonderebbe per il vagone così come la malattia si è diffusa nel suocorpo... e nel mio. Così forse infetterebbe la vita di ognuno e non solo la nostra. No, infettare propriono, non è molto cortese da parte mia. Intendevo dire influenzerebbe. Non voglio che infetti nessuno.Smuoverli, sdegnarli, scuoterli così come la metropolitana si agita sui binari.

Voglio che le loro vite proseguano con gli stessi scossoni della mia.E di quella di Ryan, ovviamente. So bene che questa cosa non riguarda solo me, eppure talvolta

mi sento come se fosse così, anche solo per certi versi. È forse sbagliato? E poi, sì, lo so che è

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tremendo a dirsi, ma non posso farci nulla, in un certo qual modo sono gelosa di lui. Perché il doloredi Ryan prima o poi finirà. Il mio no. Mai.

I due passeggeri che mi stanno di fronte si scostano per un istante e, dall’altra parte del vagone,intravedo un uomo in giacca e cravatta che gira distrattamente le pagine del giornale. Provo una fittadi odio. Odio che lui sia in salute e mio marito no. Odio che lui possa starsene lì a leggiucchiare ilgiornale mentre io sono costretta a concentrarmi su questa lista. Non leggo un libro né un giornale ouna rivista da due mesi. Non leggo nemmeno gli articoli della nostra. Ci provo, ma le parole miscivolano addosso. È come se il mio cervello fosse troppo pieno d’informazioni per aggiungernealtre. Dal giorno della diagnosi mi sento come se dovessi ricordare tutto, ogni singola cosa. Nonsolo di lui, di noi, della vita quotidiana, ma anche dei sei anni trascorsi insieme.

Sono indaffaratissima ad affidare alla memoria ogni istante che passa, ogni sguardo, parola,battuta, lacrima, bacio; e lo stesso vale per quelli che li hanno preceduti. Li salvo in una cartelladenominata Dopo sul desktop del mio cervello. E poi si aggiungono tutte le cose che devo fare ognigiorno, per me, per lui, per il lavoro, ma soprattutto per lui. Grazie a Dio sono sempre stata un geniodelle liste. Perché adesso ne ho bisogno più che mai.

Non che Ryan le abbia poi molto in simpatia. Ogni volta che attacco un altro pezzo di carta pienodella mia calligrafia chiara in giro per casa, lui scuote la testa.

«È a questo che si sta riducendo la mia vita?» ha domandato furioso strappando la lista deimedicinali che avevo preparato qualche giorno dopo la diagnosi. «A una seria di liste del cazzo?Perché i dottori non si mettono loro a fare liste su come farmi stare meglio anziché limitarsi acercare di farmi sentire meglio? Perché questi non m’impediranno di morire, vero? Allora? Vero?!»

Medici e infermiere ci avevano avvertito che avrebbe avuto reazioni simili, eppure era duravederlo così diverso da se stesso, furioso un minuto prima e depresso quello dopo. Tuttavia quellafase non è durata a lungo, una settimana al massimo, poi mi è parso tornare gradualmente in sé. Èstato come se avesse avuto bisogno di buttarlo fuori dall’organismo, come una sorta di enorme purgaemotiva. L’avversione per le liste, però, è rimasta. Ma il fatto è che io ne ho bisogno. Talvolta ècome se fossero l’unica cosa in grado di tenermi in piedi.

Ho fatto una lista dei medicinali, degli antinausea e antiemetici da prendere dopo la chemioterapiacui si sta sottoponendo presso l’ospedale di Londra (ha infatti rifiutato l’offerta di Jackie e Dave dipagargli le cure private e di trasferirsi subito a Leigh, rispondendo che preferiva restare a casa nostracon me). Cui si aggiungono antidolorifici e lassativi. C’è la lista degli appuntamenti; dei cicli dichemio (perché non ha pensato nemmeno per un minuto di non farla. Ha subito avvisato il dottore cheavrebbe provato a inseguire il miracolo, che sarebbe stato l’eccezione che confermava le statistiche.E che odio vedere l’espressione perplessa del medico!) E poi c’è l’orario delle sue lezioni (hadeciso di continuare a lavorare più che può, fin quando potrà), così so sempre dov’è, tanto per esseresicuri. Infine c’è la lista dei numeri da chiamare in caso di bisogno, tra cui ci sono quello del medicoe quello di Crossroads, l’associazione di assistenza domiciliare per malati di cancro che mi haconsigliato Charlie, visto che le nostre famiglie abitano lontano. Charlie è l’infermiere Macmillan –l’associazione di volontariato che dà supporto ai malati di cancro e alle loro famiglie – che si occupadi Ryan, una persona davvero speciale. Per dirla tutta, non so davvero cosa faremmo senza di lui. Epoi è l’unico col quale possa parlare, l’unico che capisca come prendermi, a parte i miei genitori.Charlie però è il confidente ideale. Ascolta, dà consigli, aiuta e sostiene. Fa da intermediario traRyan e me, ci fa ridere e rilassare. Fa sentire Ryan un ragazzo come gli altri, non un povero malato di

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cancro. Insieme parlano di calcio e musica, di quello che accade nel mondo, di insegnamento, dellavita. E so pure che Ryan gli pone quelle domande che non oserebbe mai fare a me. Come quanto gliresta. E io? Io parlo con Charlie per capire come cavolo devo affrontare la malattia di Ryan, oltreche dal punto di vista medico, intendo. Assisterlo è un impegno per il quale non mi sono mai allenatané preparata. Non ho idea di quello che sto facendo, né se lo sto facendo nel modo giusto. E non socosa aspettarmi. E poi c’è la mia paura più grande. Cosa viene dopo? Ecco, Charlie mi aiuta aprepararmi per il giorno non troppo lontano in cui dovrò firmare l’ordine di non rianimare. Misuggerisce eventualità, opzioni, punti da prendere in considerazione. Seppure con tutta lacompassione del mondo, mi dice le cose come stanno, punto. E molte persone che conosco non sonopiù disposte a farlo.

Me ne sono accorta dopo aver fatto la lista delle persone da avvisare della malattia. Ryan nonvuole occuparsene e persino Jackie si è rifiutata di aiutarmi.

«Perché preoccupare la gente per nulla?» ha canticchiato allegra, mentre la musica in sottofondorimbombava nella cornetta. Si stava allenando col DVD di Davina McCall. «Sai com’è, cerco ditenermi in forma!» Già, come se potesse tenersi in forma per tutti e due. Però la capisco, è questa lasua lista. «Daremo una festa quando questa storia sarà finita!»

Poi ci sono le liste delle incombenze quotidiane: pagare le bollette, fare la spesa, pulizie, lavorettivari. Ho anche una lista di numeri di tuttofare che mi aiutino quando Ryan non può. E non manca lalista delle agenzie immobiliari in zona, perché bisogna iniziare a far valutare l’appartamento. Nonabbiamo ancora avuto modo di parlare molto della prossima fase perché Ryan intende restare qui ilpiù a lungo possibile. Per me è stato un duro colpo quando mi sono resa conto però che non è propriopossibile.

La disperazione era tale che ho chiesto a Charlie di bere qualcosa insieme per potergli raccontaretutto. Avevo bisogno di sfogarmi, di parlare dei miei problemi come avrei fatto con un amico. Èdoloroso vedere Ryan che si rifiuta di discutere del futuro. Mi terrorizza, mi fa sentire come se dovròaffrontare tutto quanto da sola, sino alla fine. E poi mi sento schifosamente egoista. Intendo prendermicura di mio marito, questo è sottinteso e non accetterei di fare altrimenti, ma Ryan non pensa aquando la situazione peggiorerà.

Per questo ho invitato Charles al pub sotto casa e mi sono lamentata della cocciutaggine di Ryan.Charlie ha ascoltato, come sempre del resto, e poi mi ha dato ottimi consigli. A quel punto – se ciripenso, mi vergogno ancora! – gli ho dato un bacio sulla guancia, lì, davanti a tutti. Di sicuro gli altriclienti del pub avranno pensato che il nostro fosse un appuntamento o qualcosa di simile, mentre iovolevo solo ringraziarlo per l’aiuto. Charlie non ha battuto ciglio, di sicuro il mio gesto non l’hainfastidito, anzi ha trattato questa povera donna spaventata e piena di gratitudine nel suo solito modotranquillo e sereno. Ryan e io saremmo persi senza di lui. Alla visita seguente, Charlie ha provato afar presente a Ryan che vivere in un appartamento al secondo piano si sarebbe potuto rivelare«difficoltoso» nel futuro immediato e poi gli ha anche esposto le possibilità, ma Ryan non è nemmenovoluto stare ad ascoltarlo.

Io però so bene che il ritorno a Leigh non è lontano. Vorrei solo che provassimo a trasferirciprima che sia troppo tardi... In un posto dove può vedere il mare e stare vicino agli amici e allafamiglia. Se solo potessi farlo subito, adesso. Vorrei poter rinunciare al lavoro per dedicare la miavita a quello che resta della sua. Ryan però non sente ragioni, non ancora perlomeno. Vuole che lavita prosegua il più normale possibile e che sia il più normale possibile per me. Non si rende conto

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di quanto sia dura. Perché la mia vita ha già subito una battuta d’arresto. Continuerò anche abarcamenarmi tra le mille faccende quotidiane, ma la verità è che la mia esistenza è in pausa e io misforzo solo di prepararmi per i prossimi mesi, durante i quali dovrò prendermi cura di mio maritoche sta morendo.

Non riesco a concentrarmi su nient’altro, non riesco a uscire e divertirmi, a bere, a immergerminel lavoro, ad ascoltare una canzone senza scoppiare in lacrime. Non riesco a sedere in treno senzaodiare tutti i passeggeri perché non hanno lo stesso tumore di Ryan. Non riesco a smettere di odiarmiper non aver notato prima quel neo.

Così come non riesco a smettere di pensare a tutti gli errori commessi nel nostro rapporto.È la lista più lunga e più deprimente di tutte, e non smetto mai di ripetermela. La lista di tutte le

mie stronzate. La lista che mi perseguita per essere scappata quella sera al Grand e poi di nuovodalla Bembridge. Mi punisce per aver dubitato del nostro rapporto. Mi prende a calci metaforici perogni lamento e brontolio. Per non avergli impedito di fare tutte quelle lampade. Per aver lasciato chesi ungesse di olio per bambini anziché imporgli una crema solare con fattore di protezione 30. Migrida contro per ogni litigio, per ogni bacio di scuse che ho evitato e ogni bacio anche solo accennatoche ho dato per scontato.

E poi, s’intende, c’è quell’altro bacio. Quello che ci ha diviso. Quello che mi marcisce nellamemoria, infettando tutti gli altri. E lo odio. Lo odio perché m’indebolisce. Perché mi fa singhiozzarenella notte al pensiero di Ryan che muore dubitando del mio amore anche solo per un millisecondo. Epoi odio me stessa perché piango e devo alzarmi e andare in soggiorno perché non mi senta, ma poilo so che mi sente perché il mattino seguente mi dice che va tutto bene, che va davvero tutto bene eche è molto fortunato ad avermi. Che si è sempre sentito fortunato ad avermi.

Ma non importa cosa ne pensa Ryan o chiunque altro, io non posso proprio dimenticare nessuna diqueste cose. Ciononostante ogni sera mi chiede se non c’è un bar in cui vorrei andare o unapresentazione ufficiale dove poter bere un po’ di champagne, come se bastasse a distrarmi, anchesolo per un minuto.

Mi domanda anche se ho più parlato con Casey, e io gli rispondo di sì, ma so bene che non micrede.

«Non permettere a quello che è successo di rovinare quindici anni di amicizia, non ne vale lapena», ha detto l’altra sera, mentre eravamo accoccolati sul divano a guardare un film dietro l’altro,spizzicando snack al rientro dalla terza e – come abbiamo scoperto solo oggi – ultima seduta dichemioterapia. Il medico ha detto chiaro che è inutile proseguire. Si è esteso all’intestino.

Sapevo che Ryan avrebbe voluto aggiungere: «La vita è troppo breve», ma per fortuna non l’hafatto.

«Casey ha fatto solo un errore da stupidi», ha aggiunto.Io mi sono limitata ad annuire; non volevo parlare di lei, non più e soprattutto non ora. Per quanto

sia paradossale, i giorni che seguono la chemio sono diventati un momento da attendere con ansia.Sono un’occasione per rallentare, in tutti i sensi. Io non sono al lavoro e nessuno ci disturba. QuandoRyan deve restare in ospedale per tutto il giorno per fare la flebo dopo la chemio, ce ne restiamotranquilli a chiacchierare per ore, a leggere riviste e cercare di far ridere l’altro. Ho presol’abitudine di portare degli album di fotografie, così possiamo sfogliarli e prenderci in giro. Poitorniamo a casa, facciamo scorta di snack (Ryan ha talmente poco appetito che riesce appena aspizzicare qualcosa) e riguardiamo i nostri film preferiti, proprio come ai primi appuntamenti.

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È come se la vita tornasse alla normalità, almeno per un po’.Ma il tumore è un compagno silenzioso all’interno del nostro rapporto, se ne sta spaparanzato sul

divano tra noi, proprio come faceva Casey. Per molti versi siamo passati da una malattia letale aun’altra. A mio modo di vedere, infatti, Casey ha provato a uccidere il nostro rapporto, ed è perquesto che non potrò mai perdonarla. Né potrò mai perdonare me stessa per averle permessod’intrufolarsi tra noi. Per averla ignorata, così come ho fatto col neo di Ryan.

In questo momento voglio solo chiudere fuori il resto del mondo e prendermi cura di mio marito.E questo anche se, a sentire lui, non ne ho il permesso. Motivo per il quale viviamo ancoranell’appartamento di Londra e non siamo ancora tornati a Leigh, come vorrebbero Jackie e Dave.Motivo per il quale insegna ancora, benché ormai part time. Io vorrei che smettesse, ma lui insisteche stare coi ragazzi gli fa bene, e poi riesce ancora a gridare e può comunque allenarli da fondocampo. Dice di sentirsi un po’ Tom Cruise in Nato il quattro luglio, ma senza la sedia a rotelle (peril momento) e con meno capelli.

E così le liste, ma soprattutto questa lista – «La lista delle ultime cose da fare con Ryan» –, sonodivenute la mia vita. E mi danno un motivo per andare al lavoro. So bene che non riuscirei aorganizzare un bel niente senza i colleghi. Ryan non sa che l’ho scritta, ma è il modo di sfruttareappieno gli ultimi mesi... l’ultima est... la sua vita. Voglio che senta di aver raggiunto tutti gli scopiche si sia mai posto, voglio metterci tutto quello che riusciamo, fare in modo che non rimpianga nulla. «Ehi! Molly! Ho una cosa per te!» annuncia Cara avvicinandosi alla mia scrivania con un sorrisostrano stampato in faccia. Un sorriso che tutti paiono sfoggiare da quando ho raccontato che miomarito sta morendo. Le reazioni di amici, parenti e conoscenti vanno da un estremo all’altro: o sonodi un bianco e nero dolente oppure di tutti i colori dell’arcobaleno. Ma è davvero a questo che siriduce la vita? A due maschere teatrali?

È come se temessero che una mancanza di ottimismo estremo da parte loro mi porti a crollaredinanzi ai loro occhi, oppure, se sono convinti che prima o poi crollerò, vogliono essere pronti aunirsi al mio dolore. Buona parte degli amici non sa come parlarmi. Alcuni non mi parlano proprio,anzi a essere sinceri sono io che non parlo con loro.

Mia mi ha telefonato subito. Ed è scoppiata in lacrime. Non l’avevo mai sentita piangere prima.Che sensazione strana.

Mamma e papà mi hanno detto che pregavano per lui. Io non ci avevo pensato, alla preghieraintendo, e mi fa piacere sapere che lo stanno facendo. È stranamente confortante.

Jackie... be’, Jackie è nella fase che i consulenti definirebbero «di negazione». E che io definisco«da svitata». Non pronuncia nemmeno la parola «tumore» – né «cancro» – e chiama la chemioterapia«il salvatore». Pare non capire che lo scopo di queste cure non è guarire, bensì prolungare la vita diRyan il più a lungo possibile.

Dave è sempre silenzioso e sobrio, aggettivi che mai e poi mai avrei pensato di usare perdescriverlo.

Carl non ne parla, mentre Lydia sembra non riuscire a smettere di parlare di vacanze: quelle chefaremo e quelle che abbiamo fatto. È come se fosse andata in modalità sole & gossip. Ed è il suomodo di non parlare, perché in effetti non dice nulla.

Nessuno riesce ad affrontare la malattia in modo utile e costruttivo, ma così almeno posso

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concentrarmi unicamente su Ryan. Però mi sento tanto sola. Di già.E poi ci sono gli estranei. L’ho detto anche a loro. E, fatto divertente, nemmeno loro sanno che

cosa dire. Come il ragazzo del call centre che ha provato a vendermi una polizza sulla vita e non hapiù saputo che pesci pigliare quando sono scoppiata in lacrime e gli ho confidato che mio marito haun tumore. Oh, e l’edicolante della stazione della metropolitana che mi ha chiesto se con la rivistavolessi anche una barretta omaggio di cioccolato al latte e io ho risposto che, no, avrei solo volutoche mio marito non avesse un tumore allo stadio terminale. Non è che lo faccia volutamente, che mipiaccia parlarne con gli estranei, ma mi scappa fuori. È come se l’avessi sempre qui, sulla puntadella lingua, in bocca, in gola, dietro gli occhi, sotto le narici, sotto le unghie, sulla pelle, tra le dita,tra i capelli.

Io vivo e respiro il tumore, mentre Ryan ne muore.«Ciao, Cara!» Sorrido, e mi appoggio allo schienale della sedia. Mi rigiro e sorrido ancora.Lei se ne sta lì impalata, con gli occhi che guizzano da un lato all’altro come se stesse cercando

una via d’uscita.«Ehm, che posso fare... ehm... per te?» Mi acciglio. Santi numi, sembro mio padre. È una di quelle

frasi impacciate con cui se ne esce di solito.Cara deglutisce, si guarda intorno imbarazzata e rimette su il sorriso da cartone animato. «Volevo

solo dirti che vi ho trovato i biglietti per domani! Allora, ci potete andare?»«Sììì!!!» esclamo incredula, e poi tiro una bella riga su Andare alla prima di un film. «Grazie

mille, Cara! Grande!» Mi alzo e l’abbraccio, lasciando poi cadere lo sguardo sullo schermo delcomputer, dov’è visualizzata la pagina del blog.

Ho appena pubblicato la fotografia del bacio con Ryan sul ghiacciaio Franz Josef. Il sole stasorgendo alle nostre spalle e la luce ci dona un’aura quasi metafisica. Pubblico nostre fotografie daquando ci hanno comunicato la diagnosi, e il motivo principale è che al momento non sento lo stimoloa scattarne di nuove. Aggiungo anche un breve titolo, questa per esempio l’ho chiamata «Il bacio incima al mondo», e talvolta qualche parola in più. Un ricordo nostro, un momento o un pensierosull’amore che mi va di condividere. Voglio consegnarli all’etere, così, quando Ryan non ci sarà più,non sarò l’unica a conservarli. Sono un po’ i miei messaggi nella bottiglia. Non so chi li troverà, oche cosa ne penserà, ma mi è d’aiuto.

«Dimmi pure se posso fare altro!» esclama Cara allegra. «Ho anche parlato con Susie e mi hadetto che ai campionati di surf ci pensa lei e che il pass per il concerto dei Take That è cosa fatta!»

Sento il cuore palpitare per la soddisfazione e... ma è forse panico questo? Quante cose daspuntare dalla lista! Devo assolutamente pensare ad altre da aggiungere. «Grazie, Cara. Ryan ne saràentusiasta! Nel fine settimana siamo anche stati ai quarti di finale della coppa UEFA!»

«Cavolo!» esclama Cara con un po’ troppo slancio. «Chissà quanto gli è piaciuto!»Ripensando a quel pomeriggio, ci rivedo seduti nella sala speciale per i VIP, intenti a gustare

champagne con una copertina sulle ginocchia mentre assistevamo a Seville- Tottenham Hotspur.Continuavo a guardare Ryan euforica e a stringergli la mano, e lui si voltava e mi sorrideva, ma poimi sono accorta che tornava a guardare le persone sedute sotto di noi e che quel sorriso scomparivacome una nuvola passeggera.

«Allora, ti diverti?» ho domandato elettrizzata.«Certo che sì!» ha risposto cortese. «È tutto così bello, un sogno divenuto realtà! Ancora non

riesco a credere che tu abbia organizzato tutto questo!» Eppure qualcosa nella sua voce mi diceva

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che non era tutta la verità.«Be’, mi conosci, gli amici giusti al posto giusto!»Tutti sanno della lista tranne lui, e sono commossa dall’impegno che i colleghi mettono

nell’aiutarmi. Christie, poi, non avrebbe potuto sostenermi più di così.«Molly, guarda che se vuoi posso darti un permesso lungo quanto ti pare, ovviamente con

stipendio pieno. Basta dirlo.»«No, grazie, Christie, grazie davvero. Ho bisogno di stare qui. Ho troppe cose da fare! Vedessi

quant’è lunga la lista! E poi Ryan vuole che tutto prosegua secondo la normalità. Anche lui è quasisempre a scuola. Ho solo bisogno dei giorni immediatamente dopo la chemio, pensi si possa fare?»

«Ma certo, chiedi pure qualsiasi cosa tu abbia bisogno... Sai, questa foto di te e Ryan èbellissima», ha poi aggiunto, e così ho notato che stava guardando la foto che avevo appena postatosul blog, quella del bacio a Lakeside.

«L’ho scattata subito dopo che mi ha chiesto di trasferirmi da lui», ho spiegato in lacrime. «Diomio, come sembravamo giovani! Guarda come siamo vestiti!» Sono scoppiata in una sonora risata, eho anche sbuffato con tanto di bolla di muco dal naso, che ovviamente ho subito provveduto adasciugare, imbarazzata.

Christie allora ha chiuso subito la finestra. Leicester Square è affollata come non mai e le persone continuano a riversarcisi dentro come impastonella tortiera, una, un’altra, un’altra ancora, cercando di spargersi il più possibile lungo il tappetorosso. Io stringo i nostri bei biglietti a rilievo e tutti lavorati. Temo proprio di aver esageratoindossando quest’abito metallico, giganteschi orecchini a lampadario e tacchi vertiginosi colorargento. Quanto a Ryan, ha l’espressione di chi vorrebbe essere a casa spaparanzato sul divano.Metterci in ghingheri pareva la cosa giusta da fare, ma solo adesso notiamo che non l’ha fatto nessunaltro non VIP, col risultato che noi sembriamo convinti di essere i protagonisti del film. Penso di nonessermi mai sentita tanto imbarazzata in vita mia.

«Ci possiamo muovere e basta?» domanda Ryan con voce stridula, nervoso ed esausto. Entrambiabbiamo gli occhi incollati alla lunga striscia di tappeto che ci si srotola davanti, lo stesso tappetoche ci appariva tanto elettrizzante a pensarci e che adesso ci terrorizza. È come essere costretti acamminare su una tavola di legno con dietro i pirati che ti pungolano con le spade.

«No», rispondo con un largo sorriso. «Aspettiamo ancora un pochino.» Non intendo mostrargli lamia paura. Dobbiamo sfruttare l’esperienza al massimo, e questo significa riuscire ad avvicinarci ilpiù possibile a qualche superstar.

«Mollyyy, per favore...» insiste stringendo i denti. «Me la sto facendo sotto.»«Tipico di voi ragazzi dell’Essex, eh? Parlate parlate, ma poi...» Lo prendo per mano. «Guarda

che non c’è niente di cui aver paura!»«Ora come ora, il tumore mi fa meno paura di questo tappeto», risponde stranamente calmo. A ben

guardare, non l’ho mai visto così mogio, ma so come si sente.«Senti, questa è la nostra unica occasione, quindi faremo tutto perbene come Dio comanda, siamo

d’accordo?» bisbiglio. «Tu fai solo come ti dico.»«Signorsì, signora!»Gli faccio l’occhiolino, sforzandomi di celare l’ansia che provo ogni volta che lo guardo. Torno a

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rivolgermi verso il tappeto rosso ed ecco arrivare una limousine nera da cui emerge prima una gambacorta in un pantalone elegante, subito seguita da un corpo culminante in un sorriso. E poi ancora unaltro sorriso da Stregatto, come quello del dottor Harper, solo più largo e luminoso. Uno dei sorrisipiù famosi al mondo.

«Eccolooo!» sibilo. «Tom Cruissssse!»Ryan gira la testa di scatto nel tentativo d’intravedere il suo indiscusso idolo cinematografico.«No, non guardare!» lo sgrido. «Fai finta di niente. Guarda me, va bene? Aspetta, aspetta...

andiamo!»Detto fatto, m’incammino lentamente, un passo alla volta, lungo il tappeto rosso, salutando la

folla, aggrappata alla mano di Ryan, il quale stringe la mia e mi fissa con gli occhi fuori dalle orbite,con un’espressione che dice: Ma che cavolo stai facendo?

Certo, i suoi occhi sembrano fuori dalle orbite anche perché il suo viso è scavato. Ha perso moltopeso dall’ultima seduta di chemioterapia e la perdita dei capelli non aiuta di certo. Non che perquesto non sia ancora di una bellezza mozzafiato, s’intende. Per me è ancora stupendo, solo in unamaniera più... eterea, ecco. Ciononostante so bene che tutti gli altri inorridiscono. La pelle è delgrigio-giallastro della luce di un lampione nella nebbia. Il cranio è glabro e punteggiato di lesioni.Gli abiti, che fino a una settimana fa gli calzavano a pennello, adesso sono almeno di due misure piùgrandi, persino i denti sembrano troppo grossi per la bocca.

