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vol. 57, n. 2, aprile-giugno 2013

SISTEMA SALUTELA RIVISTA ITALIANA DI EDUCAZIONE SANITARIA

E PROMOZIONE DELLA SALUTEgià Educazione Sanitaria e Promozione della Salute

Sistema Salute. La Rivista Italiana di Educazione Sanitaria e Promozione della Salute è Organo del Centro sperimentale per l’educazionesanitaria dell’Università degli studi di Perugia. Già diretta da Alessandro Seppilli

Direzione e Redazione: Centro sperimentale per l’educazione sanitaria, Università degli studi di Perugia, via del Giochetto 6, 06126 Perugia / tel.:075.5857357-56-55 - fax: 075.5857361 / e-mail: [email protected] / www.unipg.it/csesi

Direttore responsabile: Filippo Antonio Bauleo, Azienda Sanitaria n. 2, Regione Umbria

Presidente del Comitato scientifico: Maria Antonia Modolo, Università degli studi di Perugia

Redattore capo: Lamberto Briziarelli, Università degli studi di Perugia

Segretario di redazione: Paola Beatini, Università degli studi di Perugia

Autorizzazione del Tribunale di Perugia n. 4 del 17 febbraio 2012

Comitato scientifico: Bruno Benigni, Centro di promozione per la salute “Franco Basaglia” (Arezzo) / Mario Bertini, Società italiana di psicologiadella salute, già professore di psicologia, Sapienza Università di Roma / Francesco Blangiardi, Società italiana di igiene, medicina preventiva esanità pubblica, Dipartimento di prevenzione AUSL n. 7 della Sicilia (Ragusa) / Sabrina Boarelli, Ufficio scolastico regionale per l’Umbria /Antonio Boccia, Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica, professore di igiene, Sapienza Università di Roma / FrancescoBottaccioli, Società italiana di psiconeuroimmunologia (Roma) / Lamberto Briziarelli, già professore di igiene, Università di Perugia / AntonioCappelli, Centro italiano ricerca sui servizi sanitari e sociali (Roma) / Carla Collicelli, Fondazione CENSIS (Roma), professore di sociologia dellasalute, Sapienza Università di Roma / Paolo Contu, professore di igiene, Università di Cagliari / Michele Conversano, Società italiana di igiene,medicina preventiva e sanità pubblica, Dipartimento di prevenzione ASL Taranto / Giorgio Cosmacini, professore di storia della medicina,Università Vita-Salute San Raffaele (Milano) / Claudio Cricelli, Società italiana di medicina generale / Barbara D’Avanzo, Dipartimento dineuroscienze, Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” (Milano) / Paola Di Nicola, professore di sociologia dei processi culturali ecomunicativi, Università di Verona / Floriana Falcinelli, professore di didattica generale e tecnologie dell’istruzione, Università di Perugia / CarloFavaretti, Health promoting hospital & health services network, Azienda ospedaliera-universitaria “Santa Maria della Misericordia” (Udine)/ Luigi Ferrannini, Società italiana di psichiatria, Dipartimento di salute mentale, ASL n. 3 della Liguria (Genova) / Irene Figà-Talamanca, giàprofessore di igiene, Sapienza Università di Roma / Salvatore Geraci, Area sanitaria della Caritas Diocesana Roma / Mariano Giacchi, professoredi igiene generale e applicata, Università di Siena / Guido Giarelli, European society for health and medical sociology, professore di sociologiagenerale, Università Magna Graecia (Catanzaro) / Margherita Giannoni, professore di economia sanitaria, Università di Perugia / Marco Ingrosso,professore di sociologia generale, Università di Ferrara / Domenico Lagravinese, Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica,Dipartimento di prevenzione ASL Bari / Gavino Maciocco, Osservatorio italiano sulla salute globale, professore di politica sanitaria internazio-nale, Università di Firenze / Maurizio Mori, già professore di medicina di comunità, Università di Perugia / Aldo Morrone, Istituto nazionale perla promozione della salute delle popolazioni migranti ed il contrasto delle malattie della povertà, Roma / Pio Enrico Ricci Bitti, Società italianadi psicologia della salute, professore di psicologia generale, Università di Bologna / Walter Ricciardi, European public health association,professore di igiene generale e applicata, Università Cattolica del Sacro Cuore (Roma) / Paola Rivosecchi, professore di metodologia epidemiologicae igiene, Università di Perugia / Roberto Romizi, Associazione internazionale dei medici per l’ambiente / Tullio Seppilli, già professore diantropologia culturale, Università di Perugia, Fondazione Angelo Celli per una cultura della salute (Perugia) / Paolo Siani, Associazioneculturale pediatri, Ospedale Cardarelli (Napoli) / Gianfranco Tarsitani, professore di igiene, Sapienza Università di Roma / Maria Teresa Tenconi,professore di igiene, metodologia epidemiologica e medicina di comunità, Università di Pavia / Maria Triassi, professore di igiene generale eapplicata, Università Federico II di Napoli / Enrico Tempesta, Osservatorio permanente giovani e alcol, Roma / Maria Giovanna Vicarelli,professore di sociologia dei processi economici e del lavoro, Università Politecnica delle Marche (Ancona) / Mauro Volpi, professore di dirittocostituzionale, Università di Perugia.

Comitato di redazione: Sandro Bianchi, Associazione culturale pediatri (sezione Umbria)/ Sabrina Flamini, Fondazione Angelo Celli per unacultura della salute (Perugia) / Fausto Francia, Dipartimento di sanità pubblica, AUSL Bologna / Patrizia Garista, Università di Perugia /Giuseppe Masanotti, Università di Perugia / Liliana Minelli, Università di Perugia / Giovanni Paladino, Università Federico II di Napoli / DamianoParretti, Società italiana di medicina generale (sezione Umbria) / Enrico Petrangeli, Fondazione Angelo Celli per una cultura della salute(Perugia) / Maria Saba Petrucci, Università di Perugia / Giancarlo Pocetta, Università di Perugia / Carlo Romagnoli, ASL n. 2 dell’Umbria /Francesco Scotti, Gruppo tecnico interregionale per la salute mentale, Regione Umbria .

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In questo numero

Salute Globale: troppe definizioni, un solo obiettivo?Liliana Minelli

Human rights as the basis for defining, measuring andpromoting healthMaurice B. Mittelmark, Torill Bulla

La sostenibilità degli interventi di promozione della sa-lute: risultati di una ricerca valutativaDonatella Belotti, Giancarlo Pocetta, Laura Pilotto

Conoscenze, attitudini e comportamenti in tema didoping e integratori alimentari in un campione di prati-canti il gioco del calcio: risultati di uno studio trasversa-le pilota in ItaliaDaniele Masala, Guglielmo Giraldi, Silvia Miccoli,Brigid Unim, Angela Meggiolaro, Walter Ricciardi,Giuseppe La Torre

Consumo e dipendenza da fumo, alcol e droga in un cam-pione di 2078 adolescenti campani: lo stato dell’arteRossella Bellopede, Oreste Caporale, GiuseppinaMuto, Renato Caputi, Mario Gaudiosi, NicolaGrimaldi, Marco Amodio, Giovanni Panico, Anna Ro-mano, Gabriella Fabbrocini, Fabrizio Pallotta, MariaTriassi

Il Distretto, la Casa della Salute e la Sanità d’iniziativaEnrico Desideri, Anna Canaccini

Editoriale

Contributi

Indice vol. 57, n. 2, aprile-giugno 2013

vol. 57, n. 2, aprile-giugno 2013 Sommario

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Il Contratto della merenda: l’adesione per 5 anni mi-gliora le abitudini alimentari dei bambini delle scuoleprimarieCecilia Savonitto, Laura Pilotto

Che cosa accade in Casa della carità? Un’osservazioneprotratta nel tempo degli ospiti e dei loro percorsi in unastruttura di accoglienza milaneseBarbara D’Avanzo, Emanuela Geromini, Silvia Landra,Fiorenzo De Molli

Castelbrando 6: Documento conclusivoa cura della Presidenza del Convegno della S.It.I.

Note a margine della 2a Conferenza Nazionale sulle curedomiciliari - 11° Congresso Nazionale CARD - (Roma,22-24 maggio), Paolo Da Col, referente nazionale CARD,Area Cure Domiciliari / Riflessioni sul Congresso Mon-diale di riabilitazione psicosociale, Milano 10-13 novem-bre 2012, Angelo Barbato, Barbara D’Avanzo MartineVallarino, Laboratorio di Epidemiologia e Psichiatria SocialeIstituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Milano /ICGM 2013 - International Conference on Gender andMigration: Critical Issues and Policy Implications, 11-13 Maggio 2013, Marmara University, Istanbul-Turchia,a cura di Manuela Chiavarini, Dottore di ricerca in Educazio-ne sanitaria, Università degli Studi di Perugia / Status Reporton Alcohol and Health in 35 Paesi Europei - 2013 /World Tobacco Day / Programma Ccm 2013 / 8th WorldAlliance for Risk Factor Surveillance Global Conference(WARFS 2013) / Società Italiana per la Promozione dellasalute / Società Italiana di Igiene Medicina Preventiva eSanità Pubblica / Rete Italiana Culture della Salute (RICS)CIPES/AIES - I Conferenza Nazionale Giancarlo Pocetta,Centro Sperimentale per l’Educazione Sanitaria, Universitàdegli studi di Perugia

Schede

Documenti

Notiziario

Sisteoa Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-giugno 2013

Sistema Salute, 57, 2, 2013: pp. 133-134

IN QUESTO NUMERO

In questo numero è riportata una Miscellaneadi contributi. Lo presentiamo pertanto comespazio alle ricerche e alle esperienze neidiversi ambiti oggetto di studio e analisidella nostra Rivista. Come più volte ribadi-to essa intende garantire uno spazio di con-fronto tra i diversi professionisti dell’edu-cazione sanitarie e promozione della saluteche operano nel mondo accademico e neiserviziL’Editoriale di Liliana Minelli sviluppa ilconcetto relativamente nuovo, ma di gran-de attualità – e oggetto di interesse e ricer-ca – di “salute globale”: definizioni, obiet-tivi e confronti di studi e modelli interna-zionali.Argomento di elezione, anche per lo studiodelle disuguaglianze in salute.L’articolo di Maurice Mittelmark e Torill Bullaavvia un dibattito sul quesito che costituiràil tema monografico del prossimo numeroL’educazione sanitaria nel quadro della nuovapromozione della salute: gli schemi culturalidi promozione della salute ed educazione

sanitaria, i principi, modelli e metodi, checi hanno accompagnato dagli anni ’80, daOttawa ad oggi sono gli stessi alla luce del-l’evoluzione nosografica, delle nuove cono-scenze scientifiche e dei mutamenti socio-economici e ambientali?Gli Autori partendo da un discorso genera-le su salute e diritti umani, intendono dareuna risposta ad una questione teorica maanche concreta: se la promozione della sa-lute riguarda diritti umani, come misurarela salute e le disuguaglianze da questa spe-cifica prospettiva? Quali indicatori? Quesi-ti complessi ma centrali per un’“evoluzione”della promozione della salute.A seguire la Miscellanea.Donatella Belotti et al. sottopongono ad ana-lisi il concetto di sostenibilità, elemento nonsempre preso in considerazione nella pro-gettazione in promozione della salute: dal-la letteratura sono riferiti definizione, mo-delli ed evidenze; gli Autori riportanoun’esperienza di valutazione sul campo rea-lizzata all’interno della rete Città Sane-Friuli

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

Venezia Giulia.Al tema “doping e integratori alimentari”si riferisce la ricerca realizzata da DanieleMasala et al. Lo studio, di tipo trasversale,è stato realizzato in tre province italiane eha valutato, attraverso un questionario, at-titudini, conoscenze e comportamenti digiovani giocatori di calcio non professioni-sti. Si evidenzia una preoccupante disinfor-mazione che sollecita la continua necessitàdi progetti educativi.Rossella Bellopede et al. trattano, in estremodettaglio in rapporto ai contesti, il tema delconsumo dello sostanze – fumo, alcol, dro-ga – tra adolescenti campani. Le conoscen-ze sul tema dei giovani sono diversificate,così come le fonti; si pone il problema dimetodologie di sensibilizzazione nuove e piùadeguate.Un altro argomento base dei professionistidel settore: i comportamenti alimentari. Loaffronta l’esperienza riportata da Cecilia Sa-vonitto e Laura Pilotto dedicata alla “meren-da” di metà mattina dei bambini delle scuole

primarie. Il progetto conferma l’importan-za del coinvolgimento della famiglia per ot-tenere risultati efficaci e duraturi.Il contributo di Desideri e Canaccini ribadi-sce il ruolo centrale del distretto per svi-luppare sanità di iniziativa e continuità del-le cure nel dibattito sulla riorganizzazionesanitaria.Conclude il numero l’articolo di BarbaraD’Avanzo sulla popolazione homeless. L’Au-trice partendo dalla necessità di trattare illavoro sociale come un’attività valutabilesottopone a indagine la popolazione accoltanella Casa della Carità di Milano, strutturadi accoglienza per persone in grave condi-zione di marginalità, ne studia le caratteri-stiche associate alla durata di permanenza ealla collocazione all’uscita. E’ stata avviataattraverso il processo di valutazione unastrategia di qualità, nei molteplici signifi-cati di questa parola: efficienza, efficacia,reale utilità di ciò che viene fatto per i de-stinatari delle azioni messe in campo.

Editoriale

Sistema Salute, 56, 2, 2012: pp. 135-138

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-giugno 2013

Salute Globale: troppe definizioni, un solo obiettivo?Global Health: too many definitions, one goal?

Liliana MinelliComitato di redazione della Rivista

Oggi si parla molto di salute globale, confascino ed interesse da parte dei media, de-gli studenti e dei professionisti della salute;ha provocato l’interesse dell’accademia tan-to che molte facoltà – non solo di medicina– hanno ristrutturato i loro programmi in-troducendo l’insegnamento della Global He-alth; è un tema supportato da governi comecomponente cruciale di politica estera(1) edè anche divenuto un obiettivo filantropico.Il termine “salute globale” è relativamentenuovo in medicina, anche se ricercando ininternet la voce in tutti i campi troviamocirca diecimila pubblicazioni che contengonole parole “global health” ed il primo artico-lo pubblicato con le due parole nel titolorisale al 1966(2). Sono disponibili, inoltre,

diverse definizioni di salute globale che sem-brano sottendere la sua derivazione dallasalute pubblica e dalla salute internazionaleche, a sua volta, evolve dal concetto di igie-ne e medicina tropicale; tuttavia è possibileuna sua specifica definizione?(3). Koplan ecolleghi in un fondamentale articolo pub-blicato su The Lancet nel 2009 hanno per laprima volta tentato una definizione al tem-po stesso onnicomprensiva e specifica disalute globale, a cui molti oggi si rifanno:“salute globale è un’area di studi, ricerche epratiche che ha come priorità il migliora-mento della salute ed il raggiungimentodell’equità in salute per tutti nel mondo. Lasalute globale enfatizza l’ambito transnazio-nale, i determinanti di salute, le soluzioni

(1)Institute of Medicine. The US commitment to global health: recommendations for the new administration.Washington DC, Dec, 15, 2008.(2) Niblett DH. Global health factors of importance to Canadian mobile forces with a potential world-widecommitment. Med Serv J Can 1966; 22: 333-50.(3) Marusiæ A. Global Health- multiple definitions, single goal. Ann Ist Super Sanità 2013, vol.49 (1):2-3.

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-giugno 2013

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globali; coinvolge molte discipline dellescienze umane e promuove collaborazioniinterdisciplinari; infine è una sintesi di pre-venzione a livello di popolazione e di assi-stenza clinica a livello dell’individuo”(4). Pri-ma di questa definizione, la salute globaleera stata pensata o come mera conoscenzaoggettiva (il corrente stato di salute globa-le) o come un obiettivo (un mondo di per-sone in salute, una condizione di salute glo-bale) o un insieme di ricerca e pratiche (mol-te competenze e professionalità in campo)che lasciava in secondo piano le implicazio-

ni filosofiche e strategiche e le priorità perl’azione che medici, ricercatori, finanziato-ri e la popolazione in generale debbonomettere a disposizione per migliorare lacondizione umana, compresa quella sanita-ria. Koplan e collaboratori nel voler preci-sare il loro punto di vista cercano di distin-guere gli ambiti di azione, i livelli di coo-perazione, l’accesso alla salute e l’interdi-sciplinarietà propri della salute internazio-nale, della salute pubblica e della salute glo-bale (tabella 1).

Salute Globale Salute Internazionale Salute Pubblica

Riferimento Geografico

Si focalizza su problemi che direttamente o indirettamente interessano la salute ma che possono oltrepassare i confini nazionali

Si focalizza su problemi di salute di altri paesi rispetto al proprio, specialmente quelli di basso o medio PIL

Si focalizza su problemi che interessano la salute della popolazione di uno specifico paese o una specifica comunità

Livello di Cooperazione

Lo sviluppo e l’implementazione di soluzioni spesso richiedono una cooperazione globale

Lo sviluppo e l’implementazione di soluzioni solitamente richiedono la cooperazione di due paesi

Lo sviluppo e l’implementazione di soluzioni solitamente non richiedono una cooperazione globale

Individui o Popolazioni

Si occupa sia di prevenzione nelle popolazioni che di assistenza clinica degli individui

Si occupa sia di prevenzione nelle popolazioni che di assistenza clinica degli individui

Si focalizza principalmente su programmi di prevenzione per le popolazioni

Accessibilità in Salute

Un obiettivo primario è l’equità in salute nei vari paesi e per tutti gli individui

Cerca di assistere la popolazione di altri paesi

Un obiettivo primario è l’equità in salute all’interno di un paese o di una comunità

Range di Discipline Elevati scambi interdisciplinari e multidisciplinari entro e oltre la comunità sanitaria

Considera alcune discipline, ma non dà molta enfasi alla multidisciplinarietà

Incoraggia approcci multidisciplinari, particolarmente tra le scienze sociali e sanitarie

Tabella 1: Confronto tra Salute Globale, Internazionale e Pubblica (da Koplan et al., 4)

(4) Koplan JP, Bond TC, Merson MH, Reddy K, Rodriguez M, Sewankambo N and Wasserheit J for theConsortium of Universities for Global Health Executive Board. Towards a common definition of globalhealth. Lancet 2009; 373 (9679):1993-5.

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In estrema sintesi la salute internazionale,secondo gli autori, si focalizza soprattutto suproblemi di salute quali le malattie infettivee tropicali e la salute materno-infantile inpaesi a basso reddito, mentre la salute pub-blica punta l’attenzione sulla salute della po-polazione di uno specifico paese o comunità.Questo tentativo di razionalizzare e precisa-re i tre ambiti disciplinari ha sollevato con-traddizioni e reazioni soprattutto dal puntodi vista teorico, tanto che Fried et al. conte-stano la distinzione tra salute pubblica e glo-bale e suggeriscono che “salute pubblica èsalute globale per il bene comune”(5). Kick-bush semplifica la definizione di salute glo-bale indicandola come “quell’insieme di pro-blemi di salute che trascendono le barrierenazionali e governative e chiamano all’azio-ne sforzi globali che determinano la salutedelle persone”(6), una definizione ritenutatroppo generica, passiva nella chiamata al-l’azione e che omette la necessità di collabo-razione multidisciplinare e la ricerca. Macfar-lane et al. descrivono salute globale come“miglioramento della salute in senso mon-diale, riduzione delle disparità e protezionecontro minacce globali che ignorano i confi-ni nazionali(7), mentre Beaglehole e Bonitapreferiscono utilizzare l’espressione “ricercacollaborative trans-nazionale ed azione perpromuovere la salute per tutti” in cui colla-borativo (o collettivo) enfatizza la globalità

dei problemi, la molteplicità dei determi-nanti di salute e la matrice complessa delleistituzioni coinvolte nel trovare soluzioni,mentre promuovere fa riferimento all’ampioraggio di strategie della sanità pubblica e dellapromozione della salute per migliorare ilbenessere di tutti, compreso il contrasto/svi-luppo dei determinanti sociali, economici,ambientali e politici(8). Il Global Health En-terprise degli Stati Uniti – che coinvolgemolti settori (governativi e non), molte di-scipline (entro e oltre le scienze della salute)ed è caratterizzato dall’intersettorialità, in-terdisciplinarietà e collaborazione internazio-nale – assume che la salute globale abbia loscopo di migliorare la salute di tutta la po-polazione in ogni nazione promuovendo ilbenessere ed eliminando le malattie evitabi-li, la disabilità e la morte prematura. Inol-tre, il moderno concetto di salute globale èinestricabilmente connesso al fatto che la sa-lute è legata al più ampio concetto di svilup-po sostenibile e lotta alla povertà. Questiambiziosi obiettivi possono essere ottenuticombinando la promozione della salute po-pulation-based con misure di prevenzione edi assistenza individual-level(9). Molto stimo-lante e ricco di argute riflessioni teoriche èl’articolo di Bozorgmehr apparso su Globa-lization and Health nel 2010, dove punti-gliosamente si argomenta, tra l’altro, intor-no al senso della parola “globale” (mondiale,

(5) Fried LP, Bentley ME, Buekens P, Burke DS, Frenk J, Klag MJ. Global health is public health. Lancet2010;375:535-7.(6) Kickbush I. The need for a European strategy on global health. Scand J Public Health 2006;34.561-5.(7) Macfarlane SB, Jacobs M, Kaaya Ee. In the name of global health: trends in accademics institution . JPublic Health Policy 2008,29:383-401.(8) Beaglehole R, Bonita R. What is global health?. Global Health Action 2010;3:5142 DOI:10-3402/gha.v3iO.5142.(9) Institute of Medicine. The US Commitment to Global Health: recommendations for the Public andPrivate Sectors, Washington DC, May 2009.

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oltre i confini nazionali, universale, olisti-co)(10). La sezione dedicata alla salute globaledel blog italiano saluteinternazionale.infopunta molto sullo scambio di informazionied aggiornamenti, sulla formazione degli ope-ratori e degli studenti, sulla necessità di uma-nizzare la medicina e di approfondire le inte-razioni tra salute e cultura. Nelle universitàitaliane, negli ultimi anni, si è sviluppato no-tevolmente l’interesse per l’introduzione del-l’insegnamento di “salute globale” nel curri-culum di base degli studenti di medicina enon solo: a titolo puramente indicativo ci-tiamo la facoltà di medicina e chirurgia del-l’università di Perugia che da cinque anni of-fre attività didattica elettiva in salute globa-le con notevole successo di partecipazione edapprezzamento da parte degli studenti e de-gli organi accademici, mentre negli StatiUniti oramai circa due-terzi delle scuolemediche offrono corsi in salute globale (As-sociation of American Medical Colleges,2008). Da ultimo, occorre fare menzione alfatto che la discussione intorno al significatodi salute globale riporta al centro dell’atten-zione anche il riferimento al diritto alla salu-te espresso dall’OMS come “rivendicazionedi un set di accordi sociali – norme, istitu-zioni, leggi, ambiente sostenibile – che pos-sa assicurare il godimento di una vita saluta-

re; i vari stati hanno l’obbligo di garantireche il diritto sia esercitato senza discrimina-zioni e che vengano assunte deliberazioniconcrete per la sua piena realizzazione (11) eper far sì che ognuno goda del più alto stan-dard di salute fisica e mentale raggiungibile(12), cioè il diritto alla salute deve includereazioni essenziali di assistenza primaria, il mi-nimo essenziale di cibo ed acqua salubri esicuri e di farmaci essenziali (13). Il dirittoalla salute, come tutti i diritti umani, impo-ne il rispetto, la protezione e gli strumentiper la sua realizzazione di ogni cittadini inogni luogo (intreccio indissolubile tra saluteglobale e diritto alla salute di ognuno) (14).Per chi ha a cuore la salute senza aggettividelle popolazioni, questo dibattito può ap-parire come un mero processo di disvelamen-to di contraddizioni in ben stabiliti concettie visioni; tuttavia l’approfondimento teoricointorno alla parola salute – globale, interna-zionale, pubblica – aiuta a precisare e guida-re sempre di più gli orizzonti delle azioni daintraprendere. Al di là delle molteplici defi-nizioni, a me sembra che la Global Healthpersegua l’obiettivo di migliorare il benesse-re delle persone e di ridurre le ineguaglianzein salute.

Liliana Minelli ([email protected])

(10) Bozorgmehr K. Rethinking the “global” in global health: a dialectic approach. Globalization and Health2010;6:19 DOI:10.1186/1744-8603-6-19.(11) World Health Organization, Health Topics – Human Rights, available at <http://www.who.int/topics/human_rights/en/>.(12) International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, December 16, 1966, S. Treaty Doc. No.95-19, 6 I.L.M. 360 (1967), 993 U.N.T.S. 3. Art. 12, available at <http:// www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/CESCR.aspx>.(13) UN CESCR, Substantive Issues Arising in the Implementa-tion of the International Covenant on Economic,Social and Cultural Rights. General Comment No. 14 (2000): The Right to the Highest Attainable Standardof Health (Article 12 of the International Covenant on Economic, Social and Cul-tural Rights), available at<http://www.unhchr.ch/tbs/doc. nsf/%28symbol%29/E.C.12.2000.4.En>.(14) Wilson A, Daar AS. A survey of international legal instruments to examine their effectiveness in improvingglobal health in realizing health rights. J Law Med Ethics 2013;41(1):89-102.

Contributi

Sistema Salute, 57, 2, 2013: pp. 139-152

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

Human rights as the basis for defining, measuring andpromoting health

Maurice B. Mittelmark, Torill BullaDepartment of Health Promotion and Development, Faculty of Psychology, University of Bergen,Norway

Key words: health inequalities; human rights; health promotion

AB STRACTThis paper describes methodology to measure health from a human rights perspective. We define ‘unjusthealth gaps’ as departures from normal functioning caused by violations of human rights. Normalfunctioning has previously been defined as functioning which is statistically typical in an age group of asex of a species (a reference group). We add the condition that those composing a reference group fornormal functioning must live under the environmental conditions that are critical to achieve normalfunctioning for the function in question. Using work by the WHO Multicentre Growth ReferenceStudy, we illustrate the method for defining normal child physical growth. The Convention on the Rights of theChild states the right of children to grow up in a family environment, in an atmosphere of happiness, loveand understanding, with access to health care services, and with caregivers who are informed about issueslike the advantages of breastfeeding and good hygiene and environmental sanitation. WHO establishedan international reference group composed of breastfed children with non-smoking mothers and access tohealth care, to provide growth data to define normal and abnormal growth (stunting). This is a departurefrom the typical practice of choosing as a reference group those in a society living under the best socio-economic conditions. The rational for this departure is that even those best off in a society may not liveunder the essential conditions for normal functioning. We show how this methodology can be used inhealth promotion settings such as schools and workplaces.

* Corresponding author e-mail: [email protected]

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

Human rights as the basis for defining, measuring and promoting health

IntroduzioneAlcuni pensano che non sia saggio discutere la ricercain promozione della salute nel quadro dei diritti uma-ni, in quanto la loro arena è controversa ed altamente“volatile”. Altri invece lamentano gli scarsi risultati insanità pubblica siano dovuti alla non sufficiente atten-zione ai diritti umani. Noi non possiamo ignorare ilrapporto tra salute e diritti umani, tanto per la salva-guardia di una migliore salute che della difesa dei dirit-ti umani. L’attenzione sulla salute potrebbe essere in-fatti essenziale per il successo dei movimenti per i di-ritti umani […]. Gli operatori ed i ricercatori sanitaripossono trovare quello spazio che è negato a moltidegli attivisti per i diritti umani […]. Evidenziare irapporti tra salute e diritti umani nel campo della ricer-ca in promozione della salute potrebbe essere un no-stro obbligo etico […].Questo lavoro, partendo da un discorso generale susalute e diritti umani, tende a dare una risposta ad unaquestione di prospettiva ma anche pratica: se la promo-zione della salute riguarda anche i ditti umani, comepossiamo misurare la salute nelle ricerche nella promozionedi essa dalla prospettiva dei diritti umani? […]. I risul-tati della ricerca Closing the gap in a generation indica-no tre punti di azione: migliorare le condizioni di vitadi ogni giorno, assicurare una corretta distribuzionedel potere, denaro e risorse, misurare i problemi, valu-tare le azioni e allargare le conoscenze di base. Questolavoro vuole rispondere proprio al richiamo a ricercheimportanti, specialmente nella necessità di misurare lasalute in modo rilevante rispetto alla giustizia socialeed ai diritti umani. E dobbiamo anzitutto affrontare ilfatto che la promozione della salute ha una relazioneincerta con il compito di definire o soltanto misurarela salute […]Mentre i concetti generali di salute sono adeguati allavita di tutti i giorni, occorrono definizioni operative aifini della misurazione […].

I diritti umani come base per definire, misurare e promuovere lasalute (traduzione)

Ecco perché è importante la chiarezza nel contesto nelquale iscriviamo la misura della salute: in termini ge-nerali salute e diritti umani, più precisamente il con-vincimento che le disuguaglianze in salute sono viola-zione dei diritti umani […].Le disuguaglianze in salute sono il risultato di un fun-zionamento “normale” causato dalla violazione deidiritti umani […].Il concetto di salute normale è definito in rapporto adun’età, al sesso ed specie specifico al quale ciascunoappartiene […]. Ma il problema critico è il seguente:Qual è il più appropriato gruppo di riferimento dalpunto di vista dei diritti umani? Età, sesso e specie nonsono caratteri abbastanza specifici. Un nuovo criteriodeve essere aggiunto: il gruppo di riferimento (età,sesso, specie specifico) è quello di chi vive in un insie-me di condizioni ambientali che sono fondamentali perottenere il normale funzionamento delle funzioni conside-rate. Per la specie umana, la popolazione che vive incondizioni sotto-ottimali non può essere il gruppo diriferimento per definire la salute normale. Quando lecondizioni ambientali basilari per il normale svilupposono assenti vuol dire che siamo in presenza della vio-lazione dei diritti umani. E siccome alcune condizionisono essenziali gli uomini hanno diritto ad esse.

Il diritto alla saluteQuelle appena espresse non sono certo idee nuove. Giàoltre sessant’anni orsono l’art. 25 della Dichiarazioneuniversale dei diritti umani diceva: Ogni individuo hadiritto ad uno standard di vita adeguato alla salute edal benessere proprio e della sua famiglia.In questo senso standard di vita non riguarda soltantole condizioni materiali; si riferisce a tutte le condizionirichieste per la salute ed il benessere, nei limiti del casoe dei geni. Insomma, “diritto alla salute” vuol dirediritto a condizioni essenziali per la salute ed il benes-sere.

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Vediamo ora alcuni esempi pratici di come la salutepuò essere gestita operativamente usando un quadrodi diritti umani, rispetto alla salute dei giovani nel sudglobale.

La crescita dei ragazziLa figura 1a mostra (in qualche modo) una distribu-zione normale ma il punto di partenza per leggere leinformazioni è nel’angolo superiore sinistro, in quantola partenza sono i diritti umani. La Convenzione suidiritti dell’infanzia del 1989 afferma il diritto dei bam-bini di crescere in un ambiente familiare, in un’atmo-sfera di felicità, amore e comprensione, con genitoriod altri assistenti che siano informati di problemi comei vantaggi dell’allattamento al seno, l’igiene e il disin-quinamento, i pericoli del fumo passivo e così via.Guardando al centro alto della curva, i bambini chevivono in tali famiglie sono un ragionevole gruppo diriferimento per la (misura della, nota del traduttore)salute di un infante normale: coloro che si occupano dilui hanno abitudini sane e forniscono una buona assi-stenza. In molto delle misure della salute dobbiamoessere interessati a simili gruppi di riferimento, specifi-cando bene il contesto della ricerca […].Un ipotetico gruppo di studio può essere collocato inmolte parti del mondo con diffusa povertà, fame en-demica, troppo breve periodo di allattamento al seno,ambiente malsano e scarse dotazioni igieniche, servizisanitari scadenti, in generale povere forme di assisten-za all’infanzia […].Quando la salute è definita con l’approccio ai dirittiumani, i bambini possono essere definiti sani rispettoad altezza per il sesso e l’ età quando si collocano nelrange di normalità presente in un gruppo di riferimen-to che gode delle condizioni di vita essenziali per lacrescita dei giovani […].Questo approccio per lo studio dello sviluppo dell’in-fanzia è stato sviluppato dall’OMS ma è poco apprez-zato al di fuori di un piccolo gruppo di esperti cheoperano in questo campo nel Sud Globale. Ricercheper sviluppare standard dell’accrescimento sono statecondotte in speciali località del Brasile, Ghana, India,Norvegia, Oman e USA.

In questi Paesi hanno selezionato luoghi ottimali distudio con bassa mortalità infantile, alta proporzionedi madri che allattavano al seno, Ospedali baby-frien-dly che offrivano sostegno all’allattamento al seno;Madri non fumatrici, senza carenze ambientali o disalute che potessero ritardare una crescita normale,con figli nati a termine […].In queste ricerche sulla salute dell’infanzia c’è un esem-pio completamente operativo di come il quadro deidiritti umani può essere usato per definire e misurare lasalute. E’ complicato, impegnativo, richiede tempo ericerche di qualità veramente elevata […].Questo approccio basato sui diritti umani può esserefattibile per ogni altro parametro di salute che puòessere misurato in modo affidabile e valido, compren-dente la salute fisica, sociale, mentale nonché parame-tri di benessere. Può essere usato a livello individuale,familiare o di comunità. Diciamo “può” perché nonsiamo a conoscenza di altri esempi sviluppati comple-tamente di questo approccio ai diritti umani per defi-nire e misurare la salute. Possiamo immaginare comequesto metodo possa essere applicato ad altri problemidi salute, oltre questo, e quindi mostriamo due altriesempi.

Bullismo a scuolaIl bullismo a scuola è nell’agenda quasi in ogni luogo,eccetto dove le scuole non ci sono - ma dove ci sonoscuole lì c’è bullismo e vittime e miseria e sofferenzadovute ad esso. Secondo quanto stabilito dalla Con-venzione sui diritti del ragazzo le scuole hanno l’obbli-go di assicurare che la gestione corrente connessa conla sicurezza del ragazzo sia assicurata in modo coerentecon sicurezza e umana dignità. Il gruppo di riferimen-to, in tal caso è composto da scuole (non da singoliindividui) che forniscono ben documentati sicurezza,nutrimento e ambiente favorevole, senza alcuna tolle-ranza per il bullismo e con l’applicazione di interventipreventivi dimostratisi efficaci e funzionanti nel modoprevisto.(Il testo prosegue con l’elencazione di requisiti necessari, dicose da misurare e di standard di accettabilità, notadella red.).

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Questi due esempi, uno già applicato sulla crescita eduno ipotizzato sulla sicurezza dei ragazzi mostrano lafattibilità nel definire, misurare e monitorare la salutenel quadro dei diritti umani […].

Luoghi di lavoroI diritti umani non sono ancora stati codificati in di-chiarazioni internazionali e convenzioni firmate dairappresentanti politici delle nazioni. Raramente defi-nizioni precise e vincolanti sui diritti umani possonoessere trovate in statuti, leggi, regolamenti internazio-nali nazionali e locali […].Un esempio ci viene dalla Norvegia, nella legge sul-l’ambiente di lavoro in vigore mentre scriviamo sistabilisce che l’ambiente di lavoro deve soddisfare questeesigenze:- il lavoro deve essere organizzato in modo da proteg-

gere l’integrità e la dignità dei lavoratori per dare adessi la possibilità di contatto e comunicazione fra diloro;

- i lavoratori non debbono essere esposti a violenza oaltre condotte oppressive e per quanto possibile deb-bono essere protetti dalla violenza, minacce e stressdovuti al contatto con gli altri […].

I luoghi di lavoro che soddisfano tutte queste esigenzepossono dunque essere presi come gruppi di riferimen-to e in tal modo possono essere stabilite la misure dibase per identificare i lavoratori svantaggiati anche

relativamente al benessere ed alla qualità della vita.Possono anche offrire la base per documentare le diffe-renze fra i livelli richiesti per la protezione dei lavori elivelli sotto-ottinali […].

ConclusioniQuesto non vuole essere un banale appello ai ricerca-tori in promozione della salute di abbandonare i loroprogrammi e diventare discepoli dell’approccio dirittiumani […].Tuttavia alcuni dei nostri sforzi debbono essere rivoltiverso lo studio della salute come definita nella pro-spettiva dei diritti umani […] e perché questo avven-ga dobbiamo meglio educare noi stessi sul salute ediritti umani […]. Dobbiamo evitare di continuare aparlare cercare una definizione di salute definitiva, mapiuttosto considerare solo quello specifico per quelgruppo specifico […].Quando affermiamo che la salute è un diritto umano,usiamo una scorciatoia per dire che la gente ha il dirittodi vivere nelle condizioni che sono fondamentali affin-ché sia completamente soddisfatto il loro potenzialeumano. Dunque dobbiamo preferire gruppi di riferi-mento dei quali siano rispettati i diritti rilevanti e nonsolo i gruppi nelle società che hanno il maggior van-taggio economico e materiale. E fare il paragone tra ilgruppo di riferimento e quello allo studio […].

