Alberi robusti Non temono il passare degli anni, Sfidano...

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Alberi robusti come colonne del Tempio. Non temono il passare degli anni, il cadere triste delle foglie, l’avvicendarsi delle stagioni. Sfidano il tempo! Alberi solidi della solidità della fede; annunciano promesse, annunciano futuro. Sentinelle di speranza. Custodi della vita che scorre con ritmo pacato e instancabile. Acqua che irriga, risana, rende fertile la terra.

Transcript of Alberi robusti Non temono il passare degli anni, Sfidano...

Alberi robusticome colonne del Tempio.

Non temono il passare degli anni,il cadere triste delle foglie,

l’avvicendarsi delle stagioni.Sfidano il tempo!

Alberi solididella solidità della fede;annunciano promesse,

annunciano futuro.Sentinelle di speranza.

Custodi della vita che scorrecon ritmo pacato e instancabile.

Acqua che irriga, risana,rende fertile la terra.

Monsignor Luigi Biraghiduecento anni dopo

Edizioni Marcelline

In copertina:Paesaggio autunnale a Vignate (foto T. Gianni),Stemma delle Suore Marcelline.

Copyright 2002 Istituto MarcellinePiazza Andrea Ferrari, 5 - 20122 Milano

www.marcelline.org

Indice

Celebrazioni liturgiche

Carlo M. MartiniBiraghi: santo, missionario, educatore ................ 5

Libero TresoldiCultura e amore senza misura ...........................13

Jean Claude TurcotteLa sainte mission ..............................................19

Jean Claude TurcotteLa santa missione educativa .............................25

Pasquale MacchiDal ricordo uno slancio nuovo ............................31

Aloysio Josè Leal PennaL. Biraghi uomo di Dio, della Chiesa e del suotempo ...............................................................39

Marco NavoniLuigi Biraghi: prete coerente e appassionato ......45

Giornata di studio all’Ambrosiana

M. Angela AgostoniSaluto...............................................................55

Gianfranco RavasiIntroduzione......................................................57

Ennio ApecitiUmile di cuore, fervente di carità........................63

Franco BuzziL’apostolato culturale di mons. L. Biraghi dottoredell’ Ambrosiana ...............................................93

Altri momenti commemorativi

Gaetano QuartaMons. L. Biraghi nel suo e nel nostro tempo:profezia d’amore e di servizio ..........................145

Franco BuzziIl card. Panico e mons. Biraghi: servi della Chiesaa servizio dell’educazione e della carità ...........167

Massimo MarcocchiL’edizione critica delle lettere di L. Biraghi .......179

Cronaca degli eventi

Giuseppina ParmaCronaca degli eventi........................................197

Scheda biografica di mons. Biraghi.....................203

Al ricordo del loro fondatore, il servo di Dio mons.Luigi Biraghi (1801-1879), la cui causa di beatifica-zione è alle ultime tappe dell’iter canonico, le suoreMarcelline hanno dedicato l’anno 2001-2002, bicen-tenario della sua nascita, con celebrazioni e momentidi riflessione di alto livello sia nella diocesi ambro-siana, in cui l’istituto ebbe origine, e nella città diMilano, sede della casa generalizia e delle sue scuole‘storiche’, sia in alcuni dei principali centri della loroattività in Italia e all’estero.

Dall’inizio delle manifestazioni celebrative, il 24novembre 2001, con la concelebrazione presiedutadal cardinale Carlo M. Martini nella basilica di S.Ambrogio, sino alla conclusione di esse, il 3 novembre2002, con la liturgia eucaristica celebrata nella cap-pella della casa delle Marcelline di via Quadronnodal dottore dell’Ambrosiana mons. Marco Navoni,partecipanti privilegiate ai vari eventi sono state na-turalmente le suore Marcelline con la loro superioragenerale, madre M. Angela Agostoni, l’emerita madreM. Elisa Zanchi, illuminata ed intraprendente guidadell’istituto nella seconda metà del ‘900, la vicaria sr.M. Paola Albertario ed il consiglio generalizio.

Accanto a loro la grande ‘famiglia marcellina’:alunni, ex alunni, genitori e docenti delle loro scuole,

giovani dei centri parrocchiali e dei pensionati uni-versitari da esse animati, membri del movimento‘Laici Marcellini’ di recente istituzione.

Sempre presenti, poi, con vivo e cordiale interesseper l’opera della congregazione fondata da mons. Bi-raghi, autorità civili ed ecclesiastiche, professionistied amici di essa e numerosi sacerdoti e religiosi inessa e con essa operanti a diverso titolo.

Poiché queste celebrazioni, oltre ad offrire preziosielementi per una più completa conoscenza di mons.Biraghi, risultano ulteriori testimonianze della suafama di santità, si pubblicano i testi delle omelie diliturgie eucaristiche, celebrate in date particolarmentesignificative dell’anno bicentenario e di relazioni econferenze tenutesi nel corso di accademie svoltesinell’ambito di particolarmente solenni commemora-zioni .

CELEBRAZIONI LITURGICHE

celebrazioni liturgiche 3

Il 24 novembre 2001 – festa, nel calendario am-brosiano, della beata Marianna Sala, religiosa mar-cellina – l’anno bicentenario si è inaugurato con unaliturgia eucaristica concelebrata da oltre venti sacer-doti e presieduta dall’arcivescovo cardinale CarloMaria Martini nella basilica di S. Ambrogio a Milano.

Agli alunni ed ex alunni delle scuole milanesi delleMarcelline, con i loro docenti e genitori, ai molti fedelidi Cernusco e di Brivio – patria, rispettivamente, dimons. Biraghi e della beata Marianna Sala – e alleMarcelline di Milano e di Arona, che gremivano la ba-silica il cardinal Martini ha presentato la figura dimons. Biraghi santo, missionario, educatore.

Il 21 febbraio 2002 , giornata di studio sulla per-sonalità e l’opera di mons. Biraghi, nella casa gene-ralizia dell’Istituto, durante la liturgia eucaristica ce-lebrata al mattino, mons. Libero Tresoldi ha sottoli-neato del Biraghi la cultura e l’amore senza misuracome elementi costitutivi della sua santità.

Il 22 marzo a Montreal (Canada) nella chiesa di S.Léon, alla presenza della madre generale M.AngelaAgostoni, delle superiore e delle Marcelline in Cana-da, di personalità civili e religiose, docenti, allievi eloro genitori, ex allievi ed amici dell’Istituto , il cardi-nal Jean-Claude Turcotte ha presieduto la concele-

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brazione di 12 sacerdoti, sottolineando nella suaomelia la santa missione educativa,come carisma af-fidato dal Biraghi alle sue figlie Marcelline.

Il 28 maggio, anniversario della prima Messa dimons. Biraghi, ancora nella casa generalizia, mons.Pasquale Macchi, riallacciandosi a personali ricordi ,specie di Paolo VI , affezionato all’istituto del Biraghiper sua Mamma, che ne era stata alunna, ha auspi-cato per la congregazione dal ricordo uno slancionuovo.

Il 21 settembre 2002 in Brasile si concluse il bicen-tenario di mons. Biraghi con una celebrazione eucari-stica, nel corso della quale il vescovo di Botucatù,Dom Aloysio José Leal Penna, si soffermò a comme-morare il Biraghi come uomo di Dio, uomo di Chiesae del suo tempo.

Il 3 novembre, infine, a conclusione dell’anno bi-centenario, all’omelia di una solenne liturgia eucari-stica celebrata nella cappella della casa di via Qua-dronno, mons. Marco Navoni ha illustrato la figura dimons. Biraghi come prete coerente e appassionato.

Carlo Maria Martini

Monsignor Biraghi: santo, missionario,

educatore*

Come è già stato ricordato, oggi è la festa liturgicadella Beata Maria Anna Sala: a lei sono ispiratetutte le letture: suo è il fuoco ardente di cui parlaGeremia, quel fuoco che le ardeva nel cuore e chesplendeva nel servizio della comunità e nell'operaeducativa; sua è quell' affabilità di cui parla la se-conda lettura e quel suo affidarsi alla Provvidenza,non angustiandosi di nulla, insegnando alle alunnea fidarsi del Signore e suo è l'essere contemplativadavanti a Dio e anche, come dice il Vangelo, acco-gliere i piccoli, accogliere coloro che sono grandi nelRegno dei Cieli, nel nome di Gesù a cui ha dedicatotutta la sua esemplare attività educativa.

Ma noi, lasciandoci ispirare dall'attività esempla-re di questa santa, vogliamo ricordare l'inizio del se-condo centenario della nascita di monsignor LuigiBiraghi, fondatore delle Marcelline.

Nato a Vignate il 2 Novembre 1801, oltre due-cento anni fa, era quinto di otto fratelli di una fami-

* Omelia del cardinale arcivescovo Carlo Maria Martini nella

basilica di S. Ambrogio a Milano, il 24 novembre 2001, acommento delle letture liturgiche: Vita della beata MariannaSala; Ger 20, 7-9; Mt 18, 1-5.

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glia semplice, di lavoratori agricoli, famiglia che poinel 1806 si trasferisce a Cernusco sul Naviglio doveil padre ha acquistato una casa e dei terreni. A 11anni nel 1812 entra in seminario, diventa diaconoed è insegnante di greco nel seminario filosofico diMonza; dopo l'ordinazione sacerdotale continuerà adessere docente per parecchi anni fino al 1833,quando diventerà direttore spirituale dei seminari-sti, quindi sempre docente, educatore, professore epadre spirituale.

Dopo il 1848 entra in sospetto del governo au-striaco e, ad un certo punto, sarà persino allonta-nato dal seminario. In questo tempo il suo sguardosi allarga, pensa ad un istituto missionario che saràpoi il futuro PIME, Pontificio Istituto Missioni Este-re, e pensa ad un istituto per la formazione dellegiovani, appunto le Marcelline. Dal 1855 fino allamorte, avvenuta l' 11 agosto 1879, è stato dottoredella Biblioteca Ambrosiana.

Un romanziere di quel secolo, del 1800, discepolodi Manzoni, immagina in un suo romanzo che il Pa-rini affidi le sue volontà ad un giovane seminaristaprossimo all'ordinazione e descrive così l'ideale diun prete ambrosiano verso la metà dell' '800; è untesto famoso, chiamato anche il testamento di Giu-seppe Parini, che dice alcune parole riferibili in ma-niera commovente al Biraghi.

Tu, figlio, presto sarai prete. Che tu non possa dimentica-re giammai la tua missione. Il campo è più che maiaperto e sgombro e bisogna entrare spogli e con le sole

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armi della fede e della carità. Non immischiarti nei piccoliaffari del mondo, ma non ritirarti pusillanime quando so-no in pericolo la verità e la giustizia. La famiglia nostra èil genere umano, le nostre speranze ed i nostri timori nonsono di questo mondo. E ancora, studia perché bisognafar vedere che i preti non hanno paura del progresso edella verità, ma soprattutto ama, ama, ama sinceramentee allora tutti i doveri ti diverranno facili.

Ecco un po' retoricamente forse, ma con grandeforza incisiva è descritto quell'ideale di prete a cui siè attenuto fin dall'inizio monsignor Biraghi. Luistesso descriveva un ideale di prete a coloro che di-rigeva spiritualmente, ai suoi seminaristi, compone-va un suo saluto agli ordinandi, in una di quelleistruzioni che anche oggi i direttori spirituali sonosoliti dare ai candidati prossimi all'ordinazione e di-ceva così:

Combattete, ma non per dare adito alla vostra fortuna,non per procacciarvi preminenze fastose, non a far valerecapricci o private soddisfazioni, sì bene per la verità e perla giustizia – e continuava ad incitare i sacerdoti a – com-battere a favore della verità e della giustizia, per mezzodella verità – è interessante notare questa insistenza sullaverità – per virtù di sofferenze, vincere con la mansuetu-dine, trionfare con la pazienza, venire ad avere corona colpatire. Le nostre armi sono la Parola di Dio, le lagrime el'orazione, la nostra gloria è la croce di Gesù Cristo etutta la nostra scienza è Gesù e Gesù crocifisso.

Ed è così che egli metteva in pratica quella prio-rità che in questi nostri giorni Giovanni Paolo II

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nella sua lettera per il terzo millennio ha indicatocosì: «Non esito a dire che la prospettiva in cui deveporsi tutto il cammino pastorale è quella della san-tità.» E ancora, dice il Papa: «É ora di riproporre atutti con convinzione questa misura alta della vitacristiana: la santità ordinaria».

E, parlando di santità, qualcuno penserà che sivoglia parlare soltanto dei sacerdoti o delle religiose.Ma dobbiamo dire, forse un po' paradossalmente,ma con verità, che è più facile essere santi che esse-re mediocri. Essere mediocri vuol dire essere scon-trosi, capricciosi, pesanti, portare tutto con fatica,andare a scuola di malavoglia, studiare poco: si vivemale. Essere santi vuoI dire fare tutto con gioia, conserenità, con allegria, con fiducia e questo vale per ipiccoli e per i grandi, per le religiose e per i sacerdo-ti, per i genitori e per i nonni. La santità è la viadella gioia, questo ci insegna monsignor Biraghi.

Dall'ideale di santità nasce anche l'ideale di mis-sionarietà; ho già accennato prima che il PIME sideve anche alla sua intuizione. Fra il maggio e ilgiugno del 1839 don Giuseppe Marinoni, che è statouno dei cofondatori del PIME, scrive al Biraghi fa-cendo riferimento al progetto missionario coltivatoin seminario e proposto ai seminaristi e dice:

Carissimo mio padre in Cristo, il disegno ch'ella ha per lamente non è cosa di cui io possa giudicare; se io possotuttavia dire quel che mi viene suggerito in tanto bisognoche stanno le missioni estere di operai evangelici, contante e sì proprie occasioni che il Signore presenta di

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esercitare fruttuosamente il santo ministero, mi parrebbeottima cosa il consacrarsi nel ritiro, nell'orazione, nellostudio a questa grande impresa della propagazione dellafede.

Parole che valgono anche per oggi, parole che cichiariscono l'ideale missionario del Biraghi. E quan-do egli cadde in disgrazia presso il governo austria-co, lo stesso Marinoni, autore di questa lettera, loinvitava ad andare a Roma, proponendogli di di-ventare direttore spirituale di un collegio di missio-nari. La cosa non si poté attuare, ma l'indicazionedell'apertura missionaria del Biraghi anche oggi va-le; ancora oggi dobbiamo domandarci che cosa fac-ciamo per le missioni che hanno bisogno di noi. Checosa dicono le missioni alla nostra pigrizia, alla no-stra paura?

Dunque santo, dunque missionario, dunquegrande educatore. Sarebbe bello fare anche un sem-plice elenco di coloro che egli ha educato alla fede eall'eroismo delle virtù e che sono tutte figure grandidel suo secolo, ma vorrei ricordare, in particolare, ilsuo impegno educativo attraverso la cultura.

Dice la sua posizione per la beatificazione:

Convinto che la stampa era un mezzo irrinunciabile perla rigenerazione sociale dell'età moderna, egli pubblicòmolti scritti di carattere letterario, archeologico, storico,apologetico e non dimentichiamo anche che si impegnòper la vita pubblica e civile del suo tempo, perché fosseispirata dal Vangelo. Fu consigliere comunale di Cernu-sco, segno della sua reale attenzione all'animazione della

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società contemporanea; ma infine la sua opera primaria,la sua opera che è qui presente e che lo festeggia oggi,fondatore delle Suore Marcelline, dedite in modo specificoalla formazione e all'insegnamento delle giovani. Biraghiintuì che la trasformazione della società sarebbe passataper la famiglia e che occorreva formare ragazze convintedella loro fede, perché fossero un giorno madri cristiane,capaci di trasmettere le loro virtù ai loro figli ed irradiarlein famiglia sugli stessi mariti.

Nel 1864, in un suo scritto, egli si esprimevacosì:

Provavo gran pena di sì grave ed universale guasto dieducazione: e con l'aiuto di Dio pensai come si potesseistituire un corpo religioso che unisse il metodo e lascienza voluti dai tempi e dalle leggi scolastiche e insiemelo spirito cristiano, le pratiche evangeliche.

E per questo – scriveva a Marina Videmari, la prima di-scepola, il 14 luglio 1838 – gettatevi nelle braccia amoro-se del Signore, beneditelo e onoratelo con una vita sem-pre più santa.

Vi sarebbero molte altre cose da dire sulla suapresenza nella vita pubblica, nella vita sociale, nellavita della Chiesa; anche della fiducia personale dicui godette da parte dei Papi: vi è una lettera auto-grafa di Pio IX, per esempio, del 29 giugno del 1862,quando la diocesi di Milano era in piena crisi, per-ché era stato rifiutato dal governo il Ballerini comearcivescovo, nella quale il Papa, ringraziando per il

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dono fattogli dal Biraghi degli inni di S. Ambrogio,cui era molto devoto, gli risponde così:

E poiché ella si mostra così devoto al santo dottore, vorreidarle un incarico, grato a quel protettore di Milano e cheattirerà a lei le sue benedizioni nell'eseguirlo. E' cosatroppo nota la situazione non lodevole nella quale si trovauna porzione del Clero di codesta Città. Ella si adoperiquanto può al fine di persuadere la santa unione e lasoggezione a Chi presiede.

Ma anche con l'arcivescovo precedente, col Ro-milli, il Biraghi fu chiamato a fare opera di pace e dipazienza, di comprensione e così pure col Calabia-na, l'arcivescovo successivo: lo difese dalle accuse,dai mugugni della stampa anticlericale. Un annodopo l’elezione di questo arcivescovo egli si esprime-va in un testo di difesa così:

Non senza ragione l'arcivescovo è fatto segno quotidianoalle calunnie e agli sdegni del giornalismo: sono la suaprudenza, il suo zelo instancabile che provocano la satirae l'indignazione. Ha percorso in pochi mesi buona partedella diocesi, per conoscerla, evangelizzarla, confortarlacoi Sacramenti.

E ancora in un pellegrinaggio ambrosiano del1867 dichiarava al Papa la volontà del clero e dei fe-deli di Milano di essere sempre

uniti e concordi con l’esimio vescovo da voi donatoci,uniti e concordi con il venerabile Corpo dei vescovi di vo-stra comunione.

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Dunque, un uomo sempre della Chiesa, nei pro-blemi, nelle difficoltà politiche e sociali del suo tem-po, un uomo che metteva al centro di tutto il Signo-re Gesù.

Così egli riassume le sue raccomandazioni in unincontro coi sacerdoti:

Carissimi, ecco la prima, la più eminente qualità dei mi-nistri di Gesù Cristo: amare Gesù Cristo, amarlo davvero,amarlo sopra ogni cosa.

e alle Marcelline:

Sopra ogni cosa abbiate la devozione a Gesù Salvatore.Meditatene la vita, gli insegnamenti, la passione, i benefi-ci e fate di benedirlo in ogni tempo, di amarlo e di imi-tarlo perché questo è il tutto della religione cristiana.

e anche a noi ripete:

Non vi è bene che nell'amare nostro Signore Gesù Cristo.Solo nell'amare Gesù Cristo non dovete mettere misura.

Lasciamo risuonare in noi tutte queste parole cheanche oggi ci indicano la via della Vita.

Libero Tresoldi

Cultura e amore senza misura*

Ci siamo raccolti, carissime sorelle, per ricordareinsieme Mons. Luigi Biraghi, fondatore delle suoreMarcelline in questo secondo centenario della suanascita e in una preghiera ricca di una fiduciosasperanza per la sua prossima – speriamo – beatifica-zione.

Due momenti caratterizzano la giornata di oggi:in questo momento, la lode riconoscente a Dio inquesta Eucaristia per il dono da Lui fatto alla chiesae alla società di questo eminente sacerdote, padrenella fede ed educatore sapiente, Eucaristia cele-brata in questa casa che, per quanto ne so io, è ilcuore pulsante dell'Istituto e della sua intensa atti-vità. Questa sera concluderemo la giornata con lasolenne commemorazione alla Biblioteca Ambrosia-na, della quale Mons. Biraghi fu autorevole membroin anni culturalmente complessi e contrastati quasicome i nostri.

La Parola di Dio, in questo primo giovedì di Qua-resima, si apre con la benedizione di Dio su Noè esulla sua discendenza dopo la loro miracolosa sal-

* Omelia di mons. Libero Tresoldi nella cappella della casa

generalizia delle Marcelline, 21 febbraio 2002.

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vezza dall'immane disastro del diluvio. Siate fecondie moltiplicatevi e riempite la terra.

Questa benedizione del Signore l'accogliamo an-che noi, carissime sorelle, con tanta gioia per questanostra famiglia delle Suore Marcelline, ormai pre-senti in diverse parti della terra, e che in questi annisono andate via via moltiplicandosi e speriamo chela moltiplicazione continui anche per il futuro.

Mons. Biraghi nasce all'indomani della rivoluzio-ne francese e nel tempo delle conquiste napoleoni-che; nasce in terra lombarda, allora devastata daglieserciti stranieri e da profonde difficoltà sociali; na-sce in un'Italia che ancora non esisteva come tale eche dovrà affrontare, proprio in quegli anni, enormiproblemi sociali e anche religiosi per raggiungereuna sua unità politica.

Mons. Biraghi ha il dono di nascere e di crescerein una famiglia ricca di fede, anche se duramenteprovata dalla morte dei giovani fratelli di Luigi, ed èin questo contesto che matura la sua vocazione alsacerdozio e al suo primo e decisivo servizio allaChiesa ambrosiana. E' chiamato ad essere educato-re di adolescenti e di giovani che nell'esperienzadella vita seminaristica si preparano al sacerdozio.Come insegnante prima, come direttore spiritualepoi, egli lascia un ricordo incancellabile nelle vicen-de del seminario di corso Venezia, situato allora nelcuore della nostra città di Milano.

Vive con passione gli anni della presenza austria-ca in Milano e, munito del suo spirito di libertà, tra-smesso anche ai seminaristi, incontra difficoltà e

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impedimenti che arrecheranno possibili ostacoli allasua assunzione di ulteriori responsabilità nella stes-sa vita diocesana. Eppure egli ha vissuto con au-tentico amore alla Chiesa le stesse tensioni anchenell'ambito della famiglia del presbiterio diocesano emeriterà, per la sua capacità di dialogo e difesa dellaverità, la stima profonda di Papa Pio IX.

Trovò in un tempo carico di grandi problemi la ri-sposta che lo riportava con sicurezza alla Parola diDio e alla fedele sequela del suo Signore. E' quelloche abbiamo ascoltato nel brano evangelico: «Se lavostra giustizia (santità) non supererà quella degliscribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei cieli».E' quindi l'invito preciso di un cammino di santitàche traspare anche dal brano evangelico. Gesù nonè venuto ad abolire la legge e i profeti; è venuto acompletarli, interiorizzandoli. Quindi l'esortazionead interiorizzare il modello di vita praticato dal Si-gnore Gesù è una precisa indicazione ad una vita diamore e di carità che attinge forza e coraggio, èprologo dell'amore di Dio e della missione salvificadel Signore Gesù.

Se, dagli anni di Mons. Biraghi, veniamo a questoinizio del terzo millennio, dobbiamo dire che certa-mente sono mutati i tempi e i problemi, ma le diffi-coltà sociali, culturali, religiose non sono certa-mente minori sia sull'orizzonte mondiale come nellenostre minori realtà. Nella Novo Millennio Ineunte, ilPapa evidenzia che la prospettiva in cui deve porsitutto il cammino pastorale, quindi anche il camminodi una comunità religiosa come la vostra, è quello

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della santità e ci rimanda alla necessità di ripartireda Cristo. Nello stesso documento il Papa ci esorta ariscoprire il valore programmatico del capitoloquinto della Lumen Gentium, dedicato alla vocazioneuniversale alla santità e conclude il Papa:

Professare la chiesa come santa significa additare il suovolto di sposa di Cristo per la quale Egli si è donato pro-prio al fine di santificarla. Questo dono di santità oggetti-va è offerto a ciascun battezzato e a maggior ragione adogni persona consacrata.

I vescovi italiani riprenderanno, nei loro orienta-menti pastorali, Comunicare il Vangelo in un mondoche cambia, l'invito del Papa alla santità, sostenen-dolo con la bella preghiera del card. Newman:

Stai con me, e io inizierò a risplendere come tu risplendi;a risplendere fino ad essere luce per gli altri. La luce, oGesù, verrà tutta da te: nulla sarà merito mio. Sarai tu arisplendere, attraverso di me, sugli altri.

Mons. Biraghi alle sue Suore Marcelline cosìavrebbe commentato: «Solo nell'amare Gesù Cristonon dovete mettere misura».

Egli fu testimone dell'importanza decisiva di unacultura illuminata dalla Parola di Dio e da una fedevissuta e fondata sulla ragione. Il nostro Papa in uncerto suo intervento dice che la fede non riposa sulleceneri della ragione. Perciò Mons. Biraghi, testimonedell'importanza della cultura, considerò missione alui affidata da Dio privilegiare il carisma educativoprima tra i giovani seminaristi e poi dando vita al-

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l'Istituto delle Suore Marcelline con la missione disvolgere generosamente il compito educativo tra legiovani. Volle fare organizzare questo servizio edu-cativo come un dialogo esistenziale vissuto in unaprofonda comunione tra educatrici e alunne, apertoai grandi valori umani e cristiani e alla comprensio-ne di tutta la realtà, così da offrire risposte vere aiproblemi della gioventù e dell'età antica. Presagì cheil progresso della società avrebbe dato crescente im-portanza al ruolo della donna e avrebbe quindi ri-chiesto per essa una preparazione adeguata.

Ancora oggi la sfida educativa si vede come la piùesigente e difficile; lo stesso nostro Papa, a chiusuradel concistoro dei cardinali del maggio dello scorsoanno, dice che

questo nostro modo materno, quando si mostra sensibilealla dimensione religiosa, accentua al massimo l'immagi-ne di Dio creatore, mentre trova difficile accogliere loscandalo di un Dio che per amore entra nella nostra sto-ria e si fa uomo morendo e risorgendo per noi.

Tale sfida, quella educativa, si presenta nel cam-mino preparatorio al sacerdozio, nel cammino dipreparazione alla vita consacrata, ma si riversa an-che sulla missione educativa delle famiglie che do-vrebbero essere la prima insostituibile comunitàeducativa. L'educazione, infatti, è una continua ge-nerazione resa oggi più complessa dall'intervento dinumerosi cosiddetti altri educatori.

Mons. Luigi Biraghi richiama alcuni principi edu-cativi sempre validi anche oggi: educare figli di Dio

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innanzi tutto; educare è camminare insieme prece-dendo con la testimonianza della vita; educare aduna obbedienza libera e fiera, animata dal donodello Spirito Santo. Educare, infine, vuoI dire edu-care sempre verso il dono di sé e la carità in uncontesto di eccesso del benessere.

Nel formulare tali principi educativi Mons. Bira-ghi si è certamente ispirato a Santa Marcellina cheha fatto, con la sua preghiera, dono alla Chiesa didue grandi santi, i suoi fratelli. Questi grandi santisostengano anche oggi il nostro impegno quotidianoe donino fecondità alla vostra generosa dedizione.

Jean Claude Turcotte

La sainte mission*

L'invitation que vous m'avez adressée de venirprésider la célébration d'aujourd'hui m'a donné l'oc-casion de faire plus ample connaissance avec votrefondateur, monseigneur Louis Biraghi. J'ai prisplaisir à examiner ce qui l'a conduit à fonder votrecongrégation et quelles idées-force, concernantl'éducation des jeunes, le guidaient.

Louis Biraghi avait enseigné aux jeunes de sonépoque et il avait exercé auprès d'eux le ministèrede la direction spirituelle. Il connaissait donc lesjeunes de près. Homme cultivé, il était au courantde ce qui se passait autour de lui. Il était sensibleaux courants d'idées qui influençaient son temps etconscient de l'importance pour l'Eglise de ne pas vi-vre en dehors de la culture du monde, mais en lienavec elle. Sa clairvoyance lui avait fait réaliser quel'éducation des jeunes devenait de plus en plus sé-culière, échappant ainsi à l'influence du christia-nisme.

Il réagit en fondant votre congrégation qui vise àl'éducation intégrale des jeunes. Intégrale, c'est-à-

* Vendredi 22 mars 2002. Bicentenaire de naissance du

Fondateur des Marcellines. Homélie du cardinal Jean-ClaudeTurcotte. Lectures: Rom 12, 3-13; Mc 9, 34-37.

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dire qui s'applique non seulement à bien instruiremais aussi à communiquer les valeurs religieuses,civiques et sociales1 qui doivent former un ensembleharmonieux.

Il est très intéressant de constater qu'à son épo-que, Louis Biraghi ne boudait pas les sciences et cequ'elles apportaient de neuf, mais demandait auxenseignantes d'y être sérieusement initiées afin depouvoir correctement les transmettre.

Au moment où, dans le Québec d'aujourd'hui,une séparation de plus en plus marquée s'instaureentre l'instruction, la communication des valeursmorales et l'initiation aux valeurs chrétiennes, nousavons certainement à nous interroger sur les meil-leurs chemins à prendre pour que les jeunes de no-tre temps puissent avoir accès à une formation inté-grale. Votre longue et riche expérience d'enseignan-tes vous habilite à faire entendre votre voix sur untel sujet.

Louis Biraghi tenait en très haute estime la voca-tion d'éducatrice chrétienne. Aussi n'hésitait-il pas àexiger beaucoup des jeunes femmes qui désiraiententrer dans votre congrégation. Vous connaissezcertainement ces lignes du numéro 18 de la règle de1853 qui disent ceci:

1 Cfr. M. FERRAGATTA, Monseigneur Biraghi fondateur des

Soeurs Marcellines, Edition des Soeurs Marcellines, 1994, p.130.

la sainte mission 21

la tâche d'éducatrice est sainte, difficile, [...] elle demandede l'habilité, des exemples édifiants, du désintéressementabsolu et sacrifices continuels2.

C’est parce qu'il exigeait beaucoup des éducatri-ces de votre congrégation, que monseigneur Biraghin'hésitait pas à leur présenter la sainteté à la foiscomme un objectif personnel à atteindre et commeun moyen requis par leur propre mission éducative.

En plus d'admirer la sagesse du programme devie que votre fondateur vous a proposé, j'ai appréciél'exposé des principes qui, selon lui, doivent guiderles éducatrices dans leur travail.

Il insistait sur l'importance de demeurer près desjeunes. Pour bien éduquer une jeune fille, disait-il,mieux vaut placer sous ses yeux des exemples vi-vants que de lui prodiguer des conseils de loin et dehaut3.

A une époque, où l'éducation était considéréecomme un moule très contraignant qui tendait sou-vent à uniformiser les personnalités, Mgr. Biraghirappelait l'importance de respecter l'individualité dechaque jeune. Il tenait aussi à ce que l'esprit qui rè-gne à l'intérieur d'une institution scolaire soit unesprit de famille. A l'époque, c'était une nouveauté;aujourd'hui c'est une valeur à redécouvrir et à dé-velopper dans un contexte nouveau.

Louis Biraghi n'a pas inventé de toutes pièces lesdivers éléments de la spiritualité et de la pédagogie

2 Ibid. p.114.3 Cfr. Règle 55.

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qu'il a légués aux Marcellines. Il les a puisés dansles Ecritures, en particulier dans le Nouveau Testa-ment.

Peut-être avait-il longuement médité le passagede l'apôtre Paul que nous venons d'entendre. Cetexte affirme la diversité des dons et des talentscommuniqués par l'Esprit en vue de la formationd'un seul corps.

Monseigneur Biraghi a demandé aux membres dela communauté qu'il a fondée, de développer aumaximum leurs dons et leurs talents. Il était cons-cient que la diversité des charismes n'est pas unemenace, mais une richesse quand ceux-ci sont misau service des autres, avec joie, désintéressement ethumilité.

«Qui est le plus grand parmi nous?» , s'étaientdemandé les disciples de Jésus, alors qu'ils mar-chaient vers Capharnaüm. Il leur répondit par ungeste symbolique, en plaçant un enfant au milieud'eux. Il voulait ainsi leur faire comprendre que, se-lon son échelle de valeurs, le plus grand est celuiqui se met généreusement au service des plus petitset des plus faibles. Il voulait aussi leur faire com-prendre qu'il s'identifiait personnellement aux pluspetits et aux plus faibles.

Adressé à tous ceux et celles qui veulent être dis-ciples de Jésus, cet enseignement mérite d'êtreparticulièrement entendu par ceux et celles quiconsacrent leur vie à l'éducation des jeunes.

Les meilleurs éducateurs ne sont-ils pas ceux quise mettent le plus humblement et le plus authenti-

la sainte mission 23

quement au service des jeunes? Les meilleurs édu-cateurs chrétiens ne sont-ils pas ceux qui, pargrâce, discernent le visage même du Christ derrièrecelui des jeunes qui leur sont confiés?

Chères Sœurs Marcellines, en célébrant aujour-d'hui le bicentenaire de naissance de votre fonda-teur, je suis heureux de pouvoir rendre grâce à Dieupour ce que vous êtes et ce que vous accomplissez.

Avec vous je prie pour que l'offrande de votre vieet vos labeurs portent beaucoup de fruit.

Les jeunes, la société et l'Eglise ont plus que ja-mais besoin de vous.

Jean Claude Turcotte

La santa missione educativa*

L'invito da voi rivoltomi, di venire a presiedere lacelebrazione di oggi, mi ha dato l'occasione di cono-scere più a fondo il vostro fondatore, mons. LuigiBiraghi. Ho avuto il piacere di esaminare ciò che l'hacondotto a fondare la vostra congregazione e di ana-lizzare le sue idee-forza, circa l'educazione dei gio-vani.

Luigi Biraghi è stato per i giovani del suo tempoinsegnante e direttore spirituale. Li conosceva, dun-que, molto da vicino. Uomo colto, al corrente diquanto succedeva intorno a sé, era sensibile allecorrenti ideologiche che influenzavano il suo tempoe cosciente dell'importanza per la Chiesa di non vi-vere al di fuori del mondo e della sua cultura, ma inrapporto e dialogo con essi. La sua chiaroveggenzagli aveva fatto capire che l'educazione dei giovani,sempre più secolarizzata, sfuggiva, così, all'influenzadel cristianesimo.

Egli reagì fondando la vostra congregazione, il cuiscopo è l'educazione integrale dei giovani. Integrale,vale a dire che s'impegna, non solo a bene istruire,

* Venerdì, 22 marzo 2002 nel bicentenario della nascita delFondatore delle Suore Marcelline. Omelia tenuta da suaEminenza il Cardinale Jean-Claude Turcotte Arcivescovo diMontréal. Letture: Rom 12, 3-13; Mc 9, 34-37.

26 celebrazioni liturgiche

ma anche a comunicare quei valori religiosi, civili esociali 1 che debbono formare un tutto armonioso.

E' assai interessante costatare come Luigi Biraghinon rifiutava le scienze del suo tempo e ciò che essepotevano portare di novità, ma domandava alle in-segnanti di esservi seriamente iniziate per poterlepoi trasmettere correttamente alle loro educande.

Nel momento in cui nel Québec di oggi s'instaurauna separazione sempre più netta tra istruzione,comunicazione di valori morali ed iniziazione ai va-lori cristiani, noi dobbiamo certamente interrogarcisulla strada migliore da prendere, perché i giovanidel nostro tempo possano accedere ad una forma-zione integrale. La vostra lunga e ricca esperienza diinsegnanti vi abilita a far udire la vostra voce inproposito.

Luigi Biraghi teneva in grandissima considerazio-ne la vocazione di educatrice cristiana. Così egli nonesitava ad esigere molto dalle giovani che desidera-vano entrare nella vostra congregazione. Conoscetesicuramente quelle righe del numero 18 della Regoladel 1853 che dicono così:

il compito di educatrice è santo, difficile, [...]esso richiededelle capacità, degli esempi edificanti, disinteresse asso-luto e sacrifici continui2.

Proprio perché era molto esigente con le educa-trici che egli desiderava veder entrare, vivere e lavo-

1 Cfr. M. FERRAGATTA, Monsignor Luigi Biraghi fondatore delleSuore Marcelline, Edizioni delle Suore Marcelline, 1994, p. 130.

2 Ibid. p.114.

la santa missione educativa 27

rare nella vostra congregazione, il vostro fondatorenon esitava a presentare il raggiungimento dellasantità, sia come obiettivo personale da raggiungere,sia come mezzo richiesto per esercitare il compitodell'educazione. Ai suoi occhi, per essere una buonaeducatrice, bisognava tendere alla santità; inversa-mente: la professione di educatrice, esercitata concompetenza,aiuta a progredire nella santità.