«Piano, cammina piano...» sibilo. «Mooooolto piaaaanoooo.»«Ma perché? Ci guardano tutti...»«Appunto, è quello lo scopo. Noi due, mio caro, ci faremo immortalare vicino a Tom Cruise!»«Ma sei impazzita?!» esclama tirandomi per un braccio nel tentativo di fermarmi. «Lo vedono

tutti che siamo due emeriti nessuno. E li hai visti quelli della sicurezza? Sono degli armadi!»Mi fermo, proprio a metà del tappeto rosso, mi volto e lo prendo per le braccia. Posso contarne le

ossa... «Tu, tu non sei un emerito nessuno, non sei mai stato un emerito nessuno e non sai sarai maiun emerito nessuno. Mi sono spiegata?»

La gente ci guarda. Un paio di fotografi hanno staccato l’occhio dall’obiettivo e ci osservano conaria interrogativa.

«Tu non sei un emerito nessuno, hai capito, Cooper?» ripeto decisa, imponendomi di nonpiangere.

Ryan guarda la folla, i fotografi che adesso ci ignorano perché accanto a noi passano delle verecelebrità. («Kelly! Kelly Brook! Qui! Bel vestito! Fearne!!! Fearne Cotton! Fatti fare una foto. E dai,Geri, fai un sorriso!») Mi asciugo il naso col dorso della mano e stringo la pochette sotto il braccio,e proprio in questo istante Ryan si volta verso di me, sorridente come non lo vedevo da tempo, miafferra, mi tira a sé, mi fa piegare all’indietro e mi bacia così a lungo da togliermi il respiro. I flashscattano ovunque e io chiudo gli occhi, non solo per godermi questo bacio come mi ero ripromessa difare, ma perché sono accecata dai paparazzi. («Ma questi chi sono? Non erano mica nel GrandeFratello? Sì, lo sapevo che li avevo già visti! Dai, un altro bacio, un altro bacio!»)

Ryan si scosta e mi guarda negli occhi, mentre i suoi luccicano come le stelle che fanno capolinoin cielo quando il sole non è ancora calato.

«Allora, ti basta?» dice, e io scoppio a ridere.Mi ritira su, un altro bacio e poi un abbraccio. D’improvviso Ryan si irrigidisce e volta piano il

collo mentre qualcuno gli dà una pacca sulla spalla. «Complimenti, amico, sei bravo quasi quanto

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me!» mormora Tom sorridendo, e poi si allontana con le guardie del corpo, lasciandoci soli colricordo di quelle poche parole.

Entrambi sgraniamo gli occhi, e poi scoppiamo in una fragorosa risata.Dentro la sala, sediamo ai nostri posti e subito prendo la mano di Ryan – la mia trema ancora per

l’incontro ravvicinato con Tom Cruise! – e mi accomodo per godermi il film. Dopo appena cinqueminuti, però, Ryan si china verso di me e sussurra: «Ti spiace se andiamo a casa? Non... non mi sentomolto bene». Arrivati a casa, lo metto a letto e mi sdraio accanto a lui fin quando il suo respiro non si fa pesante eregolare. Lo stringo fin tanto che mi riesce, implorando il sonno di prendere anche me, ma è inutile.Allora scivolo fuori dalle coperte e vado in soggiorno, piangendo sempre di più a ogni passo. Piangoperché la lista non sta fermando proprio un bel niente. Facciamo un sacco di cose straordinarie,desideri che abbiamo sempre sognato di realizzare, ma non è abbastanza. Mi lascio cadere suldivano, e solo allora noto un foglietto appoggiato al fenicottero. Maledetto fenicottero. Allora l’hatrovata. La mia lista. Deve averla letta prima di uscire.

Prendo il foglietto, curiosa di vedere se ha aggiunto qualcosa, ma non so se credere ai miei occhi:il titolo e ogni voce sono stati cancellati e sostituiti. Lista di cose da essere Io voglio stare con teIo voglio stare con la famiglia e con gli amiciIo non voglio essere straviziato!!!Io voglio poter vivere la vita il più normalmente possibileIo non voglio che continui a prendertela con te stessa o a sentirti in colpa per cose che non puoi cambiare eche io non vorrei nemmeno cambiareIo voglio poter prendere del tempo per riflettere sulla mia vita, basta fare cose nuoveVoglio che tu capisca come mi sento: sono un uomo assolutamente appagato. Molly, ho tutto ciò che abbiamai potuto desiderare e non rimpiango nulla. Proprio nulla. E poi: Non voglio più fare, Molly, io voglio solo essere. La leggo tormentandomi un labbro, annuendo e singhiozzando. Capisco quello che cerca di dirmi. Iosono andata dritta per la mia strada con tanto di paraocchi, cercando cose che mi aiutassero aconvivere col pensiero che Ryan stia morendo; ma servivano solo a me, non a lui! Forse perché nonsono ancora pronta a perderlo. Forse lui è pronto ad affrontare la morte, io no. Come potrò viveresenza di lui?

Mi si appannano gli occhi e mi sembra di vedere doppio, poi per fortuna mi accorgo che sonosolo le scritte sul retro del sottile foglio di carta da lettera. Strano, non ricordavo di aver scrittoanche dietro. Comunque sia, volto il foglio e le lacrime scendono subito ancora più copiose nelleggere l’altra lista di Ryan. Una che ha pensato solo per me. Leggo riga per riga, lentamente, perimpararla a memoria, mentre accarezzo la sua scrittura spigolosa.

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Lista delle cose da essere per Molly Io voglio che tu sia felice!Io voglio che tu sia positiva!Voglio che tu lasci andare il passato e viva nel presente!Voglio che tu diventi una fotografa. Perché sei bravissima. Perché hai smesso di scattare fotografie? Ioavrò anche il cancro, ma a te non hanno certo asportato occhi, mani e soprattutto visione del mondo.Voglio che tu trovi l’amore. Chiunque incontrerai poi, ti amerà per sempre. Perché gli sarà impossibile non farlo.Dai retta a me, io lo so! E se fossi ancora qui gli stringerei la mano perché so bene quale fortuna gli saràcapitata.Voglio che tu sia madre. Saresti una madre perfetta. E, no, non sto rimpiangendo di non aver avuto dei figli.Mi ucciderebbe (ho ho ho!) sapere che li sto lasciando. Sono felice che siamo stati solo noi due. Moll, hai capitobene? Perché lo dico davvero.Voglio che tu sia orgogliosa della donna che sei e che sappia che io sono orgoglioso di essere stato amato date. Hai reso la mia vita completa, per questo non m’importa se non invecchierò. Abbiamo avuto tuttoquand’eravamo poco più che ragazzini, non credi? Per me è stato così. E quale uomo potrebbe chiedere di più? Dopo tanto tempo, ecco una lista di cose davvero importanti. L’unica lista che d’ora in poi conteràper me. Poso un bacio sulla carta, sfioro con le labbra l’inchiostro per respirare le parole e ilsentimento di Ryan, per ingoiare l’amore con cui ha impregnato il foglio. Eccolo qui, il mio Ryan. Èun uomo che non ha mai desiderato più di quanto avesse, che ha vissuto una vita semplice ma piena.Ha sempre saputo dare il giusto valore alle cose, e non solo adesso che si trova a dover affrontare lamorte, l’ha sempre fatto. Non ha mai rincorso sogni ridicoli né dato troppa importanza ad altro chenon fosse essere un buon amico, figlio, fratello, fidanzato, insegnante e marito. Ho imparato tanto dalui e non ho ancora smesso. E so che continuerò a imparare ancora per lungo tempo.

Riposo il foglietto sul tavolino e vado in cucina ad accendere il bollitore. Questa notte nondormirò. Mi appoggio alla parete e lascio correre lo sguardo per l’appartamento, per la nostra casa,mentre nella mente mi si formano dapprima delle parole, poi frasi intere, e poi un paragrafo.

Porto il tè in soggiorno, prendo il portatile e accedo al blog. Le dita esitano sulla tastiera, siedofissando lo schermo vuoto, per nulla avvezza a riversare i miei sentimenti in qualcosa che non sia unafotografia. Decido allora di aprire la cartella Matrimonio che c’è sul desktop e inizio a passare inrassegna le immagini sino a trovare quella che cerco: Ryan e io sotto il baldacchino di fiori di camporosso crepuscolo, arancio e gialli, col sole in procinto di tuffarsi nel mare alle nostre spalle, io inbianco e lui in azzurro, come se fossimo il cuore di una fiamma. Le labbra sorridenti sono premute leune contro le altre, le mani accarezzano le guance nel primo bacio da marito e moglie.

La fisso per un istante e poi scrivo. Mi fermo e sottolineo.

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Il bacio del finché morti non ci separi

Da strenua detrattrice del matrimonio, quando poi sono entrata nell’ordine d’idee di sposarmi, non ho potuto non chiedermicosa cavolo mi avesse trattenuto tanto a lungo dal compiere il grande passo. Senz’altro la paura di ciò che rappresentaquesta istituzione, del suo essere definitiva, assoluta. Un’unica persona per tutta la vita. Ora so che non sempre è possibile. Guardo ancora la fotografia, bevo un sorso di tè e continuo a digitare al ritmo delle parole che mi traboccano dalle dita. Perché, dopo aver finalmente trovato il mio «e vissero per sempre felici e contenti», poco tempo fa ho scoperto che il miobellissimo, atletico, divertente, gentile, premuroso, tifoso sfegatato di un marito ha un tumore allo stadio terminale. Ha quasitrent’anni e io non ne ho ancora ventotto. Ci conosciamo da quando siamo ragazzini, il primo bacio ce lo siamo dati che ioavevo quindici anni e lui diciassette in un locale che si chiamava The Grand (disastro totale); il secondo (davvero incredibile)che eravamo entrambi freschi ventenni e in vacanza a Ibiza, dove ci siamo incrociati per caso (io continuo a pensare che miabbia seguito, lui continua a negare!) Siamo andati a vivere insieme quando i nostri amici ancora si godevano le storielle da una botta e via, poi però ci siamolasciati per un periodo, ma solo per renderci conto che non potevamo restare lontani. Ci siamo fidanzati il 23 novembre 2005(giorno del mio ventiseiesimo compleanno), a Central Park, accanto al mosaico in memoria di John Lennon a StrawberryFields. Un momento magico. Ci siamo sposati nemmeno un anno dopo, il 22 aprile 2006, a Ibiza, ed è stato come vivere inuna favola. Mi sento come se lo amassi da sempre e per questo ho scioccamente pensato che ce l’avessimo per davvero,l’eternità. Fin da quando ci hanno comunicato la diagnosi, sono stata consumata dal bisogno di rendere ogni istante memorabile, dalbisogno di provare a rendere i suoi ultimi mesi di vita degni di essere vissuti. Ho persino scritto una lista di cose da fare, ilmio modo di assicurarmi che Ryan riuscisse a realizzare ogni suo desiderio. I colleghi sono stati stupendi e mi hannoaiutato a organizzare occasioni davvero incredibili per lui. Adesso però ho appena trovato una lettera che Ryan ha scritto perme. E non è una lista di cose da fare, bensì di cose da essere. Ha sottolineato che non cambierebbe nulla di ciò che hafatto, che la sua è stata una vita piena proprio per merito delle scelte che ha compiuto, degli amici incredibili che ha, dellafamiglia straordinaria cui è sempre stato molto legato, del lavoro d’insegnante che adora. Per lui gli studenti sono come figli,li educa, dedica loro tempo, pazienza e comprensione quando nessun altro lo fa. Non ha mai desiderato più di quello che ha.È sempre stato felice, talvolta in modo irritante (provate voi a litigare con una persona che ha il sorriso stampato in faccia!!!)E adesso desidera solo trascorrere il tempo con le persone che ama. Stare con loro, non fare qualcosa con loro. Jackie, sua madre, scherza sempre che è nato col sorriso sulle labbra. Adesso Ryan scherza sul fatto che morirà anchecol sorriso sulle labbra. Penso che dovreste ridere. Noi lo facciamo, ma talvolta è davvero molto dura. Ho trascorso ore e ore sperando di poter trovare il modo di tenere Ryan con me per sempre, e ora penso di averlo trovato inquesto blog. Nei mesi scorsi avete condiviso il mio punto di vista sulla vita e sul mondo attraverso l’obiettivo della macchinafotografica: il viaggio a New York, il tragitto verso l’ufficio, tutti i luoghi in cui noi due siamo stati. Dalla diagnosi ho pubblicatosolo immagini di Ryan e me. Credo sia perché voglio condividere con gli altri l’amore più grande che abbia mai avuto e mai avrò. Vorrei tanto averimmortalato ogni nostro bacio per poterlo pubblicare qui e mostrarvi quanto ho avuto con lui, e chi sono diventata standogliaccanto. Vorrei tanto che ognuno di voi andasse a baciare il proprio amore, adesso, e che lo assaporasse come siconviene, e così tutti quelli che seguiranno. Perché quando ci si rende conto che i baci sono limitati, che ogni bacio è uno inmeno verso l’addio, allora ci si trova a chiedersi perché mai se ne sono sprecati tanti. Per questo vi prego di fare vostro ilconsiglio di vita di Ryan: smettete di fare e siate, vivete. Siate gentili con la persona che amate, siate grati di averla, siatesinceri. Non gettate via i baci, nemmeno uno. Il futuro non è certo per nessuno, quindi ascoltatemi e baciate più che potete,

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fin quando non ne potete più, per strada, davanti a tutti! Baciate come se ogni volta fosse l’ultima. E poi conservate ognibacio nella memoria per poterli rivivere per sempre. Proprio come faccio io. Molly xx

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Il bacio incontrollabile

Vi siete mai abbandonati a un bacio così completamente da sentire di cedere una parte di voi per sostituirla con una partedell’altro? A me è successo al ritorno da Ibiza. Con quel bacio, Ryan ha messo in moto la mia metamorfosi in farfalla. Sulpiano sociale, fisico e psicologico. Mi aveva inalato nuova vita, accarezzato l’anima con le labbra. E poi non sono più statacapace di tornarmene nel mio bozzolo. Non ora, non con lui, né mai.

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◀◀ REW 30/07/01 18:00

«Dio, questo lunedì non finisce mai!» sospira Jo mentre ci stringiamo nell’ascensore con un gruppettodi colleghi. Sono le sei del pomeriggio. «Io odio la settimana della moda. Perché, per quanto ci siorganizzi per tempo, alla fine è sempre uno stress unico. Ho bisogno di bere qualcosa. Qualcunovuole venire con me?»

Do un’occhiata all’orologio, pensando che l’unica cosa che voglio è sistemarmi nel nuovoappartamento, versarmi un bel bicchiere di vino e svuotare qualche scatolone.

«Dai!» insiste mentre le porte dell’ascensore si aprono sul sonnolento ingresso della Brooks Inc,l’editore di Viva. «Sono curiosa di saperne di più di questa settimana d’amore...»

La ignoro. So già che Ryan non si farà più sentire. Il lupo perde il pelo... Le porte girevoli ci sputano una per una su Long Acre, la strada principale che conduce a CoventGarden, superaffollata in questa mite serata di luglio. Ci fermiamo a chiacchierare per un paio diminuti, discutendo su dove andare; alla fine la scelta cade sul Langley, che è proprio dietro l’angolo.

«Molly!» grida qualcuno.Subito mi volto, anche se non ho ben capito da dove mi chiamano né se si rivolgono proprio a me.La luce della sera si riflette sulle vetrine, accecandomi per qualche istante, e d’improvviso siamo

inghiottite da orde di persone che escono dalla metropolitana. Riesco a vedere solo una marea diteste.

«L’hai sentito anche tu o sono impazzita?» domando a Jo.«No, no, ho sentito!»«Molly!»Mi giro di nuovo, e questa volta vedo il più grosso mazzo di fiori mai esistito che attraversa la

strada, e come per miracolo la folla si apre per lasciarlo passare e – magia! – anche le macchine sifermano. Taxi compresi. La persona che ha il mazzo di fiori al posto della testa avanza saltellando egrida come se fosse questione di vita o di morte. «Scusate, permesso... Devo... Molly!»

Le ragazze ammutoliscono e io resto letteralmente a bocca aperta nel ritrovarmi davanti Ryan,ansimante e con un grosso sorriso stampato in viso. Goccioline di sudore gli imperlano la fronteabbronzata; le braccia sono gonfie per lo sforzo, e gli occhi brillano come il mare in cui abbiamonuotato a Ibiza.

«Ryan? Ma che diavolo ci fai qui? Dovresti essere ancora in vacanza!» esclamo proteggendomigli occhi dal sole con le mani. Davvero non riesco a credere che sia lui. E se fosse un miraggio?Dopotutto somiglia a una visione angelica, bagnato com’è dalla luce gialla del tramonto.

Ryan guarda il gruppetto di colleghe che mi si è stretto intorno, tutte visibilmente in estasi, e miporge i fiori. «È che non potevo stare un altro giorno senza vederti. Ho accorciato la vacanza e hopreso il volo dopo il tuo.»

Lo fisso, incredula, sforzandomi di leggergli in viso che sta scherzando. Mi guardo intorno, sicura

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che vedrò spuntare Alex, Carl o un altro dei suoi amici.Incrocio le braccia, più che altro per trattenere il cuore, che palpita tanto da rischiare di balzare

fuori dal petto. «Ma fai sul serio, Cooper?» chiedo, inarcando il sopracciglio come mi ha insegnatoCasey.

«Faccio molto sul serio», risponde con un’espressione decisa.Lo guardo, poi abbasso gli occhi. La sua mano cerca la mia, e io lo lascio fare. Sento una forza

magnetica che ci attira l’uno verso l’altra. Inizio a pensare che sia al lavoro da anni.«Molly Cooper, ti amo dalla prima volta che ti ho visto. E adesso possiamo smettere di fingere

che non siamo fatti per stare insieme?»Si avvicina ancora e, nonostante la folla, nonostante le nuove colleghe, e benché non ami le

effusioni in pubblico, mi getto tra le sue braccia, incapace di resistergli un minuto di più. Mentre lenostre labbra s’incontrano ancora, lo fisso dritto negli occhi e allora li vedo: la tenerezza, l’amore ela vulnerabilità che di solito nasconde dietro le arie da macho. E così svaniscono anche le ultimebriciole di dubbio su di lui. Ryan Cooper è il mio destino. Lo so meglio di qualsiasi altra cosa almondo. Ci abbracciamo e ci baciamo, poi le colleghe iniziano ad applaudire e allora mi allontano,imbarazzata, ma Ryan mi attira a sé e ci mettiamo a ridere fronte contro fronte nel renderci conto cheJo ci ha anche scattato delle fotografie.

«Oh, scusatemi!» esclama scrollando le spalle e alzando la macchina fotografica. «È che èproprio il classico momento romantico da immortalare!»

«Un altro come portafortuna?» sorride Ryan avvicinandosi.E per la prima volta in vita mia mi sento davvero la ragazza più fortunata al mondo.

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Il bacio della lontananza

È stata Blanche DuBois (o meglio Tennessee Williams) a dire: «Ho sempre confidato nella gentilezza degli estranei». Orache ci penso, non credo di essere mai dipesa da altri che non fosse Ryan. Adesso però devo. Ho bisogno degli amici e dellafamiglia, e ho bisogno di questo. Di voi. Di tutti voi. I messaggi che mi avete mandato tramite il blog mi danno forza esostegno ogni giorno. Ne sono stata travolta e commossa. E voglio che sappiate che non importa la distanza che hannodovuto coprire, le preghiere e gli auguri sono stati tutti accolti col cuore e non c’è nessuno che non abbia ringraziato dentrodi me. Per me significano molto più di quanto potrete mai immaginare.

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FF ▶▶ 03/05/07

Il telefono sulla scrivania suona, ed è uno squillo insistente, pressante, che disturba quel poco dipensiero creativo che mi è rimasto. Già non riesco a pensare lucidamente, figuriamoci poi sem’interrompono ogni cinque minuti e mi tocca anche sopportare la voce di Mika che sprizza sempreallegra e briosa fuori dallo stereo, in netto contrasto col mio cupo monologo interiore.

Ryan come sta? Dovrei chiamarlo? Avrà preso le medicine? Cosa gli cucino stasera per cena? Misto sforzando d’inventare uno slogan efficace per il numero della settimana prossima, una parte delmio lavoro che detesto, perciò, se da questo punto di vista la telefonata potrei anche considerarla unagradita distrazione, dall’altro m’impedisce di dedicarmi a faccende più pratiche, come passare inrassegna le case in affitto a Leigh-on-Sea.

Perché lo so che ormai manca poco.«Seee?» rispondo, con un tono molto poco professionale, ma tanto non me ne potrebbe importare

di meno. In questo periodo sono esentata da regole e critiche di qualsiasi natura. Ed è davverobizzarro. Per quanto m’impegni, è come se non riuscissi mai a fare nulla di sbagliato.

«Mollyyy! Come sta la mia bellissima nuora?» cinguetta la voce di Jackie.Mi concentro sul mio coraggioso, dolce e paziente marito e sull’adorazione che nutre nei confronti

della madre e cerco d’incanalare un po’ della sua bontà per non rispondere solo: «Molto presa», esbattere giù la cornetta.

Sii gentile sii gentile sii gentile. Ricordati che per lei è dura quanto per te.«Bene, davvero benone, grazie!» squittisco con una vocina alla Alvin Superstar che, mi sono

accorta, ultimamente adotto sempre con lei. Non posso certo dirle la verità, che non trascorre giornosenza che sia terrorizzata, pietrificata dalla paura per quello che potrebbe accadere a Ryan. Che stoaspettando che la morte si decida a calare la falce, che la vedo in ogni segno, in ogni nuovo sintomo.Come vorrei potermi permettere anch’io il lusso della negazione, ma Jackie si è accaparrataentrambe le nostre quote.

«Allora, Molly cara, ti chiamavo perché ho appena letto sul giornale che a quanto pare il vinorosso può curare il cancro! Ma da non crederci, eh? Un buon incentivo per far bere qualcosina a Ry,no? Eh, eh, eh!»

«Aaah!» Ho impostato lo «squittio» automatico.La voce di Jackie torna a disturbare il flusso dei miei pensieri: «Secondo me quando torni a casa

dovresti fermarti a comprargliene un po’! Di sicuro la medicina più buona che possa capitargli! Davesostiene che lui l’ha sempre saputo, per questo beve tanto. Eh, eh, eh!»

Quindi dove non arriva il tumore ci penserà la cirrosi.Molly, sii gentile!Tengo per me la puntualizzazione che gli antiossidanti del vino rosso hanno potenziali proprietà

preventive del tumore e non curative. O rammentarle che Ryan ha sempre detestato il vino rosso. Oche non può bere troppo per via di tutti i medicinali che assume. Vorrei dirglielo, ma lascio perdere.Vorrei che Jackie provasse a capire a cosa devo far fronte io ogni giorno, giorno dopo giorno. Vorrei

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che Ryan dicesse alla madre di affrontare il fatto che sta morendo. Vorrei che lui si rendesse contoche ho bisogno di aiuto. Non voglio dover fingere che va tutto bene. Voglio andare a casa. Voglio ilpapà e la mamma. O quelli di Ryan. Voglio che si assumano loro la responsabilità, che la smettano diandare in giro tappandosi le orecchie cantando la la la la la

Perché la la la io il tumore dalla testa non riesco a levarmelo la la la.No, mettermi a canticchiare mentalmente sulle note di Kylie Minogue no! E poi, proprio Can’t

Get You Out Of My Head?!?È questo che mi lasci in eredità, eh, Ryan? Una vita a ritmo dello schifo di musica pop che

piace a te che mi rimbomba nella testa?«Molly cara, ci sei ancora?»«Sì, Jackie, certo.»Non taglio corto perché so che ne ha bisogno, che ha bisogno di pensare che ci sia ancora una

speranza. Un ottimismo che le invidio. Ma lei non ha dovuto ascoltare Charlie parlare «del futuro».Non era con Ryan quand’è uscito a comprare un cartone di latte e siamo dovuti tornare in ambulanzaperché ha avuto una crisi. Sono abbastanza Cooper da sapere che Jackie ha bisogno di potersiattaccare al minimo barlume di speranza. Sono abbastanza Cooper da ascoltarla e fare di tutto perrendere la situazione più semplice per lei, anche se ciò significa renderla più dura per me. Questo hoimparato stando con Ryan e con la sua famiglia.

Dalla diagnosi, a nome della madre gli ho servito credo ormai chili di: 1. Curry (Jackie: «Aumenta l’efficacia della chemio, Molly cara! E a quanto pare aiuta a favorire la

morte delle cellule cancerose!»)2. Aglio («Molly, qui leggo che rafforza il sistema immunitario! Dev’essere una cosa buona, no?»)3. Verdura a foglia verde («Ma sai quanti antiossidanti contiene?»)4. Cavoletti di Bruxelles («Idem come sopra, cara!»)5. Cereali («C’entrano qualcosa coi livelli di glucosio e insulina!») L’ho fatto soprattutto perché una parte di me spera che abbia ragione.

Ed è per questo che squittisco: «Grazie, Jackie, lo proveremo! Anzi, magari stasera potremmomangiare broccoli al curry con una bottiglia di vino rosso!»

«Senti, perché invece non venite a casa a mangiare cinese? Ci divertiremo un sacco, come semprequando noi Cooper ci riuniamo... tutta la famiglia... non farti pregare, Molly cara! Dai, saltate sulprimo treno e venite a trovarci!»

Vorrei tanto dirle che Ryan non è in grado di saltare da nessuna parte. Ultimamente riesce appenaa camminare. Charlie ci sta procurando una sedia a rotelle, per quando Ryan è troppo stanco ancheper camminare, e accade sempre più spesso. Questo però non risolve il problema delle scale. Hopregato Charlie di parlarne ancora con Ryan, perché a me non dà ascolto. È come se fosse convintoche domani starà meglio. Mentre io il domani lo temo.