IntroductionSome think it is unwise to discuss healthpromotion research in the framework ofhuman rights, because the human rightsarena is controversial and highly volatile.As Gruskin (2006) points out, some evenblame poor public health results on ‘unne-cessary attention to human rights’. Yet wecannot and should not try to escape the he-alth and human rights connection, both forthe sake of better health and for the sake of

protecting human rights. A focus on healthmay be critical to the success of the humanrights movement. Farmer (2003) calls at-tention to the esteem in which public heal-th and medicine are held, which providesopenings into human rights work that mayotherwise not exist. Health workers andhealth researchers may have space to act forhuman rights that is denied to many hu-man rights activists. As Farmer (2003) wri-tes, a ‘…focus on health offers a critical new

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cation that participated in a survey viewhuman rights declarations as being an es-sential foundation for a code of ethics forhealth promotion (Bull, Riggs and Ncho-gu, 2012).Second, human rights are also on the agen-da of those in the forefront of health advo-cacy, amongst others the prestigious WHOCommission of the Social Determinants of Heal-th. Its 2008 report Closing the Gap in A Ge-neration (CSDH, 2008) makes an evidence-based, scientific, yet passionate plea that wetake effective action to close the health gapby 2040:

‘[The health gap]…does not have to bethis way and it is not right that it shouldbe like this. Where systematic differencesin health are judged to be avoidable byreasonable action they are…unfair…putting right these inequities…is a matter of social justice… social inju-stice is killing people on a grand scale.’

The report has as its pinnacle three calls foraction: we must improve the conditions ofdaily life, we must insure a fair distributionof power, money and resources, and wemust measure the problem, evaluate actionsand expand the knowledge base. It is thislast action area, a call for relevant research,to which this paper responds, and especial-ly the need for the measurement of health inways relevant to social justice and humanrights.We first have to confront the fact that heal-th promotion has a troubled relationshipwith the task of defining, yet alone measu-ring health. Our text books on health pro-motion focus mainly on techniques for pro-motion and the little space they give to themeaning of health is confusing. Some scho-lars emphasise that the meanings of healthdiffer greatly across various health care di-sciplines (Koelen and van den Ban, 2004),

dimension to human rights work and is a lar-gely untapped vein of resources, passion, and goodwill.’ To avow the connection between he-alth and human rights, also in the healthpromotion research arena, may therefore beour ethical obligation. There is, of course,complexity in the health and human rightsconnection. Working for health may some-times seem to violate human rights, as whenthe rights of some are trampled to protectthe health of others, as can happen whenepidemics break out. Yet such instances donot cancel the overwhelmingly positive re-lationship between health and human rights.Aside from the reticence that some expressabout approaching health promotion froma human rights perspective, a great manyscholars have engaged these topics in tan-dem (recent contributions include Bustreoand Doebbler, 2010; Mann and colleagues,2011; Nolan, 2010; Taket, 2012). The pa-ges of this Journal have been particularlyrich on this subject, with over 280 papersof various kinds published over the years.In this rich context, the present paper doesnot aim to contribute to the general discus-sion about health and human rights; theposition that they are inextricably inter-twined is taken for granted. Rather, thispaper aims to move from the general heal-th and human rights discourse to suggestone answer to a straightforward and highlypractical question: if health promotion is abouthuman rights, how can we measure health inhealth promotion research, from a human rightsperspective?This is a question that has currency for tworeasons. First, human rights are high on theagenda of health promotion practitionersand researchers out in the field, evidencedby recent research showing that fully three-quarters of the membership of the Interna-tional Union for Health Promotion and Edu-

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therefore any search for a single definitionis simply misguided. Yet others see danger,such as Lupton (2003), who has written ‘theofficial definitions and interpretations of healthattempt to impose a version of health that is tothe advantage of the state.’ In the same vein adecade earlier, Antonovsky (1979) wrote:

‘The WHO definition does not speak ofphysical (and perhaps even emotional) well-being as being shaped by or as interactingwith social wellbeing. It declares flatly thateverything people feel about their state ofwell-being is part of health and hencewithin the province of the health institu-tion. From here, it is but a minuscule jumpto saying that all aspects of a person’s well-being are appropriately under the controlof those who control the institution.’ (ibid,p. 52-53).

A more practical tone, with which ourthinking is aligned, is sounded by Huber, etal (2011), who point out that while generalconceptions of health are adequate in dailylife, operational definitions are needed formeasurement purposes. As measurement inresearch is specific to tightly-formulatedresearch questions, many operational defi-nitions of health are needed to satisfy manyresearch contexts. So, if health can only bedefined in context-specific ways, what isvital is defining the context; the definition ofhealth will more easily follow.That is why it is important to be clear aboutthe context in which we write about themeasurement of health: the context is heal-th and human rights generally, and morespecifically, the contention that unjust he-alth gaps are violations of human rights. Bythe term ‘unjust health gap’ we mean anydeparture from normal functioning that iscaused by violations of human rights. Othersuse the term ‘health gap’ much more broa-dly. For example, health differences betwe-

en different social strata are termed ‘socialgaps in health’, which may or may not fol-low from injustice. But the present interestis in defining health in the confined contextof human rights, so the concept of ‘healthgap’ is narrowed to the term ‘unjust healthgap’.An unjust health gap is a departure fromnormal functioning that is caused by viola-tions of human rights. Breaking that downinto its two parts, we give to the term ‘nor-mal functioning’precisely the same meaning as does Boorsein his infamous Biostatistical Theory (Bo-orse, 2010). He writes that normal functio-ning is that which is statistically typical inan age group of a sex of a species. For anyhealth measure – for example how manypush ups you can do – whether you have‘normal functioning’ or not depends on howyou perform compared to the appropriatereference age and sex reference group. He-alth, according to the Biostatical Theory, is‘statistically typical’ functioning – whatdoes Boorse mean by that? He used thenormal curve to explain, showing that atsome cut-point to the left of the curve, onestops being normal and becomes patholo-gical. Similarly, at some point to the rightof the normal curve one stops being nor-mal, and is perhaps best described as ha-ving ‘positive health’. He is not explicitabout the cut-points for normality or howthey may be set.In life, we deal with the idea of health asnormal functioning all the time. Aftertaking your blood pressure, your physicianmay say ‘within normal limits’. Alternati-vely she might say ‘it is borderline high,let’s check it again in a month’. Or, ‘yourblood pressure is quite high and we need tostart treatment now to get this under con-trol’. Cut-points for defining what is nor-

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mal and what is abnormal take into consi-deration developing measurement techno-logy, advancing medical knowledge, politi-cal decisions about what we should treat andwhat we should not, one’s age and gender,the patient’s general condition and medicalhistory, and so forth. The point is, the ran-ge of functioning defined as normal is so-mewhat arbitrary. Normality is a socialconstruction, to suit our human purposes,and alter at will, also to suit our purposes.Boorse has nothing to say about the appro-priate reference group for defining normalhealth, except to say that it is defined withrespect to the meaningful age-, sex- andspecies-specific group to which one belongs(Boorse, 2010). It is at this point that a de-finition of health in the context of humanrights must take a departure from Boorse.The critical issue is this: what is the rightreference group from a human rights pers-pective? Age, sex and species are not a spe-cific-enough delineation. To these we mustadd a new criterion: The reference group isan age-, sex- and species-specific group li-ving under the set of environmental condi-tions that are critical to achieve normal func-tioning for the function in question. For thehuman species, when critical environmen-tal conditions for normal growth are absent,the people living under those sub-optimalconditions cannot be the reference group fornormal health. When the critical environ-mental conditions for normal growth areabsent, there is a violation of human rights.It is because the certain conditions are cri-tical that humans have a right to those con-ditions.

The right to healthThese are certainly not new ideas. Sixty-three years ago, Article 25 of the UniversalDeclaration of Human Rights (UN Gene-

ral Assembly, 1948), expressed the idea thisway: ‘Everyone has the right to a standard ofliving adequate for the health and well-beingof himself and his family…’.Standard of living in this sense does not re-fer merely to material conditions; it refersto all the conditions of living needed forhealth and well-being, within the bounds ofchance and genes. So, the ‘right to health’refers to the right to the conditions essen-tial for health and well-being. We now turnto a practical example of how health can beoperationalized using a human rights fra-mework, having to do with child health inthe Global South.

Child growthFigure 1a shows a (somewhat) normal di-stribution, but the starting point for exa-mining the information in Figure 1a is inthe upper left corner, because the startingpoint is human rights. The Convention on theRights of the Child (UN General Assembly,1989) states the right of children to growup in a family environment, in an atmo-sphere of happiness, love and understanding,with parents or other caregivers who areinformed about issues like the advantagesof breastfeeding, hygiene and environmen-tal sanitation, the dangers of second handsmoke, and so forth. Moving to the top cen-tre, infants in such families are a reasonablereference group for normal infant health;their caregivers have healthy habits and pro-vide good childcare. In such a referencegroup we may be interested in many healthmeasures, and it is important to be specificabout the research context. In this case themeasure is height-for-age, which is an excel-lent marker for child health generally. Theinfants who compose this reference groupwill vary in height at every age and also bygender. On the right of the curve, after

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taking age and gender into account, someinfants will be extremely tall, perhaps dueto hormonal disturbances, genes or otherfactors. On the left of the curve, some in-fants will be extremely short, due perhapsto hormonal disturbances, genetic factors,chronic illness and/or under-nutrition. In-fants in the middle range are defined as nor-mal, even if there is a large range of varia-tion. With regard to the measure of inte-rest, height-for-age, these children are he-althy. The cut-points for being larger thannormal and smaller than normal are set inan arbitrary but thoughtful way. In the caseof child growth it is common to define ab-normal shortness (stunting) in terms of di-stance from the median of the normaliseddistribution of the reference group, at -2, -2.5, or even -3 Standard Deviations fromthe median. These or other cut-points willbe chosen based on the specific research pro-blem that is being addressed.Returning to Figure 1a, this methodologyproduces an expected rate of abnormalitywhen conditions are optimal. In the case ofchild growth, about 2.5 percent of childrenin the reference group are classified as stun-ted, when a cut-point of two Standard De-viations from the median is used. This 2.5percent may be thought of as the expectedbase rate of stunting, among children livingunder the conditions that are essential fornormal growth. Figure 1b has two curves,with the curve to the right being that of thereference group, and the curve to the leftbeing that of some hypothetical study group,with a great many more stunted childrenthan in the reference group. This hypothe-tical study group could be located in manyparts of the world with widespread poverty,endemic hunger, too-short breastfeedingperiods, unsafe environments and unsanitaryconditions, poor health care, motherless

infants due to high maternal mortality, andpoor infant care practices generally. Inter-ventions in the study group area to provideall children with sufficiently nurturing en-vironments would, hopefully, narrow or eveneliminate the gap between the rate of stun-ting in the reference group and the studygroup. A stimulus to take remedial actionis the knowledge that the excess rate ofstunting in the study group is great, asshown by the shaded area in Figure 1b. Con-tinuing surveillance would document aneventual narrowing, widening, or unchan-ging excess rate of stunting in the studygroup compared to the reference group.That is how health is defined using a hu-man rights approach: infants are defined ashealthy with regard to their height for theirsex and age, if they are within the normalrange as defined in a reference group whichenjoys the critical living conditions for in-fant growth. Even when the conditions areright, some children will be extremely shortand others extremely tall. The cut-off forwhat is normal and what is not is derivedfrom a knowledge-based consensus amon-gst experts, and the definition of normalitywill change over time as new knowledgebecomes available. The cut-points have noimportant meaning for the individuals in-volved, but they do have relevance for poli-cy-makers, public health professionals andhealth promoters. While cut-points are ar-bitrary as already pointed out, general agre-ement about such cut-points permits com-parisons of studies from place to place andfrom time to time, and allows researchersto track trends in health.This prescriptive approach to the study ofinfant growth has been developed by WHO,but it is little appreciated outside a smallcircle of experts working in the child growtharena in the Global South (de Onis, et al.,

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2004). The research to develop the growthstandards took place in selected locationsin Brazil, Ghana, India, Norway, Oman,and the USA. In these countries, de Onisand her international team selected studysites with low infant mortality, with a highproportion of mothers with good breastfee-ding practices, and having facilities such asBaby-Friendly Hospitals that provided sup-port for breastfeeding. Within these suppor-tive localities, the researchers selectedmothers who were non-smokers and had nohealth or environmental or economic con-straints that would hamper normal childgrowth, who were willing to breastfeed, andwho had babies that were born within nor-mal term. There were other selection crite-ria, but these were the main criteria used todefine a reference group within which tochart normal infant growth. As would beexpected in scientific work on child growth,key concepts and terms include anthropo-metry, child nutrition, childhood growth,growth curves, growth references, infantfeeding practices and infant growth… andperhaps less expectedly, also human rights.Furthermore, WHO could not have beenmore explicit that the road travelled was ahuman rights road. In their Preface to theWHO scientific publication in which thiswork is presented in detail, WHO DirectorGeneral Jong-wook Lee and United NationsUniversity Rector Hans van Ginkel wrote,as their very first words,

‘Among the indisputable rights of childrenis the right to health. Without respectingthis right and providing the necessary re-sources to secure it, we cannot hope to achieveany of the major development goals theworld has united around in the UnitedNations Millennium Declaration.’ (Leeand van Ginkel, 2004).

So, what we have in the case of WHO’s

research in infant health is a fully workedexample of how a human rights frameworkcan be used to define and measure health. Itis complicated, it is time consuming, it re-quires painstaking research of very highquality. But it can be done. Some might besceptical that this is a call for anything newin health promotion research, and point tolots of recent studies on the social gradientin health, showing that health inequalitiesare associated with inequalities in livingconditions. But there is something new inthe human rights approach, and it has to dowith the definition of the reference group.The common approach is to divide a studysample into social strata based on level ofincome, or education, or occupation, selectthe most advantaged stratum as the refe-rence group, and compare that group’s he-alth with the health in less advantaged stra-ta. The logic of this approach is stated suc-cinctly by Braveman and Gruskin (2003):‘We believe that the highest attainable stan-dard of health can be understood to be re-flected by the standard of health enjoyed bythe most socially advantaged group withina society.’ But they go on to write, ‘Onecould argue that, given sufficient resources,the highest attainable standard could be fargreater than that currently experienced byeven the best off group in a society.’ Indeed,that is precisely the consideration that ledto the development of the prescriptiveWHO child growth measurement approa-ch, with age and sex reference groups se-lected based on access to critical conditionsfor healthy growth, rather than relative so-cial and material standing within a society.Focusing on relative standing within a so-ciety with the best-off group as the referen-ce might lead to an ill-founded satisfactionwith the status quo if the best-off group doesnot have access to critical conditions for

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development of health. A reduction of ine-quities in health within a society by thisapproach could still leave a significant andunjust gap compared to groups outside thatsociety, or more precisely – to health po-tential given critical conditions for health.To quote the Ottawa Charter: ‘Health pro-motion action aims at reducing differences incurrent health status and ensuring equal oppor-tunities and resources to enable all people to achie-ve their fullest health potential.’ (WHO, 1986).The human righted-based approach outli-ned here should be feasible for any healthparameter that can be measured reliably andvalidly, including physical health, socialhealth, mental health and well-being para-meters. The approach should be usable atthe levels of individuals, families and com-munities. We write ‘should’ because we areunaware of other fully worked examples ofthis human rights approach to defining andmeasuring health. Yet we can image howthis method could be applied to health is-sues other than child growth and we sketchtwo examples below.

Bullying in schoolsBullying in schools is on the agenda justabout everywhere, except places where chi-ldren have no schools to go to – but wherethere are schools, there are bullies, and the-re are victims, and there is misery and suf-fering due to bullying. The Convention onthe Rights of the Child (UN General As-sembly, 1989) states that every child has theright to be safe from bullying, violence andthe fear of violence from their peers. The-refore, schools have the obligation to ensu-re that school routines connected to childsafety are administered in a manner consi-stent with the child’s safety and human di-gnity. The reference group in this regard iscomposed of schools (not individuals) that

provide a documentable safe, nurturing, andsocially-supportive environment, with notolerance for bullying and tested-effectivebullying prevention interventions in placeand functioning as designed. The minimumstandard might be that a school must meetthe criteria for membership in a HealthPromoting Schools network. Even in themost successful health promoting school,the social climate for the students will vary;many will experience school as wonderful-ly supporting and safe, but some will bebullied despite the best efforts of the scho-ol. The health measure is the rate of bul-lying at the school level, with bullying de-fined by an agreed standard (see for exam-ple the universally -accepted definition ofOlweus [1993, p. 8-9]). The aggregate rateof bullying in reference schools establishesthe base rate of bullying that society maynot find acceptable, but must neverthelesstolerate, at least until more effect interven-tions are deployed. As the science and artof bullying prevention advances, new rese-arch will establish new, hopefully ever-lowerbase rates of bullying, and new standardswill supplant older standards.Compared to the reference group, studypopulations of schools may have higher ra-tes of bullying (or not), and if study popula-tions of schools with higher than base ratesof bullying have not acted sufficiently toassure a safe social climate, bullying in tho-se schools is a health problem that is due toa violation of children’s rights. The degreeof the violation can be quantified and trac-ked overtime, to determine if bullying trendsare improving, remaining stable or worse-ning. Such surveillance would assist scho-ols to set and monitor targets for improve-ment and stimulate intervention to reachtargets. If, for example, the base rate ofbullying in reference schools is 2 percent,

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and research reveals a rate of 20 percent instudy schools, the excess rate of bullying is10 times the base rate.These two examples, a worked example onchild growth and a conjectural example onchild security, illustrate the feasibility ofdefining, measuring, and monitoring heal-th using a human rights framework. Withinthis framework, health is defined as the nor-mal state of any given health measure in areference group for whom the critical con-ditions for that measure are satisfied. Thecritical conditions will vary from healthmeasure to health measure and from con-text to context. Health must thereforealways be defined in context, and specifi-cally, with reference to people having ac-cess to the critical conditions for the healthmeasure in focus.

WorkplaceHuman rights are not just codified in inter-national declarations and conventions signedby nations’ political representatives. Farmore binding and precise statements of hu-man rights are found in international, na-tional, regional and local statutes, laws,court rulings and regulations. When theseare sound from a human rights perspective,they may provide firmer bedrock for defi-ning health than vaguer international hu-man rights declarations. An example fromNorway is the national Law on work envi-ronment in force at the time of this wri-ting. Paragraph 4, Section 2 of the Law sta-tes that the work environment must meetthese requirements:- Work shall be organised in ways that pro-

tects the worker’s integrity and dignity.- Work shall be shaped to give workers the

possibility for contact and communica-tion with other workers

- Workers shall not be exposed to harass-

ment or other excessive conduct- Workers shall, as far as possible, be pro-

tected from violence, threats and invi-dious stress due to contact with otherpeople.

It should not take great imagination to en-vision how these codified rights could bethe foundation for research on workplacehealth promotion. Research on worker well-being and quality of life, for example, mi-ght initially examine worker experience withregard to these four requirements, perhapsin an entire employment sector or industry.Workplaces scoring very well on meetingall these requirements could then be con-stituted as a reference group, and base ratesof poor worker functioning (with regard towell-being and quality of life) be establishedthrough research in the reference groupworkplaces. This would also provide thebasis to document gaps in the industry,between required levels of worker protec-tions and sub-optimal levels of protection.Excess rates of poor functioning could thenbe calculated, with the results of this sur-veillance used to stimulate improvementsin industry-wide work environments.

SummaryThis paper is not a naïve call for health pro-motion researchers to abandon their presentprogrammes of research and becomes di-sciples of a human rights approach. Healthpromotion research must address a widerange of health endpoints, including positi-ve health, but including also disease anddisability endpoints, using the establishedresearch frameworks and methods, and withhealth operationalized in the ways that arecurrently common and accepted. But someof our effort should be shifted to the studyof health as defined from the human rightsperspective, wherein health is defined as the

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normal condition of people having accessto the critical conditions for health. For thisto happen, we, the health promotion rese-arch community, will have to better educa-te ourselves about health and human rights.Our conferences should increase emphasison health and human rights and our jour-nals should devote more space to the su-bject. In the context of our research, weshould cease endless debate about the mea-nings of health and agree that health is onlydefinable for specific measures and in speci-fic contexts, and that this is perfectly ok.We do not mean the contexts of people’sdaily lives; we mean the contexts of the re-search problems we tackle. Within the fra-mework of specific health measures and re-search contexts, we should define health as

the normal state in a reference group livingunder the critical conditions for health.When we say that health is a human right,we are using shorthand to say that peoplehave the right to live under the conditionsthat are critical if their human potential isto be fulfilled. Therefore, we should preferreference groups whose relevant rights arerespected, and not just the groups in a so-ciety who have the most economic andmaterial advantage. We should make theappropriate measurements in the referencegroup, and also in study groups, and makecomparisons. Finally, we should engage inhealth promotion, including advocacy, withthe goal that all people should enjoy thecritical conditions required to enjoy health.

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La sostenibilità degli interventi di promozione della salute:risultati di una ricerca valutativa1

The sustainability of health promotion projects: results of an evaluation study

Donatella Belotti, Giancarlo Pocetta, Laura Pilotto

Donatella BelottiDipartimento di Prevenzione - A.S.S. n.4 “Medio Friuli” Udine

Giancarlo PocettaCentro Sperimentale per l’Educazione Sanitaria - Università degli studi di Perugia

Laura PilottoDipartimento di Prevenzione - A.S.S. n. 4 “Medio Friuli” Udine

1 Questo articolo sintetizza i risultati di un più ampio lavoro svolto per la preparazione della tesi di Master diI Livello in “Progettazione Coordinamento e Valutazione di interventi integrati in promozione ed educazionealla salute” da parte della dott.ssa Donatella Belotti. Il Master è stato svolto nell’Anno Accademico 2009-2010 presso il Centro Sperimentale per l’Educazione Sanitaria dell’Università di Perugia. Relatore della tesi:prof. Giancarlo Pocetta.Un abstract dello studio è stato presentato nella 2° edizione della manifestazione nazionale realizzata nell’am-bito delle iniziative previste dal programma Guadagnare Salute “Le sfide della promozione della salute dallasorveglianza agli interventi sul territorio” (Venezia, 21 giugno 2012).

Parole chiave: sostenibilità, promozione della salute, progettazione, valutazione di qualità, stili alimentari

RIASSUNTOObiettivo: presentare il concetto di sostenibilità con particolare riferimento alla promozione della saluteattraverso i principali autori che si sono soffermati su questo tema; elaborare un approccio empirico allavalutazione della sostenibilità nell’ambito di un progetto comunitario di promozione di stili alimentariappropriati.

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La sostenibilità degli interventi di promozione della salute: ......

IntroduzioneIn un contesto di limitazione delle risorsedestinate alle politiche pubbliche per la salu-te, risulta necessario valutare la sostenibilitàdi programmi ritenuti “teoricamente” effi-caci.In particolare per la Promozione della Salu-te, in cui è alta la complessità degli inter-venti e sono molti i fattori in gioco nel de-terminare la flessibilità.Per questo è necessario sviluppare una mag-

Metodologia: revisione della letteratura scientifica; elaborazione e somministrazione di un questionario desti-nato agli stakeholders del progetto.Risultati: la sostenibilità è un concetto multidimensionale che si articola intorno a tre ambiti chiave: fattorilegati alla progettazione e gestione dell’intervento, agli attori organizzativi, e al contesto in cui si collocal’intervento. Il questionario basato su questi assunti ha mostrato una discreta affidabilità sia nella fase disomministrazione sia nella capacità di rilevare dati all’interno delle tre aree individuate. Fattori critici sonostati individuati in: variabilità e frequente avvicendamento nella composizione degli stakeholders; gestio-ne dei momenti e dei luoghi di confronto intersettoriale; sul piano valutativo, l’adozione di una solida baseteorica.Discussione e conclusioni: la ricerca oltre a fornire una sistematizzazione teorico metodologica del concetto disostenibilità applicato al settore della promozione della salute, ha evidenziato come l’inclusione di questadimensione nella valutazione dell’intervento abbia determinato una consapevolezza maggiore negli attoricoinvolti. In questo si ravvisa un contributo allo sviluppo di empowerment comunitario oltre che unafacilitazione all’adozione di un approccio intersettoriale.

Key words: sustainability, health promotion, health promotion planning, quality assessment, healthy nutrition

S U M M A RYObjectives: to present the concept of sustainability, with emphasis on health promotion, through a review ofthe main authors who have focused on this issue; to develop an empirical approach to the evaluation of thesustainability of a community project promoting healthy eating habits in schoolchildren.Methodology: review of the scientific literature, development and use of a questionnaire directed to theproject’s stakeholders.Results: sustainability is a multidimensional concept that focuses on three key areas: factors related to thedesign and management of the project, to the organizational actors, and to the context in which theintervention takes place. The questionnaire developed from these assumptions showed a discrete reliabilityduring the phase of administration and in the ability to detect data within the three areas identified. Criticalfactors have been identified as: diversity in the composition and participation of the stakeholders, manage-ment of time and places for project development, and, at the evaluation level, the adoption of a solidtheoretical foundation.Discussion: this research, in addition to providing a theoretical and methodological framework of the conceptof sustainability applied to health promotion, shows that the inclusion of this dimension in the evaluationhas led to a greater awareness in all the stakeholders involved. This can be viewed as a step in the developmentof community empowerment as well as facilitating the adoption of an intersectoral approach.

giore comprensione del concetto di sosteni-bilità e dei fattori specifici che lo costitui-scono e sperimentare degli approcci operati-vi efficaci rispetto a programmi concreti. Ilpresente articolo propone un contributo inentrambi i settori; nella prima parte verràpresentata una rassegna dei principali mo-delli teorici di sostenibilità e di alcuni risul-tati di ricerche internazionali, nella secondaparte verranno presentati i risultati diun’esperienza di un approccio alla sostenibi-

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lità in un progetto di promozione degli stilialimentari in ambito scolastico a distanza dicinque anni. Il progetto denominato “Me-renda per tutti” ha interessato i Comunidell’Azienda per i Servizi Sanitari n. 4 “Me-dio Friuli” aderenti alla rete regionale di Cit-tà Sane.

Definizioni, Modelli, EvidenzeNel Glossario dei termini della Valutazione,il significato di “sostenibilità” è il seguente:“La permanenza dei benefici sui destinatari esul territorio anche dopo la conclusione diun programma”. Lo stesso testo include lasostenibilità tra gli elementi che sono neces-sari per valutare la qualità di un interventosottolineando che essa dipende dalle caratte-ristiche del contesto specifico e del mandatovalutativo (1). Anche l’OMS (2) ha procedu-to a definire la sostenibilità nel campo dellaPromozione della salute come: “Le azionisostenibili di promozione della salute sonoquelle in grado di mantenere i propri van-taggi per le comunità e le popolazioni oltrealla loro fase iniziale di implementazione”.Altri autori hanno definito la sostenibilità diun programma in diversi modi tra cui: so-pravvivenza, continuazione, mantenimento,istituzionalizzazione, incorporazione, integra-zione e routinizzazione. Shediac-Rizkallah ecoll. (3), in particolare, danno 6 definizionidi sostenibilità, dividendole poi in 3 gruppi:- livello individuale: sostenibilità come ca-

pacità di continuare a produrre benefici perla popolazione target ed estenderli a nuoviutenti (enfasi sui benefici);

- livello istituzionale: sostenibilità come isti-tuzionalizzazione e cioè la continuazionedelle attività nell’ambito dell’istituzione cheha implementato il progetto, adattandosinel tempo alle nuove esigenze dell’ente;

- livello comunitario: sostenibilità come unprocesso che sviluppa la capacità della co-

munità di continuare le attività e iniziati-ve anche quando il promotore originale nonè più partecipe (o diminuisce significativa-mente la sua partecipazione) (empower-ment).

In ogni caso, concludono gli autori, la soste-nibilità è un concetto multidimensionale,dinamico che include tutti i vari processi dicontinuazione di un progetto.Gli stessi inoltre sviluppano uno schema, ri-preso poi da molti altri autori, che illustra ifattori che possono incidere, positivamenteo negativamente, sulla sostenibilità di unprogetto. Come si può notare nella fig.1, sipossono distinguere 3 categorie relative a fat-tori del project design e attuazione, del set-ting istituzionale e della comunità.Savaya et al. (4), riprendendo questo sche-ma, illustrano le categorie come segue:fattori relativi al project design e attuazione- il modello teorico su cui si basa l’interven-

to- l’efficacia dimostrata dei risultati- la flessibilità del progetto o capacità di adat-

tarsi al contesto- la capacità delle risorse umane impiegate

(preparazione e formazione)- le strategie economiche per finanziare il

progetto- un processo continuo di valutazionefattori relativi al setting istituzionale- la stabilità e flessibilità delle istituzioni che

implementano il progetto, incluso la ca-pacità di integrazione

- la presenza di un “program champion” chepromuove attivamente il progetto

- il supporto e la flessibilità a livello decisio-nale (manager, etc.)

- integrazione del progetto nelle attività cor-renti dell’istituzione

fattori relativi alla comunità- supporto della comunità in senso lato per

il progetto

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La sostenibilità degli interventi di promozione della salute: ......

- legittimazione politica, ovvero il suppor-to delle amministrazioni ai vari livelli (co-munale, regionale etc.)

- il contesto socio-economico: altre priori-tà, competizione da altri progetti, dispo-nibilità di risorse.

Sulla base della loro revisione della lettera-tura essi aggiungono anche una quarta cate-goria che concerne il “funding body”, e cioèle caratteristiche dell’ente che ha sponsoriz-zato inizialmente il progetto che, per pro-prie ragioni, potrebbe richiedere una proget-tazione della sostenibilità a priori o, al con-trario, prevedere una fase di cessazione. Sul-la base di questi contributi pertanto, la so-stenibilità si presenta come un continuumlungo il quale posizionare i programmi sottoosservazione.L’Health Comunication Unit di Toronto (5)identifica 8 principi fondamentali da consi-derare nel definire la sostenibilità (o meno)di un programma:- La Sostenibilità è un elemento importante

nel processo di cambiamento di un com-portamento.

- La Sostenibilità è essenziale per il successo

di un progetto di promozione della saluteed è un componente chiave della progetta-zione.

- La Sostenibilità è possibile, probabile edesiderabile.

- Progettare per la sostenibilità nell’arco dellavita del progetto migliora la sua attuazio-ne.

- Gli Approcci alla sostenibilità includonoelementi di sviluppo di risorse che non siriferiscono solo ad aspetti economici, anzipotrebbero addirittura non includerli.

- La valutazione è fondamentale per la so-stenibilità perché solo gli elementi efficacidi un progetto dovrebbero essere sostenu-ti.

- I Componenti che vengono sostenuti pos-sono sembrare diversi da quello che eranoall’inizio.

- Non tutti i progetti o attività meritano diessere sostenuti.

Nel 2009 l’Altarum Institute (6), su com-missione dell’U.S. Department of HealthServices (HHS), ha condotto un’approfondi-ta revisione della letteratura sulla sostenibi-lità dei programmi/progetti relativi alla Pro-

Fig. 1 - La Sostenibilità di un progetto: schema concettuale

Adattato da Shediao-Rizkallah & Bone, Health Edu. Recearch, 1998, 13:87

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mozione della Salute, concludendo che nonesiste un consenso sulla definizione e concet-tualizzazione della sostenibilità, ma identifi-cando 5 modelli che sintetizzano le varie ti-pologie di sostenibilità ed i fattori associatiin termini di input e attività.Tuttavia, anche se manca un consenso su unaprecisa definizione del concetto, sfogliandola letteratura si possono trovare elementi incomune che identificano i fattori che facili-tano la sostenibilità di un progetto quandol’input iniziale viene meno. L’Altarum Insti-tute infatti nota che, esaminando tutti imodelli riportati nella letteratura, gli ele-menti comuni vanno oltre la necessità di re-perire fondi per continuare, anzi altri fattorisono più importanti nel dimostrare il valoredel progetto. Tra questi sono significativi: unabuona base teorica, un’implementazione chia-ra e ben organizzata, un favorevole rapportocosto efficacia, la soddisfazione sia del targetche dell’ente e, naturalmente, che i risultatiprodotti siano quelli desiderati. Altri fattoriincludono anche la presenza di un soggettoche dimostri un elevato interesse nell’ado-zione e riuscita del progetto (champion) einfine lo sviluppo di una strategia di sosteni-bilità sin dall’inizio del progetto.O’Loughlin et al. (7) hanno valutato la soste-nibilità di circa 200 progetti, promossi dallaCanadian Heart Health Initiative, con unindagine qualitativa che prevedeva la som-ministrazione di un questionario e intervisteapprofondite con i responsabili dei vari pro-getti. Le analisi dei risultati hanno dimostra-to che gli interventi che non usavano perso-nale retribuito o interventi integrati in set-ting già esistenti e finanziati avevano unaprobabilità di sostenibilità quasi quattro voltepiù grande. Inoltre gli interventi che aveva-no subito modifiche di adattamento durantela realizzazione avevano una probabilità quasitre volte maggiore di continuare. Anche la

concordanza tra gli obiettivi dell’interventoe quelli dell’ente che attua il progetto (inter-vention-provider fit) era importante in quantogli interventi che si adattavano bene allamission, agli obiettivi e alle routine dell’or-ganizzazione ospitante, avevano maggioriprobabilità di rimanere attivi. Anche in que-sto caso, un fattore rilevante era la presenzadi un champion.Harvey e Hurworth (8) hanno valutato 2programmi attuati nello stato di Victoria(Australia) che avevano prodotto ottimi ri-sultati. Un progetto in tutte le scuole pub-bliche riguardava la prevenzione dell’uso disostanze ed era finanziato per 3 anni dal go-verno; l’altro, sull’alimentazione sana in ununica scuola, proponeva un programma in-novativo che richiedeva agli alunni (e allefamiglie) di creare un orto a scuola, coltivar-lo e imparare a preparare pasti sani e grade-voli con quello che avevano raccolto. I dueautori, tramite interviste semi strutturate,hanno esaminato in dettaglio i due program-mi per rilevare quali fattori fossero respon-sabili per la loro sostenibilità. Per fare que-sto hanno utilizzato uno schema basato suifattori identificati nella letteratura, e orga-nizzato sulla suddivisione di Shediac-Rizkal-lah (3). La loro analisi dimostra che per quantoriguarda i fattori di sostenibilità relativi allosviluppo ed implementazione del progetto iseguenti fattori erano presenti in entrambi iprogetti: coerenza con i bisogni locali, par-tecipazione attiva degli stakeholders, capa-cità di inserirsi nella struttura organizzativaesistente, collegamenti con enti esterni macoinvolti nel progetto, presenza di piani perla sostenibilità. I fattori relativi al contestoin cui erano stati attuati i progetti include-vano la stabilità e forza dell’ente che avevaimplementato il progetto, il clima favore-vole del setting, il coinvolgimento e suppor-to della leadership, la presenza di champions

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interni ed esterni, la formazione di alleanze,la disponibilità di esperti, e l’adeguatezza dellerisorse umane. Per il progetto di prevenzio-ne dell’uso di sostanze anche l’approccio the-ory-based si era rilevato importante. Infine,tra i fattori relativi al contesto sociale in ge-nerale, il coinvolgimento della comunità eun clima politico e sociale favorevole aveva-no avuto un impatto positivo sulla sosteni-bilità.Savaya e coll.(4) hanno in pratica utilizzatolo stesso schema per valutare 6 progetti con-dotti in Israele, 3 dei quali sopravvissuti dopoche il supporto iniziale (soprattutto econo-mico) era cessato mentre gli altri 3 avevanocessato di esistere. Anche questi autori han-no condotto la loro analisi tramite intervistesemi-strutturate con i responsabili chiave euna lettura approfondita del materiale rela-tivo ai vari progetti. I risultati di questa ana-lisi comparativa rivelano che tutti e sei i pro-getti avevano una buona base progettuale,incluso l’utilizzo di un modello teorico, e lerispettive valutazioni avevano dimostratorisultati efficaci. I fattori quindi che distin-guevano i sopravvissuti dai non, si basavanosull’avere un piano di marketing con una stra-tegia di supporto economico che coinvolge-va varie fonti, il responsabile dell’ente delprogetto che implementava il progetto che,come champion, aveva dimostrato grandicapacità nel sostenere il programma ed infi-ne che il progetto era ritenuto una delle prio-rità dell’ente. Inoltre, l’iniziativa si era inte-grata bene nella struttura organizzativa (co-erente con la missione dell’ente e con altriprogrammi già attivi) la quale si era dimo-strata flessibile nell’adattarsi alla nuova pro-gettazione. Infine i progetti sopravvissutiavevano sviluppato alleanze e collaborazionicon altri enti, con le strutture governative(politiche) e con la comunità in generale, for-mando così un network di supporto impor-

tante, se non addirittura essenziale, alla even-tuale sostenibilità del progetto.

