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# INCIPIT # La scelta era fra un giro nelle Alpi, Tirolo e Baviera (più o meno…) e Grecia, cioè fra zone “fresche” e zone “calde”. Vanni non va d’accordo con il freddo e la possibilità concreta di prendere fresco e acqua pure d’estate nella prima ipotesi è quantomai concreta. E allora caldo sia! Ho valutato in linea di massima un itinerario in Grecia tenendo conto che volendo percorrere strade litoranee il richiamo del mare sarebbe talmente forte da privilegiare sul pedalato… per cui pensavo di riprendere un viaggio nell’interno greco, realizzato nel 93 con Barbara, che da Igoumenitsa raggiungeva le Meteore e poi scendeva verso sud in qualche modo per riguadagnare lo Ionio e l’Adriatico; però correvo il rischio di ripercorrerlo pari. Vago su internet alla ricerca di spunti… mi imbatto in un giro in Albania; lo leggo tutto, poi la mia mente gira come la catena ben oliata sui pignoni e ...realizzo. Passo la palla a Vanni che risponde entusiasta. Memore di alcune scene dal film “Prima della pioggia” corro sulla carta dal paese delle aquile ai laghi sul confine macedone assicurandomi, tramite una ricerca in rete, degli effettivi luoghi in cui è stata girata la pellicola. La triangolazione è perfetta: Durazzo – Ohrid (Macedonia) – Meteore (Grecia) con ritorno da Igoumenitsa (imbarco per l’Italia). Sarebbe perfetta … senonché un serio problema in famiglia costringe Vanni a limitare la sua area di lontananza e io che faccio, vado da solo? Ma no, rimandiamo all’anno prossimo ed intanto facciamo su un po di gambetta nel nostro appennino. Ho sempre pronto un piano B (ed anche uno C…) e dato che a giugno, in un giro in auto con famiglia non ero riuscito a raggiungere alcuni luoghi dei Sibillini (causa i mancati interventi dopo il sisma dello scorso anno) , propongo a Vanni di dirigerci proprio a Castelluccio di Norcia possibilmente attraverso le poche vie transitabili. Soprattutto sarà utile zigzagare per l’appennino marchigiano e umbro sia per evitare il traffico che per fare un po di esperienza con le dure salite. E qui parte uno esteso racconto; mi è difficile tagliare via, dal testo, le sensazioni vissute lungo la strada, ogni momento è un fatto da raccontare e certi luoghi in particolare meritano più righe di altri (e ve ne accorgerete se avrete il coraggio di proseguire nella lettura) Mettetevi comodi.

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# INCIPIT #

La scelta era fra un giro nelle Alpi, Tirolo e Baviera (più o meno…) e Grecia, cioè

fra zone “fresche” e zone “calde”. Vanni non va d’accordo con il freddo e la possibilità concreta di prendere fresco e

acqua pure d’estate nella prima ipotesi è quantomai concreta. E allora caldo sia!

Ho valutato in linea di massima un itinerario in Grecia tenendo conto che volendo percorrere strade litoranee il richiamo del mare sarebbe talmente forte da privilegiare

sul pedalato… per cui pensavo di riprendere un viaggio nell’interno greco, realizzato nel 93 con Barbara, che da Igoumenitsa raggiungeva le Meteore e poi scendeva verso sud in qualche modo per riguadagnare lo Ionio e l’Adriatico; però correvo il rischio di

ripercorrerlo pari.

Vago su internet alla ricerca di spunti… mi imbatto in un giro in Albania; lo leggo tutto, poi la mia mente gira come la catena ben oliata sui pignoni e ...realizzo. Passo la palla a Vanni che risponde entusiasta.

Memore di alcune scene dal film “Prima della pioggia” corro sulla carta dal paese delle

aquile ai laghi sul confine macedone assicurandomi, tramite una ricerca in rete, degli effettivi luoghi in cui è stata girata la pellicola.

La triangolazione è perfetta: Durazzo – Ohrid (Macedonia) – Meteore (Grecia) con ritorno da Igoumenitsa (imbarco per l’Italia).

