Ultimo vario

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Albanese Atelier man Pescara via N. Fabrizi 238 Kiton Sartorio Borrelli Cruciani Church’s Allegri Husky Armani

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Ultimo vario

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Albanese Atelier man Pescara

via N. Fabrizi 238

KitonSartorioBorrelli

CrucianiChurch’s

AllegriHusky

Armani

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www.aircolumbia.it

In association with

maggio/giugno 2010

Direttore responsabile

Claudio Carella

Redazione

Antonella Da Fermo (grafica e foto),

Fabrizio Gentile (testi), Mimmo Lusito (grafica)

Hanno collaborato a questo numero

Giuseppe Capone, Andrea Carella,

Annamaria Cirillo, Bruno Colalongo, Galliano Cocco,

Sergio D’Agostino, Gianfranco D’Eusanio,

Laura Grignoli, Marcello Maranella,

Fabrizio Masciangioli, Luca Mastromattei,

Lorenzo Nardis, Patrizia Pennella, Giovanna Romeo,

Raffaella Sideri, Alessandra Sorrentino,

Fabio Trippetti, Ivano Villani.

Editing

AB Puzzle Pescara

Progetto grafico

Ad. Venture - Compagnia di comunicazione

Stampa, fotolito e allestimento

AGP - Arti Grafiche Picene

Via della Bonifica, 26 Maltignano (AP)

Claudio Carella Editore

Autorizzazione Trib. di Pescara n.12/87 del 25/11/87

Copia singola € 4,50

Abbonamento annuo (sei numeri) € 24

estero € 40

Vers. C/C Post. 13549654

Rivista associata all’Unione Stampa Periodica

Italiana

Redazione

Via Puccini, 85/2 Pescara

Tel. e Fax 085 27132

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BreVario

Dopo L’Aquila Le belle parole

Dopo L’Aquila Trento e lode

Andrea Camilleri Ennio, Salvo e io

VarioART I FIGLI DI IORIO

Sergio Sarra

Daniela d’Arielli

Matteo Fato

Simone Zaccagnini

Paride Petrei

Lorenzo Aceto

Becci/Di Lorenzo Tandem vincente

Air Columbia Specialisti in sicurezza

Pomilio Blumm Pubblicità ad alta velocità

Credito & piccole imprese Confidi in noi

VARIO 5 STELLE

Vinitaly Montepulciano en rose

Sol 2010 Aziende d’oro

EKK Il giardino delle delizie è qui

ART Teramo Dream team della tradizione

Parco Nazionale del Gran Sasso Un pomodoro contro la crisi

RIBALTA

Associazioni

Eventi

Letteratura

Libri

Musica

Fotografia

Cinema

Arte

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BREVarioINTERNET FACILE Intesa tra Provincia e Camera di commercio di Pescara per favorire la diffusione della banda larga per l’accesso ad internet. Si tratta di uno dei primi accordi del genere a livello nazionale, e guadagnarci –secon-do le indicazioni del protocollo d’intesa sottoscritto dai presidenti dei due enti, Guerino Testa e Daniele Becci– dovrebbe essere soprattutto l’approccio delle giovani generazioni con internet. L’obiettivo, insom-ma, è l’eliminazione del cosiddetto digital divide, ovvero gli ostacoli operativi che si frappongono alla diffusione dello strumento informa-tico su scala sempre più ampia. Piuttosto consistente anche l’ammon-

tare della somma mes-sa a disposizione del progetto: un milione di euro. «Il web –hanno detto Testa e Becci– è lo strumento che garan-tisce pari opportunità economiche, culturali e sociali, offrendo grandi possibilità a chi “navi-ga”».

BUTTAFUORI “DOC”Il buttafuori è meglio se a denominazione di origine controllata. È il mo-tivo che spiega il successo –oltre 200 “addetti alla sicurezza”, come si chiamano in gergo tecnico– della serata di presentazione del corso di formazione riservato ad aspiranti professionisti provenienti da diverse province dell’ Abruzzo e delle Marche (Teramo, Pescara, Ascoli Piceno e Fermo). Le nuove regole in fatto di protezione dei locali impongono infatti senza eccezione che gli addetti alla sicurezza –sin qui reclutati senza troppi complimenti e senza andare troppo per il sottile tra giova-nottoni spesso improvvisati, ma comunque dotati di strumenti di per-suasione di massa– di essere iscritti ad un albo, dopo aver frequentato un corso presso un ente riconosciuto dalla Regione. Primo corso del genere, in Abruzzo, quello voluto dal Cescot, agenzia formativa della Confesercenti, e da Rs Security, leader nei servizi di vigilanza e sicurezza in un ampio tratto dell’Adriatico.

Fare dell’ex colonia marina Stella Maris, che sorge sul lungomare di Montesilva-no, la casa comune di tanti giovani professionisti che vogliono avviare le proprie attività. È la singolare proposta di Giancarlo Gennari, consigliere provinciale a Pescara del partito democratico, che ha così messo in campo una sua origina-le proposta di riuso dell ‘edificio di impianto futurista di proprietà della stessa Provincia, e sul quale da anni insiste una attività di restauro. «In un momento di forte crisi economica –sostiene il promotore– molte famiglie riescono a stento a far terminare gli studi ai loro figli che, dopo la laurea, devono affrontare un pe-riodo formativo all’interno di studi professionali. Con il risultato che tanti ragazzi, a causa dei costi elevati e del prolungarsi di questo periodo di attesa, rinuncia-no alle proprie aspirazioni». Dunque, l’ex colonia, progettata negli anni Venti, si presterebbe al caso: sede di uffici temporanei (un paio di anni al massimo) per aspiranti professionisti. Per decidere del destino dell’edificio di impianto futurista e a forma di aeroplano, è stato formato un “Laboratorio di Idee”, al quale parteci-pano il presidente della Provincia, Guerino Testa, il presidente della Fondazione PescarAbruzzo, Nicola Mattoscio, il sindaco di Montesilvano, Pasquale Cordoma,

il presidente della Camera di Commercio, Daniele Becci, e i rappresentanti delle quattro facoltà pescaresi dell’Università D’Annunzio.

PARCODIACONALESessantacinque anni, giornalista, abruzzese trapiantato a Roma. Pro-filo di Arturo Diaconale, chiamato –secondo accreditate indiscrezioni di stampa– a ricoprire la carica di pre-sidente del Parco nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga. In sostanza,

si tratta della conferma nell’incarico, visto che lo stesso Diaconale svol-ge già da diverso tempo funzioni di commissario (veste nella quale è intervenuto recentemente proprio nella Capitale per la mostra che ha promosso il Parco tra i cittadini dell’Urbe). L’indicazione di Diaconale scaturisce da una concertazione tra il

ministero dell’Ambiente e le tre Re-gioni su cui il territorio dell’area pro-tetta insiste: Abruzzo, Marche e Lazio. Al definitivo via libera manca solo il nulla osta dell’ultima arrivata, la neo eletta presidente della Regione Lazio, Renata Polverini; entro l’estate il per-corso istituzionale dovrebbe essere cosa fatta.

LE PROFESSIONI? NELL’EX COLONIA SULLE ORME DI KASPAROVConquista uno storico risultato la formazione femminile del Circolo Scacchi “R. Fischer” di Chieti, che si aggiudica il titolo nel massimo campionato di scacchi a squadre femminile, tenuto in provincia di Ao-sta nel week-end del 1° maggio. Si tratta del secondo scudetto per la società, che nel 2008 aveva invece vinto il titolo maschile; all’edizione 2010 hanno preso parte dieci formazioni. Come per ogni squadra di alto livello che si rispetti, anche le scacchiste teatine –rigorosamente in tenuta neroverde– si sono presentate allo scontro con le rivali sfog-giando una formazione composta da italiane e straniere: per l’esattez-za, due italiane, una ecuadoregna e una russa.

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QUESTIONE DI TETRA PAK

Parte da Pescara un interessante progetto-pilota per il riciclaggio del Tetra pak, uno dei più diffusi materiali per l’imballaggio di prodotti alimentari e bevande, ma sin qui difficile da smaltire vista l’impossibilità di riciclaggio. L’accordo, primo del genere in Abruzzo, prevede che l’omonima azienda produttrice, che ha sede in provincia di Reggio Emi-lia, metta a punto una nuova tecnologia in grado di rendere il prodotto riciclabile, e Pescara sarà una delle città che sperimenteranno il nuovo corso: in sostanza, basterà una semplice risciacquata al contenitore prima di infilarlo nello stesso cassonetto in cui si ricicla la carta. Solo a Pescara si calcola siano consumati ogni anno 11 milioni di contenitori.

PROFESSIONISTI PER L’AQUILASettantamila euro per la ripresa dell’ateneo aquilano. È la som-ma che il quotidiano economico Italia Oggi e il Comitato unitario delle professioni (Cup) hanno donato al rettore dell’università dell’Aquila, Ferdinando Di Orio, per sostenere la ripresa dell’atti-vità, duramente penalizzata dal sisma del 6 aprile scorso. La som-ma è destinata a finanziare borse di studio per tirocini formativi di studenti aquilani e alla creazione di un’aula per la “dematerializza-zione” dei documenti della Pub-blica amministrazione.

Parla pescarese il nuovo vertice regionale della Confindustria. È in-fatti Mauro Angelucci, imprenditore di Torre de’ Passeri, il nuovo pre-sidente degli industriali abruzzesi; succede a Riccardo Marrollo che ricoperto l’incarico negli anni passati. Quarantasei anni, residente a Pescara, sposato, padre di quattro figli, Angelucci è socio dell’Oma Group, di cui è anche dirigente marketing, business & development manager. Il Gruppo Oma è stato fondato nel 1981, specializzandosi nella produzione di impiantistica metalmeccanica; cuore dell’attività sono gli impianti di generazione per energia, smaltimento rifiuti, trattamento acque, vetro, cemento, siderurgia.

Giò Di Tonno e Lola Ponce di nuovo insieme: dopo aver commosso milioni di spettatori nel Notre Dame de Paris di Riccardo Cocciante e aver danzato vittoriosi all’Ariston nel 2008, saranno di nuovo sul palco-scenico e naturalmente in un musical. Vestiranno infatti i panni di Don Rodrigo e della monaca di Monza nel nuovo spettacolo sui Promessi sposi scritto e diretto da Michele Guardì che, presentato in anteprima il 29 aprile al Duomo di Milano, debutterà poi ufficialmente il 18 giugno a San Siro. Un progetto da cinque milioni di euro, con tre palchi rotanti, dieci attori principali e un corpo di ballo da 40 elementi. Che stavolta ci scappi il “Colpo di fulmine”?

DOMPÉ E CSC UNITI PER L’INNOVAZIONEUna partnership volta all’implementazione dei servizi IT per l’azienda farmaceutica francese, che interesserà tutti gli stabilimenti incluso quello aquilano. È l’annuncio di Eugenio Aringhieri, am-ministratore delegato di Dompé farmaceutici, che ha presentato l’intesa col colosso americano Csc per la gestione dei servizi di application manage-ment, desktop management e help desk e della gestione delle attività del data center a supporto di tutte le sedi del gruppo in Italia. «La Dompé intende adeguarsi a regole internazionali per con-tinuare a competere nelle aree di attività (primary care, malattie rare e malattie ad alto impatto socia-le, anche con prodotti biotech), sviluppare nuovi farmaci attraverso la ricerca proprietaria e conqui-stare nuovi mercati» ha spiegato Aringhieri. «Per ottenere questi obiettivi è necessaria anche una evoluzione delle infrastrutture informatiche e una maggiore integrazione tra i vari sistemi, nonché un’accresciuta capacità di compliance e di control-lo. Csc è il partner ideale non solo per il know-how e la dimensione internazionale, ma anche per la capacità di creare soluzioni su misura».

UN MATRIMONIO CHE S’HA DA FARE

INDUSTRIALI, NUOVO PRESIDENTE

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Rappresentano un pezzo del paesaggio co-stiero, ma sin qui nessuno si era preoccupato di tutelarli. Sono i trabocchi pescaresi e i ca-liscendi giuliesi, parenti forse erroneamente ritenuti poveri dei più celebri trabocchi della costa teatina: in sostanza, palafitte immer-se nell’acqua, utilizzate per la pesca ma da

qualche tempo divenute anche ristoranti alla moda. A colmare la lacuna è arrivato un disegno di legge regionale proposto da Claudio Ruffini, ex sindaco di Giulianova, che si propone di tutelare questi antichi simboli della tradizio-ne marinara.

UNA LEGGE PER I TRABOCCHI

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MISSIONE BALCANIFavorire la cooperazione tra l’Abruzzo il Comune di Mostar, capoluogo della Bosnia Erzegovina. È l’obiettivo dell’intesa siglata tra Regione, Pro-vincia e Comune di Pescara con l’amministrazione della città di Mostar, che negli anni della sanguinosa guerra nell’ex Jugoslavia divenne uno dei luoghi simbolo dell’orrore. Adesso, dopo l’avvio del processo di pace, la bellissima città (famoso il suo antico ponte, raso al suolo dai bombar-damenti e successivamente restaurato in modo perfetto) apre le sue porte alla collaborazione con l’altra sponda dell’Adriatico. Nell’agenda degli impegni sottoscritti a Pescara tra l’assessore regionale alle Attivi-tà produttive, Alfredo Castiglione e il sindaco bosniaco Ljubo Beslic, la creazione di joint venture tra le aziende pescaresi e quelle di Mostar, la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale e delle tradizioni popolari, la partecipazione alle manifestazioni fieristiche.

IL GIRO FA TAPPA ALL’OUTLETAnche quest’anno il Giro d’Italia passa per l’Abruzzo. Meta obbligata L’Aquila, dove il 19 maggio arriverà l’undicesima tappa, mentre la successiva partirà il 20 dalla costa pescarese, precisamente dal piaz-zale del Città Sant’Angelo Village. A promuovere quest’evento per dare visibilità al territorio è stata la Provincia di Pescara che col suo presidente Guerino Testa si è impegnata a fondo per ottenere questo importante risultato sul fronte della promozione tu-ristica. Grandi festeggiamenti per l’evento clou del maggio sportivo: si comincia sabato 15 maggio alle 14.30 con la passeggiata ciclotu-ristica di bambini e genitori nel centro storico di Città Sant’Angelo seguita, alle 18.30, dalla cerimonia di apertura di mostra ed eventi presso la sala consiliare del Comune. Si prosegue martedì 18 maggio alle 10.30 con la premiazione del concorso riservato alla scuola primaria che si svolgerà nel teatro comunale dove il giorno seguente verrà ospitato alle 10.30 il convegno “Città Sant’Angelo con lo sport nel cuore”. Grande festa alle 18.30 di mercoledì 19 maggio con l’apertura della “Notte rosa”, che riempirà di musica, sport e colori il centro storico angolano con mostre sul ciclismo, esposizioni di prodotti tipici locali e concerti. La sera del 19 maggio, inoltre, l’Outlet rimarrà aperto fino a tardi e ci sarà la possibilità di vedere l’allestimento del Villaggio di partenza della tappa per tutti gli amanti del ciclismo e delle belle serate di animazione e intratte-nimento. Ed eccoci a giovedì 20 maggio, apice sportivo per l’Abruzzo costiero, con il taglio del nastro della tappa, che darà il via ufficiale alla carovana rosa: una tappa prevalentemente pianeggiante, che si snoda su un percorso di 191 km e che per molti sprinter rappresenterà l’ultima occasione per mettersi in mostra.

Trentadue volti, dipin-ti dall’inconfondibile mano di Giuseppe Fi-ducia, adorneranno le vie del centro storico di Roma per un mese a partire dal prossimo 11 giugno. È l’installa-zione urbana dal tito-lo “Sguardi Mondiali”, realizzata dal grande

maestro abruzzese su progetto di Enrico Crispolti. Dalla stermi-nata produzione di Fiducia sono stati scelti trentadue particolari delle sue tele realizzate dal 1980 ad oggi, che saranno riprodotti su 120 gonfaloni disposti lungo un percorso in pieno centro storico di Roma. Volti “catturati” in diversi atteggiamenti del guardare, che rappresentano le 32 nazioni par-tecipanti ai Mondiali di calcio del Sudafrica. Organizzata dall’associa-zione “Porto di Ripetta” e patroci-

nata dal Ministero per le politiche giovanili e le attività sportive, dal Comune di Roma, dall’Assessorato alle politiche culturali e comunica-zione del Comune e dall’Università La Sapienza, l’iniziativa è dedicata a tutti coloro che guarderanno i mondiali di calcio. “Il calcio –ha commentato Fiducia– è lo sport che fa rincorrere la gioventù, at-traverso le infinite variabili di una forma geometrica perfetta”. CONCERTO PER PIANOFORTE

E VOCE (CRITICA)Nazzareno Carusi, pianista di chiara fama originario di Celano, non poteva trovarsi un partner meno impegnativo. Lo scorso dicembre, partecipando al programma Mattino 5, ha conosciuto nientepopodimeno che Vittorio Sgarbi, e dietro le quinte è nata una collaborazione tra i due che ha portato alla realizzazione di uno spettacolo teatrale, “Discorso a due”, in cui il critico d’arte è la voce narrante che lega il secondo quaderno degli Anni di pelle-grinaggio di Liszt, partitura eseguita appunto da Carusi, con le immagini della Cappella Sistina che scorrono alle spalle dei due artisti sul palco. Un’occasione per parlare di musica, arte e letteratura di cui Carusi si dice molto orgoglioso: «Amo sperimentare e credo che le forme d’arte diverse possano convivere. Sgarbi mi è sembrata una scel-ta efficace». Lo spettacolo ha debuttato il 12 aprile al Politeama di Manerbio in provincia di Brescia.

GLI SGUARDI MONDIALI

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UN CASINÒ PER SULMONASulmona si candida ad ospitare in casinò. Nero su bianco, è stato il primo cittadino della città ovidiana, Fabio Federico, a inoltrare la richiesta al ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambil-la. Fare di Sulmona una Las Vegas in miniatura, argomentano i sostenitori del progetto, servirà a rivitalizzare la traballante economa dell’intera Valle Peligna, investita da tempo da una pesante crisi economica. Sede indicata, Villa Sardi.

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SANTO STEFANO TRA I SASSIChe l’operazione di recupero efficacemente realizzata a Santo Stefano di Sessanio fosse solo il principio l’aveva detto già all’epoca del nostro servizio (vedi Vario n.54). Niente di strano dun-que che la Sextantio, società costituita apposita-mente per “fermare il tempo” nel borgo abruzze-se, abbia esportato il modello Santo Stefano in Basilicata, per la precisione nel suo capoluogo. È proprio a Matera infatti che il quartiere Civita, una meraviglia scavata nel tufo, è stato trasformato dalla società di Daniele Kihlgren in un albergo diffuso, secondo gli stessi principi che hanno ispirato il prototipo abruzzese: un recupero attento, rispettoso e rigoroso di case antiche e chiese rupestri, diventate appunto stanze a cinque stelle per ospiti illustri e dalle tasche profonde. Millionaire di Aprile 2010 ha dedicato un servizio alla “nuova” Matera, Patrimonio dell’umanità secondo l’Unesco, che oggi, oltre ad essere un set naturale conteso da Hollywood e Cinecittà, si offre come meta turistica non più “mordi e fuggi”, ma anche per lunghi e rilassanti soggiorni in una cornice storica eccezionale, con tutti i comfort della moderna accoglienza.

I D’ALTRUI NELLA LEGGENDAL’Abruzzo entra nella International Swimming Hall Of Fame, e lo fa con una coppia d’assi di tutto rispetto. L’ISHOF, organizzazio-ne americana con sede a Fort Lauderdale, in Florida, che premia ogni anno i campioni degli sport natatori, ha deciso di premiare per il 2010 Giuseppe (Geppino per gli amici) e Marco D’Altrui, padre e figlio, campioni olimpici di palla-nuoto, entrambi araldi dello sport pescarese: Geppino, classe 1934,

è stato il capitano del settebello campione olimpico di Roma 1960, mentre Marco, nato nel ‘65, con il club di Pescara prima e poi con la nazionale guidata da Ratko Rudic (già nella Hall of Fame insieme a personaggi come Gianni De Magi-

stris, Cesare Rubini e Eraldo Pizzo) ha vinto tutto quello che si poteva vincere: coppa Italia, coppe Len, Europei, Mondiali, per finire con l’oro olimpico di Barcellona 1992. Il premio verrà consegnato ai due atleti il 10 settembre prossimo

in occasione degli Europei di pallanuoto che si terranno a Zagabria, ma i due stanno già pensando di festeggiare l’evento col loro pubblico a Pescara prima della fine dell’estate. Marco D’Altrui è il primo campione della nazionale italiana che vinse a Barcellona nel ‘92 a ricevere l’onorificenza dell’Ishof, e non si esclude che nei prossimi anni la stessa accoglienza venga riservata dall’organizzazione statunitense ai suoi compagni di squadra.

Il grande europeista Lorenzo Natali rivive nel ricordo di chi l’ha conosciuto da vicino. È questo lo scopo del libro Lorenzo Natali in Europa - ricordi e testimonian-ze, pubblicato per volere della famiglia Natali in occasione del ventesimo anniversario della sua scomparsa, avvenuta il 28 agosto

1989. All’inizio del libro è stata riprodotta anche l’ultima inter-vista di Natali, pubblicata sul n. 4 di Vario, nel marzo 1989, a firma di Francesco di Vincenzo. Natali, toscano di nascita, è stato uno dei massimi rappresentanti della Dc aquilana, assessore al Comune dell’Aquila e deputato dal 1950 al 1977, anno in cui fu eletto al Parlamento europeo nel quale ricoprì l’incarico di vicepresidente della Commissione Europea fino al 1988.

SOS PER L’ARTE ABRUZZESEUna vetrina irripetibile e unica come Castel Sant’Angelo, a Roma, per porre sotto i riflettori di tutto il mondo il problema del recupero e della salvaguardia del patrimonio artistico abruzzese fortemente danneggiato dal sisma del 6 aprile dell’anno scor-so. Si chiama appunto “Sos arte dall’Abruzzo - una mostra per non dimenticare”, l’evento organizzato dal Centro Europeo per il Turismo a un anno di distanza dal terremo-to. È stato voluto per evidenziare l’impegno per il recupero, la tutela e la conservazione del patrimonio archeologico e artistico dell’Abruz-zo, e si tiene all’interno della

29esima edizione della “Mostra europea del turismo e delle tradizioni culturali”. Resterà aperta fino al 5 settembre prossimo, per quella che si annuncia come una straordinaria vetrina internaziona-le: Castel Sant’Angelo figura infatti al quarto posto tra i musei più visitati d’Italia.

LORENZO NATALI, UN UOMO PERBENE UNA PIAZZA PER JOHNC’è una piazza dedicata a un abruzzese a Los Angeles. È lo scrittore americano John Fante, originario di Torricella Pe-ligna, figlio di un murato-re emigrato negli Usa, ad aver ottenuto, oltre cento anni dopo la nascita, questo riconoscimento prestigioso dalla metropoli californiana. Per l’autore di indimenticabili best seller come Chiedi alla polvere, La strada per Los Angeles, Sogni di Bunker Hill, è arrivato dunque il momento –forse tardivo– di vedersi tributare dalla sua città d’adozione quel riconoscimen-to di cui in vita fu forse un po’ avara.

SANOFI, CAMBIO IN ROSAAnnaletizia Baccante, aquilana, è la prima donna in Italia a dirigere un sito produttivo del Gruppo sanofi-aventis. Si chiama Anna-letizia Baccante, è salita al vertice dello stabilimento di Scoppito –ri-conosciuto a livello internazionale come esempio di eccellenza nel settore farmaceutico– ricevendo il testimone da Andrea Ruggeri, chiamato a ricoprire un ruolo diri-genziale a Parigi. Un cambio che si inserisce nel solco di quanto fatto sino ad oggi e che rinsalda il legame tra sanofi-aventis e la città di L’Aquila.

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Dopo L’Aquila

Molti dei grandi della Terra,

durante il G8, si sono detti

disponibili a investire risorse

per la ricostruzione dei monumenti

aquilani. A un anno dal sisma,

tante parole ma ancora pochi fatti

di Patrizia Pennella Foto Lorenzo Nardis

Le belle parole

«God bless L’Aquila». E chi se lo dimentica più Barack Obama, descamisado, passo elastico e sorriso garbato, sotto il sole affilato di luglio. In

piazza Duomo, tra polvere, rovine, volontari stanchi e sudati. L’uomo più potente della terra testimone dell’esito di una guerra feroce, ingaggiata dalla natura contro l’uomo e la sto-ria. Inutile, oggi, ricordare chi ha vinto. «God bless L’Aquila», il saluto, l’addio: un pezzetto di speranza se ne è andato via così, con tre parole che fanno una benedizione. Per un matri-monio di convenienza finito ancor prima di nascere. L’ottimi-smo, qualche mese fa, chiamò «lista di nozze» un sos lanciato al mondo: quello per la ricostruzione di quarantaquattro monumenti sfigurati dal terremoto. I più belli, i più importan-ti, pezzi irripetibili del passato, che richiedono mani esperte e cure costose. L’operazione fu promossa attraverso mostre e pubblicazioni di qualità elevata: le immagini della passione di

una città da salvare. A parole sembrava cosa fatta: ma quando, complice il G8, i potenti sono entrati nel supermarket delle macerie e hanno guardato i cartellini del prezzo, molte mani sono tornate in tasca e ne sono uscite solo per una stretta di saluto. Oltre alle benedizioni e alle parole di circostanza, dall’operazione «grandi della terra» all’Aquila è arrivato ben poco: si sta chiudendo l’accordo con la Francia che parteci-perà con tre milioni e duecentomila euro –una quota di poco inferiore al cinquanta per cento del necessario– al restauro della chiesa delle Anime Sante. La bella cupola dell’edificio, pesantemente danneggiata, porta la firma di Valadier. L’intesa tra gli stati prevede non solo una partecipazione alle spese, ma anche una collaborazione tecnica e una gara europea per l’affidamento dell’appalto. Un canovaccio che si inten-deva applicare ad ogni forma di partecipazione, proprio per garantire la migliore specializzazione in restauri che si

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• In queste pagine alcune immagini

del centro storico dell’Aquila com’è oggi.

Lo scorso marzo il “popolo delle carriole”

si è mobilitato per sgomberare le macerie

dalla zona rossa.

prevedono non solo complessi, ma anche costosissimi. Una prima stima, ristretta, dei fondi necessari per la ristrutturazio-ne del patrimonio storico parla di tre miliardi e mezzo di euro, ma non comprende quei piccoli palazzi gioiello del centro, di proprietà privata ma sottoposti a vincolo, che costituiscono il cuore nascosto di una città splendida. Edifici di valore inesti-mabile. La solidarietà impressionante di privati e aziende ha consentito in questi mesi di tamponare le emergenze, ma la strada per la ricostruzione è ancora ben lontana dall’essere aperta, sia per il patrimonio artistico che per quello civile. Un primo bilancio effettuato a fine 2009 parla di 53 milioni di euro diretti alla Protezione Civile: 18 milioni di euro sono stati versati dai gestori di telefonia fissa e mobile e 25 milioni di euro provengono dai conti correnti attivati dal Dipartimento della Protezione Civile. Hanno contribuito a raggiungere que-sta cifra anche la campagna di solidarietà “Un aiuto subito”

del Corriere della Sera e la trasmissione televisiva “Porta a Porta” che, da sola, ha raccolto più di 3 milioni di euro. Grande l’impegno delle Regioni italiane: la Provincia autonoma di Trento, oltre alle casette in legno donate a numerosi centri dell’Aquilano, si è impegnata per il restauro dell’Oratorio di San Filippo, ora centro stabile di Teatro Ragazzi; la Regione Veneto si prenderà cura della chiesa di San Marco, la Camera dei Deputati di Palazzetto dei Nobili. Ma il grande impegno internazionale, quello, non è mai arrivato: troppo cara, per Zapatero, la «terapia» da praticare sul Forte spagnolo: dopo la promessa e una parziale marcia indietro, il governo di Madrid è scomparso del tutto. Non è stato così per il ben più piccolo Kazakhistan, primo e finora unico stato a mantenere la linea della solidarietà: ha già versato il milione e 700mila euro promesso per il ripristino della Chiesa di San Biagio in Amiter-num. Fedele anche la Germania che oltre ad aver destinato 3

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milioni di euro al restauro della chiesa di San Pietro di Onna, proprio ad un’ora e un anno di distanza dalla scossa, alle 4,32 del 6 aprile, ha voluto inaugurare casa Onna. C’è anche la Russia con sette milioni di euro per Palazzo Ardinghelli e la Chiesa di San Gregorio Magno: l’impegno deve essere ancora formalizzato in un atto. Dall’Australia, invece, non si sono più avute notizie. Il Giappone, dopo qualche polemica legata alle realizzazioni infrastrutturali, ha deciso di regalare un auditorium, di cui curerà anche la progettazione per non imbarcarsi in complesse operazioni di restauro. Il resto è in mano alla professionalità, alla generosità e alle capacità degli italiani. Anche di quelli all’estero, che, contrariamente agli Stati, non hanno fatto mancare la loro solidarietà. Tra stati esteri, pubblico e privato sono dodici i monumenti della lista adottati in tutto o, più frequentemente, soltanto in parte. In più hanno “trovato famiglia” anche quattro strutture fuori elenco. Fino ad ora tra Protezione civile e Ministero dei Beni Culturali sono arrivati alla Sovrintendenza ai Beni Artistici dell’Aquila ventidue milioni di euro, già tutti impegnati e lar-gamente insufficienti, per la semplice messa in sicurezza dei monumenti più importanti. In generale, fino a questi primi mesi dell’anno sono stati quasi 200 gli interventi realizzati dai Vigili del Fuoco, con il coordinamento del Vicecommissario per la salvaguardia dei beni culturali, sulle chiese e i palazzi storici lesionati dal terremoto per stabilizzare gli edifici e ridurre il rischio di ulteriori crolli e danneggiamenti. Le opere artistiche recuperate sono state 4600. Sono stati oltre 1700 i rilievi sull’intero patrimonio monumentale (oltre l’80%), con le verifiche dei danni su quasi 1000 chiese e oltre 600 palazzi. Complessivamente, solo il 24% degli edifici è risultato agibile.

