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vol. 56, n. 2, aprile-giugno 2012

SISTEMA SALUTELA RIVISTA ITALIANA DI EDUCAZIONE SANITARIA

E PROMOZIONE DELLA SALUTEgià Educazione Sanitaria e Promozione della Salute

Sistema Salute. La Rivista Italiana di Educazione Sanitaria e Promozione della Salute è Organo del Centro sperimentale per l’educazionesanitaria dell’Università degli studi di Perugia. Già diretta da Alessandro Seppilli

Direzione e Redazione: Centro sperimentale per l’educazione sanitaria, Università degli studi di Perugia, via del Giochetto 6, 06126 Perugia / tel.:075.5857357-56-55 - fax: 075.5857361 / e-mail: [email protected] / www.unipg.it/csesi

Direttore responsabile: Filippo Antonio Bauleo, Azienda Sanitaria n. 2, Regione Umbria

Presidente del Comitato scientifico: Maria Antonia Modolo, Università degli studi di Perugia

Redattore capo: Lamberto Briziarelli, Università degli studi di Perugia

Segretario di redazione: Paola Beatini, Università degli studi di Perugia

Autorizzazione del Tribunale di Perugia n. 4 del 17 febbraio 2012

Comitato scientifico: Bruno Benigni, Centro di promozione per la salute “Franco Basaglia” (Arezzo) / Mario Bertini, Società italiana di psicologiadella salute, già professore di psicologia, Sapienza Università di Roma / Francesco Blangiardi, Società italiana di igiene, medicina preventiva esanità pubblica, Dipartimento di prevenzione AUSL n. 7 della Sicilia (Ragusa) / Sabrina Boarelli, Ufficio scolastico regionale per l’Umbria /Antonio Boccia, Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica, professore di igiene, Sapienza Università di Roma / FrancescoBottaccioli, Società italiana di psiconeuroimmunologia (Roma) / Lamberto Briziarelli, già professore di igiene, Università di Perugia / AntonioCappelli, Centro italiano ricerca sui servizi sanitari e sociali (Roma) / Carla Collicelli, Fondazione CENSIS (Roma), professore di sociologia dellasalute, Sapienza Università di Roma / Paolo Contu, professore di igiene, Università di Cagliari / Michele Conversano, Società italiana di igiene,medicina preventiva e sanità pubblica, Dipartimento di prevenzione ASL Taranto / Giorgio Cosmacini, professore di storia della medicina,Università Vita-Salute San Raffaele (Milano) / Claudio Cricelli, Società italiana di medicina generale / Barbara D’Avanzo, Dipartimento dineuroscienze, Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” (Milano) / Paola Di Nicola, professore di sociologia dei processi culturali ecomunicativi, Università di Verona / Floriana Falcinelli, professore di didattica generale e tecnologie dell’istruzione, Università di Perugia / CarloFavaretti, Health promoting hospital & health services network, Azienda ospedaliera-universitaria “Santa Maria della Misericordia” (Udine)/ Luigi Ferrannini, Società italiana di psichiatria, Dipartimento di salute mentale, ASL n. 3 della Liguria (Genova) / Irene Figà-Talamanca, giàprofessore di igiene, Sapienza Università di Roma / Salvatore Geraci, Area sanitaria della Caritas Diocesana Roma / Mariano Giacchi, professoredi igiene generale e applicata, Università di Siena / Guido Giarelli, European society for health and medical sociology, professore di sociologiagenerale, Università Magna Graecia (Catanzaro) / Margherita Giannoni, professore di economia sanitaria, Università di Perugia / Marco Ingrosso,professore di sociologia generale, Università di Ferrara / Domenico Lagravinese, Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica,Dipartimento di prevenzione ASL Bari / Gavino Maciocco, Osservatorio italiano sulla salute globale, professore di politica sanitaria internazio-nale, Università di Firenze / Maurizio Mori, già professore di medicina di comunità, Università di Perugia / Aldo Morrone, Istituto nazionale perla promozione della salute delle popolazioni migranti ed il contrasto delle malattie della povertà, Roma / Pio Enrico Ricci Bitti, Società italianadi psicologia della salute, professore di psicologia generale, Università di Bologna / Walter Ricciardi, European public health association,professore di igiene generale e applicata, Università Cattolica del Sacro Cuore (Roma) / Paola Rivosecchi, professore di metodologia epidemiologicae igiene, Università di Perugia / Roberto Romizi, Associazione internazionale dei medici per l’ambiente / Tullio Seppilli, già professore diantropologia culturale, Università di Perugia, Fondazione Angelo Celli per una cultura della salute (Perugia) / Paolo Siani, Associazioneculturale pediatri, Ospedale Cardarelli (Napoli) / Gianfranco Tarsitani, professore di igiene, Sapienza Università di Roma / Maria Teresa Tenconi,professore di igiene, metodologia epidemiologica e medicina di comunità, Università di Pavia / Maria Triassi, professore di igiene generale eapplicata, Università Federico II di Napoli / Enrico Tempesta, Osservatorio permanente giovani e alcol, Roma / Maria Giovanna Vicarelli,professore di sociologia dei processi economici e del lavoro, Università Politecnica delle Marche (Ancona) / Mauro Volpi, professore di dirittocostituzionale, Università di Perugia.

Comitato di redazione: Sandro Bianchi, Associazione culturale pediatri (sezione Umbria)/ Sabrina Flamini, Fondazione Angelo Celli per unacultura della salute (Perugia) / Patrizia Garista, Università di Perugia / Giuseppe Masanotti, Università di Perugia / Liliana Minelli, Universitàdi Perugia / Giovanni Paladino, Università Federico II di Napoli / Damiano Parretti, Società italiana di medicina generale (sezione Umbria) /Enrico Petrangeli, Fondazione Angelo Celli per una cultura della salute (Perugia) / Maria Saba Petrucci, Università di Perugia / GiancarloPocetta, Università di Perugia / Carlo Romagnoli, ASL n. 2 dell’Umbria / Francesco Scotti, Gruppo tecnico interregionale per la salute mentale,Regione Umbria / Francesco Tullio, Associazione internazionale dei medici per l’ambiente (sezione Umbria).

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In questo numero

Salute mentale e servizi per la salute mentaleFrancesco Scotti

Disuguaglianze sociali e salute mentaleFrancesco Amaddeo, Valeria Donisi

L’approccio basato sulle evidenze in salute mentale: na-vigazione a vista tra entusiasmo e scetticismoAngelo Barbato

La crisi economica: rischio e opportunità per il Diparti-mento di Salute MentaleLucio Ghio, Paolo F. Peloso, Luigi Ferrannini

I modelli regionali nelle politiche di salute mentaleMauro Percudani,Giorgio Cerati, Andrea Angelozzi,Gruppo di Lavoro S.I.P.

I livelli essenziali di assistenza (LEA) per la salute mentaleBruno Benigni

Il ruolo dei Servizi Specialistici e delle Cure Primarie nellaassistenza ai pazienti con disturbi mentaliFabrizio Asioli

Il sistema informativo come strumento di valutazionedella qualità della cura nei servizi di salute mentaleAntonio Lora

Ricerca e pratiche innovative nei servizi di salute menta-le: il recovery movementElisabetta Rossi

Nati per leggere e lo sviluppo del bambinoSandro Bianchi, Corrado Rossetti, Giulia Mancini

Il contributo dei familiari a una politica di salute mentale.Intervista di Francesco Scotti a Ernesto Muggia, fonda-

Editoriale

Saggi

Intervista

Indice vol. 56, n. 2, aprile-giugno 2012

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vol. 56, n. 2, aprile-giugno 2012 Sommario

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Ricerche

Recensioni

Schede

Documenti

Notiziario

tore dell’Unione nazionale delle associazioni per la salutementale (UNASaM)

Benessere Psicologico e comportamenti a rischio in ado-lescenzaManuela Zambianchi, Pio E. Ricci Bitti

Il fattore stress lavoro-correlato come determinante del-l’ipertensione essenzialeSonia Rosaria Petrosino, Oreste Caporale, RossellaBellopede, Fabio Savoia, Annunziata Germano, Fran-cesca Galdo, Maria Triassi

Salute mentale e sviluppo: una rassegna dei programmi edei documenti del WHO

IX Conferenza Europea dell’Unione Internazionale per laPromozione della Salute e l’Educazione Sanitaria (IUHPE),Tallin (Estonia), 27-29 settembre 2012, Health andQuality of Life – Health, Economy, Solidarity / All Inclu-sive Public Health, V Conferenza Europea EUPHAEuropean Public Health Association, Malta, 7-10 No-vembre 2012 / La Prevenzione e la Sanità Pubblica alservizio del Paese: l’igienista verso le nuove esigenze disalute. XLV Congresso Nazionale della Società Italianadi Igiene Medicina, Preventiva e Sanità Pubblica - SantaMargherita di Pula (CA), 3-6 ottobre 201 / MONDO CSES:ATTIVITÀ FORMATIVE DEL CSES, Master di I Livello, Pro-gettazione, Coordinamento e Valutazione di interventi in-tegrati di promozione ed educazione alla salute / Edizio-ne 2013 / Corsi ECM: Storie di leadership (12-14 settem-bre 2012) / Il counseling nutrizionale (17-20 settembre2012) / MONDO CIPES: DALLA CIPES TOSCANA RICEVIAMO EVOLENTIERI PUBBLICHIAMO

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Sisteoa Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 2, aprile-gugno 2012

Sistema Salute, 56, 2, 2012: pp. 149-150

IN QUESTO NUMERO

Con il passaggio a “Sistema salute. La rivi-sta di Educazione Sanitaria e Promozionedella Salute”, il nostro periodico ha volutosegnare un allargamento a tutto campo del-lo spettro di tematiche e di culture che oggipopolano il sempre più complesso mondodella sanità, oscillante tre le spinte ultras-pecialistico-ipertecnologiche e la necessitàdi una ricomposizione olistica, accanto aresidui corporativi e settoriali che conflig-gono con le necessità di una maggiore inte-grazione.Nel primo anno dell’esperimento, abbiamocosì voluto esplorare, in forma sostanzial-mente monografica – pur conservando pernecessità di accreditamento la struttura pre-esistente – alcuni terreni in cui globalmen-te si riuniscono saperi e professioni diverse,si confrontano i ricercatori e gli operatoridi campo, tentando di obbligarli, tutti, a

connettersi con la filosofia e la pratica dellaPromozione della salute e dell’Educazionealla salute.In questo numero è la volta della salute men-tale, un settore assai delicato dell’interven-to sanitario non ancora giunto – secondol’opinione dei più – ad un livello soddisfa-cente di risposta rispetto ai bisogni crescenti,sia sul piano più strettamente assistenzialeche in quello della prevenzione, certamentein regressione rispetto alle luminose aspet-tative create con la grande rivoluzione psi-chiatrica iniziata da Basaglia e le opzionirealizzate in diverse regioni italiane, con idiscorsi sull’igiene mentale e la creazionedi servizi territoriali di diagnosi e cura.Si confrontano così opinioni ed esperienze,operatori di campo e ricercatori, esperti dellacomunicazione e dell’organizzazione sani-taria che concentrano la loro attenzione nei

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 2, aprile-gugno 2012

diversi campi di azione. I servizi con diver-si approcci, il peso delle strutture sociali edell’economia, le politiche regionali occu-pano lo spazio maggiore; due riferimentisono dedicati specificamente a tre fasce dietà per azioni di promozione della salute,l’infanzia, l’adolescenza e quella del lavoro.

Il discorso è aperto per ulteriori contributi,come auspica nel lungo ed articolato edito-riale uno degli operatori che hanno in pri-ma persona contribuito alla lotta per la ri-forma della psichiatria.Concludono il fascicolo le rubriche usuali.

In questo numero

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Sistema Salute, 56, 2, 2012: pp. 151-157

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 2, aprile-gugno 2012

Editoriale

Salute mentale e servizi per la salute mentaleMental health and mental health services

Francesco Scotti

Il tema della salute mentale, benché centralenel dibattito scientifico, non si presta oggi néa bilanci né a esplorazioni esaustive. Pertantoquesto numero monografico di “Sistema salute.La rivista italiana di educazione sanitaria e pro-mozione della salute” sarà dedicato ad illustrar-ne gli aspetti problematici in modo da aiutareil lettore ad orientarsi rispetto alle opinioniche circolano e ai dati di ricerca disponibili enon essere così troppo disturbato dallaperentorietà con cui i punti di vista sono tal-volta presentati come definitivi in una mate-ria la cui complessità non ha bisogno di esseresottolineata. E’ necessario un sano relativismoin un’epoca di grandi cambiamenti e di pochesperanze. Così è il presente mentre quando laproblematica della salute mentale è balzataalla ribalta vi era, in Italia, un clima domina-to da grandi speranze di cambiamento. Nonci dedicheremo però ad una rievocazione sto-rica anche se sarà necessario porre attenzioneall’uso che alcune organizzazioni hanno fattodel termine di salute mentale per rappresen-tarsi, come ad esempio i Dipartimenti di salutementale che sono le strutture portanti della

nuova assistenza psichiatrica in Italia.Fin dalla Legge 180 del 1978 il Dipartimento èla forma organizzativa in cui sono collocatigli interventi e i servizi dedicati alla cura deidisturbi psichici, con l’obiettivo di superare iconfini tradizionali tra territorio ed ospedale.Nelle leggi successive, compreso il Progettoobiettivo nazionale tutela salute mentale 1994-96,e quello 1998-2000, e nella legislazione regio-nale, questo principio viene ribadito e codifi-cato. Il Dipartimento di salute mentale assi-cura la programmazione, la gestione unitaria,il coordinamento di più servizi in un bacino diutenza stabilito. Esso mette insieme attivitàdiverse tra loro per garantire la continuità dellacura del paziente quando debba passare da untipo di istituzione ad un’altra, dal ricoveroospedaliero alla residenza o all’ambulatorio;per facilitare il collegamento tra programmidi prevenzione, di cura e di riabilitazione; perorganizzare la risposta più precoce, più rapida(anche nelle condizioni di urgenza), più effica-ce, mantenendo il più possibile i pazienti nel-la comunità; infine per garantire equità nel-l’uso delle risorse e nell’accesso alle cure.

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Ma opererebbe male chi volesse trasformarel’indicazione di realizzare una unità dei servizinella pretesa di una totalità degli interventi,ovvero nella delega completa della salutementale ai Dipartimenti. Per impedire que-sto errore va subito detto che la salute menta-le non è monopolio dei Dipartimenti di salutementale. L’illusione che i Dipartimenti possa-no fare tutto ciò che la salvaguardia della sa-lute mentale richiede porta a un sicuro falli-mento.

Un tentativo di delimitare la salutementaleInnanzi tutto la salute mentale è da considerarsiun contenitore indefinito di ciò che vi metto-no dentro non gli specialisti ma gli uomini ele donne di una certa epoca, in un certo regi-me politico, nella cultura di una certa società.E’ più facile definirne i confini che non i con-tenuti: confina con l’idea di benessere in gene-rale se non proprio con quella di felicità; contutto il campo della sofferenza umana, di qua-lunque natura sia; con le aspirazioni di un po-polo o di un gruppo particolare; con le areeoperative in cui si cerca di dare più anni allavita (ma anche più vita agli anni); confina conquella parte della vita individuale einterpersonale in cui i conflitti psicologici di-ventano distruttivi. Tenendo conto di questadifficoltà “geografica”, e anche per sfuggire aduna ulteriore riflessione filosofica che ci allon-tanerebbe indefinitamente dalla operatività, èmeglio usare il termine salute mentale per indi-care la prospettiva in cui guardare molto diciò che viene fatto nel campo della medicinaper salvaguardare la salute, ma anche di ciòche deriva dall’organizzazione sociale e dal suogoverno, dall’uso delle risorse, dalle limita-zioni imposte dalle leggi o dalle consuetudini.Questo ci dice che dobbiamo valutare la salu-te mentale non solo in termini sanitari maanche extrasanitari, facendo riferimento a tutto

ciò che incide sul benessere delle persone eprecisamente, per restringere il campo, quellaparte del benessere che è connesso agli affetti,alle emozioni, ai desideri, alle motivazioni deisingoli. Con questa precisazione rinunziamo auna visione quantitativa per privilegiarne unaqualitativa, in cui è centrale l’equilibrio tra lasoddisfazione dei bisogni che sono connessi allosviluppo individuale e quelli che dipendonodalla relazione con gli altri.Per penetrare più a fondo la questione dellasalute mentale è utile far riferimento alle po-sizioni dell’O.M.S. nei cui documenti trovia-mo alcuni principi particolarmente importanti:- la salute mentale è una componente essen-

ziale della salute in generale;- la salute mentale deve essere guardata come

parte costitutiva di una equazione dello svi-luppo sociale;

- l’integrazione tra tutti i livelli di interven-to sanitario è fondamentale per ottenerebuoni risultati in questo campo;

- infine, la salute mentale non è solo fruttodella mancanza di malattie psichiche, maqualcosa in più.

Questo “qualcosa in più”, che è connesso allaqualità della vita, ci obbliga ad una visionepluridimensionale dell’efficacia dei sistemi sa-nitari, della loro capacità di neutralizzare lemalattie con le sofferenze che esse portano aimalati ed anche ai loro familiari, in particola-re le malattie mentali.L’OMS ha messo la salute mentale fra le suepriorità a seguito di allarmanti rapporti sulpeso psicologico, affettivo, economico delledisabilità sulle famiglie, sulle comunità e suisistemi sanitari. Le malattie mentali, da sem-pre ultime negli investimenti economici deisistemi sanitari di tutti i paesi, passano in pri-mo piano e conseguentemente richiedono piùseri investimenti da parte dei governi. Non sitratta solo di investimenti economici ma deifrutti di strategie politiche attente alla difesa

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di un bene collettivo come la salute in generee, in particolare, la salute mentale. Le malat-tie mentali non sono quelle più diffuse, masono certamente quelle caratterizzate da unaltissimo grado di invalidità e che comporta-no il più alto carico assistenziale, con graviconseguenze sulla salute mentale delle perso-ne malate, ma anche di coloro che sono desti-nati a farsene carico nella comunità o che sem-plicemente ci convivono.L’adozione di un simile orizzonte permetteanche di superare la disputa, che si è sviluppa-ta qualche tempo fa, se i Dipartimenti cheaccoglievano i diversi servizi dovessero chia-marsi di salute mentale o di psichiatria. E’ ine-vitabile che l’idea di salute mentale ci riman-di a quella di malattia mentale e di disturbopsichico. A questo pensiamo come causa pri-ma di sofferenza psichica: una minaccia permolti, un prezzo che l’umanità deve pagareforse proprio in relazione al processo diominizzazione, aggravata dalle cattivesocializzazioni. La cura dei disturbi psichici edelle malattie mentali non esaurisce i compitidella salute mentale. Ma dall’attenzione postaalla salute mentale e alla sua promozione na-sce un modo nuovo di fare psichiatria.

Salute mentale e psichiatriaChe cosa significa fare psichiatria nella pro-spettiva della salute mentale? In sostanza im-pedire che gli interventi psichiatrici danneg-gino le persone. Innanzi tutto impedire inde-biti processi di psichiatrizzazione: che atteg-giamenti, modi di vivere, modi di reagire agliavvenimenti manifestati da un singolo, giudi-cati incomprensibili o non accettabili da chistabilisce e governa le regole del gioco socia-le, attivino indebitamente sospetti di malat-tia mentale e spingano a “curare” il soggettostigmatizzandolo, isolandolo, manipolandolo.Ci sono fasce di popolazione maggiormenteesposte a questo rischio: bambini, anziani, sog-

getti appartenenti a minoranze etniche o reli-giose. In questi soggetti occorre impedire chedifficoltà legate alla solitudine, all’isolamen-to, a deficit di apprendimento o disocializzazione, vengano ascritte a colpa delsoggetto e curate con una qualche forma dimarginalizzazione che ha inevitabilmentecome conseguenza l’esclusione dalla conviven-za sociale. Si tratta poi di impedire che la pre-tesa di curare il disturbo favorisca la suacronicizzazione: il che accade quando si usanomodi inappropriati di cura, ad esempio prati-cando una lunga contenzione farmacologica,oppure obbligando il paziente a unasocializzazione marginale, come quella che sicrea in comunità artificiali senza osmosi conla vita reale. Non dobbiamo dimenticare cheil luogo esemplare di cronicizzazione delle ma-lattie mentali è stato il manicomio, nonostantei tentativi di redimerlo battezzandolo con ilnome di ospedale psichiatrico.La lotta al manicomio è stata attivata in se-guito a un doppio scandalo: quello che scatu-risce dalla constatazione del mancato rispettodella dignità umana nelle “istituzioni totali” equello che deriva dalla inefficacia del regimepresunto terapeutico quale veniva praticatonella realtà asilare (anzi di più: dalla constata-zione che il manicomio produceva malattiepsichiche artificiali, le cosiddette nevrosi istitu-zionali).Ne è nata una nuova pratica psichiatrica cheha cercato, non sempre e dovunque con la stes-sa fortuna, di mettere a disposizione della to-talità dei cittadini le cure migliori, scientifi-camente validate; una psichiatria rinnovata cheha affidato la propria credibilità anche alla de-finizione, e alla messa in atto, delle condizio-ni che rendono possibile la cura. Ogni cura didisturbi psichiatrici seri è di lunga durata. Nonè pensabile mandare il paziente che ne soffrein esilio da qualche parte per rendere più faci-le la cura. Al ritorno nella vita normale egli

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sarebbe un disadattato. E’ in una vita normaleche va mantenuto e sostenuto per sperimen-tare e utilizzare i buoni risultati della cura.Quando si dice che la cura deve essere orien-tata alla guarigione del paziente si dice tuttoquesto oppure si declama uno slogan di cuipresto sperimenteremo la vacuità. In questaprospettiva guarigione non è un valore ispira-to a un modello neurofisiologico. Non è larestituito ad integrum ma rappresenta un equili-brio tra le tre istanze, quella biologica, quellapsicologica e quella sociale, con le quali l’indi-viduo continuamente si confronta.

Necessità di sinergie dell’intero siste-ma sanitario per far fronte ai proble-mi di salute mentaleTutte le ricerche convergono sull’affermazio-ne che il bisogno psichiatrico sommerso sianotevolmente più alto di quello conosciuto eche di quest’ultimo solo una piccolissima par-te venga presa in carico dai servizi territorialidi salute mentale. Nessuno pensa che in tem-pi brevi sia possibile trovare le risorse finan-ziarie e professionali per rimediare a questasproporzione. Quindi non rimane che miglio-rare la collaborazione tra tutti i servizi sanita-ri e la interazione tra gli operatori la cui pro-fessionalità è dedicata alla salvaguardia dellasalute, in particolare tra medicina generale egli specialisti in psichiatria al fine di favorirelo svelamento del bisogno psichiatrico occul-tato, la possibilità di affrontarlo più precoce-mente (e quindi con più speranza di successo)accrescendo la quantità e la qualità delle ri-sposte che i medici di medicina generale giàforniscono, e non solo nell’ambito dei disturbiaffettivi comuni che sono oramai consideratidi loro competenza. Con ciò si conseguireb-bero anche altri vantaggi:1. favorire una continuità della presa in carico

(dalla quale dipende una quota non piccoladel successo terapeutico);

2. garantire un approccio unitario nella curadella persona (è noto che chi soffre di di-sturbi psichici seri tende a trascurare il pro-prio stato di salute generale o non vienepreso sul serio quando denuncia sintomiorganici: quindi va incontro a rischi mag-giori che incidono sulla speranza di vita esulla qualità dell’esistenza);

3. ridurre il rischio di un etichettamentostigmatizzante che spesso tiene lontano ipazienti dai servizi psichiatrici.

I problemi sottesi alla utilizzazione della retesanitaria di base per raggiungere obiettivi disalute mentale sono enormi, in termini dimotivazione professionale, di formazione, diorganizzazione della pratica; vanno aggiuntiquelli connessi alla necessità di assicurare aimedici di base, in tempi reali, una disponibi-lità di consulenza e, ove necessaria, la colla-borazione da parte dei servizi psichiatrici.

Salute e dirittiTutto ciò che è accaduto nel rinnovamentodella psichiatria, e il movimento per la salutementale che ne è scaturito, ci ha obbligato adaffrontare in modo più chiaro il problema deidiritti del cittadino malato. Paradossalmenteciò è avvenuto proprio nel momento in cui siponeva la questione (che poi è stata normatadalla Legge 180 del 1978) se e come il dirittodel cittadino, sancito dalla Costituzione italia-na, all’autonomia nelle scelte riguardo allapropria salute e alla propria vita, potesse tro-vare un limite nella presenza di disturbipsichici. La soluzione che è stata formulata èuna sorta di compromesso tra le due istanzeopposte, della negazione di ogni diritto al cit-tadino malato di mente (quale era realizzatadalla legge del 1904 abrogata nel 1978), e del-l’affermazione di una irrilevanza dello statomentale sulla possibilità di agire da parte delcittadino. E’ una soluzione che ha scontentatomolti e ha attivato vari tentativi di revisione

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legislativa che non sono riusciti, almeno finoad ora, a far regredire il sistema italiano Apartire dalle innovazioni giuridiche che hannoportato in primo piano il diritto alla libertà eil diritto alla salute, si è sviluppato un movi-mento che ha portato l’attenzione su tutti idiritti di cittadinanza (che lo stato di malat-tia, somatica o psichica, può rendere menoesigibili - diritto al lavoro, diritto alla casa,all’educazione, ecc. - ) per invertire la tenden-za e favorire l’empowerment del paziente.La questione dei diritti del malato è affrontatadi solito dagli operatori della sanità in termi-ni etici, che è già un passo avanti rispetto al-l’affrontarla all’interno di una medicina difen-siva (in cui si chiede il consenso del pazienteper neutralizzare la sua possibilità di rivalsanel caso che le faccende non vadano nel versoauspicato). Varrebbe la pena di riflettere sulfatto che il rispetto dei diritti non solo rendedignità umana alla persona, ma anche incidesull’efficacia delle prestazioni perché non è af-fatto vero, o almeno non lo è per la psichia-tria, che una eccessiva attenzione alla sogget-tività del paziente danneggi l’efficienza deiservizi e l’efficacia degli interventi. Anzi è veroproprio il contrario: il rispetto dei diritti inci-de positivamente sulla motivazione alla cura,sulla collaborazione con il curante. E’ il rispettodei diritti, sostanziale e non solo formale, checontribuisce a smontare quell’atteggiamentodifensivo, assunto dal paziente, che fa del si-stema di cure un nemico che bisogna combat-tere, o sfruttare a proprio vantaggio, perchénon ci si può fidare.

Nuovi bisogni nella salute mentaleUna delle sfide che il sistema della salute men-tale deve affrontare, anche lì dove ha raggiun-to un buon livello di efficienza e di efficacia, èl’adattamento al nuovo: cambiano le condi-zioni sociali, oltre a cambiare, in questi anniin peggio, l’attenzione che il sistema politico

riserva alla salute riducendo le risorse ad essadestinate; cambiano le richieste che la societàfa ai servizi (il mandato che spesso coincidecon una delega totale, finalizzata spesso adobiettivi che i professionisti sentono estraneialla propria etica, come quando si pretendonodai servizi di salute mentale garanzie per lasicurezza sociale); cambiano i modi di accede-re ai servizi e di utilizzarli; cambia infinel’epidemiologia, la prevalenza e l’incidenzadelle diverse patologie, a causa della diversacomposizione della popolazione (riduzionedelle nascite, aumento dell’età media) e a cau-sa dei cambiamenti negli assetti familiari, deirapporti tra le generazioni.La modificazione dello spettro epidemiologi-co richiede che le risorse disponibili siano ri-distribuite per far fronte anche alle nuove pro-porzioni con cui le diverse patologie si pre-sentano. Ma, per fortuna, in questo caso nonsono necessarie conoscenze nuove da acquisi-re, se non quelle che permettono una più dut-tile utilizzazione dell’ingegneria organizzati-va. Diversa è la questione quando emergononuovi bisogni per la soddisfazione dei qualisono essenziali competenze di psichiatria e disalute mentale non ancora disponibili. E’ ne-cessaria nuova ricerca e nuova formazione; maè necessario anche inventare una nuova strate-gia perché i nuovi bisogni possono dar segnodi sè nascosti in domande vecchie. I nuovi bi-sogni non essendo riconosciuti e soddisfatti simanifestano in problematiche più generali,quelle legate alla conflittualità familiare, allaviolenza subita o agita, alla sicurezza sociale ecosì via, in cui si manifestavano anche i vec-chi bisogni. Queste situazioni conflittuali van-no interpretate correttamente per coglierne lavera essenza senza fornire risposte stereotipeche rapidamente si dimostrano inefficaci. Laprima difficoltà riguarda la loro intercettazio-ne: chi, dove, come. Il che richiede una nuovacultura ma anche una nuova organizzazione.

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Salute mentale e servizi per la salute mentale156

Fino ad ora la scoperta dei nuovi bisogni haportato ad una moltiplicazione di servizi, cia-scuno dei quali si specializza nella diagnosi enel trattamento di qualcosa che si manifesta aprima vista come specifico: disturbi del com-portamento alimentare, dipendenze da nuovesostanze illegali, dipendenza dal gioco, pato-logia di soggetti in cui il disturbo psichiatricosi accompagna alla dipendenza da sostanze (cosìdetti soggetti a “doppia diagnosi”), depressio-ne in età geriatrica, manifestazioni psichiatri-che dei migranti. In tal modo la moltiplica-zione delle tipologie di risposta e dei luoghi dierogazione comporta il rischio di reduplica-zioni delle prestazioni, costruzione di percorsiparalleli, usati in modo ripetitivo: la realtà vie-ne coperta con segmenti sempre più piccoliche lasciano poi inevitabilmente scoperti ampisettori di bisogni (soprattutto quelli non an-cora classificati). Il rischio dei nuovi servizi èche la specializzazione li porti fuori di una lo-gica di rete, rinunziando con ciò al vantaggiodi utilizzare collaborazioni disponibili nel casoche si debbano affrontare situazioni multi pro-blema, in particolare quelle in cui si riscontraun forte condizionamento della patologia edelle cure da parte di fattori sociali (povertà,marginalità, deprivazione), e rinunziando al-l’uso del “capitale sociale” ancorato a un certoterritorio. Un altro fenomeno di cui ci si èaccorti affrontando i bisogni in termini di sa-lute mentale è che la logica di rete si trovafacilmente in concorrenza con la logica che fadominare, nel funzionamento dei servizi, laprofessionalità legata a competenze speciali-stiche sempre più differenziate. Succede rego-larmente che lì dove si manifesta la necessitàdi maggiore competenza specialistica si atte-nui l’attenzione alla logica di rete; lì dove lalogica di rete è più forte i professionisti si sen-tano poco motivati ad accrescere la propriacompetenza specifica. Evidentemente non èfacile nella pratica combinare le due logiche

che a priori sembrerebbero perfettamente con-ciliabili, con un po’ di buona volontà.

Cura e condizioni di vitaL’espressione “curare e prendersi cura” dovrebbeservire a conciliare i due aspetti complemen-tari della terapia e delle condizioni che rendo-no praticabile la terapia, riassumendo sottodue denominatori comuni tutte le moltepliciprestazioni della rete dei servizi di salute men-tale e l’organizzazione che li rende fruibili. Perqueste sue particolarità la salute mentale è pereccellenza dipendente da una gestione pubbli-ca, sensibile a tutte le vicende della sanità pub-blica, soprattutto quando essa si presenta inritirata. Ha bisogno, in altre parole, di unarisorsa sociale che è quella amministrata inprima istanza dalla politica. Qualcuno dirà cheè un segno di debolezza, della salute mentalee della psichiatria, l’aver bisogno della politi-ca, dell’assenso della società civile, dellamobilizzazione delle istituzioni per sopravvi-vere. La risposta è che la psichiatria non puòcontare sull’eco pubblicitaria delle tecnologiesanitarie che fanno miracoli, è poco visibileanche se riguarda tutta la società, ma ha biso-gno di una grande sensibilità sociale, ha biso-gno – soprattutto in un periodo di scarsità dirisorse – di un grande coordinamento tra so-ciale e sanitario (l’efficacia delle cure dipendespesso dalle condizioni di vita in cui esse sonodisponibili), ha bisogno non di una concorren-za che stimolerebbe solo risposte eccellenti perpochi, ma di una integrazione che metta a di-sposizione un insieme di interventi dispensabilia tutti, offerto da personale motivato, e nonsolo incentivato economicamente, sostenutoda un riconoscimento sociale dell’importanzadel proprio lavoro.

Promozione della salute: dove bisognaandare a incidere?Sono state così esposte le considerazioni che

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Francesco Scotti 157

hanno portato alla costruzione di questo nu-mero. Non vi è stata la preoccupazione di esau-rire la vastissima problematica della salutementale ma solo di stimolare alcune prese diposizione in modo da favorire una riflessioneche non sia riservata agli addetti ai lavori. In-fatti è necessario collocare questa riflessionenella prospettiva della promozione della salu-te, il cui concreto esercizio suscita problemiconnessi alla presenza dei servizi, all’accessoad essi e al loro uso.Ci sono indubbiamente stili di vita che inci-dono in modo negativo sulla salute mentale.In particolare l’uso e l’abuso di sostanze stu-pefacenti e di alcol mettono a dura prova l’equi-librio psichico e le prestazioni relazionali del-le persone, con gli effetti più deleteri in etàgiovanile. D’altra parte sperimentiamo sem-pre più spesso i fattori di stress legati ai ritmie alla qualità della vita quotidiana. Si attivanoanzi circuiti viziosi in cui il bisogno di sottrar-si ai fattori di stress favorisce stili di vita dan-nosi e l’abuso di sostanze. I servizi cercano diinterrompere questi circoli viziosi, o almenodi limitarne i danni. Ma mentre si svolge que-sto inseguimento a ostacoli, a rendere più com-plessa la promozione della salute, comparequella che potremmo considerare una vera mu-tazione antropologica. Nel mondo globaliz-zato si trovano sempre meno persone che siconfrontino con una domanda sulla propriaresponsabilità e sempre più persone ossessio-nate dalla valutazione della propria adegua-tezza alla vita e alle prove che in essa si rinno-vano. Nella fenomenologia psicopatologicaquesto si manifesterà con una minore com-parsa di sentimenti di colpa più o menosopportabili e con un maggiore rischio che l’an-sia sia scatenata dalla dominanza di una insi-curezza di fondo. Tutto ciò ha ricadute sui modiin cui si manifesta la sofferenza psichica e sul-le tecniche che i singoli, le famiglie, i gruppi,

le comunità più estese, adottano per difender-sene.Oggi il discorso, che viene sviluppato per unapromozione della salute, sembra trovare le sueradici antropologico psichiatriche concentran-dosi non tanto sulla patogenicità psichica deisistemi sociali (un tema centrale fino a qual-che anno fa quando vi era la speranza che unbuon sistema avrebbe eliminato la sofferenza)quanto invece sulla qualità dell’effettopatogeno: si pone attenzione alla direzione incui i diversi assetti culturali, i sistemi econo-mici e politici, i valori sociali, spingono lemanifestazioni patologiche, frutto comunquedi una fragilità individuale e interferiscono conla riparabilità dello stato di sofferenza. In que-sto cambio di prospettiva si modificano radi-calmente i parametri di valutazione che i ser-vizi della rete di salute mentale si trovano adusare per riconoscere la sofferenza mentale eper affrontarla correttamente.Nei mutamenti dell’approccio ai disturbipsichici riconosciamo i primi segni di reazio-ne, da parte dei servizi di salute mentale, inItalia, di fronte alle incertezze prodotte daquesti mutamenti. Essi si propongono di rin-forzare gli elementi di metodo della propriapratica e ciò avviene attraverso un maggioreimpegno nella continuità della presa in caricodel paziente, un approccio più efficace alla fa-miglia, una collaborazione più sistematica, finoalla forma di una alleanza, con il sistema dellecure primarie. Ove questa strategia non vieneapplicata, o salta per mutamenti organizzati-vi, legati alla riduzione delle risorse, o per ilvenir meno delle motivazioni che la sostene-vano, aumenta il rischio che le scissioni intro-dotte nel mondo del paziente portino a isolaresingoli fattori, favorendo indebite psichiatriz-zazioni del malessere personale e sociale chesi manifesta, nel modo più eclatante, con l’abu-so e il cattivo uso degli psicofarmaci.

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Saggi

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Disuguaglianze sociali e salute mentaleSocial inequalities and mental health

Francesco Amaddeo, Valeria DonisiDipartimento di Sanità Pubblica e Medicina di Comunità, Sezione di Psichiatria e Psico-logia Clinica, Università di Verona

Parole chiave: salute mentale, servizi per la salute mentale, deprivazione sociale, capitale sociale

RIASSUNTOBackground: l’interesse per gli effetti della povertà e delle disuguaglianze sociali sulla salute degli individuista sempre più diventando di primaria importanza. Molti economisti e sociologi hanno cercato di dare unadefinizione precisa del concetto di disuguaglianza. Tra queste, il concetto di “capacità”, suggerito daAmartya Sen, pone l’accento sui bisogni dell’individuo e per questo motivo è particolarmente adatto aglistudi nel settore della salute mentale.Obiettivi: obiettivo del saggio è descrivere i principali studi sulla disuguaglianza nell’ambito della salutementale.Metodologia: sono stati analizzati gli studi nazionali ed internazionali presenti nella letteratura scientifica emessi in relazione agli studi condotti in Italia dal nostro gruppo di ricerca. A partire dalla prospettiva di Sen,il concetto di disuguaglianza è stato approfondito in modo più ampio, considerando non solo la deprivazioneeconomica nell’area di vita dei pazienti, ma anche gli aspetti di frammentazione e coesione sociale nonchéle risorse in termini di social capital e accessibilità ai servizi.Risultati: tra le ipotesi esplicative della relazione tra status socio-economico e salute mentale, una suggerisceche la presenza di disturbi possa determinare profondi effetti nelle possibili traiettorie di vita, influendosulle opportunità di accedere a determinate posizioni lavorative e provocando forme di esclusione sociale(social selection). Una seconda ipotesi vede lo status socio-economico influenzare direttamente lo stato disalute (social causation). Le caratteristiche ecologiche della popolazione, misurate utilizzando un indicatoredi disuguaglianza socio-economica (SES), risultano associate con l’utilizzazione delle diverse forme diassistenza offerta dai servizi per la salute mentale. Nei modelli psichiatrici community-based, come quellopsichiatrico italiano, la ridotta accessibilità ai servizi è un ulteriore indicatore di disuguaglianza, per studiar-la è necessario considerare l’organizzazione spaziale e funzionale di tutte le componenti del sistema e la lorointerazione. La patologia mentale può, a sua volta, costituire un elemento di disuguaglianza come dimo-

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159Francesco Amaddeo, Valeria Donisi

IntroduzioneL’interesse per gli effetti della povertà e delledisuguaglianze sociali sulla salute degli in-dividui sta sempre più diventando di pri-maria importanza. Molti economisti e so-ciologi hanno cercato di dare una definizio-ne precisa del concetto di disuguaglianza edi povertà che fosse facilmente trasforma-bile in una misura di disuguaglianza socialee le teorie di riferimento sono diverse.La disuguaglianza viene usualmente misu-rata utilizzando variabili quali reddito, ric-

strano gli studi sulla mortalità dei pazienti psichiatrici.Conclusioni: Gli studi che utilizzano una prospettiva ecologica e sociologica sono utili per pianificare gliinterventi per la promozione della salute mentale e di prevenzione delle patologie psichiatriche.

Key words: mental health, mental health services, social deprivation, social capital

S U M M A RYBackground: the interest in the effects of poverty and social inequality on the health of individuals isincreasingly becoming of paramount importance. Many economists and sociologists have tried to give aprecise definition of the concept of inequality. Among these, the concept of “capacity”, suggested byAmartya Sen, focuses on the needs of the individual and for this reason it is particularly suitable for studiesin the field of mental health.Objectives: the aim of the study is to describe the most relevant studies on inequality conducted in the mentalhealth field.Methodology: international and national studies, from scientific literature, have been analysed and correlatedwith studies conducted in Italy by our research group. Moving from Sen’s perspective, a broader approachto inequality is considered, by exploring not only the economic deprivation in the area where patients livebut also social fragmentation and cohesion and resources like social capital and accessibility to services.Results: among the explanatory hypotheses of the relationship between socio-economic status and mentalhealth, one suggests that the presence of a disorder may result in profound effects in the possible paths oflife, thus impacting on the opportunities for access to certain job positions and causing forms of socialexclusion (social selection). A second hypothesis sees the socio-economic status as directly influencing thestate of health (social causation). The ecological characteristics of the population, measured using anindicator of inequality in socio-economic status (SES), are associated with the utilization of different formsof mental health care. In community-based mental health models, such as the Italian psychiatric services,reduced access to services is a further indicator of inequality, and to study it is necessary to consider thespatial and functional organization of all components of the mental health care system and their interaction.The mental illness can, in turn, be an element of inequality as shown by studies on the mortality ofpsychiatric patients.Conclusions: studies using an ecological and sociological perspective are useful for planning interventions topromote mental health and to prevent psychiatric disorders.

chezza e felicità (intesa in termini di utili-tà, cioè desideri o valore che ogni singoloindividuo assegna all’acquisizione di unbene, di un servizio o di uno stato di salu-te). Questo modo di misurare le disugua-glianze assume che potenzialmente la ridu-zione delle disuguaglianze si potrebbe otte-nere con una più omogenea distribuzionedel reddito e con una maggiore attenzioneai desideri o utilità degli individui che com-pongono la Società. Una critica a questo tipodi approccio (utilitaristico) è stata mossa da

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Disuguaglianze sociali e salute mentale

Amartya Sen, premio Nobel per l’Econo-mia nel 1998.Sen ha affermato che “non è sufficiente pre-stare attenzione ai soli ammontare di benie servizi a disposizione di un individuo, bi-sogna anche accertare se questi ha la capa-cità effettiva di servirsene in modo da sod-disfare i propri bisogni”. Una misurazionecioè esclusivamente del reddito o della ric-chezza non tiene conto delle diversità deisingoli individui in termini di capacità disoddisfare i propri desideri. L’uso del meto-do dell’utilità è, per Sen (47) particolarmen-te limitante in presenza di radicate disugua-glianze: “Coloro che vivono in situazioni diavversità e deprivazione persistenti non van-no avanti lamentandosi e lagnandosi peren-nemente e possono persino aver perduto lamotivazione per desiderare un cambiamen-to radicale delle circostanze”. Sen proponequindi di sostituire al concetto di utilità(utility) quello di capacità (capability) chegarantisce una misurazione delle disugua-glianze che tenga conto delle caratteristi-che proprie di ogni singolo individuo. Lacapacità di un individuo rappresenta le al-ternative combinazioni di funzionamentiche la persona può raggiungere e tra le qua-li può scegliere. L’approccio è basato sulconsiderare il vivere come una combinazio-ne di diversi “fare ed essere”, con la qualitàdella vita che deve essere valutata in termi-ni di capacità di raggiungere un valido fun-zionamento.Se si vuole affrontare il problema delle di-suguaglianze secondo la prospettiva propo-sta da Sen, la semplice misurazione del red-dito diventa insufficiente per conoscere laposizione sociale di un individuo; diventanecessario misurare altre variabili quali ilgenere, il livello di istruzione, l’autonomiadecisionale, le relazioni (anche in terminidi capitale sociale), le caratteristiche mate-

riali e la disponibilità di servizi (compresala distanza) nel luogo dove si vive. Cioè,sarà necessario misurare tutte le possibilifonti di disuguaglianza che, a parità di red-dito o ricchezza, limitano la possibilità chequell’individuo ha di raggiungere una buo-na qualità di vita.Naturalmente, per misurare le disuguaglian-ze utilizzando l’approccio suggerito da Senè necessario non solo utilizzare diverse va-riabili ma anche poterle sintetizzare in ununico indicatore. Negli ultimi anni, questotipo di approccio ha ricevuto sempre mag-giore attenzione nella letteratura scientifi-ca sulla giustizia distributiva ed i ricercato-ri che si occupano di sanità stanno studian-do le implicazioni della sua applicazione alconcetto di equità nella salute. La capacità,suggerita da Sen, pone l’accento sui bisognidell’individuo e per questo motivo è parti-colarmente adatta agli studi nel settore dellasalute mentale (39).

Disuguaglianze socio-economiche esalute mentaleL’interesse verso la relazione tra disugua-glianze socio economiche e salute mentalenon è nuovo. L’epidemiologo americanoEdward Jarvis nel 1858 dimostrò che nellaclasse sociale più bassa si avevano 64 voltepiù casi di malattia mentale rispetto a quelliche si avevano nelle classi sociali più agiate(36) e la Scuola di Chicago, in uno dei pri-mi studi ecologici (25), evidenziò come l’ef-fetto combinato di povertà e coesione so-ciale nei quartieri fosse determinante nelfavorire la comparsa di patologie psichia-triche gravi o nel creare una situazione divulnerabilità rispetto ad esse. Più recente-mente, è emerso come i soggetti apparte-nenti agli strati sociali più svantaggiati, conun più basso status socio-economico, ten-dono a presentare una più elevata morbilità

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psichiatrica (6, 7, 28) e lo status socio eco-nomico è risultato associato a misure siaoggettive che soggettive di salute mentale(23). Inoltre, la deprivazione socio-econo-mica sembra essere fortemente associata coni tassi di disturbi depressivi ed ansiosi (21,43, 59, 60).Tra le ipotesi esplicative della relazione trastatus socio-economico e salute mentale,una prima linea interpretativa suggeriscecome la presenza di disturbi ad insorgenzanell’età giovanile, come ad esempio la schi-zofrenia, possano determinare profondi ef-fetti nelle possibili traiettorie di vita, in-fluendo sulle opportunità di accedere a de-terminate posizioni lavorative e provocan-do forme di esclusione sociale (social selec-tion). Una seconda ipotesi vede lo statussocio-economico influenzare direttamentelo stato di salute (social causation): i sog-getti degli strati sociali più deprivati sonopiù esposti a stressor di tipo ambientale,economico e relazionale (7). Si può inoltrepensare che la causa di una maggiore con-centrazione di persone con malattia menta-le grave in aree dove la media della popola-zione è relativamente povera, le abitazionisono più economiche o dove le comunitàmancano di un forte supporto sociale e dicoesione sociale possa essere il comune ope-rare di breeder effects e drift effect (16).In accordo con l’idea che le disuguaglianzepossano trovare una rappresentazione piùesaustiva adottando una visione multidi-mensionale (20), in ambito epidemiologicosono stati costruiti e validati indici di de-privazione socio-economica che aggreganoa livello ecologico variabili appartenenti adiverse dimensioni e che colgono non soloaspetti materiali ed economici, ma anchequelli legati alla coesione o frammentazio-ne sociale (per una descrizione dettagliatadegli indici sviluppati, che consideri anche

i principali indici di deprivazione socio-eco-nomica usati in Italia, si veda Caranci &Costa (11). Congdon (13), ad esempio, haevidenziato come la frammentazione socia-le, la classe sociale e la deprivazione mate-riale mostrassero un’associazione positiva,in particolare per il genere maschile, con itassi di suicidio a livello di quartiere. Uti-lizzando l’indice costruito dallo stesso au-tore (Indice Congdon), Allardyce e collabo-ratori (1) hanno mostrato come le aree conun alto livello di frammentazione socialemostrassero più alti tassi di primo-ricoveroper psicosi, indipendentemente dai livelli dideprivazione materiale calcolata tramitel’Indice Carstairs e dai livelli di urbanizza-zione (12). In uno studio di Fone e collabo-ratori (26), la deprivazione socio-economi-ca e la minor coesione sociale a livello dipiccole aree risultavano associate in modosignificativo, dopo aver aggiustato per levariabili individuali, con un più basso statodi salute mentale. Inoltre, l’effetto delladeprivazione socio-economica sullo stato disalute si riduceva nelle aree con alti livellidi coesione sociale a livello di comunità edera invece maggiore nelle aree con bassi li-velli di coesione sociale.È stato poi suggerito che la quantità del-l’utilizzazione sia legata alle condizioni so-cio-economiche dei quartieri (23). Uno stu-dio condotto in Italia, ha sottolineato comein aree urbane le caratteristiche ecologichesocio-demografiche possano essere buonipredittori dell’utilizzazione dei servizi dipazienti con diagnosi di psicosi, ma non dipazienti con disturbi nevrotici e somatofor-mi (50, 51). Uno studio successivo condot-to nell’area di Verona-Sud (55, 56), ha evi-denziato come le caratteristiche ecologichedella popolazione, misurate utilizzando unindicatore di disuguaglianza socio-economi-ca (SES), risultino associate con l’utilizza-

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Disuguaglianze sociali e salute mentale

zione dell’assistenza ospedaliera, assistenzaday care, assistenza ambulatoriale, assistenzadomiciliare, tranne che per l’incidenza an-nuale trattata, il primo ricovero, la duratamedia di permanenza in ospedale per rico-vero e il numero medio di contatti day care.In sintesi, la prevalenza annuale trattata peri pazienti che vivono in aree deprivate ri-sultava doppia rispetto a quella del gruppoche viveva in aree agiate; i tassi di preva-lenza un-giorno e i tassi di prevalenza lun-go assistiti un-giorno risultavano più di trevolte maggiori nei pazienti che vivevanonelle aree più deprivate; il numero di pa-zienti che avevano almeno un ricovero ri-sultava tre volte superiore nelle aree depri-vate rispetto a quelle agiate; la durata delladegenza era in media rispettivamente di 27giorni e di 17 giorni; la prevalenza di pa-zienti che frequentavano l’assistenza day carecosì come la prevalenza delle visite ambu-latoriali e domiciliari risultava maggiore peri pazienti provenienti da aree più deprivate.In un recente studio condotto in Svezia (15),le condizioni di deprivazione sociale sonostate poste in relazione con la prescrizionedi psicofarmaci nella popolazione naziona-le. Indipendentemente dalle caratteristicheindividuali, un trend lineare di crescita èemerso per ciascuna classe di farmaci all’au-mentare della deprivazione nei quartieri.L’associazione è risultata particolarmenteelevata per gli antipsicotici e gli ansiolitici.Nell’ultimo decennio, le condizioni socio-economiche sono state studiate per spiega-re il gradiente urbano-rurale osservato perl’incidenza della schizofrenia. In letteratu-ra, è descritta la maggior incidenza di schi-zofrenia in aree urbane (41) ed è emerso comediversi fattori che caratterizzano l’area ur-bana in cui una persona è nata e cresciutapossano essere fattori di rischio per l’insor-genza di tale malattia (2, 45, 48). In parti-

colare, tali aspetti sono stati studiati percontribuire a spiegare l’eziologia della schi-zofrenia e negli ultimi anni la frammenta-zione sociale, l’isolamento sociale e varieforme di deprivazione socio-economica (37,40) che caratterizzano le aree urbane sonorisultati associati con la sua incidenza. Comeaffermano Kirkbride e collaboratori (37), talistudi assumono una notevole importanza perla Sanità Pubblica: se infatti non è possibilerimuovere o modificare i fattori geneticilegati alla malattia, risulta invece possibiledefinire strategie organizzative preventivea diversi livelli (ad esempio interventi pre-coci per le psicosi indirizzati alla popola-zione a rischio, interventi preventivi selet-tivi verso gruppi a rischio come particolarigruppi di immigrati, interventi verso lapopolazione ed in particolare durante la gra-vidanza e alla nascita) che riducano i fattoridi rischio socio-ambientali.

Disuguaglianze nell’accessibilità aiservizi psichiatriciSe nell’ambito della Salute, l’accessibilità èriconosciuta a livello internazionale tra iprincipali indicatori di qualità dei servizi,nonché principio che ne supporta l’equità,nell’ambito della salute mentale essa puòessere considerata come una delle principa-li ragioni per lo sviluppo di cure decentra-lizzate e per offrire servizi territoriali e do-miciliari (54).Nei modelli psichiatrici community-based,come quello psichiatrico italiano, valutarel’accessibilità significa considerare l’organiz-zazione spaziale e funzionale di tutte le com-ponenti del sistema e la loro interazione.L’accessibilità e l’utilizzazione di un servi-zio infatti possono essere influenzate dallapresenza di altri servizi ad esso connessi -ad esempio, la vicinanza a servizi ambula-toriali può prevenire alcuni degli episodi di

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ricovero (17) - e può dipendere dai percorsiprevisti di accesso e cura (3).Più in generale, l’accesso di una persona aiservizi di salute mentale e la conseguenteutilizzazione degli stessi è influenzata dacomplessi fattori a livello sia individuale checontestuale e attualmente non è ancora pos-sibile predirla (5). Tra le variabili individuali,l’utilizzazione di un servizio per la salutementale è influenzato secondo Driessen ecollaboratori (22) dalla severità della dia-gnosi e della prognosi e dai comportamentidi ricerca d’aiuto. Se consideriamo poi nel-la sua accezione più ampia il concetto diaccessibilità nei termini di “opportunitàd’accesso”, l’accessibilità ai servizi varia inaccordo ad aspetti economici, sociali e cul-turali, così come a fattori legati all’orga-nizzazione e alla rete dei servizi stessi o, adesempio, ai ritardi nell’intervallo di tempoimpiegato dai pazienti per essere esaminatio trattati (3).Recentemente, nello studio dell’accessibili-tà è aumentato l’interesse per i fattori con-testuali. Essi rappresentano, tra i determi-nanti dell’accessibilità, quelli verso i qualile politiche organizzative si possono più fa-cilmente indirizzare per diminuire l’iniqui-tà. Tra questi, i fattori spaziali legati all’ac-cessibilità sono stati studiati nell’ambitodella geografia sanitaria. I risultati di alcu-ne ricerche suggeriscono che la prossimitàtra residenza e servizi incide sulla fruizionedi questi ultimi (42). Risale al 1850 lo stu-dio di Jarvis che postulò l’esistenza di unarelazione inversamente proporzionale tra laprobabilità di ricovero presso una strutturaper la Salute Mentale e la distanza dalla stessa(35). Tali risultati sono stati confermati peri tassi di utilizzazione di servizi di emer-genza e di servizi psichiatrici ospedalieri (9,10, 32). Più recentemente Tseng e collabo-ratori (57) hanno evidenziato come la di-

stanza fosse in relazione con una più elevatalunghezza della degenza per pazienti conschizofrenia.Queste evidenze, tuttavia, provengono dastudi che considerano distanze geograficheelevate e sistemi psichiatrici prevalentemen-te ospedalieri. Sembra quindi plausibile du-bitare che la distanza dai servizi psichiatricidislocati sul territorio nell’ambito di unServizio Sanitario Nazionale communitybased possa impedire agli individui l’acces-so alle cure. Tuttavia, in un recente studiocondotto sul territorio del Dipartimento perla Salute Mentale di Verona (61), è emersocome l’utilizzazione dei servizi diminuissecon l’aumentare della distanza e a 10 km didistanza emergeva una diminuzionedell’80%, 60% e 85% del caseload (numerodi pazienti che utilizzano il servizio) rispet-tivamente per i servizi di day care, ospeda-lieri e ambulatoriali.Nonostante i recenti Sistemi Geografici In-formativi (GIS) abbiano permesso di misu-rare la distanza lungo la rete di viabilità,avvicinandosi al reale percorso dei pazienti,la valutazione della sola distanza non è suf-ficiente a spiegare le complesse dinamichedell’accessibilità spaziale. Elementi come ilcosto del viaggio, la disponibilità dei mezzidi trasporto o la presenza di servizi di ac-compagnamento, oltre che di barriere psi-cologiche e fisiche, possono avere un ruolonel determinare l’accessibilità. Infine, laprossimità ai servizi è strettamente connessasia allo status socio-economico dell’indivi-duo (ad esempio una persona con un bassostatus socio-economico può non possedereun’automobile) sia alle condizioni socio-eco-nomiche dell’area di residenza (ad esempio,l’assetto delle reti di viabilità, una maggio-re disponibilità di trasporti pubblici, ecc.).Essa può poi essere particolarmente proble-matica per quelle fasce di popolazione con

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maggiori problemi di mobilità, come le per-sone anziane o con disabilità fisica o per ipazienti psichiatrici che presentano un mi-nor grado di autonomia o funzionamento.Ma una distribuzione omogenea dei servizisul territorio non è certo l’unico elementoche può garantire equità nell’accesso e nel-l’uso dei servizi sanitari: l’accessibilità puòessere limitata da barriere selettive (fenome-ni di esclusione sociale o stigma o di barrierelinguistiche o etniche) che riducono la possi-bilità per tutti i pazienti o una parte di essi,di raggiungere o ottenere i servizi.Infine, è stata riconosciuta la relazione esi-stente fra disponibilità di servizi e utilizza-zione. Come descritto da Thornicroft &Tansella (52), dove disponibili, i posti lettopsichiatrici sono occupati indipendentemen-te dalla quantità dei servizi offerti; le cate-gorie dei servizi utilizzati sono in genereinteramente modellate dalla tipologia deiservizi disponibili a livello locale; l’utiliz-zazione dei servizi offerti dipende in largamisura dal turnover del sistema.Per concludere, bisogna considerare che uneccessivo livello di accessibilità può anchecomportare degli svantaggi. Pensiamo adesempio al concetto del “service dependentghetto” proposto da Dear & Wolch (19), inriferimento al processo di de-istituzionaliz-zazione in Nord America, per descriverecome certe condizioni delle aree urbane de-gradate possano influenzare la presenza diindividui con malattie mentali e l’utilizza-zione dei servizi. Da un altro punto di vi-sta, invece, se i servizi risultano troppo ac-cessibili, i pazienti rischiano di avere unbasso livello-soglia di consulenza quando sitrovano in difficoltà: possono evitare di pas-sare per i servizi della medicina generale etendono a richiedere l’attenzione degli spe-cialisti anche quando i disturbi rimandino acondizioni meno gravi (52).

