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1997-2017VinoVip Cortina20 Years11th EditionCortina d’Ampezzo

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VinoVipCortina

Il rischio è il nostro mestiereOccupandoci di vino, la vita potrebbe essere più tranquilla. Organizzare un evento come VinoVip a Cortina è invece un’ardua impresa ad alta tensione: due giorni, quattro location, di cui due oltre duemila metri, duemila bottiglie di vino, tremila calici, due alberghi di lusso, due funivie, duemila persone da gestire. Il tutto con una certa cura dei dettagli. Siamo un po’ spericolati, ma tutto è bene ciò che �nisce bene e abbiamo anche potuto godere del BBQ ad alta quota, nonostante gli acquazzoni. D’altronde, senza questi elementi di rischio tipicamente montani, non sarebbe VinoVip e non resterebbe un ricordo indelebile. Un ricordo di Dolomiti imponenti e maestose etichette, alcune debuttanti, grandi personaltà di settore, e dibattiti su temi molto attuali. Un cocktail micidiale, che cercheremo di raccontarvi, a futura memoria, nelle pagine che seguono. In chiosa, vorremmo evidenziare il momento per noi più toccante: l’annuncio e la consegna del Premio Khail a Pio Bo�a di Pio Cesare, ambasciatore del vino italiano nel mondo.

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La forza della terradall’alto verso il basso Lorenzo Bernini del gruppo Alejandro Bulgheroni Family Vineyards, Ernesto Abbona di Marchesi di Barolo, Andrea Lonardi di Bertani Domains, Roberta Urso di Cantine Settesoli, Cesare Intrieri dell’Università di Bologna

Comunicare la complessità dall’alto verso il basso Pedro Ballesteros Torres MW, il sommelier Charlie Arturaola, David Way del Wset, Raffaele Boscaini di Masi Agricola, Andrea Cecchi, Pio Boffa di Pio Cesare, il giornalista-produttore Bruno Vespa

le masterclass

1La forza della terra

2Comunicarela complessità

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le masterclass

Granelli di pensieroda cui germogliano idee

Tre momenti di confronto fra le diverse anime del vino italiano › Il primo seminario è stato incentrato sul ruolo del suolo nella personalità del vino › Il secondo ha dibattuto la diffi coltà di trasmettere i tanti volti e i differenti aspetti delle produzioni nazionali › L’ultimo incontro ha affrontato il tema attuale e controverso della sostenibilità

di Anita Franzon

«Un seminario è un luogo e un’occasione per spargere qua e là un seme, un granello di pen-siero meditativo che prima o poi, una volta o l’altra, a modo suo, potrà schiudersi e dare frut-ti», scrive Martin Heidegger nel saggio Identità e Di� erenza (Identität und Di� erenz, 1957). Questa de� nizione spiega alla perfezione lo spirito delle tre masterclass dedicate ad altret-tanti ambiti del vino che hanno aperto, il 9 luglio scorso, VinoVip Cortina 2017. «In questa sala del Grand Hotel Savoia non sveleremo segreti, né annunceremo scoop da telegiornale: saremmo solo felici di assistere al germogliamento di qualche idea. Sarebbe il risultato più grati� cante di un evento che avviene non solo ad alta quota, ma anche ad alti livelli grazie alla presenza di imprenditori di successo ed esperti di fama internazionale», a� erma il diret-tore di Civiltà del bere Alessandro Torcoli. A partire dalla terra, ovvero dal suolo come prin-cipale marcatore d’identità di un vino, passando per la comunicazione della complessità del vino italiano, � no all’analisi di un’enologia sempre più sensibile e attenta al gusto quanto alla salute: gli argomenti approfonditi s’incrociano e s’intersecano continuamente e hanno visto la partecipazione di un pubblico interessato e coinvolto, oltre che di numerosi interventi di produttori e operatori del settore.