Servono altri fondi per la messa in sicurezza, che è ancora lontana dall’essere completata, e sono stati già richiesti al Commissario per la ricostruzione Gianni Chiodi. Il vice com-missario della Protezione Civile per i Beni culturali dell’Aquila e dell’Abruzzo, Luciano Marchetti, fa anche qualche conto in più: «Per il recupero dei beni culturali la stima che è stata fatta dalle schedature è di 3 miliardi e mezzo di euro; per il patrimonio complessivo, credo che il Comune dell’Aquila abbia fatto una stima sull’ordine dei 10 miliardi di euro. Non sono cifre piccole, è ovvio –ha aggiunto– ma come ho detto più volte, non è che servano domani. Servono nei prossimi anni con una frequenza e con una certezza. E cioè la cosa importante non è tanto avere i soldi subito, ma avere la cer-tezza di una continuità nel tempo dei finanziamenti per poter programmare». Marchetti è uomo d’esperienza e ha fatto una stima anche delle difficoltà. Ex direttore generale dei Beni Culturali nel Lazio, ha lavorato alla ricostruzione in occasione dei terremoti di Friuli ed Umbria, e sa che quella dell’Aquila è un’altra storia: «Un’emergenza –dice– che non si è mai affrontata». Dovevano averlo capito anche i grandi della terra, anche le loro signore, che si son fatte fotografare con lo sfon-do delle rovine: invece oggi, dal conto del buon cuore e delle promesse, manca qualcosa come ottanta milioni di euro. Per il mondo, scosso da altre tragedie, L’Aquila ha lo spessore di un ricordo: il G8 ha smantellato da un pezzo e i monumenti da adottare sono lì, figli di nessuno; la città da salvare può solo raccogliere forze proprie e qualche sensibilità di uomini che non si stancano. Per il resto «God bless L’Aquila»: guardare in alto resta l’unico modo per sperare. Anche se già una volta il cielo si è capovolto senza pietà.

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Dopo L’Aquila

Trento e lodeA colloquio con Lorenzo Dellai,

presidente della Provincia autonoma

di Trento che a L’Aquila si è distinta

per il suo impegno nei difficili

giorni post terremoto.

E non solo

di Patrizia Pennella

Sono rimasti sospesi nell’aria e ancorati alla terra. Sono i gesti e i pensieri di uomini e donne, sono le cose e le case che hanno lasciato. La testimonianza della solidarietà della

Provincia autonoma di Trento è costruita su un percorso umano prima ancora che tecnico e di esperienza, una sensibilità innata e rodata che di fronte alla devastazione ha costruito un silenzioso sistema di fatti. Poca pubblcità e molti buoni ricordi nel cuore delle persone. Le istituzioni e i volontari del Trentino sono stati il simbolo di un impegno autentico, nobile perché spontaneo, che all’Aquila, distrutta dal terremoto, resta oggi come sostegno di vita quotidiana. Ne abbiamo parlato con il Presidente della Provincia Autonoma di Trento, Lorenzo Dellai.Il primo legame è certamente quello che nasce dalla montagna, ma l’impegno della Provincia autonoma di Trento in occasione del terremoto dell’Aquila è stato assolutamente eccezionale e al di sopra di ogni “dovere istituzionale”. Con quale spirito si è formato?Pochi sanno che sotto le macerie del bellissimo Teatro San Filippo dell’Aquila sono rimasti imprigionati e andati distrutti tre grossi volumi che raccolgono mille leggende trentine, alle quali la vostra Compagnia dell’Uovo stava lavorando per uno spettacolo da tenersi in Trentino. Una di queste leggende narra di un furioso incendio che distrusse, un giorno, il paesino di Terres, nella nostra Val di Non, lasciando tutte le famiglie sotto le stelle e senza più

averi. Fu a quel punto che a Terres si presentarono le donne e gli uomini del vicino paese di Flavón, portandosi appresso carri e carretti vuoti su cui salirono i sopravvissuti e i loro figli. “Ma perché fate tutto questo?” chiese allora una giovane di Terres. “Perché no?” rispose con semplicità disarmante un’anziana signora di Flavón.Ecco: “Perché no?” mi sembra la risposta da dare a quanti ci chiedono ragione dell’impegno che tutti noi mettiamo nell’orga-nizzare una Protezione civile moderna, flessibile e diffusa su tutto il nostro territorio e nel dotarci di una rete di volontari efficienti e generosi. Come la gente di Flavón, noi non pensiamo che sia una cosa straordinaria correre immediatamente laddove c’è bisogno di una, cento, mille mani: fa parte del nostro DNA di popolo mon-tanaro, schivo e anche un po’ “orso”, forse è vero, ma che ha fatto della generosità, della disponibilità, dell’apertura i valori fondanti, i valori cardinali di quell’Autonomia che è la vera identità a cui teniamo di più.Perché vedete, rispondere subito agli appelli di aiuto –e quante volte l’abbiamo fatto, in occasione di alluvioni e terremoti, di in-cendi e altri drammatici eventi calamitosi– è per noi Trentini “atto dovuto”, è un dovere morale, oltre che civile, in risposta appunto ad un diritto ad essere aiutati che scatta per chiunque si trovi in una situazione di pericolo. In più, lasciate che vi dica che i Trentini sanno anche metterci un sorriso ed un cuore “alpino” profondo

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come le nostre valli e grande come le nostre montagne; sanno essere generosi con l’entusiasmo, la passione e la dedizione di chi avverte negli altri il sangue “fraterno” che ha bisogno di aiuto.Ecco perché il 6 aprile, quindi esattamente un anno fa, alla notizia che un terribile terremoto aveva scosso l’Abruzzo, terra di monta-gna e di montanari anch’essa, e distrutto il suo bellissimo capoluo-go, il primo, primissimo pensiero dei nostri volontari raccolti nella Protezione civile della provincia Autonoma di Trento, ma anche in decine e decine di associazioni fu assai semplice: “Quando partia-mo?”. “Ma sul serio volete correre in Abruzzo?”... “Perché no?”.Quello su Onna, il luogo diventato simbolo della tragedia, è stato un intervento che si è distinto per immediatezza e concretezza...Non solo Onna, ma anche Coppito e Paganica, Stiffe e San Deme-trio, Villa Sant’Angelo e molti altri centri minori sono immedia-tamente entrati nei nostri cuori e lì sono state messe alla prova le nostre capacità reali di intervento. “Immediatezza”: è vero, ad una prima fase di intervento di pronto soccorso, di ricerca dei sopravvissuti, di gestione dei senza tetto, di puntellamento delle aree a rischio di crolli, è immediatamente seguita la fase di prima ricostruzione per fornire un tetto sicuro, ma anche un’abitazione comoda, confortevole ed esteticamente dignitosa a quanti erano rimasti senza casa. “Concretezza”: grazie all’esperienza maturata in Trentino nel campo delle costruzioni in legno e al potente lavoro

di squadra che ha coinvolto migliaia di volontari scesi in Abruz-zo ma anche decine di migliaia di trentini che, da casa, hanno sostenuto anche economicamente i nostri sforzi, abbiamo potuto rispettare tutti i tempi che ci eravamo dati.Immediatamente dopo il sisma avete garantito aiuti anche per la ricostruzione di un altro spazio vitale della città, il teatro San Filippo, un piccolo gioiello devastato dal terremoto, la cui rinascita richiederà molta attenzione.Abbiamo pensato che rivolgere parte delle nostre attenzioni anche a progetti specifici che riguardassero in questo caso un’im-portante struttura per la cultura qual è il teatro cittadino –ma in altri casi anche le chiese per i fedeli, gli asili nido per i bambini piccoli, le scuole per quelli più grandi, i campi da rugby per i vostri giovani atleti– avrebbe rincuorato gli abitanti dell’Aquila e dei suoi sobborghi, avrebbe dato loro la sensazione che il ritorno alla normalità, che sarà comunque ancora lungo e difficile, riguarderà ogni aspetto della vita della loro comunità. E il Trentino non farà mai mancare il suo sostegno, il suo appoggio.A Natale infine un altro segnale prezioso, lo spettacolare presepe in legno regalato alla città, segno di spiritualità e valore umano, insieme con tante piccole iniziative che hanno coinvolto le popo-lazioni aquilane e trentine. Con quali possibilità di sviluppo?Come ho avuto modo di dire in occasione della grande e com

• L’asilo di Onna, realizzato con il contributo della Provincia autonoma di Trento.

Nella pagina a fianco Lorenzo Dellai

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movente festa del Natale 2009, il primo del dopo-terremoto, nelle statuine di legno di quel presepe –frutto della tradizione delle nostre valli– che impersonano i pastori che accorrono alla sacra stalla io vedo le “statuine” dei nostri cani da ricerca assieme alle loro guide e lì accanto i piloti dei nostri elicotteri e gli “angeli” del Soccorso Alpino che sono stati i primi a levarsi in volo e a giungere tra le macerie ancora fumanti di polvere, assieme agli psicologi per i popoli; in quel “diorama” gonfio di solidarietà e di gratitudine, ecco i Vigili del Fuoco, quelli volontari e quelli del nostro Corpo provinciale; ecco i dirigenti, i funzionari, i Forestali e gli operai della Provincia che hanno lavorato fianco a fianco con gli addetti della Protezione civile, con i volontari dei Nu.Vol.A., della Croce Rossa, delle più diverse associazioni di volontariato; ecco i sindaci di quei Comuni trentini che si sono presi a cuore “pezzi” di Abruzzo e lì hanno convogliato i loro sforzi. È stato, questo, il mio più bel presepe. Sono certo che lo sia stato anche per voi.È passato un anno dal terremoto. Come amministratore e come persona che si è fatta carico di una parte di questo dramma, quale può essere il futuro della città?Il futuro dell’Aquila, può sembrare inutile ricordarlo, sta nelle mani degli Aquilani. Sta nella loro forza, nella coesione che riusciranno a dimostrare nella fase, lo dicevo prima, difficile e lunga della ricostruzione. Il vostro futuro non lo ha scritto ancora nessuno: lo scriverete voi atto dopo atto, pietra levata dopo pietra levata, parete ricostruita dopo parete ricostruita. Certo: ciò non significa che la comunità nazionale dovrà abbandonarvi al vostro destino e alla vostra tenacia. L’Italia –ma anche il Trentino, per quel che gli competerà– dovrà essere al vostro fianco con lealtà e con rispetto, fornendovi le risorse per rendere possibile la rinascita.Penso di non sbagliarmi quando dico che la ricostruzione dell’Abruzzo sarà il banco di prova di quel federalismo del quale molti oggi si riempiono la bocca, ma che poi nei fatti significa an-che fatica, lavoro, trasparenza, condivisione, controllo, sana ammi-nistrazione e altrettanto sana rendicontazione alla comunità delle

scelte fatte. Se ciò avverrà, allora avrà ragione chi disse che anche dal male più oscuro, anche dall’evento più devastante, luttuoso e terrificante, anche da un terremoto insomma, può nascere un’alba nuova. E migliore di prima.Attraverso quale impostazione può, secondo lei, passare la fase di ricostruzione? Quali linee dovrebbe seguire?Mi pare di aver già fatto alcune riflessioni in tal senso. Esistono anche degli esempi ai quali rifarsi, alcune “buone pratiche” che potranno aiutare gli Abruzzesi a rimettersi in piedi. Penso alla rico-struzione in Friuli, ad esempio: anche se quello fu un terremoto di-verso, diffuso sul territorio e che coinvolse tante piccole comunità sparse, l’intreccio costante e reciproco tra volontariato nazionale, internazionale e forze locali potrà essere lo strumento capace di fornire quell’entusiasmo che sarà l’acceleratore di tutti i progetti e il volano capace di farvi superare i momenti più difficili.Dopo di che bisognerà ricostruire seguendo tutte le norme antisismiche, utilizzando anche qui esperienze e sperimentazioni tecnologicamente innovative alle quali ha partecipato lo stesso Trentino. Noi ci saremo.Se potesse oggi fare un regalo all’Aquila, quale sarebbe?Vorrei far capire agli amici Abruzzesi, dei quali –sia a livello istitu-zionale, sia in contatti personali– ho conosciuto la generosità, la caparbietà, la tenacia starei per dire “trentine”, che l’impegno dei nostri volontari e di tutti coloro che sono accorsi fin dalle prime ore dopo il terremoto non è stata carità compassionevole, ma solo la risposta immediata ad un diritto: al diritto di essere sollevati, di essere aiutati, di essere portati quanto prima in una casa vivibile. Il nostro è stato quello che si è soliti chiamare un “dovere civico”: è bellissimo concetto, questo, che forse per molti pareva superato. È dovere di una comunità farsi carico dei problemi di un’altra comu-nità in difficoltà, ed è bello che questo sia stato fatto con il sorriso sulle labbra e con quell’amicizia che costituisce il vero regalo che ci siamo fatti a vicenda.

• Lorenzo Dellai (secondo da destra) nel centro storico

di Trento con Diego Della Valle (secondo da sinistra).

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Andrea Camilleri

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Lo scrittore siciliano

a Pescara per il centenario

della nascita di Flaiano.

A colloquio su vizi e virtù

della società italiana,

degli intellettuali e della politica

di Sergio D’Agostino foto Claudio Carella

Fa una certa impressione vederlo passeggiare sul molo di levante di Pescara, sotto quel ponte del mare che della città è diventato un simbolo. Vederlo assaporare

con i cinque sensi, l’immancabile, ennesima sigaretta tra le labbra, quel mare e quella brezza così diversi, eppure così uguali a quelli della sua Sicilia. Sorridere, quasi giocando divertito, davanti alla macchina fotografica che lo immorta-la tra reti e attrezzi da pesca, uguali a quelli che i pescatori usano nella sua Porto Empedocle. È metà marzo, e un sole improvviso dopo i giorni di freddo che la coda dell’inverno ha

riservato accoglie in Abruzzo Andrea Camilleri, a Pescara per prendere parte alle celebrazioni di un altro grande “irregola-re” della cultura e della letteratura italiana: Ennio Flaiano. Ol-tre 420mila voci su Google (al momento in cui scriviamo…), un fan club con tanto di sito internet a lui (cioè al “Sommo”) dedicato; ascolti da semifinale dei Mondiali per le infinite repliche tv dei diversi episodi della fiction che ha portato in tutte le case la sua più celebre creatura, il commissario Salvo Montalbano, capace di inchiodare alla poltrona un pubblico che ogni volta sembra essere alla prima puntata, Camilleri ha

Ennio, Salvo e io

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fatto consumare fiumi d’inchiostro a quanti hanno provato a definire l’unico, autentico fenomeno letterario italiano degli ultimi vent’anni. Un fenomeno, certo: perché come pochi, nobi-lissimi antecedenti che osarono avventurarsi nel grande mare dei generi letterari nell’uso del dialetto –Carlo Emilio Gadda su tutti– il suo siciliano frammisto all’italiano è diventato quasi genere a sé. Perché è autore che trasforma ogni libro che scrive in un best seller. Che costringe a usare unità di misura, nelle librerie, che si raccontano più con il pallet movimentato da attrezzi meccanici che con lo scaffale aggiornato dalle braccia umane. Che obbliga a chiedersi come accidenti possa aver fatto la lingua quotidiana del suo esercito di lettori, che siano romani o abruzzesi, trevigiani o torinesi a contaminarsi dei termini che ha reso celebri in un’epoca che abusa di parole inglesi: alzi la mano chi non si è mai sorpreso a usare “taliare” per guardare, “timbulata” per schiaffo, “tanticchia” per un po’, “scassare i cabasisi” per quello che immaginate, sì. L’intervista che Camilleri ci concede nasce così, passeggiando sottobrac-cio con naturalezza e familiarità sul molo: manco fossimo tra vecchi amici seduti a tavola, da Calogero, a Vigata, a gustare «spaghetti al “nivuro di siccia”, “purpiteddri”, triglie freschissime “da arricriare lo stomaco”».“La stupidità ha fatto progressi enormi. È un sole che non si può più guardare fissamente. Grazie ai mezzi di comuni-cazione, non è più nemmeno la stessa, si nutre di altri miti, si vende moltissimo, ha ridicolizzato il buon senso, spande il terrore intorno a sé”. Tra le tante citazioni di Ennio Flaia-no, le pare che questa possa calzare con maggiore attualità ai nostri tempi?«La stupidità degli italiani è ciclica. Chi ha vissuto sotto il fascismo sa che la stupidità faceva parte dell’aria che respira-vamo. Ora la stupidità torna a trionfare, opprimente. Qualcuno ha persino notato una sorta di trasformazione genetica, cioè l’avvento di una pericolosissima specie di stupidi che sembra-no intelligenti. Sì, la citazione è calzante».Tra i mali della nostra società, l’evidente ritorno al confor-mismo: che ne direbbe uno come Flaiano?«Credo che per combattere il conformismo d’oggi a Flaiano verrebbe l’esaurimento nervoso. Non gli basterebbero le forze, sarebbe costretto al silenzio».Quanto è attuale il punto di vista di un “irregolare” come Flaiano nel panorama della cultura italiana?«Sarebbe attualissimo, anche perché oggi come oggi di irrego-lari non dico come lui, ma un pochino meno di lui, non è che se ne vedano tanti in giro».Lei, anche di recente a Pescara, ha –mi passi il gioco di pa-role– criticato certa critica letteraria che nel nostro Paese tende a incasellare e irrigidire entro schemi precostituiti generi e autori. Riguarda Flaiano, ma a ben guardare pure lei.«Lo dice lei, io non l’ho detto».Da un intellettuale “irregolare” a un altro, da Flaiano a Scia-scia: di recente è tornato d’attualità l’articolo che lo scritto-re di Racalmuto consegnò al Corriere della Sera nel 1987,

la celebre polemica con e contro i “professionisti dell’anti-mafia”. Tra i casi che citò Sciascia, clamoroso quello di Paolo Borsellino, promosso alla guida di una procura per “meriti” acquisiti sul campo. Lui, più giovane, contro un magistrato più anziano che rivendicava quell’incarico per sé. La trage-dia di Capaci, prima, e via D’Amelio dopo, spiegarono agli italiani che quella generazione di magistrati aveva come nessun’altra titolo per combattere la mafia. Perché lei è tra i pochi a dire che Sciascia prese un abbaglio? «Io ho sempre sostenuto che l’articolo di Sciascia era sbaglia-to». Non sarà che tra gli intellettuali il vizio del conformismo è più forte ancora che nel resto della società?«Non so quale sia la percentuale di conformismo degli intel-lettuali e non me ne frega niente per la semplicissima ragione che non mi ritengo un intellettuale». In Italia sembrano in crisi tanti, troppi modelli: l’equilibrio dei poteri, il principio di legalità, la valorizzazione del meri-to. Che colpe hanno gli intellettuali se si è arrivati a questo punto?«Ma lei è così sicuro che gli intellettuali contino qualcosa?».Nel 2003, all’indomani del G8 di Genova e dei terribili fatti che lo segnarono –la morte del giovane Giuliani, la ver-gogna di caserme trasformate in lager– nel “Giro di boa”, il commissario Montalbano ipotizzava perfino di lasciare la divisa. “Io non mi sento tradito. Io sono stato tradito” disse alla fidanzata Livia. Oggi, a distanza di tanti anni, pure qualche condanna ai responsabili di quei fatti è stata pronunciata. Montalbano troverebbe ragioni per mutare in un po’ di ottimismo quella visione?«Non credo che Montalbano abbia ragioni bastevoli per cam-biare opinione. Il processo contro le forze di polizia durante il G8 è stato una farsa. In questo secondo processo c’è stata la prescrizione, i poliziotti sono stati costretti a risarcire i danni materiali. E quelli morali?».La crisi dei modelli tradizionali ha reso più fluida la nostra società. Meno netti i confini che un tempo distinguevano destra e sinistra. Sul tema della giustizia, in particolare, lei ha scelto la via del dialogare con una certa destra “della legalità”, raccolta attorno a Gianfranco Fini. Interessante, ad esempio, il suo colloquio-intervista con il giovane parla-mentare siciliano Fabio Granata su Micro Mega: tempo di navigare in mare aperto?«Prestare argomenti a un avversario politico che si rispetti è un ottimo esercizio democratico».Un’ultima domanda, il suo rapporto con l’Abruzzo. Lei qui ha ricevuto ben due lauree “honoris causa”, forse un record, ma anche il segno di una regione che la ama davvero. Che pensa dell’Abruzzo, degli abruzzesi? «Anch’io amo l’Abruzzo. È la terra di D’Annunzio e di Flaiano. Non le sembra meravigliosamente contraddittorio? Amo le contraddizioni. Sciascia voleva che sulla sua tomba fosse scritto: “Visse e si contraddisse”. Poi, sfortunatamente, cambiò parere».

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Andrea Camilleri a Pescara

• Andrea Camilleri con i ragazzi intervenuti alla celebrazione per i 100 anni dalla nascita di

Flaiano al Mediamuseum di Pescara. Qui sopra è con Valentina Alferj e Francesca Fadda

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• Un momento della presentazione del progetto nella sala conferenze della

Fondazione Pescarabruzzo. Qui sopra il presidente della Fondazione Nicola

Mattoscio e l’assessore alla cultura del Comune di Pescara Elena Seller

di Fabrizio Masciangioli interviste Alessandra Sorrentino

Ad un padre nobile dell’arte abruzzese come France-sco Paolo Michetti non sfuggì certo la potenza comu-nicativa dell’immagine pubblicitaria, né la rivoluzione

visuale della fotografia. Le forme espressive della modernità non lo spaventarono, anzi lo attirarono fino al punto di sperimentarle in prima per-sona con esiti di grande interesse. Quel gusto dell’innovare e del contaminare il linguaggio artistico credo non sia andato perduto e, come un seme nascosto nella terra, ha fatto nasce-re esperienze importanti specialmente in una città moderna e vitale come Pescara. Proprio su questa sponda dell’Adriatico negli anni settanta si è sprigionata una tensione creativa non diversa da quella

prodotta nei circuiti culturali delle metropoli. Più tardi a Pescara è nata la formula vincente di Fuori Uso, un cantie-re d’arte contemporanea ammirato e copiato in giro per il mondo, e forse non casualmente i pescaresi hanno mostrato spesso passione per l’estetica urbana. Si sono divisi per la trasformazione di Piazza Salotto e oggi si entusiasmano per il nuovissimo Ponte del Mare, quel serpente di metallo e di luce che ha finalmente saldato le due parti della città.Se questa è l’aria che si respira, non deve stupire l’emerge-re di giovani artisti che hanno cominciato ben presto ad incamminarsi lungo l’affollata autostrada delle arti visive alla ricerca di un percorso originale. La Fondazione Pescara-bruzzo e Vario accendono i riflettori su sei di loro con questa

VarioART

I figli di Iorio Le nuove tendenze e i giovani protagonisti

dell’arte abruzzese d’inizio secolo. Una collezione promossa dalla Fondazione Pescarabruzzo

che proseguirà anno dopo anno alla scoperta degli eredi di Michetti

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prima serie di monografie dedicate a Lorenzo Aceto, Daniela d’Arielli, Matteo Fato, Paride Petrei, Sergio Sarra, Simone Zaccagnini. Sono monografie particolari che si sfogliano per leggere i testi critici e gli appunti personali degli autori ma che si trasformano anche in manifesti con un’accurata riproduzione delle opere. Il progetto di VarioArt, insomma, si presenta sia come una vetrina che mette in mostra il lavoro di artisti abruzzesi emergenti, sia come una proposta editoriale di qualità che ambisce ad allargare il pubblico degli appas-sionati di arte contemporanea offrendo un poster d’autore unico nel suo genere. Un progetto sostenuto dalla Fonda-zione Pescarabruzzo, da tempo impegnata nella tutela delle testimonianze artistiche presenti nel territorio regionale.

In questa occasione la Fondazione, come ha sottolineato il Presidente, Nicola Mattoscio, ha compiuto un passo ulteriore puntando “alla valorizzazione di un panorama estremamente vivace ed interessante, quale quello offerto dalle arti visive contemporanee”.

Questa iniziativa editoriale,infine, vuole lasciare un’altra trac-cia concreta: le opere pubblicate entreranno a far parte della collezione permanente della Fondazione Pescarabruzzo,e col passare del tempo potranno realizzare un ideale confronto espressivo con i quadri di quei padri nobili che non avevano paura del futuro.

• I poster dei sei giovani artisti: dall’alto e da sinistra

Matteo Fato, Paride Petrei, Simone Zaccagnini, Daniela

d’Arielli, Sergio Sarra e Lorenzo Aceto

VarioARTParide Petrei Piano di riconversione #01, 2009

PETREI_POSTER 11 novembre 2009 30-11-2009 17:31 Pagina 1

• Grazie alla collaborazione tra

Fondazione Pescarabruzzo e Vario,

le opere di giovani artisti abruzzesi

entrano anche nelle vostre case.

Le sei monografie, che compongono la prima

edizione, sono allegate già dal numero scorso a Vario.

Le pubblicazioni contengono sul foglio intero

formato poster un’opera scelta dall’artista.

Nel retro, testi critici , biografia e lavori degli autori.