La debolezza di Ryan è stata la parte più difficile in assoluto cui abituarmi. La perdita dei capellil’abbiamo affrontata bene, anche se non avevo previsto che sarebbero caduti anche ciglia,sopracciglia e peli «in quelle zone». Ormai si è ribattezzato Gollum.

«Quindi io cosa sarei?» ho replicato ridendo per la trovata. «Una hobbit?»Ha iniziato a perdere i capelli un paio di settimane dopo la prima seduta di chemioterapia, con

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ciocche di capelli che restavano sul cuscino. Ryan allora mi ha chiesto di raderlo a zero, ma primaho voluto divertirmi un po’ quindi, macchina fotografica alla mano, mi sono messa a provare unsacco di tagli un po’ pazzi, documentandoli uno per volta; prima la testa a strisce, poi a reticolato,quindi una bella cresta, taglio scalato... fin quando non è rimasto più nulla.

«Adesso sembri proprio David Beckham nel 2001», ho commentato osservandolo per un secondo.«Ecco, aspetta, l’ultimo tocco...» Ho rasato una piccola striscia diagonale lungo un sopracciglio.

Quando, con un gesto enfatico, gli ho passato lo specchio, sembrava contento. Poi però si è fattopensieroso. «Moll, secondo te quante ore di vita ho buttato via stando dietro ai capelli?»

È rimasto in silenzio tanto a lungo che ho pensato si fosse messo a contarle, così come io avevoprovato a contare i nostri baci. Avevo persino provato a elaborare una formula.

Ha inarcato il sopracciglio (rasato) per parecchi minuti, poi ha scosso la testa. «Avrei dovutorasarli anni fa.»

Pochi giorni dopo sono comparse le prime lesioni. «Molly, ma mi hai sentito?» La voce stridula di Jackie m’invade i pensieri. «Ho chiesto perché nonvenite qui!»

«Veniamo questo fine settimana, ricordi?» cinguetto allegra. «E indovina un po’? Stavo giustoguardando gli affitti, quindi magari ci trasferiremo prima di quanto pensi!»

Glielo dico perché penso che le farà piacere. Grosso errore.«Affitto? Vuoi forse offendermi, Molly cara?»«Cosa? No, è solo che...»«Ma perché andare in affitto? Perché non venite a stare qui a casa? Nella sua casa?»«Dipendesse da me, ma Ryan non vuole...» Vorrei dire che non vuole morire in casa loro ma a)

non mi lascia finire e b) a metà frase mi sono comunque accorta che non era cosa Jackie-correct.La voce di mia suocera sale di parecchie ottave. Vuole suonare tutta allegra e squillante, col

risultato di sembrare pericolosamente squilibrata. «Se stai per dire che mio figlio non vuole venire acasa, tesoro, sappi che ti butto subito giù il telefono. Mio figlio dovrebbe essere qui. A casa. Con lasua famiglia...»

Sono io la sua famiglia.Singhiozzi. È la prima volta che la sento piangere. Poi un rumore smorzato e la voce di Dave, che

quasi non riconosco da tanto non la sento.«Molly...» Un brontolio sordo, come di un tuono lontano. «Mi dispiace, è che Jackie è

scombussolata. Non devi sentirti offesa, per lei è... difficile. Per noi tutti...»«Lo so, e anch’io voglio tornare a Leigh, dico davvero. Ho bisogno di aiuto ma Ryan ha deciso...»

Scoppio in lacrime. «Ho bisogno di aiuto...» Metto giù non appena mi rendo conto che Dave l’ha giàfatto. Mi guardo intorno, ma tutti sono diligentemente al lavoro, col capo chino. E guardano ovunquetranne che nella mia direzione.

Talvolta mi convinco che la gente pensi che quello che mi sta accadendo sia infettivo. Che se miascoltano troppo, o mi parlano troppo, poi qualcosa di terribile accadrà ai loro cari. E una parte dime si domanda se non abbiano ragione.

«Molly, potresti venire un attimo nel mio ufficio, per favore?» domanda Christie infilando la testafuori dalla porta e facendomi cenno di raggiungerla.

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«Eccomi.»Lei m’indica la sedia lì davanti. «Come sta Ryan?»È sempre la prima domanda che mi pongono tutti, e io apprezzo l’interessamento, ma non so mai

come rispondere. «Be’, sai com’è...» attacco con un sorriso, e decido di ripeterle la versione faceta eottimista della verità. «È sempre un testone, un gran vanesio e un fissato del pallone, ma tuttosommato sta abbastanza bene... Sì, i dottori dicono che se la sta cavando bene.»

Certo, se non si considerano la nausea e il fiato corto e i mal di testa e l’incontinenza e gli incubi eil dolore, mi trattengo dall’aggiungere. Ho imparato sulla mia pelle che la gente non vuole sentirsidire la verità, bensì una versione edulcorata a dovere. E alcuni – vedi Jackie – non vogliononemmeno quella.

«Ma è fantastico!» s’illumina Christie, nemmeno le avessi detto che è guarito. «Molly, senti, ti hochiamato perché voglio parlarti del blog. Un post in particolare ha attirato la mia attenzione...»

Penso subito all’ultimo post, intitolato «Il bacio delle effusioni in pubblico», con sotto la foto dime e Ryan che ci baciamo sul tappeto rosso davanti a Tom Cruise, con tanto di didascalia: «Prossimafermata... il divano di Oprah!»

L’ho mostrata a Ryan e l’ha trovata divertentissima. «Bene, quindici minuti di notorietà: fatto!» hascherzato. «Tra questa e la reunion dei Take That posso morire tranquillo!»

Ormai mi sto abituando alle sue battute.«Per dirla tutta, ti vorrei parlare in particolare della reazione che ha ottenuto il tuo blog»,

prosegue Christie. «E non mi riferisco solo all’ultimo post, bensì a tutti quanti. Non so se hai fattocaso a quanti commenti sono arrivati da quando hai iniziato a postare foto dei vostri baci.»

Scrollo le spalle, timida. L’ho notato, e mi hanno davvero commosso. Quante parole toccanti ed’incoraggiamento da persone che non ho mai nemmeno conosciuto. Quanti messaggi di persone chevolevano condividere la propria esperienza col tumore, consigli di persone che si trovano o si sonotrovate nella mia posizione, per non parlare di chi mi scrive solo per dirmi quanto sono piaciute lefotografie e trova la nostra storia d’amore davvero commovente.

Ryan sa tutto ma non credo si sia mai collegato per dare un’occhiata. Si preoccupa soltanto dicom’è venuto in quegli scatti. «Basta che non ne metti nessuna dove sono vestito strano, okay? Voglioessere ricordato come un uomo elegante, non un fashion victim», ha detto ieri sera.

«Ma tu sei un fashion victim e lo sei sempre stato!» Ho tirato su la coperta e gli ho sussurratoall’orecchio, mentre gli si chiudevano gli occhi: «Te la ricordi la salopette?»

La morfina lo fa dormire molto, tanto che la camera da letto si è trasformata nel suo studio,divano, cinema e biblioteca. Capitano giorni in cui non ha nemmeno la forza di alzarsi dal letto. Pernessun motivo al mondo. Fa uno strano effetto vedere una stanza un tempo dedicata solo al sesso e alriposo trasformarsi in un luogo dal sapore così clinico. Accanto al letto ci sono un secchio easciugamani puliti; sul suo comodino una brocca d’acqua con la pilloliera dosatrice (un oggetto dicui ignoravo l’esistenza fin quando Charlie non me l’ha fatta comprare), coi medicinali suddivisi peri giorni della settimana e per le tre fasce orarie principali, un espediente che aiuta entrambi aricordare che cosa deve prendere ogni giorno e a che ora. E poi mi solleva dalla preoccupazione didover pensare se le ha prese quando non ci sono. Ho comprato anche le traversine assorbenti per ipiccoli incidenti di percorso che sembrano farsi più frequenti. Motivo per il quale adesso accanto alletto c’è anche un bel pitale, per quando Ry sta troppo male per alzarsi nel cuore della notte.

Ha sbadigliato, ignorandomi. «Come sono stanco, questo tumore mi sta prosciugando, sai...»

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E mi ha attirato a sé e ha finto di addormentarsi, in modo che non me ne possa andare. Non chesarebbe in grado di trattenermi, questo è chiaro. I muscoli delle braccia sono ormai un ricordolontano, quasi non posso toccarlo senza che faccia una smorfia, e trascorro buona parte della giornataad applicargli emollienti e oli biologici per cercare di lenire un po’ il dolore.

Il blog è divenuto la mia terapia, la mia automedicazione e il mio modo di celebrare il nostroamore. Non voglio che Ryan dubiti mai di quanto l’ho amato. Di quanto lo amo. Al presente. Nientepassato. Non ancora. Mai.

Christie mi sfiora la mano e solo adesso mi rendo conto di piangere. Di nuovo. «Molly, in tuttasincerità, è la prima volta che mi capita di vedere una reazione così travolgente a un blog. Horicevuto numerose e-mail da parte di lettori e lettrici che volevano sapere di più, che volevano dartiun consiglio o semplicemente parlarti. Ci hanno intasato la mail con fotografie di baci; alcunearrivano da donne nella tua stessa posizione, che scrivono quanto si siano riconosciute in quello chescrivi. Guarda tu stessa...»

Apre una cartella piena di e-mail, tutte con oggetti che vanno dal semplice Molly e Ryan al piùspecifico Rendete importante ogni bacio.

Me ne resto lì, con la mano premuta sulla bocca per bloccare altri singhiozzi, ma non possoimpedirmi di tremare. Ce ne sono centinaia, e continuano ad arrivare. Lo sguardo mi cade su una inparticolare. Riconosco il mittente: è la editor della nostra consorella newyorkese. L’oggetto dice Unbacio a Central Park 23/11/2005.

«Christie, ti spiacerebbe aprire questa?» domando sottovoce.Lei guarda prima me poi il monitor. Quindi seleziona l’allegato ed ecco comparire due che si

baciano a Central Park, accanto al mosaico in memoria di John Lennon.«Omioddio... ma siamo Ryan e io quando mi ha chiesto di sposarlo! Ma come... chi...?»«Quando sei stata a New York, i colleghi statunitensi hanno pubblicato il link al tuo blog nel loro

sito e, a quanto pare, non l’hanno più tolto.» Legge l’e-mail di Anna, la editor. «Dice di aver ricevutouna reazione entusiasta dai lettori. Tutti adorano te e Ryan, il tuo blog stupendo e le vostre immaginimeravigliose... Ti andrebbe di postare questa fotografia e lanciare un appello dal sito, un appellorivolto a tutti coloro che vi riconoscono? A partire da amici e parenti, persone che frequentavate eche potrebbero avere ancora vostre vecchie immagini che magari non avete nemmeno mai visto.»

Continuo a fissare lo schermo, ipnotizzata da quella fotografia che ci ha immortalato all’apicedella felicità. Mi avvicino un po’ e leggo il messaggio lì sotto che dice: Un paio di anni fa mi trovavo a Strawberry Fields e ho avuto modo di assistere a una delleproposte di matrimonio più dolci, divertenti, belle e sentite. Non l’ho mai dimenticata e poi ungiorno, quando mi sono resa conto che si tratta della stessa coppia del blog, ho sentito di doverspedire questa fotografia. Spero che Molly possa aggiungerla alla propria collezione di baci.

Auguro a entrambi un mondo d’amore

Sandra Quasi non riesco a concepire con esattezza cos’è accaduto. Questo sì che è un buon modo per

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tenermelo sempre accanto. Pubblicare le fotografie nel blog sarebbe come dire che Ryan e iopossiamo vivere per sempre.

Nell’arte e nell’amore, come mi ha insegnato il mio papà.

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Il bacio del «non mi lamenterò, né ora né mai»

«Amore significa non dover mai dire mi dispiace»: ve la ricordate? (Per chi non la riconosce, è una citazione da Love Story.)Be’, nella mia love story, tumore significa non riuscire mai a dire che non ne puoi più...

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FF ▶▶ 10/05/07

Entro in soggiorno, passo sopra le scarpe di Ryan gettate davanti alla porta d’ingresso come uncagnolino dispettoso, raccolgo i calzini che ha abbandonato accanto al tavolino e raccolgo il borsoneche ha vomitato il proprio contenuto – medicine comprese – su tutto il divano. Preparo la prossimadose di pillole con un bicchiere d’acqua, raccolgo libri e fogli vari di Ryan in una pila ordinata, lirimetto nel borsone e lo appendo a uno dei ganci all’ingresso, ganci che io stessa ho montato pocodopo il trasloco perché non ne potevo più delle sue giacche sparse ovunque, sul divano, sul letto, inbagno. Poi penso che presto dovrò iniziare a inscatolare tutto. Abbiamo trovato a chi affittarel’appartamento e ormai è questione di settimane e ci lasceremo alle spalle la nostra casa. La tristezzami toglie il fiato, ma non posso permetterglielo. Ho troppe cose di cui occuparmi. L’impulso è dimettere tutto per iscritto e smetterla così di stressarmi ai limiti del sopportabile, ma Ryan è statochiaro e sto imparando a vivere la vita attimo per attimo, affrontando le cose a mano a mano che sipresentano anziché trattarle come un mero esercizio di stile per andare avanti, semplici punti daspuntare nelle mie infinite liste.

Mi guardo intorno, guardo questo appartamento pieno di ricordi della nostra vita insieme, comeper esempio le tante collezioni di cui Ryan non ha mai voluto disfarsi: infiniti programmi dei radunidei tifosi del Southend, biglietti del cinema o di concerti, pile e pile di scontrini delle seratetrascorse fuori (di questi però ho smesso di lamentarmi quando mi ha mostrato, incredibile ma vero,quello del primo appuntamento, quello dell’incontro casuale quand’eravamo ancora ragazzini). Gliscaffali stracolmi dei suoi vecchi CD di boy band accatastati impunemente accanto alla mia musica.Povero Jeff Buckley, costretto tra i Boyzone e i Backstreet Boys... eppure non riesco aimmaginarmelo senza.

Comunque sia, è un dato di fatto che non ci trasferiremo in un luogo grande abbastanza dacontenere tutto. La casetta in riva al mare resta ancora un miraggio. I giorni no peggiorano e, se non èil dolore fisico a tormentare Ryan, allora è quello mentale. Si sforza ancora di fingere, ma quandonon riesce nemmeno ad alzarsi dal letto, o ha la nausea o un febbrone da cavallo (dovuta, secondo ilmedico, a un’infezione polmonare), allora non può nascondere quant’è dura. Nuove lesioni spuntanoogni giorno ed è così magro da somigliare, per sua stessa ammissione, «più al palo di una porta che aun insegnante di educazione fisica». Jackie non sa più cosa fare per convincerci a tornare a Leigh e,per quanto cerchi ancora di opporsi, io so bene che Ryan è rimasto a Londra per me, non certo per sé.Vuole che la mia vita prosegua il proprio corso, così il trauma della sua morte avrà un impattominore su di me, ma tanto non potrei rimettere piede qui dentro comunque.

Torno in soggiorno proprio mentre Ryan si trascina fuori dalla cucina. Indossa la solita tuta daginnastica, ma è il suo corpo a essere divenuto quasi irriconoscibile. Eppure per me è ancorabellissimo. Sorride e si concentra per sollevare la tazza di tè che tiene in una mano, mentre nell’altraha un piattino di salsiccia col purè. Mi osserva mentre lo sguardo corre sulla baraonda che c’è incasa e sorride come un bambino monello. Non dico nulla. Mi avvicino e lo bacio.

«Una buona giornata?» domando allegra mentre vado in cucina a prendere il mio piatto.

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«Fantastica! Ho resistito per ben sei ore», afferma orgoglioso. «E sono anche andato a scuola avedere gli Year Sevens stracciare la Dalston Comp. A basket!»

«Sicuro di non aver esagerato?» domando preoccupata, tornando in soggiorno con la cena. Ryaninsiste ancora nel voler cucinare ogni giorno, anche se non ha quasi mai voglia di mangiare. Dice chelo trova terapeutico. E che comunque ha un ottimo incentivo per continuare, dato che l’alternativa èche cucini io...

«No, piccola», risponde levando gli occhi al cielo con fare affettuoso. Siede sul divano, posa latazza sul tavolino e il piattino in grembo, poi s’impadronisce del telecomando. Scelto il canale, iniziaa spostare salsiccia e purè senza però mai prenderne una forchettata. È chiaro che non gli vanno più,ed è un fatto che accade spesso: gli viene una voglia irresistibile di qualcosa, fa lo sforzo dicucinarselo e poi non riesce a mandarne giù nemmeno un boccone. «Lo sai che altrimenti te lo direi»,risponde posando da parte il piatto e stendendosi.

No che non lo faresti, e che cacchio! Un pensiero che tengo per me. Prendo un sottobicchiere eglielo metto sotto la tazza, quindi mi siedo lì accanto. Gli accarezzo la testa. Ryan cambia canale.Danno Hollyoaks. Mi fa pensare a Casey. Tempo cinque secondi e lui cambia di nuovo. Mi mordo unlabbro e mangio un pezzo di salsiccia.

Ryan mi chiede il tè, lo aiuto a mettersi a sedere, beve un sorso e faccio per rimettere la tazza sultavolino, ma non me lo permette. Si china in avanti con una smorfia di dolore e lo fa lui, mancandoperò il sottobicchiere. Non riesco a non pensare già al cerchio che resterà sul tavolo, poi guardo iltripudio di carne, purè e fagioli che ho nel piatto e sono colta dalla nausea. Ryan cambia di nuovocanale e trova Friends, ma giusto il tempo di una risata e cambia ancora. Mi metto in bocca un’altraforchettata, però non riesco a inghiottire, quindi mi alzo, getto gli avanzi nella pattumiera in cucina ecarico la lavastoviglie coi piatti, ciotole e padelle sporchi che aspettano da stamattina. Prendo unrespiro profondo e chiudo gli occhi. Mi sentirò meglio quando sarà tutto in ordine. E Ryan non siaccorgerà nemmeno di quanto sono nervosa. Non lo permetterò.

Nessuno ti avvisa che quando il tuo compagno muore di tumore perdi ogni voglia di gridare,criticare o rimproverare. Dal giorno della diagnosi non ho più alzato la voce. Sono diventata unavera santa. All’esterno. Talvolta, però, dentro mi sento come se stessi per esplodere. M’impegno almassimo, ma quando Ryan fa qualcosa pur sapendo bene quanto m’innervosisce, come lasciare latavoletta del gabinetto alzata o mancare il cesto del bucato di cinque centimetri, allora il desiderio ditornare in modalità rompina («Ma cosa ti costa buttarceli dentro, i calzini, non è difficile!») si fairresistibile. Lo so, messa così sembra orribile, ma la verità non è che non m’importa davvero che lofaccia, lo so bene che soprattutto in certi giorni è già tanto che riesca a spogliarsi o ad andare inbagno. È che mi manca tanto gridargli contro, sgridarlo. Questo nostro rapporto di accondiscendenzaè innaturale. Abbiamo dovuto assumerci in fretta questi nuovi ruoli, comportarci l’uno con l’altra inun modo cui non siamo abituati e che è... falso.

Io non ho lo spirito della crocerossina e Ryan non è certo il paziente ideale. Per prima cosa è unuomo, e poi è atletico, un amante dello sport che non è mai stato un giorno a casa in malattia. Detestadover prendere le pillole, essere schiavo di medicine e morfina, delle crisi improvvise che gliimpediscono di andare in giro da solo. Basta scuola (oggi Charlie l’ha portato a vedere la partita perdistrarlo, dato che dovevo andare al lavoro). Non sopporta gli appuntamenti in ospedale e l’unicapersona con la quale si apre completamente è Charlie. Spesso ho la sensazione che sia l’unico asapere come si senta davvero mio marito. Sì, persino più di me. E così ci ritroviamo di nuovo con

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un’altra persona nel nostro rapporto. Ma Charlie è un’aggiunta più che gradita. Anch’io ho bisogno dilui, tanto quanto Ryan.

L’altro giorno è passato a trovarci, Ryan dormiva e così abbiamo chiacchierato per ore. Di tutto.Di come mi sento, di come va Ryan. E finalmente ho trovato il coraggio di porgli la domanda che mitormenta da tempo, ma che ho sempre avuto paura di pronunciare.

«Charlie...» ho esordito, porgendogli una tazza di tè. Sedevamo al bancone in cucina.Lui mi ha guardato e ha chinato il capo nella sua tipica posizione da ascolto.«Lo so che te lo chiederanno sempre e so pure che non dovrei e non vorrei che pensassi che sono

in fase di negazione o cose simili...»«Vuoi sapere quanto tempo», mi ha interrotto bevendo un sorso di tè, poi ha posato la tazza sul

bancone e incrociato le dita.All’improvviso mi è tornata in mente quella vecchia filastrocca per bambini:

Here’s the church and here’s the steeple, open the door and see all the people.12

E allora mi è balenata in testa l’immagine di un funerale e sono scoppiata a piangere.

«Molly, ehi, ascoltami...» Mi ha preso la mano. «Io non posso prevedere il futuro e non voglioconvincerti del peggio ma nemmeno darti false speranze, perciò dico solo che dovete pensare allaprossima fase e in fretta. Vivere in questo appartamento è troppo per Ryan, e prenderti cura di lui dasola è troppo per te...» Ryan mi raggiunge in cucina e posa il piatto sul bancone, intatto, e se ne torna in soggiorno. Faccio unrespiro profondo. Poi lo sento ridere per qualcosa e vorrei mettermi a gridare: Ma come puoiridere? Come puoi avere la forza di ridere per qualsiasi cosa? Ma mi trattengo. Faccio roteare lespalle, mi massaggio il collo e mi verso un generoso bicchiere di vino. Quindi torno anch’io suldivano e mi accoccolo accanto a lui in silenzio mentre, con l’ennesimo zapping, decide di guardare AQuestion of Sport, un programma sportivo che detesto. E lo sa. Però non dico nulla. Non posso micadire a un uomo che sta morendo che non può guardare il suo programma preferito, giusto? Anzi misento in colpa per tutte le volte che ho sospirato o me ne sono lamentata. Ma che schifo di mogliesono stata? Sempre a sospirare e sgridare e...

Asciugo una lacrima e bevo un sorso di vino, ma Ryan mi dà una gomitatina e ridacchia,facendomi rovesciare qualche goccia sulla camicia di cotone.

«Cazzo!» esclamo posando il bicchiere (sul sottobicchiere) e correndo in cucina a prendere unpo’ di carta assorbente. È una camicia firmata e l’ho pagata una fortuna. Una fortuna che adesso mipare schifosamente esagerata. Sarei dovuta restare fedele al nero. Sarei dovuta restare sempre incasa, a prendermi cura di Ryan, indossando vestiti sciatti e sgualciti, o una divisa da infermiera perfar ridere mio marito. Non certo questa stupida tenuta da ufficio. Smetto di tamponare. E, anche se siè rovinata, che importa? Che cosa importa più ormai? Mi aggrappo al bancone e lascio che lelacrime si mescolino al vino. Poi sento Ryan avvicinarsi.

«Molly...» chiama piano.Sollevo il capo e sorrido tra le lacrime, senza però voltarmi. «È tutto a posto», rispondo

rimettendomi a tamponare furiosamente. «Verrà via! E poi chi se ne frega, questa stupida camicia non

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mi è nemmeno mai piaciuta!»«Molly...» ripete.Mi volto e sorrido.«Perché non mi sgridi?» domanda sconfortato.«Perché non voglio!» rispondo allegra, trattenendomi dall’aggiungere «tesoro». Non sono una

mamma.Non sarò mai una mamma.Non sarò mai la mamma dei nostri figli.«Ma sono irritante e fastidioso.»«Non è vero!»«Sì che è vero. Lo so che vuoi scrivere una lista. Hai un disperato bisogno di scrivere una lista.

Guarda, lo faccio io per te.» Apre un cassetto e prende un taccuino. Lista delle cose fastidiose che fa Ryan Scrive e sottolinea.

Poi si batte la penna contro il povero capo rasato e scrive leggendo ad alta voce. Voce che si fapiù tesa a ogni parola. È nervoso, arrabbiato e frustrato. Non saprei dire però se è per colpa mia odella situazione. Quale che sia la ragione, detesto vederlo così.

«Primo: non usa mai il sottobicchiere, per nessun motivo, nemmeno quando ce l’ha davanti sultavolino!» Mi guarda. «Fatto: sul tavolino c’è una tazza di tè caldo. Altro fatto: non hai battutociglio.» Poi torna a scrivere. «Secondo: non la smette di fare zapping.» Mi guarda. «Hollyoaks,Friends. . . A Question of Sport. Molly, tu la odi. Ma non hai battuto ciglio. Terzo...» Indica ilpavimento. «Scarpe e calzini lasciati in gi...»

«Ryan, adesso basta. Sono tutte cose prive d’importanza.»Per tutta risposta, getta la penna sul bancone e mi guarda dritto negli occhi. «Sì che ne hanno

invece, e tanta! Ne hanno perché non ti comporti normalmente. Molly, te lo chiedo per favore:riprendimi, gridami contro quand’è necessario. Sii una stronza, fallo per me, ti prego!»

Si avvicina e cerca di abbracciami, ma lo allontano, furiosa. «Ma non voglio che ti ricordi di mecome di una stronza! Possibile che non te ne rendi conto? Mi detesto per tutte le volte che sospiravo emi lamentavo di tutte queste sciocchezze senza importanza. Perché non ce l’hanno un cacchiod’importanza, capito?» Grido e gesticolo come una pazza, incurante del naso che cola. «Non me nefrega niente se ti metti sul divano a guardare il calcio per il resto della tua via. Magari lo facessi!Voglio che tu faccia qualsiasi cosa ti renda felice. Non voglio gridare né lamentarmi. Voglio lasciartiil ricordo di una moglie dolce e amorevole...» Mi accascio sul pavimento, in lacrime. «Non voglioessere una stronza petulante, Ry, e mi dispiace di esserlo stata... Mi dispiace tanto...»

