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vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

SISTEMA SALUTELA RIVISTA ITALIANA DI EDUCAZIONE SANITARIA

E PROMOZIONE DELLA SALUTEgià Educazione Sanitaria e Promozione della Salute

Sistema Salute. La Rivista Italiana di Educazione Sanitaria e Promozione della Salute è Organo del Centro sperimentale per l’educazionesanitaria dell’Università degli studi di Perugia. Già diretta da Alessandro Seppilli

Direzione e Redazione: Centro sperimentale per l’educazione sanitaria, Università degli studi di Perugia, via del Giochetto 6, 06126 Perugia / tel.:075.5857357-56-55 - fax: 075.5857361 / e-mail: [email protected] / www.unipg.it/csesi

Direttore responsabile: Filippo Antonio Bauleo, Azienda Sanitaria n. 2, Regione Umbria

Presidente del Comitato scientifico: Maria Antonia Modolo, Università degli studi di Perugia

Redattore capo: Lamberto Briziarelli, Università degli studi di Perugia

Segretario di redazione: Paola Beatini, Università degli studi di Perugia

Autorizzazione del Tribunale di Perugia n. 4 del 17 febbraio 2012

Comitato scientifico: Bruno Benigni, Centro di promozione per la salute “Franco Basaglia” (Arezzo) / Mario Bertini, Società italiana di psicologiadella salute, già professore di psicologia, Sapienza Università di Roma / Francesco Blangiardi, Società italiana di igiene, medicina preventiva esanità pubblica, Dipartimento di prevenzione AUSL n. 7 della Sicilia (Ragusa) / Sabrina Boarelli, Ufficio scolastico regionale per l’Umbria /Antonio Boccia, Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica, professore di igiene, Sapienza Università di Roma / FrancescoBottaccioli, Società italiana di psiconeuroimmunologia (Roma) / Lamberto Briziarelli, già professore di igiene, Università di Perugia / AntonioCappelli, Centro italiano ricerca sui servizi sanitari e sociali (Roma) / Carla Collicelli, Fondazione CENSIS (Roma), professore di sociologia dellasalute, Sapienza Università di Roma / Paolo Contu, professore di igiene, Università di Cagliari / Michele Conversano, Società italiana di igiene,medicina preventiva e sanità pubblica, Dipartimento di prevenzione ASL Taranto / Giorgio Cosmacini, professore di storia della medicina,Università Vita-Salute San Raffaele (Milano) / Claudio Cricelli, Società italiana di medicina generale / Barbara D’Avanzo, Dipartimento dineuroscienze, Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” (Milano) / Paola Di Nicola, professore di sociologia dei processi culturali ecomunicativi, Università di Verona / Floriana Falcinelli, professore di didattica generale e tecnologie dell’istruzione, Università di Perugia / CarloFavaretti, Health promoting hospital & health services network, Azienda ospedaliera-universitaria “Santa Maria della Misericordia” (Udine)/ Luigi Ferrannini, Società italiana di psichiatria, Dipartimento di salute mentale, ASL n. 3 della Liguria (Genova) / Irene Figà-Talamanca, giàprofessore di igiene, Sapienza Università di Roma / Salvatore Geraci, Area sanitaria della Caritas Diocesana Roma / Mariano Giacchi, professoredi igiene generale e applicata, Università di Siena / Guido Giarelli, European society for health and medical sociology, professore di sociologiagenerale, Università Magna Graecia (Catanzaro) / Margherita Giannoni, professore di economia sanitaria, Università di Perugia / Marco Ingrosso,professore di sociologia generale, Università di Ferrara / Domenico Lagravinese, Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica,Dipartimento di prevenzione ASL Bari / Gavino Maciocco, Osservatorio italiano sulla salute globale, professore di politica sanitaria internazio-nale, Università di Firenze / Maurizio Mori, già professore di medicina di comunità, Università di Perugia / Aldo Morrone, Istituto nazionale perla promozione della salute delle popolazioni migranti ed il contrasto delle malattie della povertà, Roma / Pio Enrico Ricci Bitti, Società italianadi psicologia della salute, professore di psicologia generale, Università di Bologna / Walter Ricciardi, European public health association,professore di igiene generale e applicata, Università Cattolica del Sacro Cuore (Roma) / Paola Rivosecchi, professore di metodologia epidemiologicae igiene, Università di Perugia / Roberto Romizi, Associazione internazionale dei medici per l’ambiente / Tullio Seppilli, già professore diantropologia culturale, Università di Perugia, Fondazione Angelo Celli per una cultura della salute (Perugia) / Paolo Siani, Associazioneculturale pediatri, Ospedale Cardarelli (Napoli) / Gianfranco Tarsitani, professore di igiene, Sapienza Università di Roma / Maria Teresa Tenconi,professore di igiene, metodologia epidemiologica e medicina di comunità, Università di Pavia / Maria Triassi, professore di igiene generale eapplicata, Università Federico II di Napoli / Enrico Tempesta, Osservatorio permanente giovani e alcol, Roma / Maria Giovanna Vicarelli,professore di sociologia dei processi economici e del lavoro, Università Politecnica delle Marche (Ancona) / Mauro Volpi, professore di dirittocostituzionale, Università di Perugia.

Comitato di redazione: Sandro Bianchi, Associazione culturale pediatri (sezione Umbria)/ Sabrina Flamini, Fondazione Angelo Celli per unacultura della salute (Perugia) / Patrizia Garista, Università di Perugia / Giuseppe Masanotti, Università di Perugia / Liliana Minelli, Universitàdi Perugia / Giovanni Paladino, Università Federico II di Napoli / Damiano Parretti, Società italiana di medicina generale (sezione Umbria) /Enrico Petrangeli, Fondazione Angelo Celli per una cultura della salute (Perugia) / Maria Saba Petrucci, Università di Perugia / GiancarloPocetta, Università di Perugia / Carlo Romagnoli, ASL n. 2 dell’Umbria / Francesco Scotti, Gruppo tecnico interregionale per la salute mentale,Regione Umbria / Francesco Tullio, Associazione internazionale dei medici per l’ambiente (sezione Umbria).

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In questo numero

Consumi infiniti in un pianeta finitoLamberto Briziarelli

Taranto e la gestione comune di salute e territorioCarlo Romagnoli

La rivoluzione epigeneticaFrancesco Bottaccioli, Anna Giulia Bottaccioli

Capitale sociale, reti, relazioniPaola Di Nicola

I telefoni cellulari: un problema di salute pubblica?Irene Figà Talamanca, Claudia Giliberti, Silvana Salerno

La gestione di problematiche ambientali da inquinamentoatmosferico: un’esperienza trasferibileFausto Francia, Paolo Pandolfi, Elisa Stivanello

Il “Progetto Microaree” nei distretti di Trieste. Azioniinnovative per una salute globale in una rivisitazione opera-tiva delle cure primarieMaria Grazia Cogliati Dezza, Paolo Da Col, Monica Ghiretti, Mi-chela Degrassi, Marco Spanò, Emanuela Fragiacomo, AngelaPianca, Ofelia Altomare, Flavio Paoletti, Barbara Ianderca, Clau-dia Rusgnach, Franco Rotelli

L’informazione, la comunicazione e l’educazione sui temiambientali finalizzate alla tutela della salute pubblica. Ana-lisi sintetica delle attività di ISDE Italia in un anno indiceAgostino Di Ciaula, Antonio Faggioli

Qualità in promozione della saluteCarlo Romagnoli

Incidenti e alcol: i giovani non sanno o non vogliono sapere?Michela Paccamiccio, Paola Carbone, Elisa Casini

Editoriali

Monografia

Altri contributi

Indice vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012 Sommario

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Recensioni

Documenti

Notiziario

Comportamenti a rischio in un campione di giovani indivi-duati nel contesto di un intervento di prossimità – ProgettoOvernightCarmela Daniela Germano, Eva Perizzolo, Riccardo Tominz,Matteo Bovenzi, Antonina Contino, Roberta Balestra

Il biogas. Criteri per una produzione sostenibile,LEGAMBIENTE, 19 settembre 2012 / Riflessioni sulle lineeguida per il TSO e per la prevenzione della contenzione: unapsichiatria non violenta è un’utopia?Francesco Scotti

III Assemblea del People’s Health Movement / 20o congressoannuale EUPHA - 34° incontro annuale ASPHER - V Confe-renza annuale di Sanità Pubblica 2012. All Inclusive Public Health,Portomaso, St. Julian’s, Malta 7 - 10 November 2012 /European Public Health Association (EUPHA), EuropeanSociety for Prevention Research, 3rd International ConferenceCommon risk and protective factors, and the prevention of multiplerisk behaviours, Krakow (Poland), December 6-7, 2012 / Cen-tro sperimentale per l’educazione sanitaria, Università deglistudi di Perugia: Master in Progettazione, coordinamento e valu-tazione di interventi integrati di promozione ed educazione alla sa-lute, a.a. 2012-2013 / Tecniche di counseling nutrizionale e diProgrammazione neuro linguistica. corso di approfondimento, Perugia,6-8 maggio 2013 / Il counseling nutrizionale: tecniche di comu-nicazione per promuovere il cambiamento dei comportamenti alimen-tari, Perugia, 27-30 maggio 2013 / Tallin: Gruppo di Lavoroper lo Sviluppo delle Competenze Professionali in Promozio-ne della Salute / COMP HP: Pubblicato il Manuale delle Com-petenze in Promozione della salute / Smart people and smartliving / Politiche di efficienza di risparmio energetico e dicontrasto ai cambiamenti climatici / Notizie dalla Rete Ita-liana Culture della Salute CIPES/AIES / European TrainingConsortium for Public Health and Health Promotion (ETC-PHHP): Building bridges: creating synergy for health / Paolo ContuPreside della Facoltà di Medicina a Cagliari

Sisteoa Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

Sistema Salute, 56, 3, 2012: pp. 309-310

IN QUESTO NUMERO

La Sezione monografica della Rivista è dedi-cata al tema “Ambiente e salute”. L’argo-mento è assai complesso, articolato e condiverse sfaccettature; difficilmente circo-scrivibile ed esauribile; e pertanto abbiamovoluto offrire ai Lettori lavori di ricerca,analisi, spunti di riflessione, sia secondo laprospettiva igienistica classica, legata allematrici ambientali, sia attraverso un’anali-si riguardante temi sociali ed economici.In considerazione dell’ampiezza del mate-riale raccolto, abbiamo deciso di dividerloin due parti, rinviando il seguito al prossi-mo numero.La Monografia è introdotta da un impor-tante contributo di Francesco e Maria GiuliaBottaccioli dedicato all’epigenetica. Afferma-no gli Autori: “Comprendere le conseguenze epi-genetiche dell’ambiente sociale potrebbe rivoluzio-nare non solo la medicina ma trasformare anche

le scienze sociali. L’epigenetica potrebbe gettareun ponte tra le scienze umanistiche e sociali e lescienze biologiche consentendoci così di giungerea una visione integrata del comportamento e dellasalute umana”.Paola Di Nicola affronta il discorso su “Ca-pitale sociale, reti e relazioni” e ci mostracome nelle società ad alti livelli di differen-ziazione sociale, il concetto di ambientedeve ampliarsi e comprendere non solo ladimensione fisica, ma anche quella relazio-nale. La qualità della vita di una collettivitàe di un soggetto dipende non solo dal fattodi vivere in un ambiente sano, ma anche inun ambiente costituito da relazioni sociali.La qualità delle relazioni influenza le bio-grafie di vita individuale, ma anche l’ariache si respira e lo spirito che aleggia in unquartiere, in una città, in una particolarezona geografica. Un’interessante ridiscussio-

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ne del concetto di capitale sociale.A seguire viene proposto un argomento disanità pubblica di grande attualità: i rischiper la salute da telefoni cellulari. Una ras-segna di Irene Figà Talamnaca et al. delleprincipali ricerche sperimentali ed epide-miologiche, con particolare attenzione abambini ed adolescenti.I due contributi successivi riportano contri-buti di professionisti attivi sul territorio. Ilprimo di Fausto Francia et al espone uno stu-dio osservazionale realizzato nella città diBologna, a partire da un problema di inqui-namento atmosferico: esempio di gestionedi problematiche rilevate dalla popolazionee di risposta da parte dei servizi sanitari.L’articolo di Paolo Da Col et al riporta l’espe-rienza di interventi intersettoriali per la sa-lute attuati in microcontesti territoriali deidistretti sanitari dell’Azienda Sanitaria diTrieste. Sono descritte le linee strategichedi base e le azioni innovative di cure prima-rie messe in atto per migliorare la salute

globale degli individui e delle comunità.Il contributo di Di Ciaula e Fagioli riportauna sintetica analisi delle attività di infor-mazione, comunicazione, ed educazionesvolte dall’Associazione Medici per l’Am-biente (IDSE) sui temi ambientali.Per la Sezione Altri Contributi, Carlo Roma-gnoli riferisce sul percorso di miglioramen-to della qualità in promozione della saluteattivato nella ASL di Perugia, un processosviluppato attraverso la definizione di di-mensioni, relativi standard e possibili mo-dalità attuative.Al problema dei comportamenti a rischiotra i giovani sono dedicati sia il contributodi Michela Paccamiccio et al – un’indagine fi-nalizzata a rilevare il livello di conoscenzeed esperienze sulle relazioni tra alcol e gui-da –, sia quello di Carmela Daniela Germanoet al, che ha indagato, attraverso un inter-vento di prossimità, il consumo di alcol esostanze e i rapporti sessuali nella città diTrieste.

Editoriali

Sistema Salute, 56, 3, 2012: pp. 311-318

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Consumi infiniti in un pianeta finitoInfinitive consumption on a finite planet

Lamberto Briziarelli

Da sempre, la specie umana – accreditatacome superiore a tutte le altre – ha ritenu-to che l’intero pianeta, sopra e sotto la su-perficie, ogni altra specie in esso viventefosse a sua completa disposizione, ne potes-se fare un uso illimitato e indiscriminato.Tanto che alcuni gruppi di essa, costruitauna teoria delle razze, hanno assoggettato edistrutto anche altri individui della stessaspecie; a partire dagli episodi di cannibali-smo fino alla più moderna distruzione consofisticati strumenti.E così, con il progredire del pensiero scien-tifico e dei mezzi della tecnica, si è costru-ita una nuova teoria della crescita illimita-ta, a spese di crescenti prelievi dal patrimo-nio naturale. Fino ad un certo punto la go-duria ha proseguito senza grandi preoccu-pazioni, alimentando il consumo illimitatodi beni di ogni genere, ben oltre le necessitàeffettive delle popolazioni. I paesi ricchi aspese dei meno fortunati, che sono restatiai margini della grande abbuffata; lo svi-luppo è stato negato alla maggioranza deiviventi sul globo terracqueo, molti dei quali

– parliamo di milioni – muoiono per lamancanza di beni di primissima necessità.Ma oggi, con una popolazione di sette mi-liardi, siamo arrivati al capolinea, nonostan-te alcuni ancor oggi si ostinino a negarel’evidente verità, cercando di tranquillizza-re un mondo assai distratto e ignaro dellagravità della situazione.Due strumenti gli scienziati seri hanno co-struito ed utilizzato in questi ultimi anni ele analisi compiute non lasciano adito a dub-bi; sia la cosiddetta “impronta ecologica”che l’“Hearth Overshoot Day” (potremmochiamarlo il giorno del sorpasso) mostranodati inequivocabili e assai meno tranquil-lizzanti, direi anzi catastrofici.Con l’impronta ecologica si indica il pesoche la specie umana ha sull’intero pianeta,attraverso la misura dei consumi energeti-ci, dei beni primari e dei servizi che garan-tiscono la vita all’intera umanità. Ebbenead oggi, i consumi hanno raggiunto un va-lore quadruplo rispetto alle risorse planeta-rie disponibili e si sta andando quindi versoun esaurimento delle stesse. Il secondo in-

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dicatore indica il giorno dell’anno in cui l’im-pronta ecologica raggiunge e supera il valo-re delle risorse planetarie disponibili in uncerto anno. Ebbene, mentre il primo over-shoot day si è verificato il 19 dicembre del1987, dieci anni dopo era sceso al 25 otto-bre. Nel 2011 il bilancio ecologico negati-vo è iniziato il 27 settembre. Per tre mesiquindi abbiamo consumato risorse superio-ri alla disponibilità ma nel corrente annoabbiamo peggiorato ulteriormente la situa-zione, essendo arrivati al punto cruciale allafine di agosto; dopo soli otto mesi, cioè,abbiamo utilizzato il capitale disponibile perl’intero anno. E’ come se una famiglia adagosto avesse già speso il reddito di tutti imesi dell’anno. E per il futuro? Cosa man-geranno? Con quali risorse pagheranno lebollette? Gli affitti dei mesi successivi?Abbiamo anche in questo campo realizzatoun debito enorme, che però nessuna bancacentrale potrà ripagare.Si debbono porre quindi in discussione i ter-mini Crescita e Sviluppo che, in generale enell’accezione più diffusa, vengono conside-rati sinonimi, invocati come passaggi ob-bligatori, imperativi categorici per l’uma-nità. E ciò deve essere considerato sicura-mente vero per le popolazioni che soffronodi livelli inaccettabili di vita, inammissibi-li dovremmo dire per confrontarli con i sud-detti imperativi. Ma non per i paesi ricchi esviluppati che basano queste loro opportu-nità sullo sfruttamento degli altri meno for-tunati.In realtà i due termini sottintendono con-cetti molto diversi, in quanto alla crescita èsotteso un intendimento materiale, fisico ditipo quantitativo, della ricchezza, del capi-tale, dei dividendi, dei possedimenti; inpoche parole il modello di accumulazionesul quale si è basato il modello delle societàindustriali a partire dal XVIII secolo. Pro-

cesso necessario per affrancare i paesi e lepopolazioni dalla miseria e dal sottosvilup-po ma oggi divenuto inarrestabile, senza li-miti, appunto una crescita infinita. Che av-viene in misura quasi globale sullo sfrutta-mento di risorse purtroppo finite e a scapi-to di quelli che pur possedendole non pos-sono approfittarne, consumandole comun-que al loro posto.Sviluppo, al contrario, è basato su un con-cetto di tipo non strettamente ed esclusiva-mente materiale (anche, evidentemente), laqualità della vita, appunto, che non riguar-da solo la ricchezza individuale ma le rela-zioni e i rapporti umani, il modo di gover-nare la società, la tipologia delle infrastrut-ture e dei servizi, la salute e l’istruzione,l’ambiente fisico e sociale, la qualità dei la-vori; qualcuno potrà dire forse che questoapproccio potrebbe voler dire più un doveressere che un essere, categorico e assoluto;si può anche convenire ma è evidente chenon si possa che consideralo tale, alla lucedi ciò che sta accadendo e della strada cheabbiamo intrapreso verso un baratro certo.Lo sviluppo sostenuto da una crescita di que-sto genere non è tale.Si parla infatti da moltissime parti di lavo-rare per uno sviluppo sostenibile, tale cioèda essere supportato dall’ambiente in cuiviviamo, uguale per tutti, ugualmente sud-diviso e condiviso. E questa deve essere laparola d’ordine, di fronte alla crisi epocaleche stiamo vivendo ovunque, nei paesi co-siddetti sviluppati e ricchi (che tanto ricchinon sono più) ed in quelli che conoscono unulteriore impoverimento. Tutti lodano edesaltano la crescita (soprattutto del PIL) deipaesi emergenti, i Brigs, veri fenomeni delcapitalismo avanzato, ipertecnologico, in-vadentemente minaccioso e temuto. Maquale sviluppo al loro interno? Sistemi dit-tatoriali che distruggono centinaia, miglia-

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ia di persone con la malattia e la morte (an-che quella delle pene capitali), con una re-distribuzione dei redditi inesistente, milio-ni di cittadini ancora costretti alla fame, alleribellioni, agli spostamenti di massa, a com-piere ancora “ratti delle sabine” nel XXIsecolo a seguito di politiche demografichefolli. Che sottraggono alle popolazioni ri-sorse di tutti, come l’acqua e le privano diquel poco di terra da cui trarre un miserosostentamento.E’ con questi intendimenti che abbiamovoluto dedicare un numero della nostra ri-vista alle problematiche ambientali, comeuno degli snodi fondamentali anche per losviluppo di un sistema salute equo e soste-nibile, di fronte alle minacce che incombo-no anche laddove servizi sanitari degni diquesto nome avevano cercato di garantirelivelli accettabili, se non ottimali per unagrande maggioranza dei cittadini, se non pertutti. Cercando di toccare tutti gli elemen-ti che incombono sull’ambiente e ne condi-zionano la qualità e con esso la stessa salu-te. Ad altri il compito di ragionare sull’eco-nomia, sulla politica incapace di affrontarela globalizzazione e le sue sfide, sullo svi-luppo dei sistemi di produzione, sugli scam-bi commerciali, sulla finanza. Speriamo chelo facciano, avendo dinanzi a sé i nostri stes-si obiettivi.L’allargamento ad un dotto articolo sull’epi-genetica, anche forse troppo tecnico, aggiun-ge un altro grande tassello al nostro discor-so, già da tempo avviato, sull’ambientecome principale determinante della salute;c’è assai poco di deterministico e di assolu-to. Siamo noi stessi che determiniamo ilfuturo, non nostro tanto breve ma di tuttele future generazioni a venire. Tutto ciò con-duce ad inserire nel progetto sviluppo so-stenibile, come elemento centrale guida, unamaggiore attenzione agli individui, alla loro

personalità e indipendenza mentale, allagaranzia di istruzione e formazione demo-cratica per tutti, al ripristino di condizionifondamentali per la partecipazione e l’as-sunzione di responsabilità verso la cosa pub-blica. Senza di che il processo non sarebbecompleto.ILVA o dell’oblioQualche parola, a partire dalla questioneILVA di Taranto, sulla quale troverete unapposito editoriale che affronta la proble-matica nel merito.Prenderò lo spunto dall’agitazione che hascosso l’intero Paese e mobilitato pratica-mente tutti solo perché la magistratura,ancora una volta, supplisce alle carenze del-l’intera società. Politici, amministratori,servizio sanitario, i mezzi di comunicazio-ne di massa che sanno solo urlare in presen-za del morto, organizzazioni dei lavoratorihanno sopportato più o meno in silenzio unasituazione che dura da oltre quarant’anni.Noi stessi, su queste pagine, un paio di annior sono, in occasione della fuoriuscita didiossina durante un incendio a Stroncone,in provincia di Terni, avevamo segnalato ciòche da tempo era stato verificato attorno aquella fabbrica: diossina nelle uova dellegalline e in altri generi alimentari, oltre adaltri pericolosissimi prodotti diffusi in at-mosfera.Se possiamo in qualche modo comprenderema non scusare lavoratori e loro organizza-zioni, stretti fra scelte esiziali – lavoro osalute – e forse sperando nella buona sorte,non possiamo non accusare tutti gli altri,comprese le tanto benemerite associazioniambientaliste che da qualche anno agitanoopportunamente il problema della protezio-ne dell’ambiente e con esso (ma in modomeno forte) quello della salute.Essi, tutti, sono ancora all’interno di unavecchia logica secondo la quale il problema

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dei lavoratori, quello che succede all’inter-no dei luoghi di lavoro sono a parte, non sene parla, la fabbrica è nell’accezione gene-rale off limits: sul fuoco ci sono le discari-che, gli inceneritori, i rifiuti solidi (pocoassai quelli liquidi), gli impianti a biomas-se, le pale eoliche; si parla spesso di im-pianti a grande rischio ma ci si dimenticadella miriade di piccole e piccolissime in-dustrie, dell’artigianato, dell’agricoltura. Esoprattutto non si parla quasi mai ma so-prattutto non si interviene a sufficienza perridurre il gravissimo fenomeno degli infor-

tuni e delle morti bianche; l’INAIL ci tran-quillizza perché ogni tanto c’è un calo diqualche decina di morti, rispetto alle centi-naia che rappresentano uno zoccolo duro checi pone all’avanguardia nel mondo e cheperdura nel tempo.Come anche si tace sui morti sulla strada,sul problema del traffico che rappresenta unodei maggiori contributi all’inquinamentoatmosferico.Quando vorremo mettere manoanche a questo settore gravissimo all’avan-guardia per la perdita di salute e delle stessavita?

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Taranto e la gestione comune di salute e territorioTaranto and the joint health and territory management

Carlo Romagnoli

L’Associazione Italiana di Epidemiologia hadocumentato con le proprie pubblicazionisia la serietà della perizia epidemiologicacondotta per i giudici a Taranto, sia il ruoloinsostituibile svolto dai comitati territoriali,(http://www.epiprev.it/attualit%C3%A0/ilva-di-taranto-cosa-ne-dicono-gli-epide-miologi) con una presa di posizione che nonoffre alcuna copertura “scientifica” nell’oc-cultare quanto avvenuto.Le dimensioni dei danni e dei rischi per lasalute verificatisi a Taranto ci suggerisconouna serie di considerazioni, che presentia-mo al fine di sollecitare dibattito e soprat-tutto modificazioni nella operatività deiservizi di prevenzione, in quanto ci diconoche:1) li si è compiuta per anni ed è ancora inatto una strage;2) è scientificamente inaccettabile e tristesul piano della valorizzazione delle cono-scenze prodotte da anni e anni di ricercascientifica, che nel 2012, nonostante la di-sponibilità di evidenze come la preziosa edocumentatissima classificazione IARC del-

le sostanze ad effetto cancerogeno, a Taran-to – e temo purtroppo non solo a Taranto –non siano stati evitati danni alla salute dicui era certo il verificarsi sulla base delleconoscenze disponibili;3) le rilevazioni sulle esposizioni a cance-rogeni (o a teratogeni, mutageni, ecc.) nonsono valorizzate adeguatamente nella atti-vità di prevenzione primaria (dove esistonoe sono utilizzati i registri delle esposizio-ni?) mentre l’epidemiologia investigativa,volta ad identificare nuovi fattori di rischiolangue;4) se l’intervento della Magistratura nonavesse “valorizzato” le morti e le malattiesubite da un numero così ampio di persone,la Sanità pubblica e/o il Ministero dell’Am-biente avrebbero continuato a tacere?5) sono stati messi in campo ed operano, aTaranto come altrove – dispositivi di go-vernance che hanno espulso gli esposti (cioècoloro che subiscono il danno dell’essere esposti adun rischio evitabile) dalla possibilità di defi-nire le politiche dei servizi di prevenzioneper sostituirli con i “portatori di interesse“

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dell’industria, della finanza, di alcuni sinda-cati, di molte forze politiche insediate neivari livelli istituzionali, delle burocrazieamministrative di ASL, ARPA e Ministerodell’Ambiente; alcuni modelli di progetta-zione, tra cui il Project Cycle Management,includono i portatori di interesse o stakehol-der nel ciclo programmatico, assumendol’equivalenza tra gli esposti e altri attorisociali coinvolti nel problema di salute. Mase gli esiti catastrofici misurati a Tarantosono l’effetto del sovracoinvolgimento de-gli stakeholder e del mancato coinvolgimen-to degli esposti, diventa vitale d’ora in poidistinguerne i ruoli:

a. gli esposti, in quanto pagano con laloro vita gli effetti delle esposizioni arischi noti, hanno il diritto di interve-nire nella scelta delle priorità, indican-do interventi di abbattimento dei ri-schi evitabili e nella valutazione deirisultati ottenuti;

b. i portatori di interesse, in quanto spessobeneficiano del prolungarsi delle espo-sizioni a rischio, da cui si tengono adebita distanza (quanti industriali, ban-chieri, sindacalisti, burocrati hannoscelto di vivere nel quartiere Tambu-ri?) devono essere coinvolti nella fasiapplicative, ma guai a dare loro, at-traverso i sistemi di governance, di-ritto di scelta su priorità e valutazionerisultati;

6) è emerso con chiarezza un nuovo tipo diconflitto di interessi, quello creato dall’ap-partenere a ruoli istituzionali. C’è un accor-do scontato, ancorché poco applicato vistoquanto accaduto anche nel panel OMS cheha decretato la pandemia per l’influenzaH1N1, che vi sia conflitto di interessi quan-do si utilizzano esperti che ricevono a variotitolo emolumenti dal “privato”. Ma è espe-rienza sempre più condivisa tra quanti oggi

lavorano alla difesa della salute e dell’am-biente – come è emerso nell’assemblea deisoci ISDE tenutasi ad Arezzo il 23 e 24 set-tembre scorsi – che nelle società postfordi-ste “il pubblico” ha sostituito i propri fini esvolge politiche di servizio al privato: sia iresponsabili politici che i burocrati attivinel “pubblico” assumono sempre più spessola difesa degli interessi privati come vinco-lo e ne tengono conto nello svolgere la pro-pria attività lavorativa. Le performance delMinistro dell’Ambiente, i limiti metodolo-gici in molte relazioni svolte da istituti diconsulenza del Ministero della Salute, il ruo-lo avuto dai servizi di prevenzione e di epi-demiologia attivi a Taranto e in Puglia ciparlano di questo nuovo conflitto di inte-ressi e della necessità di fare i conti con esso.So con questo di procurare un dispiacere aquanti si sono impegnati, anche su questarivista, in favore di una “nuova sanità pub-blica”, ma credo che sia proprio il caso diparlare dei limiti oggettivi della sanità “pub-blica” oggi e di riflettere su possibilità evincoli che le politiche di servizio al priva-to creano all’azione delle istituzioni che lalegge 833/78 ha voluto per tutelare la salu-te.Dato che tutto questo è accaduto, Tarantodeve rappresentare uno spartiacque tra unprima aberrante ed un dopo centrato su unnuovo modo di fare promozione della salu-te, epidemiologia e prevenzione primaria.Al riguardo avanzo almeno tre proposte:

a) non diamo ancora per perduta la batta-glia sul completo smottamento dei ruoli isti-tuzionali: nel caso di specie è importanterealizzare uno studio di caso (lasciando allamagistratura gli aspetti giudiziari) insiemealle società scientifiche (AIE, SITI, ISDE,ecc.) sul complesso degli interventi effet-tuati nel corso degli anni dai servizi di pre-

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venzione sanitari (leggi dipartimenti di pre-venzione) e ambientali (ARPA) in modo daacquisire elementi di conoscenza rispetto aduna situazione complessa quale quella di Ta-ranto;

b) rafforziamo e qualifichiamo la posizionee le lotte che gli esposti producono per af-fermare il loro diritto a vivere in un am-biente senza esposizioni evitabili a cance-rogeni (mutageni, teratogeni, ecc.) noti; ciòpuò essere ottenuto in primo luogo promuo-vendo eventi che mettano in contatto, rom-pendone l’isolamento, le collettività espo-ste a rischi ambientali evitabili e creando lecondizioni in cui gli esposti possono coope-rare per migliorare la qualità della loro vita;

c) prepariamoci al nuovo, andando oltre ilprivato e la delega ad istituzioni troppo sen-sibili ai suoi interessi e iniziamo a speri-mentare “il comune” in sanità. In Umbria,la Coalizione “Come democratizzare il no-stro servizio sanitario?” nata per contrasta-re l’uso privato del servizio sanitario da partedi partiti politici (nel 2010 in Italia almeno6 assessori regionali su 21 si sono dovutidimettere per tale motivo) sta lavorando perdare concretezza alla gestione comune del-la sanità; le inchieste e le assemblee realiz-zate hanno individuato nella attivazione diun sistema di finanziamento che dia poterealle collettività territoriali, un dispositivoimportante per soggettivare chi risiede neiterritori e metterlo in condizione di averevoce in capitolo sullo svolgimento dei pro-grammi di prevenzione – e non solo di quelli– sulla qualità e soprattutto sui risultati daquesti prodotti. La proposta nasce dalla con-statazione che, pur prevedendo il finanzia-mento del servizio sanitario la attribuzionedi una quota pro capite per ogni cittadinopari a circa 2600 euro all’anno (prima della

spending review!), questi soldi, che proven-gono per lo più dalla fiscalità generale (equindi dalla ricchezza prodotta in comune)e servono per promuovere la nostra salute egarantirci l’assistenza sanitaria in caso dimalattia, vengono gestiti da una serie di isti-tuzioni che, come nel caso di Taranto, sonoproattive con i portatori di interessi ma “sor-de e grigie” verso le ragioni di esposti edassisiti.Ora il procedimento di assegnazione delle(nostre) quote capitarie ai servizi vede l’in-tervento, in sede di ripartizione nazionale,regionale e locale di rappresentanti di par-titi e dei tecnici da loro cooptati in quantoaffidabili ed in sede di azienda sanitaria, diburocrazie e di professionisti, non della po-polazione cui sono destinati i servizi, checon il voto esprime una generica delega allatutela della salute; anche nelle fasi di pro-grammazione, quando vengono scelte lepriorità, ancora una volta troviamo rappre-sentanti di partiti e di sindacati, burocrazieaziendali e professionisti, mai i cittadini onel caso dei servizi di prevenzione, gli espostia rischio.Dunque l’attuale sistema di finanziamentonon solo non prevede alcun ruolo di assisti-ti ed esposti, ma ne esclude completamen-te l’intervento, un po’ come avviene nel casodell’istituto giuridico dell’interdizione, in cuivista la attestata incapacità di intendere edi volere, l’uso del patrimonio viene inibitoal soggetto interdetto, mentre la gestionedei suoi beni passa ad un tutore.Su queste basi riteniamo che una battagliavolta a modificare l’attuale sistema di fi-nanziamento della sanità possa rappresen-tare l’ossatura della sua nuova gestione co-mune in quanto, garantendo equità tra ter-ritori nella distribuzione delle risorse, nonsolo si dà di più a chi sta peggio ma si dàanche a chi sta peggio il potere di interve-

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Taranto e la gestione comune di salute e territorio318

nire sulle azioni di quanti concorrono a farlostare peggio, peraltro responsabilizzandolorispetto all’uso appropriato delle risorse.Pertanto, se si definiscono delle aree terri-toriali che convergono in un “distretto” sullabase di caratteristiche demografico epide-miologiche, socio-economiche e storicoculturali, si ottiene una allocazione dellerisorse equa, appropriata e responsabilizzan-te per tutto il sistema:- assegnando al distretto il totale delle quo-te capitarie spettanti a ciascun residente,consistente nell’intera quota procapite as-segnata al SSR, opportunamente pesata peri principali fattori che determinano l’uso deiservizi (demografia, epidemiologia, acces-sibilità, ecc);- ripartendo, su percentuali di riferimentostabilite a livello regionale, delle quote dirisorse per:

a. i servizi di prevenzione e di assistenzaterritoriali (es.: valore minimo pari al51%);b. la funzione ospedaliera destinata al ter-ritorio, alla emergenza urgenza ed alle altespecialità;c. le funzioni che ha senso assegnare ad unlivello centrale (es.: diagnostica strumen-tale e di laboratorio, gestione personale,beni e servizi, funzioni di staff (formazio-ne, epidemiologia, qualità, controllo digestione, ecc.), negoziazione fornitoriesterni, ecc.;

- trasformando il distretto, per effetto dellapresenza organizzata dai cittadini nei pas-saggi centrali almeno della programmazio-

ne e valutazione (Comitati per la gestionecomune della salute), in un primo prototi-po di “istituzione del comune” e in un pre-sidio in cui il territorio e chi ci vive puòriconquistare potere a partire dalla autono-ma determinazione della attività di promo-zione della salute e di prevenzione, nonchédi uno svolgimento accessibile ed appropria-to ai contesti locali dei processi di assisten-za socio sanitaria. L’insistenza posta nel de-scrivere non solo gli interventi preventivima il funzionamento possibile dell’interosistema socio sanitario territoriale derivadalle necessità di pensare gli interventi dipotenziamento dell’autonomia territorialein termini globali.In tal modo:1. la responsabilità politica di come spen-dere i soldi destinati alla salute e soprattut-to di chiedere conto della qualità dei servizie dei risultati ottenuti dagli interventi incui sono stati investite le risorse va a citta-dini ed esposti;2. i finanziamenti ai vari livelli dei servizisono assicurati (nessun investimento dema-gogico nei servizi ospedalieri!) ma i lorodirigenti devono tenere conto dei bisognidi salute e di assistenza di esposti e cittadi-ni, contrariamente ad oggi;3. la collettività, beneficiaria dei servizi, èresponsabilizzata sull’uso, ovunque avven-ga, delle sue risorse;4. si creano i presupposti per contrastare il“furto” del comune (o uso privato che dir sivoglia) tramite le verifiche indipendentioperate dalle collettività territoriali.

Monografia

Sistema Salute, 56, 3, 2012: pp. 319-335

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La rivoluzione epigeneticaThe epigenetic revolution

Francesco BottaccioliPresidente onorario della Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia, Docentedi PNEI nella formazione post-laurea delle Facoltà di Medicina di Perugia e di Siena

Anna Giulia Bottacciolilaureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Roma La Sapienza

Parole chiave: dogma centrale della biologia molecolare, epigenetica, eredità epigenetica transgenerazionale,genoma, epigenom, genetica, nuovo paradigma, psiconeuroendocrinoimmunologia

S O M M A R I OBackground: l’epigenetica studia i cambiamenti ereditabili nell’espressione genica che si verificano senzacambiamenti nella sequenza del DNA. Diversi meccanismi epigenetici, che comprendono tra gli altri lametilazione del DNA e le modificazioni istoniche, possono cambiare l’attività del genoma sotto l’influenzadi stimoli interni (stress) ed esterni (ambientali).Metodo: rassegna della letteratura scientifica.Risultati: dati recenti suggeriscono che la programmazione epigenetica dell’espressione genica è sensibileall’ambiente delle prime fasi della vita e che sia l’ambiente sociale che quello chimico possono influenzareil modo con cui il genoma è programmato dall’epigenoma. Dati da modelli animali e recentemente dastudi sugli umani supportono l’ipotesi che le avversità nelle prime fasi della vita lasciano il segno sul nostroepigenoma e influenzano, nella vita adulta, la reattività allo stress e la salute, fisica e mentale. Analogamen-te, è ormai evidente che anche gli adulti rispondono epigeneticamente ai segnali ambientali, che influen-zano la fisiologia, i comportamenti e il rischio di malattia.Conclusioni: l’epigenetica è la nuova genetica perché numerosi processi biologici sono controllati nonattraverso mutazioni, ma piuttosto attraverso fenomeni epigenetici reversibili ed ereditabili. Comprenderele conseguenze epigenetiche dell’ambiente sociale potrebbe rivoluzionare non solo la medicina ma trasfor-mare anche le scienze sociali. L’epigenetica potrebbe gettare un ponte tra le scienze umanistiche e socialie le scienze biologiche consentendoci così di giungere a una visione integrata del comportamento e dellasalute umana. Questo è assolutamente in linea con la Psiconeuroendocrinoimunologia che lavora percomprendere l’impatto degli stressor ambientali, in particolare di quelli sociali, su emozioni, comporta-menti, nonché sul sistema neuroendocrino dello stress e sul sistema immunitario. L’epigenetica offre unagrande opportunità di tracciare nuove direzioni nella ricerca di base, clinica e sociale all’interno del paradigmadella Psiconeuroendocrinoimmunologia.

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La rivoluzione epigenetica

Quale bilancio trarre del “secolo della gene-tica” (20)? Apparentemente, il “progetto ge-noma” doveva essere il trionfo della biome-dicina riduzionista segnando così una distan-za incolmabile tra la ricerca tecnologicamenteavanzata e l’approccio sistemico alla salute ealla malattia. In realtà, le cose stanno andan-do in modo del tutto diverso: dal cuore dellaricerca molecolare emerge un modello cheparla una lingua sistemica. Il che contribui-sce fortemente a rendere irreversibile la crisiscientifica del modello dualista riduzionistatutt’ora dominante in ricerca e in clinica (11)

I ParteGenetica ed epigenetica. È tempodi bilanciUna dei grandissimi meriti dell’irromperedella genetica nelle scienze della vita è statocertamente il fatto di aver fornito la base perl’affermazione dell’evoluzionismo e cioè dellostudio scientifico dell’evoluzione della vita edel suo andamento nel tempo nel pianeta,chiudendo definitivamente l’era del predo-minio della Teologia (e quindi della metafi-sica*) su questi argomenti. Anche se la ver-sione che è stata data all’evoluzionismo (neo-

Parole chiave: central dogma molecular biology, epigenetics, transgenerational epigenetic inheritance,genome, epigenome, genetics, new paradigm, psychoneuroendocrinoimmunology

S U M M A RYBackground: epigenetics investigates heritable changes in gene expression that occur without changes inDNA sequence. Several epigenetic mechanisms, including DNA methylation and histone modifications,can change genome function under internal (stress) and exogenous (environmental) influence.Methodology: scientific reviewResult:s: recent data suggest that epigenetic programming of gene expression profiles is sensitive to theearly-life environment and that both the chemical and social environment early in life could affect themanner by which the genome is programmed by the epigenome. Data from animal models as well asrecent data from human studies support the hypothesis that early life social-adversity leaves its marks onour epigenome and affects stress responsivity, health, and mental health later in life. As well, emergingevidence shows that, adults also respond epigenetically to environmental signals, which in turn influencebehavior, physiological outcome, and disease risk.Conclusions: epigenetics is the new genetics because many biological processes are controlled not throughmutations, but rather through reversible and heritable epigenetic phenomena.Understanding the epigenetic consequences of social exposures would not only revolutionize medicinebut also transform social sciences as well. Epigenetics might unfold as the bridge between the social andhumanistic sciences and the biological sciences allows us to establish an integrated understanding ofhuman health and behavior. This is congruent with Psychoneuroendocrinoimmunology, which seeks tounderstand the impact of environmental stimuli, especially psychosocial stimuli, on behavior, emotions,neuroendocrine stress system, and immune function. The epigenetics offers ample opportunity to chartnew directions in basic, clinical, and social research within the paradigm ofPsychoneuroendocrinoimmunology.

* Anche se qua e là ci sono rigurgiti metafisici a cui è stato rifatto il maquillage, la partita appare storicamentechiusa. Su questo vedi: Mayr 1994 (33).

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darwinismo) non pare più soddisfacente (28),la rottura, portata a sintesi negli anni ’40, ènondimeno epocale.La genetica ha anche dato un grandissimoimpulso, tutt’ora ben vivo, agli studi di bio-logia molecolare, fornendo una quantità enor-me di conoscenze sui livelli di organizzazio-ne e di comunicazione cellulare e sub-cellu-lare. Conoscenze che hanno alimentato e ali-mentano lo sviluppo della ricerca anche nelcampo della Psiconeuroendocrinoimmunolo-gia, la quale da questi studi trova conferme eavanzamenti nella sua visione unitaria e si-stemica dell’organismo umano (6, 7).Ha certamente fallito sul piano delle aspet-tative terapeutiche, suscitate dagli stessi ri-cercatori e amplificate dai mass media. È unflop di grandi proporzioni, reso più acuto dallestesse rapide conclusioni del “Progetto Ge-noma”, che possono essere così riassunte: ab-biamo trascritto il vocabolario, ma non co-nosciamo il significato della grandissima partedei segni.Da che è dipeso questo fragoroso fiasco? Unarisposta potrebbe essere che le aspettativesuscitate erano esagerate rispetto a quello cherealisticamente la scienza può fare e quindisi potrebbero interpretare i messaggi otti-mistici dei ricercatori (“abbiamo scoperto ungene fondamentale per il cancro… per l’Al-zheimer… per la sclerosi multipla… che cidarà la possibilità di risolvere queste e altremalattie”) come “consigli per gli acquisti”,pura pubblicità per drenare alla ricerca fondipubblici e privati. C’è indubbiamente unaparte di vero in questa interpretazione, maessa non può spiegare il fenomeno, è semmaiuna sua manifestazione. Non possiamo in-fatti presupporre che i ricercatori nel loroinsieme siano in malafede e che, pur di farecassa, falsifichino la realtà.La ragione, invece, a mio avviso, sta nelmodello dominante in genetica per tutto il

Novecento.Un modello riduzionista e meccanicista, in-cardinato nel “dogma centrale della biologiamolecolare” proposto da Crick più di mezzosecolo fa e che vede il gene come motoreimmobile, come stampo univoco per ognimolecola vitale.Se il programma della vita è parcellizzatonei geni, la logica conclusione è che, per ri-mediare ai disordini della vita e riguadagna-re la salute, occorre proporsi di “aggiustare”i geni. Di qui la caccia al gene di questa oquella malattia, ma anche, andando oltre ilridicolo, di questa o quella caratteristica co-gnitiva e comportamentale: dall’intelligen-za all’infedeltà coniugale!Questa ci pare la ragione profonda e vera delfallimento sul piano delle ricadute terapeuti-che. Le aspettative sono irrealistiche perchéè sbagliato il modello epistemologico che lesottende.Rinviando per una analisi approfondita ad altrilavori (22, 12, 13) veniamo subito al capo-saldo storico di quel modello: il cosiddetto“dogma centrale della biologia molecolare”che ha dominato il pensiero e la pratica dellaricerca nella seconda metà del secolo scorso.

Il dogma centrale della biologiamolecolare e il suo crolloSecondo il “dogma centrale della biologiamolecolare”, formulato da Francis Crick allafine degli anni ’50 e poi precisato nel 1970(19), l’informazione genetica contenuta nelDNA viene accuratamente trascritta inRNA, la quale viene poi tradotta, senza al-cuna ambiguità in una proteina, che costrui-rà la struttura da cui emergerà la funzionedell’organismo. L’immagine, tratta dal lavo-ro di Crick, illustra visivamente il concetto.In teoria, afferma il fisico britannico, le rela-zioni tra DNA, RNA e Proteine possonoessere sia bidirezionali sia autoreferenziali

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La rivoluzione epigenetica

(vedi lo schema di sinistra nella figura 1). Inrealtà, con certezza, e normalmente, (vedi laparte destra della figura) lo scambio è traDNA, RNA, Proteine. Non è escluso, con-clude Crick, che ci possa essere una relazioneinversa tra RNA e DNA e perfino tra DNAe Proteine, ma queste, se esistessero, sareb-

bero “relazioni speciali” ovvero eccezionali.E in questo senso incapaci di minare il dog-ma centrale.Invece, conclude, se fossero dimostrabili lealtre relazioni “ciò scuoterebbe l’intera baseintellettuale della biologia molecolare” (19,p. 563).

Questa impostazione, che “a livello concet-tuale rappresenta una netta vittoria della (an-tica) concezione “preformista” che affermala presenza di tutta l’informazione necessariaallo sviluppo dell’organismo già nell’ovulofecondato” (12, p. 128), implica che il geno-ma è un’ “invariante fondamentale”, la sededel “progetto” da cui sorgerà una sola confi-gurazione, come scrisse Jacques Monod nelsuo celebre Il caso e la necessità.

Fig. 1. L’immagine e le didascalie sono tratte dall’originale del lavoro di Francis Crick pubblicato su Nature1970, August 8, vol. 227 nel quale si sistematizza il “Dogma centrale della biologia molecolare”

L’epistemologia di questo paradigma è lim-pida: ciò che conta per la vita sta nella se-quenza delle basi del DNA; il comportamen-to dell’essere vivente e le caratteristiche del-l’ambiente in cui vive hanno un valore soloin quanto possono entrare in conflitto più omeno parziale con l’informazione genica. Ladirezione di marcia della vita va quindi daigeni alle proteine e non viceversa. Di qui icorollari del dogma centrale: la supremazia

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dei geni sull’espressione concreta della vita(il fenotipo), sui comportamenti e sull’am-biente; la casualità della variabilità geneticae quindi della stessa evoluzione della vita.In realtà, negli ultimi anni, numerose osser-vazioni scientifiche contraddicono i pilastridel dogma centrale.

Le crepe nell’architrave della gene-tica classicaPer esempio, in Biologia è da tempo assoda-to che il genotipo non spiega il fenotipo nelsenso che un genotipo può dare più fenotipi: quin-di da uno stesso programma genetico posso-no emergere più organismi e cioè diversemanifestazioni concrete della vita.A livello di Biologia molecolare, la scopertadel cosiddetto “splicing alternativo” ha de-molito il dogma 1 gene 1 proteina, poi-ché dallo stesso gene, a seconda di come sicombinano i segmenti della sequenza genicaattivata, è possibile produrre proteine diver-se.Resta il fatto che l’elemento centrale dellateorizzazione di Crick era la direzione del pro-cesso della vita, che il dogma enuncia così:DNA RNA Proteine. Cioè: l’infor-mazione contenuta nel DNA viene duplica-ta, poi trascritta in RNA e infine tradotta inProteine. Non sarebbero quindi possibili mo-vimenti inversi, di retroazione dell’RNA edelle Proteine sul DNA.In realtà, è possibile – e in concreto accade– il movimento RNA DNA (41, 42),come è stato dimostrato già negli anni ’70dall’esistenza di RNA che fungono da stam-pi per la sintesi del DNA (è la cosiddetta“trascrittasi inversa” con cui per esempio ilvirus dell’AIDS trascrive nel DNA della cel-lula ospite il suo RNA costringendola così alavorare per sé). Agli inizi del secolo presen-te sono stati scoperti dei piccoli RNA chia-mati interferenti e cioè molecole che invece

di comandare la sintesi delle Proteine, comedovrebbe fare un RNA secondo il dogma diCrick, hanno come compito quello di di-struggere alcuni RNA prodotti e addiritturadi bloccare (silenziare, in gergo) il gene(DNA) che li ha prodotti.Questi RNA non codificanti (ncRNA in si-gla), che sono attualmente identificati in piùdi 1.000 tipi diversi, svolgono un ruolo diprimo piano nella orchestrazione dell’espres-sione genica, in quanto sono loro che deter-minano se l’informazione espressa da un genesi tradurrà effettivamente in proteina (17, 30).Ruolo che ha importanti implicazioni nellasalute e nella malattia: per esempio, diversistudi convergono nell’attribuire all’azione dincRNA effetti significativi sul destino di unacellula cancerosa (31, 38).Inoltre, ampiamente documentato anche ilmovimento Proteine DNA, non nel sen-so che dalle Proteine può venire la sintesi delDNA, bensì nel senso, non meno rilevante,che sono le Proteine che attivano questo oquel segmento di DNA, funzionando da co-siddetti “fattori di trascrizione” e cioè da se-gnali essenziali per far partire la macchinagenetica.Infine, la scoperta dei cosiddetti prioni, Pro-teine responsabili di patologie neurodegene-rative come la “malattia della mucca pazza”e la sua variante umana (Creutzfeldt-Jakob),dimostra che è possibile la produzione di unaproteina anomala a partire da una proteinanormale senza intervento dell’informazionegenica ma con un cambio della conforma-zione molecolare della Proteina (32).Ma c’è un altro punto importante: è ormaiassodato che i cambiamenti nel genoma nonriguardano semplicemente le classiche mu-tazioni nella sequenza delle basi, ma anchel’espressione di questa o quella sequenza ge-nica (epigenesi). In sostanza, per cambiarel’informazione genica non necessariamente

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La rivoluzione epigenetica

bisogna cambiare la scrittura fondamentaledel genoma, basta anche cambiare il pro-gramma di espressione delle informazionicontenute in quelle sequenze.Con una metafora, possiamo dire che è suffi-ciente sovrascrivere sul testo di base, usandouna simbologia che inibisce e attiva questa oquella sequenza genica. Questa sovrascrittu-ra (epigenoma) viene ereditata dalla cellulaquando si divide (mitosi), ma ci sono datiche dimostrano che, almeno in parte, l’epi-genoma può trasmettersi tramite le celluleseminali (meiosi) e quindi per via ereditariatrans-generazionale.Questa plasticità e flessibilità del genoma trovaesempi importanti nel comportamento delle celluleimmunitarie e dei neuroni. In particolare, ab-biamo numerose evidenze che la psiche e i

comportamenti sono in grado di modellareil cervello, il cui programma genico è quindipotentemente influenzato dalla retroazionedella coscienza, delle emozioni e dei com-portamenti.In conclusione, sono troppi i fenomeni chenon trovano spiegazione nella linearità uni-voca del dogma centrale e che quindi richie-dono un nuovo modello scientifico

Genetica ed epigeneticaTanto grandi sono le differenze tra le cellule,anche puramente morfologiche (per esempiotra un neurone piramidale e un linfocita, in-commensurabili sul piano delle dimensionie della struttura), che è difficile pensare checontengano lo stesso patrimonio genetico(vedi Fig.2).

Per questo, per molto tempo si è pensato che,una volta differenziata, la cellula perdesseselettivamente alcuni geni. Oggi, sappiamoche la differenziazione cellulare dipende dacambi, che si realizzano nello sviluppo, nellaespressione dei geni piuttosto che da modifi-cazioni nella sequenza dei nucleotidi. Il man-tenimento stabile di queste differenze tra lecellule (nel senso che vengono conservate e

Fig. 2. Il puntino rosso a destra rappresenta le dimensioni di un linfocita paragonate a quelle di un neurone, duecellule con lo stesso patrimonio genetico ma con una diversa segnatura epigenetica, che fa acquisire loro unadiversa forma e diverse funzioni.

trasmesse con la divisione cellulare, la cosid-detta mitosi) è sotto il controllo epigeneti-co, che si realizza modificando l’espressionegenica, senza modificare la sequenza delDNA.Il termine “epigenetica”, esplicitamente ri-preso da Aristotele, è stato usato negli anni’40 del Novecento dall’embriologo e geneti-sta inglese Conrad Waddington (1905-1975)

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per descrivere la serie di fenomeni che porta-no dal genotipo al fenotipo.Waddington definì l’epigenetica come “le in-terazioni dei geni con il loro ambiente chedanno vita al fenotipo” (44). Lo scienziato,molto impegnato a definire anche un nuovoquadro di riferimento teorico, mette in lucedue concetti chiave: la variabilità adattativadel fenotipo e la possibile assimilazione gene-

tica di questi adattamenti.Come mostra una illustrazione tratta da unsuo classico lavoro, il fenotipo nel suo dive-nire può percorrere diversi “paesaggi epige-netici” e quindi, alla fine del processo di svi-luppo, essere un fenotipo diverso da un altro,diversità non identificabili nel genotipo dipartenza, bensì frutto del suo peculiare adat-tamento.

Il fenotipo, rappresentato dalla pallina, ha difronte a sé diversi paesaggi epigenetici. La suapeculiare interazione con un paesaggio deter-minerà il suo adattamento che potrà esseretradotto in cambiamenti genetici, frutto del-l’“assimilazione” e non di una mutazione.Waddington, per spiegare il fenomeno, ri-corre a un’altra idea chiave: l’“assimilazionegenica” e cioè la possibilità che l’interazionefenotipo-ambiente si codifichi in segnali ge-netici stabili. “È possibile – scrive in un im-portante articolo del 1942 – che una rispostaadattativa possa essere fissata [nel genoma,nota nostra] senza attendere il manifestarsi di

Fig. 3 ripresa da: Waddington J.D. (1957) The strategy of the genes: a discussion of some aspects oftheoretical biology, London.

una mutazione” (45).Un’idea che, come vedremo tra poco, lamoderna ricerca molecolare ha pienamenteconfermato: è possibile modificare stabilmen-te l’attività del genoma senza cambiare lasequenza delle basi, bensì cambiando l’espres-sione delle informazioni ivi contenute.Del resto, la ricerca dell’ultimo mezzo seco-lo mentre ci ha consentito una buona com-prensione del genotipo, non è riuscita a spie-gare le differenze fenotipiche che, in alcunicasi, sono incomprensibili se si ragiona soloin termini di genoma.È noto che i gemelli monozigoti hanno lo stes-

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La rivoluzione epigenetica

so patrimonio genetico, si può dire che sianodei cloni sotto il profilo genetico, eppure èdocumentata una discordanza sia sotto il pro-filo fenotipico macroscopico, per esempio l’al-tezza, sia dal punto di vista della incidenza dimalattie che si pensa abbiamo una solida basegenetica come la schizofrenia.Tradizionalmente, per superare queste difficol-tà, si fa riferimento all’interazione genotipo-ambiente, ma senza, per lo più, essere in gra-do di chiarire le caratteristiche delle influenze

ambientali sul genotipo e sul fenotipo.Oggi, diversi ricercatori pensano che il punto cen-trale della ricerca non sia il genoma, che ha un suoelevato grado di stabilità, bensì l’epigenoma cheinvece rappresenta l’interfaccia biologico delle rela-zioni tra individuo e ambiente. In questo quadro,i meccanismi epigenetici possono fornire una chiaveinterpretativa delle variazioni fenotipiche (47).Per i meccanismi vedi il Box.L’ereditarietà epigenetica assodata è certamen-te quella mitotica, come descritto sopra.