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VarioART

SERGIOSARRAHa esposto i suoi lavori alla Biennale di Venezia, alla Biennale

del Mediterraneo di Barcellona, al MNAC di Bucarest, alla Na-tional Academy of Design di New York. Ha tenuto personali

a Roma, Milano, Porto, Lisbona. Frequenta intellettuali del calibro di Achille Bonito Oliva o del filosofo Umberto Curi. Parla con disinvoltu-ra di filosofia e di poesia. E poi lo vedi, con il suo sguardo penetrante, il tono di voce pacato e cordiale, la giacca che gli cade distrattamente a pennello. Il fascino che emana Sergio Sarra è innegabile. Ma ancora più affascinante è scoprire che questo artista così complesso, così enigmatico, ama le cose semplici, passa molto del suo tempo a giocare con il figlio, non disdegna i lavori domestici e ha un fortissimo senso della famiglia. La moglie Elisabetta e il figlio Gerolamo sono il suo mondo. E con loro condivide anche l’amore per l’arte. La moglie lo aiuta nell’organizzazione delle sue mostre, dei suoi progetti. Con il figlio gioca a calcio, fa la lotta e… «mi piace stimolare il suo senso artistico –dice– cercando di conservare in lui quella visionarietà che appartiene ai bambini, quando non ancora sono spinti a cercare la verosimiglianza e hanno un rapporto cosmologico con il mondo».Ed è proprio questo rapporto cosmologico, questa visione allargata della realtà, che ricerca il Sergio Sarra artista. Si pensi al varano, quell’animale inquietante, quasi primitivo, che ha ispirato diversi lavori di Sarra. «L’incontro con il varano –spiega– non è di carattere naturalistico, scientifico, ma cosmologico: rappresenta un’immagine che magari nessuno ha mai visto dal vivo, ma ognuno ha nella sua coscienza. Il varano, dunque, mi interessa come forma, come modello, che poi rielaboro, perché penso che ogni forma ne ha in sé un’altra… una figura zoomorfa può anche produrre un’architettura».Il lavoro dell’artista per Sergio Sarra non è rappresentare la realtà, ma proporre una visione della realtà che non c’era un attimo prima. «È il processo di rielaborazione della forma che mi interessa. Perché in questo processo c’è un metodo, una strategia. Ed è in questo metodo la differenza tra il disegno visionario del bambino e l’esperienza dell’artista».Sergio Sarra naturalmente nutre la passione per il disegno fin da quando era piccolo. Inizialmente erano i classici disegni infantili, poi è intervenuta la suggestione per i libri di architettura dei fratelli maggiori. «Mi piaceva molto sfogliare quei libri mentre loro studiavano –dice– e penso che quell’esperienza mi abbia influenzato molto».Della leggerezza del mondo infantile Sergio Sarra ha mantenuto lo spirito quasi giocoso con cui si accosta all’arte: «L’arte è una forma

di gioco, di intrattenimento… continuo a disegnare non sapendo bene perché!» scherza, ma poi aggiunge pensoso: «Il tema dell’arte è talmente complesso che va risolto dentro l’arte: solo l’artista può farlo e io, come artista, faccio il mio gioco, dove per gioco si intende anche strategia». La capacità strategica, secondo Sarra, deriva in gran parte dall’esperienza della storia dell’arte. «L’artista deve capire cosa è stato fatto prima –spiega–. La soluzione è nelle cose della vita, sì, ma anche nello studio. In particolare nella lettura degli scritti degli artisti».E Sarra legge moltissimo. Di solito ha tra le mani contemporaneamente più di un libro e da ognuno seleziona ciò che più gli interessa. «Leggo testi di artisti, ma anche riviste di architettura, di arte e di poesia, che ritengo sia una forma tra le più vicine all’arte». Romanzi? «Mi piacciono di meno. Magari mi attraggono solo alcuni pezzi». E il cinema? Sergio Sarra sorride: «Vado a vedere solo quelli comici, considerati dalla critica di basso livello!». La televisione, invece, non la vede per niente. «Solo lo sport –precisa– in particolare il ciclismo».Ma naturalmente Sergio Sarra lo sport non lo pratica: fa parte del suo temperamento quieto. Sergio si alza la mattina presto per lavorare. «La mattina ho più energia e c’è la luce ideale» spiega. Durante il resto della giornata si dedica alla famiglia, alla casa e attualmente segue un progetto che gli sta molto a cuore: «Sto costruendo uno studio in una campagna nella provincia di Pescara, in mezzo a un bosco. Uno studio dove possa lavorare, ma soprattutto conservare le mie opere, in particolare quelle grandi». Sì perché Sergio Sarra è un sentimentale, vive dei veri e propri amori nostalgici per taluni lavori. «Ci sono delle opere che per me hanno un valore simbolico, rappresentano degli archetipi di determinati momenti della mia vita. Alcune di queste opere ho cercato addirittura di riaverle dopo che me ne ero privato!».Il nuovo studio, quindi, sarà il custode ideale di questo lavoro di passione e di strategia: una sorta di involucro intorno alle opere, che abbia esso stesso un valore architettonico. «Mi piace molto il concetto di ambientazione –spiega Sarra– mi piace inserire le opere in un ambiente. Non sono un pittore da cavalletto: cerco di mettere insieme intelligenze artigianali per comporre lo spazio dell’allestimento».Così è stato, per esempio, per uno dei progetti più cari all’artista, Ipotesi di Biblioteca di Chimica dell’Università di Padova: un labirinto, la cui pianta propone la sigla dell’acido lisergico (LSD), in cui trovano posto quadri e sculture. Ecco, questa installazione è forse quella che meglio rappresenta Sergio Sarra: la sintesi strategica, ma anche morbida e visionaria tra architettura, pittura e scultura. A.S.

Tra pittura, architettura e scultura, il mondo di un poeta del pennello, enigmatico e semplice come lo sguardo di un bimbo

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Occhi grandi ed espressivi, capelli alla Amélie, con un fermaglio lezioso che li trattiene da un lato, sorriso since-ro… la guardi e ti sembra una ragazzina. Eppure Daniela

d’Arielli, a 31 anni, ha già realizzato una personale, ha partecipato a diverse collettive e ha catturato l’attenzione del critico d’arte contemporaneo Nicolas Bourriaud, in occasione della rassegna Fuori Uso 2006.Daniela lo racconta ancora con sorpresa: «La mia partecipazione a Fuori Uso è stata una positiva concatenazione di eventi. Ero appena tornata dall’Inghilterra, dove avevo fatto un breve stage, e la metà dei miei amici stava partecipando alla mostra I love Abruzzo, organizzata dal gallerista Cesare Manzo. Sono andata da Cesare e gli ho levato la vita finché lui, esasperato, non ha ceduto e mi ha dato una parete». Lì Daniela ha esposto due suoi quadri, i suoi primi due quadri. Caso ha voluto poi che… «Un giorno Cesare è venuto in quello spazio con Nicolas Bourriaud, che dopo aver visto i miei lavori mi ha chiesto di partecipare a Fuori Uso, di cui sarebbe stato curatore».Insomma, in pochi giorni Daniela si è trovata a partecipare ad uno degli eventi storici tra quelli dedicati all’arte contemporanea. Niente male per una che dice di non essere molto brava a fare pubbliche relazioni. Merito del suo originalissimo stile espressivo. Merito di quella passione per gli “stati alterati”, che era poi proprio il titolo dell’edizione 2006 di Fuori Uso: Altered States. Are you experienced?Daniela è infatti attratta da quella visione fluida della realtà, quando viene vista attraverso l’acqua. Meglio ancora, è affascinata da quell’effetto distorsivo che si crea nel cambiamento di stato tra acqua e aria. E la particolarità davvero insolita è che l’artista coglie quel momento, prima attraverso la fotografia, e poi lo interpreta sulla tela.«La fotografia è un pretesto simpatico da cui partire» spiega Daniela. «Che sia in una piscina, o in mezzo ad una pozzanghera, immergo la macchinetta nell’acqua, in modo da cogliere l’immagine tra il sotto e il sopra. Ne escono rappresentazioni particolarissime: i colori si dividono, le forme perdono consistenza».Il quadro poi è un’altra cosa. Daniela reinterpreta la foto, usando l’acrilico, a volte l’acquerello, e prediligendo sempre i colori forti: «Alcuni quadri sono fluorescenti, sembrano un po’ Simpson»

autoironizza.Ma da dove viene questa passione per l’acqua? «Ho sempre avvertito un rapporto molto forte con l’acqua. Sarà forse perché mio nonno era pescatore. O perché dalla finestra della mia camera sentivo il rumore del mare e vicino casa avevo la piscina dove andavo a nuotare fin da piccola».Peccato che ora dall’acqua del mare Daniela si sia allontanata. Da appena un mese si è trasferita a Roma. Una dimensione nuova. Un nuovo punto di partenza. «Sono attratta da altre forme espressive, al di là della pittura» spiega. «Alcuni lavori nuovi li ho già realizzati, ma devo trovare l’occasione per mostrarli e, a dire il vero, non sono ancora convinta di volerli fare vedere. Sono in una fase esplorativa… esploro il mio nuovo quartiere –scherza– cerco la merceria più vicina».La merceria? «Mi piace cucire –svela divertita– è un antistress grandissimo». Una passione che Daniela ha appreso dalla madre, «il mio modello di vita», riferisce con orgoglio. «Inizialmente lavoravo sui vestiti che compravo. Partivo dall’idea di alcune modifiche e poi finivo per trasformarli. Adesso magari ne creo anche di nuovi». E chissà che proprio dalle stoffe non arrivi la nuova ispirazione per i prossimi lavori.D’altra parte, è da questo speciale approccio manuale che è nata l’idea di Daniela d’Arielli di intraprendere la strada dell’arte. «Ho pensato che il Liceo Artistico mi avrebbe consentito di approfondire questa mia capacità, di darmi una struttura». Il percorso è stato poi canonico: dal liceo all’Accademia di Belle Arti di Urbino. «L’Accademia è stata un’esperienza molto importante, in particolare sotto il profilo dei rapporti umani, sia con i professori che con gli altri studenti. Non credo, infatti, di essere una persona molto estroversa, ma sul piano artistico penso che il confronto con gli altri sia fondamentale… più che altro perché ho la pretesa di creare qualcosa sempre di nuovo, nel senso inteso da Baurriaud nel suo libro Postproduction. Secondo Baurriaud uno scarto geniale già può essere cercare di riciclare, reinventare, sia se stessi, sia le nostre idee. Le nostre idee come risultante “genetica” di altre idee che ci hanno permesso di arrivare fino ad oggi». Ironica, spontanea e anche arguta, la ragazza! A.S.

Giovane, tenace e piena d’ironia. Una ragazza eclettica e inquieta come le onde del mare che ama

DANIELAD’ARIELLI

D’ARIELLI

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D’ARIELLI

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Grandi pennelli calligrafici e inchiostri di china fatti

arrivare direttamente dalla Cina, fogli di una speciale

carta priva di acidi, rotoli di filo di ferro, neon, fotografie,

computer con penna grafica, una infinità di disegni, le note pene-

tranti del pianoforte di Shostakovich. In questo ambiente, che può

sembrare caotico, ma invece è dominato da un rigoroso ordine

mentale, Matteo Fato disegna, dipinge, incide, scolpisce.

Matteo Fato è nato a Pescara 29 anni fa. Il disegno era il suo chiodo

fisso fin da bambino. «Copiavo ogni quadro, fumetto, fotografia che

mi piaceva –dice–. Era come se tentassi di imparare a scrivere in un

altro modo”». E quello speciale rapporto tra scrittura e immagine,

tra calligrafia e pittura, ha sempre ossessionato Matteo, fino a

diventare il codice del suo linguaggio espressivo.

Dopo un “tentativo folle” –così lo definisce lui stesso– di studiare

ragioneria, più che altro per seguire il fratello cui è particolarmente

legato, Matteo Fato si è iscritto al Liceo Artistico di Pescara e, poi,

all’Accademia delle Belle Arti di Urbino. Accademia dove oggi

insegna Tecniche di stampa calcografica. È in questo periodo,

durante gli studi urbinati, che Matteo, confrontandosi anche con

l’esperienza di altri studenti-artisti come lui, ha trovato conferma

della sua vocazione.

Vocazione che ha coltivato attraverso un percorso di esperienza, di

ricerca, di analisi, di riflessione interiore. Con passione e padronanza,

ma anche con una compostezza che suggerisce un’indole riservata,

che a volte sembra sfiorare la timidezza, Matteo Fato spiega il suo

percorso: «Ho sempre avuto una sorta di paura nei confronti del

colore –spiega–. È per questo che ho iniziato con la pittura ad olio. Una

pittura carica di colore, attraverso la quale sono riuscito a superare

la mia inquietudine, per poi tornare con più consapevolezza al

bianco e nero. Ho cominciato, quindi, a studiare la calligrafia cinese.

Il cinese dà un’importanza talmente alta alla parola da trasformarla

in pittura. È questo passaggio che mi interessa: cosa c’è un attimo

prima che il linguaggio diventi riconoscibile; quel momento di

bilico tra astrazione e rappresentazione».

È con questo approccio che Matteo Fato ha studiato le rocce, le

nuvole, le rondini. E proprio dal volo delle rondini è nato il suo

progetto più importante. «Ho cominciato a pensarci nel 2004

–racconta Matteo con emozione– poi l’ho messo nel cassetto… era

troppo grande per me».

Intanto Matteo si è cimentato con il video «ma sempre come

supporto alla pittura –precisa– utilizzando la penna grafica». È

nato così Ri…tornatore: due anni di lavoro su una scena del film di

Tornatore La leggenda del pianista sull’oceano, con la produzione di

ben 807 disegni… una mole ciclopica! Eppure non è neanche stato

il lavoro più imponente: «Ho realizzato 1.200 disegni per il video

Autoritratto, cui è seguito un altro lavoro di circa 560 disegni, che

rappresenta la narrazione del consumo di un cerino in una mano».

Intanto il progetto nel cassetto maturava. L’artista pensava

ancora al volo delle rondini, lo memorizzava, cercava di coglierne

l’espressione iconica, disegnava, fotografava, filmava.

Lo scorso settembre è finalmente giunto il momento: una personale

nelle gallerie di Roma e di Pescara di Cesare Manzo.

Non era la prima volta, naturalmente, che Fato esponeva le sue

opere. La prima personale l’aveva realizzata nel 2003 proprio nella

galleria di Manzo e aveva già presentato i suoi lavori in molteplici

occasioni in Italia e all’estero. Ma la recente mostra di settembre è

stata una tappa fondamentale, un punto di arrivo e, al contempo,

l’avvio di una nuova fase. Accanto alle centinaia di chine su carta,

ci sono sculture in ferro e neon, video, installazioni. «Il mio lavoro

ha subito un’evoluzione inaspettata proprio con questa mostra.

Mi sono rapportato con lo spazio attraverso la scultura. È come

se avessi usato la scultura per apprendere meglio la pittura. Una

dimensione nuova che ha sorpreso anche me. Così sento che si

apre una nuova fase, in cui voglio lavorare con lo spazio, guardando

alla scultura e agli allestimenti».

Matteo Fato guarda al futuro. Pensa a nuovi linguaggi. Accarezza

l’idea di lavorare all’estero. «Fino ad ora ho scelto di rimanere a

Pescara perché qui sentivo di poter lavorare con tranquillità. Non

mi attrae la voracità di Milano, di Roma. Se devo andare fuori dalla

mia città penso a New York, per approfondire l’aspetto teorico del

mio lavoro e conoscere figure autorevoli nel mio campo, o a Parigi,

una delle città più belle d’Europa: enorme, ma costruita a misura

d’uomo». Matteo già si vede nella sua nuova dimensione, pensa

alle strade parigine «ideali per muoversi in bicicletta» e forse tra

qualche anno lo incontreremo lì, mentre pedala su un boulevard…

magari con la mente immersa in un altro volo. A.S.

MATTEOFATO FATODipinge, incide, scolpisce, ma soprattutto disegna: ecco un artista imprevedibile come il volo di una rondine

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FATO

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Uno studio bianco, vuoto, senza distrazioni, senza la suggestione dei lavori meglio riusciti e magari con la presenza incombente delle opere che “non sono anda-

te”. L’ambiente in cui lavora Simone Zaccagnini è l’espressione della sua filosofia (la filosofia di un samurai che pretende da sé la massima disciplina) e la condizione necessaria per l’emozione che l’artista vuole trasmettere attraverso i suoi disegni.«Mi piace lavorare scomodo» ironizza. E poi spiega: «Difficilmente mi accosto ad un’opera a cuor leggero perché il mio obiettivo è andare alla radice delle cose. Mi ispiro a persone e paesaggi reali, cercando però di coglierne l’essenza. Mi interessa andare il più a fondo possibile». E questa ricerca diventa per Simone una specie di ossessione, che lo porta a lavorare e rilavorare intorno ad un’opera, rivedendola, ritoccandola “finché non morde”.“Mordere”. È una parola che Simone usa spesso e che racchiude senz’altro l’essenza dei suoi lavori. “Mordere”, cioè turbare, inquietare, smuovere qualcosa dentro, creare una tensione interiore. È questa emozione trepidante che trasmettono i suoi disegni. Vetro appannato è un soffio, un urlo, un soffocamento. Waterproof è impossibilità di respirare, è un dolore compresso, è lo sforzo di chi cerca di riemergere. Slow Sample è uno sguardo sfacciato, di sfida, quasi di minaccia.Non è un caso che Simone sia rimasto deluso dalla Scuola Internazionale di Fumetto «perché il fumetto era concepito in modo troppo buonista e io non riesco a pensare ad un lavoro senza cattiveria. Secondo me l’aspetto più prezioso del disegno è la capacità d ritrarre la realtà senza descriverla».Ma prima dell’esperienza col fumetto Simone Zaccagnini ha “imparato a disegnare” al Liceo Artistico di Pescara, dove ha incontrato il professore di figura Paolo Colacito «che mi ha mosso corde insospettate» dice.Poi ha studiato all’Accademia delle Belle Arti di Firenze. E qui c’è stato un altro incontro importante, quello con il professor Adriano Bimbi, che gli ha trasmesso il culto della pittura figurativa, del disegno dal vero. «Tutto ciò che faccio mi riporta al disegno –spiega Simone– posso dire che il disegno è il fil rouge della mia vita. Mi interessano in particolare le persone e i luoghi –continua– e lavoro sempre con il bianco e nero».

Sono queste le costanti dell’opera di Simone Zaccagnini. Poi i lavori possono essere piccolissimi o enormi «come l’opera che ho realizzato questa estate: si chiama Respiro ed è alta 4 metri e pesa 3 quintali. Ci ho lavorato ininterrottamente da maggio a settembre». E sottolinea: «non ho fatto un giorno di mare!».Questo imponente lavoro è stato esposto lo scorso settembre vicino Firenze nella ex fabbrica Brunelleschi, una storica manifattura di mattonelle, oggi dismessa, in un happening notturno di grande suggestione.«Nella mia vita ho incontrato spesso fabbriche dismesse» sorride Simone. È il caso, per esempio, della ex tabaccaia di Cavallina (in provincia di Firenze), dove ha realizzato la mostra personale Otto e, naturalmente, l’Ex Aurum di Pescara, dove Simone Zaccagnini ha partecipato alla collettiva Cromofobie.Accanto ai quadri, grandi e piccoli, ci sono poi i disegni che Simone Zaccagnini ha realizzato per la rivista Colors, ideata da Luciano Benetton e Oliviero Toscani, e perfino copertine di dischi e t-shirt per gruppi musicali «perché ho una componente hip hop che mi appartiene» spiega l’artista.Simone Zaccagnini, infatti suona con il gruppo Canti in Asociale e ha realizzato perfino un disco suo: Free’p’hop «perché, come dice un mio amico, non è né jazz, né hip hop» sorride.La componente musicale della sua vena artistica è talmente forte, che Simone Zaccagnini è arrivato perfino a confezionare “quadri musicali”: «C’è stato un periodo in cui componevo pezzi per i quadri che avevo disegnato e poi li inserivo dietro il quadro»… una soluzione veramente originale.Non stupisce dunque sapere che questo artista così eclettico e provocatorio sia un estimatore di figure come Warhol, Bacon, Giacometti, Beuys, Pazienza. Ma si rimane forse sorpresi dalla sua passione per Memling, Rembrandt e Dürer.«Mi attraggono tutte le figure che hanno un forte karma, i personaggi che in maniera molto naturale hanno imposto il loro stile, la loro ricerca».E Simone Zaccagnini ha trovato il suo karma? Forse è proprio in questa capacità di fondere in modo equilibrato la passione per la più classica delle arti, il disegno, con il “mordere” dell’inquietudine.

A.S.

La sua vita è il disegno, la sua cultura l’hip hop, la sua filosofia quella dei sa-murai. Ritratto (in bianco e nero) di uno che con la matita ci sa fare davvero

ZACCAGNINISIMONE ZACCAGNINI

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Con il suo ciuffo biondo, il tono di voce pacato, la pashmina intorno al collo, ha l’aplomb di un lord in-glese. E forse del lord inglese ha anche la freddezza,

l’autoironia, il cinismo.Non è un caso che l’obiettivo ultimo di Paride Petrei, quando lavora, sia di realizzare un’opera che non gli appartenga a livello personale: «Le mie progettazioni sono molto lunghe –spiega– di solito parto da un’idea iniziale magmatica. E da lì cerco di tirare fuori qualcosa di estraneo da me, di freddo».Qualcosa di freddo sì, ma che Paride Petrei vuole condividere con gli altri, vuole trasmettere. Perché tutta la sua opera ha un valore estremamente concettuale, di messaggio filosofico, di teoria scientifica, di propaganda politica.La sua opera è fatta non tanto, o comunque non solo, per emozionare, ma per significare o, addirittura, come vorrebbe lui, “per essere utile”.«D’altra parte –autoironizza– se dovessi mettere nei miei lavori la passione di quello che sento, forse sarei un folle. Perché a volte i miei soggetti hanno qualcosa di disumano».Prendiamone uno per tutti: un video in 3D in cui una coppia di umanoidi presenta un progetto urbanistico in cui il Colosseo viene inteso come una vasca piena di sangue, che attraverso i canali di scolo, giunge fino alla Cloaca Massima; da lì passa sotto il quadriportico di Giano e, quindi, a causa del dislivello, fuoriesce zampillando. E in questo mare di sangue, un bambino, anche lui in forma umanoide, sembra danzare spensierato. Insomma, quando hai la sensazione di una visione quasi apocalittica della realtà, emerge l’aspetto sarcastico dell’artista.«Quello che mi affascina –spiega Petrei– è portare tutto ciò che è creazione umana, come dissociato dall’umanità. L’uomo è solo un mezzo per la natura, una macchina. Tutto ciò che è costruito, dunque, torna ad essere naturale e viceversa».Le sequenze del video sono tutte estremamente asettiche, il bianco è predominante, l’unica nota di colore è il rosso cupo del sangue. E il bello deve ancora venire: il titolo. «Nel titolo esce fuori il mio lato cinico –ammette sornione Petrei– “Progetto di riqualificazione dell’Anfiteatro Flavio e dell’area circostante”». Che dire! Lo pensa veramente, o scherza?

Paride Petrei si è diplomato al Liceo Artistico di Pescara e ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Brera, al seguito di Alberto Garutti. Nel 2000 ha partecipato al Corso Superiore di Arti Visive della Fondazione Antonio Ratti di Como, tenuto dal visiting professor Marina Abramovic. «Sono tornato poi all’Aquila, in una sorta di eremitaggio», racconta l’artista. Un periodo di riflessione da cui Petrei è emerso due anni dopo, diplomandosi all’Accademia aquilana e decidendo di trasferirsi a Roma.La sua prima personale è stata a Firenze, nel 2007, negli storici spazi del Lyceum Club. Titolo della mostra: “Autoritratto in forma di sottomarino nucleare”. «Questo è stato forse il mio lavoro più personale. Quello con la minore mediazione» spiega Petrei. «Si tratta di una serie di cinque disegni a matita e penna a sfera –un progetto teoricamente ancora aperto– in cui mi identifico con un relitto che, nello stesso tempo, è anche potenza tecnologica».Numerosi sono i riferimenti storici nelle cinque tavole, in particolare quelli con i regimi totalitari: la Casa del Fascio sul lago di Como, la sfilata degli uri, buoi selvatici estinti e riportati in vita dai nazisti in seguito ad esperimenti di selezione genetica, il sottomarino russo Kursk, scomparso misteriosamente nel 2000 durante un’esercitazione. «Si tratta di visioni sulle dittature, che insieme costruiscono una storia, la storia, di cui sento di essere parte».Da Roma, Petrei si è di nuovo trasferito a Pescara, dove attualmente lavora e dove ha realizzato la sua seconda personale, l’anno scorso, nella galleria di Cesare Manzo. Il diamante si farà grafite era il titolo della mostra, che ruotava intorno ad una serie di disegni-storyboard della costruzione di un pozzo nel Sahara.All’estero Petrei non ci pensa? «Quando penso di andare fuori, immagino Parigi, Berlino, Londra. Ma ritengo che in Italia si faccia la scuola migliore. Perché è la più dura, la più selettiva». Come mai? «Perché si seguono molto le mode, il giro è piuttosto chiuso, bisogna conoscere determinate persone, frequentare determinati luoghi. Non si può procedere molto a caso». E Petrei cosa fa? Si lascia trascinare dalle correnti? «Le seguo, senza assoggettarmi». A.S.

PETREIPARIDE PETREIHa riempito di sangue il Colosseo e ha messo un sottomarino nucleare nel lago di Como. Ma per lui l’arte è una cosa molto seria

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PETREI

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V i ricordate David Lynch? Quello della serie televisiva Twin Peaks per intenderci. Ma anche il regista di altri film inquietanti, come Velluto Blu, The Elephant Man, Fuoco

Cammina con Me.Pochi sanno che David Lynch, oltre che regista è anche sceneg-giatore, musicista e… pittore.E nel 2007 la Fondation Cartier pour l’art contemporain ha organizzato una inedita mostra dell’artista in occasione della Triennale di Milano.Per la prima volta in Italia l’artista ha esposto dipinti, fotografie, disegni, installazioni, creazioni sonore.Lorenzo Aceto, allora ventiduenne studente dell’Accademia di Belle Arti di Urbino, ancora in cerca di una sua dimensione arti-stica, è andato a visitare quella mostra e… folgorazione!«Mi ha colpito il suo modo libero di disegnare, senza schemi. C’era di tutto. Dai lavori più sconvolgenti ad una bacheca piena di disegni realizzati sui tovagliolini di carta, quelli dei bar. E ancora, un’installazione in cui l’artista riproduceva a grandezza naturale una stanza rappresentata, a sua volta, in un piccolo dise-gno. L’impressione era di entrare nel disegno».Lorenzo Aceto ha ancora negli occhi l’entusiasmo e la sorpresa di quella mostra, che per lui è stata una sorta di rivelazione.«Da lì ho cominciato a capire che con il disegno mi dovevo libe-rare. Certo per alcuni aspetti ci sono degli schemi da seguire. Ma per me allora è cambiata la concezione del disegno: puoi giocare con lo spazio in qualsiasi maniera. Quanto più è libero il rapporto con lo spazio, tanto più il disegno è forte».Fino ad allora Lorenzo Aceto aveva studiato e dipinto senza riuscire ancora a trovare un suo stile. Ha cominciato gli studi artistici senza un perché, o meglio, ammette «Non avevo voglia di fare niente, così mi sono iscritto all’Istituto d’Arte». In realtà poi disegnare gli è piaciuto. Inizialmente, come molti suoi amici, copiava i fumetti d’autore. Andrea Pazienza, per intenderci. Poi ha cominciato a coltivare la passione per i classici. «Mi ricordo che avevo due cataloghi di Rembrandt –dice– uno di pittura e l’altro di incisioni, disegni e soprattutto schizzi. Passavo il tempo a cercare di imitarli. C’è stato poi un periodo in cui impazzivo per l’impressionismo».

Scoperta la sua vena artistica, Lorenzo Aceto si è quindi iscritto all’Accademia delle Belle Arti di Urbino e, una volta lì, grazie anche ad un professore che lo aiutava a cercare la sua strada, si è trovato alla mostra milanese di Lynch.«Alcuni aspetti inquieti, a volte terrificanti, dell’arte di Lynch li ho trovati simili alla mia sensibilità. Da lì, mi sono focalizzato su alcuni disegni che mi erano piaciuti e poco a poco ho trovato un mio linguaggio».Dalla pittura al disegno. Dal colore al bianco e nero. Lo stile di Lo-renzo ha raggiunto una dimensione personale, con un obiettivo ben preciso: trasmettere inquietudine: «Quando non la sento, la cerco. Cerco qualcosa che mi smuova, che mi interroghi. E poi cerco di trasmettere questo turbamento attraverso forme strane, grovigli, macchie, attraverso l’ambiguità”.E alla fine la prima grande soddisfazione è arrivata: il Premio Studente, in occasione della Edizione 2008 del Premio Celeste, Concorso per la promozione dell’arte contemporanea in Italia.«È stata una conquista che ha sorpreso anche me –dice Loren-zo– anche perché gli altri concorrenti avevano partecipato con dei dipinti; io invece con un disegno».Da lì si sono aperte diverse strade: la collettiva Cromofobie, lo scorso febbraio all’Ex Aurum di Pescara, la partecipazione al MiArt (Fiera Internazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Milano) con la Galleria Cesare Manzo, ad aprile, la collettiva Caotica, presso la galleria Manzo di Pescara, a maggio.Non stupisce, quindi, che Lorenzo ci abbia preso gusto: «Vorrei partecipare a qualche altro concorso –dice– anche se il mio obiettivo più immediato per ora è quello di laurearmi».Sì perché Lorenzo, seppure sembra muoversi già con disinvoltu-ra nel mondo dell’arte, è giovanissimo: appena 24 anni. Ma il profumo dell’arte l’ha sempre respirato, fin da bambino, in casa, con la sua famiglia. «Ho uno zio attore. E la domenica, o in occasione delle feste, quando ci riunivamo, si finiva sempre per parlare di cinema». Film, sceneggiature, fotografia, scenografia erano pane quotidia-no per Lorenzo, fin da ragazzino e chissà che Lynch non abbia cominciato da allora a fare breccia nel suo animo.