Oltre ad ammirare la saggezza del programma divita che il vostro fondatore vi ha proposto, apprezzol'esposizione dei principi che, secondo lui, debbonoguidare le educatrici nel loro lavoro. Egli insistevamolto sull'importanza di stare con i giovani. Per beneducare una giovinetta, diceva, vale molto di più of-frire al suo sguardo degli esempi viventi che prodi-garle dei consigli dall'alto.3

In un'epoca in cui l'educazione era consideratacome un modello da imporre, che spesso tendeva aduniformare le personalità, mons. Biraghi ricordava,invece, l'importanza del rispetto dell'individuo edella personalità di ogni giovane.

Raccomandava anche che all'interno di ogni isti-tuzione scolastica vi fosse uno spirito di famiglia.All'epoca era una novità; oggi è un valore da risco-prire e da sviluppare in contesti nuovi.

Luigi Biraghi non ha inventato tutto; i diversielementi della spiritualità e della pedagogia che halasciato in eredità alle Marcelline, egli li ha attintidalla Scrittura, in particolare dal Nuovo Testamento.

3 Cfr. Regola 55.

28 celebrazioni liturgiche

Forse egli aveva lungamente meditato il passaggiodell'Apostolo Paolo che abbiamo appena ascoltato.Questo testo afferma la diversità dei doni e dei ta-lenti comunicati dallo Spirito in vista della forma-zione di un solo corpo.

Mons. Biraghi ha chiesto ai membri della comu-nità che ha fondato di sviluppare al massimo i lorodoni e i loro talenti. Era consapevole che la diversitàdei doni e dei talenti non è una minaccia, ma unaricchezza, quando questi sono messi al servizio deglialtri, con gioia, con disinteresse e con umiltà.

«Chi è più grande fra noi ?», si erano chiesti i di-scepoli di Gesù, mentre camminavano verso Cafar-nao. Egli rispose loro con un gesto simbolico, po-nendo un bambino in mezzo a loro. Voleva così farloro capire che, secondo la sua scala di valori, il piùgrande è colui che si mette generosamente al servi-zio dei più piccoli e dei più deboli. Voleva anche farloro capire che lui si identificava personalmente coni più piccoli e i più deboli.

Rivolto a tutti quelli che vogliono essere discepolidi Gesù – uomini e donne –, questo insegnamentomerita di essere particolarmente ascoltato da coloroche consacrano la loro vita all'educazione dei giova-ni.

I migliori educatori non sono forse quelli che simettono con molta umiltà e autenticità di vita alservizio dei giovani? I migliori educatori cristianinon sono forse quelli che, per grazia, scoprono ilvolto stesso di Cristo dietro quello dei giovani chesono loro affidati?

la santa missione educativa 29

Care suore Marcelline, celebrando oggi il bicente-nario della nascita del vostro Fondatore, sono felicedi rendere grazie a Dio per quello che voi siete e fate.Con voi prego perché l'offerta della vostra vita e dellevostre fatiche porti molto frutto.

I giovani, la società e la Chiesa hanno più chemai bisogno di voi.

Pasquale Macchi

Dal ricordo uno slancio nuovo*

Io sono molto lieto di celebrare con voi e per voiquesta solenne Eucaristia con la quale vogliamo in-serirci nella celebrazione del secondo centenariodella nascita del vostro fondatore, Mons. Luigi Bira-ghi, nel giorno che evoca la sua ordinazione sacer-dotale e la sua prima messa.

Sono pertanto molto grato alla vostra Madre Ge-nerale per il gentile invito che mi consente di parte-cipare alla vostra gioia per questo centenario cosìimportante per la vostra famiglia religiosa e, ovvia-mente, il mio primo saluto va alla vostra Madre Ge-nerale con i miei più fervidi auguri per il suo incari-co così importante e impegnativo e poi un saluto e ilmio augurio va alla madre vicaria, Madre MariaPaola, poi a Madre Elisa che io conosco ormai daquarant’anni e infine il mio saluto si rivolge a tuttivoi con gli auguri più cordiali, perché questo cente-nario sia davvero una data importante per la vitadella vostra famiglia religiosa e soprattutto per lavostra vita personale.

* Omelia di mons. Pasquale Macchi durante la liturgia

eucaristica celebrata il 28 maggio 2002 nella cappella della casageneralizia delle Marcelline.

32 celebrazioni liturgiche

Non nego che sono molto lieto di celebrare con voie per voi questa Eucaristia, ma sono anche moltocommosso, perché in questo momento non possonon ricordare le visite che più volte fece a voi PaoloVI quando era arcivescovo di Milano; non posso nonricordare i rapporti intensi che ha avuto con la vo-stra famiglia religiosa e soprattutto il suo affettoparticolare per le Suore Marcelline, affetto che avevala sua radice nella profonda riconoscenza per il beneche le Suore Marcelline avevano elargito a sua ma-dre quando fu vostra alunna per tanti anni e, diconseguenza, per il bene elargito a lui stesso tramitela madre. Non posso non esprimere vivissima e sin-cera gratitudine a voi, che avete voluto dedicare alnome della mamma di Paolo VI, Giuditta AlghisiMontini, la scuola che avete costruito in Albania eche sarà inaugurata il prossimo primo giugno. Ditutto cuore mandiamo i nostri più fervidi auguriperché questo nuovo Istituto delle Suore Marcellinesia veramente benefico in quel paese tanto bisogno-so, e auspichiamo che Paolo VI manifesti la suaparticolare protezione e benevolenza alle Suore e atutte le persone che saranno da loro assistite e aiu-tate.

Il brano del Vangelo che abbiamo appena lettosembra fatto apposta per noi, chiamati a ricordare erivivere la forte e coraggiosa figura di Mons. Biraghi,vostro fondatore, prete instancabile nella Diocesimilanese, uomo di fede piena, luminosa e gioiosa;persona aperta alla realtà di ogni momento inter-

dal ricordo uno slancio nuovo 33

pretata come richiamo per una seminagione frut-tuosa della Parola e della presenza di Dio.

A Pietro, che quasi con orgoglio confessa a Gesùil suo gesto eroico di aver lasciato tutto per seguirloe per il quale vorrebbe ricevere un premio adeguato,Gesù risponde con la sua consueta generosità: chiha lasciato tutto riceverà il centuplo in questa vita ela promessa del Regno.

E’ la promessa di Gesù, è la realtà che voi da annivivete, è il frutto del dono intelligente e generoso cheMons. Biraghi offrì con tutta la sua vita.

Penso che meglio di me voi conosciate la vita delvostro Fondatore e capiate fino in fondo le radicidelle sue scelte, dei suoi comportamenti, di tantimomenti che per lui erano del tutto coerenti conl’impegno cristiano e sacerdotale e che ad altri talo-ra apparvero inutili e persino dannosi. Conoscetemeglio di me anche tutto il susseguirsi politico dellavita milanese nella metà del secolo decimo nono, epotete capire anche come fosse difficile seguire idettami della coscienza illuminata dalla Parola diDio nella confusione di idee, di valori, di tradizioni edi abitudini allora dominante anche nelle persone diChiesa. Forse si può avere un’idea più concreta pa-ragonando quei tempi con i nostri attuali, quandoanche per noi non è facile discernere il giusto e tro-vare i modi più adatti per attuarlo.

Dico queste cose perché vorrei che celebrare il se-condo centenario della sua nascita diventi per voi,come per tutti noi, un’occasione per riflettere sulnostro modo di vivere e di operare. Tanto più per

34 celebrazioni liturgiche

voi, chiamate oggi a educare nelle vostre scuole ge-nerazioni di giovani non più selezionate come agliinizi, già vicine alla vita cristiana, ma giovani im-merse in una civiltà e cultura del tutto scristianiz-zata e priva di valori e di ideali forti e universali.

Mi piace anche leggere in questo senso la primalettera di San Pietro dove invita a riflettere sull’inse-gnamento dei profeti. Non è così che dobbiamomettere in pratica tutto l’insegnamento di Mons. Bi-raghi, tutta la sua azione pastorale, e soprattutto lasua idea di fondare una congregazione religiosa de-dita solo all’educazione giovanile attraverso lascuola? Non è così che potete e dovete verificare ilvostro impegno quotidiano, le vostre fatiche, le diffi-coltà che ogni giorno insorgono e sembrano vanifi-care quanto spendete di voi stesse?

E ancora San Pietro insiste:

perciò, dopo aver preparato la vostra mente all’azionesiate vigilanti, fissate ogni speranza in quella Grazia chevi sarà data.

Ecco la garanzia della vostra fedeltà alla vostraorigine, e quindi alla fecondità del vostro lavoro.Preparare la mente ad essere vigilanti per non per-dere di vista lo scopo per il quale esistete. Quelloche mi pare prezioso da mettere in atto anche ai no-stri giorni è quell’insieme di novità e di coraggionelle scelte con una perenne obbedienza alla Chie-sa; un misurarsi continuo sulla fedeltà alla Parola diDio; uno scandagliare nel profondo del cuore per

dal ricordo uno slancio nuovo 35

non lasciarlo mai invadere dall’orgoglio, dall’egoi-smo, dalla sfiducia.

E guardando ai molteplici impegni che Mons. Bi-raghi seppe assolvere negli anni del suo sacerdozio,impegni così diversi e così importanti e anche cari-chi di responsabilità e di pericoli fino ad essere giu-dicato male dalle stesse autorità civili, dobbiamo ri-trovare anche noi il coraggio di lasciarci condurredallo Spirito di Dio, che con forza indica la strada dapercorrere.

Partecipando alla festa del cinquantesimo dellavostra casa in piazza Tommaseo nel 1957, Paolo VI,allora arcivescovo di Milano, vi diceva:

Bisogna saper trarre dal passato l’arte di ringiovanirsi, distaccarsi da ciò che è caduco. Bisogna mantenersi sem-pre vigili, attenti, sempre desiderosi di una perfezione mi-gliore che l’educazione cristiana esige, appunto, da animeche si sono consacrate a questa altissima arte.

Come sempre il ricordo diventa un richiamo, uninvito pressante e genera uno slancio nuovo: tantopiù il ricordo di questo sacerdote così grande nelsuo servizio vissuto con tanta generosità.

Chiediamo a lui di aiutarvi nel vostro servizio, nelvostro carisma di Suore Marcelline, nell’impegno dimantenere sempre fresco e nuovo il vostro spirito.

Oggi non è giorno soltanto di ricordi – diceva l’arcivescovo– ma è giorno di proponimenti…. Giorno di promesse, dipropositi, di programmi in cui si rinnovano le energie spi-rituali: e per essere degni di chi ci ha preceduto e di chi ciaspetta per il tempo avvenire. Promesse nuove noi dob-

36 celebrazioni liturgiche

biamo offrire al Signore, promesse di fedeltà, promesse divivere in sacrificio, di vivere in umiltà, di vivere in dedi-zione di sé una missione così grande e così bella. Perché,lo sappiamo bene, questa è la legge fondamentale dellecose buone, delle cose che hanno merito e successo da-vanti a Dio: niente riesce se non con dispendio di sé.Tanto rende quanto ci si mette di sacrificio, di pazienza,di imitazione di Cristo, di speranza, di amore.

Siate voi, per prime, delle donne nuove, donnesante, santificate da un amore senza confini, da undesiderio sempre più vivo attinto ogni giorno nellapreghiera, nel sacrificio, nella intima comunione conGesù, l’unico maestro, l’unico educatore.

Ci affidiamo con intenso affetto a Maria Santissi-ma che voi venerate in modo particolare come Ma-donna del Divin Pianto. Ci affidiamo a Santa Mar-cellina, alla beata Maria Anna Sala e a loro chiedia-mo che ci concedano di poter presto venerare Mons.Luigi Biraghi tra i beati riconosciuti dalla Chiesa.

E poiché siamo nel mese di maggio, vogliamo direa Maria, con espressioni di Paolo VI:

O Maria, piena di grazia, Immacolata, sempreVergine, Madre del Cristo, Madre di Dio e nostra,Assunta in Cielo, Regina beata, modello della Chiesae nostra speranza, noi ti offriamo la nostra umile efiliale volontà di onorarti e di celebrarti sempre conun culto speciale che riconosca le meraviglie di Diooperate in Te, con una devozione particolare cheesprima i nostri sentimenti più pii, più puri, piùumani, più personali, più confidenti, e che faccia ri-

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splendere alto sul mondo l’esempio attraente dellaperfezione umana. O Maria, ti preghiamo: faccicomprendere, desiderare, possedere in tranquillitàla purezza dell’anima e del corpo, nei pensieri e nelleparole, nell’arte e nell’amore; quella purezza che og-gi il mondo attacca e profana con accanimento,quella purezza alla quale il Cristo ha concesso unadelle sue promesse e beatitudini: lo sguardo limpidoche vede Dio. Insegnaci il raccoglimento, l’inte-riorità; dacci la disposizione ad ascoltare le buoneispirazioni e la Parola di Dio; insegnaci la necessitàdella meditazione, della vita interiore personale,della preghiera che Dio solo vede nel segreto. Maria,insegna a noi l’amore. L’amore chiediamo, Maria,l’amore a Cristo, l’amore unico, l’amore sommo,l’amore totale, l’amore dono, l’amore servizio per ifratelli. Aiutaci ad amare così. Ottieni a noi, o Maria,la fede, la fede soprannaturale, la fede semplice,piena e forte, la fede sincera, attinta alla sua fonteverace, la Parola di Dio, e al suo canale indefettibile,il magistero istituito e garantito da Cristo, la fede vi-va. O Tu, «beata che hai creduto», confortaci col tuoesempio, ottienici questo carisma. E poi, o Maria,chiediamo al tuo esempio e alla tua intercessione lasperanza. Speranza nostra, salve! Anche di speranzaabbiamo bisogno, e quanta! Tu sei, Maria, immaginee inizio della Chiesa; risplendi ora innanzi al Popolodi Dio quale segno di certa speranza e di consola-zione, o Madre della Chiesa. Amen.

Aloysio José Leal Penna

L. Biraghi: uomo di Dio, della Chiesa e

del suo tempo*

Mi sento onorato nel presiedere questa celebra-zione: conosco le suore Marcelline da quando erorettore del Sant'Ignazio a Rio de Janeiro e presi-dente dell'AEC. Allora lavorai molto vicino alle suoredi Rio. Ora invece collaboro con il grande collegiodelle Marcelline in Botucatù. Lavoro anche nel set-tore dell'educazione della CNBB (Conferenza Nazio-nale dei Vescovi Brasiliani) e sono solito dire che lepersone più influenti che esistono nella città di Bo-tucatù e nella regione provengono dai due grandicollegi cattolici di Botucatù: il collegio Santa Mar-cellina e il Collegio La Salle, che formarono e conti-nuano a formare generazioni di laici e di cristiani.

Nel contesto di questo anno bicentenario delFondatore Mons. Luigi Biraghi stiamo ora celebran-do questa festa che le suore vollero realizzare nelsantuario della comune madre Nostra Signora Apa-recida. Questo è un segno di profonda devozione a

* Omelia tenuta da S. Ecc.za Mons. Aloysio José Leal Penna,

Arcivescovo di Botucatù (Brasile), durante la celebrazioneeucaristica a suggello del Bicentenario di Monsignor LuigiBiraghi nella Basilica di Nostra Signora Aparecida, il 21settembre 2002.

40 celebrazioni liturgiche

Maria, che Mons. Luigi Biraghi lasciò come ereditàalle sue Suore e impresse nella loro spiritualità.

La vita di Mons. Luigi Biraghi è talmente ricca ecomplessa che è difficile riassumere in poco tempola profondità di testimonianza che egli ha dato allaChiesa.

Io vorrei focalizzare tre aspetti della vita di Mons.Luigi Biraghi: uomo di Dio, uomo della Chiesa e uo-mo del suo tempo.

Uomo di Dio

Mons. Luigi Biraghi fu uomo di Dio. Egli fu bendegno della missione alla quale fu chiamato e visseintensamente la sua vocazione nella diversità deidoni e dei carismi che ricevette: di evangelizzatore,di orientatore spirituale, di educatore. Fu un uomocompleto, un uomo molto ricco di qualità che eglifece fruttificare nella sua vita. Egli, come san Mat-teo, l'Apostolo di cui celebriamo la festa, fu fedelealla sua vocazione; consultato dai vescovi e perfinodal Papa per le sue preziose qualità, si mantennesempre umile, non cercò il proprio bene, il propriosuccesso, ma offrì tutte le sue fatiche per la Chiesa,per Dio, con spirito di autentica dedizione.

Fu un uomo di Dio perché nutrì un vero ardoreper la causa di Dio e per la Chiesa. Fu un uomo diDio perché seppe vivere nella fiducia e nella fede an-che le situazioni più difficili che dovette affrontarenel contesto storico in cui visse.

uomo di Dio, della Chiesa e del suo tempo 41

Fu un uomo di Dio perché, in tutto questo suodinamismo, visse ogni attività nell'obbedienza al ve-scovo di Milano, nell'obbedienza al rappresentantedi Cristo, nella sua chiesa particolare.

Fu un uomo di Dio profondamente devoto allaMadonna, alla quale affidava sempre il suo vasto ecomplesso apostolato.

Uomo della Chiesa

Egli fu un grande uomo della Chiesa. Mons. LuigiBiraghi aveva la preoccupazione di servire questachiesa nella diversità delle sue attività. Ebbe uno deicompiti più difficili e più necessari entro tutte le vo-cazioni ecclesiastiche: quello di formatore dei futurisacerdoti, e lo portò a termine in modo eccellente,come professore e direttore spirituale nel seminariodi Milano.

Fu uomo della Chiesa perché visse le sue grandiqualità di conciliatore (come abbiamo visto nellaprima lettura: «colui che lavora nell'unità per la co-struzione della pace» Ef. 4,1-7;11-13) nel contestostorico degli anni dopo la rivoluzione francese, chefu una vera rivoluzione nel modo di pensare e nellacultura di tutta l'Europa e di tutto il mondo e che sitrasformò anche, come sappiamo, in uno strumentodi persecuzione della Chiesa durante il ventennionapoleonico. Monsignor Luigi Biraghi visse in Italia,a Milano, nel momento critico dell'insurrezionecontro il dominio austriaco. Sempre vicino ai suoiArcivescovi, durante la crisi della Diocesi dopo l'an-

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nessione della Lombardia al Regno d'Italia, fu sceltodal Papa Pio IX perché fosse uno strumento di con-ciliazione, di pace, uno strumento di lavoro diplo-matico, lavoro che esigeva molta intelligenza e pru-denza.

Fu un uomo della Chiesa perché, come ci ricordaanche san Paolo nella sua lettera agli Efesini, nonsolo seppe coltivare tutte le doti ricevute da Dio, dievangelizzatore, di pacificatore, di educatore, diamministratore, ma seppe conciliare tutto questoper servire la Chiesa, e, non contento di aver pre-stato questo servizio alla Chiesa di Dio, volle esten-dere questo suo apostolato, prolungarlo nel tempoattraverso la fondazione, nel 1838, della Congrega-zione delle Suore Marcelline. Prese come modello lagrande santa Marcellina, le cui virtù potrebbero es-sere ignorate ancor oggi, se la sua figura non fossestata messa in luce da quest'uomo che scoprì in leila grande educatrice di due fratelli, futuri santi:sant'Ambrogio, il grande arcivescovo di Milano e sanSatiro. Questa donna, che aveva contribuito allaformazione di due santi della Chiesa, avrebbe potutocertamente diventare un esempio di vita per le edu-catrici della nuova Congregazione. Penso che siastata una delle migliori intuizioni di Mons. Luigi Bi-raghi, l'aver scelto questa santa educatrice tanto ef-ficace e profonda. Il Biraghi, non soddisfatto diquanto aveva fatto – e fece molte cose – volle pro-lungare il suo lavoro per la Chiesa, che tanto ama-va, attraverso la congregazione delle Marcelline.

uomo di Dio, della Chiesa e del suo tempo 43

Uomo del suo tempo

Voglio dire anche che Mons. Luigi Biraghi fu unuomo del suo tempo. Egli visse con una visione delfuturo molto vasta in tutte le sue concezioni e perfi-no nel progetto pedagogico che egli osò presentaregià al suo tempo: la trasversalità del sapere, che èqualcosa che ci preoccupa anche oggi e di cui non siparla sufficientemente. Già due secoli fa, quest'uo-mo di Dio ebbe questa intuizione di grande educato-re.

Quest'uomo fu un uomo del suo tempo perché,come formatore di futuri sacerdoti, seppe dare unaformazione molto differente da quella a lui contem-poranea, con una visione del futuro molto illumi-nata, in modo da formare sacerdoti che potesseroaffrontare con competenza i problemi immediati e illoro evolversi nel futuro.

Per tutto questo io credo che le Suore Marcellinedebbano ringraziare Dio per il Fondatore che ebberoe per tutte le sue virtù. Grazie a Dio fu aperto il pro-cesso di beatificazione, che già ha raggiunto unafase avanzata. Come noi sappiamo, già fu approvatoil frutto di studi prolungati sulla vita e sugli scrittidel candidato alla beatificazione: la così detta Positiosuper Virtutibus; un altro passo molto difficile, nelprocesso di canonizzazione, è quello che approveràl'eroicità delle virtù del candidato e questo camminosi spera sia presto avviato. Nel momento attuale èallo studio il miracolo già presentato alla S. Congre-gazione Romana per il processo di beatificazione. Si

44 celebrazioni liturgiche

spera che altri ne siano presentati, affinché il nostrogrande Monsignor Luigi Biraghi possa essere beati-ficato e, in futuro, canonizzato.

È questo l'augurio che io faccio: che il “santo”Fondatore possa essere proposto ancora più lumi-nosamente come grande modello per i sacerdoti, pergli educatori, per i formatori nella Chiesa e che lesuore possano vivere ogni giorno più intensamentegli insegnamenti e l'esempio del loro grande Fonda-tore. Così sia!

Marco Navoni

Luigi Biraghi: prete coerente e

appassionato*

Proprio ieri si è concluso, almeno dal punto di vi-sta della cronologia, il secondo anno centenariodella nascita di mons. Luigi Biraghi, fondatore dellaVostra Congregazione: nacque infatti il 2 novembredel 1801. Ma oggi è l’anniversario del suo battesimo(fu infatti battezzato il 3 novembre nella parrocchiadi Sant’Ambrogio a Vignate): è cioè l’anniversariodella sua nascita come cristiano alla vita di grazia; evogliamo ricordare questa ricorrenza, quasi comeuna specie di prolungamento del centenario, in que-sto luogo altamente significativo perché questa èstata la prima casa della Congregazione delle SuoreMarcelline fondata in Milano, in questa casa mons.Biraghi si ritirò quando la malattia non gli permisepiù di svolgere la sua attività pastorale, e in questacasa morì l’11 agosto 1879. Dunque la celebrazionedi oggi, in questo luogo, ci ricorda le tre date fonda-

* Omelia di mons. Marco Navoni a chiusura delle

celebrazioni bicentenarie di Mons Biraghi. Domenica3 novembre 2002 (XXX per annum A) Suore Marcelline – ViaQuadronno 15. Letture: Ml 1, 14-2, 2.8-10; 1Ts 2, 7-9.13; Mt23, 1-12.

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mentali della vita di mons. Biraghi: la nascita comeuomo, la nascita come cristiano nel battesimo, lanascita alla vita eterna il giorno della morte (e ricor-diamo che la tradizione cristiana e la liturgia chia-mano per l’appunto il giorno della morte “dies nata-lis”, giorno della vera e definitiva nascita, quella allavita eterna). Dunque sono tre i giorni natalizi dimons. Biraghi che ricordiamo quest’oggi attraversol’incrociarsi di tempi e di luoghi: e queste tre datefanno da cornice, o meglio da supporto, a una interavita spesa, nella fedeltà assoluta alla propria voca-zione sacerdotale, come prete della Chiesa ambro-siana.

È importante tuttavia, in questa commemorazio-ne, lasciarci illuminare anche dalle letture biblicheche la liturgia di questa domenica ci propone. A direil vero la Parola di Dio (almeno la prima lettura e ilVangelo) sembrano adattarsi poco a mons. Biraghi,o meglio si adattano alla sua figura e alla sua operain negativo. Abbiamo infatti ascoltato come, attra-verso la parola del profeta Malachia, Dio si scaglicon estrema severità contro i sacerdoti indegni, iquali, al servizio verso Dio compiuto con diligenza eal servizio verso il popolo compiuto con generosità edisinteresse, hanno preferito se stessi e il proprioarricchimento personale. Invece di aiutare conl’esempio di una vita santa il popolo, sono stati mo-tivo di inciampo e di scandalo. Possiamo onesta-mente dire, leggendo la biografia di mons. Biraghi,che le parole severe del profeta, per fortuna, non siadattano a lui, che fu invece sacerdote secondo il

prete coerente e appassionato 47

cuore di Dio. Lo hanno ricordato i Vescovi lombardiil 7 ottobre 1996 quando, riprendendo le parole deiConsultori per la causa di beatificazione, in unasupplica al papa per la rapida conclusione di talecausa, sintetizzavano la figura di mons. Biraghiproprio in questi termini: «esemplare sacerdote,cultore delle scienze, abile direttore spirituale delclero, conciliatore prudente, ma specialmente verouomo di Dio e sacerdote della Chiesa». Se la primalettura di oggi ci dà il profilo di come non deve esse-re un ministro di Dio, mons. Biraghi ci ha datol’esempio concreto di come deve essere un vero pre-te, pur nella molteplicità degli incarichi e delle atti-vità: fu educatore di seminaristi e professore, fudottore della Biblioteca Ambrosiana e ricercatoreappassionato sulla vita e le opere di sant’Ambrogio,fu fondatore dell’Istituto delle Marcelline, fu sobrionella vita e zelante nel ministero.

Anche il Vangelo di oggi è di una chiarezza scon-certante e anche nel Vangelo, come nella prima let-tura, troviamo una invettiva, in questo caso quelladel Signore Gesù contro gli scribi e i farisei, cioè leguide morali e religiose dell’antico popolo ebraico. Acostoro Gesù rinfaccia uno dei peccati più gravi,quello dell’ipocrisia: si propongono come modelli dicomportamento, pretendono di essere i migliori,predicano continuamente a parole, ma di fatto èsolo apparenza, è solo formalismo, è solo ricerca dionori e di titoli. «Fate quello che dicono, ma non fatequello che fanno»; che è come dire: «predicano bene,ma razzolano male», sono incoerenti. Anche in que-

48 celebrazioni liturgiche

sto caso le parole del Vangelo si applicano a mons.Biraghi in senso inverso: ce lo ricordano le paroleche sono state scritte come epitaffio, dopo la suamorte, esposte nella basilica di sant’Ambrogio ilgiorno dei suoi funerali. Sintetizzano con quattroaggettivi la sua vita, il suo carattere, la sua spiri-tualità: fu sacerdote «semplice - pio - illibato - mo-desto». E queste virtù, queste qualità, le predicò nontanto con belle parole e roboanti discorsi (appuntocome gli scribi e i farisei del Vangelo, abili solo a fa-re prediche agli altri), ma le predicò con la vita con-creta, con l’esempio, con la sua attività pastorale.

Finalmente, almeno la seconda lettura ci dàun’indicazione in positivo per rileggere la figura dimons. Biraghi. San Paolo, scrivendo ai Tessalonice-si, afferma di averli amati come una madre (notia-mo: non dice come un padre, come a noi sembre-rebbe più immediato e ovvio): parla dunque di unamore quasi viscerale, come è appunto l’amore ma-terno. E afferma che, questo amore materno, lo hadimostrato, non solo trasmettendo loro il vangelo,ma addirittura offrendo, se necessario, la stessa vitain un atteggiamento di dedizione totale. Credo checiò delinei perfettamente la figura di mons. Biraghicome prete bruciato dallo zelo per le anime e piùancora come fondatore della vostra Istituzione. Inuna lettera alla futura beata Maria Anna Sala, laquale gli aveva manifestato la decisione definitiva difarsi suora Marcellina, mons. Biraghi scrive paroleche sembrano proprio parafrasare quelle di Paolo:«In quanto a me, vi ricevo fin d’ora come figlia caris-

prete coerente e appassionato 49

sima, e se da adesso o in avvenire vi bisogna alcunacosa, confidate che, per parte nostra, non vi man-cherà nulla». È l’atteggiamento dell’amore paterno-materno, e la determinazione a dare tutto se stessoper chi è affidato alle sue cure pastorali.

Concludiamo chiedendo una grazia al Signore perintercessione del servo di Dio Luigi Biraghi. Daquando il nuovo arcivescovo, cardinale Dionigi Tet-tamanzi, ha fatto il suo ingresso a Milano poco piùdi un mese fa, si può dire che non perde occasioneper ricordare il grave problema delle vocazioni al sa-cerdozio e alla vita religiosa. È questa la grazia dachiedere, con insistenza e fiducia: nuove vocazionialla vita religiosa, soprattutto nella Vostra Congre-gazione. E poi nuove vocazioni al sacerdozio, so-prattutto nella nostra diocesi ambrosiana. Mons. Bi-raghi è stato precursore e pioniere di quella che oggichiamiamo “pastorale vocazionale”, lavorandoall’educazione dei chierici in seminario e fondandola congregazione delle Marcelline. Interceda orapresso il Signore perché molti giovani sappiano ri-spondere con generosità e prontezza alla voce di Dioche li chiama. Il cardinale Giovanni Colombo, di cuiricorre quest’anno il centenario della nascita, rias-sume le idee di mons. Biraghi sul sacerdozio in duebrevissime frasi, molto essenziali, ma fondamentali:«Un prete dal giorno della sua ordinazione deve vo-tarsi in perpetuo a Dio»; «Un prete deve rendersi ca-pace di far amare da tutti Gesù Cristo». Il Servo diDio ottenga alla nostra diocesi, che fu anche la sua,

50 celebrazioni liturgiche

sacerdoti capaci di vivere e di trasmettere questi al-tissimi ideali.

GIORNATA DI STUDIOALL’AMBROSIANA

giornata di studio all’Ambrosiana 53

Il 21 febbraio, momento centrale delle celebrazionibiraghiane, nella sala delle accademie della Bibliote-ca Ambrosiana, ad un pubblico molto numeroso, tracui si distinguevano illustri personalità del clero dio-cesano, dopo il saluto della madre generale delleMarcelline, sr. M. Angela Agostoni, e l’introduzionedel prefetto della Biblioteca mons. Gianfranco Ravasi,la figura di mons. Biraghi , specie nel tempo della suaappartenenza al Collegio dei Dottori, è stata presen-tata dalle due applaudite relazioni del prof. dott. donEnnio Apeciti e del dott. mons. Franco Buzzi, comenei testi che seguono.

Madre Maria Angela Agostoni

Saluto

A tutti desidero porgere il mio saluto e quellodella congregazione unitamente ad un grato benve-nuto a questo momento commemorativo e celebra-tivo di mons. Biraghi come dottore della BibliotecaAmbrosiana, ma soprattutto come modello di vitaper il clero, per le suore Marcelline e per tutti i bat-tezzati chiamati alla vocazione della santità.

Un grazie particolare alle autorità religiose, amons. Ravasi, che con tanto gentile accoglienza haaccettato di ospitarci in questa prestigiosa sede,luogo di ricerca, di pensiero, di verità.

Un grazie particolare agli oratori che sappiamo inprofonda sintonia con il nostro desiderio di unasempre maggior conoscenza del nostro Fondatore,padre e maestro.

E di tale maestro, in questo luogo privilegiato dicultura, non possiamo fare a meno di ricordare leparole rivolte alle suore nella prima regola del 1853:

Il mondo esige scienza e voi, vergini prudenti, servitevidella scienza per vincere il mondo; il mondo di frequentela volge a male, voi giovatevene a bene.

Gianfranco Ravasi

Introduzione

Questo incontro ha un aspetto familiare per lavita stessa dell'Ambrosiana: é in un certo senso ilritorno alla casa, al punto di partenza della storiadella figura che celebriamo. Infatti, Mons. Biraghi éstato dottore dell' Ambrosiana dal 1855 fino all'annodella sua morte, 1879.

Il ricordo che facciamo all'interno dello spazio do-ve egli aveva vissuto, dove ha studiato, dove ha con-dotto le sue ricerche, dove ha avuto anche i suoipercorsi interiori ha, perciò, un aspetto di intimità.E' un aspetto familiare, che ha anche un profilomolto personale, perché anch'io ho avuto un con-tatto abbastanza frequente e continuo con le Mar-celline, a partire dalle loro alunne quando frequen-tavano l'Istituto Superiore di Scienze Religiose doveallora insegnavo, ma anche attraverso madre ElisaZanchi, che costituisce un punto di riferimento del-l'Istituto delle Suore Marcelline e che ha avuto conme un legame attraverso la sua famiglia.

In questa breve introduzione, vorrei ricordaresoltanto, tracciandoli quasi come fossero un abboz-zo, due profili di mons. Biraghi, che saranno poi an-che i due lineamenti che verranno sviluppati all'in-terno delle due relazioni.

58 giornata di studio all’Ambrosiana

Il primo é quello della sua figura storica, collocataall'interno di un contesto storico particolarmentetravagliato, tormentato, segnato da un disagio in-sieme civile ed ecclesiastico. Ed é per questo chestudiare la sua figura da un punto di vista storicovuol dire scoprirne anche tutti gli echi, tutte le riso-nanze, isolarne anche persino i momenti ardui, per-ché egli visse all'interno di una forte tensione cheallora pervadeva il clero milanese, quella tra il par-tito, diremmo così, dei “conservatori”, gli “intransi-genti”, e quello dei “liberali”, che avevano comepunto di riferimento Rosmini, per cui erano definiti“rosminiani”. Naturalmente questi due poli estremidello spettro cromatico delle scelte ecclesiali, civili,sociali di allora rivelavano poi una infinita serie digradazioni.

Biraghi riesce a conservare, proprio nell'interno diquesto groviglio non facile, un suo equilibrio e riescepersino ad essere un punto di riferimento.

A questo proposito vorrei citare una battuta, cheé propria di mons. Buzzi, in un suo saggio all'inter-no della monumentale Storia dell' Ambrosiana chestiamo pubblicando (nel volume dedicato all'Otto-cento). Mons. Buzzi scriveva che la ricerca storicaodierna ha reso giustizia al Biraghi, sottolineandocome qualsiasi inquadramento ideologico che inten-desse collocarlo alternativamente o esclusivamentetra i primi o tra i secondi dei due movimenti, dei dueorientamenti, degeneri in uno schematismo tropporigido che di fatto non riesce a rendere ragione delgrande equilibrio e della volontà di concordia che

introduzione 59

ispiravano la figura, l'arte educativa, la testimonian-za di mons. Biraghi, una testimonianza che, tral'altro, si è distesa sotto l'arco di quattro arcivescovidi Milano.

Il secondo lineamento è quello che riguarda gliscritti di mons. Biraghi.

Mons. Biraghi fu indubbiamente un poligrafo,anche se tendenzialmente si possono individuare al-cune traiettorie fisse. Tra l'altro, é possibile vedere,in relazione col processo per la sua beatificazione,come nel capitolo XIV della Positio super Virtutibus,ci sia una bibliografia, molto fitta, di manoscritti, dipubblicazioni, di lettere.

Fu perciò anche una presenza culturale che pos-siamo individuare attraverso due linee direttrici.

La prima é quella dello studio della figura di Am-brogio e della Chiesa Milanese.

Sappiamo che egli fu il primo autore di una edi-zione critica degli inni di Ambrogio, un'edizione che,come tutti gli esperimenti che sono pionieristici, hadei limiti, però é una strada aperta all'interno di unpercorso che sarà poi seguito da altri. Pensiamo an-che a un'altra sua opera: l'edizione della Datiana hi-storia ecclesiae mediolanensis, col suo sforzo di ri-condurla il più possibile vicino alle origini dellaChiesa milanese, forse anche peccando di un ecces-so di retrodatazione, portandola nientemeno che alVI secolo. Al di là di questo, questa ricerca era an-che espressione dell'amore che egli aveva per la fi-gura non solo del patrono della Chiesa di Milano,

60 giornata di studio all’Ambrosiana

ma anche delle radici vitali di questo grande alberoche è stato la Chiesa di Milano.

E poi c' é l'altra traiettoria che per molti versi ame interessa in maniera particolare, anche perché siconnette con un mio passato interesse, con una miapassata pratica che è quella dell'archeologia. Mons.Biraghi fu archeologo, ed ebbe anche la gioia di po-ter realizzare un evento particolarmente importanteper la Chiesa di Milano, quello del rinvenimentodelle tombe di Ambrogio, di Protaso e Gervaso nellaBasilica Ambrosiana.