Epigenetica: definizione e meccanismi“L’epigenetica è oggi definita come lo studio dei cambiamenti ereditabili nell’espressione genicache non sono causati da cambiamenti nella sequenza del DNA” (43, p. 364).Al momento attuale, quattro sono i meccanismi di regolazione epigenetica identificati.1. Metilazione del DNA. È il meccanismo epigenetico meglio caratterizzato. Nei mammiferi la

metilazione avviene pressoché esclusivamente a livello della citosina all’interno dei dinucle-otidi CpGs (dove “p” è il gruppo fosfato), anche chiamate “isole”, convertendo la citosina in 5-metilcitosina. Dopo la replicazione del DNA, l’enzima DNA metiltransferasi (DNMT) prov-vede al ripristino della “segnatura” metilica nei filamenti duplicati garantendo così la perpe-tuazione dell’informazione epigenetica alle cellule figlie (eredità epigenetica mitotica).

2. Rimodellamento della cromatina tramite la modificazione degli istoni. La cromatina presenta diversigradi di compattamento, la cui conformazione è regolata da una serie di modificazioni dei residuidi lisina nelle code istoniche, sotto forma di acetilazione (tramite l’enzima HAT istone acetil-transferasi) e di deacetilazione (tramite l’enzima HDCA, istone deacetilasi), metilazione, fosfo-rilazione e altro ancora (ubiquitinazione). Meccanismi complessi, ancora di difficile lettura nelleloro reciproche interazioni. Ma sappiamo che c’è un equilibrio tra gli enzimi: per esempio,l’acetilazione rendendo la cromatina più accessibile favorisce una de metilazione (40).

3. Le proteine che legano il DNA funzionano da fattori di trascrizione e quindi rappresentano unavia fondamentale di regolazione dell’espressione genica. “Contrariamente alla nozione popo-lare che tutti i meccanismi epigenetici coinvolgono la modificazione covalente del DNA odelle proteine istoniche, i fattori di trascrizione con la loro attività autoregolativa, chiaramen-te rendono possibile l’ereditarietà mitotica e potenzialmente meiotica della espressione ge-nica” (43, p. 368).

4. RNA non codificanti. Si tratta di piccoli RNA, chiamati anche small interfering RNA (siRNA)oppure microRNA, la cui finalità non è quella di tradurre l’informazione genetica in proteine,bensì di distruggere copie di RNA messaggero (mRNA) anomale, da cui essi sono derivati e,al tempo stesso, di silenziare il gene che ha prodotto l’mRNA anomalo promuovendo una suametilazione (28, p. 166). Molto recentemente si sono scoperti altri meccanismi con cui questiRNA non codificanti (ncRNA) partecipano all’epigenesi a vari livelli contribuendo quindi allecaratteristiche del fenotipo e alla epigenetica transgenerazionale (17).

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Evidenze recenti dimostrano una eredità epi-genetica meiotica, quindi di tipo transgene-razionale, nelle piante (2). Studi recenti di-mostrano l’esistenza di meccanismi eredita-ri epigenetici nei mammiferi, uomo com-preso.Tralasciando qui gli studi sulle piante, le quali,a causa della loro non completa separazionetra linea germinale e autosomica, potrebbe-ro costituire una eccezione, sia pur gigante-sca, alle regole della riproduzione della vita,valide anche per il mondo animale, segnalia-mo alcuni lavori sul mondo animale.

Gli studi sugli animali: il caso di unpesticida che lascia un’improntaepigenetica nei discendentiUn gruppo del Center for Reproductive Biologydella Washington University ha realizzato unaserie di esperimenti sull’animale utilizzandoun endocrine disruptor, il fungicida “vinclozo-lina”, che ha una documentata attività anti-adrogena.In un primo esperimento, i ricercatori hannodimostrato che l’esposizione al fungicida diun animale, nel momento della sua determi-nazione sessuale gonadica, ha causato un ef-fetto transgenerazionale sulla fertilità maschi-le e sulla funzione testicolare: più del 90%dei maschi di tutte le successive generazionianalizzate (F1-F4) avevano, infatti, una ri-dotta capacità spermatica (4).Successivamente, questo gruppo di animaliè stato studiato a distanza di un anno, tro-vando, nelle stesse generazioni, una vastavarietà di altre malattie, inclusi tumori,malattie della prostata e del rene (5). I ricer-catori notarono che “l’alta frequenza dellaprevalenza delle malattie negli animali col-piti (dal 20 al 50%) non poteva essere attri-buita a mutazioni nella sequenza del DNA,che generalmente si presentano con una fre-quenza minore dello 0,01%. Quindi, si pro-

poneva [come spiegazione] un meccanismoepigenetico coinvolgente la metilazione delDNA della linea germinale”.Ipotesi che è stata effettivamente conferma-ta dall’analisi delle alterazioni nella metila-zione di geni e sequenze DNA, di derivazio-ne paterna, che risultano associate alle ma-lattie riscontrate (14).Lo stesso gruppo di ricercatori, in collabora-zione con un gruppo del dipartimento di In-tegrative Biology e di quello di Psicologia dellaUniversità del Texas, più recentemente ha di-mostrato che femmine di ratto non esposteda tre generazioni al fungicida evitano di ac-coppiarsi con maschi che sono stati espostiall’endocrine disruptor. Le conclusioni dei ri-cercatori meritano di essere riportate: “Que-sti risultati indicano che l’ereditarietà epige-netica transgenerazionale, prodotta dall’azio-ne di una sostanza chimica interferente en-docrina, rappresenta una forza, fino ad oratrascurata, di selezione sessuale. Le nostreosservazioni portano una diretta evidenzasperimentale del ruolo dell’epigenetica comeun determinante fattore evolutivo” (18).

Gli studi sugli umani: il caso di ge-melli monozigoti discordanti peruna rara malattiaTra gli studi sull’uomo, va segnalato un la-voro (36) su una coppia dei gemelli monozi-goti discordanti riguardo ad una rara malat-tia, segnalata per la prima volta nel 1993 esuccessivamente nel 2002, definita “anoma-la duplicazione caudale” (OMIM 607864).La malattia consiste in una duplicazione del-la parte distale della spina dorsale (da L4) conduplicazione di organi della cavità pelvica(come utero, colon, vagina, vescica), tumorie spina bifida.L’analisi genetica non presentava mutazioninelle sequenze del DNA bensì, nel gemellomalato, la presenza di una metilazione mol-

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to più elevata di una regione del promotoredel gene AXIN1, che codifica per un inibi-tore della via di segnalazione intracellulareWnt, che, nell’animale, è dimostrato causiuna segnalazione che porta alla duplicazionedella spina dorsale. Al riguardo, documenta-ta è la “coda biforcuta” nell’animale che pre-senta una mutazione nell’Axin locus.Quindi, l’ipermetilazione del promotore diun gene inibitore causa l’attivazione di unavia di segnalazione che porta alla duplicazio-ne anomala della parte distale della spinadorsale.

Altri intriganti studi sugli umaniUn altro studio ha dimostrato che uomini diTaiwan che masticano regolarmente semi diuna palma, conosciuti come “noci di betel”,comportamento che li predispone al diabe-te, trasmettono questo rischio alla progenie.Prove sui topi alimentati con gli stessi semihanno dato i medesimi risultati: l’alterazio-ne epigenetica si trasmette per via paterna(16).

Un lavoro di oncologi dell’Università di Syd-ney (26) ha rintracciato un’epimutazione suun gene di riparazione, l’allele MLH1, chepredispone allo sviluppo del cancro in parti-colare del colon-retto. Studiando i figli dipersone con diagnosi di cancro e con l’epi-mutazione, i ricercatori hanno trovato chel’epimutazione in due dei tre figli maschi erastata trasmessa dalla madre ma riportata allostato normale, mentre nel terzo figlio l’iper-metilazione del gene MLH1 era ancora rin-tracciabile a livello somatico, ma era stataeliminata a livello spermatico.Lo studio, davvero intrigante, ha meritatoun articolato commento da parte della rivi-sta che lo ha pubblicato, il New England Jour-nal of Medicine, il cui pubblico è compostoprevalentemente da clinici e non da ricerca-tori sperimentali.Lo studio, scrivono gli editorialisti del NewEngland (23), dimostra che l’epimutazione ètrasmissibile e che, al tempo stesso, funzio-na un meccanismo di cancellazione della se-gnatura, che è molto più efficiente nel ga-

Un modello di interazione tra fattori genetici ed epigenetici nella malattia

da: Gosden R., Feinberg A. N Engl J Med 2007; 356:731-733

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mete maschile rispetto a quello femminile(35). L’epigenoma quindi è soggetto a ripro-grammazione al momento della fecondazio-ne, con cancellazione di tutta (o quasi) la se-gnatura epigenetica presente nei gameti deigenitori. Tale riprogrammazione di solito èpiù radicale nel gamete maschile e più lentanel gamete femminile. Anche per questa di-versità di comportamento legata al sesso, nontutto potrebbe essere cancellato, anzi, secondoi due commentatori del New England, biso-gna prendere atto che occorre passare a unnuovo modello di ereditarietà, che spiegameglio del vecchio modello la trasmissionee l’insorgenza delle malattie. L’immagine ela didascalia scritta degli autori illustra ilconcetto.“Malattie comuni – neuropsichiatriche, reu-matologiche e cancro – possono presentareuna combinazione del genotipo e dell’epige-notipo. In aggiunta alla classica visione chela variazione genetica e l’ambiente influen-zano il fenotipo, il modello genetico ed epi-genetico di malattie comuni suggerisce chel’epigenotipo modula gli effetti genetici.L’epigenotipo, a sua volta, è influenzato dal-l’ambiente, dall’epigenotipo dei genitori, dal-l’età e dal genotipo nei loci che regolano lametilazione del DNA e della cromatina” (23,p. 731).

II ParteModulazione dell’epigenotipo tramitel’ambiente e i comportamentiDa quanto sopra riportato, risulta chiaro chele fasi precoci dello sviluppo rappresentanofinestre rilevanti per la definizione dell’epi-genotipo. In queste finestre possono agirefattori ambientali, individuali e sociali. Ve-diamo alcuni esempi.

Il ruolo della chimica ambientaleNegli ultimi anni è emerso con forza il ruolo

di vasta perturbazione dei sistemi biologicirealizzato dalla grande quantità di prodottichimici che l’industria ha immesso in tuttigli ambiti della vita, produttiva, sociale, do-mestica. Si è capito in modo incontroverti-bile che queste sostanze non hanno sempli-cemente un’azione tossica e cioè di dannodiretto a cellule e tessuti, ma che invece pos-sono agire in modo più sottile e persistentenel tempo disarticolando sistemi vitali comeil neuroendocrino e l’immunitario. Le sostan-ze con queste funzioni patogene vengonocomplessivamente definite Endocrine Di-sruptors Chemical (EDC).Queste sostanze sono rappresentate soprat-tutto dai pesticidi, dalle sostanze plastiche(come il Bisfenolo A che ricopre l’interno ditutte le nostre conserve), gli ftalati (presentinei cateteri, come nei cosmetici), i detergenti(contenuti in una vasta gamma di prodotti:dalle vernici al sapone dei piatti), i PCB, lediossine, i prodotti di scarico degli inceneri-tori, gli idrocarburi aromatici delle nostremacchine ... in pratica, gran parte dei pro-dotti del progresso dell’ultimo secolo (1).L’azione degli endocrine disruptors è di tipoepigenetico. I pesticidi e gli altri EDC fun-gono da segnali epigenetici con possibili ef-fetti transgenerazionali come è evidente da-gli studi sugli animali che abbiamo richia-mato sopra.

Il ruolo dello stress: i figli della fameLa psicologia, fin dal suo sorgere come scienzaautonoma, con Sigmund Freud, ha messo inluce l’importanza delle prime esperienze divita nel plasmare la modalità di regolazionedelle emozioni e quindi le possibili patologiepsichiatriche da adulto. In anni più recenti,studiosi come John Bowlby hanno approfon-dito lo studio dei legami che si formano trail bambino e la madre e la famiglia nel suoinsieme arrivando a tipizzare diversi “stili di

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attaccamento”, che formeranno la base perlo stile di regolazione delle emozioni che quelbambino userà non solo nell’infanzia, maanche quando sarà adulto.Quindi quello che accade nelle prime fasi dellavita è molto importante per il resto dellavita, nel senso che acquisiamo precocementemodelli di regolazione delle emozioni e del-lo stress che ci condizioneranno per il restodella vita.Ma, già dalle ricerche di Hans Selye, dellaprima metà del Novecento, sappiamo che lareazione di stress può essere attivata da varifattori: psichici, sociali, ambientali. Subireuna perdita affettiva, una disfatta sociale opatire la fame, non è ovviamente la stessacosa dal punto di vista della percezione men-tale e affettiva del problema, ma dal puntodi vista biologico, tutti e tre questi stressorattivano la reazione di stress.A partire dal 1976 sono stati pubblicati i primirisultati di uno studio su i figli dell’ “invernodi fame” dell’Olanda durante la II guerramondiale e cioè su giovani nati da donne gra-vide tra il novembre del 1944 e l’aprile del1945 quando l’occupazione tedesca della parteoccidentale dei Paesi Bassi, Amsterdam com-presa, aveva ridotto l’alimentazione dellapopolazione a 400- 800 calorie al giorno: finoa 6 volte meno della media normale.I figli di queste donne che hanno sofferto lafame, soprattutto nel terzo trimestre dellagravidanza, sono nati con un peso minore delnormale.Da 35 anni a questa parte, i ricercatori, han-no documentato, in questo gruppo di figlidella fame una volta diventati adulti, un au-mento dell’incidenza di vari disturbi psichia-trici – tra cui: disturbi dell’umore (ansia edepressione), disordine di personalità antiso-ciale, schizofrenia e anche un accelerato de-clino delle funzioni cognitive all’età di 56-59anni – nonché un aumento di tipici disturbi

legati al basso peso alla nascita, come diabe-te, obesità, problemi cardiovascolari. (37).Per spiegare il fenomeno si fa riferimento allateoria elaborata negli anni ’80 da DavidBarker sulle origini fetali delle malattie del-l’adulto. Teoria che nel corso dei decenni haavuto importanti riscontri epidemiologici,ma che difettava di una spiegazione causale.Negli anni scorsi l’epigenetica ha evidenzia-to i possibili meccanismi con cui la fame dellagestante induce un’alterazione in geni fonda-mentali per la crescita e per il corretto anda-mento della vita adulta.Con un lavoro del Departments of Molecu-lar Epidemiology, Medical Statistics, andGerontology and Geriatrics, Leiden Univer-sity Medical Center, nei Paesi Bassi, per laprima volta nel 2008 è stato dimostrato chei figli della fame, sessant’anni dopo, presen-tavamo una minore metilazione del gene checomanda la sintesi di IGF2 (24), il fattoreinsulino simile di tipo 2 che regola la cresci-ta ma anche l’omeostasi cellulare, essendoimplicato, come l’IGF 1, nella genesi del can-cro e in altre patologie (15).Lo studio di Heijmans e collaboratori forni-sce la prima evidenza che le condizioni am-bientali nella prima fase della vita possonocausare cambiamenti epigenetici che persi-stono per il resto della vita (27).Del resto, abbiamo altre prove di tipo speri-mentale negli animali, che adesso vediamo.

Lo stress emozionale nelle prime fasidella vitaDi notevole interesse, anche per i suoi ri-svolti pratici, gli studi che da anni conduce ilLaboratorio diretto da Michael Meaney allaMcGill University a Montreal, centrati sullerelazioni materne e ambientali delle primefasi dello sviluppo e l’assetto dell’asse dellostress (asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene, HPA)dei giovani ratti oggetto delle sperimenta-

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zioni. Cuccioli allevati da madri “poco pre-murose” rispetto ad altri allevati da madri“premurose”, presentavano una ipermetila-zione a livello della citosina e degli istoni delpromotore del gene del recettore per i glu-cocorticoidi (GR) dell’ippocampo. Questianimali, nel corso dello sviluppo, presenta-

vano una alterazione della risposta di stressrispetto a ratti allevati con maggiore cura e,il dato più importante, le femmine degli ani-mali, allevati da madri poco amorevoli, pre-sentavano lo stesso epigenoma delle madri equindi riproducevano lo stesso comportamen-to, poco amorevole, sui loro figli.

Dida: A sinistra cuccioli allevati da madri ad alto livello di cura; a destra cuccioli allevati da madri a bassolivello di cura. Nel primo caso l’aumento della serotonina nel cervello dei cuccioli accuditi determina l’aumen-to di un fattore di trascrizione cellulare (NFGI-A) che attiva (tramite la diminuzione della metilazione delDNA e l’ aumento dell’acetilazione) il gene che comanda la produzione dei recettori per il cortisolo: nerisultano animali che reggono bene lo stress e, tra di loro, le femmine riproducono questo comportamento coni propri figli. Nel caso opposto si ha un blocco dell’espressione genica (ipermetilazione) che determina animaliche reggono male lo stress con la riproduzione del comportamento materno di scarso accadimento.Legenda: High-LC, High licking and grooming, Elevata attitudine a leccare e pulire (la prole)NGFI-A, nerve growth factor-inducible clone A Clone A da fattore di crescita nervoso inducibile

Una infusione centrale di un inibitore del-l’acetilasi istonica rimuoveva le differenzenell’acetilazione istonica, nella metilazione

del DNA, nell’espressione del Recettore peri Glucorcorticoidi (GR) e nella risposta del-l’asse HPA allo stress. La conclusione degli

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autori è: “Noi abbiamo mostrato che lo sta-to epigenetico di un gene può essere stabilitoattraverso un programma comportamentalee che è potenzialmente reversibile” (46, 34p. 18).Michael Meaney ha riassunto queste ed altreesperienze con le seguenti parole: “L’epige-noma del feto in sviluppo è particolarmentesensibile alla nutrizione materna e alla espo-sizione a tossine ambientali così come allostress psicologico. Noi concludiamo che nonsolo l’esposizione del cucciolo a sostanze chi-miche ma anche all’ambiente sociale e allecure materne, può influenzare l’epigenoma”(39, 15, p. 15).Ma l’assetto dell’epigenotipo non è confinatoalle prime fasi della vita, è anche il prodottodella vita adulta.Al riguardo, rilevante è uno studio del Labo-ratorio di Epigenetica dell’Istituto Nazionaledi Ricerca sul Cancro della Spagna, che ha pre-so in esame 80 coppie di gemelli monozigoti,maschi e femmine, con un range di età dai 3 ai74 anni, età media di circa 30 anni. I ricerca-tori hanno riscontrato differenze epigenetichesignificative in circa un terzo delle coppie digemelli monozigoti. Molto significativo è chequesta discordanza cresceva con il cresceredell’età e con la diversificazione delle abitudi-ni e degli ambienti di vita (21).Un concetto di grande rilievo per la clinica,che emerge da questi studi, è che la “segna-tura” epigenetica sul DNA cellulare, è unasegnatura stabile, ma è anche reversibile.Questo apre le porte non solo alla ricerca far-macologica ma anche alla ricerca per perfe-zionare terapie comportamentali capaci di in-fluire sull’epigenoma, in primis attività fisi-ca e alimentazione

Il ruolo dell’alimentazionePer esempio, una dieta ricca di metionina(carni e formaggi) può produrre una iperme-

tilazione di alcune aree cerebrali con aggra-vamento della schizofrenia o delle psicosi.Invece cibi come i broccoli che contengonoinibitori naturali della deacetilazione, da espe-rimenti sull’animale, sembra possano contra-stare l’ipermetilazione e quindi essere utiliin queste patologie.Al contrario, una dieta che induca una mag-giore sintesi endogena di s-adenosilmetioni-na (la molecola contenuta nell’antidepressi-vo Samyr) può essere efficace nel contrastareuna depressione unipolare di tipo catatonico(34).Ma c’è di più: è ormai assodato che una dietaeccessiva sia come quantità di calorie sia comepresenza di zuccheri raffinati e di determina-ti tipi di grassi causa l’attivazione del fattoredi trascrzione nucleare NF-kB, che è la mag-gior via di segnalazione intracellulare di at-tivazione di alcune centinaia di geni deputatialla produzione di sostanze relative allaproliferazione e alla infiammazione. L’atti-vazione costante dei fattori di trascrizione ditipo infiammatorio come NFkB causa unasegnatura epigenetica delle cellule immuni-tarie in senso infiammatorio.È dimostrato che alcune sostanze come ilresveratrolo, la curcumina, il butirrato e al-tri acidi grassi a catena corta inducono unadeacetilazione e quindi contrastano la segna-tura epigenetica in senso infiammatorio.Inoltre, in numerose prove sperimentali èdimostrato che la restrizione calorica e/o l’in-cremento della assunzione di omega-3 neitopolini da esperimento causa un prolunga-mento della loro vita. Un gruppo di topi sot-toposti a restrizione dietetica e (o) a una die-ta a base di olio di pesce paragonato a unanalogo gruppo che poteva mangiare a sa-zietà e (o) sottoposto a una dieta a base diolio di mais è vissuto 645 giorni rispetto a494, con un incremento di oltre il 30% deltempo di vita. Questo incremento della vita

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era associato a una più bassa concentrazionedi NFkB e ad una più alta concentrazionedei principali enzimi antiossidanti (superos-sidodismutasi, catalasi e glutatione perossi-dasi) (3).Insomma, ci pare che ci siano tutti i dati perpoter condividere la seguente rilevanteconclusione: “la relazione tra comportamen-ti ed epigenoma è bilaterale; il comporta-mento può influire sulla programmazioneepigenetica e la programmazione epigeneti-ca può influenzare i comportamenti” (34, p.21).

Conclusioni. Il nuovo paradigmaDa quanto fin qui esaminato appare chiaroche ci troviamo di fronte a un processo dirottura e cambiamento del modello scienti-fico classico definito dalla Sintesi neo-darwiniana negli anni ’40 del secolo scorso edalla genetica incardinata sul “dogma cen-trale della biologia molecolare”.Quali gli assi portanti del cambiamento?Certamente non è in discussione l’evoluzio-nismo o la centralità della ricerca genetica,ma è sotto accusa un paradigma scientifico,neo-darvinista e riduzionista, ancorato a unavisione metafisica del genoma, il cui cam-biamento viene concepito possibile solo ca-sualmente e che non contempla la retroazio-ne adattativa dell’organismo sull’ambiente.In realtà, come abbiamo visto, i meccani-smi epigenetici non sono circoscritti alle pri-me fasi dello sviluppo embrionale, bensì sonoattivi anche nell’adulto rappresentando la ri-sposta adattativa del genoma all’ambiente ealle sue modificazioni. Il genoma, di per sé,è l’insieme di una gamma di adattamenti al-l’ambiente, che può essere più o meno validoanche in virtù di possibili difetti contenutinella sequenza delle basi, ma esso esprimesolo una potenzialità: per passare dalla po-tenza all’atto deve essere sottoposto a un pro-

gramma di espressione. Adesso è chiaro cheil genoma è programmato dall’epigenoma.“L’aver realizzato che il genoma è program-mato dall’epigenoma e che questa program-mazione potrebbe essere importante comela sequenza stessa nella funzionalità esecuti-va del genoma, offre un nuovo approccio al-l’annoso mistero delle interazioni gene-am-biente” (40).Ma non solo.L’epigenetica ha infatti implicazioni plurime:obbliga una riconsiderazione dello stesso pa-radigma evoluzionista neo-darwiniano; con-sente di rintracciare nelle “impostazioni ini-ziali della vita” le radici di disordini che simanifestano nella vita adulta; apre possibili-tà di indagine precoce su modificazioni cel-lulari epigenetiche che possono dar luogo apatologie rilevanti come cancro e malattiecardiovascolari e autoimmuni, promettendonuovi possibili interventi di correzione del-l’errore epigenetico sia tramite farmaci, siatramite comportamenti come dieta, attivitàfisica, gestione dello stress.Insomma siamo all’inizio di un epocale cam-biamento del paradigma della biologia mo-lecolare dalle conseguenze molteplici, tra cuiuna davvero essenziale: il nuovo modellomolecolare si sposa perfettamente con la vi-sione scientifica sistemica dell’organismoumano che la Psiconeuroendocrinoimmuno-logia è venuta costruendo nel corso dell’ulti-mo mezzo secolo.La proposta della Psiconeuroendocrinoimmu-nologia (8) si rivolge agli scienziati propo-nendo un nuovo paradigma di riferimento cheorienti in un’ottica sistemica anche la ricercamolecolare (10). Si rivolge ai filosofi e agliscienziati sociali perché riprendano contattocon la biomedicina e l’insieme delle scienzedella vita nel comune intento di rifondareuna scienza dell’uomo (9). Si rivolge agli ope-ratori sanitari proponendo pratiche di cura

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integrate, rompendo barriere specialistiche edi casta con l’obiettivo di prendersi cura del-la persona nella sua interezza. Si rivolge alle

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Capitale sociale, reti, relazioniSocial capital, networks, relationships

Paola Di Nicolaprofessore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Università di Ve-rona, direttore della Scuola di Dottorato in Scienze umane e filosofia e del Master diprimo livello in Mediazione familiare

Parole chiave: Capitale sociale, personal network, qualità della vita.

RIASSUNTOObiettivi: l’articolo si pone l’obiettivo di dimostrare che nelle società ad alti livelli di differenziazione sociale, ilconcetto di ambiente deve ampliarsi e comprendere non solo la dimensione fisica, ma anche quella relazionale.La qualità della vita di una collettività e di un soggetto dipende non solo dal fatto di vivere in un ambientesano, ma anche in un ambiente costituito da relazioni sociali. La qualità delle relazioni influenza le biografiedi vita individuale, ma anche l’aria che si respira e lo spirito che aleggia in un quartiere, in una città, in unaparticolare zona geografica.Metodi: per raggiungere gli obiettivi, si introduce il concetto di ‘capitale sociale’ che può essere definito comeuna risorsa ‘incardinata’ nelle relazioni sociali interpersonali. Vengono prese in considerazioni le diverseaccezioni di capitale sociale (a livello macro e micro) per dimostrare che gli studi empirici condotti sul temaconfermano la centralità delle relazioni sociali come fattore predittivo sia del buon livello di funzionamentodelle istituzioni (livello macro), che livelli più alti di adattamento e integrazione degli attori sociali.Risultati: nonostante la centralità e l’importanza del capitale sociale per la qualità della vita di individui ecollettività, oggi si assiste ad un crollo del capitale sociale, eroso dai più recenti e accelerati processi diglobalizzazione, modernizzazione e individualizzazione. Diventa dunque importante che il concetto di ‘dife-sa dell’ambiente’ si ampli, sino ad includere nell’ambiente la qualità delle relazioni sociali: le relazioni devonodiventare una ‘variabile dipendente’, un campo di intervento per scelte politiche, promosse soprattutto dalbasso, da cittadini sensibili alla qualità della vita del proprio quartiere, della propria città. Una diversa logica diprogettazione urbanistica, un diverso utilizzo degli spazi urbani (il verde, le strade, i giardini, i centri storici,le scuole ecc.) possono diventare occasione di fruizione collettiva di momenti ‘culturali’ e di progettualitàinnovativa che rende di nuovo l’ambiente vivo, di una vitalità che non sia data solo dal consumo commerciale,ma anche dal senso di appartenenza e di radicamento.

Key-words: social capital, personal network, quality of life

SUMMARYObjectives: the article aims to show that in societies with high levels of social differentiation, the concept ofenvironment has become wider and include not only the physical, but also relational aspects. The quality of

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Premessa: la dimensione relazionaledi ambienteDa alcuni anni a questa parte nell’ambito dellescienze sociali è diventato di uso frequente iltermine ‘CS’ (d’ora in poi CS). Nonostante larealizzazione di molteplici ricerche sia teori-che che empiriche sul CS, il dibattito su taletermine è ancora aperto. Molti ricercatori sichiedono se con CS si intendono terminimolto più tradizionali e di uso più familiarequale coesione sociale, appartenenza, sensocivico, fiducia nelle istituzioni, fiducia inter-personale, partecipazione politica, reti di sup-porto, reti informali. Molti ricercatori riten-gono che CS sia un termine ambiguo e am-bivalente nelle sue connotazioni (1) e che so-prattutto sia difficilmente traducibile in di-mensioni empiricamente rilevabili. La diffi-coltà della traduzione operativa del concettodipende appunto dalla sua natura polisemicache rinvia ad una molteplicità di processisociali che tutti hanno a che fare con le pos-sibilità di un funzionamento ottimale sia dei

life of a community and of a subject is determined not only by the fact of living in a healthy environment, butalso in an environment made up of social relations. The quality of relationships influence the biographies ofindividual life, but also the air we breathe and the spirit that hovers in a neighborhood, in a city, in a particulargeographical area.Methods: to achieve the goals, we introduce the concept of ‘social capital’ which can be defined as a resource‘embedded’ in social relations. Are taken into consideration the different meanings of social capital (at macroand micro level) to show that the empirical studies conducted on the subject confirms the centrality of socialrelations as a predictor of both the good level of functioning of the institutions (macro level), which higherlevels of adaptation and integration of social actors.Results: despite the centrality and importance of social capital for the quality of life of individuals andcommunities, today we are witnessing a collapse of the social capital eroded by more recent and acceleratedprocesses of globalization, modernization and individualization. Therefore becomes important that the conceptof ‘environmental protection’ will amp up the environment to include the quality of social relations: therelations must become a ‘dependent variable’, a range of intervention for political choices, promoted mainlyby citizens sensitive to the quality of life of their neighborhood, their city. A different logic of urban planning,a different use of urban spaces (green, roads, gardens, historic centers, schools, etc...) can become an occasionfor collective use of cultural events and innovative design that makes the new living environment, a vitalitythat it is not given only by commercial consumption, but also from the sense of belonging and rootedness.

sistemi, che degli attori sociali. Indubbiamen-te la capacità evocativa del termine, perce-pito e valutato come una dimensione positi-va della società, ha contribuito alla sua diffu-sione e al suo uso sempre più frequente.Il concetto di CS nasce con una connotazio-ne duale, dovuta principalmente ad alcunistudiosi che per primi se ne sono occupati,aprendo la strada ai diversi usi del concetto.Il riferimento va a R. D. Putnam (2, 3), J.S.Coleman (4) e P. Bourdieu (5, 6).R. Putnam (3) in un primo momento defini-sce come CS una gamma ampia e per alcuniversi eterogenea di fenomeni e comportamen-ti: la fiducia nelle istituzioni e interpersona-le, i valori, il senso di appartenenza ad unacomunità condivisa, l’associazionismo, il ci-vismo, la partecipazione e il senso civico checontraddistinguono una specifica realtà so-cio culturale. Per Putnam il CS è una pro-prietà del sistema ed è una dimensione chefavorisce il buon funzionamento delle istitu-zioni. Là dove una comunità, una società espri-

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me alti valori di CS, i cittadini si sentono re-sponsabili del buon funzionamento delle isti-tuzioni che li governano ed esercitano un con-trollo sui soggetti che gestiscono tali istitu-zioni. In tali realtà sociali l’opinione pubblicaè vigile e attenta al comportamento degli am-ministratori e dei politici. SuccessivamentePutnam (2) restringe il campo di definizionedel concetto di CS, che identifica quasi ed esclu-sivamente con l’associazionismo e la parteci-pazione politica e sindacale.J.S. Coleman (4), nell’ambito della teoria ra-zionale dell’azione, definisce il CS come pro-prietà di un sistema strutturato di relazioniinterpersonali, che favorisce la performance, lariuscita sociale, la mobilità ascendente ed ilbuon inserimento dei soggetti che fanno par-te o entrano in tale sistema.P. Bourdieu (5, 6), infine, definisce il CS comeuna risorsa individuale che è data dalla som-ma del capitale economico e del capitaleumano di soggetti che fanno parte di specifi-che cerchie sociali, risorsa sulla quale l’atto-re sociale può contare per la riuscita socialeentrando in tali cerchie sociali.Per Putnam e Coleman, il CS è una proprie-tà che pertiene al sistema, per Bourdieu èuna risorsa in dotazione di pochi; per i primidue studiosi il CS è una risorsa di cui si av-vantaggiano tutti e si potenzia con l’uso, perBourdieu è una risorsa a somma zero.A partire da questi primi studi, in Italia P.Donati (7) ha elaborato una teoria ‘relazio-nale’ del CS che viene considerato come ef-fetto ‘emergente’ di specifiche e particolarirelazioni sociali.Dalle prime due concezioni di CS, una oli-stica e l’altra individualistica, pur nella diffi-coltà di tradurre il concetto in una entitàempiricamente rilevabile, si sono sviluppatidue filoni di ricerca che hanno contribuito inmaniera significativa non solo a sottolinearela centralità di tale dimensione sociale, ma

anche allo sviluppo di un significativo dibat-tito sugli indicatori sociali atti se non a co-glierlo e misuralo nella sua ‘essenza’ (tentati-vo che, per molti ricercatori è destinato alfallimento), quanto ad avvicinarlo con misu-re ‘proxy’. I molteplici studi, in realtà, hannocontribuito in maniera significativa a chiari-re le dimensioni sociali connesse al concetto,per cui da una parte abbiamo le ricerche chehanno focalizzato l’attenzione prevalentemen-te sul tasso di associazionismo, sulla parteci-pazione o l’astensione politica in occasionedi chiamate alle urne non solo per le elezionipolitiche, ma anche per esprimere opinioni(ad esempio in occasione dei referendum) sutemi ritenuti particolarmente rilevanti perla società civile, indipendentemente dal van-taggio che gli elettori potessero trarre dalrisultato referendario – ad es. Cartocci perl’Italia (8); da un’altra parte gli studi che sisono soffermati sulla fiducia generalizzata egli studi che hanno messo a fuoco il tema deipersonal network, vale a dire la funzione dellereti relazionali interpersonali ai fini dellarealizzazione di obiettivi che l’attore so-ciale da solo non avrebbe mai potuto rag-giungere (esemplare di tale prospettiva èla produzione di N. Lin: 9,10). Infine a par-tire dalla prospettiva ‘relazionale’, sonostate sviluppate ricerche empiriche chehanno teso a mettere in evidenza quali re-lazioni sociali producono CS e quali sono isistemi di interdipendenza che produconoforme specifiche di CS (quello primario,quello secondario, quello comunitario) (11,12, 13, 14, 15).Tali studi hanno evidenziato, pur da prospet-tive diverse, che tra l’attore sociale e le isti-tuzioni esiste una realtà sociale che non puòessere ricondotta né alla sola logica del siste-ma, né alla logica dell’agire individuale in-tenzionalmente orientato in base al senso. Ilcomportamento dell’attore sociale non è spie-

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gabile né riconducibile alla conformità ai ruo-li, il funzionamento delle istituzioni non di-pende solo dal rispetto delle regole e dellenorme che informano e rendono possibile illoro funzionamento.Gli studi sul CS hanno messo in evidenzache l’ambiente sociale non è popolato soloda individui che agiscono in riferimento allenorme sociali condivise, l’ambiente socialenon è fatto solo di istituzioni interdipenden-ti. Gli studi sul CS hanno confermato la teo-ria di G. Simmel (per una introduzione siveda 16) secondo la quale non esiste indivi-duo isolato, non esiste la società astrattamenteintesa, ma esiste solo l’uomo in interazione,anzi uomini in interazione: e là dove due sog-getti entrano in una relazione, là nasce la so-cietà. La società è dunque il precipitato diuna molteplicità di cerchie sociali, diversa-mente caratterizzate a seconda del tipo direlazione che unisce i soggetti che fanno par-te di quella cerchia e ne definisce le caratte-ristiche, le finalità, le forme. Compito dun-que della sociologia è per Simmel studiare leforme delle diverse cerchie sociali, vale a direstudiare i diversi sistemi di interazione, (in-dipendentemente dai contenuti, ma nella lorostruttura) in quanto la società è per sua natu-ra relazionale (16).Anche se, come detto in apertura, ancoraacceso è il dibattito su che cosa si possa e sidebba intendere per CS, gli studi realizzatisu tale specifica dimensione di vita quotidia-na, hanno messo in evidenza come l’ambien-te in cui vive l’uomo è un ambiente non solofisico, ma anche relazionale: è anche fatto direlazioni interpersonali, diversamente carat-terizzate da un punto di vista affettivo, stru-mentale, psicologico, culturale, relazioni chesi giocano su diversi livelli di istituzionaliz-zazione e generalizzazione. Tali relazioni nonsono riconducibili solo alle dimensioni diruolo e alle dinamiche istituzionali, ma ec-

cedono e si collocano a latere delle relazioniformali. La ‘qualità’ di tali relazioni non soloinfluenza le biografie di vita individuale, mainfluenza anche l’aria che si respira e lo spiri-to che aleggia in un quartiere, in una città, inuna zona geografica particolare.In un recente volume, tradotto in italianocon il suggestivo titolo La misura dell’anima,due epidemiologi – Wilkinson e Pickett (17)– si chiedono perché le disuguaglianze ren-dono le società più infelici. In un capitolo, idue autori affrontano il tema della fiducia siaistituzionale che interpersonale, che costitui-sce una delle dimensioni specifiche del CS, ecercano di comprendere in che misura le di-suguaglianze sociali influenzano la qualitàdelle relazioni. “La diseguaglianza ha davve-ro l’effetto di corrodere la fiducia e crearedivisioni fra governo e cittadini, tra ricchi epoveri, fra minoranza e maggioranza?” (17:p. 63) si chiedono gli autori e dopo un’atten-ta analisi rispondono affermativamente e cer-cano di dimostrare il perché. Per i due epide-miologi, “La sperequazione dei redditi, co-m’è prevedibile, è un potente fattore di divi-sione sociale, forse perché c’è una tendenzageneralizzata a vedere nelle disparità del te-nore di vita un’indicazione delle differenze distatus. Generalmente gli individui coltivanorapporti di amicizia con persone simili a loro,e tendono a non mescolarsi con chi è moltopiù ricco o molto più povero; e poiché leinterazioni con altri tipi di persone sono pocofrequenti, diventa più difficile fidarsi deglialtri. La posizione occupata dall’individuonella scala sociale influisce sul modo in cuivengono definiti il gruppo di appartenenza,o interno (in-group) e il gruppo esterno di ri-ferimento (out-group), cioè il “noi” e il “loro”;questo, condiziona la capacità di identificar-si con gli altri e simpatizzare con loro” (17:p. 63). Nelle società che esprimono alti li-velli di disuguaglianza sociale, i diversi gruppi

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sociali si fidano poco l’uno dell’altro e si svi-luppano forme di razzismo e discriminazio-ne: in tali società la qualità delle relazioniche costituiscono il tessuto sociale è bassa;l’ambiente di vita quotidiana dei cittadini ècaratterizzato prevalentemente dal sospettoe dal disprezzo. Quindi la qualità della vita èpiù bassa, sia per i ricchi che per i poveri: inquesto senso la società è “più infelice”. Più‘infelice’ non ovviamente perché i cittadiniindividualmente presi siano scontenti e piùraramente esercitano le virtù tipiche del buoncittadino (perseguire il bene comune, sentir-si soggetti attivi per la realizzazione di unasocietà migliore ecc.) quanto perché, a livel-lo macro, in tali società alti sono i tassi dicriminalità, basso il livello di funzionamen-to delle istituzioni, elevati i tassi di margi-nalità sociale e peggiore la qualità dei servizipubblici in generale, servizi sanitari ed edu-cativi in particolare. Wilkinson e Pickett,nella loro analisi comparativa che riguardala maggior parte dei paesi industrializzati(Europa e USA), non costruiscono nessunmodello esplicativo di tipo causale, eviden-ziano solo delle regolarità nell’andamento dialcuni fenomeni sociali (nel loro caso disu-guaglianza e qualità della vita nelle sue di-verse dimensioni, oggettive e soggettive, trale quali inseriscono anche la fiducia interper-sonale) che ritrovano sia a livello infra cheintra nazionale. Regolarità che si possono leg-gere come indicatori del fatto che le relazio-ni sociali e la loro ‘qualità’ contano e chequindi, tra i fattori che concorrono alla defi-nizione di ‘ambiente di vita’ la dimensione

relazionale esercita un suo peso1.

A cosa serve il CS?Nelle società complesse, fortemente diffe-renziate al loro interno, caratterizzate da unprocesso di crescente differenziazione funzio-nale e interdipendenza tra le parti – a livellosistemico – e da accentuati processi di indi-vidualizzazione, che hanno eroso – a livellodelle azioni dotate di senso degli attori so-ciali (agire intenzionale) – le basi strutturalie la forza simbolica dei tradizionali sistemidi appartenenza (comunità di vita quotidia-na, famiglia, sindacato, chiesa, partito, ecc.)il CS può essere considerato un ‘effetto emer-gente’ di relazionali sociali, storicamente esocialmente date e specifiche di particolarisistemi e sottosistemi, che garantiscono li-velli più alti ed efficienti di integrazione si-stemica e individuale.

La prospettiva olistica (macro)Come si è visto, per la prospettiva olistica –alla Putnam – il CS agevola il buon funzio-namento delle istituzioni; nell’ambito del si-stema economico diminuisce (nella sua di-mensione della fiducia) i costi di transazionee quindi favorisce lo sviluppo e la crescitaeconomica di una nazione, di una regione, diun comparto, di un sottosistema produttivo.Si può sostenere che il CS è quella dimensio-ne ‘precontrattuale’ (come riteneva E. Du-rkheim) che è condizione stessa per la stipu-lazione di contratti e che non può entrare neitermini del contratto perché ne rappresentala pre-condizione (39). Il CS è – come detto

1 Esula dall’economia del presente lavoro affrontare il tema della misurazione del CS. Al di là degli aspettidirettamente connessi alla traduzione operativa del concetto, si è sviluppato, a partire soprattutto dallanetwork analysis, un approccio teorico-empirico specificamente centrato sulle proprietà strutturali dei reticoliche producono capitale sociale. Per un’ampia trattazione degli aspetti metodologici e tecnici atti allo studio delcapitale sociale si veda: 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25.

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– una risorsa del sistema, di cui favorisce ilfunzionamento: il CS, quindi, promuove coe-sione e integrazione. Nei termini di una suainfluenza sui livelli di qualità della vita deicittadini, anche dal punto di vita medico-sanitario, si può sostenere – operando consa-pevolmente una forte semplificazione – chein realtà territoriali in cui vi è un elevatolivello di CS i servizi sanitari sono più effi-cienti e meglio organizzati e il tasso di eva-sione fiscale (che misura il contributo dellasocietà civile al finanziamento di servizi uni-versalistici e di buono qualità) è basso.Aperto è ovviamente il dibattito del che ‘cosaviene prima’: se il CS favorisce il buon fun-zionamento delle istituzioni, ovvero se in si-stemi sociali al cui interno le istituzioni ‘fun-zionano bene’ si sviluppa e/o cresce il CS.Tale dilemma è stato particolarmente accesoin Italia, in cui, sull’onda delle interpretazio-ni date da R. Putnam del mancato svilupposociale, politico, economico e culturale (dicultura civica e politica) di alcune regioni (inparticolare le regioni meridionali) per caren-za di CS, si è riaperto il fronte sul ruolo cheavrebbe esercitato il ‘familismo amorale’come fattore di freno alla crescita di questaparte del Paese (8, 26, 27). In tale campo distudio – ma questo vale per quasi tutti i pro-cessi sociali – i modelli esplicativi di tipocausale sono difficilmente ‘verificabili’, si puòtuttavia convenire – senza dire il ‘falso’ –che in certe situazioni, in specifici contesti sicrei un circolo virtuoso in virtù del quale ledue dimensioni che qui analizziamo – il buonfunzionamento delle istituzioni e il CS – sirafforzano a vicenda. Vale tuttavia anche ilcontrario: il cattivo funzionamento delle isti-tuzioni erode, corrompe, non fa crescere ilCS, così come bassi livelli di CS rendono lasocietà civile meno interessata al bene co-mune. Per questo motivo alcune società abasso CS sono meno ‘felici’.

La prospettiva individualistica(micro)Se ci si colloca da una prospettiva individua-listica, le finalità del CS sono più evidenti e imodelli esplicativi più semplici da proporre.Da questa prospettiva di analisi, il CS è unarisorsa relazionale che l’attore sociale puòattivare per raggiungere obiettivi di realiz-zazione che da solo non potrebbe raggiunge-re. Anche su questo versante si sono svilup-pate molteplici ricerche che riconduconol’azione individuale all’azione strategica: inquesta direzione vanno gli studi P. Bourdieu,N. Lin, R.S. Burt che considerano il CS unarisorsa che nulla ha a che fare con il sensocivico, il bene comune, la realizzazione dibeni collettivi (9, 24, 28, 29). Il CS è unaleva che si attiva nell’arena della competi-zione sociale per risorse (materiali e non) chenon sono immediatamente disponibili e che,soprattutto, non sono equamente distribuiteall’interno di una popolazione e/o tra i diversigruppi sociali (28). In questo senso si affermache nella nostra società, in cui le relazioni con-tano, non importa ‘quante’ persone conosci,importa ‘chi conosci’ (30): risulta rilevante,quindi, anche l’ambiente sociale da cui si pro-viene (per questo motivo, gli attori socialipartono sempre con una dotazione di capitaledifferente) e l’ambiente che si frequenta e quelloche ci si è costruiti nel tempo. In questa pro-spettiva di analisi, emerge chiaramente che ilCS sta nelle relazioni sociali, è nelle relazioni,è il prodotto delle relazioni. Gli studi sullastratificazione sociale, sulla mobilità sociale,sulla qualità della vita dimostrano che stameglio e vive meglio chi è ben connesso, chiha buoni (nel senso di proficui e vantaggiosi)rapporti sociali.Una prospettiva di analisi di questo tipo ponedei rilevanti interrogativi circa il significatoda attribuire alle relazioni ‘importanti’ e agliobiettivi di autorealizzazione. Tale tipo di CS

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è alla base del clientelismo, della prassi dellaraccomandazione? Tutte le relazioni che vei-colano risorse sono da mettere sullo stessopiano? Anche quelle che si attivano con sog-getti che appartengono ai poteri occulti del-la società o, molto più banalmente, alle or-ganizzazioni criminali e devianti? Il CS indi-viduale è inversamente proporzionale al CSgeneralizzato? Particolarismo e universalismodebbono necessariamente confliggere? Se siriflette sulle attuali tendenze della società,soprattutto italiana, sembra che la riposta siaaffermativa. In realtà la situazione merita unariflessione più articolata.Gli studiosi del CS a livello micro, assumo-no che l’attore sociale, in condizione di nor-malità (mediamente) si prefigge di realizza-re obiettivi (di vita) che sono socialmenteaccettati e condivisi, persegue finalità indi-viduali che non pregiudicano, né devono pre-giudicare gli obiettivi di autorealizzazionedegli altri attori sociali. Questo è il presup-posto del liberalismo, del nucleo centrale diuna società che mira ad offrire a tutti gli at-tori sociali chance di mobilità e di avanza-mento sociale. I percorsi di autorealizzazio-ne, facendo leva anche sulla risorsa CS, se-guono dei tracciati culturalmente e norma-tivamente sanciti, che pongono limiti. Lapiena autorealizzazione, nella nostra società,non è data solo dal mero raggiungimentodegli obiettivi, ma anche dalla stima e dalriconoscimento sociale che si ottiene, appun-to, per essere ‘riusciti’ senza avere violato lenorme. Tali percorsi di autorealizzazionepotenziano le virtù civiche dei cittadini, percui si può affermare che il CS personale equello generalizzato non sono a somma zero,ma si potenziano reciprocamente: particola-rismo, clientelismo, affiliazione a strutturecriminali peggiorano la qualità della vita dellacollettività, ‘impoveriscono’ dal punto di vi-sta civico e materiale la società perché pro-

ducono ‘beni’ di cui non si avvantaggiano tuttii cittadini, ma solo alcuni a scapito di altri.Ancora una volta si può concordare conWilkinson e Pickett secondo i quali le socie-tà al cui interno le condizioni sociali di vitadei cittadini non sono gravemente sperequa-te, quantomeno dal punto di vista delle op-portunità, sono società ‘più felici’.Sulla stessa linea d’onda di queste ultime con-siderazioni, possiamo inserire gli studi e lericerche che considerano il CS individualecome l’effetto di relazioni non solo strumen-tali, ma anche affettive, di stima e fiduciareciproca, che costituiscono la trama relazio-nale su cui si radica il senso di appartenenzae di identità degli attori sociali: il riferimen-to va alle relazioni amicali, di vicinato, co-munitarie, parentali e associative. Non acaso, tutti gli studi sulla comunità, stannoconvergendo sul CS (11): tale termine con-sente, non solo teoricamente, ma anche em-piricamente di affrancare la ‘comunità’ (comeconcetto) da tutte le istanze ascrittive, di ra-dicamento spaziale-territoriale, di condivi-sione di una stessa cultura, delle stesse origi-ni e tradizioni, che rendono, oggi, il termineobsoleto e scarsamente adatto a leggere lenuove dinamiche comunitarie. Oggi, dun-que, si parla di relazioni comunitarie, di re-lazioni di prossimità (15, 16).Tali relazioni costituiscono il cuore di quellarisorsa – CS – che non solo rafforza il sensodi appartenenza e di identità, ma incide pro-fondamente sulla qualità della vita, in quan-to consente all’attore sociale di fronteggiaresfide e risolvere problemi per i quali non sem-pre la risposta può venire dalle istituzioni diwelfare o dal mercato (31, 32, 33). Studi, an-che epidemiologici, hanno dimostrato cheisolamento sociale spesso si unisce a solitu-dine e che chi è isolato e solo presenta un’in-cidenza più elevata di malattie organiche epsichiche; hanno dimostrato che un ambien-

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te di vita quotidiana ricco dal punto di vistadelle relazioni interpersonali, migliora la ca-pacità del soggetto di fronteggiare e affron-tare le sfide della vita di tutti i giorni (peruna introduzione si veda 16).

Le diverse forme del CSPossiamo considerare il CS come effetto emer-gente di specifiche e particolari configura-zioni di relazioni. Il plurale è d’obbligo, inquanto le relazioni possono assumere diver-se forme e quindi produrre diversi tipi di CS.A parte la prima grande suddivisione tra illivello macro e quello micro, che, tuttavia,riguarda le diverse prospettive di analisi incui si pone il ricercatore, anche sulla base dispecifici assunti di rilevanza (espliciti o im-pliciti), la letteratura consente di costruirealcuni tipi, in particolare, di CS (14, 33):1. primario: dato dalle relazioni che si basa-

no sulla conoscenza diretta, su relazionifaccia a faccia: l’archetipo può essere la re-lazione familiare;

2. secondario: delimitato dalle relazioni chesi instaurano tra soggetti che si ricono-scono in una particolare mission portataavanti da un gruppo; le relazioni possonoanche non essere faccia a faccia: l’archeti-po è la relazione associativa;

3. comunitario: definito dalle relazioni diprossimità, centrato su relazioni faccia afaccia, il cui archetipo è la relazione di ami-cizia;

4. generalizzato: delimitato dalle relazioni difiducia nell’altro generalizzato e nelle isti-tuzioni, centrato non sulle relazioni facciaa faccia: l’archetipo è il senso civico, lacivicnes (civicità).

Nella letteratura, tuttavia, troviamo una di-cotomia entrata nell’uso corrente, quella chedistingue tra CS (30):1. bonding: gruppi sociali, cerchie costituite

da soggetti che condividono una o più ca-

ratteristiche (l’origine geografica, l’etnia,un credo religioso o politico, la stessa pro-fessione ecc.) producono un CS bonding (checrea legami e vincoli). Esso rafforza il sen-so di appartenenza, offre una sponda di si-curezza a chi ha sperimentato una fratturabiografica – l’emigrazione potrebbe esse-re letta come frattura – offre riparo e sti-ma sociale a chi, fuori del gruppo, speri-menta isolamento, discriminazione, mar-ginalità. In altre situazioni, la cerchia diappartenenza può essere molto esclusiva eselettiva e avere la mission di favorire ilposizionamento sociale dei suoi membri(è il cosiddetto CS di club). Tale tipo di CSsi regge sulla distinzione ‘noi’/’loro’;

2. bridging: cerchie sociali costituite da sog-getti anche eterogenei, che condividono esocializzano le proprie risorse relazionaliper consentire al gruppo e ai suoi diversicomponenti di stabilire rapporti di scam-bio (di varia natura) con altri gruppi o sog-getti esterni. Potrebbe essere il caso di unapiccola associazione (per es. gli amici del-la bicicletta) che tenta di stabile relazionidi collaborazione con altre associazioni(non necessariamente più grandi, per es.associazioni per la tutela dell’ambiente) perpotenziare, dare maggiore visibilità e in-cisività alla propria azione.

Infine coloro che studiano il CS solo dal pun-to di vista delle strutture dei reticoli (adesempio gli analisti strutturali), consideranole proprietà strutturali e posizionali dei reti-coli sociali gli elementi che favoriscono laproduzione di specifiche forme di CS e indi-viduano chi, dentro il reticolo, ha una posi-zione di preminenza (gestisce la risorsa), chila fa circolare, chi la usa e non attiva il cir-cuito della reciprocità (34, 35, 36, 37).I diversi tipi di CS non devono essere distintisu base ontologica: nessuna istanza essenziali-sta è alla base delle sue diverse forme. Le di-stinzioni sopra riassunte hanno la finalità di

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Capitale sociale, reti, relazioni

mettere in evidenza quali aspetti e forme delCS sono stati analizzati ed evidenziati nell’am-bito delle diverse ricerche che sono state con-dotte, a conferma del fatto che pur nella suaprofonda ambivalenza e per molti aspettiambiguità, del CS è possibile dare alcune defi-nizioni operative, scomporlo in dimensioniempiricamente rilevabili. D’altro canto, com-pito della sociologia è quello di comprenderecome alcune ‘parole’, alcuni concetti si tradu-cono in un insieme di significati condivisi, in-tersoggettivi, che orientano l’azione degli at-tori sociali: la traduzione operativa di un con-cetto complesso ed articolato e astratto rap-presenta, per molti aspetti, il punto di parten-za del ragionamento sociologico.I diversi tipi e le diverse forme di capitalesociale consentono di ritornare, brevementesull’interrogativo ‘a cosa serve il CS?’ e, so-prattutto, il CS è una proprietà sempre posi-tiva? Dato per scontato e per acquisito chegli studiosi di CS fermano la loro attenzionesu una dimensione della realtà sociale che hauna validità e positività nella misura in cuifavorisce l’attivazione di meccanismi di fun-zionamento virtuoso tra sistema ed azione,non si può tacere l’esistenza di alcune om-bre. A parte la posizione di alcuni studiosi,come Portes (38), che considerano il CS unarisorsa embedded in relazioni di controllo so-ciale che, pur offrendo aiuto e sponda agliindividui – in particolare immigrati – in real-tà ne controlla i percorsi di inserimento e,incanalandoli verso specifiche professioni‘monopolizzate’ dal gruppo, influenza le pos-sibilità di ascesa sociale, vi sono alcune con-siderazioni critiche da ricordare.La natura composita del CS, soprattutto nel-la sua prospettiva olistica ed individualisticae nella sua forma bonding e bridging ci ricor-da che nella società moderna, complessa ead elevata differenziazione, il CS ‘funziona’se riesce a mantenersi in equilibrio tra le sue

diverse componenti. Due casi limite aiutanoa focalizzare il problema.Nelle società semplici e regolate dal princi-pio del sangue, il CS può costituire l’oriz-zonte di valore e fiducia in cui, a livello si-stemico, tutti si riconoscono, mentre il cri-terio ‘noi/loro’ dà e rafforza l’identità dei com-ponenti (CS bonding).Nelle società regolate solo dal principio delmercato, lo scambio costituisce l’orizzontedi valore in cui tutti si riconoscono a livellosistemico, mentre l’agire strategico rappre-senta il criterio che guida l’azione individua-le (CS bridging).Nel primo caso si ha tanta coesione, ma nes-sun scambio; nel secondo nessuna coesione,ma tanti liberi scambi. Tuttavia poiché ognisistema per sopravvivere ha bisogno di inter-scambio con l’ambiente, nel primo caso lasocietà è obbligata ad aprirsi se vuole soprav-vivere e quindi a fidarsi degli altri, nel se-condo caso la società è obbligata a introdur-re alcune regole generali per rendere esigibi-le ciò che si è scambiato, riducendo i costidelle transazioni (una condizione pre-contrat-tuale: la fiducia).Si è visto che l’ambiente di vita è un am-biente popolato di individui in interazione eche la qualità delle relazioni (CS) è alla basedella qualità della vita sia a livello indivi-duale che collettivo; si è anche visto come visiano delle forti relazioni tra qualità dell’am-biente e qualità della vita individuale. Laqualità delle relazioni, nelle sue diverse di-mensioni, può essere misurata dal CS, assun-to come proprietà di specifiche strutture re-lazionali, che tutte cooperano a raggiungereequilibri adeguati nello scambio individuo-ambiente e sistema-ambiente.