Un’esperienza di valutazione sul campoI risultati della revisione della letteraturascientifica presentati nella prima parte diquesto contributo sono stati utilizzati permettere a punto una valutazione della soste-nibilità di un intervento di promozione diappropriati comportamenti alimentari che hacoinvolto i Comuni aderenti alla rete italia-na Città Sane della Regione Friuli VeneziaGiulia. Il Progetto “Merenda per tutti” è sta-to proposto, nell’ottobre 2006, dalla Presi-denza della Rete regionale di Città Sane -Friuli Venezia Giulia (FVG) a tutti i Comunidella Regione che aderiscono al ProgettoO.M.S., in conformità con le priorità relati-ve alla prevenzione dell’obesità.L’obiettivo generale era quello di favorire losviluppo di una “cultura condivisa” di pro-mozione della salute tra scuola, famiglia, ter-ritorio e strutture sanitarie, a sostegno di al-leanze e collaborazioni affidabili e competentinell’educazione alimentare, in particolare deibambini delle scuole primarie. L’obiettivospecifico era quello di attivare una collabo-razione concreta con i Comuni, le Scuole, ipediatri, i genitori e le imprese del territorioper realizzare percorsi di educazione alimen-tare sostenibili nel tempo. Il progetto avevauna durata di sei mesi e i risultati attesi erano che, al termine del progetto, almeno il50% dei Comuni aderenti al progetto avreb-bero redatto accordi di programma fra Scuo-le, Sanità e territorio per la realizzazione diprogetti condivisi e almeno il 30% delle scuo-le avrebbe presentato per l’anno scolasticosuccessivo, una proposta di progetto multi-disciplinare di educazione alimentare e/o dipromozione dell’attività fisica. I Comuniaderenti alla proposta erano 14, di cui 8 ap-partenenti all’Azienda Servizi Sanitari n.4

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“Medio Friuli” (ASS), che è il territorio nelquale si svolge il progetto di ricerca presen-tato in questo articolo.La strategia e le azioni di questo progetto,essenzialmente basate sulla “Teoria dell’ap-prendimento sociale” di Bandura, erano insintesi:- individuazione e creazione di gruppi di pro-

getto multidisciplinari in ogni Comune(operatori sanitari, insegnanti, genitori,amministratori locali, e altri portatori diinteresse) per una progettazione condivisae adozione di protocolli d’intesa tra Co-mune, Direzioni Didattiche/Istituti Com-prensivi ed ASS;

- realizzazione di due laboratori di forma-zione in collaborazione con la Facoltà diScienze della Formazione dell’Università diTrieste, per insegnanti ed operatori sanita-ri finalizzati a condividere i riferimenti con-cettuali, strategici e metodologici dellapromozione della salute;

- realizzazione di iniziative di Comunità: unincontro pubblico in ogni Comune per in-formare la popolazione del percorso in attoe per favorire il consenso e la partecipazio-ne alle iniziative di promozione di una cor-retta alimentazione previste per gli alunnidelle scuole; settimana della merenda ide-ale, settimana dello sport nelle scuole pri-marie.

Nel gennaio 2007, l’ASS assunse i compitidi gestione scientifica, organizzativa ed ope-rativa, fu costituito il Gruppo di Progettocomposto da alcuni operatori del ServizioIgiene degli Alimenti e della Nutrizione(SIAN) e da un collaboratore esterno esper-to del mondo della scuola a cui fu attribuitoil compito di coordinare i rapporti con lescuole. Il GP avviò le azioni di Progetto co-stituendo 5 Gruppi Locali di Progetto com-posti dai Referenti delle diverse Istituzioniinteressate (ASS, Scuola, Comune), dai ge-

nitori e da tutti i portatori di interesse indi-viduati a livello locale. In febbraio e marzo2007 furono programmati e realizzati gli in-contri in ogni Gruppo Locale di Progetto nelcorso dei quali, partendo dall’approfondimen-to della conoscenza delle esperienze locali (inalcuni casi molto avanzate) furono individua-te le modalità di collaborazione fra Istitu-zioni e soggetti diversi e programmate leazioni per sensibilizzare le comunità localisul tema di una sana alimentazione.L’importanza strategica delle alleanze fra sog-getti portatori di interessi diversi e del con-fronto fra pari, fra cui i diversi Comuni im-pegnati nel progetto per la tutela della salutedella comunità, fu costantemente sottoline-ata per promuovere la consapevolezza deipresenti sulle proprie potenzialità e sulle re-sponsabilità sociali insite nei diversi ruoli.Nel corso dei mesi di marzo ed aprile, ogniComune organizzò un incontro pubblico ri-volto a tutta la comunità per informarla delpercorso in atto e per favorire il consenso ela partecipazione alle iniziative di promozio-ne di una corretta alimentazione previste pergli alunni delle scuole. Parallelamente furo-no organizzati, in collaborazione con la Fa-coltà di Scienze della Formazione dell’Uni-versità di Trieste, due laboratori di forma-zione per insegnanti ed operatori sanitari fi-nalizzati a condividere i riferimenti concet-tuali, strategici e metodologici che possonoconsentire di svolgere efficacemente il ruolodi educatori alla salute. Il consenso e lo spi-rito di collaborazione cresciuti intorno a que-ste iniziative hanno sostenuto la proposta deiComuni di adozione di protocolli d’intesa traComune, Direzioni Didattiche/Istituti Com-prensivi ed ASS per “elaborare ed avviare pro-grammi/progetti condivisi per l’attuazione diiniziative annuali e/o pluriennali in tema dieducazione a sani stili di vita, mettendo adisposizione le competenze le risorse umane

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e finanziarie disponibili.”. L’intesa prevede-va altresì che le azioni fossero condotte nel-l’ottica di un processo partecipato, condivisoed interistituzionale, atto a sviluppare unamodalità di lavoro in rete prevedendo il coin-volgimento dei soggetti pubblici e privatiinteressati del territorio.Al termine del Progetto, il Protocollo d’in-tesa fu stipulato da 9 dei 14 Comuni aderentie 5 Direzioni Scolastiche su 11 si impegna-

rono ad inserire nei loro Piani dell’OffertaFormativa (POF) una proposta di progettomultidisciplinare di educazione alimentare e/o attività fisica. Una valutazione complessi-va dell’esperienza fatta formalmente dal re-sponsabile di progetto con il gruppo di lavo-ro sulla base dei risultati attesi (comunica-zione personale, dati non pubblicati) portòall’identificazione di alcuni punti di forza edi debolezza. (Tab. 1)

Tab. 1 - Punti di forza e debolezza del progetto

Punti di forza

� L’adesione alla Rete dei Comuni di Città Sane esprime la volontà politica di un’Amministrazione di impegnarsi per la salute della comunità. La partecipazione a questo Progetto, da parte dei Comuni che hanno riconosciuto l’importanza della promozione di una sana alimentazione, ne è stata la logica conseguenza.

� I Comuni che avevano precedentemente avviato e sostenuto iniziative partecipate sui temi della salute, hanno compreso più rapidamente gli obiettivi e collaborato più efficacemente per la riuscita del progetto.

� La scelta di investire nella collaborazione di un ex Direttore Scolastico come referente con il mondo della Scuola fu determinante per facilitare i rapporti con la scuola, le Direzioni Scolastiche e la comunicazione con gli insegnanti.

� I laboratori di formazione sono stati delle occasioni importanti di confronto fra operatori diversi ed hanno contribuito a far crescere negli operatori sanitari una maggior consapevolezza della complessità del sistema scolastico.

� Gli insegnanti coinvolti si sono dimostrati molto sensibili all’argomento, motivati a consolidare le collaborazioni avviate ed a proseguire nella formazione mirata a sviluppare percorsi educativi efficaci.

� I genitori coinvolti nei gruppi e nell’iniziativa si sono dimostrati molto attivi ed interessati una maggior condivisione con la scuola dei percorsi educativi

Punti di debolezza

� Alcuni Comuni aderirono al Progetto senza condividere la decisione con le Direzioni Scolastiche, con il risultato che alcune di queste si sentirono “calare dall’alto” l’iniziativa, quando non addirittura “sole” nel portarla avanti.

� La richiesta di collaborazione ed alleanza era stata rivolta alla scuola ad anno scolastico avviato, quando la programmazione scolastica era già definita.

� In alcuni casi sia il Comune che la scuola non ritennero un loro specifico compito coinvolgere i genitori e fare in modo che anche loro si sentissero parte integrante del progetto.

� La breve durata del Progetto non ha permesso la crescita ed il consolidamento dei Gruppi locali di Progetto e probabilmente ha influito sulla sostenibilità dello stesso.

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La situazione a giugno 2011 era la seguente.Dei 14 Comuni inizialmente aderenti al Pro-getto, i 6 esterni al territorio dell’ASS n.4“Medio Friuli”, furono presi in carico dalleASS di competenza territoriale; degli 8 ri-manenti, un Comune non confermò la suaadesione per mancanza di disponibilità daparte della scuola. Il protocollo d’intesa fuconfermato in 5 Comuni, mentre le scuoledi tutti i Comuni inserirono il progetto nelPOF, solo in un Comune il Gruppo di Pro-getto appariva non consolidato.

La valutazione della sostenibilità:materiali e metodiSono stati presi in esame i progetti tuttoraattivi nei 7 Comuni dell’ASS. I dati sono statiraccolti tramite un questionario strutturatocomposto da 14 domande chiuse formulatesulla base dei fattori di sostenibilità del mo-dello Shediac-Rizkallah et al.(3). Due fatto-ri: Marketing del progetto e Conoscenza dellaTeoria, non sono stati inclusi nel questiona-rio. Lo schema in Tab. 2 mostra la corrispon-denza tra le aree del modello e gli item delquestionario.Il questionario è stato somministrato ai re-ferenti di progetto appartenenti ai vari enti(ASS, Comune, Scuola e Famiglia) tramiteintervista telefonica o in presenza dell’inter-vistatore. Il questionario richiedeva di preci-sare l’Ente di appartenenza, il ruolo ricoper-to e il coinvolgimento nel progetto (in anni).I soggetti che hanno partecipato all’indagineerano stati precedentemente informati del-l’iniziativa dai referenti di progetto dell’ASS.La fase informativa e di reclutamento delcampione è durata circa 30 giorni.

RisultatiSono stati raccolti 9 questionari per ciascunente: Scuola, Comune, ASS e Famiglia. I ri-sultati sono riportati nella Tab. 3; dove nella

seconda colonna è riportato il riferimento diciascun item alle aree dei fattori di sosteni-bilità del modello di Shediac-Rizkallah. Men-tre per l’ASS, la Scuola ed il Comune il pro-getto viene considerato abbastanza o benconsolidato, più di metà dei genitori non loconsiderano tale. Sette su 9 rispondenti (ASSe Comune) riconoscono la presenza di unaforte leadership, mentre 5 su 9 genitori no.Relativamente alla formazione specifica, 4su 9 (Comune, ASS e Scuola) riconoscono diaver svolto un percorso formativo, mentreper 5 su 9 (Comune e ASS) questo non è av-venuto. E’ interessante notare che tutti glioperatori scolastici e quasi la totalità deglialtri intervistati, hanno valutato positivamen-te il progetto, mentre 3 su 9 genitori non sisono espressi in merito. Rispetto alla domandasulla sostenibilità, Scuola, Comune e ASShanno risposto di aver discusso la sostenibi-lità oltre il periodo previsto per la conclusio-ne del progetto, mentre 5 su 9 della Fami-glia hanno risposto negativamente. La mag-gioranza degli intervistati ha risposto che l’im-plementazione del progetto ha richiesto solopiccole modifiche per adattarsi alla situazio-ne locale. D’altra parte, però, si osserva chementre per tutti gli operatori sanitari il la-voro effettuato per sviluppare il progetto rien-tra nell’attività istituzionale, solo 4 operato-ri scolastici sono dello stesso parere e 3 han-no risposto che il lavoro effettuato non rien-tra nell’attività scolastica. Si può dire che laquasi totalità degli intervistati (eccetto: 1referente comunale e 2 genitori), alla doman-da: “gli obiettivi del Progetto coincidono conquelli della propria Istituzione?” ha rispostoaffermativamente. Alla domanda se il pro-getto è simile ad altri, 5 operatori scolasticisu 9 e tutti gli operatori sanitari hanno ri-sposto affermativamente, mentre 5 referenticomunali su 9 hanno risposto di no. Relati-vamente alla percezione dell’impegno, gli

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

La sostenibilità degli interventi di promozione della salute: ......

Tab. 2 - Corrispondenza tra le aree del modello basato su Shediac-Rizkallah. e gli item del questionario

Fattori di sostenibilità del Progetto/ Domande del questionario Coerenza con i bisogni locali Gli obiettivi del progetto coincidono con quelli della sua Istituzione Partecipazione attiva degli stakeholder Le collaborazioni sviluppate con altri enti sono state importanti per lo sviluppo del progetto Capacità di adattamento Riguardo alle modifiche per adattare il Progetto al contesto locale, come le definirebbe Questo tipo di Progetto è simile ad altri realizzati nella sua Istituzione In generale è stato complesso o impegnativo attuare il Progetto Capacità di inserirsi nella struttura organizzativa esistente Il lavoro richiesto per sviluppare il Progetto rientra nelle attività svolte normalmente nel suo Ente Questo tipo di Progetto è simile ad altri realizzati nella sua Istituzione Formazione Il Personale coinvolto nell’attuazione del Progetto ha ricevuto una formazione specifica Collegamenti con Enti esterni ma coinvolti nel Progetto Le collaborazioni sviluppate con altri enti sono state importanti per lo sviluppo del Progetto Valutazione e monitoraggio continuo del Progetto Il Progetto è stato valutato positivamente Presenza di piani per la sostenibilità Durante lo sviluppo del Progetto se ne è mai discussa la sostenibilità oltre il periodo previsto per la sua conclusione Fattori di sostenibilità del Contesto/ Domande del questionario Stabilità e maturità dell’Ente che attua il Progetto (mission e obiettivi chiari e articolati) Gli obiettivi del Progetto coincidono con quelli della sua Istituzione Giudica positivamente le ricadute del Progetto per la sua Istituzione e per i destinatari dell’intervento Clima ricettivo del setting Il lavoro richiesto per sviluppare il Progetto rientra nelle attività svolte normalmente nel suo Ente Riguardo alle modifiche per adattare il Progetto al contesto locale, come le definirebbe Coinvolgimento e supporto della leadership C’è stata una persona che ha dimostrato una forte leadership nel promuovere il Progetto Campioni interni ed esterni C’è stata una persona che ha dimostrato una forte leadership nel promuovere il Progetto Formazione di alleanze Le collaborazioni sviluppate con altri enti sono state importanti per lo sviluppo del progetto Disponibilità di esperti Il Personale coinvolto nell’attuazione del Progetto ha ricevuto una formazione specifica Risorse umane adeguate (in termini di numeri) Lo sviluppo del Progetto ha richiesto l’assunzione di personale dedicato Fattori di sostenibilità della Comunità/ Domande del questionario Clima politico e sociale Le collaborazioni sviluppate con altri Enti sono state importanti per lo sviluppo del Progetto Coinvolgimento della Comunità Sono stati coinvolti anche volontari (genitori, associazioni...)

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163Donatella Belotti, Giancarlo Pocetta, Laura Pilotto

Item n.

Modello Shediac-RizKallah

ASS Scuola Comune Famiglia

1 Ad oggi, quanto pensa sia consolidato il progetto Il progetto non è più attivo Non è consolidato

È abbastanza consolidato Il progetto è ben consolidato

0 3 4 2

0 0 4 5

0 1 5 3

0 5 2 2

2 Contesto C'è o c'è stata una persona che ha dimostrato una forte leadership nel promuovere il progetto

SI NO Non so

7 2 0

6 2 1

7 1 1

4 5 0

3 Progetto Contesto

Il personale coinvolto nell'attuazione del progetto ha ricevuto una formazione specifica

SI NO Non so

4 5 0

4 3 2

4 5 0

3 2 4

4 Contesto Il progetto è stato valutato positivamente

SI NO Non so

7 1 1

9 0 0

8 1 0

5 1 3

5 Progetto Durante lo sviluppo del progetto se ne è mai discussa la sostenibilità oltre il periodo previsto per la sua conclusione

SI NO Non so

8 1 0

7 2 0

8 1 0

3 5 1

6 Progetto Contesto

Riguardo alle modifiche per adattare il progetto al contesto locale, come le definirebbe

No modifiche Piccole modifiche Grandi modifiche Non so

2 6 1 0

1 7 1 0

1 8 0 0

0 6 3 0

7 Progetto Contesto

Il lavoro richiesto per sviluppare il progetto rientra nelle attività svolte normalmente dal suo ente

SI In parte NO Non so

9 0 0 0

4 2 3 0

7 2 0 0

8 0 1 0

Tab. 3 - Risultati del questionario per ente

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

La sostenibilità degli interventi di promozione della salute: ......

segue ... Tab. 3 - Risultati del questionario per ente

Item n.

Modello Shediac-RizKallah

ASS Scuola Comune Famiglia

8 Progetto Questo tipo di Progetto è simile ad altri realizzati nella sua Istituzione

SI NO Non so

9 0 0

5 4 0

3 5 1

3 3 3

9 Contesto Gli obiettivi del progetto coincidono con quelli della sua Istituzione

SI In parte NO Non so

9 0 0 0

9 0 0 0

8 1 0 0

7 1 1 0

10 Progetto In generale è stato complesso o impegnativo attuare il progetto

Molto Abbastanza Poco Per niente

5 4 0 0

0 6 0 3

2 4 2 1

0 3 2 4

11 Contesto Lo sviluppo del progetto ha richiesto l'assunzione di personale dedicato

SI NO Non so

0 9 0

0 9 0

1 8 0

1 4 4

12 Comunità Sono stati coinvolti anche volontari (genitori, associazioni...)

SI NO Non so

6 3 0

3 5 1

6 2 1

4 4 1

13 Progetto Comunità

Le collaborazioni sviluppate con altri enti sono state importanti per lo sviluppo del progetto

SI In parte NO Non so

7 2 0 0

8 1 0 0

8 0 1 0

6 3 0 0

14 Contesto Giudica positivamente le ricadute del progetto per la sua istituzione e per i destinatari dell'intervento

SI In parte NO Non so

5 4 0 0

9 0 0 0

8 0 1 0

9 0 0 0

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165Donatella Belotti, Giancarlo Pocetta, Laura Pilotto

operatori sanitari sembrano essere quelli chehanno percepito una maggiore complessitànell’attuazione del progetto (9 su 9 molto/abbastanza), 6 su 9 operatori scolastici e per-sonale del Comune lo hanno trovato abba-stanza faticoso, mentre 4 su 9 genitori, perniente. Osserviamo inoltre che, eccetto lafamiglia, la quasi totalità degli intervistatiafferma che non c’è stata assunzione di per-sonale dedicato. Alla domanda sul coinvol-gimento di volontari, genitori o associazio-

ni, mentre 6 su 9 (ASS e Comune) risponde-vano in modo affermativo, 5 su 9 della scuo-la rispondevano negativamente. Infine quasila totalità degli intervistati ha risposto di ri-tenere importanti per lo sviluppo del Pro-getto le collaborazioni con gli enti e che ilgiudizio sulle ricadute in generale del Pro-getto sui destinatari è stato positivo.La Tab. 4 riporta la frequenza di risposte po-sitive ottenute da ogni fattore del modellodi Shediac-Rizkallah.

DiscussioneDall’esame dei risultati dei questionari emer-ge che c’è una percezione diversa tra la fami-glia e le altre istituzioni rispetto al consoli-damento del progetto. La famiglia ha diffi-coltà nel riconoscere il consolidamento delprogetto, non intravede una chiara leadership,valuta meno positivamente degli altri il pro-getto e per lo più non ricorda di averne di-scusso la sostenibilità. Queste affermazioni

sembrerebbero corrispondere a uno scarsocoinvolgimento delle famiglie, come eviden-ziato spesso in letteratura, ma la spiegazionepotrebbe risiedere anche nel gap di conoscenzeprogettuali tra i genitori e gli altri partnersdel progetto. Questo avrebbe richiesto l’im-piego di altre metodologie, tipo focus groupo campagne informative, per approfondirecon i genitori gli obiettivi e le metodologiedel progetto (9). Considerato che la scuola

fattori sostenibilità progetto % risposte positive coerenza bisogni locali 92 partecipazione stakeholder 50 capacità adattamento 69 inserimento struttura esistente 67 formazione specifica 44 collaborazione con altri enti 81 valutazione positiva progetto 83 discussa sostenibilità 69 fattori sostenibilita contesto/comunità stabilità/maturità ente 89 clima ricettivo setting 82 leadership/campioni presente 67 formazione alleanze 81 disponibilità esperti 44 risorse umane adeguate 83 clima sociopolitico 81 coinvolgimento comunitario 50

Tab. 4 - Percentuale di risposte positive rispetto ai criteri di sostenibilità

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La sostenibilità degli interventi di promozione della salute: ......

rappresenta già da anni il setting privilegiatoper interventi di educazione alimentare spe-cialmente in collaborazione con le ASS, maanche con altri soggetti, sorprende un po’ chein questo caso gestire e mantenere un pro-getto come «Merende per tutti» non rientriper lo più nell’attività normalmente svolta evenga considerato pertanto un impegno fati-coso pur se importante e coincidente con ipropri obiettivi. I Comuni non hanno espressoparticolari difficoltà: il dato potrebbe essereinterpretato positivamente considerando laloro appartenenza alla rete Città Sane e l’espe-rienza progettuale accumulata attraverso lapartecipazione ad altri progetti. Per l’ASS illavoro effettuato per sviluppare il progettorientra nell’attività svolta normalmente, mail fatto che gli operatori sanitari lo ritenganomolto impegnativo potrebbe dipendere dalruolo di coordinamento che si sono trovati asvolgere, generalmente non di loro perti-nenza. Tutti i soggetti istituzionali afferma-no che gli obiettivi del progetto coincidonocon quelli della propria Istituzione, questoappare come un punto di forza per la sosteni-bilità del progetto. La proporzione di rispo-ste affermative rispetto al coinvolgimento deivolontari da parte dei genitori e della scuolaè bassa, ma resta una perplessità sulla com-prensione di questa domanda. Infatti, e’ pos-sibile che l’ASS e il Comune abbiano consi-derato i genitori come “volontari” mentregli altri come stakeholders. Dati positivi aifini della sostenibilità, appaiono quello del-l’accordo di tutti i partners sull’importanzadelle collaborazioni con gli altri enti e sulgiudizio positivo sulle ricadute, pur non chia-ramente esplicitate, del progetto sui desti-natari. Pur tenendo presente che il progettonei vari Comuni aveva avuto percorsi diver-si, in particolare in termini di partecipazio-ne, in generale si può affermare che il pro-getto presenta caratteristiche e condizioni che

ne consentono la sostenibilità, tranne che perdue fattori: formazione specifica e disponi-bilità di esperti, per i quali la percentualescende al disotto del 50%. Entrambi i fatto-ri, però, derivano dalla domanda sull’averavuto una formazione specifica, che in effettiera stata fatta solo per operatori sanitari escolastici. Probabilmente sarebbe stato piùutile (chiaro) aggiungere al questionario unadomanda specifica sulla disponibilità di esper-ti da consultare durante lo sviluppo del pro-getto. La presenza di un champion, altro ele-mento chiave secondo la letteratura, vienericonosciuta da tutti tranne dalla famiglia, ilche dovrebbe far riflettere sul grado di parte-cipazione dei genitori o loro rappresentantinell’ambito dei singoli progetti. La facilitàdi inserimento di un progetto nella normaleattività di un ente è un altro fattore che inbuona parte facilita la sostenibilità nel tem-po di un progetto. Fa riflettere la rispostadegli operatori scolastici, meno della metàhanno ritenuto che lo sviluppo del progettorientra nella loro attività routinaria. Questopotrebbe essere dovuto al fatto che il proget-to richiedeva un “monitoraggio” delle me-rende piuttosto che un tradizionale percorsodi educazione alimentare, più consono al lororuolo.

ConclusioniI progetti di promozione della salute per es-sere efficaci devono essere sviluppati in untempo abbastanza lungo affinché i cambia-menti ottenuti si consolidino nell’individuo,nel contesto e nella comunità. La sostenibili-tà è un aspetto generalmente poco conside-rato nella progettazione, ma risulta indispen-sabile per la credibilità degli obiettivi e ilconsolidamento dei risultati. I progetti og-getto di questo articolo, a distanza di cinqueanni, tempo abbastanza lungo per consentireai cambiamenti di diventare “il nuovo modo

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167Donatella Belotti, Giancarlo Pocetta, Laura Pilotto

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di comportarsi”, risultano abbastanza con-solidati anche se, sulla base dei dati raccolti,è necessario impegnarsi soprattutto con lafamiglia per rinforzare la sua partecipazione.Un aspetto che vogliamo sottolineare riguar-da l’importanza delle collaborazioni tra glialtri enti che sono in grado di supportare iprogetti nel tempo a livello istituzionale,anche se i singoli referenti (es: rappresentan-ti politici o dirigenti scolastici) cambiano opartecipano relativamente. A questo propo-sito, durante le interviste, è chiaramenteemersa, soprattutto da parte delle ammini-strazioni comunali, la richiesta di confrontocon gli altri Comuni. Questa esigenza è stataraccolta dal SIAN ritenendo i Gruppi di Pro-getto come dei punti di forza: questa occa-sione di confronto sugli stessi temi ma in

contesti differenti, potrà essere un valore ag-giunto utile per proseguire nella direzionedella sostenibilità delle azioni intraprese.Infine una più accurata valutazione dei risul-tati finora raggiunti, insieme ai diversi Grup-pi di Progetto, potrebbe essere un punto dipartenza per la valutazione della loro soste-nibilità in quanto permetterebbe di sostene-re solo gli elementi efficaci che, nel ciclo divita del progetto, potrebbero cambiare.Si può concludere che nei progetti presi inconsiderazione, come evidenziato anche inletteratura, una implementazione chiara eben organizzata, un buon rapporto costo ef-ficacia, la soddisfazione dei partners sulle ri-cadute positive e i risultati prodotti e la coe-renza con gli obiettivi possono rendere so-stenibile un progetto.

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Sistema Salute, 57, 2, 2013: pp. 168-177

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute,vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

Conoscenze, attitudini e comportamenti in tema di dopinge integratori alimentari in un campione di praticanti il gio-co del calcio: risultati di uno studio trasversale pilota inItaliaFootball players’ knowledge, attitudes and behaviors towards doping and nutritionalsupplements: results from a pilot cross-sectional study in Italy

Daniele Masala, Guglielmo Giraldi, Silvia Miccoli, Brigid Unim, AngelaMeggiolaro, Walter Ricciardi, Giuseppe La Torre

Daniele MasalaDipartimento di Scienze della salute e dello sport, Università di Cassino

Guglielmo Giraldi, Silvia Miccoli, Brigid Unim, Angela MeggiolaroDipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sapienza Università di Roma

Walter RicciardiIstituto di Igiene, Università Cattolica del Sacro Cuore Roma

Giuseppe La TorreDipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sapienza Università di Roma

Parole chiave: doping, conoscenze, attitudini, giovani atleti, giocatori di calcio

RIASSUNTOObiettivo: l’obiettivo del presente studio è di valutare attitudini, conoscenze e comportamenti di un campio-ne di giovani calciatori non professionisti riguardo al tema del doping e degli integratori alimentari.Metodi: l’indagine analizza i dati derivanti da uno studio trasversale che ha previsto la somministrazione diun questionario a giocatori di calcio non professionisti di tre province di residenza italiane (Frosinone,Napoli e Cagliari). L’analisi descrittiva è stata realizzata attraverso il calcolo di frequenze assolute e relative. E’ stata condottaun’analisi univariata tramite il test del chi-quadrato.

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169Daniele Masala, Guglielmo Giraldi, Silvia Miccoli, et. al.

Risultati: i giocatori coinvolti sono stati 80. Per l’88,8% dei responder è importante vincere nello sport,mentre vincere a tutti i costi viene ritenuto essenziale dal 55% ed il 45% invece si dimostra contrario aquesta affermazione. Tra coloro che hanno subito infortuni durante l’attività sportiva, il 93,8% ritiene chenello sport sia importante vincere (p=0,003), rispetto al 66,7% che non ne ha subito. Il doping èconsiderata una pratica illegale (32,5%), diffusa solo nei professionisti (28,8%) o presente a tutti i livelli(22,5%). Riguardo all’assunzione degli integratori, il 45% risponde di non aver mai fatto uso di aminoacidiramificati o creatina, mentre coloro che dichiarano di aver assunto entrambi sono il 27,5%. Per il 41,3%degli intervistati, per diventare un atleta di altissimo livello occorre una predisposizione individuale, per il32,5% una preparazione adeguata e per il 26,3% in alcuni casi si deve ricorrere all’assunzione di steroidianabolizzanti.Conclusioni: riguardo alle conoscenze dei giocatori sul doping e l’uso degli integratori emerge negli atletipartecipanti una preoccupante disinformazione. Sono necessari programmi educativi che coinvolgano siala scuola sia le famiglie, anche attraverso il lavoro di diverse figure professionali e professionisti sanitari, inmodo da attuare precisi e mirati interventi di prevenzione.

Keywords: doping, knowledge, attitudes, young athletes, football players.

S U M M A RYObjective: the aim of this study is to assess attitudes, knowledge and behaviours of a sample of young non-professional players relating to doping and dietary supplements.Methods: the survey analyzes data from a cross-sectional study accomplished through the administration ofa questionnaire to non-professional soccer players from three Italian provinces of residence (Frosinone,Napoli e Cagliari). Descriptive analysis was carried out through the calculation of absolute and relative frequencies.Univariate analysis was performed using the chi-square test.Results: eighty players were included. For 88,8% of responders is important to win in sport, 55% consideressential to win at all costs while 45% declare the contrary. Among those who have suffered injuries duringsports, 93,8% believe that to win in sports is important (p=0,003), compared to 66,7% who did nothave injuries. About 32,5% consider doping an illegal practice, which is widespread only amongprofessionals for 28,8% or present at all levels for 22,5%. Regarding supplements utilization, 45% hadnever made use of branched chain amino acids or creatine, while 27,5% claim to have taken both.According to the sample, to become a top level athlete an individual predisposition (41,3%), an adequatepreparation (32,5%) and anabolic steroids (26,3%) are required.Conclusions: regarding the knowledge of the players on doping and the use of nutritional supplements,alarming misinformation emerged from the present study. Educational programs involving schools andfamilies are needed, also through the work of various professional figures and healthcare workers, specificand targeted intervention programs could be realized.

IntroduzioneL’utilizzo di sostanze dopanti per migliora-re la pratica sportiva non è un fenomenonuovo: è anzi ben documentato che non èuna pratica ad esclusivo appannaggio degliatleti professionisti (1,2). Una definizioneampiamente utilizzata, configura come rea-

to di doping la somministrazione o l’assun-zione di farmaci o di sostanze biologicamen-te o farmacologicamente attive e l’adozio-ne o la sottoposizione a pratiche medichenon giustificate da condizioni patologiche,idonee a modificare le condizioni psicofisi-che o biologiche dell’organismo al fine di

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Conoscenze, attitudini e comportamenti in tema di doping e integratori alimentari...

alterare le prestazioni degli atleti (3,4).Il moltiplicarsi dei casi di doping nelle ma-nifestazioni sportive (5,6) ha contribuito asensibilizzare l’opinione pubblica e le Isti-tuzioni sul fenomeno; a tale proposito è natala World Anti-Doping Agency (WADA) (7),l’organizzazione del C.I.O. (ComitatoOlimpico Internazionale) responsabile delcoordinamento e del controllo del dopingnello sport in tutte le sue forme.La lista delle sostanze proibite viene pub-blicata e annualmente aggiornata dallaWA-DA: sono state immesse nel programma dimonitoraggio sostanze stimolanti (solo du-rante la competizione), gli steroidi anabo-lizzanti (sempre), stupefacenti (solo in com-petizione) e i glucocorticoidi (solo fuorigara) (8).Per quanto riguarda il ruolo degli integra-tori alimentari nello sport, dalla letteraturascientifica emergono aspetti controversisulla loro reale efficacia e utilità: con que-sto termine si intendono quelle sostanzecome aminoacidi, vitamine e minerali as-sunte per via orale (9,10,11). L’utilizzo diqueste sostanze è piuttosto diffuso conside-rata la loro facile reperibilità (12) e soltantonegli Stati Uniti si stima che ne abbianofatto uso oltre 3 milioni di persone (13).La personalità dell’atleta, il suo stato socioeconomico e il contesto in cui gareggia,possono contribuire a sviluppare un com-portamento affine all’assunzione di sostan-ze dopanti nel tentativo di migliorare co-stantemente le performance sportive; tali fat-tori dovrebbero essere pienamente indagatial fine di sostenere efficaci e mirati inter-venti anti-doping (2).Diversi studi sono stati condotti per indivi-duare le attitudini degli atleti in tema didoping e integratori per comprendere lavalutazione positiva o negativa che gli stes-si attribuiscono al fenomeno (14,15,16), ma

pochi sono i dati che riguardano gli atletipiù giovani e in particolare i calciatori (17,18).Il calcio è lo sport di squadra più popolareal mondo con circa 200.000 professionisti e240 milioni di giocatori amatoriali (19). LaFédération Internationale de Football Associa-tion (FIFA) ha riconosciuto che i rischi asso-ciati a questo sport, legati alla sommini-strazione di sostanze illecite, debbano esse-re gestiti in modo efficace basandosi su stra-tegie di educazione e prevenzione (20). Atale proposito è stata istituito la FIFA’sMedical Assessment and Research Centre (F-MARC) con lo scopo di indagare sui rischiper la salute dei giocatori di calcio (21).L’obiettivo del presente studio è, quindi, divalutare le conoscenze, le attitudini e i com-portamenti di un campione di giovani cal-ciatori non professionisti riguardo al temadel doping (ormone della crescita, steroidianabolizzanti) e degli integratori alimenta-ri (aminoacidi, creatina).

Materiali e metodiLa descrizione della ricerca è stata condottaattraverso le linee guida proposte dal docu-mento STROBE (Strengthening the Repor-ting of Observational Studies in Epidemio-logy), utilizzate per gli studi osservazionali(22).Disegno dello studio, setting e partecipantiLo studio, di tipo trasversale, analizza i datiderivanti dalla somministrazione di un que-stionario ad un campione opportunistico digiocatori di calcio in tre province di resi-denza (Frosinone, Napoli e Cagliari). Il pre-sente lavoro si focalizza esclusivamente suatleti maggiorenni.Principali misure di outcomeSono stati intervistati giocatori amatorialidi calcio in materia di conoscenze, attitudi-

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ni e comportamenti verso il doping (ormo-ne della crescita, steroidi anabolizzanti) egli integratori alimentari (aminoacidi, cre-atina).Struttura del questionarioIl questionario somministrato, validato inuno studio pilota (23), è suddiviso in tresezioni.La prima sezione comprende le informazio-ni socio-demografiche (età, genere, livellodi istruzione, città di residenza).La seconda sezione riporta domande sullapossibilità di essere in accordo o in disac-cordo su alcune tematiche come la possibi-lità di vincere nello sport, vincere per sod-disfare le aspettative degli altri, il ruolo dellopsicologo nello sport, possibilità di accet-tare l’utilizzo di farmaci per migliorare leprestazioni, stima di se stessi, stima da par-te dell’allenatore e stima da parte dei com-pagni.La terza parte comprende opinioni, cono-scenze e comportamenti in tema di doping(ormone della crescita, steroidi anabolizzan-ti), attività sportiva praticata, ruolo di gio-co svolto, ore dedicate all’attività sportiva,conoscenze sull’obbligo della visita d’ido-neità agonistica, utilizzo d’integratori (ami-noacidi, creatina), eventuali problemi disalute durante la pratica sportiva, assunzio-ne di integratori o steroidi anabolizzanti inrelazione all’allenamento, conoscenza edeffetti degli steroidi anabolizzanti.Analisi statisticaI dati rilevati sono stati inseriti in un data-base utilizzando il programma “Excel” esono stati analizzati statisticamente con ilsoftware SPSS 19.0 per Windows.L’analisi descrittiva è stata realizzata attra-verso il calcolo di frequenze assolute e rela-tive.E’ stata condotta un’analisi univariata tra-mite il test del chi-quadrato.

Il livello di significatività è stato fissato ap<0,05.