Lo spazio di vita: disuguaglianze edopportunitàRecentemente un sempre più crescente nu-mero di ricerche nell’ambito dell’Epidemio-logia Sociale e della Sanità Pubblica si è in-teressata alla relazione tra le risorse presen-ti nei quartieri (come gli spazi verdi, i cen-tri diurni, le opportunità di lavoro, le atti-vità sociali e le altre risorse istituzionali) ele disuguaglianze di salute. Padovani (44)descrive il contesto come “il complesso dellecaratteristiche del tessuto sociale” e tra glielementi che lo caratterizzano si valutanoad esempio la minor o maggior presenza dipunti di incontro - come bar e circoli ricre-ativi - oppure il numero delle associazionidi volontariato. Il contesto, secondo l’auto-re, può rappresentare un fattore di rischioper la salute. Inoltre, queste risorse posso-no essere maggiormente scarse nelle areepiù deprivate, aumentando così gli aspettinegativi della deprivazione socio-economi-ca stessa (38).In merito ad alcuni di questi aspetti, in let-teratura si è fatto riferimento al concetto dicapitale sociale. Esso è stato definito daPutnam (46) come “l’insieme di quegli ele-menti dell’organizzazione sociale, come lafiducia, le norme condivise, le reti sociali,che possono migliorare l’efficienza della so-cietà nel suo insieme, nella misura in cuifacilitano l’azione coordinata degli indivi-dui”. Elevati livelli di capitale sociale per-mettono di migliorare le condizioni di sa-lute (60) ed esso risulta in relazione con lamorbilità psichiatrica (7) e con l’utilizza-zione dei servizi (33). Come descrivono DeSilva e collaboratori (18) nella più recenterevisione sistematica sul tema, emerge unarelazione inversa tra social capital cognitivoa livello individuale e disturbi mentali. Tut-tavia le evidenze per il social capital a livel-lo ecologico sono ancora limitate, data la

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scarsità di studi empirici multilevel e la lorodifficile comparabilità. A partire da questeconsiderazioni, uno studio di Hamano ecollaboratori (30) ha suggerito come sia ilsocial capital cognitivo (misurato come per-cezione di fiducia nella comunità) sia quel-lo strutturale (misurato a livello ecologicoattraverso la partecipazione a gruppi spor-tivi, ricreativi o culturali) siano in relazio-ne con la salute mentale individuale e l’ef-fetto sia mantenuto tenendo in considera-zione le principali variabili individuali.Il capitale sociale è risultato, inoltre, corre-lato con le condizioni socio-economiche(23). Stafford e collaboratori (49) hanno evi-denziato una relazione significativa tra so-cial capital e disturbi mentali nella popola-zione, ma solo per gruppi con maggior de-privazione socio-economica. Tali effettiinoltre risultavano diversi in base alle di-verse tipologie di capitale sociale conside-rato. Esiste infatti in letteratura un capitalesociale che unisce (definito bonding) che siriferisce ai legami tra simili, che verte suilegami di tipo interno e che tende a raffor-zare identità mutualmente esclusive e a pre-servarne l’omogeneità. Questo tipo di so-cial capital può anche avere una connota-zione negativa riferendosi ai gruppi omo-genei di persone, che esercitano un effettodi chiusura verso l’esterno. Altro tipo dicapitale sociale è quello formato dai legamiorizzontali all’interno di gruppi eterogeneidi persone, definito bridging. Esso permet-te il contatto tra ambienti socio-economicie culturali diversi e appare come un molti-plicatore di risorse che può generare identi-tà e relazioni di reciprocità più ampie e dif-fuse di quelle esistenti. Secondo Putnam(46), le associazioni di quartiere, le coope-rative ed i circoli sportivi possono esserel’espressione delle interazioni orizzontali erappresentano una componente essenziale del

capitale sociale.In tale prospettiva, la qualità dell’ambientedi vita, e la qualità di vita che ne può deriva-re, si caratterizzano per la presenza di diversigradi di capitale sociale e disponibilità di sup-porto sociale sia informale che formale. Tut-tavia non tutti hanno la possibilità di acce-dere alle risorse sociali e di conseguenza ilterritorio è anche l’ambito nel quale si co-struiscono e si vivono concretamente moltedisuguaglianze. Se consideriamo poi che ilcapitale sociale è associato ad una miglioreSalute, tali disuguaglianze si possono tradur-re in disuguaglianze di Salute.È evidente che le persone con problemi psi-chiatrici soffrono maggiormente di mancan-za di reti di supporto sociale nel territorio echi è in carico da molti anni al servizio in-staura primariamente relazioni amicali conaltri utenti. È stato inoltre evidenziato comeoltre all’inclusione in attività lavorativeanche l’inclusione in attività associative odi volontariato possa ridurre l’isolamentosociale dei pazienti (53). In tale direzionevanno alcuni progetti di ricerca-interventobasati sulla partecipazione dei pazienti inattività associative o di volontariato. Daiprimi risultati qualitativi di un progettodell’Istituto di Psichiatria di Londra è emersocome l’inserimento di pazienti con disturbipsichiatrici in attività di volontariato pres-so associazioni di auto-aiuto, aiuto alla per-sona, culturali o sportive possa migliorarel’inclusione sociale, mostrando un incremen-to notevole della quantità di contatti signi-ficativi con la famiglia e gli amici e possaportare ad una riduzione dell’uso di servizisanitari stessi (34).Bisogna poi considerare che le caratteristi-che del quartiere di vita possono influenza-re in modo diverso le diverse fasce di popo-lazione. Sembra plausibile che le caratteri-stiche dei quartieri possano influenzare mag-

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giormente la Salute Mentale delle personeanziane (27) o con disabilità che, non do-vendo allontanarsi per lavoro e presentandouna limitata mobilità, vivono maggiormen-te nel quartiere di residenza.

La mortalità dei pazienti psichiatri-ci: una questione di disuguaglianza?I tassi di mortalità sono uno degli indicato-ri di disuguaglianza più usati nell’ambitodella Sanità Pubblica e rappresentano ancheuno degli indicatori oggettivi di qualità deiservizi. È stato ormai da tempo evidenzia-to che la mortalità dei pazienti psichiatriciè più elevata se confrontata con quella dellapopolazione generale (4). In una meta-ana-lisi di 152 studi, Harris & Barraclough (31)hanno evidenziato come le persone con undisturbo mentale presentano un aumentatorischio di morte prematura; il più alto ri-schio è risultato per l’abuso di sostanze e idisturbi alimentari e un rischio particolar-mente alto per cause non naturali è emersoper la schizofrenia e la depressione maggio-re, mentre per cause naturali per i disturbimentali organici, il ritardo mentale e l’epi-lessia. Se la maggior parte degli studi sonostati condotti in riferimento ad un sistemapsichiatrico ospedaliero, anche nell’attualesistema psichiatrico community-based i ri-sultati sembrano confermati. In un recentestudio condotto da Grigoletti e collabora-tori (29), considerando le cause di morte e ifattori di rischio associati per tutti i pazien-ti in carico al Servizio Psichiatrico Territo-riale di Verona Sud, per un periodo di 20anni (6956 pazienti, 938 morti durante ilperiodo di studio), è emerso un tasso stan-dardizzato di mortalità (SMR) di 1.88, cheindica una mortalità quasi doppia rispetto aquella della popolazione generale. La mor-talità è risultata significativamente più altaper i pazienti seguiti ambulatorialmente

(SMR 1.71, 95% IC 1.6–1.8) e subito dopoil primo ricovero (SMR 2.61, 95% IC 2.4–2.9). L’SMR per disturbi infettivi è risulta-to più elevato tra i pazienti più giovani eestremamente elevato tra i pazienti con undisturbo da uso di sostanze e di personalità.In modo simile ad altri studi, emergonodifferenze tra i generi: il genere maschilepresenta un SMR più elevato.Se guardiamo alle cause di morte naturalitra le ipotesi che possono spiegare le diffe-renze di mortalità rispetto alla popolazionegenerale emergono aspetti relativi alle di-suguaglianze e all’accesso alle cure. Una piùelevata mortalità per cause naturali, in par-ticolare per pazienti con gravi disturbi psi-chiatrici, potrebbe essere legata ad uno sti-le di vita non salutare caratterizzato damaggior abuso di alcool e nicotina o da cat-tive abitudini alimentari (8). Altri possibilifattori evitabili sono lo scarso accesso allecure per problemi fisici o la scarsa qualitàdelle cure mediche prestate (14, 24) o la li-mitata capacità delle persone con disturbimentali di riconoscere e comunicare sinto-mi di problemi fisici. Per concludere, Vree-land (58) sottolinea come il problema del-l’aumentata mortalità e prematura morta-lità tra i pazienti psichiatrici potrebbe esse-re risolto con un sistema di integrazione ecoordinamento delle cure per la salute fisi-ca e la Salute Mentale ed un approccio oli-stico e multidisciplinare.

ConclusioniIn generale, le diverse misure utilizzate, lediverse metodologie adottate in studi di tipoecologico e i diversi indicatori di salutementale considerati (diagnosi, tassi di rico-veri psichiatrici, misure di outcome, tassidi suicidi o misure di benessere psicologi-co) rendono difficile comparare i risultatidegli studi pubblicati anche se appaiono

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chiare molte evidenze dell’esistenza di unarelazione positiva tra malattia mentale econdizioni di deprivazione socio-economi-ca in aree urbane.Gli studi che utilizzano una prospettiva eco-logica e sociologica possono suggerire qualidebbano essere gli spazi e gli interventi dipromozione della salute mentale e di pre-

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L’approccio basato sulle evidenze in salute mentale: navi-gazione a vista tra entusiasmo e scetticismoThe evidence-based approach in mental health: sight sailing between enthusiasmand skepticism

Angelo BarbatoLaboratorio di Epidemiologia e Psichiatria Sociale, Istituto di Ricerche Farmacologiche‘Mario Negri’, Milano

Mentre terminavo la stesura di questo articolo sono stato colto dallanotizia della prematura scomparsa di Alessandro Liberati, che piùdi ogni altro si è speso in Italia per propugnare una visione critica-

mente ragionata della medicina basata sulle evidenze.A lui dedico questo mio contributo.

Parole chiave: salute mentale, studi clinici controllati, trattamento dei disturbi mentali, Indicatori di esito

RIASSUNTOObiettivi: analizzare e discutere le implicazioni per la salute mentale dell’approccio basato sulle evidenze,rilevandone flessibilità e applicabilità.Metodologia: vengono esaminate le implicazioni per la salute mentale dei recenti sviluppi dell’approcciobasato sulle evidenze in salute mentale, con particolare riferimento al modello GRADE, che utilizza i datiderivanti non solo dagli studi clinici controllati, ma anche dagli studi osservazionali e valuta la rilevanzadegli esiti in relazione al problema clinico identificato, separando la qualità delle evidenze dalla forza delleraccomandazioni, per cui evidenze rilevanti non necessariamente conducono a forti raccomandazioni eviceversa, in funzione di aspetti qualitativi, contestuali o soggettivi. Vengono discussi gli aspetti relativialla produzione, all’interpretazione e all’uso delle evidenze, sottolineando l’importanza attribuita dall’Or-ganizzazione Mondiale della Sanità agli aspetti etici, alla fattibilità e alla scelta di indicatori di esito chevalorizzino il punto di vista degli utenti.Risultati: l’uso critico dell’approccio basato sulle evidenze in salute mentale non è un processo semplice,

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L’approccio agli interventi sanitari basatosulle evidenze è stato per la prima volta pre-sentato con grande rilievo sul Journal ofAmerican Medical Association vent’anni fa daun gruppo di lavoro coordinato dagli epide-miologi canadesi della McMaster Universi-ty sotto la direzione di Gordon Guyatt (8).Poco dopo un articolo sul Canadian Journalof Psychiatry parlava per la prima volta di“Evidence-based psychiatry” (10) e nel 1998veniva lanciata la rivista Evidence Based Men-tal Health, il cui primo numero era intro-dotto da un editoriale (9) che indicava comeobiettivo della rivista fornire ai clinici stru-menti per attuare interventi efficaci.Inizialmente l’approccio basato sulle eviden-ze era stato concepito come l’uso di metodie applicazioni dell’epidemiologia clinica asupporto alle decisioni mediche nel tratta-mento del singolo paziente, ma rapidamen-

te ha ampliato i propri orizzonti sia in dire-zione di altri gruppi professionali, come gliinfermieri (17), gli psicologi (1) e gli opera-tori sociali, sia in direzione di settori nonstrettamente legati alla pratica clinica,come la sanità pubblica (4) e la politica sa-nitaria (15).La stessa rivista Evidence Based Mental Heal-th si presentava con un taglio interdiscipli-nare, che andava oltre i confini della psi-chiatria propriamente detta. Infatti del suocomitato editoriale, oltre allo psichiatraGeddes, facevano parte una psicologa clini-ca (Shirley Reynolds), un neuropsichiatrainfantile (Peter Szatmari) e un epidemiolo-go (David Streiner).Il ventennio trascorso è stato per l’approc-cio basato sulle evidenze contrassegnato daun susseguirsi di successi, testimoniato dainattese adesioni, come quella dei cultori

richiede una revisione di aspetti fondanti delle premesse, metodologie di ricerca. Esige la formazione deglioperatori all’uso delle informazioni da esse derivanti per la formulazione delle indicazioni per la pratica.

Key words: evidence-based mental health, controlled clinical trials, mental health outcomes, mental healthcare

S U M M A RYObjectives: analyze and discuss the implications for mental health of the evidence based approach, emphasizingflexibility and applicability.Methodology: are examined the implications for the mental health of the recent developments of for mentalhealth-evidence based approach, with particular reference to GRADE model, using data derived not onlyfrom controlled clinical trials, but observational studies and assesses the relevance of the results in relationto the clinical problem identified by separating the quality of evidence on the strength of recommendations,for which relevant evidence does not necessarily lead to strong recommendations, and vice versa, dependingon qualitative aspects, contextual or subjective. In the area of mental health are discussed aspects of themanufacture, use and interpretation of evidence, underlining the importance attached by WHO toethical, feasibility and the choice of outcome indicators that enhance the point of view of users.Results: the critical use of evidence-based approach to health mental is not a simple process, requiring arevision of the fundamental aspects of the foundations, methodologies research. Requires the training ofthe use of information derived from them for the formulation of guidelines for practice.

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delle medicine complementari (20), ma an-che dall’emergenza di critiche e dubbi sullareale utilità di questo modello, che hannodato vita ad aspri scontri tra sostenitori edetrattori.Retrospettivamente possiamo dire che i cri-tici coglievano nel segno sottolineando l’in-genuità e l’astrattezza di chi credeva chetutte le informazioni rilevanti fossero di-sponibili nella letteratura scientifica, per cuibastava solo cercarle correttamente e che ilrigore formale degli studi controllati fosseil solo parametro che distingueva ciò cheserve da ciò che non serve alla clinica (16).D’altro canto tra di essi non mancavano glialfieri di una concezione autoritaria e pater-nalistica della pratica medica o, peggio an-cora, i difensori, occulti o palesi, degli inte-ressi commerciali la cui influenza in camposanitario è stata sempre di più messa in lucenegli ultimi anni.In ogni caso, i sostenitori più avveduti del-l’approccio basato sulle evidenze hanno fat-to tesoro delle critiche e hanno riconosciu-to che le sfide a cui esso doveva rispondereerano assai più complesse di quanto i suoipropugnatori iniziali avessero previsto. Diconseguenza il modello è diventato più com-plesso e flessibile e i suoi vantaggi e limitisono stati meglio definiti, rivedendo leaspettative eccessive che il dogma delle evi-denze aveva generato (16). Il dibattito, in-somma, è andato molto avanti rispetto allacontrapposizione frontale e sterile tra entu-siasti e scettici. Un’indicazione importantedi questo recente passaggio verso la com-plessità e la flessibilità è venuta dalla pro-posta di un gruppo di autorevoli ricercato-ri, tra cui lo stesso Guyatt, di un metodoaggiornato di valutazione della qualità del-le evidenze, denominata con l’acronimoGRADE, che sta per Grading of Recommen-dations Assessment Development and Evalua-

tion Methodology (2).Gli autori, partendo dalla revisione di unaconcezione meccanicistica in cui la forzadell’evidenza discendeva automaticamenteed esclusivamente dalle conclusioni di stu-di clinici controllati, considerati come uni-co standard di riferimento e valutati esclu-sivamente in funzione della loro validitàinterna, hanno sviluppato una proposta i cuiaspetti salienti sono i seguenti: considera-zione anche degli studi osservazionali comefonte importante di evidenza, enfasi sullavalidità esterna accanto alla validità inter-na come criterio di qualità, valutazione dellarilevanza degli esiti descritti dagli studi inrelazione al problema clinico identificato,separazione tra qualità delle evidenze e for-za delle raccomandazioni per cui evidenzerilevanti non necessariamente devono con-durre a forti raccomandazioni e viceversa,in funzione di aspetti qualitativi, contestualio soggettivi riferiti ai problemi specifici percui vengono formulate le raccomandazioni.Il lavoro del gruppo GRADE è inteso comeun insieme di contributi in costante aggior-namento, il cui sviluppo può essere seguitoconsultando il sito web http://www.gradeworkinggroup.org/index.htm.Quanto di tutto ciò si è riflesso nell’ambitodella salute mentale? Anche qui c’è statochi, fin dall’inizio, ha assunto una posizionerisolutamente favorevole (7) e chi al con-trario ha sostenuto che il modello non èapplicabile né ai disturbi psichiatrici, né alloro trattamento (11).Nel complesso molte delle maggiori orga-nizzazioni professionali si sono schierate trai sostenitori, pur tra resistenze interne, conun atteggiamento spesso acritico che hacondotto a scelte controverse, come adesempio la decisione dell’American Psycho-logical Association di compilare una listadi “interventi psicologici supportati da evi-

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denze” per ognuna delle categorie diagno-stiche del DSM-IV (5). Non c’è dubbio co-munque che negli ultimi quindici anni laspinta verso la ricerca delle evidenze abbiafavorito un rilevante sviluppo degli studiclinici controllati riguardanti i trattamentisia farmacologici che psicosociali, come sipuò rilevare consultando le annate della giàcitata rivista Evidence Based Mental Health.Tuttavia l’impressione è che il dibattito nel-l’ambito della salute mentale sia rimasto alungo arretrato, giocato su posizioni di re-troguardia rispetto ai ripensamenti criticiche si sono sviluppati nel campo dell’epide-miologia e della sanità pubblica, a cui hoaccennato prima. Una cosa infatti accomu-nava paradossalmente sostenitori e detrat-tori: la convinzione che il modello delleevidenze fosse adeguato alla pratica medi-ca, mentre la divergenza verteva sulla suaapplicabilità alla psichiatria, che per i pri-mi era auspicabile in quanto sottraeva ladisciplina all’autoreferenzialità e alle ubbiesociologiche, per i secondi impossibile innome di una specificità irriducibile alla ca-micia di forza dell’astratto rigore metodo-logico.Se vogliamo uscire, come operatori dellasalute mentale, dalle schermaglie di retro-guardia, non è difficile formulare il proble-ma che dobbiamo risolvere: come possia-mo navigare in modo intelligente le acqueinsidiose dell’evidenza senza infrangerci con-tro gli scogli dell’entusiasmo ma senza in-cagliarci nella palude dello scetticismo?Senza pretendere di essere esaustivo, mi per-metterò di dare alcune mie personali indi-cazioni in tal senso.È opportuno innanzitutto considerare sepa-ratamente la produzione di evidenze dall’in-terpretazione e dall’uso delle evidenze stesse.Per quanto riguarda il primo aspetto biso-gna partire da un riesame dei fondamenti

su cui deve basarsi la ricerca se vuole forni-re dati rilevanti ai fini della produzione dievidenze che siano in grado di influenzarela pratica.Il primo problema riguarda la diagnosi, cioèl’impalcatura creata dal DSM-III e dalle suesuccessive filiazioni per garantire la corret-tezza scientifica dell’identificazione dellevarie sindromi come base per la ricerca suitrattamenti. Studi di popolazione compiutiin varie parti del mondo con metodicheepidemiologicamente corrette hanno mo-strato in primo luogo che la suddivisionedei disturbi mentali in categorie diagnosti-che ben distinte è artificiosa e non rispec-chia la distribuzione nella popolazione deisintomi di disagio psichico, che vengonosperimentati lungo una dimensione conti-nua, per cui vi è un’ampia sovrapposizionetra le categorie e la differenza tra normalitàe malattia è un problema quantitativo cherimanda alla scelta di una soglia e non unproblema qualitativo. Inoltre è ormai di-mostrato che fenomeni psicopatologici ri-tenuti indicatori di diagnosi gravi, come leallucinazioni e i disturbi del pensiero, pos-sono essere presenti in sottogruppi non tra-scurabili della popolazione generale, senzaessere necessariamente associati a disagiosoggettivo o a compromissione del funzio-namento sociale (19). La sola definizione cli-nica, cioè, non è sufficiente a spiegare lamalattia e tanto meno la disabilità, il cuisviluppo richiede l’ingresso in gioco di altrifattori contestuali o soggettivi. Le catego-rie diagnostiche di uso comune in psichia-tria sono sufficientemente affidabili, mapurtroppo hanno una validità limitata chele rendono poco utili non solo per progetta-re il trattamento o predire la risposta adesso, ma anche per lo studio dei fattori dirischio genetici o delle variabili neurobio-logiche (14).

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Il secondo problema riguarda gli indicatoridi esito dei disturbi, la cui scelta, comechiunque può convenire, è di cruciale im-portanza. Da questo punto di vista vi sononumersose indicazioni che convergono neldire che i diversi attori sociali coinvolti neiproblemi di salute mentale fanno riferimen-to, esplicitamente o implicitamente, a di-versi indicatori quando formulano valuta-zioni sulle pratiche (12). La Tabella 1 pro-pone una classificazione degli indicatori diesito privilegiati dai diversi portatori di in-teressi. Naturalmente non si tratta di cate-gorie mutualmente esclusive, né bisogna in-tendere che l’interesse di ciascun gruppo siacompletamente limitato a un solo tipo diindicatore. Tuttavia queste tipologie rappre-sentano per ogni portatore di interessi inlarga misura la prospettiva principale dallaquale, mediamente, vengono tratte conclu-sioni sulla rilevanza del risultato di un trat-tamento.

Tabella 1

gettivo degli utenti). Se ci si pone dal pun-to di vista degli utenti dei servizi, va rile-vato che la psichiatria basata sulle evidenzeallargherà la distanza tra questi e i clinici,anziché ridurla, se la produzione di eviden-ze si baserà su indicatori di esito insufficientia cogliere le dimensioni più significativedella loro esperienza.Infine dobbiamo considerare il disegno de-gli studi. Diamo per scontato, come giàdetto, che gli studi osservazionali hanno unloro ruolo ben definito e importante, senzache ciò implichi un minore impegno ad as-sicurarne la correttezza metodologica. Ri-cordiamo anche, per quanto riguarda gli stu-di clinici controllati, che è da tutti ormaisottolineata la necessità di spostarsi versomodelli pragmatici e semplici quanto piùpossibile calati nella pratica e realizzati consoggetti rappresentativi delle popolazioni acui si riferiscono (13). Ma bisogna anche fareun altro passo avanti, recependo e utiliz-zando la metodologia degli studi clinici perinterventi complessi, che propone l’uso com-binato di metodi quantitativi e qualitativi.È bene notare che gli interventi complessinon sono appannaggio della psichiatria comemolti addetti ai lavori credono, ma sonoconsiderati importanti in prevenzione, edu-cazione sanitaria e, in genere, in sanità pub-blica. La definizione che ne ha dato il Medi-cal Research Council inglese ne identifica iseguenti elementi caratterizzanti (6):• Molti elementi interconnessi sembrano

essenziali per l’adeguata realizzazione del-l’intervento

• Gli ingredienti attivi dell’intervento chene determinano l’efficacia sono difficilida specificare

• I meccanismi di azione sono difficili daidentificare

• Gli effetti dipendono da una serie di fat-tori che includono le azioni degli opera-

E’ chiaro quindi che la ricerca, per avere unimpatto, deve considerare diversi indicato-ri o comunque esplicitarne e giustificarnela scelta, considerando tra l’altro che un in-tervento mirante a modificare un indicato-re (ad esempio il carico familiare) non è af-fatto detto che abbia lo stesso effetto inun’altra area (ad esempio il benessere sog-

AttoriUtenti

FamiliariClinici

AmministratoriFinanziatori

Pubblico

IndicatoriBenessere soggettivo

Carico familiareSintomi

EfficienzaCosti

Disturbo sociale

Gli indicatori di esito più importantiPunti di vista dei diversi attori

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tori che li attuano e degli utenti che liricevono.

È evidente che questa definizione si attagliapienamente a molti interventi che riguar-dano problemi di salute mentale, ma, perquanto possa sembrare strano, la ricerca cli-nica in questo ambito non ha fatto tesorodelle indicazioni per valutare gli interventicomplessi, potremmo anzi dire che i ricer-catori in psichiatria si sono dimostrati piùrealisti del re, scegliendo spesso i modellidi studi clinici controllati di tipo più ridu-zionista derivanti dalla ricerca farmacolo-gica classica, anche quando si trattava divalutare interventi psicosociali. La lista giàcitata dell’American Psychological Associa-tion ha come sue fonti principalmente ri-cerche di questo tipo. Solo ora si è impostauna revisione di questo approccio, prenden-do in considerazione ricerche che hanno peroggetto non tanto la singola specifica tec-nica psicoterapica, valutata alla stregua diun farmaco, ma le relazioni terapeutiche cheinteressano in modo trasversale diversi me-todi di trattamento (18).Sull’interpretazione e l’uso delle evidenze civiene incontro un’iniziativa assunta dall’Or-ganizzazione Mondiale della Sanità, che hacostituito alcuni anni fa un gruppo di lavo-ro con l’obiettivo di sviluppare in modo tra-sparente linee guida basate sulle evidenzeper i disturbi mentali, neurologici e da usodi sostanze, adattando a tal fine la metodo-logia del GRADE (3). Questa decisione èstata presa in risposta alle critiche sollevateda più parti sul fatto che le raccomandazio-ni formulate in questo ambito dall’OMS nonerano state basate su una revisione delleevidenze e le linee guida che ne derivavanoerano di qualità discutibile.Il primo documento di questo gruppo con-tiene la proposta di integrare innanzituttola valutazione dell’evidenza scientifica se-

condo il metodo del GRADE con i risultatidi studi epidemiologici e qualitativi anchesintetizzati in forma narrativa, che spessosono l’unica fonte disponibile di informa-zioni da contesti svantaggiati come quellidei paesi a basso reddito. In secondo luogogli autori, per passare dalla valutazione del-l’evidenza alla definizione di linee guidahanno deciso di aggiungere, in modo for-male, una serie di criteri operazionalizzatiriguardanti altri aspetti, cioè la fattibilità,legata alle risorse disponibili in relazione aquelle necessarie e alle necessità di forma-zione e supervisione, gli aspetti etici, valo-riali e le preferenze degli utenti. Va rilevatoche questi aspetti sono dipendenti non solodal problema a cui si riferiscono, ma dallesituazioni specifiche in cui le raccomanda-zioni vanno applicate e dalle popolazioni acui sono destinate. In quest’ottica il mecca-nismo di produzione delle linee guida deveessere quindi una procedura articolata chenon può consistere nell’applicazione di ri-cette uniformi, ma va modulata sui bisognidel contesto di riferimento. Un’ulteriorenotazione, che non si trova nel documentodel gruppo di lavoro, ma secondo me nediscende logicamente, è che questi elemen-ti cosiddetti aggiuntivi possono diventarel’unico criterio di valutazione là dove l’evi-denza è assente o insufficiente, evento nonraro in psichiatria.In conclusione mi sembra chiaro che l’usocritico dell’approccio basato sulle evidenzein salute mentale non è un processo sempli-ce e indolore, ma richiede una revisione dialcuni aspetti fondanti riguardanti le pre-messe e i metodi della ricerca, l’applicazio-ne delle informazioni da essa derivanti, laformazione degli operatori all’uso delle in-formazioni stesse e la formulazione di indi-cazioni per la pratica, in un circolo virtuosoche è destinato a non interrompersi.

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La crisi economica: rischio e opportunità per il Diparti-mento di Salute MentaleEconomic crisis: risk and chance for Mental Health Department

Lucio GhioIRCSS Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino- IST - Genova

Paolo F. Peloso, Luigi FerranniniDipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche, ASL 3 “Genovese”

Parole chiave: psichiatria di comunità, crisi economica, riabilitazione psicosociale, sanità pubblica, tecniche.

RIASSUNTOObiettivi: individuare nel contesto dell’attuale crisi economica, problematiche sulle quali avviare una discus-sione e conseguenti strategie di azione all’interno del Dipartimento di Salute Mentale.Metodologia: analisi storica, culturale e di contesto dell’organizzazione dei servizi di salute mentale; analisi deinuovi bisogni assistenziali e di cura.Risultati: è necessario un investimento in tre principali direzioni. La prima è quella di ricercare un più strettocollegamento col contesto sociale e con le famiglie; La seconda è quella di interpretare il lavoro di salutementale come un aspetto del lavoro di sanità pubblica, dando quindi la giusta valorizzazione al ruolo disnodo del medico di medicina generale e alle opportunità che l’identificazione e il trattamento precoce dellapatologia grave potrebbero offrire. La terza è quella di aggiornare le tecniche, in particolare di caratterepsicoterapeutico o riabilitativo, alle evidenze scientifiche disponibili, superando atteggiamenti in generalepessimistici e rinunciatari che non trovano giustificazione negli esiti.La crisi economica interviene in un momento nel quale la psichiatria di comunità deve affrontare problemiche si sono andati consolidando negli anni e aumentare il proprio impegno in alcune aree di rilievo clinico.Riteniamo che essa possa rappresentare uno stimolo per i servizi ad evolvere nelle direzioni indicate,puntando a coniugare efficacia dell’intervento e contenimento dei costi.

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La crisi economica: rischio e opportunità per il Dipartimento di Salute Mentale

Vorremmo premettere al ragionamento cheandiamo a proporre alcune considerazioni.La prima è che non intendiamo, in questocontributo, mettere in discussione l’orga-nizzazione dipartimentale dei nostri servi-zi. Essa rappresenta per noi una conquistaimportante, e un modo indispensabile diarticolare tra loro e indirizzare verso finali-tà comuni interventi che passano necessa-riamente per gruppi di lavoro, modalitàoperative, luoghi diversi l’uno dall’altro.La seconda è che riteniamo che la crisi inatto e la stretta economica che ne consegue– che, oltre una certa misura rischia di met-tere in dubbio l’esistenza stessa dei nostriservizi e del sistema di welfare nel qualesono inscritti – possa essere vista anchecome un’occasione per una revisione criticadivenuta indispensabile, e un conseguenteripensamento, cambiamento e rilancio.L’aziendalizzazione della sanità a metà de-gli anni ’90 avrebbe potuto rappresentare,rispetto ai problemi che andremo a esami-

nare, un’opportunità di miglioramento del-le prassi operative e dell’offerta (6): si eraparlato molto in quel momento di efficaciaed efficienza, di obiettivi, progetti idonei araggiungerli, verifiche, di organizzazionedavvero dipartimentale, e quindi unitaria eintegrata, dell’assistenza, e diffusione razio-nale delle responsabilità a più livelli. Oggidobbiamo purtroppo constatare che quelprocesso virtuoso non ha avuto, almeno inmolte situazioni, una presa reale sulle pra-tiche, che non sono significativamente cam-biate. E si è tradotto spesso invece, ciò chegià allora veniva paventato, in più burocra-zia, nell’imposizione dall’alto di modelliorganizzativi talvolta poco razionali, in ri-gidità che complessivamente si traducononella resistenza al cambiamento e in unosquilibrio di potere senza precedenti, nelleaziende sanitarie, tra gli apparati ammini-strativi con le loro storiche inefficienze, gliintoppi, la distanza talvolta siderale dallarealtà dei problemi, e i soggetti che eroga-

Keywords: community mental health, economic crisis, psychosocial rehabilitation, public health, techniques

S U M M A RYObjectives: identified in the current crisis on economic issues such as starting a discussion and subsequentaction strategies within the Mental Health Department.Methodology: analysis of historical, cultural context and organization of Mental Health Service; examinationof the new care needs and treatment.Results: is needed to achieve three main objectives. The first one is to reach a closer connection with thefamily and the social context of the patients, without which the risks are that the Mental Health Departmentcould be delegated to solve all the patients’ problems and that all the programs of social inclusion maybecome unfeasible. The second one is to consider the work of mental health in a perspective of publichealth, enhancing the role of collaboration with General Practitioners as well as the programs of earlydetection and treatment of severe mental illnesses. The third one is to promote an evidence based updateof the techniques, in particular psychotherapy and rehabilitation, in order to overcome not justifiedpessimistic and discouraged attitudes towards the outcomes of mental illnesses.Results: this economic situation could represent a boost to evolve in the aforementioned directions, assuringefficacy and efficiency of interventions.

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no, concretamente, la cura e vivono quo-tidianamente l’interfaccia con l’utenza, le sueobiettive difficoltà e sofferenze, le speranze easpettative frustrate, i bisogni inevasi, le perlo più comprensibili delusioni e proteste.Oggi la situazione viene a ribadirci – inmodo decisamente più sgradevole, cogentee ultimativo rispetto a qualche anno fa –che non è più possibile una autoreferenzia-lità delle pratiche (“facciamo così” per sto-ria, tradizione del gruppo o scuola), ma ènecessario prevedere, non solo per esigenzecliniche ma ora anche di budget, percorsi distandardizzazione, monitoraggio e valuta-zione dei processi e degli esiti, in cui sianocoinvolti tra gli altri soggetti anche gli uten-ti; percorsi faticosi - e che necessitano al-meno in una prima fase di risorse, per farlepoi sul medio-lungo periodo probabilmen-te risparmiare - ma che diventano indispen-sabili per produrre indicatori e parametri diriferimento con i quali rendere conto delnostro operato a utenti, pazienti e decisoripolitico-amministrativi, così da avere gliargomenti per poterne sostenere, in modocredibile, la necessità e il costo. Implemen-tando innanzitutto in tutti i servizi un si-stema informativo e di gestione della docu-mentazione e promuovendo la cultura dellavalutazione, ma insieme la decentralizza-zione delle responsabilità in modo che cia-scuno (singolo soggetto o piccolo gruppo dilavoro) sappia esattamente quali risorse ha edi cosa deve rendere conto, affinché dai biso-gni generali si possano costruire percorsi dif-ferenziati anche localmente dove, all’internodi una cornice strutturale comune, i servizipossono anche differenziarsi, se rispondono adiversi bisogni di salute rilevati.Qualche anno fa Michele Tansella (29) davaquesta definizione dell’organizzazione di unapsichiatria di comunità:

«La psichiatria di comunità è un sistema di as-

sistenza che si rivolge a una specifica popolazionee si basa su servizi psichiatrici integrati e com-pleti, che comprendono strutture ambulatoriali,centri diurni, soluzioni residenziali, lavoro pro-tetto e reparti all’interno degli ospedali generali,e che assicura, attraverso il lavoro di una equipemultidisciplinare, una diagnosi precoce, un trat-tamento tempestivo, la continuità terapeutica, ilsupporto sociale e uno stretto collegamento conaltri servizi sociali e sanitari, in modo partico-lare, con i medici di medicina generale».

Questa definizione, che pare in sé largamentecondivisibile, non ha però ancora trovatoche una parziale applicazione sul territorionazionale; scrivono infatti Munizza et al.(24) che se la diffusione del modello dipar-timentale è ormai nella sua forma quasiubiquitaria (tutte le regioni hanno Diparti-menti di Salute Mentale con le relative strut-ture ospedaliere, ambulatoriali e residenzia-li), esiste ancora una marcata differenza dalpunto di vista funzionale nelle pratiche cli-niche ed operative concrete.Potremmo dire quindi che in molte situa-zioni il Dipartimento di Salute Mentale, daun punto di vista funzionale, prima di esse-re superato dovrebbe essere realizzato (12).Si tratta allora di evitare progetti teorica-mente ineccepibili ma irrealizzabili nellaloro genericità, e operare uno sforzo volto aindividuare pochi punti prioritari sui qualiconcentrare sforzi e risorse, e impegnarci aottenere risultati. Bisogna, quindi, passareda una logica del tutto a tutti, a una logicadi definizione delle priorità, di obiettivi edi valutazione dei processi e dei risultati (19),rendendo l’offerta dei servizi flessibile, in-tegrata, collegata alla domanda attesa e aquella rilevata.Proveremo quindi a indicare le questionisulle quali è a nostro parere più urgente in-tervenire, sperando in tal modo di contri-buire a una discussione che avvertiamo ne-

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cessariamente più generale.

1. Psichiatria e società all’inizio delnuovo millennioa) Lavorare sul rapporto psichiatria/societàSe uno storico, un giorno, dovesse occupar-si dell’ultimo decennio della nostra psichia-tria, rimarrebbe colpito dal fatto che la rifor-ma abbia ormai attecchito nella società e nellacultura del nostro paese – tanto da far appa-rire universalmente tardivi e anacronistici itentativi di ritorno indietro che alcune pro-poste di legge hanno rappresentato – maquesto fenomeno è stato accompagnato dalgraduale reimporsi di tre aree di difficoltàche erano state centrali nella psichiatria del-l’Ottocento, condizionandone fortemente losviluppo: il rapporto tra psichiatria e socie-tà, quello tra psichiatria e povertà e quellotra psichiatria e Magistratura.Una grande scommessa che aveva caratte-rizzato le esperienze di psichiatria antiisti-tuzionale degli anni ‘70, e la legge 180 chene è derivata, era stata infatti rappresentatadal fatto di tentare di restituire alla società,e alla famiglia, una corresponsabilità nel-l’assistenza alle persone affette dalla malat-tia mentale, vincendo la spinta espulsiva for-midabile che aveva largamente contribuitoalla nascita e alla crescita costante in di-mensione e numerosità dei posti letto deimanicomi. E in questo dover fare i contiquotidianamente con la malattia mentale,anziché rinchiuderla per espellerla, consiste-va l’impatto traumatico e radicalmente tra-sformativo della riforma, che si proponevamolto più l’obiettivo di una trasformazioneculturale della società e degli stili di convi-venza, che non quello di un mero cambia-mento logistico-amministrativo delle mo-dalità di assistenza.Certo qualcosa è stato fatto, in questa dire-zione, soprattutto nei primi tempi: le pri-

me esperienze di uscita dal manicomio era-no state sostenute, come tanto materialefilmico e documentario che ancora oggi cicommuove e testimonia, da giornalisti, fo-tografi, artisti e gente comune. Ricordia-mo che in occasione della partecipazione delRaiseau di alternativa alla psichiatria aRoma nel 1984, vi si parlava di un’esperienzain atto a Modena, per cui un quartiere dellacittà aveva “adottato” alcune persone affet-te da malattia mentale, per sostenerne ilreinserimento nella comunità.Osserviamo, un po’ brutalmente, che oggiqualcosa del genere parrebbe impensabile:molto più comodo, per le comunità e leautorità locali, fare un fax al Centro di Sa-lute Mentale “segnalando” la situazione, easpettare che questo si assuma la responsa-bilità di prendere i provvedimenti tecnicinecessari o lasciare inevasa la richiesta. Citroviamo, cioè, a fronteggiare l’aspettativairrealistica della società che la psichiatria,all’interno del “budget” che le è assegnato edei vincoli che le sono imposti nel suo uti-lizzo, assuma “provvidenzialmente” (14) intoto il problema e trovi da sola la soluzio-ne. Che la psichiatria riformata possa cioèfar da sola e rappresentare quel “terricomio”che Basaglia paventava come rischio possi-bile della riforma se si fosse persa per stradaquella forza propulsiva che la portava in quelmomento a uscire dai cancelli.Facciamo tutti quotidianamente esperienzadi decine di fax la settimana – uno stile co-municativo che unisce in sé immediatezzanell’evacuazione del problema, garanzia sot-to il profilo della documentazione medico-legale, l’unico aspetto che talvolta sembrapreoccupare il segnalante, e coazione deldestinatario a reagire “stesso mezzo” o atenersi il problema – che raggiungono ilCentro di Salute Mentale per i motivi piùsvariati (7). Questi continui stimoli, spesso

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meramente formali, sembrano volersi tra-durre, sommandosi alle domande talvoltacomprensibili e altre meno portate “brevimanu” dalle famiglie o dai pazienti stessi,talvolta in modo ineluttabile, in richiesteultimative di ricovero ospedaliero o di po-sti letto nella residenzialità.Ma quando si diffonde la cultura per cui ciòche è questione che riguarda una personaaffetta da una malattia mentale è automa-ticamente problema esclusivo della psichia-tria, questa è già suonata come un pugileormai costretto nell’angolo, con la sensa-zione di dover parare i colpi finché sia pos-sibile, ma dover anche dichiarare prima opoi k.o. e gettare la spugna. E la questione,da questo punto di vista, non è tanto di po-ter contare su un budget che sia il 5,4 o 6%del budget sanitario complessivo, è che iproblemi che pone la malattia mentale(cura, assistenza, casa, lavoro, sicurezza ecc.)sono di tale complessità che senza una pre-sa in carico complessa, che investa necessa-riamente responsabilità molteplici e diver-se (e qui non possiamo sottrarci al richiamoalla desueta ma sempre attuale questionedella necessità del lavoro in rete) non esi-sterebbe budget per quanto generoso in gradodi risolverli.b) Investire sulla riabilitazione e il rein-serimento socialeCerto, le ragioni dell’isolamento di cui si èdetto al punto precedente, in cui troppospesso il Dipartimento di Salute Mentalefinisce per trovarsi, dipendono in parte dafattori esterni quali, in particolare, la cadu-ta della cultura della solidarietà che avevacaratterizzato gli anni ’60 e ’70 e le condi-zioni di obiettiva maggiore difficoltà e com-pressione delle opportunità e delle risorsein cui, soprattutto in quest’ultimo paio d’an-ni, la crisi e i provvedimenti assunti per af-frontarla hanno schiacciato i singoli sogget-

ti, le famiglie e tutti gli altri interlocutoriistituzionali, oltre noi stessi.Ma anche da fattori interni ai nostri servizi,sui quali ci vorremmo soffermare perchémaggiormente alla nostra portata ci pare laloro soluzione. E il primo di questi ci parerappresentato da una mancanza di speranza(30), che si riflette in primo luogo in un’in-sufficiente curiosità, disponibilità al cam-biamento e capacità di appropriazione, comele ricerche PROGRES e SIEP-DIRECT’S(10, 27) hanno ampiamente documentato,di strumenti tecnici che si dimostrano viavia scientificamente efficaci: l’intervento pre-coce sui quadri a rischio di evoluzione psi-cotica, le tecniche psicoterapeutiche e ria-bilitative di derivazione cognitivo-compor-tamentali e la psicoeducazione, ancora pocorappresentati nel bagaglio operativo dei ser-vizi. E poi in una carente cultura, pur a fron-te di tanto parlare di riabilitazione, dellaprogettualità e della finalizzazione degli in-terventi.In molte realtà, e certamente nella nostrache meglio conosciamo, ci pare cioè cheprevalga una cultura della presa in caricoche è essenzialmente cultura del tenere “ag-ganciato” il paziente, stabilizzarlo in unasituazione di sostanziale staticità, una sortadi compromesso con la malattia che noncrei grandi problemi a lui, né a noi, né aglialtri, rinunciando a guardar oltre (8). Que-sta cultura, che è già in sé problematicaquando interessa i CSM, che vanno così sem-pre più riducendosi a luoghi di monitorag-gio psichiatrico e “distribuzione diretta” difarmaci – in ossequio alle esigenze di ri-sparmio – e tutt’al più ancora per un po’ diconsulenza socio-assistenziale, né più némeno di quanto facevano i vecchi CIM de-gli anni ’50, diventa pericolosissima quan-do prevale nelle strutture residenziali, e spe-cularmente negli stessi CSM rispetto all’uso

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che fanno di questo strumento.Le strutture residenziali in altre parole, al-meno quelle appartenenti alla residenziali-tà tradizionale, ci pare possano essere divi-se sostanzialmente in due tipologie: quelleche assicurano un’assistenza umana e digni-tosa a soggetti caratterizzati da scarsa au-tonomia personale, poche prospettive, chenon possono ricevere assistenza in famiglia.E quelle che assicurano condizioni di acco-glienza di alta qualità e complessità a sog-getti problematici, per lo più caratterizzatida condizioni psicopatologiche stabilmenteassai prossime all’acuzie e da scarsa affida-bilità sotto il profilo comportamentale, sem-pre più spesso gravati da implicazioni dicarattere giudiziario. Se la dipendenza delsoggetto dalle strutture del primo tipo è undato di fatto, in quelle del secondo tipo di-venta, almeno in una prima fase, al con-tempo lo strumento fondamentale del la-voro e un primo obiettivo da raggiungere.Abbiamo, così, a disposizione strutture cheriversano il massimo impegno e hanno ingenere risultati anche sorprendenti nellaprima fase, prevalentemente acquisitiva,affettiva, comunitaria del proprio manda-to, riuscendo a garantire un sistema di con-trollo “soft” in condizioni di minima vio-lenza e massima vivibilità a pazienti chediversamente dovrebbero sperimentare pertempi lunghi gli spazi ristretti e artefattidell’SPDC o peggio quelli decisamente de-qualificati delle istituzioni del controllopenale, ma dedicano un’insufficiente atten-zione alla seconda fase dell’intervento, quellaterapeutica, riabilitativa, ricostruttiva chedovrebbe affrontare un percorso di libera-zione dalla dipendenza iatrogena, che è sta-ta indispensabile nella realizzazione dellaprima fase, e di riadattamento in vista delpassaggio verso strutture a bassa protezio-ne o verso la casa. A conferma di quanto

detto in una recente ricerca si è evidenziatocome il 46,7% dei pazienti risiedano in co-munità terapeutica per più di 4 anni e lamaggior parte di questi per più di 6 anni, afronte di un’età media di 47 anni (16).Custodire in modo soft è certo importantee indispensabile in determinate situazioni,ma altrettanto importante è fare evolvere equesto riorientamento andrebbe perseguitoincoraggiando anche una dialettica tra com-mittenza, gestori, famiglie, e i pazienti conle loro comprensibili e legittime istanze re-gressive e dipendenti che rischiano in deter-minati terreni di coltura di divenire egemo-ni, senza la quale c’è il rischio di colluderetutti insieme sull’obiettivo di una stabilizza-zione a basso livello di stimolazione (cheovviamente esclude la maggior parte delleesperienze – e dei rischi – propri della vita). Né, certo, aiuta in questo passaggio il fattoche, per vari motivi, non ultimo dei quali ilcarico complessivo di lavoro, i CSM tenda-no spesso a disinvestire dai pazienti unavolta “sistemati” e dall’aiutare le famiglie atenere presente il carattere provvisorio e ri-costruttivo dell’inserimento (4). Salvo poitrovarsi di fronte a difficoltà insormontabiliquando si prova a metter mano – sotto laspinta di un (tardivo) rigurgito di fiducia inse stessi e nell’altro, o anche della limitazio-ne dei posti letto imposta dall’effetto, in que-sto almeno in qualche misura benefico, dellacrisi economica – al ritorno nella comunitànormale di vita di pazienti che si sono abi-tuati a stare, talvolta da un numero davveroirragionevole di anni, in una situazione di fal-sificazione istituzionale, dipendenza affetti-va profonda e scarsa domanda di autonomianella quale non si è sufficientemente lavora-to, dentro e fuori, in questa direzione.Il rischio, estremamente concreto in que-sto momento, è quindi che le persone cheescono dopo anni da una comunità terapeu-

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tica ritornino a presentare dopo poco tem-po gli stessi problemi che ne avevano deter-minato l’ingresso, in termini soprattutto dialterazioni comportamentali dissociali oscarsa compliance; o paghino il raggiungi-mento di una maggiore stabilizzazione cli-nica con la perdita di autonomie fondamen-tali, che con gli anni recuperare diventa sem-pre più difficile. Questi percorsi nei quali siè persa la bussola e si è dimenticato quelloche era inizialmente l’obiettivo finisconocosì per trovare a volte (e ciò deve allarma-re), sotto la spinta anche di ragionevoli esi-genze di compatibilità economica che nonè possibile ignorare, come unico sboccostrutture dove prevale largamente l’aspettoassistenziale, che rischiano di diventare cosìluoghi della non speranza. E preludono perloro natura allo scarico dei nostri fallimentisulle istituzioni totali della geriatria, checerto possono rappresentare a una certa etàsoluzioni più appropriate, ma non possonoessere l’unico risultato possibile di percorsilunghi, onerosi e caricati di velleità riabili-tative e investimenti.c) Lavorare per la salute mentale nel tem-po della crisiA fronte della situazione descritta, che lerestrizioni economiche di cui siamo in que-sto momento oggetto contribuiscono amettere a nudo, occorrerebbe una psichia-tria “dinamica”, altamente capace di queicambiamenti radicali che paiono indispen-sabili a recuperare il ritardo e aprire allasperimentazione di soluzioni originali e so-stenibili (per speranza e apertura al cambia-mento, economicità e livello di sicurezza)come elemento di contrasto alla cronicità(di pazienti, ma anche di operatori e servi-zi) e di contrasto ai processi di reistituzio-nalizzazione che sono stati vincenti in que-sti anni (26).Ma siamo purtroppo consapevoli che ciò si

rende necessario proprio in un momento incui molteplici fattori contribuiscono a ren-derlo più difficile.In primo luogo, il fatto che lo stop alla spe-sa che ha interessato l’assistenza psichiatri-ca, come il resto del sistema sanitario, èarrivato brusco e apparentemente inatteso.Modificare il ritmo e lo stile del lavoro deiservizi, le cose che si sanno fare e si è abi-tuati a fare, che si sono impresse nei corpidi migliaia di operatori nei decenni, modi-ficare i tempi e le modalità di utilizzo delleistituzioni, innanzitutto residenziali ma nonsolo, riassorbire pratiche che col protrarsinel tempo si sono pietrificate richiederebbeinevitabilmente un tempo, che nella situa-zione attuale non è concesso: bisogna per-seguire obiettivi immediati di risparmio, enon pare esserci la possibilità di costruirestrategie di razionalizzazione neppure amedio termine.Lo scenario in cui oggi si è costretti ad ope-rare è quello di una desertificazione delleopportunità e di una contrazione, generalee non governata, delle risorse. Occorrereb-be rilanciare l’interfaccia con le istituzionidel sociale, per individuare insieme gli stru-menti in grado di offrire sbocco ai nostripercorsi di guarigione, di miglioramento odi recovery: offrire case all’uscita dai luoghidi cura, lavoro come risultato di faticosi esofferti percorsi di abilitazione, formazionee inserimento sociale.E ciò anche perché l’utenza è fortementecambiata: nel nostro DSM, ad esempio,abbiamo constatato con sorpresa che tra i1.300 pazienti registrati con diagnosi di psi-cosi tra 18 e 50 anni (si tratta di dati ancorasolo indicativi perché l’implementazione delsistema informativo è ancora in corso), il 24%risulta occupato, a fronte di una percentualedi occupati nella popolazione attiva nellanostra città di poco superiore al 50%. La con-

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dizione di psicosi, quindi, sembra essere tut-t’altro che ostativa allo svolgimento di unlavoro, anche se il gap che separa chi ne èaffetto dalla popolazione generale sottolineala necessità di investimenti.Se ciò che viene fatto per perseguire obiet-tivi di risparmio fosse minimamente gover-nato a qualche livello e avesse un senso,dovremmo aspettarci che a una contrazio-ne delle risorse a disposizione per interven-ti sanitari più “pesanti” corrispondesse unamaggiore disponibilità di opportunità, menocostose, spostate nel sociale. E del resto,intervenendo al convegno Che cos’è salutementale? tenutosi a Trieste nel febbraio 2010,il sociologo Robert Castel identificava neldiritto all’abitare, al cibo e all’accesso a qual-che forma di lavoro e di reddito diritti fon-damentali dell’uomo, che una società al li-vello economico della nostra dovrebbe es-sere in grado di garantire universalmente.Ma invece sono proprio questi diritti “de-boli” (5) a diventare oggi sempre meno esi-gibili, e ci troviamo, così, a dover perse-guire obiettivi di risparmio della spesa sa-nitaria (il che probabilmente in psichiatrianon sarebbe in sé impossibile a fronte anchedel mantenimento degli standard di quali-tà), in una situazione in cui, intorno a noi edopo di noi, i fondi sociali a disposizionedei Comuni hanno subito una decurtazionevicina al 75% in un anno. E le leggi finan-ziarie che si stanno succedendo rischiano dideterminare così, insieme a tanti altri con-traccolpi, indirettamente quel drastico rio-rientamento delle pratiche di cura in psi-chiatria che le proposte di controriforma diquesti anni non hanno saputo realizzare.L’utenza, a sua volta, risente dei duri con-traccolpi della crisi economica e dell’imper-cettibile ma costante estendersi dell’area dellapovertà, non solo in termini quantitativi, conuna maggiore fatica nell’affrontare quello che

può diventare un binomio deleterio che legatra loro povertà e sofferenza, o a maggiorragione malattia, mentale; scriveva, ormaimolti anni fa, con la lucidità che gli è con-sueta, Gaetano Benedetti (1) che:

«bisogna tenere presente che esiste nel fenomenodella povertà un circolo vizioso; il povero nonviene semplicemente tenuto nel suo stato da chi hainteresse a usufruire dei beni da cui lui è escluso,ma viene escluso anche da certe tendenze specifichedella povertà, come la perdita di motivazione alsuccesso sociale, alle prestazioni ecc.».