A.S.

ACETOLORENZO ACETO Dal fumetto alla pittura,

dalla pittura al disegno, dal colore al bianco e nero. Viaggio alla ricerca dell’inquietudine

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ACETOLORENZO ACETO

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Daniele Becci e Silvio Di Lorenzo

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Daniele Becci e Silvio Di Lorenzo

Tandemvincente

Strategie comuni per le Camere di commercio di Chieti e Pescara.

Protagonisti i due presidenti espressione del mondo industriale,

che si alleano in nome del primato di un territorio dai numeri record

di Claudio Carella

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I mprenditore il primo, nel settore delle costruzioni, che a Pescara vuol dire sempre grandi numeri. Supermanager il secondo, che guida in Val di Sangro un colosso multi-

nazionale della metalmeccanica come la Honda. Tutti e due espressione della Confindustria, sono i nuovi presidenti delle Camere di commercio di Pescara e di Chieti, Daniele Becci e Silvio Di Lorenzo. Un nuovo corso, quello che si annuncia alla guida dei due enti, che fa soprattutto di una parola, “siner-gia”, il proprio modo di agire. Promettendo di dare gambe e risorse, attraverso gli enti camerali, a un rinnovato progetto di area urbana, che ambisce a confermare e rafforzare la propria leadership sull’Abruzzo. Vario li ha intervistati. L’Abruzzo sta vivendo una fase difficile della sua storia, legata anche a eventi terribili come il terremoto. Becci: «All’Aquila deve essere rimesso assieme un nucleo di città. Gli interventi fatti, importanti perché hanno permesso di superare l’emergenza e in condizione di necessità, hanno però finito per smembrare la città. Semmai, la ricostruzione del capoluogo può diventare propedeutica a tutto il “sistema Abruzzo”, ma a patto di superare le lungaggini che frenano l’avvio della ricostruzione. Quanto alla condizione generale dell’Abruzzo, il discorso è semplice: per decollare occorre che tutte le componenti (istituzionali, private) mettano a regime risorse e i processi in grado di rendere vitale l’economia. Stia-mo uscendo dalla fase in cui imprese dovevano sopravvivere, erano bisognose di credito: il problema adesso è la mancanza di mercato, ovvero la carenza di investimenti pubblici e priva-ti. Spetta soprattutto alla Pubblica amministrazione riattivare in questa fase un circuito virtuoso, ma se nella città leader

della regione per l’edilizia, come Pescara, ben 150 concessioni edilizie risultano non ritirate, beh, allora il problema è serio».Di Lorenzo: «Non è solo questione di terremoto. È dal ‘98 che la regione vive una fase recessiva, e il boom di qualche set-tore produttivo come la metalmeccanica (in gran parte solo legata al mercato dell’auto), che in una provincia come Chieti rappresenta un terzo del Pil, e il Chietino a sua volta copre un terzo del prodotto interno lordo abruzzese, vuol dire che si è coltivata una illusione. Si fossero guardati con più attenzio-ne gli indicatori, ci saremmo accorti dei segni di debolezza: l’export forte ha fatto credere che si fosse usciti alla grande dall’Obiettivo Uno, ma non era così. La verità è che le nostre aziende più vecchie non hanno più di quarant’anni, abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità: fuori da certi para-metri, ma con le gambe deboli, come hanno mostrato certi processi sul tessuto produttivo del Teramano o della Marsica. In questo quadro, il terremoto ha solo aggravato il quadro, magari ha spinto a fare qualche riflessione in più». Che ruolo ha in Abruzzo l’area urbana Chieti-Pescara?Becci: «I numeri dicono che in quest’area si concentra circa il 50% del totale della regione. Dentro quest’area esiste una pressoché totale identità di vedute su tante cose. Prenda la mia associazione d’impresa, Confindustria: sono state unite le società di servizi, le iniziative congiunte sono all’ordine del giorno. Oggi il problema è stare assieme, da soli non si va più da nessuna parte, e questo vale anche per le aziende. D’altra parte, quest’area è il riferimento naturale dell’Abruzzo, per infrastrutture, insediamenti unici come porti e aeroporto». Di Lorenzo: «Senza voler invadere il campo della politica, io vedo nelle sinergie di questa area anche una certa forma di federalismo. Come dice il mio collega pescarese, in economia è fondamentale fare insieme. Che la leadership della regione sia dentro quest’area lo dicono –è stato ricordato– anche i nume-ri: gli altri, lo dico in senso buono e senza alcuna prevaricazio-ne, di questo devono prendere atto in qualche modo. A favore delle sinergie giocano inoltre certi territori intersecati –penso alla Val Pescara– dove non è possibile che su una sponda del fiume abbia competenza una provincia, sull’altra una diversa. Dovremo fare come la Curia: unire territori. La scommessa sul futuro abruzzese ruota attorno ai 400mila e più abitanti di quest’area, ai servizi unici che mette in campo con università, ospedali di qualità, aeroporto, stazione ferroviaria…». Diventa dunque d’obbligo pensare a una sinergia tra i due enti camerali…Becci: «Rappresentiamo un punto di collegamento decisivo per tutta la regione, nonostante Chieti abbia un territorio più vasto. Dobbiamo saper inventare qualcosa di diverso, puntare a valorizzare strumenti e temi vincenti, come il turismo». Di Lorenzo: «A 15 chilometri di distanza non si può avere “due di tutto”. E le sinergie possono andare oltre le Came-re, sennò facciamo la fine della Banca d’Italia: giocando a rimpiattino è rimasta solo la sede di Pescara con L’Aquila, si potevano fare considerazioni diverse. La telematica aiuterà a mettere assieme i servizi camerali, soprattutto quelli di

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base destinati alle imprese».Si diceva dell’aeroporto. Esiste una strategia comune per il suo rilancio?Becci: «Tutto il sistema camerale sta svolgendo un ruolo decisivo nel capitale sociale della Saga, ma certo i più diretti interessati siamo noi, è strumento essenziale per lo svilup-po. Occorre una strategia di lungo periodo per la Saga, che deve diventare autonoma sotto il profilo gestionale. Occorre mettere in campo pacchetti di tipo classico, collegamenti con le aree più vitali d’Europa, sviluppare il profilo com-merciale dello scalo. Ma per sviluppare la via commerciale, ad esempio l’agro-alimentare, occorre prevedere figure in grado di controllare i prodotti che arrivano dall’estero: una filiera che non si improvvisa ma deve essere realizzata secondo un progetto strategico». Di Lorenzo: «Fin dall’inizio abbiamo aderito ad una idea di rilancio dell’aeroporto, impossibile chiudesse per limiti alla capitalizzazione. Però abbiamo chiesto di capire di più, essere coinvolti di più. Che significa marketing territoriale? Occorre spiegare bene di cosa si parla… L’aeroporto è una nostra eccellenza, saremo anche una regione piccola, non avrà per ora grandi numeri, ma è strategico. Il suo sviluppo commerciale può essere un motivo di attrazione per le aziende, che cercano ormai territori nei quali abbiano un ruolo preminente tanto le infrastrutture legate al sistema formativo, come le università, che quelle legate alla logistica d’eccellenza. Dunque, occorre parlare di cose serie, e non di sciocchezze come l’aeroporto sul mare! Nel futuro consiglio di amministrazione dovremmo avere più voce in capitolo».Gli enti camerali abruzzesi hanno anche strutture di ser-vizio comuni, come il Centro estero o interno. Che ruolo possono giocare?Becci: «Pescara è sede del centro estero, si occupa di quel che le aziende vogliono portate all’estero, come la parteci-pazione a fiere, work shop, curare i mercati internazionali. A Chieti ha invece sede il centro interno che guarda agli eventi sul territorio nazionale. Io e Di Lorenzo abbiamo il compito, in questo momento particolare di crisi, di poten-ziare e fare da traino alle aziende in sofferenza, in sinergia con la Regione. Abbiamo rifinanziato il centro estero, lo stesso accadrà con l’interno: possono diventare motori per dare alle imprese supporto tecnico e finanziario». Di Lorenzo: «Io immagino un uso più flessibile di questi organismi, non sono per una divisione così drastica. Basta pensare al fatto che l’economia della provincia di Chieti ha maggiori vocazioni all’export, mentre Pescara è riferimento di tante iniziative che guardano al mercato interno. Insom-ma, occorre fare un po’ dell’una sull’altra, senza delimitazio-ni troppo rigide. E sinergie devono essere messe in campo anche con le società di servizi legate alle altre Camere di commercio».Insieme la concorrenza fa meno paura, soprattutto se viene da Oriente.Becci: «Vero. Abbiamo avuto, ad esempio sul vino, di recen-

te, un incontro a Pescara con ospiti provenienti dalle camere di commercio di Cina, Singapore, Australia. Sono occasioni che servono a interscambiare la rete con i produttori di tutto il mondo. Ci sono numeri importanti sul consumo del vino, basta una piccola fetta per far schizzare in alto le vendite…». Di Lorenzo: «La concorrenza con l’Oriente ha aspetti differenti. Un conto è il modello giapponese, dove è forte una cultura d’impresa che contribuisce anche a trasmettere a un mondo come il nostro. Penso all’Abruzzo, dove –caso unico in Italia– convivono a distanza di pochi chilometri gli insediamenti di tre colossi come Pilkington, Honda e Denso. La Cina è altra cosa, regge il suo modello su bassi salari, relazioni sindacali e di sicurezza dei lavoratori inesistenti, ha una valuta sottostimata. Insomma, realizza un modello dalla concorrenza quasi imbattibile, con cui dovremo fare duramente i conti».

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• Nella pagina d’apertura Silvio Di Lorenzo e Daniele Becci, presidenti delle

Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Chieti e Pesca-

ra. In queste pagine, le sedi dei due enti camerali a Pescara (pagina a fianco)

e, qui sotto, a Chieti.

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Air Columbia

Specialisti in sicurezza

Nasce da un’azienda abruzzese un corso di formazione di 26 mesi destinato a creare i tecnici per la manutenzione aerea

Èpraticamente la Bocconi dell’aeronautica: una scuola superspecializzata per formare piloti, tecnici manu-tentori e naturalmente hostess e steward. Si chiama

Air Columbia Technical Training, e rappresenta l’eccellenza nella formazione dei tecnici di volo, non solo in Abruzzo, ma su scala nazionale. Perché? Presto detto: partner del progetto di Air Columbia, la società dell’Aeroservices Group fondato dall’ Ing. Giuseppe Spadaccini, è nientepopodimeno che Lufthansa, la compagnia aerea che è una sorta di Oxford del settore, essendo stata la prima società al mondo a godere della certificazione “Jar 147”, che è un po’ la bibbia laica della formazione dei tecnici di volo. L’ingegner Spadaccini, vulcanico e geniale imprenditore abruzzese, dopo aver fondato una piccola holding (l’Aeroser-vices Group, appunto) specializzata in diverse attività legate tutte al mondo aereo (dallo spegnimento degli incendi con i

celebri Canadair, servizio realizzato attraverso la sigla Sorem, al trasporto passeggeri con la compagnia Itali Airlines, fino alla formazione e all’addestramento dei piloti, attraverso appunto l’Air Columbia, e alle attività di manutenzione con la San) oggi ha delegato la gestione diretta delle sue società. La sua eredità è stata raccolta, per quanto riguarda Air Columbia, dal neopresidente Enrico Paolini, che durante i suoi primi sei mesi di gestione ha messo sul piatto le sue idee per rilanciare l’attività futura della società. «Vogliamo proseguire sulla stra-da tracciata da Spadaccini, cui va dato atto di aver costruito nel tempo qualcosa di straordinario. La scuola, ad esempio –spiega Paolini– è quanto di meglio esista in Italia per la formazione dei tecnici manutentori, grazie alla partnership con Lufthansa Technical Training che ci fornisce il supporto didattico: insegnanti e materiale. Si prevedono tre tipi di corso: per piloti, per tecnici e per hostess/steward, ovviamen-

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te diversi per durata e per costi. Quelli più costosi sono quello per piloti (75mila euro circa) e quello per tecnici (20mila per corso e 4 mila per accomodation), che però a fronte del costo elevato, nel corso dei manutentori, garantiscono il contrat-to di lavoro. Noi forniamo agli iscritti al corso per tecnici le uniformi, un alloggio e una macchina (a noleggio), fino al termine del corso». L’accordo con la compagnia tedesca, spiega Paolini, verrà esteso nei prossimi mesi anche ad altre attività: «Abbiamo tutte le intenzioni di ampliare e migliorare il rapporto con Lufthansa che sta dando ottimi frutti. Ad oggi la scuola è frequentata da 67 iscritti, ma contiamo di raggiun-gere il centinaio entro il 2010 attivando altri quattro corsi per tecnici e due da piloti, e riprendere la formazione di hostess e steward. Questi ultimi sono corsi di quattro mesi per 2500 euro di costo, ma il giovane che si iscrive ottiene una forma-zione spendibile anche in altri ambiti oltre quello aeronavale:

il primo mese di corso è full English, gli altri tre sono su primo soccorso, gestione dell’aereo e rapporti con il pubblico. E anche se alla fine del corso la promozione è garantita al 99 per cento, non è detto che si debba necessariamente fare la hostess o lo steward, si può cercare lavoro in qualunque settore che richieda capacità relazionali elevate e ottima conoscenza dell’inglese. Una chance in più per molti giovani, ad esempio per gli studenti universitari che possono così fare un’esperienza e ampliare il loro curriculum». La scuola di superspecializzazione per tecnici –per accedervi occorrono 18 anni, possesso del diploma di scuola media superiore, di-screta conoscenza della lingua inglese e padronanza nell’uso del computer– apre inoltre più di una porta in un mercato del lavoro che, ad onta dei venti di crisi che spirano su tutta l’economia, sembra decisamente godere di salute migliore rispetto ad altri settori: il comparto, infatti, promette un’aria

• Gli allievi del corso di tecnici manutentori con i docenti. Foto di Antonella Da Fermo

Specialisti in sicurezza

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di “vacche grasse”, se è vero che le stime ufficiali parlano di un fabbisogno nei prossimi cinque anni (solo in Italia) di circa 2.500 tecnici qualificati e certificati di vario livello, per far fronte alla prevedibile espansione della licenze di volo. «Qui stiamo parlando di persone –prosegue Paolini– che lavorano con i guanti, non di operai comuni. Si lavora col computer, non ci si sporca molto. E alla fine si ottiene un posto di lavoro sicuro e retribuito: si parte da un contratto iniziale a tariffa sindacale che aumenta man mano che, annualmente, si

ottengono altri brevetti e si sale di grado, e nel giro di tre-quattro anni si arriva anche a alcune migliaia di euro mensili». La destinazione finale dei supertecnici è un altro tassello del mosaico Aeroservices, ovvero la San, società che si occupa della manutenzione dei velivoli del gruppo e di altre compa-gnie aeree come il colosso Ryanair. Sedi dei corsi sono uno a Pescara, nella modernissima struttura chiamata PalaItAli (per il primo anno) e Lamezia e Ciampino per il secondo anno di corso.

• Enrico Paolini, presidente di Air Columbia,

con Joern Henning Stange, Project manager Lufthansa technical training

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Ma le idee per Air Columbia non si limitano alla formazione: «Abbiamo intenzione di rilanciare la pubblicità aerea. Dati i costi di una normale campagna pubblicitaria, ritengo che chi voglia dare visibilità alla sua iniziativa commerciale possa tranquillamente scegliere la pubblicità aerea, il classico “striscione” per intenderci, che garantisce esiti migliori e costi notevolmente ridotti. Come dire, minor spesa e miglior risultato. Abbiamo poi la possibilità, sempre sul fronte pub-blicitario, di “vestire” permanentemente alcuni aerei che si

muovono su tratte nazionali con brand importanti, e stiamo studiando le diverse possibilità di utilizzo del mezzo da parte degli sponsor. In più la Air Columbia possiede 13 piccoli aerei che volano anche a 50 mt. dal suolo con i quali rilanciare anche l’attività di fotografia e telerilevamento per chiunque ne abbia biso-gno, siano enti pubblici o privati».

Sergio D’Agostino

AEROSERVICES GROUP rappresenta una delle più importanti holding dell’industria aeronautica europea.I vari servizi che il gruppo offre sono i seguenti:Protezione civile:Operazioni antincendio, tutela ambientale, pattugliamento marittimo e controllo del territorio. Tali servizi vengono effet-tuati mediante una flotta di 16 Canadair CL415 di proprietà del Dipartimento della Protezione Civile e da 6 Canadair CL215 di proprietà del Gruppo Aeroservices.Trasporto passeggeri: mediante voli di linea, voli Charter e voli Executive. Servizio di Aeroambulanza.

Servizio di manutenzione aeromobili: Canadair, Boeing B737, SA227, DO328, BAe146, aeromobili a pistoni Piper/Cessna.Formazione e addestramento del personale navigante (piloti e istruttori di volo) e tecnico. Serviz i di riparazione strutturale e di riparazione compo-nenti.Vendita parti di ricambio (compreso AOG).Il gruppo Aeroservices è composto dalle società: SOREM, SAN, ItAli e Air ColumbiaSOREM Antincendio, gestisce i Canadair per la Protezione Civile Italiana

SAN - aircraft maintenance Manutenzione CL415/CL215 - Manutenzione Cessna Citation - Manutenzione lineaAeroservices groupFatturato 2005: circa 90 Milioni di euro Dipendenti: 500Sedi Centrali: Ciampino (Roma) e Pescara Basi esterne: 9 (Italia)ItAli AirlinesVoli di linea -Executive - Charter - CargoAir ColumbiaScuola di volo F.T.O./T.R.T.O. - Scuola Tecnici Aeronautici(in collaborazione con Lufthansa Technical Training)

• Alcuni momenti teorico-pratici del corso

Lufthansa technical training

con l’istruttore Martin Wingbermuehlen

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Pomilio Blumm

Pubblicitàad alta velocitàDalle affiches alle campagne istituzionali, dall’Italia al mondo intero:

storia, traguardi e prospettive future

dell’agenzia che della comunicazione ha fatto un’arte

Foto e testo Antonella Da Fermo

V i ricordate Carosello? I grandi marchi dell’Italia del boom sono indissolubilmente legati a un immaginario visivo che ancora oggi resiste nella nostra memoria. Dalla “linea”

Lagostina al gigante buono, all’Olandesina, al caballero Miguel e la sua Carmencita e naturalmente all’ippopotamo Pippo: simboli nati dalla fantasia di grandi artisti prestati alla comunicazione, all’alba di quella che è oggi la pubblicità moderna. Capostipite di questa che è diventata una vera e propria scienza è stato, a Torino, Armando Testa, pittore, il “papà” proprio dell’ippopotamo Pippo che reclamizzava i pannolini prodotti a Pescara dalla Fater. E proprio a Pescara, nello stesso periodo, nasceva il rinoceronte, simbolo dell’agenzia di comunicazione Pomilio Blumm, ideato dai fratelli Pomilio, Gabriele e Oscar, il primo pittore, l’altro, fresco di studi di marketing internazionale.Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti: così come la Arman-do Testa ha assunto un ruolo internazionale, anche la Pomilio Blumm ha varcato i confini regionali collocandosi tra le maggiori agenzie italiane: un gruppo che cura campagne per clienti come Trenitalia, Ray Ban, Ministero dell’Economia, Corpo Forestale dello Stato. E da qualche anno è approdata sui mercati del Medio-Oriente e del bacino del Mediterraneo.Dagli anni Sessanta ad oggi tanti sono stati i passaggi, impor-tanti le evoluzioni. «A partire da Blumm, la prima rivista in Italia di tipo gratuito, ideata da mio padre Oscar e realizzata con la collaborazione del Gruppo Pagine Gialle. È stata una esperienza assolutamente innovativa, in un’epoca in cui le riviste patinate

free press non erano ancora state pensate». A ricordare è Franco Pomilio, figlio di Oscar, oggi Presidente della Pomilio Blumm. Franco ripercorre i momenti importanti dell’impresa di famiglia, attraverso gli eventi che hanno segnato i passaggi storici della sua crescita: «Un’esperienza fondamentale è stata la creazione in Arabia Saudita della Ameen Blumm, nata dalla partnership con lo sceicco Ameen Mansouri: il primo tentativo di internazionaliz-zazione in un Paese “difficile”. Poi, negli anni ’90, c’è stato l’ingresso nel gruppo pubblicitario P&T Company e con loro abbiamo lavorato per clienti come Cartasì, Corriere della Sera, Alfa Romeo, nella pubblicità che conta, quella della grande tv. La svolta che ha portato alla Pomilio Blumm di oggi credo che sia stata l’acqui-sizione di un grande cliente come Inail: all’epoca era il budget pubblicitario più importante in Italia. In quella occasione ci siamo misurati con i più grandi gruppi internazionali del nostro settore, da RCS a WPP, e abbiamo capito che qualitativamente potevamo competere».Franco Pomilio rappresenta la terza generazione di una famiglia che ha fatto della creatività un’impresa: pensiamo al nonno Ame-deo, ideatore dell’Aurum, che ha avuto in Gabriele d’Annunzio e in Marcello Dudovich il suo “copy” e il suo designer; o a Ottorino Pomilio, fratello di Amedeo, fondatore di una delle prime aziende aeronautiche italiane; o ancora ad un altro fratello, Umberto, che inventò il “metodo Pomilio” per la produzione della cellulosa, esportato in tutto il mondo. Insomma, una famiglia di uomini che hanno fatto dell’innovazione e della lungimiranza la loro vita e il

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• Franco Pomilio

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loro lavoro.Merito anche di una cultura e di un’apertura mentale di tipo in-ternazionale. «Già a partire dai miei nonni –dice Franco Pomilio– la tradizione era di specializzarsi all’estero. Chi si è diplomato in Svizzera, chi in Inghilterra, chi in Francia».Tradizione che è rimasta, se pensiamo che Franco Pomilio si è laureato negli Stati Uniti e ha conseguito specializzazioni alla Harvard University, al MIT di Boston e all’Insead, nel campus di Singapore. E tradizione che prosegue: Andrea Pomilio, figlia di Franco e di fatto quarta generazione nell’azienda, si è laureata in Business e Creative Writing con Wilbur Smith alla Kingston University di Londra e ora, dopo un’esperienza in Ogilvy, uno dei maggiori gruppi della comunicazione, segue il business di famiglia a Dubai.La vocazione internazionale si percepisce anche dai new busi-ness che la Pomilio Blumm sta coltivando da qualche anno.«Tutto è partito da Dubai –prosegue Franco Pomilio–. Nella Città degli Emirati Arabi abbiamo aperto una nostra sede in joint venture con una struttura dell’area, con l’obiettivo di sviluppare il Made in Italy sul mercato mediorientale. Abbiamo cominciato con Luxottica e il marchio Ray Ban, con una campagna promo-zionale in ben 7 Paesi: Egitto, Qatar, Oman, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein e Kuwait. Campagna ritenuta “Best BTL” del Medio Oriente dalla rivista “Campaign” e che ha vinto il Lynx Award. Poi è stata la volta di Azimut, uno dei più importanti produttori di yacht al mondo, per cui abbiamo curato la campagna pubblici-taria e l’organizzazione di promozioni all’interno di grandi eventi, come il PGA Golf Tour di Dubai e la Formula1 di Abu Dhabi. Adesso stiamo trattando con Assicurazioni Generali–Mediorien-te e Technogym».Dal Medio Oriente alla Libia, dove la Pomilio Blumm ha fatto un accordo con un partner di Tripoli, anche in vista della candidatu-ra della capitale libica ai Giochi del Mediterraneo del 2017: espe-rienza già nota all’agenzia, che ha curato la candidatura vincente di Pescara 2009 ad Almeria. Dalla Libia al Sudafrica con la realizzazione di un partenariato con un’agenzia che ha sedi a Johannesburg e Cape Town, fino ad abbracciare tutto il Mediterraneo, con accordi in Israele e Siria, nell’ambito del network Mediterranet, creato nel 2006 insieme ad un partner turco, e con la gestione del piano di comunicazio-ne pluriennale del programma IPA-Adriatic, per la cooperazione transfrontaliera tra i Paesi che si affacciano sull’Adriatico: dalla Slovenia alla Grecia, dal Montenegro alla Croazia.E l’attività di Pomilio Blumm nel mondo non si esaurisce qui:

«Abbiamo curato una serie di eventi economici in Italia per il Regno del Marocco e recentemente abbiamo ricevuto un nuovo incarico dal Ministero dello Sviluppo Economico –spiega ancora Franco Pomilio– per la promozione dell’immagine del made in Italy nei più importanti mercati internazionali. Il progetto tocca 14 piazze, tra cui San Paolo del Brasile, Canton, Hong Kong, Pechi-no, Seoul, Mosca, New York, e rappresenta una grande opportu-nità per le nostre piccole e medie imprese».Naturalmente la creatività e la capacità strategica di Pomilio Blumm si esprimono anche sul territorio italiano. «Il nostro fiore all’occhiello attualmente è Trenitalia». Dice con orgoglio Massi-mo Pomilio, socio e fratello di Franco, anche lui amministratore, che segue il settore Comunicazione Pubblica. «Siamo stati scelti come agenzia di comunicazione nel periodo più sfidante della storia del gruppo. Abbiamo curato, infatti, il lancio dell’Alta Velo-cità con Frecciarossa, di cui abbiamo disegnato il nuovo marchio e gestito la campagna su tutti i quotidiani e le tv nazionali. Abbiamo disegnato e promosso la fidelity Carta Freccia, che è un po’ la “Millemiglia Card” di Trenitalia, e ora ci apprestiamo a realiz-zare la campagna per il Biglietto Verde, prevista in primavera».Un altro cliente di prestigio è sicuramente il Corpo Forestale dello Stato: «L’agenzia ha acquisito nel tempo una notevole esperienza sulla comunicazione di tutto il sistema ambienta-le –spiega Massimo Pomilio– contando clienti dalla Sicilia al Veneto. Il Corpo Forestale dello Stato è nostro cliente ormai da 3 anni e nell’ambito di questo incarico abbiamo toccato tutte le tematiche verdi: dagli spot con Pippo Baudo ed “Elio e le storie tese” per la campagna di prevenzione incendi, sotto l’egida della Presidenza del Consiglio dei Ministri, fino alla gestione di eventi estremamente complessi come il 187° anniversario del Corpo, alla presenza del Presidente della Repubblica e di tutti gli esponenti del Governo». Anche grazie a questo importante incarico, l’agenzia ha dato vita da un paio d’anni ad una sezione specialistica di comunicazione ambientale, Blumm Green, a cui è strettamente collegata la divisione “Crisis”, dedicata alla gestione della comunicazione in casi di crisi o emergenza. I due spin off sono attualmente impegnati con l’avvio della campagna di pro-mozione della raccolta differenziata a Napoli e nell’organizzazio-ne di un summit internazionale sulla comunicazione di crisi che si terrà a settembre in Confindustria a Roma. Chairman dell’in-contro sarà Alaistar Campbell, consigliere personale e direttore della comunicazione di Tony Blair.Massimo Pomilio continua con passione a snocciolare i successi dell’agenzia.