RisultatiDescrizione del campione in studioHanno partecipato all’indagine 80 giocato-ri amatoriali di calcio (Tabella 1) e l’80%del campione rientra nella fascia d’età under21. Il Lazio con Frosinone è la provincia diresidenza del 78,8% dei responder, la Cam-pania con la provincia di Napoli del 11,3%e la Sardegna con Cagliari del 10%. L’88,8%dei soggetti possiede un titolo di studio discuola media superiore, il 7,5% di scuolamedia inferiore e il 3,8% universitario. Al-cuni degli sportivi, oltre al calcio, pratica-no soprattutto tennis e nuoto (il 20% perentrambi).

Tab. 1 - Caratteristiche dei giocatori di calcio parteci-panti allo studio

Caratteristiche del campione N (%) Totale 80 (100) Genere Maschio 80 (100)

18-21 64 (80) Fascia di età 22-28 16 (20)

Media inferiore 6 (7,5)

Media superiore 71 (88,8) Livello di istruzione

Università 3 (3,8) Atletica 3 (3,8) Tennis 16 (20) Ciclismo 5 (6,3) Nuoto 11 (13,8) Pallacanestro 6 (7,5) Pallamano 0 (0) Pallavolo 5 (6,3) Pugilato 1 (1,3)

Altri sport praticati oltre al calcio

Arti marziali 0 (0) ? 8 ore 49 (61,3) Da 4 a 7 ore 18 (22,5)

Ore settimanali dedicate all’attività sportiva

Da 1 a 3 ore 13 (16,3) Difensore 21 (26,3) Centrocampista 18 (22,5) Attaccante 21 (26,3) Portiere 1 (1,3) Pivot 1 (1,3) Playmaker 2 (2,5)

Ruolo giocato per chi pratica sport di squadra

Alzatrice 1 (1,2) Di tipo muscolare 47 (58,8) Di tipo osteo-articolare 36 (45) Altri (es. lussazioni) 3 (3,7)

Problemi di salute durante la carriera sportiva

Nessuno 16 (20)

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Conoscenze, attitudini e comportamenti in tema di doping e integratori alimentari...

Il 61,3% dei giocatori si allena per e” 8 orea settimana. I ruoli giocati in squadra sonoprevalentemente “attaccante” e “difensore”(il 26,3% rispettivamente) e “centrocampi-sta” (22,5%). Il 58,8% dei soggetti è anda-to incontro a problemi di salute di tipomuscolare durante la carriera sportiva, il45% a disturbi di tipo osteo-articolare e il20% non ha mai avuto problemi di salute.Aspetti psicologici ed opinioni che influenzanola pratica sportivaIn merito ai giudizi di autostima ed etero-stima, il 92,5% degli intervistati ha stimadi se stesso, il 80% dell’allenatore e l’87,5%

Tab. 2 - Frequenza percentuale dei giudizi su alcuni aspetti psicologici che influenzano la pratica sportiva.

dei propri compagni di squadra.In tabella 2, vengono illustrati alcuni risul-tati relativi ad aspetti psicologici che po-trebbero influenzare la pratica sportiva: perl’ 88,8% dei responder è importante vincerenello sport, mentre vincere a tutti i costiviene ritenuto essenziale dal 55% ed il 45%invece si dimostra contrario a questa affer-mazione. Per il 7,5% (“molto d’accordo”) eper il 51,3% (“d’accordo”) dei partecipantioccorre vincere per soddisfare le aspettati-ve degli altri (allenatori, genitori, ecc.) e il63,8% degli stessi giudica utile la presenzadello psicologo sportivo.

Parametri Molto d'accordo D'accordo Incerto In disaccordo Nello sport è importante vincere 21 (26,3) 50 (62,5) 6 (7,5) 3 (3,8) E' importante vincere a tutti i costi 13 (16,3) 31 (38,8) 20 (25) 16 (20) Occorre vincere per soddisfare le aspettative degli altri 6 (7,5) 41 (51,3) 13 (16,3) 20 (25) Lo psicologo nello sport è utile 8 (10) 43 (53,8) 13 (16,3) 16 (20) L'uso dei farmaci aiuta gli atleti 20 (25) 41 (51,3) 9 (11,3) 10 (12,5) I farmaci sono accettabili per migliorare le prestazioni 4 (5) 13 (16,3) 20 (25) 43 (53,8) Uso personale di farmaci per migliorare le prestazioni 2 (2,5) 1 (1,3) 8 (10) 69 (86,3)

Usare farmaci per vincere 2 (2,5) 1 (1,3) 7 (8,8) 70 (87,5)

Il 21,3% degli atleti si ritiene complessiva-mente d’accordo nel considerare accettabi-le l’assunzione di farmaci per migliorare leprestazioni ed il 2,5% (“molto d’accordo”)ne farebbe anche un uso personale per vin-cere. L’88,9% dei giocatori di calcio resi-denti nella provincia di Frosinone, rispettoa coloro che provengono dalla provincia diNapoli (il 44,4%) e dalla provincia di Ca-gliari (il 37,5%), non ritiene che l’uso deifarmaci nello sport si possa accettare permigliorare le prestazioni (p<0,001).

Nella fascia di età compresa tra 22 e 28 annil’87,5% considera utile l’aiuto dello psico-logo nello sport rispetto agli atleti under 21(57,8%; p=0,02). I responder che si allenanoper più di otto ore a settimana (il 95,9%)affermano che vincere nello sport sia im-portante rispetto a coloro che si allenano daquattro a sette ore (il 83,3%; p=0,02) e dauna a tre ore (il 69,2 %; p=0,004).Tra coloro che hanno subito infortuni du-rante l’attività sportiva, il 93,8% ritiene chenello sport sia importante vincere

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(p=0,003), rispetto al 66,7% che non ne hasubito.Conoscenze su doping e integratoriTra gli atleti il 57,5% ritiene che, per au-mentare la forza e la massa muscolare, sianecessario allenarsi più ore al giorno, men-tre l’1,3% afferma che oltre ad un allena-mento più intenso si debbano assumere glisteroidi anabolizzanti.I giocatori di calcio intervistati (Tabella 3)considerano il doping una pratica illegale(il 32,5%), diffusa solo nei professionisti (il28,8%) o presente a tutti i livelli (il 22,5%);il 63,8% degli stessi ritiene che gli steroidianabolizzanti siano ormoni sessuali maschilie il 23,8% del campione non si esprime atale proposito. Il campione si dimostra in-formato riguardo agli effetti nocivi sull’or-

ganismo che possono essere causati dall’as-sunzione prolungata di steroidi anabolizzan-ti, infatti, il 43,8% riconosce tutte le pato-logie indicate come causa diretta dell’usodel doping (danni al fegato: 20%, alterazio-ni testicolari negli uomini: 12,5%; ipertro-fia delle corde vocali nella donna con cam-bio anche permanente del tono della voce:1,3%). Il 65% dei responder dichiara che l’as-sunzione di ormoni della crescita rientri nelfenomeno doping ed il 20% non è in gradodi rispondere.L’obbligo della visita per l’idoneità sportivaper gli atleti “agonisti” è noto al 96,3% deiresponder ed il 75% si è sottoposto a visita;inoltre, l’88,8% dichiara di non aver rice-vuto informazioni sul doping da parte delmedico dello sport.Attitudini e comportamenti degli atletiLa maggior parte del campione (il 96,3%)ritiene che ricorrere alle sostanze illecite permigliorare le prestazioni sportive sia da evi-tare perché rischioso per la salute e scorret-to dal punto di vista sportivo.Riguardo ai comportamenti del campionesull’assunzione degli integratori, il 45% ri-sponde di non aver mai fatto uso di amino-acidi ramificati o creatina nella pratica spor-tiva, mentre coloro che dichiarano di averassunto entrambi sono il 27,5%.Tra i responder che utilizzano gli integratori,l’13,8% ne fa uso perché suggeriti dalla pub-blicità e il 23,8% su consiglio dell’allenato-re e il 17,5% del medico.Il 55% degli sportivi afferma che valute-rebbe la proposta dell’allenatore o di un com-pagno di squadra di assumere gli integrato-ri, ma solo dopo essersi informato sulle even-tuali controindicazioni; il 36,3%, invece,non li assumerebbe in nessuna circostanza.Sull’utilizzo di steroidi da parte di amici, il97,5% dichiara che cercherebbe di dissua-derli illustrando loro i possibili problemi

Tab. 3 - Conoscenze del campione in materia di do-ping e integratori

Conoscenze del campione N (%) Totale 83 (100)

Si 23 (28,8) Una pratica diffusa nei professionisti No 57 (71,3) Si 5 (6,3) Una pratica resa comune dai mass

media No 75 (93,8) Si 26 (32,5) Una pratica illegale No 54 (67,5) Si 18 (22,5)

Il doping è

Una pratica diffusa a tutti i livelli No 62 (77,5)

Ormoni sessuali femminili 0 (0) Ormoni sessuali maschili 51 (63,8) Sostanze non ormonali 10 (12,5)

Gli steroidi anabolizzanti sono

Non so 19 (23,8) Si 16 (20) Danni al fegato No 64 (80) Si 10 (12,5) Lesioni ai testicoli nel maschio No 70 (87,5) Si 1 (1,3) Ipertrofia delle corde vocali nella donna No 79 (98,8) Si 35 (43,8) Tutti gli effetti precedenti No 45 (56,3) Si 0 (0) Nessuno degli effetti No 80 (100) Si 23 (28,8)

Effetti causati da assunzione prolungata di steroidi anabolizzanti

Non so No 57 (71,3) Si 8 (10) Assunzione di creatina No 72 (90) Si 0 (0) Assunzione di proteine No 80 (100) Si 7 (8,8) Assunzione di amminoacidi ramificati No 73 (91,3) Si 52 (65) Assunzione di ormone della crescita No 28 (35) Si 16 (20)

È considerato doping

Non so No 64 (80)

Si 77 (96,3) Conoscenza dell’obbligo della visita sportiva per gli atleti “Agonisti”

No 3 (3,8)

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indotti da tali sostanze.Il 56,3% ritiene che il doping sia un proble-ma ignorato a causa della reticenza nell’af-frontare l’argomento, mentre il 36,3% pensache il motivo della poca conoscenza del fe-nomeno sia legato al fatto che nelle scuolela problematica non è affrontata.Per diventare un atleta di altissimo livellooccorre una predisposizione individuale peril 41,3% degli intervistati, per il 32,5% unapreparazione adeguata e per il 26,3% in al-cuni casi si deve ricorrere all’assunzione disteroidi anabolizzanti.

DiscussioneIl fenomeno del doping è da anni al centrodell’attenzione scientifica e mediatica ed èsicuramente una problematica ancora attua-le, sia a livello professionistico che dilet-tantistico, in Italia ed all’estero (24,25,26,27). La FIFA a tale proposito ha messo inatto strategie di prevenzione sul fenomeno:i suoi rappresentanti hanno sviluppato unastretta collaborazione con i rappresentantidella WADA sin dal 1999 (28).Il campione preso in considerazione in que-sto studio è rappresentato in massima parteda atleti di età inferiore ai 21 anni, di sessomaschile, residenti nella regione Lazio e inpossesso di un titolo di studio di scuolamedia-superiore.Il profilo psicologico degli atleti e l’even-tuale legame con l’attitudine al doping nelnostro studio, è confermato dallo studio diHoulihan (29) che afferma che per l’88,8%è importante vincere nello sport e per piùdella metà vincere ad ogni costo; mentre il21,3% afferma che assumerebbe farmaci,legali e/o non per migliorare le proprie pre-stazioni. Tuttavia, la spiccata attitudine allacompetizione emersa dal nostro studio nonsarebbe giustificabile soltanto da un’otticacontrattistica o di mercato, trattandosi di

giocatori non professionisti, ma andrebbeletta, in generale, come un tentativo diemergere dal punto di vista sportivo. L’im-portanza attribuita alla vittoria sarebbe piùun riflesso della categoria di giocatori chesi definisce professionista.Riguardo alle conoscenze dei giocatori suldoping e l’uso degli integratori emerge unapreoccupante disinformazione. Più dellametà degli intervistati ritiene che, per au-mentare forza e massa muscolare non siasufficiente allenarsi per diverse ore al gior-no e l’1,3% afferma che sia necessario ricor-rere anche a steroidi anabolizzanti. Se da unlato sembrerebbe accresciuta la consapevo-lezza dei danni e della tossicità arrecata da-gli anabolizzanti, con la loro identificazio-ne nella categoria di “doping” (dal 63,8%),l’assunzione di numerosissime altre sostan-ze che prendono il nome di “integratori”, ilcui profilo di tossicità farmacologica, non-ché ammissibilità, sono spesso non precisa-te per eventuali effetti dopanti, continue-rebbe a rimanere poco chiara.Sarebbe auspicabile, come già fatto da pro-getti di educazione in altri Paesi (30, 31,32), che anche in Italia l’informazione e laresponsabilizzazione sul tema del dopinginiziasse in età preadolescenziale e coinvol-gesse sia la scuola che le famiglie di giovaniragazzi che iniziano ad approcciarsi alle at-tività sportive. Si potrebbe anche agire sul-la prevenzione in ambito comportamenta-le, fornendo come alternativa al ricorso asostanze illecite il miglioramento dell’alle-namento personale e un’educazione alimen-tare corretta e mirata (9, 33, 34).La pubblicità mediatica gioca sicuramenteun ruolo chiave nel propagandare nuove so-stanze che rientrano nel limbo degli inte-gratori, e sono ancora troppo pochi gli atle-ti che si rivolgerebbero ad un medico o al-l’allenatore prima di assumere integratori

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evidentemente “da banco” (35).Nel nostro campione un atleta su quattro,ritiene indispensabile il ricorso a steroidianabolizzanti per raggiungere determinatilivelli di preparazione agonistica, probabil-mente l’importanza eccessiva data dallanostra stessa società alla vittoria e all’appa-renza fisica contribuisce in parte all’aumen-tato ricorso a farmaci per migliorare la pre-stazione fisica nello sport, anche i valori dellasocietà nei confronti dello sport e degli at-leti dovrebbero essere rivisitati anche allaluce di questi risultati (16).Il presente studio ha dei limiti riguardantila scelta opportunistica del campione e lapartecipazione su base volontaria, di conse-guenza si tratta di un campione non perfet-tamente rappresentativo della popolazionegenerale. Altri limiti sono la natura autori-ferita dei dati raccolti, sebbene sia statoimpiegato un questionario validato (23).Sarebbe interessante scoprire quali tenden-ze e atteggiamenti nei confronti del dopingsono diffusi tra le donne e in altri ambitisportivi, come la danza o l’atletica femmi-nile.Il punto di forza del presente lavoro è la pos-sibilità di confrontare opinioni, conoscenze eabitudini di atleti amatoriali del centro-sudItalia nell’arco di dieci anni. La presente in-dagine, infatti, conferma i risultati di unostudio precedente (24) sulle dimensioni delproblema doping nello sport dilettantistico.I dati dei due studi dimostrano una larga dif-fusione di tale fenomeno anche nel cosiddet-to sport amatoriale sebbene le motivazionial successo non sembrino paragonabili a quel-le degli atleti professionisti: questo è un datopreoccupante che dovrebbe far riflettere e cherende gli interventi di prevenzione di prima-ria importanza.Nel contrastare il fenomeno doping assu-mono notevole importanza diverse figure

professionali oltre al medico dello sport,come l’allenatore e i dirigenti delle societàsportive che dovrebbero rappresentare deisicuri riferimenti. In questo contesto do-vrebbero inserirsi anche i medici di medici-na generale che andrebbero visti come con-sulenti e coadiuvanti dell’attività e del ren-dimento fisico dell’atleta, considerando chequesti rappresentano il primo riferimentodell’atleta non professionista. È attraversoun lavoro di gruppo finalizzato alla tuteladella salute di chi pratica sport, partendomagari dalla cultura da impartire nella scuo-la di I e II livello e conseguentemente nellefamiglie, che è possibile attuare precisi emirati programmi di prevenzione.Il regolamento della WADA prevede l’ese-cuzione di test anti-doping per sostanzedopanti, in grado di migliorare la performance(es. sostanze anabolizzanti, ormoni, ecc), eper droghe illegali come la marijuana, leanfetamine e la cocaina. Va precisato che itest per le sostanze stupefacenti vengonoeffettuati solo durante la competizione spor-tiva ma non fuori gara. I dati di un recentestudio (36) suggeriscono che l’esecuzione deitest per sostanze stupefacenti fuori compe-tizione è in grado di modificare il compor-tamento degli atleti e quindi ha un impattopositivo sul loro stato di salute e benessere;infatti, la maggior parte dei campioni cherisultano positivi ai controlli, lo sono a causadell’utilizzo di sostanze illecite a scopo ri-creativo, e quindi, fuori dalle competizionisportive.L’applicazione del programma “Politica con-tro droghe illecite” (Illicit Drugs Policy - IDP)in Australia ha evidenziato un calo costantedel numero di positivi alle prove nell’arcodi 7 anni (da 22 a 6 prove positive/ anno). Ilprogramma IDP si basa sulla minimizza-zione del rischio/ del danno, contrariamen-te al modello punitivo applicato dalla

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tuali effetti di potenziamento delle presta-zioni- e il danno arrecato a sé stessi e allosport.I risultati dello studio condotto da Harcourtet al. (36) dimostrano che le strategie diminimizzazione del danno potrebbero esse-re considerate nella gestione delle sostanzeillecite, insieme alle sanzioni, e quindi com-pletare l’approccio della WADA.

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Consumo e dipendenza da fumo, alcol e droga in un cam-pione di 2078 adolescenti campani: lo stato dell’arteConsumption and addiction to smoking, alcohol and drug use in a sample of 2078adolescents from Campania: state of the art

Rossella Bellopede, Oreste Caporale, Giuseppina Muto, Renato Caputi, MarioGaudiosi, Nicola Grimaldi, Marco Amodio, Giovanni Panico, Anna Romano,Gabriella Fabbrocini, Fabrizio Pallotta, Maria Triassi

Rossella Bellopede, Oreste Caporale, Giuseppina Muto, Renato Caputi, Mario Gaudiosi,Nicola Grimaldi, Marco Amodio, Giovanni Panico, Anna RomanoDipartimento di Sanità Pubblica, Università degli Studi di Napoli “Federico II”

Gabriella FabbrociniSezione di Dermatologia clinica, allergologica e venereologica, Dipartimento di Patologia sistemati-ca medico-chirurgica, Università degli Studi di Napoli “Federico II”

Fabrizio PallottaComunità La Scheggia, Ente ausiliario Regione Campania

Maria TriassiDirettore del Dipartimento di Sanità Pubblica, Università degli Studi di Napoli “Federico II”

In collaborazione con il Dipartimento Dipendenze Patologiche ASL NA2 nord Direttore: dott.Giorgio Di Lauro

Parole chiave: alcol, fumo, droga, scuola, locali pubblici

RIASSUNTOObiettivo: obiettivo del presente lavoro è stato analizzare, attraverso la somministrazione di un questionarioarticolato in 47 domande, dati riguardanti l’abitudine al fumo, l’uso e l’abuso di fumo, alcol e droga tra2078 ragazzi di scuole e locali pubblici (pubs, discoteche, bar) di Napoli e provincia. Importante è statoinoltre valutare i veicoli di informazione che riguardano l’uso e l’abuso di queste sostanze.

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

179Rossella Bellopede, Oreste Caporale, Giuseppina Muto, et al.

Metodologia e strumenti: lo studio ha previsto la raccolta dei dati attraverso la somministrazione di un questio-nario in 8 strutture scolastiche e 12 locali pubblici di Napoli e Provincia. Il questionario è stato compilatoda 1641 ragazzi di diverse scuole e da 437 ragazzi in diversi locali. I dati raccolti sono stati poi elaborati conil software SPPS 17.0 per Windows.Risultati: i dati analizzati hanno messo in evidenza come ci sia una grande diffusione e conoscenza dellesostanze d’abuso tra i giovani di Napoli e provincia. Maggiore informazione, nonché la consapevolezza deidanni indotti dalle sostanze da abuso rivolta a tutti i cittadini, soprattutto agli adulti e ai medici di basepotrebbero indurre un cambiamento radicale nelle abitudini di consumo di queste sostanze tra gli adole-scenti.

Keywords: alcohol, smoking, drug, school, public places

S U M M A RYObjective: the objective of this work was to analyze, through the administration of a questionnaire dividedinto 47 questions, data on smoking habits, the use and abuse of tobacco, alcohol and drug use among2078 children in schools and public places of Naples and Province. It was also important to assess thevehicles of information regarding the use and abuse of these substances.Methods and materials: the study involved the collection of data through a questionnaire in 8 schools and 12public places of Naples and Province. The questionnaire was completed by 1641 students from differentschools and 437 children in different local places. The collected data were then processed with the softwareSPPS 17.0 for Windows.Results: the analyzed data showed that there is a widespread and knowledge of substance abuse amongyoung people of Naples and the province of Naples. More information, as well as the awareness of thedamage induced by drugs of abuse aimed at all citizens, especially for adults and primary care physicianscould lead to a radical change in the habits of consumption of these substances among adolescents.

IntroduzioneIl fumo di tabacco è uno dei principali fattori dirischio nello sviluppo di patologie neoplasti-che, cardiovascolari e respiratorie rappresen-tando la prima causa di morte evitabile nelmondo (1). Catrame, monossido di carbonio emolte altre sostanze tossiche quali cadmio earsenico sono inalate fumando sigarette e ladipendenza fisica alla nicotina contenuta neltabacco si instaura velocemente.Fumando i giovani vogliono dare l’impres-sione di essere adulti, esibendo così un com-portamento trasgressivo o emulando gli amiciche fanno uso di sigarette. I giovani sottova-lutano la dipendenza dal fumo proprio per-ché sottovalutano o non conoscono affatto idanni che il fumo provoca all’organismo (12-

16).Il consumo e l’abuso di alcol fra i giovani egli adolescenti è un fenomeno preoccupantee in forte crescita sia a livello internazionaleche nazionale (3,4).In Italia secondo i dati ISTAT 2010 (2) i com-portamenti a rischio nel consumo di alcol(consumo giornaliero non moderato) e il bingedrinking (sei o più bicchieri di bevande alco-liche in un’unica occasione) riguardano 8 mi-lioni e 624 mila persone, il 16,1% della po-polazione di 11 anni e più (5,6). Le stimedell’Organizzazione Mondiale della Sanità (1)rilevano che l’alcol è la prima causa di mortetra i giovani in Europa: un decesso su quat-tro, tra i ragazzi di età compresa tra i 15 e i29 anni è dovuto al consumo di alcol. I gio-

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Consumo e dipendenza da fumo, alcol e droga in un campione ...

Scuole Locali

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nessuna risposta

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Qualche volta alla settimana +

raramente

Raramente

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Qualche volta alla settimana +

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Qualche volta alla settimana

Raramente + mai

Tutti i giorni

Fig. 1 - Distribuzione percentuale dell’abitudine al fumo nella popolazione target

vani bevono alcol in maniera irregolare ed ingrosse quantità. Per molti di essi bere è “figo”,parafrasando il gergo giovanile, e spesso vo-gliono apparire più grandi credendo di poter-lo fare con una birra o un drink. Anche lapressione sociale del gruppo assume un ruo-lo: si beve per essere accettati più facilmentedai propri coetanei (17). Il consumo di alcolpuò dare inizialmente degli effetti piacevoliquali rilassamento e disinibizione seguiti daeffetti indesiderati come agitazione, irritabi-lità, depressione e abbattimento dell’umoreche possono essere contrastati con un nuovoconsumo di alcol. Il rischio, tuttavia, è dientrare in un circolo vizioso e di diventaredipendenti dall’alcol.Molti giovani provano la cannabis (7,8). Essaamplifica o attenua umori, modifica e dimi-nuisce la percezione, la capacità di concen-trazione e di reazione, così come l’attenzio-ne e la memoria a breve termine. Provaresostanze che inducono dipendenza è un fe-nomeno diffuso tra i giovani e il consumo dicannabis tra ragazzi molto giovani è un gra-ve problema e deve essere considerato comeun evidente segno di disagio tra gli adole-scenti (9,10).

Materiali e metodiLa prima fase del nostro studio ha previsto laraccolta dei dati attraverso la somministra-zione di un questionario (riportato in allega-to) in 8 strutture scolastiche e 12 locali pub-blici (pubs, discoteche, bar) di Napoli e Pro-vincia. Il questionario è stato compilato da1641 ragazzi di diverse scuole (di età com-presa tra 13 e 21 anni) e da 437 ragazzi indiversi locali pubblici (di età compresa tra14 e 30 anni). Il questionario si compone di47 domande a risposta multipla che riguar-dano l’uso di sostanze quali fumo, alcol e can-nabis. In base all’obiettivo del lavoro sonostate considerate solo alcune domande traquelle proposte e i dati così raccolti sono statipoi elaborati con il software SPPS 17.0 perWindows.L’analisi dei dati raccolti ha consentito di ri-levare che il 17,48% dei ragazzi nelle scuolefuma tutti i giorni, il 5,97% fuma qualchevolta alla settimana, il 12,8% fuma raramen-te e il 63,07% non fuma rispetto ai risultatiottenuti per i locali pubblici dove il 23,10%fuma tutti i giorni, il 10,8% fuma qualchevolta alla settimana, il 12,30% fuma rara-mente e il 52,8% non fuma (fig.1).

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

181Rossella Bellopede, Oreste Caporale, Giuseppina Muto, et al.

Fig. 2 - Distribuzione percentuale dell’abitudine a fumare tutti i giorni nelle diverse fasce di età

Abitudine a fumare tutti i giorni nelle scuoleAbitudine a fumare tutti i giorni nei locali

Abitudine a fumare dati istat 2010 Abitudine a fumare dati istat 2010

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età 14-17 età 18-19 età 20-24 età 25-34

La percentuale delle risposte non pervenutesono state dello 0,42% per i ragazzi dellescuole e dello 0,70% per i ragazzi dei localipubblici.L’analisi di questo dato stratificato per sessoha messo in evidenza che i soggetti fumatoridi sigarette tutti i giorni sono il 18,5% tra iragazzi di sesso maschile e il 15,5% tra leragazze di sesso femminile delle scuole, men-tre sono il 22,2% tra i maschi e il 24,6 % trale femmine intervistate nei locali pubblici.Confrontando le diverse fasce di età per que-sta abitudine al fumo si riscontra un dato del13,2% per la fascia d’età che va dai 14 ai 17

anni, del 29,1% per la fascia di età 18-19anni e del 28,6% per la fascia di età 20-24anni nelle scuole; è stato calcolato, invece, il11,5% per la fascia di età 14-17 anni, del27,9% per la fascia di età 18-19 anni, del22,7% per la fascia di età 20-24 anni e del24,5% per la fascia di età 25-34 relativa aifrequentatori dei locali. Questi dati sono poistati comparati con i dati ISTAT 2010, chemostrano una percentuale dell’8% per la fa-scia di età 14-17 anni, del 26,6% per la fasciadi età 18-19, del 26,9% per la fascia di età20-24 e del 32,3% per la fascia di età 25-34anni (fig. 2).

Interessante è stata la valutazione dei datirelativi al livello di informazione sul fumo nel-la popolazione target che ha mostrato untrend percentuale sovrapponibile sia nell’am-bito delle scuole che dei locali pubblici. Nel-le scuole, infatti, il 93,72% dei ragazzi di-

chiara di avere ricevuto informazioni riguar-danti il fumo, il 6,09% ha dichiarato di nonaverne ricevuto, mentre il 0,20% non ha for-nito informazioni in merito. Per i ragazzi chefrequentano i locali pubblici il 91,3% ha di-chiarato di aver ricevuto informazioni riguar-

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

Consumo e dipendenza da fumo, alcol e droga in un campione ...

Fig. 3 - Distribuzione percentuale delle informazioni ricevute sull’abitudine a fumare nelle scuole

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adulti amici mass media mass media+adulti

Veicoli informazioni fumo nelle scuole

do il fumo, l’8,5% dichiara di non aver rice-vuto questo tipo di informazioni e il 0,20%non ha fornito risposta. Molto importante èstata poi l’analisi dei dati relativi al veicolodi informazione per questa abitudine. Nel-l’ambito delle scuole il 29,31% dei ragazziha dichiarato di essere informato dagli adul-ti, il 16,51% dagli amici, il 15,90% dai massmedia e il 12,06% sia dai mass media che

dagli adulti. I questionari somministrati neilocali pubblici evidenziano che il 36% deifrequentatori dichiara di ricevere informazio-ni dagli adulti, il 20% dagli amici, il 19%dai mass media e il 7% sia dai mass mediache dagli adulti. Questi dati sono stati stra-tificati per tipologia di scuole e locali pub-blici in cui è stato somministrato il questio-nario (fig. 3 e 4).

Per quanto riguarda l’elaborazione dei datiottenuti dai questionari riguardanti la cono-scenza della cannabis tra i ragazzi delle scuolee dei locali pubblici, i risultati appaiono piut-tosto omogenei. Nelle scuole l’85% dei ma-schi e il 71,8% delle femmine ha dichiaratodi conoscere la cannabis; nei locali pubblicil’84,9% dei maschi e il 70,3% delle femmi-ne ha confermato questo dato. Anche nellaelaborazione del dato riguardante il veicolo diinformazione su questa sostanza il dato appare,di fatto, molto omogeneo. Il 31,50% dei ra-

gazzi nelle scuole ha dichiarato di essere sta-to informato dagli amici, il 20,84 % dai massmedia, il 7,25% dagli adulti; il 37,20% deiragazzi dei locali pubblici ha dichiarato diessere stato informato dagli amici, il 19,20%dai mass media, il 9,60% dagli adulti. Nel18,28% dei questionari somministrati nellescuole e nel 19% dei questionari sommini-strati nei locali pubblici non è stata avutarisposta alcuna. Anche in questo caso il datoè stato stratificato per tutti i locali pubblicie le scuole oggetto della valutazione (fig. 5).

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

183Rossella Bellopede, Oreste Caporale, Giuseppina Muto, et al.

Fig. 4 - Distribuzione percentuale delle informazioni ricevute sull’abitudine a fumare nei locali pubblici

Fig. 5 - Distribuzione percentuale delle informazioni ricevute sulla cannabis tra i ragazzi delle scuole e deilocali pubblici.

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Consumo e dipendenza da fumo, alcol e droga in un campione ...

segue... Fig. 5 - Distribuzione percentuale delle informazioni ricevute sulla cannabis tra i ragazzi delle scuole edei locali

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adulti amici mass media

Veicoli informazioni cannabis nei locali pubblici

Per quanto riguarda la conoscenza dell’associa-zione di alcool e stupefacenti i giovani maschirisultano più informati rispetto alle giovanidonne (8,6% tra i maschi delle scuole e 10,6%tra i maschi dei locali pubblici rispetto al4% delle donne nelle scuole e al 4,3% per ledonne nei locali pubblici). La percentuale piùalta in merito a questa metodologia di con-sumo si rileva nelle fasce di età 18-21 anni(13,5%) nelle scuole e 19-24 (11.20%) neilocali pubblici. Tuttavia non emerge dallerisposte ottenute dai questionari un profilodeterminante per quanto riguarda il veicolodi informazione per questo tipo di associa-zione, avendo ottenuto sia per i locali pub-blici che per le scuole una percentuale eleva-te di “nessuna risposta”.I veicoli di informazione per l’associazione vino ealcol rilevato dai dati totali dei questionari epoi suddiviso per tipologia di scuole e locali

pubblici risultano essere soprattutto gli adulti(39,7% nelle scuole e 40,73% nei locali pub-blici), seguiti dai mass media (12,9% nellescuole e 9,4% nei locali pubblici) e dagli amici(13,4% nelle scuole e 6,3% nei locali).Riguardo alle informazioni rilasciate dal medi-co di famiglia ai giovani per il rischio deri-vante dall’uso di alcol e droghe risulta che il63,70% dei giovani delle scuole e il 62% trai ragazzi dei locali pubblici non riceve infor-mazioni adeguate in merito a questa proble-matica (Fig. 6).Sono state poi analizzate le domande delquestionario relative alla conoscenza da par-te dei giovani della ecstasy (intesa come la piùclassica delle droghe diffuse tra i giovani) edelle “nuove droghe” quali spice e smart drugs:l’83,5% e l’88,1% dei ragazzi nelle scuole enei locali pubblici, infatti, dichiara di cono-scere l’ecstasy mentre il 74,8% e il 78,9%

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

185Rossella Bellopede, Oreste Caporale, Giuseppina Muto, et al.

Fig. 6 - Distribuzione percentuale delle informazioni ricevute dal medico su alcol e droga tra i ragazzi dellescuole e dei locali pubblici

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si no no risposta

(ragazzi dei locali pubblici) e il 77% e l’84,8%(ragazzi delle scuole) dichiara di non cono-scere rispettivamente le smart drugs e glispice.Interessante appare anche il dato relativo allaconoscenza del “binge drinking” la cui termi-nologia non sembra essere conosciuta abba-stanza, nonostante sia un fenomeno assai dif-fuso (3,4,5,6,7) tra i giovani: il 75,5% deiragazzi nelle scuole e il 67,5% dei ragazzi

nei locali non conosce questo termine (fig.7).La bevanda Red Bull si dimostra molto co-nosciuta sia tra i giovani delle scuole che traquelli dei locali pubblici (99,3% e 98,5%)come mostrato in fig.8; tuttavia l’associa-zione di Red Bull e alcolici si mostra più evi-dente tra i ragazzi delle scuole rispetto ai ra-gazzi dei locali pubblici che associano questedue bevande soprattutto nella fascia di etàpiù elevata (25-30 anni) (fig. 9).

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

Consumo e dipendenza da fumo, alcol e droga in un campione ...

Fig. 7 - Distibuzione percentuale della conoscenzadel termine “Binge Drinking”

Fig. 9 - Distribuzione percentuale del dato “cono-scenza red bull” e “associazione alcol e redbull”

Fig. 8 - Distribuzione percentuale del dato “cono-scenza red bull” tra i ragazzi dei locali pubblici e dellescuole

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Conclusioni e discussioneLa valutazione conclusiva dei dati appenadescritti ha rilevato che la percentuale deisoggetti fumatori del nostro campione è mag-giore rispetto al dato nazionale ISTAT 2010(2), in particolare per quanto riguarda la fa-scia di età 14-17 anni e per quella 18-19 anni.Interessante è stata la valutazione del dato

riguardante il veicolo di informazione per l’abi-tudine a fumare che è risultato in maggiorepercentuale la categoria “adulti” sia per i ra-gazzi del campione scuole che per quelli delcampione locali pubblici.La conoscenza dell’associazione di alcool e stu-pefacenti tra i giovani intervistati ha eviden-ziato una percentuale più alta nel generemaschile sia per le scuole che per i locali so-prattutto nelle fasce di età 18-21 anni nellescuole e 19-24 nei locali pubblici. Tuttavianon emerge dalle risposte ottenute dai que-stionari un profilo determinante per quantoriguarda il veicolo di informazione per questo tipodi associazione, avendo ottenuto sia per i lo-cali pubblici che per le scuole percentuali ele-vate di “nessuna risposta”.Dai dati ottenuti si evidenzia che l’associazio-ne vino e alcol è ben conosciuta tra i giovani ei veicoli di informazione risultano essere soprat-tutto gli adulti.L’analisi dei questionari somministrati nellescuole e di quelli somministrati nei localipubblici ha evidenziato una buona conoscenzadella sostanza “cannabis” tra i giovani, sia trai maschi che tra le femmine. In particolare è

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

187Rossella Bellopede, Oreste Caporale, Giuseppina Muto, et al.

stato importante confermare il dato veicolodi informazione che risulta essere dato in buo-na percentuale dagli “amici” , così come pre-visto dal gruppo di lavoro.Un dato interessante emerso dall’elaborazio-ne dei dati è stato quello relativo alle even-tuali informazioni rilasciate dal medico di fami-glia ai giovani riguardo il rischio derivantedall’uso di alcol e droghe. Purtroppo dai ri-sultati elaborati emerge ancora una scarsainformazione a riguardo, sia tra i giovani dellescuole che tra quelli dei locali pubblici: il63,70% dei giovani delle scuole e il 62% trai ragazzi dei locali pubblici ha dichiarato dinon ricevere informazioni a riguardo.E’ stato piuttosto interessante analizzare ildato relativo alla conoscenza del “bingedrinking”: il 75,5% dei ragazzi nelle scuole eil 67,5% dei ragazzi nei locali pubblici nonconosce questo termine.Come era possibile aspettarsi la bevanda RedBull si dimostra molto conosciuta sia tra igiovani delle scuole che tra quelli dei localipubblici (rispettivamente in percentuali di99,3% e 98,5%); tuttavia l’associazione di RedBull e alcolici si mostra più evidente tra i ra-gazzi delle scuole rispetto ai ragazzi dei lo-cali pubblici che associano queste due bevan-de soprattutto nella fascia di età più elevata(25-30 anni). In tale contesto appare eviden-te e critico il risvolto sanitario, sociale edeconomico che deriva dai problemi correlatiall’abuso di bevande alcoliche e delle nuovedroghe nei giovani, più volte affrontato an-che dalla legislazione italiana. Il Piano Sani-

tario Nazionale 2003-2005 (11), conferman-do tra gli strumenti fondamentali di preven-zione delle malattie cronico-degenerative (1)l’adozione di stili di vita sani, ha identificatosoprattutto la prevenzione dell’abuso di be-vande alcoliche quale specifica tematica dainserire nei programmi di prevenzione del-l’uso e abuso di sostanze che creano dipen-denza patologica. Tuttavia un cambiamentoradicale nelle abitudini di consumo di bevandealcoliche, nonché la consapevolezza dei dan-ni indotti da questo comportamento socialea rischio richiede oltre che l’intervento legi-slativo una strategia globale di sensibilizza-zione ed informazione rivolta a tutti i citta-dini ed in maniera particolare alle fasce dietà maggiormente a rischio.Anche la lotta al tabagismo rappresenta unadelle grandi priorità delle politiche di SanitàPubblica a livello mondiale. L’attuale nor-mativa italiana per la limitazione del fumonegli ambienti di vita e di lavoro presenta unbilancio positivo soprattutto per quanto ri-guarda la limitazione dei danni per i non fu-matori, conseguente ai divieti di fumo neilocali pubblici e negli uffici.Questa indagine, svolta in collaborazione conla Comunità “La Scheggia” operante in modoattivo sul territorio dell’ASL NA2 nord, haavuto e ha come obiettivo quello di operareun’efficace prevenzione attraverso la cono-scenza delle abitudini e degli stili di vita so-prattutto di coloro verso i quali gli sforzi con-giunti degli Enti in sinergia con le realtà ter-ritoriali devono essere incrementati.