2. Nuovi bisogni assistenziali e nuo-vi modelli di curaa) Sviluppare politiche di prevenzione e diintervento precoce: gli interventi precocinelle psicosiNell’ambito dei disturbi psichiatrici gli in-terventi sono sempre stati orientati quasiesclusivamente alla prevenzione terziaria,ma negli ultimi anni l’acquisizione di nuo-ve conoscenze ha permesso di prospettarelinee di intervento anche nell’area della pre-venzione secondaria, in particolare quandorivolta al riconoscimento precoce, di nuovicasi e alla riduzione del ritardo nel metterein atto un trattamento efficace, mentre l’ef-ficacia di strategie di prevenzione primaria,rivolte ad esempio ai fattori di rischio psi-cosociale, rimane incerta. L’esempio piùattuale di un cambiamento di rotta rispettoalle politiche di prevenzione in psichiatria èquello che riguarda gli interventi precocinelle psicosi, un campo nel quale negli ulti-mi anni molti studi (2,21,3) hanno postosempre più l’accento sull’ampia variabilitàdegli esiti a breve e a lungo termine dellaschizofrenia e hanno mostrano come questisiano correlati con la durata della psicosinon trattata (DUP: duration of untreatedpsychosis) e con l’evoluzione durante i dueanni successivi al primo episodio psicotico,

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il cosiddetto “Periodo Critico”, che coinci-derebbe, nella psicosi, al periodo di massi-ma plasticità e modificabilità del quadro psi-copatologico, al termine del quale si rag-giungerebbe un “plateau”, sul piano sinto-matologico e delle disabilità, difficilmentereversibile (22).In seguito a questi risultati da alcuni anni ilriconoscimento precoce e una diversa e piùintensiva gestione della schizofrenia all’esor-dio sono diventati temi centrali di salutementale e obiettivi prioritari di sanità pub-blica, capovolgendo di fatto le basi teorichedelle pratiche cliniche attuali, assumendol’ipotesi che una riduzione della durata del-la psicosi non trattata (DUP), attraversointerventi di individuazione precoce e trat-tamenti farmacologici e psicosociali nelleprimissime fasi della malattia, possa miglio-rare gli esiti a breve e a lungo termine.In relazione a queste nuove conoscenze agliinizi del 2007 il Ministero della Salute hapubblicato le linee guida per gli interventiprecoci nella schizofrenia che raccomanda-no lo sviluppo di programmi strutturati diidentificazione e trattamento precoci deisoggetti al primo episodio di schizofrenia.In Italia l’implementazione di servizi diquesto tipo è solo all’inizio (in non più del20% sul totale dei centri di salute mentale)(17) ed è in corso un confronto culturale tracoloro che propongono un modello specia-listico di erogazione del servizio, cioè auto-nomo sia strutturalmente che funzionalmen-te rispetto agli altri servizi di salute menta-le (9), e coloro che propongono un modellogeneralista, cioè integrato all’interno deicentri di salute mentale.Al di là di questo, ciò che appare necessarioin questo momento è un cambiamento diprospettiva rispetto all’approccio ai distur-bi psichici di qualche anno fa, con una mag-giore attenzione agli interventi precoci in

psichiatria, al riconoscimento precoce e allariduzione del ritardo nella messa in atto degliinterventi. Come sottolinea in modo un po’provocatorio McGlashan (20):

«Intervenire precocemente significa chiedere aglipsichiatri e agli operatori di modificare la pro-spettiva del loro lavoro da quella di alienisti chesi fanno carico di malattie croniche a quella diclinici che trattano il rischio e proteggono la sa-lute».

b) Incrementare la collaborazione con i si-stemi di primary care (MMG) per i disturbidepressivi e ansiosiL’aumento della domanda di assistenza, lanecessità di migliorare il rapporto tra pre-valenza trattata delle patologie psichiche eprevalenza reale richiedono la realizzazionedi percorsi di cura integrati tra i Servizi diSalute Mentale e i Medici di Medicina Ge-nerale (MMG), come peraltro già raccoman-dato dall’Organizzazione Mondiale dellaSanità nel 2001. Il razionale alla base di taleraccomandazione deriva innanzitutto dairisultati di molti studi epidemiologici cheindicano che solo una piccola proporzionedei pazienti con disturbi psichiatrici comu-ni (ansia e depressione) giunge all’osserva-zione dei servizi psichiatrici, mentre lamaggior parte si rivolge e viene assistita dalproprio medico di medicina generale(MMG) (28,18,31).La depressione, ad esempio, è la terza causapiù frequente di consultazione nella medici-na di base, ma solo il 25-50% dei pazientidepressi viene individuato e solo alla metà diquesti viene proposto un trattamento anti-depressivo. Questa percentuale è ancora piùbassa se la popolazione è ristretta ai pazientianziani; in questo caso la depressione vienericonosciuta in meno del 20% dei casi.Una collaborazione tra servizi psichiatrici emedicina generale diventa quindi una stra-tegia prioritaria non solo per un utilizzo ra-

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zionale delle risorse, ma anche per il mi-glioramento dell’appropriatezza complessi-va del trattamento di patologie come la de-pressione.La letteratura scientifica evidenzia che lacreazione di una rete collaborativa (colla-borative care) tra servizi di salute mentale emedici di medicina generale rappresenta l’in-tervento più efficace per il miglioramentodegli esiti non solo a breve termine ma an-che a lungo termine (25). La realizzazionedi una collaborative care determina infatti ri-spetto al trattamento standard una maggioreriduzione dei sintomi, una più frequente re-missione e un miglioramento dell’adesioneal trattamento farmacologico.L’integrazione tra servizi di salute mentalee medici di medicina generale rappresentaun intervento complesso, in cui molte com-ponenti sono in atto, e le modalità di im-plementazione possono differire in relazio-ne ai contesti terapeutici e culturali.I principali studi sono stati condotti negliStati Uniti e in Gran Bretagna e sono stateproposte numerose strategie organizzativeper l’integrazione degli interventi terapeu-tici. Gli interventi variano da molto sem-plici come l’utilizzo di telefonate per mo-nitorare l’adesione al trattamento e l’anda-mento dei sintomi o la formazione dei me-dici di medicina generale, ad altri più com-plessi che prevedono il coordinamento e lacollaborazione di diversi servizi e diversefigure professionali nel processo di assisten-za, con un ruolo prevalente per le figure nonmediche, che assumono il ruolo di case-manager. Generalmente più l’intervento ècomplesso e coordinato maggiore è l’effica-cia sia a breve che a lungo termine, con ri-sultati che sembrano persistere fino a 4 annidopo l’intervento.Un programma complesso e coordinato dicollaborative care dovrebbe prevedere un team

comprendente un medico di medicina ge-nerale, uno psichiatra, un infermiere o uneducatore esperto o formato sulla depres-sione, che valuta i sintomi seguendo assi-duamente il paziente, svolge interventi edu-cativi sui sintomi e sul trattamento e coor-dina il lavoro con gli altri membri del team.In Italia alcune esperienze di collaborazio-ne sono in atto da alcuni anni in alcune re-gioni e in particolare in Emilia Romagna ilrisultato più importante è stato quello dicreare una cultura condivisa tra servizi dicure primarie e psichiatria, che ha determi-nato la realizzazione di un progetto strate-gico regionale e la possibilità di sperimen-tare sul campo un modello integrato di step-ped-care.c) Migliorare i percorsi terapeutici nellearee di confine: i disturbi psichiatrici nelledipendenze patologiche e negli anzianiL’artificiosità della separazione tra la presain carico della dipendenza (da sostanze manon solo) e quella di altre malattie mentalia decorso medio-lungo, che ha visto nasce-re in alcune regioni i servizi deputati allaprima in modo totalmente avulso da quellidell’area della salute mentale, e in altre stac-carsi da essi a metà degli anni ’90 (in conco-mitanza con la maggior diffusione dell’usodi eroina, la sua gestione prevalentementegiudiziaria e l’esplosione del problemaAIDS), ha portato recentemente alcune re-gioni (Emilia Romagna e Liguria p. es.) a ri-portare i Ser.T. all’interno del Dipartimentodi Salute Mentale (DSMD). Questo passag-gio, ineccepibile sotto il profilo teorico, staperò portando, almeno nel nostro caso, nellasua concreta messa in opera più problemi delprevisto, in quanto i due mondi, che hannovissuto per una quindicina d’anni separatil’uno dall’altro e hanno maturato ciascuno leproprie peculiarità, si trovano ad affrontarein questo momento i nodi organizzativi e

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culturali connessi alla riunificazione proprioin un momento nel quale è richiesto, a cia-scuno dei due, di riflettere criticamente sullapropria storia e il proprio stile operativo, ol-tre che sui propri conti, e ripensarsi. Dueoperazioni che sembra difficile possano esse-re realizzate contemporaneamente, e tra lequali sembra indubbio che il ripensamento eil rilancio della propria operatività debba rap-presentare, per entrambi, un passaggio preli-minare a una, pur in prospettiva necessaria,integrazione e a un ragionamento sulla po-polazione portatrice di problemi di salutementale di un certo territorio, sia che essi simanifestino nella forma delle dipendenze odella sintomatologia clinica, come un’unicaarea problematica.Quanto alla psicogeriatria, essa rappresentacertamente la seconda area di confine sullaquale è indispensabile investire perché essarappresenterà nei prossimi anni il banco diprova della capacità dei servizi di salutementale (che in molti casi ancora oggi nonprendono in carico paziente over 65) di tra-sformarsi e di assumere competenze nuove,di sviluppare reti di assistenza multidisci-plinari e di realizzare nuovi percorsi di liai-son, e di contaminare le discipline più “me-diche” con le proprie attitudini alla relazio-ne umana, alla significazione e alla tuteladei diritti.Questo percorso sarà ineludibile se si pensaal rapido processo di invecchiamento dellapopolazione che ha portato la componenteanziana in Italia a oltre il 20% nel 2008 eche proseguirà in maniera progressiva, giun-gendo nel 2050 a deformare la struttura peretà della popolazione, con una quota di an-ziani (33% del totale della popolazione) ol-tre due volte e mezzo la quota di giovani.Il numero sempre crescente di anziani sitradurrà in richieste sempre maggiori diservizi socio-sanitari e di cura e lo squili-

brio che s’ingenererà tra le classi economi-camente produttive e le classi anziane met-terà a dura prova la sostenibilità dei sistemidi welfare contemporanei.In ambito psichiatrico i bisogni di presa incarico riguarderanno le demenze, la cui pre-valenza aumenta con l’età fino al 30% so-pra gli 85 anni, e i disturbi psichici e com-portamentali associati (Behavioural andPsychological Symptoms of Dementia, BPSD),la depressione, che ha una prevalenza dal10% al 25% sopra i 65 anni e che determi-na un elevato rischio di istituzionalizzazio-ne e di mancata adesione al trattamentodella patologie somatiche croniche conco-mitanti, il suicidio (nel 2008 in Italia il 40%dei suicidi ha coinvolto persone con più di65 anni), la comorbidità tra depressione edemenza, tanto difficile da inquadrare quan-to frequente, il supporto psicologico ai ca-regiver, senza dimenticare, infine, il proble-ma già visibile dell’aumento generale dellarichiesta di residenzialità a lungo termine edell’elevato utilizzo di psicofarmaci neglianziani. Tutti questi problemi clinici nonpotranno più rimanere sul confine nebulosodelle competenze non definite tra le disci-pline interessate (psichiatria, neurologia, ge-riatria, ma anche dipartimenti di cure pri-marie e distretti socio-sanitari) ma dovran-no essere accolti dentro una trasformazionedi prospettiva in cui l’area della specializza-zione perderà funzionalità e potere a favoredi un aumento dell’efficacia e della appro-priatezza degli interventi.Al momento in Italia le esperienze di retimultidisciplinari funzionali di neuro-psico-geriatria invece sono scarse e il coinvolgi-mento dei servizi di salute mentale nellapresa in carico di problemi psicogeriatrici èdisomogeneo, con una variabilità che vadalla totale trascuratezza a Centri di Salutementale che gestiscono Unità di Valutazio-

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ne Alzheimer.I modelli organizzativi futuri, cui solo unDSM radicalmente rinnovato nel senso fi-nora auspicato potrà mettere mano, dovran-no verosimilmente, in un’ottica di rete, su-perare la frammentarietà dell’offerta assi-stenziale e orientarsi verso soluzioni inte-grate e proposte modulari di trattamento adifferenti livelli di intensità di cura (dai cen-tri ambulatoriali all’home care, dall’RSAall’Alzheimer cafè); la clinica e l’attenzionealla persona, inoltre, dovranno riacquistarecentralità e significato rispetto all’eccessivaenfasi attuale sulla dimensione gestionale eassistenziale, che con individui fragili e vul-nerabili comporta il rischio di nuove deriveistituzionalizzanti di memoria manicomia-le (“dottore, questo dove lo metto?”).d) Lavorare sull’interfaccia con la Giusti-zia: il carcere o l’OPGIl tentativo di riorganizzazione dell’assisten-za psichiatrica, orientata a un approccio disanità pubblica, non poteva più oltre nonprendere in considerazione la presa in cari-co dell’alto tasso di patologia psichiatricapresente nella popolazione carceraria e ilmigliaio di pazienti psichiatrici internatinegli Ospedali Psichiatrici Giudiziari(OPG), affrontati dal DPCM 1/4/2008 edalle conseguenti linee di indirizzo.Al di là della piena condivisibilità di questipassaggi normativi, che rappresentano attidovuti e vengono a sanare anni di incom-prensibile ritardo (11), non possiamo perònasconderci il fatto che, in questa fase incui i DSM sono chiamati a impegnarsi inuna radicale trasformazione del proprio sti-le operativo in particolare sulle questionifinora richiamate, essi pongono nuovi pro-blemi (e in certi casi ripropongono proble-mi secolari e per qualche decennio elusi) inun momento di particolare debolezza e dif-ficoltà.

Rimandando necessariamente ad altri con-tributi per una trattazione più estensiva del-le questioni operative vorremmo qui iden-tificare alcuni nodi particolarmente proble-matici.Il primo è rappresentato da una questionedi carattere generale che investe la societàitaliana: abbiamo infatti la sensazione chela generale caduta dei collanti etici, politi-ci, culturali, pur non privi di contraddizio-ni che sono poi esplose, che l’avevano so-stenuta dalla Liberazione alla fine degli anni’70 abbia lasciato l’azione giudiziaria, e ilMagistrato che ne è titolare, come una sor-ta di risolutore universale, attraverso inter-venti per loro natura parcellari e non riso-lutivi, dei problemi che di volta in volta sipongono e creano allarme, dalla corruzio-ne, alla microcriminalità, all’immigrazio-ne come fenomeno esteso, senza che vi fos-se al riguardo nessuna capacità di visionestrategica da parte di altri.Contestualmente, il dialogo tra la psichia-tria e la Magistratura, o almeno alcune suecomponenti più avvertite, dopo i primi annidalla riforma, si è interrotto; la psichiatriaclinica si è ritirata in un assurdo idillio, in-terpretando qualunque cosa avesse a che farecol controllo come un’indebita contamina-zione del setting ideale delle sue azioni dicura che avevano come unico interlocutoreil paziente, mentre la Magistratura adottavacome unico interlocutore un’altra psichiatria,quella forense, i cui rapporti con i colleghiclinici si sono fatti negli anni, salvo poche efortunate eccezioni, sempre più rare.La società, la politica, la cultura italiane ri-fiutavano di occuparsi con una visione stra-tegica e culturale della questione penale, la-sciando che il carcere degradasse agli attualilivelli, e che le politiche criminali nei campidelicati dei minorenni, degli anziani, dei sexoffenders o delle persone affette da malattia

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mentale andassero incontro a un processo didesertificazione.Nel frattempo, le trasformazioni in atto nellasocietà occidentale facevano sì che l’imma-turità, che la legge limita alla minore età, siestendesse ben oltre i diciott’anni, creandoun’area grigia di persone formalmente adul-te il cui rapporto col reato, e con l’eventualecastigo, mantiene tutte le caratteristiche psi-cologiche del reato minorile.Sull’altro versante, il nostro, la sensazione diincertezza/inaffidabilità della diagnosi psi-chiatrica, cui abbiamo certo ampiamentecontribuito e la poca chiarezza sui criteri diappropriatezza dei nostri interventi, in par-ticolare per quanto riguarda luoghi, tempi emodi dei trattamenti comunitari residenzia-li, contribuivano a rendere confusi e del tut-to permeabili i confini dell’ambito di com-petenza e di pertinenza dell’intervento psi-chiatrico.Tutto questo insieme di fattori ha fatto sìche il sistema giudiziario, di fatto, utilizzas-se per un discreto numero di anni l’ambitodella psichiatria, e in particolare le struttureresidenziali psichiatriche, per rispondere aesigenze di custodia “soft” e di allontanamen-to, il cui rapporto con obiettivi di cura era inalcuni casi poco palpabile, di soggetti che ilsentimento di umanità impediva di colloca-re in carcere o in OPG, e per i quali nonesistevano altri luoghi o strumenti cui affi-darli.Questo fenomeno è andato crescendo inmodo impalpabile di anno in anno, ed è di-ventato sempre meno compatibile con esi-genze di controllo della spesa sanitaria cheparallelamente si facevano più strette, men-tre il processo in atto di superamento degliOPG è giunto buon ultimo a imprimergli,recentemente, una brusca accelerazione. Siverificano così fenomeni, forse in parte ine-vitabili, che non possono però non preoccu-

pare: la percentuale di autori di reato tra ipazienti ai quali viene destinato (e finanzia-to) dal DSM un posto letto nella residenzia-lità ha subito un’impennata negli ultimi anni;gli autori di reato rappresentano in alcunerealtà la maggioranza dei nuovi inserimenti;cominciano ad essere più frequenti i casi disoggetti che il DSM si vede costretto a inse-rire in strutture residenziali per rispondere auna richiesta di controllo, e che non avrebbeinvece inseriti sulla base dei criteri clinici cheutilizza per la generalità dei propri pazienti.Appare così, a questo punto, inevitabilmen-te delimitata un’area di comune responsabi-lità, tra Magistratura e Dipartimenti, all’in-terno della quale uno sforzo di trovare unarisposta comune ad alcune questioni sembraineludibile. Come quella dell’immediata tra-ducibilità di concetti giuridici come infer-mità di mente o infermità sopravvenuta conil concetto clinico di malattia mentale (13),dei criteri in base ai quali devono essere sta-biliti accesso e tempi di dimissione dallestrutture o dai progetti o, ancora, quella distabilire se le nostre comunità terapeutichefanno bene comunque a tutti coloro che de-vono essere custoditi o esistono in propositospecifiche indicazioni e controindicazioninella clinica.Questo, anche al fine di evitare che una ri-chiesta di soluzioni sempre più distanti esempre più chiuse non rischi di incrementa-re ulteriormente quel processo, già per no-stra propria responsabilità in atto da anni,per cui l’area della residenzialità incide inmodo sempre più marcato in termini di pa-zienti in trattamento e di spesa, a detrimen-to di quella degli interventi territoriali, aiquali è peraltro, giova ricordarlo, affidato –per quello, ovviamente, che riguarda le no-stre popolazioni – un ruolo fondamentaleanche sotto l’aspetto del controllo e della si-curezza diffusi, stante lo scarso potere pre-

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oltre il quale non è più possibile operare, esoprattutto che il contenimento dei costi siafatto in modo ponderato e orientato versofinalità precise, tenendo conto che i tempinecessari a rientrare da cattive pratiche chepossono avere caratterizzato il passato po-tranno anche non essere brevi, e anzi una tra-sformazione delle pratiche può rendere ne-cessario, nel breve periodo, qualche investi-mento intelligente e mirato.Occorre, comunque, da parte nostra fare for-za sulle competenze la cui efficacia si è rive-lata più evidente, e contemporaneamente ènecessario un rilancio dell’iniziativa politica(lavoro di rete) dei servizi volta a coinvolge-re nella questione salute mentale istituzionie persone; identificando un numero limitatodi problemi prioritari, e un piano di rilancioche consenta di affrontarli.

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I modelli regionali nelle politiche di salute mentaleRegional models in mental health policies

Mauro PercudaniDipartimento di Salute Mentale A.O. “G. Salvini”, Garbagnate Milanese, Milano

Giorgio CeratiDipartimento Salute Mentale, A.O. “Ospedale Civile di Legnano”, Legnano, Milano

Andrea AngelozziDipartimento di Salute Mentale, USSL Treviso

Gruppo di Lavoro S.I.P.Gruppo di lavoro “Società Italiana di Psichiatria” per la preparazione del Seminario diLegnaro 2010.

Parole chiave: salute mentale,organizzazione sanitaria, programmazione regionale, percorsi clinici in psichiatria

RIASSUNTOObiettivi: la regionalizzazione dei sistemi sanitari ha prodotto scenari diversi nelle regioni, ove il modo diintendere l’organizzazione dei servizi cambia in modo significativo. L’articolo si pone l’obiettivo di presen-tare gli indirizzi e i programmi proposti delle diverse Regioni in tema di salute mentale.Metodologia: sulla base di una griglia che ha fatto da questionario per una rilevazione omogenea e sistematicadi dati avviata dalla Società Italiana di Psichiatria (SIP), sono stati raccolti ed analizzati i contributi inviati dadiverse Sezioni Regionali relativamente alle normative regionali più recenti (Progetto Obiettivo / PianoRegionali sulla Salute Mentale).Risultati: i risultati dell’indagine vengono presentati sulla base di tre aspetti principali: i) Identità, strutturee attività del Dipartimento di salute mentale nell’ambito della pianificazione regionale; ii) il Dipartimentodi salute mentale nel contesto dell’ospedale, del territorio e delle aree di confine; iii) i percorsi clinici eriabilitativi, le strategie di presa in carico, i “nuovi” bisogni.

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 2, aprile-gugno 2012

193Mauro Percudani, Giorgio Cerati, Andrea Angelozzi, Gruppo di Lavoro S.I.P.

Key Words: mental health, health policy; regional organisational models, clinical pathways in psichiatry

S U M M A RYObjectives: recent national legislation emphasizes the role of the Regions in the organisation of health careactivities. There is a wide variation across the Italian regions in the organisational models devoted tocommunity psychiatry. This article aims to describe different regional models of mental health care in theItalian regions.Methodology: a questionnaire has been carried out to investigate organisational model for communitypsychiatric care and regional legislation in different Italian regions. The research has been implementedunder the direction of Italian College of Psychiatrists (Società Italiana di Psichiatria).Results: the article presents the main contents of the investigation considering three topics: i) policy,structures and activities of mental health departments; ii) the activities of mental health departmentswithin the organisational framework for hospital and community care; iii) clinical and rehabilitativepathways of care, strategies of integrated treatment for patients with severe mental disorders, innovationand new models of care.

IntroduzioneGli indirizzi di politica sanitaria e la pro-grammazione in tema di salute mentalehanno visto, da parte delle Regioni, svilup-pi significativi nel corso degli anni, in par-ticolare nell’ultimo decennio (seguito alProgetto obiettivo nazionale “Tutela dellasalute mentale 1998-2000”).La regionalizzazione dei sistemi sanitari haprodotto scenari diversi nelle regioni, oveil modo di intendere l’organizzazione deiservizi cambia in modo significativo. Di-viene quindi necessario saper cogliere, dauna parte le peculiarità propositive dellediverse organizzazioni regionali, studiarle ediffonderle, e contemporaneamente è fon-damentale evidenziare i valori di fondo etrasversali che stanno alla base di ogni or-ganizzazione. Valori fondati sulla evoluzio-ne delle conoscenze, su una cultura dellavalutazione e della attenzione alla qualità,sulla relazione personale di cura e sui prin-cipi della psichiatria di comunità (1).In ambito socio sanitario in particolare siriscontrano importanti differenziazioni e lacomparsa di offerte e modalità operative checoinvolgono una molteplicità di attori, trai quali il Dipartimento di salute mentale

diviene protagonista di una sinergia e di unaintegrazione culturale, oltre che fornitoredei livelli di cura e assistenza. Infatti, oltreche sui temi dell’integrazione sociosanita-ria, una seconda area nella quale si sono av-viati importanti azioni di riorganizzazionenegli ultimi anni è quella della revisione deipercorsi di cura: sui temi della residenziali-tà e semi-residenzialità, sull’accoglienza el’intervento precoce dei disturbi gravi, sudepressioni e doppie diagnosi si sono avvia-te azioni rilevanti sia a livello nazionale chedelle singole Regioni.Nelle diverse Regioni, pur in modo etero-geneo, si è consolidata la presenza di una“rete per la salute mentale” ovvero una plu-ralità di attori (associazioni, istituzioni, vo-lontariato, privato e privato sociale) cherappresenta una risorsa di sussidiarietà ope-rativa e responsabile, importante se ben uti-lizzata, per il lavoro dei DSM. Analogamen-te il tema della partecipazione dell’utenza ela sua responsabilizzazione nelle scelte or-ganizzative e nella definizione dei principi-guida sembra essere oggi la frontiera prin-cipale della lotta allo stigma: dal recuperodei diritti di cittadinanza alla piena titola-rità ad essere parte in causa nella contrat-

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I modelli regionali nelle politiche di salute mentale

tualità sociale e nella libera scelta.Questo scenario complesso richiede natu-ralmente un approccio culturale integrati-vo sia delle teorie e tecniche di derivazionefenomenologica e psicodinamica che deglistrumenti propri delle discipline biomedi-che. Del pari esso nasce anche da una visio-ne che integra le conoscenze biopsicociali,sorte nell’ambito della ricerca clinica, conla realtà tanto dei bisogni delle personequanto delle risposte delle comunità, chelegittimamente emergono in contesti diversida Regione a Regione ma che tuttavia deb-bono ritrovare un ambito di paragone, didibattito e di sintesi a livello nazionale.

MetodologiaL’articolo si pone l’obiettivo di presentaregli indirizzi e i programmi proposti dallediverse Regioni sui grandi temi sopra indi-cati, sulla base di un attento lavoro di sin-tesi dei diversi e più rappresentativi contri-buti in campo. Sulla base di una griglia cheha fatto da questionario per una rilevazioneomogenea e sistematica di dati avviata dal-la Società Italiana di Psichiatria (SIP) inoccasione del Seminario Interregionale svol-tosi a Legnaro nel 2010, sono stati raccoltied analizzati i contributi inviati da diverseSezioni Regionali. Nello specifico, hannocontribuito alla raccolta di informazioni lesezioni regionali della SIP di: Calabria,Campania, Emilia Romagna, Friuli VeneziaGiulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche,Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Tren-tino Alto Adige, Veneto (2).Specificamente, nell’ambito del questionario,sono state considerate le seguenti tematiche:- l’esistenza di Piani o Progetto-obiettivo spe-

cifici, che delineino il modello di fondoadottato (ad es. come si articolano i va-lori della psichiatria di comunità, dellapersona, della sussidiarietà) e i suoi ri-

svolti organizzativi, o altri atti program-matori specifici in tema di tutela dellasalute mentale;

- la proposizione all’interno della program-mazione e normativa regionale di Percor-si clinici nei quali inquadrare le forme diassistenza rivolte agli utenti dei servizipsichiatrici: percorsi di cura territoriali,organizzazione e programmi residenziali(con i gradi di intensità differenziati: alta,media, bassa), progetti innovativi e disviluppo;

- l’integrazione: le aree di confine (NPIA- adolescenza, Sert, ecc.) e il DSM, i mo-delli per l’integrazione socio-sanitaria, ilrapporto con la rete, i mondi vitali, ilprivato sociale;

- l’aspetto gestionale: sistema informativo,governo clinico, ospedale ed emergenza,aree specifiche ulteriori (OPG, formazio-ne ...)

L’ipotesi di lavoro è stata quella di realizzare:- un effettivo confronto tra le politiche delle

diverse regioni sulla salute mentale direciproca utilità;

- un contributo per far emergere le inno-vazioni e i contributi più importanti suidiversi temi che valorizzino modelli edesperienze in atto.

RisultatiI risultati dell’indagine vengono presentatisulla base di tre aspetti principali:1. il Dipartimento di salute mentale, iden-

tità, strutture, attività nell’ambito dellapianificazione regionale,

2. il Dipartimento di salute mentale nel con-testo dell’ospedale, del territorio e dellearee di confine,

3. i percorsi clinici e riabilitativi, le strate-gie di presa in carico, i “nuovi” bisogni.

Il Dipartimento di salute mentale,

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identità, strutture, attività nell’am-bito della pianificazione regionaleNell’analisi condotta sui documenti di pro-grammazione regionale, è emerso che a set-tembre 2010, esisteva un Progetto ObiettivoRegionale o un Piano Regionale dedicato allaSalute Mentale in 11 delle 20 Regioni Italia-ne. In 8 Regioni esiste un Piano Sanitario re-gionale ove vengono affrontate le tematichespecifiche della tutela della salute mentale.Riguardo ai Progetti Obiettivi o Piani Re-gionali, in 3 Regioni sono stati approvati pri-ma del 2000, 4 tra il 2000 e il 2005, 4 dopo il2005. Nella maggior parte dei casi, laddoveesiste un Progetto Obiettivo o Piano per laSalute Mentale esiste un documento specifi-co anche per l’area della Neuropsichiatria In-fantile e dell’Adolescenza.L’indagine più approfondita condotta sulle14 regioni ove le Sezioni regionali SIP han-no inviato un documento per il Seminariodi Legnaro (2), ha permesso di evidenziareche in 8 di tali 14 Regioni esiste un organi-smo specifico per la salute mentale e in al-tre 4 esistono tavoli su argomenti specifici.In sole 5 Regioni vi è la presenza formaledella SIP a tali tavoli.Nella maggior parte delle Regioni esiste unSistema Informativo o comunque una rac-colta specifica di dati riguardante la SaluteMentale e la raccolta epidemiologica di datiè considerata un aspetto fondamentale perla programmazione. In tal senso vi è l’indi-cazione per la definizione di un sistema in-formativo nazionale uniforme riguardo allaraccolta di dati.Sempre nella maggior parte delle Regionivi è un sistema di requisiti specifici per l’ac-creditamento delle strutture ospedaliere,territoriali e residenziali per la salute men-tale.Riguardo ai contenuti specifici dei documen-ti di Progetti Obiettivo o Piani regionali

per la Salute Mentale, emerge che l’analisidei dati epidemiologici è trattata in modosignificativo in solo 4 documenti, è soloaccennata in 2 documenti ed assente in 8.In 6 documenti sono indicati riferimenti diletteratura a sostegno delle scelte program-matorie e in solo 6 Regioni le indicazioniprogrammatorie sono precedute da un’ana-lisi delle criticità.Sulla base di tali analisi, emerge una consi-derazione sostanziale riguardo all’importan-za dell’impostazione metodologica: un do-cumento di Piano deve evitare i rischi diessere generico e poco documentato e inve-ce deve essere vicino all’operatività quoti-diana, considerare i bisogni dei soggetti in-teressati (condiviso con tutti gli attori), con-tenere programmazioni innovative, basarsisui dati rilevati e prevedere effettivi moni-toraggi e verifiche. Non sempre queste ca-ratteristiche sono presenti sistematicamen-te nelle documentazioni esaminate.Ad esempio, l’esperienza Veneta mostracome anche approcci normativi dettagliatie documentati, affidati alla integrazione fortefra Progetti Obiettivi e norme di autoriz-zazione ed accreditamento, non protegga-no da una applicazione differenziata nei di-versi DSM. Una analisi dei costi, in attopresso la Regione, mostra infatti una evi-dente disomogeneità. Questa è di minoreentità fra le risorse riservate ai diversi DSMo fra quali e quante siano le strutture atti-vate. Emerge soprattutto una diversità ri-levante in come le risorse sono dedicate neiDSM ai vari settori della salute mentale,cioè l’ospedale, il territorio, la semi e la re-sidenzialità. Abbiamo quindi strutture omo-genee nel nome, ma nella realtà disomoge-nee per dotazioni, processi e modelli opera-tivi. Più che le norme sembrano valere lediverse storie locali ed i diversi approcci allaoperatività psichiatrica. E quanto questo sia

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da attribuire alle scelte delle amministra-zioni e quanto invece alle scelte degli ope-ratori appare un ambito da approfondire. Inun meccanismo di cornici concentriche, al-l’interno delle disomogeneità dell’accessoalle risorse da parte della salute mentalenelle Regioni, compare una disomogeneitàdei DSM nella stessa Regione e dei diversiambiti all’interno dei DSM. Questo ci sug-gerisce che una omogeneità non può esseregarantita solo dalle norme ma richiedemodelli condivisi a livello operativo e unaripartizione coerente delle risorse. La anali-si della spesa appare in questo senso più il-luminante della esplicitazione dei modellinei Progetti regionali o locali.

Il Dipartimento di salute mentale nelcontesto dell’ospedale, del territorioe delle aree di confineNei documenti di programmazione dellediverse Regioni in tema di salute mentale,il tema dell’integrazione socio-sanitaria e delcollegamento del DSM con la rete sociale ei diversi attori del territorio rappresenta unpunto centrale nelle programmazioni dellediverse Regioni. Seppur con alcune differen-ze relativamente al ruolo che nei tavoli isti-tuzionali assumono il DSM, il DistrettoSocio Sanitario e i Piani di Zona, vi è un’am-pia convergenza rispetto alla indicazione chela risposta ai bisogni di salute mentale nonpuò essere trovata solo nell’ambito sanita-rio, ma necessariamente deve coinvolgereanche l’ambito sociale e considerare l’aspettoesistenziale e relazionale della vita dell’uo-mo (3). Nell’ambito della tutela socio-sa-nitaria delle persone affette da disturbi psi-chici, un’importanza fondamentale è dataal concetto di integrazione tra interventipropriamente sanitari (diagnosi, cura, ria-bilitazione), interventi sanitari a rilevanzasociale (prevenzione primaria e azione cul-

turale di lotta allo stigma, prevenzione se-condaria e terziaria) e interventi sociali arilevanza sanitaria (es: risocializzazione, sup-porti economici, culturali, abitativi, inseri-menti lavorativi).Riguardo al tema cruciale dell’integrazionesocio-sanitaria e tra i soggetti, per l’attua-zione dei principi di un Piano regionale intermini di incidenza culturale e istituziona-le, ad esempio, in Lombardia funziona pressotutte le ASL l’Organismo di coordinamen-to per la salute mentale (OCSM). La pro-spettiva è quella dell’integrazione e del col-legamento tra i diversi soggetti, istituzio-nali e non istituzionali (sussidiarietà), coin-volti nella salute mentale: attorno alle ASL,ente terzo garante della promozione e tute-la della salute mentale, i DSM e gli eroga-tori privati accreditati in relazione alla or-ganizzazione di percorsi di trattamento psi-cosociale efficaci, interagiscono in ordine aquesti obiettivi, per il reperimento delle ri-sorse occorrenti e delle integrazioni utili algoverno clinico, con le agenzie del privatosociale e della “rete naturale”, in rapportoanche con gli Enti Locali, principalmente iComuni, per favorire la partecipazione del-la salute mentale ai tavoli tecnici e agliambiti di programmazione dei Piani di zonaper tutti gli aspetti di rilevanza sociale,nell’ambito di un organico coordinamentoche rappresenti il fulcro di una nuova pola-rità funzionale.Riguardo invece all’integrazione tra servizisanitari, psichiatria e neuropsichiatria infan-tile rappresentano due discipline con pro-prie specificità clinico-operative che presen-tano però aree di competenza contigue. Spe-cificamente per le situazioni psicopatologi-che ad esordio adolescenziale, al fine di ga-rantire il massimo livello di cura e atten-zione fin dalle prime fasi dell’emergenza deisintomi, si riconosce la necessità di assicu-

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rare non solo appropriate forme di collega-mento tra psichiatria e NPI ma anche coe-renza e continuità del progetto di cura.Una tematica rispetto alla quale esistonodifferenze tra le Regioni è l’area delle di-pendenze patologiche. In alcune Regioni èstato realizzato o è in fase di sperimenta-zione il Dipartimento unico salute mentalee area dipendenze. In altre Regioni sono av-viati progetti specifici di integrazione tra ledue aree. Sul piano operativo, a livello mi-nimale, risultano necessari la definizione diprotocolli diagnostici e di trattamento el’individuazione di procedure per quantoattiene a situazioni di emergenza e ricoveriospedalieri e in strutture residenziali.Nella gran parte dei documenti di program-mazione regionale sono previsti percorsispecifici per il collegamento con la medici-na generale. In questo senso, vi è un’ampiaconcordanza, rispetto al fatto che occorreche il DSM gestisca in modo strategico enon occasionale il rapporto con il MMG,sia come lavoro sui singoli casi sia nel sensodi una più forte integrazione tra contesti(medicina generale e salute mentale). I pro-getti di collegamento DSM e MMG sonostrategici principalmente per rendere effi-cace l’organizzazione della “consulenza”nell’ambito del trattamento dei disturbipsichici “comuni” quali ansia e depressio-ne. Anche l’Ospedale Generale è una dellesedi più importanti per il riconoscimentodei disturbi psichici, essendo un “territorio”ad alta morbilità a ragione dell’alta preva-lenza di disturbi psichiatrici associati a pa-tologie mediche gravi, croniche, invalidan-ti e ad esito infausto. E’ necessario program-mare risposte specifiche alle richieste del-l’Ospedale Generale (Psichiatria di liason).A parte poche eccezioni, nei documenti diprogrammazione regionale sono invece scar-se le indicazioni specifiche riguardo agli

aspetti sanitari dell’assistenza psichiatrica aisoggetti adulti disabili e agli anziani. Vi sonoesperienze e progetti locali e spesso trattatisolo nell’ambito dell’assistenza socio-sani-taria. Per la disabilità emerge l’esigenza diuna politica di rete per il coordinamento el’utilizzo razionale delle risorse assistenzia-li presenti nel territorio. La definizione diprogrammi di intervento nell’area del ritar-do mentale e dei disturbi dello sviluppo inetà adulta necessita di procedure di integra-zione/collaborazione tra reti di servizi sani-tari e non sanitari. Riguardo alla neuropsi-cogeriatria, allo stato attuale i progetti del-le diverse Regioni su questa tematiche sonoeterogenei e frammentati. L’elemento cri-tico della situazione attuale è la carenza dicoordinamento tra le diverse organizzazio-ni sanitarie e non sanitarie per identificarele migliori soluzioni di cura e di assistenzain base alle esigenze degli utenti.Riguardo al tema del trattamento dell’acu-zie e all’emergenza urgenza in ambito psi-chiatrico, in tutte le Regioni emerge comeil SPDC rappresenta un nodo vitale per ilDSM, poiché interviene in una fase delicatae decisiva del percorso di cura degli utentidei servizi psichiatrici. L’utenza dei SPDCsi caratterizza per una significativa variabi-lità riguardo alla diagnosi, all’età e soprat-tutto riguardo ai bisogni relativi ai singoliepisodi di ricovero. Negli ultimi anni sonoavvenuti cambiamenti relativamente sia aimodelli organizzativi (es. organizzazione diattività per intensità di cura), che all’aggior-namento della pratica clinica e delle evi-denze scientifiche. Il ruolo e le funzioni delSPDC nell’ospedale generale e le funzionidi emergenza urgenza psichiatrica devonoessere aggiornati alla luce di tali cambia-menti. Nella maggior parte delle Regionivi è una normativa sui trattamenti senzaconsenso. I riferimenti attuali sono i Docu-

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menti della Conferenza delle Regioni “Rac-comandazioni in merito all’applicazione diaccertamenti sanitari obbligatori per ma-lattia mentale” (2009) e “Contenzione fisi-ca in psichiatria: una strategia possibile diprevenzione” (2010).Infine, riguardo a OPG e pazienti autori direato, il DPCM del 1 aprile 2008 (GU n.126 del 30-5-2008), entrato in vigore il 14giugno 2008, sancisce il passaggio della fun-zione sanitaria in tutti gli Istituti peniten-ziari (adulti e minori e OPG) dal Ministerodella Giustizia a quello della Salute. In talenormativa viene sottolineato che “l’ambitoterritoriale costituisce la sede privilegiataper affrontare i problemi della salute, dellacura, della riabilitazione delle persone condisturbi mentali” analogamente a quantoaveva previsto, per la psichiatria civile lalegge “180”. Successivamente l’accordo san-cito tra Governo e Regioni (ConferenzaUnificata del 16.11.2009) ha ridefinito ibacini di utenza dei singoli OPG. Allo sta-to attuale le Regioni sono impegnate nelladefinizione di Progetti di attuazione dellenormative sopra citate, nella prospettivaindicata di superamento degli OPG e alcontempo con la dovuta attenzione ai per-corsi di inserimento territoriale di quellafascia minoritaria di soggetti con disturbopsichico con alta pericolosità, fino all’acting-out criminale, da cui la società e la famigliain particolare, deve essere tutelata con in-terventi e progetti “mirati”. Un altro temadi attualità è quello della salute mentalenella popolazione carceraria. Non vi sonodati univoci sulla realtà del disagio mentalein carcere, tuttavia oggi si stima per ap-prossimazione che i detenuti con disturbimentali siano circa il 16%, di cui il 4% psi-cosi (Società Italiana di Psichiatria). Riguar-do a tale tematica alcune Regioni hannoattivato progetti specifici.

I percorsi clinici e riabilitativi, le stra-tegie di presa in carico, i “nuovi” bi-sogniLa definizione strutturata di percorsi terri-toriali differenziati esiste, al momento, inpochi documenti di programmazione regio-nale. Tuttavia, nella maggior parte di talidocumenti, emerge l’esigenza di percorsispecifici dedicati alla medicina generale, ela constatazione che i dati epidemiologicidi attività dei servizi psichiatrici territoria-li mettono in evidenza una differenziazionedei bisogni dell’utenza e dei pattern di assi-stenza. Si evidenziano principalmente tretipologie di offerta: i) la consulenza ai MMG,ii) il trattamento specialistico-ambulatoriale;iii) il trattamento integrato (presa in cari-co) dei pazienti multiproblematici. Vi èun’ampia condivisione riguardo al fatto chela presa in carico del paziente grave rap-presenta il percorso clinico fondamentale delDSM. In molte Regioni è prevista la defini-zione di un Piano di Trattamento Individua-le (PTI) per il singolo utente, l’istituzionedella figura del “case manager” (4) e la ricer-ca e il recupero del rapporto con gli utenti‘persi di vista’. Lo sviluppo del modello deipercorsi clinici richiede di affrontare aspetticlinico-organizzativi fondamentali:l. organizzazione di una funzione di acco-

glienza/valutazione della domanda e del-le richieste che giungono ai servizi psi-chiatrici;

2. coinvolgimento “forte” del MMG, da at-tuarsi fin dalle prime fasi del contatto delpaziente col servizio;

3. definizione e organizzazione dei percorsidi cura;

4. centralità del Centro Salute Mentale(C.S.M.);

5. definizione di programmi di interventoper patologie emergenti caratterizzate danuovi bisogni (disturbi psichici comuni

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quali ansia e depressione, disturbi delcomportamento alimentare, depressionepost-partum, ecc.).

Per quanto riguarda il trattamento del pa-ziente con diagnosi di disturbo psichico gra-ve e che presentano deficit nel funzionamen-to psicosociale e nella rete familiare e so-ciale, la “presa in carico” rappresenta unmodello di buona pratica clinica. Il coordi-namento di tale percorso di cura ha sede neiCentri di Salute Mentale (CSM). Il percorsodi presa in carico si configura come proget-to caratterizzato da: unitarietà, continuità,elevata complessità organizzativa, rilevan-te specificità professionale, capacità di ge-stire l’integrazione sociosanitaria. Esso sifonda sulla integrazione di attività specifi-che: attività clinica, attività riabilitativa,attività di assistenza, attività di interme-diazione e attività di coordinamento. Larealizzazione di questo percorso comportaun forte investimento sul lavoro d’équipe,intesa come gruppo multiprofessionale ingrado di sviluppare un’accurata lettura del-la dimensione biopsicosociale del paziente,di integrare i dati di osservazione e di mo-dulare una progettualità terapeutica coeren-temente articolata. La presa in carico si cor-rela ad una prassi orientata alla continuitàterapeutica e si attua con progetti indivi-duali. Il Piano di Trattamento Individuale(PTI), strumento operativo della presa incarico, indica le motivazioni psicosocialiche supportano la necessità di una presa incarico, gli obiettivi del progetto individua-le e le tipologie delle prestazioni erogatedall’équipe, nell’ambito delle funzioni so-pra indicate. Infine, individua un referentecomplessivo del progetto (case manager),che, all’interno di una relazione significati-va con il paziente, assume una funzione spe-cifica di monitoraggio del progetto nella suaattuazione e ne favorisce le indispensabili

valenze di integrazione.Riguardo al tema della residenzialità psi-chiatrica, lo scenario attuale è caratterizza-to in tutte le Regioni dalla presenza di variestrutture accreditate, pubbliche e private,che offrono programmi residenziali specifi-ci. Negli anni passati, a livello sia naziona-le che di diversi ambiti regionali, i dati diattività hanno evidenziato un progressivoallungamento dei tempi di degenza, con unsempre più ridotto turn-over dei pazienti.In questo senso, la residenzialità psichiatri-ca ha assunto sovente la funzione di “solu-zione abitativa” piuttosto che essere funzio-nale al “progetto individuale di trattamen-to”. Ciò genera il pericolo che le SR venga-no utilizzate per forme di nuova istituzio-nalizzazione. Tale criticità ha spinto molteRegioni a definire normative volte ad ope-rare per una differenziazione delle SR, alloscopo di qualificarne il funzionamento dif-ferenziando il grado di intensità assistenzialeofferto dal livello (intensità) di interventoterapeutico e riabilitativo.In molte Regioni la normativa ha richiestoche le SR attuino la personalizzazione delprogramma di cura attraverso la definizio-ne di un Programma Terapeutico Riabilita-tivo (PTR) coerente con il PTI elaborato insede territoriale e, in alcuni casi, siano re-sponsabilizzate attraverso linee guida per iltrattamento (criteri di ammissione e dimis-sione). In alcune Regioni sono stati definiticriteri per una durata massima di degenzacoerente con il livello di intensità riabilita-tiva del Programma Terapeutico Riabilita-tivo (18/24 mesi per le strutture riabilitati-ve, 36 mesi rinnovabili per le strutture as-sistenziali).Per completare e rendere più flessibile il si-stema della residenzialità psichiatrica sonoinoltre avviati in molte Regioni forme emodelli innovativi di residenzialità che rap-

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presentano realtà intermedie tra territoria-lità e residenzialità attraverso la compre-senza di competenze sanitarie (riabilitati-ve) e sociali (legate al diritto di cittadinan-za). Tali forme innovative di residenzialitàpsichiatrica sono state implementate come“residenzialità leggera” e/o avviate attraver-so modelli diversificati di “housing socia-le”. Esse sono indicate per pazienti clinica-mente stabilizzati ma in situazioni socialiprecarie sotto l’aspetto relazionale, familiaree ambientale, che non si adattano ad undomicilio proprio e per i quali una residen-za comunitaria offre un essenziale supportoal vivere. I programmi di “residenzialitàleggera” o di “housing sociale” per essererealizzati, si devono basare sul reperimentodi opportune soluzioni abitative attraversoforme idonee di sostegno sociale, da indivi-duare con il concorso degli Enti locali coin-volti. Nell’ambito di tali programmi deveessere distinta una parte sanitaria (program-ma riabilitativo, lavoro di rete, presenza dioperatori in alcuni momenti della giornata)e una parte sociale (soluzioni abitative, frui-zione dei diritti di cittadinanza).Sia per quanto riguarda la presa in caricodel paziente grave, sia per quanto riguardal’attuazione dei programmi residenziali, viè una convergenza rispetto all’indicazioneche la complessità degli aspetti clinici e or-ganizzativi nella tutela della salute mentalerende indispensabile valorizzare il ruolo deidiversi attori e soggetti in campo. Nellamaggior parte dei documenti di program-mazione regionale vi è l’indicazione di uncoinvolgimento forte della la rete sociale(flessibilità dei percorsi includendo realtànon istituzionali), della collaborazione congli altri soggetti istituzionali (Enti locali,Scuola), con le associazioni e il privato so-ciale anche nella programmazione delle at-tività del DSM. Un ruolo specifico è rico-

nosciuto alle associazioni rispetto a proget-ti specifici di lotta allo stigma, che spessorientrano nell’ambito di finanziamenti spe-cifici regionali.Riguardo alla promozione di obiettivi spe-cifici e all’attivazione di modelli innovatividi assistenza su tematiche considerate stra-tegiche, in diversi ambiti regionali sono statiavviati programmi/progetti innovativi. Ilmetodo della progettualità, inclusiva delcoinvolgimento dei soggetti e delle risorsedella rete sociale, ha dato risultati positiviin molte realtà, specialmente per lo svilup-po di azioni territoriali riconducibili a cri-ticità e carenza di offerta riguardo a bisognispecifici. In generale le tematiche conside-rate strategiche riguardano prioritariamen-te: l’intervento precoce nelle psicosi e l’areadell’adolescenza, l’inserimento lavorativo; imodelli di intervento integrato nei disturbipsichici gravi; il lavoro di rete (esempio:facilitatori/aiutanti naturali; rapporto con iMMG); i disturbi emergenti e i disturbi psi-chici comuni (ansia e depressione nell’adul-to e nell’anziano), disturbi dell’alimentazionee della personalità, quadri complessi conrilievo comportamentale e sociale (abusi,migrazione, devianza, ecc.).Le azioni innovative, in molte Regioni, hannoriguardato anche il tema della formazione.La formazione rappresenta uno strumentoindispensabile per le diverse professionalitàche necessitano di adeguato supporto persostenere al meglio l’impatto con i nuovimodelli organizzativi e le azioni innovati-ve. E’ in larga misura dalla “qualità” dellerisorse umane che dipende la “qualità” deiservizi psichiatrici. Riguardo agli obiettivie contenuti formativi, possono essere indi-viduate alcune aree prioritarie, tra cui: l’ad-destramento professionale dei neo-assunti,la formazione rivolta all’acquisizioni di com-petenze innovative rivolta a tutti gli opera-

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tori dei servizi psichiatrici (es. case mana-ger, nuove tecniche di riabilitazione, ecc) ela formazione specifica per figura professio-nale. A questo riguardo le priorità relativea bisogni formativi specifici dovrebbero es-sere delineate con la partecipazione di espertidi ogni diversa figura professionale.

ConclusioniNegli ultimi anni, le diversificazioni fra imodelli regionali in salute mentale sonoandate crescendo. Questo fenomeno è av-venuto coerentemente con la regionalizza-zione dei sistemi sanitari che ha prodottoscenari diversi nelle diverse Regioni, e mo-dificato in modo significativo il modo stes-so di intendere l’organizzazione dei servizi.In tale situazione diviene necessario sapercogliere le peculiarità propositive delle di-verse organizzazioni regionali, studiarle ediffonderle, e contemporaneamente soste-nere i valori di fondo e trasversali che devo-no stare alla base di una buona organizza-zione per la salute mentale: valori fondatisulla evoluzione delle conoscenze, su unacultura della valutazione e della attenzionealla qualità, sulla relazione personale di curae sui principi della psichiatria di comunità.L’analisi e il confronto degli indirizzi pro-grammatori proposti dalle diverse Regionisui grandi temi che riguardano la salutementale, ha messo in evidenza una situa-zione con similitudini e al contempo pro-fonde differenze. Per certi aspetti, le “paro-le chiave” sembrano essere relativamenteomogenee e le tematiche principali ogget-to di attenzione dei sistemi regionali sonosimilari: integrazione sociosanitaria, resi-denzialità, territorio, innovazione e proget-tualità. La traiettoria però che descrive quan-to realmente realizzato a partire dalla defi-nizione di atti programmatori (Piano o Pro-getti Obiettivi o altra normativa) fino alla

reale implementazione di politiche per larealizzazione degli obiettivi dichiarati, pre-senta profonde differenze.In alcuni casi, l’analisi della programmazio-ne regionale e della normativa successiva,sembra sia il risultato di una pura necessitàamministrativa. In altri casi si nota una ri-cerca, un pensiero, un’analisi che parte dallavoro epidemiologico, dall’analisi dei dati,dalla riflessione su quanto fatto, che è testi-monianza di percorsi normativi e di inve-stimenti di più lungo periodo.Analizzando le esperienze più significativee più produttive, alcuni punti potrebberoessere utili e condivisibili al fine di muo-versi su linee comuni di indirizzo (e real-mente nuove):1) La metodologia: identificare le principa-li criticità e aree di bisogno dell’assistenzapsichiatrica attraverso l’analisi dei dati epi-demiologici. L’analisi dei dati consente dievidenziare le aree critiche relative alla pro-grammazione e alla organizzazione dei ser-vizi e ai necessari sviluppi. Sul piano meto-dologico, il secondo principio rilevante ri-guarda il coinvolgimento degli operatori edei professionisti, e delle realtà coinvoltenella tutela della salute mentale, dall’asso-ciazionismo, al volontariato e in generaleal terzo settore. A titolo di esempio citia-mo i principi presenti nel Piano RegionaleSalute Mentale (PRSM) lombardo (5):- Partire dalle buone pratiche esistenti, valo-

rizzandole nella prospettiva della psichia-tria di comunità

- Promuovere l’integrazione tra i soggetti isti-tuzionali e non istituzionali che concorro-no alla tutela della salute mentale (retesociale) nella risposta ai bisogni emergen-ti

- Ridefinire i percorsi di cura (programmi in-dividuali) nel territorio e i modelli clini-co-organizzativi della residenzialità

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I modelli regionali nelle politiche di salute mentale

- Introdurre progettualità e flessibilità neimeccanismi organizzativi e gestionali: iprogrammi innovativi

- Promuovere la qualità dell’assistenza- Qualificare le professioni attraverso la

formazioneSulla base di tali principi, in Lombardia, leazioni successive all’approvazione del PRSMsi sono realizzate con indicazioni normativeattuative nell’ambito di due dimensioni prin-cipali: la dimensione culturale-istituzionalee la dimensione clinico-organizzativa (6):A. Dimensione culturale-istituzionale: attiva-

re una funzione di integrazione nei ter-ritori, con tutti i soggetti che concorro-no a diverso titolo alla tutela della salu-te mentale: Istituzione Organismo di co-ordinamento per la salute mentale,(OCSM) promosso dalle ASL (circolare19 san/2005) d’intesa con DSM, privatoprofit e non profit e terzo settore

B. Dimensione clinico-organizzativa: Riorga-nizzare i modelli di assistenza: i) Ridefi-nire i percorsi di cura territoriali (DGR3776/2006; ii) Revisione tariffe delle at-tività territoriali e residenziali e avviomonitoraggio sistematico dell’attività(DGR 5743/07); iii) Riqualificazione areadella residenzialità psichiatrica (DGR4221/2007); iv) Attivazione di program-mi innovativi territoriali (d.DGS 11132/2004).

2) Il monitoraggio e l’aggiornamento co-stante del “cantiere in opera”. L’attuazio-ne degli obiettivi previsti in un Piano o Pro-getto Obiettivo necessita di un costantemonitoraggio delle attività e di continuerevisioni della programmazione con attiapplicativi conseguenti. Se non viene co-stantemente monitorato e implementato,un documento programmatorio rimane, ingenere, lettera morta. In questo senso, unatto programmatorio regionale (Piano o

Progetto Obiettivo) che intenda incidere afondo nella pratica e nell’organizzazionedovrebbe prevedere con chiarezza la sceltadelle modalità di implementazione, ad es.nel caso lombardo:a) l’adozione di provvedimenti attuativi in

sequenza dopo il PRSM triennale nel2004 e il suo aggiornamento triennalePRSM (DGR 8501/2008), attraverso ca-pitoli specifici per la salute mentale nel-la delibera delle regole di funzionamen-to del SSR anno per anno, e insieme

b) il monitoraggio sistematico sull’andamen-to del sistema (con rilevazioni epidemio-logiche alla base e ricerche specifiche).

A questo riguardo, vi sono alcune temati-che specifiche, rispetto alle quali i sistemiregionali hanno adottato interventi di riqua-lificazione e riordino, che dovrebbero esse-re oggetto di monitoraggio continuo e si-stematico. Tra queste, in primo luogo, laresidenzialità ove l’obiettivo di valutare neltempo l’adeguatezza del sistema è di parti-colare rilevanza considerato l’enorme im-pegno di risorse. In questo ambito, specifi-ci indicatori dovrebbero essere monitoratiper valutare l’attività residenziale sotto ilprofilo epidemiologico e in relazione allavalorizzazione economica. Coerentemente,dovrebbe essere sempre avviato un moni-toraggio delle attività territoriali, chieden-do alle ASL e ai DSM una raccolta di infor-mazioni continua relativamente alla tipo-logia e appropriatezza delle attività erogateattraverso la rilevazione di specifici indica-tori riconducibili alle seguenti aree: acces-sibilità dei servizi, pattern di utilizzo, of-ferta, percorsi di cura, appropriatezza del-l’intervento.3) L’attualità. Vi sono alcuni aspetti del-l’attualità che emergono in modo non si-stematico, ma comunque frequente e co-stante, nei documenti regionali sulla salute

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mentale. Tra questi il tema dell’innovazio-ne e dei percorsi clinici. Vi sono poi temi distringente attualità rispetto ai quali solorecentemente sono emersi provvedimentiattuativi: tra questi il tema dell’acuzie edell’emergenza-urgenza, e il tema dei pa-zienti autori di reato (salute mentale in car-cere e soprattutto superamento degli OPG).Il cambiamento di utenza in atto documen-tato dai tassi di incidenza e di prevalenzatrattata nei DSM (7), rende necessaria unarevisione dei percorsi clinici attuali, garan-tendo agli utenti percorsi di cura specifici eidentificando modelli clinico-organizzatividifferenziati per governare il processo assi-stenziale. Al fine di promuovere obiettividi sviluppo relativamente a tematiche pro-prie dell’assistenza territoriale e della qua-lità e formazione, in diverse realtà regiona-li sono stati finanziati programmi innova-tivi su tematiche considerate strategiche.Tali azioni hanno permesso di sviluppare neiservizi il metodo della progettualità, inclu-siva del coinvolgimento dei soggetti e dellerisorse della rete sociale. Particolare rilevan-za hanno assunto in questa logica temati-che quali: l’intervento precoce nelle psico-si, l’inserimento lavorativo nei disturbi psi-chici gravi, il lavoro di rete, la collabora-zione con i MMG, i progetti di trattamentoper disturbi emergenti (disturbi del com-portamento alimentare, depressione post-partum, disturbi della personalità, ecc.).Tra l’altro, in tal modo, il tema cruciale deinuovi modelli di lavoro, delle buone prati-che e delle possibilità di osmosi tra serviziè ora in fase di pieno sviluppo, ad esempioin Lombardia certamente favorito dalla at-tuazione metodica dei programmi innova-tivi di salute mentale.Nell’area dell’innovazione per la salute men-tale va inoltre inserito il problema di unamaggiore integrazione di Psichiatria e NPIA

per l’area dei disturbi psichici in adolescen-za, sia rispetto all’intervento in urgenza e alricovero di adolescenti con quadri acuti, siariguardo alle modalità di prevenzione e ditrattamento territoriale dei disturbi nellafascia 16-18 anni. L’interesse per questa areadi passaggio all’età giovanile, di grande ri-lievo prognostico e preventivo, deve rap-presentare un primo terreno in cui metterea frutto le esperienze svolte, allo scopo diunire conoscenze e competenze tra NPIA ePsichiatria ed elaborare nuove linee di in-tervento. Sempre più evidente è l’emergeredi un bisogno che necessita la realizzazionedi équipe funzionali integrate a livello ter-ritoriale in grado di intercettare i bisognidei 16-18enni affetti da gravi disturbi psi-chici o a rischio e di intervenire con moda-lità tempestive e continuative, come richie-sto da tutte le evidenze scientifiche inter-nazionali.Infine, riguardo all’attualità, è di grandeimportanza il tema acuzie ed emergenza -urgenza in psichiatria: seppur vi sia un am-pio riconoscimento sul ruolo che i repartidi psichiatria svolgono all’interno degliOspedali e a favore dei percorsi di cura de-gli utenti dei servizi psichiatrici, è opinionecondivisa che la problematica dell’emergen-za e urgenza in psichiatria richiede una pro-spettiva che consideri il rapporto ospedale -territorio. Infatti, la prevenzione delle ur-genze avviene principalmente attraversol’appropriatezza e la flessibilità dell’interven-to territoriale (collegamento con i diversisoggetti, Medici di Medicina Generale e imedici di continuità assistenziale, servizi perl’emergenza-urgenza, la polizia municipalee le altre forze dell’ordine) predisponendoanche procedure per Accertamenti e Trat-tamenti Sanitari Obbligatori (ASO, TSO).Dovrebbero essere adottati sistematicamen-te protocolli di valutazione del rischio di

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I modelli regionali nelle politiche di salute mentale

aggressività e violenza e di trattamento egestione dell’agitazione e dell’aggressività inSPDC. Dovrebbe essere inoltre posta atten-zione ai fattori che condizionano il rischio dicomportamenti aggressivi in SPDC, con par-ticolare riguardo a: aspetti strutturali, aspet-ti organizzativi e funzionali, ricoveri inap-propriati, formazione del personale.In conclusione il lavoro presentato in que-sto articolo pone le basi per verificare seuna serie di indirizzi della programmazioneregionale siano trasferibili a quella naziona-le, allo scopo di ridurre il divario o le diso-mogeneità evidenziate e, alla fine, di arric-chire di nuove proposte l’offerta complessi-va di servizi in salute mentale. In questa

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5. Bollettino Ufficiale Regione Lombardia (BURL):

prospettiva si pone anche il testo del PianoSanitario Nazionale 2011/2013, che confer-ma, riguardo alla salute mentale, la meto-dologia di identificare “punti critici per su-perare l’eccessiva disomogeneità regionale”e specifiche “aree di bisogno prioritarie”sulle quali investire in termini di sviluppo.Tra queste, molte tematiche citate nel PSN(es. i percorsi di cura, sia territoriali cheresidenziali, e la loro differenziazione) rien-trano tra quelle trattate nei paragrafi prece-denti, incluse – anche nella prospettiva diuna ulteriore limitazione delle risorse concui misurarsi – quelle dell’integrazione so-cio-sanitaria.

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I livelli essenziali di assistenza (LEA) per la salute mentale1

The basic levels of care (LEA) for mental health

Bruno BenigniPresidente del Centro ”Franco Basaglia” di Arezzo

1 Vedi Atti e Documento del Convegno Nazionale (Roma, 25 gennaio 2011), “Il diritto alla salute mentalesenza abbandono, senza violenza, senza emarginazione. Per una legge sui nuovi livelli essenziali di assistenza(LEA) per la salute mentale”. A cura della Fondazione Angelo Celli per una cultura della salute di Perugia e delCentro “Franco Basaglia“di Arezzo. Il presente articolo ne ripercorre le analisi, ne sviluppa le motivazioni e neargomenta le proposte.

Parole chiave: livelli essenziali di assistenza (LEA) per la salute mentale, percorsi assistenziali per i LEA, standarddei servizi, garanzie costituzionali e democratiche

RIASSUNTOObiettivi: contribuire alla ri-definizione del diritto alla salute mentale dei cittadini tramite una nuovaimpostazione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) previsti dalla lettera m) dell’articolo 117 della Costi-tuzione italiana.Metodologia: dalla storia del diritto alla salute mentale alla ricognizione dei bisogni attuali in una società inprofonda trasformazione.Dalla tassonomia delle prestazioni ai percorsi per la salute mentale con la declaratoria delle competenzedelle Istituzioni interessate ( Stato, Regioni e Province autonome, Aziende sanitarie locali), con la defini-zione degli standard di servizi, con la quantificazione delle risorse finanziarie stanziate e con la istituzionedi Autority di garanzia.Risultati: la definizione dei nuovi LEA è affidata al Parlamento italiano e, dunque, alle forze politiche cui èrichiesta una nuova cultura dello sviluppo del Paese fondato sulla centralità e qualità del welfare, sui dirittiuniversali delle persone e sulla partecipazione dei cittadini.