Un evento che ha contrassegnato non solo la suapassione, ma anche la sua funzione di studioso. Sitrattò di un evento che fu oggetto di discussione(non mancò, infatti, una tensione con altri studiosiriguardo alle sue analisi, alle sue identificazioni, allecoordinate delle sue ricerche). D'altra parte ebbe,però, anche l'apprezzamento di una grande figuraindubbia della cultura non solo archeologica, maanche filologica dell' '800: intendo riferirmi al suoamico Giovanni Battista De Rossi, profondamenteammiratore della ricerca di mons. Biraghi proprionell’ambito archeologico.

A questo punto lascio la voce ai due relatori chesu queste linee, che io ho solo tracciato con un col-po di carboncino, potranno fare un ritratto più riccoe più compiuto.

Vorrei, però, concludere con una testimonianzadell'alto profilo che costituisce il fondamento, la di-mensione capitale dell'esperienza di questo studio-

introduzione 61

so, perché egli fu soprattutto un grande credente e,sicuramente, un grande testimone di fede.

Concluderò, allora, con queste sue parole che in-dirizziamo idealmente anche al pubblico che é quipresente nelle sue diverse gradazioni.

Ai sacerdoti, nei cui confronti ha avuto un rap-porto particolarmente intenso, diceva:

Carissimi, ecco la prima, la più eminente qualità dei mi-nistri di Gesù Cristo, amare Gesù Cristo, amarlo davvero,amarlo sopra ogni cosa.

E poi alle Marcelline richiamava:

Sopra ogni cosa abbiate carissima la devozione a GesùSalvatore; meditatene la vita, gli insegnamenti, la passio-ne, i benefici, e fate di benedirlo in ogni tempo, di amarloe di imitarlo, perché questo è il tutto della religione cri-stiana.

E infine a tutti gli altri, che sono qui presenti eche vogliono conoscere questa figura, ricordiamo lesue parole:

Non vi è bene che nell’amare nostro Signore Gesù Cristo,solo nell’amare Gesù Cristo non dovete mettere misuraalcuna.

Ennio Apeciti

Umile di cuore, fervente di carità*

Il mio compito qui e oggi è quello di delineare conalcuni colpi di pennello il quadro storico in cui vissee operò mons. Biraghi, dottore dell' Ambrosiana dal1855, del quale attendiamo con sollecitudine labeatificazione.

Mi sono mosso, cercando di rispondere ad alcunedomande. In primo luogo: che sacerdote fu don Lui-gi Biraghi? Quale fu il suo ideale sacerdotale? E,conseguentemente: con chi ebbe a esercitare il suoministero? Chi si trovò concretamente a servire co-me sacerdote, come ministro, come servo? Con chicollaborò? E, quasi declinando questa domanda,continuavo: quale laicato fu chiamato a servire?Quale clero gli fu confratello? Quali vescovi impe-gnarono la sua obbedienza? Ed infine, quasi tor-nando a questo inizio: cosa lo sostenne? Come so-stenne il peso dell'età, nella quale fu posto da Dio aservirlo?

Procederemo, ovviamente, per cenni, per richia-mi, per stimolazioni ad approfondire ogni argomen-to.

* Così il cardinal Romilli si esprime a proposito del sacerdote

Luigi Biraghi nella sua lettera di approvazione della primaregola delle «Suore Orsoline di S. Marcellina», Milano 1852.

64 giornata di studio all’Ambrosiana

Il suo ideale sacerdotale

Qual era, dunque, il suo ideale sacerdotale?Nella bolla con cui riconosceva l'Istituto delle

Suore di Santa Marcellina, l'arcivescovo di Milano,mons. Bartolomeo Carlo Romilli, definiva così donLuigi Biraghi:

qui, corde humilis, caritate fervens, familiam hancSanctae Marcellinae ipse collegit, suaque pietate etsancto juventutis amore informavit1.

È qui espresso l'elogio che – credo – ogni sacer-dote desidererebbe fosse fatto su di lui dal propriovescovo.

Credo che mons. Biraghi ne sia stato commosso.Vi ritrovava, infatti, quell'ideale sacerdotale, che losorresse per tutta la vita; quell'ideale di sacerdote,da lui stesso indicato ai suoi confratelli:

O carissimi, ecco la prima, l'eminente qualità dei ministridi Gesù Cristo, amare Gesù Cristo, amarlo davvero,amarlo sopra ogni cosa.

E per questo occorre

leggere di continuo e imitare la vita e la passione di GesùCristo. [...] Qui è dove tutti i santi presero fuoco, fuocoardentissimo, che fece operare loro meraviglie2.

1 Bolla datata «13 settembre 1852». L’originale in: Archivio

Generalizio Suore Marcelline (=AGM), c. 9, FondazioneMarcelline; riportato anche in: CONGREGATIO PRO CAUSISSANCTORUM, Aloysii Biraghi, Positio super virtutibus, Romae,1995, pp. 465-467, a p. 466.

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Quell'ideale sacerdotale, che aveva riassunto nelCatechismus Ordinandorum (1837):

Dal giorno della sua consacrazione, il Prete deve votarsicompletamente a Dio in perpetuo3.

Quell'ideale che ritroviamo in alcune carte auto-grafe non datate, ma certo appunti di omelie rivolteai preti o ai seminaristi:

Il sacerdote fa le veci del Cristo: dunque deve essere si-mile a lui in santità. A questi patti vi siete fatti sacerdoti4.

Quali laici accolsero il suo ministero?

Tra quali laici svolse il suo ministero? Procedosempre per simboli.

E’ il tempo di Alessandro Manzoni (1785-1873),che nelle sue Osservazioni sulla Morale Cattolica ciha lasciato il suo ideale sacerdotale, quello che videincarnato dal buon curato di Chiuso, don SerafinoMorazzone (1747-1822), proclamato beato dal po-polo e dallo stesso Manzoni nella prima stesura deiPromessi Sposi.

Nelle Osservazioni sulla Morale Cattolica Alessan-dro Manzoni scrisse:

2 AGM, Autografi inediti, p. 7. Ripreso da CONGREGATIO PRO

CAUSIS SANCTORUM, Aloysii Biraghi, Positio super virtutibus,Romae, 1995, p. 131.

3 Ripreso da CONGREGATIO PRO CAUSIS SANCTORUM, AloysiiBiraghi, Positio super virtutibus, Romae, 1995, p. 111.

4 Ripreso da CONGREGATIO PRO CAUSIS SANCTORUM, AloysiiBiraghi, Positio super virtutibus, Romae, 1995, p. 131.

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Sì, ci sono dei preti che disprezzano quelle ricchezze dellequali annunziano la vanità e il pericolo: dei preti cheavrebbero orrore di ricevere i doni del povero, e che sispogliano invece per soccorrerlo; che ricevono dal riccocon un nobile pudore e con un interno senso di ripu-gnanza e, stendendo la mano, si consolano solo col pen-sare che presto l'apriranno per rimettere al povero quellamoneta che è tanto lungi dal compensare agli occhi loroun ministero, il quale non ha altro prezzo degno che lacarità. Essi passano in mezzo al mondo e sentono i suoischerni sull'ingordigia dei preti; li sentono, e potrebberoalzare la voce e mostrare le loro mani pure, e il loro cuoredesideroso solamente di quel tesoro che la ruggine nonconsuma (Mt 6, 20), avaro solo della salvezza dei loro fra-telli; ma tacciono, ma divorano le beffe del mondo, ma sirallegrano di essere fatti degni di patire contumelia per ilnome di Cristo (At 5, 41) 5.

Commovente – e occasione di meditazione – ladescrizione di don Serafino in Fermo e Lucia:

Il curato di Chiuso era un uomo che avrebbe lasciato disé una memoria illustre, se la virtù sola bastasse a darela gloria fra gli uomini. Egli era pio in tutti i suoi pensieri,in tutte le sue parole, in tutte le sue opere: l'amore fer-vente di Dio e degli uomini era il suo sentimento abituale:la sua cura continua di fare il suo dovere, e la sua ideadel dovere era: tutto il bene possibile; credeva egli sempreadunque di rimanere indietro ed era profondamenteumile, senza sapere di esserlo; come l' illibatezza, la ca-

5 A. MANZONI, Osservazioni sulla morale cattolica, Torino, SEI,

1919, p. 274.

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rità operosa, lo zelo, la sofferenza erano virtù ch'egli pos-sedeva in grado raro, ma che egli si studiava sempre diacquistare. Se ogni uomo fosse nella propria condizionequale era egli nella sua, la bellezza del consorzio umanooltrepasserebbe le immaginazioni degli utopisti più confi-denti6.

Un ideale, quello manzoniano, che fece scuola epenetrò nella società ambrosiana, come ci attestaun discepolo – o un epigono – di Manzoni, Carlo Ra-vizza, cui dobbiamo quel romanzo minore che è Ilcurato di campagna, scritto verso la metà del secoloXIX, e che custodisce una pagina alata dell'idealesacerdotale atteso dagli ambrosiani, quel testamentodi Giuseppe Parini, che Ravizza compone con pas-sione, per consegnarlo ai giovani preti del suo tem-po, forse a quelli di ogni tempo. Ne basti qualche ri-ga:

Il mondo sa troppo bene che la nostra carità non deveaver limiti, e se vede in noi un'esuberanza di forze e di agila guarda con occhio incredulo e derisorio, quasi avan-zasse al dovere che abbiamo verso gli altri. Studia, perchébisogna fare vedere che i preti non hanno paura del pro-gresso e della verità, e dobbiamo giovare agli altri contutti i mezzi che l'incivilimento, ossia Dio medesimo, ciporge. Ma soprattutto ama, ama sinceramente, e alloratutti i doveri ti diverranno facili7.

6 A. MANZONI, Fermo e Lucia, Bergamo, 1984, p. 334.7 C. RAVIZZA, Un curato di campagna, Milano, Bernardoni,

1842, pp. 280-281. Carlo Ravizza nacque a Milano il 10 ottobre

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Un clero stimato, dunque. Ne è prova il rapportosteso dal cancelliere Kaunitz sui parroci di Milano,in quegli anni:

(I preti sono) rispettabili per la loro condotta, hanno la ri-putazione di prestare con particolare bontà e sollecitudi-ne la loro assistenza agli ammalati [...] Sono mediatorinelle frequenti discordie dei cittadini; impediscono le ris-se, prevengono alterchi e liti con la loro autorità, invigi-lando, per quanto possono, alla condotta morale dei loroparrocchiani8.

È il tempo di Silvio Pellico (1789-1854), che nelladura esperienza dello Spielberg riscoprì e maturòcon intensità la sua fede. Forse pochi conoscono lasolenne conclusione de Le mie prigioni:

Ah! delle passate sciagure e della contentezza presente,come di tutto il bene ed il male che mi sarà serbato, siabenedetta la Provvidenza, della quale gli uomini e le cose,si voglia o non si voglia, sono mirabili stromenti ch'ella saadoprare a fini degni di sé.

Ne consiglierei volentieri una nuova lettura.È il tempo dei patrioti laici ed ecclesiastici, dei

martiri di Belfiore, tra i quali mi piace ricordare donEnrico Tazzoli, che proprio pochi mesi prima dellacondanna era stato incaricato di preparare per ilgenerale Radetzky una valutazione sul clero del

1811 e vi morì il 19 febbraio 1848, fu professore di filosofia nelleScuole di S. Alessandro, fondata dai Barnabiti.

8 Ripreso da: A. MAJO, Storia della Chiesa ambrosiana, vol. 3,Milano, NED, 1984, p. 133.

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Lombardo-Veneto, che appare singolarmente ade-rente alla realtà:

Il clero lombardo tiene conto degli insegnamenti di sanPaolo che vuole ragionevole il nostro ossequio [...] Si an-tepongono i suggerimenti della ragione agli aforismi dellescuole e alle opinioni dettate dai Dottori, e di ogni veritàsi ricerca il carattere persuadente e l'applicabilità aglistudi della vita [...] Così il clero lombardo raggiunse unacultura che gli ha guadagnato la stima e l'amore del po-polo; la sua parola non è sdegnata nemmeno dalle mentipiù distinte tra i laici ed intimi legami si sono messi tra idue ordini. Questa intimità importa che i preti conoscanoa fondo i bisogni del popolo e i gemiti che egli emette.Qual meraviglia che essi vi prendano parte e se ne addo-lorino e facciano voti perché la pubblica cosa migliori?9

Questo lusinghiero giudizio è – tra l'altro – con-fermato dalla sensazione che riportò del clero e dellaChiesa ambrosiana, don Antonio Rosmini10 , la cuiinfluenza nella formazione ecclesiale ambrosianameriterebbe di essere riproposta: penso solo all'in-flusso che ebbe il suo pensiero nella stesura deimolti catechismi che videro la luce in quel secolo,

9 Ripreso da P. RUSCONI, Rosmini a Milano, Milano, Cogliati,

1897, p. 471.10 Scrisse dopo il suo soggiorno a Milano tra il 1826 e il

1828: «Il clero non parmi sommamente dotto, ma solido, d’unapietà vera e di una disciplina che tira all’austero, anziché alrilassato. L’ho trovato sommamente prudente e ritenuto; nons’impiccia che negli affari del suo ministero e in questi nonsente rispetti » (Ripreso da P. RUSCONI, Rosmini a Milano,Milano, Cogliati, 1897, p. 456).

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segno di vivacità culturale e di passione catecheticadel clero e dei laici, i primi perché i secondi fosseroformati al pensiero moderno, i secondi perché sti-molarono costantemente i primi a non ripetere pe-dissequamente verità consolidate. Penso così a donNazaro Vitali (1806-1886) ed ai suoi catechismi, maanche alla sua azione per la formazione dei giovanioperai. Per loro nacquero non poche scuole serali, ingenere parrocchiali. Varrebbe la pena creare un pa-rallelo con la Torino di don Bosco e del Cottolengo(per limitarci a soli due nomi), per ricordare chenelle due città capoluogo (o – allora – capitali) e nelledue diocesi vi era lo stesso impegno sociale da partedella Chiesa a favore degli ultimi, degli emarginati diallora. L'Italia di quel secolo non vide un clero chiu-so nelle canoniche, né un laicato passivo.

Ne è prova l'esplosione degli Oratori, nei quali –vale sempre la pena ricordarlo – la figura centralenon era il sacerdote, ma il laico benefattore e il Pre-fetto d'Oratorio, come si diceva. Dobbiamo molti de-gli Oratori che vantano storie più che centenarie(penso al San Carlo presso la parrocchia di san Na-zaro o al San Luigi in San Simpliciano) alla genero-sità veramente munifica di laici come Giacomo Mel-lerio (1777-1847) – che fu sempre legato da devotoaffetto a don Luigi Biraghi – e allo zelo entusiasta efedele di uomini di scienza come Gabrio Casati(1798-1873) e Gabrio Piola (1794-1850). Il primo,che resse la municipalità milanese nei frangentidella rivolta contro gli austriaci prima di divenireministro della Pubblica Istruzione nell'Italia unita. Il

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secondo, Gabrio Piola, che sacrificò il successo dellacattedra universitaria alla fedeltà al suo compito dieducatore d'oratorio, l'uomo di scienza, maestro diuniversitari, che sa farsi catechista dei piccoli. Cosìerano i nostri laici, così speriamo tornino ad essere:uomini di poca polemica e di molto impegno e pre-ghiera, senza alcuna ambizione clericale.

Un impegno per l'educazione delle future genera-zioni, che appariva rivoluzionario anche allora e chesuscitava il disagio di quel mondo – anche allorac'era – che avversava da decenni, almeno, la Chiesae il cristianesimo. La Massoneria – è noto – tentò invari modi di sostituire e scalzare «l'ignoranza» so-stituendo «alla menzogna la religione del vero», comescrisse Garibaldi ai Messinesi. Erano gli anni del-l'Inno a Satana di Carducci e delle scuole che emar-ginavano l'insegnamento religioso o tendevano asottoporlo al controllo statale. Eppure erano anchegli anni, durante i quali – come scrisse Gaetano Pini– le suore,

per giustificare di fronte alla legge la loro posizione, si so-no date all'insegnamento; hanno studiato malgrado chegli anni si aggravassero sulle loro spalle; hanno imparatoa memoria tutti i regolamenti emanati da ministri dellapubblica istruzione che dal 1859 al 1876 si sono succe-duti; hanno preso i loro bravi diplomi di maestre di primoo di secondo grado, si sono poste in perfetta regola contutte le esigenze dell'autorità civile e poi hanno detto: «Innome della libertà di insegnamento, noi apriamo neichiostri, che avete avuto la generosità di lasciarci, altret-

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tanti istituti educativi ove raccoglieremo fanciulle di ognietà, di ogni condizione, di ogni paese per farne delle don-ne cattoliche apostoliche romane, per preparare all'Italiamadri pie e religiose che alla loro volta educheranno allastessa scuola i loro figli». E poiché i convitti da soli nonpermettevano stendere intera la grande ala protettricesopra l'immenso numero di fanciulle esistenti in unagrande città quale è la nostra, così si pensò ad aggiunge-re a convitti altrettante scuole a pagamento per le fan-ciulle agiate, ed altrettante ancora per le fanciulle povere,assolutamente gratuite, e poi scuole festive per le operaiee finalmente al vertice di questa grande piramide, l'Orato-rio colle sue attrattive, colle sue insidie, coi suoi perico-li11.

Possiamo così ricordare la vita religiosa di quelsecolo, passata attraverso il trauma delle continuesoppressioni giacobine e napoleoniche prima, poiattraverso l'occhiuto controllo austriaco, sino aquello vessatorio – altro aggettivo ci sembra inade-guato – del governo sardo prima e poi italiano.

Eppure la fantasia, che lo Spirito sa sempre su-scitare, mantenne vivo l'ideale della consacrazione aDio con cuore indiviso. Gli ordini religiosi nati inquegli anni stanno a dimostrare questa vivacità. E,insieme, la novità del carisma diffuso da Dio nellasua Chiesa. Ricordiamo, infatti, che questi nuoviOrdini erano tutti di vita attiva – come si dice – tuttidediti alla carità – anche nei nomi –, al servizio.

11 [G. PINI], Gli oratori femminili a Milano. Relazione ad una

Società Filantropica, Milano, Giuseppe Civelli, 1877, pp. 4-5.

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Sarebbe bello scorrere l'elenco delle Fondazionipresentate alla Santa Sede nelle Relazioni per le Vi-site ad Limina.

Vedremmo i Fatebenefratelli e i Barnabiti; le Ca-nossiane, il cui primo nome fu Serve dei poveri o Fi-glie della carità, presenti a Milano sin dall'inizio(1823), prima ancora del riconoscimento canonico(1828).

Vedremmo le Suore dette di Maria Bambina (Suo-re della Carità), quelle della Riparazione (o di Naza-reth), per arrivare – nell'elenco incompleto – alleMarcelline, con l'intuizione carismatica di prepararepersone professionalmente competenti e responsa-bili, colte, profondamente cristiane, che, «non congran numero di precetti, ma con la testimonianzadella vita»12, si dedicassero all'insegnamento alle ra-gazze di buona famiglia, della cui formazione ci sipreoccupava poco. Biraghi intuì che la trasforma-zione della società sarebbe passata per la famiglia eche occorreva formare ragazze convinte della lorofede e ricche di virtù, perché fossero un giorno ma-dri cristiane, capaci di trasmettere le loro virtù (cri-stiane) ai loro figli e di irradiarle in famiglia, suglistessi mariti.

Certo, sono anche gli anni delle forti tensioni so-ciali e politiche, cui possiamo solo rimandare lamemoria.

12 CONGREGATIO PRO CAUSIS SANCTORUM, Aloysii Biraghi, Positio

super virtutibus, Romae, 1995, p. XXXI.

74 giornata di studio all’Ambrosiana

Sono gli anni delle Cinque Giornate e delle guerred'indipendenza, dell'accoglienza trionfale di VittorioEmanuele Il e di Napoleone III, del plebiscito unita-rio e della delusione serpeggiante, che porterà versola fine del secolo – al tempo di Francesco Crispi – aproclamare lo Stato di Milano13.

Sono gli anni del primo sviluppo industriale, chesfoggiò orgoglioso i suoi frutti nella Esposizione Na-zionale di Milano (1881), che fu una celebrazionedella fiducia nelle capacità dell'uomo e della scienza;dove la neonata Pirelli strabiliò i visitatori fabbri-cando sotto i loro occhi «oggetti in gomma elastica o‘cautciu’»14.

Sono gli anni delle grandi opere pubbliche (nonultimo il cimitero moderno, dotato del primo incene-ritore europeo) e delle quotidiane miserie, denun-ciate da Lodovico Corio nei suoi Abissi plebei15;quelli dello sviluppo urbano che comincia a cambia-re volto al centro storico e quelli del Lazzaretto – oraè rimasta solo la chiesetta, appena oltre i bastioni diPorta Venezia – dove si accalcavano le famiglie pove-re, che spesso contavano sulla carità del vicino

13 F. FONZI, Crispi e lo "Stato di Milano", Milano, Giuffrè,

1965.14 Ripreso da F. CATALANO, Vita politica e questioni sociali, in

Storia di Milano, vol. XV, Milano, Treccani degli Alfieri, 1962, p.206.

15 L. CORIO, Milano in ombra. Abissi plebei, Milano, 1885;ristampato in “Rivista Milanese di Economia”, Serie Quaderni n.3, Milano, 1983. Per una sintetica biografia del Corio: E.CANTARELLA, Corio Lodovico, in Dizionario Biografico degli Italiani,vol. XXIX, Roma, Treccani, 1983, pp. 78–85.

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Convento dei Cappuccini – oggi in viale Piave – dovesi concentreranno le cannonate minacciose di BavaBeccaris (maggio 1898).

Fa sempre impressione leggere sulle pagine delCorriere della Sera che nel 1878 si contavano a Mi-lano ottomila persone senza fisso domicilio, ammuc-chiate la notte, a sedici e diciassette insieme, inun'unica grande stanza, presso gli affìttaletti, ridottea tale indigenza che, al sopraggiungere dell'inverno,

la morte (era) diligentissima nel purgare d'indigenti lacittà. – Continuava il Corriere: Nella stagione in cui aprela sua caccia, la morte conduce i poveri a torme al suogran ricovero di mendicità, al cimitero16.

Eppure sono gli anni della Scala e dell'illumina-zione a gas, di cui Milano si dotò tra le prime città inEuropa. In altre parole: Milano era – e rimane – unacittà complessa, splendida e babelica insieme.

Non era da meno l'intera diocesi: luogo di immi-grazione e di emigrazione. Si calcola che Milanopassi da 157.850 abitanti nel 1815 (poco prima del-l'arrivo di Gaisruck) a 451.375 nel 1894 (arrivo diFerrari) e che la diocesi passi negli stessi anni da847.372 persone a 1.592.756.

La Lombardia tutta è in fermento e i grandi bor-ghi – oggi città – ricevevano l'onda lunga del capo-luogo. Basterebbe ricordare come siano vivi nellamemoria storica i nomi dei grandi prevosti.

16 Corriere della Sera, anno 3, n. 101, venerdì-sabato 12-13aprile 1878, p. 1. E' per sé la presentazione del libro di P.LOCATELLI, Miseria e beneficenza, Milano, Dumollard, 1878.

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Quale clero gli fu confratello?

Passiamo alla domanda successiva: quale clero fuconfratello di mons. Luigi Biraghi?

Mi pare bello rispondere con le sue stesse parole,citando un passo della lettera da lui indirizzata il 9giugno 1867 a mons. Luigi Nazari di Calabiana, dapoco trasferito dalla sede di Casale a quella di Mila-no:

Qui troverete [...] un clero rispondente alle vostre speran-ze. Questo clero ama gli studii sacri, le teologiche confe-renze, le opere lodevoli. Egli coltiva i catechismi, la predi-cazione varia, l'istruzione del popolo sì in pubblico che inprivato: e nei giorni festivi lo zelo dei parrochi e la pietàdei fedeli fanno a bella gara. E ben posso affermare chequesto clero, per educazione dignitoso, per costumi ono-rato, per cure pastorali esemplare, non si può collocaresecondo a nessun altro17.

Erano parole di chi conosceva bene il clero, aven-dolo preparato per molti anni, come docente già du-rante l'anno di diaconato (1824) sino al 1833, quan-do divenne Direttore Spirituale, dedicandosi così aduna più profonda formazione del clero: nei giovani sisemina sempre il futuro; nei seminaristi sta il futurodi una Chiesa.

17 L. BIRAGHI, A sua eccellenza reverendissima monsignorLuigi conte Nazari di Calabiana senatore del Regno elettoArcivescovo di Milano. Lettera del 9 giugno 1867, Milano, 1867.Riportata anche in: CONGREGATIO PRO CAUSIS SANCTORUM, AloysiiBiraghi, Positio super virtutibus, Romae, 1995, vol. LXXXIV,pp. 885-886.

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Mi piace, dunque, presentare – anche solo informa di elenco – i nomi di alcuni tra i discepoli dimons. Biraghi, quelli che in modi diversi plasmaro-no ed arricchirono il volto della Chiesa, non soloquella ambrosiana.

Quasi seguendoli in ordine cronologico, penso adon Giuseppe Marinoni (1810-1891), cui dobbiamoil vero radicarsi dell' Istituto per le Missioni Estere diMilano (l' attuale PIME) , che gli rimase sulle spalledopo che mons. Ramazzotti, cui si deve la concretainiziativa, divenne vescovo di Pavia ed in seguitopatriarca di Venezia.

Penso a Padre Luigi Villoresi (1814-1883) , che,divenuto barnabita, fondò l'Oratorio Villoresi, unadelle più preziose realtà ambrosiane del secolo di-ciannovesimo, poiché da quel Seminario dei poveri,come fu anche chiamato, uscirono preti, che si dif-fusero in tutta l'Europa e che nella nostra diocesinon temettero di prendere i posti meno ricercati o direndersi disponibili per quelli meno gratificanti. Ba-sti ricordare tra i figli spirituali del Villoresi il Vene-rabile mons. Luigi Talamoni, mons. Carlo Castiglio-ni, che fu prefetto della Biblioteca Ambrosiana,mons. Cesare Orsenigo, il Nunzio Apostolico inGermania dal 1930 al 1946, che visse l'olocaustodella seconda guerra mondiale in quella drammaticaposizione.

Un altro discepolo di mons. Biraghi fu don Giu-seppe Spreafico (1817-1882), catecheta e fondatoredelle Scuole notturne di carità.

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Lo stesso zelo per gli emarginati ispirò don BiagioVerri (1819-1884), cofondatore dell'Opera per il ri-scatto delle morette e don Serafino Allievi (1819-1891), animatore degli oratori San Carlo, San Luigi edel primo Regolamento, che varrebbe la pena leggerein qualche passo, per cogliere l'animo di un prete,esempio di come erano moltissimi altri:

S'accorgono i tristi che bisogna seguire la gioventù e que-sta non potendo avere tutta in massa perché la maggiorparte applicata a mestieri, così prende quella che puònelle scuole. Quindi esclusi i preti ed i parrochi dallescuole, una smorfia di catechismo insegna il maestro,talvolta valdese o peggio e corrompe il senso morale.Qualche rimedio a tanto danno si può opporre attivandogli oratori feriali degli studenti. In essi, aiutandoli al di-simpegno degli scolastici doveri, e dando loro tempi disollazzarsi si può ottenere molto assai, massime coi gin-nasiali. S'istruiscono nella dottrina, si premunisconocontro gli errori, si dispongono a ricevere i Sacramenti, sitengono lontani dagli scandali che trovano scioperandosiper le strade fuori città. [...] È da questa istituzione chenacquero tante vocazioni al sacerdozio, alla vita religiosae che nasceranno ancora se Iddio inspirerà qualche pioopulento a farsi protettore. [...] L'opera del tanto beneme-rito don Bosco di Torino nacque da questi principii ed haquesto fine, salvare gli studenti e coltivare le vocazioni.Quanti poveri giovanetti hanno talento e virtù e devonodire piangendo «hominem non habeo!»18.

18 Archivio storico della diocesi di Milano, CU 518.

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Vengono, poi, don Giovanni Battista Avignone(1821-1864), patriota liberale, e don Carlo Sammar-tino (1821-1859), che fu direttore del Riformatorio diParabiago e fondatore del Pio istituto della Provvi-denza per la Fanciullezza abbandonata; il beato Gio-vanni Mazzucconi (1826-1855), primo martire dell'Istituto Missioni Estere; don Carlo Salerio (1827-1870), anch' egli tra i primi missionari dell'IstitutoMissioni Estere, che, rientrato in diocesi consumatodalle malattie, fondò la Casa di Nazareth, un'unionedi Pie Signore dedite alla rieducazione delle giovanisordomute o pericolanti, che oggi continuano nelleSuore della Riparazione, la cui azione caritativa siestende in Asia e – per mia personale esperienza – intutte le regioni più povere della Birmania (attual-mente Myanmar).

Un pensiero a parte merita poi don Antonio Stop-pani (1824-1891), entrato in Seminario nel 1835,ordinato sacerdote proprio nel 1848, decisamentevicino ai seminaristi nell' organizzazione della resi-stenza delle Cinque Giornate, allontanato poi – comeBiraghi – dal sospettoso Governo austriaco: alla suaconvinzione della necessità del dialogo tra la scienzae la fede dobbiamo non solo il famoso Il Bel Paese,che rinnovò anche la metodologia dell'insegnamen-to, poiché – è noto – Il Bel Paese voleva offrire nonsolo ai docenti, ma anche alla gente del popolo,un'opera divulgativa che, pur nel rigore scientifico,trattasse dei vari argomenti in maniera facile e pia-cevole. Il successo editoriale confermò l'intuizione.

80 giornata di studio all’Ambrosiana

Infine, in questa carrellata di discepoli, ricordodon Giulio Tarra (1832-1889), fondatore dell' Istitutoper i sordomuti. Sarebbe bello approfondire ogni fi-gura. Penso a quello che ci insegnerebbe don GiulioTarra, che decise di non partire per le missioni, per-ché, scrisse: «Io farò il missionario dei poveri selvag-gi della mia patria, perché Dio me li consegna».

Penso a don Carlo Salerio, di cui è celebre ilmotto: «Non si fa del bene, se non si perde la te-sta»19.

Una folla di preti così esagerati nella carità, comequella che stiamo presentando, mi spinge a doman-dare se per caso a far loro perdere la testa fossestata la loro guida spirituale. Educatore di spiriti li-beri e forti, entusiasti e ardenti di zelo, questo fumons. Biraghi.

Alla luce di questo pur sintetico elenco, possiamomeglio comprendere la profondità delle parole, cheegli rivolse una volta agli ordinandi:

lI sacerdozio non è stato di ozio, ma di fatica, non officiodi comparsa, ma impegno di occupazione, non tanto divi-sa di gloria, quanto onore di travaglio. Con quei mezzi chesembrano i più disutili al mondo: e appunto modo mira-bile è quello di vincere col patire. [...] Fate cuore adunquee rinfrancatevi ed escite pure fuori nel campo del mondo:giacché il sacerdozio si esercita nel mondo [...] Santifica-tevi. [...] Tutto santo è un tanto ministero. E santo deve

19 Memorie della vita del Venerato Padre Fondatore e

Superiore Don Carlo Salerio Missionario Apostolico in Oceania enella Melanesia, Milano, Tip. S. Giuseppe, 1912, p. 145.

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essere un tale ministro. Tanto più idoneo sarà ad inter-cedere pel popolo quanto più sarà egli santo. [...] Sacer-dozio è cosa sacra e cosa sacra e cosa santa è poi la me-desima cosa20.

Accanto ai discepoli, dovremmo porre i confratelli.Anche in questo caso non finiremmo. Mi basti ricor-dare preti che rinnovarono, per quanto poterono inquei tempi, gli studi teologici. Penso a don GiovanniBattista Vegezzi (1789-1858), cui dobbiamo unanuova proposta della dottrina morale. Penso ai fra-telli sacerdoti, don Giuseppe (1801-1843) e soprat-tutto don Nazaro Vitali (1806-1886), che cercò diintrodurre in Seminario spunti di rinnovamentodella filosofia, e, divenuto infine parroco della cen-trale parrocchia di San Nazaro, vi fondò le ScuoleSerali per i giovani operai. Don Vitali fu allontanatodal Seminario, per il sospetto verso la sua filosofiadi stampo rosminiano, ma non venne meno il suoinsegnamento, perché esso fu ripreso da don Ales-sandro Pestalozza (1807-1871), che, con AlessandroManzoni, assistette il Rosmini nella sua ultima ma-lattia.

E potremmo continuare, ricordando mons. LuigiVitali (1836-1919), brillante scrittore, amico dellepersone più colte e liberali di Milano, che si dedicòcon tutte le sue energie all' Istituto per i ciechi, oggiancora in via Vivaio.

20 AGM, Autografi; riportati anche in: CONGREGATIO PRO

CAUSIS SANCTORUM, Aloysii Biraghi, Positio super virtutibus,Romae, 1995, pp. 125-132 passim.

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Dovremmo ricordare don Domenico Pogliani(1838-1921): fondatore dell'Ospizio Sacra Famigliaper gli Incurabili di Cesano Boscone, e don Carlo SanMartino (1844-1919), direttore prima del Riformato-rio di Parabiago poi dell'Istituto per la FanciullezzaAbbandonata (o Figli della Provvidenza).

Il clero ambrosiano, ad ogni approfondimento distudio, risulta ricco di giganti del ministero, dellapastorale. Rimango convinto che la Chiesa ambro-siana non conta ancora molti preti canonicamentesanti, perché la procedura canonica di beatificazionee canonizzazione richiede l'esercizio eroico – ecce-zionale, superiore alla norma – delle virtù cristiane edella fedeltà alla propria vocazione. Ma se il livellonormale è già alto come ci si può distinguere ulte-riormente? I giganti si stagliano tra i pigmei e le per-sone normali, ma quando si vive in un popolo di gi-ganti?

Non si pensi, comunque, che tutto fosse roseo eirenico: forse non lo sarà mai nella storia umana. Lastoria della Chiesa ambrosiana che stiamo deli-neando ci chiede di ricordare, almeno per cenni, cheera vivace anche il devozionalismo, con il rischio delrubricismo e del formalismo.

Basterebbe leggere qualche pagina del Manuale diFilotea di don Giuseppe Riva, che, edito nel 1831,ebbe ventidue edizioni, vivente l'autore e fu pubbli-cato sino ai nostri giorni: la 58ª edizione fu pubbli-cata a Milano nel 1952, o il Manuale di mons. Mar-co Magistretti, che a proposito della genuflessione,istruisce:

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Il ginocchio destro si abbassa, non soltanto a toccarel'infimo gradino, ma fino a terra, tenendolo vicino al cal-cagno sinistro ... Abbassandosi, la vita si terrà diritta, enon piegata all'innanzi o di lato. Si guarderà dallo stri-sciare sul piano il piede destro, o dal portarlo troppo in-dietro, in guisa che esca fuori dalla predella. Toccato ilpiano col ginocchio destro, si alza senza indugio, ma congravità... Alla genuflessione non si deve aggiungere unariverenza col piegare la vita od anche semplicemente ilcapo. Il fare altrimenti è, come asserisce S. Alfonso... unvero e positivo errore21.

Né sempre il clima era sereno anche nei rapportiintraecclesiali. Non dovremmo dimenticare i tentati-vi di pacificazione e di dialogo con la società. Pensoal generoso impegno del giornale L'Amico Cattolico,che voleva colmare la lacuna esistente a Milano,l'assenza di una voce editoriale di chiara imposta-zione cattolica. Forse fu un tentativo sfortunato, manon inutile, indicava una strada, che, ripresa da IlConciliatore (che si proponeva di «conciliare le aspi-razioni nazionali italiane e i diritti della Santa Sede,le istanze della società moderna e la dottrina dellaChiesa, le conquiste della scienza e i principi dellafede» ), da Lo Spettatore Lombardo e da La Perseve-ranza giunge ai numerosi giornali cattolici oggi esi-stenti nella nostra diocesi.

Accanto a queste voci più tese a sottolineare ciòche unisce anziché ciò che divide, si pose – ben

21 M. MAGISTRETTI, Le Cerimonie della Messa privata secondo

il rito ambrosiano, Milano, 1887, p. 31.

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sappiamo – L'Osservatore Cattolico, che, soprattuttosotto la guida di don Davide Albertario, divenne tal-volta fonte di esasperata e controproducente con-trapposizione. Non è qui il caso di farne la storia –già ben nota, comunque – e basti per tutti ricordareche fu certamente contrario al Vangelo – a mio pare-re – presentare la morte di Vittorio Emanuele II conquesto incipit:

«A Roma siamo, a Roma resteremo!» E a Roma restò comeegli aveva profetizzato; ma vi resta cadavere in un palazzopapale! [...] Non un palpito d'amore, non un fremito didolore: «E' morto! » «Meglio lui che me!»22.

