Akhtamar 262 (24 apr 18)

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1 Akhtamar on line WWW.COMUNITAARMENA.IT Anno 13 Numero 262 24 aprile 2018 — CIII M.Y. Akhtamar on line Chi ci segue dall’inizio di questa avventura, e ormai sono passati tredici anni, sa bene che rifuggiamo di norma dall’indugiare sul tema del genocidio. Non per ragioni di pudore o di stanchezza sull’argomento, ma per il motivo che riteniamo che la storia, la cultura, la società armena abbiano costruito un percorso che va oltre la tragedia del 1915. In parole semplici, non vogliamo che tutto si riduca alla lamentazione del “Metz Yeghern” sminuendo, facendo passare in secondo piano, il grande apporto che il popolo armeno ha fornito allo sviluppo della civiltà mondiale. Intendiamoci bene però: non si può in alcun modo prescindere da quanto accaduto centotre anni orsono, non si può sminuire la portata di quegli eventi intorno ai quali ruota la dinamica politica armena degli ultimi decenni; non si può dimenticare o, peggio, sottovalutare il ‘disagio’ psicologico di intere generazioni di armeni costretti a convivere con il dolore del Grande Male. Non si può interrompere quell’azione di sensibilizzazione planetaria per il definitivo, ufficiale, riconoscimento del genocidio e la contestuale propa- lazione nozionistica dell’azione criminale dei Giovani Turchi. E, tuttavia, è bene - a parere nostro - non inflazionare ogni nostro discorso con il richiamo al 1915. D’altronde, in Italia ma non solo, è acclarato cosa avvenne più di un secolo orsono, nessuno osa più ap- poggiare le tesi negazioniste turche, i think thank al servizio della lobby del Bosforo da tempo hanno fatto silenziosa ritirata dopo aver spalleggiato (per interesse e ritorno economico) le tesi di Ankara. Scuole, università, istituzioni, media trattano la materia per quello che è: un acclarato fatto storico intorno al quale nulla si può aggiungere. Potremmo dire dunque che il nostro (di noi armeni e degli amici degli armeni) …. (segue in ultima) Quell’inverno dell’oblio… 1-6 Sua arroganza 2 La fretta del Sultano 3 La voce dell’Artsakh 4 Tensione politica in Armenia 5 Qui Armenia 5 Sono italiana, sono armena 6 Sommario Quell’inverno dell’oblio divenuto primavera Bollettino interno di azione armena

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Anno 13 Numero 262

24 aprile 2018 — CIII M.Y. Akhtamar on line

Chi ci segue dall’inizio di questa avventura, e ormai sono passati tredici anni, sa bene che rifuggiamo di norma dall’indugiare sul tema del genocidio. Non per ragioni di pudore o di stanchezza sull’argomento, ma per il motivo che riteniamo che la storia, la cultura, la società armena abbiano costruito un percorso che va oltre la tragedia del 1915. In parole semplici, non vogliamo che tutto si riduca alla lamentazione del “Metz Yeghern” sminuendo, facendo passare in secondo piano, il grande apporto che il popolo armeno ha fornito allo sviluppo della civiltà mondiale. Intendiamoci bene però: non si può in alcun modo prescindere da quanto accaduto centotre anni orsono, non si può sminuire la portata di quegli eventi intorno ai quali ruota la dinamica politica armena degli ultimi decenni; non si può dimenticare o, peggio, sottovalutare il ‘disagio’ psicologico di intere generazioni di armeni costretti a convivere con il dolore del Grande Male. Non si può interrompere quell’azione di sensibilizzazione planetaria per il definitivo, ufficiale, riconoscimento del genocidio e la contestuale propa-lazione nozionistica dell’azione criminale dei Giovani Turchi. E, tuttavia, è bene - a parere nostro - non inflazionare ogni nostro discorso con il richiamo al 1915. D’altronde, in Italia ma non solo, è acclarato cosa avvenne più di un secolo orsono, nessuno osa più ap-poggiare le tesi negazioniste turche, i think thank al servizio della lobby del Bosforo da tempo hanno fatto silenziosa ritirata dopo aver spalleggiato (per interesse e ritorno economico) le tesi di Ankara. Scuole, università, istituzioni, media trattano la materia per quello che è: un acclarato fatto storico intorno al quale nulla si può aggiungere. Potremmo dire dunque che il nostro (di noi armeni e degli amici degli armeni) …. (segue in ultima)