Ryan mi s’inginocchia accanto e mi prende le mani, poi mi tira a sé, poggiando fronte controfronte. «Ma non ti rendi conto che rivoglio la ragazza che ho sposato? La ragazza che diceva semprequello che pensava, che sapeva sempre come farmi stare in campana e al contempo come farmi rigaredritto. Mi hai obbligato a smetterla di pensare solo a me stesso. Fin da quando ci siamo conosciuti mihai mostrato che non ero perfetto, che la mia vita non era perfetta, che avrei potuto fare di più, esseredi più, esplorare di più. La mia vita è tanto migliorata grazie a te! L’hai resa perfetta nell’istantestesso in cui mi hai mostrato che io non ero perfetto. Nessuno l’aveva fatto prima. Ed è uno dei

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tantissimi motivi che mi hanno spinto a innamorarmi di te, Molly. Quindi per favore non smettereadesso, non smettere mai. Ho bisogno che tu continui a litigare con me perché solo questo mi dà laforza di reagire. Non capisci? Non vedi che sei tu a darmi la forza di continuare a lottare...» Escoppia in lacrime.

Continuiamo a piangere abbracciati sul pavimento della cucina, mentre A Question of Sportblatera in sottofondo.

«Ti dispiace spegnere ’sta stronzata?» domando.Ryan scoppia in una risata e mi posa un bacio sulla fronte.

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Il fantasma del bacio dei baci passati

«Non possiamo cambiare il passato. Non possiamo cambiare il fatto che taluni agiscano in un determinato modo. Nonpossiamo cambiare l’inevitabile. Tutto ciò che possiamo fare è giocare l’unica cosa che possediamo e cioè il nostroatteggiamento. Io sono convinto che la vita si componga per il 10% di cose che mi accadono e per il 90% del modo in cuireagisco.» Parole del pastore e scrittore Charles R. Swindoll. Mi piacciono. Riassumono pensieri che mi sono frullati per la mentenell’ultimo periodo. Non posso cambiare la diagnosi di Ryan ma posso controllare il modo con cui mi ci rapporto. Quindid’ora in poi sarò ottimista, ottimista, ottimista...

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FF ▶▶ 19/05/07

È un tardo sabato pomeriggio, sto cucinando un bel pasticcio per Ryan e preparandogli le medicine.«Ehi, dottoressa», chiama sonnolento dal divano su cui è steso a guardare i risultati delle partite.Mi chiama dottoressa perché, da quando ho smesso con le liste, ho memorizzato nome e dosaggio

di ogni medicinale, sia prescritto sia omeopatico. Diciamo che sono un bugiardino ambulante.«Ti dispiacerebbe venire un attimo?» domanda con voce roca.Resisto all’impulso di correre, ma solo perché so bene che lo farebbe arrabbiare. Dice che lo

faccio sentire come se stesse per esalare l’ultimo respiro, quando magari deve solo andare in bagno.Alzo il coperchio, prendo un mestolo tra quelli appesi dietro i fornelli, mescolo, assaggio, faccio unasmorfia e aggiungo altro condimento. Non che risolva molto. Per quanto Ryan s’impegni perinsegnarmi (è diventato la sua missione perché non vuole che muoia di fame quando non ci sarà più)non penso che imparerò mai.

Mi guardo intorno e d’un tratto un ricordo mi colpisce dritto allo stomaco: Ryan e io che portiamoin casa la nostra roba. Tutti gli utensili allineati in bella mostra, tutti comprati dal mio bel maritinonel corso degli anni: macchina per la pasta, frullatore, gelatiera, set per la fonduta, persino un robotda cucina. E lo spremiagrumi. Che si è visto quanto è servito. Non c’è abbastanza spazio per tutto.Persino quello che potrebbe andare comodamente nei cassetti è in bella vista, come il set di coltelliprofessionali che gli ho regalato per Natale, attaccati a una striscia di metallo magnetica appesa allaparete. E Ryan ha voluto a tutti i costi appendere pentole e padelle sopra il bancone dove facciamocolazione, sebbene continuassi a sbatterci la testa.

«Se fosse per te, avresti un microonde e due forchette e basta», ha commentato ridacchiando. «Nelforno ci metteresti le scarpe e nel frigorifero creme e trucchi.»

Un altro colpo allo stomaco, questa volta però è un’immagine del futuro. Poso la fronte contro lepiastrelle fresche della parete e prendo un respiro profondo. Non penso che riuscirò mai a rimetterepiede in questa cucina dopo che lui non ci sarà più. Perché qui c’è troppo di lui, qui Ryan è ovunque.La cucina è considerata il cuore della casa, ed è vero, ma a patto che dentro ci sia qualcuno in gradodi farlo battere, questo cuore.

Vado in soggiorno e siedo sul divano.«Penso che mi farò un bel pisolino», sospira Ryan guardandomi con un sorriso. Socchiude le

palpebre. «Perché non chiami qualche collega e vedi se le va di uscire? Non sarebbe una brutta ideae qui posso cavarmela da solo.»

«No, grazie», mormoro, sforzandomi di non farmi infastidire dall’ennesimo velato tentativo difarmi avere una vita sociale. «Alla televisione danno un sacco di belle cose e poi ho del lavoro dasbrigare.»

Ryan riapre gli occhi e prova a tirarsi su. «Guarda che secondo me invece dovresti uscire. Sonopassati secoli dall’ultima volta che ti sei divertita.»

«Guarda che io mi diverto, con te...»«Ma certo, perché restarsene con un malato di cancro è divertentissimo, una risata dietro l’altra!

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Chissà quant’è bello dovermi pulire il culo il sabato sera e dover cambiare anche le lenzuola perchémi sono cagato addosso per l’ennesima volta.» Prova a scherzarci su, ma io so che è devastato ognivolta che non riesce a raggiungere il bagno in tempo. E capita sempre più spesso. «Dai, Moll...»insiste con un sorriso. «Una pausa ogni tanto ti fa bene. È importante, sai, anche per dopo...»

Scatto in piedi e mi volto dall’altra parte per nascondergli le lacrime, però so che me le sentirànella voce. Al dopo non ci voglio pensare. Voglio solo godermelo adesso che è qui con me. «Proprioper questo non ho bisogno di una pausa», ribatto, voltandomi a guardarlo. «Ry, io sono qui perché èqui che voglio stare. Punto. E puoi ripetermi che devo uscire e divertirmi tutte le volte che vuoi, e seproprio ti fa felice allora uscirò e fingerò di spassarmela, però voglio che tu sappia che invece staròmalissimo. Odierò ogni singolo istante trascorso lontano da te, passato al pub o in discoteca o alcinema perché io voglio stare qui con te.» Mi giro ancora e mi copro la bocca per soffocare isinghiozzi che sento arrivare. Faccio tre respiri profondi. «Ryan, lo so che cosa cerchi di fare, lo so,ma non posso stare lontano da te. Ti prego, non obbligarmi...»

«Sstt, cucciola...» risponde facendomi segno di tornargli accanto proprio mentre le lacrimeriprendono a scorrere. Gli poso la testa sul petto e lui mi accarezza piano i capelli. «Certo che puoirestare.» Silenzio. «Allora però potresti farmi un mega favorone?»

«Certo, basta che chiedi!»«Mi ordini una pizza?»Sollevo la testa di scatto e Ryan sorride, e per un breve istante è tornato quello di una volta.«Non offenderti, ma non ce la faccio a mangiare un altro dei tuoi... pasticci. Ehm, è proprio il caso

di dirlo! Ho una voglia assoluta di una pizza di Domino e speravo di convincerti a uscire perordinarla di nascosto, ma non sono stato fortunato. Avrei dovuto dar retta a tua madre. Com’è che tichiamava? Molly la Generalessa?»

«La Bastian contraria!»Lui mi asciuga le lacrime. «Direi che è perfetto. Finora non sono mai riuscito a farti fare quello

che volevo, non capisco cosa mi abbia indotto a pensare che questa volta sarebbe stato diverso...»«Vedo che l’hai capita, Cooper!» Lo bacio sulle labbra e poi socchiudo le palpebre, come a

soppesare la richiesta. «Va bene, ti prendo la pizza, ma solo perché hai il cancro.»Ryan leva le braccia al cielo in segno di ringraziamento. «Grazie, Dio! Lo sapevo che prima o poi

questa malattia l’avrebbe avuto, un lato positivo!»Rido, ma solo per nascondere il nodo che mi stringe ancora la gola.

Cinque minuti dopo la pizza è già stata ordinata e io torno in soggiorno con un bicchiere di vino perme e una Becks per lui. Ovviamente non gli è permesso bere molti alcolici, ma una birra ogni tanto sela concede; lo fa sentire normale.

Ryan riposa, esausto come sempre. Lo osservo per un istante, contandone i respiri, col petto cheva su e giù, su e giù, a un ritmo ipnotico. Conto i respiri perché temo che possano interrompersi. Sobene che se dorme significa che non soffre, ma non riesco a non pensare che potrebbe non svegliarsipiù e questo mi terrorizza. Al contempo, però, sono contenta di avere un po’ di tempo tutto per me,tempo in cui posso limitarmi a restargli accanto e tornare a essere sua moglie e non l’infermiera.

Prendo un sorso di vino, un New Zealand Sauvignon Blanc. Ogni volta che lo bevo torno alla lunadi miele. Forse è per questo che me ne verso due bicchieri ogni sera (uno per me e uno per lui). È un

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conforto, non una stampella. Come il blog del resto. E sono consapevole di controllarlo in modoquasi ossessivo, ma non posso farci nulla, perché leggere quei commenti mi è di grande aiuto, più diquanto non lo sia parlare con gli amici o la famiglia.

Apro il portatile e controllo la posta, perché magari è arrivato qualche altro messaggio da perfettisconosciuti che però condividono questo mio viaggio. Sconosciuti che sento vicini come gli amiciveri perché mi sostengono e mi confidano le loro esperienze d’amore e di perdita.

Apro l’e-mail Ma te lo ricordi? e sorrido nell’accorgermi che è di Jo, la ex photo editor di Vivache, paradossalmente, adesso lavora con Mia. Siamo rimaste in contatto e l’ho rivista quando sonostata a trovare la mia amica ormai australiana. Cara Moll,

come stai? E come sta Ryan? Domande sciocche, lo so, ma è difficile non iniziare con quelle... Iospero che vada bene e che tu abbia tutto il sostegno che meriti. Non riesco nemmeno a immaginareciò che stai attraversando. Io... ecco, mi piacerebbe poter fare qualcosa. E sono sicura che te losentirai ripetere continuamente.

Comunque, qui tutto bene. Mia non fa che parlare di te. So che vorrebbe trovarsi più vicino,per poterti aiutare di più.

Volevo dirti che seguo il tuo blog e che mi è venuto in mente di avere ancora quelle foto che viho scattato, ti ricordi? Quando avevi appena iniziato alla rivista e Ryan si è presentato fuoridall’ufficio con quell’enorme mazzo di fiori. Quant’era romantico! Proprio non riuscivate asmettere di baciarvi! Comunque, ho pensato che ci sarebbero state bene nel blog. Un altro bacioper la collezione...

Abbi cura di te Moll, ti penso tantissimo

Jo xx Apro i file jpeg allegati, non vedo l’ora di vedere nuove immagini di noi due nei momenti felici.Sono quattro scatti consecutivi e lancio un gridolino di gioia ogni volta che un’immagine occupa loschermo. Ryan indossa quell’odioso e ridicolo piumino senza maniche rosso col cappuccio che nonsi toglieva mai – nemmeno d’estate – e dalla mia espressione è chiaro che mi ha appena ammutolitocon quel bacio a Covent Garden. Nella prima fotografia ho un’espressione sconvolta e un po’terrorizzata mentre le sue labbra si avvicinano, poi incredula, poi arrendevole e infine di puro egenuino godimento. «Cotta come una pera cotta», se non erro è così che all’epoca mi aveva descrittoJo, e adesso capisco che cosa intendesse. Salvo le immagini sul desktop e apro il blog.

Intitolo il nuovo post «Il bacio della resa» e pubblico le fotografie. Le dita esitano sulla tastierama poi, senza nemmeno accorgermene, prendono a muoversi.

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Il bacio della resa

Liberi di non crederci (e penso che non lo farebbe nemmeno Tom Cruise) ma, prima di mettermi con Ryan, io ero quellaallergica alle dimostrazioni d’affetto in pubblico, anzi di qualsiasi tipo. Anche da bambina, non andavo in giro per il parco giochi a braccetto o per mano con la mia amichetta del cuore. Mai unavolta ho abbracciato mia madre sussurrandole: «Ti voglio bene» prima di addormentarmi. Un bacetto frettoloso e un«anch’io» era il massimo che fossi disposta a concedere. A chiunque. Poi però è arrivato Ryan, con quel suo modo diamare da cucciolone, genuino e che non sa dove stia di casa la vergogna. Rammento ancora lo stupore nel vedere conquanta disinvoltura dimostrasse i propri sentimenti, come fosse un libro aperto. Non si vergognava di dare un bacio sullaguancia al suo migliore amico né di abbracciare il padre in mezzo alla strada, né tanto meno di baciarmi davanti alle nuovecolleghe... e a tutta la gente che passava per Covent Garden. Come potete immaginare, in quest’ultimo periodo ho ripensato spesso al passato. Il tumore porta a farlo. Ti porta aesaminare ogni minimo dettaglio; come se la tomografia computerizzata del tuo compagno procedesse di pari passo conquella emotiva della vita. Comunque sia, mi domando di cosa avessi tanta paura, anche se credo di saperlo già: non volevoche gli altri capissero che cosa provavo dandomi una semplice occhiata. Non volevo che gli altri conoscessero le mieemozioni. Perché meno persone ne erano a conoscenza e minore era il rischio di essere ferita. Ma comportandomi così, inrealtà, non permettevo a nessuno di avvicinarsi. Tenevo chiunque – persino la mia migliore amica – a debita distanza,tacendo i miei veri sentimenti e le emozioni (tranne che al mio diario, scritto con la tipica rabbia adolescenziale). E Ryan ha cambiato tutto questo. Ha cambiato me e gliene sono grata perché, permettendogli di avvicinarsi, ho compresoche era proprio lui quello che cercavo da sempre. Un luogo caldo, invitante, dove sentirmi subito a mio agio. Ryan era lacasa, il «focolare» che speravo di trovare da una vita. Un luogo che mi accoglieva e avvolgeva senza aspettarsi nulla. Mi haaperto il suo cuore e, così facendo, ha saputo aprire le porte del mio. E, grazie a lui, ho lasciato entrare anche la sua splendida famiglia e la mia, che avevo chiuso fuori da molto ormai. Mi sonoavvicinata ai miei amici e ho imparato a voler bene ai suoi. E adesso ne sono ancora più contenta perché ho bisogno chetutti sappiano come mi sento. Ogni giorno ho paura... anzi no, sono terrorizzata al pensiero di ciò che potrebbe portare.Sono anche disperatamente triste (ed è sempre più difficile non darlo a vedere!) e sola. Ryan è ancora qui con me, ma io sobene che sono sola. Perché lui non resterà ancora per molto e io devo imparare a vivere senza di lui. E, detto in tuttaonestà, non sono sicura di poterci riuscire. Perciò adesso devo poter piangere con gli amici, farmi coccolare e confortaredalle parole dolci di mia madre, ho bisogno di poter dire ai miei colleghi quanto sto di merda, quanto sono a pezzi perchémio marito sta morendo di cancro. Sì, sta morendo. Ho bisogno di dirlo. Talvolta devo ripeterlo ancora e ancora perché cosìlo rendo reale. Ho bisogno di piangere senza controllo e ridere istericamente quando voglio, in qualsiasi situazione emomento. Io ho bisogno di poterlo fare e che le persone capiscano e non mi giudichino perché sto dando libero sfogo aisentimenti, per quanto brutti possano essere e a prescindere dal modo in cui mi vengono fuori, perché vivere con un malatoterminale di cancro è brutto. Non è qualcosa che si può ricoprire con glassa e una spolverata di zucchero. Non si puòmettergli un tubino e un paio di tacchi e portarlo fuori per una serata in città. Non si può dissimularlo con un bel sorriso. Habisogno di piangere e di essere confortato. Ha bisogno che la gente non abbia paura quando la guarda dritto negli occhi. Habisogno di non sentirsi obbligato a indossare una maschera per proteggere tutti, incluso il tumore. Ha bisogno di esserepubblico. E sapete dove sta l’ironia? Che, proprio adesso che ho bisogno di queste dimostrazioni d’affetto in pubblico, nessuno pare ingrado di darmele. È come se fossi punita per l’atteggiamento che tenevo prima di Ryan. Perché tutti quelli che micircondano sembrano così schifosamente controllati. E che cacchio! Posso scriverlo, «e che cacchio», Ed? Nel caso,scusami. È che mi sembra così appropriato usarlo. Sembra appropriato essere inappropriata, se vogliamo metterla in questitermini. Perché ogni singola parola che mi viene rivolta, ogni espressione del viso di amici e parenti, così come ogniconversazione se sanno che anch’io posso sentirla, è sottoposta a rigido controllo. È come quando mi occupo della sceltadelle fotografie dopo una seduta, per pubblicare solo la migliore. Gli unici che non si comportano così sono Ryan e i suoimedici. Anzi, ora che ci penso, forse nemmeno lui.

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Perché davvero non ho idea di quanto Ryan si controlli in tutto questo. Sono sicura che a me nasconde il peggio, sebbene ilgiorno della diagnosi abbiamo giurato a noi stessi di essere sempre sinceri. Ma ci amiamo troppo per essere sinceri sino infondo. E allora ridiamo e scherziamo e fingiamo che sia tutto a posto, per facilitare le cose all’altro. Ma sappiamo bene dinon poter fare nulla per il dolore dell’altro perché viaggiamo in direzioni diverse. Intraprendiamo cammini diversi. Lui non haun futuro davanti, io... ne ho uno senza di lui. Voi quale scegliereste? Ho capito, sono stata troppo diretta. No, per favore, non indossate la maschera solo perché ho posto una domanda cosìtosta. Lo so che è quello che stanno cercando di fare amici, colleghi e parenti. Cercano di mostrarmi il meno possibile delloro dolore perché ne ho già a sufficienza del mio. E so pure che cercano di proteggere se stessi, di non esporsi troppo almio dolore. Indossano la maschera, proprio come me. Sapete, però, cos’è che vorrei? Vorrei che a un certo punto potessimo semplicemente lasciarci andare e gridare, strillare,piangere, ridere, imprecare (e che cacchio! Scusa ancora, Ed), singhiozzare e lamentarci, senza freni, gli uni davanti aglialtri, come so che vorremmo fare. Per parafrasare sua maestà in occasione dell’11 settembre: «Il dolore è il prezzo chepaghiamo per l’amore». Bene, allora amiamo e poi soffriamo senza controllo. In questo momento non penso di poter farealtrimenti. M x

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Il bacio del «penso di amarti»

Un pensiero che proprio non riesco a evitare in questi giorni di convivenza col tumore è: cos’è che mi faceva così paura?Perché mi preoccupavo tanto di essere troppo giovane quando ho conosciuto Ryan? Nel guardarmi indietro, adesso mi èchiaro che di lui ero innamorata già prima di quel bacio, già prima di dirlo o anche solo di pensarlo. Anzi ormai sono convintadi essere nata amandolo, e ciò significa che non avrei mai potuto incontrarlo troppo presto.

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◀◀ REW 11/10/01

Sono accoccolata con Ryan sul divano usato nel mio appartamento male arredato e pieno di spifferiin Holloway Road. Due settimane fa ho conosciuto i suoi genitori, e da allora, non appena finisce ascuola, ogni giorno Ryan salta sul primo treno in partenza da Leigh a Frenchurch Street e viene aprendermi al lavoro. Andiamo a bere qualcosa o a mangiare un boccone, e ogni tanto ce ne stiamo quida me.

Fin da quando ci siamo baciati per strada ho la terribile, meravigliosa, paurosa, liberatoriasensazione di potermi innamorare di lui. Sì, va bene, lo so da me! A parlare è quella che ha sempredetto di non crederci. Non ho mai detto a un ragazzo di amarlo né sono stata con qualcuno chel’avrebbe detto a me.

Sorrido beata e chiudo gli occhi respirando il suo profumo così confortante; ma come ho fatto aresistergli così a lungo? Una sensazione che, proprio come lui, è una ridda di contraddizioni,sensuale però anche fidato, che dà sicurezza; Ryan profuma di casa ma anche di avventura, di sport,sole e pioggia, passato e futuro. Ed è – sia lui sia la sensazione – inebriante.

Quando non siamo insieme, ci scambiamo messaggini dal lavoro, lui mi telefona in pausa pranzoper raccontarmi cos’ha fatto e mi tiene aggiornata lungo il viaggio per venire a prendermi. Miracconta quello che legge, guarda, fa, vede. E sono tutte cose che voglio sapere. Per la prima volta invita mia voglio sapere ogni dettaglio che lo riguarda e – fatto questo che mi spaventa un po’ – voglioche lui sappia tutto di me.

L’altra sera eravamo accoccolati sul divano, con gambe e braccia intrecciati. «Come i tentacoli diun gigantesco mostro amoroso», ha commentato lui, accarezzandomi il braccio con un dito. Mi èvenuta la pelle d’oca, come sapevo sarebbe successo se un ragazzo avesse usato quella parola cheinizia con la A, però per l’emozione. Ci frequentavamo da quasi tre mesi e sapevo che eravamo atanto così dal dirlo.

Ho sollevato la testa dal suo petto e gli ho sbottonato la camicia, poi ci ho infilato sotto la manoper scoprirlo. L’ho studiato con attenzione per un istante, sforzandomi di memorizzare ognicentimetro di pelle, ogni lentiggine o imperfezione. Sentivo di voler conoscere ogni pendio, ognicunetta e fessura del suo corpo.

Ho sfiorato col dito i tre nei che ha appena sotto il capezzolo sinistro. «Sembrano tre minipraline», ho annunciato solenne, e Ryan è scoppiato in una sonora risata.

«Molly Carter, mi spieghi come fai a vedere cose che nessun altro noterebbe mai?»Mi sono limitata a sorridere e con la punta del dito gli ho sfiorato il capezzolo. «Questa è con la

nocciolina.» Ho proseguito fino al piccolo neo proprio lì sotto, simile a un disco. «Questa è alcioccolato fondente.» Poi ho indicato un grumino chiaro che spuntava fiero un po’ più giù. «E questaè al toffee.»

Ryan mi ha preso la mano e me l’ha guidata fino all’inguine. «Permetti che ti presenti MrPralinone», ha detto con voce roca, permeata non di umorismo bensì di desiderio.

Non ho saputo trattenermi. Sono scoppiata in una risata talmente fragorosa da scivolare giù dal

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divano e restarmene seduta sul pavimento. Ryan mi ha punito prima con una cuscinata e poi colsolletico, facendoci rotolare di qua e di là fin quando non mi ha bloccato e dato un bacio delicato,profondo e di un’intensità tale che ho subito sentito di non poter resistere un minuto di più.

Abbiamo aspettato finché i baci non si sono fatti così pressanti e il desiderio così ardente che cisiamo tolti i vestiti come fossero la buccia di un’arancia, strato dopo strato, stringendoci l’unoall’altra, ansanti. Ci siamo ritrovati nudi sul divano. Quanto lo volevo! Ho premuto forte le labbracontro le sue, in un bacio profondo, esplorando con la lingua i recessi di quella sua bocca così caldae accogliente. L’ho afferrato per le natiche e l’ho pregato di prendermi. Ma lui se n’è rimasto fermosopra di me e mi accarezzava piano i capelli. Mi ha fissato per quelle che mi sono parse ore, con gliocchi azzurri che brillavano e un sorriso sexy che esprimeva desiderio ed esperienza e sicurezza epazienza e... e qualcos’altro, qualcosa di difficile da distinguere. Amore? Non ne ero sicura perchénon l’avevo mai visto prima. E non volevo nemmeno pensarci, però lo sentivo. Lo sentivo nel modoin cui si è spostato di lato, senza mai smettere di guardarmi mentre poggiava il capo sul braccio e mifaceva scorrere le dita dai capelli al collo e poi giù fino alle spalle e lungo i contorni del corpo, conuna lentezza esasperante, come se mi stesse marcando, fin quando non ho iniziato a gemere disperatae frustrata.

«Ma che fai?» ho borbottato, in preda alla voglia di sentirlo sopra di me, dentro di me.«Traccio il mio nome sul tuo corpo, così te ne ricorderai per sempre», ha risposto sottovoce,

ricoprendomi poi spalle e collo di baci mentre le dita si concentravano altrove.«Per favore, non ce la faccio più! Ti voglio», l’ho pregato nascondendogli il viso nell’incavo del

collo.«Ma tu mi hai già. Davvero, Molly Carter.»E mentre entrava dentro di me ho fatto ciò che ogni ragazza di oggi sa di non dover fare. Ma le

parole mi sono salite alle labbra, insieme col cuore, e allora l’ho detto: «Ryan, penso di amarti».Lui non ha smesso, non si è fermato, ha solo abbassato la fronte sino a toccare la mia. «Buono a

sapersi, perché io sono certo di amarti, Molly Carter.» E mi ha baciato ancora e con una dolcezzatale che in quel momento e in ogni altro momento mi sono arresa. Mi sono arresa a lui, all’amore, almio destino.