Certo, anche questa violenza verbale testimonia –forse paradossalmente, se pensiamo alle lacerazionie contrasti profondi, che provocò – la vivacità dellacomunità cristiana ambrosiana; il dibattito serrato ecoraggioso, la passione di tutti per le proprie idee eil desiderio o la convinzione che la fede non è fattoprivato; che il cristianesimo ha e deve avere una ri-levanza sociale, che la società ha bisogno per il suostesso benessere di ispirarsi ai principi cristiani.Questa convinzione accomunava tutti, perché tutti –anche se nemici sul campo – desideravano che ilCristo rimanesse il cuore del mondo.

Non a caso mons. Biraghi ripeteva spesso:

22 In morte di Vittorio Emanuele, in L'Osservatore Cattolico,

anno 15, n.8, giovedì-venerdì 11 gennaio 1878, p. 1.

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Teniamo il cuore fisso nel Signore Gesù ed egli ci confor-terà in ogni nostra vicenda23. – E ancora: L'essenziale,alla fine, è di seguire Gesù Cristo.

Come? Lo diceva spesso ai suoi seminaristi: oc-corre combattere a favore

della verità e della giustizia, per vincere colla mansuetu-dine, trionfare con la pazienza, venire ad avere corona (=vincere) col patire24.

Mons. Biraghi praticò certamente questo stile,senza mai scoraggiarsi, perché «Io – diceva – ho po-sto ogni fiducia in Dio» 25.

Quali vescovi impegnarono la sua obbedienza?

Probabilmente don Luigi ripeté queste parole aisuoi arcivescovi. Forse le disse al cardinale CarloGaetano Gaisruck (1818-1846), quando questi nongli permise di costituire una comunità sacerdotale dipreti dediti alle missioni in città.

Forse le disse a mons. Bartolomeo Carlo Romilli,che giunse a Milano investito di troppe speranze.

23 AGM, Epist. I, 854. Lettera di Luigi Biraghi alla Videmari,9 marzo 1855, riportata anche in: CONGREGATIO PRO CAUSISSANCTORUM, Aloysii Biraghi, Positio super virtutibus, Romae,1995, p. 727.

24 AGM, Autografi, aut 4b; riportato anche in: CONGREGATIOPRO CAUSIS SANCTORUM, Aloysii Biraghi, Positio super virtutibus,Romae, 1995, pp. 125-128, a p. 126.

25 AGM. Epist. I, 739, Luigi Biraghi, Lettera alla Videmari, 22febbraio 1851. Il passo è riportato anche in: CONGREGATIO PROCAUSIS SANCTORUM, Aloysii Biraghi, Positio super virtutibus,Romae, 1995, p. 691.

86 giornata di studio all’Ambrosiana

Egli, infatti, dopo un arcivescovo austriaco era atte-so come italiano, quasi a significare l'incipientetrionfo delle aspirazioni all'unità nazionale, ormaiincontenibili. Purtroppo tanta attesa suscitò la rea-zione sospettosa del governo austriaco e la tensionedegenerò proprio in occasione del suo ingresso indiocesi (8 settembre 1847). La polizia cercò di di-sperdere un gruppo di giovani, che in piazza delDuomo si era messa a inneggiare a Pio IX e sul ter-reno rimase una vittima. Erano solo i prodromi diquanto si verificò nella primavera seguente, le famo-se Cinque giornate di Milano (18-22 marzo 1848). Inquei frangenti, non c'era molto spazio per le novità el'azione di rinnovamento. Piuttosto si determinaronosituazioni di ulteriore controllo e pressione da partedel governo austriaco. Ebbene, l'arcivescovo Romillicercò di custodire le tradizioni della Chiesa ambro-siana e di rispettare i decreti del governo. Così co-stituì una Consulta Ecclesiastica, una specie di pic-colo consiglio episcopale, del quale fecero parte, inparticolare, Giovanni Battista Vegezzi e Luigi Bira-ghi: tramite i loro consigli egli riuscì a custodirequello spirito, che abbiamo descritto sopra. Il prezzoda pagare al Governo, comunque, fu alto. Egli do-vette ricostituire gli Oblati diocesani (1853) ed affi-dare loro la conduzione del Seminario, con lo scopodichiarato di «combattere i nemici della Chiesa». Nonera certo un bel biglietto di presentazione per lastessa Congregazione degli Oblati e da allora essa fucircondata di sospetto e di critiche. D'altra parte ilprimo compito, che Romilli dovette assolvere, fu una

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pratica epurazione del Seminario (1854): 13 profes-sori furono allontanati, anche se l'arcivescovo fecein modo di dare loro importanti destinazioni. Biraghifu tra questi, tenacemente difeso dal suo arcivesco-vo.

Non più fortunata fu la sorte del successore diRomilli, l'arcivescovo Paolo Angelo Ballerini, il fidatoVicario Generale di Romilli, che già governava ladiocesi da circa un anno e mezzo, da quando il 21dicembre 1857 l'arcivescovo era stato colpito daapoplessia. Purtroppo la morte avvenne il 7 maggio1859 nel pieno svolgimento della seconda guerrad'indipendenza. Anzi, con un affronto evidente, l'im-peratore Francesco Giuseppe, tre giorni dopo labattaglia di Magenta (4 giugno), il 7 giugno 1859,indicò al papa il nome dell'arcivescovo da lui desi-gnato per Milano, appunto Ballerini. Il giorno dopo,l'8 giugno, Napoleone III e Vittorio Emanuele II en-travano solennemente in Milano, accolti dall'entu-siasmo della popolazione, che con un rapido plebi-scito votò l'annessione al Regno di Sardegna, primonucleo del Regno d'Italia che si andò costituendo inpochi mesi.

Sarebbe stato prudente non confermare la desi-gnazione imperiale, ma Pio IX era rispettoso del di-ritto e, poiché la nuova situazione territoriale dellaLombardia fu decisa solo l'11 luglio con l'armistiziodi Villafranca, confermò la nomina del nuovo arcive-scovo nel concistoro del 20 giugno 1859. Forse c'erastata un poco di fretta da parte del papa; forse siinanellarono quelle coincidenze, che sembrano fatte

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apposta per creare danni, come ad esempio il fattoche il concistoro fosse già fissato e che non conveni-va ritardare ulteriormente la nomina di un Pastoreper Milano, proprio a causa della difficile situazionepolitica. Sta di fatto che il nuovo Governo italianonon accettò – ma, come avrebbe potuto? – il fattocompiuto e affermò che gli competevano i diritti –anche quelli ecclesiastici – del precedente governoaustriaco. Forse non era tanto la persona di Balleri-ni che non era gradita: era il desiderio di esercitareun diritto che si riteneva violato; forse il Governoitaliano avrebbe accettato Ballerini, se fosse statolui ad indicarlo alla Santa Sede.

Tanti forse, ma una realtà: il papa fu irremovibilee la situazione si aggravò quando Ballerini fu ordi-nato segretamente nella Certosa di Pavia da un solovescovo nella notte del 7-8 dicembre 1859. Il Gover-no la ignorò e pretese che anche il Capitolo Metro-politano lo facesse, rifiutandosi – o meglio sottraen-dosi al momento opportuno – di ricevere le bolle dinomina pontificie.

Sono vicende che crediamo ben note. Ci basti an-notare il riflesso pastorale e la conclusione. La si-tuazione paradossale si trascinò fino al 1867, quan-do Ballerini fu promosso Patriarca d'Alessandriad'Egitto (in partibus infidelium) e fu sostituito da Na-zari di Calabiana. In quel momento – a causa delblocco delle nomine dei parroci per i veti incrociatidi Ballerini e del Governo Italiano – nella diocesiambrosiana erano vacanti 150 parrocchie su 775.

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Non occorre molta riflessione per rilevare la difficilesituazione pastorale.

Eppure Ballerini il 1° maggio 1848 aveva scrittocon entusiasmo su L'Amico Cattolico:

Diremo finalmente che uno Stato solo unico di qua dell'Appennino, possente guardiano delle porte delle Alpi, nonpur sarebbe un grandissimo passo verso l'unità naziona-le, ma la guarentigia altresì della sua conservazione [...]Nella nostra posizione speciale noi abbiamo altresì deidoveri di somma gratitudine; e se ne abbiamo verso tuttigli altri popoli e principi italiani, sorpassano tutti gli altriquelli che ci stringono ai popoli sardi, al magnanimo Du-ce loro re, a tutta la di lui casa. L'unione cogli Stati diPiemonte, corrispondendo al nostro debito verso il rima-nente dell' italiana famiglia, alla cui difesa ci metteremmovalidissimo antemurale26.

Purtroppo queste parole di pace, lasciarono postoad una reale intransigenza, che pesò a lungo sullesorti della Chiesa ambrosiana, costringendo a nonpoca fatica mons. Luigi Biraghi, vero cultore dellapace e della concordia, convinto che la fedeltà indi-scussa al papa, di cui sostenne convintamente l'in-fallibilità, potesse coniugarsi con un sincero amoreper la patria italiana.

26 P. BALLERINI, Un progetto di Costituzione politica. Articolo I.

Dell’importanza dell’argomento e della votazione, in: «L’AmicoCattolico», 1° maggio 1848, pp. 343-359 alle pp. 354-356.Riportato in parte anche in: C. CATTANEO, Monsignor PaoloAngelo Ballerini. 1814-1897, Locarno-Milano, EdizioniPedrazzini–NED, 1991, p. 26.

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Condivise in questo – sin da subito – l'animo delsuccessore del Patriarca Ballerini, mons. Luigi Na-zari di Calabiana.

Non importa tratteggiare il suo episcopato. Valesolo la pena di fare memoria del suo motto episco-pale, scritto significativamente in italiano: «Ognunmi sente». Era la volontà del dialogo in tutti i modipossibili alla carità. Egli cercò di farlo in tutti i modiche gli furono possibili, anche quando non gli furo-no risparmiate umiliazioni, che egli affrontò conequilibrio e dignità, fiducioso nel primato della fedee nel suo radicarsi nel cuore delle persone.

Un momento significativo di questo stile furono –lo prendiamo ad esempio – le Feste per il centenariodell'elezione episcopale di sant' Ambrogio nel 1874.Pochi anni prima – con il prezioso contributo deglistudi di mons. Biraghi – erano state ritrovate le spo-glie del Santo sotto l'altare dell 'omonima basilica esembrò ben giusto caratterizzare il centenario por-tando in Duomo l'urna delle reliquie per un triduodi preghiere, concluso da una solenne processione,che avrebbe riportato il Santo nella sua Basilica.Avvicinandosi il momento stabilito e concordato conle autorità politiche, si scatenò una violenta campa-gna di stampa, in cui si distinse il quotidiano Il Se-colo, che presentò l'imminente processione come unpietoso tentativo di «risuscitare il Medio Evo collesue superstizioni»27. Così alla vigilia del trasporto

27 Il Secolo, anno 9, n. 2876, venerdì 25 aprile 1874, p. 2.

Riportato da A. MAJO, Polemiche giornalistiche nel centenario

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delle reliquie in Duomo, il l0 maggio il prefetto vietòla processione. Calabiana si piegò al decreto prefet-tizio ed alle quattro di quella stessa notte, 11-12maggio, accolse le spoglie di Ambrogio, di Gervaso edi Protaso, che giunsero coperte da tela cerata perevitare ogni curiosità. Ma più impressionante fu ciòche avvenne, quando si trattò di riportare le reliquiein S. Ambrogio. Ancora una volta, secondo gli ordinidell'autorità civile, si sarebbero dovute trasportarenella notte del 15 maggio. Nell'attesa del momentopiazza del Duomo si andò affollando di devoti e diguardie travestite per timore di disordini. Alle due emezza di notte, si aprirono le porte del Duomo e neuscirono le urne, coperte come all'arrivo, e seguiteda alcuni membri del Capitolo metropolitano e dalCalabiana. Nel buio della notte, rapidamente lapiazza cominciò ad illuminarsi: erano le candele chealcuni fedeli avevano portato e dividevano fra tutti ipresenti, calcolati in alcune migliaia. Si formò cosìuno spontaneo e lungo corteo: alla testa i corpi deisanti, seguiti dal piccolo corteo di Calabiana e dietrolo snodarsi di questo fiume di fioca luce, dal qualesalivano sommesse preghiere. Giunti nei pressi dellabasilica di S. Ambrogio i giovani del Circolo omoni-mo intonarono il Te Deum, che fu ripreso dal popolo.Con questo inno di trionfo, le spoglie dei tre santirientrarono nella loro basilica.

sant'ambrosiano del 1874, in Ricerche Storiche sulla ChiesaAmbrosiana, vol. 4, 1973-1974, pp. 155-156.

92 giornata di studio all’Ambrosiana

Non faccio altri esempi. Questo basta a descriverele tensioni che scandirono la vita della Chiesa edella società italiane in quegli anni.

Questo basta, però, a dirci quale sia stato lo stileche sostenne i nostri Maggiori. Lo ritrovo nella Re-gola pastorale, che Calabiana si diede. Era un mottodi sant' Agostino: «In necessariis unitas, in dubiislibertas, in omnibus charitas».

È bene farne tesoro, perché mons. Biraghi avevafatte sue queste parole molti anni prima, il 23 mag-gio 1838, quando scrisse a don Liberale Rota:

Aiutiamoci, caro don Liberale, aiutiamoci a vicenda, cogliscritti, colla voce, con gli esempi, colle orazioni, a fine difarci santi e di far fruttificare il nostro sacerdozio a benedegli altri e di far onorare presso tutti il Signore NostroGesù Cristo28.

In questo impegno di carità non bisogna rispar-miarsi. Mons. Biraghi ne è stato maestro, convintocome era che:

«Non vi è bene che nell'amare nostro Signore Ge-sù Cristo»; che: «Solo nell'amare Gesù Cristo nondovete mettere misura»29. Non mettiamo misura alnostro amore.

28 Lettera a don Liberale Rota, 23 maggio 1838, Originale in

Curia episcopale di Bergamo, riportata anche in: CONGREGATIOPRO CAUSIS SANCTORUM, Aloysii Biraghi, Positio super virtutibus,Romae, 1995, p. 1065.

29 Epist. I, 9 del 25 febbraio 1838, ripreso da: CONGREGATIOPRO CAUSIS SANCTORUM, Aloysii Biraghi, Positio super virtutibus,Romae, 1995, p. 1336.

Franco Buzzi

L’apostolato culturale di mons. Luigi

Biraghi dottore dell’Ambrosiana

Il fondatore delle Marcelline, il sacerdote diocesa-no Luigi Biraghi (1801-1879), fu eletto dottoredell’Ambrosiana l’11 giugno 1855. Da allora in poiegli stabilì la sua abitazione a Milano presso i Bar-nabiti di via Zebedia, nella parrocchia di S. Alessan-dro, e cominciò il suo lavoro culturale alla BibliotecaAmbrosiana. Già molto, in varie circostanze, è statoscritto sul Biraghi all’Ambrosiana1. Qui, anziché ri-petere cose ormai sufficientemente risapute, preferi-sco fare luce su qualche aspetto meno noto degli

1 Particolare attenzione gli è stata dedicata soprattutto dai

Dottori dell’Ambrosiana. Senza pretesa di completezza, segnalo:G. GALBIATI, Cinquant’anni dopo: Luigi Biraghi. Commemorazionetenuta nella casa generalizia delle Marcelline il giorno 12ottobre 1929, Milano, s.n.t., 1929; ID., Nel cinquantesimo dellamorte di Mons. Luigi Biraghi, «La Scuola cattolica», LVII (1929),pp. 434-443; C. MARCORA, Mons. Luigi Biraghi Dottoredell’Ambrosiana, «Diocesi di Milano», n.s. XV (1974), pp. 140-144; ID., Mons. Luigi Biraghi all’Ambrosiana, «Conoscersi», 1979,pp. 35-39, 50-54; ID., Mons. Biraghi, figura eminente nellaChiesa del suo tempo, in Le Marcelline, Cinisello Balsamo,Fontegrafica, 1989, pp. 9-13; F. BUZZI, Il Collegio dei Dottori e glistudi all’Ambrosiana da Angelo Mai a Luigi Biraghi, in Storiadell’Ambrosiana. L’Ottocento, Milano, IntesaBci, 2001, pp. 27-75, in particolare pp. 65-68.

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studi e dell’attività di questo Dottore2. In particolaretrascurerò deliberatamente di prendere in conside-razione i lavori che costituiscono, per così dire, il«ciclo santambrosiano» dei suoi interessi3. In effettisi tratta di studi che forse, sotto l’aspetto propria-mente scientifico, rappresentano il meglio della suaproduzione: ad essi altri studiosi hanno già dedicatole proprie attenzioni per giungere a esprimere suquesta materia un circostanziato giudizio sostan-zialmente positivo4. Cercherò, invece, di lumeggiarealcuni tratti meno noti della sua attività letteraria, iquali porranno in risalto la singolare figura

2 Mi sia consentito esprimere un cordiale ringraziamento aSr. Giuseppina Parma, di cui mi onoro di essere stato colleganegli anni 1982-1984 presso l’«Istituto Marcelline» di piazzaTommaseo in Milano. Per la stesura di queste note, devo moltispunti preziosi a lei personalmente e alla sua monumentaleopera – CONGREGATIO PRO CAUSIS SANCTORUM (P.N. 1212),Mediolan. beatificationis et canonizationis Servi Dei AloysiiBiraghi sacerdotis saecularis fundatoris Instituti v.d. «LeMarcelline» (1801-1879) / Positio super virtutibus, 2 voll., Romae,1995, pp. CXCVII + 1662, in-4°.

3 Mi riferisco in particolare ai libri: Inni sinceri e carmi disant’Ambrogio vescovo di Milano, cavati specialmente damonumenti della Chiesa milanese e illustrati dal prete LUIGIBIRAGHI [...], Milano, Boniardi-Pogliani di Ermenegildo Besozzi,1862; I tre sepolcri santambrosiani scoperti nel gennaio 1864,illustrati dal sacerdote LUIGI BIRAGHI [...], Milano, Boniardi-Pogliani di Ermenegildo Besozzi, 1864.

4 G. B. DE ROSSI, Scoperta dei sepolcri di S. Ambrogio e de’martiri Gervasio e Protasio nella basilica ambrosiana di Milano,«Bullettino di Archeologia Cristiana», II (1864), gennaio, pp. 6-8;A. RIMOLDI, Gli studi di Mons. Luigi Biraghi su sant’Ambrogio,«Archivio Ambrosiano», vol. 27, 1974, pp. 209-234; C. PASINI, Gliinni di sant’Ambrogio, in La città e la sua memoria. Milano e latradizione di sant'Ambrogio, Milano, Electa, 1997, pp. 219-228.

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“apostolica” di questo studioso, certo solidamenteattrezzato dal punto di vista culturale, ma costan-temente volto a cementare l’unione spirituale, a co-municare e a incrementare la fede del pubblico alquale si rivolse con i suoi scritti. In altri termini,tenterò di fare emergere, di volta in volta, la preoc-cupazione “edificante”5 che accompagnò semprel’attività culturale di questo studioso.

In concreto, dopo avere dedicato qualche atten-zione alle vicende relative alla sua nomina a Dottoredella Biblioteca Ambrosiana, passerò in rassegna, inordine cronologico, cinque episodi abbastanza si-gnificativi della vita e della produzione culturale diLuigi Biraghi all’Ambrosiana: la vicenda della con-versione di Abramo Levi Duraccio (1862); la recen-sione alla Vita di Gesù scritta da Ernest Renan(1863); il suo libro su Severino Boezio (1865); lalettera sul Sillabo (1865) e quella sull’infallibilità delpapa (1870).

La venuta del Biraghi all’Ambrosiana

La nomina di Luigi Biraghi a Dottore dell’Ambro-siana ha tutte le caratteristiche di una soluzione diripiego. Si può giustamente parlare di una «nomina

5 Si prenda quest’espressione in senso propriamente

cristiano: un senso che è “forte”, per nulla “banale”. La si usa,infatti, per esprimere la disposizione d’animo e l’attività di chi èinnanzi tutto preoccupato di “costruire” o “edificare” la vitaspirituale di coloro che fanno parte dell’edificio che è la Chiesa.Cfr. per esempio: Ef. 2, 20. 22; 4, 12. 16; 1 Cor. 14, 3. 12. 26; 1Pt. 2, 6.

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di risultanza», essendo fallite altre possibilità che gliavrebbero consentito forse anche una collocazionediocesana di suo migliore gradimento. Infatti egliapprodò all’Ambrosiana dopo una ‘persecuzione’ po-litica durata più di cinque anni. All’indomani deimoti del 1848 il governo austriaco si fece l’opinioneche il Biraghi, notoriamente molto legato all’arci-vescovo Bartolomeo Carlo Romilli, avesse in qualchemodo incoraggiato quella rivoluzione, istigando iseminaristi all’insubordinazione all’Austria.

Fu così che, nel 1850, egli si vide escluso dallapossibilità di un canonicato alla Metropolitana, cuilo aveva proposto lo stesso arcivescovo Romilli6. Nel1852 il Biraghi, fondatore dei collegi delle Marcelli-ne, dovette subire l’umiliazione di essere esclusodalla direzione dell’opera da lui fondata, proprio nelmomento in cui le Marcelline venivano canonica-mente erette, perché il governo austriaco ne temeval’influsso nocivo7. Visto che nei suoi confronti per-duravano i sospetti, egli decise nel 1853 di recarsi aVienna per definire la questione che lo riguardava,ma anche per sostenere la causa dell’arcivescovoRomilli che rimaneva pur sempre in cattiva lucepresso quel governo. Rimase nella capitale viennesedal 4 febbraio al 7 aprile del 1853, illudendosi diavere fatto crollare tutti i sospetti a proprio riguar-do8. Che si trattasse di un’illusione doveva triste-

6 Cfr. Positio super virtutibus, II, pp. 665-667, con i relativi

documenti ivi citati.7 Ibid., p. 668.8 Ibid., pp. 668-669.

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mente esperirlo quando nel 1854 la sua secondacandidatura a un canonicato in Duomo, sempre suproposta del Romilli, venne nuovamente bocciata,dietro i soliti pretesi sospetti politici. In più, dallarelazione del 19 marzo 1855 del conte Leo vonThun, ministro del Culto, risulta anche che il gover-no austriaco, bocciando il Biraghi, intendeva so-prattutto colpire l’arcivescovo Romilli, accusandolodi imprudenza nella scelta dei suoi collaboratori e,in pratica, di debolezza nel proprio governo delladiocesi9. Nel frattempo il Romilli era riuscito a collo-care il Biraghi come professore di teologia in semi-nario, dove egli rimase a insegnare dogmatica tra il1852 e il 1854. Andate a vuoto altre prospettive diuna qualche prevostura nella città di Milano, si pro-filò come soluzione concreta quella di un dottoratoall’Ambrosiana.

Che il Biraghi abbia attraversato qualche mo-mento di sconforto durante questi anni travagliati èpiù che comprensibile. Da questa prova esce ancorapiù amabile e umana la sua figura di uomo certa-mente spirituale, ma anche concreto e vulnerabilecome tutti. Ne abbiamo sentore da una lettera in cuiSr. Marina Videmari gli risponde, con garbo e umo-rismo, avendo raccolta qualche sua dolorosa confi-denza sulla situazione ormai divenuta per lui pe-sante e davvero logorante. Così gli scrive la Videma-ri, in data 17 marzo 1854:

9 Cfr. ibid., pp. 728- 730.

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Mio ottimo Padre, [...] Ella mi strazia, scrivendomi che,mentre i suoi colleghi vanno a posto, ella si vede, sempre,chiuso fra quattro mura, mezzo balordo ed affumicato.Ma quello, poi, di dire condur ella una vita senza affetti,senza poesia, e senza essere di nessuno, questo, poi, ve-de, non posso menarla buona. [...] Se poi, per essere diqualcuno, è uopo addossarsi il peso e la responsabilitàd’una prevostura, parmi sia da preferire l’esser di nessu-no. [...] Ma forse quello che fa pena al mio buon Padre, èil vedere gli ignoranti premiati, e gli uomini inetti adope-rati, mentre gli eruditi e quelli che hanno attitudine a fardi molto bene, si lasciano languire nella inopia. Che vuo-le? La storia ci chiarisce che tale fu quasi sempre la sortedegli uomini dotti. Si faccia cuore o mio caro Padre! Ioconfido nell’Altissimo che in breve ella sarà Monsignore[...]10.

È notevole la freschezza, la vivacità con cui siesprime questa prima discepola del Biraghi, comedel resto il tono affettuoso e filiale di aperta confi-denza che le consente assoluta franchezza nei con-fronti del Padre fondatore. In ogni caso, la soluzionedecorosa, anzi onorevole, arrivò presto. Dopo brevetrattativa – durata in effetti solo i due mesi intercor-si tra la domanda del Biraghi, scritta il 10 aprile185511, e la risposta del Collegio dei Dottori –, l’11giugno 1855 gli venne comunicata, da parte delprefetto dell’Ambrosiana Bernardo Gatti, la nominaa Dottore:

10 Ibid., pp. 724-725 con tagli.11 Cfr. ibid., p. 731.

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Sappia che a pieni voti ella fu nominata, e furono agiunte(sic) alla sua nomina tutte quelle espressioni, che ben simeritano le vaste sue doti12.

In data 13 giugno Biraghi ringraziava sentita-mente il Collegio e soggiungeva umilmente:

Duolmi solo che l’età già provetta e stanca e il pochissimoche io posso valere mi obbligano a domandare compati-mento dove io dovrei profferirmi alacre e pronto a fatichee studii. Tuttavia il buon volere, spero, non mi verrà me-no [...]13.

Fu proprio così. Nei trentasei anni di vita trascor-si all’Ambrosiana, Biraghi produsse frutti copiosi,tanto nello studio quanto nelle opere di apostolatosacerdotale, dove bisogna badare – soprattutto nelcaso di questo spirito eminentemente apostolico emissionario – a non scindere mai lo studiodall’apostolato e viceversa. Il nullaosta definitivo daparte del governo arrivò nel mese di agosto, maormai da giugno la cosa era pacifica. A Milano il Bi-raghi preferì risiedere non in una delle case nor-malmente assegnate dall’Ambrosiana ai suoi Dotto-ri, ma presso la comunità dei Barnabiti di S. Ales-sandro, come ospite gradito. Questa scelta rientravabenissimo nel suo animo di «religioso» e veniva in-contro alla sua predisposizione psicologica e spiri-tuale alla vita comunitaria. Egli perciò fu ospitatodai Barnabiti, dietro un accordo pattuito, vale a dire

12 Ibid., p. 73213 Ibid., p. 733.

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a condizione che – proprio come recita l’atto capitolare diaccoglienza – secondo un canone da stabilirsi paghi alCollegio [dei Barnabiti] il vitto e l’alloggio ed insegni ainostri alunni di teologia che si trovano nel Collegio di S.Barnaba la lingua greca ed ebraica e l’esegesi biblica14.

Il Biraghi entrò così a fare parte del Collegio deiDottori che allora risultava formato, oltre che dalprefetto Gatti, dai sacerdoti Giuseppe Robbiati, An-tonio Maria Ceriani, Antonio Ceruti e Giovanni Cri-velli. Da tutti fu accolto con grande stima e benevo-lenza.

La conversione di Abramo Levi Duraccio

Alla casa dei Barnabiti di S. Alessandro si collega,tra l’altro, un episodio curioso sul quale non è anco-ra stata fatta luce sufficiente. Intendo dire l’interavicenda spirituale di un giovane israelita che si con-vertì al cristianesimo e che in seguito sarebbe en-trato, come novizio, tra i Barnabiti di S. Alessandro.Nella questione era direttamente implicato il Bira-ghi, che, in qualità di direttore spirituale, avrebbeaiutato questo giovane a sciogliere i suoi dubbi, in-nanzi tutto intellettuali e culturali, e a convertirsi alcristianesimo. Sul fatto non esistono molti docu-menti, ma le poche fonti che abbiamo a disposizionesono più che sufficienti per stabilire con certezzache il Biraghi partecipò attivamente a questa deli-cata e commovente vicenda spirituale.

14 Ibid., p. 736.

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Veniamo anzitutto a sapere qualcosa, sia pure inmodo indiretto, dal Biraghi stesso, il quale, rispon-dendo al Papa Pio IX, che lo aveva amabilmente in-caricato di mettere un po’ di pace tra il clero milane-se diviso, termina la sua lettera del 14 agosto 1862,con un accenno a questo giovane:

Voglia pure aggradire l’opuscolo d’un giovane Israelitaconvertito ed ora entrato fra i Barnabiti che Dio mi man-dò a guidare a Lui da lontano: questo opuscolo lo spediròin breve: è un Israelita sui 30 anni, di vasti studii15.

A mio parere è assai significativo il contesto in cuiil Biraghi viene a parlare di questo opuscolo nellasua lettera al Papa. Proprio subito dopo avere rin-graziato il S. Padre per l’accoglienza che aveva riser-vata al suo libro sugli Inni di S. Ambrogio e prima diannunciargli la spedizione del processo sulla sco-perta dei Santi Satiro e Vittore, dunque tra due ope-re che lo riguardavano strettamente e da vicino, egliha inserito la notizia dell’opuscolo di questo israeli-ta, quasi si trattasse di un’opera sua. Certamentenon lo era, ma si può lecitamente ammettere che inlarga misura egli avesse, sia pure indirettamente,collaborato alla stesura di questo scritto, se non al-tro per il fatto di avere discusso con il giovane con-vertito le varie tematiche esposte in esso, offrendo alneofita l’appoggio sapiente dell’esperienza, del con-siglio e della critica.

15 Ibid., p. 786.

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Ma non è tutto. Sappiamo infatti anche qualcosad’altro sull’opuscolo che il Biraghi si riprometteva dispedire a Pio IX. Si trattava di una lettera in france-se, che recava la data: Monza, 28 luglio 1862, e chefu poi effettivamente stampata di lì a poco, a Milano,dall’Editore Boniardi-Pogliani, con il titolo: Lettred’Abraham Levi Duraccio israélite converti à son on-cle Raphael Levi Duraccio israélite de Naples sur saconversion16. Infatti, da due lettere di BartolomeoVeratti, che scriveva da Modena al Biraghi tral’ottobre e il novembre 1862, veniamo a sapere cheegli, in quanto direttore della rivista «Opuscoli Reli-giosi, Letterari e Morali» di Modena, aveva intenzio-ne di stampare per intero in traduzione italiana lalettera del Duraccio; a tale scopo gli occorreva peròil consenso dell’autore o per lo meno dell’editore,onde si rivolgeva direttamente al Biraghi, sapendodei suoi buoni rapporti tanto con l’uno quanto conl’altro17. Se ne evince facilmente che non era misteroper nessuno, quanto il Biraghi fosse direttamenteimplicato nella faccenda di questo scritto.

16 Milan, Imprimerie archiépiscopale Boniardi-Pogliani

d’Herm. Besozzi, 1862, presente in Ambrosiana con segnatura:OP.E.XLIX.4.

17 Cfr. la lettera di Bartolomeo Veratti a Luigi Biraghi, del 19ottobre 1862 da Modena, nella quale chiede appunto lamediazione di Biraghi per ottenere questo permesso (AGM,Epist. II 195); e la lettera dello stesso sempre al Biraghi, del 28novembre 1862, in cui discute su alcuni problemi di testo e ditraduzione; il Veratti tratta inoltre dell’opportunità o meno distampare anche a parte questa lettera a modo di opuscolo (Ibid.,196).

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In ogni caso la traduzione italiana fu pubblicata,anche sotto forma di estratto, uscendo nel tomo I,serie II degli «Opuscoli Religiosi, Letterari e Morali»,stampati a Modena dagli Eredi Soliani Tipografi nel1862 con il titolo: Lettera d’Abramo Levi Duraccio asuo zio Raffaele Levi Duraccio israelita di Napoli so-pra la propria conversione. Il tessuto letterario diquesto scritto, che ricalca da vicino le angosce, lesperanze e l’entusiasmo di un convertito, è molto fi-ne e avvincente. Ben lungi dall’esaurirsi in uno sfo-go sentimentale o una collana di rancorose recrimi-nazioni contro la religione d’origine, il procedimentodell’intero lavoro è ricco di forza argomentativa, divis apologetica e di sottigliezze speculative, talvoltaspinte fino al limite del paradosso: tutto ciò tradiscela tipica formazione “rabbinica” di questo giovane.Molti degli argomenti qui presentati furono certa-mente titolo di dotta conversazione tra questoAbramo Levi e il Biraghi.

Mi soffermo semplicemente solo su alcuni puntiche mi sembrano più tipici e meritevoli di ricordo.Non si può, innanzi tutto, passare sotto silenziol’esplosione di gioia e quel senso di liberazione chequesto giovane sperimentò nel momento della suaconversione a Cristo redentore dell’umanità:

Io ve lo dico – così scrive allo zio –, io sono stato infelice,ben infelice per tutto quel tempo sì lungo nel quale ho

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cercato di stabilire da me la mia giustizia, in vece di at-tendere quella di Dio18.

È qui evidente la reminiscenza paolina del temadella «giustificazione per fede», contrapposta alla«giustificazione mediante le opere della legge», qualeviene istituita da Paolo soprattutto nella Lettera aiRomani e nella Lettera ai Galati, mentre riecheggia-no quasi parola per parola soprattutto le espressionidi Ai Filippesi, là dove l’Apostolo parla con entusia-smo della sublime conoscenza di Gesù Cristo, per ilquale ha lasciato perdere tutto,

al fine di [...] essere trovato in lui – prosegue il Du-raccio – non con una mia giustizia derivante dalla legge,ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con lagiustizia che deriva da Dio, basata sulla fede19.

È proprio significativo che, esplodendo in questoinno di gioia e di ringraziamento a Dio, Abramo LeviDuraccio vada ripercorrendo col pensiero tuttequelle circostanze che lo sospinsero alla conversio-ne, e tra queste, oltre agli studi, accenni esplicita-mente, anche se in forma velata, al suo incontro conil Biraghi, qui presentato, senza pronunziarne ilnome, come «l’uomo di Dio che m’è stato guida epadre»20. La fede di quest’uomo neoconvertito è peròormai matura. Infatti, egli sa bene che

18 Lettera d’Abramo Levi Duraccio, cit. nel testo, p. 3.19 Ibid.; cfr. Fil 3, 8-9.20 Lettera d’Abramo Levi Duraccio, p. 4.

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tutte queste disposizioni erano solo mezzi secondari. LoSpirito Santo solo ha scoperto agli occhi miei la luce diCristo, e in lui la via della salute, questa via sì chiara epiana21.

Argomentando a favore del cristianesimo, il gio-vane Levi Duraccio prende anzitutto le distanze daitesti della tradizione ebraica, in particolare dal Tal-mud. Ci sono espressioni decisamente un po’ troppoforti a proposito di questa fonte inesauribile dellatradizione religiosa ebraica, che oggi noi non fati-chiamo a riconoscere meritevole di rispetto. Secondolui, invece, il Talmud non sarebbe altro che un cu-mulo di fanciullaggini, assurdità, favole e cose scon-venienti; sicché le tradizioni umane contenute in es-so avrebbero avuto il sopravvento sulla mera paroladi Dio custodita dai libri sacri dell’Antico Testamen-to, anzi quelle tradizioni dottrinali, con i loro com-menti infiniti, non avrebbero fatto altro che rendereincomprensibile la pura e semplice parola di Dio22.

Esiste dunque, secondo Abramo Levi Duraccio,una forte discrepanza tra il Talmud e l’Antico Testa-mento, a differenza di quanto si constata tra l’Anticoe il Nuovo Testamento. Questa considerazione sullacontinuità esistente tra il libri sacri ebraici e quellicristiani gli consente di incentrare il suo discorsosulla figura di Cristo, la quale in tutto e per tuttocorrisponde a quanto era stato preannunciato delMessia. Che egli sia venuto, che abbia realmente

21 Ibid.22 Ibid., pp. 4-6.

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compiuto miracoli e sia effettivamente risorto risultaassolutamente assodato per lui. Accanto agli argo-menti tradizionali, che ricorrono in tanti secoli diapologetica cristiana e che dovevano essere cosa bennota e facile terreno di discussione per il Biraghi, giàprofessore di teologia, se ne incontrano alcuni cherivelano l’indubbia matrice ebraica di questo con-vertito e ben si adattano alla sua mentalità.