Quell’inverno dell’oblio… 1-6

Sua arroganza 2

La fretta del Sultano 3

La voce dell’Artsakh 4

Tensione politica in Armenia 5

Qui Armenia 5

Sono italiana, sono armena 6

Sommario

Quell’inverno dell’oblio divenuto primavera

Bollettino interno di

azione armena

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ganza”. Difatti l’arroganza, unita ad un’irre-frenabile boria, costituisce un tratto essen-ziale del carattere di questa persona. Come giudicare, infatti, la scenata che fece alcuni anni fa a Shimon Peres, presidente d’Israele, o, più recentemente, nel corso della sua visita ufficiale in Grecia, quando investì il presidente ellenico, accusando il governo di Atene di aver posto ostacoli alla nomina di un capo religioso per i turchi residenti in Grecia; mentre in Turchia, da decenni, non permettono la riapertura del seminario del Patriarcato greco-ortodosso?!.

Oppure il pestaggio che le sue guardie del corpo, in sua presenza e sotto il suo occhio vigile, inflissero a dei pacifici dimostranti a New York l’anno scorso. O anche l’intima-zione di “saper stare al proprio posto” rivol-ta a dei politici occidentali, nel corso di un discorso pubblico in Turchia.

E sì che Erdogan, inizialmente, quando giunse al potere come primo ministro, aveva acceso molte speranze, anche negli armeni. La restituzione di beni confiscati ad istitu-zioni armene e greche, l’atteggiamento libe-raleggiante della sua politica, il restauro della chiesa di S.Croce ad Aghtamar, erano sol-tanto alcuni dei vari segni che facevano prevedere un cambiamento, in meglio, del tradizionale atteggiamento ostile della Tur-chia nei confronti degli armeni. Forse anche

di ESSE

Non so se sia una coincidenza, ma vari

dittatori del secolo scorso, Stalin, Hitler, Franco, Pinochet ecc., avevano i baffi. Guarda caso, anche il presidente turco, Erdogan, ha i baffi. Non credo che se li sia lasciati crescere per risparmiare i soldi dell’-acquisto di un rasoio, visti i numerosi mi-lioni spesi per la costruzione del suo farao-nico palazzo presidenziale. Più probabil-mente i suoi baffi sono in linea con una certa concezione maschile, tipica dell’Orien-te; oppure sono un tributo al proprio co-gnome che, tradotto in italiano, significa “falco maschio”. E che sia un falco maschio è evidente dall’aria tapina che ha sua moglie nelle foto che la ritraggono accanto all’illu-stre(?) marito.

Il presidente turco sulla stampa italiana a volte viene citato anche come “dittatore turco” o “sultano”, ma oltre a questi epiteti si è guadagnato anche il diritto ad un parti-colare titolo con il quale essere citato. Infatti similmente al Papa, ai cardinali, ai vescovi o ai re -citando i quali i loro nomi devono essere preceduti, per deferenza, rispettiva-mente, da “Sua Santità”, “Sua eminenza”, “Sua eccellenza”, “Sua Maestà”- nel caso del presidente turco, bisogna citarne il nome facendolo precedere dal titolo di “Sua Arro-

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per questo il presidente dell’Armenia diede inizio alla “politica del foot ball” con la Turchia e si impegnò, con i protocolli di Zurigo a normalizzare i rapporti armeno-turchi.