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Il Distretto, la Casa della Salute e la Sanità d’iniziativaThe District, the House of Health and the proactive medicine

Enrico Desideri, Anna Canaccini

Enrico DesideriDirettore Generale ASL 8 Arezzo

Anna CanacciniDirettore UO Politiche del Territorio e Medicina di Comunità ASL 8 Arezzo

Parole chiave: continuità delle cure, sanità d’iniziativa, pazienti diabetici

RIASSUNTOObiettivi: l’articolo riporta l’esperienza dell’ASL di Arezzo finalizzata a costruire una nuova organizzazionecentrata su Distretto, Casa della salute e sanità d’iniziativa.Metodologia: è descritto il modello organizzativo del Distretto con i suoi strumenti di governo/gestione e lemodalità operative atte a garantire la continuità di cura ospedale-territorio. Sono riportati i primi risultatidello sviluppo della sanità d’iniziativa aziendale sui pazienti diabetici.Risultati: la nuova organizzazione e la conseguente operatività ha dato risultati positivi sull’adesione deipazienti ai percorsi di cura: la sanità di iniziativa dimostra la sua efficacia nella gestione delle malattiecroniche.

Key words: continuity of care, proactive medicine, diabetic patients

S U M M A RYObjectives: The paper reports the experience of ASL Arezzo whose aim is to create a new organization whichis focused on District, House of Health and proactive medicine.Methodology: The organizing model of the District with his tools of governance/ management is outlined.Operating procedures intended to ensure continuity of care are outlined as well. The first outcomes of thedevelopment of proactive medicine on patients with diabetes are reported.Results: the new organization and its implementation led to positive outcome on the admission of patientsto care pathways: the proactive medicine proves to be effective in the management of chronic diseases.

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

Il Distretto, la Casa della Salute e la Sanità d’iniziativa

La necessità di rifondare il territorio facen-do nascere un nuovo Distretto è nata dallaesigenza di promuovere la presa in caricoglobale del cittadino sul territorio, assicu-rando la continuità h. 24 soprattutto in ri-ferimento ai bisogni correlati alla cronici-tà, riprogettando l’intera filiera dei suoi ser-vizi secondo il criterio dell’integrazione del-le cure primarie con quelle intermedie e conl’assistenza ospedaliera a bassa complessità,coniugando il tutto anche all’obiettivo dicontenimento dei costi unitamente al mi-glioramento della qualità e sicurezza delleCure.Nella nostra azienda tale rifondazione è par-tita dalla creazione di un Distretto Zona“forte” previsto nel Regolamento Azienda-le, in grado di trasmettere ai cittadini fidu-cia e sicurezza rispetto ai servizi erogati,assicurare la continuità Ospedale Territorioe l’integrazione socio-sanitaria. Un Distrettoequipaggiato con un sistema di obiettivi eindicatori per valutare l’efficienza e la qua-lità dell’assistenza erogata, dotato di un pro-prio budget, con una particolare attenzionead un uso delle risorse appropriato e carat-terizzato da responsabilità ed autonomia.Un Distretto, infine, dove si rileva il fabbi-sogno e la domanda di salute e dove si svi-luppa la gestione operativa delle attivitàsanitarie e socio-sanitarie del territorio dicompetenza, attraverso la creazione di unarete che comprenda al suo interno il siste-ma delle Cure Intermedie (RRSSAA, Ho-spice, Ospedali di comunità, MO.di.CA), iservizi sociali, l’Ospedale, le strutture am-bulatoriali, i MMG con i medici della Con-tinuità Assistenziale, i PdF.Il Distretto deve trasmettere al cittadinoper i servizi erogati nel territorio la stessafiducia e sicurezza riconosciuta all’Ospeda-le, dotandosi di idonei strumenti di gover-no e di gestione.

Gli strumenti di governo / gestione del Di-stretto sono rappresentati da:- ufficio di Direzione / di Coordinamento

di Zona Distretto, all’interno dei qualisono presenti un rappresentante eletto deiMMG, uno dei PdF, uno per la Speciali-stica Ambulatoriale, un rappresentantedelle Associazioni del Volontariato, Il co-ordinatore per le attività infermieristicheed il coordinatore per le attività della ria-bilitazione, i Responsabili delle UUFF delterritorio (Attività Sanitarie di Comuni-tà, Salute Mentale Infanzia e adolescenza,Assistenza sociale, assistenza Dipendenze

- Coordinatore Sanitario ( che nella nostraAzienda è in tutte e 5 le Zone Distrettoun MMG)

- Coordinatore Sociale- Sistema Informativo Socio Sanitario In-

tegrato con i Comuni che insistono sulDistretto

- Budget.La Continuità di Cure Ospedale - Territorioe la integrazione socio-sanitaria è garantitaattraverso la esistenza della:- Agenzia Ospedale Territorio, team fun-

zionale multi professionale aziendale conproiezione in tutte le Zone/Distretto, chesi interfaccia con la struttura ospedalieradi degenza, il cui scopo è quello di:1. gestire il percorso delle dimissioni ospe-

daliere con particolare riguardo perquelle definite “difficili”;

2. programmare l’accesso all’offerta assi-stenziale territoriale con un canale diinformazione costante con i MMG;

3. garantire attraverso un adeguato che-ck-out la gestione ottimale dei pazien-ti al momento della dimissione;

4. favorire l’integrazione tra il presidioospedaliero e l’organizzazione socio sa-nitaria del territorio, in particolare conla rete dei Punti unici di accesso

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

191Enrico Desideri, Anna Canaccini

(P.U.A.) e con le funzioni dell’Unità diValutazione Multidisciplinare (U.V.M.)

- Il punto Unico di Accesso (PUA) caratte-rizzato dalla integrazione socio-sanitariae dove viene preso in carico il bisognoespresso da parte del cittadino;

- La Unità di Valutazione Multidisciplinare(UVM) caratterizzata anch’essa dalla in-tegrazione multi professionale, che valu-ta il bisogno espresso e redige un piano diassistenza personalizzato.

Ma la creazione di un Distretto forte passaanche attraverso la riorganizzazione delleCure Primarie, che si attua mettendo in attostrategie di sviluppo e di integrazione orga-nizzativa sia a livello “orizzontale “(modellia rete multiprofessionali) che “verticale” (si-stemi assistenziali integrati con l’ospedale).E il primo passo compiuto nella nostraAzienda è stato quello di prevedere un nuo-vo sviluppo organizzativo della MG, par-tendo dall’Accordo Integrativo Aziendaleper la MG firmato a novembre 2010, cheha rappresentato la premessa alla collabo-razione con la MG per una risposta sinergi-ca e completa alla domanda di salute sem-pre più diversificata, con la finalità di co-struire una alleanza che consente di produr-re salute. Le scelte strategiche contenute nel-l’Accordo sono rappresentate dal persegui-mento di specifici obiettivi di salute (pre-venzione oncologica, valutazione del rischiocardio vascolare, prevenzione fratture sog-getti a rischio, AFA, obesità), dal buon usodelle risorse (farmaco, diagnostica, traspor-ti sanitari, appropriatezza dei ricoveri, ri-duzione fughe) e da un nuovo sviluppo or-ganizzativo (creazione delle AFT, delleUCCP-Case della Salute).Il primo passo per il superamento dell’at-tuale modello di lavoro individuale e perl’evoluzione organizzativa dell’area delleCure Primarie verso un lavoro in team, si è

realizzato con la creazione delle Aggrega-zioni Funzionali Territoriali (AFT) di Medi-ci di Medicina Generale, aggregazione mo-noprofessionale (MMG e medici di CA),composta da circa 20 medici, che svolgeazioni di governance nel settore della far-maceutica, diagnostica, trasporti, ausili, spe-cialistica, eroga ove possibile la diagnosticadi 1 livello, gestisce la cronicità mediantela realizzazione del CCM.All’interno della AFT ogni medico parteci-pante, pur rimanendo fisicamente nel pro-prio studio, inizia ad operare quotidiana-mente considerandosi “in rete”, seppur fun-zionale, con altri medici di MG con i qualicondivide il supporto informatico. Ad apri-le 2012 sono state costituite nell’Az. USL 813 AFT e sono stati individuati i relativiCoordinatori, scelti con elezione dai MMG.A seguito della stipula dell’Accordo Inte-grativo Aziendale della Continuità Assisten-ziale deliberato a settembre 2012, sono sta-ti “agganciati“ ad ogni AFT i medici titola-ri di CA che svolgono la loro attività all’in-terno della AFT stessa.Laddove è presente la Casa della Salute, lacondivisione della rete informatica dei MMGcon la CA ha già reso possibile la continuitàassistenziale h. 24, 7 giorni su 7.Esiste poi un ulteriore livello, ancora piùcomplesso, di associazionismo rappresentatodalla Unità Complesse di Cure Primarie(UCCP) che nella nostra realtà corrispon-dono alle Case della Salute. Le UCCP sonoaggregazioni strutturali multiprofessionalicomprendenti almeno 20 MMG (Assisten-za Primaria + Continuità Assistenziale) ele altre figure professionali del territorio:infermieri, specialisti, assistenti sociali, fi-sioterapisti, personale amministrativo.Quasi in parallelo alla stipula dell’AccordoAziendale per la MG, nella nostra Aziendasi è andata sviluppando la rete delle Case

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Il Distretto, la Casa della Salute e la Sanità d’iniziativa

della Salute, iniziata con l’ apertura di quel-la di Castiglion Fiorentino avvenuta nel2010, alla quale hanno fatto seguito quelladi Castel Focognano, Subbiano, Monte S.Savino - Civitella e Poppi.La Casa della Salute rappresenta un nodo diuna rete integrata e omogenea di presidi edi servizi territoriali, organizzato per la presain carico della domanda di salute e di cura equindi per la garanzia dei livelli essenzialidi assistenza socio-sanitari.La Casa della Salute è la sede pubblica incui la comunità locale si organizza per lapromozione della salute e del benessere so-ciale e dove trovano collocazione in unostesso spazio fisico i servizi territoriali cheerogano prestazioni sanitarie e sociali. Essaospita al suo interno nella forma più com-plessa i Medici di Medicina Generale, i Pe-diatri di Famiglia, i medici della Continui-tà Assistenziale, i servizi amministrativi, in-fermieristici territoriali, i servizi distrettualie sociali, le prestazioni specialistiche, ilConsultorio, le Cure Intermedie.Si tratta pertanto di un modello organizza-tivo multi professionale che ha il ruolo dipotenziare la rete dei servizi territoriali at-traverso la condivisione della stessa sede ela partecipazione a percorsi e processi assi-stenziali condivisi, tra i quali troviamo diestremo interesse la realizzazione della Sa-nità di iniziativa con il Chronic Care Model(CCM).Il progetto Sanità di iniziativa è stata in-trodotta in Regione Toscana con il PSR2008-2010, dove viene introdotto con que-ste parole: “… Il sistema non aspetta sullasoglia dei servizi il cittadino, ma orienta l’atti-vità verso chi meno sa e meno può e che per questosi trova a rischio continuo di caduta assisten-ziale e persino di non espressione del bisogno …Assume il bisogno di salute prima che la malat-tia cronica insorga, si manifesti o si aggravi per

prevenire l’evoluzione della malattia stessa…”Il CCM è di un modello gestionale ed ope-rativo basato sulla interazione tra pazienteinformato/esperto e un team multiprofes-sionale, integrato da aspetti di sanità pub-blica (attenzione alla prevenzione primariae ai determinanti di salute) e una presa incarico globale su tutto il percorso di salutedei cittadini.Nell’Az. USL 8 il progetto è partito comein tutta la Regione Toscana nel 2010, con 8moduli in fase pilota, che sono poi diventa-ti 9 moduli nel 2011, con il 30% della po-polazione totale coinvolta nel progetto, perpoi passare nel 2012 a 12 moduli con coin-volgimento del 40% della popolazione.Obiettivo per l’anno 2013 è coprire il 60%facendo coincidere il modulo con ciascunaAFT. Occorre ricordare che ciascun modu-lo comprende in media 10 MMG con unapopolazione assistita di 10.000 persone. Ilprogetto ha coinvolto pazienti affetti da 4patologie croniche: scompenso cardiaco,diabete, ictus e BPCO (figura 1).A circa 2 anni dall’avvio del progetto è sta-to possibile effettuare una prima verifica suicambiamenti che il CCM sta determinan-do, da una parte ad un migliore controllodella malattia e dall’altro ad un più equoaccesso alle cure.Mettendo a confronto l’adesione alle racco-mandazioni per la determinazione almenoannuale della emoglobina glicata, del profi-lo lipidico, della microalbuminuria, dellacreatinina e della visita oculistica (tutti pa-rametri contenuti nel percorso diagnosticoper il diabete condiviso in Azienda tra MMGe medici specialisti) da parte di un gruppodi pazienti arruolati nel progetto CCM e ungruppo di non arruolati è stato evidenziatoun miglioramento circa l’adesione ai per-corsi di cura più appropriati, come riporta-to nelle figure 2, 3, 4.

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Figura 1 - Sviluppo della progettualità aziendale

Figura 2 - Primi risultati: l’adesione ai percorsi di cura

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Il Distretto, la Casa della Salute e la Sanità d’iniziativa

Figura 3 - Primi risultati: l’adesione ai percorsi di cura

Figura 4 - Primi risultati: l’adesione ai percorsi di cura

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

195Enrico Desideri, Anna Canaccini

E’ stato inoltre dimostrato che l’attuazionedel CCM ha annullato la disuguaglianza diaccesso alle cure tra soggetti in condizionesocio economica differente, che invece siosserva nella popolazione non ancora segui-ta dal CCM, come riportato nel grafico 4.Ma la rifondazione del Territorio non si fer-ma a quanto esposto fino ad ora. Siamo ap-pena agli inizi, i lavori proseguono, anzi si

rendono ancora più indispensabili se pen-siamo al contenimento dei costi e alla ga-ranzia di sostenibilità del sistema che la si-tuazione attuale di necessità ci chiede e con-temporaneamente alla necessità da parte delTerritorio di intercettare, prendere in cari-co e dare risposta ai bisogni assistenziali ditutti.

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute,vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

Il Contratto della merenda: l’adesione per 5 anni migliorale abitudini alimentari dei bambini delle scuole primarieThe Contract for a healthy snack: participating for 5 years improves primaryschool children’s eating habits.

Cecilia Savonitto, Laura Pilotto

Cecilia SavonittoASS n. 4 “Medio Friuli - Servizio Igiene degli alimenti e Nutrizione (fino al 31.12.2011)

Laura PilottoASS n. 4 “Medio Friuli” - Promozione della salute (fino al 30.6.2012)

Patole chiave: contratto-merenda-frutta/verdura - bambini scuole primarie

RIASSUNTOObiettivo: lo studio si è posto l’obiettivo di valutare i cambiamenti degli ultimi 5 anni di un progetto dieducazione alimentare proposto alle scuole primarie che richiedeva ai genitori di sottoscrivere un Contrattoche li impegnava a dare ai bambini solo frutta e verdura per la merenda di metà mattina.Metodi: somministrazione di un questionario sugli stili di vita ai genitori dei bambini in prima elementarenel 2007-2008; riproposizione dello stesso questionario 5 anni più tardi quando i bambini erano in 5^elementare.Risultati: l’80% dei genitori ha risposto al primo questionario e l’82% al secondo. L’analisi ha dimostratoche i consumi di frutta, verdura e bevande zuccherate/gassate da parte dei bambini dai 6 agli 11 anni, simodificano coerentemente con quanto riportato in altre indagini. Tuttavia i bambini che hanno parteci-pato al Contratto per 5 anni hanno acquisito comportamenti più virtuosi dei non partecipanti: il 78.9%vs il 65.3% (p=<0.01) mangia frutta una o più volte al giorno, il 78.1% vs il 67.3% (p=0.04) verdurauna o più volte al giorno, l’81.7% vs 70.3% beve bevande zuccherate meno di una volta al giorno(p=<0.02). In conclusione il Contratto per la merenda si è dimostrata una strategia efficace nel promuo-vere comportamenti alimentari salutari nei bambini delle scuole primarie.

Key words: contract-snack-fruit/vegetables-elementary school-aged children

S U M M A RYObjective: the purpose of this study was to evaluate the last 5 years of an ongoing nutrition education project

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

197Cecilia Savonitto, Laura Pilotto

IntroduzioneDa molti anni l’OMS e diverse istituzioniinternazionali sono impegnate per attuarestrategie, programmi e campagne per la pre-venzione dell’obesità, un problema di saluteeziologicamente complesso che si è diffusoin modo allarmante fra tutte le popolazioni,senza differenze di età, genere e ceto sociale.Recenti indagini italiane stimano un tasso disovrappeso e di obesità rispettivamente del23% e 12% tra i bambini di 8-9 anni (OKKIOalla salute 2010)(1), del 20% e 3.6 % tra gliadolescenti di 11 anni (Health Behavior inSchool Children – HBSC 2006) (2), del 41%e 11% per gli uomini e del 23% e 10% per ledonne (PASSI 2011) (3). Anche fra i ragazzidel Friuli Venezia Giulia (FVG) la prevalenzadel sovrappeso/obesità è preoccupante sep-pur inferiore alla media nazionale: nei bam-bini corrisponde al 17% per il sovrappeso eal 5% per l’obesità (Okkio FVG 2010) (4),negli adolescenti rispettivamente al 14% e2% (HBSC FVG 2010) (5). L’eccessivo con-sumo di cibi ipercalorici unitamente alla se-dentarietà sono, fra le concause, quelle piùspesso oggetto di interventi di prevenzione.Fra le strategie di contrasto più frequente-mente adottate risalta la promozione delconsumo di frutta e verdura (F&V), perchèl’epidemiologia ha dimostrato che un ade-

which asked the parents of primary school children to sign a contract agreeing to send only fruit orvegetables for the midmorning school snack.Methods: pre-intervention survey on lifestyles conducted among the parents of all the children beginning1° grade in 2007-08; follow-up survey 5 yrs later when the children were in 5th grade.Results: the participation to the survey was 80% and 82% in the first and 5th year respectively. The analysisof the consumption of fruit, vegetables and sweetened beverages revealed trends during the 5 yearsconsistent with those reported in the literature. However, the children who participated to the Contract for5 years did significantly better than the non-participants: fruit once a day or more 78.9% vs 65.3%(p=<0.01), vegetables once a day or more 78.1% vs 67.3% (p=<0.04),sweetened drinks less thanonce a day 81.7% vs 70.3% (p=<0.02). In conclusion the Contract for a healthy snack proved to be aneffective intervention in promoting healthy nutritional behaviors in school children.

guato consumo di questi alimenti ha un evi-dente effetto protettivo nei confronti dell’obe-sità e di malattie croniche come il diabetetipo 2, l’ipertensione e alcuni tipi di cancro(6-8). Di fatto varie indagini condotte anchea livello europeo dimostrano che la maggiorparte della popolazione non consuma le 5porzioni di F&V al giorno raccomandate dalleLinee guida per una sana alimentazione, pro-mosse ufficialmente in molti Paesi. La lette-ratura internazionale riporta numerosi pro-getti mirati a favorire questi consumi fin dallaprima infanzia. L’esperienza ha infatti inse-gnato che le abitudini alimentari acquisiteda piccoli possono essere mantenute da adul-ti, mentre il passaggio dall’infanzia all’ado-lescenza è spesso associato a comportamentialimentari non salutari (6). La scuola, luogodi apprendimento per eccellenza, è conside-rata, dopo la famiglia, il setting privilegiatoin quanto facilita l’adozione di comportamen-ti tramite l’influenza dei pari e degli adulti(modeling) e l’orientamento al rispetto diregole (policies) non facilmente applicabilinel setting familiare. Recenti revisioni siste-matiche (6,9-12) sull’efficacia di interventiper promuovere una sana alimentazione nel-l’ambito scolastico hanno documentato chei progetti piu’ efficaci sono quelli multicom-ponenti, che includono un intervento didat-

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Il Contratto della merenda: l’adesione per 5 anni migliora le abitudini alimentari ...

tico da parte degli insegnanti, una maggiordisponibilità di F&V a scuola e il coinvolgi-mento della famiglia. Diversamente gli in-terventi basati solo su attività didattiche pra-tiche tipo laboratori del gusto, corsi di cuci-na, orti scolastici, etc si sono dimostrati diefficacia limitata. Infine anche i progetti chepuntano principalmente sul cambiamento“ambientale” del setting scolastico tramitela sola distribuzione di F&V a scuola, gratiso a pagamento (13-16) si sono dimostrati ef-ficaci, ma l’effetto diminuisce e/o scomparequando cessa la distribuzione, specialmentefra i meno abbienti (13,17-19). L’efficacia deiprogetti dipende anche dalla durata degli in-terventi che varia da un minimo di pochesettimane a due-tre anni e dal tempo inter-corso tra la fine del progetto e la valutazionedello stesso (6).Anche in base a questi risultati l’Unione Eu-ropea ha lanciato nel 2009 un programma didistribuzione di F&V nelle scuole primarie acui l’Italia ha aderito nell’anno scolastico2009-10. Le valutazioni sull’efficacia di que-sto intervento non sono state ancora pubbli-cate (9).Nell’anno scolastico 2003-2004 la collabo-razione tra le 5 scuole del 4° Circolo didatti-co di Udine, la Clinica Pediatrica dell’Uni-versità di Udine, il Dipartimento di Preven-zione dell’Azienda Sanitaria (ASS4) e le fa-miglie ha consentito l’avvio del progetto “ilContratto della Merenda” (CdM). Prevedeval’impegno dei genitori a dare ai propri figlifrutta/verdura come merenda per tre giornila settimana, a non dar loro cibi alternativi oaggiuntivi rispetto a quelli concordati e a fa-vorire l’accettazione, negli altri giorni, dellemerende proposte dalla scuola (yogurt, panespeciale) tramite il Comune - Progetto CittàSane e il contributo di diversi sostenitori (Ca-mera di commercio, Associazioni e impresealimentari).

L’obiettivo era ridurre l’eccessivo consumodi merende ipercaloriche e bevande zucche-rate, già rilevato con osservazioni specifiche,offrendo attivamente, come alternativa,merende più salutari, in particolare F&V,nell’intento di favorire il controllo del so-vrappeso.L’innovatività del progetto consisteva nel ri-chiedere ai genitori di firmare un contrattoscritto e nel vincolo posto alla partecipazio-ne: in ogni classe doveva aderire almeno il60% di bambini, in ogni scuola il 50% (20).La partecipazione non era obbligatoria ma,per raggiungere il numero di aderenti richie-sto, si contava sull’opera di persuasione e sul-l’influenza dei pari fra i ragazzi, i genitori egli insegnanti (modeling). Alcuni genitori einsegnanti si sono resi disponibili a svolgereformalmente, insieme agli operatori sanita-ri, un ruolo di programmazione e monito-raggio delle diverse azioni del progetto, co-stituendosi in un Gruppo misto che si riuni-va almeno 3 volte all’anno. I risultati positi-vi conseguiti nei primi tre anni hanno favo-rito l’adesione al CdM, dal 2006-2007, daparte degli altri tre Circoli didattici della città(16 plessi) e la sua riprogrammazione neglianni seguenti.A cinque anni dall’estensione e consolidamen-to del Progetto nella maggioranza delle scuoleprimarie pubbliche di Udine, questo studiosi è posto l’obiettivo di misurare i cambia-menti negli stili di vita della coorte di bam-bini iscritti nel 2007-2008 e di valutare, inparticolare, la sua associazione con i consu-mi di frutta, verdura e merende ipercalori-che (bevande zuccherate/gassate).

MetodologiaAll’inizio dell’anno scolastico 2007-08 è sta-ta condotta un’indagine fra i genitori dei bam-bini frequentanti la classe prima di tutte lescuole primarie pubbliche di Udine tramite

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un questionario anonimo sulle loro abitudinidi vita (pre-test). La prima parte del questio-nario richiedeva alcuni dati del bambino edel nucleo familiare (sesso, scuola frequenta-ta, numero componenti famiglia, titolo distudio dei genitori). La seconda parte com-prendeva 15 domande sulle abitudini alimen-tari e sull’attività fisica (AF) e in particolaresui consumi di F&V e bevande zuccherate/gassate. Le risposte possibili per F&V erano:3 o più volte al giorno, 2 volte al giorno, unavolta al giorno, 3 o più volte alla settimana,meno di 3 volte alla settimana, mai; per lebevande erano più di una volta al giorno, unavolta al giorno, 3 o più volte alla settimana,meno di 3 volte alla settimana, mai.Nella primavera del 2012, ai genitori deibambini di quinta, approssimativamentequelli frequentanti la prima nel 2007, è statoinviato lo stesso questionario integrato conaltre due parti: la prima era composta di 4domande tipo scala Likert mirate a conosce-re le opinioni sull’educazione alimentare ascuola, la seconda chiedeva ai genitori cheavevano aderito al CdM, in quali anni scola-stici lo avevano fatto e i vantaggi e le diffi-coltà nell’aderire e mantenere l’adesione (do-mande a risposte multiple).I risultati del questionario iniziale (a.s. 2007-08) sono stati confrontati con quelli del 2°questionario per valutare la significatività deicambiamenti avvenuti in quell’arco di tem-po nella coorte suddivisa in: bambini cheavevano aderito per almeno uno o 5 anni alCdM e bambini che non avevano mai aderi-to (controlli). Il confronto dei consumi diF&V e bevande zuccherate/gassate è stato fat-to raggruppando le categorie riportate nelquestionario e definendo, anche sulla basedelle tendenze riportate in diverse indagini,come “buone abitudini” (BA) il consumo di“frutta una o più volte al giorno”, “verdura unao più volte al giorno” e “bevande zuccherate/gas-

sate meno di una volta al giorno”.La diffusione delle BA fra tutti i bambini inprima e in quinta e’ stata confrontata conquella dei bambini mai aderenti e di quelliche avevano aderito al CdM1) almeno per un anno (compresa la quintaelementare)2) per 5 anni3) in quinta elementare (2011-2012).Ulteriori analisi sono state fatte sulle BA inbase al genere e ai titoli di studio della ma-dre. Sono state valutate le opinioni dei geni-tori sull’importanza della scuola nell’educa-zione alimentare, come alleata della fami-glia per questa educazione e come aiuto nelvincere i rifiuti alimentari dei figli. Per ulti-mo è stata presa in considerazione la pratici-tà della merenda fornita distinguendola traaderenti e mai aderenti.I dati dei questionari sono stati inseriti e ana-lizzati tramite il database Epi Info™, ver-sion 3.5 (CDC, Atlanta, USA). L’analisi sta-tistica ha previsto l’utilizzo del Chi quadroper stabilire eventuali differenze statistica-mente significative.

RisultatiLe scuole primarie di Udine partecipanti alProgetto nel 2007-2008 erano 12 su 21 con1472 bambini aderenti, e nel 2011-12, 16/21(1877 aderenti) con una percentuale mediadi adesione degli iscritti del 73%.L’indagine condotta sui comportamenti ditutti i bambini iscritti alla classe prima nel2007, tramite il questionario inviato ai geni-tori, è stata considerata come test iniziale.Sono stati raccolti 479 questionari, pariall’80% di quelli distribuiti (595 su 601 iscrit-ti). Alla fine dell’anno scolastico 2011-12 lostesso questionario, con alcune aggiunte, èstato inviato ai genitori dei bambini di quin-ta delle stesse scuole. Sono stati distribuiti638 questionari (su 643 iscritti) e ne sono

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Il Contratto della merenda: l’adesione per 5 anni migliora le abitudini alimentari ...

stati raccolti 521, pari all’82% (fig. 1). Delle21 scuole, 4 risultavano non aver mai aderi-to, mentre altre due avevano aderito dal 2011-12.Il confronto dei dati riferibili alla stessa co-orte a distanza di 5 anni (tab. 1) non riveladifferenze significative per quanto riguardala composizione del nucleo familiare, l’abi-tudine a fare i pasti assieme e la soddisfazio-ne dei genitori per la qualità, quantità e va-rietà dell’alimentazione dei figli. Il numerodei bambini che, crescendo, fa colazione ognigiorno è diminuito del 5.7%, mentre non cisono variazioni importanti nel consumo del-lo spuntino pomeridiano (-1.7% in quinta).Il numero dei bambini che dedica settima-nalmente più tempo all’AF è aumentato (da63.9% a 79.8% per l’attività organizzata eper più di 4 ore alla settimana da 3.7% a29%), come pure il numero dei bambini cheva a scuola a piedi o in bicicletta regolar-

mente o almeno qualche volta (53% vs44.1%), senza differenze significative tra gliaderenti e non al progetto. Aumenta ancheil numero di ore passate davanti alla televi-sione e/o PC, da 1 a 3 ore al giorno per il60.4% in prima al 71.1% in quinta.La percentuale dei genitori che non svolgeregolarmente AF invece aumenta (da 33.6% a 39.1%).Confrontando le frequenze in prima e in quin-ta elementare, si è osservato un aumento dibambini che bevono bevande zuccherate/gas-sate meno di una volta al giorno (da 53.7% a71.9% p<0.001) e mangiano verdura una opiù di una volta al giorno (da 62.4% a 69.2%),mentre non ci sono sostanziali cambiamentinel consumo di frutta una o più volte al gior-no (da 72% a 71.3%) (fig. 2).Alla domanda “Avete aderito al progetto “IlContratto della Merenda”?” 318 (61%) han-no risposto affermativamente: fra questi 268

Fig. 1 - Adesione al Progetto “Il Contratto della merenda” nel 2007-08 e nel 2011-12 e nell’intervallo fraquesti anni scolastici

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Tab. 1 - I risultati delle indagini 2007-08 e 2011-12

2007-08 2011-12 Sesso dei figli iscritti alle scuole primarie (M) 46.6% 48.9% Num figli

1 2 3 4 o più

136 260 60 17

122 263 90 26

Titolo studio della madre Laurea Superiori Medie

29.7% 53.4% 16.9%

29.2% 51.5% 20%

Titolo studio del padre Laurea Superiori Medie

27.2% 52.3% 20.5%

24.1% 54.2% 22.1%

Fa colazione ogni giorno 95.4% 89.7% Fa spuntino pomeridiano 94.5% 92.8% Famiglia assieme per

Colazione Pranzo Cena

42.4% 19.8% 90.6%

37.8% 23.6% 92.3%

Genitori soddisfatti dell’alimentazione del figlio per Qualità Quantità Varietà

96.3% 83.9% 83.4%

94% 85.3% 79%

Fa attività fisica organizzata 63.2% 79.8% Quante ore/settimana

<2 2-4 >4

32% 64.3% 3.7%

15.1% 55.9% 29%

Attività fisica libera Autunno/inverno >1 ora/giorno Primavera/estate >1 ora/giorno

12.8% 69.2%

25.2% 65.4%

Va a scuola a piedi o in bicicletta Si No Qualche volta

29.8% 55.9% 14.3%

32.2% 47% 20.8%

Quante ore al giorno guarda Tv, videogiochi, PC <1 ora 1-2 ore 2-3 ore > 3 ore

37.9% 50.4% 10% 1.7%

24.9% 53.9% 17.2% 4.1%

Regolare attività fisica dei genitori Entrambi Solo uno No

27.2% 39.1% 33.6%

28% 32.9% 39.1%

Adesione al Contratto (almeno per 1 anno) --- 61% Adesione al contratto per titolo di studio della madre

Laurea Superiori Medie

56% 61% 65%

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Il Contratto della merenda: l’adesione per 5 anni migliora le abitudini alimentari ...

nell’anno scolastico 2011-12, 114 per 5 anni;202 non avevano mai aderito (fig 1). Con-frontando le BA di tutti gli aderenti con quel-le dei mai aderenti si è rilevata una differen-za statisticamente significativa solo nei con-sumi di frutta, 74.8% vs 65.3%, p=0.02 ri-spettivamente (bevande 70.9% vs 70.3%,verdura 70.4% vs 67.4%).Considerando la/il durata/mantenimento del-l’adesione si sono poi analizzati i dati relativialle BA dei bambini aderenti al CdM per 5anni rispetto a quelli della coorte originale edei mai aderenti. I consumi di verdura (78.1%vs 62.4%, p=0.002) e di bevande zucchera-te/gassate (81.7% vs 53.7%, p=0.000) deibambini che hanno aderito per 5 anni sonosignificativamente migliorati rispetto a quellidei bambini di prima elementare, ad ecce-zione dei consumi di frutta (71.6% vs78.9%). Ulteriori differenze statisticamentesignificative si sono osservate fra le BA deglistessi bambini (CdM per 5 anni) con quellidei mai aderenti: frutta 78.9% vs 65.3%,p=0.01, verdura 78.1% vs 67.3%, p=0.05

Fig. 2 - Evoluzione in 5 anni, della diffusione dei consumi di frutta, verdura e bevande zuccherate/gassate nellacoorte di bambini iscritti in prima elementare nel 2007-2008

bevande 81.7% vs 70.3%, p=0.03 (fig. 3).Valutando i comportamenti dei bambini chepartecipavano al CdM in quinta (potrebberoaver aderito anche solo nell’anno 2011-12) edei mai aderenti, si è rilevato che gli aderen-ti erano più orientati alle BA, anche se nonin modo così evidente: più frutta 74.3% vs65.3% (p=0.04), e verdura 71.5% vs 67.3%,meno bevande 71.7% vs 70.3%, rispettiva-mente.Le BA sono pressochè ugualmente diffuse trale bambine e i bambini aderenti al CdM: frut-ta 73.5% vs 76.6%, verdura 70.7% vs 70.6%,bevande 74% vs 68.8%, rispettivamente. Ilconfronto fra gli aderenti e non, distinti pergenere, non rileva differenze significative nellebambine (bevande 74% vs 65.7%, frutta73.5% vs 72.3%, verdura 70.7% vs 71.4%,rispettivamente), mentre dimostra che imaschi che hanno partecipato al CdM con-sumano piu frutta: 76.6% vs 58.8%(p=0.004) (bevande 68.8% vs 77.8%, ver-dura 70.6% vs 64.2%).Considerando i comportamenti secondo i ti-

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toli di studio delle madri si rileva che quellecon la licenza media hanno aderito in per-centuale maggiore delle altre: il 65% controil 61% di quelle con diploma di scuola supe-riore, e il 56% con laurea. Il consumo di be-vande zuccherate/gassate da parte dei bam-bini, dalla prima alla quinta, non è influen-zato in generale dal titolo di studio dellemadri, ma è ridotto significativamente fra ifigli delle laureate (p=0,004) e delle diplo-mate (p=0,0001) che hanno aderito almenoun anno al CdM. Dallo stesso confronto ri-sulta che i bambini delle laureate consuma-no significativamente anche più frutta(p=0.03) e verdura (p=0.002). (Tab. 2)Nel 2012 si è anche chiesto ai genitori diesprimere la loro opinione sul rapporto trascuola e famiglia riguardo l’educazione ali-mentare dei figli. Le domande erano 4 con 5opzioni di risposta (moltissimo, molto, ab-bastanza, poco e per niente). Dalla Tab. 3 sievidenzia che i genitori che hanno aderito alCdM almeno per un anno tendono ad avereuna percezione più positiva della collabora-

Fig. 3 - Confronto fra le frequenze dei consumi di frutta, verdura e bevande zuccherate/gassate dei bambiniiscritti in prima elementare nel 2007-2008, di quelli che non hanno mai aderito al Contratto della Merenda(mai adesione) e che hanno aderito per 5 anni (CdM 1-5)

zione con la scuola per l’educazione alimen-tare dei bambini. Infine rispetto all’adesioneal progetto e al suo mantenimento, le rispo-ste più frequenti relative ai vantaggi coinci-devano con il riconoscimento di obiettivicomuni fra scuola e famiglia (63%) e la vo-lontà del figlio di partecipare ad un’iniziati-va che coinvolge tutti i bambini (49%), men-tre le difficoltà maggiori sono risultate laresistenza del figlio a mangiare alimenti nonsempre graditi (41% in tutti gli aderenti e36% negli aderenti per 5 anni) e la “monoto-nia della merenda” (17%).