Sarebbe perfetta …

senonché un serio problema in famiglia costringe Vanni a limitare la sua area di lontananza e io che faccio, vado da solo?

Ma no, rimandiamo all’anno prossimo ed intanto facciamo su un po di gambetta nel nostro appennino.

Ho sempre pronto un piano B (ed anche uno C…) e dato che a giugno, in un giro in auto con famiglia non ero riuscito a raggiungere alcuni luoghi dei Sibillini (causa i

mancati interventi dopo il sisma dello scorso anno) , propongo a Vanni di dirigerci proprio a Castelluccio di Norcia possibilmente attraverso le poche vie transitabili.

Soprattutto sarà utile zigzagare per l’appennino marchigiano e umbro sia per evitare il traffico che per fare un po di esperienza con le dure salite.

E qui parte uno esteso racconto; mi è difficile tagliare via, dal testo, le sensazioni vissute lungo la strada,

ogni momento è un fatto da raccontare

e certi luoghi in particolare meritano più righe di altri (e ve ne accorgerete se avrete il coraggio di proseguire nella lettura)

Mettetevi comodi.

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Si parte come deciso nel mattino di giovedì con l’intento di essere a Castelluccio

almeno domenica per la festa del santo patrono - San Vincenzo Ferreri – occasione per quelle zone per l’apertura di qualche via altrimenti interdetta.

Infiliamo la Val Marecchia raggiunta da strade abituali. Il mio amico Pierluigi ci accompagna fino al punto in cui noi deviamo sulla ciclabile

sterrata che ci porta piacevolmente fino oltre Novafeltria. Da qui inizia la serie di salite ai monti. Pennabilli vede la prima nostra sosta ma pago il momento digestivo sulle rampe della

Cantoniera: che fatica! Ed è solo l’inizio!

Birra a Carpegna e poi via a casaccio seguendo la classica mappa cartacea con unica certezza di voler raggiungere almeno S.Angelo in Vado.

Le aspre colline ci anticipano fatiche sottovalutate e quando finalmente raggiungiamo la meta non siamo tanto certi di voler andare oltre nella giornata.

Il camping è fuori e non ha punti di ristoro quindi come carta giochiamo una stanza al B&B che guarda a caso è proprio nel punto in cui ci siamo fermati. Uno splendido palazzo nel centro di S.Angelo, una camera fin troppo ricca per due

vagabondi come noi… ma il prezzo è buono e la prima stanchezza non va presa sottogamba.

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- venerdì -

Si parte di buon mattino dopo la generosa

colazione. La direzione è sempre sud e comunque sempre per i monti.

Passiamo almeno due vallate, e relative salite,

prima di raggiungere Cantiano per la sosta pranzo.

Riprendiamo la via per passare sotto il Monte Catria ma ci accorgiamo presto che continuando per vie minori (e ripide) la media chilometrica è piuttosto bassa.

Per arrivare in tempo ai Sibillini occorre percorrere qualche provinciale e mettere nel paniere qualche km in più. Deviamo così nell’Umbria e lasciamo fluire l’asfalto fino a Gualdo Tadino che sembra

sempre lì ma che mi fa imprecare per l’ennesima e lunga salita per raggiungere il centro.

Anche qui scelta del B&B perché il campeggio non è proprio dietro l’angolo.

- sabato - La via nuova non è interessante e si decide per una

variazione su strada minore – Capodacqua - che guarda a caso verte in un’altra impegnativa salita che i ciclisti locali

hanno battezzato come Stelvietto ma che culmina in un altopiano spettacolare, Colfiorito. Da questo punto la strada scende veloce e larga verso la

Val Menotre (pensavo si pronunciasse come una "bassa temperatura" invece va nominata accentando la o).

In direzione Norcia si passa un tunnel poco simpatico, specie quando vi passano le motociclette; si risale e si cala nella Val Nerina.

Ad una manciata di km da Norcia ritroviamo sul fiume Nera un centro Rafting dove,

nel 2014 io e Vanni assieme a Tino e Gigi, mettemmo a sbollire i piedi nelle fredde acque. Naturalmente stesso rituale.