Tutto questo però è il passato, seppure recente. Evidentemente Erdogan si è penti-to di essere stato (o apparso) un liberale ed ora è ciò che è davanti agli occhi di tutti: un dittatore con la smania di conquiste territo-riali per aggiungere, ai successi ottenuti nel campo dell’economia, anche i galloni di vittorioso condottiero. A sua eterna gloria, in un paese dove il militarismo è sempre in auge.Infatti negli ultimi tempi si è lanciato in numerose rivendicazioni territoriali, procla-mando che le isole greche dell’Egeo, la Grecia nord-orientale, la Bulgaria sud-orientale, la regione di Batum in Georgia, la regione di Mosul in Irak, sono territori tur-chi. A ciò si aggiunga l’invasione dell’Irak e, ultimamente, della Siria, perché, a detta del dittatore di Ankara, “la Turchia non può permettere la costituzione di uno Stato kurdo ai suoi confini meridionali”. A parte il fatto che l’eventuale scissione del territorio siriano è un affare interno della Siria; la Turchia con quale diritto può impicciarsi negli affari interni di un altro Stato. Chi è lui per stabilire il destino del territorio di un altro Stato?! Per non parlare del tono arro-

Sua arroganza

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gante, al limite dell’offesa, con la quale lui o i suoi ministri reagiscono a certe critiche pro-venienti dall’Occidente.

Recentemente si è lanciato a pretendere la revisione del trattato di Losanna, del 1923, con il quale le potenze europee riconosceva-no la Turchia di Mustafà Kemal (Atatürk) e quest’ultima si impegnava a tutelare alcuni diritti delle minoranze non musulmane.

Per giustificare tutte queste pretese territo-riali e gli appetiti espansionistici turchi, Erdo-gan non fa che richiamare ripetutamente il fatto che la Turchia odierna è l’erede dell’Im-pero Ottomano. A ciò aggiungiamo che la Turchia ha instaurato basi militari in Somalia ed in Katar ed ha acquisito dal Sudan un’ isola sul mar Rosso ed infine sta attuando una penetrazione politico-economica nel Caucaso e nell’Asia Centrale ex sovietica.

Ma quando serve, oltre all’eredità ottoma-na, si tira in ballo anche la religione. Ne sono una prova le affermazioni di Alparslan Kava-klıoğlu, presidente della Commissione Sicu-rezza del parlamento turco (e sodale di Erdo-gan), secondo il quale l’Europa deve divenire musulmana. Come se ciò non bastasse, più d’un mese fa in occasione della riunione a Costantinopoli dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica, il giornale Yeni Şa-fak, vicino al partito AKP (Giustizia e Svilup-po) di Erdogan, ha proposto la formazione di un esercito islamico, con la partecipazione di tutti i paesi musulmani. Scopo di questo esercito, ritenuto il più potente del mondo perché forte di 5,206,100 uomini e con un bilancio di 175 miliardi di dollari, sarebbe la distruzione di Israele

E’ ormai evidente che Erdogan è una mina vagante, una minaccia alla pace in un’area turbolenta come il Medio Oriente del quale aspira ad essere il dominatore, accampando pretese territoriali basate sul fatto che si tratta di territori già facenti parte dell’Impero Otto-mano.

Ed è l’espansionismo turco che deve tene-re desta l’attenzione degli armeni, dato che conferma, per l’ennesima volta, che il proget-to panturco –espansione della Turchia verso est, nel Caucaso e oltre il mar Caspio- per perseguire il quale fu attuato il genocidio armeno, non è mai morto ed è sempre vivo e presente nella mente della dirigenza turca, anche se molte volte abilmente tace e na-sconde le proprie idee per ingannare l’opinio-ne pubblica mondiale, salvo poi, al momento propizio, fare un balzo ed impossessarsi di una fetta di territorio di un vicino, come sta facendo oggi in Siria, quando, al massimo dell’arroganza, Erdogan ha proclamato, e proprio nelle orecchie dei suoi alleati NATO, che la Turchia non si fermerà con la conqui-sta di Afrin , in Siria, ma andrà oltre. Analo-ghe affermazioni, con un simile tono, non si erano sentite un’ottantina di anni fa, da un signore con i baffetti, che voleva dominare

mezza Europa? Non è impressionante l’ana-logia?