• Assunta Altieri, Luisa Cilli, Gianpiero Di Gianvittorio, Graziella Core, Fernando Dell’Elice • Virginia Patriarca, Andrea Masci, Virginia D’Aloisio, Cecilia Collarossi, Antonio Labano

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Da due anni

l’agenzia ha creato

una sezione

per la comunicazione

ambientale,

la Blumm Green

• Letizia Trulli, Antonella Mastrangelo, Marco D’Annunzio, Consuelo Barilone• Francesco Bracci, Maria Laura Masci,

Sabrina Santucci, Alessandra Sorrentino

• Massimo Pomilio.Nelle foto in basso e nella pagina seguente lo staff di Pomilio Blumm

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Pensando a Inail e Inpdap dice: «Abbiamo contribuito al processo di rinnovamento di due dei principali sistemi di previdenza pubblici. In particolare Inail, nel 2005, è stato uno dei big spender in telepromozioni sulle reti nazionali, con la campagna di incen-tivazione all’assicurazione per gli 8 milioni di casalinghe italia-ne. Siamo poi esperti nelle tematiche legate ai Fondi europei: cerchiamo di trasformare sigle incomprensibili come POR, FSE, FESR in opportunità comprensibili per i beneficiari. Un’esperienza che ci ha portato ad aggiudicarci la gestione di piani di comuni-cazione integrata per diverse Regioni: Lazio, Campania, Sardegna, Abruzzo, Liguria, Calabria».E tra le citazioni di Massimo non può mancare la Regione Pie-monte: «Il cliente che in assoluto ci ha fatto viaggiare di più! Un contratto biennale per la promozione turistica a tutto campo in Italia, Francia, Spagna, Germania, Regno Unito, Benelux e USA. E i risultati sono stati eccezionali: in un periodo di crisi del comparto tuistico in Piemonte è stato rilevato un incremento del 12% dei flussi turistici. Incremento che ci ha garantito anche un premio previsto in contratto».Dubai, Sudafrica, Libia, l’Italia in lungo e in largo. E in Abruzzo?«L’Abruzzo è il luogo ideale per lavorare –dice Franco Pomilio– per la sua centralità logistica, che gli consente di essere intercon-nesso con le principali città italiane e sostanzialmente con tutto il mondo. E poi perché è un luogo dove si vive bene e i Pomilio hanno messo radici. E credo che questo sia un buon presuppo-sto per essere competitivo anche su scala internazionale. È una concezione che ho acquisito quando ho lavorato negli USA negli anni ‘80: sulla scia del fenomeno “Silicon Valley” le grandi agenzie pubblicitarie di Madison Avenue, a New York, hanno cominciato ad aprire filiali in città che si distinguevano per la qualità della vita. E così, a catena, le menti migliori, creativi e strateghi, si sono

spostati proprio in queste città non metropolitane».Un’attività senza confini quella della Pomilio Blumm e senza battute d’arresto. «Chiuderemo il 2009 –dice Franco Pomilio– con un bilancio molto positivo e con ulteriori obiettivi di crescita per il 2010: un dato in controtendenza con quello nazionale e interna-zionale anche del nostro settore».Merito di una strategia imprenditoriale dinamica e moderna. Ma merito anche di un team che conta ormai oltre 50 professionisti tra Pescara e le diverse unità italiane, Roma in primis. Professio-nisti che provengono da esperienze di ottimo livello, maturate anche all’interno di grandi gruppi pubblicitari, come Saatchi & Saatchi, Ogilvy, JWT, Dentsu, Young & Rubicam, McCann.Grazie anche a questo nutrito e competente team, la Pomilio copre tutte le aree della comunicazione integrata, compresi alcuni ambiti specialistici, come il Mall Positioning, cioè la comu-nicazione per i centri commerciali (non è un caso che tra i clienti dell’agenzia figuri il gruppo Coop), la gestione della partecipazio-ne alle fiere di settore di tutto il mondo o ancora la produzione di filmati istituzionali. E in questo Massimo Pomilio è un esperto. Da qualche anno un po’ per hobby, un po’ per lavoro si dedica alla cinematografia. «Questa mia esperienza –dice Massimo Pomilio– ha portato l’agenzia ad avere una specifica attitudine per tutto ciò che è rappresentazione video, che si estende fino alle nuove applicazioni sul web. Come è stato in occasione della realizzazio-ne del portale ufficiale del WWF “Junior” e come sarà nei prossimi mesi con la gestione del sito Shift Aid per Isfol-Ministero del Lavoro: il portale italiano dell’occupazione». Continuare a raccontare i successi di questa agenzia può diven-tare interminabile. Chiudiamo allora con una citazione: “una delle principali imprese italiane nella comunicazione istituzionale”… l’ha scritto proprio in questi giorni il Daily Media.

Un mondo di successiTante le perle nella colla-

na della Pomilio Blumm, e

tantissimi i clienti al servizio

dei quali ha messo la propria

creatività, in Italia e nel mon-

do. Luxottica, Ray Ban, Azimut,

Coop sono solo alcuni dei

grandi nomi che compaiono

nel carnet dell’agenzia, che

ha legato il suo nome anche a

molte campagne istituzionali,

come quelle per Inail, il Mini-

stero del Welfare, il Ministero

dell’Economia o come quelle

che ormai da tre anni realizza

per il Corpo Forestale dello

Stato. E naturalmente non

poteva mancare la collabo-

razione con gli enti locali: ha

progettato e sviluppato piani

di comunicazione integrata

per diverse Regioni, come

Lazio, Veneto, Campania,

Sardegna, Abruzzo, Liguria,

Calabria, senza contare la

Regione Piemonte, che le ha

siglato un contratto biennale

per la promozione turistica a

tutto campo, in Italia, Francia,

Spagna, Germania, Regno Uni-

to, Benelux e USA. Ma il vero

fiore all’occhiello attualmente

è la comunicazione istituzio-

nale per Trenitalia, un incarico

che ha portato la Pomilio

Blumm a disegnare il marchio

del Frecciarossa e a gestire il

lancio dell’Alta Velocità su tut-

ti i quotidiani e le tv nazionali.

• Alessandro Di Leonardo, Andrea Pomilio, Luca Morgavi, Rosita Focosi, Antonia Magnacca • Daniele Colangelo, Simona Di Luzio, Valentina Giuliani, Antonio Di Leonardo

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Credito & piccole imprese

Confidi in noiIn un forum organizzato a Pescara

il punto sul ruolo e il futuro

degli strumenti di garanzia per le Pmi

di Mimmo Lusito

Per le piccole imprese rappresentano quel che pic-cozza e ramponi sono per lo scalatore che si avvia lungo percorsi impervi: strumenti di sopravvivenza.

Tanto più necessari, quanto più la morsa della crisi non la-scia intravedere spazi per soverchie illusioni. Sono i confidi, ovvero gli strumenti di garanzia che provano ad avvicinare il mondo delle imprese al sistema bancario. Fratelli maggiori di quelli che in passato i piccoli imprenditori avevano impa-rato a chiamare più familiarmente cooperative di garanzia o consorzi fidi, sono destinati ad assumere un ruolo sempre più determinante nel futuro rapporto tra istituti di credito e Pmi. A certificarlo, il successo conseguito dal forum che il 20 gennaio scorso ha organizzato Fidimpresa Abruzzo, neonata “corazzata” nel panorama dei confidi abruzzesi, frutto della fusione di ben 11 strutture territoriali del sistema Cna.Un auditorium Petruzzi gremito in ogni ordine di posti da rappresentanti del gotha bancario abruzzese, ma anche del mondo dell’imprenditoria e delle istituzioni, ha fatto da scenario a un dibattito vivace a più voci (con il moderatore, il giornalista abruzzese Marco Panara, coordinatore di “Affari & Finanza” della Repubblica, si sono alternati il profes-sor Luca Erzegovesi dell’università di Trento, il direttore

regionale della Cna, Graziano Di Costanzo, il presidente regionale dell’Abi, Antonio Di Matteo, l’assessore regionale alle Attività produttive, Alfredo Castiglione) per fare il punto sul loro ruolo in Abruzzo, ma anche per porre domande e ricevere risposte: se siano troppi, se siano sufficientemente patrimonializzati, se il sostegno pubblico vada rafforzato. Se, in definitiva, assolvano a quel ruolo necessario di cerniera tra un banche –davvero o ritenute– troppo lontane dai problemi di ogni giorno delle piccole imprese. «Nonostante qualche timido segnale di fiducia nel supe-ramento della crisi –spiega il direttore regionale di Fidim-presa Abruzzo, Adriano Lunelli, che ha tenuto la relazione introduttiva– la fase più acuta non è ancora stata superata. Il 2009 è stato l’anno della crisi economica e finanziaria più grave del dopoguerra, ma proprio in questo periodo di tran-sizione si manifestano le preoccupazioni degli imprenditori, soprattutto di quelli più piccoli, per lo stallo della domanda, il blocco dei pagamenti, l’incertezza circa la continuità del lavoro e del modello produttivo basato sui sistemi locali. Si è ingenerato un clima di diffidenza tra i principali attori del sistema che certo non favorisce positive aspettative. Occorre ricreare un clima di fiducia tra gli operatori eco-

I numeri sono imponenti, tanto da farne una delle più grandi strutture di garanzia regionali: 14 milioni di euro di capitale sociale, 25 di patrimonio, 55 di finanziamenti erogati nel corso del 2008, una base associativa che sfiora le 9mila unità. Nato con questo dna, Fidim-presa Abruzzo è il consorzio fidi generato all’interno del sistema Cna Abruzzo attraverso la fusione di ben 11 strutture territoriali provinciali precedenti, divise tra cooperative di garanzia e consorzi fidi: Coopera-tiva Futura e Consorzio Finart a Pescara; Cooperativa Romeo Migliori, Cooperativa del Vastese e Consorzio Fidi Cofidapi a Chieti; Coope-

rativa Evo, Cooperativa Val Vibrata e Consorzio Serfidite a Teramo; Cooperativa Arcofidi e Consorzio Serfidi 2000 dell’Aquila; Consorzio regionale Abruzzo Fidi. «L’avvio della operatività della nuova struttura, dato il valore del patrimonio in rapporto alle garanzie in essere –dice il presidente Enio Straccia, imprenditore teramano di lungo corso nel settore delle co-struzioni e con una lunga esperienza di dirigente della Cna– ha visto un immediato beneficio per i soci in termini di riduzione di apporto di capitale destinato all’incremento del patrimonio ed un allineamento delle commissioni di garanzia su tutto il territorio regionale, oltre che un suo contenimento».

Corazzata Fidimpresa

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nomici per riavviare un ciclo virtuoso, ma in questo senso le banche devono fare la loro parte. Quelle grandi hanno in uso criteri “oggettivi” di valutazione del credito, spesso non riescono a cogliere a pieno il valore delle imprese e dei loro progetti, ma anche in quel mondo si va affermando la consapevolezza che occorre riavvicinarsi al territorio, alle imprese, per dare più valore ai parametri qualitativi. Il mondo delle imprese chiede di rivedere alcuni meccanismi previsti negli accordi di Basilea e di mettere a sistema, nel processo di valutazione del rischio, l’apporto dei confidi, non solo nella funzione di mitigazione del rischio, ma anche per la ricchezza di informazioni, di relazioni e di conoscenza dell’impresa».I confidi, dunque, sono tra gli strumenti individuati per riaprire un circuito virtuoso. Il professor Erzegovesi, che è considerato uno degli studiosi più apprezzati e nel suo dipartimento dell’ateneo trentino ha creato addirittura un sito (“Alea Blog”), snodo del dibattito nazionale, dal suo osservatorio privilegiato vede così il futuro degli strumenti di garanzia, soprattutto nel Mezzogiorno: «Dovrà essere avviato un processo di selezione, che premierà i confidi più capaci di stabilire un collegamento efficace tra imprese e

banche. Con la crisi, le banche hanno sospeso il giudizio sull’affidabilità di molte imprese, non ancora in crisi con-clamata ma a corto di liquidità, ma che per uscire dalla crisi hanno necessità di essere guidate da consulenti esperti e di buona volontà, che facciano ordine nei loro piano econo-mici e finanziari, e non è lavoro da poco. I confidi e le loro associazioni di riferimento devono occuparsi urgentemente di questo bisogno».Confidi più professionali, strutturati, forti: ecco quel che chiede il mercato. Un po’ il contrario di quanto accade in Abruzzo: «Nella nostra regione –osserva Graziano Di Costanzo– ne esiste un numero abnorme, un caso unico a livello nazionale. La Regione, e di questo occorre dare atto all’assessore regionale Castiglione, ha messo a punto un di-segno di legge che consente di perseguire il rafforzamento del sistema dei Confidi, con un ambito operativo regionale, la plurisettorialità, l’accesso ad agevolazioni regionali solo in presenza di alcune caratteristiche patrimoniali. Il processo aggregativo può essere rafforzato attraverso il sostegno al patrimonio in proporzione alla sua consistenza. Ma adesso si dovrà passare alla sua approvazione».

Che la via della fusione –peraltro “cara” all’assessore regionale alle Attività produttive, Alfredo Castiglione, che proprio su questo percorso ha disegnato la filosofia della riforma del settore– sia quella giusta, lo confermano i risultati realizzati nei primi mesi di attività della nuova creatura: «Dalla data di fusione alla fine dello scorso mese di dicem-bre, abbiamo avuto ben 435 nuovi soci, lavorato 1.126 operazioni di credito che hanno sviluppato delibere di garanzie per circa 60 milioni. Unico neo, la lentezza del sistema creditizio, che ha erogato 550 posizioni per 24 milioni di euro».La via maestra su cui Fidimpresa Abruzzo si è avviata, porta dritti a un esito quasi scontato: diventare, come si dice in gergo, un “confidi

107”, dove 107 sta per l’articolo del testo unico bancario che istitu-isce un elenco speciale delle società di intermediazione finanziaria, assoggettate a un regime di controlli da parte di Bankitalia partico-larmente duro, proprio in ragione del proprio status e rango speciale. Una condizione che costringe i confidi a uscire dall’età dell’infanzia dell’intermediazione finanziaria, per cambiar pelle come spiega il professor Erzegovesi, sotto il profilo «dell’adeguamento dell’organiz-zazione, del sistema dei controlli, delle procedure informatiche». Un approdo, dicono nella sede pescarese di via Cetteo Ciglia, che in casa Fidimpresa Abruzzo non potrà, non dovrà, non farà paura.

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• Qui sopra i partecipanti al dibattito: da sinistra, Adriano Lunelli, direttore regionale di Fidimpresa Abruzzo; Antonio Di Matteo, Presidente regionale ABI;

Graziano Di Costanzo, Direttore regionale CNA e Alfredo Castiglione, Assessore regionale alle attività produttive.

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ART Teramo

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Vento in poppa per l’agroalimentare, almeno a giudicare dall’accoglienza riservata ai vini abruzzesi al Vinitaly e dalle sei Gran Menzioni per gli oli regionali al Sol. Ma non è tutto: «La ripresa nel settore è cominciata –ha affermato Mauro Febbo, assessore

regionale all’agricoltura– e i numeri di Verona lo dimostrano. Abbiamo organizzato al Vini-taly un incontro tra le nostre aziende e 20 compratori stranieri, che hanno espresso vivace apprezzamento per i vini abruzzesi e hanno stabilito contatti che sono una vera boccata d’ossigeno per la nostra economia. Altro grande sforzo da parte della Regione riguarda la partecipazione abruzzese al Sol, che ha avuto un ottimo riscontro, sia dal punto di vista dei risultati commerciali che da quello del merito, con i sei premi conquistati dalle aziende abruzzesi. Il comparto vitivinicolo, insieme a quello oleario, riveste un ruolo di primaria importanza per l’economia regionale: in Abruzzo 33.685 ettari sono destinati a vigneto, con una produzione di uva di 4 milioni e 600 mila da cui si ricavano 3 milioni e 300 mila ettolitri di vino ogni anno; abbiamo 40 cantine sociali e 150 cantine private. È chiaro che il vino e l’olio sono i nostri migliori biglietti da visita, i prodotti più apprezzati sia in campo nazionale che all’estero. E ben vengano iniziative come quelle della famiglia Febo a Città S. Angelo (vedi servizio a pag. 58, ndr) che promuovono il turismo legato alle produzioni agroalimentari di qualità. È un tipo di turismo che è nostra intenzione sfruttare al meglio per restituire all’Abruzzo la sua immagine positiva, dopo un periodo travagliato».

Il profumodella ripresa

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Ekk

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È stato un Vinitaly emozionante, che ha voluto com-memorare due eventi tragici: il terremoto dell’Aquila, che sconvolse i tanti operatori presenti il 6 aprile 2009

al concorso in pieno svolgimento, e la scomparsa di Gianni Masciarelli, un nome estremamente significativo per l’Abruzzo e per l’enologia italiana. In memoria delle vittime del sisma è stato consegnato dalla Fedagri - Confcooperative un premio giornalistico a Giustino Parisse, giornalista del quotidiano “Il Centro” gravemente colpito dalla tragedia, mentre all’azienda Masciarelli è andato il “Premio Internazionale Vinitaly 2010”, uno dei riconoscimenti di maggior pregio del concorso, per aver “saputo raggiungere, nello spazio di appena un trenten-nio, due obiettivi fondamentali. Da un lato creare un marchio con pochi eguali in Italia, decisamente votato all’alta qualità senza compromessi, e dall’altro lanciare nel mondo i vini di un’intera regione, l’Abruzzo”. Pienamente soddisfatta Marina Cvetic: «Questo premio –ha dichiarato– è un onore per tutte le aziende abruzzesi che lavorano seriamente e va anche alle tante donne che si dedicano e lavorano in silenzio e sono ambasciatrici delle loro aziende e dei loro territori».Sul fronte dei premiati l’Abruzzo esce, ancora una volta, vincitore dal concorso enologico più importante d’Italia. Anche quest’anno una Gran Medaglia d’oro (al Montepulciano d’Abruzzo Doc Cerasuolo 2009 dell’Azienda “Terra d’Aligi” di Atessa), una Medaglia d’oro e una d’argento (entrambe alla Cantina Tollo rispettivamente per il Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo “Roccaventosa” 2009 e per il “Valle d’oro” 2009), una Medaglia di bronzo (al Trebbiano d’Abruzzo Doc “Santa Cecilia” della tenuta “I Fauri” dell’Azienda agricola Domenico Di Ca-

Montepulciano en roseAnche quest’anno grande successo abruzzese al Vinitaly:

sul podio Cerasuolo e Trebbiano, nel ricordo di tutti

L’Aquila e Gianni Masciarelli

di Nome Cognome

Vinitaly

• Alcuni dei vini premiati al Vinitaly 2010. A fianco il grande vignaiolo

Gianni Masciarelli ricordato a Verona 54

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millo di Chieti) e ben 84 Gran Menzioni. La vera notizia, però, è che il Montepulciano d’Abruzzo, portabandiera dell’eno-logia regionale, non è più solo: grande interesse tra critica e pubblico hanno suscitato le degustazioni, curate dall’AIS Abruzzo e presentate da Adua Villa –la popolare sommelier della “Prova del cuoco” di RaiUno– dei vini spumanti da viti-gni autoctoni, svoltasi l’8 aprile con i prodotti delle aziende Marramiero, Chiarieri, Illuminati, Tenuta Ulisse e Santoleri, insieme a quella sui vitigni autoctoni (domenica 11: prota-gonisti Cococciola, Passerina e naturalmente il grande trend degli ultimi anni, il Pecorino) e non ultimi i vini da dessert (venerdì 9), con la presentazione, tra gli altri prodotti, delle prime 15mila bottiglie di Moscatello Passito Igt Colline Pe-scaresi ottenute dalla vinificazione del primo raccolto della vendemmia 2009, a firma dell’azienda vinicola Angelucci di Castiglione a Casauria. Quest’anno, inoltre, è stato assegna-to il premio speciale “Vinitaly Regione 2010” –una novità di quest’edizione– che, per l’Abruzzo, è andato all’azienda “Terra d’Aligi” di Atessa, già premiata con la Gran Medaglia d’Oro. Tra i tanti personaggi che hanno visitato il padiglio-ne Abruzzo vanno citati senz’altro Bruno Vespa e Giovanni Cobolli Gigli, presidente della Juventus; immancabile anche D’Annunzio, “presente” al Vinitaly con un recital di Franca Minnucci in occasione della presentazione di “Voluptuosus”, il Montepulciano d’Abruzzo Doc della cantina Nestore Bosco, che ha messo il Vate sull’etichetta della sua nuova creazione. Un connubio decisamente da brindisi.

Gianfranco D’Eusanio

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Sol 2010

Aziende d’oro

Duecento aziende provenienti da tutto il mondo si sono date appuntamento quest’anno al Sol 2010, la manifestazione fieristica più importante del mondo

per il settore degli oli d’oliva di qualità. E “qualità” sembra essere stata proprio la parola d’ordine per le 24 aziende abruzzesi partecipanti, sei delle quali –5 della provincia di Chieti e una della provincia di Teramo– hanno portato a casa una Gran Menzione, ottenendo un risultato di eccezionale importanza per l’intero settore agroalimentare regionale. Anche se le stime non ufficiali parlano infatti di una certa flessione nella quantità prodotta nel 2009, dovuta a una serie di attacchi fitoparassi-tari che hanno inciso sul raccolto, la qualità della produzione si è notevolmente elevata per precisa volontà delle aziende produttrici, decise a puntare su un target commerciale attento e qualificato. «Il dato più interessante della manifestazione appena conclusa –osserva Marino Giorgetti, esperto oleario dell’Arssa– è l’alto livello qualitativo non solo degli oli presenta-ti, ma del pubblico intervenuto: consumatori, buyer e operatori del settore (gastronomi, ristoratori, commercianti) in visita al nostro padiglione hanno dimostrato una competenza e una

preparazione mai riscontrata in tanti anni di presenza al Sol». Un pubblico che ha esaminato quindi a fondo i prodotti delle aziende abruzzesi, premiandole infine con numerosi contatti commerciali, equamente cresciuti sia sul fronte interno che su quello internazionale, «segno di un concreto interesse da parte del pubblico, che si avvicina all’olio di qualità preferendolo ai prodotti realizzati con oli comunitari di varia e poco rintraccia-bile provenienza», prosegue Giorgetti. «Quest’anno abbiamo tutti ottenuto grandi soddisfazioni, portando a casa due premi in più rispetto alla scorsa edizione. E delle sei aziende premiate, due si presentavano per la prima volta al concorso: questa è la testimonianza che i nostri produttori stanno lavorando bene, e che l’olio abruzzese ha intrapreso la strada giusta per brillare sui mercati internazionali». Ecco i sei vincitori: nella categoria “Fruttato leggero”, Cantinarte di Chieti, Frantoio Zappacosta di Bucchianico, Azienda Agricola La Selvotta e Tenuta Zimarino di Vasto; nella categoria “Fruttato medio”, ottengono la Gran Menzione l’Azienda agricola Tommaso Masciantonio di Casoli e il Frantoio Montecchia di Morro d’Oro. Mimmo Lusito

• Marino Giorgetti, esperto oleario dell’Arssa.

Risultato storico per l’Abruzzo che a Verona conquista sei Gran Menzioni nel più importante concorso oleario internazionale

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GUTEN APPETIT, HERR DE CECCO I tempi cambiano, e cambiano anche le abitudini. Perfino in Germania, paese dalla solida tradizione gastronomica a base di carni e verdure, dove già da parecchi anni ha fatto breccia l’italianissima pasta. Quella che però entra nelle case tedesche non è una pasta qualsiasi, bensì l’abruzzese De Cecco, che ha visto salire del 7% i consumi tedeschi nel 2009. Motivo della crescita, l’uso sempre maggiore della pastasciutta tra le mura di casa, dove gli spaghetti si cuociono al dente e non si mangiano scotti come avviene, purtroppo spesso, nei ristoranti. Insomma, i gusti dei tedeschi in materia di cucina mediterranea si allineano agli standard italici, e De Cecco ha saputo cogliere al volo questo cambiamento, tanto da decidere di aprire una filiale a Düsseldorf e di entrare nella grande distribuzione. Spiega Gunter Willaert, responsabile per l’export nella sede di Pescara: «Il fatturato sul mercato tedesco, nel 2009, è stato di 10 milioni di euro; le ven-dite potrebbero aumentare fino al 25-28% nel 2010. Nello stesso modo in cui non si deve bere una birra belga in un bicchiere di plastica, i tedeschi hanno capito che la pasta non deve essere stracotta ma al dente, e noi siamo lì per soddisfarli. Ecco perché abbiamo deciso di vendere anche ai supermercati e non più solo ai grossisti della ristorazione».

UN GIULIESE NEL PAESE DEL SOL LEVANTE

È di Giulianova, fa il cuoco e servirà presto vini italiani e bollente caffé espresso su un terrazzino affacciato sul mare. La città però non è Giulianova ma Hayama, e al posto dell’Adriatico c’è nientepopodimeno che l’Oceano Pacifico. Tutto ciò avviene in Giappo-ne, dove il cuoco giuliese Arino De Berardinis e l’interprete giapponese Hiroko Yamada hanno inaugurato il locale italo-nipponico Trattoria Arino. Dopo il suo approdo in Giappone (avvenuto nel 2004 per amore) Arino ha conosciuto l’interprete Hiroko Yamada ed insieme hanno fondato la società Vigorosa Incorporation, di cui quest’ultima è il Presidente. Dopo ripetuti tentativi i due hanno finalmente trovato il luogo adatto per aprire una trattoria, decidendo di investire nella famosa città turistica di Hayama, frequentata da molti attori e attrici giapponesi che qui hanno la seconda casa. Casualità, a pochi minuti di macchina, c’è la residenza estiva dell’at-tuale Imperatore del Giappone Akihito.

LA CUCINA ABRUZZESE SBARCA IN USAÈ stato Matt Gross, cronista di viaggi a tema enogastronomico del New York Times, a portare a conoscenza degli statunitensi la cucina casalinga abruzzese, in un reportage realizzato in due settimane di permanen-za nella nostra regione. Gross ha raccontato sulle pagine del grande quotidiano americano il suo soggiorno ad Abbateggio, Carpineto della Nora e Sulmona, dove è stato ospite di alcune famiglie che –e non c’è da stupirsi– lo hanno ampiamente soddisfatto proponendogli delizie come tacconelli alla cucuzzara (ovvero con le zucchine), spaghetti alla chitarra, sagnarelle e ceci, costolette d’agnello, pecora alla callara e naturalmente fiadoni, pecorino, formaggio di capra, prosciutto e altri prodotti tipici, innaffiando il tutto con dell’ot-timo Montepulciano, per finire con caffè (corretto alla Centerba) e ammazzacaffè di vario genere, rigorosamente fatti in casa. «Se dovessi morire, questo sarebbe il miglior modo per andarmene» commenta Gross nel suo racconto, un entusia-stico reportage –intitolato inequivocabilmente “Mangia, mangia!”– che esalta la genuinità della cucina casalinga abruzzese, preferita dal giorna-

lista alla più nota cucina napoletana o emiliana. Per esplorare l’Abruzzo gastronomico Gross si è servito di un sito web, quello dell’associazione per la tutela e valorizzazione del patrimonio cucinario gastronomico tipico d’Italia, che con il progetto Home Food (www.homefood.it) patrocinato dal Ministero delle Politiche Agricole, da varie Regioni italiane e in collabo-razione con l’Università di Bologna, valorizza e diffonde la cultura del cibo tradizionale intrecciata con la cultura del prodotto tipico e del territorio. Associandosi è possibile essere ospiti di famiglie italiane e gustare cibi cucinati dalle padrone di casa (affettuosamente chiamate Cesarine) depo-

sitarie dell’antica sapienza culinaria.

Abruzzo international5stelle

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EKK/Abruzzo in sintesi

Sarà il garden più grande

del centro Italia e farà da cornice

a una vetrina del prodotto tipico,

a un ristorante per le degustazioni

e a un centro business

nell’ex Cantina Sant’Angelo

di Andrea Carella

Un’iniziativa privata che dà lustro alla regione, aumen-tando l’offerta turistica legata all’enogastronomia. Nascerà nell’ex Cantina S.Angelo (apertura prevista per

settembre 2010) per mano della famiglia Febo, attiva nel settore florovivaistico da più di cinquant’anni, e prevede una vasta area dedicata al garden, un’area Food con una vetrina dei prodotti tipici abruzzesi di qualità, un ristorante per le degustazioni, un bar e un centro business. Il progetto ha un nome singolare: EKK –che sta per “qui” in dialetto abruzzese– ed è stato presentato da Umberto Febo, titolare del Gruppo Febo in una affollata conferenza stampa alla presenza dell’assessore regionale per l’Agricoltura Mauro Febbo, del sindaco di Città Sant’Angelo Ga-briele Florindi e dei professionisti coinvolti nell’iniziativa. «EKK è un’idea innovativa –ha detto Mauro Febbo– che non solo ri-qualifica una parte strutturale importante di questa zona che la contraddistingue da sempre agli occhi di tutti, ma la arricchisce enormemente. Solo unendo le forze ci rimetteremo in campo. Finalmente possiamo utilizzare il marchio Abruzzo su tutti i pro-

dotti tipici, che rappresentano l’Abruzzo forte e gentile. Dob-biamo anche premiare la ristorazione che si avvale dei nostri prodotti regionali». L’idea nasce «dall’esigenza di trovare nuovi spazi per il garden –racconta Umberto Febo– e questa strut-tura ci sembrava ideale. Una volta acquistata abbiamo deciso di dare il via a un progetto che ne potesse sfruttare appieno tutte le potenzialità, che andasse al di là delle nostre necessità operative». Così entrano in gioco nuovi personaggi: primo fra tutti l’architetto Mario D’Urbano «che ha progettato il recupero integrale dell’edificio industriale –prosegue Umberto– ripor-tando tutto allo stato originario. Poi è intervenuto Claudio Ucci, direttore marketing di EuroConsulting, che ha analizzato il mercato dal punto di vista alberghiero individuando subito la proposta giusta da fare sul fronte dell’accoglienza. Infine Tino Di Sipio, gastronomo ed esperto di produzioni tipiche abruzzesi che ci ha aiutato nell’analisi di mercato per l’offerta enogastro-nomica. In sostanza abbiamo cercato di far convergere in una sola struttura il verde, l’accoglienza e il mangiar bene».