La forza della terraL’importanza del suolo e il confronto tra diverse aree«Tutti noi agronomi siamo ossessionati dal raggiungimento dell’equilibrio in vigna, fattore che aiuta a ottenere uve di qualità». A parlare è Lorenzo Bernini, responsabile del settore viticolo delle aziende toscane di Alejandro Bulgheroni. Il relatore è stato suggerito da Pedro Parra, consulente vitivinicolo cileno di fama internazionale, che non ha potuto partecipare alla masterclass La forza della terra a causa di un’indisposizione. Il gruppo Bulgheroni, circa 300 ettari condotti con metodo biologico tra Chianti Classico, Montalcino e Bolgheri, collabora con Pedro Parra per la zonazione speci� ca dei vigneti, la cui gestione s’ispira a una � loso� a che si basa sul rispetto del suolo.Il primo seminario parte, dunque, dalle radici. Per ottenere qualità in vigna ed esprimereal meglio le caratteristiche dei diversi territori bisogna avere cura del suolo con l’aumentodell’ossigeno nel terreno e dell’attività microbica; dunque: della vita. Se la terra non è com-patta anche le radici riusciranno a penetrare con maggiore forza e profondità e sarannoin grado di estrarre gli elementi più caratteristici del luogo: «Perché una pianta senza unadeguato apparato radicale è come un atleta bravissimo, ma che non è in forma», spiegaBernini, che non ha dubbi: «La tipicità di un vino deriva dal nutrimento che la vite riesce aintercettare nel sottosuolo».A tal proposito sono intervenuti diversi produttori provenienti da varie parti della Peni-sola. Nelle Langhe, che non a caso devono il loro nome alle “lingue di terra” modellate negliultimi secoli dalla viticoltura «trasferiamo il suolo ai nostri vini», a� erma Ernesto Abbona,titolare di Marchesi di Barolo. «È questo l’unico modo per dare la possibilità al consumatore

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Verso un’enologiasostenibile dall’alto verso il basso Riccardo Cotarella, Pierluigi Donna del gruppo Sata, Miriam Lee Masciarelli, Angelo Maci di Cantine Due Palme, Patrizia Chiari di Tenuta L’Impostino, Stefano Stefanucci di Equalitas, Nadia Zenato, Mauro Brunetti di Fondazione per l’Istruzione Agraria in Perugia, Nicola Biasi, Luca Rigotti di Mezzacorona, Giovanni Casati di Genagricola, Albiera Antinori, Christian Scrinzi del Gruppo Italiano Vini

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3Verso un’enologia sensibile

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esperti. Io posso comunicare costantemente con i miei fol-lower sui vari social e lo posso fare in cinque lingue, ma un �lm arriva in tutte le parti del mondo: sono orgoglioso diportare un pezzettino di questa Italia del vino, che è la piùimportante per me e per la mia carriera».Un ulteriore spunto è arrivato da David Way, wine quali�-cations developer al Wset (Wine & Spirit Education Trust) diLondra che, fondata nel 1969, è la prima scuola per degusta-tori al mondo per di�usione. Alla provocazione di Alessan-dro Torcoli, secondo cui nei programmi Wset (attivi anchein Italia) non viene riservato abbastanza spazio al vino ita-liano, Way risponde così: «Il nostro obiettivo è parlare in uncontesto globale, attraverso uno standard che insegni a fareconnessioni e a valutare i vini in un ambito internazionale».Sono in�ne intervenuti nella discussione anche Ra�aeleBoscaini, direttore marketing e coordinatore del GruppoTecnico di Masi Agricola, che ha sottolineato l’importan-za di modulare la comunicazione in base al pubblico che siha di fronte; mentre Andrea Cecchi ha portato a esempio ilcaso emblematico del Chianti e del Chianti Classico: «Ab-biamo pensato di lavorare sul Chianti come tipo di vino e sul Chianti Classico come territorio, ma abbiamo dovuto cedere alla sempli�cazione, mentre molte aziende hanno preferitopuntare sulla brand identity e non sulla valorizzazione dell’a-rea». Pio Bo�a, titolare di Pio Cesare e neo Premio Khail,ha invece ribadito l’orgoglio di Langa e dei produttori pie-montesi che sono riusciti a comunicare da soli vini decisa-mente complessi come il Barolo e il Barbaresco.Ha chiuso il secondo seminario la testimonianza di BrunoVespa: «Il ruolo del giornalista è quello di sempli�care lacomplessità. Come diceva Montanelli: dobbiamo saper spie-gare al pubblico anche quello che non abbiamo capito», af-ferma il conduttore della trasmissione Rai Porta a Porta etitolare dell’azienda Vespa Vignaioli per passione in Puglia.Verso un’enologia sensibileUn approccio scienti�co alla sostenibilitàIntroducendo il terzo seminario Verso un’enologia sensibi-le, Alessandro Torcoli racconta: «Devo ammettere che, per una volta (credo l’unica) ho rubato un titolo. O meglio, si tratta di una citazione che merita una spiegazione. Lo scorso marzo, a Madrid, parlai con un Master of Wine, enologo di professione e neozelandese di origine, che mi raccontò della questione della sostenibilità in termini semplici, ma accatti-vanti. Si chiama Sam Harrop e mi disse che aveva deciso di lasciare altre attività per dedicarsi alla divulgazione di quella che lui de�nisce sympathetic wine making, enologia simpa-tetica, sensibile». Il tema dell’ecosostenibilità nel settore del vino è delicato quanto, ormai, essenziale. Bisogna, però, bilanciare i due estremi dell’ideologia naturale e dell’eccesso di chimica e tecnologia. A parlarne durante il terzo e ultimo incontro so-no stati due esponenti di approccio ed estrazione scienti�ca di�erente: un enologo e un agronomo.Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi e della com-