CS: bene relazionale in declino?Avvicinarsi oggi allo studio del CS significafare i conti con la crisi sociale, politica e cul-

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turale che ha investito le società nella tardamodernità. La nascita di un mercato mon-diale di produzione e scambio di merci, uo-mini, servizi, idee ha indebolito i tradiziona-li sistemi di appartenenza, primo fa tutti ilsistema Stato-Nazione, rendendo la fiducianelle istituzioni e generalizzata una praticasempre più ardua da attuare, in un momentoin cui, in nome di un neoliberismo aggressi-vo e pervasivo, la razionalità strumentalediventa principio ‘etico’ per tutte le sfere so-ciali, svuotando la politica di qualsiasi forzae asservendola alle sue dinamiche. Contem-poraneamente, ritmi di vita sempre più scan-diti dai tempi della produzione, di un lavoroche diventa tanto più importante quanto piùdiventa raro, discontinuo e irregolare, ero-dono gli spazi per le relazioni di amicizia, diprossimità, di appartenenza, alimentando iprocessi di isolamento sociale e solitudine: ilivelli di integrazione sia sistemica che so-ciale si abbassano.In tale fase storica, non deve meravigliareche il CS sia istituzionale che generalizzato,interpersonale e comunitario sia in cadutaverticale (27, 2). Aumenta l’astensionismoelettorale, diminuisce la partecipazione po-litica, sindacale, associativa, di volontariato,nelle grandi città si creano delle enclave chiu-

se e tendenzialmente in competizione l’unacon l’altra, nei condomini aumentano le in-ferriate alle finestre e le porte blindate. Perstrada ci si saluta frettolosamente!Eppure più la società è complessa, più ha bi-sogno di meccanismi fiduciari per funziona-re. Diventa dunque importante che il con-cetto di ‘difesa dell’ambiente’ si ampli, sinoad includere nell’ambiente la qualità dellerelazioni sociali, che più che un dato per scon-tato – ciò che, come sostiene Putnam fa fun-zionare le istituzioni e quindi viene prima –devono diventare una ‘variabile dipendente’,un campo di intervento per scelte politiche,promosse soprattutto dal basso, dai pochi omolti gruppi sensibili alla qualità della vitadel proprio quartiere, della propria città.Una diversa logica di progettazione urbani-stica, un diverso utilizzo degli spazi urbani(il verde, le strade, i giardini, i centri storici,le scuole ecc.) possono diventare occasionedi fruizione collettiva di momenti ‘culturali’e di progettualità innovativa che aprono lastrada al recupero di un ambiente vivo, incui la vitalità non sia data solo dal consumocommerciale, ma anche dal senso di appar-tenenza ad un territorio che ogni giorno at-traversiamo, senza, spesso, esserne consape-voli.

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I telefoni cellulari: un problema di salute pubblica?Mobile phones: a public health problem?

Irene Figà TalamancaDipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Università La Sapienza, Roma

Claudia GilibertiINAIL, EX-ISPESL, Roma

Silvana SalernoENEA Casaccia, Roma

Parole chiave: radiazioni elettromagnetiche, telefoni cellulari, rischio, studi epidemiologici, sanità pubblica

RIASSUNTOObiettivo: l’articolo fornisce informazioni sulle radiazioni elettromagnetiche emesse dai telefoni cellulari eanalizza eventuali effetti biologici negativi dell’utilizzo del cellulare ed eventuali rischi per la salute umana(studi epidemiologici).Metodologia: rassegna delle principali ricerche sperimentali ed epidemiologiche sui rischi per la salute condot-te negli ultimi anni. In particolare vengono esaminati i recenti studi epidemiologici sul rapporto tra uso delcellulare e tumori al cervello e sono discusse le principali discordanze nei risultati ottenuti. Sono inoltrepresentati i risultati degli studi sui possibili rischi per bambini e adolescenti in seguito all’incrementodell’uso del cellulare.Risultati: emerge con chiarezza la vastità e la rilevanza del problema legato all’esposizione a radiazionielettromagnetiche prodotte dai telefoni cellulari considerando anche alcuni aspetti della loro diffusioneambientale: la produzione scientifica e la regolamentazione internazionale non presentino omogeneitàma, il massimo organismo di tutela della sanità mondiale (IARC) afferma la loro sospetta azione cancerogena.Si tratta dunque di prevenire il rischio adottando comportamenti preventivi e, per quanto riguardal’ambiente, controllando e adottando i limiti più sicuri in attesa di un ampliamento delle conoscenze, senzaaspettare certezze.

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IntroduzioneStoricamente molte innovazioni tecnologi-che sono state diffuse senza valutare in anti-cipo le loro possibili conseguenze negativeper la salute umana e l’ambiente. Basta ri-cordare: la scoperta e utilizzo delle radiazio-ni ionizzanti, la diffusione globale dell’amian-to, l’introduzione di benzina al piombo, l’ap-plicazione incontrollata di antiparassitari, ecc.La scoperta, spesso tardiva, che un prodottoutile e già diffuso possa essere dannoso per lasalute o per l’ambiente, difficilmente vieneaccettata sia dal produttore, ma anche dalconsumatore. I produttori, in molti casi,hanno cercato di contrastare l’evidenza com-missionando ricerche ad esperti di parte,mentre i consumatori, spesso per mancanzadi informazione, comodità o abitudine, igno-rano il rischio per molto tempo.Il caso della telefonia mobile può essere con-siderato un po’ diverso dagli esempi citati,per due ragioni: primo perché la tecnologiausata era già nota, pur in contesti diversi, econsiderata generalmente non nociva. In se-condo luogo i pochi studi condotti dai pro-

duttori stessi e da gruppi di ricercatori indi-pendenti, non hanno fornito evidenza con-clusiva e univoca sui possibili danni alla sa-lute. Di conseguenza l’utilizzatore medio oggicontinua a usare il suo cellulare tranquilla-mente, fidandosi del fatto che un prodottovenduto liberamente e usato da tutti nonpossa recare danni alla salute.Quello che forse i cittadini/e non sanno è cheil telefono cellulare (di seguito cellulare) nonè sottoposto a una valutazione per possibilirischi da parte delle autorità sanitarie, comeavviene nel caso dei farmaci e degli alimen-ti. Per i cellulari, come per tutti gli apparec-chi elettrici, la responsabilità di rischi e dan-ni alla salute resta all’industria, che ha l’ob-bligo di non immettere nel mercato prodot-ti pericolosi. Cosi la vendita dei cellulari, dalmomento della loro introduzione nel mer-cato ad oggi, è cresciuta vertiginosamentesenza impedimenti.In parallelo la tecnologia cellulare progredi-sce fornendo sempre maggiori possibilità dicomunicazione, ma anche sempre maggioreesposizione a radiazioni elettromagnetiche.

Key words: electromagnetic radiation, mobile phone, risk, epidemiological study, public health

S U M M A RYObjective: the article provides information on electromagnetic radiation emitted by mobile phones andanalyzes any adverse biological effects of mobile phone use and possible risks to human health.Methodology: survey of the main experimental and epidemiological research on the health risks conducted inrecent years. In particular, the recent epidemiological studies on the relationship between mobile phoneuse and brain cancers are discussed and the main differences in the results obtained. Is also presented theresults of studies on the potential risks to children and adolescents following the planned use of the phone.Results: show clearly the extent and importance of the problem related to exposure to electromagneticradiation produced by mobile phones considering some aspects of their environmental diffusion: scientificproduction and international regulations but do not show homogeneity, the maximum body protectionglobal health (IARC) said they suspected of causing cancer. It’s therefore to prevent the risk adoptingpreventive behaviors and, as regards the environment, controlling and adopting the limits safer waitingfor a widening of knowledge, without waiting certainties.

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I telefoni cellulari: un problema di salute pubblica?

Non solo per la crescita numerica degli uti-lizzatori e delle ore di utilizzo, ma ancheperché le migliori prestazioni del cellularecomportano maggiore potenza e maggioreassorbimento (Specific Absorption Rate oSAR), nell’organismo umano. Il telefono cel-lulare Motorola razr del 2005 per esempiocomportava un SAR di 0.89. Nel 2007 laApple ha introdotto l’iPhone con un SAR di0.98 e, in seguito, l’iPhone 3G, con accesso ainternet, un SAR uguale a 1.388.E’ noto da studi sperimentali che le radiazio-ni elettromagnetiche interagiscono con gliorganismi viventi, inducendo effetti biologi-ci, anche dannosi, attraverso un incrementodella temperatura dei tessuti colpiti (effettitermici) o/e attraverso interferenze elettrichesulla permeabilità della membrana delle cel-lule (effetti non termici). Gli effetti termici, giànoti, colpiscono con manifestazioni relativa-mente immediate gli organi più suscettibilial calore (es. il cristallino e i testicoli) e sonospecialmente associati a esposizioni con fre-quenze estremamente alte. Gli effetti non ter-mici sono invece molteplici e aspecifici. Essicomprendono disturbi del sistema nervosocentrale con alterazioni dell’elettroencefalo-gramma (EEG), della funzione cognitiva ecomportamentale, della secrezione di mela-tonina, disturbi circolatori con incrementodella frequenza cardiaca e della pressione ar-teriosa, alterazioni del sistema endocrino eimmunitario. Gli effetti termici e i relativimeccanismi d’azione sono abbastanza chiari.Meno noti sono i meccanismi degli effettinon termici e specialmente gli effetti a lun-go termine. La ricerca sulla sicurezza dei te-lefoni cellulari si è perciò focalizzata sul pro-blema degli eventuali danni a distanza di tem-po e in seguito a prolungato uso tra adulti epiù recentemente, tra bambini.I primi studi epidemiologici, basandosi suesposti per un limitato numero di anni, non

potevano fornire risposte affidabili sugli ef-fetti a lungo termine. Gli studi più recenti epiù accurati, che esamineremo successivamen-te, sono più informativi su questi effetti, an-che se non conclusivi.Nello stesso tempo sono state intraprese an-che ricerche sperimentali di laboratorio, siain vitro che in vivo per valutare gli effetti del-le radiazioni emesse dai cellulari ai livelli delDNA, della cellula, dei tessuti, organi e del-l’intero organismo.Nel presente articolo, quindi, cercheremo difornire prima di tutto alcune informazioni dibase sulla natura delle radiazioni elettroma-gnetiche emesse dai telefoni cellulari, e inseguito presenteremo le principali ricerchecondotte negli ultimi anni nel tentativo dicapire se l’utilizzo del cellulare abbia effettibiologici negativi (studi sperimentali) e sequesti effetti comportino dei rischi per la sa-lute umana (studi epidemiologici). Infine, sifornirà una breve rassegna delle misure diprevenzione e di educazione sanitaria racco-mandate e adottate in alcuni Stati per limi-tare possibili danni alla salute umana, misu-re talora indicate dalla stessa industria pro-duttrice.

Le radiazioni elettromagnetiche e itelefoni cellulariL’insieme di tutte le possibili radiazioni elet-tromagnetiche definisce il cosiddetto spettroelettromagnetico (figura 1), che, per semplicitàe convenzione, è suddiviso in regioni che as-sumono denominazioni diverse in base allafrequenza (Hertz (Hz): numero di cicli alsecondo), alla lunghezza d’onda o all’energiadella radiazione. La frequenza di un campoelettromagnetico ne determina la natura;infatti, a seconda della frequenza, i campi sipropagano con modalità differenti e intera-giscono con la materia vivente in modo daprodurre effetti completamente diversi. Per

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questo motivo, viene effettuata una distin-zione tra campi elettrici e magnetici a bassa fre-quenza (0 Hz - 30 kHz) e campi elettromagne-tici ad alta frequenza (30 kHz - 300 GHz). Inparticolare, nell’intervallo delle basse frequen-ze, si trovano le cosiddette ELFs (ExtremelyLow Frequencies: 0-3000 Hz) in cui rientrano i

campi generati dai sistemi per il trasporto,la trasformazione e la distribuzione dell’ener-gia elettrica alla frequenza di rete (50 Hz),comunemente detti elettrodotti, e tutti i di-spositivi domestici di uso comune, alimen-tati a corrente elettrica, quali elettrodome-stici, videoterminali, ecc.

Figura 1: Spettro elettromagnetico (Kheifets, 2005)

Nell’intervallo (3 kHz - 30 MHz), a cui affe-riscono le cosiddette bande VLF (Very LowFrequencies: 3-30 kHz), LF (Low Frequencies:30-300 kHz), MF (Medium Frequencies: 300kHz - 3 MHz) e HF (High Frequencies: 3-30MHz), rientrano rispettivamente i campigenerati da monitor e apparecchi con scher-mo video (3-30 kHz), dalle trasmissioni ra-diofoniche in AM (modulazione di ampiez-za) (30 kHz - 3 MHz), da alcune applicazio-ni industriali, tra cui i riscaldatori a induzio-ne magnetica (0,3-3 MHz), le termoincolla-trici a radiofrequenza, la marconiterapia (3-30 MHz).All’intervallo (30 MHz - 3 GHz), apparten-gono le cosiddette bande VHF (Very High

Frequencies: 30-300 MHz) e UHF (Ultra HighFrequencies: 300 MHz - 3 GHz). Fanno partedi questa regione dello spettro, i campi ge-nerati da emittenti radio FM (modulazionedi frequenza) e televisive e dalle stazioni ra-dio base (SRB) per la telefonia mobile. E’proprio in questa regione dello spettro che siparla comunemente di campo elettromagnetico.In questo range di frequenza, il campo tra-sporta energia e si attenua lentamente con ladistanza, proprietà fisica che consente appun-to l’impiego dei campi elettromagnetici nelcampo delle telecomunicazioni.Alle alte frequenze, l’interazione dei campielettromagnetici con i sistemi biologici in-staura principalmente meccanismi di cessio-

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I telefoni cellulari: un problema di salute pubblica?

ne di energia ai tessuti. La grandezza dosi-metrica che descrive lo scambio energeticotra radiazione elettromagnetica e materiavivente è il SAR (Specific Absorption Rate, Tas-so di assorbimento specifico di energia, Watt/kg). Si tratta della quantità di energia elet-tromagnetica assorbita nell’unità di tempo,per unità di massa corporea, mediata sul cor-po intero o su un piccolo volume di tessuto(SAR locale, media su 10 g di tessuto). Taleparametro dosimetrico dipende sia dalle pro-prietà del campo incidente (intensità, frequen-za, polarizzazione) sia dalle caratteristiche delcorpo esposto (dimensioni, proprietà dielet-triche dei tessuti attraversati).Al fine di proteggere popolazione e lavora-tori/lavoratrici dagli effetti a breve termine(termici) dei Campi Elettro-Magnetici(CEM), la legislazione europea ha fissato dellesoglie per il SAR che non devono in nessuncaso essere superate. I valori di SAR sono sta-biliti considerando che la deposizione di energianon deve, in nessun caso, indurre un riscalda-mento maggiore di 1 °C in nessuna parte del cor-po; tale innalzamento della temperatura corporeacorrisponde ad un SAR medio sull’intero corpo di4 W/kg. Se le potenze assorbite sono con-frontabili o maggiori di questa quantità, ilcalore eccessivo deve essere eliminato dal si-stema di termoregolazione naturale, altri-menti il corpo umano si surriscalda. A po-tenze di diversi W/kg, si producono, infatti,molteplici effetti, che includono l’ipertermiageneralizzata con danni al sistema endocri-no, malformazioni fetali, danni ai tessuti par-ticolarmente sensibili al calore (gonadi) oscarsamente irrorati (cristallino).

I rischi: l’evidenza sperimentaleLa certezza degli effetti biologici prodottidalle radiazioni a radiofrequenza è confermatadal loro utilizzo in varie terapie mediche perriparare tessuti quali ossa, muscoli, nervi (11).

Nel passato lo stesso Luigi Galvani (1737-1798), scopritore della presenza di elettricitànell’organismo vivente, evidenziò come le cor-renti elettriche potevano trattare infezionifungine e tumori.Numerose ricerche hanno prodotto esperi-menti su topi, ratti, cellule animali, in parti-colare fibroblasti e linfociti umani. L’esposi-zione alle radiofrequenze sperimentali varia-no dalle frequenze emesse direttamente dal-lo specifico telefono cellulare (es.: 836.55MHz) (2) a quelle delle esposizioni più fre-quenti nella popolazione di utilizzatori e lapotenza misurata in SAR va da un minimodi 0.12 mW/kg ad un massimo di 2 W/kgche rappresenta il limite di SAR per testa etronco adottato in Europa.Alcuni autori (36) hanno dimostrato che isegnali di radiofrequenza possono disturbareil DNA delle cellule nervose e altri (40) han-no rilevato come i geni di roditori fosserosignificativamente alterati nell’esposizione aradiofrequenze. Entrambi questi ricercatorisono andati a lavorare successivamente nel-l’industria di produzione dei telefoni cellula-re. Esistono infatti controversie su come ef-fettuare gli esperimenti e come valutare glieffetti dell’esposizione. Questi elementi sonotroppo spesso legati al conflitto di interessi icui aspetti più rilevanti sono stati ben sinte-tizzati dal ricercatore dell’IARC Lorenzo To-matis (22) e negli Stati Uniti d’America dal-la ricercatrice Devra Davis (13) cui rinvia-mo per approfondimenti.Le alterazioni del DNA di cellule di rattiesposti a radiofrequenze attraverso il test dellacometa mostrano alterazioni come una co-meta nel cielo. Il meccanismo di azione sa-rebbe legato alla formazione di radicali libe-ri nel DNA in grado di produrre il cancro,trovate anche in fibroblasti umani. In alcunericerche sono stati rilevati micronuclei cherappresentano danni cromosomiali gravi (33).

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Le funzioni cellulari che possono essere com-promesse sono: la perdita della capacità diriparo cellulare, la perdita del controllo fi-siologico cellulare, la capacità di soppressio-ne di crescite incontrollate e di programma-re la morte cellulare.Alcuni effetti sperimentali su ratti sono an-che legati all’evidenza di una perdita di fun-zioni cognitive quali perdere l’orientamentoo alterazioni della membrana emato-encefa-lica alle frequenze 900 MHz o 1900 MHz(37). I sintomi sperimentali rilevati nei topierano legati ad un diretto danno cerebrale,una riduzione della memoria, un aumentodei comportamenti strani. Alcuni ricercato-ri (20) hanno identificato una risonanza spe-cifica del corpo umano legata anche alla ri-sonanza naturale delle cellule che potrebbeessere alterata dalle radio frequenze. L’im-portanza di questa risonanza spiegherebbe ilcomportamento del nervo acustico: l’esposi-zione a radiofrequenze determinerebbe a1900 MHz un effetto udibile. D’altro cantogli effetti delle radiofrequenze pulsate deter-minerebbero la morte dei ratti e la coagula-zione immediata del sangue. Tali effetti sa-rebbero utilizzati anche come armi militari.L’Agenzia Internazionale per la ricerca sulCancro (IARC), la cui pubblicazione mono-grafica è imminente (28) ha stabilito la pos-sibile cancerogenicità delle radiofrequenze.Il gruppo di esperti ha preso in considerazio-ne, come sempre, gli studi epidemiologicisull’Uomo ma anche studi su animali. Perquesti ultimi la cancerogenicità deve essereriscontrabile in più risultati positivi in alme-no due specie e nei due sessi. La Commissio-ne ha analizzato 40 studi di cancerogenicitàsu roditori esposti cronicamente a radiazionielettromagnetiche. L’esposizione era carat-terizzata da radiofrequenze che simulavanole emissioni radiotelefoniche. Questi studivalutavano la genotossicità, gli effetti sul si-

stema immunitario, l’esposizione dei geni eproteine, i segnali cellulari, gli stress ossida-tivi, la morte cellulare (apoptosi) e la barrie-ra emato-encefalica.

Rischi: l’evidenza epidemiologica sul-l’uomoGli studi epidemiologici specifici sulla tele-fonia mobile esaminano sopratutto il rischioper tumori nella parte del corpo più esposta,cioè la testa. Tema delle ricerche più recentiè il possibile danno ai bambini, divenuti re-centemente frequenti utilizzatori di cellula-ri. Come vedremo, gli studi sui bambini cer-cano di valutare il rischio per lo sviluppo ditumori e il possibile danno al sistema nervo-so centrale in fase di sviluppo. Gli effetti ri-produttivi su donne e uomini sono stati esa-minati da studi generali sull’esposizione (es.:videoterminali, materassi e altri apparecchielettrici, elettrodotti, ecc.) con risultati allevolte suggestivi ma spesso non conclusivi.La letteratura su questo argomento è statarecentemente analizzata in una rassegna (17),quindi non è inclusa in questo articolo.Il rischio di tumore al cervelloIl tumore al cervello ha una lunga latenza esi manifesta in forme sia benigne che mali-gne. I tipi istologici più comuni sono il glio-ma, seguito dal meningioma, spesso beni-gno e dal neurinoma che è un tumore beni-gno. Negli ultimi 10 anni, almeno 20 studiepidemiologici hanno tentato di definire ilrapporto tra l’uso di telefoni mobili e i tu-mori al cervello tra adulti. I dati di questistudi sono anche stati esaminati e riassuntiin alcune metanalisi nel tentativo di raggiun-gere una conclusione definitiva (vedi peresempio, 32, 26). Questi studi sono, in mag-gioranza, di tipo caso-controllo e hannol’obiettivo di quantificare l’esposizione delmalato/a di tumore al fattore di rischio con-

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frontandola con quella di una simile popola-zione non malata di tumore (gruppo di con-trollo). L’esposizione al cellulare é, spesso,rilevata attraverso interviste individuali perottenere dati validi sulla durata, intensità emodalità di uso del cellulare. La validità diquesti dati non è sempre soddisfacente. Ilmalato di tumore, nella sua ansia di capire lecause, potrebbe sovrastimare il suo uso delcellulare introducendo cosi un errore siste-matico (“recall bias”), che finisce per sovra-dimensionare il ricordo dell’esposizione. Persuperare questo inconveniente, alcune ricer-che recenti hanno quantificato l’esposizionedei pazienti (e dei controlli) dai dati reali (es.le bollette telefoniche o/e i registri della com-pagnia telefonica). Tuttavia altri aspetti, qualiuso prevalente nella parte destra o sinistradella testa, uso di auricolare, utilizzo di tele-foni senza fili (cordless), ecc. sono semprerilevabili solo attraverso intervista o questio-nario.Uno dei primi studi, che ha suscitato preoc-cupazione e controversia, è stato condotto inSvezia, dove la telefonia mobile è stata in-trodotta prima rispetto al resto del mondo.Il gruppo di Hardell (25) ha preso in esame346 malati di glioma (casi) e 900 soggettisenza questo tumore (controlli). L’uso delcellulare è stato rilevato con questionario(quindi soggetto a “recall bias”). Il rischio diglioma per chi usava il cellulare risultava 1.4volte più alto. Per i 78 soggetti che avevanousato il cellulare per più di 10 anni il rischioera ancora più alto, 2.7 volte. Tra questi, ilrischio di sviluppare un glioma dalla partedella testa più esposta al cellulare (ipsilatera-le), saliva a 4.4 volte. Tutti questi incremen-ti del rischio erano statisticamente significa-tivi e non potevano essere attribuiti al caso.I risultati di Hardell sono stati confermatida un altro più recente studio condotto sem-pre dallo stesso gruppo su casi di persone

decedute per tumore cerebrale e relativi con-trolli (27).Altri esperti epidemiologi hanno messo inevidenza nella letteratura specializzata possi-bili errori metodologici sostenendo che ‘l’au-mento del rischio per glioma tra gli utilizza-tori di cellulari era dovuto non all’esposizioneai campi elettromagnetici, ma a vari “bias”nella metodologia usata, come il “recall bias”o la selezione dei casi e dei controlli”.Nel 2002, per iniziativa dell’allora DirettoreGenerale dell’Organizzazione Mondiale del-la Sanità (OMS) Gro Harlem Brundtland, laIARC (International Agency of Research onCancer dell’OMS), intraprese un nuovo stu-dio su larga scala coinvolgendo ben 13 paesi,2.708 casi di glioma, 2.409 casi di menin-gioma e 5.634 controlli. Lo studio, noto comeInterphone Study, è costato 19.2 milioni diEuro ed era cofinanziato principalmente dal-l’industria produttrice di cellulari e dallaComunità Europea. Lo studio ha selezionatoi casi di tumori cerebrali diagnosticati nelperiodo 2000-2004, con utilizzo del cellula-re, dei casi e dei controlli, nei dieci anni pre-cedenti alla diagnosi. Si tratta quindi del pe-riodo iniziale della telefonia mobile, con uti-lizzo del cellulare limitato sia per i casi cheper i controlli in quasi tutti i paesi coinvolti.Gli utilizzatori considerati “pesanti” (alme-no 30 minuti al giorno e per più di 10 anni),infatti, erano meno del 10% dei soggetti in-clusi nello studio.Esaminando però separatamente il rischiodegli utilizzatori “pesanti”, anche questo stu-dio ha confermato i risultati di Hardell: gliutilizzatori pesanti avevano un rischio più alto(1.4 volte) di sviluppare un glioma, mentreper il meningioma il rischio era quattro vol-te più alto nel gruppo di utilizzatori pesantiche avevano sia vecchi telefoni analogici e,successivamente, quelli digitali. Il rischio perglioma, inoltre, era più elevato nei soggetti

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che usavano il telefono nella stessa parte del-la testa del tumore (ipsilaterale) (45). Lo stu-dio si è concluso nel 2005, ma i risultati prin-cipali sono stati pubblicati solo nel 2010 emolte ulteriori analisi dei dati sono ancorain corso. Il ritardo nella pubblicazione è inparte dovuto alle difficoltà di assemblare idati provenienti da 13 paesi e di interpretarei risultati in modo concordato nei vari cen-tri. In un’analisi dei dati separata per 5 dei13 paesi che hanno partecipato allo studioInterphone, si è cercato di focalizzare me-glio il grado di esposizione, stimando la dosedi energia assorbita da ogni paziente nel puntodel cervello dove il tumore si è sviluppato.Questa analisi ha concluso che il rischio disviluppare il tumore (in particolare il glio-ma), tra utilizzatori del cellulare da più anni,era maggiore nelle regioni più esposte delcervello. Tuttavia anche in questo caso gliautori definiscono i risultati “incerti” in quan-to sia le stime delle dosi assorbite che la col-locazione esatta del tumore non erano deltutto affidabili (8). Sono affermazioni delu-denti per chi aspettava una risposta più defi-nita sui rischi. Infatti non mancano le criti-che all’Interphone study, che, secondo pareriautorevoli, poteva essere meglio progettatoe eseguito (39).La commissione della IARC, come detto pre-cedentemente, incaricata di classificare il ri-schio per tumore dall’ uso di telefoni cellula-ri, dopo aver valutato tutta l’evidenza dispo-nibile nella letteratura scientifica, compresol’Interphone Study, ha collocato il cellularenella categoria 2B, cioè “possibilmente can-cerogeno”. In alcuni degli studi epidemiolo-gici di questi due tumori si è infatti visto unincremento del rischio associato con intensoe prolungato uso del cellulare (più di 10-20anni) e/o con uso ipsilaterale. Per altri tipi ditumore invece, in particolare meningioma,leucemia, tumore della ghiandola parotide e

linfoma, l’evidenza è stata definita non suffi-ciente per arrivare ad una conclusione.E’ da notare tuttavia che anche per alcuni diquesti ultimi tumori per i quali non era pos-sibile fare una valutazione in rapporto all’usodi cellulari, esiste nella letteratura qualcheevidenza di rischio. Nel caso di leucemia peres. uno studio inglese ha trovato un incre-mento di rischio per chi aveva usato il cellu-lare per più di 15 anni (1.87, 95% CI 0.96-3.63) anche se non statisticamente significa-tivo (10). Nel caso di tumore della ghiando-la della parotide, uno studio israeliano ha tro-vato un incremento del rischio significativoper uso ipsilaterale sempre nella categoria deigrandi utilizzatori (41).Esistono anche studi negativi. Uno di questiè uno studio danese, iniziato nel 1990, cheha seguito 350.000 utilizzatori di cellularifino al 2007. Tra questi, nei 17 anni di osser-vazione, si sono verificati 10.729 tumori delcervello, ma non si è visto nessuna differenzanella incidenza di questi tumori tra chi usavail telefono cellulare molto poco e chi lo usa-va molto (18, 19, 42). Anche in questo stu-dio ci possono essere stati degli errori meto-dologici, come per es. il dato di esposizionericavato dalle bollette telefoniche, alle volteintestate a persone diverse dal vero utilizza-tore del telefono o vice versa. Inoltre questostudio ha escluso a priori chi usava il cellula-re per ragioni di lavoro.Una recente rassegna della letteratura sul rap-porto tra l’uso dei cellulari e tumori cerebra-li (34) spiega le discrepanze nei risultati a dif-ferenze metodologiche e di impostazione deidiversi studi. Gli studi correttamente impo-stati e liberi da bias e condizionamenti fi-nanziari, risultano positivi, dimostrando unincremento del rischio statisticamente signi-ficativo. Gli studi con difetti metodologici efinanziati dall’industria non trovano un ri-schio, eccetto per il caso dei tumori ipsilate-

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rali dopo un uso del cellulare per almeno 10anni.Quindi, è necessario intraprendere nuovi studilongitudinali che seguono utilizzatori e nonutilizzatori di cellulari con dati precisi rela-tivi al grado e modalità di esposizione e perperiodi molto più lunghi.

Rischi per bambini e adolescentiSecondo il rapporto dell’Istat “Infanzia e vitaquotidiana 2011”, in Italia tra il 2000 e il2011 si è passati dal 55,6% al 92,7% dei 11-17enni utilizzatori di cellulare. L’incremen-to maggiore si è riscontrato tra i più piccoli.La percentuale di bambini tra gli 11 e i 13anni che utilizza il cellulare è cresciuta, in-fatti, dal 35,2% al 86,2%, mentre tra i 14 ei 17 anni dal 70,4% al 97,7%. Inoltre, nel2011, il 67,3% dei 6-17enni utilizza il cellu-lare e il 56,4% ne possiede uno. Simile diffu-sione del cellulare tra bambini è riportata peraltri paesi come per esempio l’Australia(35), la Germania (42). I più giovani, oggi,cominciano ad utilizzare i cellulari già in te-nera età, quindi, a parità di età rispetto agliadulti di oggi, saranno soggetti ad una espo-sizione cumulativa maggiore. La diffusionedell’uso del cellulare tra i bambini è dovutaanche all’offerta commerciale di servizi de-dicati, come giochi, suonerie, sms e utilizzodei social network. Ciò comporta differenzenella modalità di esposizione rispetto agliadulti, poiché da una parte determina unaminore esposizione della testa, dall’altra, aseconda dell’utilizzo, può aumentare l’espo-sizione di altre parti del corpo, come gli oc-chi, le mani, l’addome (42).Dal punto di vista fisiologico i bambini nonsono adulti in miniatura. Il loro cervello inparticolare continua a crescere, non solo conl’aumento del numero dei neuroni, ma concontinue modifiche e incremento nelle con-figurazioni e connessioni. Il cervello del bam-

bino cresce rapidamente fino all’età di tre annie raggiunge dimensioni adulte dopo i 14 anni(50). Inoltre, ha un maggiore contenuto difluidi e il cranio protettivo è più fine rispettoall’adulto e il suo spessore continua ad au-mentare fino all’età di 18 anni (39). Questedifferenze comportano una maggiore suscet-tibilità all’esposizione ad agenti nocivi chi-mici (noto è per esempio il caso del ritardomentale tra bambini esposti a piombo) e fi-sici (es.: radiazioni ionizzanti e rumore).Come dimostrato dalle ricerche di Gandhi(20, 21), il cervello dei bambini ha un mag-giore SAR cioè assorbe le onde elettroma-gnetiche più degli adulti. Altri gruppi di ri-cerca non hanno trovato aumenti significati-vi del SAR (9, 43), ma spesso sono stati im-piegati modelli “ridotti” della testa di unadulto, per rappresentare e studiare quella diun bambino, un approccio che non tiene contodelle differenze fisiologiche tra bambini eadulti (29, 30). Da qui la necessità di mag-giore protezione per i bambini nell’uso deicellulari i quali sono fabbricati con accorgi-menti di protezione della testa degli adulti(31).Le ricerche epidemiologiche che indagano supossibili rischi per la salute da esposizione atelefono cellulari tra bambini e adolescentisono estremamente limitate, anche perchéla massiccia diffusione di cellulari tra bam-bini e adolescenti è un fatto recente. Unostudio ha affrontato la questione valutandol’esposizione della madre in gravidanza se-condo la potenza e la prossimità alla residen-za di antenne per la telefonia mobile, tra 1397bambini colpiti da tumore (tumore del cer-vello e del sistema nervoso centrale, leuce-mia, e linfoma non Hodgkin) e un adeguatogruppo di controllo Questo studio non hariscontrato un incremento di rischio di tu-more per i bambini più esposti (16).Anche lo studio Cefalo, condotto in collabo-

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razione tra ricercatori Danesi, Svedesi, Nor-vegesi e Svizzeri, su 352 bambini colpiti datumore al cervello negli anni 2004-2008 e646 bambini sani. Lo studio non ha eviden-ziato un incremento del rischio statisticamen-te significativo (OR=1.36; 95% CI=092-2.02), in rapporto all’uso di telefoni mobili,né in termini di ore di uso né in termini de-gli anni di uso. Né si è trovato un maggiorrischio per la parte del cervello (destra o si-nistra), più esposta (3).Gli studi condotti finora non evidenziereb-bero un rischio di tumori cerebrali tra bam-bini. Un ulteriore aspetto è il fatto che neipaesi occidentali, dove l’uso dei cellulare è inforte aumento tra bambini negli ultimi diecianni, non si è osservato un aumento nell’in-cidenza dei tumori cerebrali tra i bambini(5). Tuttavia la maggioranza delle ricerchesull’argomento discutono le limitazioni me-todologiche degli studi (es.: incertezze sulgrado e durata di esposizione a cellulari, se-lezione dei casi, ecc.) e ribadiscono la neces-sità di proseguire studi longitudinali per va-lutare possibili effetti di prolungati periodidi esposizione. Alcune ricerche hanno evi-denziato altri possibili danni alla salute deibambini in rapporto allo sviluppo del siste-ma nervoso. Infatti alterazioni nell’attivitàdel cervello di bambini e giovani utilizzatoridi cellulari sono state riportate con riduzio-ne del tempo di reazione, e più problemi sco-lastici (15). L’Australia è un paese dove il94% della popolazione usa telefoni mobili, edove già nel 2007, il 23% dei bambini tra 6e 13 possedeva un cellulare. I ricercatori del-l’Università di Melbourne hanno intrapresoperciò un’indagine in bambini tra 11 e 14anni per valutare eventuali alterazione dellafunzione cognitiva in confronto ai controlli,attraverso test psicometrici computerizzati(1). Gli studenti con il maggior uso (sia comesms che telefonate vocali), avevano un tem-

po di reazione agli stimoli più corto, ma an-che una peggiore prestazione mnemonica. Ilprofilo del giovane utilizzatore del cellulareemerso è di un bambino “impulsivo” (velocema poco accurato). Essendo però questo unostudio trasversale non si può escludere chequesto comportamento non sia “causato”dall’uso del cellulare, ma piuttosto dal fattoche i bambini più “impulsivi” sono quelli chepretendono e/o ricevono un cellulare dai ge-nitori.Il recente studio condotto dal National In-stitute of Health degli Stati Uniti confermache l’uso del cellulare provoca un incremen-to della reattività cerebrale negli adulti (48)che, mentre usavano il cellulare, erano sot-toposti ad un esame dell’attività cerebraleattraverso la PET (Positron Emission Tomo-graphy). Il metabolismo delle parti del cer-vello più vicino al cellulare era del 7% piùintenso quando il telefono era accesso. An-che se questo risultato non implica che l’usodel telefono provochi un danno, il suo signi-ficato in seguito a lunghi periodi di uso, especialmente per il cervello in fase di svilup-po, del bambino, non è prevedibile. Nel dub-bio, e seguendo il principio di precauzione, ilGoverno Inglese già nel 2000 ha lanciato unacampagna raccomandando la limitazionedell’uso del cellulare da parte dei bambini.

Le politiche cautelativeLa questione dei possibili effetti a lungo ter-mine delle radiazioni elettro-magnetiche hainnescato un interessante dibattito sull’op-portunità dell’adozione di politiche cautela-tive, in assenza di dati scientifici certi.L’Unione Europea ha emanato raccomanda-zioni basate sul Principio di Precauzione, san-cito dall’art. 174 del Trattato Istitutivo del-l’Unione. Il principio di precauzione rappre-senta una politica di gestione del rischio cheha come principio la necessità, sia a livello

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comunitario che nazionale, di intervenireanche in presenza di un rischio potenzialegrave, senza attendere i risultati della ricercascientifica.Nel 2000 l’OMS ha riportato (49) tra i prin-cipi cautelativi, oltre al Principio di precau-zione, l’ALARA, acronimo dell’inglese AsLow As Reasonably Achievable (il rischio piùbasso ragionevolmente raggiungibile). Si trat-ta di una politica atta a mantenere l’esposi-zione ai livelli più bassi ragionevolmentepossibili, tenendo in considerazione i costi,la tecnologia, i benefici per la salute pubbli-ca ed altri fattori sociali ed economici.L’Unione Europea si è pronunciata nel corsodegli anni, facendo proprio ora l’uno, ora l’al-tro principio cautelativo, ora entrambi. Nel1994, il Parlamento Europeo, nella Risolu-zione del 5 maggio 1994 sulla lotta controgli effetti nocivi delle radiazioni non ioniz-zanti (Gazzetta Ufficiale Comunità Europea25.07.1994, n. C 205), richiamava infatti siail principio di precauzione che l’ALARA.Successivamente, nel 1999, nella raccoman-dazione del 12.07.1999 relativa alla limita-zione dell’esposizione della popolazione aicampi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz,il Consiglio dell’Unione Europea accoglievapienamente le linee guida ICNIRP del 1998facendo riferimento al solo principio di pre-cauzione. La raccomandazione chiedeva agliStati membri di considerare nel tempo i pro-gressi delle conoscenze scientifiche e della tec-nologia sui sistemi di protezione dalle radia-zioni non ionizzanti (NIR), con un atteggia-mento di precauzione, prevedendone la ras-segna e la revisione su base sistematica. Inmerito agli effetti a lungo termine, la racco-mandazione affermava che, poiché esistonofattori di sicurezza di circa 50 tra i valorilimite per gli effetti acuti e i limiti di basestabiliti, gli eventuali effetti a lungo terminenell’intero intervallo di frequenza potevano

essere considerati come implicitamente con-templati dalla raccomandazione stessa.Recentemente, nella risoluzione 1815 delConsiglio d’Europa del 27 maggio 2011, l’As-semblea, raccomanda, visto l’aumento dellaesposizione della popolazione, l’applicazionesia del Principio ALARA che del Principio diPrecauzione, sia per gli effetti termici e nontermici. L’Assemblea raccomanda che gliStati intraprendano tutte le ragionevoli mi-sure per ridurre l’esposizione, in particolarealle radiofrequenze emesse dai telefoni mo-bili, e particolarmente per l’esposizione dibambini e giovani quali soggetti maggior-mente a rischio per i tumori alla testa. Im-portanti novità del documento consistononelle seguenti raccomandazioni per gli Statimembri del Consiglio d’Europa: 1) riconsi-derare le basi scientifiche per gli attuali stan-dard di esposizione fissati dall’ICNIRP; 2)mettere in atto campagne di informazione ecrescente consapevolezza sul rischio di pos-sibili effetti nocivi a lungo termine per lasalute umana, specialmente indirizzate a bam-bini, adolescenti e giovani in età riprodutti-va; 3) intraprendere appropriate procedure distima del rischio per tutti i nuovi tipi di di-spositivi prima di autorizzarne l’immissionesul mercato; 4) introdurre chiare etichettesui telefoni mobili o altri dispositivi emit-tenti, che indichino la presenza di microon-de o radiofrequenze; 5) fissare soglie preven-tive in relazione all’uso di telefoni mobili perl’esposizione a lungo termine alle microon-de e in tutte le aree indoor, in accordo con ilPrincipio di Precauzione, che non superinogli 0,6 V/m, con riduzione nel medio termi-ne a 0,2 V/m. In riferimento alla protezionedei bambini, l’Assemblea raccomanda che sisviluppino con i Ministeri competenti (edu-cazione, ambiente e salute), campagne spe-cifiche di informazione dirette a insegnanti,genitori e alunni per allertarli sui rischi lega-

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ti all’utilizzo precoce, sconsiderato e prolun-gato di cellulari e altri dispositivi che emetto-no microonde; che nelle scuole si dia la prefe-renza a connessioni Internet cablate e vengaregolato severamente l’uso dei cellulari da partedegli alunni nei locali della scuola.Il Ministero della Salute Canadese ha pubbli-cato il 4 Ottobre 2011 specifiche raccoman-dazioni per i consumatori, in cui conferma lanecessità di: limitare la lunghezza delle chia-mate; utilizzare per lo più sms e dispositiviauricolari; limitare l’utilizzo dei telefoni cel-lulari per bambini sotto i 18 anni di età.(http://www.hc-sc.gc.ca/ahc-asc/media/advi-sories-avis/_2011/2011_131-eng.php)Allo stesso modo la Francia, nel 2010 ha pro-mulgato una legge che vieta la pubblicità deitelefoni cellulari per bambini sotto i 14 annie ne vieta l’uso nelle classi durante la scuola.Sulla stessa linea anche il Regno Unito, il cuiMinistero della Salute, nel marzo 2011, haaggiornato un opuscolo sul tema, già pubbli-cato nel 2005, in cui si raccomanda ai bam-bini sotto i 16 anni di limitare l’uso del cel-lulare e effettuare brevi chiamate. Anche laGermania ha emanato simili raccomandazio-ni per i giovanissimi, aggiungendo anche unaserie di consigli per ridurre l’esposizione del-la popolazione in generale, che suggerisconoad esempio, di acquistare telefoni mobili conun basso SAR, utilizzare preferibilmente lelinee fisse, gli sms, fare chiamate brevi, nonusare il telefonino se il segnale è scarso, uti-lizzare gli auricolari.In Italia, il Consiglio Superiore di Sanità(Ministero della Salute) ha affrontato la que-stione dei rischi potenziali connessi con l’usodei telefoni cellulari, nella seduta del 15 no-vembre 2011. In linea con gli studi dellaIARC e, in accordo con l’Istituto Superioredi Sanità, il Consiglio, pur rilevando che nonesiste dimostrazione di alcun rapporto di cau-salità tra l’esposizione a radiofrequenze e le

patologie tumorali, riconosce che le attualiconoscenze scientifiche non consentono diescludere l’esistenza di causalità, in caso diuso molto intenso del telefono cellulare. IlConsiglio pertanto, pur non quantificando ilsignificato di “uso molto intenso del cellula-re”, conclude che, soprattutto per quanto ri-guarda i bambini, vada applicato il principiodi precauzione, in relazione ad un’educazio-ne all’utilizzo del telefono cellulare, non in-discriminato, ma appropriato, quindi limi-tato alle situazioni di vera necessità.Il documento termina con l’informazionecirca l’avvio da parte del Ministero della Sa-lute di una campagna di informazione sullabase delle ultime relazioni degli organismitecnico-scientifici, per sensibilizzare proprioa tale uso appropriato dei telefoni mobili.

Considerazioni conclusiveCon questa lunga e articolata dissertazioneabbiamo voluto far emergere con chiarezzala vastità e la rilevanza del problema legatoall’esposizione a radiazioni elettromagneti-che prodotte dai telefoni cellulari conside-rando anche alcuni aspetti della loro diffu-sione ambientale. Abbiamo visto come laproduzione scientifica e la regolamentazioneinternazionale non presentino omogeneità ecome, nel maggio 2011, il massimo organi-smo di tutela della sanità mondiale (IARC)abbia affermato la loro sospetta azione can-cerogena. Lorenzo Tomatis (1929-2007),medico ricercatore italiano, direttore dellaIARC (dal 1982 al 1993) per anni si era bat-tuto affinché la ricerca si concentrasse sullaprevenzione primaria dei tumori e in parti-colare sulla prevenzione nei bambini che pre-sentano il maggiore incremento percentualedi malattie tumorali. La sua vicenda perso-nale presso l’Agenzia si concluse mettendoin luce, in tutta la sua drammaticità, il graveconflitto di interessi presente nella ricerca

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scientifica condizionata da finanziamenti del-l’industria. Scriveva infatti Tomatis nel testopostumo (46) relativo all’esperienza matura-ta nella redazione delle numerose Monogra-fie IARC “La tattica era quella di elevare ilrumore di fondo, ossia creare confusione, pubbli-cando «risultati contrastanti e contraddittori, inmodo da iniettare dubbi sulla validità di datiscomodamente positivi». Trincerandosi dietro ladifesa del rigore scientifico si mettevano in discus-sione i dati sperimentali di tumori indotti nei topi:come trasferirli all’uomo? Una confusione che fi-niva per ritardare un accordo «sulle decisioni daprendere per mettere in atto una prevenzione effi-cace»”.

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La prevenzione efficace è dunque quella cheviene prima. Riteniamo dunque che la rispo-sta alla domanda se l’uso di cellulare rappre-senti un problema di salute pubblica rispon-diamo affermativamente in quanto la tecno-logia è recente e i bambini/e e gli adolescentidi oggi possono essere la generazione a ri-schio domani, come successo per molti ri-schi sottovalutati ad arte.Si tratta dunque di prevenire il rischio adot-tando comportamenti preventivi e, per quan-to riguarda l’ambiente, controllando e adot-tando i limiti più sicuri in attesa di un am-pliamento delle conoscenze, senza aspettarecertezze.

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La gestione di problematiche ambientali da inquinamentoatmosferico: un’esperienza trasferibileThe management of air pollution environmental: a trasferable experience

Fausto Franciadirettore del Dipartimento di Sanità pubblica, AUSL di Bologna

Paolo Pandolfidirettore dell’Unità operativa di Epidemiologia e comunicazione del rischio, Dipartimen-to di Sanità pubblica, AUSL di Bologna

Elisa Stivanellomedico igienista della Unità operativa di Igiene ambientale, Dipartimento di Sanità pub-blica, AUSL di Bologna

Parole chiave: inquinamento atmosferico, sistema di sorveglianza, comunicazione del rischio

RIASSUNTOObiettivi: l’inquinamento atmosferico è una delle problematiche affrontate abitualmente dai Dipartimentidi Prevenzione. In questo lavoro descriviamo la risposta che il Dipartimento di Salute Pubblica dell’AUSLdi Bologna ha dato a un problema di cattivi odori segnalato da più cittadini, attribuibile ad una azienda cheproduce conglomerati bituminosi.Metodologia: il Dipartimento ha condotto uno studio osservazionale in cui ha confrontato: 1) lo stato disalute dei bambini frequentanti le scuole della zona interessata con la popolazione di pari età residentenella città di Bologna e 2) lo stato di salute di tutta la popolazione residente entro 1,5 Km dall’azienda conquello di tutti i residenti della città. Utilizzando le informazioni provenienti da flussi informativi correntisono stati studiati i seguenti esiti: mortalità per tutte le cause, patologie cardiovascolari, tumori e patologierespiratorie; consumo di farmaci, ricoveri ed esenzioni per alcune patologie respiratorie.Risultati: dalle analisi risulta che i bambini della zona non presentano, rispetto ai bambini della città unrischio significativamente maggiore di ricovero, esenzione per patologie respiratorie o utilizzo di farmaci dicategoria R03 (indicatori proxy di patologie respiratorie acute). Hanno invece un rischio significativa-mente maggiore di utilizzare farmaci di categoria R (RR: 1,23; IC95%: 1,06-1,43). Per quanto riguarda

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

La gestione di problematiche ambientali da inquinamento atmosferico: ...

IntroduzioneNell’ambito delle questioni quotidiane af-frontate dal Dipartimento di Prevenzione(in Emilia Romagna denominato Diparti-mento di Sanità Pubblica) uno dei temi piùfrequenti che ci si trova a gestire è correla-to a situazioni locali di inquinamento at-mosferico che preoccupano la cittadinanzae che coinvolgono, per quanto di compe-tenza istituzionale, vari enti pubblici(ARPA, Amministrazioni Comunali, Pro-vinciali e Regionali).Si tratta di problematiche che risultano par-

ticolarmente complesse da gestire in quan-to richiedono oltre a competenze tecnichespecifiche (da aspetti di natura chimico-fi-sica a valutazioni epidemiologiche) ed acompetenze comunicative adeguate, un co-ordinamento stretto tra tante figure profes-sionali ovvero capacità di lavoro in team.Il trasferimento di queste esperienze puòrappresentare un elemento molto utile alfine di migliorare la capacità di risposta eduniformare le modalità operative assicuran-do equità assistenziale. Con questo articolointendiamo descrivere quanto realizzato dal

la popolazione generale, gli abitanti della zona hanno invece un minor rischio di ricovero per patologierespiratorie (RR: 0,80; IC95%:0,67-0,96), utilizzo di farmaci R03 (RR: 0,79; IC95%: 0,75-0,82) edesenzioni per patologie respiratorie e tumorali (RR: 0,83; IC95% 0,69-0,99 e RR 0,74; IC95% 0,69-0,80) e mortalità. Nel lavoro si discutono i risultati dello studio, sottolineandone le potenzialità anche intermini di ricaduta comunicativa e relazionale con la propria popolazione di riferimento.

Key words: air pollution, surveillance system, risk communication.

S U M M A RYObjectives: air pollution is a main problem faced routinely by the Departments of Prevention. We describe hereby theactivities that have been carried out by the Department of Public Health of the Bologna Local Health Authorityfollowing complaints of unpleasant odours attributable to a company producing bitumen conglomerate.Methods: the Department carried out an observational study in order to compare 1) the health status of thechildren attending the schools near the above mentioned company with the children of the same age livingin Bologna and 2) the health status of the population living within 1,5km to the company with the Bolognainhabitants. By using information retrieved from routine data, the following outcomes were considered:mortality from all causes, cardiovascular, respiratory diseases and cancer; drug consumption, hospitalizationsand exemptions for respiratory diseases.Results: the results show that the children of the studied area do not have a statistically significant higher risk ofhospitalization and exemptions for respiratory problems than the comparison group. They also do not havea higher risk of consuming drugs of the R03 therapeutic subgroup (proxy indicators of acute respiratoryproblems), but have a higher risk of using drugs of the R therapeutic subgroup (RR: 1,23; CI 95%: 1,06-1,43). As far as the general population is concerned, the population of the area has a smaller risk of hospitalizationfor respiratory diseases (RR: 0,80; CI 95%: 0,67-0,96), use of R03 drugs (RR: 0,79; CI 95%: 0,75-0,82)and exemptions for respiratory diseases and tumors (RR: 0,83; CI 95%: 0,69-0,99 and RR 0,74; CI 95%:0,69-0,80 respectively) and mortality. We discuss the results of the study and underscore its potentials interms of relations and communication with the population of the catchment area.

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

365Fausto Francia, Paolo Pandolfi, Elisa Stivanello

Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Azien-da USL di Bologna in occasione di una ri-chiesta specifica di un gruppo di cittadiniche ha sollecitato l’intervento dell’ammini-strazione comunale sulla presenza di unaserie di problematiche di natura ambienta-le emergenti in un’area posta a Nord Ovestdella città dove insistono alcune industrienelle immediate adiacenze di insediamentiresidenziali, plessi scolastici e giardini pub-blici.In particolare i cittadini segnalavano oltread un incremento significativo del trafficoveicolare locale, anche la presenza di catti-vi e persistenti odori in un primo momentoricondotti alle attività di tre aziende: unache produce conglomerati bituminosi, un’al-tra che svolge attività di raccolta, traspor-to, stoccaggio, smaltimento e recupero dirifiuti pericolosi, tra cui oli esausti e la ter-za una fonderia.Il Dipartimento di Sanità Pubblica con leunità operative di Epidemiologia e di Ri-schio Ambientale è stato più volte invitatoad incontri pubblici dove la popolazione harichiesto l’effettuazione di una valutazionedel rischio ambientale e sanitario nell’areain oggetto. L’istanza è stata fatta propriaformalmente anche dall’AmministrazioneComunale e da quella Provinciale. La richie-sta nello specifico prevedeva da una partel’intervento dell’ARPA per la realizzazionedi una campagna di monitoraggio delle sin-gole emissioni e della qualità dell’aria nel-l’area in questione e dall’altra una valuta-zione epidemiologica per verificare un even-tuale impatto sulla salute della popolazioneresidente ed in modo particolare su una sot-topopolazione di bambini frequentanti unplesso scolastico ubicato ad alcune centina-ia di metri dalle industrie in questione.Dopo una serie di sopralluoghi e contatticon i cittadini (rappresentati da comitati

locali) le attività di monitoraggio a cura diARPA Regione Emilia Romagna si sonoconcentrate sulle emissioni provenienti dallasocietà che produce conglomerati bitumi-nosi presente ed attiva nell’area da oltre 30anni.Generalmente il conglomerato bituminosoo “asfalto” contiene quantità percentualivariabili in peso di materiale inerte (ciotto-lo, ghiaia, ghiaietto, sabbia) pari al 90%, difiller (materiale inerte molto fine) al 3-10%,di additivi vari (polimeri, attivanti di ade-sione, pigmenti) allo 0-2% e di bitume al4-7%. I bitumi normalmente in commer-cio sono prodotti solidi o semisolidi a tem-peratura ambiente e vengono prodotti inraffineria attraverso i processi di lavorazio-ne del petrolio greggio.Chimicamente il bitume è un complessoinsieme di composti organici ad alto pesomolecolare, con prevalenza di idrocarburialifatici (99%), tra cui una piccola percen-tuale idrocarburi aromatici di circa l’1%.Negli impianti di produzione del conglo-merato bituminoso le fasi più critiche chepossono comportare la dispersione in atmo-sfera di vapori e fumi contenenti idrocarbu-ri, tra i quali anche i policiclici aromatici(IPA), sono in genere quelle relative a ri-scaldamento del bitume, mescolamento acaldo degli inerti con il bitume, stoccaggioconglomerato bituminoso, carico negli au-tocarri, trasporto del prodotto caldo fino alladestinazione d’uso. La campagna di moni-toraggio, eseguita in diverse stagioni, hapreso in considerazione i seguenti parame-tri: PM

10, PM

2,5, Benzo(a)pirene, Idrocarburi

Policiclici Aromatici (IPA), Benzene, Mo-nossido di Carbonio, Monossido e Biossidodi Azoto ed Ozono (1).Rispetto alla richiesta di una valutazioneepidemiologica, il Dipartimento di SanitàPubblica ha provveduto ad effettuare una

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

La gestione di problematiche ambientali da inquinamento atmosferico: ...

serie di incontri con i tecnici dell’ARPA,con l’Amministrazione Comunale, conl’Amministrazione Provinciale e con i co-mitati rappresentanti i cittadini più diret-tamente coinvolti. In queste occasioni si èconvenuto di non intraprendere la strada diuno studio caso-controllo (in un primo mo-mento fortemente richiesto dai cittadini)sulla base sia dei limiti metodologici qualila possibilità di ottenere uno studio a bassapotenza statistica che dei costi da sostenereper realizzarlo.Si è invece deciso di realizzare una primaanalisi descrittiva delle condizioni di salutedella popolazione potenzialmente più espo-sta attraverso le informazioni fornite daiflussi sanitari correnti a disposizione del-l’AUSL e, in ragione dei relativi risultati,organizzare un sistema di sorveglianza sa-nitaria specifico tenendo comunque ben pre-sente che nell’area insistono più fonti di in-quinamento atmosferico, da tempo presen-ti e con importante impatto sulla quantitàdi sostanze inquinanti presenti in atmosfera(aeroporto, tangenziale, sistema viario lo-cale, altre industrie con simile produzioneindustriale).Durante la realizzazione dell’indagine ilDipartimento di Sanità Pubblica, con suopersonale tecnico, ha partecipato a più in-contri sia con la popolazione che con leAmministrazioni pubbliche coinvolte, illu-strando le indagini realizzate e predisponen-do relazioni parziali che hanno avuto lo sco-po di mostrare lo stato di avanzamento delleproprie attività di monitoraggio e sorve-glianza.Tutte le indagini sono state rivolte a duesottogruppi di popolazione:1) una coorte di bambini frequentanti una

scuola materna, una scuola elementareed una scuola media inferiore per un to-tale di 509 soggetti; gli stessi sono stati

confrontati con una popolazione di parietà (28.081) residenti nella città di Bo-logna;

2) tutta la popolazione residente al 31/12/2009, in un’area di raggio 1,5 Km aven-te come centro lo stabilimento per untotale di 13.477 persone confrontata conla popolazione generale della città co-stituita da 366.704 cittadini.