Il giardino delle delizie

(tipiche)

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30mila metri quadrati in tutto, con parcheggi per quasi 10mila metri quadrati, 2mila metri quadrati solo per il centro business (con 33 camere e 12 uffici); inoltre mille metri quadrati di super-ficie destinati all’area Food, con il ristorante (affidato alle sapien-ti mani della Degusto di Natalino Zaami), il bar EKK Café e l’area espositiva dei prodotti, e infine 4mila per il cosiddetto “garden”, ovvero l’esposizione vivaistica (in cui troverà spazio anche il settore dei giardini pensili e del verde verticale, di cui si occupa Optima, un’azienda del Gruppo Febo) curata direttamente dalla famiglia. «Gestiremo direttamente anche la parte relativa alla vendita e degustazione dei prodotti tipici –spiega Antonella Febo, responsabile del settore garden– che costituisce la vera novità dell’intera operazione. Ci sono già alcuni accordi con dei produttori che abbiamo incontrato al Vinitaly e che ci hanno confermato la bontà dell’iniziativa. Quel che vogliamo è realiz-zare una sorta di vetrina-mercato del prodotto tipico abruzzese, che sarà arricchita dal contributo dei produttori tramite l’orga-nizzazione di eventi legati alle tipicità. In pratica l’hotel lavorerà

nel settore business dal lunedì al giovedì, mentre nei weekend sarà improntato al turismo enogastronomico e quindi rivolto anche alle famiglie, che potranno trovare in loco ciò che prima erano costretti a cercare fuori –ovvero i prodotti tipici– con largo dispendio di energie e di tempo. E oggi le vacanze lunghe non si fanno più». Una nuova, duplice attrattiva turistica, quindi, nella già “appetitosa” Città S.Angelo, che diventa così una meta obbligata per gli amanti dell’enogastronomia e del verde, che si sa, in Abruzzo non manca: «Abbiamo una vasta superficie dedicata alla nostra attività storica –chiarisce Enzo Febo– che farà anche da cornice alle diverse parti della struttura. Inoltre organizzeremo, durante l’anno, eventi e mostre che andran-no a combinarsi con gli eventi dell’area Food e con le attività dell’albergo, così da mettere tutti i settori in comunicazione fra loro e poter offrire un pacchetto turistico veramente diverso e innovativo. Del resto, in altre parti d’Italia, ci sono persone che vanno a vedere esposizioni floreali e vivai anche a 300 km di distanza».

• Nella foto grande, Enzo, Antonella e Umberto Febo; sullo sfondo l’ex Cantina S.Angelo.

Qui a fianco il brindisi dopo la conferenza stampa. Da sinistra Tino di Sipio, Mario, Um-

berto ed Enzo Febo, Natalino Zaami, Gabriele Florindi, Antonella Febo e Claudio Ucci

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Dream team della tradizione

ART Associazione ristoratori teramani dentro le mura

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di Luca Mastromattei

Sono in cinque, come una squadra

di basket o di pallamano.

Ma il loro campo di gioco è la cucina

E il loro pubblico i buongustai

di tutto il mondo

Dream team della tradizione

Cucinare è un’arte. Lo sanno bene a Teramo, dove da qualche mese si è costituita l’ART, un’associazione tra ristoratori del centro storico (associazione ristoratori te-ramani “dentro le mura”), allo scopo di valorizzare la cucina teramana in Italia e

all’estero, diffonderne la conoscenza, rivalutare i piatti dimenticati e i prodotti del territorio, andare alla ricerca della cucina di qualità e di nuove ricette basate sulla tradizione locale. La singolare iniziativa è di Marcello Schillaci, titolare del ristorante La Cantina di Porta Ro-mana. Con lui i proprietari di altri quattro ristoranti storici del centro cittadino: Marcello e

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Associazione Ristoratori Teramani

LA CANTINA DI PORTA ROMANA di Marcello Schillaci

Non stupitevi se questo che oggi è un rinomato ristoran-te ha l’aspetto di una cantina: in realtà si tratta proprio di una cantina, e la cucina che lo chef Marcello Schillaci ser-ve nel suo locale è esclusivamente la cucina “da cantina”, la madre della cucina tipica teramana. «Quando i pastori, anticamente –racconta Marcello– venivano in città per partecipare alle fiere, entravano in cantina, e barattavano i loro prodotti per un piatto caldo al ritorno dalla lunga giornata fieristica. È così che sono nati tanti piatti terama-ni, dall’incontro tra materie prime di alta qualità e cucina veloce, da cantina appunto». E la Cantina di Porta Roma-na ripropone quei sapori: frattaglie, odori, carni povere, legumi, tutti i prodotti del fiume (pesce, gamberi, rane, etc.), carne di maiale, pecora, agnello, salumi e formaggi.

Naturalmente tutto servito secondo il disciplinare di ART di cui Marcello, 20 anni di ristorazione alle spalle, è stato promotore e fondatore. Oggi il ristorante, che sorge nello stesso luogo dove un tempo si trovava “la cantina di Falasca”, permette una full immersion nella città, nella sua storia (alle pareti tantissime foto della vecchia Teramo) e nei sapori della sua tradizione.

Pietro Perpetuini dell’Enoteca Centrale, Francesco Auricchiani del ristorante Duomo, Gra-ziano Celli dei Carati di Bacco, e soprattutto Paolo Pompa, titolare dell’Antico Cantinone, a pochi passi dal centralissimo Corso Cerulli, e della Locanda del Pompa a Campli, il suo casolare di campagna. «L’idea di ART –spiega Marcello Schillaci, presidente dell’associazio-ne– nasce dall’intenzione di rivedere e valorizzare la ristorazione teramana, alla luce delle problematiche relative alla tutela della cucina locale sorte in seguito, ad esempio, alla vit-toria di concorsi importanti da parte di ristoranti non teramani grazie a piatti della nostra tradizione. Insieme a Paolo Pompa ci siamo detti che c’era da fare qualcosa, e abbiamo, scusate il gioco di parole, messo sul piatto la nostra storia, la nostra esperienza, e abbiamo così riunito alcuni dei principali ristoratori dentro le mura per tutelare la cucina tera-mana». Come? «Attraverso una serie di iniziative gastronomiche –prosegue Schilla-ci– ma anche teorico-pratiche (come i corsi di cucina teramana, che preludono alla costituzione di una vera e propria scuola) e naturalmente tramite la proposta, nei nostri rispettivi ristoranti, di piatti tipici teramani, realizzati però seguendo un vero e proprio disciplinare che garantisca al consumatore che quello che mangia è dav-vero un prodotto tipico teramano». La cucina teramana è frutto dell’unione tra una cucina nobiliare e la tradizione popolare e povera, essendo Teramo al confine tra Regno Borbonico e Stato della Chiesa: i cuochi cittadini andavano a lavorare per le grandi corti nobiliari portando sulla tavola dei ricchi signori i prodotti della cucina casalinga. «Quando i Francesi sono andati via hanno conservato molte delle abitudini gastronomiche apprese in Abruzzo. Ecco ad esempio come le Scrippelle sono “madri” delle crêpes che oggi sono uno dei simboli della cucina francese. Gli arrosticini, poi, erano un pranzo veloce che i briganti consumavano in fretta tra una razzia e l’altra». I ristoratori dell’ART si propongono pertanto come veri ambasciatori della cucina teramana. Vediamo insieme chi sono.

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CARATI DI BACCOdi Graziano Celli

Nato come “bottiglieria”, presto ha aggiunto alla degustazione di vini anche l’offerta gastronomica, con proposte derivate dalla tipica cucina familiare: «Mia moglie Anna-maria –spiega Graziano Celli, proprietario– si è dedicata con passione a rinvigorire il suo repertorio casalingo con altre ricette tradizionali, frequentando anche corsi tenuti da altri rinomati chef abruzzesi. Il menu cambia tutte le settimane, usiamo materie prime buone, e principalmente condiamo con l’olio. Cerchiamo di seguire le stagioni e salvaguardare la tipicità. A maggio, per esempio, proponiamo le classiche “Virtù”, il piatto principe della tradizione: mangiarle è d’obbligo, si aspetta un anno per poter gu-stare questo piatto speciale, che mia madre preparava davvero con i rimasugli della dispensa, e noi cominciamo dieci giorni prima a raccogliere gli ingredienti negli orti, dove per fortuna ci sono ancora contadini che coltivano verdure come l’aneto, introvabili nei negozi. Per il resto, la cucina praticamente è quella tradizionale teramana, anche se non disdegnamo ogni tanto di utilizzare carni straniere, tipo angus o agnelli neoze-landesi, anche perché le nostre razze bovine sono storicamen-te “da lavoro”».

L’ANTICO CANTINONEdi Paolo Pompa

Tutti in città conoscono il nome di Paolo Pompa, rappresentante di una tra le più note famiglie di ristoratori teramani. La sua Locanda del Pompa, alle porte di Campli, è attiva dal 1999; l’Antico Cantinone è invece il ristorante cittadi-no, rilevato nel 2002: «Facciamo cucina stagionale, abbiamo la fortuna di avere una grande tradizione culinaria che però non si basa sulla materia prima ma sul prodotto trasformato, cucinato. Negli ul-timi anni l’attenzione alla materia prima è cresciuta, e questo è un bene; ma è una tendenza nata da poco» spiega Paolo, che è stato uno dei promotori dell’ART. «L’adesione è stata un passo naturale, il concetto di fare squadra mi apparteneva già. Credo che quest’associazione possa fare molto per la gastronomia locale».

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RISTORANTE DUOMOdi Francesco Auricchiani

Come il nome suggerisce, il ristorante Duomo si trova a pochi passi dalla Catte-drale teramana. Ai fornelli di questo storico locale Francesco Auricchiani, che lo ha preso in gestione da tre anni insieme ai suoi soci Susanna Fioravante, Simona Ruffini, Gianluca Ferrari. «Ho fatto l’alberghiero a S. Benedet-to –racconta– ho girato un po’ per l’Italia e molto nella nostra zona. La nostra è una cucina tipica –ritengo la cucina teramana tra le più buone d’Italia– e di solito cerchiamo di attenerci alle ricette tradizionali. Ma io mi diverto a volte a stravolgerle, a fare qualcosa di particolare: ad esempio ho rivisitato la chitarra alla teramana facendo una pasta con acqua, farina e zafferano (anziché all’uovo), il

ragù di agnello (invece che misto) e delle polpettine cacio e ova al posto di quelle di carne. Per tornare ai piatti classici, proponiamo i rintroceli, la chitarra nella versio-ne tradizionale, le scrippelle ‘mbusse, le rape ripassate, la trippa… Anche il tacchi-no alla canzanese, ovviamente tutto viene preparato da noi. Abbiamo un buon successo anche con la seconda parte del menu, che propone piatti meno legati alla tradizione». Nel locale anche una zona per l’aperitivo, momento in cui si possono gustare stuzzicherie varie come salumi tipici, fritti, ecc. in un buffet molto vario.

ENOTECA CENTRALEdi Pietro e Marcello Perpetuini

Il nome dell’Enoteca Centrale è conosciuto a Teramo dal 1965, quando era un semplice bar; dal 1998 la nuova sede, in Corso Cerulli, dispone anche di una bella cucina (diretta dallo chef Stefano Chiarini), e così il locale dei due fratelli Pietro e Marcello Perpe-tuini è diventato un luogo d’incontro, dove poter fare quattro chiacchiere con gli amici sorseggiando un aperitivo all’ora di cena o dove degustare ottimi piat-ti tipici in piena tranquillità, naturalmente innaffiati

da una eccellente selezione di vini da tutta Italia. «Quella dell’ART ci è sembrata un’ottima iniziativa –racconta Pietro – e ci sembrava giusto aderire per aiutare la cucina teramana a ritrovare gli antichi fasti. Nel nostro ristorante, accanto alle tipicità locali che costituiscono il 30% della nostra offerta, cerchiamo di proporre piatti tradizionali da altre regioni, sempre con un nostro tocco personale e secondo la dispo-nibilità delle materie prime, perchè la nostra è una cucina stagionale, che segue la natura». Trenta coperti, aperto dal lunedì al sabato.

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Parco Nazionale Gran Sasso-Laga

Un pomodorocontro la crisiLa ricostruzione degli aquilani nasce negli orti.

Dall’Ente Parco e Slow Food un aiuto concreto per recuperare

fiducia nel futuro e ritrovare il rapporto con la natura.

E in più combattere la crisi

di Marcello Maranella

Un orto per ricostruire il futuro. Uscire dal tunnel della depressione post-terremoto tramite un’attività positiva e coinvolgente per bambini, ragazzi e anziani, adatta a

riscoprire il valore del gioco, della socialità. È da queste basi che è partita l’idea del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga di allestire, con la complicità di Slow Food, dieci orti colletti-vi in dieci tendopoli all’indomani del terremoto del 6 aprile scor-so. L’iniziativa ha interessato i campi di Camarda, Onna, Tempera, Paganica, San Gregorio, Arischia, Collemaggio, San Felice d’Ocre, Pizzoli, Castelnuovo, e non si è naturalmente limitata all’allesti-mento del fazzoletto di terra: il personale del Parco ha fornito agli abitanti del campo il necessaire per la coltivazione e la cura dell’orto, e Slow Food ha supportato con corsi di giardinaggio e orticoltura la formazione dei nuovi agricoltori. La notizia ha avuto una larga eco sulla stampa nazionale, e anche la Rai ne ha parlato durante programmi di grande ascolto come Geo & Geo e Linea Verde. L’iniziativa ha naturalmente un fondamen-to esistenziale molto profondo in quei luoghi dove il futuro rimane ancora confuso e incerto; ma nasce anche da una serie di progetti comuni nati dalla collaborazione tra Parco e Slow

Food a tutela dell’agricoltura, della zootecnia e della biodiversità nei territori del Parco Gran Sasso Laga, in atto da molto tempo. E che oggi vengono alla ribalta grazie ad analoghe iniziative che, tra moda e impegno ecologista, si diffondono in molte parti del mondo: basti pensare agli orti metropolitani che nascono a New York, a Londra, a Milano; alle politiche del Comune di Bologna, che ha affidato oltre tremila appezzamenti di verde pubblico in otto quartieri a cooperative di anziani e pensionati per coltivarli a ortaggi, erbe aromatiche e fiori; a piccoli centri come il borgo residenziale di Todmorden nello Yorkshire, che dopo aver trasformato in orto cittadino ogni metro quadrato di verde pubblico aspira all’autosufficienza agricola entro il 2018, motivando l’iniziativa con la lotta al carovita e all’inquinamento globale, limitando le emissioni nocive dei camion che traspor-tano gli ortaggi. E la partecipazione di Slow Food ai progetti del Parco e alla creazione degli orti aquilani non è casuale: fu proprio Carlo Petrini, fondatore dell’associazione, a pubblicare qualche anno fa il manifesto di quella che dovrebbe essere la cultura gastronomica del nuovo millennio, quel �Buono, pulito e giusto. Princìpi di nuova gastronomia� che stabilisce il rapporto tra chi

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produce e chi consuma, fornendo regole per un’alimentazione sana che tenga conto del rispetto dell’ambiente e delle tradizio-ni, favorendo la biodiversità e un’agricoltura equa e sostenibile. E nell’ottica di un rinnovato amore per la natura va a collocarsi dunque anche questo progetto, attorno al quale si è alimen-tata una significativa gara di solidarietà fra i soci e i partner di Slow Food attraverso il coinvolgimento di grandi aziende come Valpadana, Honda, Prober, Federbio, Terra, Marcopolo, Consorzio Agrario Chieti-Pescara. L’ARSSA, l’azienda di sviluppo agricolo della Regione Abruzzo, ha affiancato i propri esperti ai tecnici del Parco Gran Sasso Laga e a enti di tutela come la Riserva naturale Regionale Lago di Serranella-Chieti che, attraverso la propria rete di agricoltori custodi, ha recuperato piante autoctone abruzzesi adatte ai territori montani. Determinante è risultata la collabora-zione fra le maestranze del Parco per la capillare predisposizione delle recinzioni e i formatori degli orti di Slow Food arrivati da tutta l’Italia per affiancare le popolazioni e aiutarle nella gestione degli Orti Collettivi con un lavoro scrupoloso e attento al man-tenimento della biodiversità agricola e alla tradizione aquilana della coltivazione. Il tutto finalizzato alla consapevolezza che

nutrirsi di cibi naturali autoprodotti può stimolare la fiducia in se stessi e nel mondo. In buona sostanza l’idea originaria ha dato i suoi frutti in coincidenza con la chiusura delle tendopoli e la naturale fine stagionale degli orti primaverili ed estivi. Ma il progetto proseguirà in altre forme grazie all’azione di Associa-zioni come la Pro loco di Onna, �Il Treo� di Camarda, �La Casetta che non c’è� di Pagliare di Sassa, �Mira� di Paganica, �Ricostruiamo Castelnuovo�, �Amministrazione dei Beni Separati per l’orto di Arischia� e Enti locali che si sono impegnati a dar vita a nuovi orti collettivi accanto a scuole e punti di aggregazione con scopi sociali e riabilitativi. Questa sensibile manifestazione d’intenti si è evidenziata a fine estate presso la villa comunale dell’Aquila con una vera e propria festa della terra e dei suoi frutti donati dai volontari e da quanti hanno fattivamente realizzato, in ciascuna delle tendopoli, il fantastico progetto promosso dal Parco del Gran Sasso e da Slow Food. Tanti i protocolli d’intesa sottoscritti e altrettanti impegni assunti, non ultimo la concessione in co-modato d’uso gratuito delle attrezzature dell’orto di Collemag-gio all’Associazione Italiana Persone Down, sede dell’Aquila.

Alcune immagini degli orti collettivi allestiti dal personale del Parco

nazionale del Gran Sasso nei pressi di una tendopoli aquilana

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Borgo San Benedetto

Crea la tua casa con un software online

Bioarchitettura e tecnologia: così si costruisce “a misura d’uomo”. Alle porte di Rosciano nasce il Borgo del benessere abitativodi Alberto Bondi, Responsabile Marketing Borgo San Benedetto

www.bsbenedetto.it

Valori che si rivalutano nel tempoBorgo San Benedetto non è solo un complesso residenziale, ma un’oasi di benessere e serenità. L’idea progettuale si basa infatti su un nuovo modo di costruire, che mette al centro l’uomo, i suoi desideri e le sue esigenze. Non a caso, Borgo San Benedetto è stato definito uno dei più avveniristici esperi-menti di bioarchitettura mai realizzato in Italia: ogni dettaglio è stato studiato per regalare ai residenti un’alta qualità del vi-vere, nel rispetto del territorio e dell’ambiente. Questa nuova filosofia assicura numerosi vantaggi: in primis un valore cre-scente dell’immobile, assicurato da qualità, comfort e bellezza del Borgo. A tutto questo si affiancano caratteristiche fonda-mentali, quali la certificazione in Classe A, che consente un risparmio energetico fino all’80% sulle bollette; l’immersione nella natura con il 75% di terreno occupato dal verde; la sicu-rezza abitativa al 100%; la presenza di numerosi servizi ma an-che la posizione strategica, vicinissima alle città, ai centri com-merciali, al mare e alla montagna; infine un’urbanizzazione ragionata che porta l’indice di vivibilità (rapporto fra numero di residenti ed edificato) ad essere superiore al 22%. Senza di-menticare che BSB nasce nel Comune di Rosciano (Pescara), un territorio splendido dal punto di vista naturalistico, storico e culturale, il luogo ideale per ospitare uno degli esempi più riusciti di costruzione “a misura d’uomo”, in cui uomo e am-biente ritrovano l’armonia. Un software online dà forma ai tuoi sogniPer descrivere nel dettaglio tutte le particolarità del progetto, abbiamo realizzato un sito web (www.bsbenedetto.it), dove si scopre da vicino perché una casa a BSB rappresenta un inve-stimento per la propria serenità e per la vita.Oltre a tutti i vantaggi di una casa progettata come massima espressione del comfort, BSB offre un’opportunità unica. Visi-

tando il sito, è possibile usufruire di un programma innovati-vo, che individua la casa dei sogni: si tratta di un vero confi-guratore, che dà forma ai desideri. In poche e semplici mosse, seguendo le indicazioni, è possibile impostare una serie di parametri che corrispondono a esigenze, desideri e richieste di personalizzazione; il software elabora i dati e presenta la casa più adatta, presente nel Borgo. Un’occasione unica per ammirare in tempo reale come potrebbe diventare la propria abitazione, ovviamente senza alcun impegno. Un’applicazio-ne tecnologica in linea con la filosofia progettuale di BSB, ov-vero costruire spazi su misura per chi li dovrà abitare.La “community” di BSB: il portale intranet del BorgoNel progettare Borgo San Benedetto, abbiamo prestato par-ticolare attenzione alla tecnologia. Oggi infatti rappresenta un comfort insostituibile, parte integrante della vita di tutti. Per questo ogni abitazione è dotata di sistemi tecnologici all’avanguardia: dalla domotica, che gestisce varie funzio-ni della casa, agli impianti di sicurezza, che garantiscono la tranquillità domestica, ad appropriati sistemi telefonici e di ricezione televisiva, ma anche connessioni Internet veloci e flessibili, per stare “connessi” con il resto del mondo. Una volta entrati nella nuova casa, i residenti non dovranno più preoccuparsi di chiamare tecnici e installare complessi sistemi tecnologici: qui è tutto pronto, perfettamente funzionante e senza costi aggiuntivi.In linea con le nuove tendenze virtuali, poi, abbiamo voluto creare una sorta di community di BSB. Come? Attraverso un sistema Intranet, che propone agli abitanti la possibilità di connettersi al portale del borgo: qui si scaricano informazioni utili, si prenotano servizi, ci si aggiorna su appuntamenti e no-vità. Una piattaforma “operativa” attraverso la quale si svilup-pa il vero “stile di vita” di BSB.

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77Libri e personaggi

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85Musica

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87Fotografia

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91Arte

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ina 94 Tabù

Cento anni compiuti quest’anno, portati in piena forma e grande eleganza e celebrati da una gran-

de mostra delle sue opere che il Comune di Milano gli ha dedicato al Palazzo reale (dal 25/2 al 23/5). Gillo Dorfles sorpren-de sempre il suo pubblico, che siano i lettori dei suoi innumerevoli libri o gli artisti che a lui, indiscusso maestro, professore di Estetica e Teoria delle arti, chiedono un indirizzo, una strada, una direzione verso cui andare per migliorare la loro ricerca. E sorprende anche la “confessione” che apre la sua più recente fatica letteraria, Irritazioni: “Sono molte le cose –le persone, gli aspetti, i costumi– che da sempre mi hanno irritato e mi irritano. Da parte del prossimo ed anche da parte di me stesso». È con questa premessa che l’esimio critico d’arte, letterato ed artista egli stesso, raccoglie le prove della

sua inconciliabilità con i tempi che corrono (ma non abbastanza da lasciarlo indietro). Un vero e proprio catalogo ragionato delle insofferenze dell’autore nei confronti della nostra rutilante ma talora desolata, volgare, quando non mostruosa ipermodernità. Come in tante raccolte di scritti di questo studioso erudito e irregolare, antiac-cademico e coltissimo, anche qui è all’opera uno spirito d’osservazione sottile e pungente, arguto e spiazzante. Prontamente seguito, però, dal momento riflessivo, dall’interpretazione sapiente che avvince e convince. Una cosa infatti è sicura: questo libro di irritazioni d’autore non irriterà il suo lettore.

Anna Maria Cirillo

Cento annidi gloria

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Associazioni Fidas

Il dono della vita

Con ventiquattromila soci la Fidas Abruzzo festeggia il 2009

appena passato e si prepara ad affrontare nuove sfide per il 2010.

E a Pescara l’associazione guidata da una nota imprenditrice

punta ad un boom di nuove iscrizioni

di Mimmo Lusito

C’è una linea netta che separa il “non fare” dal “fare”. E c’è una specie di interruttore, una molla che spinge una persona a varcare quella linea e ad

intraprendere un’attività che magari, fino a quel giorno, aveva solo “pensato di fare” ma che per tante ragioni aveva sempre “evitato di fare”. È esattamente quanto accaduto nella vita di Simona Ferri, notissima imprenditrice pescarese, che qualche anno fa è diventata donatrice di sangue (e presidente dal 2008) della Fidas, la Federazione italiana delle associazioni dei donatori che ha da oltre venticinque anni una sua attivissima sede a Pescara. «Donare il sangue era una cosa che avevo sempre sentito e che avrei voluto fare. Un gesto semplice, che però, paradossalmente, sembra tanto complicato. Un giorno, per una necessità familiare, ho conosciuto la Fidas e mi sono resa conto che avrei potuto iniziare l’attività di donatrice molto prima, che molte di quelle motivazioni che mi tenevano distante erano semplici e banali scuse». E la molla è scattata. Tanto da spingere Simona a donare non solo il suo sangue, ma il suo tempo all’associazione, entrando a far parte del consiglio direttivo e poi ad accettare la nomina a presidente della sede pescarese. «Ammetto di averci pen-

sato su: la mia vita è già abbastanza frenetica e complicata, mi domandavo dove avrei trovato il tempo per dedicarmi anche a questo. Ma poi ho capito che donare il sangue mi aveva fatto sentire meglio, aveva riportato alla luce una parte nascosta, dimenticata di me stessa, una parte che mi appar-tiene profondamente, che mi ricorda gli entusiasmi sociali e politici degli anni Settanta. Così ho accettato la presidenza come una nuova sfida: per vedere quanto c’è ancora dentro di me di quella ragazza che voleva cambiare il mondo». Una sfida che, a giudicare dai numeri della Fidas, sembra sia stata ampiamente vinta dalla nuova presidente: la ragguardevole cifra di settemila iscritti (di cui mille “acquisiti” nel solo 2009) e il “fatturato” di circa dodicimila donazioni l’anno che vanta la sede pescarese è stata raggiunta grazie al lavoro di una mac-china direttiva ben assemblata, di cui Simona è il motore. «Ho semplicemente fatto quel che faccio nella vita di tutti i giorni, nel mio lavoro. Del resto il mio compito è amministrare, e farlo alla Fidas non è molto diverso che farlo nella mia azien-da». I risultati, e le soddisfazioni, sono però diverse: «Sentirsi utili agli altri, questo è l’unico tornaconto di quest’attività. Sapere che magari, parlando di donazioni con alcuni ragazzi,

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li hai indirizzati verso una maggiore attenzione nei confronti della propria salute. Ad esempio, se vuoi donare il sangue non puoi assumere droghe, e devi pesare almeno cinquanta chili. Quindi spingere i giovani a donare il sangue significa tenerli lontani anche dalla tossicodipendenza e da patologie dell’alimentazione come l’anoressia». La Fidas, infatti, si serve solo di donatori abituali, così da poter tenere sotto controllo il sangue donato (e la salute dei volontari). «Funziona così: chi vuole diventare donatore deve prima sottoporsi ad un check-up completo per verificare il suo stato di salute. Se il risultato è positivo, allora si può diventare ufficialmente donatore: gli uomini possono effettuare quattro donazioni l’anno, le donne due; ma il plasma si può donare più volte rispetto al sangue». E naturalmente è proprio la possibilità di effettuare il check-up che spesso spinge una persona ad avvicinarsi al mondo della donazione. «In genere puntiamo su questo, stimolando un aspetto, diciamo così, egoistico, che è la possibilità di fare una serie di esami gratuiti. Di solito il passo dal check-up alla donazione è automatico. E poi il fatto di lavorare all’Ospedale civile, in stretta collaborazione col centro trasfusionale e con il reparto di ematologia garantisce

ai nostri iscritti una professionalità ineguagliabile». Fu proprio nel reparto di ematologia, a quel tempo diretto dal profes-sor Torlontano, che nel 1983 nacque la ADS (associazione donatori sangue) pescarese, dalla fusione dei tanti gruppi di donatori costituiti all’interno di diverse aziende, federata alla Fidas qualche anno dopo e che nel 2008 ha tagliato il tra-guardo dei venticinque anni di vita. Oggi la Fidas in Abruzzo conta quattro sedi (L’Aquila, Pescara, Teramo e Giulianova) per un totale di circa 24mila donatori. «Collaboriamo spesso anche con le altre associazioni che lavorano nello stesso am-bito, come l’Admo, l’Ail e l’Adisco. Recentemente, a novembre, abbiamo fatto attività di promozione in un grande centro commerciale, distribuendo oltre 1500 brochure e prenotando un check-up per trentacinque nuove persone». Per quest’anno Simona e la Fidas stanno lavorando a un nuovo progetto di comunicazione che mira ad aumentare ulteriormente il numero di donatori: «Si chiama “Porta un amico”, e si basa su una considerazione abbastanza banale: siamo settemila, basterebbe che ognuno di noi portasse una persona per diventare in poco tempo 14mila. Sarebbe un bel traguardo».