anche meno attento di percepire le sfumature del Barolo e dei suoi cru». Conoscere il suolo per rispettarlo è il primo passo che deve fare ogni viticoltore, «perché al suo interno convivono molte di�erenze, che portano le Langhe ad ave-re una situazione piuttosto eclettica», conclude Abbona, cui segue l’intervento di Andrea Lonardi, direttore operativo del gruppo Bertani Domains e promotore di una “viticoltu-ra di precisione” che rispecchi al massimo le caratteristiche dei diversi suoli. L’importanza della ricerca in tale ambito è fondamentale e lo ha ribadito anche Roberta Urso di Can-tine Settesoli, in Sicilia, dove i vigneti dell’azienda sono stati mappati per individuare i suoli adatti a ogni vitigno: «L’o-biettivo ambizioso è dare vita a un vino unico del nostro territorio». In conclusione Cesare Intrieri dell’Università di Bologna ha spostato il focus dal sottosuolo alla parte aerea della pianta, sottolineando che ai �ni della tipicità del vino sono importanti anche le tecniche agronomiche, come la defogliazione precoce.

Comunicare la complessitàCome raccontare la nostra ricchezzaDi�erenze di suoli, vitigni e anche metodi colturali, oltre che culturali, rendono l’Italia del vino estremamente complessa. Si pensi al numero delle varietà autoctone (800, di cui 300 autorizzate) e delle Dop (407 tra Doc e Docg) suddivise in 20 regioni e 7.982 comuni, molti dei quali “Città del vino”. Ma stiamo comunicando nel modo giusto questa ricchezza? Alla domanda, posta dal secondo seminario della giornata dal titolo Comunicare la complessità, hanno risposto tre �gure importanti nel mondo enologico che hanno dimo-strato come possano coesistere punti di vista molto diversi.Lo spagnolo Pedro Ballesteros Torres, Master of Wine, hade�nito la complessità suddividendola in quattro elementi(naturali, individuali, sociali e politici) delineando un per-corso che ha portato a vederla come un elemento positivo,in particolare per i prodotti fermentati come il vino. Ma nonè possibile considerare questa de�nizione come universale,perché essa cambia nel tempo e nello spazio. «Riconoscereun vino come complesso è un atto di umiltà e necessita diuno sforzo culturale», dichiara Ballesteros, che sottolineacome apprezzare questo elemento non sia una prerogativadi chiunque si approcci alla degustazione. «Per questo moti-vo la complessità non è adatta a una comunicazione globaleche, invece, richiede semplicità e standardizzazione», con-clude il Master of Wine.Charlie Arturaola, sommelier ed esperto in comunicazio-ne, ha raccontato l’Italia del vino in diverse pellicole. È que-sto il modo di narrare la complessità secondo Arturaola: unmetodo semplice e universale, che si discosta nettamente dal punto di vista del precedente relatore. Con il �lm �e Duelof Wine, Arturaola spiega: «La comunicazione deve esserefacile e sensibile, per arrivare a un palato che non ha mai as-saggiato un Nebbiolo, un Sangiovese o anche un Sagrantinodi Montefalco. Penso che i programmi televisivi e i socialnetwork siano pronti per confrontarsi con i sommelier più