Ecco, per esempio, come argomenta – in modospecifico per gli Ebrei – che Gesù è veramente ilMessia già venuto. Mi limito a segnalare due esem-pi: 1) I dottori ebrei dicono che il Messia deve di-scendere da Abramo, Giuda e Davide. Ma oggi i regi-stri genealogici degli ebrei sono stati tutti distrutti.Dunque egli doveva venire in un tempo in cui sa-rebbe stato possibile verificare questa sua discen-denza sulla base di documenti sicuri, cioè autentici.Infatti, proprio questo accadde né fu mai possibilecontestare a Gesù di Nazaret la sua discendenza. 2)Secondo quanto si legge nel libro del profeta Aggeo,al capitolo II, l’Eterno promette che il Desiderato datutte le genti sarebbe entrato nel Secondo Tempio(cioè quello costruito dopo l’esilio in Babilonia)23. Edegli, cioè il Messia, è venuto ed è effettivamente en-trato più volte nel Secondo Tempio, riempiendolodella sua gloria. Ora, però, quel Secondo tempio nonesiste più, infatti non è rimasta più pietra su pietradi quell’edificio. Dunque il Messia deve essere già

23 Cfr. Ag 2, 6-9.

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venuto, altrimenti non potrebbe essere vera la profe-zia di Aggeo.

Per ritornare ancora brevemente agli argomentitradizionali dell’apologetica cristiana, è impossibilenon vedere la guida esperta del Biraghi inquell’opera di riconoscimento puntuale della realiz-zazione delle profezie messianiche nella personaconcreta di Gesù, specialmente negli eventi dellasua nascita e nella sua vicenda di morte e di risur-rezione. Infatti, Levi Duraccio è fermamente con-vinto che i profeti avevano già preannunciato tutto,in particolare:

Che il Messia discenderebbe da Davide, che sarebbepartorito da una vergine, che nascerebbe a Betlem: chesarebbe d’origine oscura, e senza un segno esteriore chepotrebbe attirargli l’attenzione, che abiterebbe nella Gali-lea, menerebbe una vita di dolori, sarebbe rigettato dalsuo popolo, tradito da un amico, trattato come un mal-fattore; che sarebbe censurato, ingiuriato, ma dolce e pa-ziente come un agnello; che sarebbe crocifisso senza mo-tivo di condanna; che i suoi carnefici si partirebbero isuoi abiti, e gitterebbero la sorte sopra la sua veste: chesarebbe sepolto nella tomba di un uomo ricco, risuscite-rebbe senza che il suo corpo avesse patita la corruzione, eche salirebbe al cielo24.

La lettera di Abramo Levi Duraccio allo zio Raf-faele si conclude con un appello accorato alla con-versione di tutto il popolo eletto:

24 Lettera d’Abramo Levi Duraccio, p. 20.

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Oh Israele! Possi (sic) tu prendere a cuore questo appelloe incominciare seriamente a rientrare in te medesimo25.

Certamente i tempi in cui il Biraghi operò nonerano quelli del dialogo interreligioso e del rispettotra gli appartenenti a religioni diverse: tutto ciòavrebbe presupposto l’elaborazione del discorso re-lativo alla libertà di religione, alla cui chiara consa-pevolezza la Chiesa cattolica, nel suo insieme, ègiunta soltanto con il Concilio Vaticano II. Comeminimo – mi si passi la battuta –, resta pur veroche, anche oggi, non impediamo a nessuno di con-vertirsi al cristianesimo! In ogni caso la presenza delBiraghi nel campo dell’evangelizzazione, secondo imetodi e i criteri di allora, fu indubbiamente effica-ce, rivelando in lui tratti di magistero che risultanoindisgiungibili da quelli tipici di un dotto padre spi-rituale.

La recensione alla “Vita di Gesù” di Renan

Tra i lavori che risultano significativi per coglierela particolare preoccupazione, insieme scientifica epastorale, di Biraghi c’è senz’altro la sua recensionea un libro di Joseph-Ernest Renan (1823-1892) cheallora faceva molto scalpore in tutta Europa. Sitratta della Vie de Jésus uscita in francese il 24 giu-gno 1863 e immediatamente tradotta anche in ita-liano. Il libro uscì infatti a Milano nel 1863, tradottoda Filippo De Boni, che vi premetteva anche un am-

25 Ibid., p. 23.

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pio e dotto proemio da cui emergeva, però, il suopersonale astio anticattolico26. Nondimeno sembrache il Biraghi abbia letto l’edizione francese, laquinta comparsa nel 186327, come risulta da unasua esplicita indicazione in nota28.

Renan aveva pubblicato la sua Vita di Gesù comeprimo volume di una più impegnativa Storia delleorigini del cristianesimo, che vide effettivamente laluce in otto volumi tra il 1863 e il 1883. Nella note-volissima produzione dell’autore, quest’opera fa dapendant a quest’altra, uscita tra il 1887 e il 1893, incinque volumi, intitolata: Storia del popolo d’Israele.Tuttavia bisogna avvertire che Renan non divennefamoso nel mondo né per queste opere consideratenel loro insieme né, tanto meno, per altri suoi scrit-ti, ancor più analitici, rigorosi e filologici, che pote-vano qualificarlo come un vero scienziato del suotempo, bensì soprattutto per la sua Vita di Gesù. In

26 E. RENAN, Vita di Gesù, traduzione italiana con proemio di

F. De Boni, 4 voll., Milano, G. Daelli e C., Editori, 1863 (=Biblioteca Nuova, 21-24). Nel vol. I, alle pp. 3-88, è contenuto ilproemio di De Boni. Per l’accento antiromano, basti questopassaggio esplicito: «[Renan] non parafrasò gli Evangeli in undiscorso dommatico, con la Somma [intendi: di Tommasod’Aquino] alla mano, tutto accettando, tutto iperboleggiando,come gli scrittori cattolici», ibid., vol. I, p. 82.

27 Vie de Jésus par Ernest Renan, cinquième èdition, Paris,Michel Lévy Frères, 1863, presente in Ambrosiana consegnatura S.I.L.I.49.

28 Sul libro di E. Renan “Vita di Gesù”. Lettera del prete LuigiBiraghi, Dott. della Biblioteca Ambrosiana, Milano, DittaBoniardi-Pogliani di Ermen. Besozzi, 1863, p. 3, nota 1. Loscritto del Biraghi è presente in Ambrosiana anche con questasegnatura OP.CXXVIII.5.

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questo, come in altri suoi scritti, il suo pensiero ap-pare governato da alcuni presupposti fondamentali.1) Innanzi tutto la sua cieca fiducia nella scienza,che di lì a poco – secondo lui – avrebbe superato lareligione. 2) In secondo luogo l’interesse estetico perla persona di Gesù. Secondo lui, Gesù sarebbe statoun giovane idealista che non ebbe affatto coscienzadelle proprie idee. 3) Infine bisogna sottolineare cheRenan ebbe in comune con il razionalismo francesee tedesco questo principio: il miracoloso è segnomanifesto di non-storicità.

Questo accenno al mondo degli studi germanicimi offre l’occasione per ricordare che la questionedella vita di Gesù non fu certo posta da Renan, perprimo. In realtà questa tematica era già stata per-corsa in lungo e in largo da intere scuole teologiche,soprattutto in Germania. Infatti, nel tardo illumini-smo tedesco, Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781)aveva fatto spazio a una visione razionalistica dellevicende legate alla vita di Gesù, pubblicando iFrammenti di un anonimo di Wolfenbüttel (1774-1778). In questi appunti, il professore protestanteHermann Samuel Reimarus (1694-1768), cioè il lorovero autore, aveva consegnato alla carta i suoi dubbi– per altro insuperabili dal punto di vista delle suepremesse rigorosamente razionalistiche – sui fattisoprannaturali narrati nei Vangeli; in particolare, larisurrezione di Gesù sarebbe stata, secondo lui,un’invenzione dei suoi discepoli. Dopo Lessing, chegettò appunto sul tappeto tutte le questioni diven-tate classiche in materia di ricerca sulla vita di Ge-

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sù, Johann Gottfried Herder (1744-1803) mirò aspiegare in modo semplicemente naturale tutti i fattimiracolosi presenti nella letteratura neotestamenta-ria, e dopo di lui, proseguendo a suo modo sullastessa strada, Heinrich Eberhard Gottlob Paulus(1761-1851) negò la presenza di qualsiasi elementosoprannaturale nella vita di Gesù.

Questo è lo sfondo generale delle ricerche in cuisi colloca lo scritto di Renan, avvertendo però che ilsuo principale e diretto interlocutore fu piuttostoDavid Friedrich Strauss (1808-1874), autore dellaVita di Gesù elaborata in modo critico, uscita a Tu-binga nel 1835 in due volumi. In quest’operaStrauss intendeva prescindere dalle due interpreta-zioni generali della vita di Gesù fino allora date, valea dire quella soprannaturale e l’altra puramentenaturale, di derivazione illuministica, per introdurrela sua comprensione “mitica” dei Vangeli. Essi, nelpresentare la figura di Gesù, non offrirebbero altroche il rivestimento mitico di un’idea filosofica irri-nunciabile: secondo lui, Gesù non rappresenterebbenient’altro che l’idea stessa di umanità, intesa comel’unificazione sintetica dell’umano e del divino. Lavisione di Strauss presuppone ovviamente un cam-biamento di clima culturale rispetto a quello del ra-zionalismo: egli si muove ormai decisamente nelmondo del romanticismo e dell’idealismo. Non a ca-so tra i suoi maestri si incontrano tanto FriedrichDaniel Ernst Schleiermacher (1768-1834), alle cuilezioni accademiche berlinesi sulla vita di Gesù egliaveva assistito negli anni 1831-1832, quanto Ferdi-

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nand Christian Baur (1792-1860) che certamenteinfluì su di lui, comunicandogli il gusto diun’interpretazione speculativa della storia desuntada schemi ultimamente hegeliani.

Renan è la voce francese di questa lunga tradi-zione tedesca. Certo egli parla di “leggenda”, piutto-sto che di “mito” o di “saga”, come invece facevaStrauss, tuttavia la sostanza non cambia: la specifi-ca individualità e la divinità di Cristo sono in ognicaso negate. Del resto, dopo i dubbi sulla pretesapaternità mosaica del Pentateuco sollevati da Ba-ruch Spinoza (1632-1679), la ricerca storico-criticasi era impostata e sviluppata ininterrottamente an-che in Francia. Lo spirito razionalistico, che nelleopere di Richard Simon (1638-1712) aveva trovato ipropri limiti entro le sponde di un solido sapere sto-rico-filologico, perse ogni senso di moderazione e sitrasformò in cieco pregiudizio ideologico in quellavasta letteratura clandestina e anticlericale che sfo-ciò, per esempio, nello scritto di Paul Thiry baroned’Holbach, intitolato Histoire critique de Jesus Christou Analyse resonnée des Evangiles, un’opera cheegli pubblicò anonima nel 1770. Renan è altresìl’erede di questa linea, benché in lui non sopravvi-vano tracce del tipico anticlericalismo e naturalismodel Settecento francese.

Ernest Renan, nonostante tutta la sua ferma in-credulità, è un’anima piuttosto delicata, poetica epersino candida. Era stato in seminario, con l’ideadi farsi sacerdote, ma durante gli anni della suaformazione filosofica e teologica a Issy e a Saint Sul-

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pice, entrò in una forte crisi di fede che lo portò adabbandonare non solo l’idea del sacerdozio, ma an-che il cattolicesimo29. È possibile individuare i puntisalienti della sua crisi negli anni tra il 1843 e il184530. Aveva difficoltà a credere in un Dio perso-nale; non vedeva in che cosa l’opera di Cristo potes-se essere diversa da quella di un grande uomo; nonriusciva in alcuna maniera a cogliere il modo di in-telligibilità dei dogmi; il bisogno di soddisfare i dirittidella ragione respingeva in lui il soprannaturale.Dunque il suo cristianesimo era già crollato.

Sulla base di tutti questi presupposti egli scrisseanche la sua Vita di Gesù. Non sorprende perciò chelo scopo del suo scritto sia quello di fare emergeredai Vangeli «una storia compilata secondo princìpirazionali»31. Infatti, secondo lui:

I Vangeli sono in parte leggendari: ciò è evidente poichésono pieni di miracoli e di interventi sopra naturali32.

Ciò che occorre ritrovar qui non è la circostanza materialeimpossibile a verificarsi: è l’anima stessa della storia; non

29 Si vedano in particolare le tappe di questa crisi nei due

capitoli dedicati rispettivamente al seminario di Issy e di SanSulpizio, nella bella autobiografia di E. RENAN, Ricordi d’infanziae di gioventù, Milano, Modernissima, s.d., pp. 191-290.

30 Cfr. Y. MARCHASSON, Renan, in Supplément au Dictionnairede la Bible, vol. X, Paris, Letouzet & Ané, 1985, coll. 278-344, inparticolare col 279.

31 Per comodità cito, qui e in seguito, secondo l’edizione: E.RENAN, Vita di Gesù, nuova traduzione di I. Saracchi, Milano,Treves, 1929, p. VII.

32 Ibid.

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bisogna cercarvi la certezza del particolare minimo; ma lagiustezza del sentimento generale, la verità del colore33.

La sua convinzione di fondo è questa: tra il Gesùstoricamente esistito e i dogmi della religione cri-stiana non c’è continuità alcuna, e tale disconti-nuità è stata colmata dall’invenzione della Chiesa:

Gesù non è fondatore di dogmi, facitore di simboli, èl’iniziatore del mondo a uno spirito nuovo. Gli uominimeno cristiani furono, da una parte, i dottori della chiesagreca che, a partire dal IV secolo, impegnarono il cristia-nesimo in una via di puerili discussioni metafisiche e,dall’altra, gli scolastici del medioevo latino, che vollerotrarre dal Vangelo le migliaia di articoli d’una «Somma»colossale. Aderire a Gesù, in vista del regno di Dio, eccociò che dapprima si chiamò «essere cristiano»34.

Paradossalmente il cristianesimo fondato da Gesùnon fu quello inteso dalla Chiesa, la quale lo definìentro irriducibili contenuti dottrinali storico-dogmatici. Gesù, al contrario, intese fondare la «reli-gione assoluta», sicché il cristianesimo da lui inau-gurato, non sarebbe altro, secondo Renan, che lareligione umana meglio riuscita, il massimo dellareligiosità naturale, il puro sentimento religioso:

«Cristianesimo» è così diventato [cioè con Gesù] quasi si-nonimo di «religione». [...] Gesù ha fondato la religione as-soluta, nulla escludendo, nulla determinando, all’infuori

33 Ibid., p. XXIX.34 Ibid., p. 221.

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del sentimento. [...] Gesù resterà, in religione, il fondatoredel sentimento puro35.

Renan è certamente affascinato e persino inna-morato della figura di Gesù. Ma certamente per lui ilMaestro di Galilea non è affatto il Figlio di Dio delsimbolo apostolico, cioè del Credo cristiano. Basti-no, a togliere ogni dubbio, alcune espressioni finalidel suo libro:

Questa sublime persona, che ancor oggi presiede al de-stino del mondo, può ben essere chiamata divina, non nelsenso che Gesù abbia assorbito tutta la divinità o chequesta gli sia stata sinonimo, ma in questo senso: Gesù èl’individuo che ha fatto fare alla sua specie il passo piùgrande verso la divinità. [...] In lui è l’essenza di ciò che dibuono e di elevato è nella nostra natura36.

Potremmo dunque concludere che, secondo Re-nan, Gesù incarna il modello dell’uomo religioso pereccellenza, intendendo per religiosità il sentimentopuro, tanto nel senso definito dalla filosofia della re-ligione di Schleiermacher (il puro sentimento di «di-pendenza» da Dio), quanto in quello precisato dallamorale sociale legata al pensiero moderno inglese efrancese (sentimento di «altruismo»).

In questo modo credo di avere sufficientementeinquadrato il pensiero di Renan nelle coordinateculturali del suo tempo. Ciò ci consente ora non solodi comprendere il senso generale dell’intervento di

35 Ibid., pp. 221-222.36 Ibid., pp. 228-229.

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Mons. Luigi Biraghi, ma anche di apprezzare alcunisuoi spunti particolari di critica.

Dalla Lettera sul libro di E. Renan del Biraghi37

emerge innanzi tutto la sua preoccupazione pasto-rale. Questa lettera-recensione è indirizzata a unnon meglio precisato “Illustrissimo Signore”, piùvolte indicato anche con il titolo di “Signor Conte”38.Non è necessario pensare, anche se non lo si puòcategoricamente escludere, a una persona precisa,magari al Conte Borromeo di turno che, secondo glistatuti dell’Ambrosiana, doveva fare parte, alloracome sempre, della Congregazione dei Conservatoriin qualità di Patrono perpetuo. In tal caso si sarebbetrattato del Conte Vitaliano Borromeo che rivestìquesta carica dal 1841 al 1874. Tuttavia si può be-nissimo pensare a un espediente letterario per rivol-gersi a una qualsiasi persona colta o che avesse in-teressi culturali relativi alla religione cristiana e chefosse quindi in grado di leggere e di informarsi suglistudi e le interpretazioni più recenti del cristianesi-mo. Biraghi vuole dunque fare luce sul libro recentedel Renan, per aiutare i suoi lettori a formarsi ungiudizio corretto e critico su questa Vita di Gesù chefaceva tanto scalpore e riscuoteva molto successo,soprattutto nelle classi elevate.

In primo luogo il Dottor Biraghi mira a relativiz-zare l’importanza dell’opera di Renan, meraviglian-dosi di tanto successo, visto che il libro non contie-

37 BIRAGHI, Sul libro di E. Renan “Vita di Gesù”, Milano 1863,vedi la citazione completa, sopra, alla nota 28.

38 Ibid., pp. 5, 16, 19, 23, 24.

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ne documenti nuovi o nuove prove che possano infi-ciare la fede in Gesù Cristo in quanto Uomo-Dio. Ineffetti, commenta il Biraghi con giudizio sicuro, il li-bro di Renan «non è altro che rifrittura delle solitedicerie de’ razionalisti», ma con in più «una singolaremaniera di furba insinuazione e di grazia studiata:che è il fare dell’impostura»39. Infatti, da un lato Re-nan ti esalta Gesù, te lo divinizza, ma dall’altro ti di-strugge la figura di Gesù come Dio.

E tutto ciò con aria calma, dolce, senza fiele apparente,senza asprezze, fingendo supporre da pertutto buona fe-de, entusiasmo innocente. E con questa arte finissimaegli distrugge l’essenza del Vangelo e del cristianesimo, sidirebbe, senza che tu abbia ad accorgerti; e mentre ti hasembiante di farti un uomo pio, ti costituisce empio, esenza il Cristo Redentore40.

Anzi, è un libro che non varrebbe nemmeno lapena di confutare! Sì, perché l’autore è piuttosto dacompiangere che da confutare..., e la fede cristianariesce confermata piuttosto che scossa dall’insiemedel libro41! Così, accanto alla preoccupazione per illettore e la sua fede, si insinua anche quella perl’autore e la sua fede: «Povero uomo! La luce sfolgo-rante del Vangelo lo ha accecato del tutto»42. Comesi vede, ciò che stava maggiormente a cuore allostudioso Biraghi era la salvezza delle anime: egli

39 Ibid., p. 3.40 Ibid., p. 4.41 Cfr. ibid., p. 5.42 Ibid.

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non cessava di essere un padre spirituale, ancheattraverso i suoi interventi culturali. Insomma, inquesta sua lettera, il Biraghi non cerca di squader-nare riferimenti eruditi, ma di mettere a fuoco il te-ma e di illuminare l’intelletto sulla sostanza dellacosa, affinché la fede di chi legge ne esca rafforzata.Ciò non significa che egli scarti la via dell’argo-mentazione e della prova. Al contrario, anche inquesta piccola recensione ci sono dei passaggi daiquali traspare la capacità critica dello studioso benformato ed erudito. Infatti, per dare solo un esem-pio, Biraghi accusa il Renan di avere manomesso latestimonianza di Giuseppe Flavio, estenuandone ilcontenuto cristologico. Ecco in che modo.

Oltre i Vangeli egli [Renan] avvisa di appoggiarsi molto aGiuseppe Flavio di Gerusalemme, che scriveva nel mede-simo secolo di Gesù sotto Vespasiano. Questo dotto stori-co, ebreo, nelle sue Antichità Giudaiche ha un bell’elogiodi Gesù Cristo, elogio che Renan ammette come autentico.L’elogio è il seguente (l. XVIII, c. 3): «Fu poi a quel tempoGesù, uomo sapiente, se pur è permesso di chiamarlouomo [...] questi era il Cristo [...]». Magnifica testimonian-za di un dotto ebreo, al servizio de’ Cesari pagani, natonegli ultimi anni di Gesù. Ma a Renan dispiacciono diver-se cose di questo passo: la proposizione incidente, se purè permesso di chiamarlo uomo, la vorrebbe troncata via;l’altra pure era ην il Cristo, la vorrebbe cambiata in

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ελεγετο veniva detto. Ma tutto questo con dei peut-être[...]43.

Si noti la finezza dell’argomentazione del Biraghi.Essa si fonda sul presupposto dell’autenticità dellatestimonianza di Giuseppe Flavio concessa dal Re-nan. Ciò posto, quel passo deve essere coerente-mente citato secondo la tradizione testuale più sicu-ra44. A questo rigore viene appunto richiamato Re-nan dal Biraghi. Altra cosa, nella quale però il Dot-tore dell’Ambrosiana si guardò bene dall’entrare, sa-rebbe stata quella di provare scientificamentel’autenticità del passo in questione45.

Facendo pertanto forza su simili argomenti dicritica storico-filologica, Biraghi conclude che loscritto di Renan «veramente è più un romanzo filo-sofico che una vita seria». Dunque, secondo Biraghi,i difetti di questa Vita di Cristo derivano da pregiu-dizi filosofici, vale a dire da alcuni presupposti ba-silari che pre-condizionano tutta la ricerca storicadel Renan. In concreto: visto che alla fine, secondo

43 Ibid., pp. 7-8.44 Cfr., a conferma dell’esattezza del passo citato dal Biraghi

e da lui preteso come effettivamente attestato dalla tradizionetestuale, Flavii Iosephi opera omnia, post ImmanuelemBekkerum recognovit Samuel Adrianus Naber, vol. IV, Lipsiae,Teubner, 1893, p. 147, n. 63.

45 Effettivamente tale autenticità è ancora oggi materiacontroversa tra i critici, benché sia venuto meno il sospetto chesi tratti di una pura e semplice interpolazione in toto. Vedi, ingenerale, Lexikon für Theologie und Kirche, vol. V, 1960, col.1142; Religion in Geschichte und Gegenwart, vol. IV, 2001, col.586.

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lui, Gesù non è Redentore e non lo è perché, secon-do lui, il Cristo non è l’Uomo-Dio, bisogna pureammettere che Renan, quest’affascinante studiosofrancese, non parte dal presupposto radicale delpeccato originale, vale a dire: egli purtroppo non co-nosce la reale situazione dell’uomo storico e dunquela necessità della vera medicina.

Ma codesti filosofi razionalisti non devono umiliarsi tra lafolla dei Mosè, dei David, degli Isaia, de’ Paoli, degli Ago-stini, semplicetti e creduloni. Grandi viste, osservazionisintetiche, intuizioni profonde, scienze sopra scienze egrandi parolone, e gran sentimentalismo umanitario, lifanno scopritori di mondi nuovi, giudici inappellabili,medici che spacciano di curarti senza indagare la qualitàe l’origine della tua malattia, anzi senza neppur conosce-re se tu sii malato46.

Dunque, secondo Biraghi, Renan ha fallito inpieno ingannandosi sulla diagnosi della condizioneumana e conseguentemente sulla terapia offerta daDio Padre nella persona stessa del Figlio Gesù Cri-sto. Si comprendono allora le ambiguità e le reticen-ze di cui è piena questa Vita di Gesù, tutti i tentativimessi in atto da Renan per eliminare ogni traccia disoprannaturale e tutti i suoi ridicoli salti mortali peraddurre pseudo-spiegazioni che vorrebbero rimpiaz-zare l’unica spiegazione plausibile e possibile, quellasoprannaturale. Il caso più eclatante è offertodall’annullamento della fede nel Risorto, fede che,

46 BIRAGHI, Sul libro di E. Renan “Vita di Gesù”, pp. 9-10.

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appunto, viene eliminata per via di spiegazione, conil risultato di rendere ancora più incredibilel’insegnamento relativo alla risurrezione di Gesù. AlBiraghi basta citare il modo in cui Renan viene aparlare della risurrezione, per mettere in guardia isuoi lettori:

Ma se le cose stanno così, che dobbiamo pensare del mi-racolo de’ miracoli, la risurrezione del Cristo, detta dalgrande Apostolo, la prova decisiva della verità cristiana?[...] «La domenica mattina le donne, Maria di Magdala perla prima, di buonissima ora vennero al sepolcro... Il se-polcro era aperto, il cadavere non v’era più. Nel medesimotempo i rumori più strani si sparsero nella comunità cri-stiana. Il grido: “è risorto” corse fra i discepoli come unbaleno. L’amore fe’ trovare per tutto una facile creden-za... La forte immaginazione di Maria di Magdala rappre-sentò in questa circostanza una parte capitale. O poteredivino dell’amore! O momenti sacri nei quali la passionedi una allucinata dà al mondo un Dio risuscitato!». Equesti gran dottori, da una cattedra di grande capitale,hanno faccia da buttar fuori sì empie e sì svergognate co-se, e trovano migliaia di marenghi in pagamento47?

Come si vede, la sostanza negatrice del cristiane-simo del libro di Renan, nonostante le belle scenearcadiche e la poesia descrittiva di questo validoletterato francese, non sfuggì affatto al Biraghi, ilquale lo pose in diretto rapporto con Strauss:

47 Ibid., pp. 15-16.

122 giornata di studio all’Ambrosiana

Il signor Renan segue un empio Maestro, il signorStrauss, che nella Vita di Gesù mise e vangeli e Cristo frai miti e lasciò dubbio se egli lo credesse vissuto mai inquesto mondo48.

Anche gli studi biblici, se isolati dalla perennetradizione della Chiesa non giovano a nulla, conclu-de saggiamente il Biraghi, profondamente convintoche

la verità, la fede, la salvezza non la si acquistacoll’ingegno e con le scienze umane, quantunque utili, macoll’andare umili a cercarla dalla Chiesa, dai Pastori a cuiDio ne affidò il deposito49.

Qui l’animo del pastore è tutt’uno con quellodell’apologeta, convinto e grato a Dio per essere natoed essere stato cresciuto nella Chiesa cattolica.

Il libro dedicato a Boezio

Ugualmente animato da spirito apologetico è unaltro lavoro poco noto del Biraghi, uscito nel 1865,con il titolo Boezio, filosofo, teologo e martire a Cal-venzano milanese50. Tale intenzione emerge da unalettera del 30 novembre 1865 all’amico Prof. Gio-vanni Battista De Rossi, nella quale egli assicura diaver voluto «far conoscere al mondo di oggi unbell’esempio di costanza nella fede, un carattere da

48 Ibid., p. 20.49 Ibid., p. 23.50 L. BIRAGHI, Boezio filosofo, teologo, martire a Calvenzano,

Milano, Boniardi-Pogliani di Ermeneg. Besozzi, 1865.

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imitarsi nelle attuali debolezze», e si rammarica conlui del fatto che il recensore de «La Civiltà Cattolica»aveva sottolineato la questione locale, relativa a Cal-venzano, come se l’autore di quel libro fosse interes-sato a stabilire un primato tra Milano e Pavia. Ora,non era certo questa “gara municipale” a stare acuore al Biraghi51. Ma nello stesso senso apologeticoegli si era già espresso in una lettera del 24 aprile1865, indirizzata al barnabita P. Giuseppe Graniel-lo:

I protestanti in giornata vogliono abbassare l’autorità diBoezio, fino a dirlo neppure cristiano, anzi pagano, e necavano occasione di svillaneggiare la chiesa cattolica, di-cendo che non ebbe veri filosofi, né filosofia prima del se-colo XII e XIII52.

Sinceramente mi è risultato difficile individuare aquali protestanti si riferisca il Biraghi, dato che, sesi eccettua lo studio di Friedrich Nitzsch, del 1860,che tende a presentare Boezio non come cristiano,bensì come filosofo eclettico neoplatonico53, il teolo-go evangelico Gustav Bauer, già nel 1841, si eraespresso a favore della posizione cristiana di Boe-zio54, una tesi che, nella sua ispirazione di fondo,sarebbe stata ripresa e approfondita più tardi in

51 Cfr. Positio super virtutibus, II, pp. 797-798.52 AGM, Epist. I A 23.53 F. NITZSCH, Das System des Boëthius und die ihm

zugeschriebenen theologischen Schriften. Eine kritischeUntersuchung, Berlin, Wiegant & Grieben, 1860.

54 G. BAUR, De Anicio Manlio Severino Boëthio, christianaedoctrinae assertore, Darmstadt 1841 (Diss.).

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ambiente germanico da August Hildebrand nel188555.

In ogni caso, Biraghi vuole presentare in Boezio,attraverso la vicenda del suo ingiusto processo,della sua prigionia e morte, la figura di un filosofosommo che, a motivo della sua fede antiariana nelladivinità di Cristo, fu condannato a morte. Alla lucedella più recente storiografia boeziana, molte sareb-bero le cose da precisare e parecchi i punti storica-mente discutibili nella ricostruzione del Biraghi. In-fatti permangono ancora alcune incertezze sullasuccessione esatta degli eventi, dei luoghi, deglispostamenti e delle precise vicende giudiziarie rela-tive a Boezio intercorse tra il 523 e il 52556. Ovvia-mente anche la località di Calvenzano, identificatadal Biraghi con Calvenzano nei pressi di Melegna-no57, è stata contestata da diversi studiosi, tra iquali possiamo ricordare soprattutto Faustino Gia-nani. Questi ha fatto notare che «Calventianus» eraepiteto comune a tutte le località che erano brulle,spoglie di vegetazione e sterili. Dunque, secondo lui,Boezio sarebbe stato incarcerato nella Torre (cheebbe da lui il proprio nome) costruita nelle muradella città di Pavia, a settentrione, che è proprio

55 A. HILDEBRAND, Boëthius und seine Stellung zum

Christentum, Regensburg, Manz, 1885.56 Per uno sguardo d’insieme su queste vaste problematiche

si veda la Notizia storica di Luca Orbetello in: S. BOEZIO, Laconsolazione della filosofia / Gli opuscoli teologici, a cura di L.Orbetello, Milano, Rusconi, 1979, pp. 71-88, in particolare pp.81-88.

57 BIRAGHI, Boezio, p. 14.

apostolato culturale 125

quella prospiciente l’agro calvenziano pavese58. Ma,a parte questo particolare, sul quale il Biraghi, comegià sappiamo, non ha investito molto interesse, re-stano soprattutto discutibili alcuni altri sviluppiche, a dire il vero, non trovano riscontro nelle fonti anostra disposizione. Mi riferisco innanzi tutto allavisita che il vescovo di Milano, san Magno, avrebbefatto a Severino Boezio in quel di Calvenzano, doveegli si trovava prigioniero. Il Biraghi non si accon-tenta semplicemente di quest’ipotesi, ma la sviluppadando corpo a un discorso consolatorio che san Ma-gno avrebbe rivolto al filosofo in questi termini:

Né in te io vedo perseguitato un uomo politico, ma uncattolico e difensore valoroso delle cattoliche verità. Tuhai lottato contro tutti gli eretici, contro a’ Manichei,contro a’ Nestoriani, contro agli Eutichiani e soprattuttocontro l’eresia e la setta di Ario, negatore della divinità diGesù Cristo. Ed ora costoro, fatto un nerbo solo di odii edi interessi, sotto pretesti politici, cospirano alla tua rovi-na. Ed io ti saluto come un Confessore di Cristo, e ticonforto a perdurare costante sicché tu non perda la vit-toria e la corona. Fa cuore, o figlio, unisci le tue dogliealla più ben dolorosa Passione del primo Martire GesùDio, e pensa che il più grande onore per un cristiano si èil patire per lui. Ti sieno sempre innanzi le belle dottrine egli esempi di quel sant’Agostino di cui ti pregi tanto di es-

58 Cfr. F. GIANANI, «In agro Calventiano»: il luogo del supplizio

di Boezio, in Atti del Convegno internazionale di studi boeziani(Pavia, 5-8 ottobre 1980), a cura di L. Orbetello, Roma, Herder,1981, pp. 41-47.

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sere seguace. E poiché i nemici di Dio hanno credutochiuderti la bocca col rilegarti in questa muta solitudine,e tu con la penna dà gloria alla verità e fa suonare intor-no la Fede cattolica59.

È chiaro che si tratta di un colloquio puramenteimmaginato dal Biraghi, il quale, semplicemente apartire dalla notizia storica, ricavabile dal suo epi-taffio di incerta data, in cui san Magno viene lodatoper la sua carità e le sue cure soprattutto per i pri-gionieri e la loro liberazione60, prende lo spunto perquesta libera amplificazione.

Ugualmente si deve dire a proposito di un altropunto di forza sul quale Biraghi pretende di basarela sua interpretazione generale della figura di Boe-zio. Mi riferisco al dittico in avorio, ancora oggi con-servato nel Tesoro del Duomo di Monza, che egli,con certo titolo di gloria, pretenderebbe di avere de-cifrato61. In verità, la letteratura più recente metteassolutamente in dubbio che la figura virile di que-sta celebre valva eburnea sia Severino Boezio. Siparla piuttosto genericamente del «Dittico del Poetae della Musa», opera del VI secolo, espressione del

59 BIRAGHI, Boezio, p. 26.60 Cfr. A. RIMOLDI, Magno, vescovo di Milano, in Bibliotheca

Sanctorum, VIII, Roma, Citta Nuova, 1977, col. 546: «…ferremanum fessis nudos vestire paratus captorumque gravi solverecolla iugo…».

61 «Dirò pure, che mercè la pazienza e le ripetute ispezioni,ho potuto leggere quello che altri non avvertì e certo non lesse,cioè le tre Epigrafi qui esposte»: BIRAGHI, Boezio, p. 39.

apostolato culturale 127

gusto della corte di Berengario62. Il Biraghi, invece,pretese di leggere ciò che è scritto sui due libri postiai piedi della figura maschile ivi raffigurata e di de-cifrare persino ciò che starebbe scritto sul cartiglioarrotolato che il soggetto tiene nella mano destra.Su tale rotolo Biraghi pensa di aver letto questaespressione: «In fide Iesu maneam», «Nella fede diGesù io rimarrò saldo»; si tratterebbe perciò dellaConfessione di fede del filosofo, insomma del suo te-stamento spirituale63, che corrisponderebbe all’o-puscolo De fide catholica. In realtà, dopo un’attentaispezione autoptica del reperto, da me personal-mente condotta in collaborazione con il collegaMons. Marco Navoni e con l’assistenza del Prof. Ro-berto Conti, Conservatore del Museo del Duomo diMonza, mi sento di poter assicurare i lettori chesulla tavoletta eburnea non c’è scritto assoluta-mente nulla di leggibile: ci sono certo dei segni incisinell’avorio, ma si tratta sostanzialmente di piccolis-sime aste verticali, lievemente uncinate nella partesuperiore da sinistra a destra, tutte press’a pocouguali; nella mente dell’artista esse dovevano darel’idea che qualcosa ci fosse scritto. L’artista perònon scrisse nulla.

62 Monza e la sua storia, a cura di F. de Giacomi ed E.

Galbiati, presentazione di R. Colombo, Monza, Associazione proMonza, 2002, pp. 82-86; R. CONTI, Il Tesoro. Guida allaconoscenza del Tesoro del Duomo di Monza, Monza, Duomo diMonza, 1982, pp. 29-31 (con la letteratura ivi segnalata).

63 BIRAGHI, Boezio, p. 38.

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C’è ancora un altro elemento del tutto immagina-rio, inserito arbitrariamente dal Biraghi nel suo li-bro: la seconda visita di san Magno all’illustre pri-gioniero e il colloquio nel quale Magno avrebbe rife-rito a Boezio della morte gloriosa di Papa Giovanni I,e l’avrebbe altresì informato di quella di suo suoce-ro, il senatore Simmaco. Dopo di ciò Magno avrebbeofferto al filosofo cristiano il perdono dei peccati el’eucaristia64.

Effettivamente, leggendo il Boezio del Biraghi, siha talvolta l’impressione di scorrere la trama o il ca-novaccio di un’opera teatrale piuttosto che una verae propria trattazione storica. Ciò deve avere per altroun motivo. E questo, a mio modesto avviso, nonmanca, da tanti punti di vista. Si tratta di scavareancora più a fondo nelle intenzioni vere del Biraghi enelle circostanze storiche che hanno visto nascerequesto suo lavoro.