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I livelli essenziali di assistenza (LEA) per la salute mentale

La lunga notte dei diritti negatiLa condizione dei malati di mente è statasempre una storia di sofferenza repressa e,insieme, di spinte generose per la liberazionedalla segregazione, dalla contenzione e dal-l’annientamento, di passaggio dalla oggetti-vazione della persona al recupero progressi-vo, per fasi storiche, di spazi di vita più umanae più dignitosa.Non è un caso se due secoli fa, al tempo del-la rivoluzione del 1789, quando sulle bandie-re dei rivoluzionari francesi furono scritte leparole liberté, égalité, fraternité, lo psichiatraPhilippe Pinel, liberando gli alienati dalle lorocatene, fondava la psichiatria, dividendomalati mentali, mendicanti e criminali.L’ospedale psichiatrico, non più lazzaretto ocarcere, era lo spazio specifico in cui l’assi-stenza psichiatrica faceva le prove del suo

statuto scientifico.Un secolo dopo, con la legge del 1904, furo-no istituiti in Italia i manicomi, anche quicon una venatura umanitaria propria dellascienza positiva del tempo che voleva lo spa-zio psichiatrico immerso in un ambiente se-reno, al riparo dalle tensioni della vita, conun contatto idilliaco con la natura per rende-re meno tormentata, più naturale e distesal’esistenza dei malati di mente.Quello spazio per i malati di mente, separa-to dalla società dei sani, si rivelò ben prestoper quello che era: una istituzione totale, comesarà definita da Erving Goffman, che negavain radice la comunicazione umana e preten-deva di curare i malati con l’emarginazione.Un paradosso scientifico ed umano, rivelatonella sua tragicità ed inconsistenza scientifi-ca da Franco Basaglia che negli anni ’60, a

Conclusioni: il diritto alla salute mentale del cittadino ha bisogno di una forte mobilitazione dei soggettisociali interessati i quali possono trovare in una mappa condivisa di Livelli essenziali di servizi una lorounità sostanziale e la spinta propulsiva per un serrato confronto con le Istituzioni cui compete l’applica-zione della Costituzione italiana.

Key words: essential levels of care (LEA) for mental health care pathways for LEA, service standards, democtraticand constitutional guarantees

S U M M A RYObjectives: to contribute to the redefinition of the citizen’s right of mental health, through a new layout ofthe Essential Levels of Assistance (LEA) as in the letter M) of Article 117 of the Italian Constitution.Methods: from an historic overview of the Right for mental health, to the acknowledgement of current needsin a social profound transformation.From the Taxonomy of contributions to Mental Health’s paths, with the competent support of theinterested institutions (State, Region, provincial administrations, local Mental Health committees), throughthe redefinition of Services standards, the quantification of the available financial resources and the institutionof an Authority of Security.Results: the redefinition of the new LEA is entrusted to the Italian Parliament and Italian political forces,who are expected to provide a new paradigm for state development, based on a central and solid Welfare,on universal rights and on citizen’s direct participation.Conclusions: citizen’s Right for Mental Health needs a strong mobilization of the interested social subjects,who should find, through a shared plan for essential services Levels, a substantial unity and the propulsiveboost for a productive dialogue with the legal institutions in charge of the application of the ItalianConstitution.

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Gorizia, liberava i malati di mente dalla chiu-sura del manicomio e, insieme, la psichiatriadal mandato di controllo sociale per farla es-sere, nella pratica, scienza della liberazione edel recupero della libertà e dignità della per-sona umana.

La libertà come liberazioneNegli anni ’60 e ’70 del secolo scorso si com-pì in Italia una profonda e radicale rivoluzio-ne dell’assistenza psichiatrica, ma anche del-la psichiatria e delle scienze umane impe-gnate nella trasformazione e nella liberazio-ne dei manicomi italiani.Di quella straordinaria esperienza italiana, chefece le prove più alte a Gorizia, a Perugia, adArezzo e a Trieste, ma anche in altre provin-ce italiane, un aspetto su tutti è giusto ricor-dare e valorizzare, per il significato che ebbeallora e per il valore che riveste ancor oggi:dinanzi allo scandalo del manicomio, si partìovunque dal recupero della dignità e dellacentralità della persona che diventava, nonda sola, protagonista della sua liberazione,soggetto di diritti e artefice di un cambia-mento individuale e collettivo.Prima con la comunità terapeutica, poi conle assemblee quotidiane e periodiche dei ma-lati, degli operatori e dei cittadini negli ospe-dali aperti, i “senza voce” ripresero la parola,si fecero ascoltare e furono ascoltati e il pro-getto individuale di uscita dalla chiusura edal nulla della vita divenne parte integrantedi un movimento collettivo per la cancella-zione della struttura manicomiale e del rien-tro di ciascuno nei contesti dell’esistenza edella convivenza.Si realizzò concretamente il dettato costitu-zionale che richiede di “rimuovere gli ostacolidi ordine economico e sociale che, limitando di fat-to la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impe-discono il pieno sviluppo della persona umana”.Sulle ceneri del manicomio, tornò alla luce e

riprese valore per migliaia di degenti la sog-gettività della persona e con essa il dirittoalla vita e alla salute mentale.La liberazione dal manicomio realizzava unacondizione per quella libertà positiva, ciò cheuna persona può conseguire per sua libera scelta,che Amartya Sen mette in stretta interdi-pendenza con la libertà negativa, la libertà dacondizionamenti strutturali e oggettivi.Si aprì per ogni malato di mente la possibili-tà di avere un futuro, ma quella libertà posi-tiva, l’affermazione di sé, aveva bisogno anco-ra di rimuovere altri ostacoli presenti neicontesti giuridici, politici e sociali che osta-colavano il diritto dei malati di mente allasalute mentale.La possibilità di libertà positiva era solo av-viata e doveva diventare diritto riconosciutoed esigibile per tutti.

La dignità della persona e il diritto allasalute mentaleSolo in Italia le cosiddette “esperienze avan-zate” di rovesciamento istituzionale, dalleIstituzioni totali al territorio, sono state tra-dotte in una legge della Repubblica, validaper tutti e in tutte le condizioni.E’ la tipicità del caso italiano che ha una suaspiegazione prima di tutto nei principi dellaCostituzione (articoli 3 e 32) ma anche nellacaratteristica di un movimento culturale epratico che è stato capace di coinvolgere eincludere nella nuova politica per la salutementale ampie aree della società civile (ilmondo operaio, ad esempio), importanti Isti-tuzioni pubbliche (Enti locali e Parlamento)e la parte più avanzata delle forze politicheitaliane.Il 13 maggio del 1978, nel periodo della So-lidarietà nazionale, il Parlamento della Re-pubblica approvò la legge n. 180 “Accerta-menti e trattamenti sanitari volontari e obbliga-tori” che decretava la fine dei manicomi e

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I livelli essenziali di assistenza (LEA) per la salute mentale

assegnava alla sanità territoriale e al welfareil compito di realizzare i nuovi servizi per lasalute mentale.Una tappa fondamentale di civiltà giuridica esociale, una pietra miliare per l’affermazionedel diritto alla salute mentale, senza manico-mi, senza violenza e senza emarginazione.Da lì non si può tornare indietro e su queivalori di libertà e di dignità della persona sisono infranti tutti i tentativi che ripropone-vano sotto mentite spoglie la soluzione ma-nicomiale dell’internamento purchessia.La “180” era solo una tappa della legislazio-ne, ancora incompleta, per i limiti propri diuna “legge stralcio” che rispondeva alla inizia-tiva referendaria dei radicali, ma che dovevacompletarsi di lì a poco, nel dicembre del1978, entrando a pieno titolo nella “Istitu-zione del Servizio Sanitario Nazionale”.Mancava soprattutto, e si doveva provvede-re, un nuovo statuto dei diritti del cittadino allasalute mentale, nelle nuove condizioni deter-minate dalla fine dei manicomi.A questo si provvide, in parte, con la leggen. 833 che riprendeva per intero le conquistedella legge n. 180/’78 con gli articoli 2, 33,34, 35 e 64 e garantiva il diritto alla salutetramite la determinazione dei livelli delle presta-zioni sanitarie da inserire nel Piano sanitarionazionale e tramite l’assegnazione alle Regioni eProvince autonome delle risorse finanziarie corri-spondenti al valore economico degli indici e deglistandard stabiliti con legge nazionale.Purtroppo, molto è rimasto sulla carta eimpegni essenziali, quale quello della defini-zione e della garanzia dei diritti alla salute,sono stati largamente disattesi.Sappiamo quello che è accaduto dopo l’ap-provazione della legge n. 833/’78, non sapre-mo mai quale realtà avremmo potuto regi-strare oggi se la legge fosse stata applicatadalle Istituzioni, come sarebbe lecito atten-dersi in uno stato di diritto.

Oggi, dopo trentatre anni, siamo ancora nel-la necessità di occuparci dei “livelli uniformidi assistenza sanitaria per tutti i cittadini”, an-dando controcorrente come fu necessario ne-gli anni ‘60/’70 per “rimuovere gli ostacoli” cheimpediscono l’esercizio della libertà positiva,la realizzazione di sé, propria di ogni persona.

I livelli essenziali di assistenza (LEA) ela politicaLe leggi che riguardano il welfare italiano,dalla legge n. 833/’78 “Istituzione del Serviziosanitario nazionale” alla legge n. 328/2000 di“Riforma dell’assistenza sociale”, sono certamen-te punti alti, impegnativi ed esigenti per unaprospettiva di civiltà sociale del Paese chemettono alla prova le forze politiche chia-mate di volta in volta a fare i conti con leloro disposizioni.Non sono mancati i tentativi, sempre da partedel centrodestra, di annullare quelle conqui-ste, attaccando reiteratamente la legge n. 833,prima, e successivamente la legge n. 328 laquale, per l’appunto, richiede la “determina-zione dei livelli essenziali delle prestazionisociali” in analogia con quelli per la sanità eche sono parte essenziale di un progetto perla salute mentale.L’azione più insidiosa rivolta alla erosione deidiritti di cittadinanza sociale è giunta, in re-altà, dalla politica dei governi di centrode-stra che, mettendo nel cassetto le leggi diriforma, hanno operato sul piano delle risor-se finanziarie, prosciugando i pozzi che do-vevano alimentare i diritti.La sottostima del Fondo sanitario, la cancel-lazione del Fondo sociale nazionale, l’archi-viazione della riforma sociale, i tagli pesantialle entrate degli Enti locali sono il “tributo”che il Governo Berlusconi ha innalzato agliidola del mercato. Poco importa se a pagar-ne il prezzo sono ancora una volta le personepiù fragili e, tra queste, i malati di mente e

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le loro famiglie.Una scelta diversa e alternativa per la socia-lità, è giusto riconoscere, si è avuta quandonel 1996 alla direzione del Paese è giunto ilcentrosinistra che ha definitivamente messofine ai manicomi, ha approvato il primo Pro-getto obiettivo per la salute mentale con ri-sorse dedicate (il 5% del Fondo sanitario na-zionale), ha portato a conclusione la riformadell’assistenza con relativo Fondo sociale na-zionale e ha predisposto il primo Dpcm, poiconvertito in legge, per la determinazione deilivelli essenziali di assistenza sanitaria (LEA).Una stagione proficua che poteva dare benpiù consistenti risultati se si fosse data conti-nuità alla politica riformatrice dell’assettostrutturale del welfare italiano.Purtroppo, quel progetto riformista non haregistrato la stabilità e la continuità di cuiaveva bisogno il Paese.La storia dimostra che l’obiettivo per garan-tire a tutti i cittadini italiani i livelli essen-ziali delle prestazioni sanitarie e sociali habisogno certamente di una loro migliore epiù cogente determinazione legislativa, masoprattutto di una nuova politica economicae sociale del Paese.

I primi LEA per la salute mentale. IlDpcm del 29 novembre 2001Come è noto, per cogliere a pieno la naturadi un problema è utile ripercorrere la storiadi quel problema.Questo vale anche per i LEA per la salutementale che hanno una storia, sia pure delladurata di appena dieci anni.Il provvedimento fu predisposto, con un’am-pia serie di consultazioni sociali, dal Gover-no di centrosinistra nei primi mesi dell’anno2001, ma la sua approvazione giunse a ma-turazione nella fase iniziale del Governo dicentrodestra che con apposito Dpcm, datato29 novembre 2001, si limitò a prendere atto

del lavoro svolto dai predecessori.Ne venne fuori un quadro di “livelli essenzia-li” certamente utile come prima approssima-zione, ma con quantità/qualità certamenteinsufficienti e con garanzie alquanto aleatorie.Anche l’assistenza psichiatrica subiva le li-mitazioni di tutti gli altri livelli dell’assistenzasanitaria per la sottostima del Fondo sanita-rio nazionale e per la mancanza di cogenzadelle norme e di sanzioni nei confronti delleRegioni e Province Autonome che fosserorisultate inadempienti.Il Dpcm, infatti, lasciava alla discrezionalitàregionale tutti gli atti applicativi della nor-ma nazionale, senza standard vincolanti e,per di più, senza alcun monitoraggio e valu-tazione dei risultati.Soprattutto, si trattava di prestazioni spe-cialistiche senza alcun riferimento ai serviziche quelle prestazioni avrebbero dovuto pro-durre.Non è un caso se anche per la salute menta-le, il Servizio sanitario nazionale risulti unasorta di “vestito di Arlecchino”.A questi limiti generali se ne aggiungeva unaltro, più specifico per la salute mentale.La confluenza della salute mentale nell’am-bito del più generale diritto alla salute deicittadini è certamente una soluzione giusta,condivisibile, per la considerazione della uni-tarietà della persona, come sinolo di corpo edi mente, e per l’esigenza di una collabora-zione tra le diverse sedi e i diversi servizidella sanità pubblica, ma questo inserimen-to ha finito per omologare la specificità dellasalute mentale al tradizionale paradigmascientifico della medicina, fatto di gerarchiee di specialismi fini a se stessi, di un ritualed’attesa della domanda, di apparati scientifi-ci obsoleti, di rapporti duali e di separazionistrutturali tra Cure primarie e specialità, traprevenzione, cura e riabilitazione.In sostanza, proseguendo su un antico equi-

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I livelli essenziali di assistenza (LEA) per la salute mentale

voco, si è voluto considerare “la malattiamentale una malattia come tutte le altre”, unaaffermazione usata negli anni ‘60/’70, soprat-tutto in corrispondenza della legge n. 431/68che aveva previsto uno spostamento dell’as-sistenza dal manicomio all’Ospedale civilenel quale erano contemplate “divisioni psichia-triche” in analogia con quanto stabilito per lealtre patologie organiche.Evitando di fare un’adeguata riflessione suisignificati della rivoluzione psichiatrica, si èignorato che l’insorgenza della malattia men-tale si situa sempre in un percorso di vita e chela cura per la guarigione non richiede solosingoli atti specialistici, pur necessari, mal’attivazione di un percorso terapeutico in cui in-fluiscono sia i fattori personali che le determinan-ti relazionali e sociali.Anziché usare quelle esperienze per rinnova-re il paradigma scientifico della medicina,cosa di cui c’era certamente bisogno, si è pie-gata la psichiatria ai modelli tradizionali dellamedicina, addirittura allo schematismo deiD.R.G. come se si potessero prestabilire econtabilizzare i tempi e i modi della cura peri malati di mente.Oggi bisogna uscire da questa “camicia diforza” e introdurre una nuova e diversa im-postazione per i “livelli essenziali di assistenzaper la salute mentale”.Non una tassonomia di singole prestazioni,non una predeterminazione astratta di tem-pi e modi, dunque, ma un percorso terapeu-tico unitario e globale per tutte le età dellavita e in tutte le condizioni sociali, con in-terventi che si prendono carico della personasofferente inserita nel suo contesto sociale nelquale vanno ricercate e mobilitate le risorseumane per un progetto di guarigione.

Il Titolo V della Costituzione. Nuo-vi LEA per la salute mentale, nuovecondizioni sociali e salute mentale

Dalla fine dei manicomi ad oggi molta ac-qua è passata sotto i ponti.E’ necessario, pertanto, registrare i cambia-menti intervenuti nella condizione socialedelle persone e delle popolazioni per valutar-ne le implicazioni e le conseguenze sul qua-dro epidemiologico delle malattie mentali,per elaborare un nuovo quadro di risposte eper stabilire una nuova governance degli inter-venti e dei servizi che renda esigibili i dirittidi cittadinanza sociale per tutti, in tutto ilterritorio nazionale.In pratica, l’utenza uscita dai manicomi si èesaurita, ma una nuova cronicità si è sedimen-tata nel carnet dei Servizi sia per la scarsitàdelle risorse a disposizione sia per un ritardopesante nella disponibilità di altri interventi,sia dei Servizi sociali, ancora poveri e disarti-colati nelle Zone sociosanitarie, che delle Cureprimarie che solo recentemente, qua e là, sisono aperte ad una collaborazione reciprocacon i Dipartimenti di salute mentale.Nello stesso tempo, si registra una crescentedomanda, esplicita, di assistenza psichiatricae sociale da parte dei minori e degli adole-scenti che richiede ai Dipartimenti l’apertu-ra di un nuovo capitolo dedicato alla salutementale, ad interventi in età precoce e suicontesti sociali entro cui si manifesta il disa-gio psicologico e il disturbo psichico (la fa-miglia, la scuola, i gruppi e le aggregazionigiovanili...).Questa novità crescente della “questione gio-vani” è parte e conseguenza di un ampio eprofondo cambiamento che sta avvenendonelle condizioni di vita e di lavoro dei citta-dini e nella struttura della famiglia e dei rap-porti sociali.La precarietà é l’assillo angosciante che at-traversa tutta la società e rende fragili interefasce di popolazione.E’in atto, contestualmente, un’ampia e ca-pillare “mutazione ideologica” verso un indivi-

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dualismo egoistico e autoreferenziale, chiu-so in se stesso; di fatto si registra una lacera-zione di tutti i legami di solidarietà con nuo-ve forme di separazione, di contrapposizionee di sottomissione servile che espongono lepersone alla impotenza, alla frustrazione, allaperdita del senso di vivere.Si assiste, così, ad una preoccupante usuradella coesione sociale, alla caduta delle cer-tezze e degli orizzonti collettivi e, dunque,al manifestarsi di un diffuso disagio psicolo-gico, allo sviluppo degli stati d’ansia e delleforme depressive che riguardano in partico-lare i giovani, le donne e gli anziani.Parlare di salute mentale, oggi, significa farei conti con questo scenario culturale e socia-le e sviluppare l’azione delle Istituzioni, deiServizi alla persona e dei soggetti sociali perristabilire nuovi vincoli, nuovi legami tra i sin-goli individui a cominciare da quelli che si rea-lizzano con il lavoro e tramite il lavoro.Legami nuovi, capaci di toccare la pluralitàdei cerchi entro cui si esprime e si realizza lavita umana.Entro questo orizzonte culturale, politico esociale va collocata la formulazione dei nuovilivelli essenziali per la salute mentale sia persuperare i limiti registrati in quelli in vigo-re sia per far fronte alle nuove esigenze diaiuto alle persone, ai gruppi sociali e allaComunità.E’ la questione della consistenza e della qua-lità dei Servizi per la salute mentale, stru-menti necessari per coagulare interventi dipiù e diverse professionalità, capaci di far fron-te alla complessità e diversità della domandadi salute mentale dei cittadini, in tutto il ter-ritorio nazionale, e di mobilitare energie colletti-ve per agire sulle determinanti sociali.

Per una legge nazionale sui LEA sani-tariPortare l’iniziativa dei movimenti, dei sog-

getti sociali e delle forze riformiste, nel Pae-se e nel Parlamento, sulla “questione dei dirittisociali” in una fase della politica nazionaletutta volta a smantellare quel poco di statosociale conquistato e a ritrarre lo Stato dallepolitiche di welfare può apparire velleitarioe addirittura fuorviante rispetto alla durezzadello scontro in atto per salvaguardare la “so-pravvivenza di un minimo sociale”.Al contrario, è proprio nel vivo dello scon-tro sociale che la difesa delle condizioni divita si salda con la proposta di un nuovoordine sociale fondato sui diritti di cittadi-nanza sociale e su un nuovo rapporto trasviluppo economico e qualità della vita pertutti, a partire dalle fasce più esposte allacrisi sociale.L’impegno per l’oggi è tanto più forte quan-to più chiara e netta è la prospettiva che mo-bilita per il domani.E’ in questa fase che il richiamo alla Costitu-zione, nella lettera e nello spirito, costitui-sce il fondamento per il “nuovo ordine sociale”che deve garantire a tutti l’uguaglianza deidiritti civili e sociali.La “rimozione degli ostacoli” (articolo 3) “l’uni-tà sociale e politica della nazione” (articolo 5) e“l’universalità del diritto alla salute” (articolo32 ) hanno il loro compendio e la loro tradu-zione concreta nell’articolo 117, lettera m)della Costituzione che “riconosce allo Stato le-gislazione esclusiva per la determinazione dei li-velli essenziali delle prestazioni concernenti i di-ritti civili e sociali che devono essere garantiti sututto il territorio nazionale”.Una legge dello Stato, dunque, valida ergaomnes che, nell’ambito del più generale dirit-to universale alla salute dei cittadini, devedare risposte coerenti e coordinate a tre or-dini di problemi:1. determinare i percorsi assistenziali per la

salute mentale dei cittadini entro cui sisituano le singole prestazioni;

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I livelli essenziali di assistenza (LEA) per la salute mentale

2. stabilire gli standard nazionali degli inter-venti e dei servizi per la salute mentale inmodo omogeneo in tutto il territorio na-zionale;

3. garantire al Servizio sanitario nazionale lerisorse finanziarie corrispondenti al valo-re economico degli standard per interven-ti e servizi.

Nessuno di questi tre aspetti, singolarmentepreso, è efficace e sostenibile se vengono amancare gli altri due.

Primo. La determinazione dei per-corsi per la salute mentaleNon si parte da zero.Il centrosinistra aveva avviato, nel 2006, laformulazione di un nuovo quadro dei LEA sa-nitari, introducendo un allargamento dei di-ritti nel campo della integrazione sociosani-taria, ma quella proposta, ancora lacunosaper la salute mentale, non è stata approvatadal Governo di centrodestra nel frattemposubentrato alla guida del Paese.Nel confronto politico di questi anni, si ètentato di far coincidere i livelli essenzialicon i livelli minimi di un welfare residuale, inmodo da autorizzare lo Stato nazionale adimpegnare un minimo di risorse finanziariee da addossare l’ulteriore carico di spesa allepersone, alle famiglie e agli Enti locali.Con l’aggiunta di una ipocrisia di stato: nelLibro verde del Ministero delle politiche so-ciali, in nome di una enfatica e strumentale“valorizzazione della individualità e della ini-ziativa autonoma dei soggetti sociali”, si è la-sciata la persona sola, esposta alla logica delcenso che garantisce chi è già forte e abban-dona chi è fragile e debole.E’ uno stravolgimento della Costituzione eanche di buona parte della legislazione ap-provata negli anni passati.Il cambiamento deve essere radicale.Dalla attuale tassonomia di prestazioni, sin-

golarmente determinate, è necessario passa-re alla determinazione dei percorsi assisten-ziali che comprendono, necessariamente, la“presa in carico” della domanda del cittadino,espressa o latente che sia, la predisposizionedi un Piano personalizzato condiviso, la in-dividuazione di un case manager che garan-tisce la persona in tutto il percorso terapeu-tico, la continuità assistenziale, il concorsodei servizi sanitari e sociali chiamati ad in-tervenire sulla situazione di sofferenza, la va-lutazione in corso d’opera dell’efficacia delleprestazioni e il riscontro dei risultati raggiuntirispetto agli obiettivi del programma assi-stenziale.Un percorso assistenziale in cui si situano lediverse prestazioni rivolte ai minori, agliadolescenti e agli adulti, nelle sedi formali(Centro di salute mentale, SPDC ospeda-liero, Residenze sociali senza emarginazio-ne) e nelle sedi informali (famiglia, scuola,lavoro, contesto ambientale…) in cui è chia-mato ad operare il Servizio per la salutementale.

Secondo. Gli standard per la rete deiServizi per la salute mentaleIl compito dello Stato nazionale non può li-mitarsi all’elenco dei livelli essenziali delleprestazioni, ma deve proseguire fino a ga-rantirne la esigibilità per tutti i cittadini, in tuttoil territorio nazionale, come esplicitamenteafferma l’articolo 117 della Costituzione.A questo proposito è necessario un chiari-mento.A differenza di alcuni diritti civili, che di-scendono direttamente dalla Costituzione esono automaticamente fruibili, come il di-ritto di parola, il diritto alla libertà persona-le o il diritto di voto, i diritti sociali hannobisogno della mediazione politica per realiz-zare le condizioni strutturali del loro eserci-zio e per evitare che essi si configurino come

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“diritti di carta”, come principi che non agi-scono sullo stato di bisogno sanitario e so-ciale delle persone.E’ la questione della rete dei Servizi colletti-vi, strumenti necessari per la produzione deipercorsi e delle prestazioni alle persone.E’ stata un’astuzia del potere separare i livel-li essenziali dai servizi che li garantiscono euna ingenuità dei movimenti cadere nellatrappola di una “nozione di Stato” che si li-mita alla mera declaratoria dei diritti.Per l’appunto, lo stato dei servizi é anche laquestione che maggiormente differenzia unaRegione dall’altra e che più in generale con-nota il deficit dello stato sociale italiano,povero di servizi collettivi e sempre propen-so alla lesina di un assistenzialismo moneta-rio o di un ricovero purchessia.Questo è il puntum dolens di tutto il welfareitaliano, qui sta anche una delle spiegazionidella disuguaglianza nei diritti di cittadinan-za sociale tra gli italiani.Spetta allo Stato garantire l’universalità el’uguaglianza dei diritti e, insieme, l’unitàsociale del Paese.Gli standard per la rete degli interventi e deiservizi sanitari e sociali per la salute menta-le, oltre a garantire un diritto troppo a lungodisatteso, costituiscono un avvio per una equadistribuzione territoriale delle risorse finan-ziarie del Paese.Pertanto, se è giusto che siano le Regioni e leProvince Autonome ad organizzare e realiz-zare la risposta alla domanda dei cittadini, èindispensabile che la legge dello Stato mettaa disposizione in tutto il territorio nazionaleuna rete omogenea di interventi e di servizi per lasalute mentale, quei servizi e quegli interventiche diventano diritti esigibili da parte deicittadini.L’omogeneità dei servizi si realizza attraver-so standard di personale riferiti alla popola-zione e ai flussi della domanda, ma anche

attraverso una rete di presidi sociosanitari chedevono essere disponibili per far fronte alladomanda di assistenza delle persone e dellefamiglie. Presidi flessibili, aperti, fortemen-te integrati nel contesto sociale per renderesempre possibile il progetto di vita delle per-sone nell’ambito della comunità.Standard che riguardano anche gli interventiper l’inserimento lavorativo e per il dirittoall’abitare delle persone che in ragione delloro stato di salute rischiano l’abbandono e/ol’emarginazione sociale.La “garanzia delle quantità” spetta allo Stato,previa concertazione con le altre Istituzioni econ i soggetti sociali; la conversione della quan-tità in qualità è compito dei Servizi, delleRegioni, delle Province Autonome e degli Entilocali che, per essere prossime alle persone ealla popolazione, sono in grado di far corri-spondere e differenziare le prestazioni secon-do le esigenze degli interessati.Così è possibile coniugare la funzione unita-ria dello Stato italiano con l’articolazionedemocratica dei poteri assegnati dalla Costi-tuzione alle Regioni, alle Province Autono-me e agli Enti locali, tutti chiamati ad ope-rare sulla base del principio della “leale colla-borazione” tra le diverse Istituzioni della Re-pubblica che è una e indivisibile.I diritti dei cittadini sono lo scopo, le Istitu-zioni sono gli strumenti per realizzarne launiversalità.Pertanto, il federalismo va considerato comeopportunità ed impegno per superare le disu-guaglianze esistenti con uno spirito di emula-zione e non di competizione tra le Regioni,per raggiungere nuovi livelli qualitativi di so-cialità e di unità sostanziale del paese Italia.

Terzo. Le risorse finanziarie per lasalute mentaleLa garanzia delle risorse finanziarie per ga-rantire ai cittadini i livelli essenziali di assi-

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I livelli essenziali di assistenza (LEA) per la salute mentale

stenza sanitaria è il coronamento dell’impe-gno richiesto allo Stato italiano dalla Costi-tuzione.La legge n. 833/’78 stabilisce che il Serviziosanitario nazionale italiano, uno dei miglioritra le nazioni più avanzate, sia finanziato dallafiscalità generale.Purtroppo, dal 1978 ad oggi, la sottostimadel Fondo sanitario nazionale, quando piùquando meno, è stata sempre una costantedelle politiche governative cui si aggiunge,spesso, l’iniqua imposizione dei ticket chegravano sui malati incolpevoli.Eppure, la spesa sanitaria in Italia, in rappor-to al Pil, si aggira intorno al 7,3%, larga-mente inferiore alle quote dei Paesi dell’Oc-se con pari sviluppo economico.E’ vero che l’Italia ha il terzo debito su scalamondiale e che le possibilità di spesa sonolimitate, ma la spesa sociale, tra cui la sani-tà, deve essere correttamente considerata unfattore dello sviluppo del Paese e della ripresa delsuo asfittico mercato interno.In ogni caso, non possono essere le personepiù fragili, e tra queste i malati mentali, apagare il prezzo delle restrizioni economiche.Quello che bisogna contrastare è lo sprecodelle risorse e, dunque, realizzare il control-lo qualitativo della spesa e la cancellazionedelle tante lobby che assorbono risorse senzarestituire produttività sociale.La congrua copertura finanziaria per i LEA sa-nitari e il riequilibrio nella distribuzione del-le risorse tra le Regioni italiane sono i duecardini di una nuova politica per i diritti e perlo stesso Ordinamento federale del Paese.La strada è quella della stima economica de-gli standard degli interventi e dei Servizi darealizzare.In pratica, nella sanità italiana si tratta dipassare dalla spesa storica, che ha accumula-to nel tempo grande disparità tra le diverseparti del Paese, alla quantificazione e alla as-

segnazione delle risorse sulla base degli stan-dard degli interventi e dei servizi che peròvanno definiti, come qui si propone per lasalute mentale, nella loro omogeneità terri-toriale per avere un Paese meno disuguale epiù equo.Per la salute mentale, la stima degli standarddei servizi porta l’impegno di spesa al 7%del Fondo sanitario nazionale che va assegnatoalle Regioni con vincolo di destinazione e cononere di rendiconto per evitare che si ripro-ducano i comportamenti omissivi di molteRegioni italiane, così come avvenuto versole disposizioni del Progetto obiettivo 1998-2000 che assegnava alla salute mentale il 5%del Fondo sanitario nazionale.Quella disposizione non è stata mai rispetta-ta e nessuna sanzione è stata adottata dalGoverno che ha il dovere di garantire i livel-li essenziali (articolo 120 Costituzione).L’impegno di spesa, nei valori della quota pro-capite, deve essere assicurato comunque qua-lora il Fondo sanitario nazionale sia sostitui-to dal federalismo fiscale in applicazione del-l’articolo 119 della Costituzione.Garanzie devono essere assicurate anche perla disponibilità di risorse sull’articolo 20 del-la legge n. 67 del 1988 per la realizzazionedei presidi sociosanitari, sulla legge n. 68 del1988 per l’inserimento lavorativo e sulle pro-cedure per l’accesso all’abitare delle personecon handicap psichico.In sostanza, si tratta di agire su tutte le nor-mative che possono intervenire a sostegnodelle persone con difficoltà psichiche.Il cambiamento è profondo ed impegnativo,richiede certamente un’altra idea di stato so-ciale che ha bisogno di un nuovo ethos e diuna nuova cultura di governo da parte delleIstituzioni pubbliche.

La tutela costituzionale del dirittoalla salute mentale

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Il diritto alla salute mentale è dovere delleIstituzioni e la Costituzione richiede una spe-cifica vigilanza sui comportamenti delle Re-gioni, delle Aziende sanitarie e degli Entilocali cui è demandato il compito di garanti-re l’esigibilità del diritto.In realtà, proprio sui LEA sanitari si è regi-strato negli anni il più massiccio e irrespon-sabile scaricabarile, con inadempienze chesono riuscite a sfuggire ad ogni sanzione giu-ridica e ad ogni rendiconto democratico conun cittadino confinato nella precarietà e nel-l’impotenza.E’ necessario, pertanto, accompagnare la de-terminazione dei livelli essenziali con unaprecisa declaratoria delle competenze delloStato nazionale, delle Regioni e ProvinceAutonome, delle Aziende sanitarie locali edegli Enti locali, realizzando quel federali-smo istituzionale solidale e cooperativo incui il ruolo dello Stato centrale non è cancel-lato, ma giustamente ed opportunamentemodificato per mettere fine al centralismoburocratico ed amministrativo e per svolge-re una funzione di indirizzo, di unità nazio-nale, di definizione delle regole, di garanziadei diritti, di coordinamento e di controllodella loro esigibilità.Si deve sapere con certezza “chi fa che cosa”.E’ quello che vale anche per il diritto dei cit-tadini alla salute mentale.L’articolo 120 della Costituzione riconosceal Governo un ruolo di controllo, fino a pre-vedere, addirittura, il potere sostitutivo neiconfronti delle Istituzioni inadempienti“quando lo richiedono la tutela dell’unità giuri-dica o dell’unità economica e in particolare latutela dei livelli essenziali delle prestazioni con-cernenti i diritti civili e sociali prescindendo daiconfini territoriali dei governi locali”.I diritti civili e sociali non hanno confini, nonhanno limitazioni e restrizioni territorialinella Repubblica italiana.

Quello che manca è il principio di reciprocità,quando è lo Stato nazionale, come accadeormai da molti anni, a venir meno al dettatocostituzionale e si palesa inadempiente neiconfronti degli articoli 117 e 119 della Co-stituzione.Come in altri settori della vita pubblica, an-che per la tutela dei cittadini nei confrontidello Stato centrale riguardo ai LEA civili esociali è opportuno costituire un’appositaAutority indipendente, articolata a livello re-gionale e locale, titolata ad agire nei con-fronti delle Istituzioni inadempienti, conpoteri conferiti dalla legge per ripristinare ildiritto violato e/o per colmare i vuoti dovutialla inerzia delle Istituzioni.L’Autority, realizzata con legge nazionale,deve prevedere anche una adeguata parteci-pazione dei cittadini e delle loro rappresen-tanze.

Una garanzia democraticaLa garanzia del diritto alla salute mentale, inuno stato di diritto, risiede senza dubbio nel-l’assunzione di responsabilità da parte delleIstituzioni sulla base delle leggi che stabili-scono i rispettivi doveri.Il cittadino deve essere tutelato, ma è lo stes-so cittadino che può concorrere, da protago-nista, a questa garanzia.Con l’entrata in vigore della legge 1 gennaio2010, al cittadino è riconosciuta la facoltà diavanzare rimostranze non solo individuali,ma collettive (Class action), per adire allaCorte costituzionale, accrescendo così il suopotere contrattale nei confronti delle Istitu-zioni inadempienti.Ma il contributo del cittadino va oltre la pro-testa.L’articolo 118 della Costituzione impegna leIstituzioni a favorire “l’autonoma iniziativadei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimen-to di attività di interesse generale, sulla base del

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I livelli essenziali di assistenza (LEA) per la salute mentale

principio di sussidiarietà”.La Costituzione italiana, fatto nuovo e stra-ordinario, legittima, dà valore e riconosce“funzione pubblica” alle iniziative dal bassovolte all’interesse generale e promosse dalletante Associazioni di utenti, di familiari e divolontari che in questi anni, anche nella for-ma dell’auto-mutuo-aiuto, hanno aggiuntola risorsa culturale e umana della cittadinan-za attiva al doveroso impegno delle Istitu-zioni e dei Servizi, in particolare dei Dipar-timenti di salute mentale, partecipando allescelte programmatiche e alla esecuzione de-gli obiettivi.La partecipazione diretta dei cittadini è adun tempo un contributo a dilatare i diritti euna presenza che consente di includere nellacultura della salute mentale il punto di vistadella comunità, contributo importante perla qualità delle prestazioni.

Il senso di una propostaMolte sono state le iniziative e le battagliesostenute in questi anni nel Paese e nel Parla-mento dalle Associazioni di cittadini, dalleOrganizzazioni sindacali e professionali, dal-le forze politiche avanzate per bloccare i tan-ti tentativi di controriforma dell’assistenzapsichiatrica.L’opposizione sociale e politica ha maturatonel Paese un grande patrimonio di sensibilità

civile e sociale, di pluralità di esperienze, dicontributi operativi, di nuove proposte peruna nuova fase della riforma dell’assistenzapsichiatrica volta alla salute mentale.“I nuovi livelli essenziali dell’assistenza sanita-ria e, tra questi, quelli per la salute mentale”possono essere, oggi, da un lato i contenutidi un programma di riforma del welfare ita-liano che può unire il vasto fronte di quelleforze politiche democratiche che aspirano acambiare il Paese e dall’altro “una piattafor-ma” di proposte rivendicative, discusse e con-certate, che possono coagulare l’impegnomultiforme dei tanti e diversi soggetti so-ciali impegnati a garantire i diritti universalie nello stesso tempo a contribuire dal bassoalla riforma del welfare con un rapporto sem-pre dialettico e costruttivo tra Istituzioni esocietà civile.Dopo trenta anni e più dalla rivoluzione scien-tifica nel campo della salute mentale, oggicome allora, il contributo della soggettivitàsociale è garanzia dei diritti individuali e del-la riforma dello stato sociale che, per rinno-varsi e completarsi, deve poter contare sem-pre sul confronto e sull’alleanza tra nuova cul-tura, Istituzioni democratiche e Cittadinan-za attiva.La Costituzione italiana offre il terreno perquesta costruzione democratica.

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Sistema Salute, 56, 2, 2012: pp. 217-224

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Il ruolo dei Servizi Specialistici e delle Cure Primarie nellaassistenza ai pazienti con disturbi mentaliThe task of psychiatric Services and Primary Care in mental patients care

Fabrizio AsioliScuola di specializzazione in psichiatria, Università degli Studi di Bologna

Parole chtave: assistenza ai pazienti con disturbi mentali, servizi di psichiatria nella comunità, cure primarie,esperienza italiana

RIASSUNTOObiettivi: una buona integrazione dei Servizi specialistici di psichiatria con il sistema delle Cure primarie èindispensabile per la qualità della assistenza comunitaria rivolta ai pazienti con disturbi mentali. Vienepresentata e discussa la esperienza in ltalia a confronto con quanto accade in altri Paesi.Metodologia: viene compiuta una rassegna della letteratura ed una valutazione delle esperienze italiane allaluce delle raccomandazioni sulla salute mentale della Organizzazione Mondiale della Sanità.Risultati: la esperienza italiana si caratterizza per una notevole eterogeneità; sono presenti esperienzesignificative solo in circa la metà delle Regioni. Là dove sono state sviluppate esperienze di collaborazione,queste non si differenziano da quanto realizzato anche in altri Paesi e da quanto viene raccomandato dallaOrganizzazione Mondiale della Sanità

Key words: mental patients care, community psychiatric services, primary care, italian experience

S U M M A RYObjectives: a good integration between Psychiatric Community Services and Primary Care is required for anhigh quality psychiatric care to mental patients. Actual situation in ltaly is presented and discussed.Methodology: review of literature and evaluation of italian experiences according to World Health Organizationrecommendations on mental health.Results: italian situation is typically heterogeneous; significant experiences have been developed only inabout 50% of italian Region. Where developed, collaborative experiences are not different from whatrealized in other coutries and recommended by World Health Organization.

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Il ruolo dei Servizi Specialistici e delle Cure Primarie ...

IntroduzioneIndipendentemente dalle diverse motivazio-ni che hanno portato molti Paesi a metterein discussione la organizzazione della psi-chiatria basata sull’Ospedale psichiatrico, irisultati che si sono prodotti dappertuttoappaiono piuttosto simili. Fra gli altri: i)sono stati istituiti Servizi (più o meno dif-fusi, articolati ed evoluti) in grado di forni-re alle persone con disturbi mentali una as-sistenza nella comunità, limitando i rico-veri al minimo indispensabile; ii) è enor-memente cresciuta la accessibilità dei Ser-vizi specialistici, quindi la domanda di cure,grazie ad una migliorata accettazione daparte dei pazienti delle nuove forme di assi-stenza. In diverse aree geografiche europeeè stato stimato che oggi i Servizi di comu-nità offrono assistenza ad un numero di pa-zienti anche di venti-trenta volte superiorea quanto non accadesse con l’Ospedale psi-chiatrico.Parallelamente a queste trasformazioni sonovenuti alla luce altri fenomeni importantiche in precedenza sfuggivano alla attenzio-ne degli epidemiologi: ad esempio, la gran-de diffusione nella popolazione di disturbipsichiatrici comuni, in particolare ma nonsolo, della depressione (7, 10). Tutto ciò,insieme ad una diminuzione – seppure solorelativa – dello stigma che circonda i di-sturbi mentali, ha contribuito ad un consi-stente aumento della domanda emergentedi cura con un sempre maggiore impegnoche grava non solo sui Servizi di salute men-tale ma anche sui medici di Medicina gene-rale (MMG).In Italia, il fondamentale ruolo dei servizi edei sanitari non-psichiatrici nella assistenzaai pazienti con disturbi mentali è una evi-denza piuttosto sottovalutata dai professio-nisti della salute mentale i quali non tengo-no sufficientemente presente che i pazienti

psichiatrici, ancor prima di diventare tali,sono persone affidate alle cure dei loro me-dici generalisti e, una volta che si siano svi-luppati disturbi psichiatrici, il sanitario checon maggiore frequenza viene per primo incontatto con il paziente e la sua sofferenza èappunto il medico di base (come, fra le tan-te definizioni, viene chiamato in Italia) (3).Questa è la principale ragione per cui in tuttele esperienze che in questi anni si sono svi-luppate nella direzione degli interventi pre-coci (in particolare della schizofrenia, manon solo), i medici delle Cure primarie han-no un ruolo di grande rilievo in questi pro-grammi, dato che essi sono in grado di farela differenza nel determinare la tempestivi-tà degli interventi, riducendo il tempo dinon-trattamento dopo l’insorgenza dellamalattia.Anche nei Paesi in cui la psichiatria ha avu-to uno sviluppo fortemente comunitario,come è avvenuto in Italia, i pazienti – inmodo particolare quelli con disturbi defini-ti “comuni”, ma anche quelli con disturbiseveri – continuano a manifestare la lorospiccata preferenza a rivolgersi ai medici diMedicina generale piuttosto che ai Servizispecialistici. I dati riferiti all’Italia della ri-cerca ESEMED svolta sulle popolazioni di6 Paesi europei (3), mostrano che fra le per-sone con una diagnosi di disturbo mentalenei 12 mesi precedenti l’intervista, il 38% èricorso solo al MMG; il 21% solo allo psi-chiatra; il 28% sia al medico di Medicinagenerale che allo psichiatra. Dunque, circail 70% delle persone che chiedono aiuto sirivolgono comunque al MMG: a lui solo op-pure a lui ed allo specialista, evidenziandoun indiscutibile gradimento rispetto al suocoinvolgimento diretto nel processo di cura,con o senza l’intervento dello specialista. Ciòpuò stupire solo gli psichiatri più sprovve-duti: la relazione di conoscenza e di fiducia

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che lega il paziente al proprio MMG è evi-dentemente (e giustamente!) un fattore cheil paziente valorizza molto ed è anche unpotente fattore terapeutico in grado di spie-gare la efficacia dei trattamenti e degli esitiottenuti dai MMG nei confronti dei distur-bi mentali comuni che non è inferiore aquella degli specialisti pur avendo, i MMG,l’handicap di non avere la specializzazioneed una preparazione tecnica inferiore (7, 9,10).

Questioni aperteIn tutti i Paesi in cui la psichiatria ha assun-to caratteristiche territoriali si sono realiz-zate forme di collaborazione fra Psichiatriae Medicina generale, come viene chiamatain Italia il sistema delle Cure di primo li-vello offerte al paziente. Il Regno Unito èstato la patria riconosciuta di queste espe-rienze che in tempi successivi si sono svi-luppate in molti altri Paesi, quasi tutti –con la importante eccezione degli Stati Unitid’America – dotati di un Sistema SanitarioNazionale (SSN). La presenza di un SSNfacilita o, meglio, impone un collegamentoorganico ed efficace tra Servizi di primo li-vello e Servizi specialistici. La Gran Breta-gna è stata il punto di riferimento pionieri-stico di questo interesse, in quanto è un Pa-ese dotato di un SSN antico e di qualità chedispone di una Primary Care pensata e or-ganizzata come sede principale del sistemadi cure offerte al cittadino (9, 10). I Servizisanitari pubblici, con maggiore enfasi diquanto non accada generalmente nei Siste-mi di tipo privatistico, si propongonol’obiettivo del migliore uso delle risorse,della efficienza e della coerenza degli inter-venti che vengono erogati e della loro effi-cacia. Inoltre un Sistema pubblico di assi-stenza, essendo basato su un approccio pu-blic health oriented, ha uno sguardo rivolto

alla salute (e non solo ai disturbi) della po-polazione e, in questa dimensione estensi-va, la gestione delle risorse acquista un ri-lievo prioritario.In questi ultimi trent’anni sono emersi conchiarezza alcuni problemi cruciali che at-tengono alla salute mentale: i) la grandediffusione dei disturbi psichiatrici comuni,che colpiscono, a seconda degli studi, il 20-25% della popolazione; ii) l’entità dell’im-pegno del Sistema sanitario per la loro ge-stione sovrasta di molto quella dei disturbimentali severi, che colpiscono circa il 2%della popolazione; iii) anche nei Paesi chededicano alla psichiatria di comunità cospi-cui finanziamenti, i Servizi specialistici han-no risorse per occuparsi solo di quest’ulti-ma, più esigua ma qualitativamente moltoconsistente, frazione di pazienti (5).Come affrontare dunque la sfida di garanti-re la qualità della salute mentale di una po-polazione a fronte di risorse che appaionocosì limitate? La necessità della integrazio-ne dei Servizi a favore dei pazienti con di-sturbi mentali è stata sottolineata, ripetu-tamente ed anche in tempi recenti, dallaOrganizzazione Mondiale della Sanità (12)con suggerimenti piuttosto dettagliati. NeiPaesi sviluppati (è il caso anche dell’Italia)vengono indicati due obiettivi prioritari: i)migliorare l’efficacia della gestione dei di-sturbi mentali nella assistenza primaria at-traverso, in particolare, una implementa-zione della formazione del personale addet-to a questo tipo di assistenza; ii) migliorarei modelli di invio (referral) al livello specia-listico per fornire – attraverso la integra-zione e collaborazione fra i Servizi interes-sati – risposte di cura più coordinate ed ade-guate ai pazienti. In realtà si tratta innanzitutto di favorire la accessibilità ai Servizispecialistici da parte dei pazienti inviati (ono) dai MMG che – altra evidenza ignorata

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dagli psichiatri – è drammaticamente bas-sa anche in Italia, dove circa la metà dellepersone con problemi di salute mentale ri-mane al di fuori di qualsiasi sistema e op-portunità di cura (3); ma anche di renderepiù efficaci le procedure per la restituzionedi informazioni (nel caso del paziente in-viato per consulenza) o per il riaffidamentodel paziente al MMG (nel caso della con-clusione di un episodio di cura) da parte delServizio specialistico. Tutte queste attivitàe procedure appartengono alla fase della re-lazione istituzionale che viene definita back-referral.

La situazione in Italia e i suoi para-dossiNonostante da noi l’assistenza psichiatricasi svolga da più di 30 anni interamente al-l’interno del circuito sanitario, la attenzio-ne alla collaborazione con la Medicina ge-nerale si è sviluppata con ritardo rispetto aquanto accaduto altrove, e non su tutto ilterritorio nazionale. Perché? Esistono ragioniper comprendere, se non proprio giustifica-re, il ritardo: la psichiatria italiana è stataimpegnata, come in nessun altro Paese delmondo, in un enorme sforzo di trasforma-zione della assistenza che ha comportato lacompleta scomparsa degli Ospedali psichia-trici e la costruzione di Servizi del tuttonuovi, senza finanziamenti dedicati. Molteenergie e risorse dei nostri Dipartimenti disalute mentale sono state concentrate inquesto cambiamento veramente epocale e,di conseguenza, le “aree di confine” dellapsichiatria, così come il rapporto di colla-borazione con altre discipline e Servizi, han-no finito per avere per molto tempo unaattenzione marginale.Una letteratura piuttosto ricca documentala fase di espansione raggiunta (2, 6). Il pri-mo dato che merita di essere sottolineato

però è che solo in poco più della metà delleRegioni italiane sono presenti esperienzeattive (e documentate); 10 Regioni sonointeressate da pratiche diffuse di collabora-zione: Campania, Emilia Romagna, Lazio,Liguria, Marche, Puglia, Toscana, TrentinoAlto Adige, Umbria, Veneto; in Piemonteed Abruzzo sono presenti azioni più limita-te e circoscritte. Infine, in 2 Regioni (Emi-lia Romagna e, dal 2010, anche in Liguria)esistono Progetti regionali specifici che inquei servizi sanitari regionali impegnanoistituzionalmente queste due agenzie sani-tarie alla loro integrazione.Quanto al fatto che la collaborazione dellapsichiatria con i Servizi sanitari di primolivello sia limitata a poco più del 50% delterritorio nazionale viene da pensare (comeeffettivamente, purtroppo, è in realtà!) chela integrazione degli interventi rivolti alpaziente sia considerata un optional dal no-stro SSN e non un aspetto organizzativo eculturale di primaria importanza per la sa-lute dei cittadini.In Italia, un primo ostacolo strutturale aduna coerente integrazione fra Medicina ge-nerale e Dipartimenti di salute mentale èrappresentato e dalla funzione affidata allaMedicina generale nel nostro sistema di as-sistenza e, conseguentemente, dal modo incui è organizzata la attività dei MMG. Adifferenza dei Paesi che fondano il SistemaSanitario sulla Primary Care (o sulla Aten-ciòn Primaria, come viene definita nei Pae-si di lingua spagnola) la filosofia del nostrosistema pubblico di cure affida ai MMG unruolo “debole” (per missione e risorse) e“marginale”, rispetto all’Ospedale che co-stituisce il vero fulcro del sistema. Solo nelcorso degli anni i MMG sono stati progres-sivamente cooptati dal e nel SSN; tuttaviaancora oggi essi operano in regime di con-venzione e solo in un futuro non tanto pros-

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simo potrebbero appartenere pienamente alSSN diventandone dipendenti attraverso uncontratto di lavoro. Ma al di là di aspettiche potrebbero sembrare formali, il nostroMMG si trova in una condizione struttura-le completamente diversa da quella in cui ècollocato il General Practitioner (GP) a cuiviene richiesto, oltre alla prestazione assi-stenziale, il ruolo di gestore delle risorse equindi di responsabile delle scelte e dei per-corsi di cura.Da noi il MMG lavora solo (anche se, daquesto punto di vista, ci sono recenti novi-tà interessanti) mentre in qualsiasi Paesedotato di Primary Care il medico generali-sta lavora in strutture, le clinics, che piùche poliambulatori – come li chiamerem-mo noi – sono piccoli “ospedali territoria-li” in cui insieme al team di GP operanoinfermieri, riabilitatori, specialisti delle di-scipline che più facilmente si trovano coin-volti nella assistenza di base (ginecologi,psichiatri, pediatri, etc.).In Italia, nel caso dei disturbi mentali inparticolare, il ruolo del MMG risulta ulte-riormente indebolito: il paziente psichiatrico– unico caso fra tutti i pazienti – può acce-dere direttamente al Servizio specialisticosenza esservi inviato dal suo medico. Indipen-dentemente da qualsiasi interpretazione sivoglia dare, la eccezione del libero accessogarantito al paziente psichiatrico – forse aldi là delle intenzioni – è destinata a rimar-carne la sua “diversità” e rappresenta una“opportunità” di utilità molto controversa,ma certamente stigmatizzante. Di sicuro,finisce per limitare ancora di più il ruolo ela responsabilità del MMG nella assistenzaai pazienti mentali, escludendolo da unascelta così determinante quale è quella dirivolgersi ad uno specialista, e rappresentaun ostacolo nell’organizzare percorsi di curacoerenti e integrati fra le diverse agenzie

sanitarie che si occupano di lui. In qualsiasiesperienza di collaborazione in Italia, il pri-mo problema (un vero e proprio dilemma)che infatti sempre ci si trova da affrontare èda un lato, come rispettare il diritto allatutela per la privacy del paziente, dall’altrocome potere realizzare una opportuna co-municazione fra psichiatra e MMG finaliz-zata a trasmettersi notizie nell’interesse delpaziente, in tutti quei casi in cui questi sisia rivolto al Servizio specialistico all’insa-puta del suo MMG.Infine, seppure secondariamente, anchequalche pregiudizio degli psichiatri italianiha avuto un ruolo nel determinare la situa-zione descritta. Molti di noi infatti riman-gono tuttora scettici, forse increduli, di fron-te della “scoperta” – peraltro fatta 40 annifa – da Shepherd (7, 10) sulla diffusione deidisturbi mentali nella Medicina generale enon riescono a capacitarsi della evidenza chei nostri colleghi generalisti vedono quanti-tà di pazienti con disturbi psichiatrici an-che di 10 volte superiori a quelle che assi-stiamo nei nostri Servizi. A questo modo(distorto) di osservare il problema conse-gue la convinzione (erronea) di essere, noipsichiatri, gli unici detentori della respon-sabilità della salute mentale della popola-zione

Cosa ci dicono le esperienze di colla-borazioneI modelli di collaborazione sviluppati da noi(1, 2) hanno molti punti in comune fra diloro, così come rivelano omogeneità rispettoa quanto realizzato anche in altri Paesi, conuna sola eccezione critica. In Italia, seppurein un numero limitato di programmi, glipsichiatri insistono ancora – erroneamente– nell’identificare come problema priorita-rio da affrontare quello di “insegnare la dia-gnosi” ai MMG. Ormai è assodato che i si-

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stemi diagnostici psichiatrici sono uno stru-mento, seppure controverso, di utilità inambito psichiatrico, ma poco “esportabili”in altri setting e, fra questi in particolare, laMedicina generale dove le problematichepsichiatriche hanno caratteristiche molto pe-culiari (ad esempio, hanno spesso manife-stazioni cliniche sfumate in quanto sono agliesordi, sono presenti sintomi sottosoglia, cisono importanti implicazioni somatiche cherendono più difficile la interpretazione psi-chiatrica del caso, etc.).I MMG, come tutti i laureati in Medicinaitaliani hanno ricevuto una preparazioneassai carente in psichiatria attraverso un in-segnamento impartito durante un corso delladurata media nazionale di 24 ore. La lette-ratura concorda sul fatto che i progetti diaggiornamento-formazione per i MMG deb-bano avere caratteristiche particolari peressere efficaci (4, 5, 8, 11), essendo rivolti aprofessionisti già in carriera, con pochissi-mo tempo a disposizione, necessariamenteattenti a tutte le patologie in quanto “poli-specialisti di base”, non tutti sensibili allapsichiatria e ai pazienti psichiatrici, etc.Queste le raccomandazioni principali cheemergono dagli studi: non è metodologica-mente opportuno che la formazione vengasvolta con lezioni frontali che prevedono un“docente” e gli altri professionisti che “deb-bano imparare”; che la attenzione sia rivol-ta alla diagnosi secondo i sistemi diagnosti-ci psichiatrici (comunque, meglio l’ICD-10che il DSM-IV!) ma piuttosto su criterioperativi e gestionali del paziente. Risulta-no più efficaci - sia a migliorare le abilità diidentificazione del problema del paziente chele capacità di trattarlo (4, 8, 10, 11) tutte lemetodologie che prevedono la trasmissionedi informazioni cliniche, anche scritte, se ciòavviene con una certa sistematicità e non inmodo sporadico (attraverso, ad esempio,

referti ben compilati di consulenze), la di-scussione di casi, qualsiasi forma di followup di pazienti assistiti insieme e tutti glistrumenti in grado di migliorare le abilitàrelazionali e di colloquio del MMG (videoformativi, simulate, possibilità di assisteread una visita svolta da persona esperta oregistrata, etc.).Quasi tutte queste iniziative che sono ri-volte ad incrementare le capacità di identi-ficazione e trattamento del MMG possonoconvenientemente essere svolte “all’interno”delle attività di routine che vengono effet-tuate a favore dei pazienti - le consulenze -alle quali peraltro è necessario dedicare laopportuna organizzazione (2).Negli ultimi anni la nostra Medicina gene-rale ha avuto una evoluzione molto interes-sante e si è verificato un maggiore coinvol-gimento dei MMG nel SSN attraverso laistituzione dei Dipartimenti delle Cure Pri-marie e dei Nuclei delle Cure Primarie(NCP) con lo sviluppo di forme diversifica-te di associazionismo medico e la realizza-zione della medicina di gruppo.Ancora una volta però, queste novità hannouna diffusione geografica molto eterogenea.In alcune Regioni si è aperto uno scenarioorganizzativo (e culturale) di enorme inte-resse, e si sta davvero trasformando il tipoe la qualità della assistenza di base: i pa-zienti possono rivolgersi alle sedi della Me-dicina di gruppo durante l’arco di 12 ore etrovano sempre un medico a loro disposi-zione. Oltre a riscuotere il favore dei pa-zienti, queste nuove forme organizzativehanno comportato alcune ricadute signifi-cative sul circuito sanitario: ad esempio, unariduzione degli accessi impropri al prontosoccorso degli Ospedali di zona. In altre zonedel nostro Paese invece, non è successo nien-te, i MMG lavorano ancora da soli e la col-laborazione fra MMG e Dipartimenti di sa-

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lute mentale è affidata solo alla sensibilitàed alla disponibilità dei singoli professioni-sti, quando questa esiste.Laddove invece la Medicina di base ha avu-to lo sviluppo di cui sopra si è detto, sonostate introdotte forme di collaborazione cheprevedono la presenza dello psichiatra nelNCP (a Bologna, la media di impegno è diun pomeriggio ogni 15 giorni) con uno svi-luppo progressivo di forme di consulenzache sono sempre più rivolte al gruppo deiMMG che svolte direttamente sui pazienti,soprattutto attraverso la discussione dei casiclinici problematici.