Gli armeni, ed in special modo tutti quelli che salutarono l’avvento al potere di Erdogan come l’inizio di una fase di non ostilità nei loro confronti e -citando i vari intellettuali turchi, Zarakolu, Taner Akcam, Halil Berktay ecc., che condannano il geno-cidio armeno- subito si sbracciarono con dubbie iniziative di amicizia armeno-turca, devono ricredersi. La Turchia è Erdogan ed Erdogan è la Turchia; mentre i vari intellet-tuali che si professano amici degli armeni, sono persone rispettabili, anche coraggiose, visto il contesto in cui operano, ma non sono la vera Turchia. Viceversa quest’ultima è Erdogan, dato che è stato eletto con la maggioranza dei voti e anche buona parte di quei politici che non lo sostengono, ne condividono l’ostilità anti-armena e lo spiri-to militar-espansionista.

Perciò non facciamoci abbindolare dai soliti discorsi politicamente corretti; guar-diamo senza illusioni in faccia alla realtà, memori di quanto scrisse Hovhannes Tu-manian, nella poesia “Requiem” dedicata ai martiri del genocidio: “Il cannibale uomo-belva rimarrà a lungo così”.

Non avevano forse ragione i nostri vecchi che, allorquando qualcuno affermava che i turchi erano cambiati e non erano più i “cattivi” di prima, scuotevano la testa e dicevano di non fidarsi, di stare in guardia dato che i turchi erano sempre gli stessi e non sarebbero cambiati mai? In fin dei conti queste persone che esprimevano pes-simismo nei riguardi dei turchi, avevano vissuto sulla propria pelle che cosa signifi-casse convivere con essi ed inoltre portava-no in se stessi la plurisecolare esperienza, ereditata dai loro antenati che erano vissuti sotto il giogo turco.

Spesso, quando un armeno esprime con-danne o riserve nei confronti della Turchia, viene criticato da parte del suo interlocutore non armeno che lo accusa, se va bene, di essere prevenuto, (se non va bene, di essere razzista) di avere un pregiudizio nei con-fronti della Turchia ed a riprova di ciò ci vengono snocciolate le prove della moderni-tà della Turchia: perché, recatisi a Costanti-nopoli, nel tale caffè o ristorante si respirava la stessa aria di Parigi o di Londra, oppure il tale interlocutore turco, era un laico ateo, o anche i giovani, come gusti, tendenze, abbi-gliamento, erano identici a quelli europei. Sarà bene che i nostri interlocutori non si facciano abbindolare dalle apparenze, e sappiano scrutare la realtà che c’è sotto certi atteggiamenti di facciata; perché qui non si tratta soltanto di rapporti armeno-turchi e di cosiddetti pregiudizi degli armeni nei con-fronti della Turchia; infatti vi è ben altro e questo riguarda tutto il mondo occidentale del quale la Turchia si dichiarava fedele

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alleata. Era un’alleata fino a che vi era la mi-naccia sovietica, ma ora che questa è cessata, Ankara ha dimostrato il suo vero volto e lo sgomitare di Erdogan è la chiara dimostrazio-ne che la Turchia, lungi dall’essere divenuta occidentaleggiante, è, e rimane, un paese ditta-toriale, militarista ed espansionista. Erdogan non è un incidente di percorso, ma è la genui-na espressione della vera Turchia e di questo i vari Stati, ed in particolar modo l’Occidente, devono tener conto. Senza illusioni e senza ipocrisia.

Per fortuna non sono solo gli armeni ad essere “prevenuti”, “razzisti” nei confronti della Turchia. Anche in Europa chi ha occhi per vedere si è reso conto del vero volto di questo paese. Non per nulla l’eurodeputato lussemburghese Frank Engel ha recentemente affermato: ”Quel giorno in cui la Turchia cambierà, ritirerà l’aggressione contro Cipro, aprirà il confine con l’Armenia, libererà dalle carceri i giornalisti ingiustamente arrestati, io forse immaginerò un certo tipo di rapporti con la Turchia, ma una simile Turchia non ci sarà mai”.