Discussione e ConclusioniSecondo le indagini statistiche nazionali piùrecenti (ISTAT 2009) sugli stili di vita, dai 6 ai10 anni il consumo quotidiano di verdura/ortaggi tende a crescere (dal 53 al 59% unavolta al giorno), mentre quello di frutta adiminuire (dal 70% al 68%), quest’ultimo inparticolare nei maschi. Okkio alla salute 2010(4) riporta che in FVG circa 7 bambini su 10mangiano F&V una o più volte al dì, mentre

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Il Contratto della merenda: l’adesione per 5 anni migliora le abitudini alimentari ...

4 su 10 bevono bevande zuccherate nella stes-sa quantità. Però a 11 anni (HBSC-FVG2010) (5), solo 4 ragazzi su 10 mangiano F&Vuna volta al giorno, mentre il 16% beve lastessa quantità di bevande.Questo studio si è posto l’obiettivo di valu-tare i cambiamenti nei consumi di F&V ebevande zuccherate/gassate da parte dei bam-bini coinvolti in un progetto pluriannuale,molticomponente e basato sulla Social Lear-ning Theory. Attraverso l’analisi delle rispo-ste ai questionari compilati nel 2007 e nel2012 dai genitori della stessa coorte di iscrittialla scuola primaria, si è rilevato che i bam-bini, crescendo, hanno mantenuto media-mente i consumi di frutta, aumentato quellidi verdura e diminuito quello delle bevandezuccherate. I consumi di verdura dei nostri

Tab. 2 - Consumi di frutta, verdura e bevande zuccherate/gassate secondo il titolo di studio delle madri.Indagine in prima e quinta elementare secondo l’adesione al CdM

Titolo Bibite <1 volta al giorno Frutta 1 o + al giorno Verdura 1 o + al giorno

2007 2012 2007 2012 2007 2012

Mai aderenti

aderenti Mai aderenti

aderenti Mai aderenti

aderenti

Laurea 61.2% 66.2% 80.8% 76.9% 62.9% 89.7% 64% 71% 84.6%

Superiori 54.4% 74% 74.7% 75% 68% 75.5% 64.4% 64% 68.4%

Medie 37.2% 68.6% 53.9% 58.2% 60% 56.3% 55.7% 68.6% 58.7%

Tab. 3 - Opinioni dei genitori

Molto/issimo Abbastanza Poco/per niente CdM SI CdM

NO CdM SI CdM

NO CdM SI CdM

NO Educare i bambini ad una alimentazione salutare a scuola è importante

93.3% 84.5% 6.3% 13% 0.3% 2.5%

La scuola può essere un’alleata nell’educare mio/a figlio/a ad un’alimentazione salutare

82.2% 76.5% 11.5% 20% 0.3% 3.5%

Educare i bambini ad una alimentazione sana può aiutare mio/a figlio/a a superare rifiuti/resistenze

79.9% 61.9% 20.8% 30.5% 3.2% 7.6%

La fornitura della merenda da parte della scuola è pratica

75.4% 43% 22% 38.3% 2.5% 18.7%

bambini sono comunque già a 6 anni, mag-giori di quelli rilevati dall’ISTAT 2009.I bambini che hanno aderito al CdM almenoper un anno hanno acquisito abitudini ali-mentari migliori di coloro che non hanno maiaderito. Ancora di più quelli che hanno ade-rito per 5 anni: infatti il numero di bambiniche consuma F&V una o più volte al giornoè aumentato significativamente rispetto aquello dei mai aderenti, così come è dimi-nuito quello dei bambini che beve bevandeipercaloriche (8 su 10 meno di una volta algiorno). Le BA si sono diffuse significativa-mente fra questi ragazzi al netto del trendnaturale atteso e rilevato nei non aderenti,attribuibile in buona parte alla variazione digusti con l’età. Inoltre quasi la metà dei bam-bini che hanno aderito al CdM per 5 anni

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era praticamente inesistente quando è iniziatoil progetto ed è tuttora abbastanza scarsa egeneralmente riferita a contratti individualitra paziente e operatore sanitario (smettere difumare, compliance con la terapia) (25). Inquesto progetto la scelta di un contratto scrit-to è stata fatta deliberatamente come metodoper coinvolgere i genitori sul piano psicologi-co (“Devo rispettare un contratto”) e pratico(impegno a preparare la frutta e/o verdura perla merenda). I genitori, anche attraverso i pro-pri rappresentanti nel gruppo di progetto, era-no influenzati positivamente, come i loro fi-gli, dalla peer pressure, perchè senza l’adesio-ne della maggioranza la classe del loro figliosarebbe stata esclusa. La merenda di metàmattina è stata individuata proprio come pos-sibile punto di incontro e di condivisione trala famiglia e la scuola, auspicando ricadutepositive anche sui consumi nel resto della gior-nata. Diversi studi scientifici infatti conferma-no che proibire merende pre-confezionate eipercaloriche a scuola non comporta un au-mentato consumo di queste a casa (14,26).Alcune scuole, al momento, hanno raggiun-to il decimo anno di adesione, per cui il CdMè praticamente diventato una prassi, anchese viene riproposto ai genitori ogni anno perrinforzare la loro partecipazione attiva. Il fattoche la famiglia sia tenuta a fornire la fruttapuò accrescere la disponibilità di F&V anchea casa, rinforzare positivamente il suo ruolodi modello per i comportamenti alimentarie contribuire a evitare il problema riscontra-to da tanti altri progetti di una diminuzionedell’effetto dovuta alla cessata distribuzionedella F&V da parte della scuola o da altrienti (13,17-18,27).Il CdM dunque comporta una modifica “am-bientale” ovvero l’adozione, in famiglia e ascuola, di una regola nella composizione del-la merenda. Assieme al modeling degli inse-gnanti, dei genitori e dei coetanei, la regola

consuma frutta (45%) e verdura (44%) nelleporzioni raccomandate, contro solo il 23% e35% rispettivamente dei mai aderenti. Fragli aderenti al CdM non ci sono rilevanti dif-ferenze di genere nelle BA, mentre, fra i nonaderenti, le bambine hanno evidentementecomportamenti più corretti rispetto al con-sumo di F&V.Fra i non aderenti (39% della popolazioneindagata) la percentuale che, in quinta ele-mentare, consuma frutta una o più volte algiorno (65%) si è ridotta rispetto a quella deibambini di 1° (indagine 2007=72% ) ed èinferiore al dato ISTAT 6-10 anni.Esiste un’evidente relazione inversa tra ade-sione al CdM e titolo di studio della madre:le madri con la sola media inferiore hannoaderito al CdM in percentuale più alta dellealtre, specialmente delle laureate. Percontroc’è una relazione lineare tra la frequenza del-le BA e il titolo di studio: i figli delle laure-ate sembrano avere più frequentemente BAforse perchè, a casa, vi è maggior disponibi-lità e attitudine. Si conferma quanto riporta-to in letteratura (21,24). Tali differenze siaccentuano nel gruppo dei bambini che haaderito al CdM.La partecipazione al CdM sembra avere influ-ito anche sull’opinione dei genitori sulla colla-borazione tra scuola e famiglia per l’educazio-ne alimentare dei figli. Infatti gli aderenti sonomolto più positivi dei mai aderenti, special-mente sull’effetto che la scuola può avere nelvincere le resistenze dei figli verso i cibi “nuo-vi”, segnalata come una delle maggiori diffi-coltà. Queste resistenze comunque, oltre chenon aver una solida motivazione nella quanti-tà o monotonia della merenda (dati non ripor-tati), non hanno portato alla rinuncia al CdM.Il successo del CdM è dovuto a diversi fattori,in particolare alla strategia del contratto scritto.La letteratura scientifica sull’utilizzo di un“contratto” per modificare il comportamento

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traduce in pratica la Social Learning Theorydi Bandura sulla quale il progetto pilota (20)si era basato. Inoltre, poichè uno degli obiet-tivi era quello di far aderire quanti più bam-bini (e scuole) possibili, il disegno del pro-getto ha escluso la possibilità di randomiz-zazione dei soggetti, puntando invece su unasperimentazione naturale (nuova regola del-la merenda). Quindi la valutazione pre e postè stata fatta nella stessa coorte e coloro chenon hanno mai aderito sono stati identificaticome gruppo di controllo (28-30).La scarsa differenza nei consumi di frutta tragli aderenti al progetto e i mai aderenti po-trebbe essere dovuta al fatto che negli ultimi3 anni scolastici alcune scuole hanno aderitodel programma nazionale “Frutta nelle scuo-le” grazie al quale la frutta è stata distribuitagratuitamente a tutti i bambini. Di conse-guenza la maggiore disponibilità di frutta ascuola può avere influito sul consumo gior-

naliero dei mai aderenti.In conclusione, pur con le dovute limitazio-ni metodologiche insite in un “natural expe-riment” (limitato controllo sulle influenzeesterne, precarietà dei finanziamenti, dina-miche scolastiche, concomitanti progetti), sipuò asserire che la partecipazione al CdM nonsolo ha migliorato le abitudini alimentari deibambini, ma ha dimostrato l’interesse/volontàdei genitori a condividere un intervento edu-cativo anche prolungato e la sostenibilità delprogetto stesso con un’accettabile ripartizio-ne dei costi e delle risorse. L’aumento pro-gressivo delle adesioni, le ricadute positivesulle condotte alimentari dei bambini e lasostenibilità a lungo termine possono rassi-curare i decisori sull’appropriatezza dell’im-pegno assunto e supportare il suo prosieguoper ridurre ulteriormente le diseguaglianzeemerse nell’accesso dei bambini ad alimentisalutari.

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute,vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

Che cosa accade in Casa della carità? Un’osservazione pro-tratta nel tempo degli ospiti e dei loro percorsi in una strut-tura di accoglienza milaneseWhat happens in the house of charity? Protracted observation of the guests andtheir careers in a reception centre in Milan

Barbara D’Avanzo, Emanuela Geromini, Silvia Landra, Fiorenzo De Molli

Barbara D’AvanzoIstituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri

Emanuela Geromini, Silvia Landra, Fiorenzo De MolliFondazione Casa della carità “Angelo Abriani”, Milano

Parole chiave: senza fissa dimora, valutazione, indicatori di esito, lavoro sociale, miglioramento di qualità.

RIASSUNTOObiettivi: descrivere la popolazione accolta nella Casa della carità (Cdc), struttura di accoglienza per persone ingrave condizione di marginalità, e studiarne le caratteristiche associate alla durata di permanenza e allacollocazione all’uscita.Metodologia: la popolazione entrata tra il 2004 e il 2009 è stata descritta e seguita fino alla fine del 2011. Lepersone entrate nel 2010 e nel 2011 sono state confrontate con la totalità delle persone che avevano chiestoaccoglienza in quegli anni.Risultati: dal novembre 2004 al dicembre 2009 vi sono stati 725 episodi di accoglienza rivolti a 677 persone.In un terzo dei casi riguardavano donne, nella maggioranza dei casi persone sotto i 50 anni, in un quarto deicasi italiani. Il 50% degli episodi di accoglienza avevano durate inferiori o uguali a tre mesi, il 22% entro 10giorni. La durata mediana era 4 mesi e nel 2008, 6 mesi nel 2010 e 5 nel 2011. Le caratteristiche associatealle permanenze superiori ai sei mesi erano sesso maschile, nazionalità italiana, essere in Italia da più di unmese, avere punti di riferimento esterni alla Cdc, avere problemi di salute fisica o mentale. La collocazione piùfrequente all’uscita era una collocazione stabile (240 casi), più frequente nelle persone con lavoro, punti diriferimento, in Italia da più tempo. Gli accolti erano circa il 10% dei richiedenti, con una probabilitàaumentata nelle donne, nelle persone sotto i 30 anni, negli italiani e nelle persone che vivevano per strada, ediminuita nei rumeni e nei marocchini.

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

209Barbara D’Avanzo, Emanuela Geromini, Silvia Landra, Fiorenzo De Molli

IntroduzioneAll’origine di questo lavoro vi è la necessitàdi trattare il lavoro sociale come un’attivitàvalutabile. Questo significa assumere che taleattività produca risultati quantificabili e ve-rificabili, confrontabili con i risultati conse-guiti da soggetti e organismi diversi, nonchémodificabili e migliorabili. Vi è quindi l’esi-genza di confrontare e di migliorare, e al tem-po stesso di affermare il lavoro sociale comeun lavoro efficace.A Milano si concentra la percentuale mag-giore di persone senza fissa dimora presentiin Italia: il 28% di tutte le persone senza fis-sa dimora presenti in Italia, che l’indaginecondotta dall’ISTAT con il Ministero del La-voro e delle Politiche Sociali, la Caritas e laFederazione Italiana Organismi per le Perso-

La popolazione accolta era variegata e portatrice di bisogni diversi. La Cdc ha accolto persone in condizioni digrave bisogno, ma le permanenze più lunghe riguardavano in molti casi persone con caratteristiche compa-tibili con l’autonomia. L’aumento delle durate di permanenza deve venire monitorato e interpretato.

Keywords: homeless population, evaluation, outcome indicators, social work, quality improvement

S U M M A RYObjectives: to describe the population admitted to the Casa della carità (Cdc), a facility for homeless people, andto study the characteristics associated to length of stay and accommodation found at leaving.Methods: subjects admitted between 2004 and 2009 were described, and followed until 2011. The sample ofthose admitted in 2010 and 2011 (85) was compared to all those who asked to be admitted (944).Results: since November 2004 to December 2009, 725 admissions occurred in a total of 677 subjects. In onethird of cases those admitted were women, and in the large majority of admissions subjects was under 50years, and in a fourth Italians. Fifty percent of the admissions lasted three months or less, 22% lasted 10 daysor less. Median stay was 4 months in 2008, 6 in 2010 and 5 in 2011. Characteristics associated to length ofstay more than 6 months were male sex, being Italian, being in Italy since more than 1 month, having somecontacts outside the Cdc, having physical or mental health conditions. The most common accommodationafter leaving Cdc was a stable one (for 240 discharges), and it was more frequent in those having anoccupation, with some contacts outside Cdc, and those who had arrived to Italy one month or less before.Among those who asked to be hosted, only 10% were admitted. The probability was higher in women, inthose aged <30, in Italians and in those who were living in the street; those coming from Romania andMoroc had a decreased probability to be admitted. The population served was highly heterogeneous andexpressed heterogeneous needs. The Cdc assisted many people in extreme needs, but long durations of staywere more frequent among those who had characteristics favorable to an autonomous accommodation. Thetrend of increasing durations of stay deserves close monitoring.

ne senza Fissa Dimora (per brevità: indagineISTAT, 2012) quantificava tra 43.425 e 51.872individui, utilizza servizi con sede a Milano,e il 16% servizi con sede a Roma. E’ crucialeche il grande sforzo compiuto dagli organi-smi pubblici e privati no-profit venga nonsolo riconosciuto ma anche valutato, affin-ché la risposta offerta sia la più orientata adobiettivi e la più efficace possibile, e affinchéla richiesta pressante non induca all’offertadi risposte orientata dall’emergenza a disca-pito di strategie più ampie e condivise.Applichiamo questo approccio all’attivitàsvolta dalla Casa della carità (Cdc), strutturadi accoglienza nata a Milano nel 2004 conl’intento di dare una risposta ragionata e in-tegrata ai bisogni delle persone in condizionidi grave marginalità, e, in primis, senza fissa

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Che cosa accade in Casa della carità? ...

dimora. Con una struttura che può ospitarefino a 120 persone e in cui lavorano 23 ope-ratori e circa 20 volontari che prestano sta-bilmente la loro opera, la Cdc realizza pro-getti personalizzati di accompagnamento ecura mettendo in campo competenze educa-tive, sociali, cliniche, psichiatriche, giuridi-che, relazionali e volte alla costruzione dinuove reti sociali. Le azioni sinteticamentedefinite di accompagnamento e cura preve-dono:1. risolvere situazioni di emergenza abitativa

per persone e famiglie a rischio di perdereun tetto o che già vivono sulla strada;

2. aiutare a trovare una casa o un alloggio sta-bile;

3. aiutare a trovare lavoro;4. offrire tutela legale giudiziale e stragiudi-

ziale sia per gli stranieri che per gli italiani(permesso di soggiorno, residenza, posizio-ne sanitaria, cause pendenti, risarcimenti,dilazione di multe e debiti) mantenendoaperto il dialogo con le istituzioni;

5. attenuare la solitudine, offrire un contestorelazionale;

6. favorire competenze e abilità relazionali esociali;

7. offrire cure mediche e psichiatriche a per-sone multiproblematiche;

8. mantenere viva una riflessione e un’attivitàculturale strutturata e continua sull’inter-vento volto alla marginalità, nella prospet-tiva di prefigurare uno specifico modello diintervento. Fin dalla sua fondazione, infat-ti, la Cdc si pone l’obiettivo di coniugarel’azione con il pensiero critico per ipotizza-re modelli di intervento sulla marginalitàurbana.

Tutto questo viene perseguito con modalitàche vogliono essere in linea con il carattererelazionale e tecnico del lavoro e con la mul-tiproblematicità del campo di intervento, eche prevedono di:

- riprogettare in itinere gli interventi ren-dendo il più possibile espliciti obiettivi emetodi dell’agire;

- dotare ogni équipe che lavora con gli ospi-ti di una supervisione tecnica periodica;

- riunire mensilmente gli operatori per ap-profondire temi di tipo clinico, giuridico,sociale;

- favorire il confronto con altre realtà cheoperano con modalità simili;

- coinvolgere gli ospiti nella riflessione sulleemergenze sociali;

- promuovere iniziative che presentino evalorizzino le culture e stili relazionali por-tati dagli ospiti;

- promuovere incontri di sensibilizzazioneper i cittadini sui temi della marginalitàurbana.

Nella più ampia prospettiva di trattare il la-voro sociale svolto dalla Cdc come un lavo-ro verificabile, valutabile e migliorabile, laCdc ha messo in campo la raccolta di dati diesito psicosociale per descrivere le condizio-ni in cui le persone si trovano al loro arrivo egli obiettivi che vengono posti per verificarlialla fine dell’esperienza di accoglienza. Aquesto scopo, oltre all’analisi qui condottadelle informazioni raccolte di routine, è sta-to messo a punto uno strumento relativo alfunzionamento della persona in varie aree siapersonali che sociali, attualmente utilizzatocon tutti gli ospiti della Cdc e i risultati del-la cui applicazione verranno presentati pros-simamente. Inoltre, accanto all’attività va-lutativa di natura quantitativa, sono stati con-dotti dei focus group con gli ospiti che mira-vano a stimolare dei feed-back, il più possibi-le autentici e non condizionati, sulla qualitàdi quanto veniva offerto loro nella Cdc (9).Obiettivo specifico di questo lavoro è quellodi presentare le caratteristiche della popola-zione ospitata e di applicare indicatori di esi-to per valutare l’utilità e la qualità del lavoro

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

211Barbara D’Avanzo, Emanuela Geromini, Silvia Landra, Fiorenzo De Molli

svolto. Ciò è stato possibile grazie alla rac-colta sistematica delle caratteristiche salien-ti delle persone accolte fin dai primi giornidi attività della Cdc. Queste sono state uti-lizzate per la descrizione della popolazione eper la creazione di due variabili utilizzabilicome indicatori di esito: la durata della per-manenza e il tipo della collocazione dellapersona all’uscita dalla Cdc. I dati analizzatisono quelli relativi alle persone accolte sin-golarmente, e non ai nuclei familiari.

MetodiPer ogni persona accolta nella Cdc è statoinserito un set di informazioni significativein un database. Il database è organizzato perepisodio di accoglienza, e l’analisi qui con-dotta ha come unità il singolo episodio diaccoglienza. Più episodi possono quindi ri-guardare uno stesso soggetto. Indaghiamo725 episodi di accoglienza riconducibili a 677soggetti del periodo novembre 2004-dicem-bre 2010. Tutte le caratteristiche derivavanodai documenti di identità, da altri documen-ti di cui la persona era in possesso, e da uncolloquio della durata di 15-20 minuti. Levariabili indagate sono state raccolte da ununico operatore per i primi quattro anni esuccessivamente da una seconda operatrice,con un grado di consistenza verosimilmentebuono o molto buono.I dati analizzati sono relativi alle personeentrate nella Cdc tra il novembre 2004 e ildicembre 2009. I dati relativi alle uscite deisoggetti dalla Cdc sono state registrate finoal 2010 per quanto riguarda la collocazioni efino a tutto il 2011 per quanto riguarda ledate. Le caratteristiche degli ospiti sono sta-te analizzate in associazione alle durate dipermanenza e alla collocazione all’uscita. Perle variabili indagate, sono state prodotte lenormali statistiche descrittive, con gli op-portuni test di significatività statistica delle

differenze tra le frequenze. Le durate di per-manenza sono state indagate con l’analisi disopravvivenza per i dati dal 2004 al 2011.La differenza tra le caratteristiche delle per-sone ospitate e quelle richiedenti è stata in-dagata utilizzando il campione relativo al2010 e al primo trimestre del 2011, perchésolo in questi anni sono state sistematica-mente registrate le informazioni essenzialiper condurre il confronto. Le persone richie-denti sono state viste da operatori prevalen-temente volontari, regolarmente supervisio-nati da operatori strutturati, in un colloquiodi circa 15 minuti.

RisultatiDal novembre 2004 al marzo 2010 vi sonostati 725 episodi di accoglienza rivolti a 677persone accolte in Cdc. In un terzo dei casi sitrattava di donne, la larga maggioranza erasotto i 50 anni, e gli italiani rappresentavanoun quarto della popolazione (Tabella 1). Nel45% dei casi le persone non erano né coniu-gate né conviventi e nel 48% dei casi nonavevano un’istruzione superiore alle medieinferiori. Le persone riferivano di non averené amici né parenti in circa l’11% degli epi-sodi di accoglienza, e in 113 casi, pari al 16%,le persone avevano un lavoro.Si trattava di una popolazione che disponevadi una buona capacità di muoversi in ambitoburocratico e nei servizi amministrativi e cheaveva punti di riferimento nella città al difuori della Cdc.Nel periodo novembre 2004-dicembre 2009,un totale di 41 persone (25 donne e 16 uomi-ni) hanno avuto due episodi di accoglienza, 2uomini tre episodi e uno quattro episodi.Durate di permanenza. Il 50% degli episo-di di accoglienza avviati tra il 2004 e il di-cembre 2009 avevano durate inferiori o ugualia tre mesi, e le durate entro 10 giorni riguarda-vano il 22% degli episodi.

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Che cosa accade in Casa della carità? ...

Nella curva di sopravvivenza si osserva che lecurve relative alle uscite avvenute negli anni2009, 2010 e 2011 sono quelle sotto cui si tro-vano le aree più ampie, corrispondenti a per-centuali più elevate di popolazione che protra-eva più a lungo la permanenza in Cdc. La dura-

n. % % M % F Sesso maschi 464 64 femmine 261 36 Età <30 272 38 39 34 30-49 321 44 42 48 >50 113 16 16 15 Stato civile, coniugato/convivente 221 30 29 34 mai coniugato 326 45 49 37 Scolarità elementari/medie inferiori 347 48 50 44 superiori, laurea 237 33 29 37 Nazionalità italiana 173 24 70 62 non italiana 552 76 30 38 Lavoro, sì 113 16 17 13 Salute seguito dal servizio di salute mentale

123 17 15 19

problemi fisici 74 10 11 8 dipendenza da sostanze 42 6 7 4 nessun problema 457 63 63 63 Capacità in ambito burocratico, presenti

520 72 70 74

Punti di riferimento esterni a Cdc, presenti

562 78 77 78

Tempo dall’arrivo in Italia (solo stranieri)

<1 mese 66 12 13 10 >1 mese <12 mesi

139 25 29 18

>1-5 anni 202 37 31 45 >5 anni 101 18 18 18

* I valori relativi ai non noti non vengono riportati

Tabella 1 - Distribuzione degli episodi di accoglienza per caratteristiche delle persone accolte nel periodo2004-2010 per le principali caratteristiche indagate (725 episodi)*

ta mediana degli episodi di accoglienza passavada 3 mesi e 28 giorni nel 2008 a 6 mesi e 21giorni nel 2009 per mantenersi di 6 mesi nel2010 e 5 mesi e 7 giorni nel 2011.Nell’analisi che assume la durata di permanen-za come variabile categorica, episodi di durata

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213Barbara D’Avanzo, Emanuela Geromini, Silvia Landra, Fiorenzo De Molli

inferiore o uguali a tre mesi erano più frequentinelle donne, nelle persone più giovani, nellepersone arrivate in Italia da meno di un mese(l’88% di quelli che erano in Italia da un meselasciavano la Cdc dopo tre mesi o meno), neisoggetti che non avevano altri punti di riferi-mento e contatti nella città e nelle persone sen-za problemi di salute fisica o mentale.Gli episodi di permanenza superiore ai sei mesierano più frequenti tra gli uomini, gli italiani,le persone che erano in Italia da più di un mese,quelle che avevano punti di riferimento esternialla Cdc, e tra quelle che avevano problemi disalute fisica o mentale (Tabella 2). Le durate dipermanenza tra i tre e i sei mesi non si associa-

vano in generale alle caratteristiche dei sogget-ti, ma fanno eccezione il tempo trascorso dal-l’arrivo in Italia e la condizione lavorativa.Collocazione all’uscita. La collocazione più fre-quente all’uscita dalla Cdc era una collocazionestabile (tutte le collocazioni definite come: ‘stada solo’, ‘condivisione’, ‘famiglia’, ‘tornato alpaese’, ‘comunità per rifugiati politici’) verifi-catasi alla conclusione di 240 episodi di acco-glienza, ed era seguita dalla collocazione in dor-mitorio, che era la soluzione individuata in 174casi, e poi dalle collocazioni “non note”. “Altrotipo” di collocazione (‘rimpatriato’, ‘campo no-madi’, ‘in strada’, ‘deceduto’, ‘carcere o CPT’,‘allontanato da Cdc’, ‘ospedale’, ‘emigrato in

Durata della permanenza in Cdc Caratteristiche <3 mesi (361) 3-6 mesi (119) >6 mesi (210) n. % n. % n. % p maschi 203 46 74 17 158 36 femmine 158 61 45 17 52 20

<0.0001

<30 anni 144 55 36 14 78 30 30-49 anni 156 50 61 20 93 3 >50 anni 46 43 22 21 38 36

<0.0001

italiani 69 42 29 18 66 40 non italiani 292 55 90 17 144 27

=0.01

in Italia da <1 mese** 58 88 3 5 3 4 in Italia >1mese<1 anno 59 44 28 21 44 33 in Italia da >1 anno<5 anni 96 49 39 20 59 30 in Italia da >5 anni 41 44 18 19 34 36

<0.001

ha punti di riferimento nella città

250 47 103 19 182 34

non ha punti di riferimento nella città

76 63 15 13 25 21

<0.0001

lavora 46 41 33 29 33 29 non lavora 287 49 86 15 175 30

<0.0001

nessun problema fisico o di salute mentale

249 56 79 18 115 26

seguito/a dal CPS,dipendenza, problemi fisici

88 40 40 18 93 42 <0.0001

Tabella 2 - Durate di permanenza degli episodi di accoglienza del periodo 2004-2010 per le principali caratte-ristiche indagate dei soggetti (696episodi di accoglienza conclusi)

* I valori relativi ai non noti non vengono riportati.** Percentuali calcolate sui soli soggetti stranieri.

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Che cosa accade in Casa della carità? ...

altro paese’) riguardava 90 casi. Nelle perma-nenze più brevi la collocazione “non nota”, ve-rosimilmente frutto di un’assenza di progettoin questi casi, risultava largamente la più fre-quente (Tabella 3).

Tabella 3 - Destinazione delle personeaccolte e poi uscite tra il 2004 e il 2010 (696episodi di accoglienzaconclusi)

Durata di permanenza Destinazione <3 mesi 3-6 mesi >6 mesi non noto totale collocazione stabile 103 (43%) 51(21%) 84 (35%) 2 (1%) 240 dormitorio 95 (55%) 24(14%) 54 (31%) 1 (1%) 174 badante 24 (46%) 14(27%) 14 (27%) 0 52 altro, deceduto 46 (51%) 13(14%) 31 (34%) 0 90 non nota 93 (66%) 17(12%) 27 (19%) 3 (2%) 140 totale 361 119 210 6 696

Non vi erano differenze nell’accesso ad un tipodi collocazione stabile tra uomini e donne, senon per la maggiore facilità delle donne di tro-vare un posto come badanti. La collocazionestabile all’uscita da Cdc era più frequente nei

casi di persone con una scolarità superiore, unlavoro, che avevano punti di riferimento, cheerano in Italia da più tempo al momento del-l’arrivo nella Cdc (Tabella 4). La collocazione indormitorio era più probabile tra i soggetti sot-to i 30 anni, gli italiani, gli stranieri arrivati inItalia da meno di un mese, le persone che nonavevano punti di riferimento esterni alla Cdc, etra quelle che non avevano un lavoro. La collo-cazione alla fine dell’episodio di accoglienza nonera nota più negli stranieri che negli italiani.Confronto tra le persone richiedenti ospita-lità e quelle ospitate. Nel 2010 e nei primitre mesi del 2011 si sono rivolte alla Cdc perchiedere ospitalità 944 persone che non sonostate accolte e 85 che sono state accolte. E’stato possibile confrontare i due gruppi ri-spetto ad alcune caratteristiche:1. sesso, con le donne più rappresentate tra

le persone accolte: la probabilità di venireaccolti era nelle donne superiore di 3.5 vol-te rispetto agli uomini;

2. età, con un aumento di probabilità di ve-nire accolte di 1.4 volte nelle persone sot-to i 30 anni rispetto a quelle più vecchie;

3. paese di provenienza, con una minore pre-senza tra gli accolti di persone originariedel Marocco e della Romania rispetto allaloro presenza tra le persone richiedenti (conuna probabilità di venire accolti di 0.3 volteper le prime e di 0.5 per le seconde rispet-to alle altre nazionalità); la percentuale diitaliani accolti è più alta di quella che siosserva tra i richiedenti non accolti e cor-risponde a un aumento di probabilità di1.5 volte di essere accolti rispetto ai nonitaliani;

4. condizione abitativa al momento della ri-chiesta di accoglienza: la probabilità divenire accolti era 1.6 volte più elevata nellepersone che vivevano per strada al mo-mento della richiesta.

DiscussioneTra i risultati più significativi che abbiamoosservato vanno messi in evidenza:1. la popolazione che la Cdc ha potuto acco-

gliere è il 10% di quella che vi si era rivoltachiedendo ospitalità. Esiste un forte biso-gno di accoglienza nella città di Milano, a

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Tabella 4 - Destinazione delle personealla fine degli episodi di accoglienza accolte del periodo 2004-2010perle principali caratteristiche indagate dei soggetti (696episodi di accoglienza conclusi)*

Collocazione all’uscita da Cdc

Caratteristiche stabile (240)

dormitorio o altro (274)

non nota (140)

n. % n. % p maschi 154 33 180 39 88 20 femmine 86 33 84 32 52 20 ns

<30 anni 93 34 108 40 49 19 30-49 anni 111 35 111 35 61 20 >50 anni 35 31 43 38 17 16

<0.0001

italiani 55 32 79 46 22 13 non italiani 185 34 185 34 11

8 22 0.05

in Italia da <1 mese** 15 23 39 59 12 18 in Italia >1mese<1 anno 38 29 60 45 35 26 in Italia da >1 anno<5 anni 86 44 77 39 32 16 in Italia da >5 anni 35 38 41 44 17 18

<0.001

ha punti di riferimento nella città 207 39 231 43 99 18 non ha punti di riferimento nella città 24 20 75 63 21 18

<0.0001

lavora 60 54 36 32 16 14 <0.001 non lavora 176 32 272 49 10

5 19

nessun problema fisico o di salute mentale

166 36 199 44 83 19

seguito/a dal CPS o con problemi fisici 72 32 109 49 41 18 0.01

* I valori relativi ai non noti non vengono riportati.** Percentuali calcolate sui soli soggetti stranieri.

cui altre agenzie danno risposta, ma cheverosimilmente rimane in gran parte ine-vaso. Molte di queste persone si trovano inuna situazione di estremo bisogno, e que-sto determina un aumento di probabilitàdi venire accolte. La Cdc rivolge particola-re attenzione alla soluzione di situazioni didisagio estremo.

2. Esiste un filtro nell’accoglienza che spie-gherebbe una probabilità di venire accoltepiù elevata delle donne e delle persone sot-to i 30 anni, e dimezzata per le personeprovenienti dalla Romania o dal Maroccorispetto alle altre nazionalità (benché sia irumeni che i marocchini fossero ampiamen-te rappresentati). Non sappiamo se la sele-

zione della popolazione accolta avvenga sul-la base di criteri volti a incidere sulla com-posizione della popolazione accolta in Cdc,con lo scopo, anche non esplicito, di man-tenere all’interno di Cdc un equilibrio, adesempio, tra i due sessi e le diverse etnie.La probabilità più elevata delle donne divenire accolte potrebbe dipendere dalla loromaggiore propensione all’autonomia e quin-di a permanenze più brevi, o ai minori pro-blemi di comportamento che le donne pre-sentano.

3. La popolazione accolta era variegata, pro-babilmente suddivisa in sottopopolazionidiverse portatrici di bisogni specifici. Talevarietà è rispecchiata nelle diverse durate

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Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

Che cosa accade in Casa della carità? ...

di permanenza e dalle collocazioni all’usci-ta. Molte persone sono “passate” per brevio brevissimi periodi, molte sono rimasteper un periodo compatibile con la defini-zione di un percorso e il raggiungimento diobiettivi, alcune si sono fermate molto alungo. Un piccolo numero è uscito per rien-trare più di una volta, indicando pertantodi non avere trovato una soluzione abitati-va; per persone arrivate in Italia da poco,Cdc ha rappresentato il passaggio da un dor-mitorio come un altro, vista la frequenza,per queste persone, a lasciare Cdc per undormitorio; per persone che erano in Italiada più tempo, progetti più strutturati e lun-ghi possono essere serviti a creare condi-zioni di maggiore stabilità. Le lunghe du-rate di permanenza si associavano a due esiti:da una parte all’uscita in una collocazionestabile, suggerendo che progetti a lungo ter-mine possono produrre esiti importanti,quali la collocazione stabile e autonoma.Non siamo tuttavia in grado di capire se,in questi casi, l’utilizzo prolungato della Cdcabbia rappresentato una fase utile ad avvia-re un percorso di autonomia, oppure se si-tuazioni che si protraevano nonostante lepersone disponessero di abilità abbiano tro-vato alla fine un’alternativa non ulterior-mente rifiutabile. Dall’altra parte, le lun-ghe permanenze si associavano ad un fun-zionamento adeguato delle persone, e sug-geriscono il rischio di un adattamento reci-proco tra la Cdc e persone dotate di unacerta autonomia.

4. Vi era un’alta prevalenza di persone extra-comunitarie o dei paesi dell’Est Europa, chefa del servizio offerto dalla Cdc un servizioprimariamente dedicato a questa popola-zione. Questo dato va messo in relazionesia alle politiche dell’immigrazione in Ita-lia che alle caratteristiche delle popolazioniche vengono in Italia, spesso senza qualifi-

che che consentano una collocazione velo-ce nel mondo del lavoro. Questi aspetti –varietà della popolazione e alta prevalenzadi stranieri - sono, in linea generale, in ac-cordo con quanto riportato dall’indagineISTAT, in particolare rispetto alla preva-lenza di stranieri, alla distribuzione per ses-so, per età, e di persone che avevano unreddito da lavoro.

5. Gli episodi di accoglienza di breve e di bre-vissima durata rappresentavano una partesignificativa di tutta l’attività della Cdc. Diessi sarebbe importante mettere a fuocol’utilità, e se anche con persone con bisognicircoscritti e relativamente limitati – ospi-talità per un breve periodo, soluzione di unproblema burocratico – la Cdc metta incampo specificità delle modalità e dello stiledi intervento e risposta ai bisogni. Comedimostrano le occorrenze più frequenti didati mancanti, lavorare su questa parte del-l’attività di Cdc potrebbe essere più diffici-le, e richiedere una messa a fuoco dei que-siti e degli strumenti del tutto specifica.