Un fitto intreccio di motivazioni politiche e religio-se aveva consegnato Boezio alla sua prigionia e alsuo martirio. Come non vedere, proprio in quella vi-cenda, rispecchiata un po’ anche la condizione diquel secolo e di quegli anni trepidamente vissutidalla Chiesa milanese e dallo stesso Biraghi? Anchelui, del resto, era stato perseguitato per motivi poli-tico-ecclesiastici ed era stato estromesso da postipiù influenti, dai quali probabilmente, in modo piùincisivo, avrebbe potuto far giungere la sua voce auna più vasta comunità ecclesiale e a tutta la so-

64 Ibid., pp. 41-44.

apostolato culturale 129

cietà civile. Inoltre, non era forse questa la situazio-ne del vescovo Paolo Angelo Ballerini che, eletto ar-civescovo di Milano nel 1859, non era ancora ri-uscito a governare la diocesi dalla sua legittima se-de? Mi pare indubbio che suonino ricche di senso leespressioni, sopra ricordate, dette da san Magno aBoezio, quando siano applicate a personaggi come ilBallerini e il Biraghi:

E poiché i nemici di Dio hanno creduto chiuderti la boccacol rilegarti in questa muta solitudine, e tu con la pennadà gloria alla verità e fa suonare intorno la Fede cattolica!

Non credo che il Biraghi si sia messo a scrivereuna specie di romanzo storico –anche scenicamenterappresentabile, come dicevo – per il semplice gustodi scriverlo: fu piuttosto la condizione storica delsuo tempo a suscitare in lui vivo interesse per la te-stimonianza cristiana di Boezio e, viceversa, fu poila storia di Boezio, letta alla luce del presente, a re-care conforto e a fungere da discorso “edificante” perlui e per l’intera Chiesa del suo tempo. In questomodo si riafferma, da capo e sotto un’altra angola-tura, la medesima intenzione intimamente pastoralee spirituale dell’impegno culturale del Biraghi.

Lettera sul Sillabo

Ora dedicheremo la nostra attenzione a due mo-menti nei quali si rivelò la profonda devozione delBiraghi alla sede apostolica romana. È per altro

130 giornata di studio all’Ambrosiana

nota la sua filiale relazione con il Papa Pio IX65. Ilrapporto confidenziale che egli intrattenne con que-sto pontefice fu dettato al Biraghi dalla passione dicondividere con il Pastore supremo della Chiesa lefatiche e le ansie a proposito della dottrina autenti-ca, nel contesto di un mondo culturale confuso, ir-requieto e sconvolto, in cui era necessario mantene-re uniti i fedeli rinsaldando le certezze di sempre,quelle che la secolare tradizione della Chiesa inten-deva conservare e tramandare ai posteri.

Nel quadro culturale determinato dalle idee deidue partiti contrapposti, gli «intransigenti» e i «libe-rali», si sa che Pio IX – il Pontefice che noi oggi vene-riamo come beato – intervenne occasionalmente e alungo, prima del 1852, con diverse allocuzioni eprese di posizione particolari. Poi, a partire dal1852, vennero successivamente istituite quattrocommissioni con l’incarico di raccogliere insieme leprese di posizione in cui il Papa si era già espressosugli errori ideologici del tempo, allo scopo precisodi organizzarli in compendio per condannarli comedeviazioni dal vero legate alla mentalità moderna.

Ma non fu nemmeno questa l’occasione prossimache indusse il Pontefice a pubblicare l’EnciclicaQuanta cura e il Sillabo. Gli antecedenti immediatidi questo intervento magisteriale dell’8 dicembre1864 furono invece tre altri fatti, cui ora accennerò

65 Oltre a quanto si è già anticipato sopra (cfr. il contesto

della nota 15), si veda anche Positio super virtutibus, II, p. 806.

apostolato culturale 131

brevemente66. Innanzi tutto il Congresso che si ten-ne a Malines in Belgio dall’8 al 22 agosto 1863. Inquesta occasione Charles-René Forbes Montalem-bert (1810-1870) aveva tenuto due discorsi infuocatisulla libertà e la necessaria separazione di Stato eChiesa: secondo lui, la Chiesa nello Stato avrebbedovuto godere della stessa libertà che le leggi conce-dono alla varie associazioni, né più né meno. In se-condo luogo, a Monaco di Baviera, in Germania, dal28 settembre al 1° ottobre 1863 il Prof. Ignaz vonDöllinger (1799-1890) organizzò un Congresso cuiparteciparono 84 teologi tedeschi. Egli chiedeva chesi accordasse libertà di ricerca scientifica alla teolo-gia da parte del Magistero; inoltre dichiarò l’in-segnamento della Scolastica assolutamente insuffi-ciente e inadeguato a pensare e a proporre la teolo-gia per i tempi moderni. In terzo luogo non bisognadimenticare che in Francia, ma presto anche neglialtri paesi europei, era uscito il libro di Renan (ap-punto la Vita di Gesù, di cui abbiamo già detto), chescandalizzò molti e portò alla ribalta la questionedella libertà di stampa.

Sia l’Enciclica Quanta cura sia il Sillabo rappre-sentano la condanna degli errori del pensiero mo-derno67. In particolare il Sillabo, esteso sostanzial-

66 Per la questione vedi in particolare: G. MARTINA, Il

liberalismo cattolico ed il Sillabo, Roma, Stella Mattutina, 1959,pp. 131-132.

67 Per il testo integrale vedi, per esempio: PIO IX, Quanta curae Syllabus (1864), in Tutte le Encicliche dei Sommi Pontefici, acura di E. Momigliano, Milano, dall’Oglio, 1959, pp. 262-280.

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mente dal Padre barnabita Luigi Bilio, elenca 80 er-rori di genere diverso che, quanto al loro contenuto,si possono raggruppare in quattro categorie: 1) pro-posizioni dottrinali relative al dogma, la ragione e illoro reciproco rapporto; 2) proposizioni sull’eticanaturale e soprannaturale, in particolare sulla con-cezione del matrimonio; 3) proposizioni sulla strut-tura giuridica della Chiesa – intesa come societàperfetta –, la struttura dello Stato e i loro rapportireciproci; 4) la condanna esplicita del liberalismo(proposizioni 76-80)68.

Le reazioni non si fecero attendere in tutta Euro-pa69. Accanto a quelle violente di Giuseppe Mazzini edi Victor Hugo fiorirono innumerevoli quelle deglianticlericali e dei liberali che videro in genere neldocumento pontificio la consueta intolleranza dellaChiesa e la sua incapacità di adeguarsi ai tempimoderni, insomma un rinforzo dell’oscurantismo.Da parte cattolica si corse ai ripari, cercando dichiarire le intenzioni autentiche dell’Enciclica e delSillabo. In quest’opera primeggiò il vescovo di Or-léans, Mons. Félix-Antoine-Philibert Dupanloup(1802-1878), che tentò di dare una lettura attenua-tiva di certe condanne indubbiamente forti conte-nute nel Sillabo, insistendo sul fatto che nelle paroledel papa non bisognasse vedere nient’altro che la le-

68 Per un’analisi contenutistica del Sillabo, vedi MARTINA, Il

liberalismo, pp. 135-141.69 Si veda per esempio, E. PAPA, Il Sillabo di Pio IX e la

stampa francese, inglese e italiana, Roma, Edizioni CinqueLune, 1968.

apostolato culturale 133

gittima proclamazione della verità immutabile e lanecessaria condanna della libertà illimitata, ancheperché secondo lui, come del resto secondo il partitopiù moderato del liberalismo cattolico ottocentesco,nell’interpretazione del documento bisognava distin-guere tra «princìpi assoluti» e «norme contingenti»70.

Nel contesto assai variegato delle prime reazioniall’intervento del magistero si colloca anche la Lette-ra sul Sillabo del Biraghi, apparsa ne L’OsservatoreCattolico, il 13 marzo 186571. Essa è genericamenterivolta a un sacerdote professore, insomma a un de-stinatario immaginato dal Biraghi, che funge da oc-casione e pretesto letterario per esprimere al tempostesso le perplessità suscitate in alcuni ambienticolti milanesi e le risposte semplici e rassicuranti dalui formulate.

Il dubbio, espressogli dal suo interlocutore, rela-tivo niente meno che all’autenticità del Sillabo, nonrisultandovi apposta la firma di Pio IX, viene facil-mente sciolto dal Biraghi, richiamando l’attenzionesu un duplice fatto: il Sillabo accompagnal’Enciclica, la quale include, sotto altra forma, lacondanna degli stessi errori; per giunta esso reca, inmodo esplicito, la firma di Pio IX; il Papa, d’altraparte, aveva già firmato il Sillabo, in quanto tale sil-loge di errori condannati non è altro che una rac-

70 Cfr. MARTINA, Il liberalismo, pp. 146-154.71 L. BIRAGHI, Lettera sul Sillabo annesso all’ultima enciclica

dell’8 dicembre 1864, in L’Osservatore Cattolico, a. II (1865), n.59, lunedì 13 marzo, pp. 234-235, riprodotta in Positio supervirtutibus, II, pp. 848-849.

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colta di proposizioni ricavate da precedenti inter-venti autorevoli del medesimo Pontefice, come delresto è possibile constatare esaminando i documenticitati a conferma della condanna di ogni singolo er-rore.

Stabilito che il Sillabo è autentico, è cioè paroladal papa ai vescovi e ai fedeli, non resta altro da fareche sottomettersi «colla mente e col cuore» alle suedisposizioni. Del resto esso non condanna se non«errori» che sono errori e «mali» che sono mali, e nonpossono essere intesi diversamente. Entrando poinel merito, il Biraghi afferma, con i commentatoricattolici, che

il Sillabo inteso nel suo retto significato, non avversa niu-na verità, anzi le difende tutte, non si oppone né a libertà,né a civiltà, né a progresso, anzi lo avvalora ed assicu-ra72.

Oltre a esprimere, in modo negativo, che cosa ilSillabo non intende dire ed essere, egli si sforza diportarne alla luce il valore positivo:

Io per me sono persuaso le dottrine che emergono dallacondanna di queste ottanta proposizioni essere le veremedicine di questi tempi “sì malati”, secondo la fraseusata da un deputato non codino, essere la salute del no-stro paese73.

Anzi, esse somministrano

72 Positio super virtutibus, II, p. 849.73 Ibid.

apostolato culturale 135

alquanta dose di “calmante” alla effervescenza funestis-sima degli animi e delle fazioni74.

Così, in modo spontaneo e con animo da pastoreben preparato, il Biraghi esprime il suo parere, ren-dendosi sempre efficacemente presente nel suocontesto, a difendere e a incoraggiare un’adesionesincera a Roma, in un tempo pieno di sospetti e difacili estremismi, nel quale egli riteneva possibileessere al tempo stesso «buon cittadino» e «buoncattolico».

Lettera sull’infallibilità del papa

Proprio a partire dallo stesso anno del Sillabo,cioè dal 1864, Pio IX cominciò a pensare all’idea diconvocare un nuovo concilio e istituì a questo sco-po, nel 1865, una commissione di cardinali. Con labolla Aeterni Patris del 1868 fu convocato il conci-lio75, che si aprì a Roma l’8 dicembre 1869. Il climain cui fu preparato il Vaticano I si era fatto rovente,soprattutto a motivo di due partiti contrapposti76:quello francese di Louis Veuillot (1813-1883) chepropendeva per il primato del Papa e per la tesi

74 Ibid.75 Vedine il testo in Tutte le Encicliche dei Sommi Pontefici,

pp. 285-291.76 Per queste posizioni divergenti vedi: A. FRANZEN, Breve

storia della Chiesa, Brescia, Queriniana, 1991, pp. 348-352. Maper una presentazione generale del Vaticano I e dei suoiproblemi vedi: G. ALBERIGO, Il concilio Vaticano I (1869-1870), inStoria dei concili ecumenici, a cura di G. Alberigo, Brescia,Queriniana, 1990, pp. 369-396.

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dell’infallibilità pontificia in ogni campo, sconfinan-do in una vera e propria idolatria papale, e quellotedesco di Ignaz von Döllinger che combatteva tena-cemente ogni posizione primaziale e qualsiasi formadi infallibilità del Papa.

I motivi contestuali che indussero Pio IX alla con-vocazione del Vaticano I e alla definizione dell’infal-libilità sono abbastanza noti: in quella situazioneconfusa e di continua perdita di terreno dal punto divista del potere temporale, la definizione del primatoe dell’infallibilità del papa significava anche la pos-sibilità di salvaguardare il prestigio e la libertà spi-rituale della Chiesa dalla tirannia del potere politico.Di fatto la costituzione conciliare Pastor Aeternus del18 luglio 1870 conteneva la dottrina del primato edell’infallibilità del Papa, quando egli parli ex cathe-dra in materia di fede e di morale77. Questa dottrinaera stata approvata dai Padri del Concilio Vaticano Icon 533 voti favorevoli e 2 contrari.

Biraghi si fece sentire anche in questa circostan-za, intervenendo, ancor prima della definizione uffi-ciale, con una Lettera sull’infallibilità, apparsa neL’Osservatore Cattolico del 6 aprile 187078. Il prete-

77 Vedine il testo completo, per esempio, in: H. DENZINGER,

Enchiridion Symbolorum, definitionum et declarationum de rebusfidei et morum, edizione bilingue, a cura di P. Hünermann,Bologna, Edizioni Dehoniane, 1995, pp. 1060-1071.

78 L. BIRAGHI, Lettera sull’infallibilità del magistero papale,provata dal Concilio generale fiorentino e colla tradizione ecredenza della Chiesa milanese, in L’Osservatore Cattolico, 6aprile 1870, N. 74, pubblicata in Positio super virtutibus, II, pp.

apostolato culturale 137

sto per esprimere il suo parere sul primato del ro-mano Pontefice e sulla sua infallibilità personale èofferto al Biraghi da un non meglio identificatomonsignore romano che gli avrebbe mandato unteologo addetto al Concilio, in qualità di segretariodel suo vescovo, con l’incarico di sciogliere un que-sito relativo al Concilio ecumenico di Firenze (1439).Di questo si trattava: bisognava dirimere una que-stione testuale sollevata dal Döllinger circa il tenoredel testo greco degli Atti ufficiali di quel Concilio,compulsando un pregevolissimo codice greco con-servato all’Ambrosiana, con segnatura D 77 sup.Dall’esame intrapreso risultò appunto che il tentati-vo di Döllinger di sminuire la testimonianza piena afavore del primato romano da parte dei concili ecu-menici, cui lì si rimanda, era semplicemente prete-stuosa e non poteva trovare appoggio testuale alcu-no negli Atti ufficiali del Concilio d’unione di Firen-ze79.

In realtà, però, ciò che stava maggiormente acuore al Biraghi nello scrivere questa lettera è la suaseconda parte, costituita dall’assicurazione che ten-de a smentire false voci, circolanti negli ambienti dicuria romani, circa un supposto schieramento delclero milanese a favore del partito antinfallibilista: 900-902; per il contesto di questo intervento, vedi ibid., pp.861-863.

79 Vedi ibid., p. 901. L’interpretazione del testo greco, ivifornita dal Biraghi, è oggi avvalorata dall’edizione critica dellaBulla unionis Graecorum a cura di G. HOFMANN, EpistolaePontificiae ad Concilium Florentinum spectantes, II, Roma 1944,ep. 176, p. 72, nota 39.

138 giornata di studio all’Ambrosiana

So che voi non avete creduto alla favola delle suppostesottoscrizioni fatte dal clero milanese a quell’indirizzo sfa-vorevole all’infallibilità del Papa [...]. Ma vedete la potenzadella calunnia: quel Monsignor Teologo che mostravatanta stima per me, si meravigliò ch’io dicessi il clero mi-lanese favorevole all’infallibilità del maestro de’ maestri, emi metteva di contro quell’indirizzo accennato dai giornali[...]80.

Qui si incontra ancora una volta il Biraghi disempre: l’uomo di pace, che cerca di fare chiarezza,che mira con calma sapiente a fare luce, a riconci-liare i partiti opposti, a rassicurare la Sede romanadella fede solida del clero milanese, un clero che eglivuole assolutamente unito al romano Pontefice,proprio perché fedele alle più pure tradizioni ambro-siane:

Questo clero milanese non suole esprimersi con vivacitàpoetiche, è di natura calmo, riflessivo, dignitoso: ma sa diessere figlio del gran Dottore Sant’Ambrogio Padre devo-tissimo alla Santa Sede e al romano Pontefice, Padre chene predicò l’infallibilità [...]81.

Sono parole alle quali Biraghi aderiva sincera-mente con il cuore e con profonda convinzione, inun momento di generale confusione, nel quale lostesso suo amato arcivescovo, Mons. Luigi Nazari di

80 Positio super virtutibus, II, p. 901.81 Ibid.

apostolato culturale 139

Calabiana, non sembrava affatto condividere la tesiinfallibilista che il Concilio avrebbe fatto propria82.

Da quanto è stato esposto mi sembra risulti suffi-cientemente dimostrato ciò che cercai di lasciareintuire fin dall’inizio. Certo, Biraghi fu uno studiosoampiamente attrezzato di tutti quegli strumenti sto-rici, filologici, filosofici e teologici che fecero di lui unuomo erudito, molto ben preparato. Ma egli nonvolle mai essere uno studioso asettico e solitario. In-seritosi nel mondo degli studi dell’Ambrosiana, deci-se di rimanere sempre sulla breccia, ponendo tuttoil suo bagaglio culturale a servizio di quell’apo-stolato che riempì la sua intera vita sacerdotale,spesa a servizio di quella Chiesa che sempre vollearmonicamente unita, che tanto amò e per la qualeanche tanto cristianamente si sacrificò.

82 Cfr. ibid., p. 866.

ALTRI MOMENTI COMMEMORATIVI

altri momenti commemorativi 143

Tra le presentazioni della figura e dell’opera dimons. Biraghi fatte nel corso delle principali celebra-zioni da scelti oratori, riportiamo, quali nuove testi-monianze del suo carisma educativo e del suo servi-zio alla Chiesa, le relazioni del prof. don GaetanoQuarta: Mons. Biraghi nel suo e nel nostro tempo,profezia d’amore e di servizio; di mons. Franco Buzzi:Il cardinal Panico e mons. Biraghi, servi della Chie-sa a servizio dell’educazione e della carità; e del prof.Massimo Marcocchi: Il Biraghi nelle sue lettere allesue figlie spirituali.

Si riporta infine una rapida cronaca degli eventitratta dalle relazioni giunte dalle diverse casedell’Istituto.

Gaetano Quarta

Mons. Biraghi nel suo e nel nostro

tempo: profezia d’amore e di servizio*

Una data: 2 novembre 1801. Una località: Vignatein provincia di Milano. Sul registro dell'anagrafe diquel Comune viene registrato un nome:

Biraghi Luigi. Il padre: Francesco; la madre: Ma-ria Fini. Luigi sarà il quinto di otto figli.

Il contesto storico-socio-politico e religioso: fuma-vano ancora le ceneri della rivoluzione francese(1789), mentre i semi delle novità da essa gettatinon erano ancora germogliati.

Nel maggio del 1796 la Lombardia era stata teatroe vittima delle violente repressioni dell'esercito re-pubblicano. Dopo l'allontanamento dell'arciducaFerdinando e con la proclamazione della RepubblicaCisalpina si ebbe una ristrutturazione politica diquella regione, anche se di breve durata.

Difatti, nel 1799, ritornano in Italia gli austro-russi e nel contempo, in Italia, si accendevano iprimi bagliori della potenza di Napoleone, segnatada alterne vicende. Egli, già presente in Italia sin dal1800, nel 1802 proclama la Repubblica italiana e,

* Discorso del prof. don Gaetano Quarta docente di psicologiaall’Università degli Studi di Bari, tenuto nel collegio delle Marcelline aLecce l’11 aprile 2002.

146 altri momenti commemorativi

nel 1805, proprio nel Duomo di Milano, si fa pro-clamare Re d'Italia.

Intanto, per la Chiesa, nel 1800, viene eletto papaPio VII il quale, nel 1809, conoscerà un periodo didura prigionia.

In questo travagliato contesto, a livello familiare epersonale, si potevano facilmente determinare dubbisugli orientamenti politici e socio-religiosi da assu-mere, incertezze decisionali, crisi d'identità e di va-lori.

I primi nove-dieci anni di vita, cioè l'infanzia diLuigi Biraghi, viene vissuta entro il turbine di questiavvenimenti e la sua mente, dotata di processi sem-plici ed efficaci, avrà cominciato a chiedersi qualegiustificazione logica, e soprattutto etica, potesseessere addotta in favore di questi assurdi contrastitra i più profondi desideri del cuore, come la giusti-zia e la pace e gli eventi del suo tempo che determi-navano angoscia, paura e lotte.

Con una cultura fatalista tutto può essere subito,accettato. Non è così, invece, per chi ha del mondo edella storia una concezione dinamica ed evolutiva,che interpella tutti coloro che hanno senso di re-sponsabilità ed energia creativa, da investire per unrisveglio delle potenzialità positive insite in ogni per-sona e nelle varie forme di aggregazione.

Luigi Biraghi era tra costoro. Leggendo alcunisuoi scritti e, soprattutto, analizzando i comporta-menti da Lui tenuti durante tutta la vita, si può ri-tenere che Egli abbia ritenuta questa realtà, incan-descente e magmatica, stupendamente plastica e,

Biraghi nel suo e nel nostro tempo 147

proprio per questo, adatta per essere plasmata conabili mani, secondo modelli più consoni alle diverseed essenziali esigenze del cuore umano e delle attesedi Dio.

Aiutare ogni creatura, ed in particolare ogni per-sona umana, a sprigionare tutto il suo potenziale disviluppo, impegnando, perché questo avvenga, tuttele risorse della propria vita, questo è amore: «non viè amore più grande di quello che rende la vita pro-pria disponibile per gli altri».

Il giovane Luigi si convince che questa verità, ap-presa dalla cattedra dell'unico vero Maestro, il Cri-sto, poteva essere la soluzione idonea per filtrare ilmale che, altrimenti, riesce ad affliggere la vita degliuomini di ogni tempo.

Intanto, nulla di particolare si nota nell'infanzia enell'adolescenza di Luigi, diventato ormai seminari-sta. Per individuare la fonte della sua identità per-sonale e la fonte ispiratrice dei suoi futuri progettied i modelli dei suoi comportamenti, tutto va cercatonello stile di vita della sua famiglia, prima ed inso-stituibile risorsa educativa.

Dal padre apprendeva la fedeltà, la competenza ela responsabilità del lavoro. Egli gestiva, come oggisi direbbe, una piccola azienda agricola. La madre,donna pia, disponibile ed operosa, lo accompagna-va, senza condizionamento alcuno, a scoprire le sor-genti da cui sgorga la sapienza della vita. Lei erauna donna saggia; una donna che non viveva percredere, ma credeva per vivere e vivere bene. Questosegreto fu ben presto individuato da Luigi e fedel-

148 altri momenti commemorativi

mente assimilato. In una lettera a Madre Marina Vi-demari, co-fondatrice della Congregazione delle Suo-re Marcelline, in data 10/08/1855 così scriverà:

Non m'inganna l'amore di figlio: voi, o carissime, la cono-sceste, la trattaste per tanti anni da vicino. Vedeste lasua fede vivissima, la sua carità.

Con i suoi fratelli e sorelle condusse il tirociniodella solidarietà, della accoglienza, della tolleranza edella disponibilità.

In questo contesto familiare fu facile scorgere ilvolto di Cristo, non dipinto, annunciato o immagi-nato, ma quello vero, incarnato, vivente per cui èpiù facile lasciarsi sedurre, innamorarsi di Lui e se-guirlo.

«Maestro dove abiti?», chiese a Gesù un giovane.Egli rispose:«Vieni e vedi». Luigi si fidò di Lui e lo se-guì. A nove anni entra nel Seminario di S. PietroMartire. Cristo, Profeta del Padre, fu il modello a cuiil giovane Luigi volle ispirare tutta la sua formazio-ne.

Nel periodo passato in Seminario, non emergonofatti di particolare rilievo. Tutto scorre nella sempli-cità dell'ordinario, non si cita alcun episodio parti-colare.

Ciò non vuole significare che tutto si sia svoltonel grigiore di una piatta mediocrità. Il livello delrendimento scolastico e della maturità della suapersona sono indicati in due giudizi di valutazioneottenuti sia nel Seminario di Castello sopra Lecco,sia in quello di Monza: «Valde et valde diligenter in

Biraghi nel suo e nel nostro tempo 149

moribus – valde bene et diligentissime in litteris –valde bene et diligentissime in omnibus». Intelligen-za acuta e logicamente ordinata, ottiene due premiin logica ed in accademia negli anni 1820/1821.

Nel seminario di Milano, dove entrò nel 1821 perlo studio della teologia, meritò il seguente giudizio:«Costumi buonissimi; eminente in teologia dogmati-ca, teologia morale, esegesi del nuovo testamento elingua greca».

Il periodo in cui si svolge la formazione culturalee sacerdotale del Biraghi va dal 1810 al 1825. In es-so già appare la genesi del suo carattere, la luciditàe la fedeltà della sua intelligenza nell'interpretare gliavvenimenti e, soprattutto, la perfetta attinenza deisuoi progetti e delle sue opere in ordine alle soluzio-ni possibili delle varie problematiche.

Tra i vari eventi che hanno caratterizzato quel pe-riodo ne indichiamo tre, che possono essere consi-derati i più emblematici ed i più complessi di quelmomento:— sul piano politico, il giuseppinismo. Nonostante

la diffidenza che esso poteva determinare, tutta-via il sentimento dell'indipendenza nazionaleprevaleva sulle riserve religiose e si intrecciavacon forme rivoluzionarie che cominciavano adincontrare simpatie anche nel clero;

— sul piano religioso, il giansenismo, che mescola-va anch'esso il suo rigore morale e la sua dottri-na religiosa con i moti rivoluzionari ed indipen-dentisti, dai quali mutuava un rinforzo di vigore,

150 altri momenti commemorativi

pur non avendo una intrinseca correlazione conessi;

— sul piano sociale, le ripercussioni espansivedella rivoluzione francese, con tutti i radicalimutamenti che essa rivendicava e, soprattutto,con la sua tensione a demolire, colpevolizzare egiustizializzare.

Un periodo, quindi, di crisi e di disorientamentoper le coscienze di tutti, ma, in particolare, per i gio-vani. E Luigi era tra questi, con una coscienza apo-stolicamente coltivata, per cui non poteva esseresolo spettatore, ma si sentiva addirittura interpel-lato per prestare un servizio di chiarificazione, inmodo da aiutare le persone a fare delle scelte positi-ve e responsabili.

La geniale intuizione del giovane sacerdote fuquella di ritenere che la vera crisi del suo tempo, main realtà di ogni tempo, non era essenzialmente crisipolitica e socioreligiosa, ma crisi delle coscienzedelle persone, ancora prigioniere dell'ignoranza,preda di numerosi condizionamenti e, soprattutto,negativamente condizionate da modelli culturali de-sertificati dall'assenza di fede e di speranza.

Non era, perciò, questione di andare a cercare lepossibili soluzioni in questo o in quell'altro modellopolitico o sistema ideologico, ma di adoperarsi adinnescare i processi evolutivi della persona umanaverso la meta della sua libertà. E questo può esserefrutto soltanto di una sapiente opera educativa, lasola capace di consentire alla persona umana l'ac-

Biraghi nel suo e nel nostro tempo 151

cesso nello spazio dell'autonomia, della libertà edella responsabilità.

Vero ed efficace agente educativo può essere solol'amore. Solo amando si serve la vita degli altri inquanto solo l'amore consente di offrire anche la pro-pria vita, affinchè la vita dell'altro sia nella pienezza.

Il carisma di mons. Biraghi: vivere per educare

Al di fuori di Dio e della persona umana, gloria diDio e gelosia del suo amore, non c'è altro bene chemeriti di subordinare ad esso la nostra vita.

Il Biraghi sceglie questo modo profetico di servireed amare, impegnando tutta la sua vita nell'educaree trascinando, in questa stupenda avventura, tuttele anime generose, che, a cominciare da Madre Ma-rina Videmari, alle cui premure materne affiderà lanascente Congregazione delle Sue Figlie, le Suore diS.Marcellina, vorranno condividere il carisma dieducare, innanzitutto, con l'esempio di una vitasanta e poi, anche, con tutte le altre risorse, metodie strumenti educativo-istruttivi.

Questa scelta trova la sua sorgente nella lucidaconsapevolezza battesimale, dalla quale, per tutti,scaturisce un duplice carisma: quello profetico equello missionario.

Il Biraghi identifica ed esprime tale carisma nelmunus, cioè nel compito di educare amando e diamare educando. Ecco il suo servizio profetico.

Educare, infatti, è l'azione profetica per eccellen-za. Dio è l'educatore primario ed assoluto. Egli con

152 altri momenti commemorativi

la creazione educe, cioè dal nulla chiama ed accom-pagna all'essere tutte le sue creature e le destina,nel tempo, alla realizzazione della loro pienezza me-diante una sua alleanza con la singola creatura etra le creature. Nel grande concerto della creazione,per portarla al suo compimento, Dio coinvolge tuttinoi, dotandoci di un potenziale educativo, cioè ren-dendo anche noi creatori per delega. Per il fattostesso che esistiamo siamo tutti educatori e nonpossiamo non stabilire relazioni educanti.

L’educatore profeta d’amore e di servizio

La relazione educativa, quindi, è genialità, libertà,primavera di novità, meraviglia di originalità. Perquesto non si può educare solo con regole, condi-zionamenti e ricatti. Questi inibiscono, tarpano leali, mortificano l'inesauribile fantasia di Dio che siriflette nella diversità e nelle differenze, sempre nel-l'unità e mai nella discriminazione oppure nellacontrapposizione.

Il Maestro divino, l'unico che conosce il valore el'autentica bellezza della vita, educa e salva gli uo-mini, assumendo la loro stessa natura, ma senzaidentificarsi con essi né, tanto meno, sostituendosiad essi. Anzi egli ‘ha bisogno degli uomini’ per me-glio esprimere la potenza e l'amore del Padre nelleinesauribili forme della nostra identità, in modo cheognuno possa essere espressione totale ed esclusivadel suo amore.

Biraghi nel suo e nel nostro tempo 153

L'oggetto d'amore non s'impone, ma liberamentesi sceglie e liberamente ad esso si resta fedeli. Que-sta fedeltà è una adesione libera ed è incompatibilecon vincoli imposti da leggi e precetti.

Inaugurando la nuova alleanza tra Dio e l'Uomonon c'è più bisogno del Sinai e delle tavole delle leg-gi. Il Sinai viene sostituito dal Golgota, mistero dimorte liberamente sofferta per la nuova vita pa-squale, prefigurata sul colle della trasfigurazione.

Cristo è il vero educatore e nostro liberatore, per-ché ha dato la sua vita per la nostra vita.

E' stato questo il metodo educativo assimilato edattuato dal Fondatore della Congregazione delleSuore Marcelline e da queste condiviso.

Nel loro Direttorio si legge:

Non mai si dismetta il metodo fin qui benedetto, di esseresempre in mezzo alle alunne.... che esse si formerannomeglio coi buoni esempi che non con copia di precetti.

Noi siamo profeti di Dio, a lui somigliamo e Luimanifestiamo nell'esercizio del nostro ‘essere edu-catori’, perché : «L'uomo che vive è la gloria di Dio»,come dice S. Ireneo. Potremmo anche aggiungereche vivere nella misura e nel modo con cui Dio haprogettato e vuole che sia la nostra vita, questo èl'unica vera gloria per l'uomo e la sua beatitudine.

La dignità della vita umana, infatti, consiste nellalibertà, nell'autonomia, nella conoscenza, nella re-sponsabilità delle scelte e nella possibilità di speraree di progettare, ma soprattutto nella capacità diamare.

154 altri momenti commemorativi

L’educazione, profezia d’amore e di servizio dimons. Biraghi

C'è una felice coincidenza tra la volontà di Dio,che voleva il suo Ministro soprattutto educatore, e lascelta personale dello stesso che voleva essere edu-catore, non solo, ma anche moltiplicatore di educa-tori.

Per essere tale, don Luigi Biraghi non è stato untemerario oppure un sognatore. Si è sempre prepa-rato con intelligenza e diligenza. Ha curato la suavita interiore, ha coltivato la sua intelligenza condottrina, con sapere umano e biblico-teologico. Nesono testimonianza il modo lodevole con cui ha con-dotto gli studi, le numerose pubblicazioni da luiedite, attingendo i tesori del suo sapere anche dallaricca Biblioteca Ambrosiana, la cui direzione gli fuaffidata per alcuni anni.

Egli non si autocandida a compiti di responsabi-lità educativa e formativa, ma è Dio che lo chiamacon la voce del Suo arcivescovo, alla quale egli gene-rosamente ha sempre risposto: Ecco, vengo.— Nell'ultimo anno di seminario. 1824/25 ha l'in-

carico di educare ed istruire i seminaristi inse-gnando la lingua greca;

— Nell'anno seguente, 1825, ordinato sacerdote, gliviene affidata la responsabilità di vicerettore nelseminario di Monza;

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— Come professore lo ritroviamo nel seminario diS. Pietro di Seveso e poi, ancora, in quello diMonza;

— Nel 1833 viene nominato direttore spirituale delSeminario maggiore di Milano. Un compito dialta responsabilità educativa, perché il direttorespirituale è colui che più direttamente coltival'anima di chi a lui si affida. Lo aveva scelto enominato il Cardinale Gaisruck, il quale dellaformazione dei seminaristi e del clero aveva fattoil programma cardine della sua responsabilitàpastorale. Ed al Biraghi, lo stesso Cardinale affi-derà il compito di redigere il Catechismus ordi-nandorum, pubblicato nel 1837.

Numerosissimi sacerdoti sono stati da Lui formatie, tra questi, molti che possono essere considerativanto del clero ambrosiano di quel periodo e chehanno condiviso il carisma educativo del loro diret-tore spirituale. Ne citiamo alcuni: Mons. GiuseppeMarinoni fondatore e primo superiore del PIME; DonBiagio Ferri fondatore dell'Opera per il riscatto dellemorette; Don Carlo Salerio fondatore dell'Istitutodelle Suore della riparazione; Don Carlo Sammarti-no fondatore di un Istituto per l'educazione di fan-ciulle povere; Padre Luigi Villoresi fondatore di unSeminario per chierici poveri.

Quanta ricchezza di primavera e di risorse edu-cative, frutto del carisma del Biraghi!

Un'immagine significativa, per comprendere lanatura della vita di mons. Biraghi, è quella del chic-

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co di grano evocato da Gesù: «Se il grano di fru-mento non muore non porta frutto, se invece muoreporta molto frutto».

L'educatore è colui che sperimenta continua-mente la morte di sé per dare spazio e vivificare lavita degli altri. L'educatore è discreto, è altruista,dona, ma non pretende, si nasconde e non s'impo-ne.

Anche Mons. Biraghi è stato fedele e coraggiosonel vivere la sua kenosis, lo svuotamento di sé, peralimentare lo sviluppo della vita di coloro che eranoaffidati alla sua premura educativa. E man manoche lo spessore di sé si assottigliava, sino a scompa-rire, questo vuoto veniva riempito dalla feconditàdello Spirito Santo.

Gli alunni nella scuola, i seminaristi ed i sacer-doti formati innanzitutto col suo esempio e poi an-che con la sapiente direzione spirituale, le animeamate e servite con la intensa attività pastorale dellapredicazione e della confessione, gli uomini di cultu-ra illuminati dalla sua dottrina, sono i chicchi digrano della sua spiga nata dal suo sacrifìcio per ser-vire amando.

La congregazione delle suore di s. Marcellina

Un altro atto di nascita! Una data: fine ottobre1837. Un luogo: Santuario della Madonna Addolo-rata a Cernusco sul Naviglio

Un nome: nel cuore del Servo di Dio mons. Bira-ghi viene concepita una Congregazione religiosa

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femminile, dono dello Spirito Santo alla Chiesa edalla società, che poi comparirà nell'anagrafe delleCongregazioni Religiose, col nome di Congregazionedelle Suore di S. Marcellina, il cui carisma volutodal fondatore era l'educazione delle ‘fanciulle’.