Un gruppo di volontari FIDAS. A destra la presidente Simonetta Ferri

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La giornalista della porta accantoIl club Inner Wheel di Pescara premia l’eccellenza abruzzese

C i sono persone che un giorno, senza che te ne accorga, te le ritrovi in tivù. La classica situazione da “ragazza della porta accanto”, che ti appare sullo schermo e ti fa

dire “Ma io quella la conosco”. Ed è proprio questo il caso di Mariasilvia Santilli, giovane promessa del giornalismo andata a rinfoltire la schiera degli abruzzesi in Rai dal 2003, e redattrice dei programmi di approfondimento Tv7 e Speciale Tg1. A puntare i riflettori su questa ragazza che si è fatta onore in silenzio negli studi di Saxa Rubra, ci ha pensato il Club Inner Wheel di Pescara che le ha conferito, insieme al pittore Silvio Formichetti, il “Premio eccellenza” per essere tra gli abruzzesi che si sono distinti quest’anno per meriti professionali. Mariasilvia Santilli, giornalista Rai, pescarese classe 1978, si è diplomata al Liceo Gabriele D’Annunzio e si è poi laureata in Scienze della Comunicazione alla LUMSA di Roma. Dopo una lunga gavetta tra radio ed emittenti televisive romane, poi nella redazione cultura e spettacoli dell’Ansa, la giovane Mariasilvia è approdata in Rai. Giornalista al Tg1 dal 2003, dopo l’esperienza nella redazione economica, attualmente è redattrice di Tv7 e Speciale Tg1. Il 6 aprile è partita per L’Aquila e da lì è stata il volto familiare che ci ha raccontato per oltre un mese il terremoto d’Abruzzo. Ama il suo lavoro e la sua città adottiva, Roma, ma porta sempre la sua famiglia, il mare e Pescara nel cuore, dove torna appena possibile. La maturità e l’intelligenza dei genitori che le hanno permesso di trasferirsi a studiare a Roma, per poter frequentare una scuola di giornalismo che in Abruzzo non c’era, e l’incontro con Dino Sorgonà allora responsabile della redazione economica del Tg1, che ha creduto in “quella ragazza di soli 24 anni, senza raccomandazioni, ma con tanta voglia di imparare”, sono quelli che Mariasilvia considera i momenti di svolta più importanti della sua crescita professionale. Nel ricevere il premio Mariasilvia ha ringraziato anche il suo Abruzzo, la terra che l’ha cresciuta e ha contribuito a renderla la persona che è oggi, forte, decisa e determinata. Silvio Formichetti, pittore di Pratola Peligna, classe 1969, inizia a dipingere giovanissimo, sperimentando prima la figura e dedicandosi successivamente alla pittura astratta. La sua svolta professionale avviene con una serie di mostre personali a Roma, e culmina con una mostra al Museo Nazionale di Palazzo Venezia. Oggi Silvio Formichetti è considerato tra i più interessanti giovani artisti informali d’Italia: di lui si sono occupati critici importanti, ha esposto i suoi lavori alla Biennale di Venezia, la RAI gli ha dedicato un documentario (Il gesto e l’azione) ed il Tg2 due servizi importanti all’interno della rubrica “Costume e Società” . Ad Aprile sarà al Museo Colonna in una mostra con Mario Schifano, ed il prossimo Ottobre a Milano.

EventiVARIO

Qui sopra Mariasilvia Santilli; sotto Silvio Formichetti

con Mariella D’Alleva Tenaglia, Presidentessa del Club

Inner Wheel. Sotto un momento della serata

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di Raffaella Sideri

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Giornalista, diplomatico

e scrittore: tre vite al massimo

“V oglio una vita spericolata”, cantava Vasco Rossi. Proprio spericolata no, ma “di quelle che non dormi mai” la vita di

Nino Paolilli lo è stata di sicuro. Una vita che ne vale tre: giornalista, scrittore e dipendente consolare, il sulmonese Nino (al secolo Salvatore Paolilli Treonze) ha cominciato a girare il mondo nel 1963, quando, ventisettenne ufficiale di complemento della Folgore, di stanza a Treviso, decise di partecipare ad un colloquio per lavorare con la Commission Préparatoire Européenne de Re-cherche Spatiale (COPERS) a Parigi. Il colloquio andò bene, ma «la sera stessa mi telefonò mio padre dicendomi che il Ministero degli Esteri mi assumeva a Lugano, nel Consolato generale d’Italia di prima classe». Una carriera iniziata praticamente per caso ma che lo coinvolgerà per tutta la vita. «Sono stato alle dipendenze del Ministero dal 1964 al 2001. Ho prestato servizio in molte sedi in Italia e all’estero, concludendo la carriera a Bastia, in Corsica, dove ho trascorso sei anni come “attaché”, con funzioni di viceconsole. Ma non ho mai abbandonato il giornalismo». Già collaboratore del Messaggero, collaboratore per la pagina sportiva di un quindici-nale italiano, edito a Berna, “La tribuna degli Italiani”, Paolilli affianca la passione per la scrittura al suo lavoro, amministrare le spese consolari per l’organizzazione delle visite di Stato e ufficiali all’este-ro dei Presidenti della Repubblica, dei Primi ministri e dei ministri. Erano appena finiti i tumultuosi anni di piombo e Sandro Pertini guardava l’Italia dall’alto del Colle. «Con lui mi trovavo benissimo. Era un uomo divertente e severo, al quale non mancava mai il sorriso ma che sapeva essere intransigente con chi non stava al proprio posto. Era ghiotto di confetti, gli portavo quelli di Pelino». Sei anni con Pertini, tre con Cossiga, ma anche due anni con

Spadolini, due con Andreotti, e poi Colombo. Per ciascuno di loro Paolilli dispensa un aneddoto: «Spadolini era un uomo di grande levatura culturale, nutriva un grande amore per la letteratura. Spesso, in aereo, raccontava barzellette sempre interrompendosi a metà. Andreotti era un gran signore, molto preciso, educato, meticoloso; dovunque soggiornassimo, dovevamo trovare una chiesa per poter permettergli di assistere alla messa delle sei. Cossiga era un grande giurista, ma anche un uomo piuttosto introverso; a “picconare” cominciò più tardi». Durante il servizio al Consolato d’Italia a Bastia Paolilli si impegna seriamente a scrivere e si dedica al suo primo romanzo, che vede la luce nel 2004, Oltre duemila metri di… felicità. Scalata per il… Paradiso (2006) e Fuga dal… Paradiso (2007) sono gli altri due capitoli della sua trilo-gia. Successivamente ha pubblicato E se fosse…vera? (2008) e L’investigatore gentiluomo, il suo ultimo romanzo uscito proprio alla fine del 2009, che attraverso una spy-story vecchio stile porta il lettore in giro per il mondo, da Milano a Vancouver e a Marrakech, da Francoforte a Detroit, seguendo luoghi personalmente visitati dall’autore durante la sua carriera consolare. In tutti i suoi altri libri invece, Paolilli racconta le montagne attorno a Sulmona, la sua terra, le persone che gli sono (o sono state) care, dedicando ogni sua pubblicazione alla famiglia che faticosamente, durante questa vita girovaga, è riuscito a costruirsi: «Loro sono la mia luce nel cam-mino della vita, la mia forza. Gabry, mia moglie, e i miei figli Marco e Luca, che ora lavorano entrambi lontani da qui, uno a Saronno e l’altro in Svizzera. Spero sempre di restituirgli un po’ di affetto per la terra dalla quale provengono».

Nino e trino

LetteraturaVARIO

di Mimmo Lusito

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Un toccolanoa New YorkSandro Sticca, insigne studioso italoamericano

presenta in Abruzzo le sue ultime fatiche letterarie

di Annamaria Cirillo

Un dottorato di ricerca conseguito nel ‘66 presso la Columbia Univer-

sity, dopo una formazione universitaria avvenuta alla Syracuse University e alla Sorbona. Basterebbe il curriculum studiorum a fare di Sandro Sticca, nativo di Tocco Casauria, un nome di rilievo nel panorama degli intellettuali abruzzesi andati oltreoceano. Ma per completare il ritratto di questo insigne corregionale è necessario aggiungere che attualmente ricopre il ruolo di professore ordinario di Storia del Teatro e Letteratura compa-rata alla State University of New York di Binghamton, che è direttore delle serie monografiche “Studia Italica” e “Studies in Christian Thought and Tradition”, e che è autore di numerosi, anzi numerosissimi saggi storici sull’Abruzzo e gli abruzzesi, come “Sulmona ed il teatro medioevale abruzzese” (1980), “La poetica del tempo sacramentale” (1996), “La pittura di Dome-nico Mascitti-Il sapore della terra ance-strale” (2003), ”I dipinti di Carlo Zaccardi-L’impronta della civiltà contadina” (2006). Autore prolifico, custode della memoria storica delle origini, degli eventi e delle tradizioni del territorio casauriense, nello scorso 2009 ha pubblicato, tra gli altri, un saggio su “Tocco Casauria 1859-1868. Risorgimento, brigantaggio, guardianìa rurale” e uno su “La poesia di Gennaro Manna: il verbo del sacro e dell’assurdo”. Il primo ha origine dal rinvenimento nell’archivio comunale di Tocco, ad opera

dello stesso autore, di un prezioso mano-scritto storico del 1859, nel quale sono enumerate le norme di un “Regolamento per l’esercizio della guardianìa rurale di Tocco Casauria”, che risulta essere stato in vigore a Tocco dal 1859 al 1868.Motivazione ne era stata al tempo la assoluta necessità di un controllo organizzato a difesa del territorio, data la ripresa di un dilagante brigantaggio di origini politico-sociali, conseguenza delle insidiose proporzioni delle reazioni borboniche nonchè del grave stato di ne-cessità e miseria dei popoli del centro sud, persistenza di un divario di vita ridotta alla fame, inaccettabile frattura tra status dei contadini, proletariato e borghesia. Attraverso il documento Sticca traccia

un ritratto preciso delle condizioni di vita, delle aspirazioni, dei movimenti che interessarono Tocco Casauria nel periodo in esame, e soprattutto mettendo in luce la saggezza dei suoi amministratori di un tempo, preziosa eredità per i giovani del nostro. Figlio di Tocco Casauria è anche Gennaro Manna, di cui Sticca traccia un appassio-nato ritratto riproponendo all’attenzione del lettore e del critico la sua opera che “è scavo profondo e sviscerato dell’io, esplorazione della condizione umana, del tempo, dell’eternità e dell’infinito per arrivare all’inconoscibile, all’assoluto, al mistero e scoprire il segreto dell’essere e dell’esistere”.

LibriVARIO

• Sandro Sticca durante una sua recente visita in Abruzzo.

Qui sopra le copertine dei suoi ultimi due libri.

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Attualità/LalliCome il pugile che dopo un pugno barcolla sul ring, stordito dal colpo, aspettando il gong per ricostruire la sfida, così la gente dell’Aquila tra quelle tende, stordita, incredula e spesso incapace di reagire. Ma qual-cuno ha reagito da subito, senza aspettare il gong. Partendo da un concorso di scrittura, “Tendopolim-piadi della parola”, i bambini hanno per primi cominciato a ricostruire. A creare il loro futuro. La loro città. Questo libro è il primo mattone.Il lago di tende blu Piergiorgio Lalli / Ianieri editore-Fondazione Pescarabruzzo pp. 96, Euro 10,00.

Poesia/RosatoProlifico poeta di rara sensibilità e intelligenza, Giuseppe Rosato si fa in tre. Ben tre sono infatti i suoi libri sugli scaffali delle migliori librerie, e per-mettono di esplorare i tre aspetti della produzione di questo eccezionale autore: la lirica tradizionale, la poesia in vernacolo e la satira sociale. La sillo-ge inedita La distanza è una struggente, intensissima e delicata opera che “dà vita alla memoria, un discorso in cui fine e inizio coincidono”; Lu scure che s’attonne è una raccolta delle sue poesie in dialetto abruzzese scritte e pubblicate tra il 1990 e il 2007; e infine il Rosato satirico (già scoperto attraverso gli “spilli” pubblicati sulla Gazzetta del Mezzogiorno) emerge dalle pagine del Piccolo dizionario di Babele, nuovo graffiante excursus sulle cattive abitudini –non solo linguistiche– della odierna società. Piccolo dizionario di Babele Giuseppe Rosato/Stilo Editrice, pp. 121, Euro 8,00Lu scure che s’attonne Giuseppe Rosato / Raffaelli Editore, pp. 117, Euro 12,00La distanzaGiuseppe Rosato/ Book Editore, pp. 75, Euro 12,00

Arte/GizziIl Canto V dell’Inferno è il soggetto raccontato nella mostra “Dante e Francesca da Rimini”, ospitata lo scorso ottobre nei locali dell’Ex Aurum di Pescara. Sei artisti italiani e uno iraniano hanno descritto con le loro opere l’adulterio e la morte di Paolo Malatesta e Francesca da Rimini, opere raccolte insieme a molte altre sull’argomento in questo bel catalogo con saggi di Corrado Gizzi, Giorgio Barberi-Squarotti, Carlo Fabrizio Carli, Renato Civello, Emerico Giachery, Walter Mauro e Antonio Sorella.Dante e Francesca da RiminiCorrado Gizzi / Ianieri edizioni, pp. 248.

Saggi/FeliceIl terremoto del 6 aprile ha portato l’Abruzzo alla notorietà internazio-nale: ma quanto è vera l’immagine della nostra regione nel mondo, e quanto è condizionata dai luoghi comuni, pastori dannunziani e cafoni siloniani in testa? Raramen-te, secondo lo storico abruzzese Costantino Felice, docente di Storia economica all’Università di Chieti e Pescara,si è assistito a un’esplosione di stereotipi identitari così enfatica e insistita come in occasione del sisma. Un libro per riflettere su un nodo cruciale della nostra storia.Le trappole dell’identità C. Felice/Donzelli, pp. 196, Euro 16,50

Saggi/Russo Un’indagine accuratissima, quasi maniacale, sulle origini dell’uomo, tesa “a offrirci la chiave di una conoscenza troppo spesso affidata a un esoterismo d’accatto, specie per chi è rimasto ancorato a reminiscenze scolastiche so-prattutto occidentali”. Un percorso d’indagine in cui l’autore, Biagio Russo, porta per mano il lettore in un crescendo di coinvolgente interesse che tocca il suo culmine nelle due parti finali. Il “Progetto”, ovvero “L’alba del genere umano”, altro non è che la chiara e precisa descrizione del perché, quando e come si procedette alla realizzazione di un essere essenzialmen-te lavoratore ed ubbidiente: l’uomo primitivo, lo “schiavo degli dèi”. Come dicono i Sumeri. Schiavi degli Dei è molto più di un saggio: è uno scrigno

aperto da cui estrarre risposte sensazionali le cui profondità scuo-teranno sicuramente le coscienze dei lettori. Questo il contenuto dell’appassio-nante esordio letterario di Biagio Russo, introdotto da un testo di Gabriel Aldo Bertozzi.Schiavi degli Dei/Biagio Russo/Edizioni del Poggio, pp. 288, Euro 19,90

Narrativa/MenoniSe è vero che si può viaggiare con la fantasia, restando in casa a fanta-sticare, è altrettanto vero che si può partire per il mondo con la fantasia dentro la valigia. È l’approccio al viaggio di Luciano Menoni, che tra l’esilarante viaggio familiare a Londra e le singolari avventure di un occidentale in Cina ci porta con sé in un percorso fatto di strade e piazze, percorsi noti o intuitivi, spesso legati a ricordi e a emozioni di viaggi vissuti o immaginati.Il mondo… val bene una messa/Luciano menoni/Caravaggio Editore, pp.186, Euro 13,50

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Guide/ChietiUn viaggio accuratissimo tra i vicoli, le piazze, le strade di Chieti, per scoprirne il passato e il presente. Che la tenga in mano un turista di

passaggio o un teatino doc, la guida che il Rotary Club di Chieti ha realizzato per presentare la sua città è uno strumento di grande valore: dal punto di vista strettamente tecnico si tratta di un vademecum indispensabile per chi voglia visitare il capoluogo teatino, ricca com’è di illustrazioni, suggerimenti, itinerari, il tutto realizzato con testi semplici e agili, formato tascabile e grafica accat-tivante; e dal punto di vista emotivo costituisce un atto d’amore del Club alla città, mostrata in tutti i suoi aspetti, anche nascosti o poco noti: palazzi, uomini, luoghi, panorami, notizie e angolazioni suggestive fotografate con grande maestria da Roberto De Liberato e descritte da due personaggi del calibro di Aurelio Bigi e Luciano Di Tizio. Chieti. Guida alla città storia e itinerari/Rotary Club Chieti, pp. 208, € 8,50

Studi/MaranellaL’Abruzzo, cuore dell’Italia e regione nel cuore di tutti, da quel 6 aprile 2009 che ha segnato e segnerà la sua storia per gli anni a venire. Il terremoto ha ferito anche l’anima di chi ha lavorato tanto per fare dell’Abruzzo una regione di parchi, di natura, di biodiversità. Marcello Maranella, direttore del Parco Nazionale del Gran Sasso-Laga dal 2004, lega in questo suo pregevole lavoro il ricordo dei giorni post-sisma alle esperienze progettuali per la tutela e la gestione della natura nel Parco, sottolineando come, nel rapporto che lega così intimamente l’uomo alla natura in queste terre, sia proprio la specie più evoluta ad uscire anche più malconcia dal verificarsi dell’evento sismico. A contar camosci sulla Conca del SambucoMarcello Maranella Ricerche&Redazioni, pp. 90, € 15,00

Romanzi/MelchiorreNel suo romanzo d’esordio, Roberto Melchiorre –brillante docente universitario e giovane autore, qui al suo esordio come romanziere– parte da una vicenda tragica, quella dell’inchiesta giudiziaria che pose fine alla cosiddetta “prima Repubblica”, per affrontare i mali odierni di una società che crede di essere cambiata ma forse ha solo cambiato vestito. E lo fa attraverso un loser dei nostri giorni, un uomo di bell’aspetto, eloquente e seduttivo, capace di accet-tare la sua connivenza col malaffare così come la sua voracità sessuale con la consapevolezza della propria indifferenza. Un soggetto di grandissima attualità soprattutto in una regione in cui la vita politica è stata, negli ultimi anni, attraversata da vicende a dir poco travagliate. Uno spietato ritratto della provincia italiana egregiamente raccontato dalla bella penna di Melchiorre, del quale attendiamo ben volentieri nuove prove letterarie.Gli amanti del pomeriggioRoberto MelchiorreIanieri Editore, pp 116, € 10,50

Romanzi/BruniIn un mondo di robot, in cui gli uomini sono la minoranza, il cinema potrà salvare l’umani-tà? È l’interrogativo alla base del bell’esordio letterario di Pino Bruni, già autore di volu-minosi saggi sul cinema (autori, generi), alle prese stavolta con il suo primo romanzo di fantascienza: una storia che vede un piccolo gruppo di robot-ricercatori “cinematografari” chiedere l’aiuto degli ultimi esseri umani confinati in una riserva per girare un film su di loro. Un grido d’allarme contro l’ipertecno-logia, scritto dieci anni fa e finalmente venuto alla luce grazie alla lungimiranza della Noubs di Chieti. Dissolvenza uomo Pino BruniEdizioni Noubs, 2009, pp. 220, € 13,00

Attualità/D’Orazio Scritto in “presa diretta” dai luoghi del terremoto, questo libro del giovanissimo Giorgio D’Orazio si com-pone di una serie di articoli pubblicati su due testate giornalistiche, di altri scritti inediti sia in prosa che in versi, e di una documentazione fotografica (a colori e bianconero) che testimonia in maniera efficace i tragici eventi dei giorni immediatamente successivi al sisma (trascorsi dall’autore spostandosi tra le tendopoli e i luoghi colpiti). Ne esce un libro diverso ed originale rispetto alle altre pubblicazioni sull’argomen-

to in quanto coniuga il lavoro cronistico per articoli e immagini con letteratura e poesia (D’Orazio, letteraria-mente parlando, nasce poeta), rivolgendo lo sguardo “tanto al disastro delle cose quanto al dramma delle persone” e, fra queste, specialmente ai giovani, veri deposi-tari ora della speranza e dell’ottimismo

necessari per la ricostruzione e la rinascita del territorio aquilano. Un giorno la scossa/Bel-Ami Edizioni, pp. 88, € 15,00

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cultocontemporaneoInternational Trophy: Red Italian Varietal - Decanter World Wine Awards 2008

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cultocontemporaneoInternational Trophy: Red Italian Varietal - Decanter World Wine Awards 2008

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Festival/SeicentonovecentoMusica per la ricerca. Anche quest’anno il Festival internazionale di mu-sica antica “Seicentonovecento” devolverà anche quest’anno il ricavato del biglietto simbolico d’ingresso di 1 euro alla ricerca farmacologica della Fondazione Negri Sud. «L’anno scorso abbiamo raccolto quasi 1400 euro, questa estate speriamo almeno di ripetere il successo» ha dichiarato il presidente di Ensemble ‘900 Pierluigi Mencattini in confe-renza stampa, dove sono intervenuti anche il Presidente Fondazione Negri Sud Silvio Garattini, il presidente del Consiglio regionale Nazario Pagano, l’assessore alla cultura della Provincia di Pescara Fabrizio Raposelli, la rappresentante del Comune di Bolognano Andreina Mabrucco, e il presidente della Fondazione Carichieti Mario Di Nisio. Sei solisti e otto complessi strumentali di rilievo nel panorama internazionale della musica antica si esibiranno in quindici appuntamenti nelle quattro province abruzzesi dal 30 luglio al 30 agosto, in un’iniziativa che riserverà, a settembre, un grande appuntamento fuori programma a Pescara. All’apertura del festival, a Palazzo D’Avalos a Vasto, sarà anche visitabile una mostra di oltre 300 medaglie storiche, appartenenti alla collezione dei fratelli Verna, che raccontano 600 anni di storia dell’Abruzzo a partire dal 1400.

Indie/GabenCome annunciato sul numero scorso, è disponibile dal 12 marzo Cane, il debutto discografico da autore di Alessandro Gabini in arte Gaben. Elettrico, ironico, morbido e spigoloso, nudo o crudo, essenziale negli arrangia-menti, diretto nelle espressioni, l’esordio di Gaben è composto di 10 tracce (11 contando la delirante

Grrrrhhh!!!, una studio live perfor-mance dei Giovanna d’Hardcore) apparentemente innocenti, figlie della quotidianità di provincia che oltre la sua tragica banalità riserva stranezze e singolarità, purezza e ambiguità. Escludendo la titletrack contaminata dall’elettronica, sono chitarra, batteria e basso gli unici elementi a rivestire la voce “in un percorso lineare ma anche no” (parole dell’autore, dalle note di produzione: ancora glamou-rosissima ambiguità). Un altro lavoro di ottima fattura targato Benka, l’etichetta indipendente creata da Giulio Corda, qui in veste di produttore e musicista, con il sempreverde Michelangelo Del Conte alla batteria e alcuni

ospiti ad arricchire un disco che per freschezza e spontaneità gioiosamente punk ricorda certi gioiellini degli anni ‘90 di marca Sub Pop, cui del resto Gaben deve la sua adolescenza creativa. Ma, sensibile e curioso, Gabini assorbe anche altre culture metropolitane, che confluiscono e si manifesta-no nelle sue diverse espressioni

artistiche: musica, ovviamente, ma anche disegno, scultura, videoarte. Un talento completo, insomma, da tenere d’occhio nei suoi prossimi cimenti, quali che siano.

Gaben - CaneBenka/Halidon, 2010Euro 10,00

Cd/GlitterballRockerilla ha scritto di loro: “Questo gruppo ha la base per esplodere”. E il trio della palla luminosa esplode davvero, sia nei loro live acts perfor-mati in tutta la penisola che sul web, dove potete ascoltare tutto il loro debut album (disponibile su iTunes). La musica sana e verace dei Glitterball è un mix delle diverse esperienze maturate dai tre componenti (Giovanni Lanese alle chitarre, Barbara Sica al basso e synth, Simone Antonini alla batteria, coadiuvati in quest’occasione da Alessio D’Ono-frio del Santo Niente, Giulio Corda, Molecola e Michelangelo Del Conte) che sono cresciuti a suon di new wave, rock ‘n’ roll, psychedelia e hard rock e ora le fondono in un prodotto che ha dell’originale, pur strizzando l’occhio di volta in volta ai grandi nomi di riferimento: Beatles, U2, Radiohead, Joy Division. Un disco splendente come l’oggetto evocato dal nome, che riflette tutto ciò che guarda e lo restituisce sotto forma nuova e innegabilmente glamour. Nove tracce “che smuovono l’animo e risvegliano la memoria; punto di partenza e non di arrivo di tre artisti che compongono e suonano senza dubitare mai dell’onestà della musica”. Un prodotto non tipico abruzzese. Per fortuna.Glitterball, Glitterball, ©2009, Euro 10,00

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Un cockpit, un propulsore, due ali.È ancora un’auto?

Monoscocca in Alluminio, propulsore V8 da 571CV e 650 Nm di coppia, rapporto peso/potenza 2,84 kg/CV, albero di trasmissione in carbonio e cambio a 7 marce con doppia frizione DCT. Ora allacciate le cinture disicurezza. Siete nati per volare. Consumo combinato (l/100 km): 13,2 - Emissioni CO2 (g/km): 308.

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Stefano Schirato

BaarìaIl fotografo pescarese

racconta in un libro il backstage

dell’ultimo capolavoro

di Peppuccio Tornatore

FotografiaVARIO

Il successo al botteghino ha contato 2 milioni e 105 mila euro nel primo weekend e 10 milioni e mezzo di euro in totale. Malgrado Baarìa di Giuseppe Tornatore non sia stato selezionato

dall’Academy per la corsa all’Oscar, i produttori lo hanno lanciato a gennaio negli Stati Uniti, dove sono certi di ottenere il successo di pubblico che da sempre viene tributato ai film del regista sici-liano. Conclusa nel frattempo la programmazione nelle sale italiane, Baarìa vive attraverso un bel libro fotografico a firma di Stefano Schirato e Marta Spedaletti, rispettivamente autore del back-stage e fotografa di scena, edito da Electa. Il fotografo pescarese, al cui libro Né in terra né in mare Tornatore aveva scritto la prefazione, è stato scelto dal Peppuccio nazionale per immortalare la lavorazione del film: il set colossale, il cast lussureggiante, i volti delle tantissime comparse scelte per popolare la Bagherìa del regista già premiato con l’Oscar per Nuovo Cinema Paradiso. Una delle foto di Schirato ha vinto il premio Cliciak 2010 (L’equivalente dell’Oscar per la fotografia di scena e il backstage a livello nazionale “per l’equilibrio compositivo e cromatico”.