Proviamo a chiedere ai gestori del centro Rafting

se possiamo fermare le tende nel loro spiazzo quasi certi di una risposta negativa… ed invece ci accolgono con piacere, praticamente ci lasciano in

custodia l’area per la notte.

- domenica - Qualche chiacchiera con gli avventori dell’osteria

per assicurarci che la pista parallela al Nera e alla strada sia ben percorribile in bici.

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E così gli ultimi km che ci separano da Norcia li scorriamo sulla Vecchia Ferrovia

Spoleto-Norcia passando attraverso il verde senza essere affiancati da alcun veicolo a motore. Norcia è un disastro. E’ una tristezza.

Quel che avevamo visto, soprattutto il centro nel 2014, ora giace sotto le macerie

o trattenuto a stento da ragnatele di impalcature. Lascio che le immagini parlino da sole.

Così anche i numerosi fabbricati, vecchi e

nuovi, che incontriamo nella via prima salire ai Piani.

Da Norcia in poi ci rendiamo visivamente conto della distruzione ed anche dei mancati interventi delle istituzioni che, come spesso succede, tanto promettono e ben poco

realizzano.

Il nastro steso sui nomi delle località, nel grande cartello all'incrocio, parla chiaro su dove si può arrivare anzi, su dove NON si può arrivare… però Castelluccio non è coperto.

Mi ricordavo una salita non troppo lunga ma al successivo bivio, dopo alcuni km, Castelluccio è segnalato a 23, di cui ben oltre la metà a salire fino all’orlo della piana.

Comincia così la lenta risalita della costa umbra su una via che dapprima non evidenzia alcun danno ma che successivamente si alterna in tagli del manto stradale e

frane dalla montagna in alto. Auto e motociclette arrivano ad ondate cioè ogni qual volta hanno via libera dai vari semafori posti sui tratti a scorrimento alternato!

Il Piano Grande è verde e giallo, quest’anno non ci sono i colori che mi aspettavo; pensavo ai mancati interventi agricoli ma mi confermano che la siccità è stata

l’artefice della negata tavolozza. Quasi una veste a lutto dopo quello che è

successo 9 mesi addietro e soprattutto quello che non si potuto fare

successivamente. Il panorama è suggestivo come sempre però.

Salire a Castelluccio è un pugno allo

stomaco.

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C’è aria di festa e …no.

Tutti, data l’ora, vogliono mangiare qualcosa;

dei vari locali non uno è agibile completamente. Chi cucinando su un furgone attrezzato accoglie i presenti nella sola veranda di legno dichiarata agibile, chi ospita sotto un tendone, chi ha allestito una cucina di fortuna in

un container e steso alcune panche nel piazzale.

Il paese sbriciolato e piegato in alcuni punti guarda il formicolare dei presenti, oltre le grate che ne vietano l’acceso.

C’è pure una diretta RAI Umbria; quando la troupe era ancora a Norcia al nostro passaggio siamo stati ripresi e mandati in onda sul telegiornale locale serale.

Andrea, il regista RAI, ci consiglia di arrivare a Campi lungo la via sterrata che risale a ovest Castelluccio e oltrepassa il Monte Valletta.

Poi telefona ad un suo contatto giù a Campi e lo avverte che arriveranno due ciclisti “tosti”.

Gonfiati d’orgoglio da tale appellativo e per non discendere la via percorsa in salita decidiamo di provare la nuova via sterrata… abbiamo anche le bici giuste.

Castelluccio ferito ora si distende sotto di noi mentre la bella via sterrata si arrampica a tal punto che in alcuni tratti dobbiamo spingere a piedi.

Nonostante siamo partiti nel pomeriggio inoltrato il caldo è feroce.. anche quando siamo all’interno della vegetazione perché la salita e il fondo dimesso non danno

tregua. Ogni forte imprecazione è accompagnata subito dopo da un’esclamazione stupita per il

luogo in cui sistematicamente ci ritroviamo.