Questo evento misterioso così lo racconta lo stes-so Servo di Dio in una sua lettera da Rho, datata 18novembre 1875:

In mirare questa immagine, questa potente Addolorata,ebbi presente all'animo l'immagine Addolorata di S. Mariain Cernusco e quel giorno e quell'ora dell'ottobre 1837,alla fine del mese, quando dinanzi a quella Madonna pre-gai e fui spinto a decidere per la creazione della nostracara Congregazione.

La finalità di questa istituzione la si desume dalprologo della regola delle Suore Orsoline diS.Marcellina del 1853:

II fine pel quale, aiutando Dio benedetto, venneistituita questa pia congregazione, fu di ben educa-re le fanciulle, dalla cui cristiana e civile ricrescitadipende in tanta parte il bene della Chiesa e delloStato. E perocché l'ufficio di educatore è santo, dif-fìcile e tale che richiede molta abilità, esempi edifi-canti, assoluto disinteresse e sacrifìci continui; per-ciò vengono opportune all’uopo le CongregazioniReligiose, dove unita insieme la pietà e la scienza,nella concordia degli sforzi, nel solo interesse delbene, si attende di proposito a sì rilevante Ministe-ro.

158 altri momenti commemorativi

Come abbiamo già osservato, il carisma specificodella sua personalità è essere educatore, perché inquesto modo si partecipa più intimamente all'azionecreativa di Dio, portando a compimento le sue in-tenzioni che vogliono ogni persona umana libera etotalmente realizzata.Alla società travagliata del suo tempo e al travagliodella Chiesa il rimedio più efficace era quello di edu-care.

Si legge nei suoi appunti :

Provavo gran pena di sì grande ed universale guasto dieducazione: e con l'aiuto di Dio pensai come si potesseistituire un corpo di religiose che unisse il metodo e lascienza voluti dai tempi e dalle leggi scolastiche e insiemelo spirito cristiano, le pratiche evangeliche.

Il vero educatore non può elaborare modelli aiquali conformare coloro che accompagna lungo ilcammino del loro sviluppo, ma deve comunicareabilità e metodi, perché ognuno possa prendere co-scienza del tessuto storico in cui è inserito, non persubirlo e ad esso passivamente conformarsi, ma perassumerlo e ricrearlo in una realtà nuova e più ric-ca.

Il servo di Dio non era un sociologo o un operato-re sociale, ma un apostolo capace di produrre segnie mezzi profetici di amore concreto che si verifica nelservizio. Amore e servizio è il codice genetico delFondatore trasmesso a tutte le fìglie della Congrega-zione da lui fondata, la cui identità non può essereriscontrata nella capacità di insegnare, istituire e

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gestire collegi e scuole, anche se con lodevole capa-cità didattica ed educativa, ma nel loro impegno difarsi sante, strumenti abili e docili al servizio del-l'opera di ‘ri-creazione’ del mondo, collaborando conlo Spirito Santo che fa nuove tutte le cose.

Egli, infatti, non fonda una comunità educativa,ma una comunità religiosa che si impegna ad esseresanta ed è la stessa santità che sprigiona profetica-mente l'efficacia educativa.

Per un mio studio sul carisma e 1' attualità delleSuore marcelline, condotto in occasione del 150°anno di vita della Congregazione, richiestomi dal-l'allora Superiora generale, madre M. Paola Alberta-rio, il titolo che si ritenne opportuno dare fu : Santeper educare – le suore marcelline nel progetto educa-tivo di Mons. Biraghi.

Suor Maria Anna Sala, già proclamata beata pertutta la Chiesa, incarna fedelmente lo spirito delFondatore e della Congregazione, che fedelmenteritengono debba essere la stessa santità a farsi edu-cazione.

Citiamo solo qualche frase a conferma di ciò:

E io, per me, vi assicuro che non ho avuta altra intenzio-ne in fondare questa casa e congregar voi, fuorché di pro-curare a tutte il mezzo di santificarsi.

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Le suore Marcelline ieri e oggi, profezia d’amore edi servizio

Sin dalla loro nascita le Suore Marcelline hannofedelmente assimilato lo spirito ed il cuore del loroFondatore, che era, a sua volta, modellato su quellodi Cristo. Hanno amato il loro tempo, come oggiamano il nostro e fedeli ad esso ne scrutano i segni,rilevano i bisogni ed offrono il loro servizio. Esse cioèsi incarnano nel tempo non per restare irretite inesso, ma per liberarlo dalle sue mortificazioni edaprirlo alla speranza.

Nelle loro Costituzioni espressamente viene indi-cato l'ambito delle finalità apostoliche dell'Istituto.Citiamo testualmente:

Le finalità apostoliche dell' Istituto, che la Chiesa ha ap-provato accogliendone il carisma, ci inseriscono nel pianosalvifico che Cristo ha affidato alla Chiesa e ci rendonopartecipi della sua missione. Esse ci impegnano, semprenell'ambito operativo indicato dal Fondatore e in attentafedeltà al carisma, all'identità e allo stile da lui proposti,nei seguenti campi di apostolato:

a) in linea prioritaria, secondo le indicazioni del Fondato-re, la scuola per Ia educazione e per l'istruzione della gio-ventù di ogni età e condizione, anche la più diseredatafìsicamente ed intellettualmente;

b) la catechesi ad ogni livello intellettuale e sociale;

c) le comunità parrocchiali;

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d) i nosocomi ed ogni ambito ove il dolore umano può es-sere confortato dalla presenza operante della cristiana ca-rità;

e) le opere di indole sociale (assistenza, prevenienza,cultura ecc.).

Già questo testo suggerisce alcune considerazio-ni:— le opere delle Suore Marcelline sono nel ed an-

che per il sociale, ma non sono solo opere socia-li, bensì opere di apostolato. Esse si inserisconoarmonicamente e proficuamente nel piano salvi-fico da Cristo affidato alla Chiesa e, per questo,cercano di cogliere i riferimenti specifici di quelpiano alla propria identità.

— la loro identità, infatti, il loro carisma è la ‘san-tità educante’. Da questa fonte germoglia laprofezia della loro opera, che, pur essendo alservizio del mondo, non può mutuare i modellimondani e neppure mimetizzarsi con essi .

Questa scelta comporta fedeltà e, spesso, corag-gio. Non sempre, infatti, i tempi sono tali da apprez-zare e desiderare uno stile cristiano di vita.

Anche il nostro tempo, probabilmente, non è unodei tempi migliori della storia, sotto l'aspetto sociale,culturale e religioso, ma proprio per questo esso ri-chiede più chiari segni profetici.

Le suore Marcelline, ad imitazione del loro Fon-datore, cercano di essere fedeli non solo nel donare,ma soprattutto nel dono per eccellenza che è il dono

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di sé. Così Esse rivelano la natura dell'amore di Dio«che ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlioper esso», ed anche la natura e la dimensione del-l'amore del Figlio, che ha donato la sua vita per lavita del mondo:«Prendete e mangiate, questo è il miocorpo... prendete e bevete questo è il mio sanguesparso per voi».

Esaminando complessivamente la personalità dimons.Biraghi, che poi si è riflessa anche nella suaopera, si può affermare che essa non solo è stataattenta ed ha accolto i segni dei tempi, ma, in diver-si modi, ha anticipato i tempi con una capacità diprevisione straordinaria, senza per questo crearedelle discriminazioni tra passato, presente e futuro,ma raccogliendo sapientemente i valori del passato,inserendoli nel presente e garantendone la feconditàper il futuro.

Questo, per esempio, trova conferma nella fiduciae nella valorizzazione del Biraghi sul potenziale edu-cativo della donna. Lo si può considerare un antici-patore del nostro tempo, nel quale si sta sempre piùsviluppando la consapevolezza e l'importanza dellafunzione della donna, il cui vero potere e primariadignità consistono nell'essere 1' affidataria e la ga-rante della vita e, per questo, dotata del più altopotenziale educativo.

E la donna si educa anche mediante l'arricchi-mento delle sue risorse culturali.

Mons. Biraghi, consegnando alla sua Congrega-zione anche il compito di istruire le ragazze, innovala tradizione del suo tempo, quando ancora all'istru-

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zione accedevano soprattutto i maschi, mentre ladonna veniva relegata tra le mura domestiche pergestire, in modo prevalente, se non addiritturaesclusivo, il governo della casa.

Con l'attenzione dedicata all'educazione, all'istru-zione, alla carità con la cura dei malati, l'integrazio-ne e l'aiuto ai portatori di handicap e con l'assisten-za ai poveri, agli emarginati ed ai soggetti ed allefamiglia povere o, comunque, socialmente deboli, lafigura e l'opera di mons. Biraghi si collocano, vali-damente, in ogni tempo, senza appartenere ad alcuntempo.

Oltre che i suoi scritti, soprattutto le sue opere ri-spondono fedelmente alla lettura che, due secoli do-po, il Concilio Ecumenico Vaticano II ha fatto delmondo, delle sue necessità e delle responsabilità erisorse apostoliche della Chiesa, che può e devemettere a disposizione del mondo attuale.

Vi assicuro che in alcuni fondamentali documentidel Concilio, come le Costituzioni Gaudium et spes,Lumen gentium e la Dichiarazione Gravissimum edu-cationis, si riscontrano dei riferimenti quasi testuali,ma certamente di senso, con le intuizioni e le con-vinzioni espresse dal Biraghi.

La sua personalità e la sua opera sono una con-ferma che quando si radica la propria vita in Dio,questa si libera dalle limitazioni spaziotemporali, edassume un valore di perennità e di universalità, che,poi, trova riscontro nei ritmi specifici della storia.

L'attualità dell'opera, la bontà dello spirito, l'edifi-cazione della vita, la competenza della dottrina e lo

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stile educativo costituiscono un insieme di qualitàgradite a Dio ed agli uomini.

Incarnate sempre nel loro tempo, come il loroFondatore, le Marcelline lo vivono con amore e perquesto generosamente lavorano per trasfigurarlo.

Sin dal loro nascere queste caratteristiche sonostate ad esse riconosciute e, per questo, sono statesempre più apprezzate e richieste, per la fiducia ri-posta nella validità del metodo educativo, nellacompetenza didattica e formativa anche sul pianoreligioso. […]

Concludendo:La profezia d'amore e di servizio, esercitata nel

suo tempo dal servo Dio mons. Luigi Biraghi e, daallora, per quasi duecento anni, sino ai nostri giorni,sempre da lui continuata per mezzo delle sue Figlie,le Suore di S. Marcellina, suscita in noi sentimentidi lode e di ringraziamento, innanzi tutto alla san-tissima Trinità.

Nell'ultima cena, quando Gesù disse:«Fate questoin memoria di me», non si riferiva soltanto alla cele-brazione liturgica della eucaristia, ma soprattuttoalla liturgia della vita ogni giorno celebrata eucari-sticamente: anche la nostra vita, come la sua, of-ferta per la vita del mondo.

Quell'invito di Gesù:«Fate questo in memoria dime», è stato raccolto e fedelmente attuato dal Fon-datore e dalle figlie di tutta la Congregazione delleSuore Marcelline, soggetti squisitamente eucaristici,che ogni giorno celebrano la loro eucaristia profetiz-zando amore e servizio.

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Grazie e lode alla Trinità, per averci donato il Suoservo Mons. Biraghi e la Congregazione da lui Fon-data.

Grazie anche a Mons. Biraghi che da oltre due-cento anni, da quando la sua vita è sbocciata, l'haimpegnata per la vita di tanti fratelli.

Grazie a tutte le Suore Marcelline che non solonella nostra Lecce, ma dovunque esse sono, eserci-tano il dono della profezia dell'amore e del servizio,fedeli al carisma del Fondatore ed all'invito di Gesù,dopo aver lavato i piedi ai discepoli: «Quello che hofatto Io, fatelo anche voi».

Grazie a tutte voi, care Suore Marcelline, che oggisotto la guida della madre generale suor MariangelaAgostoni ed insieme a tutti coloro che con voi colla-borano in questo servizio d'amore , seminate semi disperanza, di sapienza e di gioia, nel cuore e nell'in-telligenza dell'attuale generazione di giovani, che,alla vostra scuola, imparano l'amore per la vita, ma,soprattutto, la vita dell'amore.

Grazie !

Franco Buzzi

Il cardinal Panico e mons. Biraghi:

servi della Chiesa a servizio

dell’educazione e della carità*

Eccellenza, autorità, chiarissimi professori, medi-ci, tecnici e personale tutto dell’Ospedale Card. Gio-vanni Panico, carissimi amici e abitanti di Tricase!

Con grande gioia prendo parte alla vostra festa.Veramente alcuni degli illustri oratori che mi hannopreceduto hanno trattato qualche aspetto del temache mi proponevo di illustrare. Perciò mi vedo co-stretto a riadattare il mio discorso, per comunicaresolo l’essenziale. D’altra parte, però, sono ben lietoche già altri abbiamo parlato dei nostri due uomini,il Biraghi e il Panico, poiché ne hanno detto vera-mente bene!

Ma qualche attaccabrighe, rivolgendosi a me, po-trebbe cominciare a dire: «Ehi tu, che vieni da Mila-no, che cosa c’entri con noi? Che ci fai qui?». Amici efratelli, ve lo dico subito. Il Card. Giovanni Panico,vostro concittadino, certamente lo conoscete megliodi me. Parlerò anche di lui, ma soprattutto tratteròdel Biraghi, il fondatore delle Suore Marcelline.

* Discorso tenuto a Tricase dal dottore dell’Ambrosianamons. Franco Buzzi il 6 luglio 2002.

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Inoltre, visto il clima confidenziale che si è instau-rato, vi rivelerò che due sono i motivi del mio legamecon Mons. Luigi Biraghi. Quando arrivai a Milano,nel lontano 1982, fui benevolmente accolto dalle Re-verende Suore Marcelline, come professore di reli-gione e filosofia, nel loro «Liceo Linguistico Speri-mentale» di Piazza Tommaseo. Quando poi, diecianni dopo, entrai a far parte del «Collegio dei Dotto-ri» della Biblioteca Ambrosiana, venni a sapere che ilBiraghi era stato, nel medesimo Collegio, uno deimiei illustri predecessori.

Basta, vi ho detto ciò che ritenevo necessario perguadagnarmi la vostra benevolenza e spero di averlaottenuta! Ora veniamo al tema.

Il Biraghi (1801-1879) e il Panico (1895-1962) so-no due uomini profondamente diversi, che in vita lo-ro, per evidenti motivi cronologici, non si sononemmeno conosciuti di persona. Eppure – è propriociò che cercherò di mostrare – tra i loro carismi esi-steva una certa convergenza oggettiva: la Provviden-za, nei suoi meravigliosi e imprevedibili disegni, ave-va già predisposto che i loro doni spirituali – con-cessi a due persone diverse, in luoghi e tempi diversi– un giorno si sarebbero incontrati in un’opera buo-na, com’è oggi questo Ospedale.

Due mi sembrano essere i tratti spirituali comu-ni, che, al di là delle differenze di tempi, luoghi ecircostanze, animarono il Biraghi e il Panico nei lororispettivi programmi apostolici: la passione perl’opera educativa e l’amore ardente per il prossimo.Sì, educazione, congiunta a spirito missionario, e

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carità: sono questi i carismi che i nostri due uominiebbero in comune.

Dirò brevemente del Panico, che voi di Tricaseavete giustamente molto caro, per diffondermi poiun po’ di più sul Biraghi, che forse conoscete menobene. È fuori discussione che il Card. Giovanni Pa-nico coltivasse un interesse particolare per l’operaformativa, lui che, in prima persona, ne aveva spe-rimentata l’insostituibile importanza nei suoi anniintensi di studio a Roma. Intrapresa la carriera di-plomatica, che lo avrebbe portato in diverse nazionie continenti del mondo, non smise mai di favorireiniziative che approdassero alla formazione, in par-ticolare del clero. Non a caso si devono al suo inte-ressamento, durante la sua permanenza in Cecoslo-vacchia, le premesse indispensabili per la fondazio-ne della Facoltà teologica dell’Università di Bratisla-va (1934/35). Nel 1936, trovandosi in Australia, do-vette superare dolorose contrarietà per farvi costrui-re alcuni seminari. Inoltre inviò parecchi alunni aRoma perché, frequentando le pontificie universitàromane, vi ricevessero una formazione superiore, atutto beneficio del loro futuro insegnamento in pa-tria. Da Nunzio Apostolico in Perù, a partire dal1948, provvide a farvi restaurare i seminari e si im-pegnò in un lavoro continuo di apostolato vocazio-nale, servendosi anche dell’Obra de San Pablo, perottenere al Perù sacerdoti provenienti da altre na-zioni.

Per quanto riguarda il suo impegno nelle opere dicarità, non occorrono molte parole. Basterebbe sol-

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tanto fare un accenno alla sua cordiale vicinanza,dovunque si trovasse, agli emigrati, ai prigionieri, aisoldati e alle loro famiglie, oppure ricordare quantosi diede da fare nel 1959 per i Portoghesi, quandoGoa fu occupata dagli Indiani. Certo, però, il coro-namento del suo animo apostolico e caritatevole èrappresentato dal suo ultimo progetto: creare unascuola di formazione e un ospedale per voi, per lasua amata gente di Tricase. Fu allora che egli si im-batté, per volontà divina, nelle Suore Marcelline.Grazie alla mediazione provvidenziale della MadreGenerale Elisa Zanchi – che stasera partecipa lieta-mente con noi a questo solenne momento celebrati-vo –, il desiderio del Cardinale divenne una realtà e isuoi carismi, congiunti a quelli del Biraghi, portaro-no i frutti che oggi stanno sotto gli occhi di tutti. Inogni caso, anche da quel poco che ho detto, spero sipossa intuire bene come il Panico abbia svolto lasua attività diplomatica con l’animo di un missiona-rio.

Ed ora qualche tratto della personalità edell’opera di Mons. Luigi Biraghi. La sua vita apo-stolica non è difficile da raccontare. In essa si indi-viduano due grandi periodi, il primo trascorso inseminario (1825-1855), il secondo presso la Biblio-teca Ambrosiana (1855-1879). In ambedue le epo-che, Biraghi rimase fedele ai doni di Dio e ai compitiche questi doni portavano con sé.

Nell’ambito del carisma educativo, egli sviluppòsoprattutto due attenzioni tematiche: si preoccupòdella formazione del prete e dell’educazione della

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donna. In realtà egli aveva avvertito che erano que-sti i due pilastri su cui si reggeva la società cristianadel suo tempo, travagliata com’era da dissidi politici,bisogni sociali e guasti ideologici. Perciò, se si volevaconservarla, anzi riplasmarla e volgerla al meglio insenso cristiano, era necessario insistere sulla for-mazione di chi a sua volta sarebbe diventato edu-catore/educatrice di altre persone, in seno allaChiesa e alla famiglia.

Il Biraghi assolse con grande senso di responsa-bilità il compito che gli fu affidato di dirigere spiri-tualmente i chierici teologi per portarli finoall’ordinazione sacerdotale. Molti degli alunni, anchedopo essere stati ordinati preti, continuavano a ri-volgersi a lui per la propria vita spirituale: ciò signi-ficò un lavoro immane per il Biraghi, che in ogni ca-so, di sua iniziativa, non allontanò mai nessuno, némai volle sottrarsi alla fatica dell’ascolto, del collo-quio e del consiglio.

La sua proposta a coloro che si preparavano perdiventare preti a servizio della diocesi di Milano eraspiritualmente molto alta e precisa. Chiedeva loro,usando le parole di san Tommaso d’Aquino, nonuna bonitas qualiscumque, non una «bontà qualsia-si», ma una bonitas excellens, una «bontà eccellen-te», straordinaria, eccezionale. Inoltre impostava conloro un cammino ascetico, attraverso il quale i can-didati imparavano a vincere i propri istinti e difetti,per praticare le virtù umane e cristiane.

Il Biraghi era convinto, come del resto ogni buoneducatore, che la repressione produce solo danni,

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mentre la forza luminosa della motivazione, cheaiuta a incanalare e a sublimare le energie vitali,crea soggetti consapevoli, caratteri forti, uomini li-beri. L’esercizio ascetico non era fine a se stesso, maera la premessa indispensabile per un’intensa vitadi contemplazione. Libero dall’attaccamento alle co-se e a se stesso, il candidato imparava poco allavolta a vivere soltanto per Dio (soli Deo vacare) e ainteressarsi delle cose di Dio. Può praticare questavia solo chi entra in una comunione sempre più in-tima con il Figlio di Dio, il Signore Gesù Cristo. In-fatti il prete, secondo il Biraghi, deve essere un in-namorato di Gesù Cristo, deve provare per lui unamore del tutto speciale, proprio come Cristo stessoha chiesto a Pietro per ben tre volte consecutive:«Simone di Giovanni, mi ami?». Da tale esercizioascetico, nutrito di amore per Cristo, sgorga anchel’amore per i fratelli, a servizio dei quali il prete con-sacra la propria vita nelle opere di carità.

Questo, grosso modo, è l’ideale del prete che egliinsegnava: anzitutto cercava di viverlo in prima per-sona e, poi, orientava ad esso i suoi seminaristi. C’èperò da aggiungere un’altra caratteristica impor-tante: egli formava sacerdoti con un’anima missio-naria. Si potrebbe dire che l’animo missionario lospinse più volte ad iniziative che, se avessero avutolibero corso, sarebbero sfociate in un considerevolenumero di opere concrete di esplicita formazionemissionaria per il clero. Un primo tentativo in que-sto senso egli lo fece ai tempi dell’arcivescovoGaisruck – sì, perché a Milano abbiamo avuto anche

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un arcivescovo austriaco! Carlo Gaetano Gaisruckfu un pastore buono e zelante per il suo popolo diMilano. A lui il Biraghi aveva confidato l’idea di volercreare un centro di formazione per sacerdoti che sisarebbero impegnati nelle missioni cittadine, cioèper cicli di speciale predicazione in città, senza poiprecludere la possibilità di aprirsi a vere e propriemissioni extradiocesane, nel mondo intero.

Gaisruck lo dissuase, perchè, vescovo dallo spi-rito molto concreto, temeva di “perdere” – si fa perdire – vocazioni sacerdotali per la sua diocesi, met-tendole a disposizione del mondo intero. Il Biraghiobbedì, come sempre. Ma l’idea delle missioni nongli uscì di testa.

Le cose andarono poi effettivamente meglio aitempi dell’arcivescovo Romilli, quando si trattò, an-che per esaudire un desiderio di papa Pio IX, di darevita a un seminario lombardo per le missioni estere.Nel contesto dei padri missionari di Rho, nei pressidi Milano, nacque l’idea primigenia di quell’istitutoche sarebbe diventato il PIME (Pontificio Istituto perle Missioni Estere). Il primo rettore del PIME, anchese per poco tempo, fu Angelo Ramazzotti, di cui èpure stata introdotta la causa di beatificazione. Trail Biraghi e il Ramazzotti intercorsero molti discorsispirituali in preparazione di quest’opera. Eranoamici, quasi coetanei, e condividevano fino in fondol’ideale missionario: il Biraghi si sarebbe anche of-ferto come padre spirituale per il nuovo istituto.

Certo, anche questo Ramazzotti doveva essere unbel tipo! Era nato a Milano nel 1800 da buona fami-

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glia. Dopo essersi laureato in giurisprudenza a Pa-via, aveva esercitato l’avvocatura per due anni nellasua città natale. Poi decise di farsi prete diocesano enel 1830 si aggregò ai padri missionari di Rho, vo-lendo dedicarsi all’evangelizzazione delle popolazionidi campagna.

Ma le relazioni tra il Biraghi e il PIME non siesauriscono con il Ramazzotti, che fu eletto vescovodi Pavia nel 1850. Il secondo grande rettore del PI-ME fu Giuseppe Marinoni, anima travagliatissima,in un crescente desiderio di perfezione! Seguire levicende spirituali del Marinoni (1810-1891) significaanche farsi un’idea concreta dell’abilità di un padrespirituale quale fu il Biraghi. Infatti il Marinoni, trail 1831 e il 1834, ebbe don Luigi Biraghi come di-rettore spirituale nel seminario teologico di Milano.Il buon don Giuseppe Marinoni, dopo essere statoordinato sacerdote, trascorse un anno come profes-sore di lettere in seminario, al termine del quale de-cise di entrare nella Compagnia di Gesù, per deside-rio di vita apostolica. Tuttavia, dopo circa un annouscì dal noviziato dei Gesuiti sentendosi chiamato auna vita di maggior solitudine e nascondimento.Chiese perciò di entrare tra i Certosini, ma fu rifiu-tato. Allora si aggregò all’opera di don Pallotti, con ildesiderio di dedicarsi al più presto all’opera missio-naria che il Pallotti aveva in animo di fondare. Ri-tardando questa fondazione, passò alla curad’anime a S. Michele della Ripa, dove fu parroco dal1844, finché divenne rettore del PIME nel 1850,sempre seguito spiritualmente dal Biraghi.

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Mi sono soffermato sulle vicende un po’ contortedi questa vocazione, perché dal loro insieme traspa-re che cosa significhi guidare, educare e formareuna persona. Non si tratta semplicemente di comu-nicare qualche idea astratta, anche se buona, ma dicondividere la vicenda spirituale di un’anima: è unaccompagnamento rispettoso, paziente e affettuoso,che esclude ogni invadenza nel rapporto esclusivoche si instaura tra un’anima chiamata e Colui chela chiama. Se Dio non sopporta di essere anticipatonelle sue manifestazioni, l’anima chiamata ha tuttoil diritto di esercitare la sua libertà. Il direttore spi-rituale è perciò un servo di Dio e dei fratelli. Per-tanto deve guardarsi bene dall’esercitare qualsiasiforma di violenza o anche solo di plagio sottile. Lapassione educativa del Biraghi, nell’esercizio dellasua specifica responsabilità di guida spirituale, loportò a moltiplicare gli atti di pazienza, di incorag-giamento, di attenzione discreta, di condivisione e diamore alle persone che la Provvidenza di volta involta gli affidò.

Dirò ora, il più sinteticamente possibile, dell’altrosettore educativo, nel quale il Biraghi impegnò lesue energie, senza badare a risparmiarsi:l’educazione e la formazione della donna. Certol’ideale di donna del Biraghi era in larga misuraquello per lo più condiviso dalla società del suotempo. Anch’egli, come la stragrande maggioranzadella gente di allora, pensava alla donna fonda-mentalmente come sposa e madre di famiglia,amante della casa. Tuttavia il Biraghi aveva già per-

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cepito nell’aria il sentore di parecchie novità, allequali sarebbe stato inutile opporsi: bisognava piut-tosto farsi interpreti della nuova sensibilità culturalee intervenire in modo opportuno per orientare cri-stianamente le tendenze più aggiornate. Mi riferiscoin particolare al fatto che da più parti la societàchiedeva una donna colta e ben preparata anche invista di un certo inserimento nella vita sociale. Daqui la sua idea di fondare la congregazione religiosadelle educatrici Marcelline. Coadiuvato da MarinaVidemari, che sarebbe diventata la prima MadreGenerale dell’ordine, egli pensò di fondare non giàun ordine monastico, con regole di stretta clausurae un impegno esclusivo per la vita contemplativa,ma appunto una congregazione religiosa di vergini,che si dedicassero seriamente alla preghiera, ma altempo stesso sentissero, come loro missione princi-pale, il compito di formare cristianamente la gio-ventù femminile.

A questo scopo le suore non dovevano improvvi-sarsi educatrici, ma prepararsi accuratamente aquesta missione, ottenendo anzitutto i titoli di stu-dio necessari perché le loro scuole e i loro istitutipotessero avere immediato riconoscimento dall’isti-tuzione scolastica statale e potessero, a loro volta,concedere diplomi riconosciuti dallo Stato. La storiarecente – dalla rivoluzione francese in poi – era fo-riera di dolori e di tristi sorprese legate alla facilesoppressione, da parte dello Stato, di interi ordinireligiosi, con la concomitante confisca delle loroopere e dei loro beni. Il Biraghi volle predisporre be-

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ne tutte le cose, affinché le iniziative di educazionescolastica condotte dalle sue suore avessero un fu-turo meno incerto di quanto non fosse accaduto inpassato. E così fu.

La fortuna incontrata nel mondo dagli istitutidelle Marcelline fu dovuta anche a un fatto culturalemolto importante: la loro mentalità aperta, propriocome voleva il loro fondatore, che suggeriva loro in-sistentemente di guardare al mondo, certo, con pru-denza, ma anche senza prevenzioni e con la capacitàdi servirsi di tutti i mezzi leciti e i convenienti meto-di moderni, messi a disposizione dalle scoperte e daiprogressi della scienza e della tecnica, per annun-ciare il vangelo attraverso la scuola.

Già l’insegnamento, preso sul serio, è un sublimeatto di carità.

Tuttavia il Biraghi non precluse affatto altre pos-sibilità di apostolato alle sue suore, soprattutto nelcampo socio-assistenziale. Non furono soltantobuone intenzioni. Di fatto, quando il Fondatore eraancora in vita, si presentarono due necessità con-crete, nelle quali l’intervento delle Marcelline si ri-velò quanto mai prezioso. Durante l’epidemia del1855 alcune di esse assistettero i colerosinell’ospedale di Vimercate. Un’altra attività di tipoospedaliero venne svolta da loro in occasione dellaseconda guerra d’indipendenza nel 1859, quando,richieste dall’autorità civile, si prestarono perl’assistenza dei malati e dei feriti nell’ospedale mili-tare di S. Luca.

178 altri momenti commemorativi

Le Marcelline educatrici, seguendo il pensiero e lospirito del loro fondatore, furono sempre libere daformalismi ed esclusivismi. Basterebbe pensare, og-gi, alle molteplici attività da loro condotte in molteparti del mondo. Su questo punto, però, non inten-do soffermarmi, perché le Marcelline le conoscetebene anche voi, e sapete per esperienza diretta diquante iniziative caritativo-educative sono capaci,non ultima quella di Sr. Daniela Silvestrini, oggi inAlbania. Ma se facessimo passare le più di venti ca-se aperte da Madre Elisa Zanchi negli ultimi cin-quant’anni, potremmo scoprire sviluppi insospettatidi questo stesso carisma della carità ricevuto dalfondatore.

Ecco, ho finito! Mi sembra di avere mantenuto ciòche avevo promesso. I doni spirituali dei nostri duegrandi uomini presentavano qualche affinità e con-vergenza oggettiva nel comune interesse perl’educazione, la carità e la missione cristiana. Man-cava un “anello di congiunzione”, perché potesseroincontrarsi e intrecciarsi. Tale anello prezioso è rap-presentato dalle Suore Marcelline, che con la loroopera appassionata hanno permesso ai carismi delBiraghi e del Panico non solo di incontrarsi, ma dimoltiplicarsi in una fioritura di opere buone che nonsi è ancora esaurita. Cari amici di Tricase, vogliatebene alle vostre Suore Marcelline che vi amano! Inloro e attraverso di loro il vostro amato Cardinaleprolunga, in mezzo a voi, la sua premurosa e cor-diale presenza.

Massimo Marcocchi

L’edizione critica

delle lettere di L. Biraghi*

Esprimo la mia gioia di essere con voi e ringraziola Madre Generale per le parole amabili che mi harivolto.

Le Suore Marcelline hanno ritenuto che il migliormodo di ricordare il loro Fondatore, nel secondocentenario della nascita, fosse quello di apprestarel'edizione integrale delle lettere che egli indirizzò allesue figlie spirituali. Finora, infatti, esistevano soloraccolte parziali, spesso edite con amputazioni.

Ricordo il colloquio che l'anno scorso ebbi in que-sta sede, con la Vicaria Generale, Sr. M. Paola Al-bertario e Sr. Giuseppina Parma. Insieme ci ri-unimmo per studiare i modi di celebrare l'anniver-sario della nascita del Fondatore. Preoccupati che lecelebrazioni non diventassero un'operazione retori-ca, come talvolta accade alle celebrazioni che, inquanto tali, nascono e si esauriscono nell’ espace

* Presentazione del libro: L. BIRAGHI, Lettere alle sue figlie

spirituali, vol. I: 1837-1842, a cura di G. Parma, introduzione diM. Marcocchi, Brescia, Queriniana, 2002, pp. 383. Questapresentazione fu tenuta presso la Casa Generalizia di piazzaCardinal Ferrari il 3 novembre 2002 dallo stesso prof. MassimoMarcocchi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

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d'un matin, e dopo aver riflettuto su varie prospetti-ve, concludemmo che la pubblicazione dei testi delFondatore in un'edizione critica era un modo, nonl'unico, ma importante, di uscire dalle secche delleparole che talvolta aduggiano le celebrazioni. Cosìnacque l'idea di dar corso a questa iniziativa.

Le ragioni che hanno indotto le Suore Marcellinea promuovere l'edizione delle lettere del Biraghi sonomolteplici:— innanzi tutto l'esigenza di verificare la fedeltà al-

l'intuizione originaria del Fondatore;

— poi, di conservare le proprie memorie storiche, leproprie radici – senza radici si muore–;

— inoltre di chiarire l'autenticità del proprio servi-zio alla Chiesa e alla società;

— infine di rinverdire la propria immagine in vistadi nuove vocazioni. Rinverdire è un vocabolo im-portante. Ciascun Ordine o Congregazione haincombente l'impegno di ‘rinverdire’ le proprieradici.

C'era poi l’indicazione autorevole del Concilio Va-ticano II che raccomanda ai religiosi il continuo ri-torno alle fonti e all’ispirazione primigenia degliIstituti. Il lavoro postconciliare di aggiornamentodelle Regole e Costituzioni nasceva dunque da undettato conciliare. Paolo VI, nell'esortazione aposto-lica Evangelica Testificatio del '71, parla espressa-mente di carisma dei fondatori.

le lettere 181

Dunque, coltivare la memoria storica con amore erigore scientifico; non mi spavento ad usare questaespressione, ‘rigore scientifico’, che mi permetto dichiarire in seguito, perché la parola fa un po' dipaura. Che cosa mai vorrà dire “rigore scientifico”?

Le Regole e le Costituzioni di un Ordine o di unaCongregazione sono importanti. Abbiamo tutti pre-senti le Regole del Biraghi del 1853, ma queste nonsono sufficienti ai fini della ricerca storica; esse so-no necessarie, ma non sufficienti. Occorre integrarlecon lettere, diari, memorie che rivelano la vita inte-riore dei fondatori e delle fondatrici, perché nellalettera l'uomo o la donna si aprono senza remore oparatie. Il genere epistolare è interessante per que-sto. Qualcuno scrive lettere, perché siano traman-date ai posteri, ma di solito nelle lettere una personasi esprime con naturalezza, si scioglie senza inibi-zioni. Da qui l'importanza delle lettere per conoscerela vita interiore di un uomo o di una donna.

L'edizione delle lettere è stata curata da SuorGiuseppina Parma e, uscito il primo volume, neusciranno altri due, poiché l'edizione dell'epistolarioè prevista in tre volumi. Suor Giuseppina ha tra-scritto le lettere, ma, avendo già curato la Positio, leha arricchite di molte note informative ed esplicativesu personaggi e situazioni. Solo chi ha provato a fa-re le note di un epistolario o di qualunque altro te-sto, sa che l'impresa richiede pazienza. Il lavoro diSuor Giuseppina Parma è stato paziente e strenuo,fatto con intelletto d'amore. Suor Giuseppina ormai

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ha sposato la causa del Fondatore e in questa causasi è immedesimata.

Un’edizione ben fatta facilita il lavoro di traduzio-ne nelle varie lingue. Finalmente le Suore Marcelli-ne hanno le lettere del loro Fondatore in una edizio-ne degna della loro tradizione. Un Ordine comequello delle Marcelline, diffuso su scala internazio-nale, che ha alle spalle una tradizione umanistica,vale a dire un Ordine che ama la cultura, perché hadelle scuole e dei collegi, è inconcepibile che nonpensi ad avere un'edizione degli scritti del Fondatorefatta come si deve.

Un'edizione ben fatta rimane per decenni, non di-co per sempre, perché nel campo degli studi l'avver-bio ‘sempre’ non ha buon corso. Gli studi sono uncontinuo rivedere i risultati. Certamente posso dire,però, che l'edizione ben fatta di un testo dura de-cenni, mentre i saggi hanno vita più breve. È unaconsiderazione da tenere presente. Si è fatto un la-voro che durerà a lungo.

Nel preparare l’edizione si è tenuto presente unduplice criterio, di cui si è discusso più di una voltacon Sr. Giuseppina, con la Madre Generale, conSuor M. Paola:— Da una parte fare un’operazione che fosse im-

peccabile sul piano scientifico, quindi trascrizio-ne esatta dei testi, per tramandare l’autenticopensiero del Fondatore, e cura delle note. Uncarteggio senza note è un carteggio monco; biso-gna che io sappia quali sono gli avvenimenti sto-rici e conosca i personaggi ricorrenti nel carteg-

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gio. Dunque, un lavoro fatto con precisione eacribia.