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Il bacio SOS

Ryan continua a adorare i Take That (tanto per cambiare!) e nel loro ultimo album è contenuta una canzone in particolareche s’intitola Reach Out e che continua a passare per radio. Ultimamente mi capita di sentirla spesso, e allora inizio achiedermi se non sia un messaggio che qualcuno sta cercando di mandarmi. Vedete, io non sono brava a chiedere aiuto,come invece il testo della canzone esorta a fare, non lo sono mai stata. Sono troppo orgogliosa. Quando però ascoltoqueste parole che raccontano di come ciascuno di noi soffre a modo proprio e che è solo grazie all’amore che riusciamo afarcela, sento che mi strappano al mondo chiuso che ho creato con Ryan, dove, «lavoro» permettendo (sono sincera, inquesti giorni vado in ufficio per farmi vedere e poi me ne torno difilato a casa), mi dedico a lui a tempo pieno. Mi assicuro chestia comodo, gli do le medicine, gli cambio le lenzuola, lo porto fuori in sedia a rotelle. E allora questa canzone mi rammentache non si tratta solo di lui e me. Che non sono l’unica a soffrire. E che chiedendo aiuto potrei anche aiutare gli altri, non soloRyan, perché in questo momento non siamo gli unici ad aver bisogno di sostegno. Non gira tutto intorno a noi. Ebbene,questo allora è il mio SOS. Non un grido d’aiuto, bensì un grido per dare aiuto...

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FF ▶▶ 23/06/07 11:48

«Ciao, Moll», salutano i ragazzi in coro, con tono sommesso. Sono pallidi da far spavento. Se ivampiri esistessero per davvero, sono sicura che avrebbero quest’aspetto. Non sono proprio comequelli di Twilight, ma è chiaro che non stanno prendendo per nulla bene il rapido peggioramento diRyan.

«Che c’è? Sembrate tanti morti viventi», scherzo, ma gli sguardi atterriti che mi rivolgono mifanno capire che non sono ancora pronti per battute del genere. Meglio allora che li prepari. Ryannon si tratterrà, con buona pace dei loro sentimenti. «Scusate, ma è così che affrontiamo la morte daqueste parti. Ci scherziamo. A Ryan piace. Nonostante tutto è ancora quello di una volta, sapete?Salvo che gli ultimi esami del sangue hanno rivelato che il tumore si è esteso ancora. Soffriva diemicranie talmente forti che a volte lo facevano addirittura vomitare, e poi un giorno si è svegliatoche vedeva appannato da un occhio e abbiamo capito subito. Quando l’oncologo ci ha dato laconferma, sapete cos’ha commentato Ryan? Che adesso aveva completato la squadra di calcetto:pelle, colonna vertebrale, viscere, polmoni e cervello.»

Carl mi fissa per un attimo e poi distoglie lo sguardo.Vorrei abbracciarlo ma ho paura che mi si sbricioli tra le mani... Oh, chi se ne importa, io lo

abbraccio. Ne ho abbastanza d’ignorare l’intuito. Per questo ieri mi sono informata presso la casa dicura per malati terminali di Leigh, l’Havens Hospice. Voglio avere la certezza che, non appena Ryandarà il consenso – come abbiamo concordato –, saranno pronti a riceverlo. So che accadrà presto. Lovedo dal modo in cui Ryan guarda l’appartamento e me. Come se cercasse di memorizzarlo. Carl siaggrappa a me come un bambino alle gonne della mamma. Lo stringo forte e gli do pacchetteconfortanti sulla schiena, nel tentativo d’infondergli un po’ di coraggio. Mi rivolge uno sguardodesolato e abbandona la testa in avanti come se fosse troppo pesante da sorreggere. Gli prendo lamano e invito gli altri a entrare, chiacchierando il più possibile per metterli a loro agio. E poi ci sidomanda perché a Ry e me piace stare da soli. È un’impresa davvero molto ardua.

«Forza, ragazzi, entrate, entrate! Ryan sarà contentissimo di vedervi! Aaah, avete portato birra?Ma grazie!» Infilo un’esclamazione dietro l’altra e non so come smettere. «Sì, salite pure, vi aspettadi sopra! Oh, sta bene, grazie! Non si perde una partita, come sempre! So che è sabato perché diventouna vedova del calcio e...» Scelta infelice, me ne accorgo solo quando mi è già sfuggita di bocca e lamano di Carl si affloscia nella mia.

I ragazzi si sono bloccati con le giacche ancora mezze infilate. No, a Ryan non farà benequest’atmosfera strana e mogia. Devo avvisarlo, oppure inculcare loro un po’ di consapevolezza ebuonsenso prima che entrino.

«Ragazzi, mi dispiace, ma dovete sforzarvi di essere allegri. Lo so che è difficile, ma comunqueRyan non vi permetterà di essere così depressi, non mentre gli state intorno perlomeno. Raccontateglidi voi, trattatelo come sempre e non perdete la testa se fa battute orrende, è il suo modo di affrontarela cosa.»

Silenzio per un minuto. Nessuno riesce a guardarmi.

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Poi Carl leva lo sguardo. «Non è vero. È che di battute buone non ne ha mai sapute fare.» E unaccenno di sorriso gli attraversa il viso stanco e incavato.

Gli tocco un braccio e penso a quant’è più piccolo del solito, una sorta di versione a grandezzabambino del massiccio costruttore edile. È tornato il Carl in muta da sub che sorride alla macchinafotografica accanto al fratellino, solo che adesso sa che un giorno su quella spiaggia dovrà tornarcida solo.

«Ecco cosa intendevo, Carl!» Sorrido. «Sapevo che ce l’avresti fatta. E adesso andate.»Si guardano, fanno un respiro profondo e proseguono chiacchierando ad alta voce.Annuisco e mi appoggio per un attimo alla parete, ho bisogno di sostegno. Poi li seguo.Sono in cucina, a fare scorta di birre, fettine di lime e patatine. È così piacevole sentire le battute

e le risate che provengono dal soggiorno, dove i ragazzi seguono la partita.Mi volto, con in una mano una ciotola di patatine e nell’altra una di salsa, e mi ritrovo davanti

Carl che piange. Grosse lacrime gli scivolano giù per le guance e sulla maglietta. Poso subito tutto,spalanco le braccia e lui si mette a singhiozzare sulla mia spalla.

«Mio fratello, il mio fratellino», continua a ripetere. Poi tira su col naso, si asciuga gli occhi e siprende di tasca una busta piena di fotografie. «Molly, voglio ringraziarti per tutto quello che staifacendo per lui. Sei il suo mondo e noi tutti sappiamo quant’è dura...» Gli trema la voce. «Quant’èdura per te.» Mi porge una busta. «Noi ragazzi, mamma e papà abbiamo passato in rassegna tutti glialbum di fotografie e volevamo farti avere queste... per il blog. Lo leggiamo tutti, sai? Soprattutto lamamma. È davvero una bella cosa, Molly, davvero bella.»

«Grazie», sussurro, poi pulisco le mani in uno straccio e la apro. Dentro scopro decine e decine discatti di Ryan e me che ci baciamo: in vacanza coi Cooper in Portogallo, in vari locali a Southend, almatrimonio di Carl e Lydia, al nostro matrimonio, a vari compleanni, Capodanni e feste di Natale.Eccola qui tutta la nostra relazione immortalata. Alcune di queste foto non le avevo nemmeno maiviste.

Abbraccio di nuovo Carl e lascio che pianga per il suo fratellino, per se stesso, per sua madre esuo padre e suo figlio, e per me. Poi mi allontano per asciugargli gli occhi e una fotografia cade sulpavimento.

«E questa...?» domando, incredula, mentre m’inginocchio a raccoglierla. È di noi due al Grand, daragazzi. Ryan ha il broncio e i capelli che gli ricadono sulla fronte, alla River Phoenix, e io... io sonoproprio carina. L’accoppiata abito-sottoveste lungo e maglietta mi sta davvero bene e la crocchianasconde il tremendo taglio di capelli che mi ero fatta. E pensare che mi sentivo sempre così brutta.Adesso riesco quasi a capire quello che Ryan ha visto in me.

«Volevamo riuscire a immortalare il grande momento. Peccato che non sia andato tutto secondo ipiani. Non puoi capire quant’era imbarazzato quando si è visto in fotografia, lui e la sua schifosatecnica di pomiciata.» Carl ride e tira su col naso, si asciuga velocemente il viso e passa pollice eindice sotto gli occhi.

Annuisco tra le lacrime. Che sguardo terrorizzato avevo mentre Ryan mi si gettava addosso conardore e cercava di succhiarmi via la faccia.

«Prima di riprovarci con qualcuna si è allenato col braccio per mesi. E ricordo pure che midiceva che un giorno avrebbe fatto la pace con te. Che ti avrebbe dato un bacio di quelli daricordare...»

«Ah, l’ha fatto di sicuro», rispondo a voce bassa.

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«Molly!» chiama Ryan con voce stridula, facendomi sobbalzare. Come sempre quando mi chiama.O quando non lo fa.

Carl mi cinge col braccio, riprendo patatine e salsina e torniamo in soggiorno. Ryan è circondatodagli amici e da bottiglie di birra vuote e guarda lo sport in televisione.

«Tutto a posto?» Sorrido.«Lo sarà quando verrai qui con me», risponde.Siedo sul pavimento davanti a lui e mi accarezza i capelli, allora io piego la testa all’indietro e gli

sorrido. «Contento?» mormoro.Ryan annuisce e scatto una foto mentale della sua espressione, della luce che gli accende lo

sguardo, del sorriso soddisfatto. Prendo una patatina e gliela infilo in bocca, poi mi volto e vedo unattaccante che cerca di fare gol. «È fuorigioco! Ma che ha l’arbitro, è cieco o che cosa?» grido, ed’improvviso nella stanza cala il silenzio. «Che c’è?»

Sono tutti sbigottiti e immobili, alcuni sono addirittura rimasti con la bottiglia a mezz’aria.Ryan ha smesso di masticare.«Dopo sei anni con un insegnante di educazione fisica fanatico di calcio, ho imparato anch’io

qualcosa sul calcio.» Ryan è a letto e io sto finendo di sistemare il casino lasciato dai ragazzi, che dalla visita pomeridianasono passati a serata film e con takeaway indiano. Passato il primo impatto, si sono rilassati e sivedeva quanto fossero contenti di essere qui. E Ryan era al settimo cielo.

Metto via gli ultimi piatti e spengo le luci. Mentre mi avvicino alla camera lo sento piangere.Entro piano, m’infilo nel letto e lo abbraccio. Accarezzo questo suo povero corpo sofferente, condolcezza e metodo, fin quando il respiro non rallenta, e restiamo così, sfiorandoci appena, piangendoe coccolandoci fin quando Ryan non sussurra che vuole fare l’amore. Annuisco, terrorizzata alpensiero di fargli male ma divorata dal bisogno disperato di sentirlo ancora una volta. Forsel’ultima...

È stato il momento peggiore e insieme il più bello dalla diagnosi. Odiavo vederlo così spaventato,e all’inizio eravamo entrambi nervosi come amanti alle prime armi, con un sacco di «Così va bene?»e «Non fa male, vero?» e carezze esitanti. Ho fatto scorrere le mani sul suo corpo, sfiorandoloovunque, compresi le cicatrici degli interventi e il neogrumetto sul petto. Era come toccare unaversione Braille di Ryan. Una versione fragile. Poi, dopo aver pianto fino a raggiungere una sorta diculmine, siamo rimasti abbracciati, respirando all’unisono, mani nelle mani, piedi intrecciati. Ètrascorsa penso un’ora prima che uno di noi si decidesse ad aprire bocca. E poi abbiamo parlato ditutto. Del primo incontro, di cosa provavamo l’uno per l’altra da ragazzini, del terribile primo bacio,della proposta di matrimonio, del nostro incredibile matrimonio, dell’incontro sulla Bembridgequand’ero tornata dall’università, della luna di miele, la prima vacanza a Ibiza...

«Molly...» mormora chiudendo gli occhi. «Credo sia ora di andare a casa. Adesso voglio tornarea casa.» Intreccia le dita della mano con le mie e sospira, abbandonandosi al sonno.

«Come vuoi tu», sussurro stringendogli la mano.Aspetto che si addormenti e me ne vado in soggiorno. Benché sia giugno inoltrato e nonostante il

pigiama a strisce, tremo. Mi siedo al computer e invio a Christie un messaggio che ho abbozzato esistemato per settimane in cui le dico che prendo l’aspettativa prolungata e quindi da lunedì non

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andrò in ufficio e non so quando potrò fare ritorno.Dopo averlo spedito noto un’e-mail non letta.È di Casey. La fisso per un minuto, perché non lo so se voglio affrontare qualsiasi cosa contenga.A convincermi sono l’oggetto – Il vero primo bacio – e il fatto che contenta un allegato jpeg.

Cara Molly,

so bene che non vuoi avere nulla a che fare con me ma dovevo mandarti la fotografia che trovi inallegato. L’ho scattata l’ultima sera della vacanza a Ibiza; ho seguito te e Ryan quando sieteandati a fare la passeggiata al chiaro di luna. Non te l’ho mai mostrata perché mi vergognavotroppo. Mi ero convinta di non essere una «spiona» ma solo di aver fatto il mio dovere di buonaamica e di averti seguito per «badare a te». E la macchina fotografica ce l’avevo con me perchéeravamo in vacanza. Sapessi quant’ero gelosa, Molly... ma non ti ho scritto né per parlare di mené delle mie stronzate, volevo solo farti avere questa foto per il blog. È il bacio che dovrestiricordare sempre, il tuo primo vero bacio. A vederlo da fuori era perfetto. Immagino fosse questoil problema...

Mi dispiace tantissimo, Molly, e non solo per quello che ho fatto ma soprattutto per quello chestai passando. Detesto non poterti più vedere, però sappi che io ci sarò sempre per te. Sono quiper te, se mai dovessi averne bisogno.

C. xxx La leggo senza sbattere le palpebre nemmeno una volta, salvo la fotografia sul desktop, mi collego alblog e inizio a digitare.

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Il primo vero bacio...e l’ultimo

Oggi non avevo intenzione di pubblicare fotografie. Non perché sia a corto di baci, eh, tutt’altro. Però sento che è giunto ilmomento di porre fine alle incessanti manifestazioni d’affetto in pubblico. Scommetto che ne avete abbastanza di vedere Rye me che ci sbaviamo addosso e ci scambiamo effusioni! Poi però proprio oggi le persone che amiamo ci hanno fatto avere una stupenda selezione di fotografie che ci ritraggonoinsieme. Questa in particolare è la più preziosa perché è del nostro primo vero bacio. Pensavo che fossimo in un momentod’intimità, e invece sbagliavo, a quanto pare c’è stata almeno una testimone. Ha assistito all’attimo che mi ha cambiato lavita per sempre, e desiderava disperatamente che anche la sua cambiasse. E per questo non la biasimo, non più. La vita è troppo breve, giusto? Questo blog è stato per me un sostegno impareggiabile durante il periodo peggiore della mia vita. Ormai considero ciascunodi voi un amico e i vostri commenti così gentili e i consigli hanno saputo rendermi più forte, dandomi l’energia per andareavanti e affrontare un giorno dopo l’altro. Adesso però mi sento come se Ryan e io avessimo solo l’oggi. Il tempo dei ricordi èfinito, basta con gli sguardi al passato. Voglio concentrare ogni grammo di energia sul qui e ora. Spero capiate. Molly x Chiudo il computer e prendo il telefono per chiamare i genitori di Ryan e avvisarli che torna a casa.Che torniamo a casa.

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Il bacio di chi non si ferma

Ho promesso a Ryan che avrei smesso con le liste e a me stessa che avrei smesso col blog (non ne ho la forza emotiva),ma Charlie sostiene che scrivere mi era invece d’aiuto e che dovrei continuare a farlo per me stessa. E io sento il bisogno difermare in qualche modo questi momenti con Ryan. La macchina fotografica è un’amica fedele da tempo, e ora lo èdiventato anche il portatile.

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FF ▶▶ 30/06/07

Quando tornano a trovarci tutti insieme, sono già preparati. Apro la porta e mi ritrovo davanti tantefacce sorridenti. Hanno un aspetto ridicolo, però almeno sorridono.

«Allora, Moll, che dici?» domanda Carl accennando a sé e gli altri. Indossano una salopette senzamaglia e con una sola bretella allacciata, come i Take That in non mi ricordo più quale video. Gaz hail suo solito cappello a tesa larga, mentre gli altri hanno l’immancabile berretto girato al contrario.

«Ma da che cavolo vi siete vestiti?» ridacchio.«Noi siamo i Take Flat, servizio svuotamento appartamenti e traslochi in pieno stile Essex, per

servirla!»«Ry, questa devi proprio vederla!» grido coprendomi la bocca.I ragazzi si riversano oltre la porta e salgono da Ryan. Li seguo ridendo e osservo incredula la

coreografia che hanno studiato apposta per lui e che termina sollevandolo dal divano in pompamagna.

Ryan ride e non posso che sentirmi grata per i nostri insostituibili amici. So quanto lui aspettasse einsieme temesse questo giorno. È pronto a trasferirsi, anzi lo siamo entrambi; non usciamo di qui daun secolo e so quanto Ryan sogni di starsene comodamente sdraiato in giardino a guardare il marecon la sua famiglia. Ciononostante l’ha temuto, e non solo perché significa dire addio al nostro nidod’amore, ma perché non potrà dare una mano. Col senno di poi, avremmo dovuto deciderci giàsettimane fa, il viaggio sino a Leigh sarà molto duro per lui, perché gli è impossibile stare in un’altraposizione che non sia sdraiato, ma almeno non vede l’ora di tornare a casa. Jackie e Dave sono fuoridi sé dalla gioia; hanno comprato le migliori sedie a rotelle sul mercato e dotato ogni angolo dellacasa di montascale e tutto ciò che possa rendere la vita di Ryan un po’ più comoda. Se per me è statoduro e difficile prendermi cura di lui da sola, penso che per loro sia stato ancora più difficile nonpoter fare nulla.

Mi guardo intorno: l’appartamento trabocca ancora della nostra vita, sebbene abbia già chiusopenso almeno un centinaio di scatole.

«Allora, capo, da dove iniziamo?» domanda Alex mentre rimettono giù Ryan.Faccio per rispondere, ma mio marito m’interrompe. «Ehi, chi te lo dice che non parlasse con

me?» protesta mettendo il broncio. «Guarda che il capo potrei essere io.»Scoppiamo tutti in una sonora risata. «Certo, Ry, come no, come se tu fossi mai stato il capo di

Molly!» esclama Carl passandogli la mano sulla testa, come per scompigliare capelli che non cisono.

«Ehi, ma non ve l’ha detto nessuno che ho il cancro? Dovresti rimpinzarmi l’ego e ripetermi ognidue secondi quanto sono bravo e geniale!»

«Tu sei bellissimo e geniale e sei sempre stato il mio capo», affermo.«Oh, dici davvero, Molly cara?» domanda con una moina teatrale.«No.» Gli faccio l’occhiolino, gli poso un bacio sulle mani e poi batto le mie, tornando a

rivolgermi ai ragazzi. «Allora, qui si lavora o cosa? C’è un trasloco da fare. Vi dispiacerebbe

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iniziare dagli scatoloni in camera da letto? Quelli con sopra la M vanno in magazzino, quelli conJ&D da Jackie e Dave. Questi ultimi vengono con Ryan e me nel furgoncino. Non sono tanti, mapotreste assicurarvi che lenzuola, coperte e quant’altro stiamo in cima? Voglio poter preparare illetto di Ryan non appena arriviamo. E mi raccomando di mettere nel furgoncino anche lo scatolonenel bagno con scritto MED. C’è segnato sopra anche J&D ma dev’essere l’ultimo a essere caricatocosì so dov’è. Poi vi dispiacerebbe... ehm...»

Oddio, non ricordo più nulla... Mi ero fatta una lista mentale di cose e... Cacchio, dai, cervello,non puoi tradirmi proprio adesso. Cacchio cacchio cacchio... Mi sfrego la fronte e lotto conl’impulso di mettermi a gridare per la frustrazione.

Poi Ryan mi stringe la mano. Mi volto a guardarlo e vedo che mi porge un foglietto.«E questo cos’è?» domando, e lui me lo agita davanti come a voler dire: Forza, prendilo.Scorro la grafia malferma, il titolo sottolineato e i vari punti con le note scrupolose. So quanto

sforzo gli sia costato scriverla e che l’ha fatto perché non voleva sentirsi completamente inutile,perché non voleva che il trasloco pesasse solo sulle mie spalle. Per tutte queste ragioni adessoricaccio indietro le lacrime prima ancora di leggerla. La 1missima lista di cose da fare di Ryan per non far venire a Molly un esaurimento durante il trasloco Lo guardo e Ryan sorride imbarazzato scrollando le spalle. «Sai, Moll, ogni tanto buttare giù unalista serve. Dovresti provarci una volta...» Sorride, sornione.

Lo bacio sulle labbra e gli rendo il foglietto. «Ma bene, il caro prof, era ora che si decidesse aprendere il comando. Dai, tu leggi e io faccio.»

Aspetto istruzioni, affidandomi a mio marito per la prima volta da mesi, e mi rendo conto che ilcancro ha obbligato entrambi a imparare nuovi equilibri per il rapporto.

D’un tratto mi accorgo che Ryan stringe l’odiosa lampada a fenicottero, che avevo già pensato dimettere in uno scatolone da mandare in magazzino, che poi per me significava buttarla.

«Ry...» esordisco con tono d’ammonimento, e lui subito si guarda intorno fischiettando. Anche sein realtà non riesce a fischiettare e gli esce solo un suono stridulo. «Cosa ci vuoi fare con quella?Non azzardarti a sabotare il mio sistema.»

«Voglio portarmela dietro», si limita ad affermare, come se fosse una risposta sufficiente.«Ma, per favore, lo sai anche tu che non c’è spazio per il ciarpame e...» Mi avvicino per

prenderla, ma se la infila sotto la felpa.«Questa non è ciarpame.»«È un pezzo di plastica rosa!» esclamo allora ridendo. «E fa anche schifo.»«No che non lo è», insiste scuotendo il capo. Si zittisce, prende un bel respiro e mi fissa. Sbatte le

palpebre nude – le sopracciglia se ne sono andate tempo fa insieme coi capelli – e una lacrimascivola giù dall’occhio destro e lungo la guancia. «Per me rappresenta tutto quello che amo nelnostro rapporto...»

Faccio per protestare, offesa, ma taccio perché mi accorgo che non è il momento di fare battute.Alla fine il momento di smetterla con le battute è arrivato.

«Questo fenicottero sei tu, la mia Molly goffa e impacciata, che cerchi sempre di stare dritta e ditenere duro, spesso tirata in due direzioni, divisa tra ciò che pensi di dover desiderare e ciò che vuoidavvero. Sempre in equilibrio su una cacchio di gamba sola!»

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Sorrido, perché mi riconosco.«E sono io, l’uccello sociale che vive in colonia e ha bisogno degli altri per sopravvivere! Vero,

amico mio?» Fa annuire la lampada e mi strappa una risatina. «E poi, lo sapevi che i fenicotteri sonorosa perché mangiano i gamberi? Rosa, non ti ricorda niente?» Ha gli occhi lucidi.

Chiunque altro lo ascoltasse, penserebbe che è impazzito. Ma io capisco. Finalmente capisco.Mi porge il fenicottero e io lo prendo, esitante.«E poi ne nascono anche a Ibiza», aggiunge a voce bassa. «Ne ho visti alcuni volare la sera in cui

ti ho baciato. Questo fenicottero è l’unica cosa che voglio davvero tenere perché mi ricorda di noi.»«Bene, allora il maledetto fenicottero resta», annuncio inghiottendo le lacrime, e me lo infilo nella

borsetta. La testa spunta fuori, ma non m’importa. Poi guardo Ryan, il mio amore di gioventù, miomarito. Quanta strada percorsa insieme. Ed è proprio questo a spaventarmi. Perché significa che nonne abbiamo altra.

Dopo due ore è tutto pronto e inscatolato. Ryan siede in poltrona mentre i ragazzi, con la musicadell’iPod a tutto volume, gli si affollano intorno per sollevarlo e lo portano giù per le scalesgolandosi in uno stonatissimo coro sulle note di Shine dei Take That. A sera, con Ryan placidamente addormentato nella camera da letto riadattata per lui al pianterreno –dopo il trambusto di proporzioni bibliche sollevato da Jackie al nostro arrivo –, siedo sul divano dicasa Cooper in preda a uno strano senso di distacco. È come se il mio corpo fosse qui ma non la miamente. Mi metto comoda e chiudo gli occhi, sopraffatta da continue ondate di spossatezza. Adessoche ci penso, oggi non ho mangiato nulla. Durante il viaggio i ragazzi si sono fermati da McDonald’s,ma io volevo solo portare qui Ryan il più presto possibile. Riportarlo a casa.

Sento una presenza accanto a me, apro gli occhi e vedo Dave che mi guarda. Posa un piatto ditoast al formaggio e una tazza fumante di tè sul tavolino che ho davanti, poi mi stende una copertinasulle gambe, mi posa un bacio sulla testa e accende il televisore, andando a sedere sulla sua poltronadi pelle in un angolo della stanza, con in mano una tazza di tè. Danno Gavin and Stacey e Dave rideper una battuta fatta da Smithy.

E tutto ciò cui riesco a pensare è che sono a casa.

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15:48

Esco nel mio piccolo giardino incolto e che avrebbe tanto bisogno che qualcuno se ne prendesse cura. Voglio dirgli addiocome si deve. Non posso affermare di aver mai avuto il pollice verde, sembra quasi che basti un mio sguardo per farappassire qualunque vegetale, eppure qualcosa che io stessa ho piantato e che pare prosperare di anno in anno, ebbene,c’è. Si staglia rosa tra le aiuole di fiori in preda all’anarchia, facendomi segno nel venticello come a volermi rammentare dinon lasciarlo qui.