ConclusioniUna integrazione fra Dipartimenti di salu-te mentale e Medicina generale è indispensa-bile per la qualità della assistenza che deveessere rivolta ai pazienti con disturbi menta-li. In particolare, per: i) supportare i MMGnella attività che svolgono di assistenza di-retta ai pazienti, attraverso adeguate formedi training e attraverso sistemi efficaci diconsulenza rivolti al paziente e/o ai profes-sionisti; ii) assicurare, di conseguenza, unamigliore e più selezionata utilizzazione dei

Servizi specialistici da parte dei pazienti condisturbi severi ai quali essi sono prioritaria-mente dedicati; iii) favorire l’invio tempe-stivo ai Servizi specialistici dei pazienti gra-vi da parte dei MMG al fine di potere realiz-zare interventi quanto più precoci possibile;iv) migliorare la salute fisica dei pazienti incarico ai Dipartimenti di salute mentale.L’interesse dei professionisti (sia dei medicigeneralisti che degli psichiatri) appare negliultimi anni in crescita e rappresenta un ele-mento per guardare con ottimismo alla pro-spettiva di una evoluzione del nostro Siste-ma sanitario verso una migliore integrazio-ne delle risposte fornite ai pazienti con di-sturbi mentali. In direzione del tutto oppo-sta, invece, spinge la sempre più accentuata“regionalizzazione” del Sistema Sanitarioche rappresenta, da molti punti di vista, unelemento di enorme criticità. Infatti, taleprocesso si caratterizza – fra l’altro – per laprogressiva accentuazione delle diversità deiSistemi sanitari regionali i cui modelli ri-spondono sempre più ai criteri del consoli-damento dell’esistente e di visioni locali chenon alla capacità di affrontare le sfide chesaremmo chiamati ad affrontare.

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Il sistema informativo come strumento di valutazione dellaqualità della cura nei servizi di salute mentaleThe information system as a tool for assessing the quality of care in mental healthservices

Antonio LoraPresidente della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica

Parole chiave: sistema informativo per la salute mentale, qualità della cura

S O M M A R I OObiettivo: analizzare l’utilizzo del sistema informative per la salute mentale in alcune dimensioni chiave perla valutazione dei servizi di salute mentale: l’accessibilità, i pattern di trattamento e la continuità della cura,l’appropriatezza dei trattamenti.Strumenti: vengono descritti alcuni esempi di valutazione della qualità della cura, tratti dal sistema informa-tivo per la salute mentale di Regione Lombardia.Risultati: il sistema informativo rappresenta uno strumento indispensabile per valutare la qualità della cura,routinariamente e senza carichi di lavoro aggiuntivi per gli operatori.

Key words: mental health information system, quality of care

S U M M A RYObjectives: to analyze the usefulness of the mental health information system for evaluating some dimensionsof quality of care in mental health: accessibility, patterns and continuity of care, appropriateness oftreatments.Methodology: some examples from the mental health information system in Regione Lombardia are described.Results: mental health information system is a needed tool for evaluating quality of care in mental healthservices routinely and without burden for professionals.

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Il sistema informativo come strumento di valutazione della qualità della cura ...

“In salute mentale la qualità dell’informa-zione determinerà la qualità della cura”.Questa frase, tratta da “Decision Support2000+” il programma della Substance Abuseand Mental Health Services Administration(SAMHSA) sui bisogni informativi dei ser-vizi di salute mentale americani, riassumel’importanza dell’informazione nel futurodella psichiatria comunitaria. I sistemi in-formativi rappresentano il principale stru-mento per veicolare le informazioni che ri-guardano i pazienti in contatto con i servizidi salute mentale e i trattamenti loro ero-gati.Cosa è un sistema informativo? Il SistemaInformativo dei servizi di salute mentale(SISM) è un sistema strutturato per racco-gliere, analizzare, disseminare e utilizzareinformazioni sui servizi di salute mentale esui bisogni di salute mentale della popola-zione servita dai servizi. Il SISM è un siste-ma per l’azione: non è utile solo alla raccoltadi dati, ma serve soprattutto a implementa-re scelte e azioni migliorative (12). Le com-ponenti fondamentali di un sistema informa-tivo sono la raccolta dei dati, la loro elabora-zione (trasmissione dei dati dal punto dovesono raccolti a quello dove sono confrontatie preparati per l’analisi), l’analisi (esame estudio dei dati), la disseminazione dei risul-tati dell’analisi ed infine l’utilizzo (applica-zione dei risultati alla gestione, pianificazio-ne, sviluppo e valutazione dei servizi). L’ac-cento va posto sulla capacità di analisi, dis-seminazione e utilizzo dei risultati, piutto-sto che sull’aspetto più evidente e onerosoper i servizi, la raccolta dei dati. Sotto que-sto profilo il sistema di salute mentale ita-liano non è ancora adeguatamente sviluppa-to, in quanto i sistemi informativi regionalie dipartimentali non sono diffusi in modoubiquitario e le analisi dei dati raccolti nonhanno sufficiente periodicità, ma soprattut-

to è ancora embrionale la capacità di utiliz-zare queste informazioni per porre in attoazioni migliorative nei servizi.Tradizionalmente i sistemi informativi han-no funzioni di governo a livello di ASL e diRegione (analisi dei risultati dell’attività epianificazione dello sviluppo del sistema disalute mentale a livello locale o regionale) efunzioni di esercizio a livello di DSM comesupporto alle attività gestionali (analisi delvolume di prestazioni, misura del grado diefficienza e di utilizzo delle risorse, valuta-zione dei carichi assistenziali delle singolestrutture). A queste due funzioni se ne sonoaggiunte altre, come la ricerca epidemiolo-gica, la valorizzazione delle prestazioni ed inultimo il governo clinico e la valutazionedella qualità della cura (4,5). Il sistema in-formativo nei DSM viene principalmenteutilizzato per il monitoraggio e la valorizza-zione delle prestazioni e in ambito regionaleper la programmazione dei servizi e la valu-tazione epidemiologica. Meno frequentemen-te i dati del sistema informativo sono utiliz-zati in progetti per migliorare la qualità del-l’assistenza. L’impressione è che da parte deiclinici non sia stata ancora percepita tale op-portunità e che le informazioni acquisite tra-mite il sistema informativo siano considera-te funzionali solo a amministratori o epide-miologi e non in grado di influenzare l’atti-vità clinica (6).Le domande a cui un un sistema informativoper la salute mentale dovrebbe risponderesono state sintetizzate da Leginski (3) in unafrase: “Who receives what services from whom, atwhat cost and with what effect?”. Noi dobbia-mo conoscere quanti siano i pazienti in con-tatto con i servizi e quali siano le loro carat-teristiche, quali trattamenti ricevano e daquali strutture ed operatori, a quali costi econ quali effetti. Oggi grazie ai sistemi in-formativi siamo in grado di rispondere in

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modo adeguato alle prime tre domande eparzialmente all’ultima riguardante l’esito,ma siamo anche in grado di aggiungere unanuova domanda, a cui i sistemi informativipossono contribuire a dare una risposta,“quale è la qualità della cura erogata?”. Uti-lizzerò le questioni poste da Leginski cometraccia per descrivere il contributo che i si-stemi informativi possono dare alla valuta-zione dei Dipartimenti di Salute Mentale,partendo da alcuni esempi tratti dal siste-ma informativo per la salute mentale dellaRegione Lombardia.Per rispondere alla prima parte della doman-da di Leginski (“quanti siano i pazienti incontatto con i servizi e quali siano le lorocaratteristiche”) dobbiamo monitorare l’ac-cessibilità e capire se i bisogni di trattamen-to siano soddisfatti dalla attuale rete dei ser-vizi.Dalla riforma psichiatrica nel 1979 ad oggil’utenza dei servizi è aumentata ed è cambia-ta in modo significativo: i dati relativi al-l’accessibilità fotografano come sia cambiatala domanda in questi ultimi anni. I dati diprevalenza ed incidenza dell’ultimo decen-nio in Regione Lombardia evidenziano all’in-terno di un complessivo aumento sia dell’in-cidenza (+43%) che della prevalenza (+49%)un incremento marcato dei disturbi affettivie nevrotici fronte di uno più modesto deidisturbi di personalità e della schizofrenia(Tabella 1). Dal punto di vista sociodemo-grafico gli utenti dei servizi sono prevalente-

mente di sesso femminile e di età media-anziana, frequentemente vivono con un part-ner, lavorano e, in particolare tra i nuovi casi,posseggono un livello scolare superiore. Sia-no cioè di fronte ad uno scenario di un siste-ma di salute mentale maturo in cui il tratta-mento non è riservato solo ai pazienti condisturbo mentale grave ma anche a quelli condisturbi ansiosi e depressivi di moderata gra-vità. In un sistema maturo ambedue questecomponenti, l’apertura ai disturbi emotivicomuni e il trattamento continuativo deidisturbi mentali gravi, sono importanti edevono coesistere ma necessitano di una go-vernance attenta che passi attraverso il mi-glioramento della qualità della cura ed unrapporto stretto con la medicina generale. Ilproblema che si pone è: come suddividere lerisorse tra disturbi mentali gravi e disturbiemotivi comuni ovvero i pattern di tratta-mento tra queste due tipologie di disturbipsichici sono differenziati? Cercheremo piùavanti di rispondere a questa domanda.Nel campo dei disturbi mentali gravi è im-portante capire in che misura i servizi di co-munità siano in grado di intercettare questipazienti ed anche in questa area i sistemi in-formativi possono aiutarci. Il treatment gaprappresenta la differenza assoluta tra la pre-valenza di un disturbo nella popolazione ge-nerale e la percentuale di soggetti che rice-vono un trattamento per quel disturbo (1).Valutando il treatment gap noi possiamo ri-levare in che misura i pazienti con disturboschizofrenico entrino in contatto con i servi-zi di salute mentale, le uniche strutture sani-tarie che sono in grado di rispondere in modoadeguato ai loro bisogni di cura. In Lombar-dia nel 2009 il tasso di pazienti con disturboschizofrenici in contatto con i servizi è pari a31.9 per 10.000 abitanti di popolazione ge-nerale, mentre il tasso di prevalenza dellaschizofrenia nella popolazione generale secon-

Prevalenza Incidenza dist. schizofrenici +29% -3% dist. affettivi +69% +46% dist. nevrotici +92% +95% dist. personalità +44% +11%

Tabella 1 - Monitorare l’accessibilità ed ilbisogno di trattamento

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do il Global Burden of Disease Project (13)dell’OMS è pari a 49.5 per 10.000 di popola-zione generale. Il rapporto tra questi due datievidenzia un copertura da parte dei servizipari al 64% e quindi un treatment gap del36%. Questo dato è indicativo, sia perchénon tiene conto dei soggetti che si rivolgonoagli specialisti privati ma solo quelli in con-tatto con i DSM, sia perché il punto di riferi-mento (il GBD ) è una stima generale, vali-da per tutti Paesi della regione europea del-l’OMS ad alto reddito, e non è quindi speci-fico per l’Italia. Tuttavia questo indicatoremonitorato nel tempo permette di valutarecon sufficiente approssimazione in che mi-sura l’accesso ai servizi è assicurato, anche senon dà informazioni su un altro indicatoreimportante: quanti tra i pazienti che hannoaccesso ai servizi ricevono una cura adegua-ta. Vedremo poi come i dati dei sistemi in-formativi possono aiutarci anche in questo

campo, valutando in che misura la qualitàdella cura che viene fornita è adeguata.

Analizzare i pattern di trattamentoe la continuità della curaPer rispondere alla seconda domanda di Le-ginsky “quali trattamenti i pazienti riceva-no, da parte di quali operatori e strutture?” ènecessario valutare i pattern di trattamento.Un primo modello più semplice permette divalutare come le principali quattro tipologiedi trattamento (i contatti territoriali erogatiin CSM, le presenze semiresidenziali in Cen-tro Diurno e le giornate di degenza erogaterispettivamente in SPDC ed in StruttureResidenziali) si ripartiscono tra le diverse dia-gnosi (figura 1). Ma in questo caso sappiamosolo come vengono ripartiti gli interventi trale principali diagnosi, non quanti pazientiall’interno delle singole diagnosi ricevonospecifici interventi.

Figura 1: interventi erogati dai DSM lombardi nel 2009 per tipo di contatto e diagnosi(percentuali)

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A questa seconda domanda risponde un mo-dello più complesso che fa riferimento al-l’analisi dei pacchetti di cura e della conti-nuità della cura. I pacchetti di cura rappre-sentano il mix di trattamenti erogati a cia-scun paziente nel periodo di un anno e deri-vano dalla combinazione secondo un princi-pio gerarchico dei contatti con quattro diffe-renti tipi di strutture (Centri di Salute Men-tale, Centri Diurni, Reparti di Psichiatria inOspedale Generale e Strutture Residenzialiterritoriali) (7). Secondo questo modello ipazienti si possono dividere in cinque classi asecondo degli interventi che ricevono nell’an-no:- Pazienti con PACCHETTO CLINICO:

pazienti che nel corso dell’anno ricevonointerventi solo in CSM e che sono trattatiunicamente da psichiatri e psicologi.

- Pazienti con PACCHETTO TERRITO-RIALE: pazienti che nel corso dell’annoricevono interventi solo in CSM e che sonotrattati non solo da psichiatri e psicologima da anche altre figure professionali (as-sistenti sociali, infermieri, ecc.).

- Pazienti con PACCHETTO DI CENTRODIURNO: pazienti che senza essere mairicoverati nell’anno in Reparto di Psichia-tria ospedaliero o in Strutture Residenzia-le, ricevono interventi in Centro Diurnooltre che interventi in CSM.

- Pazienti con PACCHETTO OSPEDALIE-RO: pazienti che senza essere mai ricove-rati in Strutture Residenziale, hanno rice-vuto almeno un ricovero nell’anno in SPDCe possono avere ricevuto interventi sia inCSM che in CD.

- Pazienti con PACCHETTO RESIDEN-ZIALE: pazienti che sono ricoverati alme-no una volta in Struttura Residenzialeterritoriale, indipendentemente dai con-tatti con altre strutture.

I dati presentati nella figura 2 ci dicono che i

pazienti ricevono pacchetti differenziati aseconda della diagnosi. I pazienti con distur-bi schizofrenici e di personalità ricevono ipacchetti più complessi, in cui a fronte diuna maggioranza dei pazienti inseriti nel pac-chetto territoriale (in cui l’attività del CSMè erogata in modo integrato da più figureprofessionali) è presente una rilevante per-centuale di pazienti che sono ricevono nelcorso dell’anno unicamente nei CSM inter-venti clinici erogati da psichiatri e psicologie che esiste una quota significativa di pazien-ti che ricevono pacchetti di cura più com-plessi, in cui intervengono le altre strutturedel DSM. Per i pazienti con disturbi affettivie in misura ancora maggiore per quelli condisturbi nevrotici la frequenza dei pacchettiche coinvolgono più strutture è limitata eprevalgono i pazienti che ricevono in manie-ra esclusiva pacchetti clinici e territoriali inCSM.Ma la fotografia statica dei trattamenti nonè in grado di rendere la complessità dell’atti-vità territoriale, se non è accompagnata dauna valutazione longitudinale della continuitàdella cura erogata. Questa viene definitacome la capacità di un servizio di salutementale di offrire al paziente interventi ca-ratterizzati da una serie ininterrotta di con-tatti su un lungo periodo di tempo tra diver-si episodi di cura (continuità longitudinale) ecoerenti su un breve periodo di tempo tradiversi servizi e all’interno dei team (conti-nuità cross-sectional) (15).Operativamente può essere rilevata come lapresenza di almeno un contatto ogni 90 gior-ni nei 365 giorni successivi al primo contat-to nell’anno. In questi termini la continuitàdella cura è assicurata nei DSM lombardi al55% dei pazienti con disturbo schizofrenico,al 34% dei pazienti con disturbo di persona-lità, al 27% dei pazienti con disturbo affetti-vo e al 18% dei pazienti con disturbo nevro-

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tico. La continuità della cura appare mag-giormente assicurata nei disturbi mentaligravi ed in misura minore nei disturbi emo-tivi comuni (9).Si può pertanto dire che i pattern di tratta-mento dei pazienti siano differenziati e cheesista un governo clinico, il più delle volteinconsapevole e non formalizzato, delle ri-sorse all’interno dei DSM a partire dai diffe-renti bisogni. Il punto da sollevare ora è quel-lo relativo alla qualità delle cure erogate,perché sappiamo che ricevere un trattamen-to non significa ricevere necessariamente untrattamento di qualità adeguata.

Valutare l’appropriatezza dei tratta-mentiValutare l’appropriatezza significa confron-tare ciò che viene fatto con quello che si do-vrebbe fare, ovvero confrontare la realtà concriteri e standard. Lehman (2) riassume cosìil significato attribuito al concetto di qualitàdella cura all’interno del Schizophrenia PatientOutcomes Research Team (PORT): “Uno degli

scopi principali del PORT è la migliore com-prensione delle variazioni nei pattern di trat-tamento delle persone con disturbi schizo-frenici all’interno delle modalità abituali dicura e delle implicazioni che queste varia-zioni hanno alla luce delle conoscenze scien-tifiche disponibili relative all’efficacia dei trat-tamenti”.In una recente pubblicazione (9), a partiredai dati dell’assistenza farmaceutica e di quellirelativi all’attività dei DSM lombardi nel2007, è stato rilevato un indicatore di ade-guatezza del trattamento usato in manieraestensiva a livello internazionale (11). Unpaziente riceve un trattamento minimamenteadeguato quando osserva in un anno almenodue mesi di trattamento con farmaci specifi-ci per la sua patologia (antidepressivi nelledepressione, stabilizzatori dell’umore nel di-sturbo bipolare, antipsicotici nella schizofre-nia) e viene visitato almeno 4 volte da unopsichiatra oppure nel caso della depressionericeve, in alternativa alle visite psichiatrichee al trattamento farmacologico, almeno 8

Figura 2: Pazienti trattati per pacchetti di cura e per diagnosi (percentuali)

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sedute di psicoterapia. Questo criterio è sta-to applicato a 44.462 pazienti trattati nel2007 nei DSM lombardi e affetti da disturbimentali gravi (22.470 da disturbo schizofre-nico, 16.281 da depressione e 5.711 da di-sturbo bipolare). I risultati hanno mostratoche, adottando questo criterio, riceve un trat-tamento adeguato il 45% dei pazienti conschizofrenia, il 53% dei pazienti con distur-bo bipolare e il 42% dei pazienti con disturbidepressivi. L’utilità di questo indicatore èquella di permettere di comparare questi ri-sultati sia nel tempo che con quelli di altrisistemi di salute mentale.

ConclusioniLo sviluppo dei servizi di comunità in Italiapassa attraverso una maggiore capacità deiDipartimenti di Salute Mentale di valutarela qualità della cura erogata. In questa fase lerisorse disponibili nei DSM e nelle Regioniper la ricerca finalizzata sono limitate, cosìcome pure è limitato il tempo che gli opera-tori possono dedicare alla ricerca e il knowhow che essi posseggono per lavorare in que-sto campo. Da qui la necessità di trovare stru-menti che permettano da un lato di effettua-re valutazioni routinarie e dall’altro non sia-no dispendiosi in termini di risorse. I sistemiinformativi rappresentano una opportunitàunica per arrivare ad una valutazione routi-naria della qualità della cura.Le tre ricerche PROGRES hanno evidenzia-to il bisogno di dati esaustivi di monitorag-gio dell’attività dei servizi e di valutazionedella qualità della cura. Queste ricerche, purrispondendo a questi bisogni, non hanno per-messo un monitoraggio ed una valutazioneal di là del periodo di elaborazione. Così oggigli ultimi dati che abbiamo relativi all’atti-vità residenziale o ospedaliera in Italia sonoriferiti ai primi anni dello scorso decennio.Da parte di amministratori e operatori vi è

stata una grave sottovalutazione dell’impor-tanza dei sistemi informativi in salute men-tale e il prezzo di questo lo stiamo ancorapagando, se pensiamo che non siamo in gra-do oggi di rispondere a livello nazionale anessuna delle domande poste da Leginski.Ma di quale sistema informativo abbiamobisogno? Per misurare l’attività dei servizi èfunzionale il modello di SISM recentementeapprovato dal Ministero della Salute, a cuinel giro di pochi anni le Regioni dovrannouniformarsi per attivare costanti flussi infor-mativi (10). Il biennio 2011-2012 è di parti-colare importanza a questo riguardo: infattidopo 10 anni dalla sua prima approvazioneda parte della Conferenza Stato Regioni(2001) il Sistema Informativo per la SaluteMentale è entrato nella sua fase operativagrazie al Decreto del Ministro della Salutedel 29 ottobre 2010. La psichiatria comuni-taria italiana non è stata fino ad oggi in gra-do di darsi un sistema informativo in gradodi monitorare e valutare i risultati ottenuti.La carenza di informazioni precise e tempe-stive ha ostacolato in molte Regioni una pro-grammazione razionale dei servizi e ha im-pedito che familiari, utenti e cittadini fosse-ro consapevoli dei punti di forza e delle criti-cità dei rispettivi sistemi regionali di salutementale. Un sistema informativo non è labacchetta magica, ma un passo nella giustadirezione, quella della valutazione dei servi-zi e della loro accountability di fronte ai citta-dini. Balza all’occhio il ritardo (dieci anni!)tra la sua iniziale approvazione e la sua ap-plicazione a testimonianza delle resistenzeche a vari livelli ne hanno reso difficile l’im-plementazione.Il sistema informativo nazionale per la salu-te mentale sarà di supporto alle attività ge-stionali del DSM permettendo il monitorag-gio degli interventi erogati, valutazioni epi-demiologiche sulle caratteristiche dell’uten-

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za e la rilevazione di indicatori di struttura,processo ed esito sia a livello regionale chenazionale. Una volta implementato sarà pos-sibile monitorare i tassi di prevalenza ed in-cidenza, analizzare i pattern di utilizzo dellestrutture e le tipologie di trattamenti eroga-ti, misurare i risultati dei diversi sistemi disalute mentale regionali.Il passo successivo sarà quello di arrivare adun sistema informativo clinicamente orien-tato (14) in grado valutare la qualità dellacura, dando informazioni utili ai clinici. Que-sto significa unire i dati del SISM con quellidell’assistenza farmaceutica, delle prestazio-ni specialistiche ambulatoriali, dell’anagrafeassistiti e della Neuropsichiatria Infantile edei Servizi per le Dipendenze. In questo modosupereremo nei fatti la dicotomia ormai nonpiù vera tra dati amministrativi e dati clini-ci, gli uni totalmente privi di valore clinicoma utili agli amministratori e ricavabili rou-tinariamente, i secondi di valore clinico ederivabili solo ricerche ad hoc costose in ter-mini di carico informativo per gli operatori.I sistemi informativi clinicamente orientatipossono fornire dati di qualità e di valore peri clinici, in grado di migliorare la qualità dellacura, senza l’onere di ricerche aggiuntive e acosti estremamente contenuti.In questo sentiero si pone il Progetto Indica-tori Clinici nei Disturbi Mentali Gravi, pro-mosso dalla Società Italiana di Epidemiolo-gia Psichiatrica e che ha individuato per schi-zofrenia, disturbo bipolare e depressione unaserie di indicatori di carattere clinico, total-mente ricavabili dai sistemi informativi edin grado di valutare in che misura la curaerogata nella routine si avvicina o si discostadalle evidenze e dagli standard. Il sistema diindicatori, che nei prossimi mesi sarà dispo-nibile ai clinici e agli amministratori regio-nali, permette di descrivere la qualità delprocesso assistenziale e fornire una base quan-

titativa a clinici e amministratori per mi-gliorare la qualità della cura. Il loro monito-raggio renderà possibile documentare la qua-lità della cura erogate, comparare tra di loroservizi attraverso il benchmarking, stabilirepriorità, supportare i processi di accountabili-ty e accreditamento. Questi indicatori copro-no i domini più rilevanti per la valutazionedella qualità (ad esempio accessibilità, ap-propriatezza, sicurezza e continuità dellacura), sono specifici per le singole patologie,sono in rapporto alle evidenze derivate dalleRaccomandazioni delle Linee Guida, noncomportano alcun carico informativo per glioperatori e sono in grado di innescare azionimigliorative.Cosa dovrà contenere l’agenda della salutementale nei prossimi anni? Sicuramente do-vremo attivare i sistemi informativi regio-nali nella cornice di quello nazionale, sicura-mente dovremo collegare i dati di attivitàdel SISM con quelli degli altri sistemi infor-mativi esistenti a livello sanitario per arriva-re a sistemi informativi clinicamente orien-tati. L’obiettivo ultimo è quello di costruireun cruscotto di indicatori clinici che, sulmodello degli indicatori clinici proposti dal-la SIEP, a livello dei singoli DSM e a livelloregionale forniscano ai clinici informazionisull’andamento della qualità della cura. Questiindicatori dovrebbero essere forniti routina-riamente dalle Regioni ai servizi in modo dievitare la necessità di analisi a livello locale.Non è fantascienza, già da oggi è fattibile(una sperimentazione è in corso in RegioneLombardia e verrà completata nel 2012),occorrono è vero risorse ma soprattutto di-rei “buona volontà” e desiderio di migliora-re. Gli strumenti informatici e le propostescientifiche in questo campo già esistono,manca invece ancora la volontà di clinici eamministratori.I primi 30 anni dalla riforma psichiatrica ita-

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liana sono stati caratterizzati da alcune paro-le d’ordine legate alle componenti struttura-li ed organizzative dei DSM, nei prossimianni queste verranno sostituite da altre comeaccessibilità, continuità, efficacia, appropriatez-za, sicurezza, informazione legate al concettodi qualità della cura. La partita si giocheràsempre più sul tema della qualità erogata: sefino ad oggi si è discusso soprattutto di diso-

mogeneità nella rete di offerta tra Regioni,domani si discuterà di disomogeneità nellaqualità della cura tra Regioni. I sistemi in-formativi potranno aiutarci a rispondere amolte delle domande che ci verranno postein tal senso, al fine di erogare una assistenzamigliore sotto il profilo dell’efficacia e del-l’efficienza.

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Ricerca e pratiche innovative nei servizi di salute mentale:il recovery movementResearch and innovative practices in mental health services: the recoverymovement

Elisabetta RossiDipartimento di Salute Mentale AUSL n. 2 Perugia

Parole chiave: recovery, diritti degli utenti, esperienze soggettive, valutazione dei servizi

RIASSUNTOLo sviluppo nel contesto italiano, in quello europeo ed in alcune aree extraeuropee del mondo anglosasso-ne (Canada, Australia), del modello dei servizi di salute mentale di comunità ha comportato il concentrarsidi settori della ricerca sulla valutazione di tali servizi, ed in questo ambito, il tema del coinvolgimento degliutenti nella pianificazione e nella valutazione dei servizi stessi è venuto alla ribalta negli ultimi anni. Lalunga transizione sociale, economica e di welfare che stiamo vivendo e la pressione che esercita sui servizi disalute mentale suggerisce una forte necessità di innovazione. I concetti alla base del “recovery movement”ed il loro riflesso sia sulla ricerca scientifica che sulla pratica dei servizi di salute mentale giocano un ruoloimportante a tale riguardo.Obiettivi: esaminare i principali contenuti delle attività di ricerca e delle pratiche centrate intorno al tema del“recovery”.Metodologia: attraverso un esame della letteratura scientifica, vengono considerate le tematiche connesse conil “recovery movement”.Risultati: il tema analizzato presenta peculiari caratteristiche di continuità con i principi e le esperienze dellapsichiatria antiistituzionale, sia per quanto attiene al tema dei diritti e della libertà nella cura, sia per quantoattiene al rinnovarsi dei contenuti, dei metodi e delle competenze nelle attività preventive e terapeutichedei servizi di salute mentale. Esso mostra un forte potenziale “valutativo” sulle pratiche attuali e di arricchi-mento della cultura dei servizi, nell’ottica di un cambiamento di prospettiva rispetto all’approccio aidisturbi psichici, e nel riorientare i servizi a confronto con i nuovi bisogni ed il diverso esprimersi dellasoggettività individuale, e della sensibilità sociale.

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Ricerca e pratiche innovative nei ser-vizi di salute mentale: il recoverymovementSiamo in una fase di lunga transizione nellastoria dei servizi di salute mentale in Italia enella nostra regione, anche se è difficile indi-viduare una precisa scansione temporale diquesta transizione: dalle esperienze più inno-vative che hanno fondato la psichiatria dicomunità in Italia, alla possibilità di rappre-sentarle con i metodi e gli strumenti dellaricerca epidemiologica e valutativa, al con-fronto con esperienze analoghe a livello eu-ropeo ed extraeuropeo, alla promessa, graziealla istituzione delle Aziende Sanitarie, di unamaggiore razionalità nella valutazione, nellescelte, negli investimenti, insomma nel go-verno della sanità, al progressivo instaurarsi,all’interno delle politiche sanitarie, dei taglieconomici, della privatizzazione e della pro-gressiva contrazione del tema dei diritti.Parlo di transizione riferendomi alle ultimedue fasi di quanto sopra citato, in quanto si è

Key words: recovery, users’ rights, subjective experience, services evaluation

S U M M A RYIn Italy, in Europe and in all the countries transforming their institutional service provision into community-oriented care models the role of patient involvement in the planning and evaluation of mental health carehas come to the forefront over the last years. The current social and economic situation and the pressure itexerts on the model of community mental health services suggests strongly the need for innovation.Concepts that support the “recovery movement” and their reflection both in scientific research than inpractice of mental health services, play an important role in this regard.Objctives: to review research and practice centered around the topic of “recovery”.Methodology: through an overview of the scientific literature, are considered the principles and practicesconnected with the “recovery movement”.Results: personal recovery could produce a great impact on the renewal of the practice of mental healthservices. It presents peculiar characteristics of continuity with the principles and experiences of anti-institutional psychiatry, both with respect to the topic of rights and freedom in the care, both as regards therenewal of the contents, methods and skills in preventive and therapeutic activities of mental healthservices. The topic in question shows a high potential for evaluation of current practices and services andreorienting services in comparison with new needs, and new expression of individual subjectivity andsocial sensitivity.

transitati da un assetto dei servizi sanitari edel welfare istituito alla fine degli anni ’70, aqualcosa di differente.Qualcosa è cambiato, e ciò è ancora più leg-gibile analizzando quello che ci è più prossi-mo: il sistema dei servizi sanitari regionalie, all’interno di essi, dei servizi di salutementale umbri.La scelta politica che ha di fatto centrato sul-la rete ospedaliera umbra tutti gli interessipolitici ed economici, ha comportato unariduzione delle risorse per i servizi territo-riali di comunità, di tutti, non solo di quellidella salute mentale, ma soprattutto ne hacompromessa la centralità in senso “cultura-le”, nella cultura e nelle politiche relativi aiservizi sanitari.Gli esiti di tale operazione di medio periodosono facilmente evidenziabili ed evidenziati,in quanto segnalati persino nei documenti diprogrammazione sanitaria ufficiali.Quindi la centralità del territorio, dei servizivicini ai cittadini, del garantire la cura e la

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Ricerca e pratiche innovative nei servizi di salute mentale: il recovery movement

presa in carico dei bisogni in modo integratoè stata affermata e confermata, ma di fattoattaccata in due maniere: con la restrizioneprogressiva delle risorse, e con la coartazio-ne culturale dei contenuti e della mission deiservizi stessi.Nonostante ciò, e questo è impressionante,servizi che vengono spinti giornalmente aregredire ad ambulatori specialistici, a sele-zionare in modo difensivo l’utenza, a sem-plificare le risposte, vista l’indisponibilitàsempre maggiore di strumenti e risorse diintegrazione sociosanitaria (abitare sociale,borse lavoro, operatori stessi che possano in-tegrarsi nell’operatività), ancora resistono.Si cerca di dare risposte senza liste di attesa,si cerca di aumentare l’efficienza semplifi-cando le procedure di accoglienza, utilizzan-do dove possibile risposte psicoterapiche eriabilitative gruppali, si organizzano inizia-tive di formazione centrate sulle competen-ze maturate all’interno dei servizi, si cerca dimantenere ed alimentare le reti di volonta-riato, si promuove la consapevolezza deiproblemi e la partecipazione degli utenti allasoluzione, ovvero si cerca di non snaturare ilmodello assertivo di psichiatria di comunità.Ciò non è di poca importanza, dato che ilprofilo organizzativo ed operativo dei servi-zi di salute mentale di comunità si era defi-nito con la chiusura dei manicomi nelle pra-tiche anti istituzionali, e nella costruzioneattenta e progressiva della rete di servizi, finoalla istituzione dei Dipartimenti di SaluteMentale, descritti nei Progetti Obiettivo“Tutela della Salute Mentale” nazionali.Tale modello, nelle sue espressioni più com-piute, è un prodotto tipico italiano, confer-mato però nella sua efficacia dalla ricercascientifica internazionale e, al momento, nonha trovato degne sostituzioni.Quale è il segreto di tale robustezza, a mioparere virtuosa? La ricetta credo sia nella

collocazione territoriale e comunitaria deiservizi, nell’essere il prodotto di un compiu-to processo di deospedalizzazione dell’assi-stenza psichiatrica, oltre che di deistituzio-nalizzazione, il loro non possedere forti filtriall’accesso dei cittadini, l’essere composti,oltre la componente medica, da più soggettiprofessionali che nel tempo hanno rafforzatola loro identità operativa, l’aver chiamato ingioco soggetti “altri” (privato sociale, volon-tariato, istituzioni civili e religiose), averepraticato il dialogo terapeutico con singoli egruppi, adattando al setting territoriale tecni-che psicoterapiche ed interventi riabilitativi.Certamente la doppia paralisi determinatadall’asfissia da mancanza di risorse e da man-canza di un rilancio di idee e progetti, a par-tire dalla analisi sul ruolo di questo settoredel welfare, non porterà salute ai servizi ed ailoro utenti.Appare dunque più che mai importante fer-marsi a riflettere su quanto dalla ricerca edalle buone pratiche ci viene suggerito, percomprendere il ruolo attuale dei servizi disalute mentale, ovvero compiere una analisidella componente istituzionale dei servizi percome ora si manifesta, e quali punti di svi-luppo conviene non tralasciare.Non a caso, da più parti, nel contesto deiservizi di salute mentali italiani, si sostienel’esigenza di una ridefinizione di priorità cherilanci uno spazio ed un tempo di innovazio-ne (1,6,10).Per gli operatori è ora indispensabile mante-nersi centrati sulla qualità etica e scientificadel loro agire professionale, per i cittadini/utenti è fondamentale aumentare competenzae contrattualità, per i “decisori” prevederel’effetto, sul sistema di welfare, delle modifi-che di assetti organizzativi e di allocazionedelle risorse.E’ in questa ottica che mi sembra utile se-gnalare e rappresentare brevemente il tema

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del recovery, oggetto sia di esperienze praticheche di attività di ricerca, su scala nazionaleed internazionale.

Recovery, concetto, esito e movimen-to di opinioneIl concetto di recovery, termine preso a presti-to dalla lingua inglese che significa “recupe-ro”, “ripresa”, guarigione, ripristinare unacondizione di capacità verso se stessi e versola propria vita, diviene negli ultimi anni siauna dimensione dell’esito dei trattamenti, cheun processo per la produzione di risposte eservizi, fino ad un movimento di opinioneche già a partire dagli anni ’90 sino ad oggi,si definisce e si riconosce a livello interna-zionale come Recovery Movement (7).Si afferma che il “recovery” dalla malattiamentale grave è un processo di sviluppo dipotenzialità personali e di recupero di unruolo sociale valido, al di là delle limitazio-ni connesse alla malattia. E’ una trasforma-zione e per molti versi anche una crescitapersonale, in cui le attitudini, i valori, i sen-timenti, gli obiettivi e i ruoli cambiano infunzione del recupero di aspettative positi-ve e di una vita più soddisfacente e produt-tiva (9, 22).A partire dagli USA, c’è stato un forte svi-luppo di organizzazioni di utenti che hannorivendicato il diritto alla speranza e all’auto-determinazione.Questo approccio alla malattia mentale hatrovato riscontro e risonanza nelle politicheper la salute mentale promosse dai governidi Gran Bretagna, USA, Australia, NuovaZelanda, Canada.“Una delle priorità per i prossimi 10 anni, èrappresentata dalla necessità di progettare ediffondere un completo, integrato ed efficientesistema di salute mentale che si occupi dipromozione, prevenzione, trattamento e ria-bilitazione, dalla presa in carico al recovery”;

“Riconoscere l’esperienza e le conoscenzedegli utenti e dei loro familiari, costituisceuna base essenziale per programmare e svi-luppare i servizi”, così afferma il Consigliod’Europa (27).E’ importante segnalare che una importanteradice di questo interesse viene suggerita dalmondo della ricerca epidemiologica sul de-corso e l’esito delle patologie mentali gravi,in particolare sugli studi sul decorso dellaschizofrenia, che hanno molto ridimensiona-to il paradigma biomedico della gravità edella cronicità. Alcuni degli studi più impor-tanti nei loro risultati, vengono sintetizzatida Mike Slade (vedi tabella 1) (20).Tali studi hanno mostrato, per quanto attie-ne alla guarigione clinica della schizofrenia,una estrema variabilità degli esiti: nel con-fronto fra i diversi individui, fra diversi gruppidi individui (in differenti contesto storici esocio-culturali), all’interno di ciascun indivi-duo (tenendo conto delle differenti dimen-sioni dell’esito: clinico, funzionale, sociale,ecc.) (8).I diversi studi, in sintesi, fanno registrare nel20-25% un decorso sfavorevole, nel 50-65%decorsi eterogenei, ma con recupero significa-tivo, nel 20-25% completa guarigione (11, 12).Ciò consente di affermare che l’esito sfavore-vole nella schizofrenia non è necessariamen-te una componente della storia naturale deldisturbo, quanto piuttosto il risultato del-l’interazione fra l’individuo ed il suo conte-sto sociale ed economico (26).Sul versante dei trattamenti, si può afferma-re che, per quanto attiene all’efficacia dei far-maci antipsicotici, essi hanno una utilità cli-nica soprattutto nelle fasi acute, ma non sipresentano come risolutivi rispetto al decor-so della patologia e che per quanto attienealle psicoterapie ed ai programmi riabilitati-vi ne è provata l’efficacia, con un peso preva-lente dei cosiddetti “fattori terapeutici aspe-

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cifici”, ovvero i fattori comuni alle diversetecniche.Pertanto una quota fondamentale, che puòarrivare all’80%, dei processi di guarigionedei disturbi psichiatrici gravi sembra essereindipendente dallo specifico intervento “tec-nico”, ma è piuttosto determinata da risorseinterne all’individuo, e dalla loro attivazionee potenziamento in seguito all’instaurarsi diuna relazione di aiuto, da fattori culturali,sociali, economici.Questi dati portano a rivedere le comuni ediffusissime convinzioni sulla negatività del-la prognosi di patologie mentali gravi, spin-gendo a sostenere da un lato l’ottimismo te-rapeutico nella pratica psichiatrica quotidia-na e dall’altro la tempestività dell’offerta diefficaci interventi terapeutico-riabilitativi vol-ti all’inserimento/reinserimento sociale e la-vorativo.Ciò vale anche per coloro che a dieci o quin-dici anni dall’esordio mostrano un andamen-to cronico, apparentemente sfavorevole, mache non devono essere dati per “persi”, cui

deve essere garantito il “diritto alle secondeoccasioni”.La seconda importante radice emerge dallaprospettiva “in prima persona” degli utenti(5, 14). Negli ultimi 20 anni, soprattutto neipaesi di lingua anglosassone, sempre più per-sone in recovery da una malattia mentale gra-ve portano la loro testimonianza, esperienzae “competenza” nella comprensione del reco-very come un processo di sviluppo personale,diverso da persona a persona, non lineare, cheavviene in una dimensione di continuità al dilà della dicotomia guarito/non guarito.Quando si parla di recovery movement si central’attenzione sulle esperienze soggettive di ot-timismo riguardo all’esito, di empowerment, disostegno interpersonale, nell’ambito della cre-azione di servizi che generino una cultura diguarigione, aiuto per i diritti umani, lotta allostigma, sostegno tra pari, in cui le decisioniriguardo al trattamento sono prese in colla-borazione con gli utenti, in cui ci siano servi-zi gestiti dagli utenti, in cui il sostegno nel-l’accesso al lavoro sia tenuto in forte conto.

Tabella 1 - Recovery rates in long-follow-up studies of psychosis (da: Slade M. et al. 2008)

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Recovery propone un riorientamento dei ser-vizi di salute mentale: un insieme di valoriche offrono un’alternativa all’approccio deiservizi basato sul “mantenimento” e sulla“stabilizzazione” e che comportano l’evitaredi diventare ostacolo ai processi recovery (16).Gli stessi autori promotori di manuali conindicazioni di policy sottolineano le comuneradici di tale costrutto con le esperienze sto-riche della Comunità terapeutica, dei più re-centi movimenti dei “survivors” negli USA,ma principalmente con i movimenti e le pra-tiche di de-istituzionalizzazione con cui sicondividono alcune idee comuni: l’importanzadegli esiti sociali, l’importanza dei fattoripsicosociali come fattori eziologici, la tera-pia come processo a lungo termine, la cen-tralità dell’individuo, l’importanza di unaoccupazione e di una integrazione sociale si-gnificativa.Geoff Shepherd (19) tiene a sottolineare cheil recovery non è una nuova teoria o una nuovatecnologia, ma che tale costrutto provienedalle esperienze soggettive di operatori edutenti: da ciò che è stato utile o inutile nelvivere la loro esperienza di malattia.Dare senso personale all’esperienza di malat-tia e riguadagnare il senso di controllo sullapropria vita, poter scegliere sui contenuti degliinterventi e sulle fonti di aiuto, e attraversola personalizzazione del percorso, costruireuna vita, una identità al di là dell’esperienzadi malattia.I servizi devono, in primis, non interferire conil processo di recovery delle persone. Chieder-si: stiamo aiutando in quella direzione? Persostenere il recovery è importante l’atteggia-mento degli operatori. Non solo come sin-goli operatori, ma anche come organizzazio-ne e sue procedure.Si sottolinea l’importanza della qualità dellerelazioni, del saper ascoltare le priorità deipazienti, di comprendere che cosa hanno in

comune operatori e utenti, vedere gli opera-tori come risorsa piuttosto che come esper-ti, nel quadro non solo di un generico coin-volgimento, ma di una vera “alleanza di la-voro” (3, 23).Fare ciò significa definire delle aree chiaveper i necessari cambiamenti organizzativiall’interno dei servizi: formazione, supervi-sione e leadership, impegno, priorità orga-nizzativa, rivedere politiche chiave e proce-dure (documentazione individuale, valutazio-ne del rischio, ecc.), qualificare la forza lavo-ro, pensare che gli utenti possano diventare“operatori” nelle équipes, ecc., nella direzio-ne di aiutare la organizzazione a sosteneremaggiormente il recovery (17, 24).Recovery rappresenta un nuovo razionale per iservizi di salute mentale.Per potersi “ri-orientare” al recovery, la Psi-chiatria deve favorire il coinvolgimento e laprogressiva responsabilizzazione (empower-ment) da parte dei pazienti e delle loro fami-glie riguardo alle decisioni terapeutiche e ria-bilitative, per tornare a sfidare la disabilitàcon nuove armi.Ecco quindi come l’esperienza e l’aiuto deipazienti, dei familiari, delle associazioni diutenti e familiari, dei volontari divengonoparte attiva e integrante, assieme al mondoprofessionale e scientifico, dei percorsi diempowerment e di recovery dalla malattia men-tale grave, dell’organizzazione dei servizi edella ricerca scientifica stessa (21).Infatti,“Survivors” e movimenti di “serviceusers” propongono la modifica dei maggioriparadigmi di ricerca proponendo metodi ba-sati su resoconti narrativi, ricerca-azione par-tecipata, su piccola scala, progettata e con-dotta da utenti dei servizi, centrata su focusgroup (25).Il concetto è di rilievo anche in quanto ri-chiama in causa sia il rapporto con le dimen-sioni oggettive dell’esito della valutazione dei

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servizi, delle metodologie e delle tecnicheper la misurazione della ricerca sugli esiti,sia i livelli etici dei servizi con la forza dellasoggettività e della contrattualità dei pazientiorganizzati (18).Sul versante della ricerca Mike Slade propo-ne il tema come una sfida sul piano dellemetodologie di ricerca, in quanto recovery èsia un processo che un esito in cui la dimen-sione della soggettività rende la misurazionenegli individui problematica e di conseguen-za ugualmente complesso è valutare anchese un servizio sta promuovendo il personalrecovery (20).Infatti, non sono presenti al momento stan-dard qualitativi relativi a tali servizi e nessu-na misura di “fidelity” (24).Comunque questo è un tema di forte interes-se per la ricerca cui è richiesto uno sforzo perdefinire alcune dimensioni: identificare lecomponenti attive di un servizio centrato sulrecovery, sviluppare misure di fidelity, stabilirestime di prevalenza a livello nazionale relati-ve ai servizi centrati sul recovery, validare cul-turalmente misure di esito del recovery (20).Va registrato che accanto a ciò, al concetto delpersonal recovery, si sviluppano definizioni e at-titudini alla misurazione che riportano al con-cetto, più tradizionale, della recovery clinica.Pertanto una persona affetta da malattiamentale grave può definirsi in recovery, se pre-senta per almeno due anni dei miglioramen-ti nelle seguenti aree: scomparsa o stabiliz-zazione dei sintomi psichiatrici, capacità dilavorare o studiare in ambienti normali, atempo pieno o a tempo parziale, autonomianelle attività quotidiane, senza la supervisio-ne di familiari o altri curanti, ad esempionella gestione del denaro, dei farmaci, auto-nomia economica per guadagni propri, oltreche da pensione di invalidità o da altri tipi dicontributi sociali, attività di tempo libero incontesti normali, con relazioni sociali rego-

lari, al di fuori degli ambienti psichiatrici,buone relazioni con i familiari (13). Ciò peraltro si ricollega a quanto già studiato e pro-posto relativamente alla valutazione di esitonei disturbi mentali, e mostra come il con-cetto sia considerato una utile novità a cuiricondurre nozioni preesistenti, per rinnovar-le. Vengono inoltre organizzate ricerche edutilizzate scale di valutazione del recovery (2,15).

CommentoIl paradigma del recovery prende origine dalleesperienze delle organizzazioni di utenti, daigruppi di auto-aiuto, dai movimenti per idiritti dei disabili, dalle esperienze di supe-ramento/chiusura degli ospedali psichiatrici,dai pazienti che vivono nella comunità rive-lando competenze e abilità, ovvero da quan-to si è socialmente e culturalmente mobili-tato intorno alle esperienze internazionali dideistituzionalizzazione e di promozione deidiritti.Inoltre, fa propri i criteri della “buona riabi-litazione”, così come essi sono stati elabora-ti e validati anche nel contesto dei servizi disalute mentale, quando afferma che è neces-sario individuare le barriere che una personasperimenta come connesse alla disabilità elavorare insieme a lei per minimizzarne l’im-patto sulla sua vita, cercare o creare ambien-ti di vita e relazioni che favoriscano l’incre-mento dell’autostima, della fiducia, e dell’ac-cettazione di sé, considerare ciò che è real-mente di aiuto, avere delle aspettative posi-tive, non mettere al centro i sintomi ma leabilità, guardare al di là della diagnosi e deideficit, coinvolgere le famiglie e gli amici.In ciò dialoga in modo omogeneo con ilmodello di psichiatria di comunità, così comeinaugurato in Italia ed in altri paesi europei,che prevede una modalità di trattamentomultidisciplinare, flessibile, personalizzata,

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che fa affidamento ridotto sui farmaci, cheinclude la partecipazione dell’utente al trat-tamento ed il coinvolgimento dei familiari,in cui il contesto ed i luoghi di cura sianoquanto più vicini al contesto di vita dellapersona e accessibili nella comunità, con ri-duzione di pratiche coercitive e di ricoveroospedaliero, che promuove il coinvolgimen-to della comunità cittadina, la collaborazio-ne con altre agenzie sociali, la lotta allo stig-ma, il rispetto per i diritti umani, il valoredel lavoro come diritto.Ma prende origine anche da una constatazio-ne che porta a dire che la voce degli utentinon viene ancora sufficientemente ascoltata,che le conoscenze degli utenti non vengonoriconosciute come valide, che le storie e leopinioni degli utenti vengono ancora facil-mente inserite in un contesto di patologia.Afferma la centralità del sapere che provienedall’esperienza vissuta del superamento e dellagestione dei problemi di salute mentale edincentiva le pratiche collaborative e demo-cratiche.Mette in discussione le pratiche esclusivamen-te fondate su ristretti criteri “evidence-ba-sed” ed infatti è innegabile che le evidenze inpsichiatria possono essere trasferite nella pra-tica quotidiana in modo peculiarmente com-plesso, in quanto la maggior parte dei datisull’efficacia degli interventi in psichiatriariguarda indicatori prevalentemente clinici,la dimensione dell’effetto degli interventi ef-ficaci è in genere piccola, la trasferibilità deidati di efficacia al singolo caso è spesso pro-blematica, di conseguenza altre variabili ri-spetto all’efficacia clinica vanno prese in con-siderazione.Si pone distante da una logica di modelli emetodi di cura per avvicinarsi ad una logicadi scelta e costruzione nella vita quotidiana.Interroga in modo sistematico le persone inrecovery che affermano la propria competenza

sulla propria salute e vita e su ciò che li aiutae ciò che li ostacola, la propria capacità diimpegno ad attivare le proprie risorse, la co-noscenza delle capacità degli operatori edell’organizzazione dei servizi.E’ dunque sul piano della centralità del sog-getto affermata dal recovery movement che siesprime il maggiore interesse.La centralità del percorso soggettivo nel reco-very movement, può essere concettualizzata in-fatti, secondo Castelfranchi, come una attivatransizione da una grave mancanza di poteri,risorse, relazioni ad una riacquisizione di po-teri soprattutto interni (sulle competenze,identità, motivazione, emozioni) (4).E’ un processo di complessa ristrutturazionecognitiva, motivazionale ed emozionale, unprocesso attivo, in cui il potere non è attri-buito dall’esterno, ma guadagnato dal sog-getto anche attraverso il conflitto, in manie-ra lontana da una logica paternalistica e fuorida una retorica pedagogica.Non si può che concordare: tali concetti sonofamiliari per coloro che all’interno dei servi-zi italiani hanno condotto psicoterapie conpazienti con gravi disturbi, gruppi di tera-pia, lavoro con adolescenti, ma al contemporiportano con forza ad una centralità delmentale nella istituzione curante, a percorsinon totalmente modellizzabili, alla contrad-dizione, sempre viva, rispetto ai compiti edal mandato di controllo sociale che insistonosui servizi.

ConclusioniIl concetto di recovery sembra centrale ogginel saldare le esperienze nate dalla deistitu-zionalizzazione della psichiatria con il sapereche emerge dalle esperienze delle persone,attraverso i processi di empowerment e di eman-cipazione, ma anche con le aree più attentedella ricerca scientifica.Esso ripropone temi classici: il chiedersi come

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si iscrive la malattia nella storia personaledel soggetto e come significato interperso-nale rivolto alle relazioni ed alla collocazio-ne sociale.Il cambiamento alla base del recovery è possi-bile quando avviene la scoperta di un sensoimportante riguardo la propria crisi/malat-tia, e laddove si verifica un riconoscimentoda parte di altri significativi e/o di un servi-zio di salute mentale.Richiama in causa le risorse e l’unicità delsoggetto, il senso della appartenenza e dellacomunità, la condivisione come produzionedi senso, creazione di nuovi scambi.Il servizio che è capace di catalizzare questoè un servizio che davvero produce “processidi ripresa”, contro l’onnipotenza della curaed il suo complementare, la resa alla cronici-tà, oltre l’adesione ai sistemi di controllosociale di cui la psichiatria è ancora agente.Il tema del recovery si pone all’attenzione de-gli operatori dei servizi di salute mentale,ma anche a chi ne osserva l’attività ed il ruo-lo da una posizione più esterna, per il poten-ziale forte impatto di verifica sulla culturache i servizi psichiatrici stanno realmenteesprimendo.I concetti, il modello, il movimento che si èsviluppato intorno al recovery producono uneffetto complessivamente “valutativo” sullepratiche reali, prezioso in questa fase storicaper confrontare la effettiva aderenza ai prin-cipi, valori, competenze, criteri di qualità,strumenti ed organizzazioni che la psichia-tria italiana ha realizzato a partire dalla defi-nitiva chiusura dei manicomi e dalla realiz-zazione di servizi nella comunità.Si colloca nel percorso, iniziato con la chiu-sura degli ospedali psichiatrici, volto alla sop-pressione di fattori istituzionali iatrogeni, difattori di nocumento, ovvero di ciò che nellasupposta “cura” annullava l’individuo e lesue possibilità di ripresa.

Anche fuori da un ospedale psichiatrico, in-fatti, in un servizio di territorio, atteggia-menti rigidi o paternalistici, difensivi, di evi-tamento del rischio possono ostacolare, im-pedire di cogliere opportunità e risorse ele potenzialità insite nello sforzo personaledel paziente, quanto invece un aiuto profes-sionale può essere invece decisivo.Se tale concetto contiene delle ambiguità,esse vanno analizzate, ma esso non compor-terà certamente una interruzione nel percor-so di confronto con la qualità e la efficaciadei propri interventi, farmacologici, psico-terapici, riabilitativi, anzi potrà motivarlo.Contiene piuttosto il rischio di essere ridot-to solo a formula per mascherare nuovi/vec-chi servizi, nuovi/vecchi tecnicismi, qualco-sa che sparge fumo lasciando le cose comestanno.Il concetto di recovery sfida le pratiche e laricerca nel momento in cui esso stesso peròsi sottopone alle verifiche nella pratica e nel-la ricerca, ed indica una strada, può riporta-re su di un binario scientificamente interes-sante e potrà influire in modo determinan-te sulle condizioni di vita degli utenti, sullefamiglie e sugli assetti futuri dei servizi disalute mentale.Il concetto del recovery è utile per riportarel’attenzione sul tema del potere della psichia-tria e sulla psichiatria: i servizi nel momentopiù sconfortante di contrazione di risorse sonochiamati sempre più a mansioni di controllosociale o nell’impossibile compito di vica-riare l’assenza di altri soggetti del welfare, esempre di meno a costruire e garantire rela-zioni di cura.Terapia e psicoterapia vanno intese invececome luogo di uno scambio democraticodove si affronta in modo trasparente l’asim-metria delle posizioni, il conflitto, il percor-so di ricostruzione di senso e di potere.Il recovery presuppone quella riconquista del

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ca, sull’esercizio critico e sulla funzione in-tellettuale. Dal punto di vista di un operato-re, i concetti e le esperienze che il recoverymovement rappresenta costituiscono certamen-te una ottima opportunità.

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Nati per leggere e lo sviluppo del bambinoBorn to read and child development

Sandro BianchiPediatra di Famiglia, Perugia

Corrado RossettiPediatra, Coordinatore Gruppo Territorio della RETE REGIONALE UMBRA Materno-Infantile

Giulia ManciniLaureanda in Medicina e Chirurgia, Università di Perugia

Parole chiave: Progetto nazionale “Nati per leggere”, lettura ad alta voce, promozione della salute delbambino

RIASSUNTOObiettivi: presentare il progetto nazionale “Nati per leggere” ed evidenziare la rilevanza della lettura ad altavoce alla luce dei più recenti studi sull’apprendimento e lo sviluppo cognitivo e psichico nel bambino.Metodologia: analisi del rapporto tra lettura sviluppo del vocabolario, sviluppo della competenza fonologicae apprendimento.Risultati: il progetto coinvolge il pediatra nella funzione educativa e di supporto alla figura genitoriale, incollaborazione con le biblioteche locale con il sostegno dell’AIB (Associazione Italiana Biblioteche). “Natiper leggere” si propone quale forma di nuova alleanza intesettoriale per la promozione della salute delbambino.

Key words: national Project “Born to read”, reading aloud, child health promotion

S U M M A RYObjectives: to present the national project “Born to Read” and highlight the importance of reading aloud inlight of more recent studies on learning and cognitive and emotional development in children

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Nati per leggere e lo sviluppo del bambino

IntroduzioneIl cervello si sviluppa tramite interazioni difattori genetici, biologici e psicosociali.L’esposizione a fattori di rischio sociale puòcondurre a disturbi nelle strutture e funzionicerebrali e di conseguenza nello sviluppo co-gnitivo e socio-emozionale.La carenza di opportunità educative e intera-zioni povere genitori/bambino costituisconoi rischi maggiori per uno sviluppo insuffi-ciente. Pertanto il miglioramento della ge-nitorialità, la riduzione delle esperienze stres-santi, quali depressione materna ed esposi-zione alla violenza, un aumento di fattoriprotettivi, quali l’educazione materna, mi-gliorano lo sviluppo cognitivo, socio emo-zionale e la preparazione scolastica.La plasticità cerebrale, che si sostanzia in unaricca produzione di connessioni tra i vari neu-roni, è massima nei primi due-tre anni divita. Esiste quindi una “finestra di opportu-nità” durante la quale gli effetti della stimo-lazione ambientale sullo sviluppo della strut-tura cerebrale e sulle sue funzioni sono mas-simali, e questo vale in particolar modo perquanto riguarda le funzioni legate al linguag-gio. Gli effetti di stimolazioni cognitive neiprimi tre anni di vita sono rilevabili anche amolti anni di distanza in termini di literacy edi sviluppo intellettuale complessivo.Quindi tutti gli interventi che migliorano lacapacità dei genitori di fornire stimoli ed in-terazioni di qualità, in epoca molto precoce

(comunque entro i due anni di vita) agisconoin maniera diretta sullo sviluppo cerebrale intermini sinaptici; gli stimoli più efficaci sonoquelli affettivi. Tra questi la lettura ad altavoce rappresenta una delle principali azioniche un genitore può effettuare per influenza-re lo sviluppo cognitivo e migliorare la suarelazione con il bambino.