“infinito” è l’aggettivo giusto… anche nei riguardi della via che bianca segna queste alture e non si comprende dove finisca.

Passano dei ragazzi su un fuoristrada e ci assicurano che la via è giusta.

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Saliamo e scendiamo più volte questo angolo “tibetano” ed un altro scenario infinito

appare.

Giunti ad un bivio non sappiamo che via prendere: poco più in alto si nota poi che la deviazione di sinistra si ferma subito ad un alpeggio. Da destra compare una Panda e gli occupanti ci confermano che a Campi ci stanno

aspettando.

Ora la via scende ma su un letto di ghiaia alto quattro dita. La discesa, che sarà lunga quasi 7 km, poco dopo diventa assai ripida, è difficile tenere le bici in equilibrio.

Se si va veloci si rischia una caduta rovinosa... lo stesso se vi va troppo lentamente per via della pendenza della strada, per il peso

della bici e per l’affondamento delle ruote nella ghiaia.

Di fatto un mio rallentamento, quasi al termine, mi fa rovesciare la bici addosso e cado nella ghiaia e nella polvere.

Roberto ci accoglie alla Pro Loco di Campi e ci mette a disposizione il grande locale che nei mesi precedenti aveva accolto le persone sfrattate dal terremoto. Sistemiamo due letti e ci apprestiamo alla doccia e al solito lavaggio dei panni utilizzati.

La sera passa attorno alla tavola dove si avvicendano vari personaggi e dove Roberto ci espone la situazione del

paese, mettendoci al corrente del progetto Back To Campi per il rilancio turistico del luogo.

E' grazie alla caparbietà degli abitanti, dei volontari e delle associazioni, più che delle istituzioni ingessate da

burocrazia e politica, che questi luoghi stanno ricominciando a prendere vita, produttività e dignità.

Campi Alto è in una posizione piacevole, adagiato sul versante della montagna e circondato dal verde… ma è privo di suoni, di vita e di luci.

Qualche struttura si è salvata a Campi Basso, purtroppo o per fortuna la struttura della Pro Loco ospita ancora Roberto e qualche altra persona senzatetto.

- lunedì -

Il mattino parte in sordina, non abbiamo fretta e ce la prendiamo comoda.

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L’unica direzione breve per Visso partendo da Campi passa dall’Abbazzia di S.Eutizio.

Ci avvertono che è salita, un po dura, ma non pari alla discesa della sera prima. In genere non ci spaventa nulla anche perché si affronta tutto con calma.

In località Piedivalle, al bivio, chiediamo indicazioni. Decodificate le gesta e i sorrisi dei locali, cominciamo ad essere un poco preoccupati…

ma la via è quella e di lì bisogna passare.

L’Abbazia è crollata per metà e i piccoli paesini abbarbicati sul versante sono inagibili e serrati.

L’asfalto comincia a salire ripido ma la lenta pedalata ci consente ancora di stare in sella e in equilibrio.

Poche centinaia di metri sembrano decuplicarsi: ad una fonte l’asfalto lascia posto a un manto di cemento e questo non è mai un buon segno. La fatica è tale che occorre mettere piede a

terra e spingere la bici in più tratti. Il cemento dopo un tratto che pare

interminabile lascia posto allo sterrato ed anche le scarpe fanno fatica a far presa.

Le gambe no ma la schiena reclama uno sforzo che ben poche volte mi era capitato di fare.

Qualche tratto regala percentuali un minimo

meno accentuate ed allora si pedala un poco… per poi scendere nuovamente a spingere.

Come non mai ho provato disperazione; mi sorregge la logica aspettativa che la via dovrà scendere, spero prima che poi!

Qui penso al tratto ciclabile da Marina di Montemarciano fino a Senigallia e a Fano, piatto, lungo, quasi insulso… ora mi sembra un miraggio, un’oasi e decidiamo in un

attimo che sarà la via del ritorno.

Arriviamo al culmine. Più di un’ora per arrampicare nemmeno 4 km!

Un calcolo approssimativo rileva una salita del 20% medio.