«Non posso credere che per poco non mi dimenticavo il maledetto fenicottero!» esclamo levando gli occhi al cielo,sopraffatta dal bisogno di ridere. Mi piego, gemendo per lo sforzo, e quello mi guarda con l’aria di chi la sa lunga e per unistante rivedo Ryan che mi fissa con la stessa espressione.

«Sì, lo so che devo rimettermi in forma», dico ad alta voce. «Però ho una buona scusa... davvero!» Penso subito alladipendenza dai biscotti e... va bene, diciamo che come scusa non è poi così buona.

Ma bene. Se stessi scrivendo la lista (cosa che non faccio) dei segnali che denotano l’insorgere della pazzia, potreiaggiungere parlare con un fenicottero di plastica.

E chi avrebbe mai detto che questo caposaldo di stramberia rosa sarebbe stato l’unico superstite dei miei beni terreni,ricordo che spadroneggia su tutti gli altri degli ultimi vent’anni della mia vita. «Forza bello, che ti ho trovato una nuovacasetta...» proseguo mettendomelo sottobraccio.

Mamma e papà mi aiutano a sistemare in macchina la valigia, due arrabbiatissimi gatti nel trasportino e il fenicottero. Ilsaluto che scambiamo è breve ma non per questo privo di emozione, solo ci tratteniamo, in puro stile Carter. Anche esoprattutto perché ci rivedremo presto.

Dieci minuti dopo posteggio l’auto e cammino nervosa lungo il vialetto, proprio come quella prima volta tanti anni fa.Busso e aspetto che lei venga ad aprirmi. Quando ne intravedo la sagoma nel vetro della porta, mi affretto a inspirare primache arrivi. E d’un tratto mi accorgo che, negli ultimi quattro anni, quando sono in sua presenza faccio fatica persino arespirare.

«Molly», dice a bassa voce, e poi mi fissa senza aggiungere altro.Resto ferma sul gradino, imbarazzata, stringendo forte il fenicottero. Quant’è invecchiata. Com’è diversa dalla donna che

ho conosciuto tanto tempo fa. Non è più curata come allora. Rossetto e smalto rosa shocking ci sono ancora, così come lapettinatura cotonata e gli abiti vivaci e alla moda, ma ciò che più colpisce in lei è il mantello di dolore che l’avvolge. Ed èsempre lì, bene in vista, quale che sia il suo abbigliamento. I tanti gioielli vistosi hanno ceduto il posto a un unico medaglioned’oro che custodisce le fotografie dei due figli.

Al contrario di me è magra. Addirittura emaciata. Statura, taglia e sicurezza si sono ristrette. Il tono di voce è piùsommesso, così come la gestualità. Il biondo dei capelli si è trasformato nel grigio cupo di una sera di gennaio. In tono conle nuvole che le affollano lo sguardo.

Mi squadra da capo a piedi per un minuto buono con quel suo tipico sguardo penetrante, senza mai sbattere le palpebre;si sofferma a lungo sul mio pancione e solo poi mi guarda negli occhi. D’un tratto mi sento talmente egoista, come se con lagravidanza volessi ostentare il fatto che, nonostante tutto, in qualche modo sono riuscita ad andare avanti. Resistoall’impulso di distogliere lo sguardo. Talvolta lo rivedo così chiaramente nel suo viso che non riesco a sopportarlo. Chissàquanto dev’essere dura per lei guardarsi allo specchio? Forse ci ha rinunciato. Io non l’ho fatto per lungo tempo. Ma chissàcome dev’essere per lei?

«Non ero sicura che saresti passata», si decide a dire.«Nemmeno io», replico, sincera.Ed è strano se penso che per settimane non sono riuscita a mettere piede fuori da questa stessa casa. Quasi non

riuscivo nemmeno ad alzarmi dal letto. Ero diventata io la paziente, qualcuno di cui Jackie poteva prendersi cura, e mipiaceva. Penso piacesse a entrambe. Ma poi, lentamente, un poco per volta, ho iniziato a riavere bisogno del mio spazio ealla fine sono tornata a casa, a casa mia, dai miei genitori, e poi, a due anni dalla morte di Ryan, nella mia casetta.

«Però non potevo andarmene senza salutarti», aggiungo.Annuisce e mi volta le spalle. «Entra», m’invita, e io la seguo da brava nuora. «Una tazza di tè?»«Grazie», mi affretto a rispondere. Era l’unica cosa che riuscissimo a condividere restando a nostro agio. In quelle prime

settimane, ne avremo bevuti a ettolitri, di tè, perché l’atto di prepararlo e berlo insieme celava la goffaggine del nostro nuovorapporto: madre e vedova in lutto.

Abbiamo provato in tutti i modi a restare unite. Ci abbiamo provato a lungo perché sarebbe stato uno scioccocontrosenso allontanarci proprio quando avevamo più bisogno l’una dell’altra. Era la mia madre adottiva, una donna

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affettuosa e per nulla infastidita dai miei modi impacciati, tanto che subito dopo averla conosciuta rammento di averscherzato con Ryan dicendogli che me ne ero perdutamente innamorata. In qualità di moglie, volevo essere la donna piùimportante per mio marito. Ma Jackie era sua madre, anche lei voleva essere la persona più importante per Ryan. Tra noi siera instaurata una battaglia silenziosa, così sottile e sfaccettata che Ryan non si è nemmeno accorto che fosse in atto. Enemmeno noi due. Abbiamo sotterrato le armi quando gli è stato diagnosticato il tumore e ce ne siamo prese cura insieme.Eravamo convinte di poter condividere il dolore, di poterci aiutare ad affrontarlo, ma talvolta era come se peggiorassimo lecose. Lei ce l’aveva con me per averle portato via Ryan. Io ce l’avevo con lei per non averlo mai lasciato andare nel verosenso della parola. Entrambe lo volevamo per noi, ma poi a entrambe è rimasta solo l’altra. E non era abbastanza.

Eppure oggi guardo questa donna, questa madre e mi sento piena di vergogna. Ha dato la vita a mio marito, l’ha portatodentro di sé e ora porterà con sé il dolore della sua perdita per sempre. Vorrei abbracciarla, dirle che mi dispiace e che mimanca tanto. Ma so che non le sarebbe di nessun conforto. Non è me che vuole. Baratterebbe un milione di miei abbracciper uno solo del figlio.

Nell’attraversare l’ingresso ed entrando poi in cucina mi obbligo ad affrontare ciò che non sono riuscita ad ammettere cosìa lungo. Che Ryan è qui. Lo è sempre stato. Ricordo ancora quando, dopo la sua morte, sono tornata nell’appartamento aprendere quel poco che ci avevamo lasciato e mi sono tormentata perché non riuscivo a sentirne la presenza. Volevoessere sommersa dai ricordi della vita insieme. Mi sono stesa nel letto e l’ho pregato di farmi sentire che era con me. Manon è venuto. Anche quando ho comprato metà della piccola bifamiliare in stile vittoriano – la casetta sul mare in cui avevasempre sognato di trasferirsi a Leigh – e l’ho riempita delle nostre cose, lui non c’era. Però almeno stare qui, vicino al mare,era la cosa giusta da fare, lo sentivo. Perché è dove ci eravamo innamorati e il luogo che lui aveva sempre amato. Sì, mi eroresa conto che questa città è stata il suo primo amore tanto quanto me.

E adesso è qui, qui in questa magnifica casa sul mare, in una via esclusiva di una piacevole cittadina costiera, costruitadal padre, qui lo vedo. Il mio Ryan. Mi sorride da ogni parete e da ogni mensola, dalla credenza, dal tavolo dove ha trascorsoore e ore a correggere compiti, dalle foto appese lungo le scale. È sul divano in soggiorno, dove ce ne stavamo accoccolatida novelli sposini e dov’è rimasto disteso per quelle poche settimane prima che Charlie ci avvisasse che era tempo dichiamare la clinica. È nel giardino, dove prima di ammalarsi giocava a pallone col fratello e, poi, restava seduto quandovoleva respirare un po’ di quell’aria di mare che adorava. La sua medicina speciale, così la chiamava. «Meglio di tutta lachemio che mi hanno fatto fare.» Sorrideva e mi stringeva la mano, chinava il capo all’indietro, chiudeva gli occhi erespirava. Dentro e fuori, dentro e fuori. E io, come sempre, contavo ogni respiro. Avrei voluto contarli per sempre ma,proprio come per i baci, ogni respiro in più era uno in meno che ci restava.

Entro in cucina, ancora stretta al fenicottero, ed eccola qui. Jackie sta riempiendo due tazze di acqua bollente, mi dà lespalle ma so che piange perché le vedo sobbalzare. Mi avvicino e la stringo. È tesa.

«Mi dispiace tanto», dico.«Oh, Molly, mi manca ancora così tanto.» Si tuffa nel mio abbraccio, sciogliendosi in singhiozzi come una bambina.«Lo so, lo so», sussurro. «Vorrei poter fare qualcosa per farti stare meglio e mi sento talmente in colpa. Perché non ti

sono di conforto. Per essere ancora qui, per ricordarti...»«No!» Mi afferra il braccio con una forza tale da farmi male. «Non devi mai sentirti così! Ryan sarebbe così... ferito...

furioso se ti sentisse. E quanto a questo...» Mi preme piano la mano sul ventre. «Io sono felice per te, mia cara. Sarai unamadre meravigliosa. È la cosa più bella del mondo.» Mi guarda. «Ce l’hai da farmela vedere?» domanda a voce bassa.

Annuisco, prendo il portafoglio dalla borsa e, tra mille attenzioni, tiro fuori l’ecografia un po’ sgranata in bianco e nero cheprima ho staccato dalla parete.

Jackie la prende e si rimette a piangere; mi sento talmente mortificata. «Sarebbe stato un papà meraviglioso», geme.Le prendo le mani. «No, Jackie, non fare così... Non voglio che sia motivo di altro dolore per te.» Riprendo l’ecografia,

abbraccio Jackie e i minuti passano, insieme con tante altre cose. Ci teniamo strette e, insieme, ci stiamo lasciando andare.«Jackie, ho portato una cosa che secondo me devi tenere tu», dico dopo un po’.

Mi osserva stupita mentre le porgo il fenicottero e lo accetta con un sorriso, ma è chiaro che è confusa e ferita. «Ma,cara, questa ve l’ho regalata io. È tua e di Ryan...»

Poso una mano sopra le sue in modo che non possa rendermela ed entrambe stringiamo l’orrenda lampada di plasticarosa, poi, senza togliere la mano, rispondo: «Jackie, io voglio che l’abbia tu perché una volta Ryan mi ha confessato che eral’oggetto che amava di più. L’ha voluto con sé alla fine. E questa è la fine. Qui con te. Il fenicottero deve stare con lui. Hopensato che potresti metterlo in giardino, dove abbiamo sepolto le ceneri di Ryan, è quello il suo posto...»

Jackie annuisce e per un breve istante vedo balenare la donna che ho conosciuto oltre dieci anni fa. E, quando la cingoper un ultimo abbraccio finale, sento che non c’è solo lei a stringermi; sento che c’è anche lui; mi avvolge e mi dice che vatutto bene, che lui è d’accordo che io vada avanti.

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Il bacio alla Take That

Ryan sostiene che una delle sue maggiori «vittorie» non è arrivata mentre era a bordo campo a incitare i ragazzi, bensì lasettimana scorsa, mentre guardavamo MTV e io mi sono decisa ad ammettere che i Take That sono da sempre la colonnasonora della nostra storia. Quei cinque stanno con noi fin dall’inizio, si sono persino lasciati proprio come noi (Love Don’tLive Here Anymore), per poi tornare insieme più forti di prima (Back for Good)!

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◀◀ REW 11/10/94

«Dio mio, Ryan Cooper è proprio un cretino», affermo mostrando annoiata il medio a un gruppetto diragazzi che ci sono appena passati accanto per strada, in risposta ai loro commentacci.

Poi do loro le spalle mentre mi gridano: «Frigi-frigi-friiiiiigidaaaaa».Quanto siete maturi. I soldi di mamma e papà per farvi studiare nelle scuole private danno i loro

frutti, siete talmente eruditi ed eloquenti da potervi candidare come moderni Shakespeare. Ma ancheno!

«Be’, secondo me è un gran figo», risponde Casey tirando un po’ più su la gonna blu e giocandocon la cravatta dell’uniforme della scuola. Guarda alle mie spalle e lancia loro un sorriso lascivo.«Ma non gliele hai viste le gambe? Solo lui poteva far sembrare sexy i pantaloncini da ginnastica. Ascuola tutti pensano che abbia un gran fisico.»

«Ah, non io. Solo perché è decentemente carino, sta dando gli esami finali, ha la golf GTI ed è unbravo sportivo, tutti lo trattano come se fosse il Brad Pitt di Leigh-on-Sea. Invece è così... così...» Misforzo di trovare la parola giusta per smontarlo. «... Essex.»

Casey inarca un sopracciglio accuratamente disegnato con la matita nera. Un’espressione cheallena da anni e bisogna darle atto che ha il giusto equilibrio di noncuranza e perspicacia e le dàun’aria più cool.

Casey e io siamo amiche del cuore perché non siamo le tipiche ragazze dell’Essex. Noi due non ciuniformiamo agli stereotipi. Casey, poi, mi ha fatto capire che anch’io avevo il mio posto. Accanto alei. E questo ha reso la mia vita molto bella, perché nasconderlo? Siamo anime affini e facciamo tuttoinsieme. Casey è il mio sostegno, la mia complice, la mia confidente. Insieme ridiamo, piangiamo esogniamo. Io la proteggo e lei mi diverte. Siamo inseparabili. La vita sarebbe impensabile senza dilei.

D’un tratto, una voce bassa e carezzevole dal familiare accento dell’Essex mi riscalda il collo,facendomi venire la pelle d’oca.

Oh, cavolo, Ryan! E mi sta fissando.Piega il capo di lato e mi scruta da capo a piedi. «Voi siete della Westcliff, vero?»«Cavolo, e tu come lo sai?» domanda Casey, euforica, posando le mani sui fianchi e sporgendo il

petto in fuori.La guardo, incredula: santi numi, ma se indossiamo l’uniforme di scuola! Levo gli occhi al cielo e

colgo di nuovo Ryan Cooper intento a fissarmi con quel suo sorrisetto così sexy che mi dà sui nervi.«Tu sei Molly Carter, giusto?» domanda.Okay, adesso sì che sono colpita. Come fa a conoscermi se non ci siamo mai parlati?

Diciamocelo, tutti conoscono Ryan Cooper, da queste parti è una celebrità. E tutti conoscono Caseyperché lavora nel locale della madre. Ma io? E poi perché dovrebbe interessarsi a una del secondoanno della Westcliff?

«È possibile che ti abbia visto allo yacht club? Coi tuoi?»Fantastico. Tutti gli adolescenti di Leigh frequentano lo yacht club, ma per poter salire sulla

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Bembridge e pomiciare. Non certo per mangiare coi genitori. Mi correggo, i super religiosissimigenitori nonché insegnanti. Che è peggio. Aaaaargh!

Casey soffoca una risatina e per questo si becca una ditata nelle costole, e bella forte anche.«L’anno scorso tua madre è stata una mia prof!»Ma bene, va sempre meglio! Immagino che i piedi si trasformino in una trivella in stile cartone

animato di Hanna-Barbera e mi ci scavo un buco nel marciapiede.«Interessante», borbotto spegnendo la sigaretta con lo stivale da motociclista.Ryan si china in avanti e me lo ritrovo talmente vicino alle labbra da mozzarmi il fiato. «Non ti

preoccupare, non ha rivelato nessuno dei vostri oscuri segreti.»«Anche perché non ne abbiamo», ribatto fissandolo con aria di sfida. «Soprattutto adesso che ci

siamo affidati a Cristo», aggiungo sarcastica.Ryan mi fissa più a lungo del necessario e per un lungo istante mi perdo nel suo sguardo. I suoi

occhi sono come ghiacciai azzurri in costante mutamento. D’improvviso sono un’esploratricesolitaria in grave pericolo.

«Fatico a crederci», mormora. Ha le labbra di Johnny Depp, soffici nuvole sull’orizzonte perfettodel suo viso.

Lancio un’occhiata a Casey, che se ne sta appoggiata a un muro con un’espressione attonita. Perdarsi un tono, ha sollevato una gamba nuda e ci fissa mentre Alex le accende una sigaretta. Quandomi volto verso Ryan mi ritrovo davanti il suo sorriso disarmante.

D’un tratto mi sento molto esposta. Come se sapesse quello che penso.«Lo so cosa stai pensando», mormora, poi mi sfiora un braccio dandomi una scossa di desiderio

che mi attraversa da capo a piedi.Baciami.E che cavolo, Molly, smettila e vedi di concentrarti!«Sai, io quelle cose non ve le ho gridate», sussurra.Lancio di nuovo un’occhiata verso Casey e Alex. Nel giro di una manciata di secondi la mia

amica ha tirato la gonna ancora un po’ più su, a un livello che definirei da Julia Roberts in PrettyWoman. Al momento è il suo film preferito e in più di un’occasione ho dovuto impedirle di comprareun paio di stivaloni lucidi a metà coscia da un negozio un po’ sui generis di Southend. Ignorol’impulso di allungare una mano per abbassarle la gonna. Le ragazze come noi devono ingegnarsi perattirare i ragazzi. E, se non ci riescono, devono aspettare che il fisico si decida a sbocciare. E perquesto possono occorrere anni.

«Gliene ho dette un paio per come vi hanno trattato», prosegue Ryan. «So che sono miei compagnie tutto ma ogni tanto sono degli emeriti cretini.»

Alzo le spalle a significare come se me ne fregasse qualcosa e incrocio le braccia fissandoloimperterrita. E proprio per questo non posso ignorare che i suoi occhi si sono scuriti fino adassumere una meravigliosa sfumatura blu scuro.

«Allora...» continua chinandosi verso di me. «Non merito un premio per aver salvato unadamigella in pericolo? Se non sbaglio in questi casi è un bacio, giusto?»

«Ma... e chi l’ha detto che ero in difficoltà?»Scosta le lunghe ciocche che gli cadono sulla fronte e socchiude le labbra. «E dai, piccola,

sforzati di collaborare un pochino, che ti costa? È da un po’ che volevo parlarti», sussurra. «Ti honotata in giro e... ma lo sai che sei un tipo?»

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Un tipo. Cos’è, un altro modo per dire «sei strana»?Un bel modo, però.Mi guarda dritto negli occhi senza mai smettere di sorridere. Io invece mi fisso gli stivali, sfrego

la punta sul marciapiede e tiro le maniche della felpa militare a coprirmi le mani. Dischiudo lelabbra per dire qualcosa, ma poi le richiudo.

Cacchio, dove sono finiti arguzia e ingegno? «Sì, be’, allora lo prendo come un complimento»,borbotto. «Ma non penso di poter dire lo stesso di te...»

Ancora non riesco a credere che sto parlando a Ryan Cooper in questo modo. Una volta tanto MrPopolarità in persona ha a che fare con una ragazza che non gli si butta tra le braccia. «Mi spiego...»aggiungo, studiandomi le unghie con ostentata indifferenza. «Tu sei solo un’altra pecora del gregge diLeigh-on-Sea.» Indico il gruppetto di suoi compagni che, in circolo, si entusiasmano per le Nike Airche tutti calzano ai piedi e per il taglio da boy band che gli ricade sulla faccia.

«Ma, Molly!» protesta Ryan scuotendo il capo. Non so perché, ma mi ritrovo ipnotizzata. «Io nonsono come loro», afferma deciso.

Impossibile trattenere la risata, forse un po’ sguaiata.Indietreggia di un passo, visibilmente offeso, e si caccia le mani nei pantaloncini della Adidas.

«Lo trovi divertente?» domanda, sulla difensiva, spostando il peso da un piede all’altro –ovviamente anche lui ha su le Nike – e mordendosi il labbro sino a farlo diventare rosso ciliegiamatura.

Scrollo le spalle sussiegosa. «Perché tu e i tuoi amici siete fatti con lo stampino. Indossate glistessi vestiti, frequentate gli stessi posti, ascoltate la stessa musica, vi piacciono le stesse ragazze,fumate la stessa marca di sigarette...»

«Io non fumo», m’interrompe, per restare poi in silenzio a fissarmi con sguardo eloquente. «Né mipiacciono le stesse ragazze.»

E per la prima volta in vita mia mi ritrovo senza parole. Sbaglio o Ryan Cooper ci sta provandocon me?

«E dai, Molly...» biascica. «Non obbligarmi a pregare davanti ai miei amici, così mi rovino lareputazione! Cos’è che devo fare? Devo farti la serenata o roba simile?»

Incrocio le braccia e sollevo un sopracciglio con sguardo ansioso. So bene che non oserà mai.Non si renderebbe mai così ridicolo per me.

«Va bene, però poi non dire che non ti avevo avvisato...» Si schiarisce la gola e intona ilritornello di Sure dei Take That, con tanto di balletto.

Casey ci fissa incredula, ma Alex la distrae toccandole il sedere.Io prego Dio di non arrossire, contorcendo le labbra per soffocare un sorriso.«Quindi?» domanda ansimando alla fine dell’esibizione.Non ho idea di cosa stia accadendo esattamente né del perché, però conosco abbastanza i tipi

come lui e so che, trattandosi di una come me, può essere solo una sfida. E non ho nessuna intenzionedi farmici coinvolgere. Non ci penso proprio.

Mi basta pensare un millisecondo per sapere come controbattere. Mi schiarisco anch’io la gola emi lancio nel ritornello di Loser di Beck. Vediamo se questo non gli chiude la bocca! Ho scelto unaparte un po’ lunga da cantare ma, una volta finito, lo guardo e... mi sorride! (In quel modo che mi fatanto incavolare!)

Si china in avanti e bisbiglia: «Molly Carter, tu sei una sfida. E sappi che io non mollo tanto

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facilmente».Così dicendo, fa un cenno ad Alex e i due si allontanano lungo Broadway, per poi sparire dietro

l’angolo di Cliff Parade.«Ohmammamiaaa!» mi squittisce Casey in un orecchio, evidentemente non notando quanto sono

arrabbiata. «Ma è successo davvero? Mi hai visto con Alex? Omioddio, è troppo figo. Mi sembravadi essere in un film. Ancora un minuto e mi baciava, lo so! È stato il momento più bello di tutta lamia vita!»

C’incamminiamo verso casa e non presto più attenzione a Casey, sforzandomi anche di nonpensare più nemmeno per un secondo a quel maledetto di Ryan Cooper.

Né a quanto desiderassi che mi baciasse con tutta me stessa.

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Il bacio eterno

Si dice che sia impossibile cambiare una persona, ma io non ci credo. Io, per esempio, non sono più la stessa di quando hoconosciuto Ryan (e meno male!) e sono cambiata ancora dopo la sua morte. Sono una persona migliore. E sono unapersona migliore perché l’ho amato e lui ha amato me. Mio marito mi ha insegnato a essere la persona migliore che potessimai diventare. Ryan mi ha lasciato un segno che mai nulla potrà cancellare, chiunque e qualsiasi cosa venga dopo di lui. Un segno che ioimmagino come l’impronta delle sue labbra sulle mie, il sussurro di un amore perduto che mi rammenta che sono e saròamata per sempre. E comunque. E in questo senso, una volta di più, senza nemmeno provarci Ryan è riuscito in ciò che io ho disperatamente tentato di faredurante i mesi della sua malattia. Mi ha dato un bacio che durerà per sempre.

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FF ▶▶ 4/08/07

Il tendone si gonfia allegro al venticello che soffia sul Green; una grossa e vistosa macchia biancasull’azzurro nitido dello sfondo di cielo e mare.

«È perfetto», commenta Ryan. Mi chino sulla sedia a rotelle e gli poso un bacio delicato sul capoglabro, rimboccandogli la coperta sui pantaloni del completo che gli svolazzano intorno alle gambecome agli omini sui trampoli. Sino all’ultimo minuto non sapevamo se sarebbe stato bene abbastanzada poter essere qui oggi. L’altro giorno, mentre eravamo tutti riuniti intorno al suo letto, ha persinoscherzato dicendo che, anche se non ce l’avesse fatta, comunque il tendone non sarebbe andatosprecato: anziché per la festa del suo trentesimo compleanno, l’avremmo potuto usare per la vegliafunebre. Nessuno di noi ha riso, e nemmeno lui. Penso che ormai si sia reso conto che il tempo dellebattute è agli sgoccioli.

Il personale della clinica, dov’è stato ricoverato tre settimana fa, ci aveva detto subito diprepararci perché non sarebbe arrivato alla fine della settimana, ma Charlie l’aveva detto anche lasettimana prima, e anche il mese prima, quand’eravamo a Londra e mi ha dovuto chiedere di firmarel’ordine di non rianimazione. Dato che ci siamo trasferiti a Leigh, ufficialmente non è più il nostroinfermiere, tuttavia siamo rimasti in contatto e ieri è persino venuto a trovare Ryan; un gesto davveromolto caro. So bene quanto Ryan l’abbia apprezzato; si vedeva che combatteva per trattenere lelacrime, aveva gli occhi più luminosi e gli era persino tornata quell’espressione determinata che gliavevo sempre visto a bordo campo. I medici erano sorpresi, ma penso che ormai abbiano imparato anon sottovalutare Ryan Cooper. Charlie stesso gli ha detto che è un vincitore, in campo e fuori.