Per quanto riguarda gli armeni non è proprio il caso che vengano immolati, per l’ennesima volta, sull’altare dell’ipocrita “politicamente corretto”. È più giusto essere, realisticamente, “politicamente scorretti”, che farsi fregare per apparire “politicamente cor-retti”.

La fretta del Sultano

Alle urne il 24 giugno. Erdogan ha così deciso, anticipando il voto inizialmente previsto per l’autun-no del 2019. Dietro questa decisione sta la constatazione di un vistoso calo dei consensi: l’economia è in crisi, il pugno di ferro dopo il (presunto) golpe del luglio 2016 ha mandato in galera decine di migliaia di turchi, altret-tante sono state licenziate, la love story con Europa e Stati Uniti sembra in crisi. C’è poi da considerare che sulla scena politica turca è spuntata dallo scorso settembre l’agguerrita Meral Aksener con il suo “Partito buono” (IYI) fuoriusci-ta dai nazionalisti del MHP di Bahceli che è alleato con Erdogan e il suo AKP. Proprio per dare poco spazio alla (relativamente) nuova star della politica turca, Erdogan ha giocato la mossa dell’anticipo contando sul fatto che l’opposizio-ne dei laici CHP incide poco e l’unica forza relamen-te di contrasto (i filo curdi del HDP) è silenziata con tutta la sua dirigenza in prigione con la solita accusa di ‘terrorismo’. Erdogan, che ha già battuto il record di longevità al potere dei Ataturk, punta a rimanere in sella e a sviluppare quella politica neo ottomana che già lo ha spinto militarmente in Siria. Difficile dire quale possa essere la migliore scelta per gli armeni. Il legame di sangue con l’Azerbaigian determina di fatto lo stallo di tutti i temi.

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Il presidente della repubblica Bako Sahakyan, nel corso di una recente intervista, ha nuovamente sottolinea-to la necessità che la repubblica del Nagorno Karabakh-Artsakh sieda al tavolo del negoziato. Più che una richiesta politica, si tratta di una indicazione di buon senso. Se davvero gli azeri vogliono una soluzione pacifica del conflitto, non possono non prendere atto che la regione mai e poi mai potrà essere am-ministrata da Baku. È questo un punto fermo sul quale, come abbiamo più volte scritto, non si può tornare indietro; lo sa bene Aliyev, lo sanno bene i negoziatori internazionali del Gruppo di Minsk dell’Osce. Dunque, perché non coinvolgere i diretti interessati nel processo negoziale in corso? Vi sono da discutere molti aspetti non certo secondari e continuare a nascondere la testa sotto la sabbia come fa l’Azerbaigian (“Le cosiddette autorità del Nagorno Karabakh”, “gli occupanti”…) non aiuta certo a risolvere i problemi. Un dialogo diretto potrebbe essere, viceversa, il viatico per un più snello e veloce percorso di riappacificazione; ma forse è proprio questo il risultato che il regime azero non vuole raggiungere. Mantenere un clima di pesan-te conflittualità per controllare i processi di politica interna (fin tanto che c’è il ‘nemico’ armeno l’opposizione può essere silenziata nel nome della sicurezza nazionale) e gestire da posizione di forza i rapporti con l’Eu-ropa minacciando di incendiare nuovamente la regione (e le pipe line energetiche che l’attraversano). In fondo, l’accordo di cessate-il-fuoco di Biškek, siglato nel maggio1994 per porre fine alla guerra che si combatteva da oltre due anni, fu firmato anche dal rappresentante della repubblica del Nagorno Karabakh, nella fattispecie Karen Baburyan all’epoca Presidente dell’Assemblea nazionale e considerato il terzo Capo di Stato della repubblica dalla sua indipendenza. Non sarebbe dunque una novità se rappresentanti azeri e dell’Artsakh si sedessero allo stesso tavolo per discutere. Ma su questo punto Aliyev, per le ragioni su esposte, non vuol sentire… Riteniamo che l’Europa e i mediatori internazionali farebbero meglio a spingere per un’apertura negoziale che potrebbe accelerare il processo di pace; le istituzioni europee dovrebbero dare un segnale forte a Baku andando a colloquiare direttamente con le autorità di Stepanakert. A piccoli passi si possono coprire grandi distanze; però bisogna cominciare dal primo.