Come spesso accade in situazioni analoghedove non è accertata una importante e chiaraesposizione a sostanze tossico-nocive, si èprovveduto a realizzare uno studio epide-miologico trasversale, ecologico che ha cer-cato di osservare e descrivere lo stato di sa-lute della popolazione in questione utiliz-zando materiale e fonti informative già adisposizione. Si tratta di informazioni deri-vate da flussi informativi correnti recupe-rabili dalle banche dati ed archivi aziendaliquali i dati di mortalità, il consumo di far-maci dispensati dal Servizio Sanitario Re-gionale, i ricoveri ospedalieri e l’archivioesenzioni ticket. I denominatori utilizzatiper le specifiche misure adottate provengo-no dall’anagrafe comunale.Sulle popolazioni indagate sono stati ana-lizzati i seguenti fenomeni:1) i tassi di mortalità per tutte le cause,

patologie cardiovascolari, tumori e pa-tologie respiratorie (classificazione inter-nazionale delle malattie ICD IX revi-sione rispettivamente codici 000-999,390-459, 140-239, 460-519) (2);

2) consumo di farmaci che agiscono sull’ap-parato respiratorio (seguendo la classifi-cazione internazionale Anatomic The-rapeutical Chemical Classification - ATCdel Nordic Council on Medicines, codi-ci “R”) espresso sia in termini di sogget-ti utilizzatori che in DDD (Dosi Defi-nite Giornaliere) (3);

3) consumo di farmaci per le sindromi

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

367Fausto Francia, Paolo Pandolfi, Elisa Stivanello

ostruttive delle vie respiratorie (classifi-cazione ATC “R03”) espresso sia in ter-mini di soggetti utilizzatori che in DDD(Dosi Definite Giornaliere) (4);

4) ricoveri per patologie dell’apparato re-spiratorio (classificazione internaziona-le delle malattie ICD IX revisione, co-dici 460-519) espresso in tasso percen-tuale;

5) esenzioni ticket per alcune patologie del-l’apparato respiratorio (asma e insufficien-za respiratoria cronica, rispettivamentecon codice esenzione ISTAT 007.493,024.518.581 nonché neoplasie polmona-ri) espresso in tasso percentuale.

Le banche dati utilizzate sono quelle aggior-nate al 31/12/2010 curate dall’Azienda USLe regolarmente utilizzate per stimare lo sta-to di salute della popolazione residente.Queste banche dati sono utilizzate sia a scopiamministrativi che clinici e sono generatedall’attività di assistenza sanitaria fornita aicittadini da strutture pubbliche e privateaccreditate.Tutti i fenomeni analizzati sono stati con-frontati con la frequenza di fenomeni ana-loghi osservati nella popolazione di pari etàresidente nell’intero territorio del comunedi Bologna. Sono state quindi predispostetabelle di contingenza e sono stati calcolatii rischi relativi con intervallo di confidenzaal 95%. Sono stati applicati test statisticiquali il chi quadro, per il confronto tra per-centuali, ed il test t, per i confronti tra con-sumi medi farmaceutici (espressi come dosidefinite giornaliere – DDD medie). L’inda-gine si è sviluppata osservando i fenomenidi cui sopra nel periodo 2007-2010 cercan-do, dove possibile, di definire l’andamentotemporale delle misure scelte per descrive-re lo stato di salute. A differenza delle altrevariabili, le cause di morte sono state ana-lizzate limitatamente agli anni 2006-2008.

Questo studio osservazionale ha permessodi stimare la prevalenza di patologie che laletteratura scientifica ad oggi indica comepotenzialmente associate all’esposizione adinquinanti atmosferici in sottogruppi dipopolazione probabilmente con un gradientedifferente, ma ignoto, di esposizione aglistessi.

RisultatiDi seguito si descrivono i fenomeni osser-vati distinti per i due sottogruppi studiati(tabelle n. 1 e 2 e grafici n. 1, 2 e 3 vedi pp.371-373).1) Bambini frequentanti le scuole materna, ele-mentare e media inferioreLa popolazione studiata è composta da 509bambini residenti o domiciliati nel comunedi Bologna nati tra il 01/01/1994 ed il 31/12/2004, che nell’anno scolastico 2007/2008erano iscritti ad una delle tre scuole men-zionate. Su questi sono stati valutati il con-sumo di farmaci ed il numero di ricoveratiin ospedale per patologie dell’apparato re-spiratorio agggiornati all’anno 2010.

Ricoveri ospedalieriTra i 509 bambini la quota percentuale diricoverati per le patologie respiratorie sele-zionate è andata nel tempo diminuendo(ICD IX 460-516), passando da poco menodell’1% osservato nel 2007 allo 0,2% del2010. Lo stesso andamento si osserva tra lapopolazione di confronto; in questo caso ivalori percentuali di ricoverati risultanosempre più alti, passando dall’1,2% di rico-verati nel 2007 allo 0,7% misurato nel 2010(tab. n. 2). Tali differenze non risultano si-gnificative dal punto di vista statistico.

Consumo farmacia) Farmaci respiratori (codice ATC “R”): il

25% dei bambini frequentanti le scuole

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La gestione di problematiche ambientali da inquinamento atmosferico: ...

prospicienti lo stabilimento nel corso del2010 risultavano utilizzatori di farmaciR, percentuale inferiore a quelle osser-vate negli anni precedenti. Nella popo-lazione di confronto la percentuale degliutilizzatori è poco meno del 21%. Ladifferenza tra i due gruppi risulta stati-sticamente significativa come osservatonel 2008 e 2009 ma il differenziale nel2010 non cresce più, anzi ha una inver-sione di tendenza (vedi grafici 1 e 2). Ilconsumo medio in termini di DDD nel2010 per i bambini esposti alle emissio-ni industriali in questione risulta 69,9rispetto al 62.5 osservato nella popola-zione di confronto.In questo caso la differenza di consumoin DDD tra le due popolazioni non èstatisticamente significativa. Nel corsodei quattro anni di studio l’andamentodei consumi medi in DDD è simile trale due popolazioni.

b) Farmaci per sindromi ostruttive delle vierespiratorie (codice ATC “R03”): il con-sumo di questi farmaci, spesso legato altrattamento di forme acute, nel 2010 èin diminuzione in entrambe le popola-zioni studiate rispetto agli anni prece-denti (si passa dal 22% del 2007 al 20%del 2010 per i 509 bambini e dal 22% al17% nel gruppo di confronto) senza dif-ferenze statisticamente significative.

Esenzioni ticketA giugno 2011, tra i 509 bambini valutati,si è osservata una prevalenza di esenzioniper patologie respiratorie sostanzialmentesovrapponibile a quella dei bambini residentinell’intera città. Le minime differenze os-servate risultano non essere statisticamentesignificative (tasso di prevalenza nei bam-bini in studio del 1,6% versus l’1,5% del-l’intera area cittadina).

2) Popolazione generale residente al 31/12/2009nell’area di raggio 1,5 km avente per centro lostabilimentoLa popolazione oggetto dell’osservazione,costituita da 13.477 soggetti, è stata con-frontata con quella complessiva residente intutta la città.

Ricoveri ospedalieriCome nel passato, anche nel 2010, nella po-polazione in studio la percentuale di ricove-rati per patologie respiratorie risulta più bassarispetto a quella osservata nel gruppo di con-fronto (0,9% vs 1,1%). Anche per quest’an-no la differenza osservata è statisticamentesignificativa in senso protettivo: RR 0,80 conIC95% 0,67-0,96 (tabelle n.1 e 2).

Consumo farmaciNel corso degli anni in studio si è osservatain entrambe le popolazioni una significati-va variabilità annuale tra utilizzatori e con-sumi medi in DDD dei farmaci di tipo R edi tipo R03.Nel 2010, a differenza dell’anno preceden-te, non si sono osservate differenze statisti-camente significative in termini di dosimedie. Relativamente alla quota di utiliz-zatori, per i farmaci di tipo R non si hannodifferenze (17,1% vs 16,8%) mentre per ifarmaci di tipo R03 si nota un significativominor tasso di utilizzatori nella popolazio-ne in studio (13,3% vs 16,9%) (tabella n.1).

Esenzioni ticketCome negli anni precedenti, nella popola-zione generale, la percentuale di esenti perpatologie respiratorie è statisticamente in-feriore a quella dell’intera città (0,9% vs1,1% con RR 0,83 - IC95% 0,69-0,99), cosìcome quella per esenzione per patologietumorali (4,8% vs 6,5% con RR 0,74 -IC95% 0,69-0,80) (tabelle n. 1 e 2).

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

369Fausto Francia, Paolo Pandolfi, Elisa Stivanello

Dati di mortalitàE’ stata studiata la mortalità cumulativaosservata nel periodo 2006-2008 per tuttele cause, per quelle cardiocircolatorie, perquelle tumorali e per quelle respiratorie cal-colando il rapporto standardizzato di mor-talità (SMR) confrontato con quello provin-ciale. Come noto l’SMR rappresenta il rap-porto tra decessi osservati ed attesi. Valorial di sopra di 1 indicano un eccesso dellamortalità osservata mentre valori inferioriad 1 indicano un difetto della mortalità os-servata. Nell’area oggetto di studio si è os-servato un SMR (calcolato come valoremedio del quartiere Reno e della zona diresidenza Santa Viola) sempre inferiore alvalore 1 in tutte le categorie di causa di mor-te prese in considerazione (grafico n. 3). Siè anche valutata la distribuzione di morta-lità nel periodo 1998-2008 nei soggetti dietà inferiore a 15 anni e residenti nella cittàdi Bologna deceduti per tutti i tumori, perleucemie e tumori cerebrali. Nella distri-buzione di questa tipologia di decessi non siè osservata nessuna concentrazione spazio-temporale nel territorio cittadino, tantomeno nell’area oggetto di indagine.

CommentiCome già affermato in precedenza, analisidescrittive simili a quella realizzata in que-sto studio, necessitano, per poter fornireinformazioni robuste sullo stato di salute diuna popolazione, di campioni ad elevatedimensioni. Studiare i consumi sanitari dellasola popolazione scolastica non permette diavere un quadro esaustivo e robusto del po-tenziale effetto sulla salute da parte di fontidi inquinamento puntuale come quella del-lo stabilimento in questione. Per questomotivo è molto utile valutare in prima bat-tuta quanto emerge dall’analisi sulla popo-lazione generale che, almeno per i più im-

portanti fattori di confondimento quali etàe sesso risulta simile a quella presa comeconfronto. Nello specifico è emerso in modoevidente come la popolazione studiata nonabbia consumi sanitari o condizioni patolo-giche croniche (vedi soggetti esenti) diver-se e peggiori di quella a confronto. Le stesseconclusioni possono essere fatte per quantoriguarda il sottogruppo dei bambini che perle dimensioni ancor più ridotte presenta fe-nomeni con una maggiore variabilità.Le analisi ripetute negli anni suffragano ilfatto che siamo di fronte ad un fenomenoaltamente variabile che non suggerisce dif-ferenze importanti tra le due popolazioninè risultano, dalle stesse, andamenti signi-ficativamente differenti nel tempo dei fe-nomeni studiati.In modo particolare va sottolineato il fattoche dallo studio sull’utilizzo dei farmaci R03(che possono essere considerati traccianti dipatologie respiratorie acute) (4, 5) non siosserva mai un sovrautilizzo statisticamen-te significativo nella popolazione esposta siadei bambini che di quella generale. Oltre-tutto nel 2010 non si osserva più l’incre-mento della differenza tra utilizzatori espo-sti e non esposti come è stato sottolineatonel passato a suggerire una potenziale in-versione di tendenza. Osserviamo invece,sempre, un minor tasso di ricovero per pa-tologie respiratorie.

ConclusioniLo studio sopra esposto è stato presentatocome esempio operativo di una metodolo-gia valutativa che è potenzialmente esten-dibile a tutte le aree del paese a condizioneche le banche dati sanitarie siano disponibi-li in formato elettronico e che i dati ana-grafici possano essere georeferenziati.Questa modalità presenta i seguenti van-taggi:

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

La gestione di problematiche ambientali da inquinamento atmosferico: ...

1) è poco costosa2) è rapida3) è facilmente riproducibile4) si presta come base di uno stabile siste-

ma di sorgeglianza sanitaria5) permette di riaffermare la centralità del-

la valutazione di impatto sanitario rispet-to a quello ambientale.

I cittadini oggi sono molto più attenti aglieffetti reali dell’inquinamento sulla salute enon sono viceversa tranquillizzati dal fattoche siano rispettati i limiti emissivi, che ven-gono spesso, a loro parere, fissati a livelli fa-vorevoli agli interessi delle aziende.Si può dire che oggi la popolazione è interes-sata alla effectiveness, a ciò che succede real-mente alla propria salute e non alla efficacy,vale a dire a quanto emerge dall’utilizzo dimetodi e tecniche di analisi sperimentali.La capacità poi di saper trasformare le inda-gini ad hoc in sistemi di sorveglianza sani-taria rappresenta il corollario decisivo per-ché testimonia la attenzione e l’impegno chei Dipartimenti mettono in campo a tuteladella salute delle varie collettività.

Inoltre questa metodologia permette di pas-sare dalla fase delle valutazioni basate sullamera esperienza professionale (tranquilli,non c’è pericolo, ve lo diciamo noi che èvent’anni che facciamo questo mestiere…)che non soddisfano più nessuno, alla fasedella analisi epidemiologica che conferiscecredibilità ed autorevolezza scientifica ai Di-partimenti.La prima conseguenza è una ricaduta estre-mamente positiva in termini relazionali/comunicativi perché gli operatori della pre-venzione vengono vissuti come professio-nisti che basano le proprie opinioni sullaconoscenza dei fattori di rischio e della di-namica degli eventi sanitari e non come di-spensatori di impressioni vendute come cer-tezze.Non da ultimo in queste condizioni c’è lapossibilità di instaurare un buon rapportocon i cittadini che si sentono in questo modopiù tutelati, ascoltati e seguiti rispetto alleproblematiche che sentono come più ri-schiose.

BIBLIOGRAFIA1. Pasquon I, Pregaglia G. Principi della chimica

industriale. Torino: Città Studi; 2000.2. CDC. International Classification of Diseases,

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

371Fausto Francia, Paolo Pandolfi, Elisa Stivanello

Tabella n. 1 - Sintesi dei risultati di confronto tra le due popolazioni in studio e quelle di relativo confronto -dati sanitari al 2010

* la differenza osservata tra la popolazione in studio e quella di confronto è statisticamente significativa (p<0,05)° dato aggiornato al giugno 2011

Tabella n. 2 - Andamento di alcuni indicatori 2007-2010 - Coorte bambini esposti (509) vs popolazione diconfronto non esposti (28.081) e Popolazione generale esposta (13.477) vs confronto non esposta (366.704)

* valore significativamente maggiore rispetto al riferimento° valore significativamente inferiore rispetto al riferimentoS dato aggiornato al giugno 2011

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

La gestione di problematiche ambientali da inquinamento atmosferico: ...

Grafico n. 2 - Differenziale della percentuale di utilizzatori farmaci R tra esposti e non. Confronto aa 2007-2010

Grafico n. 1 - Percentuale utilizzatori farmaci R. Confronto esposti vs non esposti. Coorte bambini aa 2007-2010

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373Fausto Francia, Paolo Pandolfi, Elisa Stivanello

Grafico n. 3 - Rapporto standardizzato di mortalità (SMR) generale e specifica nei residenti del quartiere Renoe zona Santa Viola versus residenti in tutta la provincia di Bologna (SNR cumulativo anni 2006-2008)

Sistema Salute, 56, 3, 2012: pp. 374-387

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

Il “Progetto Microaree” nei distretti di Trieste. Azioniinnovative per una salute globale in una rivisitazione ope-rativa delle cure primarieThe “Microaree-Project” in the Trieste districts. Innovative actions for global healthin primary care reassessment

Maria Grazia Cogliati Dezza, Paolo Da Col, Monica Ghiretti, Michela Degrassi,Marco Spanò, Emanuela Fragiacomo, Angela Pianca, Ofelia Altomare, FlavioPaoletti, Barbara Ianderca, Claudia RusgnachDistretti nn. 1 2 3 4, Azienda per i Servizi Sanitari n.1 “Triestina”, Trieste

Franco RotelliPresidente Conferenza Internazionale per la salute mentale “Franco Basaglia”, Trieste

Parole chiave: distretto, cure primarie, determinanti sociali della salute, interventi intersettoriali, microaree,salute di comunità

RIASSUNTOObiettivo: sperimentare in alcuni microcontesti territoriali dei quattro distretti sanitari dell’Azienda Sanitariadi Trieste (60.000 abitanti/cad, 28% >65enni) interventi intersettoriali ad alta integrazione ed azioniinnovative delle cure primarie per migliorare la salute globale degli individui e delle comunità.Metodologia: ciascuna Microarea - (ca. 1.000-2.000 ab./cad) - è stata dotata, a seguito di una forte committenzadel direttore generale, di un referente a tempo pieno, formato e motivato a realizzare 10 macrobiettiviprioritari, tra cui il miglioramento della conoscenza dei residenti, dell’appropriatezza d’uso dei servizisanitari, del capitale sociale. Gli strumenti adottati si sono diretti al rafforzamento delle reti di cure primariein senso proattivo, dell’alta integrazione inter-enti (Comune, edilizia popolare, terzo settore), della promo-zione della partecipazione comunitaria.Risultati: dopo oltre 5 anni di attività capillare, nelle Microaree, nonostante la più elevata prevalenza dimalati gravi, povertà, deprivazione sociale, si osserva un miglioramento di indicatori proxy di salute (es.riduzione dell’ospedalizzazione, della spesa farmaceutica, delle prestazioni sanitarie inappropriate), in mi-sura superiore a quanto osservata nello stesso periodo nell’intera azienda sanitaria, sollecitata verso i mede-simi obiettivi. Superate alcune difficoltà iniziali, il modello appare replicabile e si presenta favorevole per

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

375Maria Grazia Cogliati Dezza, Paolo Da Col, Monica Ghiretti, et al.

Key words: primary care, social determinants of health, intersectorial interventions, community care

AB STRACTObjective: the aim of the project is (a) to test the impact on health of integrated care and intersectorialinterventions, as well as of a whole life approach; (b) to target the new primary health care networkstowards frail subjects living in micro-territories of the four health care districts of Trieste (60.000 inhab./each, 28% >65 y. old people).Methodology: after a strong commitment by the Director General, in each Microarea an ad hoc motivated andtrained full time professional acted in order (a) to improve integrated care, inter-institutional interventionsand intersectorial health actions (social assistance, social housing, third sector, etc.); (b) to increase theknowledge (needs) of individuals and the community; and (c) to ameliorate the appropriateness of healthinterventions.Results: in these Microareas (ca. 1.000-2.000 inhab./each) it was observed a higher decrease of hospitaladmissions and drug prescriptions than in the whole territory, despite the presence of more poverty,deprivation, prevalence of chronic diseases and comorbidity. Specific efforts with preventive and proactivecapillary actions placed in a new equilibrium formal and informal care. The relationships within andbetween Institutions improved, as well as that with subjects of informal care, with a final elevation of socialcapital. It seems that this model is cost/effective and could be replicated, particularly in multi-problematicareas, where it is necessary to obtain more rapid benefits in the involvement of the local community, theprotection of vulnerable subjects at risk of ill health and social exclusion, the progress of the organizationsfor proactive primary health care.

La sperimentazione Microaree -MICRO-WINA Trieste i distretti (quattro, ciascuno con ca.60.000 ab., 100 dipendenti, 55 MMG), inun’Azienda Sanitaria priva di propri ospedali,iniziano a svilupparsi nel 1995, in concomi-tanza con l’avvio dell’aziendalizzazione ed il“lancio delle cure territoriali”, operazione for-temente ispirata dalle ultradecennali esperien-ze dei servizi territoriali di salute mentale at-tivati con successo quali alternative successi-ve alla chiusura dell’ospedale psichiatrico (“ri-forma basagliana”). Inoltre, forte punto di ri-ferimento furono i documenti ufficiali inter-nazionali per il rilancio delle cure primarie,dalla dichiarazione di Alma Ata ai successividocumenti sul medesimo tema (1, 2).

Per verificare la fattibilità della costruzionedi nuovi reti di attenzione primaria (global-mente intesa, fin dall’inizio come globale edunitaria) già dai primi anni si intraprese lavia della sperimentazione di interventi-mo-dello in aree più piccole di quelle di perti-nenza dei singoli distretti, ritenendo che “nelpiccolo” fosse maggiormente probabile rag-giungere in tempi più brevi gli obiettivi isti-tuzionali e risultati più incisivi che “nel gran-de” (ovvero, nell’intero distretto). E quindianche: una maggiore conoscenza dei bisognispecifici locali, la loro reale consistenza qua-li/quantitativa, l’incontro proattivo, l’integra-zione dei servizi; l’attenzione per la creazio-ne di alleanze con la comunità locale, in mododa renderla protagonista nella programma-

rafforzare il ruolo del distretto nel territorio, anticipare cambiamenti significativi, proteggere meglio lefasce di assistiti fragili, valorizzare gli interventi di comunità, rendere più credibile le istituzioni ed avvici-narle alla popolazione, particolarmente quella più vulnerabile.

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

Il “Progetto Microaree” nei distretti di Trieste. Azioni innovative per una salute...

zione e nella realizzazione di reti integrate dirisposte, ampie ben oltre le sole istituzionipubbliche.I primi interventi (“Progetto Habitat e svi-luppo di comunità”) sorsero in cinque quar-tieri della città ad alta problematicità socia-le ed elevata richiesta di servizi (sanitari enon solo), ponendo da subito enfasi, non abi-tuale per la sanità, sull’intervento sull’am-biente di vita delle persone. Venivano indivi-duate alcune zone di 1.000/2.000 abitanti coninsediamenti di case popolari, in particolarestato di degrado abitativo o sociale. Fin dal-l’inizio si erano cercate alleanze intersetto-riali, in primo luogo con i gestori delle poli-tiche ed interventi sociali e dell’edilizia po-polare. Si stipularono quindi accordi, adot-tati con singoli atti deliberativi dell’Aziendaper i Servizi Sanitari (ASS1), del Comune diTrieste e dell’ATER (Azienda Territoriale perl’Edilizia Residenza) per la gestione congiun-ta di un programma innovativo di integra-zione fra enti che condividevano l’obiettivodi “migliorare la qualità della vita e la tuteladella salute degli abitanti, sia in termini diprevenzione del disagio sociale, che dei rico-veri ospedalieri e in strutture residenziali pro-tette, che di cura e assistenza ai gruppi piùvulnerabili” (Maggian, 2000).Questi sono andati poi a precisarsi dieci annipiù tardi come azioni metodologicamente piùstrutturate, globali e plurali sull’ambiente esulla vita degli abitanti delle Microaree. Ilprogetto Microaree-Microwin (MA) fu av-viato nel 2005, su esplicito mandato e fortecommittenza del Direttore Generale, concoinvolgimento prevalente dei distretti epartecipazione dell’intera organizzazioneaziendale. Ciascuno dei quattro distretti del-l’Azienda individuò una-due aree ben deli-mitate (microaree) nel proprio territorio dipertinenza, ciascuna di ca.1.000-2.500 ab.(quindi includenti qualche decina di caseg-

giati), in cui si iniziò la costruzione di retilocali di servizi tra i vari erogatori istituzio-nali o meno, che potevano costituire risorsae strumento per sviluppare innovativi pro-grammi di salute: i Servizi Sociali del Co-mune, i servizi degli altri Assessorati Comu-nali (ambiente, istruzione, trasporti, ecc.),l’ATER, le cooperative sociali (in particolaredi tipo B), le associazioni di volontariato lo-cali, le rappresentanze dei cittadini, ed ancheil vicinato, i negozi, ecc. Un “territorio inmovimento” convergente verso la ricercadella salute della comunità locale, cercandodi riconoscere ed impiegare sinergicamentetutte le risorse del microcosmo locale.I dieci obiettivi dell’ASS1 deliberati dal Di-rettore Generale che lanciò l’iniziativa sono:1. Realizzare il massimo di conoscenza sui

problemi di salute delle persone residentinelle Microaree

2. Ottimizzare gli interventi per la perma-nenza nel proprio domicilio ove otteneretutta l’assistenza necessaria (e contrasta-re l’istituzionalizzazione).

3. Elevare l’appropriatezza nell’uso dei far-maci.

4. Elevare l’appropriatezza per prestazionidiagnostiche.

5. Elevare l’appropriatezza per prestazioniterapeutiche (curative e riabilitative).

6. Promuovere iniziative di auto-aiuto edetero-aiuto da parte di non professionali(costruire comunità).

7. Promuovere la collaborazione di enti, as-sociazioni, organismi profit e no profitper elevare il benessere della popolazionedi riferimento (mappatura e sviluppo).

8. Realizzare un ottimale coordinamento fraservizi diversi che agiscono sullo stessoindividuo singolo o sulla famiglia.

9. Promuovere equità nell’accesso alle pre-stazioni (più qualità per cittadini più vul-nerabili).

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

377Maria Grazia Cogliati Dezza, Paolo Da Col, Monica Ghiretti, et al.

10.Elevare il livello di qualità della vita quo-tidiana delle persone a più alta fragilità(per una vita più attiva e indipendente).

I primi documenti successivi chiarirono pro-gressivamente gli obiettivi operativi specifi-ci per i singoli enti:• per l’ASS1: conoscenza del territorio, mi-

nor ricorso ai ricoveri ospedalieri e all’isti-tuzionalizzazione in casa di riposo (a Trie-ste ne esistono 100 !! per un totale di oltre3.000 “ospiti”), sviluppo di azioni inter-disciplinari, superamento della comparti-mentazione tra sanità e assistenza, miglio-ramento della qualità dei servizi, coinvol-gimento della cittadinanza attiva, ricercadella partecipazione di tutti gli Assesso-rati Comunali (politiche intersettoriali).

• per il Comune di Trieste: coordinamentodegli interventi per minori, giovani, an-ziani, attraverso le Unità Operative Ter-ritoriali, valorizzazione del ruolo attivo diassociazioni e del volontariato.

• per ATER: miglioramento della manuten-zione di aree verdi, delle parti comuni e lasicurezza degli impianti, coordinamentocon i servizi sociali e sanitari per la ge-stione di situazioni problematiche.

Il Protocollo di intesa, sottoscritto nel feb-braio 2006 e allegato al Piano di Zona 2006-2008 del Comune di Trieste, riformula il Pro-gramma chiamandolo “Habitat-Microaree”(HM).L’intervento vuole spostare l’attenzione ver-so territorio e comunità per:• realizzare buone pratiche di sinergie pro-

fessionali e aziendali;• favorire la partecipazione dei cittadini (de-

mocrazia partecipata);• ottimizzare i servizi;• realizzare equità di accesso e personaliz-

zazione degli interventi;• sperimentare nuovi modi di fare Salute.La realizzazione richiede attenzione alla cura

dei soggetti più vulnerabili, interventi di pre-venzione, continuità assistenziale, riduzionedei ricoveri (in ospedale ed in strutture resi-denziali), sostegno a forme di socializzazio-ne e associazionismo fra gli abitanti, valoriz-zazione delle risorse esistenti, sostegno aipercorsi di auto-aiuto, valorizzazione del ruolodel terzo settore.Nel 2005 l’ASS1 dà dunque l’avvio al Proget-to Microaree, individuando dieci zone. Perognuna di esse il distretto nomina un proprioreferente a tempo pieno di Microarea.La prima realizzazione concreta fu l’individua-zione di una sede in ogni complesso abitativo/territorio scelto, aperta alle persone della zona,luogo di incontro e di riunione delle personecoinvolte, spazio di presenza di associazioni evolontariato, luogo di realizzazione di alcuneattività, “tenda sul campo” a disposizione ditutti più che sede istituzionale.La scelta di aprire nell’ambito della sperimen-tazione sedi distaccate da quelle dei Distret-ti ai quali le Microaree appartengono puòessere ricondotta a due obiettivi principali:il primo è quello di contribuire al decentra-mento degli operatori (servizi) dell’Aziendasanitaria, per realizzare un reale consolida-mento del rapporto cittadino-istituzione; ilsecondo è quello di avere uno spazio fisico(visibile e vivibile) fortemente radicato neiterritori, dove realizzare azioni volte a pro-durre solidarietà, coesione sociale e sviluppodi comunità.Ciascuna sede di Microarea ha caratteristichedifferenti a seconda del contesto locale in cuiè inserita: alcune (Giarizzole, Valmaura, Gre-go, Ponziana, Vaticano, San Giovanni e Gret-ta) sono dei veri e propri appartamenti/localisituati all’interno di caseggiati di edilizia po-polare; altre (Melara e Roiano) sono ospitateall’interno di alcuni spazi delle sedi distrettua-li; una (Cittavecchia) è un locale precedente-mente destinato ad usi commerciali situato al

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

Il “Progetto Microaree” nei distretti di Trieste. Azioni innovative per una salute...

piano terra di un alloggio di edilizia pubblicanel centro storico della città.Tutte le sedi sono utilizzate dal Referente diMicroarea, dai volontari del servizio civile edai portieri sociali dell’ATER e del Comune(laddove presenti), e vengono vissute semprepiù come spazi autogestiti dagli abitanti pertutte quelle attività che rientrano nella co-struzione di una “comunità attiva e parteci-pata”. Le attività possono essere di caratteresocio-sanitario (ascolto, incontri di preven-zione, gruppi di ginnastica dolce per gli an-ziani, gruppi di auto-aiuto), culturale (corsidi scrittura o gruppi di lettura), ricreativo-educativo (doposcuola e aggregazione giova-nile), ludiche e di convivialità (incontri disocializzazione e feste).I referenti di Microarea sono dieci operatoridi diversa professionalità scelti per questoruolo dai direttori di Distretto in base ad al-cuni criteri riassumibili in: capacità di ascol-to, di sintesi, di realizzazione; spirito impren-ditoriale, buona conoscenza del sistema sa-nitario e dei servizi esistenti; attitudine adun approccio globale e articolato con l’uten-za; capacità di attivare percorsi e risposteadeguate e consolidata esperienza di un ap-proccio territoriale attraverso le visite do-miciliari. Tutto questo accompagnato da unapalese motivazione personale a rendersi pro-tagonisti della sperimentazione.I compiti del referente di Microarea, indicatidal Direttore Generale, sono riconducibili adue ambiti generali. Il primo, strettamenteconnesso alla realtà locale in cui il referenteopera e nel quale ha il ruolo di tutore attivodella salute di tutti gli abitanti di Microarea;il secondo, collegato alla realtà istituzionalein cui diviene chi assicura il raccordo tra ilDistretto e la Microarea, assicurando lo scam-bio di informazioni e la partecipazione deglioperatori delle diverse Unità Operative deldistretto alle azioni sperimentali.

A livello locale, il referente di Microarea hacome compito principale quello di raccogliereil maggior numero di informazioni riguar-danti il territorio della Microarea e le suerisorse, di adoperarsi per l’empowerment dellapopolazione della Microarea attraverso laconoscenza diretta di tutti i residenti e la re-alizzazione di azioni che favoriscano la par-tecipazione attiva delle persone, a tutti i li-velli di intervento, anche quello decisionalee programmatico, rispetto ai propri program-mi/obiettivi di salute.A livello istituzionale, il referente di Micro-area, deve fare in modo che vi sia un collega-mento tra la Microarea, il Distretto, i Di-partimenti aziendali e la struttura tecnico-amministrativa, attraverso la messa in rete ela diffusione dei risultati raggiunti e delleattività svolte. Inoltre, deve coordinare leazioni previste per il raggiungimento degliobiettivi di Microarea, i quali richiedonoun’integrazione forte tra tutti gli attori, isti-tuzionali e non, coinvolti nella sperimenta-zione. Le funzioni principali del referente nonvanno a descrivere una specifica figura pro-fessionale, ma sono finalizzate alla realiz-zazione di una nuova metodologia di lavoro,che sottintende una possibile riorganizzazio-ne dei servizi e delle modalità di comunica-zione tra servizi.I cittadini possono rivolgersi ai referenti diMicroarea che hanno il compito di facilitarel’accesso ai servizi socio-sanitari e di promuo-vere l’utilizzo delle risorse presenti sul terri-torio. Il referente coordina un gruppo di vo-lontari del servizio civile, che svolgonoattività di sostegno alle persone (accompa-gnamenti, trasporti, disbrigo pratiche, com-missioni varie).Le azioni intraprese nelle Microaree rispon-devano ai seguenti criteri:• LOCALI, in quanto misurate specificata-

mente su uno specifico micro-contesto ter-

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

379Maria Grazia Cogliati Dezza, Paolo Da Col, Monica Ghiretti, et al.

ritoriale puntualmente individuato;• PLURALI, perché chiamanti a raccolta più

soggetti, né solo la ASS né solo altre isti-tuzioni;

• GLOBALI, perché volte a raggiungere tuttii determinanti dello stato di salute gene-rale della popolazione e di conseguenza ri-gorosamente intersettoriali con indirizzolungo tre assi principali: 1. casa (prioritàagli interventi domiciliari); 2. lavoro (nelsenso di attività di vita); 3. socialità (nelsenso più ampio del termine, non mera-mente socio-assistenziale).

Questi tre assi d’intervento sottolineano lanecessità di utilizzare nell’ambito della spe-rimentazione, un metodo di lavoro che pre-diliga gli interventi domiciliari. Questi ulti-mi, permettono un reale contatto con la per-sona, inserita nel suo ambiente e nelle sueattività di vita e nella sua rete affettiva, egarantiscono la realizzazione, ove necessario,di programmi costruiti attorno ai singoli in-dividui, i quali mantengono un ruolo attivonella realizzazione dei loro percorsi di salute.La novità di questo lavoro consiste nella co-stante ricerca di soluzioni tempestive (spes-so immediate, in tempo reale) ai problemiriscontrati, sia sanitari, ma soprattutto an-che di altra natura (di contesto) a forte im-patto sulla salute: casa, ambiente, reddito.Le azioni e la presenza fisica del referente te-stimoniano concretamente la volontà di ren-dere palese e più credibile l’istituzione (sani-taria ed altra), realmente vicina alla comuni-tà locale. Tale prossimità consente di elevareil livello di fiducia dei residenti verso di essa,mira a facilitare le buone relazioni tra i resi-denti, le azioni di solidarietà e sussidiarietà,il senso di appartenenza alla comunità. In sin-tesi, per rispondere alle domande comples-se, si è pensato di ricercare più l’aumento delcapitale sociale che non di quello economi-co-finanziario, tradizionalmente (ma sempre

più incompletamente) considerato strumen-to per ampliare le risposte e l’offerta.Affermava il Direttore Generale FrancoRotelli nel 2007: “noi non possiamo imma-ginarci il lavoro di Microaree a Trieste se noncome un lavoro eminentemente critico e noncome un modello positivo di comportamen-to né come un modello positivo di operati-vità ma, al contrario, come un’azione prati-ca di denuncia costante, pratica, non ideolo-gica, di denuncia operativa di una quantitàsignificativa di inadempienze, di inefficien-ze, di mancata efficacia nell’insieme dellepolitiche sociosanitarie di questa città”.Quindi non riflessioni, confronti, ricerca dimediazioni che avvengono fra gli “esperti”delle pratiche o delle politiche, comunicatisolo negli esiti finali per raccogliere consen-si, nella convinzione, da lui esplicitata, che il“vero valore del servizio pubblico sta in que-sta possibilità di trasparenza, in questa pos-sibilità di democrazia”. Una forte riafferma-zione del ruolo del servizio pubblico e dellaresponsabilità pubblica di azioni tese a “faresocietà”, a costruire processi per portare asintesi interessi e bisogni diversi, esplicitan-do gli elementi di equità sociale in gioco.Una riproposizione di molti dei contenutidelle dichiarazioni di Alma Ata e delle lineedi indirizzo successive sulla realizzazione dicure primarie. Si rende necessaria quindi lacapacità di riprogettare, di adottare visionistrategiche, di recuperare risorse da reinve-stire, sia economiche che di energia/lavorodegli operatori, di individuare nuove moda-lità di lettura degli esiti, di regia di un pro-cesso complesso, che riporta alle responsabi-lità dei diversi livelli di governo delle politi-che locali.

Quadro demografico e socio econo-mico delle MicroareeComplessivamente il quadro demografico

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

Il “Progetto Microaree” nei distretti di Trieste. Azioni innovative per una salute...

delle Microaree (fig. 1) è segnato da una po-polazione decisamente più anziana della me-dia. Trieste è da anni la provincia tra le piùanziane d’Italia, in cui si contano ogni 100

giovani con meno di 14 anni due volte emezzo il numero di anziani con più di 65anni (in Italia sono 144); nelle Microaree siregistra un valore dell’indice di vecchiaia an-

Fig. 1 - Comparazione tra l’indice di invecchiamento in Italia, a Trieste e nelle Microaree

cora superiore, poco meno di due volte quel-lo dell’intera Regione Friuli Venezia Giuliae molto più del doppio rispetto al valore me-dio italiano. In Microarea il 30,1% ha più di65 anni, il 14,3 % supera i 75 anni; il 4,5%oltre 85. Interessa segnalare che il dato ita-liano sulla vecchiaia rappresenta il valore os-servabile a Trieste nel 1951. Si può quindigiustamente considerare Trieste come lo spec-

chio demografico dell’Italia del futuro.Nella tabella successiva (tab. 1) sono ripor-tati i dati del censimento dell’ATER del 2009:si osserva che gli abitanti di Microarea vivo-no nella metà dei casi da soli. Va precisatoinoltre che oltre il 30% vivono in alloggi diedilizia pubblica ed in alcune Microaree talialloggi rappresentano la totalità dell’offertaabitativa.

Tab. 1 - Censimento dei residenti nelle abitazioni dell’ATER (edilizia popolare).

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Un nucleo familiare su due si dichiara costi-tuito da una sola persona e la percentuale saleall’80% se si contano due componenti.Dalla medesima rilevazione in questo con-

Dai dati delle esenzioni per patologia ripor-tati nella tabella successiva (tab. 3) si notache in Microarea vive un’alta percentuale dipersone riconosciute portatrici di malattierilevanti. Inoltre, il 30% della popolazionepresenta un’invalidità grave con indennità diaccompagnamento (per cui è riconosciutanecessitante di assistenza continua).

testo si riscontra che la maggior parte vivecon un reddito al di sotto o al limite dellasoglia di povertà (tab. 2).

Tab. 2 - Reddito annuale dei residenti delle Microaree in abitazioni di proprietà dell’ATER.

Interventi nelle Microaree - Anno2011Nel corso del 2011 i referenti di Microarea,affiancati dai volontari del Servizio civile edai borsisti, si sono resi protagonisti di unavasta serie di interventi ed azioni censite in undata base ad hoc di recente implementato.I risultati sono riassunti nella figura succes-

Tab. 3 - Percentuale di persone esenti per patologianei residenti in Microarea e nella popolazione gene-rale triestina.

siva (fig. 2 v. pagina successiva).In totale, nel corso dell’anno, sono stati rag-giunti 1.400 soggetti, a favore dei quali sisono svolti oltre 22.000 interventi, di variaintensità, tipo, natura. La maggior parte del-le prestazioni (81%), in coerenza con le pre-messe e gli obiettivi della sperimentazione,è stata erogata a domicilio, a testimoniarel’innovazione di un approccio volto ad inse-rirsi nei luoghi di vita delle persone in diffi-coltà. Oltre un terzo ha avuto finalità sanita-rie ed in oltre la metà dei casi si è riscontratauna necessità di sostegno. L’elenco sinteticodelle prestazioni erogate ben evidenzia l’azio-ne concreta di approccio globale alla personae la volontà di agire non solamente sulla ma-lattia ma contestualmente anche sui deter-minanti sociali della salute.A completamento, per comprendere la rile-vanza assunta in Azienda dai servizi domici-liari, si precisa che dal 2006 al 2011 tale atti-vità è molto cresciuta, ed in particolare lapercentuale di assistiti presi in carico con pia-no assistenziale individuale (PAI). Rispettoall’incremento del 6,5% dal 2009 al 2011

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osservato in tutto il territorio della provin-cia di Trieste, si pone il 12,3% delle Microa-ree. Ogni 1.000 abitanti a Trieste, 30 sonoseguiti dal servizio infermieristico domici-liare, mentre nelle Microaree il numero salea più di 50. Analogamente, nelle Microareela percentuale degli utenti presi in carico dalDipartimento delle Dipendenze è più alta ri-spetto al resto della città e per gli utenti delDipartimento di Salute mentale è più chedoppia.La personalizzazione degli interventi, conmetodologie esplicite di presa in carico glo-bale è una della azioni più impegnative e ti-piche del lavoro in queste aree ad alto indicedi deprivazione e complessità, e si è rivelatafavorevole per incidere efficacemente, adot-tando la strategia di porre in equilibrio gliinterventi sul singolo e contestualmente sul-la comunità (a conferma di precedenti espe-rienze: “la comunità che cura”).

Metodologia operativaPer capire esattamente ciò che in Microareaviene quotidianamente portato avanti daireferenti e dagli altri operatori che lì lavora-no è necessario ricordare che ogni Microareaha un’operatività fortemente influenzata dalcontesto territoriale in cui agisce. A partireda questa diversità si possono individuare al-cune azioni esemplificative, strettamentecollegate tra loro, sovrapponibili per tutte leMicroaree, e riconducibili ai dieci obiettividel progetto.1. Conoscenza di tutte le persone residenti

in Microarea a partire da quelle con pro-blematiche sanitarie più rilevanti; a tito-lo di esempio, mediante:• visite domiciliari ai residenti di Micro-

area che presentano patologie ad altoimpatto sociale (quali diabete, cardio-patie, broncopneumopatie, demenza) ecausa di ricoveri frequenti; l’utilizzo di

Figura 2 - Sintesi delle tipologie di intervento nelle Microaree

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prestazioni specialistiche o di politera-pie; visite alle persone di età elevata(quindi a rischio di fragilità e problemicomplessi) per un’eventuale presa incarico anticipata e proattiva;

• visite domiciliari attraverso la ricogni-zione “porta a porta” di possibili biso-gni, quindi per conoscere le persone, leloro esigenze ed attivare i servizi dicompetenza prima che insorgano o siaggravino eventuali difficoltà;

• individuazione e presa in carico di sog-getti anziani fragili riconosciuti attra-verso uno screening sistematico (ovve-ro su residenti non noti ai Servizi) ne-gli ultra75enni, con l’utilizzo della sche-da Prisma 7 (3), e successivo perfezio-namento con la valutazione multidi-mensionale “Val.graf.” (4) adottata dallaRegione Friuli Venezia Giulia qualestrumento obbligatorio delle UVD.

2. Ottimizzazione degli interventi per la per-manenza delle persone nel proprio domi-cilio per contrastare l’istituzionalizzazio-ne e i ricoveri impropri; ad esempio, con:• l’identificazione dei soggetti a rischio,

a partire dalle problematiche sanitariepiù rilevanti, valutazioni sanitarie esociali della persona e del suo contestoabitativo, definizione di un program-ma d’intervento personalizzato da par-te del referente di Microarea e dei Ser-vizi interessati;

• l’attivazione di budget di salute (BdS)personalizzati. I budget di salute atti-vati dall’ASS1 mirano a far convergererisorse di tipo istituzionale e tutte quel-le provenienti dal soggetto/famiglia edal territorio. Per la parte istituziona-le, uno degli scopi principali è la ricon-versione della spesa (ad es. da residen-ziale a domiciliare), ovvero la sua otti-mizzazione (ad es. puntando, come pos-

sibile, ad azioni realmente sussidiarie edi assistenza informale vicaria di quel-la formale). Il BdS deve finalizzare lerisorse impiegate per evitare/ridurre iricoveri impropri in strutture sanitariee/o assistenziali; favorire il rientro/per-manenza al domicilio; evitare tratta-menti terapeutici inappropriati o nonefficaci. Riguardo alla tempestività edurata dell’intervento, il BdS deve con-figurarsi, di norma, come estempora-neo e coerente con le necessità contin-genti, nonché misura temporanea, aper-ta in attesa di espletare altri interventi/servizi più definitivi a sostegno di unadomiciliarità consolidata, sempre in ac-cordo con le normative vigenti (es.Fondo regionale per l’autonomia pos-sibile, Indennità di accompagnamen-to, misure di sostegno al reddito, ecc.).Rispetto alla partecipazione e consen-so, il BdS deve promuovere e sostene-re il coinvolgimento e la partecipazio-ne diretta della persona e del suo pri-mo entourage alla costruzione del pro-prio progetto terapeutico, che assumevalore e senso di “contratto-alleanza”terapeutica ed assistenziale.Le tipologie di BdS attivabili sono:A. attivazione di servizi sanitari e so-ciosanitari: per la realizzazione di pro-getti che prevedono l’espletamento diinterventi specifici e mirati (ad es. in-terventi infermieristici e riabilitativiintegrativi rispetto a quelli forniti daldistretto; educativi; di sostegno allacura igienico sanitaria dell’ambiente;di sostegno alla cura della persona; perla mobilità, con trasporti semplici oprotetti, ovvero con accompagnamen-to, per garantire l’accesso alle cure,ecc.). Ancora, in caso di realizzazionedi progetti complessi, di durata signi-

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ficativa, in cui è necessario privilegia-re particolari e/o multiple competen-ze che garantiscano continuità assisten-ziale e professionale.B. Contributo economico diretto: èerogato dall’ASS1 nei confronti di unapersona per perseguire gli obiettiviprevisti nel BdS, che sono sempreobiettivi di salute globale (incidonosulla malattia e sui determinanti so-ciali). In particolare, per persone consituazione sanitaria fortemente com-promessa ove la salubrità dell’ambien-te e la cura della persona diventanodeterminanti per il miglioramentodello stato di salute; quando l’inter-vento riveste carattere d’urgenza o in-differibile, non risultano praticabili in-terventi sanitari e/o sociosanitari dialtri Enti nei tempi necessari; il con-tributo ha caratteristica di “straordi-narietà” e rientra nelle finalità e neitarget previsti dal regolamento azien-dale dei BdS.C. Azioni ed interventi per una co-munità attiva e partecipata; ad esem-pio:- organizzazione di riunioni periodi-

che con i residenti per affrontare ecercare di affrontare/risolvere con-giuntamente elementi critici di vitanel rione, anche individuando risor-se del territorio disponibili e attive;

- promozione della conoscenza reci-proca per costruire relazioni di fidu-cia e promuovere azioni di scambioe valorizzare l’appartenenza a quelluogo;

- organizzazione di incontri periodicicon scopo informativo-educativo suproblematiche di salute diffuse, alfine di aumentare la consapevolezzadelle persone e sostenere la parteci-

pazione attiva e responsabile dei re-sidenti per promuovere il benesseredella comunità locale.

3. Attivazione di budget di comunità: al-l’interno di una Microarea molto piccolae particolarmente deprivata (Ponziana) èstato avviato il progetto “Nanoarea Bat-tera” (dal nome del vicolo su cui si affac-ciano una serie di vecchi caseggiati popo-lari) con l’obiettivo di perfezionare l’ana-lisi dei bisogni degli abitanti e definiregli interventi necessari per migliorare laqualità di vita nella corte di questa via,ad alto indice di deprivazione sociale.L’ASS1 ha messo a disposizione un bud-get ad hoc, volto ad incoraggiare gli abi-tanti della corte ad esprimere competen-ze, idee, progetti e iniziative, avviandoprocessi di partecipazione e sviluppandoil ruolo di soggetti che si prendono curadella propria comunità. Il bando per l’uti-lizzo dei fondi prevedeva due principalifiloni di intervento: la riqualificazionedell’area coinvolta attraverso opere diabbellimento; il miglioramento qualita-tivo degli stabili e delle aree comuni at-traverso la conservazione, il recupero, ilriuso e la valorizzazione; la promozionedella partecipazione e dell’aggregazionedei residenti al fine di prendersi cura del-la propria comunità.

Qualche risultato…Il programma Microaree in questi anni hapermesso di sperimentare sul campo e senzamodelli precostituiti la conoscenza e la presain carico di un territorio e dei suoi abitantinel suo complesso, con uno sguardo di ri-guardo a problemi connessi non solamentecon la malattia (in genere di lunga-lunghis-sima durata) ma anche con la solitudine, lapovertà, la deprivazione sociale in generalepresenti in un territorio di ridotte dimensio-

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ni, in cui comunque si esprime (o si può espri-mere) una comunità di persone, ricercando ericonoscendo anche contemporaneamentenon solamente i profili di bisogno, ma anchedelle risorse e delle peculiarità che il medesi-mo territorio è in grado di volta in volta dioffrire.Microaree ha permesso di “piegare” i serviziistituzionali ad esigenze, bisogni e specificitàche proprio in un contesto concreto e realesono in grado di emergere ed essere accolte.In questa intensa attività, un elemento didebolezza è rappresentato dagli imperfettistrumenti di censimento e rilevazione delleattività e dei loro esiti.Globalmente, quindi, nell’analisi retrospet-tiva siamo spesso costretti a fare affermazio-ni non “oggettive”, tra cui quella fondamen-tale che è opinione unanime, di operatori deivari Enti e dei cittadini, che nelle Microareaè cresciuto il livello di salute, globalmenteintesa, migliorato il “clima” ambientale e lavivibilità, le relazioni interpersonali e tra re-sidenti ed Istituzioni.Nelle Microaree, oltre a questi positivi ri-sultati qualitativi (che impattano la saluteglobale), si sono seguiti nel tempo alcuni in-dicatori quantitativi: si registra una riduzio-ne del numero di persone ricoverate, calatadal 2005 al 2009 di quasi il 20% con valoremaggiore rispetto all’Azienda sanitaria nelsuo complesso (fig. 3).L’analisi della riduzione del tasso di ospeda-lizzazione negli anni di sperimentazione, inrelazione a quello in rilevante discesa regi-strato dall’ASS1 Triestina, può essere un me-tro di giudizio e un punto di partenza persuccessive valutazioni. In particolare, i rico-veri medici sono calati: dal 2006 al 2011 lepersone residenti in Microarea ricoveratesono diminuite dell’8% vs -6% nel resto del-la provincia. Nel 2010 la differenza in ter-mini di riduzione del numero di dimissioni

era di 15,4% contro 9%; nel 2009 in Micro-area la riduzione del tasso di ricovero di tipomedico è stata del 20% rispetto al 2006 vs -9% di ASS1.Nelle Microaree si è verificata una riduzionesia delle persone ricoverate che dei ricoveri,in grado superiore che nella popolazione ge-nerale (7,8% vs 6,1%). Il dato è di rilievo,perché ci era noto che tra i residenti di Micro-aree era più alta la prevalenza di patologie cro-niche e di problematicità sociali (si sono ri-dotti infatti anche i ricoveri ripetuti di naturacosiddetta “sociale” in alcune persone note perla loro particolare vulnerabilità).Per completezza, citiamo alcuni altri dati sulmiglioramento di utilizzo delle risorse, conperformances superiori in queste aree svan-taggiate, in cui in partenza si registravanospese sanitarie più alte che altrove, ad esem-pio per i farmaci. Infatti, la spesa farmaceu-tica territoriale convenzionata è passata da417 a 371 euro/pro capite in microarea vs da335 a 303 in ASS1. Quella per prestazioniambulatoriali è aumentata meno in Microa-rea rispetto al trend generale in ASS1 (14,7%contro 12%). Questi risultati sono ancora piùincoraggianti in un ottica di rivisitazione dellaspesa pubblica e sanitaria e testimoniamo deimargini di evitabilità di spese che incidono

Figura 3 - Riduzione percentuale dei ricoveri nelleMicroaree e nella popolazione generale nell’ultimoquinquennio.

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Il “Progetto Microaree” nei distretti di Trieste. Azioni innovative per una salute...

impropriamente sul versante sanitario e cheverosimilmente spesso ricoprono funzionevicaria di copertura di bisogni “sociali”. Que-sti, se confermati in futuro, fanno delle Mi-croaree un terreno di ricerca ancora più sti-molante.

Qualche ulteriore riflessione: gli at-tori della sperimentazioneIl tema cruciale del coinvolgimento in que-ste attività e cambiamenti dei diversi pro-fessionisti del distretto può essere solo ac-cennato, per esigenze di spazio, con tre ri-flessioni principali.Oltre a quanto già illustrato sui referenti diMicroarea, in generale merita ricordare checertamente il cambiamento di modalità dilavoro e di operatività ha positivamente in-fluenzato non solamente i distretti ed i ser-vizi sanitari, ma l’azienda nel suo insieme,incluse le sue componenti tecnico-ammini-strative (oggi ancor più patient/client orien-ted). Questo evento è stato possibile graziealla forte e determinante committenza dellaDirezione Generale, sia alla nascita del Pro-getto (il Direttore Generale fu egli stessoprimo ideatore e convincente sollecitatoredella sua realizzazione), che nel prosieguo (laDirezione successiva coraggiosamente man-tenne forte convinzione del valore delle azionidi Microarea). La scelta di distaccare una de-cina di professionisti di valore del distrettoal nuovo lavoro di referente di Microarea nonè stata né semplice né indolore, in uno sce-nario che stava (sta) andando in direzione op-posta, ovvero verso l’enfasi sulla produzioneprestazionale e sull’efficienza. Aver sottrattodocumentabile capacità produttiva del di-stretto a favore di quella relazionale si è ac-compagnata a complesse dialettiche e me-diazioni, all’interno dello stesso distretto edell’Azienda, anche perché disporre di datioggettivi su cui poggiare la convinzione del

valore dell’impresa ha richiesto tempi piùlunghi dell’atteso ed ancora oggi questo aspet-to è in progress.La seconda riflessione riguarda i percorsi for-mativi cui si sono sottoposti praticamentetutti gli operatori dei distretti, per avvici-narsi a questo nuovo ordine di idee e di pra-tiche, ed infine per applicarsi a realizzarle.La fusione del lavoro del referente, che permandato opera per integrazioni a tutto cam-po e per approcci/visioni globali e profonda-mente intersettoriali, con quello degli altrioperatori del distretto, in genere vincolatiad espressioni più parziali, presenta ancoramargini di miglioramento e richiede costan-te supporto da parte della direzione di di-stretto. Si osservano comunque riverberipositivi generali, in quanto i concetti e lepratiche dell’accoglienza, del progetto per-sonalizzato, della presa in carico globale sonosicuramente progrediti più rapidamente edintensamente grazie alla “palestra sperimen-tale” di Microarea.La terza riflessione concerne il ruolo del Me-dico di Medicina Generale (MMG). Anchequi, come sempre, abbiamo assistito ad unagamma di partecipazione e coinvolgimentoestremamente variabile. In generale (in me-dia) l’adesione dei MMG a questo nuovo ap-proccio fondamentalmente integrato e proat-tivo non è stato del tutto soddisfacente, enon possiamo negare che, soprattutto supe-rata la prima fase di sperimentalità, ci atten-devamo divenisse maggiore (mediamente) lasua disponibilità ad affiancarsi al referente diMicroarea per valutare e progettare interventisia individuali che di comunità. Esistono na-turalmente delle incoraggianti eccezioni edesperienze, in cui alcuni MMG hanno bencolto il valore dell’innovazione, in terminidi vantaggio per l’assistito, di successo dellavoro in team, di vantaggio per tutti nelleazioni preventive e proattive, del beneficio

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di un approccio “whole life” ai casi comples-si-multiproblematici, fino ad allora ritenuti“irrisolvibili”. Porgiamo qui, a motivo di sti-molante provocazione, la suggestione di pro-vare ad immaginare pro futuro non solamentela realizzazione di nuove case della salute,ma di nuovi modi di portare a casa la salute,magari grazie alla presenza (nelle grandi cit-tà) di un unico Medico di famiglia che si as-sume la responsabilità di cura su tutta unamicro-comunità, con estensione delle sue at-tenzioni da una medicina dall’individuo aduna di comunità. Quindi un MMG che siadopera per una forte integrazione e coope-razione con gli altri professionisti del distretto(nuovo protagonista della medicina di comu-nità) e del territorio. Non possiamo non au-spicare per questo ritocchi alla Convenzionedella Medicina Generale ed aperture per ac-cordi aziendali in grado di favorire questi rie-quilibri e cambiamenti.