Tira un po di vento che asciuga il nostro sudore mentre una via bianca discende la vallata successiva ma non lascia intravedere la sua fine… Oltre ci dovrebbe essere Visso.

La discesa è altrettanto lunga come quella del giorno prima, solo più pulita e meno

inclinata ma l’attenzione non deve venire meno perché la stanchezza gioca brutti scherzi. Le dita delle mani tirano costantemente i freni.

Talvolta serve una sosta per riassestare le membra.

Questi sono i casi in cui non scatto fotografie per documentare, il luogo è fantastico ma lo sguardo è concentrato solo sul terreno che pesta la ruota

anteriore.

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Visso pare un bel paesino… ma le ferite sono profonde, il silenzio e la quasi immobilità

pervade questo luogo. Sfiliamo il centro , dentro il quale non si può transitare senza un permesso specifico ma noi veniamo giù da monte e non abbiamo trovato alcun posto di blocco.

Il posto di blocco c’è all’ingresso del paese (da dove usciamo) con tanto di militari e

divise varie che sembra di essere in zona di guerra. I controlli sono serrati. Un via vai di camion fa intuire che un’attività di rimozione, di rifornimenti e

ricostruzione ha in qualche modo preso il via. Ma oltre quella sbarra non c’è movimento… solo macerie e transenne.

Ci fermiamo nell’unico locale bar che si è trasformato anche in ristoro per gli operai e militari.. ed anche per noi.

Restiamo con le gambe stese per tanto tempo a smaltire la fatica delle ore precedenti.

Chiediamo informazioni più attendibili per la via che ci aspetta. Finalmente un ciclista ci informa dettagliatamente; chi poteva farlo meglio se non uno

che in bici ci va veramente?

La direzione è Fiastra e l’omonimo lago.

Le indicazioni sono minuziose; dopo qualche km sulla via principale deviamo a salire seguendo le indicazioni del Monastero di Macereto. La salita sebbene un poco impegnativa è nulla al confronto di quelle precedenti e

questo è piuttosto rilassante. Arriviamo in una zona, credo identificata come Sopravisso, una specie di altopiano

fatto di pascoli con vista sul grande Monastero; come sempre i panorami sono ampi e domina la quiete. Il sole è restio ad apparire e questo smorza i colori tutt’intorno.

Il monastero è enorme e sembra costruito nuovo ma è transennato, probabilmente in

attesa di perizie per poterlo poi abilitare alla frequentazione.

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La strada aggira a gomito un corso d’acqua e in breve raggiungiamo Cupi che pare

non sia stato toccato dal terremoto a parte il campanile della chiesa che è ingabbiato per bene.

Fiastra apparentemente integra invece ha strutture inagibili e il piccolo centro è deserto e inattivo. Alcune attività commerciali e qualche ufficio pubblico sono

funzionanti nei container sistemati nello spiazzo poco sotto.

Ora nuvole minacciose ci circondano e prima che rovescino il loro carico cerchiamo un posto per la sosta, sebbene sia ancora primo pomeriggio. Per oggi ne abbiamo avuto abbastanza.

So per certo che c’è almeno un campeggio giù al lago;

all’ufficio turistico sulla via troviamo i recapiti di ben due campeggi. Visto il meteo decidiamo per quello che offre un ricovero apprezzabile. Infine aderiamo alla proposta di dormire in una capanna di legno al costo della tenda.

Si alza un po di vento, cala la luce, spruzza qualche goccia ma il temporale gira

altrove e la nottata passa tranquilla. - martedì -

Il mattino seguente è baciato dal sole.

Dopo la colazione, sempre abbondante come conviene a due soggetti del nostro calibro (sportivi e golosi) prendiamo a percorrere la bella strada che corre lungo la sponda destra del lago di Fiastra (o del Fiastrone) fino a giungere alla diga che isola

l’invaso dalla valle successiva.

Qui alcuni tecnici stanno operando misurazioni di controllo su un eventuale spostamento della diga stessa in quanto in questi ultimi giorni sono state avvertite alcune scosse del 2° e 3° grado; noi non abbiamo percepito nulla.