La lettura ad alta voceLa lettura a voce alta, da parte di un genitoreverso il proprio bambino, nella sua apparen-te semplicità, contiene molte valenze legatea modelli di comunicazione positivi e affet-tivi che influiscono in modo rilevante sullosviluppo del bambino. Ricerche scientifichedimostrano come il leggere ad alta voce, conuna certa continuità, ai bambini in età pre-scolare abbia una positiva influenza sia dalpunto di vista relazionale, che cognitivo.Inoltre si consolida nel bambino l’abitudinea leggere che si protrae nelle età successivegrazie all’approccio precoce legato alla rela-zione. Essa è considerata l’attività più im-portante per la acquisizione delle competen-ze necessarie per il successo nella lettura. Lalettura è per il bambino uno strumento ide-ale per trattenere con sé l’adulto nel modo alui più gradito, cioè con dedizione, parteci-pazione completa e senza distrazioni. La pre-senza dell’adulto è consolatoria, e fornisceprotezione e sicurezza.Imparare a leggere è un compito faticoso

Methodology: analysis of the relationship between reading vocabulary development, development ofphonological skills and learning.Results: the project involves the pediatricians in the educational and support the parental figure, incollaboration with local libraries with the support of AIB (Italian Library Association). “Born to Read” isproposed as a new form of alliance intersettrial for the promotion of child health

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perché implica una maturità composta dacapacità motorie, percettive, mnemoniche espazio-temporali, a esordio precoce nella vitadel bambino.Leggere libri al bambino è riconosciuto esse-re il mezzo più semplice ed efficace per favo-rire l’apprendimento della lettura. Due me-tanalisi forniscono dati statisticamente signi-ficativi sul rapporto tra lettura, sviluppo delvocabolario, sviluppo della competenza fo-nologica e apprendimento della lettura. Que-ste evidenze scientifiche hanno favorito ne-gli anni ’90 lo sviluppo di programmi di pro-mozione della lettura in diversi Paesi: StatiUniti con “Reach Out and Read” (ROR) eRegno Unito con “Bookstart” (BS). Su que-sta scia in Italia, nel 1999 è stato avviato ilprogetto “Nati per Leggere” (NpL), nato d’al-leanza tra due figure professionali: i pediatried i bibliotecari che sostengono concreta-mente l’abitudine di leggere ai bambini dal-l’età prescolare. Tale progetto è stato avvia-to ad Assisi nel corso del Congresso Nazio-nale dell’Associazione Culturale Pediatri. Leesperienze di ROR e BS mostrano, in parti-colare, che un intervento nell’ambito dellecure primarie pediatriche aumenta l’attitu-dine dei genitori a leggere in famiglia.Con la lettura il bambino si appropria lenta-mente della lingua materna, delle sue paro-le, della sua forma e struttura. Questo gliserve per costruire le proprie strutture men-tali, per capire i rapporti (io e gli altri, io e lecose) e le distanze spazio-temporali.Le competenze emergenti nell’acquisizionedella capacità di leggere vanno oltre il saperleggere e scrivere; esse implicano “la capaci-tà a identificare, capire, interpretare, creare,comunicare, elaborare e usare materiale scrit-to nei più differenti contesti ambientali”. Glistudiosi del processo di alfabetizzazione par-lano a questo proposito di Emergent Literacy,termine che racchiude le abilità, le conoscenze

e le attitudini che sono precursori dello svi-luppo delle forme convenzionali della lettu-ra e della scrittura. La Emergent Literacy è ba-sata sulla nozione che il bambino acquisisceabilità nelle competenze dell’alfabetizzazio-ne non solo come un risultato di istruzionidirette, ma anche come un prodotto di unambiente stimolante e responsivo. Tali com-petenze sono sintetizzate in:- sviluppo del linguaggio orale sia come lin-

guaggio recettivo che linguaggio espres-sivo (arricchimento del vocabolario);

- sviluppo della competenza fonologica cheè strettamente legata al successo nella let-tura (prima attraverso le sillabe, poi conle rime e la miscelazione dei fonemi cheavviene solo quando si inizia a leggere);

- conoscenza del linguaggio scritto che sisuddivide in conoscenza delle convenzio-ni della scrittura (corrispondenza tra lin-guaggio orale e scritto, scrittura da sini-stra a destra e dall’ alto in basso, alfabetoche rappresenta i suoni del linguaggio),conoscenza delle funzioni della scrittura(testo che racconta una storia, dà infor-mazioni, dà istruzioni) e conoscenza dell’alfabeto (conoscenza delle lettere e dell’associazione tra una lettera ed il suo nomee tra una lettera e il suo suono).

Le abilità di lettura negli anni successivi sono,quindi, direttamente correlate all’esposizio-ne al linguaggio. Alcuni studi dimostranocome il vocabolario di un bambino di 3 annisia fortemente correlato alla quantità e allavarietà di parole ascoltate a 8 mesi di vita eche, in contesti svantaggiati dal punto di vi-sta culturale, i bambini sono esposti a circa30 milioni di parole in meno rispetto ai lorocoetanei. Un bambino che legge e trova pia-cere a farlo troverà più facilmente stimolicontinui per la propria crescita personale. Lalettura ad alta voce in epoca precoce non solostimola lo sviluppo del linguaggio e le abili-

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Nati per leggere e lo sviluppo del bambino

tà cognitive ma favorisce nei bambini lamotivazione, la curiosità e la memoria, tut-te funzioni che vengono a comporre il baga-glio intellettuale ed emotivo complessivo delbambino.Lo sviluppo delle competenze emergenti va-ria in ogni bambino ed è influenzato da diver-si fattori: le capacità innate, la qualità e laquantità del linguaggio ascoltato in famiglia,il desiderio di apprendere, l’autostima e l’espo-sizione del bambino ad attività letterarie.

Nati per leggere e performance sco-lasticheLa lettura ad alta voce determina l’esperien-za dell’apprendimento della lettura stessa chesegna il destino della carriera scolastica delbambino. Bambini che possono godere diun’esposizione alla lettura giornaliera e co-stante nel tempo giungono alla prima ele-mentare con maggiori capacità e conoscen-ze basilari per la futura decodifica delle paro-le; questo permetterà loro di imparare a leg-gere e scrivere con maggiore facilità ed in-fluenzerà il linguaggio del bambino e le suecapacità di comprendere la lettura di un te-sto scritto. L’incapacità di leggere a scuola ècausa di disagio che porta a frustrazione eriduzione dell’autostima e può contribuire adaumentare il rischio di abbandono scolasticocon conseguenti bassi livelli educativi e mi-nori opportunità lavorative da adulto.E’ evidente quindi quanto siano legati al suc-cesso scolastico, lo sviluppo delle competen-ze linguistiche, la confidenza verso la lettu-ra, la proprietà di linguaggio, la capacità dimantenere l’attenzione e la concentrazione,il livello di autostima e di sicurezza. La dif-ficoltà a leggere e scrivere è un problema checolpisce soprattutto i bambini che apparten-gono a famiglie in condizioni socioeconomi-che svantaggiate e contribuisce ad incremen-tare il ciclo della povertà.

La promozione della lettura è un interventoche promuove il successo formativo e pre-viene l’insuccesso scolastico perché favoriscela acquisizione delle competenze necessarieper imparare a leggere ed apprendere. Il suc-cesso delle pratiche preventive ha bisognodella consapevolezza della loro utilità da partedegli operatori; non basta che una praticapreventiva sia giusta e provata scientifica-mente, ha bisogno di essere interiorizzata dal-l’operatore per essere veicolata in manieraconvincente alla famiglia ed essere quindipraticata.

Il ruolo del pediatra di famiglia nel-la promozione della letturaIl pediatra è considerato dalla famiglia uninterlocutore privilegiato: è il primo opera-tore sanitario delle cure primarie che vienein contatto con la famiglia; ha molte occa-sioni di contatto nei primi anni di vita siaper le visite che per i bilanci di salute e man-tiene questo rapporto con la famiglia a lun-go; costruisce un rapporto di fiducia comeconsulente della “salute” per il bambino. Unaspetto fondamentale: il pediatra raggiungetutte le famiglie, a differenza di altre agenzieeducative, come gli asili nido, ad esempio,dove affluisce solo una parte dei bambini. Ilpediatra ha la base culturale e l’autorevolez-za per spiegare ai genitori l’utilità di questapratica nell’ambito delle pratiche di preven-zione più efficaci nel primo anno di vita. Inrealtà sono stati proprio gli studi condottinegli Stati Uniti e basati sull’esperienza digruppi di pediatri che hanno dimostrato comele raccomandazioni del pediatra siano effica-ci nel promuovere la lettura in famiglia, inparticolar modo nei gruppi di popolazionepiù svantaggiati. Inoltre il messaggio è piùefficace quanto più precocemente il pediatrafacilita l’incontro del bambino e dei genitoricon i libri e se il pediatra è in grado di donare

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uno o più libri adatti allo sviluppo del bam-bino .Tale intervento educativo potrebbe ap-parire non fattibile in un contesto come quellodella pediatria delle cure primarie quasi to-talmente occupata da richieste definite “inap-propriate” e “ingombranti”; invece l’inter-vento di promozione della lettura richiedesolo pochi minuti. L’istruzione da dare aigenitori è molto veloce e semplice da com-prendere: leggere un libro con il bambino inbraccio senza dover ricordare istruzioni par-ticolari. Proporre NpL indica una buona stra-da da percorrere come stile educativo delgenitore. L’atteggiamento non prescrittivodel pediatra, ma educativo e di supporto allafigura genitoriale, dovrebbe portare a consi-derare il pediatra come un alleato nella cre-scita del bambino. La promozione della let-tura ad alta voce inserita nei bilanci di salutepermette inoltre al pediatra di valutare alcu-ne tappe dello sviluppo psicomotorio delbambino e di percepire alcuni segnali di al-larme migliorando la qualità del lavoro quo-tidiano e affinando le sue competenze inmateria di sviluppo.

Il ruolo delle biblioteche e del biblio-tecarioCercare alleanze con la biblioteca locale è ilprimo passo considerando che l’AIB (Asso-ciazione Italiana Biblioteche) sostiene il pro-getto NpL. Dove le biblioteche non ci sono,bisogna cercare altrove: in alcuni casi gli asi-li nido possono essere un buon punto di par-tenza per diffondere l’informazione e cercareulteriori alleanze.Essere un utente delle biblioteche è un’espe-rienza sociale precoce che accende la curiosi-tà e l’immaginazione. Il legame che si svi-luppa, grazie ai giochi educativi, ai puzzles eai libri, porterà in seguito a una relazione pri-vilegiata tra il bambino e la lettura. Inoltre,un’esperienza positiva nei primi anni di vita

introdurrà un interesse nell’intera vita per lalettura e favorirà il suo apprendimento.I servizi bibliotecari per bambini devonopossedere alcuni requisiti essenziali:- personale competente;- un’adeguata dotazione di libri e di mate-

riali ritenuti idonei a soddisfare le esigenzedi lettura e di informazione dei bambini;

- spazi idonei ad accogliere bambini e gliadulti che li accompagnano.

I bibliotecari aiutano i genitori a formarsiun proprio repertorio di letture da condivi-dere con i loro bambini. Promuovono la co-noscenza delle proposte di lettura adatte aibambini più piccoli e mettono a disposizio-ne per il prestito gratuito e la lettura inbiblioteca una raccolta di libri per bambinitra 0 e 6 anni. Invitano i genitori ad usaresistematicamente tali risorse e a parteciparealle iniziative che favoriscono l’abitudine dileggere. In conclusione, il progetto Npl vuolefavorire la familiarizzazione dei genitori conla biblioteca quale luogo di integrazione so-ciale, di contrasto alle disuguaglianze e dilibero accesso alle conoscenze.

Il progetto in UmbriaLa Regione Umbria intende rilanciare “Natiper leggere”, ampliandone la portata e la dif-fusione, attraverso il progetto “Leggere fa benealla salute” collocato nell’ambito delle azio-ni previste dal “Piano regionale di Preven-zione 2010-2012” della Direzione Salute. Ilprogetto coinvolge i Servizi di Prevenzione,Beni Culturali e Istruzione della RegioneUmbria, in stretta sinergia con l’Associazio-ne Culturale Pediatri (ACP Umbria), l’Asso-ciazione Italiana Biblioteche (AIB SezioneUmbria) e l’Ufficio Scolastico Regionale.Il progetto vuole promuovere la lettura daparte dei genitori ai bambini dai 6 mesi ai 6anni, attraverso l’informazione e il consigliodato dai pediatri di famiglia ai genitori di

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Nati per leggere e lo sviluppo del bambino

tutti i nuovi nati in occasione del bilancio disalute del VI e del XII mese, nell’ambito dellanuova edizione 2011-2012 del progetto re-gionale “Salute e infanzia”.In occasione del bilancio di salute del I anno,il Pediatra regala alla famiglia un kit conte-nente un libro cartonato, del materiale infor-mativo, una brochure con gli indirizzi e i ri-ferimenti delle biblioteche che aderiscono alprogetto. Il pediatra, inoltre, favorisce l’ac-cesso di bambini con le loro famiglie, alle

biblioteche Npl.Nel progetto Umbro la “Scuola” ha un ruo-lo importante: gli asili nido e le scuole ma-terne rinforzano gli obiettivi del progetto ela scuola secondaria superiore fornisce, at-tualmente, un gruppo di circa 200 adolescentiper formarsi come lettori volontari, utiliz-zando le tecniche di lettura ad alta voce coni bambini di età prescolare, nelle scuole ma-terne, nelle biblioteche e nei reparti pedia-trici degli Ospedali del territorio regionale.

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Intervista

Sistema Salute, 56, 2, 2012: pp. 251-258

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 2, aprile-gugno 2012

D. Cos’è l’UNASaM?R. L’UNASaM è una associazione che si ècostituita nel 1993 come Unione Nazionaledelle Associazioni per la Salute Mentale, at-traverso un processo pluriennale di contatti,incontri e consultazioni fra un grande nume-ro di realtà italiane.Rappresenta in maniera unitaria le associa-zioni nei confronti delle istituzioni e delleorganizzazioni nazionali ed internazionali.Nel 1993 i rappresentanti di un gruppo diassociazioni fedeli alla “180” hanno incomin-ciato a incontrarsi per costituire l’Unionenazionale e non è stato facile; sono rimastefuori alcune associazioni che avevano unadiversa impostazione e che stanno dietro itentativi di abolire la 180. Sono stato il cata-lizzatore di questa unione e ho preparato lostatuto dell’UNASaM1.

Gli obiettivi:- il pieno riconoscimento della dignità e dei

diritti di base dei sofferenti di disturbimentali e dei loro familiari;

- una assistenza piena sempre, sia nelle fasiin evoluzione che in quelle di cronicità,che durante le acuzie e le emergenze;

- un buon lavoro di riabilitazione psicoso-ciale, abitativa e lavorativa, con servizi disupporto (cure domiciliari, colf, ...) possi-bilmente nella propria zona di residenza econ il coinvolgimento delle famiglie;

- una efficace attività di prevenzione e didiagnosi precoce nel campo della salutementale, a partire dalle scuole;

- un uso moderato, razionale e personaliz-zato degli psicofarmaci;

- la messa al bando della contenzione fisicae degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

Il contributo dei familiari a una politica di salute mentale.Intervista di Francesco Scotti* a Ernesto Muggia, fondatore dell’Unionenazionale delle associazioni per la salute mentale (UNASaM)

The contribution of the family to a mental health policy.Interview by Francesco Scotti to Ernesto Muggia, founder of the National UnionAssociations for Mental Health (UNASaM)

* Gruppo tecnico interregionale per la salute mentale, Regione Umbria1 Che può essere consultato sul sito: www.unasam.it

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 2, aprile-gugno 2012

Il contributo dei familiari a una politica di salute mentale

Sono qui formulati in forma generale e sonoobiettivi che si trovano fin dai primi docu-menti; ma in certi particolari momenti unodi essi assume una particolare priorità. Adesempio adesso le priorità sono la chiusuradegli ospedali psichiatrici giudiziari e la li-mitazione della contenzione fisica. E si trat-ta di obiettivi che hanno una rilevanza na-zionale.Tra gli obiettivi va compreso il cambiamen-to di situazioni sfavorevoli quali:- il permanere del pregiudizio, che impedi-

sce la partecipazione attiva dell’opinionepubblica al perseguimento degli obiettivi;

- l’abbandono dei malati e delle loro fami-glie in situazioni insostenibili;

- la solitudine dei buoni operatori che nonpossono sopperire personalmente a tuttele mancanze di uno stato che troppo spes-so è assente;

- una situazione sempre più logora di buo-ne leggi che rimangono inapplicate;

- le carenze sempre attuali nella presa in ca-rico dei casi gravi e di diagnosi multiple.

D: Perché sei in un’associazione per la salutementale?R. Sono fratello di una persona sofferente dischizofrenia da oltre 50 anni, sono ingegneree psicologo, ormai pensionato; fra i fondato-ri di UNASaM, ne sono stato presidente permoltissimi anni ed ora sono presidente ono-rario; ho collaborato a lungo con EUFAMI(European Association of Families of MentallyIll People) e collaboro tuttora con la WAPR(World Association for Psychosocial Rehabilita-tion) e con la Campagna per la salute menta-le di Milano.Mi sono occupato, prima con la famiglia in-sieme ai genitori, poi da solo, della malattiadi mio fratello, con infiniti pellegrinaggi inItalia e all’estero presso luminari e comunitàvarie, nella speranza di una guarigione che

progressivamente spariva con il cronicizzar-si della malattia. Negli anni ‘80 un evidentesopruso nei confronti di una piccola comuni-tà milanese, nella quale mio fratello era ri-coverato e assistito in modo adeguato, da partedi nuovi proprietari interessati ad aspetti spe-culativi dei propri investimenti economici,ha fatto scattare in me la molla dell’impe-gno sociale. Ho fondato un’associazione conaltri parenti per difendere presso le istituzio-ni i diritti del gruppo, con successo, e poi viavia si è sviluppato un percorso di collega-mento con altre forze di operatori e familiariper un coordinamento regionale, fino al li-vello nazionale con l’UNASaM.A maggior chiarimento del mio percorso,desidero comunque aggiungere che l’impe-gno sociale è nel mio DNA, dall’universitàfin da studente, al sindacato ai tempi del la-voro dipendente, alla sanità cittadina in se-guito: sempre i problemi personali sono sta-ti per me lo spunto per raggiungere un pun-to di vista più ampio, un inquadramento ge-nerale in favore di un pubblico più vasto, giàcoinvolto o ancora da raggiungere verso unmiglioramento di condizioni di sofferenzacomuni.

D. Esiste una dialettica tra le associazioniche aderiscono all’UNASaM?R. All’UNASaM aderiscono sia associazionisingole che Coordinamenti regionali di tuttaItalia, rispettivamente con diversi diritti divoto e di rappresentanza.E’ naturale quindi che ci siano differenze fraloro, sempre però nell’ambito di una impo-stazione di fondo condivisa, che potremmosintetizzare come adesione alla 180 ed ai prin-cipi della riforma 833.Molte sono le origini di queste differenze esono da ricercare nella storia individuale, neiluoghi, nelle appartenenze politiche o religiosedi riferimento, nell’organizzazione regionale

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 2, aprile-gugno 2012

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dei servizi di salute mentale e nei rapporticon gli operatori di riferimento, nelle carat-teristiche dei leaders e dei loro famigliari sof-ferenti, nelle risorse economiche e personalidisponibili. Conflittualità e rivalità sono al-l’ordine del giorno e uno dei compiti princi-pali della direzione nazionale è quello di ar-monizzare il più possibile le situazioni localiin una unica voce che rispecchi posizioni uni-tarie nei confronti delle istituzioni regionali enazionali. Si tratta di far emergere le ragionilatenti dei problemi, di trovare spazi di me-diazione, di coinvolgere interlocutori diversi:è la diplomazia che in genere si fa valere.Non è certo un compito facile: un paio diesempi per dare un’idea.In una regione governata dalla destra, il Co-ordinamento regionale, simpatizzante conquel governo, si trova spiazzato nei confrontidelle politiche di abrogazione/modifica della180/833, orientate in senso di ricoveri pro-lungati e cure forzate, proposte a livello na-zionale dall’attuale governo di destra e total-mente osteggiate con forza dalla direzionenazionale UNASaM. Ancora: famiglie mol-to protettive nei confronti di figli sofferenti,non vedono con favore, sul piano personale,le strategie UNASaM di riabilitazione e diautonomizzazione portate faticosamente avan-ti in collaborazione con gli operatori dei ser-vizi, e con le scuse più strane cercano di trat-tenere a casa il congiunto, mettendo a rischioi rapporti con l’associazione e con gli opera-tori ed anche il futuro del malato.Nell’ormai quasi ventennale storia del-l’UNASaM ci sono stati numerosi esempi diconflitti non risolti o mal risolti con conse-guenze anche dolorose di scissioni, di perditedi contatti importanti, ma lo spirito unita-rio che fin dall’inizio ci ha guidato, ci ha perora sempre permesso di superare i momentidifficili. Anche nel panorama nazionale del-l’associazionismo nel settore della salute

mentale, la rappresentatività dell’UNASaMnon è mai stata messa in discussione, se nonin momenti di conflittualità politica di bas-so livello, che strumentalizzava il malessere(vero) di alcuni famigliari, tentando di indi-rizzarlo contro la 180 e non contro la suaparziale e carente attuazione sull’intero ter-ritorio nazionale.Conflitti all’interno delle associazioni ne esi-stono sempre e sono in genere riconducibilialle normali dinamiche interpersonali: lea-dership, protagonismo, ruolo nella comuni-tà locale, lobbies di vario tipo, ecc…Più complesso il caso in cui entrino in con-trasto interessi generali degli associati conatteggiamenti o attività di un singolo, ma-gari del presidente stesso. Allora sono all’or-dine del giorno scissioni, dimissioni, ricorsio peggio … ma questo succede anche nellebocciofile … e non c’è da stupirsi se il rico-vero del figlio di uno suscita l’invidia di altrio se un lavoro protetto non c’è per tutti.In tema di conflittualità è il caso di ricordareanche il problema di fondo che sovente rie-merge: come cioè conciliare l’interesse im-mediato del singolo, della famiglia, voltomolto sovente ad ottenere un sollievo im-mediato dal carico insopportabile rappresen-tato da un caso grave, con l’interesse dellacollettività, volto invece al problema gene-rale, di leggi sempre migliori e della lorocorretta applicazione: un ricovero a qualun-que costo e subito, oppure i tempi eterni dellapolitica e i rischi di ritorno a tempi peggio-ri? Certo non è facile riuscire a porsi al disopra delle proprie necessità immediate, su-perare i limiti del carico famigliare per di-scutere di strategie locali e nazionali dall’esi-to incerto e lontano nel tempo. Ancora unesempio può servire a chiarire questi nodi: aproposito della nostra (e non solo nostra!)lotta alle pratiche di contenzione, mi è capi-tato un momento difficile con un genitore

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Il contributo dei familiari a una politica di salute mentale

che sosteneva la necessità salvifica di questointervento nei confronti di un Trattamentosanitario obbligatorio del figlio. Come con-vincerlo del contrario?

D. Riscontrate carenze nelle posizioni che ca-ratterizzano culturalmente l’assistenza psi-chiatrica in Italia?R. Secondo me si dovrebbe incoraggiare an-che in Italia la ricerca sui fattori di ripresa, diguarigione (di recovery), che sono fondati so-prattutto sull’ascolto e la valorizzazionedella soggettività della persona, col duplicescopo di combattere lo stigma e di portareun aiuto concreto alle persone sofferenti didisturbi psichici. Ridare speranza, aiutare ariprendersi in mano il proprio futuro, diffon-dere i gruppi di self-help, incoraggiare per-corsi di autonomizzazione abitativa e lavo-rativa, far conoscere storie di guarigione, so-stenere la scrittura di autobiografie di chi èriuscito a farcela, ecco una strada aperta maancora poco battuta. Soprattutto in questomomento difficile e statico per la ricerca incampo psicofarmacologico. Ma in quali cor-si di psichiatria nelle nostre università si trat-tano questi argomenti? Non è che a furia dineurotrasmettitori, di sinapsi, di psicofarma-cologia ci si sta dimenticando della persona,del suo mondo, del suo pensiero anche sedelirante? Una parte sana rimane sempre,anche nei casi più gravi, e su quella si puòcercare di lavorare.

D. Avete verificato conflitti tra posizioniscientifiche e valori etici?R. Premesso che il dibattito tra etica e scienzatravalica le mie competenze, nel campo del-la salute mentale non ho difficoltà a sostene-re che una ricerca rispettosa dei diritti di sa-lute e di una dignitosa vita sociale delle per-sone sofferenti di disturbi psichici è sempreben accolta dal nostro associazionismo. Non

vedo cioè alcuna conflittualità in linea di prin-cipio. Certo però che va affermato con forzail “primo non nuocere” di Ippocrate. Gli ef-fetti secondari dei farmaci in uso devono sem-pre essere illustrati e discussi col paziente eridiscussi quando richiesto per eventuali cam-biamenti di dosi o di molecole, resi necessarida mutamenti di sintomatologia o di moda-lità di vita. Le ricerche e i trials devono esse-re assolutamente trasparenti, non nasconde-re cioè eventi o aspetti non favorevoli o peg-gio del tutto negativi.Infine una parola per ricordare come a voltepratiche inaccettabili come la contenzione ol’elettroshok vengano giustificate con un’au-ra di scientificità del tutto infondata e quindida noi combattute in difesa dei diritti deipazienti.

D. Come lavora l’UNASaM?R. Quando il Ministero della salute ha costi-tuito il comitato per la salute mentale ab-biamo lavorato bene per costruire il secondoprogetto obiettivo. Abbiamo fatto la guerraalla Burani-Procaccini e l’abbiamo vinta,abbiamo fatto la guerra al progetto Ciccioli,l’ultimo tentativo contro la 180 e penso cheabbiamo vinta anche questa. In questo mo-mento siamo impegnati nei discorsi “Stopall’OPG” e contro la contenzione in psichia-tria, in alcune città.

D. Ci sono stati conflitti con i servizi di salutementale e con le amministrazioni delle ASL?R. E’ vero che c’è conflittualità ma si puòanche dire che in molti casi non c’è neppureconflittualità: c’è solo l’abbandono. Dove nonci sono servizi che funzionino non ci può es-sere neppure conflittualità. Poi dove c’èl’ignoranza e la miseria il malato viene chiu-so nella stalla.Quindi si va dal confronto razionale, colla-borativo con i servizi, per lavorare meglio,

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alla conflittualità con i servizi che non ven-gono a casa a visitarti il figlio e non dannouna mano a gestirlo, all’abbandono da partedei servizi che dicono di non poter fare nullaper il paziente e danno questo tipo di consi-gli: “Cara signora, se lei vuol fare qualcosaper suo figlio lo denunci, così almeno lomandano in ospedale psichiatrico giudizia-rio e lei tira un sospiro di sollievo”. Alle coseche non si sanno e che vengono fuori quandocompaiono i disastri totali: nelle Alpi bre-sciane il matto viene chiuso nella stalla.

D. E dove c’è il vuoto cosa fate o cosa vi pro-ponete di fare?R. Cosa facciamo lì dove c’è il vuoto, cioèl’assenteismo colpevole dei servizi che nonfanno il loro mestiere, o non possono anda-re in giro perché non hanno la macchina? Iltentativo di collaborazione può dare buonirisultati in alcuni casi con reclutamento dioperatori. Ma in altri casi resta il buio asso-luto. Cosa si può fare nel buio assoluto? Pri-ma istruzione, poi formazione che però sonoimprese colossali. I genitori hanno già il loroproblema e le loro difficoltà e non si posso-no accollare altri compiti. L’iniziativa do-vrebbe partire dall’alto e dovrebbe pensarcilo stato.Ero stato incaricato dal Ministero della sa-lute di fare un progetto di campagna controlo stigma nella malattia mentale. Ho fattoun enorme lavoro rispettando tutte le rego-le per attribuire correttamente il budgetmesso a disposizione: bando pubblico, esa-me di tutte le proposte, fino alla designa-zione del vincitore. Ma poi tutto è rimastonei cassetti del Ministero. Quando sono an-dato a sollecitare la conclusione del proce-dimento il nuovo ministro della salute hadetto di non essere d’accordo con le inizia-tive del suo predecessore.

D. Qual è la vostra percezione degli atteg-giamenti dominanti nei confronti dei mala-ti mentali?R. Un problema di fondo della società ita-liana (e non solo italiana) di oggi è il perdu-rare di un forte stigma nei confronti dellepersone sofferenti di disturbi mentali, un pre-giudizio di pericolosità e di incurabilità/in-guaribilità che in qualche misura contagiaanche gli operatori del ramo e le struttureaddette alla formazione e dal quale ovvia-mente non sono esenti le famiglie, che neriportano purtroppo sensi di colpa e vergo-gna. Insomma l’opinione pubblica è ancorain gran parte manicomialista.Un solo esempio servirà a mettere a fuoco laquestione.Circa un anno fa in una grande città del Nord,l’assessore alla sanità del Comune ebbe labrillante idea di inventare e promuovere ilcosiddetto “tavolo contro la pericolosità so-ciale delle persone con sofferenza psichica”in collaborazione con gli operatori dei DSMe con le forze dell’ordine, allo scopo di sche-dare gli individui a rischio di diventare peri-colosi: altro che lotta allo stigma! Così lo siincentiva, alla solita demagogica maniera didiffondere paura per poi vendere sicurezza.Ma una lotta efficace contro lo stigma im-pone una coalizione di forze consapevoli eimpegnate, è un problema etico e culturale,non possiamo certo muoverci da soli. La do-manda è quindi da rivolgere alle societàscientifiche, all’università, al ministero dellasalute; e poi voglio aggiungere come opinio-ne personale, il consiglio che il grande scrit-tore siciliano Gesualdo Bufalino dava per lalotta contro la mafia. Bisogna cominciare daimaestri di scuola, dai bambini, perché sonoancora ricettivi e possono portare a casa laparola giusta: per gli adulti è ormai troppotardi.Abbiamo fatto campagne contro il pregiudi-

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zio. La prima in occasione del congresso difondazione. C’era una compagnia pubblici-taria che aveva fatto un bellissimo lavorocontro l’omofobia centrata sulla fotografia diun pompiere con in braccio una bambina edietro di loro il fuoco. Una scritta sotto l’im-magine: “Lo ringrazieresti lo stesso sapendoche è un omosessuale?”. Sono andato a tro-vare quei pubblicitari ed ho chiesto la lorocollaborazione, Ne è scaturito un manifestocon questa frase: “Pazzo, Demente, Matto,Scemo, Solo. L’insulto peggiore è l’ultimo”.Poi ne abbiamo fatte altre. La più bella è quel-la che si fondava sulla stampa di una paginaintera del Corriere della Sera. Poco prima Be-netton aveva riempito una intera pagina digiornale con i componenti della famiglia cheoccupavano cariche aziendali. C’era un’allu-sione ai problemi psichiatrici perché tuttiindossavano la camicia di forza. Noi per pro-testa abbiamo rifatto la fotografia sostituen-do ai membri della famiglia Benetton, ope-ratori, familiari e malati psichiatrici, a lorovolta con la camicia di forza, inneggiando allavoro.E poi ne abbiamo fatte altre: una gara noncompetitiva in bicicletta che toccava tremanicomi lombardi: Niguarda, Como, Mom-bello. E sempre gli stessi amici pubblicitarihanno avuto un’idea bellissima: uno di lorosi è prestato a farsi fotografare come un cor-ridore in camicia di forza rosa. Sotto c’erascritto: non vincerà la maglia rosa ma forseperderà la camicia.Così abbiamo fatto pubblicità contro lo stig-ma.Ma per continuare a farla ci vogliono moltecose: soldi, feste, gente disponibile, e non neabbiamo più. Siamo in un periodo di deca-denza dell’associazionismo, come decade tut-to nel Paese. Non abbiamo più vocazioni,siamo vecchi parenti, per lo più genitori: nonci sono parenti giovani. Non abbiamo un

soldo, la cassa è vuota, i conti in rosso. E’ unmomento veramente difficile, fratelli e so-relle.Un problema centrale è che l’opinione pub-blica italiana, e non solo italiana, è ancoramanicomialista: la gente di strada non sa enon vuole sapere e vorrebbe applicare il prin-cipio “chiudeteli e gettate via la chiave”. Miricordo del tentativo, fatto qualche anno fain una città del nord, di mettere su un appar-tamento protetto per malati mentali, che èstato silurato dal comitato del condominioin cui l’appartamento era stato comprato, conqueste argomentazioni: “Se arrivano i mattile nostre mogli abortiranno dalla paura. Imatti faranno pipì sulle nostre rose e le rosemoriranno. Ma in cantina abbiamo le bom-be e sappiamo difenderci”. Il Sindaco, cheera un medico e una persona per bene, tentòuna mediazione ma non ci fu niente da fare,il comitato degli inquilini non mollò e l’ap-partamento dovette essere rivenduto.Io non so di chi sia la responsabilità di lascia-re che l’opinione pubblica italiana rimangain questo brutto lago di ignoranza, di pre-giudizio, di paura.Le associazioni fanno campagne, fanno ma-nifestazioni, sottoscrizioni, proiettano film.Facciamo quello che possiamo, a seconda delleforze che abbiamo e nelle città in cui siamo.Altre associazioni, bisogna dirlo chiaro, la-vorano per aumentare lo stigma. Perché quan-do si va in televisione a dire “questo è il col-tello che gronda ancora del sangue della ma-dre uccisa dal tal malato” i danni che si fan-no in questo modo non hanno bisogno di es-sere commentati. E si prestano a speculazio-ni politiche, a danno di chi soffre.

D. Avete contatti con i giornalisti?R. Abbiamo rilasciato interviste, abbiamocollaborato a inchieste, ci sono stati giorna-listi che ci hanno aiutato. Ma sui giornali,

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quando succede qualcosa dove è chiara la re-sponsabilità di un malato di mente, il croni-sta locale spara a zero e manifesta tutta lasua ignoranza e i suoi pregiudizi e contribui-sce allo stigma.Cosa si fa per le mamme assassine? Moltopoco considerato che in campo scientifico èun problema molto noto. Spesso basterebbefare un po’ di prevenzione. Come si fanno icorsi di preparazione al parto ci vorrebbe an-che un corso di preparazione agli eventualidisturbi di tipo depressivo che possono capi-tare dopo il parto. Dovrebbero essere una rou-tine e non l’eccezione. Eppure la sindromedella madre assassina fa scrivere fiumi di arti-coli ogni volta che compare, con le dichiara-zioni sprovvedute di professionisti che dovreb-bero essere esperti. Come può il pubblico es-sere informato correttamente quando chi par-la, e dovrebbe avere una competenza in me-rito, dice cose dettate dalla sua ignoranza?Lo stesso per l’uso delle armi. Perché si lasciache ci siano persone con disturbi mentali chevanno in giro armate, con l’autorizzazione diun medico che ha firmato il certificato diidoneità psicofisica quando è necessaria peril porto d’armi?Io credo ci sia una ignoranza totale sul fun-zionamento della mente, sui disturbi men-tali, sulle possibilità di cura, sulla possibilitàdi guarigione, sulla possibilità che anche ilmalato più grave possa stare un po’ meglio,anche le persone abbandonate per decenni inospedale psichiatrico giudiziario. Non possodire che tutti guariscono anche se nel fondodella mia mente ritengo che ogni malato,preso in carico da una équipe brava, preso intempo, possa trovare una sua strada versouna guarigione quasi totale.In questi ultimi decenni in tutti i decessi siparla liberamente di cancro. Prima non sipoteva neppure nominarlo in pubblico, sidiceva “una brutta malattia”. Di salute men-

tale invece non se ne parla ancora abbastan-za. Tutto lo studio e tutto l’investimento sonodedicati alla ricerca di nuovi farmaci, che peròsono tutti palliativi. Le cause profonde nonsono note. Si sa però che prendere in cura lepersone, anche con l’aiuto di qualche mole-cola, le fa stare meglio. Ma per il grosso pub-blico la malattia mentale è incurabile e in-guaribile.Veronesi ci ha dato una mano a organizzarela prima conferenza nazionale sulla salutementale. L’abbiamo chiamata prima perchéce ne dovevano essere altre e non ci sonostate.Ho messo in piedi in Valtellina una Comu-nità. C’era una vecchia signora valtellineseche mi aveva chiesto di aiutarla a mettere suuna comunità per vecchie signore matte. InValtellina, quando c’è una matta in famiglia,c’è una ragazza che non si sposa e resta incasa ad accudirla. Lei diceva: questo non devesuccedere più.Per impegnarmi ho posto come unica condi-zione che non fosse abitata da sole donne.Ho trovato l’edificio e in un anno abbiamomesso su una bella comunità costituita da 5uomini e 5 donne.

D. Questo tipo di impresa potrebbe esseretra i vostri compiti?R. Abbiamo Associazioni che gestiscono co-munità. Ma per quanto riguarda quella dellaValtellina essa è sull’orlo della chiusura per-ché la Regione che pagava tutti i 10 postiletto, li sta progressivamente riducendo equesto mette a rischio la sua sopravvivenza.Perché le spese, legate prevalentemente alpersonale, restano invariate e la Regione esi-ge la presenza di personale, come psichiatri einfermieri, di cui lì non c’è bisogno. Con unacollaborazione più elastica le associazioni po-trebbero favorire soluzioni molto semplici erisolvere problemi che attualmente sembra-

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Il contributo dei familiari a una politica di salute mentale

no insolubili.A conclusione di questa nostra intervista, misembra opportuno dedicare poche righe allagrande difficoltà di ottenere risultati in que-sto campo. Non essendo in grado di farciautonomamente un quadro affidabile dellasituazione nel paese, sia per la scarsa colla-borazione delle autorità locali, sia per i pro-blemi delle nostre associate, dobbiamo ba-sarci su quanto reperibile da altre fonti (adesempio le varie ricerche Progres) per il no-stro lavoro che definirei di lobbyng verso l’al-to e di supporto verso il basso. Tentiamo, avolte con successo, di ottenere ascolto daipolitici nazionali e locali attraverso audizio-

ni in Parlamento ed incontri diversi; orga-nizziamo convegni e dibattiti che cerchiamodi far arrivare ai media, anche allo scopo diinfluire sugli amministratori, in genere sen-sibili alla pubblica opinione; non sempre èfacile l’incontro coi tecnici a cui troppo so-vente sfugge l’obbiettivo comune di favorirebuone pratiche per il bene sì del paziente,ma anche di chi se ne cura, per cui ogni criti-ca, pure se costruttiva, viene respinta al mit-tente. Voglio anche ricordare che abbiamoconosciuto tempi migliori, e adesso siamo inuna fase regressiva in cui le collaborazioni, siaal centro che in periferia erano più numerose econ risultati molto più soddisfacenti.

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Ricerche

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Benessere Psicologico e comportamenti a rischio in adolescenzaPsychological well-being and risk behaviors in adolescence

Manuela Zambianchi, Pio E. Ricci BittiDipartimento di Psicologia, Università di Bologna

Parole chiave: comportamenti a rischio; adolescenti; benessere psicologico; prevenzione

RIASSUNTOObiettivi: lo studio ha valutato la relazione tra il benessere psicologico ed il coinvolgimento nei comporta-menti a rischio in adolescenza. Il benessere psicologico in prospettiva eudaimonica è stato definito da Ryff(30) come formato da sei componenti: Autoaccettazione, Autonomia, Relazioni Positive con gli Altri,Padronanza Ambientale, Scopo di Vita, Crescita Personale.Metodologia: un gruppo di 87 adolescenti delle Secondarie Superiori (età media 17,24 anni; dev. st. = 0,45,range 16-18 anni) ha compilato il Questionario “Io e la mia Salute” (4) ed il PWB (35).Risultati: si evidenzia un maggiore coinvolgimento nei comportamenti a rischio dei maschi rispetto allefemmine, mentre non si osservano differenze di genere per il benessere psicologico. L’uso di sostanzestupefacenti è correlato negativamente allo Scopo di Vita, mentre la trasgressione del codice stradale ècorrelata positivamente con l’Autoaccettazione. La devianza sociale correla negativamente con lo Scopo diVita e con la Padronanza Ambientale. La sessualità protetta è correlata positivamente allo Scopo di Vita.I risultati possono fornire alcune indicazioni utili per un approccio integrato alla prevenzione dei compor-tamenti a rischio, focalizzato anche sul potenziamento delle dimensioni del benessere psicologico in adole-scenza.

Key-words: risk behaviors; adolescence; psychological well-being; prevention

S U M M A RYObjectives: the study evaluated the relationship between psychological well-being and involvement in riskbehaviors in adolescence. Psychological well-being in eudaimonic perspective is defined by Ryff (30) asconstituted by six dimensions: Self-Acceptance, Autonomy, Positive Relations with Others, EnvironmentalMastery, Purpose in Life, Personal Growth.Methodology: a sample of 87 adolescents attending Secondary High Schools (mean age 17,24; S.D. = 0,45;range 16-18) filled in the Questionnaire “I and my Health” (4) and PWB Questionnaire (35).

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Benessere Psicologico e comportamenti a rischio in adolescenza

IntroduzioneIl tema del benessere e della qualità della vitaha conosciuto negli ultimi due decenni uncrescente interesse sul piano della ricerca edelle prospettive di intervento. La Psicolo-gia Positiva (33) ha focalizzato la sua atten-zione sulle risorse, le capacità e le potenziali-tà dell’individuo, anzichè rivolgere la sua at-tenzione agli aspetti più critici e ai deficitindividuali (9).Gli studi sulla percezione e valutazione sog-gettive del benessere si rifanno a due fonda-mentali prospettive, la prospettiva edonica ela prospettiva eudaimonica (28,30,37,29).Mentre la prospettiva edonica (benessere sog-gettivo) definisce il benessere e la felicità comecondizione derivante dall’equilibrio tra affet-tività negativa ed affettività positiva, assie-me ad una elevata soddisfazione per la vita,la prospettiva eudaimonica, che si rifà al pen-siero aristotelico espresso nell’Etica Nicoma-chea, sostiene che il benessere dell’individuoderiva dalla realizzazione delle potenzialità edei talenti posseduti all’interno della società.La prospettiva eudaimonica (benessere psi-cologico) porta la sua attenzione alla relazio-ne tra condizione di benessere percepito dalsingolo e sviluppo della collettività, raccor-dando in questo modo lo sviluppo positivo ela capacità di contribuire alla società attra-verso le proprie risorse e le proprie qualità,riaffermando la stretta interdipendenza tra

Results: males are more involved in risk behaviors than females, while we dont’ observe gender differencesfor psychological well-being. Drug use is negatively correlated with Purpose in Life, while risky drivingis positively correlated with SelfAcceptance. Social deviance is negatively correlated with Purpose in Lifeand with Environmental Mastery. Safety sex is positively correlated with Purpose in Life.The results can provide some suggestions for an integrated approach to risk prevention, where theenancement of psychological well-being could be seen as a protective factor in adolescence.

individuo e sistema culturale, visto come datoinequivocabile e strutturale della naturaumana (9).Ryff (30) ha elaborato una concezione del be-nessere psicologico che si esprime in seidimensioni fondamentali:Autonomia: quanto la persona è determinatae indipendente; è capace di resistere alle pres-sioni sociali e di regolare il proprio compor-tamento sulla base di regole e/o valori perso-nali;Padronanza ambientale: quanto la persona haun senso di padronanza e competenza nelgestire l’ambiente; quanto fa fronte ad unavasta gamma di attività; quanto fa buon usodelle opportunità offerte dalle circostanze;Crescita personale: quanto la persona ha la sen-sazione di essere in continuo sviluppo, si per-cepisce in crescita ed espansione, è aperta anuove esperienze e sente di poter svilupparele sue potenzialità; quanto sta cambiando inmodi che riflettono una maggiore conoscen-za di sé ed una maggiore efficacia;Relazioni positive con gli altri: quanto la perso-na ha relazioni interpersonali affettivamentesignificative, soddisfacenti e basate su unareciproca fiducia; si preoccupa del benesserealtrui ed è capace di empatia;Scopo di vita: quanto la persona ha degli obiet-tivi da raggiungere ed un forte senso di dire-zionalità; quanto sostiene convinzioni e per-segue obiettivi che danno uno scopo alla sua

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vita;Accettazione di sé: quanto la persona ha un at-teggiamento positivo verso se stessa; rico-nosce e accetta i diversi aspetti di sé, com-prese le buone e le cattive qualità.Ryff e Singer (31) hanno considerato i cam-biamenti del livello di benessere psicologicopercepito in tre fasi di vita, l’età di giovane-adulto, l’età adulta, l’età anziana, evidenzian-do che le dimensioni di Autonomia e Padro-nanza Ambientale tendono ad aumentare conil progredire dell’età, molto probabilmentegrazie all’acquisizione di esperienze e com-petenze che portano l’individuo a sperimen-tare un maggiore senso di autoefficacia neiconfronti dell’ambiente. Due le dimensioniche raggiungono il punteggio più elevatonell’età giovanile, lo Scopo di Vita e la Cre-scita Personale, mentre le Relazioni Positivecon gli Altri e l’Autoaccettazione tendono amantenere valori stabili nell’arco delle vita.Una ricerca italiana (35) ha evidenziato chela Crescita Personale raggiunge il punteggiopiù elevato in età giovanile per poi decresce-re in età adulta ed in età anziana, mentre laPadronanza Ambientale si accresce col pro-gredire dell’età. La ricerca ha anche eviden-ziato differenze legate al genere: i maschi pre-sentano punteggi più elevati in tutte le di-mensioni del benessere ad eccezione delle Re-lazioni Positive con gli Altri.L’adolescenza rappresenta una fase di vita incui vengono affrontati diversi “compiti disviluppo” tra i quali la costruzione dell’iden-tità, la separazione-individuazione dal con-testo familiare di origine, la creazione di unrapporto con il contesto sociale che permet-ta al giovane di esprimere le proprie poten-zialità, l’individuazione di progetti di vitacollocati in un futuro a medio e lungo termi-ne su cui far convergere le energie motiva-zionali (8,24).Il benessere psicologico può rappresentare un

indicatore rilevante di sviluppo positivo inquesta fase della vita, dal momento che co-glie proprio aspetti legati sia allo sviluppo diun positivo senso del sé (dimensione dell’Au-toaccettazione e dell’Autonomia), sia allosviluppo di relazioni intime e fidate (dimen-sione delle Relazioni Positive con gli Altri),sia allo sviluppo della progettualità di vita,unita ad un senso di crescita interiore e com-petenza ambientale (dimensioni degli scopidi vita, crescita personale e padronanza am-bientale).Diversi studi hanno confermato la validitàdi interventi su diverse fasce di popolazionebasati sullo sviluppo del benessere psicologi-co: Ruini e Fava (27); Ruini et al. (26) hannoevidenziato il ruolo di un intervento basatosulla promozione del benessere psicologicoin adolescenza per la riduzione del distress ascuola e lo sviluppo positivo.Guidi e Fava (14) sostengono che un deficitnelle dimensioni del benessere psicologicopuò contribuire ad accrescere la sofferenzapsicologica e la vulnerabilità individuale,mentre la presenza di un elevato benesserepuò facilitare lo strutturarsi di percorsi posi-tivi di crescita.L’adolescenza è una fase della vita spesso ca-ratterizzata dalla comparsa di condotte ri-schiose per il benessere psicofisico dell’indi-viduo. Tali condotte, come il fumo di siga-retta, l’uso di sostanze psicoattive e di alcol,la guida pericolosa e trasgressiva del CodiceStradale, gli atti di vandalismo nei confrontidelle istituzioni come la scuola sono in gra-do di compromettere sia la salute (basti pen-sare alle conseguenze a lungo termine delfumo di sigaretta o di un incidente stradale),sia lo sviluppo di competenze cognitive, so-ciali e scolastiche (come nel caso della de-vianza sociale). Le competenze nei diversiambiti di funzionamento costituiscono pre-requisiti indispensabili per lo stabilirsi di un

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rapporto costruttivo e soddisfacente con icontesti sociali di vita (22).Diversi approcci teorici hanno caratteriz-zato lo studio dei fattori connessi all’ado-zione dei comportamenti di rischio e, vice-versa, dei fattori che invece favoriscono l’in-staurarsi di stili di vita sani.Tra questi, i modelli derivanti dalla SocialCognition come la Teoria del Comporta-mento Pianificato (1) o il Modello HAPA(Health Action Process Approach) (32), consi-derano le intenzioni comportamentali comeelemento-chiave per comprendere il coin-volgimento nei rischi per la salute o vice-versa l’impegno in comportamenti saluta-ri, assieme alle norme soggettive, alla per-cezione di autoefficacia ed alla pianificazio-ne dei comportamenti di dissuasione e ces-sazione del comportamento a rischio. Ca-pone e Petrillo (7), in uno studio che ha va-lutato il modello HAPA per la cessazio-ne del fumo di sigaretta negli adolescentihanno fatto emergere il ruolo positivo del-l’intenzione di smettere di fumare e dellapianificazione del comportamento nel rag-giungimento dell’obiettivo. Percepire inol-tre una buona autoefficacia nel coping (es-sere capace di astenersi dal fumo anche sequalcuno offre una sigaretta o quando si èsotto stress) favorisce l’abbandono di que-sto comportamento lesivo della salute so-prattutto negli adolescenti più grandi.Un approccio più specifico alle caratteristi-che ed alle problematiche dell’età adolescen-ziale è stato elaborato da Jessor (15,16,17).Questo approccio, a fondamento sistemi-co-interazionista (6) definisce i comporta-menti a rischio in adolescenza come la ri-sultante dell’interazione dinamica tra tresistemi, il sistema di personalità, il sistemaambientale, ed il sistema comportamenta-le. Il modello sistemico di Jessor inoltreintroduce i concetti di fattori di rischio e

fattori di protezione, intendendo con i pri-mi quelle variabili individuali e socio-con-testuali che aumentano la probabilità di uncoinvolgimento nelle condotte lesive dellasalute, ed i secondi invece come quelle va-riabili che riducono l’implicazione nei ri-schi o moderano l’impatto dei fattori di ri-schio. Diverse ricerche condotte utilizzan-do il modello sistemico di Jessor hanno va-lutato il ruolo svolto dai fattori individualie contestuali nell’adozione delle condotterischiose da parte degli adolescenti. Jessor(17), Bonino et al. (3,5) e Molinar et al.,(21) hanno evidenziato l’importanza dellamotivazione scolastica, dell’autostima, dellafamiglia e della scuola nella prevenzione deirischi e nella promozione di comportamen-ti salutari. In particolare, le ultime due ri-cerche citate hanno sottolineato come i di-versi comportamenti a rischio possiedanofattori predittivi in parte differenti: ad esem-pio, l’uso di sostanze stupefacenti è predet-to da eventi critici negativi e da strategie dicoping inefficaci come l’evitamento; il ri-schio stradale è predetto dalla ricerca di fortiemozioni e dal bisogno di mettersi alla provaper verificare le proprie capacità; il fumo disigaretta appare associato al desiderio diadultità, che si esprime qui nella conquistadi un comportamento sanzionato nei mi-nori ma approvato in età adulta. Vieno etal. (36), hanno confermato la rilevanza dellivello di funzionamento della famiglia, delcomportamento del gruppo dei pari e deglieventi negativi della vita nell’abuso di alco-lici in adolescenza. I comportamenti a ri-schio tendono inoltre ad essere influenzatidal genere: i maschi appaiono più coinvoltinei comportamenti trasgressivi del CodiceStradale, nell’utilizzo delle droghe e nell’usosmodato di alcol, mentre il fumo di siga-retta appare oggi un comportamento uti-lizzato in modo simile da ragazzi e ragazze

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(3,5).Ulteriori approfondimenti sui fattori di pro-tezione e di rischio hanno considerato il ruo-lo dell’organizzazione temporale degli ado-lescenti nell’estrinsecarsi delle condotte dirischio e nell’adozione di pratiche salutari.Keough et al. (18) hanno evidenziato comei giovani che possiedono una prospettivaorientata essenzialmente sul futuro tendo-no ad aderire in misura minore alle condot-te lesive della salute, mentre coloro chepossiedono una prospettiva temporale orien-tata sul presente tendono ad adottare piùfrequentemente comportamenti rischiosi perla salute. Zambianchi, Ricci Bitti e Gremi-gni (39) hanno confermato che il possessodi una prospettiva temporale centrata sulfuturo, assieme alla capacità di regolare eorganizzare l’agenda quotidiana e scolasticaesplicano una funzione di protezione, men-tre il possesso di una temporalità centratasul presente favorisce l’adozione delle diversecondotte rischiose (alcol, fumo, devianza so-ciale, guida pericolosa, droghe).Un ulteriore approccio allo studio dei fat-tori predisponenti i rischi per la salute èquello proposto da Emmons (10) che consi-dera il rapporto tra obiettivi di vita (strivin-gs) e adozione di pratiche rischiose in adole-scenza ed età giovanile. Secondo Emmons,i diversi comportamenti a rischio sarebbe-ro funzionali al raggiungimento di specificiscopi di vita, facilitandone il conseguimen-to. Porretta, Cicognani e Zani (23) hannovalutato il ruolo rivestito dall’uso di alcol edroghe nel raggiungimento di obiettivi divita relativi agli studi accademici e alla co-struzione di nuove reti di amicizia negli stu-denti universitari. I risultati mostrano chel’uso di bevande alcoliche serve ai giovaniper creare o rafforzare nuove socialità digruppo, mentre il consumo di droghe è le-gato alla crescita personale ed al benessere.

La motivazione al consumo è legata princi-palmente al piacere che deriva da questaesperienza. Obiettivi di vita legati al suc-cesso negli studi accademici invece fungo-no da deterrente nei confronti dell’alcol edelle droghe. Giannotta et al. (11), inseren-dosi sempre in questo filone di indaginevolto ad approfondire le funzioni dei com-portamenti rischiosi per la salute in adole-scenza, hanno evidenziato la funzione disperimentazione delle novità e di apparte-nenza al gruppo nell’uso di sostanze stupe-facenti.La promozione del benessere e dello svilup-po positivo, oggetto di studio da parte del-la Psicologia Positiva, porta all’attenzioneil possibile ruolo svolto dal benessere psi-cologico nel coinvolgimento nelle condot-te a rischio o viceversa nella promozione dicondotte salutari. La prospettiva del benes-sere nel suo enfatizzare l’attualizzazionedelle potenzialità individuali e dei talentiall’interno di un indissolubile intreccio in-dividuo-società rappresenta un’ottica diparticolare rilevanza in questa fase della vita,quando si assiste alla nascita sociale del gio-vane ed ai primi tentativi di acquisire con-sapevolezza delle proprie capacità e deside-ri, che si tradurranno poi in progetti nei di-versi ambiti di vita. Come già sottolineatoda Guidi e Fava (14), il benessere psicologi-co rappresenta un fattore cruciale nelle di-verse fasi della vita per la prevenzione deiquadri psicopatologici come la depressioneo i disturbi psicosomatici e per la contem-poranea promozione delle potenzialità sanedell’individuo.Comprendere il legame esistente tra le com-ponenti del benessere psicologico e le con-dotte rischiose potrebbe quindi fornire indi-cazioni utili sia alla comprensione dei fattoriche favoriscono l’astenersi dalle condotte dirischio, sia per la predisposizione di program-

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mi preventivi appositamente indirizzati aquesta fase specifica della vita.

Obiettivi ed ipotesiLa ricerca si è posta i seguenti obiettivi:- valutazione del livello di benessere psico-

logico esperito dagli adolescenti e frequen-za di coinvolgimento nei rischi per la sa-lute e psicosociali;

- influenza del genere sul coinvolgimentonelle condotte rischiose e sul benessere psi-cologico. Si ritiene, sulla base della lette-ratura scientifica corrente, che i maschisiano maggiormente coinvolti nei com-portamenti a rischio rispetto alle femmi-ne e che i maschi possiedano un livellopiù elevato di benessere psicologico rispet-to alle femmine;

- valutazione della relazione tra comporta-menti a rischio e benessere psicologico. Siipotizza che i comportamenti a rischiomostrino una correlazione negativa con ilbenessere psicologico, ed in particolare conle dimensioni dello Scopo di Vita e dellaPadronanza Ambientale, considerato illoro legame con la progettualità orientataal futuro e la capacità di agire con compe-tenza costruttiva nell’ambiente di vita. Siipotizza invece che alcuni comportamen-ti rischiosi quali il rischio stradale ed ilfumo di sigaretta, per le funzioni di speri-mentazione e affermazione di sè, di adul-tità ed emulazione dei compagni che sonostate individuate da alcune ricerche pre-cedenti, siano correlati positivamente alledimensioni dell’Autonomia e Autoaccet-tazione.

MetodologiaSoggettiHanno partecipato allo studio 87 adolescen-ti (età media 17, 24 anni, D.S. = 0,45, range16-18; 25 maschi e 62 femmine) frequen-

tanti una Scuola Secondaria Superiore (LiceoScientifico).Essi hanno compilato in classe i questionari,previo accordo con il Dirigente Scolasticoed i Docenti.La compilazione ha richiesto mediamenteun’ora; l’accoglienza è stata buona in ogniclasse.

StrumentiSono stati utilizzati i seguenti questionari self-report:- Questionario sul Benessere Psicologico

(PWB) (Ryff, 1989; validazione italianaRuini et al., 2003; qui nella versione diSteca et al., 2002); è composto da 60 iteme comprende sei dimensioni con 10 itemciascuna: Autoaccettazione (es. di item:“di massima, mi sento soddisfatto di chisono e della vita che conduco”; Alpha diCronbach = 0,87); Relazioni Positive congli Altri (es. di item: “ho la sensazione diaver ricevuto molto dalle mie amicizie”;Alpha di Cronbach = 0,82); Autonomia(es. di item: “ho fiducia nelle mie opinio-ni anche se sono contrarie al modo gene-rale di pensare”; Alpha di Cronbach=0,63); Padronanza Ambientale (es. diitem: “in generale ho la sensazione di ave-re il controllo della situazione in cui vivo”;Alpha di Cronbach = 0,79); Scopo di Vita(es. di item: “ho un senso di direzione edei propositi nella vita”; Alpha di Cron-bach = 0,74); Crescita Personale (es. diitem: “ho la sensazione di essere cresciutomolto come persona nel corso del tem-po”; Alpha di Cronbach = 0,60). Scalaglobale: Alpha di Cronbach = 0,78. Lascala è una Likert a 6 punti (1 = non è ilmio caso; 6 = è proprio così).