Per non concludere…Microaree vuole oggi continuare ad essereun laboratorio di pratiche di lavoro innova-

tive e, grazie anche al nuovo protocolloHabitat-Microaree sottoscritto da AziendaSanitaria e Comune di Trieste, vogliamoproseguire la sperimentazione, allargando ilcampo d’azione ad altre aree del territorio,del resto già estese con la presenza di altrisoggetti pubblici privati che hanno assuntoin carico altre Microaree, con promettentisviluppi. Nel nuovo protocollo di intesa sidichiara di voler ampliare il senso e il ruolodel Programma “Habitat-Microaree” attra-verso un suo sviluppo sia in senso intensivo(in riferimento alle aree già oggetto delleazioni del Programma con lo studio di azio-ni integrate innovative), sia in senso esten-sivo (allargamento ad altre aree della città).L’obiettivo è rafforzare ed affiancare alla di-mensione “micro” – che continua ad esserericonosciuta come un aspetto strategico econnotante le azioni del Programma, inquanto garanzia di conoscenza e interazio-ne ravvicinata con i contesti e le persone –una dimensione “macro”, auspicabilmenteinteramente distrettuale, ovvero estesa aspazi territoriali più ampi.

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Sistema Salute, 56, 3, 2012: pp. 388-392

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IntroduzioneSecondo l’ultimo rapporto del “NIMBY-fo-rum” ci sono stati in Italia 331 impiantiinquinanti contestati nel corso dell’anno2011. Inoltre, sono sempre più frequentianche su stampa non specializzata (quoti-diani, settimanali) le informazioni sui dan-ni alla salute umana causati dall’inquina-mento ambientale nelle sue varie forme.La sensibilità sui rapporti che legano la qua-lità dell’ambiente alla salute è in progressi-vo incremento, anche se questa non è sem-pre affiancata da una corretta informazionescientifica.D’altra parte, le costanti e notevoli spinteeconomico-imprenditoriali in settori pro-

L’informazione, la comunicazione e l’educazione sui temiambientali finalizzate alla tutela della salute pubblica.Analisi sintetica delle attività di ISDE Italia in un anno indiceInformation, communication and education on environmental issues relating to thepublic health. An analysis of the ISDE Italy of the actions in a year index

Agostino Di CiaulaISDE Italia, U.O. Medicina Interna P.O. Bisceglie

Antonio FaggioliISDE Italia, Libero docente in Igiene dell’Università di Bologna

Abbiamo chiesto alle Associazioni attive nell’ambito della tutela dell’Ambiente di riportare unbreve contributo su iniziative da loro attivate. Riportiamo l’esperienza di ISDE Italia

duttivi ad alto impatto ambientale (produ-zione di energia, gestione dei rifiuti, radio-telefonia) contribuiscono a moltiplicare leoccasioni di rischio ambientale e sanitarioper le comunità.In questo contesto appare evidente la ne-cessità di meccanismi di tutela della salutee dell’ambiente che debbano conciliare daun lato la spinta “passionale” ma spesso pocoinformata (e dunque poco incisiva) dei mo-vimenti di cittadini e dall’altro il valore dellacorretta informazione derivata dallo studiodella letteratura scientifica internazionale.La carta di Ottawa (1986) indica chiaramen-te come “La promozione della salute sostiene losviluppo individuale e sociale fornendo l’infor-

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389Agostino Di Ciaula, Antonio Faggioli

mazione e l’educazione alla salute, e miglioran-do le abilità per la vita quotidiana. In questomodo, si aumentano le possibilità delle personedi esercitare un maggior controllo sulla propriasalute e sui propri ambienti, e di fare scelte favo-revoli alla salute”.Corretta informazione scientifica ed educa-zione alla salute sono dunque da considerar-si due tappe fondamentali nei complicatiprocessi di tutela dell’ambiente.L’Associazione Medici per l’Ambiente(ISDE), in conformità ai propri compiti sta-tutari, patrocina da anni le iniziative deicittadini per la promozione della salute e laprevenzione dei rischi, contribuendo all’in-tegrazione delle politiche della salute in tut-te le politiche, compresa la formazione del-le decisioni allocative di fonti di rischioambientale e sanitario.Da tempo le sezioni locali di ISDE Italiasono impegnate nei riguardi di impianti esiti inquinati che comportano rischi per lasalute delle comunità esposte, promuoven-do la mobilitazione dei cittadini, la divul-gazione di informazioni scientificamentecorrette e la sensibilizzazione degli organidi governo locale e dei decisori politici.Nel corso degli anni sono state realizzateiniziative informative e formative nei riguar-di delle comunità su criticità ambientali eloro contesto, sulle strategie e azioni rite-nute efficaci per la protezione della salutecollettiva, sulle proposte per la partecipa-zione dei cittadini alle decisioni istituzio-nali e al controllo dei risultati.In molti casi i medici ISDE hanno offerto,anche su richiesta, supporto scientifico alleistituzioni, affiancandole negli iter autoriz-zativi di impianti potenzialmente inquinanti.ISDE ha pertanto acquisito un patrimoniodi esperienze e conoscenze che ritiene op-portuno e utile diffondere a dimostrazionedel proprio impegno basato su criteri scien-

tifici, del ruolo fondamentale dei cittadiniper la revisione allocativa e tecnologica diimpianti e siti che le evidenze scientifichehanno documentato essere fonti di rischio,per la promozione della salute come defini-ta dalla Conferenza di Ottawa.Obiettivo del presente lavoro è l’analisiquantitativa e qualitativa del modello ope-rativo adottato da ISDE Italia, attraversol’esame delle attività informative, formati-ve e di advocacy svolte in un anno indice(2011). Tale analisi è finalizzata a determi-nare la validità di tale modello comunicati-vo, oltre che ad identificare punti di forza ecriticità dell’associazione e del suo modusoperandi e a disegnare una mappa delle piùrilevanti criticità ambientali presenti a li-vello nazionale.

MetodiPer ogni regione italiana è stato identifica-to un referente-coordinatore, al quale veni-va richiesto di elencare e descrivere sinteti-camente, con la collaborazione di tutte lesezioni ISDE regionali, le attività nelle qualiqueste ultime si erano impegnate nel corsodell’anno 2011 (impianti e siti). L’analisicomprendeva anche vertenze ambientaliiniziate negli anni precedenti, che avevanoperò impegnato le sezioni locali di ISDEnell’anno indice esaminato.Le schede descrittive provenienti da ciascu-na regione venivano inserite in un unicodatabase successivamente sottoposto ad ana-lisi quali-quantitativa.

RisultatiMedici ISDE sono risultati essere operativiin tutte le regioni italiane, ad eccezione dellaValle d’Aosta e della Basilicata. Le informa-zioni richieste sono arrivate da tutte le re-stanti regioni, ad eccezione delle sezioniISDE di Abruzzo, Sicilia e Toscana.

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L’informazione, la comunicazione e l’educazione sui temi ambientali finalizzate ...

Figura 1 - Distribuzione territoriale delle problematiche ambientali (n=144) delle quali si sono occupati imedici ISDE nel corso dell’anno 2011. Dall’analisi sono escluse le regioni Valle d’Aosta, Sicilia, Abruzzo. Leinformazioni relative alle regioni Basilicata e Toscana sono parziali.

Dall’analisi finale sono dunque escluse com-pletamente le regioni Valle d’Aosta, Sicilia,Abruzzo (nessuna informazione ricevuta). Leinformazioni relative alle regioni Basilicatae Toscana sono parziali, in quanto forniteda referenti ISDE di altre regioni.Il campione di attività esaminato in basealle informazioni ricevute copre circa il 75%del territorio nazionale.Secondo i dati raccolti, nel corso dell’anno2011 i medici ISDE delle regioni esamina-te si sono occupati in totale di 144 vertenze

territoriali, distribuite in 17 regioni.È risultato frequente il caso di referentiISDE attivi anche in regioni diverse da quel-la di residenza.Le regioni centro-meridionali sono quelleche hanno richiesto il maggior numero diinterventi (67% del totale).La regione con il maggior numero di inter-venti da parte di medici ISDE è stata la Cam-pania (n=41), seguita dal Lazio (n=17), dalPiemonte (n=11) e da Puglia e Calabria (n=10per ognuna delle due regioni) (Figura 1).

A livello nazionale, le problematiche chehanno impegnato con maggior frequenza imedici ISDE sono state discariche (n=30),centrali a biomasse (n=27) e inceneritori dirifiuti (n=26), seguite da una varia tipolo-gia di impianti e siti inquinati (Figura 2).In almeno 38 casi (26%), gli insediamentiinquinanti dei quali i medici ISDE si sonooccupati sono stati proposti da amministra-zioni pubbliche.Quando non spontaneo, in almeno 86 casi

(59,7%) l’intervento dei medici ISDE è sta-to richiesto da comitati/associazioni di cit-tadinanza attiva.L’intervento dei medici ISDE ha avuto pie-no successo in 30 vertenze (21%), conclusenell’anno in esame con ritiro dei progetti,blocco di impianti operativi o pareri ammi-nistrativi negativi da parte degli enti locali.In 23 casi (16%) sono stati avviati procedi-menti penali, a volte con arresti e condanne.

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391Agostino Di Ciaula, Antonio Faggioli

ConclusioniLa rete dei medici ISDE ha gestito nell’an-no indice una serie di attività di formazio-ne, comunicazione e informazione capillar-mente diffuse a livello nazionale, traducen-do le informazioni rese disponibili dalle evi-denze scientifiche in azioni di promozionedella tutela ambientale e sanitaria delle co-munità interessate.I medici ISDE sono distribuiti in modo ab-bastanza omogeneo sul territorio, riuscen-do a coprire con la propria attività il 90%delle regioni (comprese le attività inter-re-gionali) e buona parte delle problematiche

ambientali più rilevanti presenti a livellonazionale.Le regioni centro-meridionali sono quelleapparentemente sottoposte a sollecitazionimaggiori.È importante sottolineare come il maggiornumero di interventi a livello nazionale(poco meno della metà dei casi) sia statolegato a problemi riguardanti la gestione deirifiuti (discariche e inceneritori), principal-mente a causa di una evidente mancata con-siderazione delle norme di legge (D.Lgs.152/2006 e Direttiva 2008/98/CE), che vor-rebbero rispettata la gerarchia di gestione

Figura 2 - Tipologia di impianti e di siti inquinati di cui si sono occupati i medici ISDE a livello nazionale nelcorso dell’anno 2011. Dall’analisi sono escluse le regioni Valle d’Aosta, Sicilia, Abruzzo. Le informazionirelative alle regioni Basilicata e Toscana sono parziali.

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

L’informazione, la comunicazione e l’educazione sui temi ambientali finalizzate ...

(differenziazione, riciclo, riuso e riduzionedella produzione di rifiuti prima di discari-che o incenerimento) e il raggiungimentodi almeno il 65% di raccolta differenziata.Si ricorda che l’art. 179 del D.Lgs. n. 152/2006 (come modificato dall’art. 4 del D.Lgs.n. 205/2010) recita “Nel rispetto della gerar-chia del trattamento dei rifiuti le misure diretteal recupero dei rifiuti mediante la preparazioneper il riutilizzo, il riciclo od ogni altra opera-zione di recupero di materia, sono adottate conpriorità rispetto all’uso dei rifiuti come fonte dienergia”.Per quanto riguarda la raccolta differenziata,secondo gli ultimi dati ISPRA (rapportoISPRA rifiuti 2010), la raccolta differenziata(media regionale annuale) non raggiunge lepercentuali previste dalla legge in nessunadelle regioni italiane, fatte salve alcune ecce-zioni rappresentate da comuni “virtuosi”.In questi casi una adeguata diffusione di in-formazioni legali-amministrative e la co-noscenza e lo studio delle esperienze “vir-tuose”, prima ancora che la diffusione diinformazioni di tipo ambientale, sanitarioe scientifico, potrebbero comportare un si-gnificativo miglioramento di tali criticità.Altra questione di rilievo appare quella del-le centrali a biomasse, la cui diffusione vie-ne agevolata sia dagli incentivi pubblici di-sponibili in molte regioni per questo tipodi iniziativa imprenditoriale, sia dalla ec-cessiva semplificazione e superficialità de-gli iter autorizzativi, solitamente delegatidalle Regioni alle Province, che si dimo-strano spesso logisticamente inadeguate asvolgere efficacemente questo ruolo. La con-sistente quantità di progetti di centrali abiomasse presentati negli ultimi mesi inogni regione è quasi sempre stata accompa-gnata da una assoluta disinformazione sullepotenziali ricadute ambientali e sanitarie diquesti impianti. È proprio in casi come que-

sti che attività di advocacy e di diffusionedi informazioni corrette possono risultarein una adeguata attività decisionale da par-te degli enti locali e, dunque, garantire latutela ambientale e sanitaria delle comuni-tà coinvolte.In circa un quarto dei casi insediamenti po-tenzialmente inquinanti sono stati propostinon da privati ma da amministrazioni pub-bliche, spesso in maniera assolutamente sle-gata da un adeguato percorso informativo edi partecipazione preliminare alle proposte,come richiesto dalla convenzione interna-zionale di Aahrus che, si ricorda, è stata re-cepita dalla legislazione italiana.In alcuni casi la semplice diffusione di taleinformazione e il ricorso a queste norme haconsentito di riaprire iter autorizzativi giàconclusi (vedi termovalorizzatore “Marce-gaglia” di Modugno, in provincia di Bari),conducendo ad esito favorevole per le co-munità.Va infine sottolineato il ruolo di riferimen-to che ISDE ha conquistato a livello nazio-nale nei confronti dei comitati/associazionidi cittadinanza attiva che, a causa di unadiffusa (e spesso giustificata) sensazione dimancata tutela da parte degli organi istitu-zionali a questo preposti, si rivolgono amedici ISDE certi di trovare un valido so-stegno civile ed etico, prima ancora cheeducazionale, professionale e scientifico.La continua sollecitazione di interventi neiconfronti di medici ISDE da parte di asso-ciazioni, comitati, amministratori locali esemplici cittadini è con ogni probabilità le-gata sia alla capillare presenza sul territorioche alla costante disponibilità comunicati-va, informativa ed educazionale, fattori chevengono di fatto percepiti come indispen-sabili per garantire la salvaguardia della sa-lute pubblica e dei beni comuni.

Altri contributi

Sistema Salute, 56, 3, 2012: pp. 393-405

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

Qualità in promozione della saluteQuality in health promotion

Carlo RomagnoliCoordinatore Aziendale Promozione Salute, AUSL 2 Perugia

Parole chiave: qualità, promozione della salute

RIASSUNTOProblematiche affrontate: applicando il programma ministeriale “Guadagnare Salute”, la AUSL di Perugia haattivato un apposito coordinamento aziendale, che, analizzando quanto fatto in promozione della salute(ps), ha evidenziato forti carenze nella qualità degli interventi di ps.Obiettivi: a) individuare e definire le dimensioni della qualità importanti per gli interventi di ps; b) indivi-duare e definire standard relativi a tali dimensioni della qualità; c) definire un percorso aziendale condivisoe sostenibile per la applicazione di tali standard.Metodologia: combinazione di analisi di contenuto della letteratura scientifica e di metodo Delphi.Risultati: a) le dimensioni importanti per la qualità degli interventi di ps sono state individuate in:coinvolgimento della popolazione nella scelta delle priorità, efficacia, sicurezza, appropriatezza – adattataalle specificità della ps – valutabilità, fornendo le rispettive definizioni operative e formulando una possi-bile concatenazione gerarchica tra le stesse; b) per ciascuna di tali dimensioni sono stati formulati standardbasilari e di riferimento con relativi criteri; c) il percorso applicativo per una adesione progressiva e adattataalle specificità locali.Discussione e conclusioni: il miglioramento della qualità degli interventi di ps deriva sia dalla definizione di unmodello dei determinanti di salute che non includa solo i fattori comportamentali sia di paralleli adeguamentimetodologici di cui riteniamo la nostra sperimentazione fornisca un possibile esempio di cui vengonoillustrati gli sviluppi in corso nel nostro territorio.

Key words: quality, health promotion

S U M M A RYProblems faced: the application of the ministerial program “Gaining Health”, the Local Health Unit ofPerugia has activated a special coordination company that, by analyzing what you did in health promotion

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

Qualità in promozione della salute

1. Problematiche affrontate e lorocontestualizzazioneL’attivazione in Umbria del programmaCCM “Sviluppare a livello locale la promo-zione della salute secondo i principi del pro-gramma Guadagnare salute” ha dato luogonella ASL di Perugia alla costituzione di untavolo di coordinamento aziendale, che, nel-la prima necessaria fase ricognitiva, ha evi-denziato una notevole eterogeneità nella me-todologia, nei destinatari e nell’impatto de-gli interventi di promozione della salute (ps).In particolare, esaminando fattori organiz-zativi, aree di intervento, reti attivate e ri-sorse disponibili è emerso, con riferimentoalle attività realizzate nell’anno 2009, che:• sul piano organizzativo la ps risente:

- della disgiunzione tra competenze metodolo-giche e responsabilità operative che classica-mente si viene a determinare quando ilcoordinamento di una funzione viene as-segnato ad una posizione di staff, mentrela applicazione dipende da servizi che sonocollocati sulla linea organizzativa (19); inquesto caso il fattore critico consiste nellivello di assunzione effettiva della psnelle politiche aziendali, che hanno il

potere sia di creare senso (38) che di de-terminare una omogenea attivazione deiservizi di line, una assunzione che andreb-be mantenuta e rafforzata nel tempo;- della proiezione diretta di singoli pro-fessionisti sui set operativi tramite mo-menti informativi di scarsa efficacia pra-tica;

• sul piano delle aree di attività, mentre meno sifa sui fattori di benessere collettivi vi è una con-vergenza dei contenuti (1) sulle aree di inter-vento al centro di “Guadagnare salute” conle seguenti sottolineature:

- l’attività sportiva è un ricco contenitore disenso e immaginario che rafforza l’adesioneagli interventi sulla appropriata attivitàmotoria;- gli interventi sono, nella maggior partedei casi, rivolti a piccole frazioni dellapopolazione, con scarsa attenzione alla re-lazione quantitativa con la popolazionepresente e sono di norma frequentati dallaparte culturalmente più sensibile e quin-di meno a rischio di una popolazione (se-lezione inversa);

• sul piano delle reti attivate, è emersa:- l’attivazione delle reti più come strumenti

(ps), showed strong deficiencies in the quality of the interventions of ps.Objectives: a) identify and define the dimensions of quality are important for interventions ps b) identify anddefine standards for these dimensions of quality, c) define a path for shared and sustainable businessapplication of these standards.Methodology: a combination of content analysis of scientific literature and the Delphi method.Results: a) the scale of importance for the quality of interventions have been identified in the ps: involvementof the population in the choice of priorities, effectiveness, safety, appropriateness – adapted to the specificitiesof the ps – evaluability, providing their operational definitions and formulating a possible chain hierarchybetween them, b) for each of these dimensions have been formulated basic standards and reference criteria;c) the application for membership path, and gradually adapted to local circumstances. Discussion andconclusions: improving the quality of the contributions of ps is derived from the definition of a model ofthe determinants of health that includes not only the behavioral factors of both methodological paralleladjustments of which we believe our experiments provide a possible example of that explain the ongoingdevelopments in our territory.

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

395Carlo Romagnoli

che veicolano progettazioni già definiteche come opportunità per coinvolgere ibeneficiari dei fattori di benessere nellascelta delle priorità;

- la maturità delle relazioni con la scuola,rete che permette di raggiungere “tutti icittadini in formazione” dove i fattori disuccesso sembrano essere legati alla atti-vazione di dispostivi relazionali condivi-si ed inclusivi (protocolli, patti per la sa-lute, ecc.) ed al profilo non “urbano” deiterritori;

- difficoltà ad interagire con le reti degli mmg,dei pls e delle farmacie, reti intra-aziendaliin grado di raggiungere “tutti i cittadinidopo la formazione”: la ps trova raramen-te spazio in accordi e convenzioni regio-nali e aziendali, strumenti ormai centra-li nel regolare l’attività dei convenziona-ti con il SSR, mentre la cospicua quotacapitaria, pur incassata mensilmente, nonne contiene l’inserimento nella attivitàcorrente di mmg e pls, le cui equipe ter-ritoriali sono poco coordinate dai diri-genti dei centri di salute, a loro volta pocomotivati a lavorare sulla ps;

- la ancora scarsa interazione con le reti istitu-zionali ed in primo luogo dei comuni fonda-mentali sia per rafforzare e dare senso agliinterventi di “Guadagnare salute” che agliinterventi sui fattori di benessere collettivi;

- infine vi è una utilizzazione a macchia dileopardo delle reti costituite dal capitale so-ciale, che in molti settori e in particolarein quello degli anziani, potrebbero con-sentire di raggiungere grandi fasce di po-polazione;

• sul piano delle risorse direttamente assegnatenei servizi di line, emerge:

- in relazione a quanto sopra ricordato ilrischio che la responsabilità della ps con-verga sugli operatori che fanno da refe-rente nei macrolivelli e servizi, assolven-

do cds, equipe e servizi dal fare ps;- una certa scarsità di figure dedicate;- una diffusa precarietà delle stesse.

Se una parte di questi problemi rinvia a solu-zioni organizzative e gestionali di medio pe-riodo, e che richiedono l’intervento di diver-si attori (regione, direzione aziendale, dire-zione dei distretti, ecc) una quota non irrile-vante sembra essere collegata con la carenzadi una definita politica aziendale per quanto ri-guarda la qualità degli interventi di ps.

2. ObiettiviNella direzione di risolvere i problemi legatialla mancanza di una politica aziendale perla qualità in ps, il coordinamento aziendalesi è pertanto posto i seguenti obiettivi:a) individuazione e definizione delle dimensioni

della qualità importanti per gli interventi dips;

b) individuazione e definizione di standard re-lativi alle dimensioni della qualità di cui alpunto a);

c) definizione di un percorso aziendale condivisoe sostenibile per la applicazione degli stan-dard di qualità negli interventi di ps.

3. Materiali e metodiIn relazione alle diverse fasi attraversate nel-lo sviluppo del lavoro (che si è svolto dalnovembre 2009 al luglio 2010) sono stati usatii seguenti materiali e seguiti i seguenti me-todi:1. sono state in primo luogo acquisite le in-

dicazioni della letteratura scientifica re-lative alla natura multi dimensionale dellaqualità nell’assistenza sanitaria (30), doveefficacia, efficienza, sicurezza, appropria-tezza, equità, coinvolgimento del citta-dino, continuità assistenziale, ecc. con-corrono a definire la qualità organizzati-va professionale delle prestazioni, acqui-sendo altresì le rispettive definizioni;

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

Qualità in promozione della salute

2. sono state parallelamente acquisite le in-dicazioni della letteratura scientifica inmateria di qualità delle attività di pre-venzione (33), ponendo attenzione in par-ticolare al modello utilizzato (36) per:a) adattare le dimensioni della qualità alle

specificità della prevenzione, dove gliinterventi sono in genere programma-ti per raggiungere collettività, mentrele attività di assistenza sanitaria sonorivolte a singoli;

b) “gerarchizzare” tra di loro le dimen-sioni della qualità degli interventi diprevenzione;

3. sono stati poi raccolti i principali docu-menti sulla ps approvati dall’OMS dal1986 ad oggi (24, 25, 26, 27, 28, 29, 31),conducendo su questi testi una analisi dicontenuto volta a individuare un elencodi possibili “dimensioni” della qualità perun intervento di promozione della salu-te;

4. sulla base del materiale sopra citato è statodefinito:a) un elenco di possibili dimensioni della

qualità (efficacia, sicurezza, coinvolgi-mento della popolazione di riferimen-to, interazione con le reti, tempestivi-tà, equità, competenze del personaleche effettua l’intervento, quota di po-polazione effettivamente raggiunta ri-spetto alla popolazione di riferimento,valutabilità, ecc.);

b) le relative proposte di definizione perciascuna dimensione;

5. tramite il metodo Delphi (12) tali mate-riali sono stati sottoposti ad un primoround di valutazioni indipendenti da par-

te dei responsabili di macrostruttura (di-stretti, dipartimento di prevenzione, pre-sidio ospedaliero) della AUSL 2, chieden-do a ciascuno di valutare l’importanza diciascuna dimensione e la chiarezza dellarispettiva definizione su una scala quan-titativa da 1 (minima importanza e chia-rezza) a 9 (massima importanza e chia-rezza), chiedendo altresì suggerimenti eintegrazioni e precisando che:a) solo le dimensioni e le definizioni per

le quali la media dei punteggi espressida ciascun componente del panel fossestata pari o superiore a 7 sarebbero sta-te accettate come condivise;

b) punteggi medi, pari o superiori a 4 einferiori a 7 avrebbero dato luogo a ul-teriori riflessioni;

c) valori inferiori a 4 avrebbero compor-tato l’abbandono della dimensione odella definizione proposta;

6. sono così state selezionate alcune dimen-sioni importanti per la qualità di un in-tervento di ps (efficacia, sicurezza, coin-volgimento della popolazione, appropria-tezza1, valutabilità) e le relative defini-zioni operative.

7. Su questa base si sono quindi operate suc-cessive elaborazioni consistenti in:a) messa a punto di due flow chart basate

su due diverse relazioni funzionali e ge-rarchiche tra le dimensioni individuate:

- flow chart 1: efficacia, coinvolgimen-to della popolazione di riferimento, ap-propriatezza, valutabilità;

- flow chart 2: coinvolgimento della po-polazione di riferimento, efficacia, ap-propriatezza, valutabilità;

1 Così come avviene per l’assistenza sanitaria, dove l’appropriatezza sia professionale che organizzativa rappre-senta una dimensione complessa, anche nella promozione della salute l’appropriatezza di un intervento sisostanzia nella compresenza di importanti dimensioni della qualità quali equità, copertura effettiva dellapopolazione di riferimento, tempestività, coinvolgimento delle reti, efficienza, competenza professionale.

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

397Carlo Romagnoli

b) definizione di standard basilari2 e diriferimento3 per ciascuna dimensione,con relativi criteri applicativi;

c) definizione di un percorso triennale perla applicazione degli standard di quali-tà da parte di ciascun macrolivelloaziendale distinguendo tra una primafase in cui si aderisce agli standard ba-silari da una seconda fase in cui vengo-no raggiunti gli standard di riferimen-to.

8. Su queste proposte è stato condotto unsecondo round Delphi che ha coinvoltogli stessi interlocutori del primo round,arrivando a validare, in via sperimentale,la flow chart 2 come più appropriata pergli interventi di ps, i rispettivi standardbasilari e di riferimento e il percorso diadesione a tali standard da parte delle di-verse macrostrutture.

9. Successivamente le elaborazioni svilup-pate dalla AUSL2 sono state sottoposte avalidazione in ulteriori contesti:a) all’interno di un seminario regionale

(luglio 2010) dedicato agli aspetti me-todologici del programma “Guadagna-re salute”, in cui si è decisa la attiva-zione di un gruppo di lavoro regionaleper validare tali elaborazioni;

b) in una apposita riunione di un gruppodi lavoro regionale nel luglio 2010;

c) in un forum on line attivato4 nel sitoaziendale e della cui esistenza sono stati

attivamente informati, coordinatoridei centri di salute, coordinatori delleequipe di mmg e pls, responsabili deiservizi aziendali, responsabili della retedi promozione della salute nelle altreASL umbre, referenti delle reti scuola,associazionismo e dei comuni che par-tecipano al tavolo aziendale di coordi-namento della ps.

4. Risultati4.1) Dimensioni della qualità importanti perun intervento di promozione della saluteLe dimensioni della qualità emerse comeimportanti (e le relative definizioni operati-ve) sono rappresentate da:1) coinvolgimento della popolazione di rife-

rimento nel senso che “la popolazione diriferimento, nel quadro di un processo in-formato di riflessione sul proprio poten-ziale di salute, esprime i propri bisogni econdivide le priorità di intervento”;

2) efficacia, nel senso che “vanno attuati prio-ritariamente interventi di ps per i qualisiano disponibili in letteratura documen-tazioni sulla efficacia o, ove possibile, diprovata efficacia”;

3) sicurezza nel senso che “la popolazionenon deve subire danni alla salute adot-tando lo specifico fattore di benessere in-dividuale o collettivo (retroazione tra fat-tori individuali e tra fattori collettivi)”;in ogni caso i danni attesi devono avere un

2 Gli standard basilari sono stati definiti tali in quanto dovrebbero essere sostenibili fin dal primo anno disperimentazione; al riguardo sono stati proposti livelli applicativi piuttosto elementari.3 Gli standard di riferimento dovrebbero andare in funzione a partire dal secondo anno di sperimentazionesecondo un programma di assunzione variabile per ciascuna macrostruttura a seconda degli specifici contestioperativi.4 Nel forum di discussione attivati sul sito aziendale dal luglio 2010 al dicembre 2010 sono stati posti i seguentiquesiti: 1) Le dimensioni della qualità individuate per gli standard di un programma di ps di macrostruttura,sono effettivamente quelle importanti? / 2) Le definizioni fornite rispetto a ciascuna dimensione sono soddi-sfacenti? / 3) Gli standard basilari individuati sono chiari?

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Qualità in promozione della salute

chiaro rapporto con i benefici, al di sopradel quale l’intervento perde di senso;

4) appropriatezza dell’intervento di ps, di-mensione complessa dove qualità signifi-ca almeno:- “raggiungere la popolazione giusta” che

consiste di norma nella popolazionepresente nel territori di ciascun distret-to o, in carenza di risorse, in quella partedella popolazione che presenta i mag-giori problemi di salute;

- “nei tempi giusti”, che consiste nel rag-giungere tutti i beneficiari potenzialiin un ciclo programmatico o in un mul-tiplo sensato di questo, o almeno rag-giungere una percentuale degli stessitale da determinare un impatto apprez-zabile e misurabile;

- “attivando il livello operativo giusto” cioèfar sì che il complesso di reti e serviziattivati sia tale da garantire la utiliz-zazione degli effetti di amplificazionepropri delle reti e quindi la massimaefficienza;

- “tramite il personale giusto” cioè far sìche gli operatori che forniscono il so-stegno metodologico e quelli che at-tuano l’intervento nella rete siano op-portunamente formati;

5) valutabilità: concreta modalità con cuiviene misurato l’esito dell’intervento ol-tre al processo attuativo e la sua effettua-zione in regime di “conflitto di interessi”o di “terzietà”.

La figura 1 evidenzia anche la relazione fun-zionale tra le diverse dimensioni della quali-tà per gli interventi di promozione della sa-lute, dove, diversamente da quanto avvieneper un intervento di prevenzione che è rivol-to a prevenire fattori rischio e dove spesso siopera senza una preliminare interazione congli esposti a tali fattori e senza la condivisio-ne delle priorità, è stato individuato comecentrale il coinvolgimento della popolazio-ne nella scelta delle priorità di intervento.4.2) Definizione di standard per le dimensio-ni della qualità importanti per gli interventi dipromozione della salute

Fig. 1 - Dimensioni della qualità nel modello operativo PS nella AUSL 2 di Perugia

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

399Carlo Romagnoli

Adottando un approccio di lavoro per pro-grammi – e quindi assumendo a priori la de-finizione di un programma di macrostruttu-ra (distretto, dipartimento, presidio ospeda-liero) per la ps come requisito di base – ecollocandosi in una ottica di sanità pubblica,le dimensioni importanti della qualità degliintereventi di ps possono trovare declinazio-ne pratica in standard e relativi criteri di ap-plicazione. Gli standard da noi definiti si di-stinguono in:- standard basilari, che dovrebbero essere

sostenibili fin dal primo anno di recepi-mento del percorso di miglioramento con-diviso della qualità (MCQ); al riguardo si

sono scelti livelli applicativi piuttosto ele-mentari;

- standard di riferimento che dovrebberoandare in funzione a partire dal secondoanno del percorso MCQ di lavoro secondoun programma di assunzione variabile perciascuna macrostruttura a seconda deglispecifici contesti operativi.

Di seguito sono descritti nello specifico glistandard relativi alle diverse fasi in cui le di-mensioni importanti per la qualità di un in-tervento di ps trovano collocazione in un ci-clo programmatico classico di macrostrut-tura:

Criteri basilari di qualità:1.a) esistenza del programma annualeStd=il programma è redatto in linea con la tempistica del processo di budget aziendale(5)

Criteri di riferimento per la qualità1.b) conformità agli standard di qualità basilari per la psStd: tutti i progetti sono conformi ai criteri di qualità basilari per la ps1.c) conformità agli standard di riferimento per la psStd: almeno un terzo dei progetti sono conformi ai criteri di riferimento per la ps

1) Definizione del programma annuale di attività di ps della macrostruttura: consistenella formalizzazione del programma che rispetti le dimensioni della qualità e glistandard condivisi dalla macrostruttura

2) Partecipazione alla condivisione delle priorità da parte della popolazione di riferi-mento: la popolazione di riferimento ha condiviso l’intervento di ps in quanto priorità

Criteri basilari di qualità:2.a) condivisione del programma di psStd= almeno un intervento tra tutti quelli che compongono il programma di macrostrut-tura è stato condiviso dalla popolazione di riferimentoCriteri di riferimento per la qualità2.b) condivisione del programma di psStd: almeno un terzo degli interventi tra tutti quelli che compongono il programma dimacrostruttura è stato condiviso dalla popolazione di riferimento2.c) condivisione del programma di psStd: almeno due terzi degli interventi tra tutti quelli che compongono il programma dimacrostruttura sono stati condivisi dalla popolazione di riferimento

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Qualità in promozione della salute

5 Tempi: per il programma relativo all’anno 2010 entro febbraio 2010; per il programma relativo al 2011entro dicembre 2010.

3) Efficacia e sicurezza dell’intervento psS: consiste nella documentazione della fonte cheattesta l’efficacia e la sicurezza dello specifico intervento di ps

Criteri basilari di qualità:3.a) esistenza della fonte documentaleStd = vi è una qualche evidenza documentabile che l’intervento sia efficace e sicuroCriteri di riferimento per la qualità3.b) esistenza di una fonte documentale indipendente da conflitti di interessi attestan-te che l’intervento ha la migliore efficacia e sicurezza tra quelli disponibiliStd: almeno un terzo dei progetti inserito nel programma della macrostruttura è basato suuna fonte documentale attestante che l’intervento ha la migliore efficacia e sicurezza traquelli disponibili3.c) esistenza di una fonte documentale indipendente da conflitti di interessi attestan-te che l’intervento sia di provata efficacia e sicurezzaStd: almeno un progetto inserito nel programma della macrostruttura è basato su una fontedocumentale attestante che l’intervento è di provata efficacia e sicurezza.

4) Quantificazione della popolazione di riferimento per lo specifico fattore di benessereindividuale o collettivo nel territorio di competenza del macrolivello che progetta lospecifico intervento di ps

Criteri basilari di qualità:4.a) quantificazione della popolazione di riferimento del progetto psStd= ogni progetto del programma di macrostruttura è riferito ad una popolazione diriferimento quantificataCriteri di riferimento per la qualità4.b) proporzionalità tra popolazione effettivamente interessata dall’intervento pro-grammato e popolazione di riferimento.Std: almeno un terzo dei progetti inseriti nel programma della macrostruttura raggiungeil 50% della popolazione di riferimento

5) Coinvolgimento delle reti che permettono di raggiungere la popolazione di riferimen-to per lo specifico fattore di benessere individuale o collettivo nel territorio di competenzadel macrolivello che programma l’intervento

Criteri basilari di qualità:5.a) coinvolgimento delle retiStd= almeno un progetto del programma di macrostruttura coinvolge le reti che permettonodi raggiungere la popolazione di riferimentoCriteri di riferimento per la qualità5.b) coinvolgimento delle retiStd: almeno la metà dei progetti inseriti nel programma della macrostruttura coinvolge lereti che permettono di raggiungere la popolazione di riferimento

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4.3) Definizione di un percorso aziendale condi-viso e sostenibile per la applicazione degli stan-dard di qualità negli interventi di promozionedella saluteIl percorso applicativo per la sperimentazio-ne degli standard basilari e di riferimento danoi individuati è stato ritenuto sostenibilesolo se basato su un processo di condivisioneed adattamento alle condizioni locali, comeindicato nella figura 2, con le seguenti carat-

teristiche:- conformemente alla natura processuale

della ps, alla diversa modalità operativapresente nei diversi territori a causa delladifferente dotazione di risorse ha poco sensofissare una “tabella di adesione” agli stan-dard unica per tutto il territorio dellaAUSL 2;

- stanti le condizioni di partenza, brevemen-te illustrate nella prima sezione del pre-

6) Formazione degli operatori che lavorano sull’intervento

7) Valutazione dell’esito dell’intervento: la progettazione dell’intervento di ps prevedeesplicitamente metodi e risultati attesi per la valutazione di esito

8) Relazione strutturata sulla qualità delle attività di ps svolte: la macrostruttura redi-ge una relazione sulla qualità dell’attività di ps svolta a fine ciclo programmatico suschema definito

Criteri basilari di qualità :6.a) formazione su metodo e merito degli operatori che svolgono supporto metodo-logico e di quelli coinvolti nell’interventoStd= tutti gli operatori che svolgono supporto metodologico e almeno un terzo degli operatoridelle reti coinvolte nell’intervento ha partecipato negli ultimi due anni ad un corso diformazione del SSR sugli aspetti di metodo e di merito.Criteri di riferimento per la qualità6.b) formazione su metodo e merito degli operatori che svolgono supporto metodo-logico e di quelli delle reti coinvolte nell’interventoStd= tutti gli operatori che svolgono supporto metodologico e almeno due terzi degli opera-tori delle reti coinvolte nell’intervento ha partecipato negli ultimi due anni ad un corso diformazione del SSR sugli aspetti di metodo e di merito

Criteri basilari di qualità:8.a) relazione sulla qualità dell’attivitàStd = la macrostruttura elabora la relazione sulla qualità dell’attivitàusando uno schema definito

Criteri basilari di qualità :7.a) valutazione dell’esito dell’intervento di psStd= almeno un progetto del programma di macrostruttura prevede la valutazione di esitoCriteri di riferimento per la qualità:7.b) valutazione dell’esito in regime di terzietàStd: almeno un terzo dei progetti inseriti nel programma della macrostruttura prevede lavalutazione di esito in regime di terzietà

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Qualità in promozione della salute

Fig. 2 - Percorso di condivisione ed adattamento alle condizioni locali

sente lavoro, anche la adesione agli stan-dard basilari, pur nella loro assoluta sem-plicità, rappresenta un sostanziale passoavanti;

- in sanità i cambiamenti sono lenti e diffi-cili (19), figurarsi in un settore di attivitàche si contraddistingue per la natura nongerarchica delle relazioni tra gli attori cheintervengono nella ps;

- l’aggancio alle procedure di budget azien-dali, grazie alle attribuzioni riconosciuteal coordinatore aziendale della ps, rappre-senta una possibile soluzione alla disgiun-zione tra competenze metodologiche e re-sponsabilità operative già richiamata.

5. Discussione e conclusioniPromuovere la valutazione della qualità inps è di grande importanza per assicurare chegli interventi più efficaci ed efficienti sianoimplementati e diffusi, facendo in modo chei mezzi, relativamente scarsi, per lo svilup-po di tale funzione del servizio sanitario, sia-

no investiti nel migliore modo possibile. Nonpoche sono le iniziative che, a livelli diversi,sono state assunte per garantire qualità alleattività di ps:a) oltre alle numerose conferenze internazio-

nali ed ai relativi documenti e dichiara-zioni che vi vengono solitamente procla-mati, l’OMS ha definito indicazioni per lepolitiche volte a garantire qualità sia al-l’assistenza sanitaria che alla ps in suoi spe-cifici documenti (30, op cit; 32).

b) L’Organizzazione per la Cooperazione e loSviluppo Economico ha definito a sua vol-ta, nel quadro delle politiche di monito-raggio che effettua sui sistemi sanitari dimolti paesi capitalistici avanzati, alcuniindicatori sulla qualità delle attività na-zionali di ps (17).

c) I Centri per il controllo e la prevenzionedelle malattie negli USA hanno emanatolinee guida per i servizi di prevenzione perfar si che i programmi fossero basati suimigliori interventi possibili per migliora-

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re la salute e prevenire le malattie nellecomunità, con una recensione di più di 200interventi basati sulle loro raccomanda-zioni (7).

d) Un altro esempio è fornito dalle linee guidapubblicate dal NICE in tema di qualitàdegli interventi per la salute e le attivitàcliniche, dove vengono forniti indicazionianche per le attività di promozione svolteda diversi attori, basata sulle evidenze evolta ad attivare “best-practice”(20).

e) L’Olanda ha attivato recentemente (4) unsistema di rilevazione degli interventi dipromozione della salute molto articolatoe finalizzato a migliorarne la qualità.

f) In Italia, il DORS della Regione Piemon-te documenta attraverso un apposito database ed una definita e molto articolatascheda di rilevazione gli interventi di pro-mozione della salute prevedendo ancheitem relativi alla loro qualità (8); in Um-bria sono stati pubblicati a livello regio-nale specifici set di indicatori riguardantila promozione della salute in adolescenza,riferiti anche ad aspetti riguardanti la qua-lità (2, 23).

Il dato che prevale dalla lettura di questi do-cumenti riguarda il fatto che indicazioni sul-la qualità degli interventi di ps sono desuntea partire dalle tematiche cui questi sono ri-volti, valorizzando molto i fattori individualidi benessere (attività motoria, dieta congrua)e di rischio (fumo, alcool) e dando meno con-siderazione ai fattori di benessere collettivo(reddito, cultura, capacità relazionale, tra-sporti, assetti urbanistici, ecc.) o di rischio(cambiamento climatico, gestione dei rifiutiindustriali, inquinamento da fonti energeti-che, ecc.), il che rimanda alla necessità dichiarire quale sia effettivamente il modellodei determinanti di salute che oggi è più ap-propriato per promuovere la salute nella glo-balizzazione (6), una discussione ovviamen-

te condizionata dalle visioni ideologiche pre-valenti nei gruppi dominanti (21), che in Italiasembrano godere ancora di un certo credito.Ma, detto ciò, dobbiamo anche osservare chese i sistemi di sorveglianza attivati sui fatto-ri di benessere e di rischio individuali evi-denziano (35), un po’ ovunque ed anche nellanostra AUSL, la diffusione di stili di vita nonottimali, le necessarie modifiche comporta-mentali (18) sembrano però possibili solo conmetodi che rendano gli individui e le comu-nità in grado di aumentare il loro controllosui determinanti di salute (22), il che impli-ca la necessità di verificare anche la qualitàmetodologica degli interventi. Negli ultimidecenni si sono prodotti profondi cambia-menti nelle caratteristiche socio economicheed antropologiche di individui, comunità econtesti territoriali (3, 5, 10, 11) tanto cheapplicabilità e impatto di tali metodi nelmigliorare i determinanti di salute compor-tamentali e socio-ambientali non sono scon-tati (14). Infatti, se alcune metodologie co-dificate sono note per la loro capacità di atti-vare o potenziare risorse individuali e comu-nitarie – counselling (13), potenziamento delsenso di coerenza (9), co-ricerca (16), diagnosidi comunità (34), processi euristici (15), pro-cessi meta organizzativi (37) – esse devonoin primo luogo essere sottoposte a verificanelle condizioni della contemporaneità met-tendo a valore le risorse rappresentate da de-finite reti territoriali (servizi socio-sanitari,scuola, associazionismo, enti locali) usandosia dispositivi relazionali classici (riunioni,assemblee, ecc) che strumenti di inclusione/condivisione del web 2.0.Le nostre osservazioni empiriche evidenzia-no la difficoltà ad attivare e portare a termi-ne interventi di ps nelle realtà urbane, dovenon è chiaro cosa si possa intendere oggi per“comunità” e laddove esista, come raggiun-gerla e come coinvolgerla, mentre le cose

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Qualità in promozione della salute

vanno molto meglio nei distretti non urbanie nei piccoli centri abitati.

6. ConclusioniUn modello dei determinanti di salute piùaderente alla realtà del capitalismo finanzia-rio ed una maggiore attenzione agli aspettimetodologici tramite la focalizzazione su unaserie di standard relativi a dimensioni dellaqualità degli interventi di ps sembrano dun-que rappresentare, anche alla luce della som-maria e sintetica discussione qui sviluppata,un passaggio non eludibile per ottenere ef-fettivi guadagni di salute. In relazione aglistandard di qualità per la promozione dellasalute, attualmente la strumentazione quipresentata sta permettendo di:a) redigere nella nostra AUSL una Relazione

sulla qualità dell’attività di ps, che docu-menta il processo di applicazione deglistandard basilari nei programmi di attivi-tà di macrostruttura;

b) la pubblicazione nel sito aziendale dei cri-teri di qualità in applicazione di quanto

previsto dal DLGS 150/ 2009 in materiadi trasparenza delle pubbliche amministra-zioni;

c) la definizione da parte di ciascun distrettosocio sanitario, del dipartimento di pre-venzione e del presidio ospedaliero deglistandard di qualità che essi intendono ri-spettare nelle attività di ps, con un note-vole effetto di riduzione nello sviluppo diinterventi occasionali da parte di singoliprofessionisti e servizi;

d) la attivazione di due sperimentazioni indue distretti, uno urbano a Perugia ed unonon urbano, nella Media Valle del Tevere,di due processi di valutazione dei program-mi di ps da parte di cittadini opportuna-mente formati, in applicazione dello stan-dard di riferimento per la dimensione “va-lutabilità” che individua nella terzietà unrequisito di qualità da perseguire;

e) aprire a livello regionale una discussionesu dimensioni della qualità importanti inps e sulla adozione di standard per le di-verse realtà regionali.

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Incidenti e alcol: i giovani non sanno o non vogliono sapere?Accidents and alcohol: young people do not know or want to know?

Michela PaccamiccioPsicologo, Dottore in Psicologia nel Corso di Vita, Università di Roma “La Sapienza”

Paola CarbonePsichiatra e psicoanalista, Professore associato e responsabile del Laboratorio di Preven-zione: i Giovani e gli Incidenti, Facoltà di Medicina e Psicologia, Università di Roma “LaSapienza”, Presidente Associazione Romana di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Adolescen-za (ARPAd)

Elisa CasiniPsicologa, Laboratorio di Prevenzione: i Giovani e gli Incidenti, Facoltà di Medicina ePsicologia, Università di Roma “La Sapienza”, Specializzanda ARPAd (Associazione Ro-mana di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Adolescenza)

Parole chiave: giovani, incidenti, alcol, prevenzione

RIASSUNTOIntroduzione: studi nazionali e internazionali hanno evidenziato un legame pericoloso tra abuso di alcol eincidenti stradali. Al riguardo negli ultimi anni sono state realizzate numerose campagne di prevenzionedestinate soprattutto ai giovani, che rappresentano la categoria maggiormente a rischio. Tali campagne,incentrate principalmente sull’informazione, non hanno ancora ottenuto una significativa riduzione delnumero di incidenti. In questo studio ci siamo domandati se l’elevata incidentalità giovanile sia dovutaesclusivamente ad una disinformazione dei giovani circa le conseguenze della guida in stato di ebbrezza eabbiamo indagato il loro livello di conoscenze riguardo la normativa alcol e guida, le loro opinioni e leesperienze, confrontandole con altre fasce di età.Metodo: 150 soggetti, suddivisi in 3 sottogruppi equonumerosi in base all’età (Gruppo Giovani 18-25anni; Gruppo Adulti 35-45 anni; Gruppo Anziani 55-65 anni), ai quali è stato somministrato unquestionario a risposta multipla.Risultati: nel complesso il Gruppo Giovani ha dimostrato di possedere un buon livello di conoscenze sultema trattato, così come il Gruppo degli Anziani ha fornito buone prestazioni. Gli Adulti hanno invece

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IntroduzioneNegli ultimi decenni l’attenzione ai rischiconnessi all’abuso di alcol si è spostata dairischi differiti per la salute ai rischi imme-diati connessi all’intreccio pericoloso di al-col e guida.Sulla spinta dell’allarme nazionale e interna-zionale (ricordiamo che una Carta dell’UnioneEuropea firmata dagli Stati membri nel 2004si propone di ridurre drasticamente la stragequotidiana dovuta agli incidenti stradali)sono state realizzate numerose campagne diprevenzione; tali campagne hanno messo inevidenza soprattutto i rischi connessi all’as-sociazione tra alcol e guida poiché gli inci-denti stradali in stato di ebbrezza rappresen-tano la prima causa di morte per i giovani di

dimostrato di essere il Gruppo meno informato.Discussione: le buone prestazioni ottenute dai Giovani suggeriscono di progettare interventi preventivi nonsolo sulla divulgazione di informazioni; analizzando le loro opinioni è possibile ipotizzare che i motivi cheli spingano a incorrere maggiormente in incidenti siano multifattoriali.

Key words: youth, accidents, alcohol, prevention

S U M M A RYIntroduction: national and international studies have shown a danger ties between alcohol abuse and roadaccidents. In recent years numerous prevention campaigns for young people, who are the most at risk,have been made. These campaigns, mainly focused on information, have not yet achieved a significantreduction about the number of accidents. In this study we asked whether the high accident rate is due solelyto a youthful young misinformation about the consequences of driving while intoxicated, and weinvestigated their level of knowledge about drink-driving legislation, their opinions and experiences andcompared with other age groups.Method: 150 subjects, divided into 3 subgroups based on age (18-25 years old Youth Group, Adult Group35-45 years, 55-65 years Elderly Group), who were given a multiple choice questionnaire.Results: overall, the Youth Group and the Elders has demonstrated a good level of knowledge about thesubject matter. Instead the adults have been shown to be the Group with less information.Discussion: good performance obtained by the Young suggest to design preventive interventions not onlyon disclosure of information, analyzing their opinions can be hypothesized that the reasons that motivatethem to incur greater incidents are multifactorial.

età compresa tra i 15 ed i 29 anni (1, 2, 4,23, 31, 32, 35, 36).In particolare l’Università di Roma “La Sa-pienza” ha costituito nel 2007 il “Laborato-rio di Prevenzione: i Giovani e gli Inciden-ti”1 ritenendo necessario affrontare e com-prendere l’evento incidente in una prospetti-va ampia e capace di coglierne la complessi-tà.Il problema dei numerosi studi sul rischio diincidente è che, troppo concentrati sulla re-lazione tra alcol e guida (5, 14, 17, 24) ri-schiano di sminuire l’importanza di altri fat-tori che concorrono al verificarsi di un feno-meno complesso come “l’incidente” (9, 12,13).Fermo restando che l’associazione alcol e

1 Facoltà di Psicologia Medicina, Università “La Sapienza” di Roma. Responsabile Professoressa PaolaCarbone

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Incidenti e alcol: i giovani non sanno o non vogliono sapere?

guida è e resta una associazione pericolosis-sima, il fatto di indicare nell’alcol il princi-pale responsabile degli incidenti giovanili èinfatti riduttivo (15) ed apre ad inevitabilicontraddizioni.Prima di tutto ci scontriamo con i dati: lepercentuali degli incidenti imputabili allostato psico-fisico alterato per assunzioni dialcol sono tanto esigue (solo il 2,12% nel2008) da aver indotto l’Istat a non pubblica-re più dati al riguardo. Nell’ultima pubbli-cazione del Report Aci-Istat 2010 si leggeche «A causa dell’esiguo numero di circostan-ze presunte dell’incidente legate allo statopsico-fisico alterato del conducente […] perl’anno 2009 non sono stati pubblicati i datisugli incidenti stradali dettagliati per tali cir-costanze […] per gli Organi di rilevazione èdi estrema difficoltà la compilazione dei que-siti sulle circostanze presunte dell’incidente[…] nel caso di incidenti stradali con circo-stanze presunte legate allo stato psico-fisicoalterato del conducente si rileva una nettadiscrepanza con i risultati diffusi da altri Or-ganismi internazionali che hanno condottostudi ad hoc su queste tematiche» (2, p. 12).La carenza e la scarsa attendibilità dei dati èlegata inoltre al fatto che nel nostro Paese larilevazione dei dati sugli incidenti viene ef-fettuata da molteplici Enti che spesso noncoordinano il loro lavoro; questo rende diffi-cili ottenere dati concordi e rappresentatividel fenomeno.Un’altra contraddizione legata al fenomeno“alcol, incidenti e giovani” è nel fatto che –a fronte di titoli spettacolari sulle stragi delsabato sera, titoli che sollecitano adeguatemisure preventive – non è certo che le cam-pagne informative producano quel cambia-mento nella propensione al rischio dei gio-vani che si vorrebbe ottenere. Le campagnedi prevenzione incentrate sull’informazionesono certamente necessarie per mantenere

viva l’attenzione della popolazione generaleal fenomeno, ma tutt’oggi né le campagne(pensiamo per esempio a importanti campa-gne nazionali quali il “Progetto Icaro” – Ania,2010 o “Guido con Prudenza” – Ania, 2009),né l’introduzione di strumenti per migliora-re la sicurezza stradale (l’etilometro, il Tu-tor, l’Autovelox o l’affissione delle Tabelle al-colometriche) sono riusciti a ridurre in ma-niera significativa il numero di incidenti checoinvolgono i giovani tra i 15 e i 29 anni (27,34). Infatti il numero di giovani morti in se-guito ad incidenti stradali è diminuito di ap-pena l’1% dal 2008 al 2009, mentre resta sta-bile il numero dei giovani rimasti feriti, parial 33% (1, 2), inoltre tra i giovani di 18-24anni gli automobilisti abituali presentanocomportamenti di consumo a rischio in per-centuali più elevate rispetto agli automobi-listi occasionali (non più di qualche volta almese) o alle persone che non guidano. Per imaschi di questa fascia d’età, gli automobili-sti abituali con almeno un comportamentodi consumo a rischio sono il 24,6%, contro il17,9% dei guidatori occasionali o dei non gui-datori (27).Dai dati Istat (2010) emerge un’ulterioreimportante contraddizione: i giovani sannoche l’alcol provoca conseguenze negative eche guidare in stato di ebbrezza è pericoloso.Questa contraddizione di informazione ecomportamenti, “tra dire e fare”, induce ariflettere sulla qualità degli interventi pre-ventivi rivolti ai giovani che spesso puntanoa fornire loro informazioni riguardo la Nor-mativa Stradale nella convinzione che que-st’ultimi incorrano più frequentemente inincidenti perchè “non sanno”: non sanno qualisiano gli effetti dell’alcol sulla guida, non san-no quali siano le nuove regole del codice del-la strada da non violare per evitare infrazionie ridurre le probabilità di incidenti.Dobbiamo riconoscere che essere adeguata-

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mente informati sulla Normativa italiana delCodice della Strada che si occupa della Gui-da in stato di ebbrezza non è facilissimo: lenorme – spesso pubblicizzate per ragioni dipropaganda sui media – sono numerose e nonmolto ‘chiare’ dato l’accavallarsi di progres-sivi aggiornamenti e questo crea notevoleconfusione tra la popolazione.In particolare i giovani sono stati oggetto dinorme più volte “inasprite” negli ultimi anninell’illusione che la severità dichiarata dellenorme fosse di per sé importante (è nota l’im-possibilità di realizzare efficaci controlli) efosse più incisiva della certezza della pena;con il nuovo decreto-legge n. 92 del 23 mag-gio 2008, convertito in Legge nr. 125 del 24Luglio 2008, il tasso alcolemico oltre il qua-le non è consentito guidare in Italia è pari a0,5 g/l per tutti i conducenti e pari a 0 g/l peri neopatentati e i conducenti professionisti.Proprio il tasso alcolemico consentito a que-st’ultime categorie ha subito ulteriori recen-ti cambiamenti: è stato il Ministro Bianchiche nel Maggio 2010 ha chiesto e ottenutodi abbassare il tasso alcolemico da 0,2 g/l a 0g/l, in seguito all’aggiornamento del Codicedella Strada (6).

ObiettiviAlla luce delle contraddizioni evidenziatenella premessa ci siamo chiesti quale fosse inrealtà il livello di informazione dei giovanirispetto a fasce d’età più mature e abbiamoprogettato uno studio pilota.Il nostro contributo empirico ha l’obiettivodi indagare le conoscenze che un campionecostituito da 3 fasce d’età (giovani, adulti,anziani) possiede riguardo alla guida in statodi ebbrezza e alle norme che cercano di argi-nare l’incidentalità. In particolare è nostrointeresse analizzare le conoscenze dei giova-ni del campione, sottogruppo che rappresen-ta la categoria maggiormente coinvolta in

incidenti: tra i giovani infatti si registra lapiù alta percentuale di morti a causa di inci-denti stradali ed essi rappresentano i primidestinatari delle compagne di informazione-prevenzione.Lo studio è articolato nei seguenti obiettivispecifici:1. analizzare il livello di conoscenze posse-

dute dal campione circa i rischi alcol cor-relati nella guida;

2. analizzare le opinioni riguardo alcuni prov-vedimenti del Codice della Strada;

3. analizzare le esperienze legate alla guidain stato di ebbrezza e al consumo di alcolvissute dal campione.