Il ministro della cultura, degli affari giovanili e del turismo di Artsakh, Sergey Shahver-dyan, ha annunciato che è partito ufficial-mente il progetto per il restauro e la rinasci-ta del teatro di Stepanakert che necessita di importanti interventi di riqualificazione. "Artsakh, il mio amore: sosteniamo il teatro di Stepanakert" è un progetto di beneficenza condotto su iniziativa del Ministero della Cultura Armeno, e alimentato attraverso da concerti e spettacoli per il restauro del l’edi-ficio. Secondo le parole del Ministro, l'iniziativa non sarà l'unica e principale fonte di finan-ziamento per i lavori di ristrutturazione del teatro. Il governo ha l'obiettivo di coinvol-gere in seguito la società e altre fonti finan-ziarie. «Il processo di elaborazione dei documenti del rinnovamento del teatro Stepanakert è già stato avviato. Il rinnovo dell'edificio è molto importante per il nostro paese e so-prattutto per i residenti di Stepanakert. Quando Artsakh fu annessa all'Azerbaigian, il teatro Stepanakert fu uno dei pochi foco-

lari che preservava l'anima armena». Il teatro, intitolato a Vahram Papazyan, è stato costruito nel 1932 su iniziativa di Karo Alvaryan, con notevoli sforzi a livello na-

zionale, poi rinnovato a più riprese; sorge nella centrale via Hakobyan a poca distanza da piazza della Rinascita e vi si rappresenta-no lavori armeni sia classici che moderni.

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Solo un negoziato condiviso può riportare pace nella regione

Riqualificazione per il teatro di Stepanakert

la voce dell’Artsakh

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SIGARETTE ARMENE Il prezzo delle sigarette di produzione armena è destinato ad aumentare del 15% a partire dal mese di settembre e a crescere del 60% entro il 2024. L’aumento delle sigarette (oggi una stecca costa quasi quanto un solo pacchetto in Italia…)è determinato da maggiori imposte conseguenti a nuovi accordi tra i Paesi membri dell’Unione Economica Euroasiatica. CORRIDOIO NORD-SUD Il direttore della missione armena della Banca asiatica di sviluppo, (ADB) Shane Rosenthal, e il responsabile del progetto, Thomas Herz, hanno espresso soddisfazione per il ritmo e la qualità della costruzione del corridoio nord-sud e della strada automobilistica di confine tra Vana-dzor-Alaverdi e Georgia. Vahan Martirosyan, ministro dei trasporti armeno, li ha ringraziati per la cooperazione efficace e ha anche discusso con i rappresentanti dell'ADB di una serie di questioni relative ai programmi di investimento sulla costruzione cofinanziati dalla Banca asiatica di sviluppo. L'obiettivo della costruzione del corridoio di trasporto nord-sud lungo 556 km è quello di aggiornare il principale collegamento di trasporto dell'Armenia come parte di una più ampia spin-ta per migliorare la connettività e incrementare il commercio, la crescita e le opportunità di sosten-tamento nelle sotto regioni del Caucaso e dell'A-sia centrale. Le prime due sezioni del corridoio di