6. Le durate di permanenza sono aumentatenel tempo. Vi sono diverse ipotesi formu-labili per l’interpretazione di questo effet-to. Va presa in considerazione la difficoltà,che gli operatori riferiscono come in cre-scita, di trovare collocazioni esterne e con-dizioni necessarie all’autonomia, quali il la-voro e il supporto al reddito; ma va consi-derato anche un effetto legato al carattereistituzionale della struttura di accoglienzacome tale. E’ possibile che l’offerta di risor-se e interventi concepiti come volti all’au-tonomia sorreggano e promuovano la per-manenza nella Cdc, soprattutto in personedotate di un certo grado di autonomia, nelcaso delle quali il reciproco adattamento disoggetto e struttura potrebbe risultare par-ticolarmente agevole.

Abbiamo cercato di illuminare quanto accade

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in Cdc, le persone che vi vengono ospitate e ilpercorso che vi svolgono da un’angolatura di-versa rispetto a quella interna al lavoro che sisvolge nella quotidianità. Lo abbiamo fattoidentificando dei parametri in base ai qualiaffermare se il passaggio da Cdc ha prodottoper le persone accolte i risultati attesi ed au-spicati. I parametri sono rappresentati dal tipodi collocazione, con l’assunzione che una col-locazione stabile sia meglio di una collocazio-ne in dormitorio, e dalla durata di permanen-za, con l’assunzione che la struttura di acco-glienza debba funzionare come uno strumen-to di superamento della precarietà e di educa-zione all’autonomia. Tuttavia, siamo consa-pevoli che il passaggio ad una struttura prov-visoria come il dormitorio non rappresentinecessariamente un insuccesso, come non sem-pre lo è una lunga permanenza nella Cdc. Ana-logamente, siamo consapevoli che molte del-le condizioni che consentono la ripresa di unavita in autonomia possono collocarsi al di fuoridell’individuo e del lavoro condotto con l’in-dividuo stesso, e che pertanto l’esito ottenutonon possa essere giudicato tout court come suc-cesso o fallimento dell’attività della Cdc.L’immensa letteratura scientifica sulla popo-lazione homeless tratta numerosi e diversiaspetti (Bray, 2009) – le cause della povertàestrema, i grandi programmi per la ricolloca-zione abitativa, la salute fisica, l’offerta di as-sistenza nelle strutture di accoglienza, le ca-ratteristiche della popolazione senza fissa di-mora ospitata nelle strutture, la prevalenza didisturbi mentali e i programmi dedicati allepersone homeless con disturbi mentali – mala produzione di lavori che si prestino a unconfronto diretto con i dati qui presentati èlimitata. I confronti, inoltre, vanno semprepresi con cautela, perché le popolazioni stu-diate sono sempre diverse e non sempre sonospecificabili le fonti di variabilità. Sono tutta-via utili gli spunti offerti da alcuni lavori re-

centi. In particolare, il lavoro di Aubry et al.(2012), condotto in Canada su 329 persone chevivevano per la strada, ha mostrato una com-posizione della popolazione non dissimile daquella della Cdc, con una classe di soggetti,circa il 29% delle persone, con un elevato fun-zionamento e senza nessun problema fisico odi dipendenza; una classe contenente il 23%delle persone, caratterizzata da problemi disalute mentale o abuso di sostanze; una classepari al 22% delle persone, in cui vi erano pro-blemi fisici e mentali; il 27% di persone ca-ratterizzate dalla presenza di problemi di abu-so di sostanza, nella Cdc del tutto minorita-rie. Uno studio spagnolo (8) descriveva tregruppi distinti di popolazione senza fissa di-mora a Madrid, con un primo gruppo caratte-rizzato essenzialmente dalla presenza di pro-blemi economici, un secondo gruppo caratte-rizzato da problemi di salute e di abuso di so-stanze, e un terzo gruppo con gravi abusi nel-l’infanzia, gravi problemi di salute mentale egrave abuso di alcool.Vi sono due indagini fondamentali condottein Italia di recente. La prima (4) ha contato inuna notte indice 3860 persone senza fissa di-mora a Milano, la cui maggioranza era statatrovata in strutture di accoglienza. Nonostantequesta cifra sia verosimilmente molto sotto-stimata e le caratteristiche delle persone ri-guardino solo il gruppo autoselezionato diquelle che avevano accettato di essere intervi-state, questi dati ci dicono che quasi due terzinon erano italiani, il 19% aveva un’istruzionedi scuola superiore o universitaria e il 30%aveva qualche forma di lavoro. L’indagineISTAT del 2011 ha mostrato che l’età mediadelle persone senza fissa dimora in Italia era di42 anni, la popolazione femminile rappresen-tava il 14%, e i non italiani erano il 59%. Que-sti dati confermano che la Cdc ha accolto unpopolazione che includeva una proporzione piùelevata di donne e di stranieri rispetto alla po-

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polazione senza fissa dimora presente a Milano.Le difficoltà delle persone che arrivano in Ita-lia dai paesi a maggiore emigrazione è indica-ta anche dall’indagine ISTAT: tra gli stranieri,il 20% era senza fissa dimora già prima diarrivare in Italia.Altre indagini confermano il dato sulla etero-geneità dei gruppi (1). Il rapporto della TaskForce Presidenziale dell’American Psycholo-gical Association (1) sottolinea l’importanzadi disporre, di fronte a bisogni, potenzialità,aspettative e culture molto diverse, di un’ade-guata diversificazione delle competenze e del-la formazione e di un aggiornamento costan-te, anche in un’ottica di multiculturalità.Rispetto alla durata del periodo trascorso sen-za fissa dimora, secondo il Dipartimento perla Casa e lo Sviluppo Urbano degli Stati Uni-ti, nel 2008 il 60% delle persone era rimastoin una struttura di accoglienza per le emer-genze non oltre un mese (1). Un altro lavorocondotto negli Stati Uniti ha mostrato che,nell’arco dei sei mesi di osservazione, la dura-ta mediana di vita in condizioni di senza fissadimora era 188 giorni per i maschi e 194 perle donne. La permanenza in una struttura diaccoglienza provvisoria o per la strada era si-gnificativamente più lunga nelle persone oltrei 44 anni di età e in quelle che avevano avutouna storia di carcerazione (5,6). L’indagineISTAT riporta che il 9% degli stranieri e il5% degli italiani non aveva mai avuto unacasa, ma gli italiani avevano durate di vitasenza fissa dimora più lunghe degli stranieri,con il 24% degli italiani con durate di oltrequattro anni versus il 9% degli stranieri.Anderson e Christian (2) e Jakubec et al. (7)hanno sottolineato la necessità di offrire allepersone senza fissa dimora “più di una casa”.Il progetto di Cdc nasce da una posizione deltutto simile: in termini di modalità di lavoroe progetto sulla persona si tratta di offrire unacura rivolta ai molteplici bisogni, fisici, eco-

nomici, psicologici e di relazione, e che ripri-stini un senso e una direzione nella vita dellepersone. Per un altro verso, spiega la difficoltàa collocare le persone in situazioni di autono-mia abitativa, data la necessità che l’abitareautonomo sia accompagnato da un lavoro re-tribuito in modo sufficiente a sopravvivere, edal supporto in diverse aree: attività quotidia-ne di mantenimento e gestione della casa edel denaro, rapporti con le diverse agenzie so-ciali e sanitarie, nonché nella creazione o nelmantenimento di relazioni e scambi sociali (7).La difficoltà a rispondere a questi bisogni puòspiegare il permanere nella Cdc per periodi lun-ghi di alcune persone che dispongono di capaci-tà compatibili con una vita autonoma.Tra i limiti di questo studio ne citiamo soloalcuni, rispetto ai quali vanno pensate – o sonoin atto – prospettive operative di lavoro. L’ef-ficacia delle attività di Cdc può essere stimatain modo convincente solo a distanza di tem-po. Questo lavoro era nato nell’ipotesi di po-ter recuperare informazioni ad alcuni mesi didistanza sulle persone che si erano trasferite incollocazioni stabili e autonome per verificar-ne la tenuta, ma l’obiettivo si è rivelato irrag-giungibile. Documentare la tenuta nel tempodelle collocazioni stabili rimane comunque unobiettivo importante. Lo studio canadese diAubry et al (3) ha mostrato che ciò è fattibilesu numeri non trascurabili di soggetti (190) ea distanza di un anno, e ha mostrato che nel-l’anno di osservazione vi erano stati tra 1.67 e2.39 cambi di collocazione e che la proporzio-ne di persone ancora stabilmente collocateandava dal 63% all’81%.Dal punto di vista del benessere psicologico,della salute e delle abilità sociali della personasi è ritenuto di non disporre di uno strumentoadeguato: questo è stato sviluppato e i risulta-ti della sua applicazione verranno presentatiprossimamente. Infine, data la specificità del-le modalità e del razionale del lavoro della

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Cdc, e l’attenzione a tenerne vivi i principinell’operatività quotidiana, è necessario che alladescrizione degli esiti si accompagni la descri-zione dei processi, sia per analizzare la coeren-za tra principi e azioni, che per attribuire glieffetti a specifiche attività o modalità di lavo-ro. Anche su questo la Cdc sta lavorando.Partendo dai dati empirici qui presentati, l’ele-mento più cogente intorno a cui riflettere cisembra quello del prolungamento delle dura-te di permanenza delle persone, non allo sco-po di renderle forzatamente più brevi, ma peridentificare i meccanismi interni ed esterni ditale effetto. In quali casi sono necessarie, ov-vero legate ad una scelta consapevole connes-sa ad obiettivi altrimenti non raggiungibili?Permanenze prolungate possono rappresenta-re l’assenza di progetto? In che misura la strut-tura di accoglienza assume una modalità isti-tuzionale, limitando troppo a lungo l’orizzon-te dei progetti sulle persone alle sue mura?Esistono condizioni e caratteristiche, dei sog-getti accolti e della struttura accogliente, che

potrebbero facilitare tale effetto?L’altro aspetto importante ci sembra consistanella necessità di qualificare e valutare il lavo-ro condotto con le persone che si fermano inCdc per periodi brevi o brevissimi.Vogliamo infine precisare ancora una volta conquale spirito è stato intrapreso questo lavoro:avviare un processo di valutazione significaporsi in un’ottica di qualità, nei molteplici si-gnificati di questa parola: efficienza, come ca-pacità di utilizzare le proprie risorse al meglioper ottenere i risultati desiderati, coniugatacon l’efficacia, la reale utilità di ciò che vienefatto per i destinatari delle azioni messe incampo; capacità di disegnare e mantenere vive“buone pratiche”, ovvero attività, stili di la-voro e organizzativi che incorporino e realiz-zino i principi a cui si ispirano; capacità disottoporre a critica e di modificare se necessa-rio quelle stesse pratiche; soprattutto, assun-zione della responsabilità di quanto viene fat-to per le persone accolte.

REFERENZE1. American Psychological Association, Presidential

Task Force on Psychology’s Contribution to EndHomelessness. Helping people without homes: Therole of psychologists and recommendations toadvance research, training, practice, and policy.2010. Retrieved from http://www.apa.org/pi/ses/resources/publications/end-homelessness.aspx.

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6. Caton CL, Dominguez B, Schanzer B, Hasin D,Shrout PE, Felix A, McQuistion H, Opler LA, HsuE. Risk factors for long-term homelessness: findingsfrom a longitudinal study of first-time homelesssingle adults. American Journal of Public Health2005; 95:1753-1759.

7. Jakubec SL, Tomaszewski A, Powell T, Osuji J.“More than the house”: a Canadian perspective onhousing stability. Housing, Care and Support 2012,15:99-108.

8. Munoz M, Panadero S, Santos E, Quiroga M. Roleof stressful life events in homelessness: an intergroupanalysis. American Journal of CommunityPsychology 2005, 35:35-47.

9. Abenante D, Tomai L, D’Avanzo B. Cosa vuol direstare in Casa della Carità? Prospettive Sociali e Sa-nitarie 2011, 9-10:16-20.

10.Fio.PSD, Caritas, ISTAT, Ministero del Lavoro edelle Politiche Sociali. Le persone senza dimora.Indagine 2011. Roma: ISTAT; 2012.

Sistema Salute, 57, 2, 2013: pp. 220-221

SCHEDE

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

Bice Previtera, L’integrazione ospedale-terri-torio nel sistema sanitario nazionale, Arman-do Curcio Editore, 2013, 926 pp., euro98,00

Segnaliamo volentieri questo poderosissimo volumeche si inserisce in una problematica che da tempoappassiona studiosi ed operatori della sanità e nonriesce a trovare soluzioni soddisfacenti, salvo pocheeccezioni, per rendere più efficace il lavoro del servi-zio sanitario nazionale: la separatezza fra due pezzifondamentali del sistema, l’ospedale ancora Molochindiscusso seppure criticato e la medicina di territo-rio.Il tema centrale del discorso, filo conduttore del-l’opera, si sviluppa progressivamente attraverso uniter assai articolato che prende in considerazione inpratica tutti gli aspetti del sistema sanitario, dallastoria all’analisi di praticamente tutte le sue compo-nenti, per ciascuna delle quali viene fatta una disaminamolto attenta, prendendo in considerazione aspettigestionali operativi, strumentali. Esempi di concreterealizzazione rendono ben evidenti le argomentazionipresentate dall’autrice. Essa comunque, al di là degliaspetti tecnici approfondisce anche tematiche di or-dine politico e culturale, che ampliano notevolmenteil quadro complessivamente presentato.Il lettore potrà trovare spunti per la programmazio-ne, gestione, valutazione accanto a elementi teoricidelle varie problematiche all’interno del tema gene-rale della salute e dei vari momenti per la sua tutela epromozione nelle vaie articolazioni del servizio sani-taria, come anche capitoli dedicati a singoli gruppi di

popolazione o a specifici problemi di malattia.L’approccio usato per l’elaborazione del tema centra-le enunciato nel titolo va oltre il senso meccanicisticodei termini di intersettorialità ed integrazione, collo-candoli all’interno di un processo di interconnessionedi rete (anche di conoscenza), nel quale la coopera-zione è intesa come un coordinamento di tutti, inbase a regole e standard ben definiti ed efficaci.L’intersettorialità diventa dunque non solo mera col-laborazione bensì convergenza, come somma dellesingole esperienze, conoscenze, scoperte tecnologi-che verso un fine comune, realizzando valori “moltopiù alti della somma delle singole scoperte”, comeviene detto dal prof. Ricciardi nella presentazione.L’Autrice spiega in modo interessante come il lavo-rare assieme, l’integrarsi fra gli addetti alle diverseattività, possa avvenire costruendo un comune senti-re, basato su un conoscenza acquisita collettivamen-te con scambi continui, nei lavori di gruppo, nei la-boratori, insomma in un processo di formazione con-tinua compiuto da tutti, congiuntamente. Accom-pagnato da un processo di partecipazione democrati-ca, sgombro da ideologie, preconcetti e pregiudizi.

L.B.

Minelli Liliana, Laino Daniela, ChiavariniManuela, L’evento nascita in Umbria, Mor-lacchi Editore U.P., Perugia 2013

Il volume riferisce con precisione di dati il rapportodel progetto MCHC (Maternal and Child Health

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 56, n. 2, aprile-gugno 2013

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Care), condotto nella regione Umbria, in base ai datitramite il Codifica di assistenza al parto. I dati gene-rali confermano l’aumento dell’indice di natalità, eanche dell’indice di fertilità nelle donne immigraterispetto alle locali. Nei dettagli si seguono le tenden-ze rispetto alle varie modalità del parto, incluso, ov-viamente, il cesareo e le condizioni del nato e dellamadre. Si evincono informazioni significative per lapolitica sanitaria nel settore.Nella regione nascono circa 8.500 bambini l’anno, lametà nei due maggiori ospedali delle Aziende dellecittà delle due province, gli altri si distribuiscono innove punti nascita con meno di 500 assistenze l’an-no, con i noti limiti di queste condizioni; si costata,infatti, che pur ritenendo che si tratti di parti a bassorischio, si registra un eccesso del 50% di parti cesarei.Altro punto da tenere sotto controllo l’evento delparto pretermine, in aumento e basso peso alla nasci-ta.Infine, altro elemento da sorvegliare, l’eccesso delleindagini prenatali invasive, una tendenza ovunquemolto diffusa, non priva di rischi e costi inutili, senon ben valutati.Il lavoro ricco di dati e di analisi dettagliate offre allegislatore, ma anche ai professionisti, nonché agliutenti, elementi rilevanti per un ulteriore sviluppodel settore, in un quadro, quello dell’organizzazionesanitaria regionale, ancora in buona salute.

M.A.M.

Modonutti Giovanni Battista, Prevenzio-ne, giovani e … i rischi del vivere quoti-diano, Edizioni Goliardiche, Udine, 2012

Segnaliamo un testo dedicato ai giovani e ai compor-tamenti a rischio assai ricco di contributi. Apre ilvolume un saggio del nostro redattore capo LambertoBriziarelli, che imposta il tema della salute da dirittodel singolo a patrimonio della comunità, un’introdu-zione che si muove su due direttrici centrali: il prin-cipio “salute in tutte le politiche” e – come affermalo stesso autore – “l’auspicato e mai ottenuto riordi-no del servizio sanitario nazionale”. Il quadro genera-le della promozione della salute nei giovani vienesviluppato da Roberto Bucci: nuovi e vecchi stili divita e rischi per la salute, nuovi e vecchi comporta-menti giovanili. Quindi è presentato da G.Mangiaracina un nuovo razionale e un’ipotesi dimodella per la prevenzione che ingloba anche l’im-portante questione dei determinanti di salute. Due isetting della promozione della salute approfonditi: lascuola e l’ambiente di lavoro. I capitoli successiviapprofondiscono con saggi e rapporti di ricerche duedei comportamenti a rischio da sempre oggetto dilavro edegli educatori sanitari: il consumo di bevan-de alcooliche (comportamenti a rischio e percezionedel rischio) e fumo di tabacco: aspetti sociali, il ruolodell’industria del tabacco, l’epidemiologia deltabagismo.

F.A.B.

Le schede sono state redatte da: Lamberto Briziarelli,Maria Antonia Modolo, Filippo Antonio Bauleo

DOCUMENTI

Sistema Salute, 57, 2, 2013: pp. 222-224

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

Castelbrando 6: Documento conclusivoCastelbrando 6: Final document

a cura della Presidenza del Convegno della S.It.I.

L’incontro biennale di Castelbrando, alla suasesta edizione, il 30 e il 31 Maggio 2013,presenti oltre 400 igienisti italiani ha rispo-sto pienamente agli obiettivi posti. Il temaera di straordinaria importanza ed attuali-tà: “Promuovere la salute per concorrere alsuperamento della crisi”. Naturalmente sideve prioritariamente “ridurre i costi inuti-li, tutelare le fasce deboli, rappresentate inquesto momento da oltre nove milioni dicittadini, sviluppare la prevenzione attiva”.Le quattro sezioni di lavoro sono state anti-cipate da una lezione magistrale del medi-co e storico della medicina prof. GiorgioCosmacini. Decine di relatori e numerosiintervenuti nelle discussioni che ne sonoseguite, hanno evidenziato che anche ai tem-pi della maggior crisi economica e socialedegli ultimi decenni, si deve lottare, perpromuovere la prevenzione e la sicurezzanegli ambienti di vita e di lavoro, elementi

determinanti ed indispensabili per lo svi-luppo equo e per il benessere. Nel conve-gno è uscito con forza che il Servizio Sani-tario Nazionale deve essere unitario e glo-bale (prevenzione, diagnosi, cura, riabilita-zione). La prevenzione attiva che ha raggiun-to livelli europei nella lotta delle malattieinfettive, specie con i vaccini sicuri ed effi-caci che sono a disposizione, deve fare unsalto di qualità affrontando finalmente edin modo organico il tema non più rinviabi-le della lotta efficace alle patologie di mag-gior rilevanza sociale in Italia come peresempio le malattie cardiocerebrovascola-ri, i tumori, le malattie dell’apparato respi-ratorio, le malattie del sistema nervoso epsichiatriche. Pure determinante con il con-corso degli igienisti deve diventare l’impe-gno straordinario del Servizio Sanitario nelsuo complesso per il contrasto della croni-cità. Essa è causa di sofferenze enormi per i

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223Documenti

soggetti colpiti, per le loro famiglie, per icarichi assistenziali necessari e per i costiassai onerosi che ne conseguono. La stessaprevenzione va liberata, con assoluta urgen-za, da una sequela di attività inutili, obso-lete e spesso assai onerose per i cittadini.Appare pertanto scandaloso che da una de-cina di anni giaccia in Parlamento un dise-gno di legge che si prefiggeva di abrogareattività che non sono necessarie e che sonoprive di qualsiasi evidenza scientifica. Nelconvegno è stato chiesto con forza alle Re-gioni e alle Province Autonome di Trento edi Bolzano di approvare urgentemente leg-gi che scarichino oneri impropri dai Servizidi prevenzione e balzelli insopportabili suicittadini. Esempi positivi in questo sensonon mancano. Basta dunque con i certifica-ti di sana e robusta costituzione, con i li-bretti sanitari per gli alimentaristi, con levisite mediche per i soggetti che svolgonoattività sportiva non agonistica e/o amato-riale. Castelbrando6 ha portato avanti altrequestioni di assoluto valore per i cittadinicome per esempio il rilancio dell’assistenzaprimaria che si basa anche su un nuovo ruo-lo della Medicina Generale e del rapportoindispensabile tra il Territorio e l’Ospedale.Non è più tollerabile sia per ragioni eticheche professionali che si continuino a disat-tendere perfino agli accordi pattuiti nei rin-novi dei contratti e delle convenzioni per laMedicina Generale. Si ricorda che dal cor-rente mese di Maggio, l’assistenza primariae la continuità assistenziale devono esseregarantite 24 ore su 24, sette giorni su settegiorni (Decreto Legislativo 158/12, conver-tito nella legge 189/12). Il convegno ha ri-badito l’importanza del rapporto sia tra“l’ambiente e la salute” che tra “la salute el’alimentazione”. In questo senso sono sta-te denunciate le carenze preoccupanti delleAgenzie Regionali per la Protezione del-

l’Ambiente (ARPA), nonché i gravi prov-vedimenti presi dalla Regione Liguria chedi fatto ha abrogato i SIAN e della RegioneToscana che ha indebolito pericolosamentela organizzazione e lo sviluppo dei Servizidei Dipartimenti di Prevenzione. Ci sonoRegioni invece che hanno lanciato program-mi assai importanti specie nel campo dellaprevenzione vera ed efficace delle malattiecardiovascolari, utilizzando finanziamentisia ministeriali che regionali invertendo ten-denze e esperienze del passato non del tuttoesemplari. Una novità forte che è uscita dalConvegno riguarda il rinnovato e decisoimpegno degli igienisti a concorrere a rior-dinare la rete degli ospedali italiani sulla basedi criteri scientifici, di standard internazio-nali, di performance validate, della necessi-tà e della urgenza di qualificare l’assistenzae la spesa ospedaliera. E’ stato ricordato cheil Livello Essenziale di Assistenza (LEA) incontinuo ed inarrestabile aumento dal pun-to di vista dei costi è quello della assistenzaospedaliera a causa anche delle diseconomiee dei disservizi che perdurano nella così dettaassistenza sanitaria di base o distrettuale. E’arrivato dunque il momento che tutte lestrutture e le prestazioni sanitarie e socio-sanitarie debbano rientrare in un modernosistema della qualità, della certificazione,dell’accreditamento all’eccellenza. Le pre-stazioni sanitarie, pubbliche e private, apartire da quelle ospedaliere devono avereuna verifica seria, responsabile, tecnica escientifica dei risultati ottenuti e devonoessere confrontate tra di loro sia a livelloregionale che nazionale. Chi non riesce arimanere negli standard di qualità e di sicu-rezza deve essere aiutato a rientrare in dettiparametri, pena la revoca di qualsiasi auto-rizzazione e convenzione. Castelbrando6,come il Convegno Siculo Calabro di Giu-gno a Palermo, ed altri ancora sono anche

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Documenti

momenti essenziali ed importanti di incon-tro e di approfondimento dei principali temidella prevenzione e della sanità pubblica cheavranno una rilevanza ancora più grande aseguito dei lavori del prossimo CongressoNazionale della SItI che avrà luogo a Taor-mina-Giardini Naxos dal 17 al 20 Ottobre2013. Anche in quella occasione avremo unalarga e qualificata partecipazione anche dioperatori non medici specialmente di Assi-stenti Sanitari e di Tecnici della prevenzio-ne che hanno contribuito alla piena riuscitadel Castelbrando6. La crisi in atto imponeinoltre investimenti più oculati nella for-mazione e nella ricerca scientifica. Le Re-gioni con il concorso delle Società Scienti-fiche più direttamente interessate hanno ildovere non più rinviabile di programmarecon le Università, riordinate, piani e pro-grammi di formazione dei laureati ma an-che e soprattutto degli specialisti che, come

avviene nei Paesi più progrediti, si avvalga-no in modo non episodico, ma organico estrutturale dei Servizi, delle Unità Opera-tive e dei Dipartimenti, a partire da quellidi prevenzione, che sono presenti sull’inte-ro territorio nazionale. Infine Castelbran-do6 ha dimostrato se ce n’era bisogno cheper salvare il Servizio Sanitario Nazionale(SSN) non esiste solo il problema di riven-dicare più risorse, ma soprattutto quello dieliminare gli sprechi, di aggiornare final-mente i LEA, di garantire l’assistenza ai cit-tadini compresi i soggetti più fragili, diqualificare maggiormente la spesa sanitariae di immettere la tutela della salute nellaprogrammazione dei vari comparti sia a li-vello nazionale che regionale nonché in tut-te le attività principali che possono concor-re all’uscita dalla crisi e finalmente al rilan-cio occupazionale, sociale ed economicodell’Italia.

NOTIZIARIOINFORMAZIONI

Sistema Salute, 57, 2, 2013: pp. 225-235

Sistema Salute. La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute, vol. 57, n. 2, aprile-gugno 2013

Note a margine della 2a Conferenza Nazio-nale sulle cure domiciliari - 11° CongressoNazionale CARD - (Roma, 22-24 maggio)

In continuità con la prima Conferenza sulle curedomiciliari organizzato dalla CARD (Roma, 2011),in questa seconda Conferenza le cure a casa sono stateposte alla ribalta perché si pensa continuino a rappre-sentare la massima espressione visibile del lavoro deidistretti, pur espresse in maniera spesso molto diversanei differenti contesti distrettuali italiani. E questa di-versità non impedisce di cogliere l’elemento unifican-te della volontà di trovare risposte qualificate ad unadomanda sempre più ampia e qualificata, espressa dautenti, professionisti, organismi istituzionali e di rap-presentanza.Le parole chiave sono state: home care e distretto;centralità della persona; integrazione; innovazione e svi-luppo.Queste si ritrovano, estese, nel nuovo manifesto ag-giornate CARD delle cure domiciliari in 7 punti(www.carditalia.org).Nel corso delle tre giornate, in una trentina di sessioniin cui sono stati presentati oltre 100 contributi scienti-fici, sono state valutate le possibili modalità diinterazione e gli sviluppi organizzativi per rendere lecure a domicilio un pilastro dei servizi sociosanitari edel welfare in generale.I lavori hanno trattato posizioni concettuali e pratichecorrenti prioritarie nei distretti: l’assistenza ai malaticon malattie long term; con scompenso cardiaco,BPCO, diabete, stati terminali, parkinsonismi; una

sessione era dedicata ai nuovi farmaci anticoagulanti,anche per definire il contributo dei distretti in questinuovi percorsi.In apertura si è sperimentata con successo la novità dimoduli di formazione intensiva su alcuni aspetti finoad ora poco frequentati ma di grande attualità: a) laHTA nei distretti e la valutazione economica dei pro-grammi sanitari di assistenza territoriale; b) la gestionedel rischio nell’assistenza domiciliare ; c) l’audit suglieventi maggiori in home care.In sintesi, i Distretti possono oggi esibire valide testi-monianze del loro ruolo di protagonisti attivi, orga-nizzazioni uniche in grado di coinvolgere positivamente“i territori”, tra cui la medicina di famiglia (una sessio-ne ad hoc), procedere all’integrazione sociosanitaria,realizzare reti e percorsi integrati in grado di affrontareal meglio le situazioni più problematiche e di lungadurata. Al Congresso hanno partecipato operatori ditutte le professioni, con un’attenzione specifica allamedicina di famiglia ed alle professioni sanitarie.Consenso unanime è stato espresso sul fatto che unvero progresso della home care, anche per corrispon-dere ai LEA, va misurato sui risultati, sull’impatto sul-le persone. Il Distretto si presenta come l’indispensa-bile organizzazione in grado di sviluppare una “regia”intelligente, unitaria, seria, competente e consapevole,rivolta a realizzare sistemi aperti con nuovi e solidiequilibri tra cure formali ed informali, ad accoglieremolteplici soggetti produttori delle varie componentidella home care, l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo.Naturalmente si auspica che a livello di decisioni poli-tiche tutto questo venga ascoltato e recepito.Infatti, non ci siamo nascoste le attuali criticità, la

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principale delle quali si riassume nella domanda cru-ciale: perché la home care in Italia “non decolla”?In sintesi, i fatti che sembrano prevalere sono:a) confusione di nomi e di contenuti: tra l’ “assistenza

domiciliare”, che dovrebbe riferirsi solamente a ser-vizi di tipo sociale, quindi tarati su bisogni di naturasocioassistenziale, pertanto erogati dai Comuni eNON di competenza delle Aziende Sanitarie, e le“cure domiciliari”, a valenza ed obiettivo sanitario-clinico e pertanto necessariamente di competenzadelle Aziende Sanitarie. Queste ultime tuttavia,nonostante enunciati promettenti, continuano a re-legarle tra i propri servizi residuali, data la sostan-ziale inconsistenza che spesso si osserva. Ancora, iltermine ADI (assistenza domiciliare integrata) puòriferirsi oggi sia alle prestazioni erogate dai MMG,ex contratto nazionale, svolte insieme agli infer-mieri del distretto, sia alle pratiche integratesociosanitarie. Questi equivoci andrebbero chiariti,anche rispetto alla definizione dei LEA.

Si è quindi confermata l’anticipazioneprecongressuale che oggi sembra opportuno enecessario proporre di introdurre nell’uso co-mune un’altra terminologia. Il termine inglese“home care”, non per conformismo accademi-co, sembra l’unico termine in grado di sintetiz-zare gli aspetti dell’assistenza sociale e sanitaria,con enfasi sulla necessità che divenga “costitu-zionalmente” di tipo integrato, includendoviquindi anche l’integrazione con le sempre piùnecessarie tecnologie di home care. Si dovrebbequindi parlare più appropriatamente di“integrated home care”, che trova fondamentosu quattro “pilastri” costitutivi: l’assistenza e lacura formale-istituzionale di tipo sanitario e ditipo sociale; quella di ambito informale (pa-ziente-utente, famiglia, care giver, “badante”,volontari, ecc.); ed infine quella sostenuta dalletecnologie avanzata (sensori vitali, ambientali,domotica, informatica; telecontrollo,telemonitoraggio, teleassistenza, ecc.). Forse cosìle parole potranno aiutare i fatti. Le “buone curea casa” richiedono azioni congiunte, integrate,attive a 360 gradi, in grado di superareframmentazioni, rischiose compartimentazioni

tra competenze, discipline professionali, settoriistituzionali, enti o appartenenze diversi; quindiinterventi “globali”, non solamente clinico-me-dico-sanitari, bensì più completi in grado di in-cidere sulla persona in toto (presa in carico glo-bale), in cui cura ed assistenza sono visti ed agiticome inseparabili. Il Distretto si colloca in que-st’ottica: con attenzione globale (olistica) alcontesto di vita, alla famiglia, ai care giver, aicontributi irrinunciabili della medicina di fami-glia, degli specialisti, degli infermieri e delle al-tre professioni sanitarie, dei professionisti deiservizi sociali e degli operatori delle cure infor-mali.

b) difetto e/o difformità di esplicitazione degli obiet-tivi e contenuti della home care. Ovvero, si osservadiffusa incertezza sulla mission e vision dei servizidomiciliari (di pertinenza delle ASL), di cosa a lorosi richieda (prestazioni? presa in carico? di qualedurata?) e che cosa da loro ci si aspetti (si vogliaottenere); manca la definizione esplicita di qualisiano i ritorni-risultati rispetto ad investimenti ecosti-spese.

c) mancato riconoscimento delle cure domiciliari qualeservizio specialistico, quindi dotato di precisi requi-siti (da cui la necessità dell’accreditamento profes-sionale, organizzativo), da collocarsi in un contestoorganizzativo “solido”, ovvero in una strutturaorganizzativa aziendale che abbia come mandatospecifico prioritario la sua realizzazione. Questa nonpuò che essere, a giudizio di CARD, il distretto,struttura della ASL deputata a costruire tutta lagamma dei nuovi servizi extra-ospedalieri e le retidi cure primarie, ad essere motore della continuitàdi cura e dell’integrazione intra ed intersettoriale.Del resto, per analogia, sarebbe sorprendente assi-stere alla collocazione di servizi specialistici propridell’ospedale, (specialmente se dotati di tecnologie- es. emodinamica, endoscopia, ecc.) al di fuori delcontesto organizzativo ospedaliero e della discipli-na-madre. Infatti, questa scorretta impostazioneporta ad osservare oggi la proliferazione di iniziati-ve, per altro molto limitate o circoscritte, di servizidomiciliari, inevitabilmente parcellizzati e fram-mentati, in cui piccole prestazioni eseguite a domi-

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cilio (prelievi, medicazioni) sono viceversa presen-tate come grandi risorse e conquiste. E ciò avvienesia in ambito pubblico, che “para-pubblico” o pri-vato (profit e non-profit). Il tutto resta non ina-spettatamente molto lontano dagli assunti del ri-spetto della continuità e dell’integrazione, dallagaranzia di approcci unitari e soluzioni olistiche,che a gran voce e con chiarezza sono richieste daicittadini-contribuenti e contraddistinguono l’atti-vità domiciliare di elevata qualità a supporto allepersone, con la difficile capacità di presa in caricoglobale del paziente nel lungo termine.

d) tendenza a costituire i servizi domiciliari suparadigmi e logiche ospedaliere, sostanzialmenteattenti ad erogare volumi crescenti di prestazioni,pur singolarmente magari di alto livello, matemporizzati e non parimenti tesi a realizzare per-corsi “intelligenti”, complessi, globali-unitari-co-ordinati e continuativi di terapia-cura-assistenza.Non a caso si vedono ancora in uso (ed in lancio) le“ospedalizzazioni a domicilio”, estensioni di spe-cialità ospedaliere, denominati anche in altro modo(es. “ospedale a casa”), ma – al di là dei termini -sempre vetustamente ospedalo-centrici. Laintegrated home care è invece cosa totalmente di-versa da una “hospital ward at home”, nelle pre-messe, nella produzione, negli esiti; quantomenonell’aspetto delle pratiche di valutazionemultidimensionali ed azioni in teammultiprofessionali e multidisciplinari.

e) scarsa visibilità e capacità comunicativa verso ilgrande pubblico, ed anche verso i professionisti disettore sanitario (prevalentemente di ambitoospedaliero, ma non solo). Anche dove efficace edefficiente, il servizio domiciliare rimane per lo piùnoto, conosciuto (e magari anche apprezzato) dachi ne è stato utente o testimone diretto, mai con-siderato opzione irrinunciabile in un sistema sanita-rio e sociosanitario avanzato (infatti, a differenza dialtri servizi, è raro leggere di rivendicazioni in talsenso da parte di cittadinanza o di professionistisanitari o sociali). Viceversa, molte inchieste e ri-cerche di settore giungono unanimemente a docu-mentare un giudizio di grande rilevanza di questaopzione assistenziale, di questi servizi, giudicati ora

sostanzialmente incompleti dal punto di vista qua-li/quantitativo nell’offerta istituzionale, con lacriticità (critica) della famiglia quale apparentemen-te irreversibile baricentro e nucleo-attore centraledel percorso. Il divario tra domanda ed offerta, trabisogno/domanda e risposta/offerta è divenuto neltempo crescente ed apparentemente incolmabile.

f) insufficiente attenzione e tensione, capacitàprogrammatoria e realizzativa di buone pratichedomiciliari integrate, da destinarsi primariamentead inserirsi nella logica della long term care. A ri-guardo, si sono ripetutamente ricordati i risultatidella ricerca FIASO-Cergas che ha rilevato comele cure domiciliari assorbono non oltre l’ 1% deibudget delle Aziende Sanitarie, a dimostrazionedel ruolo residuale, nonostante eventuali proclamidi segno diverso-opposto.

g) inadeguata comprensione-dimostrazione del fattoche, a pari esigenze assistenziali, la home care benstrutturata può essere impiegata per cure di elevataqualità e sicurezza di livello pari o superiore a quan-to ottenibile nei tradizionali setting ospedalieri eresidenziali. Quando di provata efficacia edeconomicità, ed applicata con appropriatezza di-viene ALTERNATIVA ad altri setting oggi cor-rentemente in uso, non solamente complementa-re, generando così risparmi od ottimizzazioni dispesa, non costi aggiuntivi per il sistema. Il ridi-mensionamento degli ospedali non può non tener-ne conto.

h) insufficiente inserimento dei medici di famiglia,anche a causa delle attuali norme dei contratti na-zionali e di una loro resistenza (obsoleta) ad inte-grarsi in un sistema territoriale moderno ed effi-ciente (“out-of-hospital services/ communityservices” - primary health care services” che dir sivoglia), in cui spiccano i servizi domiciliari. E’ unvero peccato che la competenza clinica della homecare italiana oggi non possa contare su una pienaconsapevole e diffusa presenza dei MMG e debbaessere vicariata da altri, penalizzando la continuità,la completezza, i budget aziendali.