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missione scienti�ca del Wine Research Team, e Pierluigi Donna, agronomo del gruppo Sata. Cotarella non ha dubbi: «Questo argomento necessita di essere chiarito, perché spes-so è trattato da persone che nulla sanno di questo lavoro e che consigliano come coltivare la vite. La chimica con è una strega, ma è una scienza che fa parte della nostra vita». Ricollegandosi al primo seminario, anche l’enologo evidenzia l’importanza del terreno e della cono-scenza scienti�ca. Per questo motivo è stato creato il Wrt, Wine Research Team, che porta avanti ricerche su 36 azien-de di cui 30 italiane indirizzate a una sensibilità sostenuta dalla scienza. Anche Pierluigi Donna conferma l’importan-za di un’indagine oggettiva: «Oltre 30 realtà hanno aderi-to a “Biopass” (marchio che tutela “biodiversità, paesaggio, ambiente, suolo e società”), andando a indagare sul tema della sostenibilità per poi condividere i risultati anche a li-vello internazionale e ampliare la conoscenza nei confronti di questi approcci».Diverse testimonianze dirette di addetti al settore hanno avvalorato ulteriormente le tesi dei due esperti: Miriam Lee Masciarelli, brand ambassador dell’omonima Cantina abruzzese ha portato l’esperienza di Emas: Eco-Management and Audit Scheme, un sistema comunitario di ecogestione e audit a cui possono aderire volontariamente le imprese e le organizzazioni che desiderano impegnarsi nel valutare e migliorare la propria e�cienza ambientale. Masciarelli è la prima azienda abruzzese su nove italiane ad aver creduto in questo progetto. Angelo Maci, presidente di Cantine Due Palme, da oltre 20 anni fornisce indicazioni alle aziende agricole sulla difesa �tosanitaria e promuove processi eco-sostenibili per la valorizzazione delle produzioni agroali-mentari pugliesi. Patrizia Chiari di Tenuta L’Impostino ha parlato del caso del Montecucco, territorio incastonato all’interno di un bosco impenetrabile. La consulenza del gruppo Sata ha dato all’azienda gli stru-

menti necessari per individuare le vigne da cui ottenere le riserve: «Confermo quello che ha detto Pierluigi Donna, perché questo strumento è fondamentale per la conoscenza, ma anche per l’economia». Viaggia sulla stessa strada Equa-litas, progetto che ha messo a punto uno standard di certi�-cazione basato sui tre pilastri della sostenibilità: ambientale, sociale, economica, il cui caso è stato riportato da Stefano Stefanucci. Nadia Zenato ha ribadito l’importanza di di-fendere il terroir microbico della vigna e del suo lavoro di ricerca con l’aiuto della Fondazione Edmund Mach.La possibile rilevanza delle micorrize, �glie di una relazio-ne simbiotica di un fungo con una pianta con bene�ci per entrambi i partner, è stata riportata da Mauro Brunetti di Fondazione per l’Istruzione agraria in Perugia che ha fat-to ricerche in collaborazione con l’Università. Si riapre co-sì il dibattito della relazione della vite con il terreno. L’80% delle piante sono colonizzate da micorrize, ma nei vigneti avviene in forma molto debole. Quando succede, la pianta aumenta la resistenza alla siccità e vi è un maggiore e diver-so sviluppo dell’apparato radicale.Nicola Biasi, enologo, ha portato la vite alle sue di radici, in Val di Non, a circa mille metri d’altezza, dove al posto delle mele, ha impiantato il vitigno piwi Johanniter, ibrido resistente alle malattie e agli attacchi fungini: da qui è nato il suo Vin de la Neu.In�ne, anche Luca Rigotti, presidente di Mezzacorona, Giovanni Casati, responsabile della produzione di Gena-gricola, Albiera Antinori e Christian Scrinzi, direttore enologico del Gruppo Italiano Vini, hanno condiviso le lo-ro esperienze in fatto di ecosostenibilità, a dimostrazione di come il tema ambiente riguardi un sempre maggior numero di aziende vinicole. Dalle Cantine storiche alle nuove arrivate, sono sempre di più coloro che manifestano l’esigenza di un approccio (e un protocollo) unico in Italia sulla sostenibilità.

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