La domanda alla quale il nostro lavoro tentadi rispondere è: i giovani hanno davvero bi-sogno di maggiore informazione o la pre-venzione dovrebbe offrire loro altro?

MetodoCampioneIl campione della ricerca è composto da 150soggetti, suddivisi in 3 sottogruppi equamen-te distribuiti per genere e età (giovani, adul-ti, anziani).La suddivisione del campione in 3 sottogruppidi differenti età ci ha permesso un confrontotra il livello di informazione dei giovani conquello di fasce d’età considerate meno a ri-schio e più informate. Il nostro obiettivo èsapere se i giovani – che sono i soggetti cherispondono meno favorevolmente alle cam-pagne di prevenzione e rispettano meno lenorme – sono davvero meno informati ri-guardo la normativa alcol-guida.I 3 sottogruppi sono così formati:- Gruppo Giovani (N=50): dai 18 ai 25

anni;- Gruppo Adulti (N=50): dai 35 a 45 anni;- Gruppo Anziani (N=50): dai 55 ai 65

anni.Tutti i soggetti sono di nazionalità italiana,

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Incidenti e alcol: i giovani non sanno o non vogliono sapere?

residenti nella città di Roma e in possessodella patente B.

StrumentiAi soggetti è stato somministrato individual-mente un questionario strutturato, la cuicompilazione ha richiesto circa 30 minuti ditempo.Il questionario è anonimo e per garantire lariservatezza il soggetto lo ha sigillato perso-nalmente in una busta anonima che ha collo-cato nel contenitore di raccolta insieme allealtre buste.Il questionario è stato costruito ad hoc dal“Laboratorio di Prevenzione: i Giovani e gliIncidenti” alla luce della nostra decennaleesperienza e dopo aver attentamente revisio-nato la letteratura scientifica sul tema e lanormativa del Codice della Strada.Il questionario è composto da 23 items a ri-sposta multipla che indagano 3 macroaree:A) macroarea delle conoscenze (12 items):indaga le conoscenze della normativa alcol eguida (per esempio il limite del tasso alcole-mico oltre cui non è consentito guidare; lepene previste in caso di infrazione; etc...);B) macroarea delle opinioni (7 items): in-daga le opinioni dei soggetti su alcuni prov-vedimenti normativi (per esempio l’utilitàdi alcuni nuovi dispositivi di sicurezza qualil’etilometro o l’esposizione delle Tabelle al-colometriche; etc...);C) macroarea delle esperienze (4 items):indaga i comportamenti e le esperienze delsoggetto relative alla guida in stato di eb-brezza (per esempio consumo di alcolici; con-trolli; sanzioni; etc...).

RisultatiEsponiamo di seguito quanto emerso dalleinterviste ai 150 soggetti del campione, de-scrivendo separatamente i risultati delle 3macroaree (conoscenze, opinioni, esperienze).

A) Macroarea delle conoscenzeSia nel Gruppo Giovani che nel Gruppo An-ziani oltre il 65% dei soggetti (GiovaniN=33; Anziani N=36) ha mostrato di co-noscere bene il limite legale oltre i quale nonè consentito guidare – attualmente pari a0,5g/l – mentre tra gli Adulti solo il 48%(N=25) ha risposto correttamente. In pochiperò sanno che ci sono categorie che fannoeccezione alla norma: ad esempio solo il 22%dei Giovani (N=11) ed il 10% degli Adulti(N=5) sa che per i Neopatentati il limite èpari a 0g/l.Nessun dubbio sembra emergere riguardo lostrumento usato dalle Forze dell’Ordine peraccertare l’alcolemia (l’etilometro): le rispo-ste corrette oscillano dal 98% dei Giovani(N=48) e degli Adulti (N=48) al 100% de-gli Anziani (N=50).Il Gruppo Giovani non sembra altrettantoben informato sulle modalità dei controllicon l’etilometro infatti solo 3/4 del sotto-gruppo Giovani (N=40) sa che le Forze del-l’Ordine possono effettuare controlli anchequando il conducente non è incorso in infra-zione, mentre i 2 Gruppi Adulti (N=44) eAnziani (N=49) hanno ottenuto il 93% dirisposte corrette. Tuttavia la maggioranza deiGiovani e degli Anziani sa che è possibilerifiutarsi di sottoporsi all’etilometro mentresolo il 30% degli Adulti (N=15) ha rispostocorrettamente. Emergono al riguardo signi-ficative differenze di genere: le Femmine sisono mostrate poco informate sull’argomentofornendo solo il 30% (N=23) di risposte cor-rette, rispetto al 62% (N=46) dei Maschi.È emersa una certa carenza, nel gruppo Adul-ti, sulla percezione soggettiva dell’alcolemia(capacità di valutare il livello del tasso alco-lemico in seguito all’assunzione di alcol): il40% sia degli Anziani (N=20) che dei Gio-vani (N=20) ha risposto correttamente ri-spetto al 26% degli Adulti (N=13). Inoltre

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il 62% dei Giovani (N=28) è consapevoleche il tasso alcolemico varia in base al sessodel consumatore mentre solo il 38% degliAdulti (N=20) e il 44% degli Anziani(N=22) ha risposto correttamente.In sintesi, dall’analisi della macroarea delleconoscenze emerge che i Giovani del nostrocampione non sono meno informati deimeno giovani: il Gruppo Giovani ha infattifornito il 53% di risposte corrette, presta-zione che si avvicina a quella degli Anzianiche hanno ottenuto il 56% di risposte esatte.Le prestazioni del Gruppo Adulti (35-45 anni)si sono invece rivelate le peggiori fornendosolo il 43% di risposte corrette.Infine, indipendentemente dall’età, le presta-zioni del Sottogruppo Maschi sono state net-tamente superiori a quelle del SottogruppoFemmine: 45% di risposte corrette per que-st’ultime rispetto al 96% dei Maschi.Rispetto a quanto emerso in questa macroa-rea sulle conoscenze è quindi purtroppo evi-dente che tra conoscenze adeguate e com-portamenti adeguati non c’è un rapporto dicausalità lineare.

B) Macroarea delle opinioniIn merito alle opinioni del nostro campionecirca alcuni provvedimenti del Codice dellaStrada è emerso che circa il 60% di tutto ilcampione (indipendentemente dall’età) so-stiene che il tasso alcolemico differenziatoper diverse categorie di guidatori (autisti pro-fessionisti, neopatentati, ecc. …) sia discri-minante. Ci saremmo aspettati un maggioreapprezzamento da parte delle fasce d’età piùadulte; facciamo l’ipotesi che lo scarso favo-re che suscita questa differenza sia legato al-l’idea che più le norme sono complicate menofacilmente verranno rispettate.L’utilità delle tabelle alcolometriche è inve-ce riconosciuta dal 96% delle Femmine dei3 Gruppi (N=72) mentre l’opinione dei

Maschi è più eterogenea: l’80% dei MaschiAdulti (N=20) e il 100% dei Maschi Anzia-ni (N=25) si mostrano favorevoli all’usodelle tabelle alcolometriche. Più scettici sem-brano essere i Maschi Giovani: secondo il 44%di quest’ultimi (N=14) le tabelle alcolome-triche non sono utili per ridurre il numero diincidenti.I Giovani sono critici anche nell’utilità del-l’etilometro come strumento per ridurre gliincidenti: solo il 48% lo ritiene utile (N=20),rispetto all’88% degli Adulti (N=44) e al98% degli Anziani (N=49) che si mostranoquindi più fiduciosi.Quanto all’infrazione stradale ritenuta piùgrave la risposta data più frequentemente datutti i 3 Gruppi è stata: “guidare sotto effet-to di droghe” e al secondo posto: “guidare instato d’ ebbrezza”. Ciononostante il 62% deiGiovani (N=31) sostiene che guidare ‘brilli’non sia pericoloso e il 30% (N=15) ritieneche non si possa generalizzare, il rischio diguidare ‘brilli’ dipenderebbe dalla persona; alcontrario tutti i 3 Gruppi riconoscono al100% che sia pericoloso guidare ubriachi e,per quanto riguarda Adulti e Anziani, che siaaltrettanto pericoloso guidare da ‘brilli’.In sintesi in quest’area-opinioni emerge undato molto importante; non solo i giovaniconoscono bene le norme, ma le loro opinio-ni sono anche allineate con quelle degli adul-ti. E’ però molto interessante e grave la sot-tovalutazione generalizzata che i giovanimanifestano rispetto al pericolo che si correse si guida da ‘brilli’.

C) Macroarea delle esperienzeRiguardo le esperienze relative al consumodi alcol e alla guida in stato di ebbrezza, tuttii soggetti del campione hanno dichiaratoconsumi molto contenuti: in particolare quasiil totale degli Adulti e degli Anziani ha di-chiarato di non aver mai ecceduto nel consu-

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Incidenti e alcol: i giovani non sanno o non vogliono sapere?

mo di alcol negli ultimi 6 mesi; il 56% deiGiovani (N=28) ha invece dichiarato di averbevuto fino ad essere brillo ed il 22% (N=11)ha ammesso di essersi ubriacato. Inoltre soloil 2% del campione totale (N=4) è stato fer-mato dalle Forze dell’Ordine e sottoposto acontrolli: tra questi soggetti nessuno ha su-bito sanzioni.In sintesi questa macroarea conferma dueipotesi: che il rischio che corrono i giovaniassumendo alcol fino ad essere brilli o ubria-chi non solo è più elevato di quello in cuiincorrono gli adulti (questa non è una novi-tà) ma soprattutto è indipendente dalle co-noscenze.

Discussione e conclusioniI risultati della nostra indagine forniscono unquadro articolato sul livello di informazionipossedute dal nostro campione.Emerge innanzitutto che non sono i Giovanii meno informati: le prestazioni del GruppoAdulti (35-45 anni) si sono rivelate le peg-giori. A tale proposito è possibile ipotizzareche i Giovani siano più informati rispettoagli Adulti grazie alle campagne di preven-zione a loro rivolte (ad esempio nelle scuole)e anche, a nostro avviso, poiché hanno soste-nuto recentemente l’esame di scuola guida equindi le loro conoscenze sono più recenti eaggiornate. E’ presumibile ipotizzare altresìche nel Gruppo Anziani (55-65 anni) vi siaun’attenzione “alta” ai rischi che la guidacomporta poiché molti di loro hanno un fi-glio adolescente e pertanto sono maggior-mente informati (e soprattutto interessati)sulle norme che li riguardano.In generale tutti i soggetti, indipendentemen-te dall’età, hanno mostrato una certa diffi-coltà nel definire i limiti del tasso alcolemi-co oltre il quale non è consentito guidare e lemodalità del suo controllo. Se da una partela maggioranza dei soggetti intervistati ha

mostrato di conoscere bene il limite legaledel tasso alcolemico, dall’altra in pochi san-no che ci sono delle categorie che fanno ec-cezione, tra le quali quella dei Neopatentati.Colpisce che proprio il Gruppo Giovani nonsappia che per i Neopatentati il limite siapari a 0g/l poiché non essere informati suquesta nuova norma li mette nella condizio-ne di essere multati (se fermati dalla Poliziadi Stato) senza essere consapevoli dell’infra-zione commessa. Dato però che i Giovani sisono mostrati in generale informatissimi ipo-tizziamo che più che non sapere essi “nonvogliono sapere” che la loro condizione dineopatentati li mette in una posizione spe-ciale. Questa ipotesi sembra avvalorata an-che dal fatto che i giovani non sono consape-voli che possono subire controlli anche quandonon sono incorsi in infrazione, ma sanno chepossono rifiutarsi di sottoporsi ai controllicon l’etilometro.Per quanto riguarda le sanzioni, il GruppoGiovani non sembra particolarmente inte-ressato alle pene previste (sia in termini dimulte che in termini di detrazione di puntidalla patente) e neanche a conoscere comefunzionino i controlli con l’etilometro. In-fatti in pochi sanno che gli accertamenti daparte della Polizia possono essere fatti anchese non è stata commessa infrazione: forsemolti giovani sono convinti che possono “pas-sarla liscia” mettendosi alla guida dopo averbevuto, evitando comportamenti che richia-mino l’attenzione delle Forze dell’Ordine. IGiovani sono anche il Gruppo che ha espres-so più commenti critici circa l’utilità del-l’etilometro: questa svalutazione dello stru-mento di misura ci pare corrisponda all’esi-genza fase-specifica dei giovani di rifiutare la“misura” imposta dagli adulti e fondare ipropri comportamenti su una autovalutazio-ne; una valutazione che come abbiamo vistosi discosta parecchio dalla misurazione og-

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gettiva ma che rientra perfettamente nellatendenza all’onnipotenza adolescenziale. Ilpunto di vista degli Adulti invece si avvicinamolto a quello degli Anziani: entrambi i Grup-pi sono fiduciosi che l’uso dell’etilometro pos-sa arginare il numero di incidenti.Una certa confusione emerge anche sulla per-cezione soggettiva dell’alcolemia: pochi sog-getti – indipendentemente dall’età – sannovalutare lo stato alcolemico raggiunto dopoaver bevuto e ancor meno soggetti hanno avutomodo di leggere le Tabelle alcolometriche percapire i meccanismi di metabolizzazione del-l’alcol. Quindi le persone sanno che in teorianon ci si può mettere alla guida con un’alcole-mia superiore a 0,5g/l, ma non sanno valutarequando si raggiunge tale livello.Rispetto alle conoscenze in quest’area (limitie sanzioni legate all’alcolemia) ipotizziamoche i continui aggiornamenti delle norme ela confusione circa la loro approvazione daparte del Governo non aiutano a far chiarez-za su ciò che è consentito e ciò che non lo è.Inoltre il mancato rispetto di alcune regole(come l’esposizione solo formale delle tabel-le alcolometriche) peggiora ulteriormente ilproblema.Molto interessanti sono i dati emersi dalledomande relative all’esperienza personale, inparticolare sulla frequenza dei comportamen-ti di consumo di alcolici e sull’abuso.Abbiamo intenzionalmente proposto, accan-to all’espressione “essere ubriaco” (espressio-ne che evoca un eccesso estremo) l’espressio-ne “essere brilli”, condizione psico-fisica vis-suta come meno riprovevole, anche se obiet-tivamente comporta una significativa alte-razione del controllo, dei riflessi, etc...Se tutto il campione (dai Giovani agli An-ziani) è compatto nel dichiarare pericolosis-simo guidare da ubriachi, è rilevante notareche i Giovani sottovalutino gravemente ilrischio connesso alla guida in condizione di

“essere brilli”. Questo dato induce a rifletteresulle diverse rappresentazioni connesse ai ter-mini “ubriaco” e “brillo” e su come questepossano influire sul comportamento di assun-zione di alcol, sottovalutando il rischio con-nesso a stati di intossicazione meno estremi.In conclusione, i nostri dati mostrano che iGiovani sono in generale ben informati an-che se in alcune aree (in particolare il rappor-to alcol-guida) tendono a sottovalutare glieffetti dell’alcol e la funzione dei controlli.Gli Adulti e gli Anziani, indipendentementedalle loro conoscenze, sembrano essere piùottimisti sull’utilità delle nuove misure pre-ventive e soprattutto maggiormente dispo-sti a sottoporsi ai controlli se questi possonoridurre il numero degli incidenti.Abbiamo introdotto questo studio notandoche attorno al tema alcol e incidenti si ad-densano ambiguità e contraddizioni: i mediaaccusano a gran voce l’alcol, ma i dati parla-no solo di una bassissima percentuale di inci-denti alcol-correlati (tra il 2% e il 3% dellecause di incidente). La posizione delle Istitu-zioni è quindi sostanzialmente ambigua per-ché, mentre da un lato – nella comunicazio-ne con i mass media – sembrano certe che laguerra contro gli incidenti sia la guerra con-tro l’alcol, non hanno però i dati per dimo-strare che questa correlazione è reale.Anche i guidatori del nostro campione mo-strano – indipendentemente dall’età – cono-scenze non perfette delle norme che dovreb-bero contenere il rischio e confermano cosìche le informazioni non sono sufficientementechiare e fruibili.Una certa insicurezza della solidità delle nor-me e della certezza della pena – insicurezzache caratterizza a tanti livelli il nostro paese– sembra pesare anche sulla prevenzione de-gli incidenti.Quanto ai giovani del nostro campione – ca-tegoria che come abbiamo più volte ricordato

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Incidenti e alcol: i giovani non sanno o non vogliono sapere?

ha finora risposto meno positivamente allemisure preventive e dissuasive – non sonoaffatto la fascia d’età meno ben informata.Se quindi i giovani rischiano di più ed hannoproporzionalmente più incidenti non è per-ché non sanno qualcosa, non è a causa di unaspecifica ignoranza delle norme. Sembra piut-tosto che, pur ‘sapendo’ non vogliano sapere;ci è sembrata a questo proposito molto indi-cativa la sottovalutazione del rischio di gui-dare da brilli.In linea con le interpretazioni psicodinami-che della adolescenza (5, 12, 29) ci pare che igiovani tendano ad esporsi ai rischi per unaserie di motivazioni sia fase-specifiche (biso-gno di mettersi alla prova e di sperimentarei propri limiti) che personali, dato che gli

agiti pericolosi, la “botta di adrenalina”,etc… servono ad occultare a se stessi pro-blemi inaffrontabili, sentimenti di vuoto edi impotenza, assenza di progettualità e disperanza.In sintesi questo nostro lavoro sembra con-fermare che il problema – al contrario di ciòche si dice – non è quello di informare dipiù; sarebbe importante – per indurre questigiovani a comportamenti responsabili – nontanto bersagliarli di informazioni più o menominacciose e martellanti ma offrire loro lapossibilità di confrontarsi con se stessi (vediil modello di ‘prevenzione attiva’, Carbone2009, 2010) e con apparati istituzionali sa-namente autorevoli, che generino nei giova-ni rispetto nello Stato e speranza nel futuro.

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

Comportamenti a rischio in un campione di giovani indi-viduati nel contesto di un intervento di prossimità – Pro-getto OvernightRisk behaviors in a sample of young people identified in the context of an interventionproximity – Project Overnight

Carmela Daniela GermanoAzienda Sanitaria Locale “Triestina”, Dipartimento di Prevenzione

Eva PerizzoloAzienda Sanitaria Locale “Triestina”, Dipartimento delle Dipendenze

Riccardo Tominz, Matteo BovenziAzienda Sanitaria Locale “Triestina”, Dipartimento di Prevenzione

Antonina Contino, Roberta BalestraAzienda Sanitaria Locale “Triestina”, Dipartimento delle Dipendenze

Parole chiave: comportamenti a rischio, luoghi di aggregazione giovanile notturna, alcol, sostanze psicotrope,contraccezione di emergenza, riduzione del rischio

RIASSUNTOObiettivo: indagare nell’ambito del progetto Overnight la diffusione di comportamenti a rischio in un campionedella popolazione di età compresa fra 15 e 29 anni, domiciliati in Friuli Venezia Giulia, che frequenta i luoghi diaggregazione notturna al fine di elaborare grazie alle conoscenze acquisite, anche in termini di tendenzeemergenti, materiale informativo e strategie di prevenzione dei rischi, coerenti con le abitudini reali dei giovaniche frequentano questi ambienti.Metodologia: per la raccolta dei dati è stato utilizzato un questionario anonimo autosomministrato, in presenza di unoperatore disponibile. Il questionario veniva proposto prima dell’ingresso nei locali notturni.Risultati: dall’analisi dei 472 questionari emerge che oltre il 90% dei soggetti indagati ha bevuto nell’ultimo mese

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

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IntroduzioneI luoghi di aggregazione e divertimento, inparticolare in orario notturno, rappresenta-no la cornice in cui la popolazione giovani-le può sperimentare l’uso ricreazionale disostanze psicotrope legali ed illegali, assu-mendo comportamenti a rischio, quali l’abu-so delle stesse sostanze, la guida in stato dialterazione psichica ed i rapporti sessuali nonprotetti.Diverse indagini hanno evidenziato che taliatteggiamenti sono parte della scena delmondo giovanile: secondo la ricerca svoltanel 2004 dall’Azienda Sanitaria di Arezzonel contesto di Arezzo Wave, su 1.073 in-tervistati il 73% aveva fatto uso di sostanzealmeno una volta nella vita, il 45% utiliz-

zava alcolici prevalentemente nel week-end,il 30% riferiva di aver guidato, nell’ultimomese, dopo aver bevuto (1). Dallo studioeffettuato nel 2005 all’interno del progetto“Safe Style” nei locali della riviera adriaticae delle città dell’Emilia Romagna, su uncampione di 3.664 intervistati oltre il 96%aveva dichiarato di aver assunto sostanzepsicotrope legali o illegali nell’ultimo anno(2).I dati ISTAT relativi all’andamento del con-sumo di alcol fra le persone di 14 anni e piùevidenziano che tra il 1998 e il 2008 la quo-ta di consumatori di bevande alcoliche si èmantenuta stabile (intorno al 70%), anchese si sta consolidando, soprattutto nei gio-vani e nei giovani adulti, un modello di con-

(85% fuori pasto e durante il fine settimana). Quasi la metà degli intervistati ha un consumo “binge” e poco menodi 1/6 ha guidato in stato di ebbrezza. Oltre il 60% ha usato droghe, con preferenze differenti a seconda dellaclasse di età indagata, anche se per eroina e psicofarmaci non si rilevano differenze per sesso e classe di età. Fracoloro che hanno avuto rapporti sessuali, quasi ¼ riferisce più di 1 partner nell’ultimo mese e 1/5 non ha usatoprecauzioni e 44% delle femmine ha usato la pillola del giorno dopo. Di queste il 42% è minorenne.

Key-words: risk behaviors, youth meeting venues, nightlife, alcohol, psychotropic substances, emergencycontraception, risk reduction

SUMMARYObjective: to collect data on abuse (overuse) of legal or illegal substances, drunk-driving and hazardous sexualbehaviour in overnight meeting places, which may also represent a favourable observatory to inquire those youngpeople that are usually not included in most surveys, because they are out of the school world, for reaching aneducational qualification or for school drop-out.Methods: observational cross sectional survey on a sample of 472 young people aged 15-29 years, in the frame ofthe project Overnight (Trieste), built to reduce direct and indirect risk of mood altering substances use duringnight fun.Results: in our sample 90% drunk in last month, 85% drunk during week-end and between meals, nearly half ofthe people interviewed are binge drinkers and 1/6 of interviewed drove in drunkness. More than 60% ofinterviewed used drugs, which usually differ according to their age, even if no differences for sex and age werefound when considering heroin and psychotropic drugs. Among those that declared sexual intercourses, nearly ¼reported more than 1 partner in the last month and 1/5 did not used precautions. Emergency contraception wasused by 44% of girls interviewed that declared sexual intercourses; 42% of them are underage. This kind ofsurvey can contribute to provide educational materials and carry out strategies to reduce risks on the basis ofyoung true custom and trend.

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Comportamenti a rischio in un campione di giovani individuati nel contesto ...

sumo di tipo nord europeo, basato princi-palmente sull’assunzione al di fuori dei pa-sti (3). Da uno studio del 2008 condottopresso l’Ospedale di Verona sulla presenzadi alcol e droghe nelle urine di pazienti coin-volti in incidenti stradali, era emerso che il67% degli incidenti si verifica nel fine set-timana, prevalentemente dalle ore 24:00 alle9:00, e che nel 43% dei casi si rileva unapositività ad una o più sostanze psicotrope(72% per alcol, 42% per benzodiazepine,21% per tetraidrocannabinolo, 14% per co-caina) (4).In questo scenario, dalla collaborazione fradiversi partner*, nel 2006 nasce a Trieste ilprogetto “Overnight”, volto a ridurre i ri-schi diretti e indiretti del consumo di so-stanze psicotrope fra i giovani durante imomenti del divertimento notturno. Taleprogetto prevede la collaborazione deglioperatori del team con professionisti del“mondo della notte” (gestori dei locali, disc-jockey, operatori della sicurezza) ed un grup-po di giovani peer educator. Tutti i partnerssono opportunamente formati; collaborano,a diversi livelli, alla creazione ed alla divul-gazione di materiale informativo, di gad-gets e di messaggi sia direttamente che at-traverso social network e sito web.Durante gli eventi più significativi, una po-stazione Overnight ben visibile, con opera-tori sanitari e socio-educativi, viene predi-sposta sia nelle aree antistanti che all’inter-no dei locali. Lì vengono messi a disposi-zione i materiali dell’iniziativa, è possibileeseguire l’etiltest e vengono allestite areedi ascolto e di “decompressione” dall’iper-stimolazione ambientale. Gli operatori sono

formati per assicurare il primo soccorso incaso di malori od intossicazioni e lavoranoin collegamento telefonico con il serviziodi emergenza sanitaria 118.Particolare rilievo riveste la prevenzione del-la guida in stato di alterazione psichica edegli incidenti stradali, con iniziative voltead incentivare la cultura del guidatore desi-gnato, attraverso un concorso a premi daltitolo “Stasera guido io”, la distribuzionedi speciali buoni per l’utilizzo di taxi a prez-zo ridotto da parte dei giovani tra i 15 e i29 anni, la disponibilità di bus navetta gra-tuiti, con a bordo personale educativo e l’uti-lizzo di un simulatore di guida in stato dialterazione psichica, con l’obiettivo di au-mentare il grado di consapevolezza dei gui-datori.L’intero progetto è stato strutturato sullabase di un approccio informale, non giudi-cante, idoneo a favorire una relazione di fi-ducia, un confronto aperto e realistico con iragazzi, con l’obiettivo di diffondere infor-mazioni corrette riguardo l’uso di alcolici edi sostanze stupefacenti e promuovere com-portamenti consapevoli anche nei momen-ti di divertimento.La presenza di operatori sanitari nelle diver-se postazioni del progetto consente sia l’ag-gancio di quei consumatori border-line (pro-blematici) che non si rivolgono ai Serviziperché sottostimano o negano il problema,sia il riconoscimento e la presa in carico infase precoce di situazioni di disagio.Durante tali appuntamenti è stato propo-sto ad un campione di giovani un questio-nario, i cui risultati sono illustrati nel pre-sente lavoro.

* Azienda per i Servizi Sanitari n. 1 Triestina, Regione, Provincia di Trieste, Cooperative sociali “La Quercia”,“2001 Agenzia Sociale”, “On stage”, “Associazione culturale Etnoblog”, Associazione di cittadini e familiariper la lotta alla tossicodipendenza”, Associazione ASTRA, Azienda per i Trasporti APT Gorizia

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ObiettivoValutare la diffusione di comportamenti arischio in un campione della popolazione chefrequenta i luoghi di aggregazione notturnaal fine di elaborare grazie alle conoscenzeacquisite, anche in termini di tendenzeemergenti, materiale informativo e strate-gie di prevenzione dei rischi, coerenti conle abitudini reali dei giovani che frequenta-no questi ambienti.

Materiali e metodiPer la raccolta dei dati è stato utilizzato unquestionario anonimo autosomministrato,in presenza di un operatore disponibile, nelperiodo compreso tra luglio 2008 e dicem-bre 2009. Criteri di inclusione erano il do-micilio in Friuli Venezia Giulia e un’età fra15 e 29 anni.Il questionario veniva proposto, prima del-l’ingresso nei locali, solo ai ragazzi senzaevidenti segni di alterazione psichica che pas-savano vicino alle postazioni di Overnighte che, dopo essere stati informati sulle fina-lità della ricerca, acconsentivano a collabo-rare alla raccolta dei dati.Il questionario, predisposto ad hoc, è statoconcepito e progettato per risultare sem-plice, snello e veloce, al fine di renderne af-fidabile la compilazione e non interferire coni programmi della serata degli intervistati.Oltre alle caratteristiche socio-anagraficheindaga quattro aree: uso di alcol, uso di so-stanze, guida in stato di ebbrezza, sessuali-tà. Le domande sono quasi tutte a scelta mul-tipla o forzata, alcune fanno da filtro e po-che consentono una risposta aperta. Gli ele-menti anagrafici indagati comprendono:anno di nascita, genere, domicilio, convi-venza con uno/ entrambi i genitori, occu-pazione, disponibilità di un mezzo di loco-mozione. Per quanto riguarda la sezione cheindaga l’uso di alcol le domande sono state

formulate in modo da poterle confrontarecon le corrispettive dello studio PASSI (5).La sezione che indaga l’uso delle sostanzestupefacenti esplora tipologia delle sostan-ze utilizzate, frequenza di consumo nell’ul-timo mese, gradimento, eventuali proble-mi insorti durante l’utilizzo. La sezione re-lativa ai comportamenti sessuali indaganumero di partner nell’ultimo mese, utiliz-zo di precauzioni, ricorso alla “pillola delgiorno dopo”, rapporti sessuali in stato dialterazione psichica.I dati raccolti sono stati registrati su sup-porto informatico ed analizzati con Epi-Info(versione 3.4.1). Il campione è stato suddi-viso in 3 classi di età.I risultati sono espressi in percentuali.I confronti fra i 2 generi o fra le diverseclassi di età sono espressi come Rate Ratio(RR) ed i relativi intervalli di confidenzasono espressi al 95% (IC 95%); le differenzestatistiche sono state rilevate ricorrendo altest chi quadro, usando quando necessariola correzione di Yates (per campioni di nu-merosità compresa fra 30 e 200).

RisultatiDa luglio 2008 a dicembre 2009 sono statiraccolti 500 questionari, il 6% dei quali èstato escluso dall’indagine per mancanza delrequisito relativo alla fascia di età esplora-bile. Pertanto sono stati analizzati 472 que-stionari, quasi equamente divisi per anno diraccolta.

Parte generaleFra gli intervistati il 53% è maschio; l’etàmedia è 19 anni (Standard Deviation =3,85); range 15-29 anni; il 39% (IC 95%:35-44) ha meno di 18 anni, mentre oltre ¾hanno meno di 23 anni (Fig. 1); le differen-ze rilevate per classi di età non sono signifi-cative dal punto di vista statistico.

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Comportamenti a rischio in un campione di giovani individuati nel contesto ...

Il 90% (IC 95%: 86-92) vive con almenoun genitore; di essi, il 63% abita con en-trambi i genitori. Nella classe 15-18 quasi

il 2% degli intervistati vive senza genitori,mentre nella classe più anziana la percentua-le che vive senza genitori sale al 49% (esiste

un trend crescente con differenze altamentesignificative nel passaggio dalla prima all’ul-tima classe di età) (Fig. 2).Il 77% (IC 95%: 73-81) studia; di questi il24% anche lavora. Come atteso, gli studentisono più rappresentati nelle classi di età più

basse (<18 anni: 90%; di questi l’11% di-chiara di essere studente lavoratore).Lavora il 17% (IC 95%: 14-21) degli intervi-stati; di questi, il 73% è maschio; ed il 55%si trova nella fascia di età 18-22 anni.Ha dichiarato di non essere studente e non

Fig. 1 - Distribuzione per genere e classi di età dei 472 ragazzi intervistati (numeri assoluti)

Fig. 2 - Distribuzione, all’interno di ciascuna classe di età, del numero di genitori presenti nel nucleo familiarein cui vivono i soggetti intervistati (numeri assoluti)

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lavorare il 6% (IC 95%: 4-9) degli intervi-stati; di questi il 62% è maschio. Va notatocome il 7% dei ragazzi che non studia e nonlavora è nella classe 15-17, ma tale percen-tuale non differisce significativamente daquella rilevata nelle altre classi di età (7%nella classe 18-22 e 4% in quella 23-29 anni).Sono state rilevate differenze significativenell’occupazione per genere: fra i maschi sonomaggiormente rappresentati i lavoratori(23% vs 10%; RR= 2,36; IC 95%: 1,50-3,72; p< 0,001), mentre lo sono significati-vamente meno gli studenti (69% vs 85% frale femmine; RR= 0,82; IC 95%: 0,74-0,90;p< 0,001).Il 59% (IC 95%: 55-64) degli intervistatidispone di un mezzo di trasporto. Tale di-sponibilità è significativamente maggiorenelle fasce di età più alte, con un trend cre-scente fra la prima e l’ultima classe di età(p<0,0001) e nel genere maschile (68%;RR=1,89; IC95%: 1,59-2,25; p<0,001);inoltre differenze significative per genere sonostate rilevate nelle diverse classi di età: nella

classe 15-17 anni il 78% di coloro che pos-seggono un mezzo di trasporto è di generemaschile (RR= 3,8; IC 95%: 2,4-6,2; p<0,00001), il 68% (RR= 1,6; IC 95%: 1,3-1,9; p< 0,00001) in quella 18-22. Non sonostate rilevate differenze nella classe 23-29.

AlcolIl 93% (IC 95%: 91-95) degli intervistati hadichiarato di aver assunto almeno una bevan-da alcolica nell’ultimo mese, senza differenzeper genere e per classi di età.Rispetto alle modalità di consumo dei 440intervistati che hanno dichiarato di aver as-sunto alcol nell’ultimo mese, fra i respondersl’85%(IC 95%: 81-89%) beve prevalentementedurante il week-end e l’83% (IC 95%: 79-86)beve prevalentemente fuori pasto.Risultano significativamente associate al ge-nere maschile l’abitudine di bere prevalente-mente durante la settimana (23% vs 6%;RR=3,59; IC 95%: 1,69-6,58; p<0,001) edal pasto (21% vs 13%; RR=1,68; IC 95%:1,08-2,61; p<0,05) (Fig. 3). L’abitudine a

Fig. 3 - Abitudine a consumare alcol prevalentemente durante la settimana o il fine settimana, in percentuale,per genere; associata al genere maschile, con differenze altamente significative, l’abitudine a bere prevalente-mente durante la settimana (440 responders)#: p<0.001

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Comportamenti a rischio in un campione di giovani individuati nel contesto ...

bere anche durante la settimana, inoltre, èpiù diffusa fra i maggiorenni, nella classe18-29 (35% vs 8%; RR= 2,49; IC 95%:1,36-4,56; p< 0,05).Dei 435 responders, il 49% (IC 95%: 44-53%) ha bevuto 6 o più unità di bevandaalcolica in un’unica occasione (bingedrinker): tale modalità di consumo è signi-ficativamente più diffusa fra i maschi (62%

vs 33%; RR=1,9; IC 95%: 1,5-2,3;p<0,0001); e fra i più giovani, ovvero nelleclassi 15-22 (51% vs 36%; RR=1,39; IC95%: 1-1,95; p<0,05). Fra i maschi, lamodalità di consumo binge è associata inmaniera significativa dal punto di vista sta-tistico con le classi più giovani, 15-22, (66%vs 41%; RR=1,64; IC95%: 1,10-2,45;p<0,05) (Fig. 4).

Dei 435 bevitori responder, il 14% (IC 95%:11-18) riferisce di aver guidato almeno unavolta in stato di ebbrezza, con differenze si-gnificative per genere (22% dei maschi vs5% delle femmine; RR=4,2; IC 95%: 2,22-7,78; p<0,0001), ma non per classi di età,mentre il 21% (IC 95%: 18-25) dichiara diessere stato trasportato da un guidatore instato di ebbrezza; per questa variabile nonsono state rilevate differenze per genere e clas-se di età.Ha dichiarato di aver guidato entro 1 oradall’assunzione di alcolici il 42% dei respon-der a questa domanda (n=222, con differen-

ze significative per genere (54% dei maschivs 25% delle femmine; RR=2,13; IC95%:1,5-3; p<0,0001) (Fig. 5 v. pag. seg.).

DrogheFra i 470 soggetti che hanno risposto alladomanda sull’uso di droghe, 286 (il 61%;IC 95%: 56-65) ha dichiarato di averne fat-to uso almeno una volta nella vita; tale com-portamento, associato al genere maschile(67% vs 55%; RR: 1,2; IC 95%: 1,05-1,42;p<0,05), non presenta differenze significa-tive per classi di età.La cannabis è usata dalla quasi totalità (91%)

Fig 4 - Percentuale di binge-drinkers nelle diverse classi di età, per genere fra i 435 giovani che hanno rispostoalla domanda.

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di assuntori di droghe nella nostra casistica(tab. 1), senza differenze per classi di età, eviene usata prevalentemente dalle femmi-ne, ma con una differenza ai limiti della si-gnificatività statistica (maschi vs femmine:

Fig 5 - Percentuale di bevitori che ha dichiarato di aver guidato in stato di ebbrezza nelle diverse classi di età,per genere (222 responders).

RR=0,92; IC 95%:0,86-0,99; p=0,06).Non si rilevano differenze significative diuso delle sostanze per genere, eccetto cheper i funghetti allucinogeni, il cui utilizzosembra associato al genere maschile

Tab. 1 - Utilizzo delle singole sostanze, fra i 286 intervistati che hanno dichiarato di aver usato droga almenouna volta, per classi di età), in percentuale .Il dato relativo all’utilizzo di amfetamine e/o cocaina è statoraccolto in una sola voce* differenze per classi di età p<0.01§ differenze per genere p<0.05

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(RR=1,89; IC 95%: 1,07 -3,34; p<0,05).Differenze nell’uso delle sostanze si rileva-no fra le classi di età nella popolazione danoi investigata. In particolare, per tutte ledroghe indagate si rileva un trend crescentedi utilizzo fra la classe 15-17 e quella 18-22anni. Complessivamente, le percentuali piùelevate di ragazzi che rispondono di averfatto uso delle varie sostanze si rilevano nellaclasse 18-22, anche se differenze significati-ve sono state rilevate solo per alcune so-stanze. Alla classe 18-22 anni risulta signi-ficativamente più associato l’utilizzo di pop-per (RR=1,80; IC 95%: 1,20-2,72; p<0,01),extasy (RR=2,43; IC95%: 1,23-4,83;p<0,01) ed amfetamine-cocaina (RR=1,93;IC 95%: 1,23-3,12; p<0,01); è stato inol-tre rilevato l’uso significativamente mag-giore di funghetti fra i maschi nella classe18-22 (RR=2,45; IC 95%: 1,08-5,57;p<0,05).Alla classe 15-17 anni risulta associato inmaniera significativamente minore l’uso diketamina (RR=0,15; IC 95%: 0,04-0,63;p<=0,01) funghetti allucinogeni (RR=0,15;IC 95%: 0,06-0,41; p<0,01) e di LSD(RR=0,25; IC 95%: 0,09-0,69; p<0,01);nessun componente della classe 15-17 hadichiarato di aver fatto uso di ecstasy. Perqueste 4 sostanze esiste un trend crescentedi utilizzo nel passaggio dalla classe di etàinferiore a quella più alta.Nessuna differenza per classi di età e pergenere è stata rilevata per eroina e psicofar-maci.

Rapporti sessualiRapporti sessuali completi sono riferiti dal76% (IC 95%: 71-79) degli intervistati, si-gnificativamente di più dai maschi (82%,vs 69% delle femmine; RR=1,2; IC95%:1,06-1,32; p<0,01) e con un trend crescen-te per età.

Fra coloro che hanno avuto rapporti(n=346), il 23% (IC95%: 18-28) dei respon-der a questa domanda (n=325) dichiara diaver avuto più di un partner durante l’ulti-mo mese, con percentuali più elevate, fra lefemmine, nella classe 15-17 (13%), anchese le differenze rilevate non risultano signi-ficative per genere e classe di età.Il 54% (IC 95%: 49-59) ha usato il profilat-tico, il 23% (IC 95%: 19-28) la pillola, il20% (IC 95%: 16-25) nessuna precauzione,mentre il 3% (IC 95%: 2-6) ha dichiaratodi aver usato altre precauzioni.Il mancato utilizzo di precauzioni risultasignificativamente associato al genere ma-schile (26% vs 13%, RR=2,4; IC 95%: 1,3-4,4; p<0,01). Nel genere maschile, fra lediverse classi di età, sono state rilevate dif-ferenze significative fra le diverse precau-zioni utilizzate.Fra le femmine che hanno avuto rapportisessuali, il 44% (IC 95%: 36-53) ha usato lapillola del giorno dopo. Fra queste il 42%ha meno di 18 anni, ed oltre ¾ hanno menodi 23 anni, anche se non si rilevano diffe-renza significative tra le tre classi di etàconsiderate.Fra le motivazioni di utilizzo della pillola“del giorno dopo” prevale la mancata ado-zione di precauzioni (61% dei casi; IC 95%:48-73), seguito dalla rottura del profilatti-co (38% dei casi; IC 95%: 26-51).Il rischio del ricorso alla pillola “del giornodopo” a causa del mancato utilizzo di pre-cauzioni è più alto fra le minorenni(RR=1,66; IC 95%: 1,2-2,4; p<0,05).Fra coloro che hanno avuto rapporti sessua-li, il 73% (IC95%: 68-78) dichiara di averavuto rapporti dopo aver assunto sostanzesenza differenze significative per genere eper classi di età.Fra coloro che hanno avuto rapporti sessua-li dopo aver assunto sostanze, il 63% (IC

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95%: 56-69) ha usato il profilattico, senzadifferenze per genere e classi di età.Fra le femmine che hanno avuto rapportisessuali dopo aver assunto sostanze, solo il17% (IC 95%: 11-25) assumeva la pillola;ha invece dovuto ricorrere alla pillola delgiorno dopo il 51% di esse.

Discussione e ConclusioniLa scelta di eseguire un’indagine in un con-testo informale, direttamente nei luoghi delloisir notturno, risponde essenzialmente allanecessità di comprendere le abitudini di unaporzione di popolazione che abitualmentenon viene raggiunta. La maggior parte de-gli studi attualmente disponibili, infatti, èstata condotta sulla popolazione che fre-quenta gli ambienti scolastici, non conside-rando in tal modo chi ha concluso l’obbligoformativo e coloro che hanno abbandonatola scuola. Da qui la necessità di un confron-to dei nostri risultati con quelli delle ricer-che condotte con analoghe modalità (1, 2),I risultati emersi dalla presente ricerca sonopreoccupanti per tutti gli ambiti indagati.Riguardo all’assunzione di alcolici, la per-centuale di intervistati che ha dichiarato diassumere alcol è del 93% (IC 91-95). Talepercentuale risulta maggiore di quanto ri-levato nel 2009 dal sistema di sorveglianzasanitaria PASSI per l’ASS 1 Triestina (6) nel-la fascia di età 18-34; con differenze stati-sticamente significative sia per la percen-tuale di intervistati che ha dichiarato di averassunto alcol nell’ultimo mese (77%; IC95%: 64,8-86,5), sia relativamente allemodalità di assunzione a rischio: assunzio-ne fuori pasto 83% (IC 95%: 79-86) vs 29%(IC 95%: 18,6-41,8) di PASSI; durante ilweek-end 85% (IC 95%: 81-89) vs 66% (IC95%: 51,2-78,8); binge drinking 49% (IC95%: 44-53) vs 23% (IC 95%: 13,5-35,2).Da segnalare inoltre nel genere maschile,

con differenze significative rispetto a quel-lo femminile, l’emergere della tendenza abere anche durante la settimana (23%) ed aipasti (21%), quasi a conferma di un confor-marsi tendenziale al modello del bere so-cialmente accettabile, che ha radici nellacultura locale, ma che trova riscontro an-che nelle ricerche condotte ad Arezzo Waveed in Emilia Romagna.Valori superiori a quelli rilevati da PASSI,ma in linea con i risultati dell’indagineEDIT 2008 sui giovani toscani (7), si regi-strano anche relativamente alla guida in sta-to di ebbrezza (14% vs 11%) ed all’esserestati trasportati da guidatore ebbro (22%vs 14%); la minore associazione di tale datocon i minorenni probabilmente va interpre-tata considerando sia la minore disponibili-tà di un mezzo di trasporto per queste età,sia l’intervento dei genitori, che a fine sera-ta prelevano i figli fuori dai locali notturni,o anche l’utilizzo del bus Overnight.Parimenti preoccupanti i dati circa l’utiliz-zo di sostanze psicotrope per tipologia e perpercentuali di consumo: il 61% dei respon-der dichiara di aver usato droghe almenouna volta nella vita. Di questi, il 91% di-chiara di aver utilizzato cannabinoidi, il 25%popper; il 21% cocaina o altri psicostimo-lanti; il 17% funghi allucinogeni; il 12%ecstasy; l’11% LSD; l’11% eroina; il 9%ketamina; l’8% psicofarmaci senza prescri-zione medica. Le percentuali appaiono inlinea con i dati disponibili a livello nazio-nale, tranne per quanto riguarda l’eroina edi cannabinoidi, le cui percentuali di consu-mo riferito sono più elevate nel presentecampione. Tale dato è difficile da interpre-tare, in particolare per l’uso di cannabinoidi(diversa popolazione di riferimento? diver-sa metodologia di indagine?) (8).L’assunzione di ecstasy, ketamina, LSD, fun-ghetti, cocaina-amfetamine e popper è cor-

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relata negativamente con la minore età, ilche fa supporre che abitualmente il primoapproccio a tali sostanze avvenga ad un’etàsuperiore.Non si può dire altrettanto per cannabinoi-di, eroina e psicofarmaci, per i quali nonsono state rilevate differenze di utilizzo si-gnificative fra le diverse fasce di età.Tale evidenza trova riscontro anche nei datidel Dipartimento delle Dipendenze del-l’Azienda Sanitaria Triestina, dai quali emer-ge come la percentuale dei nuovi utenti tos-sicodipendenti di età compresa fra i 16 ed i21 anni sia passata dall’1% nel 2004 al 27%nel 2009.Anche rispetto alle abitudini sessuali emer-gono atteggiamenti di rischio: il 76% deiresponder dichiara di essere sessualmenteattivo, il 54% utilizza il profilattico, men-tre il 20% non usa alcun metodo contrac-cettivo.Quasi 1/6 delle ragazze responders della clas-se 15-17, sessualmente attive, ha dichiara-to di aver avuto più di un partner nell’ulti-mo mese.Il ricorso alla contraccezione di emergenzariguarda quasi la metà delle giovani sessual-mente attive, senza differenze significativeper classi di età. Infatti il 42% delle mino-renni dichiara di aver usato almeno una voltala “pillola del giorno dopo”, suggerendo diconsiderarla quasi alla stregua di un vero eproprio metodo contraccettivo, come con-fermato dagli operatori dei Consultori Fa-miliari.Si configura pertanto, nella popolazione danoi indagata, un ricorso scarso all’unico stru-mento efficace di tutela dalle malattie a tra-smissione sessuale, a fronte dell’aumentodelle stesse negli ultimi anni, come risultadalle notifiche obbligatorie di malattia in-fettiva relative alla popolazione generalepervenute al Dipartimento di prevenzione

dell’ASS1 Triestina. Da tali registri, infatti,fra le malattie sessualmente trasmesse dal2006 al 2009, le notifiche di sifilide sonoaumentate negli anni (2 casi del 2006, 5 nel2007, 17 nel 2008 e 16 nel 2009), ma senzache vi fosse un corrispondente aumento nellenotifiche in Friuli Venezia Giulia né a livel-lo nazionale.Nel 2010, inoltre, 138 utenti (63 maschi)di età dai 15 ai 24 anni si sono rivolti alCentro per le Malattie Sessualmente Tra-smesse dell’ASS 1 di Trieste; a 6 di essi (5maschi) è stata diagnosticata la sifilide,mentre 15 (10 maschi) sono risultati positi-vi per clamydia trachomatis. Nessuna po-sitività è stata rilevata per HIV e HCV.I dati raccolti nella presente rilevazione, purnon essendo rappresentativi dell’universogiovanile, impongono una riflessione sullepossibili strategie di intervento e di preven-zione da attuare in una popolazione bom-bardata da stimoli e modelli sociali di con-sumo accattivanti, che la trovano fragile efacile preda delle nuove mode. Lo studio deicontesti di rischio in cui i giovani si muo-vono, l’analisi costante del territorio, delleabitudini e degli stili di divertimento rap-presenta un osservatorio privilegiato ed unapreziosa occasione di confronto con gli stessiragazzi. Gli operatori del progetto Overni-ght hanno riscontrato una grande disponi-bilità da parte dei giovani intervistati, sia apartecipare all’indagine che a discutere o aproporre riflessioni sui comportamenti arischio. Ciò dimostra che i giovani, quandosi trovano coinvolti dagli adulti in una si-tuazione che garantisce ascolto, attenzione,approccio non giudicante, sono disponibilia “raccontarsi” ed a condividere le loro espe-rienze. Queste evidenze dovrebbero far con-siderare che, almeno in certi contesti, le stra-tegie educative e di prevenzione non posso-no prescindere da una riformulazione delle

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metodologie di comunicazione e contatto,che devono favorire l’espressione delle espe-rienze, dei vissuti, delle difficoltà e dei pro-

blemi, che siano o meno in linea con la faseevolutiva.

Sistema Salute, 56, 3, 2012: pp. 428-435

RECENSIONI

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LIBRO BIANCO 2011. La Salute dei bambi-ni. Stato di salute e qualità dell’assistenza del-la popolazione in età pediatrica nelle regioniitaliane.Hanno curato il Libro Bianco 2001: Direzione scien-tifica: Walter Ricciardi / Segreteria scientifica: An-tonio Giulio de Belvis / Autori: Maria Avolio, DanilaBasso, Silvia Bruzzone, Alessandra Burgio, AntonioGiulio de Belvis, Maria Pia Fantini, Riccardo Longhi,Domenico Minasi, Lodovico Perletti, Tiziana Sabetta

Il primo Libro Bianco sulla salute dei bambini, pre-sentato e curato da Osservasalute e SIP (Società Ita-liana di Pediatria) offre una visione di insieme sullostato di salute e dell’assistenza dedicata al bambinoed all’adolescente nel nostro Paese.Si propone inoltre di analizzare in modo uniforme letematiche che gravitano intorno a queste classi di etàcon dati validi e confrontabili tra le diverse realtàregionali italiane. Infatti dal testo si evince che lasalute dei giovani italiani di età compresa tra 0 e 18anni è complessivamente buona anche se sussistononotevoli disomogeneità a livello regionale ma anchetra i generi e le diverse classi di età per quanto concer-ne stili di vita, comportamenti, accesso e utilizzo deiservizi.La prima parte del volume è quella “Demografica”dedicata alla descrizione della popolazione italiana in

età pediatrica, con indicatori relativi agli aspettidemografici ed allo stato di disabilità.La seconda parte si focalizza invece sui bisogni disalute e sulla qualità dell’assistenza riportando indi-catori concernenti i principali fattori di rischio e stilidi vita, la prevenzione, le malattie infettive, la sicu-rezza delle nascite e l’assistenza territoriale edospedaliera.Per quanto riguarda la struttura demografica dellapopolazione italiana ciò che emerge è che dal 2001 al2010 la popolazione è aumentata nella totalità del5,93%, ma tale incremento non ha interessato la fa-scia di età 0-18 anni; infatti i giovani sul totale dellapopolazione sono diminuiti del 2,64%. I dati confer-mano le preoccupazioni relative all’invecchiamentodel nostro Paese.La regione “più giovane” risulta essere la Campaniacon un aumento percentuale della fascia 0-18 annidel 21,63% mentre la regione più “vecchia” è risulta-ta essere la Liguria con un incremento di solo il14,58%. L’Umbria ha registrato un aumento dellafascia di età 0-18 aa pari al 16,24%.La natalità rappresenta un altro punto di criticità delnostro Paese; infatti il tasso di fecondità totale (il n.di figli per donna) è stato nel 2008 pari a 1,4 figli perdonna che è inferiore al livello di sostituzione (2,1figli per donna) che garantirebbe il ricambio genera-zionale. Siamo tra i tassi più bassi al mondo, USA,Canada, UK sono tutti a più di 2. Ovviamente tutto

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ciò dipende dai servizi sociali e dalla spesa per la fa-miglia e per i servizi rivolti all’infanzia che in Italia èla metà della spesa media europea, l’1,1 del PIL. Altridue punti fondamentali sono l’aumento dell’età me-dia delle madri al parto che nel 2008 è stata di 31,1anni (-+0,7 aa rispetto al 2000) e l’incidenza dei natida madri straniere che nel 2008 sono stati il 15,9%dei nuovi nati (+ 9.5 punti rispetto al 2000). C’èstato anche un incremento dai nati da cittadini stra-nieri sia con uno che con entrambi i genitori stranieri(nati da madri straniere nel 1999 =5,4% - nati damadri straniere nel 2008 =15,9%). L’incidenza deinati da almeno un genitore straniero ricalca la distri-buzione territoriale della presenza straniera nel no-stro paese (maggiore nelle regioni del Nord).Anche la Sopravvivenza e la Mortalità sono aspettiche sono stati valutati.Per quanto riguarda l’aspettativa di vita alla nascita,questa continua ad aumentare e persiste il vantaggiodel genere femminile anche se il divario rispetto algenere maschile continua a ridursi. C’è inoltre unariduzione del tasso di mortalità infantile che ricordia-mo è una buona misura dello stato di salute dellapopolazione ed è anche un indicatore chiave di SanitàPubblica. Nei trienni 2003-2005 e 2006-2008 lamortalità infantile si è ridotte del 8,70% (e in misuramaggiore la componente neonatale - 9,90%). No-nostante ciò in tutte le microaree esaminate(Nord-Centro-Mezzogiorno) permangono disparitàgeografiche Nord-Sud che, seppure in riduzione, rap-presentano una delle più gravi disuguaglianze chepersistono nel nostro Paese.L’ultimo aspetto analizzato nella prima parte del trat-tato riguarda la Disabilità.Nelle scuole statali è stato osservato un notevole in-cremento dei ragazzi con disabilità. I Disabili sonoinfatti il 16-20% della popolazione scolastica(patologie neuropsichiche comportamentali gravi).Per entrambi gli ordini di scuola I e II di primo gradola disabilità maggiore è quella intellettiva (71,5% sc.I’- 76,9% sc. II).Quelli appena elencati sono i punti salienti della pri-ma parte del libro.Nella seconda parte si descrivono i fattori di rischio egli stili di vita dei bambini e degli adolescenti italia-

ni; comportamenti che oltre a radicare abitudini sba-gliate nei nostri ragazzi, finiranno per condizionareanche la loro vita futura costituendo importanti fat-tori di rischio per lo sviluppo di eventuali patologie.Gli aspetti fondamentali che vengono analizzati sonomolteplici.Iniziando dall’alimentazione, negli ultimi anni ilsovrappeso e l’obesità hanno acquisito un’importanzacrescente sia per le implicazioni dirette sulla salutedel bambino che per il fatto di porre le basi per in-staurare patologie importanti nell’età adulta.Complessivamente i dati rilevati nel 2010 risultanoleggermente inferiori (sovrappeso -0,9%;obesità-3,5%) rispetto a quelli osservati nella prima raccoltadel 2008, ma confermano livelli preoccupanti di ec-cesso ponderale. Nello specifico, il 22,9% dei bam-bini risulta in sovrappeso e l’11,1% in condizioni diobesità. C’è una spiccata variabilità interregionale conpercentuali tendenzialmente più basse nell’area set-tentrionale e più alte nel centro-sud.Anche per quello che riguarda l’attività fisica, i datisono molto variabili. Le abitudini sportive cambianomolto in base alla fascia di età che viene considerataed anche in base al sesso.Nel 2010 le quote più elevate di bambini/giovaniche praticano sport in modo continuativo si riscon-trano nella classe di età 6-17 anni ed, in particolare,tra gli 11-14 anni(56,3%). Lo sport saltuario risultainvece in percentuali più alte tra i 18-19 anni (14,5%)anche se presenta un incremento al crescere dell’età.Per il genere, i dati mostrano delle profonde differen-ze poiché i livelli di pratica sportiva sono molto piùalti tra i maschi e quindi la quota di sedentarietà èmaggiore tra le femmine, tranne per la fascia di età3-5 anni.Anche l’abuso di fumo di tabacco e di alcol rientranotra gli stili di vita sbagliati dei ragazzi italiani. Nellapopolazione italiana tra 15-24 anni la quota dei fu-matori è pari al 21,5%, a livello nazionale. Taledato in confronto con il dato del 2000, risulta leg-germente minore (-1,8%). I maschi fumano piùdelle femmine, ma il trend femminile è sempre piùin aumento.Per quanto riguarda l’abuso di alcool, nel 2010 laprevalenza di coloro che hanno consumato almeno

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una bevanda alcolica nell’anno è maggiore per il ge-nere maschile e, soprattutto, nella classe 18-19 anni(76,0% vs 59,8%).Nelle abitudini e nei comportamenti relativi alla sa-lute si registrano quindi differenze di genere che siacuiscono con l’età, sebbene ci sia stato un avvicina-mento delle ragazze alle abitudini meno salutari deiloro coetanei relativamente a consumo di bevande ealimenti.Per quanto riguarda la Prevenzione si è assistito ad unaumento delle coperture vaccinali, obbligatorie e rac-comandate per le malattie infettive ad eccezione del-la poliomielite che presenta una riduzione seppurminima.Relativamente alla distribuzione territoria-le, nell’anno 2009 si registrano per le vaccinazioniobbligatorie, valori regionali superiori all’obiettivominimo stabilito dal Piano Nazionale Vaccini in qua-si tutte le regione tranne nella PA di Bolzano, inCampania e per l’HBV in Veneto.Per quanto riguarda le vaccinazioni raccomandate(pertosse, morbillo, parotite, rosolia) la percentualedi copertura vaccinale pur essendo aumentata nel tem-po presenta, nel 2009, un valore pari all’89,9%.Per quanto riguarda la vaccinazione MPR il valoreottimale previsto è stato raggiunto solo in Umbria(95,2%) ed in Sardegna (95,5%).Altri tre punti fondamentali che vengono analizzatisono la Sicurezza delle Nascite, l’Assistenza territoria-le e l’Assistenza ospedaliera.Per quanto riguarda la Sicurezza delle Nascite, l’indi-catore che viene preso in considerazione riguarda l’or-ganizzazione dei punti nascita che come previsto daDM del 24 Aprile 2000 “Progetto Obiettivo Mater-no Infantile” (POMI) è strutturata su tre livelli diassistenza (I livello almeno 500 parti, II livello alme-no 800 parti, III livello almeno 1000 parti).La conferenza Stato-Regioni, con l’accordo del 6Dicembre 2010 ha approvato le nuove “Linee di in-dirizzo per la promozione ed il miglioramento dellaqualità,della sicurezza e dell’appropriatezza degli in-terventi assistenziali nel percorso nascita e per la ri-duzione del taglio cesareo” che prevede tra le linee diazione la razionalizzazione della rete dei punti nasci-ta, l’abbinamento per pari complessità di attività del-le Unità Operative ostetrico-ginecologiche con quelle

neonatologiche-pediatriche e l’attivazione ocompletamento e messa a regime del Sistema di Tra-sporto Assistito Materno (STAM) e Neonatale diEmergenza (STEN).Malgrado il POMI ed i successivi Piani Sanitari ab-biano indicato lo STEN tra le priorità da istituire,attualmente solo 12 tre regioni e PA sono fornite ditrasporto attivo sul territorio. Delle restanti regio-ni,4 hanno una copertura parziale o inadeguata (Pie-monte, E. Romagna, Sicilia, Sardegna) e 5 non han-no attivato alcun tipo di trasporto (Abruzzo, Molise,UMBRIA, Basilicata e Calabria).Alcune di queste regioni hanno un tasso di mortalitàneonatale, più elevato rispetto al valore nazionale.Nel nostro Paese la distribuzione dei punti nascitarisulta essere molto variegata per dimensioni e perdistribuzione sul territorio.Anche se lo standard a cui tendere per assicurare lasicurezza in sala parto è di almeno 1000 parti l’anno(soglia indicata dall’OMS) più di 1 parto su 4 si veri-fica in punti nascita al di sotto di tale standard diqualità. Nel 2008 infatti, il 9,1% dei parti è avvenu-to in strutture con classe di ampiezza <500 partianche se, rispetto al 2005 è stata registrata una dimunizione dell8,6%. Punti nascita di piccola am-piezza sono più frequenti nel Sud e i parti in questicentri raggiungono i valori maggiori in Sicilia (10.850parti) seguita dalla Campania (9282 parti). Nello stes-so arco di tempo considerato (2005-2008) invecePiemonte e Veneto hanno mostrato una riduzionedel 100% di parti in punti nascita con volume <500;in controtendenza la Liguria che fa invece registrareun incremento del +326,7%.Nel nostro Paese, contrariamente a quanto auspicatoe raccomandato dall’OMS, dalle istituzioni e dalleindicazioni professionali, si è assistito ad un progres-sivo aumento della frequenza dei parti mediante Ta-glio Cesareo. Tale andamento ha determinato unnotevole incremento rispetto alla soglia del 15,0%che garantirebbe il massimo beneficio per la madre eper il feto. La percentuale dei parti cesarei viene cal-colata rapportando i TC ed il numero dei parti totale.Di notevole importanza è distinguere i TC primaridai ripetuti, poiché ad un TC primario seguirà, conmolta probabilità un TC ripetuto.