Tensione politica in Armenia

L’elezione da parte dell’Assemblea nazionale di Serzh Sargsyan, presidente della repubblica uscente, a Primo ministro ha determinato manifestazioni di proteste a Yerevan e in altre località dell’Armenia. Promotore delle stesse Nikol Pashinyan, capo del gruppo “Exit” (ANC) al parlamento armeno. La cronaca di queste due settimane riferisce di manifestazioni di piazza, cortei e blocchi stradali; eventi che hanno visto radunarsi fino a sedicimi-la persone nella centralissima piazza della repubblica ma anche raggruppamenti di poche decine di persone. Si contano alcune decine di fermi ma per fortuna, al mo-mento in cui stiliamo questa nota, non si registrano gravi incidenti. Chi ci segue sa che rifuggiamo - per precisa scelta editoriale - dall’occuparci di politica interna armena. Riteniamo che ogni manifestazione di pensiero debba essere ben accetta in una società pluralistica e democratica come vogliamo che sia quella armena. Auspichia-mo al tempo stesso che tutte le espressioni di dissenso siano incanalate in una pacifi-ca direzione, che non si vada alla ricerca del “casus belli”, che l’intervento delle forze dell’ordine sia improntato al mero contenimento delle manifestazioni nel solco della legge, nel rispetto dei manifestanti ma anche delle istituzioni. Come ha scritto Monica Ellena (East Journal, 20 aprile, “Il senso dell’Armenia per la piazza”), con cadenza ciclica la società civile armena fa sentire la propria voce. È quasi fisiologico, avviene in ogni Stato del mondo (per lo meno laddove sia concesso manifestare) e non deve scandalizzare. Ognuno ha, deve avere, il diritto di

esprimere la propria opinione purché ciò avvenga in maniera pacifica, democratica e senza influenze esterne. Dopo le proteste per il parco Ma-shtots (2012), per l’aumento del biglietto dei bus (2013), per il caro bolletta elettrica (2015) arriva ora il dissenso per la riforma costituzionale che di fatto ha prolungato, sotto la forma del premierato, il governo di Serzh Sargsyan. Come Diaspora non possiamo che augurarci che l’Armenia e gli armeni ricordino sempre il percorso europeo e democratico che sono chiamati a compiere per far crescere uno Stato che deve ancora risolvere molti problemi soprattutto di natura economica e di organizzazione sociale.

trasporto Nord-Sud sono state aperte a dicembre 2015. La prima sezione che va da Yerevan a Artashat è diventata una strada a sei corsie, mentre la seconda sezione che va da Yerevan ad Ashtarak è diventata una strada a quattro corsie. Il corridoio di trasporto si estenderà dalla città armena meridionale di Meghri, al confine con l'Iran, a Bavra, nel nord al confine con la Geor-gia. Il corridoio di trasporto nord-sud consentirà all'Armenia di mitigare gli effetti del blocco impo-sto dall'Azerbaigian e dalla Turchia. NAZIONALE DI CALCIO Vardan Minasyan è il nuovo allenatore della nazionale di calcio dell’Armenia. Prende il posto del dimissionario Arthur Petrosyan. Minasyan ha già guidato la rappresentativa armena dal febbraio 2010 all’ottobre 2013, periodo nel quale ottenne i migliori piazzamenti nel ranking Fifa. Attualmente in classifica l’Armenia figura al 98° posto. LAGO SEVAN Il governo ha autorizzato per il 2018 il prelievo a scopo di irrigazione agricola di 170 milioni di metri cubi d’acqua dal lago Sevan. Il volume è di circa cento milioni di metri cubi inferiore rispetto all’acqua prelevata lo scorso anno. Il livello del lago è infatti al momento più basso rispetto sia al 2017 che al 2016; di qui la riduzione delle captazioni per raggiungere l’obiettivo dell’incre-