Oltre la diga la vallata è una profonda fenditura, stretta con

rocce punteggiate dalla vegetazione. Pare sia l’habitat del Fanculastro del Fiastrone, endemico ungulato dal muso suino, del quale già è difficile trovare

immagini in rete. La stranezza mi riconduce al Chirocefalo del Marchesoni,

esclusivo “gamberetto” che sopravvive nelle acque del lago di Pilato, sotto il monte Vettore (sempre zona Sibillini)

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Non c’è quasi traffico nella strada tortuosa e rilassante che scorre veloce come le

nostre chiacchiere sostenute da un ottimo umore. La scelta di calare la valli marchigiane fino al mare dopo molte delle impreviste fatiche

crea una certa distensione. Sappiamo per certo che lasceremo alle spalle panorami difficili da ritrovare nei

prossimi tratti ma anche questo fa parte del gioco, del viaggio… mentre nuovamente, alle nostre spalle, si ripropongono nuvole ostili.

Conosco la strada che porta all’Abbazia benedettina di Fiastra; non un transitare suggestivo, anzi… però per al momento è l’unica che ci apre l’accesso verso l’Adriatico.

I nuvoloni scuri sono sempre lì, poco dietro ma abbiamo quasi la certezza che

prenderanno un’altra direzione… ed intanto giungiamo all’Abbazia. Ci fermiamo giusto il tempo per un boccone e poi prendiamo un po a caso una pista che segue il fiume, giusto per evitare un buon tratto di statale.

La pista fa un giro interessante attorno alla Riserva Naturale fino ad incrociare un

asfalto che comunque va nella direzione voluta.

Ci siamo sbagliati nella valutazione dei nuvoloni e all’improvviso tutto si copre di scuro e viene giù il finimondo. Dapprima ripariamo sotto degli alberi, ma poco dopo, zuppi, torniamo sui nostri passi

percorrendo parte della via che ora è diventata un torrente di acqua e fango. Raggiungiamo una torre di avvistamento avifauna e vi ci infiliamo.

Non è il massimo del riparo ma ci consente di cambiarci e non raffreddare l’umido addosso. Ne avremo per più di un’ora durante la quale viene giù tanta acqua quanto non ne

faceva da mesi da queste parti.

Appena smette un po facciamo ritorno all’Abbazia e ci infiliamo sotto una tettoia. Certo non è un bel vedere la stesa di panni che tentano invano di asciugarsi ma non c’è nessuno in giro che possa rimproverarci il discutibile spettacolo.

Finalmente cambiati e seduti tranquilli a pranzare, decidiamo di prendere una stanza

nella foresteria dell’Abbazia (è in realtà un albergo/B&B) per poter stendere tutta la roba ad asciugare.

Smette di piovere, così ne approfittiamo per guardarci meglio attorno e fare quattro passi nel boschetto della Riserva Naturale.

Una bella rete di sentieri promette cose interessanti e subito si fantastica su come sarebbe divertente percorrerli in mtb anche se vietati alle biciclette.

- mercoledì -

Al mattino tutto è asciutto… a parte le mie scarpe, ancora umidicce ma non sarà certo questo a farmi buscare un raffreddore.

Stavolta prendiamo per la statale ma pronti a deviare un una strada minore;

infatti zigzaghiamo un po cercando di evitare l’ingresso a Macerata e puntare

diritto sulle colline verso Montelupone.

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Eccoci di nuovo su un tratto quasi senza transito cinto da girasoli e campi mietuti … spesso con strappi inaspettati.

Montelupone, un bel nome ma anche un bel paesino, arrampicato su un colle; anche qui qualche vicolo transennato, evidentemente qualche scossa si è ben sentita anche

verso il mare che è lì sotto ad una manciata di km.

Discendiamo quindi sulla provinciale per Porto Recanati, stretta e trafficata. Dopo poco decidiamo di infilare a caso una via bianca che pare segua il corso del fiume Potenza.

Le indicazioni richieste ci indicano una bella fuga fra campi di granturco e greggi al pascolo; passano alcuni km e la via ritorna sulla strada principale.