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In Italia nel 2008 la percentuale dei TC sul totale deiparti è stata pari al 39,2%, con un aumento del 22,8%rispetto al 2001.C’è una cospicua variabilità regionale con valori piùalti nelle regioni del Sud con i primati dellaCalabria(31,9%) e Campania (34,0%). I valori piùbassi si registrano in Friuli Venezia Giulia (16,7%) ePA di Trento (16,5%).Per i TC ripetuti invece c’è un notevole aumento alivello nazionale. Nello specifico l’incremento mag-giore è stato in Campania (+83,9%) il più contenu-to nelle Marche (+30,1%).L’Italia è tra i paesi a sviluppo sanitario avanzato,quello con il maggior numero di Unità Operativa diTerapia intensiva Neonatale (UOTIN) anche se ciònon si lega ad una miglior qualità nell’assistenza cheè invece legata al volume di attività erogata.Nel nostro Paese nel 2008, delle 125 UOTIN pre-senti nei 551 punti nascita analizzati, soltanto 100 sitrovano in punti nascita con volume di parti l’anno>1.000 (Standard qualitativo auspicato).Le restanti 25 UOTIN si trovano in strutture cheeffettuano meno di 1000 parti annui. Perciò una quo-ta di neonati ad alto rischio può ricevere una assisten-za non adeguata al bisogno e con impiego di tecnolo-gie e professionalità inappropriate.Non è comunque necessario un punto nascita conalmeno 1000 parti/anno per giustificare una UOTIN,bensì un bacino di utenza di almeno 5.000 parti/anno. La letteratura internazionale indica un bacinodi utenza fra 7000 ed i 12 000 parti l’anno. Conclu-dendo il numero di UOTIN in Italia è troppo alto (1ogni 4.400 nati).Un altro punto che viene analizzato è quello che ri-guarda l’Assistenza territoriale.Il SSN affida al Pediatra di Libera Scelta (PLS) l’assi-stenza specialistica globale di primo livello del bam-bino dalla nascita fino ai 14-16 anni.Negli altri paesi europei il pediatra è uno specialistadi secondo livello mentre in Italia è uno specialista,libero professionista che opera sul territorio garan-tendo il primo livello di cure, in un regime di con-venzione con il SSN, ed è quindi parte integrantedell’assistenza territoriale.Esistono forme associative per la Pediatria così come per

la MG quella più frequente è la pediatria di gruppo.Nel 2006 le statistiche effettuate anche se non com-plete, riguardanti la porzione dei pediatri in gruppomostrano ai primi posti le seguenti regioni: UMBRIA(23,4%) Liguria (20,1%) Emilia Romagna (18,1%)Lombardia (11,8%) Lazio (11,3%) Abruzzo (7,0%).Il numero dei PLS a livello nazionale e nell’arco tem-porale 2001-2008 è aumentato del 6,3% passandoda 7199 a 7649. Tutte le regioni del Centro-Nordhanno registrato un aumento, mentre nel sud tranneche in Campania (+0,8%) si è osservato un decre-mento.Nel 2008 il limite massimo di bambini per pediatra(800 assistiti) è stato superato in ogni regione, anchese si è assistito ad una riduzione del numero di assisti-ti per pediatra.Un’altra realtà importante che è stata valutata è stataquella dei consultori, soprattutto per quanto riguar-da l’abortività volontaria nelle minorenni. Questa èstata nel 2007 pari a 7,3 (per 1000) in diminuzionerispetto al dato del 2004 (7,5 per mille). La riduzioneè stata registrata in quasi tutte le regioni ad eccezionedi Valle D’Aosta, Calabria, Campania e PA diBolzano.L’ultimo tema trattato è quello relativo all’Assisten-za ospedaliera.In Italia la distribuzione della rete ospedalierapediatrica è piuttosto disomogenea.Negli ultimi anni si è inoltre assistito ad una progres-siva riduzione dei posti letto nei reparti pediatricidovuta soprattutto alla diminuzione delle nascite edall’implementazione delle cure primarie attraversol’attività dei PLS.Nel nostro Paese, nel 2007, i posti letto pediatricisono 6221 in regime di ricovero ordinario (RO) e1311 in regime di day hospital (DH).La regione con il maggior numero di posti letto inRO è la Lombardia con (1086) seguita dalla Sicilia(717); il minor numero è in Valle d’Aosta (9). Valorisovrapponibili per i posti letto in ricovero per il regi-me di DH.L’Umbria risulta essere tra le regioni con un tassomaggiore di posti letto per il regime di DH (0,26 per1000).Un’altra importante osservazione è che i ricoveri in

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regime ordinario diminuiscono anche se, in molteregioni i tassi sono ancora più elevati, più del doppiorispetto ad altri paesi europei come ad esempio laSpagna o l’Inghilterra. E’ però confortante l’aumen-tato ricorso all’ospedalizzazione nella cosiddetta “areapediatrica ospedaliera”, costituita da strutture e dapersonale medico ed infermieristico dedicato esclusi-vamente al bambino e all’adolescente, che favorisceuna maggiore attenzione ai bisogni del bambino edella sua famiglia.Sulla qualità dei ricoveri si è inoltre osservata unariduzione in ricovero ordinario ed in day hospital deiricoveri per DRG medici mentre si osserva una di-minuzione in ricovero ordinario ma un aumento inricovero DH per i DRG chirurgici.C’è inoltre un ampia variabilità regionale per quantoriguarda l’utilizzo del DH per DRG medici a rischiodi inappropriatezza, con elevato scostamento per ivalori relativi alla classe 0-14 ma non per la classe 15-24. Le dimissioni in RO prevalgono su quelle in DH.Un altro aspetto importante riguarda la mobilitàospedaliera interregionale; il ricovero in una struttu-ra ospedaliera in una regione diversa da quella di resi-denza del paziente in età pediatrica costituisce unfenomeno frequente in termini quantitativi e rile-vante per la programmazione sanitaria.Infatti il fenomeno fornisce indicazioni sui LivelliEssenziali di Assistenza che devono essere garantitidalle regioni e su possibili squilibri nell’organizzazio-ne dei servizi sanitari. La mobilità interregionale di-pende in parte dalla vicinanza geografica tra il luogodi residenza e la struttura ospedaliera. Tale fenomenoè spiegato dall’elevato valore di percentuale di mobi-lità in uscita nelle regioni piccole: Valle d’Aosta,Molise e Basilicata hanno avuto una percentuale del-l’indice di emigrazione prossima al 30%. Oltre aqueste realtà territoriali esistono delle vere e proprie

“regioni di fuga” con un flusso di emigrazione signi-ficativamente superiore alla media e sono la Calabria(18,0%) l’Abruzzo (17,0%) l’UMBRIA (18,0%)ela PA di Trento.Molti dei ricoveri presso strutture ospedaliere fuoriregione, risultano essere inoltre inappropriati, soprat-tutto perché vengono ricoverati bambini non perpatologie croniche complesse ma per patologie “sem-plici” che potrebbero essere gestite dal proprio pedia-tra di famiglia o comunque sul territorio; le patologieper cui spesso si ricoverano bambini fuori regionesono: esofagiti, gastroenteriti e malattie dell’appara-to digerente, patologie del rene e delle vieurinarie,chemioterapia non associata a diagnosi se-condaria di leucemia acuta, tonsilliti e/oadenoidectomia.Nonostante si registri un progressivo ricorso a formepiù appropriate e sicure dell’assistenza ospedaliera,esistono ancora differenze tra le regioni, soprattuttoa svantaggio del Meridione.Il rapporto testimonia gli enormi progressi consegui-ti per alcuni indicatori chiave della qualità dell’assi-stenza; positivi infatti i dati sulla mortalità infantile esull’aspettativa di vita che mettono l’Italia ai primiposti tra i Paesi dell’Organizzazione per la Coopera-zione e lo Sviluppo Economico.In generale i dati analizzati mostrano un quadro com-plessivamente buono dello stato di salute di bambinie adolescenti anche se emergono importanti diffe-renze oltre che a livello regionale anche tra i generi etra le classi di età. Questo elemento solleva la neces-sità di un maggiore orientamento degli attori delsistema e delle organizzazioni socio-sanitarie versouna maggiore appropriatezza e razionalizzazione nel-l’utilizzo delle risorse.

Silvia Ribiscini e Giancarlo Pocetta

Sistema Salute, 56, 3, 2012: pp. 433-435

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

Benasayag M. La salute ad ogni costo. Medi-cina e biopotere. Vita e pensiero Ed.; Mila-no, 2010, pp 103.

Miguel Benasayag, filosofo e psicanalista argentino,sottratto alla fine degli anni ’70 dalle pressioni diplo-matiche francesi alle carceri della sanguinaria ditta-tura militare grazie alla sua doppia nazionalità, viveda molti anni in Francia dove ha pubblicato numero-si testi, solo alcuni dei quali sono stati tradotti initaliano (vedi scheda dell’autore su Wikipedia). Nelvolumetto qui recensito B. si colloca nel grande alveodella riflessione filosofica foucaultiana con lo sguar-do acuto ed irrequieto che caratterizza molti autoridella sua terra di origine, proponendo una allarmatalettura delle relazioni tra medicina e biopotere, cheviene descritta nel suo progressivo divenire “metododi controllo sociale, un biopotere, appunto, che controllae sorveglia la vita nei suoi processi biologici più inti-mi inquadrandola secondo norme sanitarie, elimi-nando qualsiasi fragilità, considerando ogni sofferen-za – ma anche ogni diversità – come patologia dasanare, come alterità da esorcizzare. Un biopotereche bisogna saper riconoscere e contrastare, per evi-tare il rischio che la figura umana sia sempre piùmodificata nella sua ricchezza e libertà”.B. valorizza dunque in questo testo la accezionefoucaultiana del biopotere come moderno eserciziodella governamentalità ordoliberale, a sua volta ba-sata su un opportuno mix di espressioni attive delpotere (da minimizzare in ossequio al principio dellaminore presenza necessaria dello stato propriodell’ordoliberalismo) e della messa in campo sia ditecniche disciplinari volte a creare soggettività as-soggettate, sia del biopotere come intervento sullavita delle popolazioni – natalità, sopravvivenza,mortalità, ecc. – il cui combinato disposto si propo-ne di costruire le condizioni in cui all’uomo vieneconsentita quella “sopravvivenza disciplinata” cuiappunto tende il concetto di governamentalità. Soloper avere assunto questo punto di vista, il testo po-trebbe già risultare stimolante per quella larga partedel mondo igienistico italiano che si è formato in uncontesto culturalmente centrato su una accezione

comunque positiva degli interventi di prevenzionesulle popolazioni e che da qualche anno sembra esser-si arruolato di buon grado in quel particolare eserci-zio della educazione e promozione della salute che –essendo rivolta alla prescrizione di comportamentiindividuali “salutari” – sembra incarnare piuttostobene le tecniche disciplinari cui si è fatto riferimento.La ricerca della “salute ad ogni costo” viene così indi-viduata da B. come il terreno su cui oggi si misura,snaturandosi, la medicina contemporanea. “Spostan-do il suo asse dalla guarigione alla gestione della malat-tia – dalla medicina della diagnosi alla medicina del-le classificazioni – la medicina ci indical’uniformazione alla sua logica come la sola via per-corribile e diventa manifestazione di un individuali-smo esasperato, spesso lusso di paesi ricchi, invaden-za di una tecnologia in continuo sviluppo”. Gli esem-pi che vengono forniti sul divenire della medicinastrumento della governamentalità afferiscono a cin-que aree di attività (handicap, cancro, psichiatria,palliazione, demenze senili) dove più che di un arduoprocesso di cura, B. vede la medicina farsi caricodella gestione di processi assistenziali volti ad affer-mare il recupero della normalità come unica condi-zione performativa possibile, il che le impedisce divalorizzare sensibilità, abilità e capacità sviluppatenelle specifiche condizioni di sofferenza, di cui talorail “normale” è privo o addirittura, privato.Le pratiche di assoggettamento della cui erogazionela medicina oggi si incarica si sublimano poi nelletecniche bioterapeutiche. Oggetto di uno sviluppotanto tumultuoso quanto preoccupante, da aprire,secondo B, l’epoca del “post umano”, dove “l’uomonon è più al centro del dispositivo del biopotere: decadutidal posto di onore, gli uomini vengono ora qualifica-ti, controllati, marcati (marcatura con il DNA per lepopolazioni emigrate, microchip sottocutanei comemodalità di identificazione); il vivente viene brevet-tato e quindi reificato, si costruiscono biotecnologi-camente entità “miste” e la vita in generale vieneartificializzata. Il biopotere ha costruito un modellodi vita e di uomo ora concepiti come aggregati diorgani e/o di parti da gestire”.A fronte di questa deriva il nostro autore valorizzauna concezione dell’uomo rispettosa del suo essere

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un “organismo unificato” con i molti ambienti socioculturale e naturali in cui si sviluppa, stimolandocisulla opportunità di assumere una concezione dellasalute finalmente adatta alle molte forme che di fat-to assume un “organismo” che, in quanto plasmatodai contesti, non si esaurisca nella mera fisicità indi-viduale, divenendo pertanto - in analogia a quantoGunther Teubner propone per la giustizia - come“politicontesturale”. In questo senso le conclusioni diB. collimano anche con le osservazioni di alcunineurofisiologi, tra cui Alva Noe (vedi “Noi non sia-mo il nostro cervello” editore Cortina Raffaello, col-lana Scienza e idee) che valorizzano il ruolo dell’am-biente nel plasmare le funzioni organiche e, alcontempo, l’impossibilità di replicarle tramite labioprogettazione, in quanto private dall’improntainterattiva dei contesti.Detto questo, il testo, oltre ad una certa essenzialitàargomentativa, risente dei limiti propri della stessaconcezione foucaultiana del biopotere, strategia sen-za stratega che plasma la vita degli umani, che pure laproducono, senza lasciare loro margini di interventosul biopotere stesso, in un cupo scenario in cui l’eser-cizio biopolitico assume le caratteristiche di un“Moloch” che sembra poter essere solo subito, nonessendovi come nel caso delle tecniche disciplinarialcun processo possibile di contro soggettivazione.In realtà vari autori, in particolare della scuolapostoperaista, situando il punto di vista foucaultiano,hanno messo in risalto la possibilità di una diversaaccezione del biopotere che cambia così di segno aseconda delle finalità con cui vengono gestite le tec-niche di cui dispone: Hardt e Negri evidenziano comenel biocapitalismo il biopotere possa si assumere an-che le tinte fosche del necropotere, ma veda contrap-porsi ad esso la biopolitica come “potere della (no-stra) vita che resiste e che determina soggettivitàantagonista”.In tale prospettiva è l’uso comune del sapere socialela chiave per dare alla salute, alla medicina e anche aquelle sue branche di cui questa rivista si occupa,quella finalizzazione che B. vede messa in crisi dallaricerca della salute ad ogni costo.

Carlo Romagnoli

Air quality in Europe - 2012 Report / Relazio-ne Qualità dell’aria in Europa 2012. Europe-an Environment Agency, EEA, 2012, pp.108

Questo rapporto presenta una panoramica e un’ana-lisi dello stato e delle tendenze della qualità dell’ariain Europa, sulla base di misure di concentrazione inaria ambiente e sulla base dei dati sulle emissioni diorigine antropica e sulle tendenze dal 2001 – anno incui il monitoraggio obbligatorio delle concentrazio-ni nell’aria ambiente degli inquinanti selezionati haprodotto le prime importanti informazioni sulla qua-lità dell’aria – al 2010.Il report fornisce anche una panoramica delle politi-che e delle misure a livello europeo per ciascun inqui-nante.Quasi un terzo degli abitanti delle città europee èesposto a concentrazioni eccessive di particolato insospensione nell’aria (PM) Il particolato è una dellesostanze inquinanti più nocivi per la salute umana inquanto penetra nelle parti sensibili dell’apparato re-spiratorio. L’UE ha compiuto dei progressi nel corsodegli ultimi decenni nella riduzione delle sostanzeinquinanti atmosferiche che provocano acidificazione,ma una nuova relazione pubblicata oggi dall’Agen-zia europea dell’ambiente (AEA) indica che molteparti d’Europa continuano ad avere persistenti pro-blemi per quanto riguarda le concentrazioni all’aper-to di PM e ozono troposferico.Janez Potoènik, Commissario per l’ambiente, ha di-chiarato: “Questa relazione serve a ricordarci quantosia importante la qualità dell’aria per la salute deinostri cittadini. Ecco perché voglio che il 2013 sial’Anno della qualità dell’aria e perché intendo con-centrarmi sul rafforzamento della nostra normativain materia per poter affrontare i problemi che sonostati individuati oggi”.La Professoressa Jacqueline McGlade, direttore ese-cutivo dell’AEA, ha dichiarato: ”La politica perse-guita dall’Unione europea è riuscita a ridurre le emis-sioni di molte sostanze inquinanti nel corso dell’ulti-mo decennio, ma si può fare di più. In molti paesi, leconcentrazioni di sostanze inquinanti rimangono so-pra i limiti legali raccomandati stabiliti per protegge-

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re la salute dei cittadini europei. In effetti l’inquina-mento atmosferico riduce l’aspettativa di vita di cir-ca due anni nelle città e nelle regioni più inquinate”.In Sintesi i risultati principali- Il particolato (PM) costituisce il maggior rischioper la salute dovuto all’inquinamento atmosfericonell’UE, che può condurre a morte prematura. Larelazione stima che nel 2010 il 21% della popolazio-ne urbana sia stata esposta a livelli di concentrazionedi PM10 superiori ai valori limite giornalieri più se-veri, fissati dall’UE a salvaguardia della salute. Finoal 30% della popolazione urbana era esposta a livellidi concentrazione del particolato più fine (PM2,5)superiori ai valori limite annuali (meno severi) fissatidall’UE. Secondo i livelli di riferimento dell’OMS,che sono ancora più severi di quelli imposti dallanormativa dell’UE, rispettivamente fino all’81% e al95% degli abitanti delle città si trovavano esposti aconcentrazioni di PM superiori ai valori di riferimen-to stabiliti per la protezione della salute umana, il cheevidenzia l’urgenza della prossima revisione dellanormativa sulla qualità dell’aria.- L’Ozono (O3) può provocare problemi all’appara-to respiratorio e condurre a morte prematura. L’espo-sizione nei centri urbani è molto elevata: il 97% de-gli abitanti delle città dell’UE nel 2010 era esposto aconcentrazioni di O3 superiori al livello di riferi-mento dell’OMS. il 17% era esposto a concentrazio-ni superiori al valore obiettivo fissato dall’UE perl’O3. Nel 2009, il 22% delle terre coltivabili in Eu-ropa era esposto a concentrazioni nocive di O3, chehanno provocato la perdita di raccolti.- Il biossido di azoto (NO2) è una delle principalicause di eutrofizzazione (crescita eccessiva di piantee alghe nell’acqua) e di acidificazione e contribuisce

inoltre alla formazione di PM e O3. Nel 2010, il 7%degli abitanti delle città europee era esposto a livellidi NO2 superiori ai valori limite dell’UE. Le emis-sioni a livello nazionale di ossidi di azoto in moltipaesi europei superano ancora i massimali di emissio-ne stabiliti dalla normativa dell’UE e previsti dagliaccordi presi in ambito ONU.- Il benzo(a)pirene (BaP) è cancerogeno. Una per-centuale importante della popolazione urbana nell’UE(20-29% tra il 2008 e il 2010) era esposta a concen-trazioni superiori al valore obiettivo dell’UE, chedovrà essere rispettato entro il 2013. L’aumento del-le emissioni di BaP registrato in Europa nel corsodegli ultimi anni è pertanto un motivo di preoccupa-zione.- Il biossido di zolfo (SO2) costituisce un grandesuccesso: le emissioni sono state ridotte in misurasignificativa negli ultimi anni grazie alla normativadell’UE che imponeva l’utilizzo di una tecnologiaper eliminare le emissioni e di carburanti con un mi-nore contenuto di zolfo. Il 2010 è stato il primo annoin cui la popolazione urbana dell’UE non era espostaa concentrazioni di SO2 superiori al valore limitedell’UE.- Nell’UE le concentrazioni nell’aria esternadi monossido di carbonio, benzene e metalli pesan-ti (arsenico, cadmio, nichel, piombo) sono general-mente modeste, localizzate e sporadiche, con pochicasi di superamento dei valori limite e dei valori obiet-tivo fissati dalla normativa europea.Disponibile al sito: http://www.eea.europa.eu/publications/air-quality-in-europe-2012.

Giuseppe Masanotti

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Sistema Salute, 56, 3, 2012: pp. 436-448

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

PremessaCi sono almeno tre buone ragioni per cui noiambientalisti siamo favorevoli al biogas.La prima riguarda il contributo che la produzione dibiogas può dare all’uscita dal fossile (e nell’immedia-to alla riduzione dell’utilizzo di fonti fossili), in quan-to è una fonte rinnovabile (come le biomasse solide eliquide) non intermittente, che può produrre elettri-cità per tutto il giorno e tutto l’anno. Tanto che ilbiogas è una delle fonti energetiche più importantiper il raggiungimento in Italia degli obiettivi europeifissati dall’Unione Europea per il 2020 (20% di ener-gia da fonti rinnovabili sul consumo energetico lordoe 10% sul consumo energetico finale nel settore deitrasporti).La seconda è che il biogas rappresenta una grande op-portunità per l’agricoltura e l’ambiente, nella misurain cui concorre all’integrazione del reddito agricolo,alla valorizzazione dei suoi sottoprodotti che altrimentisarebbero trattati come rifiuti tout court. La prospetti-va migliore per l’agricoltura e l’ambiente, verso cui cidobbiamo muovere, è quella dell’aziendamultifunzionale.La terza riguarda il rilancio in Italia di politiche organi-che per lo sviluppo della produzione di energia elettri-ca e termica da fonti rinnovabili. Dopo il V ContoEnergia, che ha eliminato dallo scenario il vecchio

Il biogas. Criteri per una produzione sostenibileBiogas. Criteria for a sustainable production

LEGAMBIENTE19 settembre 2012

modello di incentivazione delle fonti rinnovabili, nonci possiamo permettere altre “defezioni”. Mentre dob-biamo lavorare al meglio per consolidare il modello diproduzione distribuita. Il biogas, e più in generale leagrienergie, come Legambiente ricorda ormai da anninon possono ignorare la loro specificità di fonteenergetica indissolubilmente legata alle economie agri-cole locali e ai contesti territoriali. Di conseguenza, illoro sviluppo corretto non può che essere altamentedecentralizzato.Tuttavia, soprattutto negli ultimi anni, il biogas è statoanche occasione di iniziative speculative (rischio che siridurrà a partire dal 1 gennaio 2013, visto il nuovosistema di incentivi sulle rinnovabili elettriche nonfotovoltaiche) che poco hanno avuto a che fare conl’uso sostenibile delle risorse naturali dei territori, e inalcuni casi, impianti mal gestiti hanno prodotto fortiproblemi nell’accettazione sociale anche agli operatoripiù virtuosi. Ad acuire la confusione, poi, si è aggiuntala preoccupazione per la possibile diffusione di batteripatogeni attraverso il ciclo del digestato e lo spargi-mento sui suoli del compost di qualità da esso prodot-to.A partire da questi aspetti, il documento vuole stimo-lare la riflessione sul tema e individuare i criteri diriferimento per la valutazione dei progetti per la pro-duzione di biogas su scala locale.

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Punti di forza del biogasSe confrontato con le altre bioenergie, il biogas pre-senta una serie di punti di forza, tra cui l’elevato rendi-mento energetico (per esempio rispetto a caldaie emotori a olio vegetale) ed elettrico rispetto al consu-mo totale di energia (35-40%) e per ettaro coltivato.È poi una fonte energetica complessa che cioè impiegauna vasta gamma di materie prime – residui agrico-li, zootecnici, agroindustriali, da Forsu (Frazione orga-nica da rifiuti solidi urbani), colture dedicate di primoe secondo raccolto, ma anche fanghi di depurazione -ma che sono ampiamente diffuse su gran parte delterritorio italiano. Un aspetto quest’ultimo che ne fauna fonte fortemente legata ai territori e in particolareall’agricoltura. Il biogas, infatti, è in grado di valoriz-zare i residui che altrimenti verrebbero trattati comerifiuti e che spesso sono una grave fonte di inquina-mento (con tecnologia adeguata il digestore sarebbeanche in grado di ridurre le concentrazioni di ammoni-aca, producendo fertilizzanti azotati che in questo modonon devono essere prodotti da impianti chimici dedi-cati).Diversamente dalle altre bioenergie, il biogas può es-sere trasformato in biometano ed essere immesso nellarete del gas o utilizzato come carburante nei trasportiin sostituzione del metano di origine fossile. Proprioper l’abbondanza di matrici utilizzabili, infatti, il me-tano da biogas è oggi l’unico biocarburante che con-sente potenzialmente all’Italia di raggiungere l’obiet-tivo del 10% di carburanti alternativi al 2020, impo-sto dalla direttiva UE sulle Fonti Rinnovabili.Inoltre, il residuo di processo (il digestato) conserva laparte organica (lignocellulosica e proteica) e minerale(azoto in particolare) presenti nelle biomasse utilizzatee, se correttamente gestito, è utilizzabile sia comeammendante (apportatore di sostanza organica, fon-damentale per la fertilità dei suoli) sia come fertiliz-zante (apportatore di azoto ammoniacale a prontacessione) in sostituzione di concimi chimici di sintesi,con notevoli vantaggi ambientali.

I criteri per il biogasIl criterio fondante per la produzione di biogas è lafiliera corta, perché tiene conto del fatto che questafonte è perfettamente in grado di adattarsi alle risorsee ai sottoprodotti disponibili localmente. I benefici diuna filiera corta sono molteplici: di tipo ambientale(riduzione delle emissioni di carbonio prodotte dai tra-sporti1), ma soprattutto di tipo sociale ed economico,a partire dal reimpiego di residui che sarebbero di dif-ficile gestione per il territorio.Gli altri criteri si possono individuare tenendo conto didue specifici tipi di filiere per la produzione di biogas:a) Filiere di produzione industriale del biogasb) Filiere di produzione agricola del biogasQueste due tipologie richiedono infatti diverse moda-lità di organizzazione e fonti di approvvigionamento esi distinguono per dimensioni di impianto.

Biogas da produzione industrialeSi tratta di filiere dove il biogas è prodotto da Forsu(Frazione organica dei rifiuti solidi urbani) oppure dafanghi di depurazione, da captazione di metano in di-scarica e da altri scarti di processi agroindustriali divaria natura. In questi casi, soprattutto per ragioni diprofilassi, è bene che queste matrici siano destinate aimpianti di tipo industriale, dotati di adeguate piatta-forme logistiche, perché anche la produzioneagroindustriale spesso è frammentata in centri di di-mensioni medio-piccole. Questo tipo di filiere indu-striali sono funzionali per la produzione del biometanoche esige impianti di taglia medio-grande (vari MWdi potenza) e che giustifichino l’investimento nel suc-cessivo processo di raffinazione del biogas (upgrading).Questi impianti non vanno alimentati con colturededicate e andrebbero collocati in aree industriali at-trezzate (anche per utilizzare il calore residuo dellaproduzione elettrica, qualora non si producabiometano) nei pressi delle principali fonti di pro-duzione dello scarto-materia prima. I residui del pro-cesso di digestione anaerobica/raffinazione devono es-

1 In realtà, come sottolinea il recente documento di Chimica Verde sulla Sostenibilità dei Bioprodotti (maggio2012) “l’opinione diffusa che la filiera corta di per sé comporti una riduzione di emissioni, in quanto riduce ipercorsi delle merci, andrebbe verificata di caso in caso.”

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sere sottoposti a post-trattamenti come ilcompostaggio, se la materia prima è costituita da rifiu-ti (le elevate temperature riducono ulteriormente lapresenza di patogeni), oppure trattamenti che conser-vano gli elementi nutritivi presenti nel digestato (comeessiccazione o stripping dell’ammoniaca), che consen-tono di ottenere ammendanti e fertilizzanti utili al-l’agricoltura.

Biogas da produzione agricolaIl biogas agricolo ha la sua ragion d’essere nell’usoottimale delle risorse del fondo ed è destinato princi-palmente a impianti di piccola taglia per lacogenerazione di elettricità/calore: fino a qualchecentinaio di kW nel caso di singole aziende, ma vannofavoriti anche impianti di potenza superiore se sitratta di cooperative o consorzi di agricoltori che siassociano per gestire nel modo più efficiente la filieradel biogas2.La qualità di una filiera di biogas agricolo dipende da:l’origine delle materie prime, l’uso delle colture dedi-cate, l’uso efficiente del calore, le garanzie per la salutedei cittadini e l’impiego corretto del digestato.

Origine delle materie primeData l’elevata redditività del biogas, parecchi investi-tori, spesso estranei al mondo agricolo, hanno preso inaffitto terreni agricoli con l’obiettivo di utilizzare inprevalenza o in toto le materie prime a più alto rendi-mento, ossia gli insilati di colture dedicate: sorgo,triticale ma soprattutto mais. Se da un metro cubo diliquame suino infatti si possono ottenere in media 16m3 di biogas, da un metro cubo di silomais se ne otten-gono 4 volte tanto: 68 m3 di biogas. Il rendimento inenergia per ettaro del silomais (20-26 MWhe/ha) con-sentiva, con gli incentivi precedenti al nuovo decretosulle rinnovabili di luglio 2012, un ricavo lordo annuodi 5.500-7.500 euro/ha. E’ evidente che nessunseminativo per usi alimentari oggi può consentire si-mili ricavi. Questa rincorsa alle più alte rese del silomais

genera due effetti negativi: l’occupazione delle terreirrigue migliori (con un rilevante uso di acqua) e lalievitazione eccessiva dei canoni di affitto dei ter-reni agricoli, come di fatto sta avvenendo in Emilia,Lombardia e Veneto. Con questo approccio è inevita-bile che la produzione di biogas vada a detrimentodelle produzioni alimentari.Il primo criterio del biogassostenibile è che le materie prime derivino principal-mente dal fondo di proprietà del gestore e che la loroproduzione sia fatta in integrazione e non in sostitu-zione della produzione agricola tradizionale.

Uso delle colture dedicateIn generale è corretto privilegiare l’uso di scarti pro-venienti dalle colture o dagli allevamenti aziendali(stocchi di mais, pula, paglia, sfalci, potature, effluentizootecnici) e di sottoprodotti del ciclo agricolo tradi-zionale (es. siero di latte, sansa, residui dellavinificazione), ma anche le colture dedicate possonodare un contributo virtuoso, a determinate condizioni.Non è detto infatti, che le colture energetiche dedicatedebbano necessariamente togliere spazio alla produ-zione di cibo.Nell’ultimo decennio in Italia sono state abbandonatemolte terre coltivabili: 300.000 ettari secondo i datiprovvisori dell’Istat, ma in realtà sono molto di più,perché l’Istat detrae solo i terreni che non figurano piùcome superficie agricola utilizzata (SAU). Secondo sti-me non ufficiali, infatti, e ampiamente condivise all’in-terno del mondo agricolo e degli enti preposti, gli ettaridi terre coltivabili abbandonate tra il 2000 e il2010 sono ben oltre un milione. Una parte di questiterreni è stata cementificata e quindi irreversibilmentepersa, ma la parte prevalente sarebbe tuttora coltivabilesia per usi alimentari che per altri usi.Il discorso allora non è solo ‘quanto’ ma ‘come’ e ‘dove’fare colture dedicate. Queste infatti si possono fare inmodi molto diversi e con risultati opposti dal punto divista agroecosistemico. L’inserimento di colture dedi-cate andrebbe valutato in base a tre criteri prioritari:

2 Vedi i casi eccellenti di cooperative come la CAT di Correggio (RE - che raduna diversi agricoltori e 5 cantinesociali), la cooperativa Speranza di Candiolo (TO - 5 allevatori) o la fattoria calabrese La Piana di Candidoni (RC):tutte aziende che gestiscono impianti da 1 MW.

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- consumi di acqua e di input energetici (concimi,diserbanti, antiparassitari, lavorazioni meccaniche)- incremento della sostanza organica (SO) nel suolo- aumento della biodiversità del fondo agricoloSe non è accettabile l’uso energetico di coltureidroesigenti o ad alti input chimici come il mais,esistono altre colture, spesso inseribili in secondo rac-colto come ad esempio i cereali minori, trifoglio, erbamedica, sorgo, che possono soddisfare quei criteri serispettano almeno una delle seguenti condizioni:a) colture in avvicendamento con produzioni ali-

mentari o colture di copertura. Sono due praticheche possono favorire l’incremento di sostanza or-ganica nel suolo, a beneficio delle stesse colturealimentari, e al tempo stesso migliorare laritenzione idrica nel suolo e ridurre i rischi patogeniper le piante;

b) utilizzo di terreni agricoli abbandonati o margi-nali. L’inserimento di colture energetiche su questiterreni con colture ad alta efficienza di carbonio,anche pluriennali (ad es. canna comune), aumen-tando la produzione lorda vendibile (PLV) del-l’azienda agricola, anziché fonte di competizionecol cibo, può essere l’opportunità di riavviare col-ture alimentari, che oggi di per sé non darebberoreddito sufficiente, e sostenere l’agricoltura di mon-tagna e di collina.

Uso efficiente del caloreUna quota importante di energia prodotta dallacogenerazione a biogas è sotto forma di calore che, inminima parte, è utilizzabile per riscaldare il digestore.È però importante prevedere, in fase di progetto, un

utilizzo concreto di una quota del calore restante per ilriscaldamento di edifici e locali o eventualmente dialtri impianti di lavorazione.

Garanzie per la salute e per l’impiego correttodel digestatoDi recente, oltre alla denuncia degli odori sgradevoliemessi da alcuni impianti, si è diffuso il sospetto che ladigestione anaerobica e il successivo spandimento deldigestato sui terreni possano favorire lo sviluppo dimicrorganismi dannosi per la salute umana o per pro-duzioni alimentari di pregio3. Il sospetto, almeno perquanto riguarda la salute umana, non ha fondamento(quantomeno è assai minore del rischio di contamina-zione da cibi di ristorazione collettiva o da spandimentodi letame). Secondo vari studi condotti sin dagli anniOttanta, la digestione anaerobica mesofila (35°) etermofila (50°) riduce significativamente il numero dimolte famiglie batteriche e un processo preventivo dipastorizzazione a 70° per un’ora (come prescritto perlegge nel caso di utilizzo di residui da macello) è ingrado di neutralizzare i principali batteri patogeni comeEscherichia Coli, Salmonella spp ed enterococchi. Quindiin generale l’uso del digestato al posto del letame, opeggio dei reflui tal quali, aiuta a ridurre il rischio dibatteri patogeni. Diverso è il caso delle spore di Clostridi,una grande famiglia di batteri anaerobi ubiquitari (sonopresenti normalmente anche nel nostro intestino e sonotra i principali attori della fase di idrolisi del biogas) checomprende anche specie responsabili dell’alterazionedei formaggi e specie che possono provocare infezionipiù o meno gravi, compresi botulismo e tetano4. IClostridi, in condizioni ambientali particolari, forma-

3 Il sospetto è sorto in seguito a due episodi: il primo, più grave ma destituito di qualsiasi fondamento è relativoai numerosi casi di morti in Germania nel 2011 a causa di germogli di soia infetti da Escherichia Coli, per i qualisi imputò a un certo punto il digestato sparso sui campi, salvo poi scoprire che i germogli venivano dall’Egitto eil biogas non c’entrava nulla; il secondo riguarda la delibera con cui nel 2011 la Regione Emilia Romagna hasospeso l’autorizzazione a nuovi impianti a biogas nell’area della DOP del Parmigiano Reggiano per il possibileaumento, tramite lo spargimento del digestato sui campi di foraggere destinate all’alimentazione bovina, di sporedi Clostridi dannosi per la maturazione del formaggio. Da notare che il disciplinare del Parmigiano Reggiano, adifferenza di quello del Grana Padano, non ammette l’uso di alcune sostanze sterilizzanti.4 I più noti tra i patogeni sono alcuni ceppi di Clostridium Perfringens (che vive abitualmente anche nel nostrointestino), C. Difficile, C. Botulinum (l’ingestione della spora è innocua, ma la tossina che emette in fase dicrescita è micidiale) e C. Tetani.

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no spore resistenti al calore, alla radiazione e a diversiagenti chimici, per cui anche la pastorizzazione risultainefficace5. Ma il rischio riguarda più la qualità deiformaggi che la salute umana6.In ogni caso, per la sicurezza igienico-ambientale degliimpianti, le condizioni essenziali da garantire sono:- omogeneità e tracciabilità delle materie prime in

ingresso: l’autorizzazione a nuovi impianti va vin-colata al rispetto di poche e precise tipologie di ma-terie prime in ingresso e alla garanzia della loro pro-venienza. Nel caso di sottoprodotti di origine ani-male va assicurato il rispetto di quanto imposto dal-la nuova normativa europea (Reg. CE 1069/2009)che garantisce lo stato igienico-sanitario di tutta lafiliera;

- adeguati sistemi di ricezione e stoccaggio dellematerie prime e di alimentazione del digestore,digestore con vasche chiuse in modo da evitare emis-sioni di cattivi odori. Va chiarito infatti che un im-pianto gestito correttamente non emette odori par-ticolari. La principale fonte di cattivi odori può pro-venire dalle materie prime in ingresso all’impianto(spesso fermentescibili, come reflui zootecnici einsilati) se non si adottano buoni sistemi distoccaggio e di alimentazione e di gestionedel’impianto;

- adeguati sistemi di stoccaggio e copertura deldigestato per evitare emissioni residuali di metano;

- rispetto di tutte le disposizioni previste per l’usoagronomico del digestato con particolare attenzio-

ne ai divieti temporali e spaziali e adozione dellemigliori tecniche disponibili per la distribuzione (di-stribuzione a bassa pressione, localizzata, interramen-to immediato ecc.);

- in alternativa – soprattutto nelle zone sensibili ainitrati (che coincidono spesso con le aree a mag-gior concentrazione di impianti) – trasformazionedel digestato in fertilizzanti (solfato ammonico,ottimo sostituto di urea e/o digestato essiccato riccodi sostanza organica stabilizzata) trasferibili su ter-reni poveri di azoto. Il trattamento dei digestati inimpianti centralizzati (consortili o di altro tipo) con-sente di raggiungere risultati ottimali sia dal puntodi vista tecnico che economico. Questo non risolve,come si è detto, l’eventuale presenza di spore diclostridi, ma riduce al minimo la carica di altri bat-teri patogeni;

Le proposte politicheCon compiti e ruoli diversi, tutti i livelli di Governo(Stato, Regioni, Province e Comuni), hanno la re-sponsabilità di assicurare la corretta realizzazione degliimpianti sul territorio. Le tre scelte prioritarie in questadirezione sono:1. Modifica della normativa nazionaleUniformare il quadro legislativo su processi autorizza-tivi e incentivi ai principi ai criteri di sostenibilità eefficienza del biogas da produzione agricola, di usoefficiente della terra, dell’energia e della biomassa iningresso7.

5 Occorrerebbe una sterilizzazione a 120° per 20 minuti.6 Una sperimentazione recente condotta dal Centro Ricerche Produzioni Animali di Reggio Emilia, su materieprime contaminate, ha rilevato che la digestione anaerobica, nel caso di utilizzo di solo letame, non provoca nédiminuzione né aumento significativi del numero di spore, mentre queste aumentano significativamente (dalpunto di vista statistico) con l’uso di letame misto a insilati di mais o di sorgo. Basterebbe quindi evitare l’uso diinsilati nelle aree di produzioni lattiero-casearie di pregio. Del resto alla domanda della Commissione Europeasulla necessità di test per verificare l’eventuale presenza di Clostridium perfringens nel digestato, il gruppo diesperti sul pericolo biologico (BIOHAZ) ha concluso nel 2009 che, in considerazione dell’utilizzo finale deiresidui della digestione o del compost, l’assenza di Clostridium perfringens non è necessaria. Va tenuto presenteinoltre che nel caso di impiego di sottoprodotti di origine animale la normativa europa (Reg. CE 1069/2009)prescrive in genera la pastorizzazione a 70° e per determinate categorie di prodotti più pericolosi anche lasterilizzazione.7 Secondo le priorità già proposte dagli autori del documento “Il biogas fatto bene” di luglio 2011. I criteriproposti sono: 1. Biogas da produzione agricola: garanzie di disponibilità di terreni agricoli per almeno il 70%delle materie prime usate, al netto di effluenti e sottoprodotti; 2. Bonus Land efficiency per l’uso al 70% di almeno

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una delle seguenti matrici: effluenti zootecnici, residui e sottoprodotti agricoli, colture in successione o inprecessione a foraggere o colture alimentari, colture pluriennali; 3. Bonus Carbon Efficiency sia come efficienzaenergetica per l’uso di quota energia termica (20% almeno dell’elettrica immessa in rete) al netto del consumoper riscaldamento del digestore, sia come efficienza biologica garantendo almeno uno dei seguenti pretrattamentidella biomassa in ingresso: meccanico, termo meccanico, termo pressione.

2. Linee guida per la progettazione degli impiantiLe Regioni devono approvare dei criteri per i proget-ti da sottoporre a Valutazione di Impatto Ambienta-le, in modo da spingere scelte di localizzazione coe-renti con i vincoli ambientali e con le vocazioni deiterritori, e realizzare solo impianti che diano garanzierispetto alla gestione, all’approvvigionamento dellematerie prime, all’efficienza della produzione, agliaspetti sanitari e di sicurezza.In questo modo si potranno dare certezze agli im-prenditori seri e garanzie ai cittadini e alle ammini-strazioni comunali che vengono spesso escluse daiprocessi decisionali.3. Emanare le necessarie normative per l’immissione delbiometano in rete

4. Pianificazione energetica di areaÈ fondamentale che le province e i comuni collaborinoa una pianificazione energetica di area. I pianienergetici, in linea di principio, non hanno valorecogente e non possono impedire le localizzazioni degliimpianti dei privati, ma permetterebbero di dichiararedi quante e quali risorse naturali ogni territorio disponeper usi energetici. Pertanto, i piani energetici d’areapotrebbero offrire strumenti più idonei alla popolazio-ne e agli investitori per valutare la sostenibilità com-plessiva dei progetti che insitono su uno stesso territo-rio. Questo criterio vale per tutte le bioenergie: non èpiù ammissibile il proliferare incontrollato di progettisullo stesso territorio, col risultato di creare sospetti eopposizioni crescenti tra la popolazione.

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Da qualche anno si registra un mutamento nel dibat-tito sulla psichiatria italiana, che si caratterizza comepassaggio dall’ideologia all’eticità. Vanno in secondopiano le rappresentazioni collettive in cui la psichia-tria è investita di un ruolo importante nella creazionee nel mantenimento degli equilibri sociali, per faremergere il valore della singola persona oggetto diprestazioni psichiatriche. Con il vantaggio didisinnescare quella che oserei chiamare la “bombaideologica” oggi ancora sempre pronta ad esploderequando la psichiatria si qualifica di sinistra o di de-stra; o anche, in modo più raffinato, quando unapsichiatria sociale viene contrapposta ad una psichia-tria tecnologica; con l’intenzione nuova, e non è cosada poco, di conquistare una maggiore rigorosità, unamaggiore trasparenza e un maggiore consenso. Maperché la psichiatria ha comunque bisogno di unalegittimazione esterna? La necessità di appoggiarsi aun qualche sistema che definisca la dignità e il sensostesso dell’uomo è inevitabile per una disciplina vo-

Riflessioni sulle linee guida per il TSO e per la prevenzionedella contenzione: una psichiatria non violenta è un’utopia?Reflections on the guidelines for the OMT and for the prevention of restraints: is anon-violent psychiatry a utopia?

Francesco ScottiGruppo tecnico interregionale per la salute mentale, Regione Umbria

tata alla pratica piuttosto che fondata su una scienzapura.Due documenti prodotti dal “Gruppo tecnicointerregionale per la salute mentale”, e fatti propridalla Commissione salute della Conferenza delle Re-gioni e delle Province autonome, sono esempi di per-corsi avviati in questa direzione.Li illustro brevemente per chi non li conoscesse, ben-ché siano stati adottati da molte Regioni ma non soquanto diffuse: le parti in corsivo sono citazioni daidocumenti (disponibili sul sito della conferenza per-manente delle Regioni e delle Province autonome).

1. Raccomandazioni in merito all’applicazionedi accertamenti e trattamenti sanitari obbliga-tori per malattia mentale(2009)Il documento contiene indicazioni e raccomandazioni tesea facilitare l’applicazione, coerente e omogenea su tutto ilterritorio nazionale, delle procedure ASO e TSO di cui

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agli articoli 33-34-35 della Legge 833/78.

Nel primo comma dell’Art 33 della Legge 833/78 leg-giamo che “gli accertamenti e i trattamenti sanitarisono di norma volontari”. Con ciò viene affermato unduplice diritto: alla difesa della salute e alla libertàindividuale nell’esercizio di questo diritto. Ogni formadi intervento sanitario che prescinda dal consenso vieneconsiderata un’eccezione, di cui restringere la portata,salvaguardando i diritti della persona dalle limitazio-ni che ne derivano.

Rendendo operative, nel modo più completo, le garanzieintrodotte dalla legge, si migliora la risposta in termini diqualità della cura ed efficacia dei servizi che vi sonopreposti, introducendo quei valori di trasparenza delleprocedure, permeabilità dei luoghi di cura, valutabilitàdelle prestazioni, sempre più rilevanti nella nostra società.

L’applicazione di tutte le procedure previste dalla leggepuò sembrare a qualcuno un inutile dispiegamento di attiburocratici. Ma prima di pensare a un eccesso formale digaranzie, dovremmo non dimenticare l’importanza deidiritti che sono con ciò garantiti, come quello alla libertàpersonale e il diritto di decidere sulla propria salute. Difronte alla constatazione che non sempre la quantità dienergie e tempo impiegati per gli adempimenti previstidalla legge è proporzionale al risultato si dovrebbe valoriz-zare il significato pedagogico dell’applicazione della leg-ge: si testimonia al paziente il rispetto personale e socialecui ha diritto, realizzato anche con il puntuale rispettodelle leggi, si sottolinea l’importanza che la sua adesionevolontaria ha per la progettazione condivisa di un inter-vento terapeutico, con ciò favorendo una contrattazioneper una presa in carico post TSO da parte dei presidi eservizi territoriali.Un’attenzione particolare viene dedicata alle questionipiù controverse: le garanzie amministrative egiurisdizionali; le procedure per il TSO extraospedaliero; la libertà di scelta da parte del paziente; lecircostanze in cui non si applicano le procedure ASO/TSO; procedure ASO e TSO in età evolutiva (quest’ul-timo argomento mai affrontato prima d’ora).

Qual è lo scopo delle “Raccomandazioni”?Rendere disponibile una regolamentazione coerente,omogenea in tutta Italia, chiara, degli interventi sen-za consenso in psichiatria.Se si interviene con un ASO o con un TSO non è maia cuor leggero. Si tratta sempre di situazioni difficili,gravi, alle quali si applicano soluzioni eccezionali. E’la legge a richiedere che si tentino prima altre stradee che esista una intrinseca serietà del caso (un casoche necessita di urgenti interventi terapeutici). Disolito si tratta di emergenze con il carattere delladrammaticità e quindi che hanno un eco notevolequando si verificano. Ma va anche detto che, benchéfacciano molto rumore, da un punto di vistaquantitativo si tratta di una minoranza dei pazientipsichiatrici perché i TSO rappresentano una partedei ricoveri ospedalieri (in media 1/3) e i ricoveriospedalieri rappresentano una quota minoritaria del-l’attività assistenziale (in media 1/25).Quantitativamente e qualitativamente i problemidella psichiatria stanno altrove. Se abbiamo in menteche il trattamento senza consenso è l’eccezione e nonla regola o il modello per ogni intervento nel campodella salute mentale, saremmo facilitati nell’affron-tare razionalmente la questione. Che è sicuramenteuna questione molto importante per le implicazionietiche e giuridiche degli ASO e dei TSO. Cerchiamodi capire perché.

La 180 ha decretato la chiusura dei Manicomi, l’abro-gazione della Legge del 1904 e di vari articoli di leggeche sancivano la morte civile degli internati negliospedali psichiatrici; ha posto al centro del nuovosistema di assistenza psichiatrica la tutela della salutedel malato mentale, prima di allora la salute del ma-lato mentale era l’ultimo bene ad essere tutelato. Dipiù: ha fatto del diritto del malato mentale ad esserecurato l’asse intorno al quale tutto il resto veniva aruotare.Ma, “avendo introdotto la tutela del diritto che ilpaziente psichiatrico ha di essere curato, ha introdot-to un conflitto di diritti”(1). Ad esempio: il conflittotra il diritto del paziente di essere curato in un conte-

(1) F. Scotti: in Tutela della salute mentale e responsabilità penale degli operatori, 1989

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sto di vita normale e il diritto dei familiari a nonsobbarcarsi un peso che a volte somiglia a quello diuna ospedalizzazione a domicilio o a tollerare unapresenza che crea difficoltà al di là delle proprie capa-cità di sopportazione. Nel regime manicomiale que-sto tipo di diritti dei familiari era tutelato (il che nonvuol dire che questi fossero contenti del modo in cuiil convivente malato era trattato).Ma bisogna anche ricordare che “la 180 ha fatto esplo-dere la incompatibilità tra custodia e terapia che pri-ma non compariva perché non c’era la terapia masolo la custodia”(2). Detta così la cosa sembra esagera-ta ma per misurare la complessità della questionepensate che solo quest’anno, dopo trenta anni dellalegge che aboliva i Manicomi si incomincia ad af-frontare la questione dei malati presenti negli Ospe-dali psichiatrici giudiziari, cioè quei luoghi in cui lacustodia è massima e la cura minima o assente.Ma c’è anche un altro conflitto, forse ancora più dram-matico, che la 180 ha introdotto: il conflitto tra ildiritto ad essere curato e il diritto a rifiutare la cura.Questo conflitto è posto nel cuore stesso della Legge,lì dove essa dice che “gli accertamenti e i trattamentisanitari sono di norma volontari”. Quel “di norma” èaggiunto dalla 833/78, perché non c’era nella 180/78. E di norma vuol dire che c’è una norma che lodice e non che si tratta di un dato statistico (comesiamo portati a pensare in medicina). È infatti laCostituzione che tutela la libertà del cittadino anchein questo ambito.Forse non è fuori luogo ricordare che la Costituzione,anche nei casi in cui ammette una sospensione deldiritto del paziente a rifiutare le cure continua a tute-lare gli altri diritti del cittadino: di essere rispettatonella sua dignità di persona, di godere dei diritti civilie politici e, soprattutto, di essere curato.Da ciò discendono le garanzie amministrative egiurisdizionali che circondano l’ASO e il TSO.Evitare soprusi, dare al cittadino tutte le opportunitàdi opporsi alla decisione del giudice tutelare, renderemeno gravosa la limitazione della libertà personale,

evitare che si prolunghi più del necessario.E ce ne sono molte di queste garanzie indicate dallaLegge e che le Raccomandazioni hanno esplicitato, eci sono molti diritti che sono garantiti al cittadinoanche quando è obbligato a curarsi.(Ad esempio: i diritti civili e politici, il diritto allalibera scelta del medico e del luogo di cura, il dirittodi comunicare con altri a sua scelta anche quando lasua libertà di movimento è limitata, il diritto di agirein giudizio per opporsi, dinanzi al tribunale, all’ordi-nanza che gli ha imposto l’obbligo di curarsi).E’ evidente che non basta affermare i diritti per ren-derli esigibili. Ma se lo fossero il loro rispetto costi-tuirebbe una qualità che contrasterebbe la violenzainerente ad ogni intervento sanitario senza consenso.Ma siccome faccio lo psichiatra e non il giurista micorre il dovere di dire che la questione dei diritti nonè ininfluente sulla efficacia degli interventi medici.Qualcuno potrebbe approfittare di questa mia affer-mazione per ricordare che il diritto a rifiutare le cureentra qualche volta in conflitto con il diritto alla salu-te. La Legge 180 prevede questa circostanza e ponelimiti alla libertà del cittadino per affermare il dirittoalla cura dei disturbi psichici al di là della volontàpersonale. E poi esiste tutta la casistica dello stato dinecessità in cui è fatto obbligo al medico di interve-nire. Ma non è di questo che voglio parlarvi. Se vole-te posso esprimere con uno slogan la mia posizione:il rispetto dei diritti del cittadino fa bene alla salute,almeno a quella mentale.E mi spiego. Il rispetto dei diritti della persona è unaprecondizione della efficacia della cura. E’ un dirittodel paziente essere ascoltato ma è anche un doveredel medico ascoltarlo perché solo così ci può essereun riconoscimento dei bisogni di quel singolo. Il ri-spetto dei diritti è l’avvio di una accoglienza del pa-ziente che oltre ad avere una valenza etica ha unsignificato di un riconoscimento reciproco senza ilquale la parola fiducia è priva di significato. Infine ilrispetto dei diritti è la premessa di una alleanza con ilpaziente della quale abbiamo bisogno soprattutto per

(2) F. Scotti: in Tutela della salute mentale e responsabilità penale degli operatori, 1989

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i trattamenti di lunga durata che sono la regola piut-tosto che l’eccezione in psichiatria.Per ribadire il concetto: tutti i diritti che la leggenomina, tutte le precauzioni che propone, la centralitàdel paziente e l’eccezionalità della obbligatorietà del-la cura non sono soltanto il frutto di una società de-mocratica o di una ispirazione etica (benché questonon sia cosa da poco) ma discendono dalla esperienzadi cura dei pazienti psichiatrici.Il successo della cura dipende non solo dalla abilitàdel terapeuta e dalla presenza di condizioni favorevo-li alla cura di cui si parla come fattori extra clinici, maanche dalla adesione del paziente alla cura. Quando siparla di personalizzazione della cura (e se ne parlasempre più spesso), di Progetto terapeutico indivi-duale, di terapia centrata sulla persona, non dovrem-mo dimenticare che abbiamo bisogno della collabo-razione del paziente. Il paziente non è un manichinosul quale un buon sarto può confezionare un vestito,occorre che possa indossare con comodità il vestito eviverci dentro.Sto parlando di efficacia della cura e non solo di legit-timità. La contrattualità del paziente qui io la vedosul versante della necessità e non come diritto astrat-to a scegliere la cura da un catalogo del supermercatodella salute. E’ necessario che il paziente aderisca alnostro progetto, ma per far questo è necessario che locostruiamo insieme. Ogni forzatura, ogni limitazio-ne, ogni imposizione peggiora il livello di comunica-zione e riduce la comprensione.