— D’altra parte la preoccupazione di compiereun’opera di alta divulgazione anche in rapportoai destinatari del carteggio che sono in primis lesuore. In primis, non solo, le suore; poi, gli stu-diosi e tutti quelli che si interessano di storia re-ligiosa dell’Ottocento. Occorre allargare gli oriz-zonti, far conoscere le Marcelline anche fuoridalle mura delle loro case. Da qui quegli accor-gimenti che il carteggio presenta: non solo lenote a piè di pagina, ma anche, all’inizio di ognianno, un résumé, che sintetizza i principali pro-blemi presenti nelle lettere dell’anno e che di-venta la chiave di lettura del carteggio ; e poi unprofilo sia della Videmari che del Biraghi, inmodo che chi accosta il carteggio sappia chi è ilBiraghi e chi è la Videmari.

Un fatto molto significativo della ricerca storica inquesti ultimi decenni è questo: sulle congregazionireligiose sia maschili che femminili, fiorite nell'Otto-cento e nel Novecento, si è sviluppata una vivaceproduzione, che si è avvalsa delle tecniche raffinatedell'indagine storica. A questo movimento hannodato un contributo significativo studiosi laici ed ec-clesiastici, operanti nelle università e ricercatori divario tipo. Questo è un fenomeno importante, per-ché la letteratura sulle Congregazioni religiose otto-centesche e novecentesche era spesso lasciata

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all’apologetica, alla agiografia, all’esaltazione, conbuone dosi di ingenuità.

Il fatto che a lavorare sulle Congregazioni sia in-tervenuta la ricerca universitaria è importante, per-ché ha consentito di conoscere meglio le Congrega-zioni. L’Università Cattolica in questo senso ha ope-rato molto attraverso i suoi professori; mi metto an-ch'io nel novero dei ricercatori che hanno operatoaffinché le Congregazioni venissero conosciute me-glio.

In questo senso il metodo ‘scientifico’ è fonda-mentale per conoscere meglio la intuizione origina-ria da cui la Congregazione ha tratto origine e che ilConcilio avverte di studiare. Questo è importante:non lasciare sole le Congregazioni. Diamo una ma-no! Noi facciamo il mestiere dello storico, possiamoaiutare con il nostro metodo di lavoro.

Le Congregazioni ottocentesche – l'Ottocento è ilsecolo del Biraghi – sono sorte per una serie di pro-vocazioni. Quali? Qui si contestualizza l’opera delBiraghi e la fondazione delle Marcelline nel 1838.La coscienza cristiana fu scossa dal diffondersi deiprincìpi del razionalismo illuministico, che insidia-vano la fede, favorivano l’incredulità, riducevanol'influenza della chiesa. La rivoluzione francese furitenuta una grandiosa operazione demoniaca cheaveva scompaginato la chiesa, cosicché apparve ne-cessità inderogabile riconquistare le posizioni per-dute e ricostruire il tessuto cristiano della società.

La coscienza cristiana fu parimenti scossa daldilagare della miseria, provocata sia dalle calamità

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(guerre, epidemie di colera, carestie, malattie cau-sate dalla insufficiente alimentazione), sia dagli spo-stamenti di popolazione dalla campagna alle cittàdove si sviluppano i primi processi di industrializza-zione.

La coscienza cristiana è scossa e inventa antidoti,mossa da una imperiosa esigenza di carità, che vuoldire assistenza (per esempio ospedaliera), ma ancheeducazione, nella consapevolezza che una formaeminente della carità è appunto l'educazione. PapaMontini usava l’espressione «carità intellettuale» maprima di lui l'aveva usata Rosmini. C'è una caritàmateriale, c'è una carità spirituale, c'è una caritàintellettuale. «Istruire ed educare», queste due pa-role piacevano molto al Biraghi.

I nuovi istituti religiosi non intesero modificarel’ordine sociale esistente, né avvertirono l’urgenza diinterventi sui meccanismi che provocavano la po-vertà. Si limitarono a riparare i guasti, a lenire lesofferenze e a preparare il futuro.

Il quadro è molto ricco; qualche flash l’ho datonella mia introduzione al primo volume delle Lettere,proprio per collocare l’iniziativa del Biraghi nel con-testo storico.

Ci sono le Figlie della Carità, che si rivolgono allefanciulle povere o pericolanti (Maddalena di Canos-sa, 1808, Verona). Poi, quando Maddalena di Ca-nossa viene a Milano nel 1816, le Figlie della Caritàoperano per la formazione professionale della don-na, affiancando alle scuole d’istruzione primaria(scuole di carità) scuole di lavoro, in cui le adole-

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scenti e le giovani imparavano il ricamo e il cucito,con una specializzazione che garantiva l’impiegodelle donne nel settore tessile dell’abbigliamento edegli articoli di lusso, che occupavano un posto im-portante nella struttura produttiva milanese dellaprima metà dell’Ottocento.

Le Suore di Carità della Gerosa e della Capitaniosi dedicano all’educazione delle fanciulle povere esenza genitori, «affinché esse siano allevate edistruite in qualche mestiere, con cui onestamenteprocurarsi il vitto», al servizio ospedaliero,all’accoglienza degli emarginati e degli handicappati,all’assistenza domiciliare dei malati, alla conduzionedi case di riposo per anziani.

Nel 1897 le Canossiane avevano a Milano 7 co-munità; le Suore della Capitanio 14, concentratesoprattutto nel centro.

L’Opera di Santa Dorotea, fondata dal sacerdotebergamasco Luca Passi nel 1815, non si prefisse fi-nalità d’istruzione e di formazione professionale, madi formazione cristiana delle fanciulle del popolomediante una relazione personale fatta di amiciziache il Passi, sulla scorta del capitolo 18 di Matteo,chiama «correzione fraterna».

Nella Torino dei primi decenni dell’Ottocento, unanobildonna, Giulia di Barolo, insieme al marito, sidedicò al riscatto delle prostitute e alla assistenzadelle carcerate. Giulia di Barolo proveniva da unafamiglia nobile ed era stata colpita dalle nequiziedella rivoluzione francese. È interessante notare chele nobili si chinino sui poveri. Anche Maddalena di

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Canossa era nobile. La nobiltà, quasi per una formadi riscatto, si dà all’educazione delle fanciulle e deifanciulli poveri.

Fisionomia diversa hanno le congregazioni fem-minili influenzate dai Gesuiti: pensiamo alla Naudete a Eustochio Verzeri, fondatrice delle Figlie del Sa-cro Cuore, che sulla linea della Compagnia di Gesùsi dedicarono all’istruzione e all’educazione dellefanciulle nobili.

Le congregazioni influenzate dalla Compagnia diGesù, oltre al convitto interno per le fanciulle nobili,aprirono scuole esterne gratuite per le fanciulle delpopolo. Alle fanciulle esterne si insegnavano la dot-trina cristiana, i lavori femminili, e gli studi di base(leggere, scrivere, e fare di conto); mentre alle con-vittrici si insegnavano la dottrina cristiana, lagrammatica, la storia, la geografia, l’aritmetica, lelingue straniere, il disegno, la calligrafia.

La struttura bipartita rispondeva all’esigenza siadi non mescolare le classi sociali, neppure sui ban-chi di scuola, sia di insegnare cose diverse in rap-porto al ceto di provenienza, cosicché ogni fanciullapotesse essere formata ai doveri del proprio stato,sia di affermare il principio che gli ordini superioriguidano gli ordini inferiori.

Se le congregazioni influenzate dai Gesuiti sipreoccupavano dell'educazione delle fanciulle nobili,le Orsoline di S. Carlo, rinate nel 1824, e le Marcel-line, fondate a Milano nel 1838 dal Biraghi con lacollaborazione della Videmari, si concentrano sullefanciulle di media condizione, appartenenti a quel

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ceto borghese, intermedio tra la nobiltà e il popolo(proprietari terrieri, artigiani, commercianti, ban-chieri, medici, notai, architetti, artisti), che per lasua intraprendenza era in forte ascesa nella Milanodella prima metà dell’Ottocento, ma che si caratte-rizzava per il materialismo pratico.

Biraghi capisce che nella società fermentano cosenuove. Sarebbe interessante condurre una ricercasugli elenchi delle fanciulle educate nelle case delleMarcelline e studiare la loro estrazione sociale, perdare concretezza al concetto di classe borghese.

Le soppressioni giuseppine e napoleoniche degliOrdini religiosi avevano quasi del tutto eliminata lapresenza della Chiesa dal campo dell' educazione edell' istruzione (le soppressioni del 1810 di cui parlail Biraghi). Iniziò la faticosa ricostituzione degli Or-dini dopo il Congresso di Vienna nell'età della Re-staurazione (la stessa Compagnia di Gesù, che erastata soppressa nel 1773, viene ricostituita nel1814). Quindi il terreno è lasciato sguarnito dagliordini soppressi e le opere educative cessano perchéviene meno il personale insegnante. È interessantela seguente dichiarazione che voi senza dubbio co-noscete:

Le suore Marcelline – scrive il Biraghi – sorsero nella dio-cesi e città di Milano quando non ancora v'erano istitutireligiosi per l'educazione della gioventù e tutta l'educa-zione era in mano di madame e maestre secolari le qualicolle apparenze de' metodi moderni e delle modernescienze, davano insegnamento vanitoso e superficiale.

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Dopo la soppressione generale dei corpi religiosi, avve-nuta nel 1810, le madame secolari si impossessarono ditutta l'educazione delle fanciulle di condizione civile dellacittà di Milano. Questa educazione era, per lo più, frivolae attenta alle sole apparenze e vanitosa. Con la solennitàdi pubblici favori, colle lusinghe di attestati onorevoli ri-lasciati alle scolare, coll'aria di aver quell'ampia scienzache negavano alle antiche monache, venivano ingannan-do i genitori e guastando la generazione intera. Essendoio in Milano provavo gran pena di questo sì grave e uni-versale guasto della educazione: e coll'aiuto di Dio pensaicome si potesse istituire un corpo religioso che unisse ilmetodo e la scienza voluta dai tempi e dalle leggi scolasti-che, e insieme lo spirito cristiano, le pratiche evangeliche.

Da questa dichiarazione del Biraghi si evinconoalcuni punti fondamentali. Primo: il Biraghi studiala situazione, ne vede i limiti e cerca rimedio. Rilevache l’educazione è affidata ad un personale scaden-te, sia sul piano della cultura, sia sul piano dellaformazione religiosa e dà vita ad una congregazioneche unisca il metodo della scienza allo spirito cri-stiano. Biraghi vuole istruzione ed educazione serie(le due parole ricorrono sempre nel Biraghi: «istru-zione ed educazione»).

Sappiamo che caratteristica dei collegi delle Mar-celline era la convivenza di educatrici ed alunne, epiù stretti rapporti con le famiglie. Il Biraghi permiseinfatti che le educande potessero trascorrere pressole famiglie le vacanze estive, ricevere le visite dei ge-nitori, uscire ogni settimana per il passeggio, visita-

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re i malati all’ospedale. Le fanciulle della borghesia,che erano spesso schifiltose e viziate, potevano trar-re dall’incontro con la sofferenza stimoli di riflessio-ne e di edificazione. Lo stile di vita degli educandatidelle Marcelline si differenziava dallo stile di vita de-gli educandati dei monasteri femminili, nei quali leeducande condividevano la clausura delle monache.Le educande delle Marcelline, mantenendo il con-tatto con la società durante gli anni della formazio-ne, si preparavano meglio alla vita.

Per mantenere il suo Istituto informato alle esi-genze dei tempi e per favorire la preparazione intel-lettuale delle suore, Marina Videmari decise di farlaureare alcune suore, inserendosi in tal modo nelmovimento che operava per l’accesso delle donne inuniversità.

Conviene rilevare che la Milano dell’Ottocento siingrandiva, crescendo di abitanti, e acquistava la fi-sionomia di una grande città industriale. Le Congre-gazioni femminili seppero inserirsi con spirito di de-dizione ed intelligenza nel settore dell’assistenza edell’istruzione, svolgendo una funzione suppletiva ocomplementare o integrativa a quella delle istituzio-ni pubbliche. Proprio nell’Italia settentrionalequest’esperienza si sviluppa con singolare intensità.

Le lettere del Biraghi proiettano una luce moltoviva sui suoi orientamenti spirituali e sull’idea difondare un istituto religioso dedito alla istruzione eall’educazione delle giovani. Non mancano accennianche al contesto civile ed ecclesiastico nel quale Bi-raghi esplicò la sua attività. Numerosi sono i riferi-

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menti alla Chiesa milanese, per lo più relativi a que-stioni locali : Cernusco e Vimercate, dove sorgono icollegi, sono i centri sui quali gravitano le numeroseparrocchie della Brianza e della Bassa milanese,rette da preti coetanei del Biraghi, coadiuvati da sa-cerdoti in larga misura suoi figli spirituali. Nellenote, accuratamente redatte da Sr. Giuseppina, sidanno notizie su questi personaggi. Delle vicendepolitiche di quegli anni, scarsi accenni appaiononelle lettere del Biraghi, ma vi si avverte costante ilrispetto per le autorità costituite e per l’osservanzadelle leggi, soprattutto scolastiche, in vista della ap-provazione dei collegi da lui fondati. È soprattutto,come si è detto, sulla vita interna dell’Istituto e sugliorientamenti spirituali del Biraghi che le lettere of-frono doviziosa documentazione.

Sulla spiritualità del Biraghi dovrei richiamarviquanto ho detto nell’introduzione al primo volumedelle lettere. Mi limiterò ad alcuni cenni. L’indirizzospirituale del Biraghi è sostanziato di concreta, gra-duale, paziente conquista dell’umiltà, dell’abne-gazione interiore, della povertà di spirito. La ricercadella ‘singolarità’ è duramente stigmatizzata. ‘Sin-golarità’ è brama di privilegi, di favori, di distinzioninel vitto, nel vestito, nella vita comunitaria. ‘Singo-larità’ è anche inclinazione alla eccentricità spiri-tuale, che si compiace di penitenze straordinarie edi esercizi appariscenti di pietà, è predilezione pergli atteggiamenti inusuali, è narcisismo spirituale,che può sconfinare nella stravaganza, è «formarsiidee bizzarre di una perfezione maggiore e di regole

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più sante» (Biraghi). La singolarità è prodottadall’orgoglio e pertanto è una peste spirituale chelede l’armonia comunitaria, inquina i rapporti, gene-ra la disunione.

Alla singolarità, il Biraghi contrappone la sempli-cità e l’umiltà. Semplicità significa ripudio degli at-teggiamenti complicati e dei rovelli interiori, fugadegli orpelli, gusto dell’essenzialità, trasparenza in-teriore, spontaneità, capacità di ricondurre le cose aun centro vitale. Il Biraghi ricorre anche alle parole‘ingenuità’, ‘uniformità’, ‘disinvoltura’, ‘eguaglianza’.Invocando l’esempio del «gran maestro Gesù» chemenò una vita piana, comune, alla buona, e senzaalcuna ‘singolarità’, il Biraghi esorta all’eserciziodelle virtù più ordinarie, come «l’obbedienza, il silen-zio, la carità con le sorelle, l’amore di essere disprez-zata e contata niente, l’avere il cuore distaccato daogni cosa, pronta a morire ogni giorno».

Idea dominante è l’imitazione di Cristo. Gesù è ilgrande Maestro, il modello, l’esempio che bisognaimitare. L’imitazione non è tuttavia una riproduzio-ne passiva, esteriore, pedantesca di un modello (ilBiraghi dice no all’imitazione pedantesca ed esternadi un modello, di un modello che è talmente alto chese noi lo imitiamo in modo pedantesco, rischiamo lacaricatura), ma la realizzazione delle virtù che Cristofece singolarmente risplendere nella vita pubblica esulla croce: l’umiltà, la povertà, l’obbedienza, la ca-stità, la semplicità, la mansuetudine, la pazienza,l’amorevolezza, l’innocenza, la carità. Soprattutto lacarità, perché la croce non è solo un modello di spo-

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gliazione e di abnegazione, ma è anche e soprattuttola rivelazione suprema dell’amore di Cristo per gliuomini, per cui il legno della croce accende ed ali-menta il fuoco della carità. Questo è un tema checaratterizza non solo il Biraghi, ma anche le altreCongregazioni contemporanee. Bisogna continuarenella storia la carità che Cristo ha mostrato in modoeminente sulla croce. Qui, è il cuore teologico dellaspiritualità del Biraghi.

Concludo sulla spiritualità del Biraghi con unauspicio: resta da fare del lavoro e, se mi permette-te, suggerisco due piste.— Rimane la pubblicazione delle lettere della Vi-

demari. Io so che la Madre Generale ha a cuorequesto tema. È un lavoro che bisogna fare, per-ché anche le lettere della Videmari sono di gran-de interesse, e pubblicandole, il quadro dellaspiritualità si allarga, perché, spesso, il Biraghirisponde a delle precise istanze che la Videmarigli pone.

— Bisogna fare un’edizione della Regola del 1853.Io mi domando: Ha avuto varie redazioni? Di so-lito, una Regola conosce una gestazione, cosic-ché la Regola definitiva passa attraverso variefasi. Sarebbe interessante pubblicare un librocon le varie bozze e poi studiare la redazione fi-nale, vedendo quali correzioni sono intervenute ecercando di spiegarle storicamente. La Regoladovrebbe anche essere fornita di note. È conve-niente dare una edizione, fatta con i criteri che

194 altri momenti commemorativi

ho suggerito: una specie di anatomia del proces-so redazionale.

Concludo con questo duplice suggerimento e viringrazio per l’attenzione che mi avete accordato.

CRONACA DEGLI EVENTI

Giuseppina Parma

Cronaca degli eventi

A prova di quanto sia vivo l’interesse per mons.Luigi Biraghi, fondatore delle suore di S. Marcellina,nei numerosi centri della loro attività educativa edassistenziale in Italia, in Europa e nelle Americhe,diamo una rapida cronaca delle celebrazioni bicen-tenarie della sua nascita svoltesi durante l’anno2001-2002.

A Milano, oltre alle celebrazioni liturgiche nellacappella della casa generalizia ed alla giornata distudio alla Biblioteca Ambrosiana, delle quali si ègià detto, va ricordato un momento di festa, che lasera del 9 maggio ha raccolto nel salone della casadi piazza Tommaseo la popolazione scolastica e lacomunità educante della scuola per assistere – pre-senti la madre generale, parecchie suore di altre ca-se e le novizie – ad uno spettacolo musicale allestitoda sr. Monica Ceroni con un gruppo di alunni. Que-sti, attraverso recitazione, canti e danze hanno rap-presentato i principali momenti della vita di mons.Biraghi, mostrando di averne colto il profondo valorespirituale.

Il 7 maggio, in occasione della “Festa dei fiori”del seminario maggiore di Venegono, è stata moltoapprezzata la mostra documentaria sulla vita el’opera di mons. Biraghi allestita da sr. Miranda

198 cronaca degli eventi

Moltedo e da lei illustrata al cardinal Martini, ai ve-scovi Giovanni Giudici e Bernardo Citterio ed ainumerosissimi sacerdoti diocesani partecipanti aquella giornata di festa.

A Lecce il 19 aprile l’arcivescovo metropolitamons. Cosmo Francesco Ruppi ha presieduto nellacattedrale una solenne concelebrazione eucaristicacon il vicario generale mons. Franco Mannarini, ilcancelliere mons. Oronzo de Simone, il parroco ecanonico mons. Franco Leone.

All’assemblea di docenti, famiglie, alunni dei di-versi corsi, religiose della diocesi l’arcivescovonell’omelia ha illustrato i tratti salienti della perso-nalità ‘forte ed amabile, sapiente ed umile, aperta elungimirante’ del servo di Dio mons. Luigi Biraghi,che, in tempi difficili per la Chiesa, ha avuto il co-raggio di fondare un istituto a gloria di Dio e per ilbene della società. Il Presule ha poi passato in ras-segna i diversi campi di apostolato delle marcellinenel mondo e con animo paterno ha ringraziato le‘care suore di Lecce’ per il servizio ‘ammirevole estimolante alle famiglie della città’, le suoredell’Ospedale Giovanni Panico di Tricase, e quelleche ‘con sacrifici eroici per la casa di Lecce, operanoin Albania’. Per tutte ha avuto parole di stima e diaffetto, augurando loro di diventare sante ‘con co-raggio e fedeltà al carisma del Fondatore’, che desi-dera vedere presto nella gloria degli altari.

L’11 ottobre, a Genova, nella sala delle feste dellostorico collegio in Albaro, mons. Biraghi è statocommemorato in modo originale, attraverso l’ap-

cronaca degli eventi 199

plauditissima lettura di passi scelti delle sue letterenel corso di una serata musicale organizzatadall’associazione delle Ex alunne dell’Istituto.

Tra le molte manifestazioni svoltesi all’estero, ri-cordiamo quelle avvenute in Brasile, in Canada e nelMessico.

Brasile

Le commemorazioni del bicentenario di Mons. Bi-raghi si sono svolte numerosissime e svariate (poe-sie, canti, danze, drammatizzazioni, recitals musi-cali, mostre, programmi radiofonici, comunicazionivia internet fra le diverse scuole, maratone culturali,convegni, conoscenza e divulgazione di testi sul Bi-raghi, studi sui suoi scritti, anche con pubblicazioniperiodiche; e, ancora, una divertente gimkana e unasimpaticissima “intervista” al Fondatore e a MadreMarina) nei vari centri ove operano le Marcelline inBrasile (università, scuole, ospedali, centri assisten-ziali e missionari) durante tutto l'anno e hannoavuto momenti ecclesiali nelle Sante Messe, assaipartecipate, celebrate con le varie comunità edu-canti e con le comunità locali (una delle quali, ac-compagnata da un coro di suore, alunni e laici, èstata trasmessa in una TV locale) ed hanno rag-giunto il loro splendido suggello nel pellegrinaggiodel 21/9/02 al santuario della Madonna Aparecida,in cui si è notata una significativa rappresentanzadei pellegrini di ogni casa marcellina in Brasile.

200 cronaca degli eventi

L'incontro è stato impreziosito dalla presenzadella Superiora Generale, suor Maria Angela Ago-stoni, e dalla sua ispirata parola, con cui, dopo aversottolineato la capacità dei santi di capire il messag-gio di Maria e di incarnarlo nella propria vita, ha in-vitato i presenti a guardare all'esempio del nostrofondatore, che tanto ci parla di preghiera, di sempli-cità, di umiltà e della necessità di farsi piccoli e fi-duciosi.

La celebrazione eucaristica è stata presieduta daSua Eccellenza Mons. Aloysio José Leal Penna, Arci-vescovo di Botucatù e membro della CNBB (Confe-renza Nazionale dei Vescovi del Brasile) nel settoredella educazione, che ha magistralmente evidenziatonell'omelia tre aspetti della vita di mons. Biraghi,quale eminente uomo di Dio, uomo della Chiesa euomo del suo tempo, auspicando la felice e sollecitaconclusione del processo di beatificazione.

Canada

Le nostre tre comunità canadesi di Montreal, congrande partecipazione di amici dell'Istituto e dialunni, e alla presenza della nostra Madre MariaAngela, hanno commemorato il bicentenario dellanascita di mons. L. Biraghi con una solenne cele-brazione eucaristica presieduta dal Card. Turcotte il22 marzo 2002. Un dépliant sulla vita del Fondatoreè stato distribuito a tutti i partecipanti e in seguito aquanti ci conoscono.

cronaca degli eventi 201

Durante l'anno le nostre comunità hanno ricor-dato il Fondatore, facendolo conoscere agli ospitianziani dell'Amitié e ai bambini con esposizioni mu-rali che ricordavano pure la presenza delle Marcelli-ne nel mondo.

Gli alunni del Collège, con fantasia creativa, han-no rievocato la vita del Fondatore con un teatro diombre cinesi, presentato agli alunni delle due scuo-le.

Suor Mylène Nault ha realizzato con power pointun testo sul Fondatore e sulle Marcelline, che èstato presentato nelle nostre tre case a suore, alun-ni, ospiti anziani e laici marcellini.

A conclusione delle commemorazioni, dopo unagiornata di preghiera e la celebrazione dei Vesprisolenni, tutte le suore riunite insieme hanno rice-vuto dalle mani della delegata, Superiora MatildeFantone, il 1° volume delle lettere del Fondatore,quale luminosa indicazione per una via di santitàsecondo il carisma marcellino.

Messico

Le nostre case di Città del Messico e di Queretarohanno approfondito la vita e l'insegnamento delFondatore singolarmente e comunitariamente conalcune iniziative, proprie di ogni casa, tra cui unasimpatica caccia al tesoro conclusa con una intervi-sta a Mons. Biraghi. Hanno voluto poi celebrarloinsieme realizzando due importanti incontri:

202 cronaca degli eventi

— Don Alberto Hernandez, sacerdote formatore delseminario conciliare della Città del Messico, hatenuto un'interessante conferenza alle suore e aigenitori degli alunni per illuminare la figura delFondatore, sottolineandone la profonda umani-tà, in cui risaltano le virtù fondamentali di uomoautentico come quelle della fortezza, della sem-plicità e dell'umiltà. Ha anche evidenziato l'ori-ginalità del suo stile educativo fondato sull'amo-revolezza e sulla vita-insieme, dicendo ai genitoriche queste caratteristiche del Biraghi possonodiventare preziose indicazioni anche per il loroimpegno educativo.

— Il 24 novembre 2001, festa della Beata MariaAnna Sala, in concomitanza con la celebrazioneeucaristica in memoria del Fondatore tenuta dalCard. Martini in Milano, la comunità educativamarcellina sia di Città del Messico sia di Quere-taro ha partecipato ad un pellegrinaggio alla Ba-silica di Nostra Signora di Guadalupe, dove ilmedesimo don Alberto ha celebrato la Messa edha aiutato i partecipanti a riflettere sull'invitodel Biraghi a vivere nello spirito di Marta e Ma-ria.

Scheda biografica di mons. Biraghi

1801 2 novembre Nasce a Vignate (MI), quintodegli otto figli di Francesco e Maria Fini.

1803 Si stabilisce con la famiglia a Cernuscosul Naviglio, nella “cascina Castellana”.

1807 28 aprile Riceve il sacramento della Cre-sima nella chiesa prepositurale di Gor-gonzola

1812 5 dicembre Compiuti i primi studi nelcollegio Cavalleri di Parabiago , chiede divestire l’abito clericale e ne è giudicatoidoneo.

1813-24 Frequenta i corsi di umanità, filosofia eteologia nei seminari diocesani di Castellosopra Lecco, Monza e Milano. Ordinatodiacono, è incaricato dell’insegnamento digreco nel seminario di Monza.

1825 28 maggio Riceve il presbiterato ed è in-caricato dell’insegnamento delle letterenei seminari di Monza e Seveso sino al1833, con l’ufficio di direttore spiritualenel seminario di Castello nell’anno scola-stico 1828-1829.

1833-49 E’ direttore spirituale nel seminario mag-giore di Milano.

1838 22 settembre Apre il primo collegio delleMarcelline a Cernusco sul Naviglio, e lo

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affida alla direzione di sr. Marina Videma-ri (1812-1891),da lui diretta spiritual-mente dal 1835 e con la cui cooperazionerealizzerà il suo progetto apostolico di re-staurare in Cristo la società moderna, acominciare dalla famiglia, attraversol’educazione cristiana della donna.

1840 4 aprile Partecipa alla fondazione delgiornale ecclesiastico milanese L’ AmicoCattolico patrocinato dall’arcivescovo car-dinale Gaisruck , e ne sarà redattore finoal 1848.

1841 17 luglio Acquista l’ex convento di S. Gi-rolamo a Vimercate e vi apre il secondocollegio delle Marcelline.

1842 21 aprile Per motivi di salute chiedeall’arcivescovo l’esonero dall’ufficio di di-rettore spirituale e l’assegnazione dellacattedra di s. Scrittura.

11 luglio Rimane direttore spirituale,come l’arcivescovo vuole.

1843 13 maggio In obbedienza all’arcivescovorinuncia alla fondazione di un istituto dipreti missionari in città, progettato condon Luigi Speroni.

1846 16 giugno Eletto al soglio pontificio PioIX, il “suo Papa” sino alla morte, ne dànotizia alle Marcelline, che vuole attenteai grandi eventi della Chiesa.

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1847 8 settembre Saluta con i rappresentantidel clero ambrosiano l’ingresso in Milanodel nuovo arcivescovo Carlo BartolomeoRomilli, di cui sarà sempre fedele soste-nitore.

1848 9 aprile A nome dell’arcivescovo si pre-senta al conte Gabrio Casati, presidentedel Governo Provvisorio di Milano, dopol’insurrezione delle Cinque Giornate, perottenere alla Chiesa la libertà nei rapporticon la s. Sede, nelle nomine dei vescovi,nell’amministrazione dei beni ecclesiasti-ci, nell’insegnamento e nell’educazione.

1849 agosto Ristabilito il governo austriaco nelLombardo-Veneto, si adopera alla riam-missione nel ministero di giovani sacer-doti che avevano affiancato i combattentinella guerra di indipendenza ed appoggial’arcivescovo ormai malvisto dall’Austria.

novembre Esonerato dall’ufficio di diret-tore spirituale, ha la cattedra di dogmati-ca nel seminario teologico, dove svolgeràil suo insegnamento sino al 1854.

1850 Condivide il progetto di fondazionedell’istituto milanese per le Missioni Este-re con l’amico mons. Angelo Ramazzotti ecol figlio spirituale don Giuseppe Marino-ni, che ne diventerà il superiore .

settembre Accompagna con ufficio dicancelliere l’arcivescovo Romilli nelle vi-site pastorali in Brianza.

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10 dicembre Incriminato per la parteci-pazione alla rivoluzione del 1848, gli ènegato dal governo austriaco il canoni-cato in Duomo ed è intimato all’arci-vescovo il suo allontanamento dal semi-nario. Inizia così una lunga inquisizionepolitica contro di lui.

1852 13 settembre Ottiene l’erezione canonicadelle Marcelline , di cui sarà superiore pertutta la vita.

1853 febbraio-aprile E’ a Vienna, per giustifi-carsi presso il governo delle imputazionifattegli dalla polizia circa il suo compor-tamento nel 1848.

1854 9 novembre Apre a Milano, in via Qua-dronno, il terzo collegio delle Marcelline,dedicandolo all’Immacolata, nell’immi-nenza della proclamazione del dogma.

1855 11 giugno Con l’approvazione del governoè nominato Dottore della Biblioteca Am-brosiana, dove continua i suoi studi e lesue pubblicazioni, specie di storia eccle-siastica e sacra archeologia, ed è sapienteconsigliere dei suoi vescovi e del cleroambrosiano. Stabilisce la sua abitazionepresso i Barnabiti in via Zebedia.

1858 4 novembre Apre il quarto collegio delleMarcelline in via Amedei a Milano.

1859 7 maggio Onora le esequie dell’arci-vescovo Romilli , mentre Milano attende

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le truppe franco-piemontesi vincitrici su-gli austriaci .

maggio-agosto Assiste le Marcelline in-vitate dalle autorità civili a dirigerel’ospedale S. Luca allestito per i militariferiti in quella guerra.

1860 Soffre, dopo l’annessione dei territoripontifici al regno sardo, per la crisi politi-co-religiosa di Milano: l’arcivescovo Balle-rini impedito dal governo di prenderepossesso della sede, perché eletto su pro-posta dell’Austria; il vicario mons. CacciaDominioni confinato nel seminario diMonza, perché inviso alle autorità civiliper la sua fedeltà alla s. Sede; clero e lai-cato cattolico divisi tra temporalisti edantitemporalisti, intransigenti e concilia-toristi.

1862 29 giugno E’ invitato da Pio IX, con lette-ra autografa, a tentare una pacificazionetra il clero milanese.

14 agosto Risponde al Papa, dichiaran-dogli l’insuccesso dei suoi sforzi.

1864 Nel corso dei restauri della basilica di S.Ambrogio porta alla luce, con mons. Ros-si, l’urna sepolcrale del Santo.

1866 Avendo adeguato alla nuova legislazionele scuole delle Marcelline, riesce ad evita-re per le loro quattro case l’applicazionedelle leggi di soppressione degli ordini re-ligiosi.

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1867 29 giugno Eletto mons. Luigi Nazari diCalabiana alla sede di Ambrogio, parteci-pa con il nuovo arcivescovo e il clero mi-lanese alle celebrazioni centenarie di s.Pietro a Roma.

1868 Apre a Genova-Albaro un nuovo collegiodelle Marcelline.

1870 Segue lo svolgersi del Concilio VaticanoPrimo e plaude alla proclamazione deldogma dell’infallibilità pontificia.

1873 3 ottobre E’ nominato Prelato domesticodi Sua Santità per il contributo dato allascoperta dei Sepolcri Santambrosiani.

1876 Apre a Chambéry (Savoia), dove le Mar-celline avevano fatto una triennale espe-rienza di vacanze-studio, un collegio peralunne italiane e francesi.

1878 21 marzo Saluta con un indirizzo a nomedel clero milanese il neo eletto papa Leo-ne XIII, esponendosi anche con questoatto all’ostilità dell’Osservatore Cattolico,contro cui aveva sempre difeso l’arcives-covo Calabiana tacciato di conciliatori-smo.

1879 11 agosto Dopo una breve malattia,muore a Milano, nella foresteria del colle-gio delle suore Marcelline in via Qua-dronno.

1929 11 ottobre Alla presenza dell’arcivescovo,il card. Ildefonso Schuster , presso la ca-

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sa generalizia delle Marcelline, a Milano,si celebra solennemente il 50° anniversa-rio della sua morte e se ne presenta laprima biografia, scritta da mons. AngeloPortaluppi.

La causa di beatificazione

1966 1 febbraio L’arcivescovo card. GiovanniColombo accoglie la richiesta delle Mar-celline di introdurre la causa di beatifica-zione di mons. Biraghi e procede agli atticanonici preliminari .

1971-77 Si svolge a Milano il processo sulla famadi santità e se ne inviano gli atti alla Sa-cra Congregazione per le Cause dei Santi.

1979 27 ottobre A Milano nell’aula Paolo VIdel Seminario di corso Venezia, alla pre-senza dell’arcivescovo card. Giovanni Co-lombo, viene celebrato il primo centenariodella morte di mons. Luigi Biraghi ed èpresentata la sua biografia scritta da sr.M. Ferragatta ed edita dalla Queriniana.

1995 29 maggio A Milano, nel seminario dicorso Venezia, aula Paolo VI, con una Ta-vola Rotonda mons.L. Biraghi è ricordatonel 170° anniversario di ordinazione e neè presentata la Positio super virtutibuspubblicata a Roma il 13 maggio.

31 ottobre I consultori storici approvanoa pieni voti la Positio, che deve essere tra-

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smessa ai consultori teologi per il giudiziosulla eroicità delle virtù .

1996 8 ottobre E’ inviata a Roma una Supplicaal Papa firmata dall’arcivescovo di Milanocard. Carlo M. Martini e dai vescovi lom-bardi, per sollecitare l’iter della causa .

1998 luglio-ottobre Si svolge a Milano il“processicolo” sulla guarigione di sr. LinaCalvi attribuita all’intercessione di mons.Biraghi.

2001 18 ottobre E’ firmato il Revisa, per cui gliatti del “processicolo” possono essere tra-smessi alla commissione dei medici dellaSacra Congregazione per le cause deiSanti per il giudizio sulla straordinarietàdella guarigione.

2001-02 Celebrazioni bicentenarie della nascita dimons. Biraghi presso tutte le case delleMarcelline.

2001 24 novembre Milano, nella basilica di S.Ambrogio, Liturgia Eucaristica presiedutada s. eminenza il cardinal C. M. Martini.

2002 21 febbraioh. 11 Liturgia eucaristica presieduta da s.ecc. mons. Libero Tresoldi nella casa ge-neralizia delle Marcelline;

h.18 Commemorazione di mons. Luigi Bi-raghi nella sala delle accademie della Bi-blioteca Ambrosiana con introduzioneall’incontro di mons. Gianfranco Ravasi e

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relazioni di mons. Franco Buzzi e del prof.don Ennio Apeciti.

La nostra attesa è per il decreto di eroicità dellevirtù e per il riconoscimento del ‘miracolo’ da partedella Commissione dei medici, riconoscimento chedeterminerebbe la beatificazione di mons. Biraghi.La causa attualmente ha come postulatore l’avv.Andrea Ambrosi.

Finito di stamparenel mese di dicembre 2002

presso Legoprint S.p.A. Lavis (Trento)