A sinistra un'alternativa sale le basse colline che degradano al mare, niente di meglio che scalarle e lasciarsi andare poi nella discesa ultima.

“Scalarle” è proprio il verbo giusto perché dietro la curva parte una ripida al 15% che ci ricorda che nelle Marche ogni salita è veramente impegnativa anche se corta.

Passiamo un reticolo di strade, parallele e perpendicolari, di edifici popolari e

arriviamo sul bel lungomare di Porto Recanati. Una sensazione di rilassamento ci pervade anche se occorre mantenere l’attenzione al

traffico di bagnanti inebetiti che vanno e vengono dalla spiaggia.

Ora si punta al Conero. La giornata è ancora lunga, sfiliamo

Marcelli e Numana e ci arrampichiamo a Sirolo; il campeggio

sul mare è strapieno ed è una fortuna che un addetto ci fermi prima di scendere al campeggio stesso.

Risalire sarebbe stato una nuova ed inutile fatica.

Andare al mare nel pomeriggio sotto il promontorio vuol dire ora avere ben pochi minuti di sole, non resta che ritornare sui nostri passi e campeggiare a Marcelli dove

la spiaggia non ha zone d'ombra fino al tramonto.

Il campeggio è bello e ha molti servizi fra i quali una spiaggia privata con ombrellone e lettini legati al numero della propria piazzola.

Issate le tende nella piazzola ci rovesciamo in spiaggia, stesi, quasi addormentati, a rilassare mente e corpo, giusto per fare sera e l'ora di cena.

- giovedì - Col cavolo che ritorniamo su a Sirolo!

Aggiriamo il promontorio dal basso, al costo di percorrere una strada piuttosto impegnata, attraversando zone artigianali, direzione Ancona.

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Sarebbe stato meglio prendere una via a mezzo fra la sommità del Conero e questa

ma sul momento occorre decidere in fretta e proseguire per quella che si è deciso cercando a priori una via di fuga.

Vediamo lontano passare un soggetto sulla bici carica e lo raggiungiamo che è fermo ad un chiosco di frutta: è Gerard, francese di 69 anni, che è partito da Palermo e

vuole raggiungere Parigi. Dice che sta attendendo suo figlio che è rimasto indietro e che insieme riprenderanno

la strada. Noi suo figlio non lo vediamo; saluti, pacche sulle spalle e via andare.

Diversamente dalla direzione S.S.16 nella quale ci siamo infilati decidiamo di entrare in Ancona città e seguire le indicazioni per il porto e la stazione;

ben sappiamo che da lì si infilerà agevolmente il più tranquillo lungomare. Con un “giro dell’oca” arriviamo in un bar di fronte alla stazione per una dose di caffè, poi via verso Falconara e Marina di Montemarciano dove poi devieremo veramente

lungo la costa.

Ed ecco a riprendere le impronte del precedente giro di 3 anni fa quando si fece ritorno dal viaggio Pescara-Gran Sasso-L'Aquila-Roma-Sibillini-casa.

Ora non c'è storia, c'è solo da giocare con ricordi per riconoscere i posti, magari trovare qualcosa di non visto in quella occasione.

Così scorrono davanti ai nostri occhi le linee e i colori della brutta edificazione degli

anni 70 e 80 e qualche recente tentativo, in qualche occasione riuscito, di mascherare gli scempi. Alcuni decadute strutture si ergono come enormi opere d'arte che farebbero felice

qualche amante dell'archeologia industriale o qualche fotografo di "contrasti".

Stavolta entriamo in Senigallia; l'impressione è che si tratti veramente di una cittadina interessante. Bello il lungomare, bella la spiaggia, bello il centro.

Giochiamo un po con le statue poste nei giardini lungo le mura e a stento mi trattiene Vanni nel replicare, vicino ad un nudo bronzeo, una foto "Kula" [vedi album foto tour

2106]. Puntiamo Fano restando per quanto possibile sul lungomare, a tratti interessante, a tratti decisamente bruttino con alcuni mancati raccordi e conseguenti pedalate sulla

S.S.16.