mento di 3,5 cm sul livello del mare del bacino lacustre. Oltre al Sevan ci sono altri cinque importanti bacini in Armenia: l’Akhuryan, l’Arpi Lich, l’Azata, il Marmarik e l’Apan-yan. PARLAMENTO TURCO Garo Paylan, deputato turco di origini armene appartenente al Partito Democratico del Popolo (HDP), ha presentato una risoluzione al parla-mento di Ankara incentrata sul riconoscimento del genocidio armeno. “Quale miglior luogo di questo per discutere di tale tema?” ha dichiarato il parlamentare che, nei mesi passati, è stato più volte minacciato dai colleghi per i suoi interventi in aula. BANCHE ARMENE Il primo trimestre del 2018 ha fatto registrare risultati molto positivi per le diciassette banche armene che operano nel Paese. Complessivamente la crescita dei profitti rispetto al medesimo perio-do dell’anno precedente è stata dell’87,2%. ATTIVITA’ ECONOMICA L’indice di attività economica in Armenia ha segnato nei primi tre mesi dell’anno un +10,6% rispetto al primo trimestre del 2017. Tutti i settori sono in crescita: produzione industriale (8,2%), i servizi (16,5%), il commercio interno (12,9), costruzioni (23%), agricoltura (2,2%). L’inflazione è al momento al 3,7%.

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Qui Armenia

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(segue dalla prima) ...obiettivo sia stato sostanzialmente raggiunto. E tuttavia un’affermazione del genere sarebbe inesatta e foriera di pericolose interpretazioni. In primo luogo, nessuna parola ‘fine’ potrà mai essere scritta fin tanto che la Turchia non avrà riconosciuto pubblicamente le responsabilità del passato, non avrà fatto ammenda, non avrà chiesto perdono per quell’orrore. “Io ricordo ed esigo” era lo slogan, sempre attualissimo, del centenario del genocidio: ricordare per non perdere la luce della Memoria, esigere per dare un senso a più di un secolo di rivendicazioni. Quando il nuovo sultano di Ankara nel 2015 si inventò in contemporanea con il 24 aprile le celebrazioni per ricordare la vittoriosa battaglia di Gallipoli, fu evidente a tutti che i turchi erano come un pugile all’angolo del ring, colpito e ferito, incapace di reagire. Guai tuttavia a considerare quel negazionismo come sconfitto! In secondo luogo, dobbiamo pensare alle nuove generazioni: i millenials, come sono definiti i ragaz-zi nati dopo il 2000, non devono perdere quella carica emotiva che ha animato, per decenni, i loro genitori e i loro nonni alla ricerca di verità e giustizia. Devono ‘sentire’ la commemorazione del genocidio come qualcosa presente nel dna di ogni armeno, non devono abbassare la guardia ed essere fagocitati dall’oblio o dall’assuefazione. Ricordare il 1915 non è solo un esercizio mnemoni-co ma anche e soprattutto un impegno politico e di coscienza. In terzo luogo, il 24 aprile deve essere ancor di più una data simbolo per i non armeni; il tema del genocidio deve ottenere un’ulteriore spinta nella comunicazione, nell’insegnamento didattico, nel comune sentire dell’opinione pubblica non armena. Per questo, e non solo, continueremo anno dopo anno a ricordare. È un impegno morale prima ancora che politico.

Bollettino interno edito da

comunitaarmena.it

Contatti: [email protected]

QUESTA PUBBLICAZIONE E’ EDITA CON IL FAVORE DEL

MINISTERO DELLA DIASPORA

il numero 263 esce il

1 maggio 2018

La pagina dedicata a l Nagorno Kara-bakh è real izzata in col laborazione

con:

www.karabakh. i t

Informazione quotidiana

in ital iano sul l ’Artsakh

Io esisto.

Sono italiana. È un dato di fatto. In tutti i miei documenti è scritto che io sono italia-na. Sono italiana. È una mezza verità. L'altra metà dice che io sono armena. Ma questo non è scritto in nessun documento. 103 anni fa è accaduto qualcosa, qualcosa che sembra non sia accaduto per qualcuno. È accaduto che circa 1,5 milioni di armeni sono stati uccisi. E questo è un fatto, come che io sono italiana. Non mi importa come viene chiamato: genocidio, massacro, spedizione punitiva, omi-cidio di massa.. davvero, non mi importa. Ciò che mi importa invece è che ognuno ammetta le proprie colpe. Mi importa che 1,5 milioni di persone non vengano dimenticate. Dimenticarsi di loro significa dimenticare gli armeni. Invece noi siamo qui per dimostrare che non molleremo. Perché io sono armena, e io esisto. (LA)