Marta Spedaletti e Stefano SchiratoBaarìa Electapp. 160Euro 60,00

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Spazi/OverlookCinefili di tutta Pescara (e non solo), ecco il locale adatto per voi. Finalmente l’asso-ciazione Overlook (che organizzò la splendida mostra di qualche anno fa su Stanley Kubrick nei locali del Museo delle Genti d’Abruzzo) ha uno spazio tutto suo: un luogo per discutere, incontrarsi, scambiarsi opinioni e idee in una città in cui gli spazi cultu-rali continuano a scarseggiare. Le proposte del circolo gestito da Gabriella Di Censo, storica figura di riferimento della cultura pescarese, spaziano dal cinema, con mini rassegne –il venerdì, rigorosamente d’essai– e incontri con autori locali e professioni-sti tutti legati al mondo della settima arte, a recital, concerti, incontri letterari e molto altro, il tutto condito da cucina prelibata e buona musica. Si trova nei pressi dell’ex tribunale, in via dei Marrucini 51, e prevede un maggio ricco di appuntamenti, tra i quali la “settimana della follia” a cura di Silvio Sarta. Per informazioni sulla program-mazione telefonare al 3391331159.

Milo Vallone/Anno ZeroNel 1940 Jean Paul Sartre si trovava a Treviri, imprigionato nello Stalag 12D. Durante il periodo di detenzione conobbe alcuni sacerdoti con i quali si antratteneva in lunghe conversazioni religiose e filosofiche. Benché manifestasse chiaramente il suo ateismo, fu a lui che uno dei preti chiese, avvicinandosi il Natale, di scrivere qualcosa che infondesse ai prigionieri un messaggio di speranza e facesse loro dimenticare le

sofferenze. Fu così che nacque uno dei suoi testi teatrali più suggestivi, Bariona o il figlio del tuo-no, un atto unico che Sartre rappresentò proprio in quel campo di concentramento, dirigendo una compagnia di detenuti e interpretando il ruolo di Baldassarre, il Re Mago filosofo. E oggi, a 70 anni da quella rappresentazione, Bariona torna a vivere, stavolta sul grande schermo, per la regia e l’interpretazione di Milo Vallone, autore e attore teatrale di lunga esperienza, che ha realizzato, in soli tre mesi di furore creativo, il suo primo film indipendente. «In novanta giorni è accaduto tutto. Abbiamo realizzato un film di un’ora e quarantacinque con un cast di più di

quaranta persone e in costume con pochi, pochissimi soldi, nello stesso tempo che Sartre ha impiegato per scrivere il suo testo, e nel tempo che solitamente si impiega solamente per girarlo». Girato tra San Valentino in Abruzzo Citeriore, le pendici del Morrone e l’Aquila, Anno Zero (questo il titolo) racconta di Bariona, capovillaggio che non crede alla divinità di Gesù e pianifica la sua uccisione. Nel cast –interamente abruzzese– an-che Edoardo Siravo, Ilaria Cappelluti, Fabio Ventura e Giacomo Vallozza. Il film è stato presentato al cinema Massimo di Pescara il 27 gennaio, in occasione della giornata della Memoria., e successivamente proiettato

Andrea Malandra/DavidingQualche anno fa si prese una bella soddisfazione vincendo il premio Flaiano per il suo cortometraggio Musica da camera, diretto a quattro mani con Boris Restaneo; ora Andrea Malandra, operatore culturale e regista navigato, cambia registro e trasporta in video il fumetto David Boring dell’americano Daniel Clowes, nel corto Daviding, prima parte di una trilogia ispirata appunto al protagonista della celebre graphic novel statunitense. Un’opera da vedere più volte per immergersi nella storia di David, circondato da strani personaggi, diviso tra le sue ossessioni e la ricerca di un amore impossibile. E soprattutto un film corale, in cui la figura del “regista” viene eliminata dai titoli e sostituita dall’intero cast & crew, in perfetta sintonia con i modelli ispiratori di Malandra, che questa volta si affida ad attori non professionisti per la sua nuova avventura. A quando i due capitoli successivi? Non è dato saperlo, ma di certo bisognerà rivedere la trilogia nella sua interezza per poterne comprendere appieno i significati. Per chi avesse voglia di cominciare col primo capitolo, occhio ai festival estivi.

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Mostre/MediamuseumRaramente una mostra collettiva d’arte contempo-ranea si armonizza ed articola così compiutamente come avvenuto nella mostra “I sentieri dell’immagina-rio”, tenuta a Febbraio presso il Mediamuseum di Piazza Alessandrini a Pescara. Già il “titolo suggestivo della mostra pare regalare emozioni, permettendo al visitatore di aprire tutti i registri

della memoria, della fantasia ed anche dei sogni”. I cinque illustri percorsi artistici di Gabriella Albertini, Alfea Cic-cone, Guido Giancaterino, Ivano Pardi e Gianfranco Zazzeroni si sono ben evidenziati nelle loro specifiche diversità.Dalla più intima spiritualità, fantastica e simbolica della Albertini alla sintesi dell’astrazione esplicita e dirompente di Gianfranco Zazzeroni si snoda infatti un percorso di passaggi che per primo attrae e accompagna nell’eterea, fluttuante magia arcana delle opere di Alfea Ciccone, sotto le cui mani

anche l’argilla diviene aria e ricamo e spirito per condurci fin nel profondo degli spazi dell’umanità di Guido Giancaterino, dove la vita vissuta, la natura e la melanconia dettano le leggi della metamorfosi e della contemporaneità, per giungere poi al moderno protagonismo informale della materia di Ivano Pardi, intrisa di un colore terrigno cantore di storie d’amore e dramma, pezzo di corteccia rugosa caduto a terra da una secolare quercia, relitto di vita da tramandare. Nel catalogo, a cura e presentazione di Gabriella Ciaffarini, sono pubblicati i testi critici, le note biografiche, le foto delle opere esposte e cinque incisive poesie che Grazia Di Lisio ha dedicato agli artisti. A.C.

Eventi/Kinemarte Un confronto sulle commistioni trasversali tra fotografia, design, cinema, disegno e arte sperimentale. Un percorso affascinante quello del contenitore “MUSEO, Città, Territorio” ideato dagli operatori culturali del Comune di Pescara all’interno del progetto Kinemarte, con la collaborazione del Master ISIA Roma Design e con il beneplacito dell’Assessorato alla Cultura. Nell’ambito della mostra dei progetti realizzati dagli iscritti al Master ISIA lo scorso febbraio si è svolto anche un incontro dal titolo “Pescara 2010: Incontro di design, arte e cinema” che ha visto alternarsi nella sala convegni del Museo Colonna i relatori Franco Speroni, Antonio Zimarino e Giovanni Bendicenti in-trodotti dagli organizzatori Raffaella Cascella e Andrea Malandra, operatori culturali del Comune e ideatori del box polimorfo di Kinemarte, capace di proporre ideazione e tecni-ca cinematografica, analisi della sperimentazione e progettualità artistica, at-traverso vari appuntamenti intervallati nel tempo.

Microgalleria/Learda FerrettiaUn piccolo, imprevedibile spazio galleristico, gestito a Pescara in Via Genova dal noto artista Marco Mazzei, ha recentemente preso il via con un proprio rivoluzionario ed interessantissimo programma di mostre ed eventi a vario tema (anche culinaria e performances). Esposizioni ed incontri lampo (due ore) che mirano a raccogliere frammenti d’interesse ed emozione concentrati su eventi diversi ma sempre segnati da un’in-tensità emozionale e partecipativa potenziata dalla immanente caducità del tempo concesso. La Microgalleria è stata inaugurata nello scorso dicembre con la mostra pittorica “Senza titolo”, (sette grandi tele, due del 2003 e cinque del 2005), del giovane architetto e designer Learda Ferretti, un’artista della nuova generazione di pittori e scultori d’avan-guardia destinati ad un target internazionale. Come in una precedente mostra tenuta alla Galleria Contemporanea di Pescara le opere dell’artista tornano a distinguersi per la capacità immediata ed identitaria di forte denuncia sociale della sofferenza di massa, esplicitata in una figurazio-ne ripetitiva di aggregazione di individui, allineati in riga da un segno raffinato di sintesi grafica di pretta matrice contemporanea: “dall’appiat-timento dell’individualità del singolo nella folla ad una segreta interiorità che contrasta con il comodo esistere effimero. La folla come tana”. La

scelta di tonalità monocolori, talora nero-grige, appaiono espressione aggiunta di una complessa e severa componente ascetica nelle com-posizioni. Ma nella sua più recente produzione 2009-2010, l’indagine di massa pare indirizzata a lasciare spazio ad un’osservazione introspet-tiva ravvicinata individualmente. Indagata nel singolo come sotto una lente di ingrandimento che ne amplifica l’immagine il supporto di nuovi colori come il giallo ed il verde, sottolinea le varie identità di un disagio sempre più incalzante, destinato ad aumentare in un continuum che è perdita di sè, espressione di assoluto non ritorno ai sani principi della vita, ma vocazione indotta all’apparenza, alla fatuità, all’irresponsabilità non priva di disaffezione, disonestà ed impudicizia, così dilaganti nella devastante solitudine mediatica del vivere contemporaneo. Una nuova grande mostra delle opere dell’artista è alle porte.Sarà tenuta il prossimo settembre (dal 4 fino al 15 ottobre) presso i saloni del Museo d’Arte Moderna Vittoria Colonna di Pescara. Naturalmente una mostra da non perdere. A.C.

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Mostre/Ex AurumUn pezzetto di Libano all’interno dell’ex Aurum. “La linea di pace” è il nome del progetto di scambi di

formazione artistica e teatrale che l’asso-ciazione Deposito dei Segni promuove da alcuni anni e che si è esplicitato, lo scorso aprile, nella mostra “Automatismi residui: viaggio alla base di uno scambio necessario. Opere 2010”, di Jörg Christoph Grünert ed Elie Abou Samra, a cura di Rolando Alfonso. I due artisti hanno da tempo avviato uno scambio che ha prodotto i lavori esposti in anteprima per il pubblico italiano in questa mostra.

Mostre/SassuCento ceramiche di Aligi Sassu, uno dei massimi esponenti dell’arte italiana del XX secolo, esposte da sabato 24 aprile al 27 giu-gno nelle sale del Museo “Villa Urania” di via Piave a Pescara, che già ospitano la collezione permanente di ceramiche storiche di Castelli appartenute a Raffaele Paparella Treccia e a Margherita Devlet.In Cento cavalli di Aligi Sassu, curata dal noto studioso Gian Carlo Boja-ni, piatti, zuppiere, ciotole e sculture in maiolica o terracotta dipinte da Aligi Sassu tra il 1939 e il 1965 rappresentano uno dei temi iconografici più cari all’artista: la figura del cavallo. In mostra è presente anche il celebre servizio da tavola del 1949 I cavalli del mare composto da 73 pezzi, nel quale l’artista si confronta direttamente con la tradizione ceramica ligure quattro-ottocentesca recuperando la tipica bicromia bianco e blu “vecchia Savona”.Le opere esposte fanno parte della collezione della Fondazione Cro-cevia di Alfredo e Teresita Paglione. Quello tra Aligi Sassu e il gallerista abruzzese Alfredo Paglione, infatti, co-curatore di questa mostra, è un sodalizio artistico nato alla fine degli anni ’50 e rafforzato da un vero e proprio vincolo di amicizia e poi di parentela, visto che entrambi hanno sposato due delle sorelle Olivares. «Aligi Sassu è legato e noto a Pescara anche per aver realizzato tre magnifiche opere murarie nella chiesa di Sant’Andrea –spiega Augusto Di Luzio, presidente della Fondazio-ne Paparella-Devlet– e questo grande evento culturale deve la sua realizzazione alla collaborazione della signora Maria Helenita Olivares, vedova del maestro, e alla munificenza della compianta Teresita e di suo marito Alfredo Paglione, grande promotore dell’arte e affidabile conservatore delle opere di suo cognato Aligi Sassu e di tanti altri grandi artisti».«Le sculture in ceramica dedicate all’iconografia del cavallo –aggiunge Vincenzo De Pompeis, direttore del museo “Villa Urania”– colpiscono per il modo originale e creativo in cui l’autore interpreta tale soggetto iconografico, libero da schemi già visti e proposti da altri grandi artisti. Sassu racconta il cavallo con un proprio linguaggio stilistico, non pro-ponendo un’iconografia mimetica e idealizzata, ma dando vita a cavalli dalle forme incompiute e non finite, senza far perdere la loro carica simbolica fatta di eleganza, forza e vitalità».La mostra sarà visitabile dalle 11 alle 13 e dalle 17 alle 21 ogni giorno tranne il lunedì.

Mostre/Schifano e FormichettiIl maestro della Pop Art incontra il maestro dell’informale. Avvie-ne a Pescara, nella mostra Il buio, confine del colore, in program-ma dal 10 aprile al 31 maggio presso il museo Vittoria Colonna. Formichetti e Schifano, dialogo tra spirito e materia, è il sottotitolo dell’esposi-zione a cura del critico Luca Beatrice, che com-prende 21 opere di Mario Schifano appartenenti al ciclo sugli Etruschi realizzato nel 1991 e 35 opere di Silvio Formichetti realizzate tra il 2009 e il 2010. L’allestimento della mostra ruota attorno ai concetti di LUCE e OMBRA. Il ciclo di Schifano sulle pitture tombali etrusche ha caratteristiche ben definite: l’oscurità (simbolo per gli Etruschi di morte spirituale) viene contrastata con figure dai colori sgargianti, con scene di vita vissuta e di movimento estremo (così come accade nelle raffigurazioni pittoriche delle necropoli). Questi sprazzi di luce e di vita emergono sullo sfondo nero, il buio è il confine del colore. Il buio incornicia la luce. Il buio è il confine della vita, dentro cui si rischia di perdersi e contro cui bisogna affermare i contorni della propria esistenza. Per Schifano la morte è prosecuzione della vita, leggera ed eterea come può essere la quotidianità. Formichetti si abbandona a sogni di un aldilà emozionale, ancora sporco di vita vissuta. Per Formichetti il segno diventa vivo e trae linfa da un colore che in molte opere si fa incandescente, quasi a vo-ler lasciare una traccia indelebile del suo passaggio. La sua pittura non è altro che una rappresentazione del mondo dell’ignoto che apparentemente tacito viene esplorato dall’Artista attraverso colori che risiedono ora nel mondo delle tenebre, per poi tornare in altre opere ad essere arcobaleni di luce, carichi di significati celati e apparentemente nascosti da quell’ipotetico velo di Maya che non aspettata altro che essere squarciato per vedere cosa esso nasconde. L’icona in cui Schifano immobilizza il momento del passaggio dalla vita alla morte (nella civiltà estrusca) in Formichetti si trasforma in segno gestuale, in azione. Schifano è descrizione, Formichetti è racconto. Schifano è l’intellettuale osservatore, Formichetti è l’uomo attore. La mostra, patrocinata dalla Pre-sidenza della Repubblica, il Ministero dei beni culturali, la Regione Abruzzo, la provincia e il Comune di Pescara, è stata fortemente voluta dal dott. Augusto Di Luzio, Presidente della commissione cultura del comune di Pescara, e da Nicola Mattoscio, presidente della fondazione Pescarabruzzo, da sempre molto sensibili all’arte e alla cultura nella provincia di Pescara.

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TabùVARIO

Mi trovo in quella che normalmente, teoricamente, viene chiamata “terza età”. A meno che non ne esista una quarta, ho la sensazione di non aver affatto ritirato i remi in barca. Anzi! Ho un’agenda piena di progetti, di passioni non ancora interamente vissute e di… Il problema è che non lo si può dire a nessuno. L’espressione di chi mi guarda è quella di chi sta per dirti “Ma ti sei guardata? Ma dove ti presenti…non si può invec-chiare bene se non fingi di essere giovane”. Questa eloquente dialettica visiva non riguarda né me personalmente né un giudizio sulle potenzia-lità delle donne agées. Che sollievo! Riguarda l’aspetto in generale delle donne che hanno passato il giro di boa degli “anta”. Non mi sono rifatta niente, ahimè, e i segni del tempo –non supportati da un fisico alla Kim Basinger neanche da giovane– si fanno sentire, oltre che vedere, ineso-rabili. Eppur mi piaccio. Il vantaggio di invecchiare dovrebbe essere che non devi sedurre nessuno, finalmente puoi smetterla di spendere una fortuna in creme e fialette. È il tempo della resa del corpo che lascia lo scettro al potere della seduzione affidata all’esperienza e alla maturità. Sfogliando riviste femminili dalla parrucchiera, purtroppo, mi accorgo che non è proprio così. Pagine e pagine, ormai della totalità dei giornali, o si consacra al gossip o alla pubblicità di come fare per restare sem-pre giovani e belli. È il mito della nostra epoca. La TV addirittura dà la pubblicità di una “clinique” dove ti puoi “regalare” qualcosa di nuovo: naso, occhiaie di diamante, seno inossidabile, stiratura di rughe… È una rincorsa in senso contrario, un orologio che ha le lancette che vanno an-tiorario. Tutti incitano noi, nonne della società, affinché non perdiamo lo splendore della pelle, il gusto di portare jeans attillati e camicette aperte sul seno debordante. Ci è proibito invecchiare. Guai se sui capelli si nota una linea di ricrescita bianca… C’è subito l’amica del cuore che ci dice “Ma dedicati di più a te stessa… lavori troppo… sai, conosco una buona estetista… fa miracoli con l’ozonoterapia”. Mai che qualcuno ci dica: hai provato a dare ai tuoi nipotini la merendina calmatutto? Fa miracoli con-tro i capricci… Almeno sarebbe un consiglio utile! Possibile che ci dob-biamo vergognare di desiderare di stare in vestaglia a poltrire o a fare le

nonne normali? Oddio… questo è un altro tasto dolente. Chiedo alla mia nipotina: mi vorrai sempre bene così anche quando sarai grande? E lei inesorabilmente sincera: “Ma se… (ridacchiando) ma non ti ricordi che quando sarò grande io tu sarai morta?!” Ben mi sta. Me la sono cercata. Scopriamo che il tempo dentro il quale possiamo mettere le emozioni più belle diventa il peggior nemico. Il rispetto che una volta veniva riservato agli anziani, all’esperienza di vita, oggi non esiste più perché siamo rite-nuti “colpevoli” di non aver saputo mascherare i segni del tempo, perché non ci siamo presumibilmente presi cura del nostro corpo. Ecco che sco-priamo che la nostra presenza sta divenendo insopportabile allo sguardo di chi si ostina a negare che il tempo non passa solo per chi si trascura ma per tutti. È l’unica giustizia che esiste a questo mondo. Azzittiamo la voce petulante del nostro intimo querulo grillo parlante che critica il nostro corpo come se potessimo plasmarlo a piacimento. Io propendo per la cosmèsi del sogno, della creatività. Leggo libri anti-age e mi faccio un lifting del desiderio di tanto in tanto per non dimenticare di prendermi davvero cura di me in quel che mi tie-ne in vita. Lo raccomando a tutte le donne. Noi non possiamo invecchia-re dentro perché non abbiamo la prerogativa che hanno gli uomini (per merito nostro!): gli uomini, si sa, pur se hanno pancetta, un po’ di calvizie e una montagna di insicurezza, se poco poco ostentano un grammo di piacioneria in più, li vediamo sex symbol. Noi donne abbiamo un corpo la cui data di nascita è segnata dagli sguar-di altrui, ma ricordiamoci che tale data non coincide con i desideri che ci animano. Quando si diventa vecchi davvero? Forse quando nessuno ascolta una nostra opinione?Ma va là… Certamente quando non ci importa più di avere qualche opi-nione… e diciamo in qualche modo: e fateci invecchiare in santa pace! Con dignità, per favore!

*Psicologa e Psicoterapeuta

C’è un vecchio detto che non sempre le per-sone, come esseri profondamente impre-gnati di socialità, tengono in debito conto, ovvero: la comunicazione e la relazione con l’altro non sono ciò che noi pensiamo di aver estrinsecato ma è ciò che l’altro ha percepi-to e recepito. Insomma, se siamo simpatici, chiari, efficaci etc. non è perché lo pensiamo noi ma è perché agli altri è arrivata questa “informazione”. Tale fondamentale rego-la apre le porte a considerare –tra le varie forme di intelligenza che da alcuni numeri stiamo analizzando in questa rubrica– quel-la dell’intelligenza interpersonale come una delle più importanti. Questa è una forma di intelligenza che dal punto di vista psicofisio-

logico coinvolge principalmente i lobi pre-frontali del cervello (sia nella parte dorso-laterale che ventre-laterale) che sono quelli che principalmente governano le funzioni più complesse nell’agire dell’uomo e, come si intuisce dall’allocuzione, comprende soprat-tutto la capacità di comunicare, interagire e lavorare con gli altri. Possiamo dire che il suo prerequisito indispensabile è sicuramente la capacità di ascoltare, capire ed essere in grado di mettersi nei panni altrui: solo que-ste skills, infatti, permettono di creare com-prensione, proattività, intesa e, nei casi più profondi, empatia. È una forma di intelligenza che si sostanzia nell’abilità di percepire e interpretare gli stati d’animo, le motivazioni,

le intenzioni e i sentimenti altrui e include la capacità di percezione sensibile soprat-tutto verso la cosiddetta comunicazione non verbale (mimica ed espressioni del viso, si-stema intonazionale della voce, analisi della gestualità e della prossemica). Naturalmente non è da tralasciare anche l’abilità di com-prensione e risposta agli altri, in modo effi-cace e pragmatico, dal punto di vista verbale. Come ha evidenziato H. Gardner l’intelligenza interpersonale si esprime essenzialmente in quattro modalità: la capacità di “connettersi” con gli altri, nel senso di saper stabilire re-lazioni e legami personali, utilizzando la già citata capacità comunicativa ed empatica. Il saper rendersi conto e comprendere la situa-

Ma lasciateci invecchiare di Laura Grignoli*

Siamo ciò che trasmettiamo di Galliano Cocco

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Cosa ci porta in giro per il mondo, ci di-rige e sostiene, se non i piedi? Parte del corpo spesso “dimenticata” e maltrattata, magari costretta in scarpe improbabili. La mancanza di autonomia, la poca indi-pendenza, l’incertezza negli obiettivi, sono aspetti di natura psichica ed emozionale che si somatizzano sui piedi, ma anche sul resto dell’arto inferiore, con particolare riguardo all’articolazione del ginocchio e dell’anca.In aggiunta alle necessarie indagini e cure mediche, aiuterà riflettere su quanto se-gue, per individuare eventuali strategie correttive di atteggiamenti e comporta-menti sbagliati. Se è il piede destro a dare problemi, bisogna impegnarsi a trovare soluzioni per rendersi indipendenti por-tando a termine le cose, attenendosi alle regole, esponendosi ed esprimendo giudi-zi, gestendo gli aspetti concreti della vita, come il denaro, l’integrità e la forza fisica (aspetti maschili). Per sostenersi utilizzan-do la musica, andranno selezionati brani con ritmo binario, molti crescendo e sono-rità forti, strumenti percussivi. Adeguata la musica etnica africana, oppure molte ouverture d’Opera di G. Rossini. Se invece è interessato il piede sinistro (aspetti fem-minili), allora bisogna risolvere tensioni sulla sfera dell’amore, equilibrarsi sulle trasgressioni, ridurre la rigidità lasciandosi

andare, magari dedicandosi ai balli latino-americani, coltivare gli ambiti spirituali e morali. In questo caso le composizioni musicali più adatte dovranno contenere ritmi ternari, sonorità dolci, strumenti a sfregamento come ad esempio gli archi. Molto adatti i valzer viennesi di J. Strauss.Tra i Fiori di Bach, Wild Oat è il più indica-to per individuare la propria direzione, in caso di scontentezza ed insicurezza sul ruolo da svolgere nella vita. Questo rime-dio floreale sostiene nella difficoltà di de-cidere quale occupazione seguire, anche quando le ambizioni sono forti ma non si ha una particolare vocazione.A togliere ogni eventuale dubbio sull’im-portanza dei piedi, va ricordata la Rifles-sologia Plantare, tecnica efficace per stimolare la funzionalità di ogni organo, at-traverso pressioni e massaggi di partico-lari punti individuati sulla pianta del piede, secondo il principio olistico per cui ogni nostra cellula, ogni distretto anatomico, sono in contatto tra loro, e non meravigli se per curare un mal di testa magari biso-gna occuparsi di un piede o, viceversa, se da un dolore al piede sarà diagnosticato un problema ai denti.

*Dottore in Psicologia, Direttore della L.U.ME.N.A., Professore a c. Facoltà di Scien-ze Sociali, Università “G. D’Annunzio” di Chieti.

Premetto che non sono assolutamente contrario all’uso delle famose “pallette”, Viagra, Cialis, Priggy, Levitra ecc. ed a qualunque altro ritrovato serva ad aiutare noi signori ad allietare, intortare, portare in cielo ecc. ecc. una o più signore; no, quello che mi ha letteralmente (in senso spirituale) sbalestrato è stato sapere che si va sempre più diffondendo nei giovani l’uso di queste pillole, come consumo abi-tuale per non fare brutte figure. Stiamo attenti: l’atto sessuale è puro divertimento, e come tale si può anche fare una figura di tolla, è parte della vita. L’impulso che ci guida a farci strapazzare da un-una partner deve essere finalizzato semplicemente a un arrapamento e un derapamento, assolutamente non gestiti come se stessimo partecipando ad un world-guinnes stronzact! Può essere che una trom-bata fatta con passione e senza controllo che duri tre minuti, dal punto di vista emozionale sia molto meglio di una trombata che duri due ore, eseguita come un compito a scuola, con tot minuti di riscal-damento, tot minuti di sfruguliamento, tot minuti di indurimento, tot minuti di palpaggio, accompagnati da commenti acconci e sconci ma studiati a tavolino. Che palle, ragazzi! Un altro pericolo che si corre andando dietro a queste abitudini è la medicalizzazione: cioè l’industria farmaceutica, non sapendo come ricavare altri soldi, cerca di creare nuove malattie: se il giovane che ogni tanto trova une jeune fille olé olé parte con una indurance e poi cade in una defaillance non deve pensare immediatamente che ci sia una decadence ma solo un momento di sfigadence da non trattare assolutamente come se fosse una malattia. Fotti, ma non fotterti!

Non è necessario soffermarsi molto sulla decadenza del corpo. Quel corpo femminile su cui, dai cinquanta in poi, ogni anno disegna ovunque aliti di vecchiaia: macchie sul-le mani e sul viso; tulle srotolato sul collo; braccia come bandiere al vento. A questo si può rimediare: ci si può co-prire e a volte si può fare anche, da lontano, una discreta figura tanto da giustificare la frase –sgradevole quanto vera– “dietro liceo, davanti museo”! No, a questo, gradual-mente e dolorosamente, ci si abitua, ma alla decadenza della mente non è possibile adattarsi. All’inizio c’era solo il disorientamento per essere entrate in una stanza e non sapere perché. Ne avevate parlato in giro e le amiche vi avevano tranquillizzato. Ma quel pentolino sul fuoco che casualmente avete visto prima di uscire e non avreste neppure ricordato di aver messo su, rispondendo ai vigili del fuoco vi prospetta orizzonti bui. Se poi vi accorgete di aver inviato un sms che forse giorni prima avevate solo pensato, senza averne la minima traccia mnemonica, co-minciate a preoccuparvi seriamente. Deliziosamente pa-tetici i tentativi di governare le innumerevoli defaillance: bigliettini sparsi per casa, telefonino che squilla per ogni appuntamento importante e –per ultimo– poiché l’anel-lo infilato nella mano sbagliata non basta più, scriversi le cose urgenti sulle mani. Vi vergognate di raccontare i vostri esercizi esasperati in giro, perché la letteratura li ha sempre attribuiti agli ottantenni, e quindi nessuno sa quanto preoccupanti siano i vostri vuoti di memoria. Ma forse è solo questione di abitudine. Forse ci si abitua an-che a questo. Forse.

*Psicologa e Psicoterapeuta

I piedi di Fabio Trippettii*

Pazzi, pupe e pillole di Giuseppe Capone*

Le parole per dirlo di Giovanna Romeo*

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zione del contesto microsociale in cui, in un dato istante, si agisce; contesto inteso come universo dell’altro: vale a dire quali sono i sentimenti, le motivazioni e le preoccupazioni che fanno parte del mondo di coloro con cui interagiamo. La terza modalità comprende la capacità di saper aggregare le persone: un’abilità, questa, cruciale, ad esempio, per chi ha funzioni di leadership e responsabilità di far lavorare in gruppo le persone in modo cooperativo. Infine, possedere abilità di nego-ziazione intese come il saper trovare soluzioni di mediazione specialmente quando la con-flittualità, tra persone e/o gruppi, è elevata.

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