I campeggi sono al completo ma le nostre tendine, tese per una notte, trovano posto con facilità. Il transito dei treni, sui binari a delimitare il camping, è un incubo notturno... la

stanchezza però prevale; il sonno si alterna ad improvvise sveglie causa il rimbombo ferroviario.

- venerdì -

Chi corre, chi pedala, chi porta a spasso il cane; un tipo esibizionista gira in perizoma su rollerblade sulla bella e lunga ciclabile stesa sulla sabbia che conduce a Pesaro.

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Il nostro ultimo "scoglio" è il Monte S.Bartolo, appendice di quella parte di appennino

che qui si tuffa in mare, terminando la "recinzione" della pianura Padana, separando fisicamente il Nord dal Centro Italia. La strada si chiama Panoramica non a caso: è percorsa perloppiù da gente a piedi, da ciclisti e da motociclette perchè sicuramente sono le modalità ideali per apprezzare queste alternate terrazze sul mare.

Dalla parte opposta della Panoramica si stende la cementificata costa, stretto e lungo formicaio turistico.

Ci buttiamo nel flusso di formiche attraversando le località che non hanno separazioni definite ma unicamente cartelli, finisce Cattolica ed inizia Misano e poi Riccione e poi...

Sulla ciclabile di Rimini vediamo distante una figura familiare; lo affianco intonando la Marsigliese e Gerard riprende il motivo ad alta voce ancor prima di riconoscerci.

Accidenti, da Ancona avrà percorso sicuramente quasi tutta la statale 16!

Pazzo! Nel bar sul molo Gerard è talmente attivo

e chiassoso che negli occhi della barista leggo la preoccupazione di rischiare di

avere a che fare con un ubriaco. Sfatiamo subito l'equivoco, senza poi che Gerard si scomponga più di tanto.

Poi il francese comincia a scattare fotografie e impartisce indicazioni come un

regista. Noi due, come due patàcca, a pedalare avanti e indietro sul porto per le riprese.

Vorremmo trascinarlo a Cesenatico ma lui vuole aspettare suo figlio di cui ha perso le tracce.

Un tiro di schioppo ci separa dal passaggio sul Rubicone, decretando il termine di

questo viaggio - praticamente a pochi passi da dove abito -. Certo è stato facile percorrere una tappa di circa 70 km, pressoché piatta, ad

esclusione del passaggio sulla Panoramica, ed arrivare a casa visto anche che è appena mezzogiorno.

Torno con il pensiero ai greppi umbro-marchigiani dove i tempi erano assai diluiti a fronte di chilometraggi quasi preoccupanti… e fatiche inconsuete.

Page 14: # INCIPIT # L UmbriaMarche.pdfC’è pure una diretta RAI Umbria; quando la troupe era ancora a Norcia al nostro passaggio siamo stati ripresi e mandati in onda sul telegiornale locale

Quindi c’è tempo per fare un giro parenti, per farsi vedere con la "livrea da battaglia"

madidi di sudore.

Passiamo anche dagli amici che gestiscono l’hotel sul lungomare. Anche se la mia meta era la doccia di casa, le loro insistenze e la faccia di Vanni, che esprime la volontà di ben assecondare le richieste, fanno si che passiamo dalla sella

alla sedia con le gambe sotto un tavolo imbandito. Non utile al fine di questa cronaca e per “rispetto della privacy” sorvolo l’accoglienza

parentale, lo sproloquio di racconti mentre mi sfilo gli indumenti e le cose buttate a terra che sistemerò fra alcuni giorni…

il bigliettino di “ben tornato” di mia figlia piccola fa quasi commuovere

che mi pare di essere un reduce di guerra.

Vanni deve raggiungere Carpi; l’ultimo tormento è quello di mettersi

in auto con il caldo.

“Bel giretto! Abbiamo fatto fatica,

abbiamo toccato con mano alcune realtà e conosciuto gente interessante…

e ci siamo divertiti”

La prossima volta sarà… epico!

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scritto da Marco Zoffoli condiviso (spero) da Vanni Petrillo