Il personale della clinica è meraviglioso e Ryan è più contento. Alla fine, a casa dei suoi genitorisiamo rimasti solo due settimane, e non perché Jackie e Dave non abbiano fatto di tutto per badare anoi, anzi. Solo che Ryan peggiorava a vista d’occhio e l’atmosfera si era fatta un po’ troppo tesa edemotiva, con Jackie e me che ci... contendevamo il titolo di prima infermiera. Sapevo che avreidovuto mostrarmi più matura e lasciar fare a sua madre, ma prendermi cura di lui era diventatotalmente parte di me e del nostro rapporto che, per quanto lo volessi, rinunciare era troppo duro.Così ci sono stati imbarazzanti momenti di tensione per il diritto di cottura delle verdure (che tantopoi Ryan non voleva, mandando il padre in missione da McDonald’s) e corse per arrivare prima almobiletto dei medicinali in bagno. Ci siamo rese conto di quanto fossimo ridicole quando ci siamoritrovate a contenderceli davanti al lavandino. Ci siamo voltate all’unisono verso lo specchio, che ciha rimandato il riflesso dei nostri visi stravolti e disperati, contorti in espressioni di una risolutezzatale da rasentare il comico, ed entrambe siamo scoppiate in una sonora risata, seguita da copioselacrime e da un abbraccio. Da allora abbiamo preso a fare a turno.

Comunque sia, è stato Ryan a decidere di ricoverarsi, tre settimane fa. Ha resistito così a lungo,ma la notizia che il tumore si era esteso al cervello l’ha spaventato e ha detto di volersi trovare nellaposizione migliore possibile per quelli che ha chiamato i «calci di rigore». Il suo modo di riferirsialla fine, perché ogni mattina era una nuova possibilità di restare in partita. Il ricovero in clinica gliha reso un po’ di spazio tutto per sé e la dignità. E l’appetito.

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«Molly, adesso non ti offendere ma in confronto alla cucina tua e della mamma qui sembra diessere al grand hotel», mi ha detto.

Ho evitato di fargli notare che in parte è per via della cura steroidea a base di desametasone chesta seguendo e che gli fa venire voglia di dolci. E con questo non voglio certo sminuire lostraordinario lavoro che fanno al centro. Il personale è ammirevole, il luogo incredibile e la vista sulmare toglie il fiato. Per me il ricovero ha significato poter tornare a essere solo sua moglie. Daquand’è qui persino Jackie pare più tranquilla e serena. Penso che finalmente abbia accettato la cosae fatto i conti con quello che sta succedendo. Adesso siamo una vera squadra: lei, Dave, nonna Door,Carl, Lydia e io. Non una squadra d’infermieri, bensì una famiglia: Ryan ci chiama «Cooper United».Trascorriamo il tempo con lui nella sua stanza a giocare a giochi di società, a guardare un film osfidandoci ai videogiochi, e poi piangiamo insieme quando ci riuniamo per prendere un caffè omentre torniamo a casa per riposare un’oretta. Non che io mi allontani da Ryan così spesso. Mipermettono di dormire in un letto che hanno sistemato apposta accanto al suo e ogni notte ciaddormentiamo tenendoci per mano, come sempre.

Quanto alla festa di oggi, io ho sempre saputo che ce l’avrebbe fatta. Ryan non se n’è mai persauna in vita sua e non intende certo iniziare ora. Non avrebbe mai permesso al tumore di rovinarglil’occasione di andarsene alla grande. E ha deciso di organizzarla qui, al Green, perché adora questoposto e perché in questo modo tutti quelli che lo conoscono potranno sentirsi i benvenuti. So che nelpomeriggio (di sera Ryan è stremato) quasi tutta Leigh si riverserà qui, e non solo per bere gratis –battuta di Ryan! – ma perché vogliono tutti festeggiare con lui come si deve. Ogniqualvolta vado acomprare il giornale o a farmi un caffè o a prendergli la torta alle carote che tanto ama, tutti michiedono notizie di lui. Al bar colgo sprazzi di conversazioni dei suoi ex studenti che parlano delprof Cooper, ma che smettono subito non appena si accorgono di me. È come se la città interatrattenesse il fiato e il mio unico desiderio è che ci si possa dimenticare di tutto per qualche ora e chesi riesca a far vivere a Ryan la festa della vita. Letteralmente.

«Pronto?» chiedo.Ryan annuisce, inspirando profondamente dalla bombola di ossigeno di cui ormai non può più fare

a meno. È emozionato, glielo si legge negli occhi. Charlie e Carl hanno attaccato alla sedia a rotellebandierine e palloncini gialli del Southend United. Il colore perfetto per il mio Ry, solare e brillante.Subito ha commentato che erano in tono col suo colorito itterico e col viso rotondo (gli steroidi glihanno causato la cosiddetta sindrome di Cushing, che porta a una concentrazione di grasso nell’ovaledel viso). Da sempre dico che per me guardarlo significa essere trasportata in un’assolata giornataestiva e adesso è lui a sostenere di essere tondo e giallo come il sole.

«Bene, allora andiamo», proseguo spingendolo verso l’ingresso del tendone, impresa più facile adirsi che a farsi con un tacco dieci e l’abitino che avevo alla prima del film. Ryan ha voluto a tutti icosti che il tema della festa fosse Essex Excess e, a giudicare dai motivi leopardati, sfumature di rosacarico, piume e bianco che vedo, gli invitati l’hanno preso in parola e si sono vestiti... come tutti igiorni.

Mentre proseguiamo, Ryan mi guarda con un sorrisetto insolente. «Non capita spesso che sia tu aportare me a una festa, eh?» domanda.

Gli poso una mano sulla spalla. «Amore, berrò talmente tanto champagne che toccherà a teportarmi via, quindi lasciami un po’ di spazio sulla sedia», rispondo con un bacio sul capo.

Riprendo a spingere, ma d’un tratto blocca le ruote. «Grazie per tutto quello che hai fatto,

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piccola.»«Guarda che tua madre ha fatto quasi tutto da sola. Lo sai quanto le piace organizzare qualsiasi

cosa. Col risultato che la tua festa di compleanno sarà anche più sfolgorante del nostro matrimonio!»«Non mi riferivo alla festa», risponde piano. Poi mi sorride subito e mi sento sopraffatta da

un’ondata di amore per il mio coraggioso marito. «Allora, cosa stiamo aspettando?» aggiunge.Deglutisco, sorrido e riprendo a spingerlo.I presenti si zittiscono non appena compariamo all’ingresso. Proprio come mi aspettavo, è venuta

la città intera. Ci saranno perlomeno trecento persone assiepate sotto il tendone, come tante farfalleesotiche in una grossa e magnifica teca. Ryan solleva una mano e gliela stringo mentre inizia asalutare con l’altra.

«Ehi, fratello, dacci un taglio, non sei mica la regina!» salta su Carl.Tutti applaudono e gridano tre «hip hip hurrà!» alimentati dal momento e dall’emozione e che

paiono trasportare mio marito al centro della sua festa come fosse sulla cresta di un’onda.Quando Jackie si avvicina lascio che sia lei a proseguire con Ryan e a mostrargli tutto ciò che ha

fatto. Ryan mi guarda e sorride per farmi sapere che è comunque sempre con me. Ovunque sonodisposti strepitosi e vivaci fiori rosa (a quanto pare per Jackie non esiste altro colore al mondo). Legrosse foto di famiglia appese alle pareti di casa Cooper sono state stampate e messe un po’ovunque; sui tavoli intorno alla pista da ballo sono state sistemate fotografie di Ryan, una per ognianno da quand’è nato. I palloncini a forma di 30 saranno centinaia, i bambini corrono in giro, icamerieri sistemano un buffet degno di un re e dietro il bancone i baristi cercano in tutti i modi diriempire i bicchieri di champagne più velocemente di quanto la gente li svuoti, ma si rendono prestoconto che è fisicamente impossibile. Siamo in Essex, dopotutto, no?

Mi guardo intorno e sorrido. Jackie ha davvero superato se stessa e io so che oggi è il suo giorno,il suo momento di sfoggiare il figlio ed è giusto che io faccia un passo indietro perché lei merita digoderselo tutto sino in fondo.

Sorrido ai miei genitori che si avvicinano per ammirare la festa. Con un bicchiere di champagnein mano, ovviamente. Li adoro per essersi sforzati di seguire il tema voluto da Ryan. La mammaindossa il cardigan rosa del matrimonio, e non riesco a non chiedermi se avrà sostituito «madre dellasposa» con «madre della vedova», ma mi trattengo e inveisco contro Ryan perché è colpa sua se nonriesco a smettere con queste sciocche battutacce sulla morte. Sotto il cardigan sfoggia un (per lei osé)vestito fucsia lungo fino al ginocchio. Papà si è presentato in giacca a vento chiusa con la lampo,jeans (mai gliene avevo visti indossare un paio prima. Mai) e scarpe da ginnastica bianche, comebuona parte dei ragazzi della zona. Ha persino pettinato il riporto in avanti, sulla fronte. Nonostantel’ammirevole sforzo, però, somiglia ancora più a un pignolo che a un ragazzo dell’Essex.

«Mamma, papà, ma siete meravigliosi! Tipico Essex style!» esclamo.«Molly, non dire sciocchezze!» mi sgrida la mamma. «Sembriamo piuttosto la regina e il principe

Filippo che vanno a una festa a tema Essex organizzata dal principe Harry!»Scoppio a ridere ed entrambi mi cingono con un braccio, come a volermi sostenere e dare forza.

La mamma mi posa un bacio frettoloso sulla spalla, ma mi basta. Papà si dondola sui talloni eosserva il soffitto drappeggiato come fosse un capolavoro architettonico. È piacevole, la nostra minisquadra riunita. Perché noi tre stiamo bene così e, nonostante gli infiniti tentativi per essere diversa,per vedere di più e fare di più, oggi mi sento la loro figlia più che mai. E ne sono anche fiera.

Ce ne stiamo così, in disparte nel nostro bel silenzio, a guardare gli altri che festeggiano, come

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facciamo noi Carter. Ryan non smette di cercarmi con lo sguardo, di creare un contatto con unastrizzatina d’occhio, un sorriso o un gesto della mano; da parte mia, tengo sempre ben dritte leantenne per sapere dove si trova in ogni istante, con chi sta parlando e cosa fa. Il pensiero dei primigiorni come coppia mi strappa un sorriso; allora ero talmente insicura che le antenne le drizzavo perindividuare eventuali «cacciatrici» che s’interessassero al mio ragazzo. Come mi mancano queigiorni. Cambierei volentieri ciò che abbiamo dovuto affrontare con una Angelina Jolie che gli si gettatra le braccia.

Lydia ci raggiunge con Beau, così carino nel suo completino bianco con tanto di occhiali da sole ecapelli tirati in piedi. Somiglia tanto a una versione in miniatura di Carl il giorno del loromatrimonio. Lydia bacia i miei genitori, che poi ci salutano per andare a prendere qualcosa da bere.Mia cognata si posa le mani sul pancione e sospira: «Porca miseria, i piedi mi stanno uccidendo». Siporta subito una curatissima mano alla bocca, soffocando un gridolino. «Oddio, Molly, scusami, nonci ho proprio pensato.» Le si riempiono gli occhi di lacrime.

Beau ci corre intorno gridando «Bruuum bruuuuuum!»Lei agita la mano davanti al viso e aggiunge: «Scusami, sono i cavolo di ormoni!» E inizia a

piangere.«Non ti preoccupare, Lyd, va tutto bene.» Guardo Ryan, che tiene banco al centro della pista da

ballo. «Dico davvero, va tutto bene.»«Oh, Molly, sei proprio una donna incredibile. Vorrei avere metà della tua forza e del tuo

carattere. Se mi capitasse di affrontare tutto quello che hai dovuto passare tu...» Rivolge lo sguardo aCarl, che cinge il fratello con un braccio mentre entrambi sono senz’altro impegnati in una delle loroclassiche scenette a due. So che mia cognata immagina il marito nella sedia a rotelle di Ryan, propriocome tutte le mogli e le fidanzate presenti. «Penso che proprio non ce la farei.»

«Certo che ce la faresti», replico con un sorriso. «Noi Cooper siamo gente forte, sai?»Mi guarda e annuisce, sorridendo tra le lacrime che continuano a scorrere. «Molly, lo sai che Carl

e io ci siamo e ci saremo sempre per te, vero? Quando... sì, quando dovessi aver bisogno di noi, nonesitare a farcelo sapere, okay?» Mi stringe forte la mano. «Per me sei una sorella e lo sarai sempre.»

Non trovo le parole adatte per spiegarle che ho sempre desiderato avere una sorella, perciò milimito ad annuire.

Riesce poi a convincere Beau ad andare a scatenarsi da un’altra parte, così possiamo restarcenein condiviso silenzio a osservare i nostri mariti da lontano. Rammento ancora quando, da ragazzina eanche dopo che ci siamo messi insieme, ammiravo la sicurezza di Ryan e la sua indubbia capacità diparlare con chiunque e attirare l’attenzione su di sé senza bisogno di far nulla di speciale. Adesso sene va in giro per il tendone, fermandosi a parlare con tutti i presenti, facendoli sentire come sefossero l’unica persona con cui vorrebbe intrattenersi per poi far cenno a qualcun altro di avvicinarsie passare a un altro gruppo. So bene che è deciso a parlare con ciascuno e il cuore mi sanguinapensando al perché. Mi sento come se l’avessi già perso. Sono abituata a essere solo lui e io.

«Molly?» bisbiglia Lydia accennando all’ingresso del tendone. «Penso che sia arrivato qualcunoche vuole vederti.»

Mi giro e vedo una visione color cielo al tramonto che se ne sta lì ferma, con aria insicura,proprio come la ragazzina impacciata che tanti e tanti anni fa conoscevo meglio di me stessa. Il suosguardo si muove, incerto, passando dalla pista da ballo ai genitori di Ryan, intenti a inscenare unmeraviglioso spettacolino in stile Cooper al bancone del bar, fino a raggiungere Lydia e me.

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Restiamo così per qualche istante, ferme a guardarci. E la distanza tra noi diviene subitoinsormontabile. Anzi no, non è distanza: è tempo. So che anche lei, come me, sta tornando indietronel tempo, ai giorni della scuola, a quando mi si è seduta accanto per la prima volta e siamodiventate migliori amiche, a quando vivevamo l’una a casa dell’altra, alle nottate trascorse a sognareil futuro, a domandarci quali sorprese avesse in serbo per noi. All’ottusa risolutezza di gioventù chenulla, niente e nessuno, né un ragazzo né un’amica o un lavoro, avrebbe mai potuto frapporsi tra noi.Cerco Ryan e vedo che mi sta guardando. Sorride e annuisce, e allora capisco che è stato lui achiederle di venire. So che l’ha fatto per me.

E allora mi muovo, cammino lenta ma decisa verso di lei, e non appena sono abbastanza vicina miaccorgo che sta piangendo.

Mi fermo davanti a lei, senza sapere cosa cavolo fare, sempre che debba fare qualcosa. Nonposso abbracciarla né ho nulla da dirle che possa consolarla. Mi mancano le parole e non sononemmeno sicura che ne esistano di giuste. Poi scorgo Ryan accanto al DJ e so subito cosa fare. Mibasta sentire le prime note che subito calcio via le scarpe, la prendo a braccetto e insieme ciavviamo verso la pista da ballo, con Casey che saltella su un piede solo fin quando non riesce aliberarsi anche lei dei tacchi. Ci mettiamo proprio nel mezzo e iniziamo a saltare su e giù con lebraccia in aria al ritmo di Together in Electric Dreams , fissandoci dritte negli occhi mentrecantiamo la canzone che ho scritto una vita fa.

Ed è in questo momento che la festa ha davvero inizio. Sono fuori dal tendone, con in mano un bicchiere di champagne, intenta ad ammirare il tramontoriflesso sull’acqua e ad ascoltare divertita il rumore della festa, quando Carl corre fuori. «Ah, eccotiqui! Presto, devi venire subito!»

«Cos’è successo?!» grido gettando il bicchiere a terra e precipitandomi dentro.Per fortuna Carl mi afferra per un braccio. «Calma, calma! Ryan sta bene. Però devi venire dentro,

e portati il bicchiere...»Mi riaccompagna nel tendone e trovo Ryan con un portatile e un microfono davanti a uno schermo

gigante.Guardo Carl, che annuisce e mi spinge verso mio marito, che nel frattempo inizia a parlare:

«Vorrei solo ringraziarvi tutti per essere venuti alla mia festa. È stata strepitosa, e per questo vorreiringraziare quella persona straordinaria che è mia madre, l’inarrestabile Jackie Cooper. Come lei cen’è una su un milione ed è la migliore mamma del mondo».

Si leva un applauso e Jackie squittisce e si copre il viso mentre Dave la abbraccia.«Come potete immaginare, ho apprezzato molto il fatto che la festa fosse tutta per me. Da bravo

ragazzo dell’Essex, essere al centro dell’attenzione non è mai stato un problema!» Tutti scoppiano inuna sonora risata e Ryan ne approfitta per fare un profondo respiro. «Ma non posso lasciare che voiubriaconi ve ne torniate a casa...»

Si leva un altro mormorio divertito.«Dicevo, non posso lasciare che voi ubriaconi ve ne torniate a casa senza prima attirare la vostra

attenzione sulla mia meravigliosa moglie.»Chino la testa, mentre tutti si voltano a guardarmi. A guardarmi davvero per la prima volta da

tempo.

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«Immagino sappiate che Moll e io stiamo insieme da quando andavamo al liceo. E se fosse statoper me...»

«E se avessi saputo baciare meglio!» interviene Carl.«Sì, ecco, grazie, fratello! Dicevo, se fosse stato per me, me la sarei presa non appena fosse stato

legale farlo!» Risate. «John, Pat, scusatemi per la sincerità!»Papà annuisce e leva la mano come a dire: Va bene, figliolo, va bene, e la mamma gli agita contro

un indice ammonitore, arrossendo.«Però voglio che tutti sappiano che questa ragazza, che questa donna straordinaria mi ha rubato il

cuore e l’anima fin dal primo bacio. Mi ha insegnato così tanto sull’amore, sulla vita, sulla cultura...anche se però non è ancora riuscita a convincermi che i Beatles sono meglio dei Take That! John, mispiace anche per questo!»

Papà ride e leva di nuovo la mano, mentre Ryan prende la mia.«Mi ha anche insegnato a guardare il mondo da un altro punto di vista, e mi ha mostrato quale

luogo meraviglioso sia. Al primo appuntamento mi ha detto: ’Ryan, la vita non è solo arrivare adestinazione ma anche godersi il viaggio’.»

Lo guardo, stupita. Coma fa a ricordarselo?«E non posso andarmene...» Mi guarda, e so bene che non si riferisce alla festa. «E non posso

andarmene senza mostrarle quant’è stato meraviglioso godermi il viaggio con lei.»Fa un cenno a Carl, che preme PLAY sul portatile e subito sullo schermo compaiono un’immagine

del Bacio di Rodin e le parole Cos’è un bacio?Le note di The Greatest Day dei Take That si diffondono dagli altoparlanti e la scultura di Rodin

lascia il posto al nostro primo bacio al Grand, poi al Bacio di Klimt, alla scena di Lilly e ilVagabondo davanti al piatto di spaghetti quindi a un’immagine di Ryan e me da Ugo’s nella stessaposa.

Rido tra le lacrime, ammirata da come Ryan abbia saputo trasporre in un meraviglioso filmato ciòche ho iniziato col blog ma non ho saputo finire. Ha preso tutte le fotografie che ho pubblicato e le hainframezzate con scatti famosi. Una volta appariamo insieme con Audrey Hepburn e George Peppardin Colazione da Tiffany e un’altra condividiamo lo schermo con Tom Cruise e Katie Holmes, che sibaciano sul tappeto rosso.

Mentre sul video scorre questa stupenda, divertente, arguta rappresentazione costruita con tantoamore del nostro rapporto, Ryan solleva il viso verso di me e ci scambiamo un bacio delicato, dolce,un tramite che permette a ciascuno di donare un pezzo della propria anima all’altra. Si allontana e mifa cenno di guardare lo schermo, su cui scorre l’ultima immagine: Ryan Cooper, il mio Ry, guardadritto verso l’obiettivo e mi manda un bacio. Eravamo in spiaggia, durante la luna di miele.

Sento i singhiozzi alle nostre spalle, sommessi, controllati, le lacrime di amici e parenti che hannopianto negli ultimi cinque mesi e sanno che questa festa è il modo di Ryan per dire loro addio.

«È per te», sussurra Ryan.Volto le spalle ai presenti e guardo il mio bellissimo marito, l’amore della mia vita, e tutti gli

altri, la città, il passato, tutto scompare a poco a poco. Mi accascio sulla sedia a rotelle, coibraccioli che sostengono il mio peso, però mi appoggio a lui così sembra che mi porti in braccio. Evorrei tanto che potesse farlo, che potesse portarmi con sé dove sta andando. Scoppio in lacrime, gligetto le braccia al collo, mi aggrappo a lui come se da questo dipendesse la mia vita. La nostra vita.

«Lo so che hai raccolto tutte queste foto per me, e ti amo tantissimo per averlo fatto, però, vedi, io

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ce li avevo già questi baci. Tutti, uno per uno, qui dentro.» Si tocca la testa. «Li ho memorizzati tuttiqui. E voglio che tu sappia che non cambierei un solo istante di quello che abbiamo condiviso. Nulla,nemmeno gli alti e bassi, perché ci hanno reso quello che siamo ora.» Prende il disco dal lettore delcomputer e me lo porge, ma non riesco a sciogliermi dall’abbraccio e allora me lo posa in grembo.«Guardalo quando non ci sarò più, e non solo per ricordarti di me, ma anche di quanto l’amore siamagico, di quale straordinaria forza sia, di come sia capace di cambiarti la vita. Prometti che lofarai?» domanda guardandomi dritto negli occhi.

Annuisco.Mi passa il pollice sotto gli occhi per asciugare le lacrime e poi me lo posa sulle labbra.Lo bacio e chiudo gli occhi.«E quando l’amore ti ritroverà... perché io so che accadrà, voglio che tu non lo guardi mai più,

d’accordo? Voglio che allora tu sia pronta a iniziare una nuova collezione di baci.»Gli nascondo il viso nell’incavo del collo e le lacrime riprendono a scorrere copiose.D’un tratto mi accorgo che Carl ci ha spinto nel mezzo della pista da ballo e ci fa girare piano in

tondo, come in un walzer. Sollevo la testa e guardo mio marito negli occhi, questi suoi occhi colordel mare, e m’immergo in questo momento con lui.

«Molly, grazie al tuo amore sono stato più felice di quanto avrei mai potuto immaginare»,mormora con un sorriso.

E qui, dinanzi agli amici, alla famiglia e alla città intera, condividiamo la nostra ultima e miglioreeffusione in pubblico. E so che è un bacio che nessuno – e soprattutto io – potrà mai dimenticare.

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16:35

Esco da Leigh-on-Sea convinta che scoppierò in lacrime. Quando, quattro anni fa, sono tornata a viverci dopo la morte diRyan, è stato perché avevo bisogno di stare accanto alla sua essenza, accanto alla sua famiglia, ai suoi amici, alla sua...no, alla nostra amata città natale. La piccola casetta che ho comprato era proprio come quella in cui sognavamo di crescerei nostri figli, per questo nel «crescerla» ho messo lo stesso amore e lo stesso impegno che avrei riservato a quei bimbi maiarrivati, trascorrendo i primi mesi a riportarla in vita tra mille attenzioni, come invece non avrei potuto fare con mio marito. Igatti erano la mia unica compagnia, ed ero felice di averli intorno. Ryan me li aveva regalati quand’era andato in clinica.

«Cos’è, vuoi farmi diventare la gattara pazza?» avevo scherzato quando due pallottoline di pelo erano ruzzolate fuori dallascatola.

«No, Moll», aveva risposto sorridente prendendomi la mano. Ricordo che cercavo di carezzargli le dita senza toccare itubi. «Harry e Sally si assicureranno che non dimentichi mai che l’amore si può trovarlo anche nei luoghi più impensati.»

E aveva ragione, come sempre.Ryan non ha mai vissuto nella casetta che mi sono lasciata alle spalle, ma per i primi due anni è stato come se fosse

tanto sua quanto mia. Non riuscivo a inscatolare le sue cose (nemmeno quel maledetto fenicottero), così ho fatto comeavrebbe fatto lui e ho riempito il mio nido nuovo con un sacco di ricordi. Avevo bisogno di tenermeli intorno, perché, lui, nonpotevo averlo.

E poi quando uscivo lo sentivo ancora accanto a me grazie ai luoghi familiari in cui siamo nati e cresciuti e in cui ci siamoinnamorati. Mi piaceva l’idea che chiunque incontrassi per strada l’avesse conosciuto o ne avesse sentito parlare. Misorridevano, talvolta si fermavano a scambiare quattro chiacchiere e, per quei brevi minuti, era come se Ryan fosse ancoraqui, come se il mio essere lì lo mantenesse in vita un pochino di più. E, per molti versi, la piccola Leigh ha mantenuto vivame.

Durante il primo anno uscivo di casa ogni sera al crepuscolo – con qualsiasi tempo – e andavo alla sua panchinapreferita sul lungomare, proprio sotto il Green, doveva avevamo tenuto la festa per il suo trentesimo compleanno, lasettimana prima che morisse. Guardavo passare le nuvole purpuree, e anche le barche, e ascoltavo i gabbiani gracchiare.Era il momento della nostra chiacchierata. Raccontavo a Ryan della mia giornata, quello che era successo in casa, deipavimenti che avevo grattato, lucidato e riverniciato, dei colori che avevo scelto per le pareti, del tavolo anni ’50 che eroriuscita ad aggiudicarmi a un’asta. Gli raccontavo delle mie chiacchiere con nonna Door, come se la cavava Jackie, e glichiedevo consiglio su come fare con lei per andare più d’accordo. Gli parlavo del gruppo di sostegno che frequentavo e delleultime scappatelle di Casey. Gli facevo sapere di Beau e Gemma e come stava Carl, i risultati del Southend, come siposizionavano nel campionato e contro chi avrebbero dovuto giocare poi. Gli dicevo quanto mi mancava e che, per quantofossi ancora convinta di non poter vivere senza di lui, comunque m’impegnavo per fare del mio meglio.