Intervenire su questi elementi (ma non solo) costitui-sce il lavoro dei prossimi anni.Due sessioni della Conferenza sono state dedicate alla

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ICT (informaton communication technology), ovve-ro alle possibilità offerte dall’informatica e dalle tecno-logie comunicative e strumentali. Oggi sono disponi-bili “cartelle-fascicoli elettronici personali” in grado direndere immediatamente aggiornabili ed accessibili suweb le informazioni di rilevanza clinica ed assistenzia-le, prerequisito indispensabile per la continuità el’appropriatezza decisionale ad alto impatto sul pa-ziente. Sono inoltre offerte dal mercato numerose pos-sibilità di controllo remoto di parametri vitali (pres-sione arteriosa e frequenza cardiaca, sat. O

2, glicemia,

peso, ecc.) ed ambientali (fumo, gas, acqua, movi-mento) che rendono possibili il telemonitoraggio e lamessa in sicurezza degli ambienti di vita. L’uso dellenuove tecnologie per la home care (hi tech) potrebbetalora essere percepita in contrapposizione alla caratte-ristica maggiormente auspicata ed orgogliosamenterivendicata da molti operatori e cittadini in questocampo: il valore della relazione operatore-paziente (hi-touch). La “tech” è spesso pregiudizialmente (erronea-mente) avvertita come distante dai contenuti “umani-umanizzanti” richiesti in primis ai servizi di cura allapersona, tanto più dalla home care. CARD hafocalizzato la questione in uno slogan che, ovviamentecon i limiti dello strumento, cerca di superare questodilemma: “dall’assistenza “hi-tech o “hi-touch” è neces-sario passare ad una “hi-teach integrated home care”, incui si congiunge il “tocco umano e la tecnologia”, inun processo in cui tutti apprendono ed insegnano: pa-zienti ed operatori istituzionali, familiari e care giver,operatori informali. CARD vuole così richiamare l’at-tenzione per consolidare le strategie e le pratiche voltea conciliare l’ascolto dei bisogni, l’azione specializzata,l’apprendimento del self care, del self-management; lapossibilità di adottare un nuovo modello di salute, incui è centrale la capacità del soggetto-famiglia di af-frontare e sostenersi nella malattia di lunga durata.Questo del resto in sintonia con il recente concetto di“Health as ability to cope and adapt.” avanzato daWHO (BMJ 2011, Huber et al), già anticipato dalPSN 1998 in cui con lungimiranza si parlava di “con-vivere attivamente con la cronicità”.In conclusione, l’obiettivo finale della home care èdiventare cardine del processo non solamente delladeospedalizzazione, bensì della “ri-ospitalizzazione

del territorio”. Il fine ultimo, nuovo slogan caro aCARD, è “abitare il futuro a casa”.Schematicamente si possono sintetizzare alcune pro-poste conclusive della Conferenza:- adoperarsi per la promozione e la diffusione della

integrated home care, con le caratteristiche di cuisopra, da affidare ai Distretti

- dare energia nuova alla volontà e alla capacità deiDistretti di renderla davvero alternativa, a parità dibisogni di cure ed assistenza, rispetto alle cure usualierogate in setting tradizionali, con costi sostenibile evantaggiosi; spesa non aggiuntiva ma sostitutiva,ad alto rendimento

- acquisire nei Distretti maggiore capacità di° trovare nuove modalità di formazione permanen-

te del personale (specializzazione)° realizzare l’integrazione sociosanitaria effettiva, nei

tre livelli: istituzionale, gestionale, professionale° riequilibrare sapientemente e saggiamente robuste

(credibili) cure formali con quelle informali (sussi-diarie), riconoscendo l’enorme lavoro di cura(ineludibile ed inevitabile) delle famiglie, ed inse-rire in questo nuovo contesto l’innovazione deinuovi dispositivi ICT, delle nuove piattaforme in-formatiche (uniche che consentono effettivacondivisione delle informazioni anche di elevatarilevanza clinica), delle strumentazioni biomedicalie dei sensori vitali ed ambientali; nel pieno rispet-to dei principi e delle pratiche di umanizzazione epersonalizzazione degli interventi di cura ed assi-stenza a domicilio

° dimostrare il valore (value) dell’uso della integratedhome care, nuovo termine omnicomprensivo dellacongiunzione di cure sanitarie ed assistenza-sup-porto sociale, del “tocco umano e tecnologico”,per elevare la qualità di vita delle persone e deifamiliari care givers, dei servizi, di facile accessibi-lità, con costi sostenibili di questi nuovi approcci

° ridurre (evitare) il deterioramento delle condizionipersonali e familiari, contenendo l’incremento del-l’uso inappropriato dei servizi, gli accessiinappropriati in ospedale e Pronto Soccorso, an-che grazie al monitoraggio efficace a distanza (conle tecnologie appropriate) di situazioni cliniche edambientali condizionate dall’instabilità e dalla per-

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dita ingravescente dell’autonomia. Tutto questo aprotezione e sicurezza della fragilità e delle malat-tie long term, per una concreta affermazione dellaproattività e della prevenzione delle recidive dellemalattie long term, delle criticità ed emergenzeevitabili, dell’esclusione sociale.

Paolo Da Col, referente nazionale CARD,Area Cure Domiciliari

Riflessioni sul Congresso Mondiale di ria-bilitazione psicosocialeMilano 10-13 novembre 2012

Il concetto di riabilitazione ha fatto il suo ingressonel campo della salute mentale poco più di trent’annifa, con la prospettiva aperta dall’OrganizzazioneMondiale della Sanità (OMS) attraverso la distinzio-ne tra malattia, menomazione, disabilità e handicap.Anche se l’eccessiva semplificazione di una progres-sione lineare dalla malattia all’handicap, in cui lamalattia è al vertice della catena causale, fa conside-rare questo schema oggi in parte superato, il valoreinnovativo del suo trasferimento alla psichiatria ri-sultò a quel tempo evidente. Infatti la disabilità, de-finita come limitazione o perdita di capacitàfunzionali prodotte da una menomazione, e l’handi-cap, risultante dall’interazione tra il contesto e il sog-getto malato potevano essere indicate come oggettodella riabilitazione, indipendentemente dalla malat-tia. Per effetto di questa nuova prospettiva fu fonda-ta nel 1986 la World Association for PsychosocialRehabilitation (WAPR), che tenne in quell’anno ilsuo primo congresso.Un passo successivo fu compiuto nel 1996 da unadichiarazione di consenso dell’OMS, che definiva lariabilitazione psicosociale come un processo che for-nisce agli individui con una disabilità o un handicapdovuto a una malattia mentale le opportunità perraggiungere un livello ottimale di funzionamentoindipendente nella società. A questo fine la riabilita-zione doveva investire diversi livelli, dalle istituzioni

di cura ai contesti abitativi e lavorativi fino all’interasocietà, diventando parte essenziale e integrante del-la presa in carico complessiva degli individui porta-tori di disabilità col coinvolgimento di numerosi sog-getti: gli utenti, gli operatori, le famiglie, i datori dilavoro, i dirigenti e gli amministratori dei servizi, lacomunità intera. Questa visione, più che delimitareun campo specifico, accentuava l’aspetto trasversaledella riabilitazione rispetto all’intero spettro dellepratiche psichiatriche, come divenne più evidente conl’adozione nel 2001 da parte dell’OMS di una nuovaclassificazione delle disabilità, che superava i limiti diquella del 1980, cioè l’ICF (Classificazione interna-zionale del funzionamento, della disabilità e della sa-lute). Si è trattato di una radicale innovazione, che haaccantonato la visione sequenziale ancora presentenella dichiarazione del 1996, proponendo un model-lo circolare e interattivo in cui l’equilibrio tra condi-zioni di salute, risorse personali, fattori ambientali,funzionamento somatico e psicologico, determinalivello e qualità di partecipazione dell’individuo al-l’ambiente sociale. Proprio le implicazioni per la sa-lute mentale di questo modello complesso hannoavuto un posto di rilievo nell’ultimo congresso dellaWAPR, che si è tenuto a Milano nel novembre 2012.Dal 1986 la WAPR ha organizzato undici congressie quello di Milano ci offre l’occasione di fare il puntosu un settore che ha visto negli ultimi anni tumultuo-se trasformazioni.Il titolo del congresso era Cambiare le idee le pratichei servizi e in effetti, forse al di là delle intenzioni deglistessi organizzatori, nel corso delle giornate che han-no impegnato oltre 1500 partecipanti sono emersimolti cambiamenti significativi nello scenario dellariabilitazione psicosociale.La partecipazione è’ stata rilevante per quantità equalità, sia dal punto di vista della provenienza geo-grafica, che della distribuzione per discipline e cate-gorie professionali. Riguardo al primo aspetto ben70 paesi di tutti i continenti sono stati rappresentati,con un contributo significativo dall’America Latina,dall’Africa e dall’Asia Orientale, che ha permesso diconfrontare pratiche e punti di vista che oltrepassanoi confini ormai angusti dell’Europa occidentale e delNordamerica, da cui tradizionalmente proviene il

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pubblico che popola i congressi psichiatrici. Si è anziverificata un’inversione rispetto alle attese, per cui dapaesi limitrofi all’Italia come la Francia e la Germa-nia non c’è stato l’afflusso sperato, mentre è statasorprendente la presenza dal Brasile, dal Canada, dal-la Corea, dal Giappone e dall’Australia.Alla varietà geografica ha fatto riscontro la varietàmultidisciplinare. Per la prima volta gli psichiatri nonsono stati il gruppo più numeroso in un congressodella WAPR, sorpassati dagli psicologi. E’ stata assaisignificativa la presenza di educatori e tecnici dellariabilitazione e più rilevante che in precedenti occa-sioni la partecipazione degli utenti. La WAPR harafforzato la sua caratteristica di essere al tempo stes-so una società scientifica, un’organizzazionemultidisciplinare aperta a tutte le professioni d’aiuto,senza identificarsi con nessuna di esse, un gruppo dipressione per i diritti umani delle persone con distur-bi mentali, un luogo dove si confrontano utenti, pro-fessionisti, ricercatori e amministratori.Quali indicazioni nuove sono emerse dal congressodi Milano ? Innanzitutto la riabilitazione psicosocialenon va considerata una tecnica, ma un approccio stra-tegico che interviene all’interfaccia tra l’individuocon la sua soggettività, la sua rete interpersonale e ilcontesto sociale allargato. In secondo luogo il puntodi vista della riabilitazione è umanistico, nonmeramente umanitario e tiene assieme il rigore scien-tifico con l’etica e i valori. In terzo luogo la riabilita-zione si rivolge non alla cronicità ma alla disabilitànel funzionamento sociale e l’inclusione sociale è ilsuo obiettivo unificante. Oggi sappiamo che diffi-coltà nel funzionamento sociale sono presenti all’esor-dio di molti disturbi mentali gravi e forse anche loprecedono, per questo il congresso ha dato ampiospazio alla riabilitazione negli interventi precoci.Anche in condizioni acute, come i disturbi post-trau-matici da stress in conseguenza di disastri il ruolodella riabilitazione va riconosciuto. Infine il bersagliodella riabilitazione sono i fattori di rischio psicosocialiconnessi allo sviluppo e al mantenimento delledisabilità sociali correlate ai disturbi mentali, ma nonnecessariamente causate da essi. Per questo lo sguar-do dell’epidemiologica sta dando un contributo im-portante, per esempio con una nuova generazione

di studi di esito, in cui gli indicatori a livello sociale einterpersonale sono distinti da quelli clinici tradizio-nali.Nel il resoconto di un congresso raramente si consi-derano gli aspetti organizzativi ed economici, su cuiinvece ci soffermiamo perché sono risultati elementiformali che hanno avuto un valore sostanziale.L’organizzazione si è mossa con una modalitàpartecipativa e responsabilizzante, costituendo uncomitato promotore, formato da trenta componentirappresentativi di diverse realtà professionali, scien-tifiche e geografiche, responsabili della buona riusci-ta, anche economica, del congresso. Questo gruppoha avuto un ruolo centrale nella definizione del pro-gramma, nelle scelte strategiche e di contenuto piùimportanti: dal formato, ai relatori delle plenarie edei simposi principali, alla gestione dell’ospitalità edelle spese, svolgendo una funzione straordinaria nelcoinvolgere operatori dei servizi pubblici e del terzosettore, familiari e utenti, sia come relatori che comesemplici partecipanti.Nella fase preparatoria la crisi economica si è mani-festata in tutta la sua inaspettata e inedita gravità. Ladisponibilità ad un supporto economico di istituzionilocali e nazionali si è vanificata, con l’eccezione di unpiccolo contributo regionale. Tra i finanziatori l’in-dustria farmaceutica è stata il grande assente. Nessu-na azienda ha sponsorizzato l’evento con un finanzia-mento diretto e soltanto due sono intervenute acqui-stando iscrizioni per la cifra complessiva di 10.000euro. Piccoli contributi, fra i 500 e i 6000 euro, sonovenuti da organismi del terzo settore, servizi e caseeditrici. Nel complesso questo tipo di supporto, dif-fuso e modesto, ha permesso di raccogliere 32.000euro. La frammentarietà ha consentitorappresentatività e coinvolgimento dei numerosi at-tori presenti sulla scena della salute mentale.Questi aspetti economici hanno avuto alcune conse-guenze: il congresso è stato sobrio e povero per gliaspetti accessori, ma ricco in partecipazione e dibat-tito. Senza un afflusso di partecipanti superiore a ogniprevisione gli organizzatori sarebbero andati in ban-carotta.Nel programma sono stati inclusi alcuni fra i temipiù importanti e innovativi del dibattito in salute

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mentale: i determinanti sociali dei disturbi mentali;il ruolo crescente delle organizzazioni non governati-ve nell’offerta di cura; la revisione critica delle tera-pie farmacologiche, l’efficacia dell’approcciopsicosociale agli interventi precoci.In aggiunta ai formati congressuali sono state offertedue modalità di presentazione che hanno riscossosuccesso: le sessioni video e lo speakers’ corner. In ap-posite sessioni sono stati presentati numerosi video eprodotti multimediali, che hanno documentate espe-rienze dirette di disagio ma anche di inclusione socia-le, mentre lo speakers’ corner ha permesso a numerosirelatori di svolgere le proprie presentazioni in unospazio aperto e informale, con un’interazione direttacol pubblico, imponendo uno stile caratterizzato daessenzialità dei dati quantitativi, efficacia di comuni-cazione e intreccio tra domande e risposte.La riuscita del congresso è stata dovuta all’entusia-smo degli organizzatori, alla semplicità delle scelte ealla sinergia tematica tra scienza, etica ed esperienza,senza sacrificare la qualità dell’offerta scientifica. E’possibile prefigurare un modello organizzativo digrandi eventi che rinuncia agli sprechi, promuove lapartecipazione e accoglie ospiti da ogni parte delmondo.

Angelo Barbato, Barbara D’Avanzo,Martine Vallarino

Laboratorio di Epidemiologia e Psichiatria Sociale,Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri,

Milano

ICGM 2013 - International Conference onGender and Migration: Critical Issues andPolicy Implications11-13 Maggio 2013, Marmara University,Istanbul-Turchia

La Conferenza di Istanbul su Migrazione e Differen-ze di Genere è stata un successo di pubblico e dicontenuti. La conferenza è stata organizzata dalLondon Centre for Social Studies (LCSS) in collabo-razione con il Gender Institute at the London School

of Economics (LSE), il Centro di ricerca Politica eMigrazione dell’ Università di Swansea ed il Diparti-mento di Sociologia dell’Università degli Studi diMarmara di Istambul.Le sessioni plenarie (tre) hanno riguardato Genere emigrazione: teoria, politica e pratica; Rapporti trateoria, politica e pratica nell’agenda politica globaleper affrontare i problemi di parità di genere nel con-testo migratorio; Processo di migrazione rurale-ur-bano e dinamica della partecipazione al mercato dellavoro delle donne migranti. Le interessanti comuni-cazioni orali sono state inserite in 24 sessioni paralle-le; le principali tematiche trattate hanno riguardatoTransnazionalismo e diaspore di genere, Genere emigrazione per lavoro, Violenza di genere e migra-zioni forzate, Migrazione e genere nei media, Sanitàe donne migranti, Relazioni familiari delle donnemigranti. La discussione creatasi intorno agli argo-menti delle varie sessioni -che ha visto protagonistiantropologi, sociologici, medici ed economisti se-condo un approccio multidisciplinare integrato- haapprofondito, sia dal punto di vista teorico che attra-verso dati oggettivi ed esperienziali, il concetto digenere come costruzione sociale, l’identità e leinterrelazioni di genere, le ineguaglianze nel fenome-no migratorio, la tradizione e le relazioni di potere, lamigrazione forzata e i contesti legali e sociali, i modiin cui il gender permea una varietà di pratiche, identi-tà ed istituzioni implicate nella migrazione che por-tano a diversi impatti politici e differenti risultati.Indipendentemente dalle cause della migrazione, cisono una serie di combinazione di fattori che posso-no giocare un ruolo diverso per gli uomini e per ledonne nel processo di migrazione. Mentre in molticasi la migrazione può migliorare le condizioni divita delle donne, fornendo più reddito e un migliorestatus sociale, in altri casi - soprattutto se sono immi-grate irregolari – le donne possono anche andare in-contro ad abusi e discriminazioni più degli uomini.Alla conferenza hanno partecipato più di 120 studio-si provenienti da circa 40 nazioni; dall’Italia hannopartecipato 11 ricercatori provenienti da Universitàdi Palermo (Roberta Teresa Di Rosa), Università diNapoli (Lea Nocera), Università di Bologna (MadiaFerretti), Istituto Nazionale Migrazione e Povertà

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(Maria Concetta Segneri) e Università di Perugia(Ilaria Bernardini, Martina Celidoni, ManuelaChiavarini, Donatella Lanari, Liliana Minelli, LucaPieroni e Luca Salmasi).I ricercatori italiani presenti alla Conferenza hannocontribuito allo svolgimento dei lavori presiedendosessioni e presentando sei interessanti contributi:11 Proximity facing migration: family violence andabuse in migrant women’s experience (Roberta Te-resa Di Rosa).12 The hard search for modernity: the Turkishfemale worker migration in Germany (Lea Nocera).13 Female Genital Mutilations and InternationalProtection: when there is a right in the acceptanceand in the refusal of a corporeal modification ( MariaConcetta Segneri, Madia Ferretti).14 Migration policy and child birth outcome ofmigrant women: positive externality from the anti-migration law in Italy (Luca Pieroni, Luca Salmasi).15 Self-perceived health and depression: the case ofolder Eastern European immigrants living in Europe(Donatella Lanari, Ilaria Bernardini, Martina Celidoni,Manuela Chiavarini, Liliana Minelli).16 Socio-demographic determinants of migrantwomen and access equality to prenatal care in Italy(Manuela Chiavarini, Donatella Lanari, LilianaMinelli, Luca Pieroni, Luca Salmasi)

Manuela Chiavarini, Dottore di ricerca in Educa-zione sanitaria, Università degli Studi di Perugia

Status Report on Alcohol and Health in35 Paesi Europei - 2013

L’alcol è al terzo posto tra i fattori di rischio percarico di malattia e in Europa è il consumo di alcol èquasi il doppio della media mondiale. La RegioneEuropea è stata la prima regione OMS ad adottareuna politica specifica a supporto degli Stati membrinel 1992, e più recentemente, un piano d’azione perl’attuazione della strategia globale per ridurre l’usonocivo di alcol nel 2011.Un compito importante per l’Ufficio regionale OMS

per l’Europa è quello di monitorare l’avanzamento,l’impatto e l’attuazione del piano d’azione. Nel 2002,l’Ufficio ha istituito il sistema informativo europeosu alcol e salute, che ora fa parte integrante del siste-ma informativo globale. Il database comprende unaserie di indicatori specifici per l’Europa, e dal 2008 èstato sviluppato in collaborazione con la Commis-sione europea. L’informazione raccolta è, quindi, uti-lizzata per controllare sia la strategia sull’alcol del-l’Unione europea che il Piano d’azione europeo perridurre l’uso nocivo di alcol 2012-2020.Il Rapporto appena pubblicato riguarda gli Statimembri dell’UE, la Croazia (entrata a far parte del-l’Unione europea il 1° luglio 2013), l’Islanda, ilMontenegro, la Serbia, l’ex Repubblica iugoslava diMacedonia e la Turchia (paesi candidati), la Norve-gia e la Svizzera.Il rapporto è suddiviso in tre parti. La prima copre iconsumi e danni. La seconda parte riguarda le politi-che di risposta nei 10 settori di azione del piano d’azio-ne europeo. La terza parte presenta in modo innova-tivo le principali fasi e azioni nello sviluppo dellepolitiche attive intraprese per ridurre i danni alcol-correlati per paese e per anno (2006-2012). Prossi-mamente sarà attivato un database online che forniràinformazioni aggiornate con scadenze regolari.

World Tobacco Day

L’eliminazione della pubblicità, della promozione edella sponsorizzazione dei prodotti del tabacco è sta-to il tema dell’edizione 2013 del World No TobaccoDay. Questo tema rientra tra gli obiettivi definitinella Convenzione Quadro per il controllo del tabac-co (Who Framework Convention for TobaccoControl, Who Fctc) e in particolare coincide conl’implementazione dell’articolo 13 che impone a tuttigli Stati membri firmatari la piena abolizione entro 5anni dalla loro adesione alla Convenzione.È ormaiprovato, infatti, che abolendo qualsiasi forma di pub-blicitaria dei prodotti del tabacco si contiene sial’iniziazione al fumo sia il mantenimento dell’abitu-dine. Il raggiungimento di questo obiettivo si declina

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su 4 fronti, contrastando: i messaggi illusori e fuor-vianti delle campagne promosse dall’industria deltabacco, l’esposizione dei giovani ai prodotti del ta-bacco, la mancanza di autodisciplina/autoregolazioneda parte dell’industria del tabacco, l’inefficacia delleabolizioni parziali. Nonostante ciò, il Who Reporton the global tobacco epidemic, 2011 documentache solo il 6% della popolazione mondiale è effetti-vamente protetto da questa fonte di influenza. Tuttociò mette in evidenza come il problema del fumo sistia sempre più spostando da una questione di com-portamenti individuali più o meno consapevoli a undeterminante di salute della popolazione, da affron-tare con politiche sanitarie coordinate.

Programma Ccm 2013

Approvato il programma annuale di attività per il2013 del Centro nazionale per la prevenzione e ilcontrollo delle malattie. Così come previsto dal DM1 marzo 2013 anche quest’anno il programma saràprioritariamente dedicato al sostegno del Piano na-zionale della prevenzione e del programmaGuadagnare Salute, nonché al supporto di progettistrategici di interesse nazionale.Della disponibilità economica per il 2013, pari a19.001.665 euro, salvo accantonamenti, circa i dueterzi sono stati ripartiti a favore delle linee progettuali(implementazione di Pnp e Guadagnare Salute e diprogetti strategici di interesse nazionale) e un terzocirca per lo svolgimento delle azioni centrali (funzio-namento, attività e personale). Al fine di sostenere leRegioni nell’attuazione del Pnp si è ritenuto oppor-tuno riconfermare per l’anno 2013 la struttura deiprogrammi dei due precedenti anni, essenzialmentemutuata sulla struttura del piano stesso, individuan-do, oltre alla sorveglianza epidemiologica innovativa,quali aree di intervento la prevenzione universale, lamedicina predittiva, la prevenzione nella popolazio-ne a rischio, la prevenzione delle complicanze e reci-dive di malattia. All’ambito dei progetti strategici diinteresse nazionale afferiscono, progetti trasversali edi sistema di supporto alle Regioni, coerenti con la

mission del Ccm ma non direttamente riferibili alPnp o a Guadagnare salute. Il programma Ccm 2013ribadisce l’iter procedurale adottato negli ultimi anni.Al fine di rendere gli interventi promossi sempre piùvicini alle esigenzedel territorio, anche quest’anno gli accordi di colla-borazione necessari alla realizzazione dei progetti sa-ranno direttamente stipulati tra il ministero dellaSalute e le singole Regioni e Province Autonome,Iss, Inail ed Agenas.

8th World Alliance for Risk Factor Surveil-lance Global Conference (WARFS 2013)

L’8 ° Conferenza Globale dell’Alleanza Mondiale perla Sorveglianza dei Fattori di Rischio (WARFS 2013)si terrà dal 29 ottobre al 1 novembre 2013 a Pechino,Cina. Questa conferenza segue una serie di conferen-ze molto interessanti a cominciare da USA (Atlanta),1999; Finlandia (Tuusula), 2001; Australia (Noosa),2003; Uruguay (Montevideo), 2005; Italia (Roma),2007; Italia (Venezia) 2009, e Canada (Toronto), 2011.WARFS 2013 è co-ospitato dal Centro cinese per ilcontrollo e la prevenzione delle malattie e la cinesePreventive Medicine Association.WARFS è il gruppo di lavoro globale sulla sorve-glianza de fattori di rischo della Unione Internazio-nale per la Promozione della Salute e l’Educazionealla salute (IUHPE). Supporta lo sviluppo di azionidi sorveglianza dei fattori di rischio (BRFS) comestrumento per la evidence-based Public Health, rico-noscendo l’importanza di questa fonte di informa-zione per informare, monitorare e valutare la pre-venzione delle malattie e la promozione della salute.WARFS mira a (1) integrare la sorveglianza comestrumento principale del lavoro corrente di promo-zione della salute, (2) mettere a punto la definizionee la struttura concettuale di BRFS che possono esserecondivisi e discussi a livello globale, (3) servire comeriferimento per ricercatori, professionisti BRFS,ed ipaesi che si stanno sviluppando BRFS, e (4) condivi-dere risultati ed esperienze con la comunità IUHPEper facilitare la discussione per quanto riguarda il

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ruolo di BRFS. La IUHPE è una organizzazione non-profit globale la cui missione è di promuovere lasalute globale e contribuire al raggiungimento di equi-tà nella salute tra e all’interno dei paesi del mondo.WARFS 2013 continuerà a perseguire gli obiettivi dicui sopra concentrandosi su “sfide nello sviluppo diBehaviour Risk Factors Surveillance globale per ilmonitoraggio malattie non trasmissibili e i determi-nanti sociali della salute”.

Società Italiana per la Promozione dellasalute

La SIPS conta ad oggi 264 soci presenti in 18 regioniitaliane. Le regioni Liguria e Toscana hanno eletto iloro organi regionali e contano ad oggi il maggiornumero di iscritti. Varie altre regioni hanno superatoil numero minimo statutario per procedere alla con-vocazione delle assemblee regionali. In altre regionisono iniziate le campagna di iscrizione. Dalla datadella fondazione siamo cresciuti in media di 15,5iscritti al mese. Nei prossimi mesi i gruppi SIPS delLazio e del Molise terranno le loro prime Conferenzeregionali.(rif. Newsletter SIPS n. 14 giugno anno II,www.sipsalute.it).

Società Italiana di Igiene Medicina Preven-tiva e Sanità Pubblica

Nei giorni 30-31 maggio 2013 si è svolto il Conve-gno Nazionale SItI “CASTELBRANDO 6”: PRO-MUOVERE LA SALUTE PER CONCORREREAL SUPERAMENTO DELLA CRISI. Sono inter-venuti 400 partecipanti che hanno lavorato 2 giornisul programma messo a punto dai due presidenti,Vittorio Carreri (Coordinatore Onorario del Colle-gio Operatori) e Sandro Cinquetti0, (Coordinato-re del Collegio degli Operatori). Al termine i parte-cipanti hanno condiviso una mozione finale che sot-

tolinea come si debbano eliminare gli sprechi, ag-giornare i LEA, garantire l’assistenza ai soggetti piùfragili, qualificare la spesa sanitaria e immettere latutela della salute nella programmazione dei varicomparti nonché in tutte le attività principali chepossono concorre all’uscita dalla crisi e finalmente alrilancio occupazionale, sociale ed economico dell’Ita-lia. Gli atti del Convegno saranno pubblicati su unarivista igienistica nazionale accreditata.

Rete Italiana Culture DELLA Salute (RICS)CIPES/AIES - I Conferenza Nazionale

Giovedì 13 e venerdì 14 giugno 2013 si è svolta la IConferenza Nazionale di Educazione e Promozionedella Salute della RICS presso l’aula Celli del Dipar-timento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, valea dire l’aula storica del “vecchio” Istituto di Igiene,uno dei templi della sanità pubblica universitaria ita-liana. E’ stata la prima uscita della nuova associazio-ne di promozione sociale che vuole rispondere allenumerose istanze che la sanità pubblica genera nellemoderne visioni di sviluppo della società, proseguen-do la tradizione della Scuola di Igiene di Perugia nelcui alveo, sotto la guida di Alessandro Seppilli, sononate e si sono sviluppate CIPES e AIES.Volevamo essere accoglienti e coinvolgenti e la Con-ferenza è stata partecipata ed emozionate, ma la va-lutazione dell’evento avverrà nel tempo e sarà positi-va se la sua traccia sarà persistente nelle persone cheabbiamo incontrato. Sono state presenti 87 personedurante la prima giornata e 75 nella seconda. La reteè arrivata a contare 52 soci, 5 dei quali collettivi(AIES Sicilia, CIPES Piemonte, AIES Ortonovo,SISM, DOORS).La prima sessione della Conferenza ha ospitato nelpomeriggio della prima giornata, una riflessione suitemi della promozione della salute dando voce alleesperienze che si realizzano tra i soci di riferimentodella Rete è stata ricca di riflessioni importanti; lemoderazioni delle tre tematiche in programma (i“Temi”, le “Esperienze” e i “Luoghi” della Promozio-

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ne della salute) sono state interpretate da MariaAntonia Modolo, Sante Bajardi e Lamberto Briziarelliin modo esemplare; i moderatori, con la loro grandeesperienza, hanno saputo guidare i primi passi dellanuova associazione.La sera della prima serata la Conferenza, volendosiporre come punto d’incontro con altri soggetti, havoluto offrire con la collaborazione di Agiscuola, laproiezione del film “Cesare deve morire” dei fratelliTaviani, in quanto costituente il punto terminale delpercorso multidimensionale di “Salute e Carcere” cheha preceduto l’evento. Luciana Della Fornace, Presi-dente di Agiscuola, ha introdotto la proiezione eGrazia Volpi, produttrice del film, ha partecipato alladiscussione che è stata un momento di arricchimentoper i partecipanti.La seconda giornata si è aperta affrontando il nodocruciale degli stili di vita su alimentazione esedentarietà, facendo incontrare nutrizionisti eigienisti sul terreno comune della salute pubblica. Lacollaborazione con la SINU ha dato ricchezza e qua-lità alla sessione e la scelta di affrontare contempora-neamente i temi della nutrizione e quelli dell’attivitàmotoria ha raccolto unanime consenso.E’ stata molto interessante la presentazione dei libri

“101 motivi per smettere di fumare” e “Come smet-ter di fumare con la sigaretta elettronica” che ha coin-volto fortemente il pubblico sul tema del controllodel tabagismo.A seguire si è tenuta la tavola rotonda centrata suiracconti di SIMM (Medicina della Migrazione),RIISG (Insegnamento Salute globale) e SISM(Segretariato Italiano Studenti in Medicina), che han-no narrato le storie della nuova sanità pubblica, di-scutendo sui temi cari alla salute globale: i determi-nanti sociali di salute, la cooperazione allo sviluppo,la salute dei migranti.E alla fine la parola è tornata agli attori dell’associa-zione per scambiare conoscenze e aspirazioni nellasessione finale di comunicazioni/poster. 10 comuni-cazioni orali e 14 poster è stato il contributo dato daisoci e fino all’ultima comunicazione il clima è statostraordinariamente positivo.

Giancarlo Pocetta, Centro Sperimentale per l’Educa-zione Sanitaria, Università degli studi di Perugia

Testata bimestrale del Centro spermentale per l’educazione sanitariaUniversità degli studi di PerugiaDirettore Maria Antonia Modolo

Edita dalla Fondazione Angelo Celli per una cultura della salute (Perugia)Per informazioni e abbonamenti:

Centro spermentale per l’educazione sanitariavia del Giochetto, 6 , 06126 Perugia - tf. 075.5857355-57

e-mail: [email protected] / [email protected]

AMRivista della Società Italiana di Antropologia Medica

Testata semestrale della Fondazione Angelo Celli per una cultura della salute (Perugia)Realizzata con la collaborazione della Sezione antropologica del Dipartimento Uomo &

Territorio della Università degli Studi di PerugiaDirettore Tullio Seppilli

Per informazioni: Fondazione Angelo Celli per una cultura della saluteStrada Ponte d’Oddi, 9 (ex Monastero Santa Caterina vecchia), 06125 Perugia

Tel. 075 41.508 - Fax 075 584.0812

L’Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Alcool nasce nel marzo 1991 con l’intento diraccogliere e mettere a disposizione della comunità scientifica e della collettività naziona-le informazioni e scientificamente attendibili sulle modalità di consumo di bevande alco-liche e sulle relative problematiche nella popolazione giovanile italiana.In questi anni la missione dell’Osservatorio è stata quella di promuovere ricerche, in un’otticadi integrazione interdisciplinare finalizzata ad ottenere una visione globale del fenomeno.A partire da un approccio bio-psico-sociale delle problematiche alcool correlate, l’Osser-vatorio ha voluto integrare ed allargare la dimensione ”sanitaria” del problema approfon-dendo gli aspetti psicosociali ed antropologico-culturali dei comportamenti individuali ecollettivi, compresi gli aspetti economici e quelli politico-legislativi.Ispirandosi ai principi dell’“alcologia sociale” che, specie a livello europeo, trova semprepiù consensi, l’Osservatorio ha esercitato un ruolo primario nell’identificare strategie diprevenzione dell’eccedenza efficaci e consapevoli delle differenze culturali e comporta-mentali.La crescente attenzione per le problematiche alcool correlate ha posto l’esigenza di strut-turare maggiormente l’Osservatorio dal punto di vista organizzativo, ampliando il nume-ro dei suoi partner.I mutamenti delle realtà giovanili e la crescente globalizzazione hanno inoltre reso neces-sario un allargamento delle tematiche ai comportamenti alimentari e agli stili di vita deigiovani ed un rafforzamento del network europeo, per garantire la realizzazione di ricerchecomparate e l’elaborazione di strategie di prevenzione adattabili in diversi paesi.In questa ottica una sempre maggiore enfasi verrà posta sulla promozione di collaborazio-ni internazionali che permetteranno il confronto e lo scambio di esperienze e la collabora-zione reciproca fra strutture ed esperti ai massimi livelli.

ObiettiviNel fornire aggiornate informazioni sul comportamento connesso al bere della popolazio-ne l’Osservatorio vuole essere:- Uno strumento per operatori e policy makers del settore- Un’affidabile fonte di interpretazione sul consumo d’alcool e politiche sociali- Un’agenzia permanente di valutazione e monitoraggio dei fenomeni delle misure pre-

ventiveIl complesso di queste attività è finalizzato alla promozione di un consumo d’alcool re-

sponsabile. In quanto laboratorio di riflessione sulle fenomenologie di consumo legateall’alcool, l’Osservatorio si pone in particolare i seguenti obiettivi:

- Fornire in modo permanente dati ed informazioni aggiornate sui comportamenti degliitaliani nei confronti del bere

- Promuovere fra le varie fasce e categorie della popolazione italiana un comportamentoresponsabile nei confronti dell’alcool

- Contribuire a prevenire i consumi smodati, gli eccessi e l’insieme dei comportamenti arischio legati all’assunzione di alcool

- Contribuire a sviluppare e definire politiche alcol correlate più efficaci, attraverso unamaggiore attenzione alle caratteristiche regionali delle comunità locali di auto regolarsi

Presidente onorario: Umberto VERONESI

Presidente: Giancarlo TRENTINI

Vice-Presidenti: Michele CONTEL, Amedeo COTTINO

Presidente del laboratorio scientifico: Enrico TEMPESTA

Finito di stampare nel mese di giugno 2013