L’obiettivo politico di questo Documento è smonta-re l’accanimento riformistico nei confronti della Leg-ge 180 che ha scelto il Trattamento sanitario obbliga-torio come cavallo di Troia per entrare nei meccani-smi della Legge che ha abolito i Manicomi escardinarla: nella riforma della riforma il trattamen-to senza consenso del paziente diventerebbe l’asseportante di una psichiatria programmaticamente ag-gressiva.L’invito implicito in questo documento è: innanzitutto applichiamo la Legge.Chi invece protesta ufficialmente è l’Europa. La co-municazione del Comitato Europeo per la prevenzionedella tortura e dei trattamenti disumani e degradanti

o punitivi, contesta la scarsa chiarezza nell’applica-zione delle procedure poste a difesa dei diritti deipazienti ricoverati in ospedale involontariamente etrattati senza il loro consenso. I Responsabili dei SPDCche il Comitato ha interrogato davano interpretazio-ni personali delle procedure, la cui unica giustifica-zione era che si era sempre fatto così.In particolare il Comitato criticava la prassi adottatadal Giudice Tutelare e riteneva che questi “dovrebbeandare al di là di un controllo meramente formale deidocumenti amministrativi, ma dovrebbe sviluppareun procedimento corretto, che potrebbe svolgersi inospedale, consentendo di prendere contatto direttotra le parti interessate vale a dire paziente, medico egiudice”.

2. Contenzione fisica in psichiatria: una strate-gia possibile di prevenzione(2010)Le Regioni sono state spinte a produrre queste raccoman-dazioni anche dalla preoccupazione che una praticadisinvolta della contenzione avvalori il mito della na-tura intrinsecamente violenta della cura psichiatrica,con ciò accrescendo il pregiudizio nei confronti dellamalattia mentale e aumentando la resistenza a utiliz-zare i servizi psichiatrici da parte di chi ne ha bisogno.Giacché è nel silenzio che si sta realizzando un uso pococritico di questa pratica, è utile parlarne in un docu-mento condiviso dedicato non alle indicazioni tecnicheper una contenzione ben fatta ma impegnato a creareuna strategia della sua prevenzione. Questo documentocontiene raccomandazioni che sono valide in tutto ilcontesto della Salute Mentale, sia in età adulta cheevolutiva.Contenzione fisica e violenza.E’ possibile porsi realisticamente l’obiettivo di eliminarela contenzione fisica dalla pratica psichiatrica solo nel-l’orizzonte di una prevenzione dei comportamenti vio-lenti nei luoghi di cura, grazie al potenziamento dellebuone pratiche per evitarli o uscirne rapidamente. Que-sto cambiamento di prospettiva non sarebbe tuttaviasufficiente a illustrare il problema nella sua complessitàse non facessimo attenzione a collocarlo nella questionepiù ampia degli interventi di urgenza. E’ nell’urgenzache si incontrano le situazioni più drammatiche ed è

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possibile agire precocemente sui fattori che sono antece-denti importanti di comportamenti violenti. Inoltre, senon accettassimo questo ampliamento, daremmo l’im-pressione di ritenere che la questione della violenza ri-guardi solo le situazioni di degenza ospedaliera e non lesituazioni psichiatriche in contesti specifici di vita. Laconoscenza delle modalità di risposta ambientale ai com-portamenti dei pazienti, a causa delle difficoltàrelazionali attribuibili alle loro patologie, ma anche deiconflitti in cui sono coinvolti, possono dare accesso ad unacomprensione delle reazioni violente.

Un elemento però va segnalato ed è costituito dalle diffi-coltà aggiuntive che derivano dalla inappropriatezzadi molti ricoveri psichiatrici che rende difficile, a volteal limite dell’impossibilità, la gestione della presa incarico. Uno dei meccanismi più comuni diinappropriatezza è la traduzione di ogni situazione incui vengono agiti comportamenti violenti in una manife-stazione psichiatrica. In tal modo si fa della psichiatria,e dei suoi luoghi di cura, un contenitore aspecifico desti-nato a separare, accantonare, nascondere la violenza.

L’indicazione di questo percorso è fondamentale elemen-to di un metodo (per la comprensione della violenza) maè anche centrale in una strategia di prevenzione perchése noi ci collochiamo solo nel punto finale può sembrareinevitabile ricorrere alla contenzione fisica come rime-dio ad una situazione cui non si sa come rimediare. Inquesto punto finale si discute se la colpa è del malato odell’infermiere, ecc.

Finalità delle raccomandazioni è favorire la:- consapevolezza che la prevenzione dei comportamenti

violenti è una condizione per rendere efficace la cura;- consapevolezza che la contenzione è un atto anti

terapeutico, rende cioè più difficile la cura piuttostoche facilitarla;

- consapevolezza che rispondere alla violenza con la vio-lenza non paga.

A partire da questi assunti può disegnarsi un percorsoper giungere alla meta costi-tuita dal superamentodella contenzione fisica, facendo di tale superamentoun elemento di qualità del miglioramento continuo

della pratica psichiatrica.Dalla condivisione di tale impostazione scaturisceuna strategia di prevenzione che affida la sua effica-cia alla gradualità dell’approccio piuttosto che ad af-fermazioni astratte intorno alla legittimità della pra-tica di contenzione fisica o allo spostamento dell’at-tenzione su riflessioni teoriche intorno a un legameintrinseco, affermato da alcuni e negato da altri, tramalattia mentale e comportamento violento.Una prima conclusione è che si può giungere a consi-derare la contenzione fisica come un interventoantiterapeutico, che danneggia il paziente anche quandonon ne mette a rischio la integrità fisica, e danneggia lacredibilità della psichiatria come scienza terapeutica.In questa chiave, dando per scontato che con un di piùdi formazione, di organizzazione e di sorveglianza siriesca a evitare la violenza superflua, quella che vienepraticata per dare un esempio, per realizzare una puni-zione, o “prevenire” una violenza attesa. La tesi di que-sto documento è che si debba evitare la contenzione fisicain ogni situazione, attraverso una strategia che preven-ga i comportamenti violenti in ambienti di cura.A tal fine una rete assistenziale territoriale e ospedalierache garantisca interventi precoci e integrati di presa incarico dei disturbi acuti riduce il numero dei ricoveri equindi anche la eventualità del ricorso alla contenzione.Come provvedimento immediato la costruzione di un si-stema informativo e di un flusso di dati in grado dimisurare la contenzione come evento sentinella è di per séefficace nel ridurne l’impiego non appropriato. Nei casiin cui si configuri un intervento in stato di necessità e lacontenzione fisica non sia evitabile, il personale coinvol-to deve essere specificamente formato alla gestione delpaziente in quella specifica situazione, e devono essereattivate di routine procedure interne e istituzionali dimonitoraggio e tutela.

La questione della contenzione fisica va al di là degliambiti in cui si esercita la psichiatria.Se la contenzione fisica non va bene nei servizi psi-chiatrici e ne viene denunciato l’abuso e l’uso stesso,non è detto che la situazione sia più favorevole negliistituti per anziani o in quelli per minori handicappatio aggressivi. Anche se qualcuno abituato allegeneralizzazioni paradossali ha sostenuto che tanto

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varrebbe abolire per legge l’uso delle cinture in aereoed in auto. Basta far notare che anche il guidatore e ilpilota si assicurano mediante cinghie e, soprattutto,possono liberarsi da soli.Obiettivo finale delle Raccomandazioni è che tuttele Regioni si attivino per introdurre nell’assistenzapsichiatrica le modificazioni (di conoscenze, di at-teggiamenti, di risorse, di gestione, di organizzazio-ne) in grado di portare al valore zero, in modo stabilee sicuro, il numero delle contenzioni praticate neiServizi di Salute Mentale.

In conclusione ci sono sette raccomandazioni ma quiriporterò solo l’ultima:Favorire la trasparenza delle strutture di cura, in cui sitrattano i casi acuti, con il coinvolgimento di associa-zioni di utenti, di familiari, e degli uffici deputatialla difesa dei diritti dei cittadini, al fine di migliora-re l’accessibilità, la vivibilità e l’accoglienza, dare in-formazioni sulle procedure in atto e sulle garanzie per gliutenti, facilitare la comunicazione con l’esterno.

Qui finisce la sintesi dei due documenti, fatti perapplicare procedure e favorire pratiche che, in sintesi,definirei di psichiatria non violenta. Vorrei aggiunge-re un breve commento, anche per giustificare la do-manda che conclude il titolo di questo mio interven-to: una psichiatria non violenta è un’utopia.

Entrambi questi documenti hanno come cardine ilriconoscimento dei diritti dei cittadini: diritto allalibertà, che si declina nel campo della salute mentalecome libertà nella scelta dei modi e dei luoghi dicura; diritto a non perdere la fruizione di altri dirittia causa dello stato di malattia o di sofferenza; dirittoalla cura e alla guarigione, usufruendo di tutte le op-portunità disponibili.Tutti abbiamo esperienza della potenziale conflittualitàche esiste tra questi diritti, ad esempio tra il dirittoalla libertà e il diritto alla salute. Lasciamo ai giuristiil compito di discutere sulla classificazione dei dirittie sulla logica che giustifica la violazione dell’uno incaso di prevalenza dell’altro.Come operatori della salute, coinvolti nella gestionesociale di questo bene, non possiamo avere una lettu-

ra puramente giuridica dei diritti. Non possiamo farea meno di sentire che i diritti di un certo tempoemergono in relazione ai bisogni. Il riconoscimentodi un nuovo bisogno mette in scacco una legge cheaveva come oggetto un modo di difendere un dirit-to. Vorrei ricordare come la Legge 1904 sui manicomie gli alienati sia caduta in disuso, molto prima diessere formalmente abrogata, lì dove si era scopertoche era in conflitto con il diritto alla salute, alla curae alla libertà. Qualcuno di noi è ancora testimonedella costante violazione di questa legge nella praticaterritoriale ed ospedaliera e della sua negazione for-male in Regolamenti di centri di igiene mentale, sen-za che nessuno abbia sentito il bisogno di portare ilconflitto dinanzi alla Corte costituzionale.Anche per queste considerazioni io credo che qua-lunque sia la nostra posizione dottrinaria non siamoesentati dal cercare vie di conciliazione, facendo pre-valere una buona pratica su una più o meno buonateoria, preferendo, per usare il linguaggio dei filosofi,una ortoprassi a qualunque ortodossia. Quindi evi-tando l’abbandono di una persona in stato di bisognocon la giustificazione che con ciò viene rispettataintegralmente la sua libertà; e senza una sua espulsio-ne, in luoghi più o meno protetti, perché si mostrarestio ad una cura in un contesto normale di vita conla giustificazione che con ciò lo proteggiamo da sti-moli eccessivi o salvaguardiamo la sua vulnerabilità;oppure esercitando su di lui una violenza che sarebbefrutto sempre di una necessità, senza neppure il so-spetto che si stia commettendo un abuso.E’ possibile una psichiatria non violenta? E’ possibileanche quando la violenza sembra inevitabile, quandoci si deve confrontare con situazioni di cura quasiimpossibili, caratterizzate dal mancato riconoscimen-to di uno stato di malattia da parte del paziente e damodalità di esistenza improntate a forti conflitti. E’possibile purché essa scaturisca come punto di arrivodi un percorso in cui progressivamente si possanomutare gli atteggiamenti degli operatori, dei pazien-ti, e del contesto di vita.Tutto questo sforzo diventa sostenibile se alimentia-mo la convinzione che solo una psichiatria non vio-lenta può essere efficace, può cioè utilizzare al me-glio le conoscenze teoriche e le buone pratiche dispo-

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nibili; che ogni violenza, che venga introdotta nellapratica, anche “a fin di bene”, porta un danno allacura, ritarda la guarigione, distrugge risorseterapeutiche, demotiva i pazienti e gli operatori, crealo stereotipo della pericolosità legata al disturbopsichico o alla cura psichiatrica, accresce lo stigma dicui godono pazienti e operatori.Non suoni incoraggiamento retorico ma solo segna-lazione di una continuità nella riforma della psichia-tria ricordare che fin dalla lotta alle istituzioni totali icriteri di qualità etica si sono intrecciati strettamentecon i criteri derivati dalle conoscenze scientifiche; dipiù: hanno fatto da base al rinnovamento e quindianche a quello delle conoscenze scientifiche.

Ma al di là delle invocazioni, con le quali molti di noisi consolano in attesa che si realizzino le condizioniper una psichiatria moderna, non violenta, realmenterinnovata e accessibile a tutti, che cosa ci insegnal’iter di costruzione di questi due documenti?Essi si sono dovuti confrontare, nel gruppointerregionale che li ha scritti, con opposti estremismi(passatemi l’espressione anche se non molto elegan-te). Ci sono stati quelli che li ritenevano troppo vin-colanti rispetto alle necessità della pratica: qualcunoinvocava una propaganda più vistosa dello stato dinecessità in cui gli psichiatri si imbatterebbero più

spesso di altri professionisti della salute e che li auto-rizzerebbe a trattare con più disinvoltura i lacci e ilacciuoli delle norme. Altri invece si sono scandaliz-zati che si potessero anche solo nominare ricovericoatti e contenzioni meccaniche perché già parlarnesignificava in qualche modo favorire queste pratiche.Non c’è stato un compromesso ma una mediazionesì, per costrui-re un cammino verso circoli virtuosi apartire da forti condivisioni etiche e scientifiche, la-sciando da parte tutto ciò che poteva essere etichet-tato come ideologico.Per entrambi i documenti di Raccomandazioni, siaquello su accertamenti e trattamenti obbligatori siaquello per la prevenzione della contenzione fisical’obiettivo finale, che è stato raggiunto, era di costru-ire un percorso di coinvolgimento, e quindi di infor-mazione, di formazione, di sperimentazione che por-tasse, con la collaborazione di tutte le componenticoinvolte nelle pratiche psichiatriche, all’esaurirsi dellanecessità di Trattamenti sanitari obbligatori e al ban-do della contenzione fisica.Forse non se ne farà nulla di questi impegni che sonostati presi e tutto continuerà come prima ma nelleconvergenze che si sono realizzate io vedo una dellepoche luci accese per muoversi nella psichiatria, ver-so un futuro meno conflittuale.

NOTIZIARIOINFORMAZIONI

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La terza Assemblea del People’s HealthMovement

Dal 6 all’11 luglio scorso si è svolta a Cape Town, SudAfrica, la terza Assemblea del People’s HealthMovement che ha richiamato circa 800 persone, pro-venienti da più di 90 Paesi, riunitesi per riflettere ediscutere insieme sull’analisi della situazione globale,ma soprattutto per valutare le azioni finora condotteed elaborare le strategie da attuare fino alla prossimaAssemblea, prevista tra cinque anni.Il People’s Health Movement (PHM) è un movimen-to globale per il diritto alla salute. Nato nel 2000 inoccasione della prima Assemblea per la Salute dei Po-poli, svoltasi in Bangladesh, è cresciuto da allora adoggi grazie alla creazione in numerosissimi Paesi di‘cerchi’, reti locali e nazionali che – con ampia autono-mia di tematiche e strategie – svolgono azioni diadvocacy e di mobilizzazione sul territorio. Il PHMnon è un’organizzazione ma un vero e proprio movi-mento sociale, affine (e in parte affiliato) a quelli sortial termine degli anni Novanta per dare voce a unacorrente politica e di pensiero critica rispetto alla natu-ra egemone, distruttiva dell’ambiente e generatrice didisuguaglianze della globalizzazione neoliberista. Lastruttura è pertanto estremamente leggera (le personestipendiate si contano sulle dita di una mano), e l’ap-partenenza dei membri è basata semplicemente sullalettura e la sottoscrizione della Carta per la Salute deiPopoli, manifesto del movimento. La direzione gene-rale è data da un ‘coordinamento’ di oltre venti perso-ne, in rappresentanza di tutte le aree geografiche delpianeta, il quale nomina un ‘gruppo esecutivo’ più

ristretto incaricato di dare corso ai programmi globali,supportare la comunicazione e appoggiare lo sviluppodel movimento a livello dei Paesi. Infine, il cuore ope-rativo è il ‘segretariato’, attualmente tripartito tra lesedi di Città del Capo, Cairo e Delhi.Ben più rilevanti delle strutture centrali sono però icerchi-Paese, vera e propria linfa del movimento.Molto radicati e presenti soprattutto nel subcontinenteindiano, in Asia e in America Latina, negli ultimi annisono cresciuti un po’ in tutta l’Africa, grazie a un inve-stimento di mobilizzazione pianificato nella secondaAssembla (svoltasi a Cuenca nel 2005). Il processoparte sempre dalla base e dal territorio ed è moltoautodeterminato per quanto riguarda struttura,tematiche e strategie di azione. Spesso, l’innesco av-viene grazie alla partecipazione di persone a uno deiprogrammi chiave del movimento, l’InternationalPeople’s Health University (IPHU). Si tratta di uncorso intensivo di 12 giorni sull’economia politica del-la salute e sul diritto alla salute, combinazione di ana-lisi, conoscenze e pratiche orientata a formare ‘attivi-sti’ non solo competenti, ma posizionati e capaci diiniziare o rinforzare la mobilizzazione sul territorio.Dal 2005 ad oggi sono state svolte oltre 20 edizionidell’IPHU, prevalentemente in Paesi del sud del mon-do, a cui hanno preso parte più di 1000 tra professioni-sti sanitari, studenti e ricercatori universitari, agenticomunitari di salute, attivisti, sindacalisti e semplicicittadini.Nella visione del PHM, la salute delle persone è grave-mente minacciata dall’attuale crisi del sistema econo-mico dominante, che si articola in crisi finanziaria,politica, economica, alimentare e ambientale, respon-

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sabile della crescita delle disuguaglianze sia all’internoche tra i Paesi.A queste tematiche sono state dedicate le prime duegiornate dell’Assemblea di Cape Town, in cui al con-tributo analitico di figure di spicco nel panorama scien-tifico e accademico mondiale (come Ronald Labonte,Fran Baum e David Sanders, per citarne solo alcuni), sisono alternate testimonianze provenienti dagli innu-merevoli contesti in cui i processi descritti hanno l’im-patto più devastante.Si sono infatti susseguiti diversi contributi provenientida rappresentanti di popolazioni indigene minacciatedalla pervasività dell’industria estrattivo-mineraria, dacontadini, di diverse zone del pianeta, costretti ad ab-bandonare le proprie terre per l’invasione dei mercatida parte di beni alimentari sovvenzionati provenientidal nord del mondo, da lavoratori che vedono la lorosalute messa a rischio dall’assenza di sicurezza e di nor-me adeguate, oltre che per la degradazione ambientalee l’inquinamento, e altre testimonianze che hanno illu-strato quanto le persone povere, in contesti urbanizzati,siano rese dipendenti da cibi malsani e patogeni, piùdisponibili ed economici di quelli tradizionali.La terza giornata è stata dedicata all’assistenza e aisistemi sanitari e alle problematiche sia dei Paesi ricchi,in cui i servizi pubblici sono crescente oggetto di taglie delegittimazione, che dei Paesi a medio e basso red-dito, in cui per molte fasce della popolazione è ancoranegato l’accesso ai servizi di salute primaria. Al Sudcome al Nord del mondo si espande invece il settoreprivato, a livello di finanziamento, gestione e offertadi servizi nonché nella produzione e vendita di farma-ci, sostenuto da un paradigma riduzionista, industrialee biomedico che bene si articola con la progressivamercificazione della salute. Accordi di ‘libero’ com-mercio multi-, pluri- e bilaterali erodono sempre più lasovranità dei governi e il loro potere di regolare leattività del settore privato economico e finanziario, lacui espansione si traduce in una riduzione nell’accessoe nell’universalità dei servizi. A livello di produzionefarmaceutica, medesimi meccanismi politico-econo-mici mantengono l’esclusione di larga parte della po-polazione mondiale dall’accesso a farmaci essenziali.Dopo aver costruito e condiviso analisi e visione, leultime due giornate di Assemblea sono state dedicate

all’elaborazione di strategie d’azione. Non sulla base diidealizzazioni astratte, bensì di esperienze concrete messein atto dal basso nei numerosissimi e diversificati con-testi di provenienza dei delegati. Tra le più significati-ve, la campagna per il diritto alla salute che, in diversistati indiani, ha preso le forme di ‘monitoraggio co-munitario’. Grazie a schede di rilevazione della presen-za e del funzionamento dei servizi (schedeiconografiche, per evitare barriere di alfabetizzazione),la popolazione è diventata parte attiva e soprattuttovoce in capitolo rispetto alla loro organizzazione e ge-stione. Audizioni pubbliche hanno amplificato tale vocee l’esito trasformativo è stato efficace e diffuso, nonsolo nel risultato ‘finale’ di miglioramento dei servizi,ma soprattutto in quello ‘processuale’ di riequilibrio dipotere tra cittadini e governo (nonché di coesione so-ciale e capacitazione). Su scala più piccola ma nonmeno significativa, il PHM Kenya sta realizzando azio-ni di supporto per la popolazione del nord del Paese,afflitta da siccità e fame, mobilizzando la comunitàper interrompere i perversi circuiti di dipendenza inne-scati dall’aiuto internazionale e restituire sovranità ali-mentare e dignità alle persone. Ancora, nell’ambitodell’accesso ai farmaci e della proprietà intellettuale,reti affiliate al PHM come Health Action Internationale Thirld World Network stanno combattendo batta-glie di alto profilo tecnico-legale, accompagnate dainformazione su vasta scala volta alla mobilizzazionesociale. Vista la sede dell’Assemblea, non poteva man-care in questo ambito una significativa rappresentanzadella Treatment Action Campaign (TAC), organizza-zione capofila della storica battaglia contro la lobbyfarmaceutica e in favore della politica del governosudafricano per l’accesso ai farmaci antiretrovirali.Zackie Achmat, carismatico leader di quella campa-gna, ha condiviso un’appassionata analisi della sua espe-rienza di attivismo, resa ancora più viva dalla parteci-pazione all’Assemblea di numerosi membri di TAC –in gran parte sieropositivi – provenienti da una dellezone più povere della città, dove l’organizzazione hasede.In chiusura, c’è stato il tempo per un bilancio dellacrescita del movimento dall’ultima Assemblea e delsuo stato attuale, ma soprattutto per definire in ma-niera condivisa le strategie d’azione e le priorità a cui

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dare corso. La discussione in merito era in realtà inizia-ta a livello dei Paesi e delle regioni, e continuata duran-te tutti i giorni di Assemblea in uno spazio dedicatoalla redazione di quella che è poi divenuta la ‘CapeTown call to action‘, che dopo essere rimasta aperta acontributi nei mesi successivi all’assemblea è ora di-sponibile nella sua versione definitiva (scaricabile dalsito del People’s Helath Movement: www.phmovement.org).

Nella ‘Call to Action’, dopo un’analisi puntuale e arti-colata delle criticità del sistema vigente, viene deline-ata la visione alternativa che il PHM persegue, a parti-re da un cambiamento radicale che riporti al centro lepersone e le comunità nonché i valori di benessere(personale/collettivo/ambientale), equità e giustiziasociale. Oltre a nuovi sistemi economico-produttivi,al servizio delle persone e rispettosi dell’ambiente, ilPHM chiede dinamiche e istituzioni politico-econo-miche più eque e democratiche, una miglioregovernance della salute globale e la presenza di sistemisanitari pubblici universalistici e comprensivi. Infine,quella che è stata giudicata la sezione più importante èinteramente dedicata alla costruzione del movimento:solo la mobilizzazione delle persone, si afferma infatti,sarà in grado di produrre un cambiamento sociale nelsenso auspicato. Dato tuttavia l’attuale squilibrio dipotere a vantaggio delle elite politiche, economiche efinanziarie, perché tale mobilizzazione si realizzi e siaefficace è necessario lavorare per incrementare il pote-re sociale e politico delle persone e delle comunità.Le strategie in questo senso sono indirizzate in primoluogo a rafforzare il movimento, sia in termini di pre-senza in nuovi Paesi che soprattutto di legami tra Paesie tra regioni. A tal fine è stato dato spazio durantel’Assemblea a incontri regionali, che hanno portatoall’elaborazione di piani di lavoro adatti alle prioritàspecifiche e commisurati allo sviluppo del movimentoin ogni regione. Come le altre, anche l’Europa ha fattola sua parte, grazie soprattutto alle rappresentanze diItalia, Belgio, Germania, Regno Unito, Olanda e Gre-cia. Tra questi Paesi solo il Regno Unito ha ad oggi unvero e proprio ‘cerchio’ PHM, rafforzatosi negli ulti-mi mesi grazie alla forte esposizione nelle battaglie –finora purtroppo perse – a difesa del sistema sanitario

pubblico. Tuttavia anche Germania e Belgio hannoattivato processi promettenti, aggregando sulla basedel diritto alla salute e della difesa dei servizi pubbliciONG, accademici, gruppi studenteschi e sindacati. Sitratta di esperienze vicine che offrono un esempio euno stimolo utile anche all’Italia. A tutti, infine, èparsa evidente la necessità di costruire e rafforzare irapporti di solidarietà tra Paesi europei in quanto l’at-tacco – incombente o già in atto – ai sistemi pubblicidi sicurezza sociale, inclusi quelli sanitari, è una realtàcondivisa, talora diversificata nelle modalità ma so-stanzialmente uguale nelle cause e negli effetti.La seconda linea strategica portante, decisa a Cape Town,è quella di costruire alleanze con altri movimenti so-ciali attivi su tematiche inerenti alla salute e ai suoideterminanti (ambiente, lavoro, genere, sovranità ali-mentare, ecc.), nonché di seguire da vicino alcuni pro-cessi di advocacy che puntano a rendere il diritto allasalute esigibile a livello internazionale (tra questi, lacampagna per una convenzione quadro sul diritto allasalute). Come è stato ripetuto in molte occasioni, nonsi tratta di creare nuove strutture o di imporre il ‘mar-chio’ PHM su realtà esistenti, bensì di utilizzare lepotenzialità che il movimento offre in quanto piatta-forma per rafforzare sinergicamente le azioni che ognu-no sta già portando avanti, connettendo da un latoistanze, territori e popolazioni, dall’altro il piano localecon quello globale/strutturale.Infine, è stato approvato un rinnovamento degli orga-ni di coordinamento, volto a integrare membri giova-ni e a migliorare l’equilibrio di genere e larappresentatività regionale, ed è stata deliberata la con-tinuità di programmi strategici del People’s HealthMovement, come l’IPHU, la pubblicazione del GlobalHealth Watch, il monitoraggio dell’OMS (WHOWatch) e la campagna per il diritto alla salute (Rightto Health Campaign, RTHC).Ora per la ‘delegazione’ italiana presente a Cape Town,formata da giovani medici di sanità pubblica e medici-na generale attivi in Italia sulle tematiche della saluteglobale e del suo insegnamento e da una rappresentan-za significativa di AIFO (da tempo ‘contatto’ italianodel movimento), l’intento è quello di dar vita anche inItalia ad un ‘cerchio’ del PHM.Convinti che la combinazione di analisi e attivismo su

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Plenary sessions - Thursday 8th Nov

European Public Health Association(EUPHA)V Conferenza annuale di Sanità Pubblica2012All Inclusive Public HealthPortomaso, St. Julian’s, MaltaHilton Conference Centre7 - 10 November 2012

L’Association of Schools of Public Health in theEuropean Region (ASPHER) e Malta Association ofPublic Health Medicine (MAPHM) organizzano la Vconferenza congiunta di Sanità Pubblica che riuniscein una conferenza comune il 20o congresso annualeEUPHA e il 34° incontro annuale ASPHER.

La Conferenza europea di sanità pubblica è volta acontribuire al miglioramento della salute pubblica inEuropa, offrendo uno strumento per lo scambio diinformazioni e una piattaforma di discussione per iricercatori, responsabili politici e professionisti nel cam-po dei servizi di sanità pubblica e così come per tuttiquanti in Europa sono impegnati nella formazione ededucazione in questo ambito.Riportiamo il programma per evidenziare la moltepli-cità e importanza dei temi affrontati sia quelli più tra-dizionali a quelli più innovativi e riferibili a nuovi studisu problematiche emergenti.Per informazioni ancor più dettagliate rimandiamo alsito web della Conferenza: http://www.eupha.org/p r o g r a m m e / d y n a m i c _ p r o g r a m m e . p h p ?programme=full

scala locale e globale che il PHM incarna non ha ugualie pare, ad oggi, una delle poche strategie in grado dipromuovere e agire un’alternativa, l’ idea del nascentecerchio-Paese italiano è quella di mettere in rete singo-li, associazioni e gruppi già esistenti intorno ai principienunciati nella ‘Carta della Salute dei Popoli’ e nella‘Cape Town call to action’, per riaffermare ed agire ildiritto alla salute.

Chiara Bodini, Ilaria Camplone, Centro Studi e

Ricerche in Salute Internazionale e Interculturale,Università di Bologna / RIISG Rete Italiana

Insegnamento Salute GlobaleRiccardo Casadei, Scuola di specializzazione in Igiene

e Medicina Preventiva, Università di Perugia /RIISG Rete Italiana Insegnamento Salute GlobaleAlessandro Rinaldi, Scuola di specializzazione in

Igiene e Medicina Preventiva, Sapienza Università diRoma / RIISG Rete Italiana Insegnamento Salute

GlobaleSusanna Zecca, Scuola MMG Regione Lazio / RIISG

Rete Italiana Insegnamento Salute Globale

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Informazioni 453

Main conference - Thursday 8th Nov

Main conference - Friday 9th Nov

Plenary sessions - Thursday 8th Nov

Plenary sessions - Friday 9th Nov

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segue ... Main conference - Friday 9th Nov

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Informazioni 455

segue ... Main conference - Friday 9th Nov

Plenary sessions - Friday 9th Nov

Plenary sessions - Saturday 10th Nov

Main conference - Saturday 10th Nov

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European Society for Prevention Research(EUSPR)3rd International Conference and Mem-bers’ MeetingCommon risk and protective factors, and theprevention of multiple risk behavioursKrakow (Poland), December 6-7, 2012

Diversi comportamenti di salute correlati condivido-no fattori di rischio comuni e programmi globali po-trebbero essere efficaci.I servizi sanitari hanno avuto per lungo tempo la ten-denza a trascurare il potenziale per la prevenzione diunintervento tra l’emergere di problemi o di vulnerabili-tà nei primi anni di vita e la manifestazione: è il caso,per esempio, della violenza, della criminalità, dei com-portamenti sessuali a rischio, dell’obesità, della salutementale e uso di sostanze e di problemi connessi all’etàanziana.La conferenza EUSPR di quest’anno si concentra sullaidentificazione di tali fattori comuni implicati in di-versi comportamenti a rischio, e sugli effetti beneficiche i programmi di prevenzione o le politiche possonoavere su risultati multipli.In un momento in cui finanziamenti per la prevenzio-ne europea si stanno riducendo, il convegno si proponedi evidenziare l’importanza del lavoro di prevenzionee di promuovere la ricerca sugli interventi volti adottenere più risultati in termini di salute e dicomportamentali di salute. I partecipanti sono invitati a presentare i documentisul tema del convegno. Questi includono, ma nonesclusivamente, la ricerca epidemiologica e eziologica,studi che valutano l’efficacia degli interventi o politi-che con risultati multipli (ad esempio l’uso di sostanze,

Plenary sessions - Saturday 10th Nov

le abitudini alimentari, il comportamento sociale e ses-suale, la salute mentale e attività fisica), o esperienzepratiche effettuate con popolazioni specifiche.L’obiettivo della conferenza è quello di permettere l’ela-borazione di una road map per la ricerca futura e dicollaborazioni internazionali, e di fornire una guida pergli operatori e i policy makers sulle strategie praticabilia livello di sanità pubblica.Sessioni plenarieSessione plenaria 1 - Rischi multipli e fattori protet-tivi: teorie e impattoi) Impulsività e altri tratti della personalità come fatto-ri di vulnerabilità per risultati più problematiciii) I fattori di rischio comuni per la cattiva alimenta-zione, mancanza di attività fisica, consumo di alcol,ecc.iii) ResilienzaSessione plenaria 2 - Metodii) I metodi di quantificazione negli interventi su piùfattori di rischioii) Valutazione dell’efficacia di interventi complessiSessione plenaria 3 - DibattitoPromozione della salute e Prevenzione basata su provedi evidenza: c’è spazio per l’integrazione?Sessioni ParalleleSessione parallela 1 - Sessione poster guidataSessione Parallela 2 - Quanto è efficace lavorare inambiti con diversi risultati.Lo scopo di questa sessione è quello di presentare gliinterventi che affrontano molteplici fattori di rischioempiricamente testati per efficacia, centrati su rispet-tivi modelli teorici.Sessione Parallela 3 – Esperienze: interventi valuta-ti mirati agli adolescenti e interventi valutati miratiagli adulti.

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Public Health and Health PromotionTitolo di accessoL’accesso al master è riservato a coloro che sono inpossesso di una Laurea di I livello, II livello o del vec-chio ordinamento conseguita in Italia, a professionistiin possesso di un titolo equipollenteArticolazione formativaIl Master in progettazione, coordinamento e valuta-zione di interventi integrati in promozione ed educa-zione alla salute si sviluppa nel corso di un anno acca-demico e comprende:- 280 ore di didattica frontale e attiva distribuite in

sette moduli residenziali- attività di tirocinio presso istituzioni varie stabilite

in accordo con il Consiglio del Master- Studio individuale- Elaborazione di una tesi di ricerca a conclusione del

percorso formativoL’insieme delle suddette attività, corrispondenti a 1500ore, determina l’acquisizione di 60 crediti formativiuniversitari.Obiettivi1. sviluppare una visione aggiornata delle basi scien-

tifiche e dei riferimenti culturali relativamente aimodelli di salute e di promozione della salute, conparticolare enfasi rivolta all’approccio “Health inall policies”

2. acquisire la capacità di gestione di processi di tra-sferimento/traslazione dei risultati della ricercascientifica nel contesto operativo

3. conoscere/applicare metodologie di progettazio-ne di interventi di promozione ed educazione allasalute a livello individuale, di piccolo gruppo, dicomunità

4. conoscere/applicare azioni di ricerca qualitativa equantitativa per l’analisi di bisogni di salute e lavalutazione degli interventi

5. conoscere i fondamentali metodi di comunicazio-ne educativa utilizzabili in/con diversi contesti etarget

6. conoscere/gestire processi di valutazione di im-patto sulla salute

7. saper gestire gruppi di lavoro multiprofessionali emultidisciplinari

8. saper coordinare programmi integrati di promo-

Master in Progettazione, coordinamento evalutazione di interventi integrati di pro-mozione ed educazione alla saluteIl Master 2012-2013 e il Progetto ComPHDeveloping competencies and professional stan-dards for health promotion capacity building inEuropeLa nuova edizione legata all’anno accademico 2012-2013 del Master giunge in un momento di fermentodel mondo della promozione della salute in Italia e inEuropa. Alcuni riferimenti. La recente Conferenzanazionale sul progetto Guadagnare salute di Giugno2012 a Venezia ha certificato che la promozione dellasalute è un punto stabile nel panorama delle azionistrategiche per la salute nel nostro Paese. Molte leesperienze presentate, moltissimi gli operatori coin-volti ed i settori del sistema sociale attivati negli inter-venti. La promozione della salute sta quindi evolvendopositivamente in qualità e quantità nel nostro Paese.In Europa, si è attivato un movimenti scientifico eculturale in direzione di una definizione della qualitàdella promozione della salute, sia sul versante degliinterventi che della formazione, basato sulla definizio-ne dei contenuti professionali, dei criteri e degli standarddi qualità ed infine su un meccanismo di accreditamentivolontario tanto dei professionisti che delle strutturedi formazione. Questo movimento europeo, del qualel’Italia è partner attraverso le Università di Perugia(Centro Sperimentale per l’Educazione Sanitaria) eCagliari, è sostenuto da un progetto di ricerca finan-ziato dall’Unione Europea dal significativo titolo“Developing competencies and professional standards forhealth promotion capacity building in Europe”.La nuova edizione del Master ha l’ambizione di ac-compagnare queste tendenze della promozione dellaslaute in Italia e in Europa sostenendo attraverso unrinnovato curriculum fortemente orientato al sistemadi qualità prodotto dal Progetto COMPHP lo svilup-po tumultuoso delle azioni di promozione della salutepromosse e in corso nelle Regioni.In questa prospettiva che vede la promozione dellasalute italiana fortemente proiettata nella dimensioneeuropea, voglio citare la partecipazione del nostroMaster al network European Training Consortium in

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zione della salute ed educazione alla salute 9. attivare/sostenere processi di miglioramento con-

tinuo di qualità dei servizi coinvolti in azioni dipromozione della salute ed in progetti di educa-zione sanitaria;

10. coordinare/sostenere progetti multidisciplinari diricerca per l’analisi e la valutazione dei bisogni edelle domande di salute a sostegno della progetta-zione in promozione della salute ed educazionesanitaria.

Metodi formativiLa didattica del Master è strutturata in modo da facili-tare l’apprendimento di specifiche competenze e for-nire esempi di tecniche e strumenti da trasferire nellepropria operatività. L’articolazione didattica prevede:sintesi informative / lavoro di gruppo / studio di casi /simulazioni, metodi art based / lavori individuali / os-servazione / portfolio (diario di bordo)Tutti i diversi approcci alla ricerca che vengono pre-sentati nel percorso formativo del master hanno il con-tinuo riferimento alla sperimentazione e applicazionein un feedback costante tra sviluppo di nuove cono-scenze e cambiamento nei comportamenti professio-nali e dei servizi.Il TutoraggioIl tutoraggio, con le sue funzione di connessione e disupporto contribuisce a personalizzare l’offertaformativa. I tutor sono membri dello staff docenteinterno al corso che oltre ad una parte didattica dedica-no la maggior parte del loro tempo di lavoro nel Masteral supporto di un piccolo gruppo di corsisti.DocenzaLa funzione di docenza al Master è svolta da docentiappartenenti all’Ateneo di Perugia e ad altri Ateneiitaliani, cui si aggiunge personale proveniente dal mon-do extrauniversitario provvisto di comprovata espe-rienza in settori affini alle aree formative del corso.Una particolare attenzione viene data al mondo diquei servizi che per la loro finalità istituzionale e per lacollocazione sociale hanno un ruolo significativo nellosviluppo di azioni di promozione della salute quali: iservizi sociosanitari, la scuola, il volontariato.I laboratori del masterBUONE PRATICHE:analisi e discussione di interventi paradigmatici

CAFFÈ DELLA SALUTE:lettura critica di articoli scientificiCONTESTI DELLA PROMOZIONE DELLA SALUTE:dialoghi con gli operatori coinvolti nelle “reti” per lapromozione della saluteCOMUNICAZIONE CORPOREA:esperienze individuali e di gruppo sui linguaggi delcorpo e le implicazioni per la promozionedell’empowerment per la saluteLa Direzione del Master è affidata a:dr. Giancarlo PocettaLa Segreteria scientificaPer conoscere più da vicino il Master o richiedere uneventuale colloquio informativodott.ssa Paola Beatinie-mail: [email protected]: +39 075/5857357

1° MODULO

Perugia, 8-12 aprile 2013Le basi culturali e scientifiche e l’organizzazio-ne della promozione della salute in Italia e in

Europa2° MODULO

Perugia, 13 - 17 maggio 2013Teorie, metodi e strumenti per la ricerca in

promozione ed educazione alla salute3° MODULO

Perugia, 10 - 14 giugno 2013Progettazione territoriale partecipata inpromozione della salute ed educazione

sanitari4° MODULO

Perugia, 8 - 12 luglio 2013Valutazione partecipata dell’Impatto sullasalute (VpIS) dei programmi integrati di

promozione della salute5° MODULO

Perugia, 23- 27 settembre 2013Lavorare con la comunità per la promozione

della salute6° MODULO

Perugia, 21 - 25 ottobre 2013Gestione di programmi integrati di promozio-

ne della salute: Relazioni intersettoriali,Gruppi multi professionali, Documentazione

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Informazioni 459

7° MODULO

Perugia, 25 - 29 novembre 2013Comunicazione e salute: teorie e metodi per

l’empowerment

Centro sperimentale per l’educazione sa-nitaria, Università degli studi di Perugia“Tecniche di counseling nutrizionale e diProgrammazione neuro linguistica. corsodi approfondimento”Perugia, 6-8 maggio 2013Il corso è indirizzato a coloro che hanno partecipatoall’attività formativa “Il counseling nutrizionale: tec-niche di comunicazione per promuovere il cambia-mento dei comportamenti alimentari” e a coloro chehanno una formazione di base relativa alle tecniche eabilità di counseling e intendono approfondire e im-plementare le loro conoscenze, progredire nelle com-petenze di base acquisite e aumentare la propria au-tonomia nell’utilizzo di tale tecniche all’interno dellaloro professione . Nel corso verranno approfondite letecniche di counseling applicate al cambiamento deicomportamenti di salute e saranno ampliati i con-cetti e le tecniche di Programmazione Neuro Lin-guistica. Nel corso ampio spazio sarà dato allasperimentazione in aula delle tecniche apprese e allostudio dei casi.

Centro sperimentale per l’educazione sa-nitaria, Università degli studi di Perugia“Il counseling nutrizionale: tecniche di co-municazione per promuovere il cambia-mento dei comportamenti alimentari”Perugia, 27-30 maggio 2013Le tecniche di counseling sono uno strumento parti-colarmente qualificato per la conduzione di colloquicon persone che necessitano di cambiare uno o piùaspetti dei loro comportamenti di salute. L’utilizzodi tali tecniche aumenta la capacità del professionistanella comunicazione con gli utenti di:1 Completare i dati informativi che possiedono2 Metterli in condizione di ricercarne altri3 Riesaminare le soluzioni già individuate o tentate4 Facilitare l’emergere di nuove soluzioni

5 Valorizzare le loro risorseIl corso affronta, dal punto di vista teorico – pratico,la conduzione dei colloqui motivazionali attraversole tecniche di base del counseling in ambitonutrizionale.

Tallin: nasce il Gruppo di Lavoro per lo Svi-luppo delle Competenze Professionali inPromozione della Salute (CWDG)Nella recente Conferenza dell’Unione Internazionaleper la Promozione della salute svoltasi a Tallinn si ètenuta la prima riunione del Gruppo di Lavori sulleSviluppo delle Competenze professionali in promo-zione della salute. Il Gruppo nasce come uno dei pro-dotti del Progetto Europeo Developing competenciesand professional standards for Health PromotionCapacity Building in Europe che ha recentemente con-cluso i suoi lavoro con la pubblicazione dell’Manuale(vedi oltre nel Notiziario). Il Gruppo di lavoro nascecon l’obiettivo principale di promuovere la diffusionee l’applicazione dei prodotti elaborati da COMP HP equindi influenzare la formazione nel campo dellaprofessionalizzazione della promozione della salute. IlGruppo di Lavoro, attraverso la mediazione dell’Uffi-cio Europeo dell’Unine Internazionale per la Promo-zione della salute ha già elaborato e sottoposto al-l’Unione Europea per il finanziamento, con una primavalutazione positiva, un progetto di sviluppo di COMPHP destinato a supportare lo starting up nei Paesipartecipanti.

COMP HP: Pubblicato il Manuale delleCompetenze in Promozione della saluteLa Conferenza Europea di Tallinn è stata la sede dellapresentazione ufficiale del volume “The COMPHPProject Handbook”. L’importante pubblicazione con-tiene tutti i prodotti elaborati dal Progetto EuropeoDeveloping competencies and professional standardsfor Health Promotion Capacity Building in Europe.Tra i principali va menzionato il set minimo di compe-tenze riassunto in nove aree che esplicita ciò che ilprofessionista coinvolto in azioni di promozione della

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salute deve possedere come base per un lavoro di quali-tà, il sistema di valutazione delle competenze stese cheinclude gli standard di riferimento all’interno dicoascuna area ed infine lo schema di accreditamentoprofessionale volontario che COMPHP propone agliStati membri che si propone come uno strumento diaccountability professionale nei confronti deglistakeholder e dei finanziatori (pubblici e privati) degliinetrevmnti di promozioned della salute.

Smart people and smart livingL’iniziativa “SMART City Exhibition” è nata dallacollaborazione tra Bologna Fiere e Forum PA dedicataalle città e agli straordinari sviluppi che derivano dal-l’uso delle nuove tecnologie dell’informazione e dellacomunicazione. La manifestazione, che si svolgerà aBologna Martedì 30 Ottobre 2012, si propone comeforum italiano ed europeo in cui confluiscono gli stu-diosi e gli esperti più autorevoli, nonché le realtà piùavanzate del vivere urbano e delle comunicazioni. Trai temi trattati nelle altre giornate: telecomunicazioni,energia, sostenibilità ambientale, trasporti, social me-dia, pianificazione urbana, marketing territoriale e tu-rismo smart, ecc…. Alla fiera si potranno visitare spa-zi espositivi che riproducono le aree di una città intel-ligente, sarà possibile partecipare a laboratori tematici,ma anche assistere a convegni. (info:www.smartc i tyexh ib i t ion . i t /p rogramma-congressuale/#/questions) (Fonte: ISDE Italia)

Politiche di efficienza di risparmio ener-getico e di contrasto ai cambiamenti cli-maticiIl 22 Novembre 2012 a Udine si svolgerà il 3°Workshop della Rete Città Sane OMS “Politiche diefficienza di risparmio energetico e di contrasto ai cam-biamenti climatici”. Ridurre il consumo di energia, adoggi in costante aumento nelle città, e prevenirne glisprechi sono un obiettivo prioritario dell’Unione euro-pea (UE), nel rispetto degli impegni assunti nel quadrodel protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici.Nell’ambito della seconda edizione della Settimana

europea dell’energia sostenibile (EUSEW 2008), laCommissione Europea ha lanciato il Patto dei Sindaci(Covenant of Mayors), un’iniziativa per coinvolgereattivamente le città europee nel percorso verso lasostenibilità energetica e ambientale, percorso che do-vrebbe portare al raggiungimento degli obiettivi 20-20-20, cioè la riduzione del 20% dei consumi di ener-gia, l’incremento del 20% delle fonti rinnovabili e lariduzione del 20% delle emissioni di CO2 al 2020.Obiettivo del percorso formativo approfondire la co-noscenza dei contenuti della Convenzione e gli specifi-ci strumenti finanziari disponibili che consentano agliEnti Locali di tenere fede agli impegni presi e di pre-sentare buone pratiche già realizzate sul tema. (Fonte:ISDE)

Iniziata la campagna adesioni alla Rete Ita-liana Culture della SaluteNello scorso mese di Settembre ha preso avvio uffi-cialmente la campagna adesioni della neonata ReteItaliana Culture della Salute. Questa Associazione sipone in continuità con l’esperienza delle due principaliassociazioni professionali dell’educazione sanitaria edella promozione della salute: l’AIES per anni direttodalla prof.ssa Maria Antonia Modolo e il CIPES il cuiultimo presidente è stato il prof. Lamberto Briziarelli.Il presidente attuale della RETE Italiana è il prof.Gianfranco Tarsitani. Il nuovo organismo ha recente-mente anche nominato il Consiglio Direttivo al qualeinviamo i migliori auguri di buon lavoro. Ricordiamoche la quota di iscrizione alla RETE Italiana Culturedella Salute è di 30 euro, sono invitati ad iscriversi tuttigli operatori e i cultori della promozione della saluteappartenenti alle varie e diversi discipline e aree profes-sionali che operano nel campo della promozione dellasalute e dell’educazione sanitaria. I riferimenti necessa-ri sono: “Rete Italiana Culture della Salute CIPES/AIES”, sede legale a Roma, Via Tibullo n. 16; Presi-dente: Gianfranco Tarsitani – [email protected], Segretario-Tesoriere: Alessandro Rinaldi– [email protected]; codice IBAN: IT 02 N02008 05312 000102004414.

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Iniziative associative nella ambito della Rete Ita-liana Culture della Salute CIPES/AIESDi seguito diamo notizia di eventi e manifestazioni pro-mosse dalle sedi regionali degli enti aderenti alla RETEITALIANA DELLE CULTURE DELLA SALUTE,saremo ieti di ampliare fin dal prossimo numero questasezione del Notiziario con il contributo di un maggiornumero di operatori.

AIES Liguria Comitato Locale di OrtonovoDue interessanti iniziative devono essere segnalatedall’AIES di Ortonovo, la prima è la presentazione ilgiorno 21 Settembre 2012 della Banca del Tempo diLuni, Libera Associazione per lo scambio del tempo.Questa iniziativa si propone di coinvolgere i cittadininella messa a disposizione di spazi del proprio tempolibero per fornire ad altri piccoli servizi di diversatipologia: lavori nel verde, compagnia, cucina e prepa-razione di cibi, ecc. Nel corso della manifestazioneintrodotta e coordinata dal dr. Giuseppe Vinazzani,anima appassionata da sempre dell’AIES di Ortonovo,è stata “raccontata” anche un’altra esperienza di scam-bio del tempo, quella realizzata da Celestina Modolo aCamogli. La seconda iniziativa in terra ligure è la XVIIIPedalata Ecologica intitolata “Pensando al cuore” svol-ta il 23 Settembre.

CIPES ToscanaIl 13 Ottobre scorso si è svolto il Corso per lo sviluppo e ilmiglioramento personale e professionalecon il sistema formativo Sound Genius che si proponeva dioffrire ai partecipanti, in primo luogo ai soci CIPES To-scana, nn’innovativa proposta formativa per coloroche desiderano crescere e migliorare in ambito perso-nale e professionale, raggiungendo nuovi e sempre piùelevati traguardi. Il corso è stato introdotto dalla dot-toressa Brunella Librandi Presidente CIPES Toscana edal dott. Pietro Martellucci Società Italiana di Medici-na Psicosomatica – Socio Fondatore CIPES Toscana.Docente del corso. Docente: Maestro Giorgio Fabbri.Il corso era strutturato in tre fasi: ascolto e analisi diopere di grandi geni della musica, al fine di riconosceretratti distintivi e processi ricorrenti; individuazione nelgenio musicale di efficaci strategie che possano essere

trasferite nella propria vita personale e professionale;apprendimento di tecniche e pratiche innovative, chepossano rendere possibile il raggiungimento degli obiet-tivi desiderati.

AIES SiciliaL’AIES Sicilia, che aderisce alla Rete Italiana delleCulture della salute, attraverso il suo responsabile Sal-vatore Cacciola, propone a tutti gli interessati una vi-sita al proprio nuovo sito web www.aies.org . Il sito sipresenta non solo come un utile divulgatore delle nu-merose attività che l’AIES Sicilia conduce, dal proget-to BIOFATTORIE Didattiche al progetto reazioniil lessico del fare società, dalla ormai storica setti-mana della salute ai corsi di formazione per ilvolontariato, ma anche come un luogo di scambio,un nodo significativo della Rete Italiana delle Culturedella Salute. Tra le numerose informazione vi è anchequella molti significativa che nella Primavera del 2013la Rete Italiana si propone di svolgere la sua primaConferenza Nazionale a Roma

CIPES PiemonteDal CIPES Piemonte riceviamo e volentieri pubbli-chiamoCari amici, gentili amiche,con la presente intendiamo informarvi che unanuova versione del Centro Documentazione diCIPES Piemonte (CE.DO.) è disponibile all’indiriz-zo http://www.cipespiemonte.it/cedo.Completamente rivisto nell’interfaccia ed estrema-mente semplice nelle modalità di accesso e diutilizzo, la nuova versione di Ce.Do. incorpora ilcollegamento ai più importanti motori di ricerca inrete, ai siti di Enti e Istituzioni nazionali e internazio-nali di riferimento per la promozione della salute ead altri centri di documentazione e banche dati diinteresse specifico.Ricordiamo che Ce.Do. consente di accedere adoltre 3.000 documenti (e relativi abstract), un terzodei quali consultabili direttamente on line, relativi apubblicazioni, atti di convegni, articoli tematici,relazioni su progetti inerenti alla promozione dellasalute, etc.

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 3, luglio-settembre 2012

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Ce.Do. è aperto ad accogliere materiali prodotti daquanti (enti locali, associazioni, aziende sanitarie ealtre organizzazioni) lavorano sui temi dellaprevenzione, dell’educazione sanitaria e dellapromozione della salute; chi ritenesse di mettere adisposizione di altri operatori del settore propridocumenti di interesse generale, può inviare/segnalare tali documenti a CIPES Piemonte(mailto:[email protected]) che, dopo unarapida istruttoria, provvederà a pubblicarli sul sito.Grazie per la cortese attenzione e un cordiale saluto atutti.

Scuola Estiva Europea in Promozione dellasalute – European Training Consortium forPublic Health and Health Promotion (ETC-PHHP): BUILDING BRIDGES: CREA-TING SYNERGY FOR HEALTHNel prossimo mese di Luglio, dal 14 al 26 del mese, siterrà a Girona (Catalogna – Spagna) la scuola estiva diformazione in promozione della salute. Quest’anno, ilcorso si propone di approfondire il tema del networkingcomunitario per la promozione della salute. Le iscri-

zioni saranno aperte dal mese di Gennaio 2013 e ulte-riori informazioni possono essere ottenute nel sito:http://www.etc-summerschool.eu/

Paolo Contu Preside della Facoltà di Medi-cina a CagliariSiamo lieti di annuciare che il prof. Paolo Contu, pro-fessore ordinario di Igiene all’Università di Cagliari èstato recentemente eletto Preside della Facoltà diMeidcina e Chirurgia di quell’Università. Il prof. Contuè una delle personalità più illustri dell’attuale panora-ma della Sanità Pubblica in Italia e in particolare diquello della Promozione della Salute. Oltre ad unavalentissima attivitè di ricerca in diversi campi dellasanità pubblica che ha trovato riconoscimento in unafitta serie di pubblicazioni scientifiche internazionali enazionali, il porf. Contu ricopre il prestigioso incaricodi Vice Presidente dell‘Unione Internazionale per laPromozione della Salute. Il prof. Paolo Contu è anchemembro del Comitato di Redazione della nostra rivi-sta. Gli auguriamo quindi doppiamente uncalorosissimo In bocca al Lupo!

Giancarlo Pocetta

Testata bimestrale del Centro spermentale per l’educazione sanitariaUniversità degli studi di PerugiaDirettore Maria Antonia Modolo

Edita dalla Fondazione Angelo Celli per una cultura della salute (Perugia)Per informazioni e abbonamenti:

Centro spermentale per l’educazione sanitariavia del Giochetto, 6 , 06126 Perugia - tf. 075.5857355-57

e-mail: [email protected] / [email protected]

Finito di stampare nel mese di settembre 2012