- Questionario “Io e la mia salute” (15), nellavalidazione italiana di Bonino (4). E’ com-posto da 16 item che valutano la frequen-

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za di coinvolgimento nell’ultimo anno neiseguenti comportamenti a rischio: uso disostanze stupefacenti (marjiuana, ecstasy,eroina e cocaina), Alpha di Cronbach = 0,92;uso di alcolici (vino, birra, superalcolici), Al-pha di Cronbach =0,68; rischio stradale(oltrepassare i limiti di velocità, passare con ilsemaforo rosso, tagliare la strada, non mante-nere le distanze di sicurezza), Alpha di Cron-bach = 0,68; sessualità protetta1 (utilizzodel preservativo; utilizzo di altre protezionicome pillola, spirale); devianza sociale (ri-corso alla menzogna, aggressività verbale e fi-sica, danneggiamento delle proprietà pubbli-che, assenteismo scolastico), Alpha di Cronba-ch =0,62; fumo di sigaretta; Alpha diCronbach per scala globale = 0,84. La scalavalutativa è una Likert a 5 punti (1 = mai;5 = sempre)

Analisi statisticheSono state dapprima calcolate medie, devia-zioni standard, asimmetria e curtosi dellevariabili prese in esame. Successivamente duemodelli MANOVA hanno valutato la pre-senza di differenze in base al genere per ilbenessere psicologico ed il coinvolgimentonei rischi per la salute e psicosociali. Infine èstata eseguita un’analisi delle correlazioni (rdi Pearson per le variabili con distribuzionenormale gaussiana e Rho di Spearman per levariabili non parametriche) per valutare lerelazioni esistenti tra le dimensioni del be-nessere psicologico ed i comportamenti a ri-schio.

RisultatiCaratteristiche del benessere psicologico e

coinvolgimento nei comportamenti a rischioGli adolescenti presentano i punteggi più ele-vati sulle dimensioni della Crescita Persona-le e delle Relazioni Positive con gli Altri,mentre l’area di maggiore criticità è rappre-sentata dall’Autonomia. Globalmente essipresentano un livello medio-alto di benesse-re psicologico. Per quanto riguarda i rischiper la salute e psicosociali, si nota in genera-le un basso livello di coinvolgimento in cia-scuno dei rischi presi in considerazione e nel-l’indice globale di coinvolgimento, comeevidenzia la distribuzione non gaussiana maleptocurtica di molti indici di rischio (con ipunteggi raccolti nella parte sinistra delladistribuzione, dove si hanno valori moltobassi di frequenza). L’uso di bevande alcoli-che rappresenta il comportamento di rischiopiù frequente, mentre emerge un elevato li-vello di protezione nel caso dei rapporti ses-suali. (v. tabelle 1 e 2).

Influenza del genere sul benessere psicologi-co e sul coinvolgimento nei rischi per la salu-te e psicosocialiUn modello MANOVA ha evidenziato uneffetto globale del genere sui comportamen-ti di rischio (Lambda di Wilks = 0,61; F =6,23; p<,001). Le successive Anova Univa-riata hanno evidenziato un maggiore coin-volgimento nell’uso di alcol da parte deimaschi rispetto alle femmine (F = 11,08;p<,001; M = 3,09; F = 2,12, Scheffè posthoc test: p<,001), un maggiore coinvolgi-mento dei maschi rispetto alle femmine nel-l’assunzione di droghe (F = 10,31; p<,001;M = 1,42; F = 1,03, Scheffè post hoc test:p<,01). I maschi risultano più coinvolti an-

1 Coerentemente con il questionario utilizzato, per quanto concerne il comportamento sessuale è stato utiliz-zato il concetto di “sessualità protetta”, che esprime, a differenza di tutti gli altri comportamenti a rischioinclusi nella ricerca, la dimensione protettiva e non di rischio.

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che nei comportamenti rischiosi a livello stra-dale (F = 16,14; M = 2,31; F = 1,43, Schef-fè post hoc test: p<,001) e nella devianzasociale (F = 8,33; p<,01; M = 2,03; F =1,58, Scheffè post hoc test: p<,01). Gli ado-lescenti maschi presentano inoltre un indiceglobale di implicazione nel rischio più eleva-to (F = 12,96; p<,001; M = 2,24; F = 1,61,Scheffè post hoc test: p<,001). Non si sonoevidenziate differenze in base al genere per irestanti rischi considerati e per il benesserepsicologico.

Correlazioni tra il benessere psicologico ed icomportamenti di rischio per la salute e psi-cosocialiL’analisi correlazionale (r di Pearson per levariabili a distribuzione normale-gaussiana erho di Spearmann per le variabili a distribu-zione non gaussiana) ha evidenziato una cor-

relazione positiva tra la sessualità protetta ela dimensione dello Scopo di Vita. La devianzasociale mostra una correlazione negativa conlo Scopo di Vita e con la Padronanza Am-bientale, mentre l’uso di droghe mostra unacorrelazione negativa con lo Scopo di Vita.Il coinvolgimento nel rischio stradale è cor-relato positivamente con l’Autoaccettazio-ne, mentre il fumo di sigaretta è correlatopositivamente con la Crescita Personale (v.tabella 3).

Discussione e ConclusioniLa ricerca ha approfondito le relazioni tra ilbenessere psicologico ed il livello di coinvol-gimento nei comportamenti di rischio per lasalute e psicosociali in un gruppo di adole-scenti. I risultati mostrano come gli adole-scenti considerati presentino in generale unbasso livello di coinvolgimento nei diversi

Tabella 1 - Medie, deviazioni standard, asimmetria e curtosi relativi alle dimensioni del benessere psicologico

Tabella 2 - Medie, deviazioni standard, asimmetria e curtosi relative ai comportamenti a rischio per la salutee psicosociali

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rischi considerati e questo conferma i risul-tati di precedenti ricerche italiane (3,38) chehanno evidenziato l’influenza del tipo di scuo-la frequentata nell’adesione alle condotte ri-schiose. Gli adolescenti che hanno parteci-pato allo studio frequentano infatti tutti ilLiceo, indirizzo scolastico dove si registranoi minori livelli di coinvolgimento nei com-portamenti di rischio.Il genere si conferma anche nel presente stu-dio una variabile differenziale importante: imaschi tendono infatti ad aderire maggior-mente ai diversi rischi rispetto alle femmi-ne, con l’eccezione del fumo di sigaretta, chemostra un eguale coinvolgimento dei duesessi, dato che viene evidenziato anche da altrericerche (5).Il benessere psicologico presenta punteggi piùelevati nella dimensione della Crescita Perso-nale, nello Scopo di Vita e nelle Relazioni Posi-tive con gli Altri, indicando la presenza di unaelevata progettualità futura assieme alla per-cezione di evoluzione e di sviluppo dovuto aiprocessi di apprendimento e crescita perso-

nali. Il punteggio abbastanza elevato relati-vo alle Relazioni positive con gli Altri confer-ma quanto evidenziato dallo studio di Stecaet al. (35).Il benessere psicologico non presenta diffe-renze in base al genere, non confermando inquesto caso i risultati di Steca et al. (35); ciòpotrebbe essere dovuto ad un mutamentodelle opportunità sociali offerte a ragazzi eragazze ed un conseguente aumento del li-vello di aspirazioni, competenza e autoeffi-cacia delle ragazze, oppure ad un mutamen-to degli stili educativi con una maggioreuniformità in rapporto all’identità di genere.La ricerca ha messo in evidenza il ruolo delladimensione Scopo di Vita, nella protezione dacondotte di rischio. Diversi comportamentidi rischio infatti sono negativamente corre-lati con questa dimensione, che secondo Ryff(30) rappresenta una delle dimensioni basi-lari del benessere. L’utilizzo di droghe comel’eroina, l’ecstasy e la marijuana ed i com-portamenti distruttivi ed offensivi a livellosociale (come le liti, la menzogna, gli atti di

Tabella 3 - Correlazioni tra comportamenti a rischio e dimensioni del benessere psicologico.

Sessualità

* p< ,05 / ** p<,01

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vandalismo nei confronti delle istituzioni) di-minuiscono la progettualità e la presenza discopi di vita. Coloro che si coinvolgono inquesti rischi infatti tendono a trarre poca sod-disfazione dalla valutazione su ciò che hannorealizzato, a concentrarsi poco sul futuro e siritengono poco capaci di realizzare i progettiche si prefiggono, segnalando una scarsa au-toefficacia ed un locus of control prevalente-mente esterno. Possedere un senso di dire-zionalità e propositi nella vita implica la ca-pacità di pianificare e visualizzare il futuro,entro cui collocare idee, progetti nelle diffe-renti aree di vita; tale capacità richiama ilcostrutto di prospettiva temporale ed in par-ticolare l’importanza dell’orientamento ver-so il futuro per il benessere delle generazionipiù giovani (24). La presenza di comporta-menti a rischio potrebbe incidere negativa-mente sulla capacità di formulare progettiper la realizzazione delle proprie potenziali-tà, portando gli adolescenti verso una realiz-zazione di attività e obiettivi prevalentemen-te centrati sul presente.I dati della presente ricerca fanno emergereuna sostanziale differenza tra la prospettivaedonica e la prospettiva eudaimonica del be-nessere e la sua relazione con le condotte ri-schiose. Mentre infatti la ricerca condotta daPorretta, Cicognani e Zani (23), ha eviden-ziato l’efficacia percepita dell’uso di alcol edroghe nel facilitare il raggiungimento di spe-cifici scopi di vita, i risultati emersi utiliz-zando la prospettiva eudaimonica del benes-sere fanno rilevare al contrario una relazionenegativa tra comportamento a rischio e sco-pi di vita. Il benessere edonico infatti ha comescopo fondamentale il raggiungimento dellafelicità attraverso la ricerca di un equilibrioemozionale e la soddisfazione per la propriavita, entrambi però centrati sul presente,come si evidenzia dalle caratteristiche degliscopi di vita. Il benessere eudaimonico (o

psicologico) da noi considerato invece, po-nendo l’accento sulle sfide legate allo svilup-po delle abilità e potenzialità individuali e larealizzazione di scopi di vita attualizzati en-tro la realtà sociale, propone un modello dibenessere in cui i fattori efficaci per il suoraggiungimento non includono l’uso di com-portamenti rischiosi per la salute, ma piut-tosto la presenza di competenze quali la pia-nificazione, la capacità di mettersi in rela-zione costruttiva con l’ambiente sociale e dipartecipare alla comunità con progetti orien-tati al futuro. Nella ricerca di Porretta et al.(23), inoltre, il raggiungimento degli obiet-tivi legati agli studi universitari intrapresi nonè associato all’utilizzo di alcol o sostanze stu-pefacenti, segnalando in tal modo che questicomportamenti non vengono ritenuti utili perobiettivi collocati nel tempo futuro e legatiallo sviluppo culturale e professionale ed av-valorando l’importanza del benessere intesocome sviluppo delle potenzialità e dei talen-ti per la riduzione dei comportamenti rischio-si in questa fase di vita.La sessualità protetta invece è correlata posi-tivamente allo Scopo di Vita, confermandodiversi studi (20,40) in cui si evidenzia chesono i giovani che possiedono progetti e sco-pi a lungo termine (come la riuscita neglistudi, la formazione futura di una propria fa-miglia, la costruzione di una carriera profes-sionale) a voler evitare di incorrere in malat-tie sessualmente trasmissibili o una gravidan-za precoce, eventi che metterebbero sicura-mente a repentaglio i progetti delineati edesiderati. La pianificazione della sessualitàrichiede inoltre buone capacità di autorego-lazione della condotta, competenza indispen-sabile per l’impegno e la costanza nel perse-guire obiettivi posti in un futuro a medio e/olungo termine. L’impegno verso i progettifuturi è una delle componenti dello Scopo diVita ed è agevolato dalla propensione alla

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scelta di azioni e comportamenti che possa-no favorirne la realizzazione. Il risultato con-ferma perciò che non è la sessualità in etàadolescenziale ad essere un fattore di rischioin sè, quanto una sessualità senza adeguateprotezioni a rivelarsi fattore in grado di com-promettere la realizzazione delle proprie po-tenzialità.La Padronanza Ambientale è correlata negati-vamente alla presenza di comportamentiantisociali e devianti. Questo dato è partico-larmente interessante, specie se collegato allarelazione negativa emersa anche tra devian-za e Scopo di Vita. Rifacendosi al concetto di“competenza ambientale” di Lawton (19),definito come la capacità di scegliere di vi-vere nell’ambiente più adatto alle proprieesigenze o modificarlo in parte per soddisfa-re meglio i propri bisogni, definizione cherichiama il concetto di proattività ed agenti-cità elaborato da Bandura (2) e Greenglass(13), una minore competenza ambientale nel-la tarda adolescenza può avere ripercussionimolto profonde nelle successive età della vita.Possedere infatti una scarsa capacità di co-struire positivamente il proprio rapportocon il contesto ambientale e contemporane-amente incontrare difficoltà ad individuareprogetti e scopi per il futuro può aumentareil rischio di disadattamento e creare i pre-supposti per difficoltà rilevanti in ogni am-bito della vita.Il fumo di sigaretta invece appare correlatopositivamente alla Crescita Personale, confer-mando la sua funzione di dichiarazione diadultità, aspetto che già altre ricerche ave-vano messo in luce (5,11). Coloro che inizia-no a fumare e consolidano questo comporta-mento tendono ad utilizzarlo per segnalareagli altri significativi (genitori, amici, com-pagni di classe) la presenza di una personagià vicina all’età adulta, quando il fumo disigaretta non appare più socialmente sanzio-

nato, ma un normale comportamento accet-tato a livello sociale (34,12).Coloro che rischiano alla guida di un veicolo(passando con il rosso, tagliando la strada adun altro veicolo, superando i limiti di velo-cità) presentano un più elevato senso di Au-toaccettazione, il quale comprende un atteg-giamento positivo verso se stessi, alla valu-tazione delle proprie caratteristiche di per-sonalità ed al confronto con amici e cono-scenti per la propria autostima. La correla-zione positiva che è emersa tra questo speci-fico rischio e l’Autoaccettazione può essere spie-gata facendo riferimento alle funzioni dellaguida trasgressiva e pericolosa. Bonino et al.(3), hanno identificato nello sviluppo del-l’identità maschile (il rischio stradale è pre-valentemente un comportamento maschile),nell’acquisizione di autonomia, adultità, e af-fermazione di sè le sue principali funzioni.La dimensione dell’Autoaccettazione, che com-prende la valutazione personale delle qualitàpossedute e, contemporaneamente, il con-fronto con gli altri significativi, conferma ul-teriormente questa funzione posseduta dalrischio stradale.Non si è invece evidenziata alcuna relazionesignificativa con la dimensione dell’Autono-mia, come si era invece ipotizzato. Il risulta-to può essere spiegato pensando che questascala del benessere psicologico fa riferimen-to alla capacità di resistere alle pressioni so-ciali ed alla formazione di un proprio puntodi vista, abilità forse più tipiche dei giovaniadulti e degli adulti rispetto agli adolescenti,per i quali l’autonomia si esprime nella pro-gressiva autonomizzazione dalla famiglia,mentre la costruzione di una propria visionevaloriale appare un processo ancora agli sta-di iniziali.La ricerca presenta alcuni limiti importanti,di cui occorre tenere conto. Anzitutto essa èstata condotta solo su uno specifico indirizzo

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Benessere Psicologico e comportamenti a rischio in adolescenza

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zioni specifiche che conducono i giovani adadottare l’uno o l’altro di tali comportamen-ti. Inoltre le associazioni evidenziate tra ledimensioni del benessere psicologico ed icomportamenti a rischio indicano la possi-bilità di intervenire attraverso attività e pro-getti volti a far raggiungere ai giovani unbuon livello di Autoaccettazione e Crescita Per-sonale attraverso l’acquisizione di abilità el’adozione di attività non rischiose. Esse in-dicano inoltre che l’incremento della capaci-tà di visualizzare idee e progetti di vita dacollocare in un futuro a medio e lungo ter-mine può fungere da fattore protettivo neiconfronti dei rischi per la salute e psicosocia-li, assieme al potenziamento dell’autoeffica-cia e della “agenticità” proattiva per svilup-pare una maggiore competenza ambientale,che rende possibile il raggiungimento diobiettivi e la costruzione di relazioni socialipositive.

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Il fattore stress lavoro-correlato come determinante del-l’ipertensione essenzialeThe factor work-related stress as a determinant of essential hypertension

Sonia Rosaria PetrosinoDottorato di Ricerca in Ambiente, Prevenzione e Medicina Pubblica, Università degliStudi di Napoli “Federico II”, Dipartimento di scienze mediche preventive, Sezione igie-ne e medicina preventiva

Oreste Caporale, Rossella Bellopede, Fabio Savoia, Annunziata Germano,Francesca GaldoUniversità degli Studi di Napoli “Federico II”, Dipartimento di scienze mediche preven-tive, Sezione igiene e medicina preventiva

Maria TriassiDirettore del Dipartimento di scienze mediche preventive, Sezione igiene e medicinapreventiva, Università degli Studi di Napoli “Federico II”

Parole chiave: stress, conversione psicosomatica, ipertensione, stress lavoro-correlato, valutazione rischiostress lavoro-correlato

RIASSUNTOObiettivo: lo stress è un fondamentale meccanismo adattativo dell’organismo; d’altra parte, però, i fattoristressanti (stressors) in situazioni particolari possono determinare danni per la salute, tra i quali è possibileconsiderare l’ipertensione essenziale che costituisce una frequente forma di conversione psicosomatica,soprattutto nei Paesi avanzati. Scopo del presente lavoro è stato quello di valutare alcuni elementi organiz-zativi delle attività lavorative considerati rilevanti fattori stressanti, al fine di promuovere il benessere e lasalute dei lavoratori.Metodologia: gli autori esaminano i dati relativi alla prevalenza dell’ipertensione correlata a diverse attivitàlavorative, opportunamente classificate in attività di tipo “usurante” e “non usurante”, in 6260 lavoratoridel Comune di Napoli sorvegliati tra il 2009 e il 2011 presso il Dipartimento di Scienze Mediche Preven-tive di Napoli. Un ulteriore studio epidemiologico osservazionale di tipo Caso-Controllo permette di

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Il fattore stress lavoro-correlato come determinante dell’ipertensione essenziale

IntroduzioneLo stress è una delle funzioni vitali dell’or-ganismo e, al tempo stesso, una delle con-seguenze più gravi della società industriale.Pur essendo, infatti, da sempre, una rispo-sta comportamentale molto efficace per l’uo-mo, l’uomo “contemporaneo” tenta con fa-tica ad adattarsi ai ritmi della vita del XXIsecolo, caratterizzata soprattutto dalla ve-locità di circolazione delle informazioni, dicambiamenti e quindi da richieste di com-portamenti sempre più efficaci e tempesti-vi. Lo stress è, quindi, una potenziale causadi patologie in conseguenza della pressionecostante sull’individuo, per cui l’organismosi trova costretto a modificare la sua nor-male fisiologia (per esempio: accelerazionedel battito cardiaco, aumentata pressionesanguigna). Gli “stressor”, i cosiddetti fat-tori stressanti, agiscono in modo diverso a

seconda dei soggetti, contribuendo alla ge-nesi di una conversione di carattere somati-co. Soprattutto per l’ipertensione arteriosasembra essere fondamentale la determinan-te emozionale, già indicata da Alexander nel1939 con il termine di “personalità iperten-siva” (1), per cui i fattori neuro-psichici gio-cano una parte importante nella genesi enella stabilizzazione della pressione arterio-sa. Nell’iperteso la reazione agli stimoliesterni è notevolmente maggiore: la ricer-ca psicoanalitica ha potuto mostrare che gliipertesi sono continuamente in uno stato diforte pressione interna e di tensione psichi-ca. Ciò che in ogni individuo rappresentauna reazione fisiologica, ovvero la capacitàdi rispondere a stimoli interni ed esterni dideterminata natura con un innalzamentodella pressione ematica, negli ipertesi noncostituisce più una possibilità di reazione,

analizzare ed ottenere informazioni circa l’implicazione dei fattori stressogeni e quindi della mansionelavorativa nell’insorgenza dell’ipertensione arteriosa nei lavoratori inclusi nello studio.Risultati: dai dati esaminati risulta evidente che non è sempre possibile e facilmente identificabile unacorrelazione diretta tra attività usuranti oggetto di valutazione e ipertensione, ma che piuttosto vi sonoulteriori fattori individuali o di organizzazione che intervengono nel determinare tale correlazione.

Key words: stress, psychosomatic conversion, hypertension, stress work-related, stress work-related evaluation.

S U M M A RYObjectives: stress is a fundamental adaptive mechanism of the organism, on the other hand, the stress factors(stressors) can cause damage to health in certain situations, among the stressors, essential hypertension canbe considered a frequent psychosomatic form of conversion especially in advanced countries. The aim ofthis work has been to evaluate some organizational elements of work activities considered as importantstressors, in order to promote worker welfare and health.Methods and materials: the authors examine data concerning the prevalence of hypertension related to differentwork activities, properly classified in “strenuous” and “non strenuous” activities, considering 6260 workersof the city of Naples monitored by Department of Preventive Medical Sciences of Naples between 2009and 2011. A further observational epidemiological study of case-control kind allows to analyze and obtaininformation about the implication of the stress-factors and therefore of the related jobs in the onset of arteryhypertension in workers included in the study.Results: from the data we examined, it is clear that it is not always possible and easy to identify a directcorrelation between strenuous job considered and hypertension, but rather that there are further individualor organization factors involved in determining this correlation.

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275Sonia Rosaria Petrosino, Oreste Caporale, Rossella Bellopede, et. al.

ma uno stato costante. Una suggestiva basesperimentale per un rapporto tra stress eipertensione è fornita da molte ricerche con-dotte sugli animali e sull’uomo che hannoconfermato un possibile ruolo degli eventie delle situazioni emozionali stressanti nel-la patogenesi dell’ipertensione essenziale.Dal punto di vista psicofisiologico è statosuggerito, sulla base di una serie di studisperimentali, che nei pazienti ipertesi, ri-spetto ai normotesi, è dimostrabile una verae propria specificità vegetativa di rispostaallo stress che si traduce in una elevazionepressoria che viene suscitata in modo co-stante da stimoli emozionali stressanti (3).

Nascita delle ricerche sullo stressI primi studi sullo stress, analizzato da unaprospettiva fisiologica, risalgono al 1914,anno in cui il fisiologo Cannon intrapreseuna serie di esperimenti. Nel corso di que-sti ultimi egli rilevò che in un animale sot-toposto a stress il processo digestivo (4) siinterrompeva e questo fenomeno gli sugge-rì alcune ipotesi sulle risposte con le qualil’organismo reagisce a situazioni quali lapaura, il pericolo o il dolore. Le sue scoper-te lo condussero a formulare la cosiddetta“teoria centrale delle emozioni” secondo laquale la sede della formazione delle emo-zioni si troverebbe nel talamo e studiò, inol-tre, la reazione del cuore, del sistema ner-voso simpatico e della ghiandola surrenale.Le ricerche sullo stress si moltiplicarononegli anni ‘50, grazie al contributo del fi-siologo Selye che diede una prima defini-zione dell’attuale termine stress definendocome “sindrome di adattamento generale”la reazione biologica ad uno stimolo inten-so e prolungato (5). Secondo questa teoriala reazione prevede tre fasi che si concretiz-zano in una reazione di allarme, sostenutada attivazioni neurovegetative di tipo adre-

nergico in cui la secrezione delle principalicatecolamine (adrenalina e noradrenalina)permette una rapida reazione del sistemanervoso autonomo; una fase di resistenza cheha una durata maggiore della precedente edè sostenuta da fenomeni endocrini e una fasedi esaurimento nella quale vengono menosia le difese che le capacità di adattamento.Per Selye, dunque, lo stress non è necessa-riamente una condizione patologica, ma èpiuttosto uno stimolo fisiologico normaleed, in quanto tale, la reazione ad esso puòessere utile anche nel caso in cui l’azionedello stressor è tanto prolungata ed intensada poter trasformarsi in malattia. Lo stress,dunque, assume una duplice valenza produ-cendo a breve termine variazioni adattati-ve, mentre a lungo termine può essere cau-sa di variazioni antiadattative. Qualora gli“stressors” siano tali da abbattere le difesedell’organismo si verifica il fenomeno dellaconversione psicosomatica che esita in veree proprie patologie. Nonostante la medici-na dell’inizio ‘900 avesse quasi escluso lacomponente psicoaffettiva del malato, suc-cessivamente si assiste ad una rivalutazionedi quest’ultima, per cui i disturbi psicoso-matici sono divenuti parte integrante dellamedicina moderna e tra questi sicuramentel’ipertensione ne rappresenta una notevolepercentuale. Alcuni autori (6) hanno indivi-duato una serie di eventi validi per la genesidi una conversione di carattere somatico edal punto di vista psicoanalitico i sintomisomatici esprimono mediante il corpo rap-presentazioni rimosse (7,8).

Stress lavoro-correlato e ipertensioneL’ambiente lavorativo è considerato unodegli stressor più comuni riferito da mol-tissimi lavoratori. Esso, infatti, si collocatra i problemi più diffusi di salute legati allavoro, con importanti conseguenze sul pia-

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Il fattore stress lavoro-correlato come determinante dell’ipertensione essenziale

no sociale ed economico (9,10). Lo stresslegato all’attività lavorativa si manifestaquando le richieste poste dal lavoro non sonocommisurate alle capacità, risorse o esigenzedel lavoratore e la letteratura scientifica ciindica una vasta sintomatologia legata allostress lavoro-correlato. In particolare, perciò che riguarda le patologie cardiovascola-ri, vi è motivo di ritenere che, accanto aitradizionali fattori di rischio, i determinan-ti di tipo emozionale, in gran parte ricon-ducibili a condizioni di stress cronico, sianoresponsabili dell’aumento della morbilità edella mortalità nei paesi occidentali. Damolti anni è riconosciuto anche allo stresslavorativo un notevole peso nel determini-smo delle patologie cardiovascolari, soprat-tutto dell’ipertensione e della cardiopatiaischemica. In differenti studi, infatti è statodimostrato che lo stress lavoro-correlatopuò costituire uno specifico fattore di ri-schio, ma, ancor di più, interagire con i fat-tori di rischio individuale, innalzando glieffetti di essi (11). Gli studi sullo stress oc-cupazionale hanno portato all’identificazio-ne di un gran numero di elementi merite-voli di analisi: l’organizzazione del lavoro edei suoi processi (accordi sul tempo di la-voro, grado di autonomia, incontro tra ca-pacità dei lavoratori e requisiti del lavoro,carico di lavoro, eccetera), le condizioni la-vorative ed ambientali (esposizione a com-portamenti offensivi, rumore, calore, so-stanze pericolose, eccetera), la comunica-zione (incertezza sulle aspettative del lavo-ro, prospettive occupazionali, cambiamen-ti futuri, conflitto di ruolo e responsabilità)e fattori soggettivi (pressioni emotive e so-ciali, sensazione di inadeguatezza, percezio-ne di mancanza di sostegno, problema delladoppia carriera) (2). Lo stress lavoro-corre-lato produce effetti negativi sull’azienda intermini di impegno del lavoratore, presta-

zione e produttività del personale, inciden-ti causati da errore umano, turnover delpersonale ed abbandono precoce, tassi dipresenza, soddisfazione per il lavoro, poten-ziali implicazioni legali (12,13).

NormativaConsiderando l’ampiezza del problema edil suo impatto sulla salute e sulla produtti-vità, l’Unione Europea ha rivolto l’invitoad adottare politiche e strategie finalizzatea promuovere la salute e la sicurezza neicontesti organizzativi attraverso la riduzio-ne dei rischi e il miglioramento delle con-dizioni di lavoro (14). In Italia, effettuare lavalutazione dello stress lavoro-correlato èun obbligo di legge (art.28, D.Lgs 81/08) eduna direttiva UE: con riferimento all’Ac-cordo Quadro Europeo dell’ottobre 2004,si sancisce che “la gestione dei problemi di stresslavoro-correlato può essere condotta sulla scortadel generale processo di valutazione dei rischiovvero attraverso l’adozione di una separatapolitica dello stress e/o con specifiche misure voltead identificare i fattori di stress” (10,18). Lostress lavoro-correlato è oggetto di preoc-cupazione sia per i datori di lavoro sia per ilavoratori e vi è quindi un interesse comu-ne ad affrontare la tematica e la necessità diuna azione congiunta. Eliminare o contene-re i fattori “stressogeni” lavorativi compor-ta, infatti, benefici per la salute dei lavora-tori, ma anche vantaggi economici e socialiper tutti. Una dettagliata analisi organizza-tiva permette, dunque, di ottimizzare leperformance individuali e la produttivitàaziendale, migliorare l’immagine aziendalee salvaguardare il benessere del personaleevitando l’insorgenza di problematiche neilavoratori.

ObiettiviPresso il Dipartimento di Scienze Mediche

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Preventive, Sezione Igiene e Medicina Pre-ventiva, sono in programma sistemi di va-lutazione del rischio stress lavoro-correlatocon la finalità di promuovere processi di ri-cerca ed intervento per contribuire ad in-nalzare il benessere dei lavoratori in diversetipologie di aziende. Il processo si articolain indagini sul sistema organizzativo, ed inparticolare sui tempi, sugli spazi, sui con-tenuti delle attività e sui modi attraversocui esse sono rese, nonché sulle relazioniaziendali e sulle dinamiche comunicative,fattori la cui ridotta o assente congruità ècausa efficiente di stress lavorativo e di di-sturbi stress correlati. Questa valutazione èrilevabile attraverso un questionario rigo-rosamente anonimo che comprenda le se-guenti variabili: impegno lavorativo (sia fi-sico che mentale), valorizzazione delle pro-prie conoscenze, controllo dell’individuosulla programmazione ed organizzazione dellavoro. Per la valutazione dello stress lavo-ro correlato è previsto l’utilizzo di una sche-da di raccolta dati (elaborati entro il 2011)che permetta di evidenziare l’esistenza diuna condizione di buon equilibrio psico-fi-sico dei lavoratori. Il presente studio si pro-pone di effettuare su una ampia casistica dilavoratori una prima valutazione del rap-porto tra stress e ipertensione. Il numerototale di rilevazioni effettuate su pazientisottoposti a sorveglianza sanitaria presso ilnostro Dipartimento è stato pari a 6260;inoltre, sono stati identificate attività con-siderate usuranti e attività non usuranti,mentre sono state eliminate quelle attivitàche risultavano di più difficile inquadramen-to. In particolare si è cercato di valutare leseguenti ipotesi:1) che vi sia una diretta correlazione tra at-

tività usuranti, stress e quindi iperten-sione, una volta eliminati i possibili biasdi confondimento (obesità, età);

2) che la correlazione tra ipertensione e at-tività usuranti non sia identificabile per-ché gli aspetti di tipo organizzativo del-l’azienda e gli interventi di prevenzioneeffettuati sono in grado di compensare ilrischio lavorativo.

Materiali e metodiPer la valutazione del sistema organizzati-vo e delle sue potenzialità stressogene, pres-so il Dipartimento Assistenziale di Igiene,Medicina del Lavoro e Medicina di Comu-nità dell’A.O.U. “Federico II” sono statiraccolti i dati provenienti dalla osservazio-ne di 6260 lavoratori sorvegliati da gennaio2009 fino a settembre 2011 reclutando nel-lo studio sia lavoratori adibiti a mansioni“sedentarie” che lavoratori adibiti a man-sioni “dinamiche” (vedi Tab.1).

Tabella 1

Le categorie selezionate sono state:1. impiegati addetti al servizio fognario

(Area 6)2. impiegati addetti al servizio cimiteriale

(Area 12)3. impiegati addetti al videoterminale

(Area 30)4. impiegati addetti a funzioni amministra-

tive (Area 31).Le prime due categorie sono considerate lepiù usuranti della casistica complessiva,mentre le ultime due le meno usuranti. Per-tanto per le prime due categorie si é partiti

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Il fattore stress lavoro-correlato come determinante dell’ipertensione essenziale

Tabella 2 - Tabella di contingenza 2x2. Righe: espostie non esposti al fattore di rischio. Colonne: Ipertesi enon ipertesi

OR= 1,34 [ 1,07 – 1,61]

dal presupposto che vi fosse una maggiorecorrelazione con possibili fenomeni di stresscronico e quindi una correlazione con l’iper-tensione.Per verificare se l’esposizione a fattori stres-sogeni connessi con l’attività lavorativa po-tesse favorire l’insorgere di ipertensione ar-teriosa sono stati adottati dei precisi cri-teri di inclusione a cui i lavoratori doveva-no rispondere per essere reclutati nello stu-dio. Dapprima sono stati selezionati i lavo-ratori appartenenti alle mansioni sopra ci-tate per caratterizzarli in base all’esposizio-ne a fattori stressogeni. Successivamente,per eliminare variabili di confondimento chepotessero condizionare l’insorgenza dell’iper-tensione arteriosa, sono stati esclusi dallostudio i lavoratori con un BMI (body massindex) maggiore o uguale a 30. Un ulterio-re criterio di esclusione è stato quello del-l’età per cui non sono stati selezionati i la-voratori con un’età minore di 40 anni (iper-tensione secondaria) e i soggetti con un etàmaggiore di 60 anni. Il numero totale deilavoratori inclusi nello studio appartenentiall’area 6 e 12 è risultato essere pari a 452,mentre i lavoratori afferenti alle aree 30 e31 pari a 915.Per analizzare ed ottenere informazioni cir-ca l’implicazione dei fattori stressogeni equindi della mansione lavorativa nell’insor-genza dell’ipertensione arteriosa nei lavora-tori inclusi nello studio è stata valutata l’op-portunità di realizzare un ulteriore studioepidemiologico osservazionale di tipo Caso-Controllo. In particolare sono stati recluta-ti i casi di ipertensione arteriosa diagnosti-cata tra i lavoratori appartenenti alle aree6, 12, 30 e 31 sottoposti a sorveglianza sa-nitaria. La diagnosi di ipertensione arterio-sa è stata formulata in base ai criteri indivi-duati a livello internazionale.Nella scelta dei controlli si è proceduto a

selezionare soggetti con le stesse caratteri-stiche dei casi (lavoratori aventi le stessemansioni e impiegati nelle medesime aree),ma differenti solo per la patologia in esame.I dati raccolti sono stati quelli del proto-collo di sorveglianza che rileva in manierastandardizzata, per tutti i pazienti recluta-ti, le variabili in esame; le informazioni re-lative ai livelli di esposizione ai fattori dirischio prescelti sono stati raccolte utiliz-zando le stesse metodiche sia per i casi cheper i controlli. I dati sono stati riassunti inuna tabella 2x2 (tabella di contingenza), sullecolonne sono stati posti i casi ed i controllie sulle righe la presenza/assenza di esposi-zione ai fattori di rischio (v. Tabella 2).

In questo caso il margine inferiore dell’in-tervallo di confidenza risulta essere di pocomaggiore all’unità quindi è possibile affer-mare che vi sia un’associazione seppure nonforte tra mansione lavorativa e insorgenzadell’ipertensione. Infine, per verificare se ladiversa composizione per età delle due po-polazioni potesse influenzare i tassi di iper-tensione delle due popolazioni in esame èstato applicato il “metodo della popolazio-ne standard” o della “standardizzazione di-retta”.Per poter effettuare il calcolo è stato neces-sario identificare una popolazione “standard”ed è stata scelta la popolazione della Cam-pania che è stata suddivisa per fasce di età;quindi sono stati applicati i tassi di iperten-

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sione specifici per età delle popolazioni con-siderate ossia Area 6 e 12 da un lato e Area30 e 31 dall’altro, infine sono stati determi-nati gli ipertesi attesi per fascia di età inriferimento alla popolazione standard.

RisultatiDalla raccolta dei dati anamnestici e me-diante la rilevazione diretta della pressionearteriosa sono stati riscontrati 103 ipertesinelle Aree 6 e 12 pari al 22,8% (grafico 1).Per ciò che concerne l’Area 30 e 31 sonorisultati essere ipertesi 165 lavoratori parial 18,0% (grafico 2).

Grafico 1 - Lavoratori appartenenti all’Area 6 e 12ipertesi

Grafico 2 - Lavoratori appartenenti all’Area 30 e 31ipertesi

Successivamente per raggiungere gli obiet-tivi prefissati, è stato applicato il “metododella popolazione standard” o della “stan-dardizzazione diretta” partendo dal calcolodegli ipertesi per fascia d’età prima per leAree 6 e 12, quindi per le Aree 30 e 31 (tab.3, tab. 4).

Tabella 3 - Lavoratori appartenenti alle Aree 6 e 12suddivisi per classi d’età. Calcolo degli ipertesi e deirelativi tassi specifici per età

Tabella 4 - Lavoratori appartenenti alle Aree 30 e 31suddivisi per classi d’età. Calcolo degli ipertesi e deirelativi tassi specifici per età

Dalle tabelle risulta evidente il maggioretasso di ipertesi nella popolazione sottopo-sta ad attività usurante, tasso totale 22,8della popolazione 6 e 12, mentre il tassototale degli ipertesi per la popolazione a mi-nor rischio – Aree 30 e 31 – si è fermato alvalore totale di 18,0.Per calcolare il tasso standardizzato è statoeffettuato il rapporto tra la somma degliipertesi in ciascuna popolazione osservata

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Il fattore stress lavoro-correlato come determinante dell’ipertensione essenziale

ed il totale della popolazione standard (tab.5): Tasso standardizzato popolazione Area6 e 12: 202035/1592577=12,7/100 mentre

Tabella 5 - Standardizzazione diretta: calcolo degli ipertesi attesi nelle due popolazioni in studio secondo lacomposizione per classi d’età della popolazione campana (1 gennaio 2011)

ta tra attività usuranti oggetto di valuta-zione e ipertensione, ma piuttosto vi sonoulteriori fattori individuali o di organizza-zione che intervengono nel determinare talecorrelazione. Tali studi quindi sottendonoalla necessità di indagare in maniera ancorapiù approfondita per valutare le correlazio-ni tra attività lavorativa, stress e iperten-sione come di seguito specificato. Interve-nire in ambienti determinanti disagio la-vorativo non può prescindere dall’utilizzodi modelli scientifici forti e autorevoli, ade-guatamente validati sul piano della ricercaper la valutazione di ciascuno di questi dif-ferenti aspetti del rischio stress lavoro cor-relato. Negli anni è stato elaborato un di-screto numero di questionari descrittivi, fi-nalizzati all’identificazione e alla quantifi-cazione di ciascuno o di alcuni di essi: stru-menti di misura dello stress individuale, diindividuazione delle cause dello stress la-vorativo/organizzativo con una metodolo-gia d’indagine specifica (es. burnout), di unapproccio multidimensionale per l’analisidel contesto organizzativo, che consente diindividuare e definire lo stato di benessere

In tal modo i due tassi standardizzati otte-nuti sono confrontabili avendo eliminato ilfattore di confondimento costituito dalladiversa composizione per età. Dal confron-to dei tassi grezzi risultava una maggiorepresenza di ipertesi nelle Aree 6 e 12 men-tre attraverso la standardizzazione dei tassisi è potuto constatare il contrario e quindiuna maggiore presenza di ipertesi nelle Aree30 e 31, anche se lieve.Dai dati non emerge una significativa diffe-renza tra i lavori usuranti e quelli non usu-ranti, e quindi possiamo asserire che i risul-tati ci indicano una sostanziale sovrapponi-bilità di patologie tra le due popolazioniesaminate.ConclusioniRisulta evidente che non è possibile e facil-mente identificabile una correlazione diret-

Tabella 6 - Tassi di morbosità standardizzati per ilavoratori delle aree 6/12 e 30/31

il tasso della popolazione 30 e 31: 213819/1592577= 13,4 /1000 (Tab. 6).

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dell’organizzazione (15,16,17). Secondo leLinee Guida nazionali fornite dalla Com-missione Consultiva con la circolare 18 No-vembre 2010 la valutazione del rischio stresslavoro-correlato è finalizzata, attraverso unaspecifica analisi organizzativa, a rilevare queifattori organizzativi che sono causa di stresslavoro-correlato. La valutazione deve esse-re effettuata in due momenti distinti: unaprima fase che prevede una valutazione pre-liminare (necessaria) e una seconda fase cheprevede, invece, una eventuale valutazioneapprofondita. Il primo tipo di valutazioneconsiste nella rivelazione, in tutte le azien-de, di “indicatori di rischio da stress lavo-ro-correlato e verificabili e ove possibilenumericamente apprezzabili” attraverso unostrumento – lista di controllo – che per-mette di rilevare numerosi parametri, tipi-ci della condizione di stress, riferibili aglieventi sentinella, al contenuto e al contestodel lavoro. La valutazione approfondita pre-vede “la valutazione della percezione sog-gettiva dei lavoratori” utile all’identifica-zione e caratterizzazione del rischio da stresslavoro-correlato e delle sue cause attraver-so la somministrazione di un “questiona-rio-strumento indicatore”. Il D.Lgs. 81/08introduce il concetto di dinamismo dellagestione del rischio, secondo il quale la va-lutazione dei rischi è strettamente finaliz-zata alla prevenzione ed è soggetta ad uncontinuo aggiornamento in un circuito per-manente “valutazione - prevenzione - ag-giornamento della valutazione” che preve-de il coinvolgimento costante dei rappre-sentanti dei lavoratori per la sicurezza, nel-la logica della costruzione di un Sistema diGestione della Sicurezza (18). Nel caso del-lo stress lavoro-correlato questa problema-tica risulta particolarmente accentuata, daun lato perché la valutazione va necessaria-mente a toccare l’organizzazione del lavoro

che costituisce il cuore di ogni azienda, dal-l’altro perché sono scarsi gli strumenti checonsentono una valutazione oggettiva. Bi-sogna inoltre considerare che gli orientamen-ti culturali necessari per riconoscere tale ri-schio sono ancora poco diffusi. Ne conse-gue che esiste un concreto pericolo che lavalutazione dello stress lavoro-correlato sitraduca, per la maggior parte delle aziende,in una generale e generica attestazione diassenza di rischio. I risultati ottenuti dalledue fasi devono permettere l’adozione dieventuali misure correttive necessarie perl’eliminazione e riduzione del rischio e delrelativo piano di monitoraggio aziendale.Inoltre, particolare interesse deve essere ri-volto alle tecniche di gestione dello stressche possano aiutare l’individuo nel control-lo dei propri stati corporei, in modo chegestendo meglio le situazioni stressanti sipossa evitare o limitare l’insorgenza di dan-ni organici (ipertensione per esempio). Letecniche più in uso prevedono la riduzionedell’attivazione che consiste nell’addestrareil paziente al rilassamento muscolare peraffrontare meglio le situazioni di stress ereagire in modo adeguato; il biofeedback cheper la patologia ipertensiva viene applicatosui parametri fisiologici del tono muscola-re, della frequenza cardiaca, della pressionearteriosa e dell’attività elettrica corticale;la ristrutturazione cognitiva che mira all’ac-quisizione da parte del soggetto di maggio-re consapevolezza di sé e maggiore auto-controllo; l’adattamento alle capacità compor-tamentali che consiste nell’apprendimento dimodelli comportamentali come ad esem-pio la gestione del tempo libero che sonoutili a migliorare la reazione allo stress;approcci basati sulla modificazione ambientaleper rimuovere le cause dello stress dall’am-biente circostante.Si ritiene importante che il rischio da stress

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Il fattore stress lavoro-correlato come determinante dell’ipertensione essenziale

lavoro-correlato diventi un tema adeguata-mente conosciuto e ben affrontato dai Di-partimenti di Prevenzione delle ASL. Ap-pare opportuno, infatti, che si formino neiDipartimenti di Prevenzione figure profes-sionali con competenze specifiche al fine diassicurare sia un’adeguata attività di assi-stenza alle aziende, sia la capacità in sede divigilanza di verificare concretamente l’esi-stenza del rischio e l’efficacia degli inter-

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venti di prevenzione attuati. Potrebbe esse-re utile e qualificante introdurre delle spe-rimentazioni applicative, definite negliambiti regionali, da effettuarsi da parte diquelle realtà che già possiedono sufficienticonoscenze. Si ritiene, perciò, che i Servizidi Prevenzione e Vigilanza debbano priori-tariamente agire nella linea della informa-zione, formazione e assistenza.

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RECENSIONI

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Pietro Bria - Emanuele Caroppo - PatriziaBrogna - Mariantonietta Colimberti (cu-ratori), Trattato italiano di psichiatria cul-turale e delle migrazioni, prefazione di Bru-no Callieri, Società Editrice Universo,Roma, 2010, XXIV+737 pp.

1.Una grossa impresa, questo Trattato italiano di psi-chiatria culturale e delle migrazioni, e non solo per lasua ampiezza e per il contributo che esso fornisce aglistudi e alla formazione in questo ambito di saperi e dipratiche concernenti le “alterazioni” dello psichismoumano.Anzitutto, perché si tratta di un’impresa effettiva-mente collettiva, cosa non frequente nel nostro Pae-se: un’impresa cui hanno dato mano quattro curatorie ben sessantatre “co-autori” quasi tutti italiani. E poiperché vi è evidente lo sforzo di far convergere tanticontributi in un disegno organico e unitario, attentoad un tempo alla riflessione teorica, al saper fare ope-rativo e alle casistiche concrete. Anche e soprattuttoin quest’ultima direzione, in effetti, si tratta, comeanticipato nel suo stesso titolo, di un “trattato italia-no”, nel quale “pur dando conto dello stato interna-zionale e dei principali temi di una disciplina il cuioggetto è di per sé stesso transculturale” emerge unacostante intenzione a radicarsi nella storia e nei pro-

blemi attuali del nostro Paese: non a caso il “campo”,o se vogliamo la “questione”, cui viene dedicata tuttala seconda parte del volume, è quella dei problemi disalute mentale connessi ai processi migratori e allacondizione stessa di “persona immigrata”.L’opera “dotata peraltro di assai ampi corredibibliografici “costituisce dunque un tentativo di pro-porre ai ricercatori e soprattutto agli operatori italia-ni un ampio e organico avvio teorico-pratico a quel-l’insieme di elaborazioni e di metodiche di lavoro sui“disturbi” della vita psichica e sui loro rapporti con ivari contesti socio-culturali, che prende appunto ilnome di psichiatria culturale: un termine che in rela-zione a differenti storie scientifiche e ad accese dispu-te epistemologiche e di oggetto, si identifica o sfumacon possibili slittamenti di significato verso altre de-nominazioni, come psichiatria transculturale (larga-mente usata, in effetti, in questo volume) o ancheetnopsichiatria, mentre altri protagonisti del dibatti-to affermano che si tratta comunque di termini inu-tili o onnicomprensivi giacché, a rigore, ogni psichia-tria, ivi compresa quella occidentale, è anche unaetnopsichiatria ossia una psichiatria culturalmenteradicata1.In realtà, i problemi di fondo che stanno dietro aquesto dibattito sull’oggetto e la definizione stessadella disciplina “aperto peraltro sin dalla fine dell’Ot-tocento”, sono di notevole rilievo e si incentrano sualmeno due ordini di questioni.Il primo nasce dalle acquisite evidenze che il quadro

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dello psichismo e delle sue “perturbazioni” non sipresenta identico nei vari contesti: si scopre che pres-so determinate popolazioni “esotiche” si produconostati mentali che, almeno ad uno sguardo occidenta-le, appaiono pressoché sconosciuti, e comunque “pa-tologici”, limitati in effetti a quelle popolazioni. Ilche apre il problema della possibile diversità delleperturbazioni psichiche nei diversi contesti e dellapossibile non universalità delle “grandi psicosi”, comead esempio la schizofrenia o, per lo meno, delle lorodiverse declinazioni locali: in sostanza, il problema delpeso delle condizioni di vita e di cultura sullo psichismo,sul definirsi della sua “normalità”, sulle sue “perturba-zioni” e, in generale, sul prodursi dei diversi “stati dicoscienza”. Ne deriva una convergenza tra quantoemerso dal confronto transculturale sullo psichismonei vari contesti storico-sociali e la crescente eviden-za generale dei gravi limiti di una interpretazione deideterminanti della follia e di ogni forma di alterazio-ne mentale in termini meramente biologici: in so-stanza, la necessità di ripensare radicalmente la no-stra psichiatria, i suoi modelli eziologici e le sue stessepratiche di intervento “sempre oscillanti fra la esclu-sione e la farmacoterapia”, nonché le direttrici e iterreni di una efficace strategia di prevenzione dellevarie forme di disagio psichico. In questa prospettivadi forte attenzione ai determinanti socio-culturali, lerisultanze transculturali della etnopsichiatria siricongiungono dunque con quanto “nel corso dellepratiche e dei grandi dibattiti del movimento anti-manicomiale italiano degli anni ’60 e ’70” è via viaemerso dalle riflessioni della cosiddetta sociopsichiatria,in direzione di un’unica nuova e generale psichiatrialargamente aperta alle esperienze delle persone e deigruppi nei diversi contesti storici di esistenza.Un secondo ordine di questioni implicate dal costitu-irsi della psichiatria culturale, e in particolare dellaetnopsichiatria, deriva invece dalla sua attenzioneconoscitiva non soltanto alle diversità locali delleperturbazioni psichiche ma anche alle diverse interpre-tazione e alle diverse risposte che a tali perturbazionivengono localmente date: l’attenzione, cioè, alle cosid-dette “psichiatrie native”. In questa seconda prospet-tiva, il termine etnopsichiatria viene a significare inqualche modo un corpus eziologico-terapeutico ri-

volto alle perturbazioni mentali, esaminato e inter-pretato nel suo radicarsi in uno specifico contestosocio-culturale, cioè come “prodotto storico”: e inquesta seconda prospettiva (almeno in termini “emic”)dobbiamo considerare etnopsichiatrie “cioè sistemiistituzionali di interpretazione e risposta alle pertur-bazioni psichiche” non solo quelle “esotiche” ma an-che la stessa psichiatria occidentale (che appunto inquesto senso è anch’esso una etnopsichiatria). Peraltro“nell’ambito del fenomeno della globalizzazione” lostudio delle cosiddette “psichiatrie native” e l’evi-denza di taluni loro significativi successi, stanno apren-do anche sul terreno psichiatrico quel difficile processodi “integrazione dei saperi medici” che si manifestavivacemente nel nostro stesso Paese, con i ben notiproblemi epistemologici, clinici, formativi enormativi che ne conseguono.

2.Di gran parte di tale complesso mosaico viene datoconto in questo “trattato italiano”, che intende, altempo stesso, fornire al lettore alcune necessarie pre-messe per la comprensione dei contributi disciplinarisu cui si fonda la “psichiatria culturale” e dei suoiprincipali nodi tematici e problematici.Così, dopo una magistrale prefazione generale diBruno Callieri (Per un recupero della dimensione nar-rativa in psichiatria, pp. XVII-XX), intessuta su unricco retroterra fenomenologico, e una breve pre-sentazione degli scopi e della struttura del volume,redatta dai curatori, la Parte prima del volume (Psi-chiatria culturale, pp. 1-306) è appunto dedicata auna complessiva presentazione della disciplina, allasua definizione e al suo campo conoscitivo e operati-vo, e ai suoi temi e problemi di fondo, attraverso unainterna articolazione in tre sezioni.In questa prima parte del volume la prima sezione(Cultura e psichiatria culturale, pp. 15-110), suddivi-sa in sette capitoli, affronta infatti, in alcuni dei suoiprincipali sviluppi, la definizione antropologica delconcetto di “cultura”, e anticipa, nelle sue variecorrelazioni, la figura del migrante per poi proporreuna definizione e un profilo storico della psichiatriatransculturale e delle sue traduzioni cliniche. Infine,dopo una discussione preliminare sui modelli esplica-

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tivi sottesi alla definizione stessa di “malattia”, vienedelineata un’ampia disamina sui determinanti dellapsicopatologia, sul peso di quelli culturali e sul lorointegrarsi con i condizionamenti evidenziati dalleneuroscienze. Per ultimo, questa modellistica vienesaggiata su alcune principali patologie mentali e sunumerose casistiche di quei disturbi “etnici” general-mente rubricati nella categoria delle culture boundsyndromes.La seconda sezione (L’incontro con l’Altro come soggettoculturale, capitoli 8-13, pp. 111-166) affronta congrande attenzione, appunto, la fenomenologia del-l’incontro con persone culturalmente “diverse” e quel-la, in particolare, dell’incontro con la diversità psichica.Nell’orizzonte dei fondamentali contributi forniti ametà Novecento da Ernesto de Martino, in partico-lare sulla “crisi della presenza” e sulle “apocalissi cul-turali”, vengono poi affrontati, con riferimento al-l’incontro con l’alterità, temi come l’identità, l’ela-borazione culturale del lutto e infine il rapporto fracorporeità, politiche dell’incorporazione e potere.Nella terza sezione della Parte prima (La cultura tra“normalità e psicopatologia”, capitoli 14-24, pp. 167-306), dopo un primo capitolo dedicato a un venta-glio di psicopatologie esaminate in una chiaveintersoggettiva o, se vogliamo, fenomenologica,spazia largamente sui vari settori in cui può avventu-rarsi una analisi culturale delle cosiddette “devianzepsichiche”: il comportamento suicida, gli “stati mo-dificati di coscienza”, le tossicomanie, lapsicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza, taluniaspetti della “stregoneria”, la “psichiatria popolare”degli immigrati bangladesi nella città di Londra, latrance sciamanica, un confronto transculturale suivissuti e gli atteggiamenti relativi alla morte, e infinei problemi posti dalla alterità religiosa e un capitolo,anch’esso ad impostazione transculturale, dedicatoalla etnofarmacologia.La Parte seconda del volume, la più corposa (pp. 307-733), articolata in sette sezioni, è specificamente de-dicata, come già anticipato, alla Psichiatria delle mi-grazioni.In questa seconda parte del volume, dopo una breveintroduzione, la prima sezione (Antropologia, sociologia,storia delle migrazioni e letteratura della migranza,

capitoli 25-32, pp. 311-405) affronta all’inizio laquestione delle migrazioni nella sua dimensione an-tropologica: anzi, vi antepone una introduzione con-cettuale alla stessa antropologia e alla non facile “let-tura” dei comportamenti umani e dei loro vissuti,esemplificandone tre situazioni esemplari (la morti-ficazione del corpo, la vergogna, il razzismo) per poiesaminare i complessi processi della “costruzione so-cio-culturale” della figura del migrante. Vengono poiforniti un quadro generale delle “nuove migrazioni”nel contesto internazionale e un esame del fenomenoimmigratorio in Italia e delle politiche italiane relati-ve alle migrazioni, seguiti da approfondimenti con-cernenti le proiezioni del fenomeno immigratoriosul terreno della criminalità e su quello della salute.Infine, uno sguardo sui vissuti difficili della condizio-ne immigrata nelle narrazioni degli stessi immigratinel nostro Paese.La seconda sezione (Immigrazione, Italia: aspetti giuri-dici, economici e di politica assistenziale, capitoli 33-43, pp. 407-494) fornisce un quadro delle immigra-zioni straniere in Italia e della loro articolazione terri-toriale e occupazionale, esamina le implicazioni dellenormative e delle strategie istituzionali sui processidi integrazione e le situazioni che ne derivano in ter-mini previdenziali, sanitari e di assistenza, focalizzandopoi il lavoro di alcune specifiche agenzie di interven-to, come la Caritas e la Croce Rossa.La terza sezione (Il lavoro clinico con i migranti, capito-li 44-53, pp. 495-606) riprende alcune vicende dilungo periodo dei fenomeni migratori anche antichi,ma è sostanzialmente indirizzato a fornire in terminiteorico-pratici i fondamenti dell’intervento cliniconei confronti del disagio psichico degli immigrati edei migranti di seconda generazione nonché talunedimensioni dei processi miranti a una equilibrata in-tegrazione come la mediazione culturale e l’acco-glienza scolastica. Segue, un testo significativo e ab-bastanza autonomo, rubricato come “cammei”, incui si delineano le figure di alcuni “padri fondatoridella psichiatria transculturale”: Ernesto de Martino,Georges Devereux, Michele Risso.La quarta sezione (Stress, trauma e migrazione, capito-li 54-57, pp. 607-662) fornisce un sintetico quadro diriferimento sulla fenomenologia etologica e, in ge-

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nerale, socio-psico-biologica dello stress umano e delsuo correlarsi con la condizione migratoria, e esami-na poi sotto questa luce, in modo specifico, la situa-zione delle vittime di torture, dei migranti forzati edella tratta schiavistica, e la normativa giuridica cheli riguarda, fornendo anche sull’argomento una utileguida terminologica.La quinta sezione (Comunità di immigrati in Italia,capitoli 58-62, pp. 663-702) propone alcuni quadriinformativi su comunità “allogene” nel territorio ita-liano: la immigrazione dall’India, quella dalla Cina,la comunità Rom, e la situazione di multiculturalitànella città di Roma.La sesta sezione (Comunicazione e migrazione, capitoli63-64, pp. 703-712) affronta appunto il rapportocomunicazione-migrazione da due angolature: quel-la dell’immaginario e degli atteggiamenti, fra gli Ita-liani, sulla presenza degli stranieri e sulle sue implica-zioni, e sul ruolo che vi giocano, o vi potrebberogiocare, i sondaggi e l’informazione mediatica; equella degli effetti che l’uso delle nuove tecnologiecomunicative, da parte degli immigrati “dalla telefo-nia mobile a internet” produce oggi o potrà produr-re, pur frammezzo a evidenti difficoltà, sul processodella loro integrazione nella società italiana.La settima sezione della Parte seconda (Ambiente emigrazione, capitoli 65-66, pp. 713-733), ultima delvolume, è articolata su due ben distinte tematiche.Nel primo capitolo (Una nota introduttiva sui feno-meni migratori nel Vicino Oriente Antico: lo sguardodell’archeologia) si propone una ricostruzione storico-archeologica dei processi di civilizzazione e delle pri-me forme urbane e statuali, nell’area mesopotamicaed egizia fra il IV millennio e la metà del I millennioa.C., e del peso che vi ebbero alcune importanti tra-sformazioni climatiche: su tale sfondo viene analiz-zato il ruolo significativo di cerniera e regolazionedegli scambi svolto verso la fine di questo periododalle popolazioni in precedenza nomadi o semi no-madi degli Aramei. Il secondo capitolo (L’urbanisti-ca ai tempi dell’immigrazione. Appunti per una cittàmulticulturale) è dedicato invece a delineare i grandinodi di una programmazione urbanistica funzionaleoggi alla convivenza e alla integrazione fra gruppiculturali diversi. In proposito, vengono preliminar-

mente ricordati i principali processi che hanno via viaminato la coesione sociale e le reti associative nellegrandi moderne città occidentali, producendo diffusifenomeni di individualismo, isolamento e solitudine,di vera e propria paura nei confronti dell’Altro e cre-scente richiesta di “ordine”. E vengono discussi alcu-ni dei progetti che sul terreno urbanistico sono statitentati per arginare tali dinamiche, i risultati che nesono conseguiti e lo stesso realismo di tali progetti.Più specificamente, vengono attentamente valutatele opposte opinioni delle due diverse “scuole” che“proprio in vista di un positivo percorso di integra-zione o comunque di pacifica coesistenza fra gruppidi eterogenea origine” sostengono la linea delle “con-centrazione etniche”, come le chinatowns e le littleItalies ovvero la opposta linea della “mescolanza” (lamixité), la rottura cioè delle segregazioni spaziali: nerisulta la proposta di un più ampio sguardo, sincreticoe dinamico, che metta in gioco le radicazioni di origi-ne, le seconde generazioni, le “mappe mentali” rela-tive agli spazi urbani, la crescente “libertà virtuale”,in una complessa prospettiva definita“transnazionale”.In conclusione, credo che vada ribadito il positivogiudizio anticipato all’inizio di questa recensione: unottimo lavoro, importante soprattutto per chi si ac-cinge a ricercare o ad operare nel complesso ed etero-geneo campo in cui si richiede il contributo di unapsichiatria attenta alle differenze culturali e al pesodei determinanti sociali delle perturbazioni psichichenonché alle radici esistenziali di tutti coloro che inqualche modo vengono a trovarsi, lungo il percorsodella propria vita, nella condizione di “pazienti men-tali”.Certo, in un lavoro così ampio, con un tal numero dico-autori, pensato in base a una ipotesi di destinataricosì differenziata, era probabilmente quasi impossi-bile salvare tutto: un livello di esposizione adeguatoa lettori di eterogenea formazione e collocazione pro-fessionale, un equilibrio fra costruzioni teoriche e in-formazioni operative soddisfacente (e utile) per tut-ti, un testo da leggere organicamente dall’inizio allafine e una miniera di informazioni autonomamenteindividuabili cui ricorrere caso per caso, uno sviluppocostantemente lineare e senza “ritorni” lungo tutta la

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trattazione. Squilibri in questo senso emergono adesempio nella ripresa dei medesimi quadri teorici inapertura di differenti tematiche o, di contro, nellaassenza “o forse meglio nella frammentazione edisorganicità” di una trattazione organica e unitariadei percorsi e dei differenti orientamenti che hannocontrassegnato lo sviluppo stesso dell’oggetto cen-trale del trattato, appunto la psichiatria culturale:uno sviluppo storico che ricompare via via,frammentariamente, in differenti capitoli della Parteprima e poi, di nuovo (pur utilmente) nella Parteseconda, dedicata ai processi migratori, sotto forma,come abbiamo visto, di sintetici “cammei” su tre frai parecchi “padri fondatori” della disciplina. E forse

NOTA

1 Non avrebbe ovviamente senso, in questa semplice recensione, dare spazio all’amplissima letteratura internazio-nale dedicata a una riflessione sui fondamenti e sull’oggetto stesso di questa “disciplina-ponte”, discussa fin nellasua denominazione.Ma può essere forse opportuno ricordare, in merito, alcuni fra i principali testi che su tali fondamenti e su taleoggetto sono stati prodotti in Italia, dove gli inizi di una vera e propria psichiatria culturale possono farsi risalirea Ernesto de Martino con La terra del rimorso (1961) e tutto sommato già con Il mondo magico (1948): in sostanza, neimedesimi anni che in Francia e nei Paesi anglosassoni. Alcuni esempi soltanto:Rosalba TERRANOVA CECCHINI, I fondamenti della Psichiatria transculturale quale contributo ad una aggiornata programmazio-ne per la Salute mentale, pp. 254-275, in Luigi FRIGHI (curatore), Problemi d’igiene mentale, Il Pensiero Scientifico,Roma, 1972, 322 pp. / Paolo CHIOZZI, Prefazione alla edizione italiana di Roger BASTIDE, Sociologie des maladiesmentales, Flammarion, Paris, 1965: Sociologia delle malattie mentali, La Nuova Italia, Firenze, 1981, XVIII+278 pp./ Roberto LIONETTI (curatore), L’etnopsichiatria, pp. 3-79, in “La Ricerca Folklorica” (Brescia), n. 17, aprile 1988 /Barbara FIORE - Piero COPPO, Del lavoro in etnopsichiatria, , “La Ricerca Folklorica” (Brescia), n. 17, aprile 1988(fascicolo parzialmente monografico dedicato a L’etnopsichiatria, a cura di Roberto LIONETTI) / Mariella PANDOLFI,«Il lui manque d’avoir connue la folie». L’etnopsichiatria della scuola di Dakar, “La Ricerca Folklorica” (Brescia), n. 17,aprile 1988 (fascicolo parzialmente monografico dedicato a L’etnopsichiatria, a cura di Roberto LIONETTI), pp. 67-74 / Mariella PANDOLFI, Oltre Ippocrate: itinerari e strumenti in etnopsichiatria. Prefazione, pp. 7-30, alla edizioneitaliana di Tobie NATHAN, La folie des autres. Traité d’ethnopsychiatrie clinique, Dunod, Paris, 1987: La follia degli altri,Ponte alle Grazie, Firenze, 1990, 244 pp. / Luigi FRIGHI, Psicopatologia cultura e pensiero magico. Relazione introduttiva,pp. 13-21, in Goffredo BARTOCCI (curatore), Psicopatologia cultura e pensiero magico, Liguori Editore, Napoli, 1990,551 pp. / Gian Giacomo ROVERA, Problemi transculturali in psicopatologia, pp. 27-44, in Goffredo BARTOCCI (curatore),Psicopatologia cultura e pensiero magico, cit. / Virginia DE MICCO - Giuseppe CARDAMONE, Le ragioni antropologiche dellaricerca psichiatrica: il caso Verhexungswahn, pp. 21-52, in Michele RISSO - Wolfgang BÖKER, Sortilegio e delirio. Psicopatologiadell’emigrazione in prospettiva transculturale, a cura di Vittorio LANTERNARI - Virginia DE MICCO - Giuseppe CARDAMONE,Liguori Editore, Napoli, 1992, 212 pp. / Salvatore INGLESE, L’inquieta alleanza tra psicopatologia e antropologia. Ricordi

sarebbe stato possibile, rendendolo più lineare, con-tenere l’ampiezza di un volume che raggiunge così leoltre settecentosessanta fitte pagine.Ma il giudizio rimane largamente positivo. Direi dipiù: che al di là del suo stesso valore introduttivo allaspecificità della psichiatria culturale “o come altri-menti si voglia chiamarla” la lettura del trattato co-stituisce una buona ulteriore dimostrazione che ognipsichiatria o è anche una psichiatria culturale o perdegran parte della sua stessa legittimità scientifica eoperativa.