Ma quello era solo il luogo in cui gli parlavo di più; in realtà Ryan era ovunque. Mi era di conforto sapere che le sueimpronte erano impresse indelebili in ogni ciottolo della spiaggia e lungo Broadway e a ogni angolo. Era nei visi degli studentiche mi passavano accanto di ritorno da scuola e che non avrebbero mai dimenticato il prof Cooper. Mi conforta ancorasapere che l’eredità di Ryan vive in tutti coloro cui ha insegnato, qui e a Londra. Chissà cosa riusciranno a ottenere nella vitagrazie a lui! Sui bicchieri dei pub erano impresse le impronte delle sue dita. La sua abilità di calciatore era incisa sul campo.La brezza marina recava il suo spirito. E la casa dei suoi genitori ne custodiva le ceneri. Tale era stata la sua volontà e io neavevo compreso il motivo. Non voleva che mi sentissi legata a un luogo solo perché lui si trovava lì. Voleva che fossi libera digirare il mondo, se avessi voluto, ma sapeva che i suoi genitori avrebbero sempre vissuto in quella casa.

Ma anche vivere qui è stato duro. Mi sentivo come se chiunque nutrisse nei miei confronti delle aspettative irraggiungibili.Le vedove in genere sono anziane, vestono di nero, mostrano contegno quand’è necessario e piangono quando ce lo siaspetta, come al funerale. Ecco, se c’è una cosa che rammento del funerale di Ryan è che non ho pianto. Non ho versatonemmeno una lacrima. Fissavo la bara e lo incolpavo per quella mia mancanza. Ehi, Cooper, mi stai guardando? Nientelacrime, come hai voluto che ti promettessi. E adesso tutti mi fissano e pensano che sia una stronza priva di sentimenti.Contento?

Ah, ma sei la mia stronza priva di sentimenti, l’ho sentito rispondere, e sono scoppiata a ridere. Un altro comportamentoassolutamente inadatto a un funerale, a quanto pare.

Per un anno intero ho pianto ogni giorno tranne quello. E ho anche guardato il filmato ogni giorno, spesso più di una voltaal giorno. E anche l’anno successivo. E in ognuno di quei settecentotrenta giorni sono stata colpita da un ricordo semprediverso che mi ha fatto piangere in preda al dolore e al senso di perdita. E non solo nei giorni «sensibili», come compleanni,anniversari, la domenica. Ogni singolo giorno e ogni singolo istante. In bagno, sul treno, nel letto, al supermercato, a

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colazione, al bar... Senza nessun preavviso. Il ricordo arrivava e basta.E il giorno della cremazione? Gli avevo promesso che avrei indossato l’abito più colorato che avessi (e ho scelto il

vecchio vestitino giallo che indossavo la sera del bacio a Ibiza, perché era il suo preferito e perché era del colore delSouthend United) e un sorriso. Un sorriso di un bel rosso deciso, che a Ryan sarebbe piaciuto molto (mentre a mia madreper nulla) e che mi avrebbe dato una scusa valida per non baciare i parenti alla lontana (e, per dirla tutta, nemmeno quelli piùstretti). Bastava un cenno del capo nella loro direzione, senza bisogno di un contatto vero e proprio. Perché non volevobaciare nessuno. Le sue labbra erano state le ultime che avevano toccato le mie; se chiudevo gli occhi, riuscivo ancora asentirne il tocco di quell’ultimo giorno, quando se n’era andato, e volevo che fosse così per sempre.

Quindi, in quel luminoso giorno di agosto del 2007, sono rimasta col mio vestitino giallo, spalle dritte e a testa alta e colsorriso stampato in volto. Sorridevo nel fissare la finestra istoriata proprio sopra la bara, immaginando come avreifotografato la luce del sole che la attraversava, facendone risplendere i colori come gemme preziose mentre danzavano sulferetro in cui giaceva Ryan. Sorridevo mentre facevo l’elogio funebre e mentre Carl e i loro amici hanno portato la bara sullenote di Rule the World dei Take That, anche questo secondo le sue ultime volontà. Il mio mento è rimasto saldo per tutto iltempo, mai nemmeno un accenno di tremore. Stringevo le mani e sorridevo. Ero una sorta di macchina del sorriso.Sorridevo mentre salutavo gli invitati (erano centinaia!) Sorridevo benché mi dolessero i muscoli del viso e avessi il cuorestraziato. E ho sorriso ancora. Ho salutato tutti, ma ogni volta dentro di me sapevo di dire addio.

Sì, quello di quattro anni fa è stato l’addio più difficile di tutti, ma quello di oggi... Be’, quello di oggi è un ciao, un arrivederci.Arrivo all’ospedale di Southend alle 16:45, come promesso. E lui è qui che mi aspetta, come promesso, ancora più

George Clooney del solito. Mi fermo davanti all’ingresso e la sua espressione seria, cupa e assonnata scompare, lasciandoil posto a un sorriso.

Gli apro la portiera del passeggero. Lui si china verso di me. «Ma buongiorno, Sheila», biascica, esasperando l’accentoaustraliano.

«Un taxi per Stansted per il dottor Prince?» domando di ritorno con uno spiccato accento dell’Essex e fingendo dimasticare una gomma.

Lui entra in macchina e mi bacia. «Allora, come va?» domanda con un filo di voce, accarezzandomi una guancia. «Non tisei sforzata troppo, vero?» domanda Chris preoccupato avvicinando il viso al pancione di sei mesi.

Sorrido e lo massaggio, meravigliandomi di quant’è grande, dei piccoli bozzi che indicano la presenza di un piedino, digomiti, o ginocchia, i colpetti costanti – nonché il peso! – che non mi permettono certo di dimenticare cos’è che mi porto ingiro.

«Come dici, Minnie?» domanda. La chiamiamo così perché secondo Chris sarà una mini me. Poggia l’orecchio,annuendo con entusiasmo. «Devo prendermi cura della tua mamma? Ah, ma di questo non devi preoccuparti, perché èproprio quello che intendo fare per il resto della vita.» Chris mi posa un bacio sul pancione, poi sulla vera che porto al colloperché ho le dita talmente gonfie che non mi entra più, e infine sulle labbra.

Penso alla medaglietta di San Cristoforo che nonna Door mi ha regalato e che è al sicuro nella borsetta e sorrido ancora.Sorrido perché so che si prenderà cura di me, così come so che, benché oggi partiamo per Sydney per iniziare la nostranuova vita insieme, quando la notte scorsa hanno chiamato dall’ospedale, Chris ha accettato un turno extra perché è primadi tutto un chirurgo e poi mio marito, e a me sta bene.

Guardo Chris mentre attraverso il posteggio. L’adorabile, tranquillo, paziente, forte e intenso Chris, il «principe» che èentrato nella mia vita tre anni dopo la perdita di Ryan, che ha saputo cementare tutto ciò che avevo imparato stando con lui(e poi perdendolo), che mi ha fatto capire che esiste l’amore oltre la morte.

Spesso la gente mi chiede se non ci sia un motivo psicologico che mi abbia spinto a sposare un dottore dopo il modo incui è morto Ryan. Cioè, un medico salva le vite e non si ammala mai, giusto? Di solito rispondo dicendo che il motivopsicologico che me lo ha fatto incontrare è stato il bisogno di andare al bar a bermi una birra. Non ero in cerca dell’amore,penso semmai che fosse il contrario: era l’amore a cercare me. Oppure me l’ha mandato qualcuno...

È accaduto diciotto mesi fa, subito dopo aver saputo che la mia raccolta intitolata Il bacio eterno aveva trovato ospitalitàpresso la Gallery@Oxo di Londra. Si tratta di foto di giovani coppie che mi avevano contattato tramite il blog e checonvivevano col cancro, coppie che volevano fare in modo che ogni singolo bacio contasse. Dopo che avevo postato l’ultimafoto di Ryan e me, ero stata sommersa di messaggi e perciò avevo domandato a Christie se il blog non avrebbero potutocontinuarlo i lettori che stavano vivendo un’esperienza simile o che avevano perso il partner per via del tumore. Quando leavevo detto che non sarei tornata al lavoro, aveva compreso e accettato la mia decisione. Non avrei potuto sopportarlo. E,comunque, non mi ci era voluto molto per decidere che avrei mantenuto le promesse fatte a Ryan.

Avevo deciso d’imparare a non fare più, ma a essere: sarei stata felice, soddisfatta e ottimista. Non sopportavo nemmenol’idea di rinnamorarmi subito, così come non sopportavo l’idea di tornare al lavoro, quindi avevo ripreso in mano la macchinafotografica e mi ero rimessa a immortalare immagini. L’idea mi era venuta al primo anniversario della morte di Ryan. Volevoringraziare il Macmillan Cancer Support e la clinica Havens qui a Leigh-on-Sea per tutto ciò che avevano fatto. Avevo iniziatoa fotografare chiunque mi contattasse, sia tramite il blog sia tramite la clinica. Non lo facevo per soldi né tanto meno per lacarriera, solo perché volevo donare loro un briciolo di quello che Ryan aveva donato a me: un bacio che sarebbe durato persempre.

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Erano immagini semplici. Niente sfondi ricercati o set da favola, solo pazienti terminali di tumore che baciavano evenivano baciati, solo loro e il loro amore che risplendeva attraverso l’obiettivo. Perché, alla fine dei conti, è proprio questoche ho sempre amato della fotografia: ferma in un’immagine tutto ciò che non riusciamo a esprimere con le parole, tutto ciòche proviamo.

La mostra si è tenuta con la partecipazione del Macmillan Cancer Support e la clinica Havens, e finora ha guadagnatobene. Dopo Londra ha girato il Paese. Se ci penso, ancora non riesco a credere al successo che ha riscosso, attirandosil’attenzione tanto della stampa nazionale quanto di quella internazionale, tanto che adesso mi arrivano richieste da tutto ilmondo. È una sensazione meravigliosa sapere di aver fatto qualcosa di buono, di dare un senso non solo alla mia vita, maanche a quella di Ryan. Sono convinta che tutto ciò mi abbia aiutato a guarire le ferite del cuore e che mi abbia dato lasicurezza di fare ciò che avevo sempre sognato. E poi ho conosciuto Chris.

Accosto perché sento suonare il cellulare ai suoi piedi. Lo cerca tra i passaporti, i biglietti e i biscotti allo zenzero cheporto sempre con me. Minnie li adora.

«È la tua migliore amica», annuncia porgendomi il telefono.«Ciao, Case. Come va?»«Lotto ancora coi postumi della sbornia che mi sono presa ieri sera alla tua festa di addio, fingo che non stai partendo e

nel frattempo cerco di capire quanto impiegheremo a risparmiare abbastanza per venirti a trovare in Australia. Sai com’è, trail suo misero stipendio da infermiere e il mio di PR...» Tira su col naso. «Non ho ancora stabilito chi sta piangendo di più, seio o Rob.»

Case si allontana dal telefono, sgridata da una voce familiare, e allora attivo il vivavoce così anche Chris può ascoltare ladiscussione tra i nostri due amici.

«Non sto piangendo! Non voglio che Chris pensi che piango...» grida Rob.Lui e Chris si sono conosciuti all’ospedale di Southend e, quando Chris e io uscivamo insieme da qualche mese, gli

abbiamo combinato un appuntamento con Casey invitandoli entrambi a un ballo di beneficenza. E, proprio come avevamopredetto, è stato amore a prima vista e si sono sposati un mese dopo di noi. Mia e io facevamo le damigelle d’onore. Pensoalla fotografia di quel giorno felice che ho in borsetta e sorrido. Rob è adorabile; è infermiere tirocinante ed è un pochino piùgiovane di noi... ehm, di otto anni... ma sono talmente felici. Insomma, chi dice che non ci si può innamorare a poco più divent’anni? Io no di sicuro...

«Dovreste vedere come piange», bisbiglia Casey. «Molly, senti...» continua, con voce rotta. «Volevo solo dirti che ti vogliobene, che mi manchi già un sacco e che, sì, be’, sono davvero gelosa che Mia ti stia portando via da me! Ah, guarda che, senon torni subito dopo la nascita della signorinella, così posso vestirla con un sacco di abitini in puro stile Essex, allora dovròfare qualcosa di drastico... tipo un bambino anch’io, ecco!» Scoppio in una sonora risata mentre sento la sua vocesmorzata che aggiunge: «Ovvio che scherzo, ce l’ho già un bambino da accudire...» Ride.

In sottofondo si sente la voce di Rob gridare: «Case, dai che iniziamo a provarci subito!»Ahhh, questi giovani innamorati! penso affettuosamente. Chris e io siamo andati un po’ oltre le prime fiamme della

passione spensierata. Siamo più seri, più adulti. E mi piace. Anzi no, lo amo.«Ma certo che torniamo presto. E comunque ti ricordo che esiste Skype!»«Sì, be’, non è che ci abbia capito molto, e lo dovrà installare Rob», sospira, mentre io ridacchio. Con buona pace del

femminismo, eh? «Adesso però ci salutiamo, okay? Però non dirmi addio o mi metto a piangere, va bene? Dimmi... Allora,dimmi... ci vediamo domani, o... niente, troppo tardi, sto piangendo. Dio mio, avrò un aspetto orrendo...»

«Ci vediamo domani, Casey», dico, ma ha già messo giù. Quando entriamo in autostrada, il sole è ormai basso all’orizzonte e colora le nuvole di un lieve rosa pastello, lo stessocolore dei vestitini che ci hanno regalato per la bambina alla festa d’addio.

Per non smentirsi, mamma e papà invece ci hanno regalato dei libri. «Per il viaggio che stai per intraprendere», ha dettola mamma porgendomi il pacchetto.

«Ma siamo già pieni di guide. E poi Chris ci è nato, a Sydney, e non...»«Tesoro, non sono libri per quel viaggio», ha spiegato ridendo mentre aprivo il pacchetto incartato con precisione. Dentro

c’erano tutti i manuali per neogenitori che si potessero immaginare, caricati su un Kindle. «È più comodo per viaggiare», haspiegato, orgogliosa.

«Finalmente qualcosa di tecnologico che ottiene la tua approvazione!» ho esclamato abbracciando lei e papà con unarisata.

«Be’, ti serviranno fin quando papà e io non verremo a Sydney.» Si è portata la mano alla gola e poi agli occhi, che hatamponato con un fazzoletto. «Non appena sarà nata, saliremo sul primo aereo e resteremo per tutto il tempo che vorrai,vero, John?»

Qualche anno fa, mamma e papà hanno fatto il grande passo e sono andati in pensione.Papà ha annuito. «Certo! O perlomeno fin quando non decideremo che sarà il momento di proseguire il viaggio!» ha

esclamato cingendo la mamma con un braccio. «Abbiamo già programmato di visitare la Nuova Zelanda dopo la vacanza

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prolungata da voi. Poi andremo negli Stati Uniti. Prima tappa New York, e poi tua madre ha acconsentito ad andare inConnecticut per vedere l’originale del Castello di Hadleigh esposto allo Yale Center of British Art!»

«È il suo modo di portarsi dietro casa anche mentre viaggia», ha spiegato la mamma, facendo per dargli un colpettoaffettuoso sul polso ma decidendo poi di baciarlo sulle labbra.

Accendo l’autoradio e sorrido mentre accelero lungo l’autostrada alla volta dell’aeroporto di Stansted. Il cielo si stagliadritto dinanzi a me e con la coda dell’occhio vedo due aerei che decollano e sfrecciano in cielo. Chris si è addormentato.Provo un brivido lungo la schiena quando nell’abitacolo si diffondono le note della mia canzone preferita del momento,Paradise dei Coldplay. La prima volta che l’ho sentita ho pensato che fosse stata scritta per me. O meglio per la ragazzinache ero. Perché una volta mi aspettavo di avere il mondo, sognavo il paradiso e la vita si è fatta davvero difficile. Ascolto lavoce di Chris Martin e ingoio le lacrime mentre un’altra voce mi risuona nella mente.

Alla fine ce l’abbiamo fatta, eh? Abbiamo trovato la felicità. Contro ogni aspettativa, dice la me adolescente.Già, ce l’abbiamo fatta, rispondo gettando uno sguardo veloce a Chris e tornando subito a guardare in avanti.D’ora in poi guarderò sempre e solo in avanti e verso l’alto, proprio come mi hanno insegnato a fare i due uomini della mia

vita: Ryan, l’amore con cui sono cresciuta, e Chris, l’amore con cui invecchierò. In alto e in avanti...Con questo pensiero nella mente, guardo il cielo e osservo le scie dei due aeroplani incrociarsi mentre uno punta il muso

dritto verso l’alto e l’altro procede dritto. Due scie che s’incontrano come un bacio scambiato tra le nuvole.

Fine. E un nuovo inizio.

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RINGRAZIAMENTI

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Scrivere questo romanzo mi ha insegnato molto, non per ultimo ad apprezzare chiunque entri nellanostra vita e provare a fare in modo che ogni bacio conti. Quindi...

Un bacio di eterna riconoscenza al mio favoloso amico da diciotto anni Nick Smithers, che èvenuto a trovarmi in una fredda mattina di gennaio proprio mentre ero sull’orlo di un esaurimentonervoso ed è rimasto al mio fianco per tre settimane mentre mi strappavo i capelli (e il cuore) perterminare gli ultimi capitoli. È stato il mio primo lettore, il mio primo revisore e il mio salvatore.Nick, tu lo sai che questo libro non sarebbe mai esistito senza il tuo input e la fiducia assoluta che haisempre nutrito nelle mie capacità, quando io stessa l’avevo perduta. Senza di te non avrei mai vistola luce in fondo al tunnel, perciò grazie per essere stato il mio... eccolo che arriva... «StarlightExpress»!

Un mare di ringraziamenti anche alla tua meravigliosa mamma, Freda Smithers, per avercontribuito con la sua esperienza d’infermiera a domicilio e per avermi messo in contatto con RuperDevereaux, insostituibile nel farmi scoprire il suo lavoro d’infermiere Macmillan, oltre che lasofferenza tanto di chi è ammalato di cancro quanto di chi se ne prende cura.

Infinite grazie anche a Macmillan.org.uk per l’aiuto inestimabile e alla WAY Foundation(www.wayfoundation.org.uk), un’organizzazione che sostiene i giovani vedovi e li aiuta a tornare avivere dopo il lutto. Un ringraziamento speciale ai membri che, con estrema generosità, hanno volutocondividere con me le loro storie. Non sapete quanto io ammiri la forza con cui affrontate la perditadel partner.

Baci super riconoscenti alla mia famiglia e agli amici – siete tutti straordinari – per aversopportato il mio stress e tutte le lacrime che ho pianto per un anno. Nel caso vi siate accorti che viabbraccio un po’ più forte, adesso sapete perché. Una menzione speciale all’amica e collega PaigeToon per gli incontri settimanali di giochi e scrittura, che aspetto con ansia da quando mi sonotrasferita a Cambridge. Ai tanti e tanti anni di uscite che ci aspettano!

Grazie anche a Rachel Bishop, per aver badato ai miei figli in modo splendido mentre eroimpegnata a scrivere e per avermi sopportato tutte le volte che, regolarmente, scendevo per farmifare un po’ di coccole da loro e calmare così le lacrime!

Baci grandi così a Juliet Sear, per avermi spalancato le porte di casa (per non parlare dellapasticceria, Fancy Nancy) di Leigh-on-Sea mentre facevo ricerche e poi mentre scrivevo gli ultimicapitoli, e per l’interessantissimo e divertentissimo giro guidato della zona che mi ha fatto fare incompagnia di sua sorella e di Nancy Maddock, fantastica amica dell’università. Mi avete aiutato adare vita al romanzo nella mia testa prima ancora di buttar giù anche una sola parola.

Baci di super ringraziamento alla mia incredibile agente Lizzy Kremere e alla mia straordinariaeditor Maxine Hitchcock, per aver creduto che potessi scrivere una storia così grande e per avermiincoraggiato a fare ancora di più. Oh, e anche per avermi concesso del tempo in più quando mi sonoresa conto che davvero non ce l’avrei fatta a consegnare per la data stabilita (bambini, traslochi escrittura non vanno molto d’accordo, vero?) I vostri contributi creativi sono stati preziosi e mi sento

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davvero fortunata a lavorare con voi due, per non parlare della straordinaria squadra della DavidHigham and Simon & Schuster.

E infine, baci infiniti a mio marito Ben e ai miei splendidi figli, Barnaby e Cecily, per non avermai smesso d’ispirarmi e incoraggiarmi e per avermi fatto ridere e per avermi insegnato ad amarepiù di quanto credessi possibile. Siete il mio mondo.

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Note

Riferimento al film grottesco Schegge di follia, in cui le ragazze più belle, popolari e crudeli del liceo si chiamavano tutteHeather. (N.d.T.)

P.B. Shelley, Liriche e frammenti, trad. it. di Cino Chiarini, Sansoni, Firenze 1939, pp. 96-97. (N.d.T.)

Attrice statunitense protagonista di diverse commedie romantiche, tra cui Breakfast Club , in cui ha i capelli corti e di unrosso acceso. (N.d.T.)

Cocktail molto popolare in Inghilterra composto da birra, sidro e una spruzzata di sciroppo di mirtillo. (N.d.T.)

Hollyoaks è un telefilm che va in onda in Inghilterra dal 1995 e che ha come protagonista un gruppo di giovani tra i 16 e i 35anni. (N.d.T.)

Coppia di presentatori della televisione inglese, famosi per aver condotto moltissimi programmi, tra cui uno in cui aiutavano lepersone a trovare la casa perfetta. (N.d.T.)

Reality show inglese andato in onda tra il 1997 e il 1999 in cui si svelavano tutti i segreti della vita notturna di Ibiza. (N.d.T.)

Mother-in-Law significa «suocera» in inglese. (N.d.T.)

Gioco di parole intraducibile in quanto l’acronimo MOB viene usato anche per indicare la criminalità organizzata. (N.d.T.)

Trad. lett.: «Noi due abbiamo corso su per le colline e strappato margherite selvatiche / ma ora siamo lontani l’uno dall’altroperché i giorni sono ormai andati. / Noi due abbiamo navigato nel fiume da mattina a sera ma ora vasti oceani sifrappongono tra noi. / Perché i giorni sono ormai andati. / Perciò prendi la mia mano, amico mio fidato, e dammi la tua. /Faremo un brindisi pieno insieme, in ricordo di quei bei giorni andati». In italiano, questa canzone è nota come Valzer dellecandele. (N.d.T.)

Kitten in inglese significa «gattino». (N.d.T.)

Trad. lett.: «Ecco la chiesa ed ecco il campanile, apri la porta e guarda quanta gente c’è dentro». (N.d.T.)

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Indice

Presentazione

Frontespizio

Pagina di copyright

5 gennaio 2012, ore 6:11

Il bacio dei baci

REW 19/11/05

7:47

Baci e rivelazioni

FF 29/05/07

8:30

Il bacio del rimorso

REW 10/12/04

Il bacio vuoto

PLAY 10/12/04 5:54

Un bacio e non tutto passa

FF 10/12/04

Il bacio sprecato

FF 31/12/04

9:11

Il peggior primo bacio

REW 18/11/95

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9:45

Un bacio è per sempre

FF 15/05/05

Il bacio che tutto sigilla

FF 10/09/05

10:01

Il bacio del benvenuto

REW 29/09/01

Il bacio di chi non sa stare lontano

FF 13/10/01

Il bacio sulla soglia

FF 19/01/02

10:05

Il bacio della beatitudine casalinga

FF 22/02/02

Il bacio agrodolce

REW 23/11/98

Il bacio perduto

FF 04/04/03

Il bacio del compromesso

FF 15/09/03

Il bacio adulto

FF 13/11/03

11:18

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Il bacio del mai e poi mai

REW 10/06/00

11:55

Il bacio delle ragazze che vogliono solo divertirsi

FF 30/10/04

Il bacio d’addio alla dignità

REW 21/07/01

Il bacio di Giuda

FF 9/12/04 18:07

FF 10/12/04 3:12

12:10

Il bacio da single

FF 24/04/05

12:51

Il bacio del finché morte non ci separi

FF 22/04/06

13:10

Il bacio agguantato

REW 28/02/06 7:42

Il bacio della malinconia

FF 08/03/06 18:25

Il bacio della mancanza

FF 15/04/06

14:07

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Il bacio delle grandi occasioni

REW 15/07/02

Il bacio del futuro radioso

FF 31/12/02 21:10

14:50

Il primo vero bacio...

REW 22/07/01

15:09

Il bacio post luna di miele

FF 11/10/06

Il bacio rincorso

FF 14/01/07 9:25

Il bacio del «e se invece»

FF 15/02/07

15:17

Il bacio del «dimmi che non è vero»

FF 26/02/07

Il primo ultimo bacio

PLAY 26/02/07

15:27

Il bacio in stile Constable

REW 04/08/01

Il bacio dell’addio obbligato

FF 27/02/07

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Il bacio delle effusioni in pubblico

FF 19/04/07

Il bacio del finché morti non ci separi

Il bacio incontrollabile

REW 30/07/01 18:00

Il bacio della lontananza

FF 03/05/07

Il bacio del «non mi lamenterò, né ora né mai»

FF 10/05/07

Il fantasma del bacio dei baci passati

FF 19/05/07

Il bacio della resa

Il bacio del «penso di amarti»

REW 11/10/01

Il bacio SOS

FF 23/06/07 11:48

Il primo vero bacio...e l’ultimo

Il bacio di chi non si ferma

FF 30/06/07

15:48

Il bacio alla Take That

REW 11/10/94

Il bacio eterno

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FF 4/08/07

16:35

Ringraziamenti

Note

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