Tullio Seppilli

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e riflessioni da un’esperienza sul campo, “I Fogli di ORISS”, n. 1, 1993, pp. 34-62 / Piero COPPO, Etnopsichiatria, IlSaggiatore, Milano, 1996, 128 pp. / Alfredo ANCORA, La dimensione transculturale della psicopatologia, EdizioniUniversitarie Romane, Roma , 1997, 152 pp. / Vittorio LANTERNARI, Dall’antropologia simbolica all’etnopsichiatria, pp.1-32, in Vittorio LANTERNARI - Maria Luisa CIMINELLI (curatori), Medicina, magia, religione, valori, vol. II. Dall’antro-pologia all’etnopsichaitria, Liguori Editore, Napoli, 1998, X+452 pp. / Roberto BENEDUCE, Etnopsichiatria: modelli diricerca ed esperienze cliniche, pp. 49-84, in Vittorio LANTERNARI - Maria Luisa CIMINELLI (curatori), Medicina, magia,religione, valori, vol. II., cit. / Mario GALZIGNA (curatore), La sfida dell’Altro. Le scienze psichiche in una società multiculturale,Marsilio Editori, Venezia, 1999, 196 pp. / Antonino IARIA, Lezione introduttiva ai corsi. pp. 21-30, in Antonino IARIA

- Maria Grazia SCALISE - Bruno TAGLIACOZZI (curatori), Transcultura. Percorsi conoscitivi di psichiatria e psicologia transculturale,Edizioni Universitarie Romane, Roma, 2000, 205 pp. / Massimo ALIVERTI, Tra psichiatria ed antropologia. Storia della“psichiatria transculturale”, “Passaggi. Rivista italiana di scienze transculturali” (Torino-Milano), n. 1, 2001, pp. 17-40 / Piero COPPO, Tra psiche e cultura. Elementi di etnopsichiatria, Bollati-Boringhieri, Torino, 2003, 274 pp. / RobertoBENEDUCE, Etnopsichiatria. Sofferenza mentale e alterità fra storia, dominio e cultura, Carocci Editore, Roma, 2007, 399 pp./ Salvatore INGLESE, Georges Devereux: dietro i nomi la natura molteplice dell’etnopsichiatria. Postfazione alla nuova edizioneitaliana di Georges DEVEREUX, Essais d’ethnopsychiatrie générale, Gallimard, Paris, 1973: Saggi di etnopsichiatria generale,Armando Armando, Roma, 2007, 415 pp. / HARRAG (Gruppo di Ricerca per la Salute Mentale Multiculturale), Diclinica in lingue. Migrazioni, psicopatologia, dispositivi di cura, Edizioni Colibrì, Paderno Dugnano (provincia diMilano), 2007, 175 pp. / Pietro BRIA - Emanuele CAROPPO (curatori), Antropologia culturale e psicopatologia. Sistemi dipensiero a confronto, Alpes Italia, Roma, 2007, VIII+241 pp. / Roberto BENEDUCE, Breve dizionario di etnopsichiatria,Carocci Editore, Roma, 2008, 143 pp. / Salvatore INGLESE - Giuseppe CARDAMONE, Déjà vu. Tracce di etnopsichiatriacritica, Edizioni Colibrì, Paderno Dugnano (provincia di Milano), 2010, 351 pp.È forse opportuno, altresì, segnalare qui anche la abbastanza recente pubblicazione, in edizioni italiane, di duetesti quasi classici della recente psichiatria culturale statunitense:Wen-Shing TSENG, Manuale di psichiatria culturale, ediz. ital. a cura di Goffredo BARTOCCI, CIC Edizioni Internazio-nali, Roma, 2003, XXVIII+1436 pp. [ediz. orig: Handbook of cultural psychiatry, Academic Press, 2001] / AMERICAN

PSYCHIATRIC ASSOCIATION. GROUP FOR THE ADVANCEMENT OF PSYCHIATRY, Psichiatria culturale: un’introduzione, RaffaelloCortina Editore, Milano, 2004, VIII+168 pp. [ediz. orig.: Cultural assessment in clinical psychiatry, American PsychiatricPublishing, Washington - London, 2002].

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Batini Federico. Storie che crescono. Le storieal nido e alla scuola dell’infanzia, Edizionijunior, Parma, 2011, 118 pp.

Può la lettura promuovere salute? “Storie che cresco-no”, uno degli ultimi volumi scritti da Federico Batini,fornisce delle valide ragioni per rispondere positiva-mente a questa domanda. Molti operatori che lavo-rano in ambito consultoriale e nella pediatria di basesicuramente ne conoscono bene alcune, anche in vir-tù del progetto “Nati per leggere”, un progetto a cuisi è data spesso visibilità nelle riviste del Centro Spe-rimentale. Tuttavia, in questo libro sulle storie e l’in-fanzia il legame tra la lettura e la promozione dellasalute appare ancora più stretto ed evidente rispetto adue linee interpretative: la prima riguarda la correla-zione tra lettura e, di conseguenza, literacy e healthliteracy; la seconda invece si fonda sul “potere dellestorie” nella creazione del benessere e sulla riflessio-ne che accompagna il pensiero e la ricerca dell’autoreintorno alle narrazioni1, a cui si ricollega una visionedella promozione della salute come narrative healthpromotion, per utilizzare un’espressione che riconducein questo caso al lavoro di Ronald Labonte sulla pro-

mozione della salute come storytelling.Il percorso di lettura si snoda in modo molto scorrevo-le. “Storie che crescono” si sviluppa cronologicamentein due parti: la prima introduce l’utilizzo delle storie apartire dalla ricerca sull’orientamento narrativo, il lega-me tra la lettura e il successo scolastico/ professiona-le, la lettura come cura e come strategia di sviluppodi competenze psico-sociali; la seconda parte presen-ta invece una ricerca sul campo e le “buone pratiche”per la lettura o la rielaborazione delle storie offertedalla letteratura per l’infanzia.Seguiamo la sequenza delle argomentazioni nel libroper problematizzare il nostro primo oggetto di inte-resse: il legame tra la lettura e lo sviluppo di unaliteracy che, ovviamente, nel nostro contesto richia-ma il dibattito intorno alla health literacy. Come illu-stra Batini l’Italia non ha un posto gratificante all’in-terno delle statische circa il numero dei lettori, unafamiglia italiana su dieci non possiede libri. Questodato però non va letto solo rispetto a una scarsaalfabetizzazione e ai rischi scolastici e professionali acui questa porterebbe. La lettura, piuttosto, andreb-be vista come “uno stile di vita”, un’attività piacevo-le che dovrebbe permetterci di affrontare meglio i

1Rimandiamo ad esempio alle pubblicazioni “Narrazioni di narrazioni. Pagine di orientamento narrativo”Erikson, 2005; a “Storie, futuro e controllo. La narrazione come strumento di costruzione del futuro”, Liguori,Napoli, e a “Storytelling kit”, Etas, Milano.

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percorsi esistenziali e le scelte professionali in quan-to, come spiega l’autore:

“aiuta ad attribuire un significato all’espe-rienza, arricchendo il nostro repertorio dicomportamenti possibili, aprendo l’immagi-nazione a nuove strade e nuove possibilità”.

Ciò avviene soprattutto quando la lettura è fatta perpiacere personale. Se il progetto Nati per leggere ci hainsegnato quanto sia importante la lettura ad altavoce nello sviluppo dei bambini, in questo volumecomprendiamo, attraverso la presentazione di pro-getti quali la “Bibliotherapy” o “Read or go to jailprison” o l’analisi degli studi delle neuroscienze sulcervello, che la lettura può essere anche cura in uncontesto adulto e forse dovremmo dire che siamoNati per leggere … per tutta la vita. La lettura incre-mentando il vocabolario permette di comprendere lecomunicazioni per la propria salute e supporta cosìl’autonomia di scelta. Questo ci sembra uno deglielementi fondamentali rintracciabile anche nelle fi-nalità della health literacy. E per capire quanto questopossa incidere sugli stili di vita, rimandiamo a unostudio danese2 in cui si motivavano gli studenti a fareattività fisica attraverso la lettura di libri capaci didescrivere le sensazioni corporee legate a tale attivi-tà. In questo studio la lettura era accompagnata dallacostruzione di biografie personali su precedenti espe-rienze di attività fisica, potremmo anche dire allacostruzione della propria storia in relazione al corpo eal movimento. Quest’ultimo elemento, risultato ef-ficace nello studio danese, ci riporta alla seconda li-nea interpretativa di “Storie che crescono” ovveroalla possibilità che la lettura apre nella costruzionedella propria storia e a come le narrazioni costituisca-no una strategia di empowerment dei soggetti. Nell’in-troduzione a p. 9 si legge:

“le storie vengono considerate, ancor primache prodotti culturali, strumenti perl’empowerment dei soggetti, ovvero dispositiviatti a facilitare il processo di costruzione del-l’identità di ciascuno di noi e la possibilità di

acquisire un controllo ed un potere reale mag-giore circa la propria esistenza”.

Nelle storie, dunque, ritroviamo e con le storie costru-iamo gli elementi chiave della promozione della salu-te. L’elemento processuale che caratterizza le attivi-tà di promozione della salute invita i professionisti diquesto settore all’utilizzo di approcci narrativi. Lariflessione e il lavoro di ricerca avviata da RonaldLabonte sullo storytelling e l’empowerment ancorafaticano a sviluppare le proprie potenzialità. Dicia-mo che, mentre la medicina ha cominciato a esplora-re le potenzialità del pensiero narrativo da tempo,arrivando ora a produrre diversi testi in grado ditematizzare tale lavoro come medicina narrativa eproponendo strategie operative per i professionistidella cura, nel contesto della promozione della salu-te, che non necessariamente interessa l’ambito clini-co e di educazione del paziente, le narrazioni sonoancora sottovalutate. Al contrario Batini ci ricordache oggi

“politica, marketing e management sono soloalcuni dei settori nei quali le storie hannoconquistato uno spazio per gli elementi dipersuasione e di minore difesa che compor-tano rispetto ad altre forme di comunicazio-ne. Le storie sono veicoli e repertori per laproduzione di senso e significato che agisco-no in modo ‘sotterraneo’ e poco esplicito, inun processo circolare per cui le storie posso-no essere, se si frequentano in modo plurale ericorsivo, personale e vario, degli straordina-ri strumenti di autonomia e, al contempo,possono essere, da parte di autorità e media,sofisticati strumenti di manipolazione […]se non siamo esperti di storie e narrazionirischiamo che le storie agiscano su di noi”.

Leggere, leggere ad alta voce, leggere insieme signi-fica imparare a prendere delle decisioni, a gestire si-tuazioni problematiche, a individuare possibilità dicambiamento, a recuperare un equilibrio messo incrisi, significa in ultima istanza imparare a dare un

2 Krogh Christensen, Biographical learning as health promotion in physical education. A Danish case study,European Physical Education Review, vol.13, pp5-24, 2007.

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valore al proprio sapere integrandolo con quello chela cultura e la scienza ci mettono a disposizione.“Storie che crescono” ci presenta le lettura, soprat-tutto quella spontanea, piacevole, come uno stile divita su cui lavorare fin da piccoli, perché molti saran-no i benefici che se ne trarranno per la costruzione delproprio benessere. La responsabilità educativa peròoltrepassa questo proposito e invita a riflettere sullascelta dei testi e sulla opportunità di produrre, con lalettura partecipata, altre storie possibili, gettando lebasi per lo sviluppo di una competenza narrativa ca-pace di aiutare fin da piccoli ad affrontare l’incertez-za e, soprattutto, per creare una coerenza tra i model-

li educativi che si fanno circolare in famiglia o a scuo-la e i ruoli e gli schemi di comportamento che lestorie veicolano. Come dire: la scelta di un libro nonè un’operazione neutrale.Molti sono gli spunti per la pratica in promozionedella salute, il concetto di empowerment, il ruolo dellalettura nella costruzione di sé, la narrazione comeprocesso partecipato co-costruito e ricostruito, le sto-rie per creare senso e quindi come dispositivi capacidi “mettere le persone in grado di controllare ciò chedetermina la propria salute”.

Patrizia Garista

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Sistema Salute, 56, 2, 2012: pp. 292

SCHEDE

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 2, aprile-gugno 2012

M.Kaku La fisica del futuro,Codice edizio-ni, Torino

I nostri lettori si domanderanno sicuramente cosa cifa qui una segnalazione su un libro che parla di fisica,sia pure del futuro. Qualcuno penserà ad un allarga-mento eccessivo del panorama scientifico culturaledella nostra rivista, con lo sconfinamento in un cam-po molto lontano. In realtà il volume, molto ponde-roso ma di lettura facile ed anche piacevole, offre lospunto a considerazioni di grande importanza rispet-to al nostro campo di lavoro, la promozione dellasalute, la prevenzione l’educazione sanitaria.L’autore, un fisico di rinomanza mondiale famosoper la volgarizzazione scientifica, si lancia in un’ope-ra di eccellente divulgazione dei progressi della fisica,applicata anche al settore biologico, prospettando leapplicazioni pratiche in diversi scenari temporali, abreve, a distanza di trenta’anni, nel prossimo secolo.Il panorama che prospetta è del tutto interessante efascinoso ma anche, nel contempo, gravido di preoc-cupazioni e suscettibile di sviluppi anche pericolosi. Icapitoli che ci riguardano e cui mi riferisco sono inparticolare quelli delle biotecnologie e dellenanotecnologie, negli aspetti più interessanti dellaloro applicazione in medicina. La possibilità di pro-durre strumentazioni diagnostiche e applicazioniterapeutiche sempre più miniaturizzate con microchipridotti a dimensioni sub molecolari, atomiche, apreorizzonti incredibili ma anche assai pericolosi.Bioingegneria, ingegneria genetica, bionica,proteomica e simili non sono solo ipotesi di studioma bussano alle nostre porte. Alcune delle invenzio-ni che l’autore al momento della scrittura ipotizzavaper il 2020 sono già entrate in sperimentazione oaddirittura realizzate commercialmente.Questi aspetti sono di importanza soprattutto per la

lotta contro la proliferazione dei fattori di rischio eper la loro eliminazione o riduzione. Infatti, sonoipotizzate come prospettive in via di realizzazione ilsaper leggere sempre più precocemente i nostri orien-tamenti patogeni, di intervenire quanto prima conl’ingegneria genetica od altri possibili strumenti, diinserire microchip in varie parti del corpo o negliindumenti che indossiamo che possano dirci al mat-tino, mentre curiamo la nostra igiene personale, lostato di salute al momento. Nel contempo si evidenziacon realistica possibilità l’offerta di armamentariterapeutici sempre più potenti, la possibilità di intro-durre nell’organismo oggetti miniaturizzati che pos-sono raggiungere qualsiasi recondito sito e colpireuna cellula malata, un microbo, riparare un guasto,evitando interventi cruenti e deostruenti. Ecco ilmiracolo, non occorre la prevenzione primaria, quel-la secondaria si compie quasi prodigiosamente da solacon microchip inseriti nel pigiama, nei reggiseni onelle mutande, nell’abito da sera, nel panciotto. Equindi niente di niente, voluttà a gogò, morigeratezzae autocontrollo addio, un microchip, un nano coso,un nano robot, claytronics e catomi vi salveranno.Nei capitoli finali, in realtà poi l’autore si accorgeforse dei rischi e pone alcuni interrogativi non delgenere avanzati dal sottoscritto ma anche più impor-tanti, per la vita complessiva dell’umanità e il suofuturo. Se tutti i progressi della scienza e delle nuovetecnologie saranno realizzati l’uomo non avrà piùbisogno di sporcarsi le mani, potrà stare nell’ozio;cosa accadrà allora? La risposta non è irrilevante népriva di senso ma vi invito ad andarla a cercare nellibro, di cui raccomando la lettura. Non in nome diun nuovo luddismo ma come profonda riflessione sudove stiamo andando e su cosa dovremo fare.

Lamberto Briziarelli

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DOCUMENTI

Sistema Salute, 56, 2, 2012: pp. 293-298

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 2, aprile-gugno 2012

Tra il 21 e il 26 maggio si terrà a Ginevra la65° World Health Assembly della World He-alth Organization.In preparazione di questa e per fornire ladocumentazione formale sulla quale eserci-tare la potestà decisionale propria dell’As-semblea, l’Executive Board, nella 130° ses-sione del 12 gennaio 2012, ha discusso diGlobal burden of mental disorders and the needfor a comprehensive, coordinated response fromhealth and social sectors at the country level.Nella bozza di deliberazione predisposta, ipaesi membri del WHO e laddove possibi-le le organizzazioni regionali di sviluppo edintegrazione economica vengono esortati:

«(1) according to national prioritiesand within their specific contexts, todevelop comprehensive policies andstrategies that address the promotion

Salute mentale e sviluppo: una rassegna dei programmi edei documenti del WHOMental health and development: an overview of programs and documents of theWHO

Enrico Petrangeliantropologo, membro del Comitato di redazione della rivista “Sistema Salute. La Rivistaitaliana di educazione sanitaria e promozione della salute”

of mental health, prevention of men-tal disorders, and early identification,care, support, treatment and recove-ry of persons with mental disorders;(2) to include in policy and strategydevelopment the need to promotehuman rights,tackle stigma, em-power service users, address povertyand homelessness, tackle major mo-difiable risks, and as appropriate, pro-mote public awareness, create oppor-tunities for generating income, pro-vide housing and education, providehealth-care service and communitybased interventions, including dein-stitutionalized care;(3) to develop, as appropriate, surveil-lance frameworks that include riskfactors as well as social determinants

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Documenti

of health to analyse and evaluate tren-ds regarding mental disorders;(4) to give appropriate priority andstreamlining to mental health, inclu-ding thepromotion of mental health, the pre-vention of mental disorders, and care,support and treatment in program-mes addressing health and develop-ment and to allocate appropriate re-sources in this regard;(5) ...» (1)

Questa attività istituzionale del WHO, cheprende forma di valutazioni dell’impattosociale e della rilevanza politica del disagiomentale nonché di esortazioni per la gover-nance della salute mentale, si fonda su pro-grammi ed attività di ricerca e sulle pub-blicazioni che ne sono conseguite.La definizione dei programmi di ricerca, illoro coordinamento, realizzazione e diffu-sione dei risultati, prevalentemente attra-verso gli strumenti dell’advocacy sono affi-dati al Mental Health: Evidence and Rese-arch team (MER) (2).Il Project Atlas fu lanciato nel 2000. A fron-te della rilevanza del disagio mentale sullostato di salute delle popolazioni, che venivapercepita con sempre maggiore evidenza,si volevano individuare indicatori misura-bili e si voleva procedere alla comparazionedei dati raccolti nei vari paesi del globo.L’ipotesi di lavoro, dichiarata esplicitamen-te, era quella di dare evidenza alla incon-gruenza tra il peso della malattia mentale ela scarsità di risorse destinate alle misureper la sua prevenzione e il suo contrasto.L’Atlas, cioè l’esito editoriale del progetto,veniva anche a rappresentare un primo ten-tativo di colmare il gap informativo chepesava sull’argomento.Nell’ultima pubblicazione (3), i dati censitiin 184 paesi, l’elaborazione di questi dati

condotta attraverso l’aggregazione compa-rativa nelle VHO Regions (4) e nei WorldBank income group (5) e le relative tabelleriassuntive trovano collocazione nelle se-guenti rubriche che costituiscono anche l’in-dice del volume: Governance; Financing;Mental Health Care Delivery; Human Re-sources; Medicines for Mental and BehavioralDisorders; Information Systems.I key messages della pubblicazione riassumo-no in sintesi essenziali i risultati della sur-vey. La spesa complessiva per la salute men-tale nel mondo, che conosce un trend didecrescita, è in media intorno ai due dollaria persona per anno; nei paesi a basso reddi-to crolla a meno di 25 centesimi. Quasi lametà della popolazione mondiale vive inpaesi dove si conta uno psichiatra ogni 200/300.000 persone. Le fondamenta per vederriconosciuti, secondo standard internazio-nali, i diritti umani e quelli alla salute, cioèla legislazione sanitaria e l’organizzazione diservizi in materia di salute mentale, copronocirca il 92% della popolazione nei paesi ric-chi, ma solo il 36% in quelli poveri.Globalmente, il 63% di posti letto psichia-trici si trovano in ospedali psichiatrici, e il67% della spesa sanitaria in salute mentaleè diretto verso queste istituzioni. Ma sonosoprattutto i paesi a basso reddito che spen-dono in questa direzione: forse perché il di-battito, le lotte e le riforme indotte dallaDe-Istituzionalizzazione della malattiamentale hanno trovato resistenze ancora piùforti che in Occidente. Due dati concorro-no a denunciare la cosa: le strutture sanita-rie ambulatoriali dedicate alla salute men-tale sono 58 volte più frequenti nei paesi areddito elevato rispetto a quelli con bassoreddito; e le organizzazioni di utenti/fami-liari che svolgono un ruolo nelle pratiche diintegrazione sono presenti nell’ 83% deipaesi ad alto reddito e soltanto nel 49% dei

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paesi a basso reddito. Così, tragico parados-so, l’ospedale psichiatrico, cioè il sistemaeconomicamente più dispendioso, clinica-mente meno efficace e politicamente piùoltraggioso dei diritti umani, resta diffusosoprattutto nei paesi a basso reddito.Il report propone anche una comparazionedei dati pubblicati nel precedente report del2005 (6). In questa maniera le informazioniriportate assumono profondità storica e perciò che concerne la governance della salutementale, l’organizzazione della cura (in par-ticolare gli psychiatric beds in ospedali psi-chiatrici o generali) e i numeri e la forma-zione degli operatori, si può discernere iltrend o la discontinuità.Constatato e documentato lo iato tra l’inci-denza del disagio mentale nei carichi dimalattia e la bassa percentuale di personeche per questo ricevono le cure adeguate, laWHO, nel 2008 ha lanciato il mental healthGap Action Programme (mhGAP) (7). Si trattadi un programma di assistenza tecnica ri-volto in particolare ai paesi con basso emedio reddito. Le questioni di salute men-tale vengono poste nell’adeguata prioritàall’interno dei percorsi di riforma e/o raf-forzamento dei più ampi sistemi sanitarinazionali. I pacchetti di assistenza tecnicaper le varie fasi dell’intervento (l’analisi deibisogni, l’individuazione delle strategie ade-guate, lo sviluppo di programmi di riformapolitica e legislativa) sono rivolti, in unaprospettiva multisettoriale, sia agli attoristatali sia a quelli non statali.Nella prospettiva della ricerca finalizzata edella produzione di strumenti per l’interven-to si muove il World Health OrganizationAssessment Instrument for Mental Health Sy-stems (WHO-AIMS) (8). Avendo definito cheil proprio riferimento metodologico è il si-stema di salute mentale, cioè l’insieme ditutte le attività il cui scopo primario è quello

di promuovere, ripristinare o mantenere lasalute mentale, WHO-AIMS ha predispo-sto gli strumenti per raccogliere informa-zioni essenziali sul sistema della salute men-tale di un paese o regione. Obbiettivi dellaraccolta di queste informazioni sono il mi-glioramento dei sistemi di salute mentale efornire strumenti e contenuti per il moni-toraggio del cambiamento. E’ rivolto prin-cipalmente, ma non esclusivamente, a va-lutare i sistemi di salute mentale nei paesi areddito medio basso. Anche in questo casosi pone l’accento sulle necessità di un ap-proccio multisettoriale ai temi della salutementale e di costante dialogo con le asso-ciazioni degli utenti e dei familiari, inco-raggiandone la nascita laddove ancora nonesistano. In down-load sono disponibili glistrumenti di analisi/valutazione delle situa-zioni paese, i report paese e i report regio-nali.In maniera congruente con l’impianto teo-rico-metodologico del lavoro di ricerca econ i risultati delle rilevazioni di campo laWHO arriva ad assegnare un valore parti-colare al tema della salute mentale che di-venta in Mental Health and Development (9)“cartina di tornasole” di tutte le politichedi sviluppo. Si parte dall’evidenza che glieffetti del disagio mentale sulle persone sonodiffusi e pesanti al punto tale che le perso-ne affette (viene usata l’espressione Peoplewith Mental Health Conditions PMHC), espesso anche i loro familiari, rappresentanoun gruppo vulnerabile della popolazione. Esi denuncia dunque il ritardo con cui questaevidenza è fin qui rimasta inespressa nonsolo da parte delle istituzioni dei singolipaesi, ma anche da parte degli organismiinternazionali che finanziano la cooperazio-ne allo sviluppo e da parte delle ong che larealizzano.Gli appartenenti ad un gruppo vulnerabile

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si trovano quotidianamente a dover far fron-te a continue sfide che sulla base della com-parazione globale sono così sintetizzate:stigma e discriminazione; violenza e gliabusi; limitazioni nell’esercizio dei diritticivili e politici; esclusione dalla vita socia-le; ridotto accesso ai servizi sanitari e so-ciali; ridotto accesso ai servizi di soccorsodi emergenza; mancanza di opportunità for-mative; esclusione dalla generazione di red-dito e opportunità di lavoro; aumento delladisabilità e morte prematura. Spesso questifattori di discriminazioni sono combinati traloro e rendono gli effetti di marginalizza-zione e di riduzione in miseria addiritturadevastanti per le persone che le subiscono.Il “mercato degli aiuti” ha fatto prima ariconoscere altri gruppi vulnerabili: perso-ne che vivono in povertà, persone che vivo-no con l’HIV/AIDS, persone con disabilità;rifugiati, minoranze etniche; bambini eadulti vittime di tratta; donne e minori vit-time di abusi e sfruttamento sessuale. Manon può continuare ad ignorare come grup-po vulnerabile le PMHC: se non basta lacondizione di detenzione, di degrado, dimaltrattamento e di abuso cui sono costrettii lungodegenti istituzionalizzati; o l’abban-dono e il dispresso di chi subisce l’espulsio-ne sociale; deve far riflettere il fatto che lasofferenza mentale è, molto spesso, troppo,trasversalmente presente tra le persone ca-tegorizzate sotto gli altri gruppi di vulne-rabilità sociale. Le PMHC incorporano pur-troppo, spesso, troppo spesso varie formedi vulnerabilità sociale. E se è cosi la coo-perazione internazionale in salute, che deveessere basata sull’efficacia degli interventi;e le politiche di sviluppo che si riconoscononell’approccio fondante del riconoscimentodei diritti delle persone non possono piùprescindere dall’individuare adeguate stra-tegie di reintegrazione delle PMHC come

complemento necessario all’intervento sul-le altre categorie di vulnerabilità sociale.Passando ad un piano propositivo poi si elen-cano gli outcomes di sviluppo: i servizi di sa-lute mentale dovrebbero essere integrati si-stematicamente in tutti i servizi sanitari apartire dall’assistenza primaria; le condizionidelle PMHC devono essere approcciati nelquadro delle più ampie politiche, program-mi e partnership sanitari; la salute mentaledovrebbe essere inclusa nei servizi durantee dopo le emergenze; i servizi sociali e l’hou-sing devono comprendere le esigenze dellePMHC; il sistema educativo e formativodeve prevedere l’integrazione attiva dellePMHC; le politiche di sviluppo economicodevono prevedere opportunità di generazio-ne di lavoro e di reddito per le PMHC; idiritti delle persone con disabilità mentalee psicosociale devono essere garantiti dallosviluppo di politiche e leggi adeguate; lePMHC devono poter partecipare alla vitapubblica; deve essere assicurato spazio aimovimenti e alle associazioni di PMHC eloro familiari; gli attori dello sviluppo(agenzie internazionali, istituzioni, pro-grammi bilaterali, ngo,) devono coinvolge-re le PMHC nei processi decisionali.In questo quadro WHO MIND - MentalHealth in Development(10) è l’area di proget-to che si occupa di sostenere i vari paesinell’individuazione e nella realizzazione diprogrammi efficaci di promozione della sa-lute mentale, prevenzione dei rischi e curadel disagio che mirano all’accessibilità “uni-versale”.Sono ribaditi i punti fermi: la qualità dellosviluppo è strettamente legata alle condi-zioni di salute mentale della popolazione;una buona condizione di salute mentale ènecessaria, tanto nel caso dei singoli quantoin quello delle comunità, per adattarsi almondo circostante e per far fronte alle av-

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versità; la capacità di un individuo di rea-lizzare il proprio potenziale, lavorare pro-duttivamente, e dare un contributo alla pro-pria comunità è favorita dalle sue condizio-ni di salute mentale.E sono individuate 4 aree tematiche princi-pali:- Countries in action for mental health, per

sostenere i paesi nelle iniziative necessa-rie al miglioramento della qualità di vitadelle persone con disturbi mentali;

- Mental health policy, planning & service de-velopment: integration for better services, comeausilio all’elaborazione di una politicadella salute mentale e ai relativi pianid’azione per il coordinamento e la fina-lizzazione di tutti i programmi e servizilegati alla salute mentale in una visionecomune;

- Mental health, human rights & legislation:denied citizens: including the excluded, percombattere le troppe forme di violazio-ne dei diritti umani sia all’interno delle

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E WEB, NOTE1. WHO, Executive Board, 130th session, 20 January

2012, Doc. EB130.R82. http://www.who.int/mental_health/evidence/en/3. WHO, Mental Health Atlas, 20114. AFR (Africa); AMR (Americas); EMR

(EasternMediterranean); EUR (Europe;) SEARSouth-East Asia); WPR (Western Pacific)

5. low income countries (having a gross national percapita income of US$ 1005 or less); lower middle-income countries (US$ 1,006 to US$ 3,975); highermiddle-income countries (US$ 3,976 to US$

istituzioni psichiatriche che nella comu-nità;

- Mental health, poverty & development: men-tal health core to development, per far si chei programmi di sviluppo cessino di igno-rare le persone con disabilità mentali epsico-sociale e li considerino invece comesoggetti da integrare positivamente.

Nelle forme di cooperazione internazionalepiù aperte si è ormai affermata la consape-volezza che lo scambio di buone pratichepuò avvenire anche dal Sid del mondo ver-so il Nord. Così, proprio a seguito della suapanoramica globale, la WHO può propor-re documenti sui principi della salute men-tale che, in questa rassegna mi limito sol-tanto a citare essendo comunque i titoliesplicativi del contenuto: Promoting mentalhealth: concepts, emerging evidence, practice(2005); Prevention of mental disorders : effectiveinterventions and policy options (2004); Inte-grating mental health into primary care: a glo-bal perspective (2008).

12,275) and high income countries (US$ 12,276or over)

6. WHO, Mental Health Atlas, 20057. http://www.who.int/mental_health/mhgap/en/

index.html8. http://www.who.int/mental_health/evidence/

WHO-AIMS/en/index.html9. WHO, Mental health and development: targeting people

with mental health conditions as a vulnerable group, 201010. http://www.who.int/mental_health/policy/en/

index.html

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NOTIZIARIOINFORMAZIONI

Sistema Salute, 56, 2, 2012: pp. 298-303

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IX Conferenza Europea dell’Unione Inter-nazionale per la Promozione della Salute el’Educazione Sanitaria (IUHPE)Tallin (Estonia), 27-29 settembre 2012Health and Quality of Life – Health, Eco-nomy, Solidarity

Il focus della Conferenza è racchiuso in questo interro-gative: Cosa possiamo fare per affrontare la salute del-le popolazioni nel contest attuale caratterizzato dallacrisi economica? La salute di una popolazione è unafragile risorsa che richiede giuste decisioni in tempiappropriati. La tempesta economica che stiamo attra-versando sta avendo un effetto devastante sulla salutedegli Europei ed ora è urgente affrontare la ricerca disoluzioni ai problemi generati dal declino economico edal taglio delle risorse. Le politiche danno forma allasalute delle comunità e lo sviluppo dell’uomo e dellasua salute dipendono da quali decisioni politiche ver-ranno prese e da come tutto l’apparato legislativo saràconformato per difendere, rendere sicuro e sostenereciascuno nel contesto sociale. Tutte le diversearticolazioni della Conferenza 2012 sulla Promozionedella salute sono organizzate per permettere la più ampiadiscussione di questi problemi tra i partecipanti. LaConferenza, nelle intenzioni dell’Unione Internazio-nale per l’Promozione della Salute e l’Educazione Sa-nitaria – Regione Europea, si propone anche di essereluogo per cominciare un percorso che porti aprefigurare le soluzioni appropriate per questi proble-mi.Info: http://www.conferences.ee/iuheli2012/

All Inclusive Public HealthV Conferenza Europea EUPHA EuropeanPublic Health AssociationMalta, 7-10 Novembre 2012

Dalle città alle scuole, nella comunità e negli ospeda-li, la sfera di influenza della sanità pubblica per pro-teggere la salute e promuovere il benessere è all in-clusive e onnipresente. Nel corso dei decenni, da unapreoccupazione iniziale importante verso la preven-zione e il controllo delle malattie infettive la sanitàpubblica è progredita verso una visione molto piùampia per quanto riguarda il benessere e la salute,valutando le nostre case, i nostri ambienti di lavoro epersino l’aria che respiriamo. Mentre cerchiamo diproteggere della popolazione su larga scala nelle grandicittà, stiamo anche cercando di capire come, a livellodi microscopio elettronico, i geni dell’umanità pos-sono essere sia una minaccia sia un beneficio per lasalute. Tuttavia, la salute pubblica è sempre più con-centrata sul supporto agli individui, con l’opportuni-tà di sviluppare il loro massimo potenziale. Quindi,aspetti essenziali come la nutrizione, u n alloggiosicuro, una adeguata attività fisica e il benessere psi-cologico, le ‘opportunità per il lavoro sono ancora alcentro della salute della popolazione. Anche se lescienze nell’ambito della salute pubblica si sonoevolute diventando sempre più raffinate, gli ele-menti fondamentali dello sviluppo umano e la saluterimangono invariati. Migliorare il comportamentodella salute resta una sfida importante per la salutepubblica, tra messaggi mediatici che spingono le per-

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sone a soddisfare i loro bisogni. Minacce per la salutemoderne come l’obesità abuso di droga o alcolismo -che minacciano oggi, giovani e meno giovani in Eu-ropa - non possono essere affrontato dal settore dellasanità da sola. La collaborazione intersettoriale checoinvolge l’istruzione, l’industria e il settore socialesono essenziali per favorire una migliore salute tra lapopolazione. Attualmente, uno clima economicoeuropeo sfavorevole è anche servito a ricordarci lafragilità delle nostre strutture e programmi e su comequeste dipendono da un settore del lavoro alimenta-to positivamente da una forza lavoro qualificata, di-namica e sana. Tale interdipendenza tra salute, lavo-ro, l’ambiente e l’istruzione mette in evidenza l’arcodella salute pubblica e quanto sia essenziale collabo-rare, piuttosto che isolare, lavorando per obiettivicomuni invece di competere per risorse limitate.Info: http://www.eupha.org/site/upcoming_conference

La Prevenzione e la Sanità Pubblica al ser-vizio del Paese: l’igienista verso le nuoveesigenze di salute.XLV Congresso Nazionale della Società Ita-liana di Igiene Medicina, Preventiva e Sa-nità Pubblica / Santa Margherita di Pula(CA), 3-6 ottobre 2012

Il tema del 45° Congresso “La Prevenzione e laSanità Pubblica al servizio del Paese: l’Igienistaverso le nuove esigenze di salute” riprende il filoconduttore della scorsa XII Conferenza tenuta aRoma che si è sviluppata intorno a 3 parole chiave:globalizzazione, nuove esigenze di salute esostenibilità economica. La situazione economica esociale di questi tempi ci impone di continuare adimpegnarci nella ricerca di una ristrutturazione dellarete dell’offerta sanitaria. Il risultato dei successi rag-giunti dalla prevenzione e dalla medicina terapeuticasi è manifestato nello straordinario allungamentodella vita degli italiani: la gestione dei nostri successie la valorizzazione dell’anziano richiede tuttavia un

ripensamento della rete assistenziale con l’indispen-sabile integrazione dell’area sociale e del necessariosupporto economico. Tali nuove esigenze di saluteimpongono di rimettere in gioco la distribuzione dellerisorse e di trovare nuovi equilibri tra l’areadistrettuale, ospedaliera e quella della prevenzionecollettiva che portino ad un equilibrio strutturale dellaspesa sanitaria in assenza del quale l’obiettivo delsoddisfacimento dei bisogni di salute dovrà cedere ilpasso alle logiche di contrazione della spesa e nonconsentirà di mettere finalmente al centro del siste-ma il cittadino, ancor prima di essere paziente.Le patologie cronico degenerative sono le principalicause di malattia nell’età avanzata ed il loro tratta-mento può e dovrà avvenire, in maniera più congruaal loro grado di complessità clinica, sempre più spes-so nell’ambito territoriale. Nel contempo semprenell’ambito territoriale dovrà svilupparsi con crescenteefficacia il sistema di prevenzione primaria dellemalattie cronico degenerative; abbiamo ormai stru-menti scientifici consolidati come gli studi sullacancerogenesi e più recenti, quali la medicinapredittiva e la genomica, che ci consentono di inter-venire sempre più precocemente nella lotta alle ma-lattie cronico degenerative. Ma si può fare ancora dipiù, si può evitare l’esposizione ai fattori di rischiocon la promozione degli stili di vita salubri, con l’or-ganizzazione di interventi appropriati nella popola-zione. Un approccio più globale è rappresentato dallapromozione della salute che, come affermato dallaCarta di Ottawa, è il processo mediante il quale cit-tadini e comunità sviluppano la capacità di accresce-re il controllo sui fattori che influenzano la propriasalute. Tale approccio, che implica la più larga colla-borazione tra le diverse professioni sanitarie e socialie tra i diversi settori della società per costruire politi-che di salute che agiscano sulle cause delle cause,richiede professionisti con nuove competenze diadvocacy, progettazione integrata, comunicazione,ricerca partecipativa.Da qui la necessità del potenziamento delle struttureterritoriali in tutte le loro possibili articolazioni conconseguente riequilibrio dell’offerta ospedaliera.Questo cruciale passaggio rappresenta la scommessasulla quale deve necessariamente puntare la Sanità e

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la Salute Pubblica del nostro Paese per poter soprav-vivere alle insidie della crisi economica e saper ri-spondere adeguatamente alle esigenze di una popola-zione radicalmente mutata nella sua composizione.Protagonisti consapevoli e coraggiosi di questa sfidanazionale devono essere i giovani professionisti dellaSanità, in un gioco di squadra che coinvolge le figureaccademiche accanto alle figure territoriali di tuttal’area sanitaria e sociale.In questo scenario dovrà svilupparsi la trasformazio-ne del nostro sistema che dovrà essere il risultatofinale di profonde riflessioni sulle reali esigenze disalute del nostro Paese, di costruttivi confronti trarealtà diverse del nostro territorio nazionale, di ado-zione di modelli già collaudati in regioni che hannoiniziato da tempo il percorso della trasformazioneorganizzativa.Il tema del 45° Congresso “La Prevenzione e la Sani-tà Pubblica al servizio del Paese: l’Igienista verso lenuove esigenze di salute” riprende il filo conduttoredella scorsa XII Conferenza tenuta a Roma che si èsviluppata intorno a 3 parole chiave: globalizzazione,nuove esigenze di salute e sostenibilità economica.La situazione economica e sociale di questi tempi ciimpone di continuare ad impegnarci nella ricerca diuna ristrutturazione della rete dell’offerta sanitaria. Ilrisultato dei successi raggiunti dalla prevenzione edalla medicina terapeutica si è manifestato nello stra-ordinario allungamento della vita degli italiani: lagestione dei nostri successi e la valorizzazione del-l’anziano richiede tuttavia un ripensamento della reteassistenziale con l’indispensabile integrazione dell’areasociale e del necessario supporto economico. Talinuove esigenze di salute impongono di rimettere ingioco la distribuzione delle risorse e di trovare nuoviequilibri tra l’area distrettuale, ospedaliera e quelladella prevenzione collettiva che portino ad un equili-brio strutturale della spesa sanitaria in assenza delquale l’obiettivo del soddisfacimento dei bisogni disalute dovrà cedere il passo alle logiche di contrazio-ne della spesa e non consentirà di mettere finalmenteal centro del sistema il cittadino, ancor prima di esse-re paziente.Le patologie cronico degenerative sono le principalicause di malattia nell’età avanzata ed il loro tratta-

mento può e dovrà avvenire, in maniera più congruaal loro grado di complessità clinica, sempre più spes-so nell’ambito territoriale. Nel contempo semprenell’ambito territoriale dovrà svilupparsi con crescenteefficacia il sistema di prevenzione primaria dellemalattie cronico degenerative; abbiamo ormai stru-menti scientifici consolidati come gli studi sullacancerogenesi e più recenti, quali la medicinapredittiva e la genomica, che ci consentono di inter-venire sempre più precocemente nella lotta alle ma-lattie cronico degenerative. Ma si può fare ancora dipiù, si può evitare l’esposizione ai fattori di rischiocon la promozione degli stili di vita salubri, con l’or-ganizzazione di interventi appropriati nella popola-zione. Un approccio più globale è rappresentato dallapromozione della salute che, come affermato dallaCarta di Ottawa, è il processo mediante il quale cit-tadini e comunità sviluppano la capacità di accresce-re il controllo sui fattori che influenzano la propriasalute. Tale approccio, che implica la più larga colla-borazione tra le diverse professioni sanitarie e socialie tra i diversi settori della società per costruire politi-che di salute che agiscano sulle cause delle cause,richiede professionisti con nuove competenze diadvocacy, progettazione integrata, comunicazione,ricerca partecipativa.Da qui la necessità del potenziamento delle struttureterritoriali in tutte le loro possibili articolazioni conconseguente riequilibrio dell’offerta ospedaliera.Questo cruciale passaggio rappresenta la scommessasulla quale deve necessariamente puntare la Sanità ela Salute Pubblica del nostro Paese per poter soprav-vivere alle insidie della crisi economica e saper ri-spondere adeguatamente alle esigenze di una popola-zione radicalmente mutata nella sua composizione.Protagonisti consapevoli e coraggiosi di questa sfidanazionale devono essere i giovani professionisti dellaSanità, in un gioco di squadra che coinvolge le figureaccademiche accanto alle figure territoriali di tuttal’area sanitaria e sociale.In questo scenario dovrà svilupparsi la trasformazio-ne del nostro sistema che dovrà essere il risultatofinale di profonde riflessioni sulle reali esigenze disalute del nostro Paese, di costruttivi confronti trarealtà diverse del nostro territorio nazionale, di ado-

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zione di modelli già collaudati in regioni che hannoiniziato da tempo il percorso della trasformazioneorganizzativa.Tematiche Sessioni parallele 1. La promozione e l’educazione alla salute 2. L’Igienista nelle emergenze sanitarie e nell’assi-stenza ai migranti 3. L’organizzazione dei percorsi assistenziali dal-l’ospedale al territorio 4. L’Igienista nell’organizzazione ospedaliera 5. L’organizzazione e le attività del dipartimento diprevenzione 6. L’Health Technology Assessment 7. Gli screening organizzati nel SSN 8. La genomica al servizio della prevenzione 9. Igiene Ospedaliera10. Le Società Scientifiche impegnate nella preven-zione e nella Sanità Pubblica11. L’Igienista nella tutela dell’ambiente di lavoro12. L’attività fisica nella promozione della salute.Tematiche Sessioni comunicazioni orali e poster1. Comunicazione e Promozione della Salute2. Epidemiologia delle malattie infettive3. Prevenzione delle malattie cronico-degenerative4. Organizzazione e Management sanitario5. Ambiente, Alimenti e Salute6. Le Vaccinazioni7. Il Piano Nazionale della Prevenzione: il ruolodell’Igienista8. Il sistema qualità in sanità pubblica9. La promozione della salute in ambienti di vita edi comunità10. La promozione della salute in ambienti di lavoro

giovedì 4 ottobre 2012 - mattina9.00-11.00 Sessione Plenaria 1L’Igienista e l’Assistenza Primaria11.00-12.30 Simposio Satellite sponsor11.00-13.00 Sessione ParallelaLa promozione e l’educazione alla saluteSessione ParallelaL’Igienista, le emergenze sanitarie e l’assistenza ai mi-grantiSessione ParallelaL’organizzazione dei percorsi assistenziali dall’ospedale

al territorioSessione ParallelaL’Igienista nell’organizzazione ospedaliera

giovedì 4 ottobre 2012 - pomeriggio9.00-11.00 Sessione plenaria 2Prevenzione delle malattie infettive e cronico-degenerative16.00-17.30 Simposio Satellite SponsorSessione ParallelaOrganizzazione e sviluppo del Dipartimento di Preven-zioneSessione ParallelaHealth Technology AssessmentSessione ParallelaGli screening organizzati nel SSNSessione ParallelaLa gnomica al servizio della prevenzione

venerdì 5 ottobre 2012 - mattina9.00 - 11.00 Sessione Plenaria 3Alimenti e saluteSessione ParallelaIgiene OspedalieraSessione ParallelaLe Società Scientifiche impegnate nella prevenzione enella Sanità PubblicaSessione ParallelaL’Igienista nella tutela della salute e della sicurezzanegli ambienti di lavoroSessione ParallelaL’attività fisica nella promozione della salute

venerdì 5 ottobre 2012 - pomeriggioSessione Plenaria 4Ambiente e Salute16.15-18.15Gruppo di Lavoro VaccinazioniGruppo di Lavoro Salute ed AmbienteGruppo di Lavoro Prevenzione Sicurezza Luoghi diLavoroGruppo di Lavoro Scienze MotorieGruppo di Lavoro GISIOGruppo di Lavoro NutrizioneGruppo di Lavoro Prevenzione Malattie

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Cardiovascolari

Elezioni Nuova Giunta

sabato 6 ottobre 2012 - mattina9.00-11.00 Sessione ComunicazioniIl sistema qualità in sanità pubblicaSessione ComunicazioniIl Piano Nazionale ed i Piani Regionali della Preven-zione: il ruolo dell’IgienistaSessione ComunicazioniLa promozione della salute in ambienti di vita e nelleComunitàSessione ComunicazioniLa promozione della salute in ambienti di lavoroSessione ComunicazioniOrganizzazione e Management sanitarioConclusioni e chiusura del Congresso

Per informazioni:http://www.siti2012.org/programma.asp

MONDO CSESATTIVITÀ FORMATIVE DEL CSES

Master di I LivelloProgettazione, Coordinamento e Valutazio-ne di interventi integrati di promozioneed educazione alla saluteEdizione 2013

Storie di Leadership - Formarsi alla leader-ship per guidare interventi di promozionedella salute nei contesti di cura e preven-zionePerugia 12-14 Settembre 2012

Il recente progetto europeo “Developing competenciesand professional standards in health promotioncapacity building in Europe” ha individuato la compe-tenza di leadership come una delle nove competenzedi base che i professionisti della promozione della salu-te devono possedere definendone con precisione i cri-

teri standard e i livelli di accreditamento tra pari sia pergli operatori che per i relativi processi formativi. Ilpercorso formativo, basato sul confronto di esperienzee l’approfondimento metodologico intorno ad una stra-tegia efficace e innovativa nello sviluppo dellaleadership, seguirà l’approccio narrativo secondo ilmodello della narrative based health promotion.

Destinatari del CorsoProfessionisti coinvolti in attività di coordinamento,progettazione e valutazione di interventi di pds a livel-lo regionale e locale.ECM: richiesto per tutte le professioni

Il counseling nutrizionale: tecniche di co-municazione per promuovere il cambia-mento dei comportamenti alimentari”Perugia, 17-20 settembre 2012

Il corso affronta, dal punto di vista teorico - pratico, laconduzione dei colloqui motivazionali attraverso letecniche di base del counseling, con particolare riferi-mento al counseling nutrizionale: costruzione della re-lazione, ascolto attivo, empatico e non-direttivo, faci-litazione, formulazione delle domande, esplorazionedei problemi, messa in discussione e cambiamento,riassunto - riformulazione - parafrasi, rispecchiamento,azione. Le parti teoriche si avvalgono dei contributidisciplinari della Antropologia Medica, della Psicolo-gia Medica, della Psicologia della Salute, della Pro-grammazione Neuro Linguistica.ECM: richiesto per tutte le professioni

Info e richiesta dei programmi dei corsi:[email protected], [email protected]

MONDO CIPES

DALLA CIPES TOSCANA RICEVIAMO E VOLENTIERI

PUBBLICHIAMO

Sabato 16 giugno 2012 è stata realizzata in tuttaItalia la Prima Giornata Nazionale del Colesterolo e

Page 161: 2-2012 29 giugno 2012 - cespes.unipg.itcespes.unipg.it/index_htm_files/2_2012.pdf · Il fattore stress lavoro-correlato come determinante del-l’ipertensione essenziale Sonia Rosaria

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 2, aprile-gugno 2012

Informazioni 303

della Nutrizione Responsabile con il tema “Sapeviche il colesterolo può essere un problema familiare?”L’evento è stato promosso dalla S.I.S.A. (Società Ita-liana per lo Studio dell’Arteriosclerosi). A Firenze talegiornata si è svolta nel Piazzale delle Cascine in unatensostruttura messa a disposizione dalla Croce RossaItaliana e con la collaborazione della CIPES Toscana(Confederazione Italiana per l’Educazione e la Pro-mozione della Salute).CIPES Toscana non poteva mancare a questa manife-stazione i cui fini coincidono con la propria filosofia:focalizzare l’attenzione verso la cultura ed i compor-tamenti favorevoli alla salute. Per ottenere questo ri-sultato la comunità deve avere occasioni per svilup-pare conoscenze e consapevolezze tali da modificarein positivo abitudini e atteggiamenti, “educandosi”ad uno stile di vita più sano e attento al proprio benes-sere.Il vivere “in salute” non è solo un fatto individualema è correlato strettamente al buon rapporto con sestessi e con gli altri, a politiche che, tenendo contodella complessità della vita quotidiana, attuino azionie provvedimenti per migliorare il rapporto con l’am-biente, il lavoro, l’economia e per favorire la socialità.L’evento non a caso è stato organizzato in un luogopubblico: per meglio porsi come intervento alla por-tata di tutti per l’acquisizione di consapevolezza e persostegno alla prevenzione.I livelli elevati di colesterolo nel sangue, possono de-

rivare sia da abitudini alimentari e di vita quotidianacapaci di mettere a rischio la salute (fumo, alcol,etc.), ma anche da familiarità. Questi sono fattori dirischio da tenere sotto controllo per evitare lo svilup-po della malattia cardiovascolare che, come è noto, èuna delle cause di morte più frequenti in età adulta.Il controllo dei livelli di colesterolo e l’adozione diabitudini di vita quali un’alimentazione che tengaconto della stagionalità e sia variata nelle scelte, in-sieme all’attività fisica quotidiana, all’eliminazionedel fumo e al consumo di alcol responsabile e consa-pevole dei rischi, possono contrastare con successoanche la familiarità.Durante la Prima Giornata Nazionale del Colesteroloe della Nutrizione responsabile, le persone hanno po-tuto accedere ad un percorso di salute, compilare unsemplice questionario per riflettere sul proprio stiledi vita e ricevere informazioni e materiale da partedel personale sanitario presente. Ognuno potrà farsimisurare la pressione, sottoporsi ad un prelievo disangue capillare che consentirà la misurazione dellaglicemia, colesterolo totale e trigliceridi. Il personalemedico sarà a disposizione per fornire informazionisui rischi cardiovascolari e indicazioni sulla preven-zione.Per informazioni contattare: CIPES [email protected] – 3349092877; S.I.S.A. To-scana prof.ssa Maria Boddi [email protected])

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Finito di stampare nel mese di giugno 2012

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